Cooperativa Migros Ticino
Società e Territorio A Rossa, in Val Calanca, riscopriamo i muri a secco e tre chiese ristrutturate
Ambiente e Benessere La Svizzera detiene il primato nel tasso di incidenza del melanoma; ce ne parla il ricercatore Tommaso Virgilio
G.A.A. 6592 Sant’Antonino
Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXIII 17 agosto 2020
Azione 34 pagina 13
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Politica e Economia Le presidenziali contestate della Bielorussia e il suo ruolo cuscinetto nel confronto Russia-Nato
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di Luigi Baldelli pagina 15
Luigi Baldelli
Murano, l’isola del vetro
Cultura e Spettacoli A colloquio con la direttrice artistica del Locarno Festival per valutare un’edizione anomala
Meno limiti, più rischi, più responsabilità di Peter Schiesser È con qualche brivido freddo che saluto la revoca del limite massimo di 1000 persone alle manifestazioni culturali e sportive a partire da ottobre, in giorni in cui si registrano in Svizzera oltre 200 casi di infezione da Coronavirus. Speriamo vada tutto bene. Lo stesso Alain Berset ha descritto la situazione come «fragile e incerta». I reiterati appelli dei consiglieri federali a considerare questa pandemia una maratona e a imparare a convivere con il virus restano attuali, anzi in questa fase determinanti. Significa prepararsi mentalmente a una lunga sfida, in cui farà la differenza il senso di responsabilità a tutti i livelli della collettività. Il governo ha senza dubbio preso una decisione politica, valutando l’impatto della chiusura sulle finanze degli organizzatori sportivi e culturali ma anche il bisogno di svago delle persone, nonostante l’avviso contrario della task force scientifica e i direttori cantonali della sanità volessero togliere il limite di 1000 persone solo nel 2021. In sostanza, il Consiglio federale non stabilisce più un tetto massimo al numero di persone, starà ai cantoni decidere in base ai piani
di protezione che verranno allestiti dagli organizzatori sportivi e culturali se autorizzare la manifestazione o meno. Farà differenza se si tiene al chiuso o all’aperto. Per esempio, alle partite di hockey si potrà andare solo con mascherina, non ci saranno posti in piedi e nessun tifoso in trasferta, in caso di contravvenzione grave si chiude lo stadio. Ma i piani di sicurezza degli organizzatori, soprattutto quelli sportivi, dovranno contemplare anche ciò che accade al di fuori degli stadi: non ha molto senso imporre un distanziamento fisico, l’obbligo di portare la mascherina nello stadio, se i tifosi stanno pigiati come sardine nei bar e alle buvette in attesa della partita e poi per festeggiarne l’esito. E qui starà il difficile: riuscire a fare capire a una popolazione che si sta gradualmente rilassando (nell’osservanza delle norme di distanziamento) l’importanza di disciplinarsi di nuovo maggiormente. Se non ci si riuscirà, se questi grandi eventi saranno causa di un ulteriore aumento del numero di contagi e dai cantoni non sarà più garantita la tracciabilità dei contatti, si tornerà ai divieti. D’altronde, non è economicamente ma neppure socialmente possibile imporre sempre nuove limitazioni o prolungarle all’infinito. Lo
stesso Berset in un’intervista ha dovuto riconoscere che gli svizzeri sono stanchi, più irritabili, c’è più tensione nella società. Terminata la fase iniziale in cui tutti remavano nella stessa direzione, oggi si è tornati a critiche con toni più accesi (secondo Berset anche fra Cantoni e Confederazione). E più passa il tempo, più fra la popolazione si fa largo una sensazione di confusione. Dopo sei mesi di pandemia le certezze su questo virus sono ancora poche, la ricerca di vaccini sempre in corso, le forme di trasmissibilità non ancora ben conosciute. Ci vuole pazienza ed equilibrio per affrontare questa maratona e non tutti ci riescono. Personalmente, constato con sorpresa che diverse persone, anche amici e conoscenti, si lasciano influenzare o convincere da teorie astruse, complottiste. Altri amici mi riferiscono esperienze analoghe con propri conoscenti o colleghi, persone di ogni genere, anche con formazione superiore. Inutile tentare di convincerle con ragionamenti e porre domande, le loro sono certezze incrollabili. Di fronte all’enorme incertezza generata dalla pandemia, sembra che un certo numero di persone (tante o poche?) senta un forte bisogno di credere, più che di ragionare. Una risposta della nostra psiche per non farci travolgere dalla paura?