Azione 09 del 24 febbraio 2020

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Cooperativa Migros Ticino

Società e Territorio Il sonno è di vitale importanza per lo sviluppo dei bambini almeno fino ai 13 anni: il pediatra Alberto Ferrando gli ha dedicato un libro

Ambiente e Benessere Il 2020 è stato dichiarato dall’ONU Anno internazionale della salute delle piante, all’insegna del motto: «Proteggere le piante–Proteggere la vita»

G.A.A. 6592 Sant’Antonino

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXIII 24 febbraio 2020

Azione 09 Politica e Economia Il Coronavirus, ultimo attore nella storia delle grandi epidemie che affliggono l’uomo

Cultura e Spettacoli Uno svizzero alla corte degli Zar: l’incredibile storia di Pierre Gilliard

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Ti-Press

Nuovi progetti per la formazione

di Stefania Hubmann pagina 12

La globalizzazione: il moto si inverte di Peter Schiesser Con l’epidemia di Coronavirus ancora in corso e tutt’altro che sotto controllo, la «fabbrica Cina» stenta a ripartire. Le catene di produzione sono rallentate, poiché molte aziende lavorano a tempo ridotto e con effettivi limitati, mentre i controlli istituiti dalle autorità per contenere il contagio creano difficoltà di trasporto e di approvvigionamento. Di questo risentono anche le imprese occidentali che producono interamente o anche solo parzialmente in Cina, visto poi che anche i trasporti aerei vengono a mancare. Le ripercussioni economiche e sulla crescita nazionale, ma anche di singoli settori in diverse parti del mondo, si faranno sentire (si pensi al turismo, con le frotte di cinesi venute e mancare, in Asia come in Europa), la gravità dipenderà da come evolverà l’epidemia di questo Covid-19. Resta inoltre da vedere quali conseguenze genererà la sfiducia popolare verso le autorità e in particolare verso il presidente Xi Jinping per la cattiva gestione dell’epidemia (inizialmente sottaciuta). Questa epidemia mette in risalto un altro aspetto, di portata mondiale: quanto è fragile la globalizzazione economica che, grazie alla

facilità dei trasporti, permette di delocalizzare la produzione, anche di singole componenti, in varie parti del mondo; è sufficiente che qualcosa si blocchi da qualche parte affinché la catena di produzione si inceppi. Ma prima ancora del coronavirus, ci aveva già pensato il presidente statunitense Trump con la sua guerra commerciale contro la Cina, a far capire alle grandi multinazionali e in particolare a quelle americane che qualcosa, nell’ordine economico mondiale, stava cambiando: i dazi doganali avrebbero reso più cari i prodotti, la certezza di poter commerciare liberamente veniva incrinata. Tant’è vero che negli Stati Uniti numerose imprese stanno seriamente considerando di trasferire le loro fabbriche in altri paesi asiatici o addirittura negli Stati Uniti (soprattutto ora che una rielezione di Trump appare più che probabile). Un’inchiesta della Bank of America Merryll Lynch presso 3000 aziende internazionali che producono in Cina dice proprio questo: l’80 per cento di esse pensa di trasferirsi in altri paesi del sud-est asiatico, o di tornare in Europa e negli Stati Uniti. È una vittoria di Trump, sia politica che ideologica? In fondo sì: la sua scommessa di riportare le lancette della storia indietro, di invertire la tendenza degli ultimi tre decenni verso una sempre più

dominante globalizzazione sta avendo più successo di quanto si potesse immaginare (e immaginasse chi scrive). Questa nuova tendenza alla de-globalizzazione, quindi alla produzione in loco, non è dovuta solo all’irruenza di questo presidente degli Stati Uniti, bensì anche al fatto che la forza lavoro dei paesi emergenti (in particolare in Cina) non è più così a buon mercato, inoltre i progressi tecnologici permettono una crescente automatizzazione della produzione e quindi meno personale. Tuttavia, senza le pressioni di un Trump questa inversione di tendenza non si sarebbe probabilmente avuta, non così presto perlomeno. Quali conseguenze avrà tutto questo? È un processo che va letto a diversi livelli. Per Trump e gli Stati Uniti si tratta di una battaglia per mantenere la supremazia mondiale (considerando però solo i propri interessi e non quelli del resto del mondo), quindi di frenare quella che sembrava l’ineluttabile ascesa imperiale della Cina di Xi Jinping. Per la Cina è in gioco non solo il suo ruolo futuro ma, se la sua crescita ed evoluzione subisse un forte rallentamento, persino la sua stabilità interna: anche le dittature non possono fare a meno di un consenso generale, e questo viene meno se il paese si impoverisce.


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