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Affascinanti frammenti di viaggio

Taccuino ◆ Di Zsuzsanna Gahse, Gran premio svizzero di letteratura è uscito per la prima volta un testo in italiano

Manuel Rossello

Nel 1956 la repressione della rivolta di Budapest ha avuto come conseguenza la fuga di migliaia di persone verso occidente. La tragedia ungherese ha determinato una diaspora e incalcolabili sofferenze, ma ha contribuito a mettere in luce l’opera di importanti figure della cultura magiara. Si pensi ai casi notissimi di Agota Kristof e Tomaso Kemeny, che hanno trovato asilo in Svizzera e in Italia. Per Zsuzsanna Gahse, fuggita dall’Ungheria quando aveva dieci anni, è stato senz’altro più facile il passaggio, comunque sofferto, dalla scrittura nella sua lingua madre al tedesco del Paese che l’ha accolta, la Svizzera. Per i lettori italofoni è ora possibile conoscere questa scrittrice grazie alla Casa della Letteratura di Lugano, che ha istituito un corso di traduzione editoriale. Ne è così nato il Taccuino di scribacchiature del sud, per ora l’unico testo tradotto in italiano dei molti di Zsuzsanna Gahse. Ma cosa nasconde questo titolo misterioso? Un diario di viaggio? Un eccentrico reportage sulla Spagna postfranchista? Il resoconto di un suo tour di letture pubbliche? O il lungo referto delle sue allucinazioni? Probabilmente tutto ciò e molto di più. La trama, se di trama si può parlare, allude a un nonno che molti anni prima da Budapest si trasferì a Granada. Inoltre veniamo a conoscere un certo Tokoll, un fotografo giramondo specializzato in ritratti. Sembra di capire che Tokoll è il compagno (o l’accompagnatore) dell’io narrante, il quale a sua volta compie un turbinio di spostamenti sui quattro assi del continente, ma sempre con le Alpi come baricentro. Uno dei pochi punti fermi della vicenda consiste nel fatto che tutti viaggiano (in effetti sembrano colpiti da Wanderlust).

D’altronde l’autrice non fa nulla per orientare il lettore tra queste sue pagine così deliziosamente ondivaghe. Insomma, un pandemonio, se non fosse che il libro si legge con grande interesse. Ma perché questa raccolta di frammenti di viaggio è così affascinante?

La mia ipotesi è che il suo strano modo di descrivere luoghi, persone e gli innumerevoli oggetti sparsi nel libro è assolutamente accattivante. Una ginnastica dello sguardo che non lascia indifferenti. Certo, quando si descrive ci si accorge che ogni descrizione è sommaria, approssimativa, sbagliata, ma anche il manufatto più ordina- rio (un soprabito, una matita) si rivela nelle mani dell’autrice l’efficace Ersatz di un’emozione inesprimibile. Tra gli ulteriori meriti di questo libro, nel quale brani più estesi sono alternati a frammenti di misura aforistica («Le Alpi esistono per renderci più pungente il desiderio di varcarle e arrivare a Sud»), c’è da mettere in conto l’acutezza sensoriale. Per esempio è molto bella l’osservazione sui profumi e gli odori della Spagna (profumi che chiunque vi sia stato anche solo una volta riconosce); così come le puntuali osservazioni sinestetiche (i treni che passando producono suoni foschi). Con una predilezione particolare per l’udito, come nel caso delle campane della chiesa di Vals, i cui rintocchi sono resi con grande finezza.

La scrittrice ha vinto il Gran premio di letteratura nel 2019. (schweizerkulturpreise.ch/ Maurice Haas)

In un libro così eccentrico non potevano mancare alcuni scompensi o punti di frizione. Per esempio verrebbe da chiedersi se è lecito fornire ragguagli sull’espletamento delle proprie impellenze fisiologiche. Al riguardo rimango dubbioso (sarò ipersensibile, ma quando in un film un personaggio si lava i denti cambio canale). Oppure, sul versante della pur ottima équipe di traduttrici («nessunese» o «minuscolezze» sono alcuni dei neologismi a cui si è ricorsi per rispecchiare l’espressionismo dell’autrice), qua e là alcune soluzioni appaiono perfettibili (per esempio il treno in ritardo in seguito al suicidio di un infelice mi sembra sia reso troppo impersonalmente con «a causa di un danno alle persone»). In questo appassionante zibaldone di pensieri

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