Azione 45 del 7 novembre 2016

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Cooperativa Migros Ticino

G.A.A. 6592 Sant’Antonino

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXIX 7 novembre 2016

Azione 45 -79 ping M shop ne 49–58 / 72 i alle pag

Società e Territorio Intervista a Paolo Crepet sul suo ultimo libro intitolato Baciami senza rete

Ambiente e Benessere Le ricerche di Yoshimori Ohsumi sull’autofagia cellulare sono state premiate con il Nobel per la medicina 2016

Politica e Economia Grande incertezza sull’esito delle elezioni americane 2016

Cultura e Spettacoli Pietro Montorfani e l’Archivio storico della città di Lugano

pagina 15

pagina 3 pagina 27

di Giorgio Thoeni pagina 42

Compagnia Finzi Pasca

Il teatro che affronta la vita

pagina 39

Una profonda frattura sociale di Peter Schiesser È stata la campagna presidenziale americana più devastante, deleteria, assurda da decenni. Mercoledì il mondo conoscerà il nome del prossimo presidente e potrà cominciare a fare i conti con Hillary Clinton o con Donald Trump. Perché le presidenziali americane non sono una questione interna: importa a tutto il mondo sapere chi guiderà la maggiore superpotenza mondiale per i prossimi 4 o 8 anni. L’unica consolazione è che la lunga corsa alla Casa Bianca è terminata, ma in un crescendo di accuse reciproche, sulla condotta sessuale di «the Donald», sui segreti di Hillary. E questo lascia molti interrogativi aperti sul dopo: Trump accetterà una sconfitta, o seguiterà ad aizzare i suoi sostenitori contro il «sistema»? Hillary saprà conquistarsi la fiducia degli americani, posto che riesca davvero ad ereditare lo Studio ovale da Barack Obama? Ma soprattutto: dove stanno andando gli Stati Uniti? La domanda è legittima: com’è possibile che una persona come Donald Trump, egocentrica, permalosa, menzognera, truffaldina, senza la minima conoscenza del funzionamento della politica,

interna e internazionale, senza un programma che poggi su basi se non solide almeno credibili, dalla condotta morale impresentabile, riesca a farsi nominare candidato presidenziale e ad ambire di reggere le sorti degli Stati Uniti? È stato spiegato fino alla nausea: Trump è l’incarnazione della paura del ceto medio bianco, che paga lo scotto di una modernizzazione che poggia su un’alleanza d’acciaio tra globalizzazione dei commerci e rapida evoluzione tecnologica. Se questa paura induce molti cittadini a scegliere un candidato di rottura come Trump, nell’illusione di spostare indietro le lancette della storia, significa che la frattura all’interno della società statunitense è profonda e grave. Qualche sociologo inserisce questa crisi in un contesto più ampio (come si legge sul «New York Times» del 3 novembre), di una crisi dell’«identità bianca», frutto del rimescolamento etnico seguito alle migrazioni favorite dalla globalizzazione. Abituato ad un benessere e a un ruolo preminente nel mondo (che nei secoli scorsi ha colonizzato), l’uomo bianco fatica ad accettare che le regole del gioco sono cambiate, che la sua cultura e il benessere di cui ha goduto (senza chiedersi su quali basi di sfruttamento e ingiustizie nel mondo

poggiasse) non sono più predominanti né garantiti. È una posizione di rendita che è andata perduta. Non è una consolazione, per chi vive questa crisi di identità, sapere che la povertà nel mondo è diminuita grazie alla globalizzazione, poiché nel mondo «bianco» ha favorito pochi a detrimenti di molti. Tuttavia, nulla possono i muri e il rifiuto di accordi di libero scambio evocati da Trump, poiché «i posti di lavoro persi dall’economia statunitense non sono andati ai messicani, sono andati ad un microchip» (citazione di Thomas L. Friedman sul NYT). La «crisi dell’identità bianca», che ha partorito una rinascita del populismo, non è solo americana: lo provano le reazioni di molti cittadini europei, tradottesi in voti per i movimenti nazionalisti, per una Brexit, per i muri contro gli immigrati. Eppure, il mondo ha bisogno di un’America che tiene ancora in considerazione i valori democratici dell’Occidente. Ciò vale in moltissimi ambiti, fra questi anche quello ambientale: la salvaguardia del clima, centrale per il futuro del pianeta, sarebbe impossibile con un presidente come Trump, che nega l’esistenza dell’effetto serra. Se è pur vero che gli Stati Uniti sono sempre pronti a difendere i loro interessi, è altrettanto vero che non si vedono altre potenze «illuminate».


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 7 novembre 2016 • N. 45

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Attualità Migros

M Lo spirito del Natale soffia già Scuola Club Migros Ticino In calendario i corsi che preparano alle prossime feste di fine d’anno

I nostri tempi sono talvolta così serrati e stretti tra mille impegni da lasciarci la sensazione di una crescente impotenza nel governare la nostra vita. Ci pare che tutto ci sfugga tra le dita, come la sabbia del mare. Eppure, le poche pagine che restano ormai in agenda segnalano un appuntamento da non scordare: tra poco sarà Natale. Il senso di frammentazione è oggi trasversale e raggiunge tutti, uomini e donne, giovani e anziani, non importa quale professione si svolga o quale siano i nostri riferimenti culturali. Il destino è comune: sempre meno riusciamo a farci trovare pronti da ciò che ci viene incontro. Presi da questo vortice, rischiamo però di perdere davvero moltissimo in termini di consapevolezza e di qualità della vita. Perché non provare a «resistere» e a ritagliarci qualche piccolo spazio per ritrovare la gioia profonda che accompagna questo bellissimo momen-

to dell’anno? Perché il Natale è tanto più autentico quanto più lo si aspetta e lo si prepara. Ma cosa significa oggi prepararsi a questo appuntamento così antico? Forse provare a fare spazio a ciò che di spazio ne ha sempre meno: stare in famiglia, visitare persone care, accogliere amici che non si vedono da tanto tempo, riappropriarsi della gioia di preparare una bella tavola, essere attenti a quei piccoli particolari che raccontano il bene che proviamo per altri e che, a Natale, vogliamo tornare ad esprimere. Il Natale è una grande occasione per riscoprire le piccole cose di cui talvolta non riusciamo più ad intravedere la grandezza e che rischiamo di dare per scontate. Il periodo natalizio ci invita ad aprirci agli altri e a scambiare qualcosa con loro – un dono, un ricordo, un pensiero, un po’ del nostro tempo

– siano essi genitori o figli, ma anche nuovi colleghi di lavoro o nuovi vicini di casa.

Il momento dell’anno in cui riscoprire il valore del contatto con chi ci sta vicino e con le cose che amiamo veramente Il Natale è il tempo giusto per meravigliarsi nuovamente di tutta la bellezza che c’è attorno a noi. È con questo spirito che la Scuola Club di Migros Ticino si sta preparando all’incontro con le feste in arrivo. In questo tempo dell’anno la scuola rivela tutta la sua anima di Club aprendosi per accogliere i grandi appassionati del Natale e delle sue tradizioni e organizzando appuntamenti che incrociano il «fare con cura» con

Il Natale si avvicina: scegli il corso che fa per te Bellinzona / 091 821 78 50 Biscotti di Natale: 1.12 o 14.12 Biscotti di Natale - Junior: 30.11 Deliziosi Cupcakes: 23.11 Il Menu di Natale: 15.12 Il Menu di Natale vegetariano: 6.12

Concorsi

Locarno / 091 821 77 10 Biscotti di Natale: 23.11 o 13.12 Biscotti di Natale - Junior: 24.11 o 17.12 Deliziosi Cupcakes: 22.11 o 6.12 Il menu di Natale: 15.12 Il menu di Natale vegetariano: 22.11

giochi@azione.ch

L’atelier creativo per bambini (6-12 anni): 26.11 o 14.12

Cake design natalizi: 2.12 Pasticceria mignon natalizia: 5.12

Lugano / 091 821 71 50 Biscotti di Natale: 17.11 o 19.12 o 21.12 Il Menu di Natale: 22.12 Il Menu di Natale vegetariano: 20.12 Il Brunch di Natale : 30.11 La perfetta Mise en place: 23.11 o 14.12 I cioccolatini di Natale: 16.11 Dolci vegani natalizi : 22.11 Finger food natalizi : 28.11 Muffins di Natale: 1.12

Mendrisio / 091 646 46 33 Biscotti di Natale: 22.11 Il Menu di Natale: 15.12 La perfetta Mise en place: 17.12 Deliziosi Cupcakes: 6.12

Concerti d’Autunno Rassegna Musicale Ascona - Locarno Sa - do 12-13 novembre 2016

la gioia di stare insieme. Ecco che, allora, un corso di biscotti dell’Avvento diventa un’opportunità per condividere gesti, parole, memorie. Mentre si miscelano gli ingredienti, si impasta e si inforna sotto la guida di valenti cuochi, nascono nuove relazioni da coltivare nei mesi a venire. Siete pronti a cimentarvi nella

nostra cucina per imparare i segreti di un eccellente menu natalizio? Volete incantare grandi e piccoli con il profumo di dolci speziati o di deliziosi cupcakes a tema? Vi piace stupire i vostri ospiti con una indimenticabile tavola delle feste? La Scuola Club di Migros Ticino vi aspetta per dare inizio ai preparativi! Un grande Natale è in arrivo.

Minispettacoli Rassegna teatrale per l’infanzia Oratorio San Giovanni, Minusio Do 13 novembre, ore 15.00/17.00

La Via Lattea 13 Rassegna musicale Lugano, vari luoghi Do 13 novembre, dalle ore 10.30

San Materno 2016 Rassegna di spettacoli Teatro San Materno, Ascona Do 13 novembre, ore 17.00

Coro Callìope

Storia di una rondinella e del principe che le insegnò ad amare

Ligetiade: Secondo Movimento

Mirage: Musica persiana

Sabato, 12.11.2016, ore 20.30 nella chiesa Santa Maria della Misericordia (Papio), Ascona Domenica, 13.11.2016, ore 17.00 nella chiesa San Francesco, Locarno

Compagnia Corniani, Mantova

Piazzale del LAC (architetto Ivano Gianola) / Biblioteca cantonale (architetti Carlo e Rino Tami)/ Passerella pedonale sul Cassarate (Cornaredo) /Chiesa di Cristo Risorto (architetto Rino Tami) / RSI, Auditorio Stelio Molo / Cinema Corso (architetto Rino Tami)

Pierre Blanchut: santûr (cithare sur table, version persane), zarb (tambour calice persan), daf (tambour sur cadre persan) Taghi Akhbari: canto

www.coro-calliope.ch

www.minispettacoli.ch

www.lavialattea.ch

www.teatrosanmaterno.ch

Per ulteriori informazioni riguardo a orari e prezzi consulta il nostro sito scuola-club.ch o passa a trovarci: ti aspettiamo!

Per bambini dai 6 anni (Per chi partecipa al concorso: indicare l’orario preferito per lo spettacolo)

Regolamento Migros Ticino offre ai lettori biglietti gratuiti per le manifestazioni sopra menzionate.

Massimo due biglietti per economia domestica. La partecipazione è riservata a chi non ha beneficiato di vincite in occasione di analoghe promozioni nel corso degli scorsi mesi.

Per aggiudicarsi i biglietti basta scrivere una email, indicando la manifestazione prescelta, martedì 8 novembre all’indirizzo sulla sinistra. I vincitori saranno estratti a sorte tra tutte le email ricevute. Buona fortuna!

Biglietti in palio per gli eventi sostenuti dal Percento culturale di Migros Ticino Annuncio pubblicitario

Corsi di gruppo tutto l’anno. Abbonamento annuale a soli CHF 740.– (AVS, studenti e apprendisti a soli CHF 640.–) ACTIV FITNESS Bellinzona, Losone e Lugano. www.activfitnessticino.ch


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 7 novembre 2016 • N. 45

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Società e Territorio Maturità bilingue L’esperienza di tre ragazze del canton Vaud che per un anno frequentano il liceo a Lugano

Un nuovo modo di fare giornalismo Dalla Scandinavia arriva il giornalismo costruttivo: non racconta storie a lieto fine ma suggerisce soluzioni e offre speranza

La danza delle interazioni Dagli aggregati alle organizzazioni: l’importanza degli insiemi sociali pagina 9

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Vivere e amare senza rete

Intervista Paolo Crepet parla del suo ultimo

libro e dei rischi che corriamo ad essere sempre connessi

Laura Di Corcia Quando dico che non ho WhatsApp alcune persone la prendono per un affronto. Ma come, dicono, è tutto gratuito! E quando rispondo che gratuito non lo è per nulla, che si paga in altri termini, in mancanza di libertà, in digital-dipendenza e che già i social network a volte sono una zavorra per persone come me che fan fatica a non rispondere se contattate, che non ho assolutamente voglia di incrementare la mia connessione al mondo, che voglio starmene ogni tanto in pace per i fatti miei, dicono: dipende da come lo usi. Discorso che mi pare ingenuo, perché presuppone un soggetto preesistente all’esperienza, una monade già fatta e finita che passa attraverso le cose senza che le stesse abbiano nessuna influenza su di lui/lei. La pensa così anche Paolo Crepet (anche se mi ha confessato di avere WhatsApp, ma di utilizzarlo cum grano salis) che nel suo ultimo libro, Baciami senza rete, edito da Mondadori, racconta che essere continuamente connessi ai social network comporta dei rischi non da poco, soprattutto per bambini e adolescenti. Qui di seguito l’intervista. Paolo Crepet, quali sono i rischi per un bambino cresciuto sempre con iPad e smartphone in mano?

Prima di tutto diventa grasso, perché diminuiscono tutte le sue attività motorie e con esse quelle relazionali. Non si tratta solo di sport, ma anche di gioco, che è una parte delle attività affettive del bambino.

Rischio che però noi bambini cresciuti negli anni Novanta correvamo anche con la tv.

Non è comparabile. Di fronte al piccolo schermo quanto passavano i bambini? Un’ora, due? Qui si sta parlando di dieci ore al giorno. La tv rimaneva nel salotto, il cellulare ce l’hai nella tasca e lo porti ovunque, al parco, in gita, dalla nonna… Il livello di dipendenza che causano queste tecnologie è enorme. Nel suo libro parla di due facoltà importanti che a causa delle nuove tecnologie stiamo perdendo o che comunque si stanno assottigliando, ovvero la memoria e la capacità di concentrazione. Quali sono i rischi a livello di sviluppo emotivo?

La memoria non è solo una qualità cognitiva, non va intesa solo come la

capacità di fare calcolo o ricordarsi dov’è Vienna o Varsavia. C’è anche una memoria emotiva, che si palesa quando ci ricordiamo la via per arrivare alla casa dove abitavamo da bambini o il numero di telefono della nonna. Perdendo la memoria, si perde l’affettività. Per quanto riguarda la capacità di concentrazione, beh, devo dire che lavorare due o tre ore di seguito a un computer è impossibile anche per me. Il telefono squilla ogni due per tre, arrivano continue notifiche dalla mail. La formazione diventa sempre più frammentata e questo non può portare che a una maggiore superficialità, anche da un punto di vista culturale. I risultati sono davanti ai nostri occhi. A questo punto non resta che capire chi governerà il mondo, che non si sta certo semplificando: le grandi questioni dell’umanità hanno bisogno di risposte sempre più complesse, non certo di un tweet. La scuola gioca un ruolo importante nella formazione dei futuri adulti. Dove puntare per promuovere una crescita sana?

Io penso che le scuole debbano puntare su quelle che gli esperti chiamano «esperienze detox», facendo in modo che gran parte delle loro attività sia digital-free. Paradossalmente mi sembra molto più avanzata e moderna una scuola elementare che insegna ai bambini a dipingere con le mani sul muro che una in cui 22 ebeti stanno chini su un iPad.

Parliamo dei genitori. Nel suo libro non concede sconti e dice che la tecnologia fa comodo soprattutto a loro, perché un ragazzino che non si sporca, non si sbuccia le ginocchia e non pensa troppo è l’incarnazione, per alcuni, del figlio o della figlia modello.

I genitori sono collusi, visto che loro stessi sono grandi utilizzatori di digitale. Non vedo, quindi, come possano dare l’esempio se non negativamente. Non si tratta di abbandonare le tecnologie, ma utilizzarle in maniera intelligente. Questo non è ovviamente quello che i mercanti della tecnologia vogliono. Però noi subiamo il fascino di queste tecnologie. Quali sono le cause, a suo avviso, di questa fascinazione?

Siamo affascinati da una cosa che fa fare poca fatica. Ma la fatica serve. Co-

Non solo i ragazzi ma anche i genitori sono perennemente connessi con gli smartphone. (Keystone)

nosce un’opera d’arte che non sia stata il frutto di fatica?

Quanto influisce la tecnologia nelle relazioni di coppia? In che cosa le facilita, in che cosa amplia le difficoltà?

Facilita la comunicazione. Oggi posso prendere un appuntamento con mia moglie in un tempo molto più rapido, magari senza nemmeno disturbarla se è in riunione. Ma questo non cambia sostanzialmente quanto facevamo già anni fa, quando ci trovavamo alle 21.15 davanti al cinema. Gli effetti negativi sono abbastanza noti: aumentano i sospetti, le vite parallele, le paranoie che già esistevano oggi sono moltiplicate per mille. Cosa consiglierebbe ai genitori che si trovassero alle prese con una figlia o un figlio che passano tutto il tempo chiusi nella propria stanza a chattare?

La cosa più semplice del mondo: mettere delle regole e farle rispettare. Era la stessa cosa quando stavamo troppo davanti alla tv o quando si tornava all’una al posto che alle 11 e mezza. Il problema dell’imbarazzo di una madre di dire al proprio figlio di spegnere il cellulare, è che lei stessa lo usa dalle 7 di mattina a mezzanotte. Ma la tecnologia ha anche qualche aspetto positivo?

Certo, come strumento di conoscenza e per connetterci col resto del mondo. Bisogna abituare i bambini e noi stessi all’uso bello della tecnologia. Ma il problema non nasce con Internet, nasce con i social network: metterli sullo stesso piano è deviante.

Che consiglio dà ai lettori che volessero disintossicarsi o quantomeno rendere queste tecnologie meno pervasive?

Basta seguire i dettami della buona

educazione. Ai miei tempi una persona che telefonasse alle 11 di sera o era la nonna che stava male o un maleducato. Adesso l’idea che tu a qualsiasi ora del giorno o della notte si riceva un messaggio su WhatsApp è considerato normale. Il futuro? Come lo vede?

Adesso sta diventando cool essere disconnessi. Inizierà con una piccola parte di persone, il resto del mondo farà più fatica, ma noi europei, in questo, siamo avvantaggiati. Sappiamo cosa vuol dire stare in mezzo alla natura, godersi la vita. Uno che nasce e cresce nel deserto, cosa ne sa? A cena con Mark Zuckerberg. Cosa gli direbbe?

Intanto gli chiederei di spegnere il suo smartphone. Poi gli offrirei una bella carbonara, ammesso che non sia vegano, per fargli capire quanto è bella la realtà.


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Società e Territorio

Favorire il plurilinguismo

Scuola T re ragazze del canton Vaud stanno trascorrendo l’anno scolastico al Liceo Lugano 2 di Savosa

per ottenere la maturità bilingue in «immersione totale»

Valentina Grignoli Léane, Laeticia e Lola, sono tre ragazze losannesi che dallo scorso settembre siedono sui banchi del Liceo Lugano 2 di Savosa. Queste tre studentesse hanno infatti deciso di impegnarsi in un percorso, quello della maturità bilingue, che le porterà a fare un’esperienza unica, avvicinandosi «per immersione» a una nuova cultura. Dopo un anno trascorso in Ticino, in una terza del liceo luganese, torneranno nel canton Vaud per concludere gli studi secondari con una menzione speciale sul loro diploma. Per la prima volta il Ticino ospita in un suo liceo tre studentesse che intraprendono la maturità bilingue per «immersione totale», preferendo con questa scelta la lingua di Dante a quella di Shakespeare o di Goethe. In un mondo che si misura oggi in competitività, convenienza e futuro, c’è chi ancora si lancia in un’esperienza diversa, forse per poesia, senso di appartenenza, romanticismo. «La maturità bilingue in Ticino non è però storia recente – ci comunica Daniele Sartori, capoufficio dell’insegnamento medio superiore – questa offerta è iniziata nel 1997 alla scuola cantonale di commercio, con il francese come lingua d’immersione». A questo percorso se n’è aggiunto poi un secondo con il tedesco nel 2005, sempre nello stesso istituto, ispirando così anche il Liceo di Locarno che sperimenta attualmente un percorso bilingue italiano-tedesco. Quest’anno a Savosa assistiamo al fenomeno, reso possibile dai cantoni Ticino e Vaud, per il quale non sono i nostri studenti a volersi specializzare in una lingua maggioritaria, ma dalla svizzera francese sorge l’interesse per una lingua nazionale minoritaria, l’italiano, tanto da venire a trascorrere un anno al sud delle Alpi. Un interesse questo di fondamentale importanza a livello simbolico, se lo pensiamo in ottica di quella difesa dell’insegnamento italiano per la quale ci si continua a battere. Ma, osserviamo più da vicino grazie a Daniele Sartori, cosa si intende con la menzione «maturità liceale bilingue» che le tre ragazze avranno sulla loro pagella. «L’ordinanza di maturità prevede la possibilità di rilasciare delle maturità con menzione bilingue e pone delle esigenze minime al percorso formativo. Sono possibili due modelli: uno che prevede l’insegnamento in immersione nella propria scuola – “Immersione parziale nella scuola d’origine”, come cita il Regolamento della Commissione svizzera di maturità per il riconoscimento delle maturità cantonali bilingui –, e l’altro che prevede la frequenza per un anno scolastico intero presso un liceo partner in una regione della lingua di immersione – “Immersione totale in una scuola ospite”. In Svizzera, oggi, quasi il 90 per cento degli istituti liceali propone insegnamenti bilingui, con una predominanza di inglese nella Sviz-

Azione

Settimanale edito da Migros Ticino Fondato nel 1938 Redazione Peter Schiesser (redattore responsabile), Barbara Manzoni, Manuela Mazzi, Monica Puffi Poma, Simona Sala, Alessandro Zanoli, Ivan Leoni

Léane, Laeticia e Lola arrivano da Losanna e hanno scelto l’opzione italiano per la maturità bilingue. (Stefano Spinelli)

zera tedesca e tedesco nelle regioni francofone, ma di questa grande percentuale fino a quest’anno solo quattro licei proponevano l’italiano come lingua d’immersione, e sempre seguendo il primo modello». Per far fronte a questa situazione, nel marzo del 2015 la CDPE (Conferenza dei Direttori della Pubblica Educazione) ha quindi emanato delle «Raccomandazioni relative alla promozione dell’italiano nei licei svizzeri». Le direttive della CDPE sottolineano l’importanza fondamentale del plurilinguismo e di come il considerarlo valore culturale della Svizzera, che favorisce la coesione nazionale e contribuisce a forgiare l’identità del nostro paese, significhi anche dare la possibilità a ognuno di esprimersi, e essere capito, nella propria lingua madre. Per questo motivo, sempre secondo la CDPE, la presenza dell’italiano in quanto lingua nazionale deve essere rafforzata, cercando di rendere attrattivo l’insegnamento. La Conferenza auspica inoltre che sempre un maggior numero di liceali possa imparare le tre maggiori lingue nazionali, soprattutto coloro che intendono intraprendere una carriera accademica, affinché dimostrino comprensione e interesse per altre culture e per il funzionamento istituzionale del federalismo svizzero. In virtù di fondi stanziati appositamente dall’Ufficio federale della cultura, l’italiano dovrebbe essere proposto come disciplina fondamentale o opzione specifica in tutti i licei e la stessa CDPE si mette a disposizione per aumentarne l’attrattiva attraverso soluzioni mirate quali sedi bilingui, o incoraggiamento negli scambi linguistici.

Le raccomandazioni hanno dato i loro frutti, infatti Canton Vaud e Canton Berna hanno proposto «percorsi bilingui con un anno di soggiorno presso un liceo ticinese», ci racconta Sartori. All’esperienza delle tre studentesse vodesi ne seguirà infatti un’altra bernese prevista per il 2019/2020. «Con questi due cantoni abbiamo un accordo bilaterale, e se in futuro volessimo offrire anche ai nostri studenti la possibilità di una maturità bilingue a immersione, ce ne sarebbe la possibilità». A inizio anno abbiamo incontrato Léane, Laeticia e Lola, dopo qualche settimana sui banchi del Liceo Lugano 2. Ad accoglierci il Direttore dell’istituto Aurelio Sargenti, che ci racconta come sia stata scelta la sede di Savosa: «Si cerca di distribuire gli impegni nazionali tra licei, e essendo le altre sedi già impegnate in altri progetti, rimanevamo noi insieme a Mendrisio. Le ragazze sono venute qui perché la nostra città ha un bacino d’utenza maggiore e grazie ai corsi estivi dell’università esistono già famiglie abituate ad accogliere studenti. Inoltre abbiamo la fortuna di avere la collega Catherine Gautschi-Lanz, insegnante di francese e madrelingua tedesca, che coordina il tutto». Le difficoltà organizzative a livello didattico non mancano: «Lola, Léane e Laeticia frequentano il terzo anno, ma per alcune materie, come l’italiano e le materie scientifiche, sono in una classe di seconda. Il sistema dell’insegnamento liceale ticinese non è allineato a quello vodese, che dura tre anni anziché quattro. Questo è dovuto anche a una questione, per l’appunto,

linguistica, dato che in Ticino siamo obbligati a imparare due lingue nazionali oltre a italiano e inglese». Il liceo fornisce poi due docenti d’appoggio per le materie umanistiche e quelle scientifiche. Aurelio Sargenti si dice comunque soddisfatto e auspica che questa esperienza possa fungere anche da «esempio per i nostri studenti». A giugno, come detto, le tre vodesi torneranno a Losanna per frequentare l’ultimo anno presso il loro istituto, sicuramente con una marcia in più. «All’inizio dell’anno scorso si è aperta l’opzione italiano per la maturità bilingue, e io ho colto l’opportunità: nonostante fossi interessata all’inglese mi sono detta che per quello avrei comunque avuto altre occasioni in seguito. E poi il Ticino era più vicino, e io ero curiosa di conoscere Lugano», ci racconta Lola Ducrest, che, come le sue compagne, studia italiano da quattro anni. Nonostante ciò, siamo curiosi di sapere se a livello di comunicazione scolastica vada tutto bene… «Ovviamente dipende dalle materie – risponde Laeticia Despraz, – storia, per esempio, è difficile! A Italiano invece, va incredibilmente abbastanza bene: quest’anno tutta la classe è spaesata perché abbiamo iniziato la letteratura delle origini e la lingua è strana un po’ per tutti». «Ci sentiamo a nostro agio, con i compagni e con i docenti, che qui sono più amichevoli con la classe, scherzano» aggiunge Léane Messeiller. «Qui le persone sono più aperte, di buon umore, si interessano a te anche se non ti hanno mai visto», racconta Lola. «Io lo vedo anche a casa – aggiunge Laeticia –, dove i ragazzi della famiglia anche se più grandi mi

hanno accolto benissimo, tanto che mi portano con loro e i loro amici nel tempo libero». L’esperienza di accoglienza nelle famiglie ticinesi, nonostante le difficoltà per trovarle, sembra essere buona per tutte e tre. Un’altra differenza che ha colpito Léane? «Ci sono molte più moto e scooter!». Di Losanna si sente la mancanza in generale della famiglia e del cibo: «Io sono brasiliana, qui manca il cibo brasiliano», ci dice Laeticia. Lola, invece, pensa alla sua campagna: «Qui abito sopra la stazione di Lugano, a Losanna vivo invece alla periferia di un paesino di campagna, per questo a volte mi mancano la natura, e il freddo!». Dopo un mese e mezzo di scuola, la coordinatrice Gautschi-Lanz ci racconta che, scolasticamente, ora è arrivata la parte più difficile: «Complessivamente le ragazze stanno bene, ora però che sono arrivati i lavori scritti lo sforzo da fare è maggiore, soprattutto nelle materie in cui c’è tanto testo, come storia e chimica. Vedo le ragazze regolarmente e quando le ho a lezione osservo con piacere che si sono inserite molto bene nella classe». Aspettative da questa esperienza? «Mi auguro di conoscere meglio la cultura italiana» conclude Lola, che con la sua spontaneità afferma implicitamente la necessità di esperienze come questa, come auspicano le Raccomandazioni della CDPE, per una maggior coesione tra regioni e per mantenere vivo l’interesse verso altre culture, affinché il plurilinguismo sia realmente un valore culturale del nostro paese. E va da sé, perché tutto ciò possa avvenire, bisogna partire dall’istruzione.

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 7 novembre 2016 • N. 45

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Società e Territorio

Il giornalismo ora è costruttivo Media N on solo cattive notizie: dalla Scandinavia arriva un nuovo modo di fare giornalismo, che suggerisce

soluzioni e offre ispirazione e speranza Serena Tinari Conosciamo tutti quella sensazione. Ti alzi la mattina, sfogli un quotidiano e la brutalità delle news ti assale. I titoli in prima pagina sono deprimenti. Guerre e omicidi, la politica raccontata per scandali e polemiche, le catastrofi naturali attraverso le immagini di vittime piangenti. Poca la differenza fra cronache nazionali e internazionali. Vince la brutta notizia. Rari gli articoli di approfondimento, poche le pagine dedicate ad inchieste, reportage e ritratti di personaggi interessanti. Il panorama mediatico delle notizie quotidiane negli ultimi decenni non si è solo intristito, si è anche appiattito: i quotidiani sono sempre più l’uno la fotocopia dell’altro. Raramente si tratta di una buona novella, tanto che a leggere un giornale si ha l’impressione che la fine del mondo si avvicini a grandi passi. Innegabile, che il pianeta sia malato. Oggettivo, che il divario fra ricchi e poveri, potenti e deboli, sia grande. Eppure questa foto del reale, una foto a tinte forti che spesso non indaga sulle cause, sui retroscena e sui veri responsabili, lascia in chi legge l’amaro in bocca e un senso di impotenza. Che cosa ci spinge a sfogliare compulsivamente repertori di piccola e grande disumanità? Fa parte della psicologia umana, pontificano gli esperti. Pensiamo al successo dei film dell’orrore o di guerra, al potere di attrazione che esercita una serie televisiva dove l’eroe è un poliziotto o un medico che lavora al Pronto soccorso. Spiare dal buco della serratura eventi drammatici fa salire l’adrenalina e nutre la nostra inconfessabile curiosità. E i giornali e le televisioni ci sguazzano. In decisa controtendenza, nelle università e nei grandi gruppi editoriali sta però timidamente prendendo piede quello che è stato battezzato «giornalismo costruttivo». Il più celebre teorico del genere è un danese. Ulrik Haagrup dirige le news della televisione pubblica DR e a un certo punto ha detto basta: «Sono rientrato a casa una sera, i miei figli guardavano il telegiornale e c’erano solo notizie tristi». In quel momento è iniziata per Haagrup una riflessione che l’ha portato a sperimentare nella sua redazione una modalità diversa: «il punto non è raccontare storie a lieto fine. Al contrario parliamo di un giornalismo critico, che va oltre la superficie e suggerisce soluzioni, offrendo ispirazione e quindi speranza». La nouvelle vague che arriva dalla

Gli «scandali» sparati in prima pagina e le notizie «copia e incolla»: brutte abitudini che il giornalismo costruttivo invita ad abbandonare. (Keystone)

Scandinavia in una manciata di anni ha conquistato alcuni grandi nomi del panorama mediatico. «The Huffington Post», «Der Spiegel» e «The Guardian», ma anche il «Tages Anzeiger» hanno inaugurato una serie di articoli «costruttivi». Scontate le reazioni, a doppio registro. C’è chi si arrabbia per quel sapore dolciastro che resta in bocca a leggere certi articoli, dai quali si direbbe che in fondo «va tutto bene». C’è chi ribatte che anche questo è il mondo ed è giusto parlarne. Ulrik Haagrup ama citare un esempio: un reportage della televisione pubblica danese sulle alternative all’uso massiccio di antibiotici negli allevamenti. L’esempio di un contadino olandese che ha risolto il problema utilizzando i probiotici è stato imitato, in seguito alla messa in onda del servizio, da attori di peso dell’industria danese. Nonostante gli esempi lodevoli la nuova, costruttiva moda di fare giornalismo fatica a difendersi dai critici. E allora i partigiani pubblicano schemi chiarificatori che sottolineano la differenza fra «giornalismo positivo, storie felici che tirano su l’umore, ma che mancano di impatto sociale ed eludono gli aspetti critici» e quello «costruttivo»,

che invece «applica tecniche della psicologia comportamentale e aderisce alle funzioni chiave del mestiere: essere il cane da guardia della democrazia, mettere in guardia dai potenziali pericoli, disseminare informazioni che consentano all’elettorato di prendere decisioni basate sulla conoscenza dei fatti». Sul «giornalismo costruttivo» Haagrup ha scritto un fortunato manuale, disponibile in tedesco e in inglese e distribuito in Svizzera da Media Tenor. Nel frattempo il genere ha conquistato la sua prima cattedra. L’ha inaugurata l’Università per le scienze applicate di Windesheim, in Olanda, e a capo ci ha messo una collega di Haagrup, la giornalista danese Cathrine Gyldensted. Dopo una decina di anni da inviata all’estero e giornalista d’inchiesta, Gyldensted ha a sua volta detto basta. A «Deutschlandfunk» ha raccontato: «Stavo intervistando una “senza tetto”. Ponevo domande che puntavano a mettere in evidenza la miseria della sua condizione, ma lei continuava a darmi risposte suggestive di ispirazioni potenti e positive, che erano illuminanti quanto il racconto di cosa era andato storto nella sua vita». Secondo la giornalista da-

nese, che sul genere ha ormai costruito una carriera, «il DNA del giornalismo costruttivo è servizio pubblico, perché ruota attorno alle persone e ai movimenti dal basso. Si ricollega all’investigazione e all’approfondimento. Propone e discute soluzioni, guarda al futuro». La tendenza interessa gli editori, tanto che EBU, l’organizzazione che mette insieme le aziende televisive e radiofoniche del continente Europa, un’organizzazione di cui fa parte anche SRG SSR, organizza un’iniziativa di formazione sul tema, il 28-29 novembre a Copenaghen. Sul fronte della carta stampata il World Editors Forum, associazione mondiale degli editori di quotidiani, ha dato spazio al dibattito sulle colonne del suo sito (www.editorsweblog.org). Tagliente l’analisi di Anton Harber, che in Sud Africa dirige il programma di studio su giornalismo e media dell’Università di Wits: «Le news sono “costruttive” quando punti ad una società compiacente e non contribuisci allo sviluppo di una società attiva e impegnata. Grande giornalismo significa pubblicare storie che mettano in discussione, che pongano domande, che sorprendano e spingano all’azione, con un

etica. Cruciale è il rispetto per la propria natura e per la diversità che l’altro rappresenta. L’altro può essere un coetaneo o un vecchio, un fiore o una pianta. Nessuno è un’isola: ogni creatura, integrando la propria peculiare forza con quella degli altri, partecipa alla lotta per il bene comune, contro le forze oscure del cinismo e della disillusione. Fairy Oak, il villaggio dove sorge una vecchia quercia fatata, accoglie al suo interno esseri magici e esseri non magici, e non tutto è come appare. Attorno alle due giovani protagoniste, le gemelle Vaniglia e Pervinca, vivono tanti altri personaggi, di tutte le età. Ognuno con il suo carattere, i suoi problemi, il suo modo di affrontare le cose. Ci sono fate, streghe, maghi e ci sono umani «nonmagici». Il mondo in cui si muovono questi personaggi è incantato e al contempo molto quotidiano, è umoristico e a tratti drammatico, e soprattutto è romantico e avventuroso: un mondo in cui ogni

lettrice preadolescente non vedrà l’ora di immergersi.

effetto dirompente sui poteri forti. Nulla è più costruttivo di fare riflettere chi legge, e questo è quello che fa il giornalismo scomodo». Eppure i difensori del genere, ormai presenti in tanti paesi, sostengono che si tratti in fondo di un equivoco. Dicono che il «giornalismo costruttivo» mira agli stessi obiettivi di quello d’inchiesta: rompere con le cattive abitudini del mondo delle news, spingere per la soluzione dei problemi dando spazio a storie in cui l’elemento umano, di contributo alla Cosa pubblica, sia forte, per incoraggiare il dibattito nella società. Così se da una parte il nuovo genere capovolge paradigmi classici, come quello che solo una brutta notizia fa notizia, molti media provano a inserirlo nelle loro redazioni. Si dicono convinti dal potenziale etico e di influenza sulla società, consapevoli delle brutture di una notizia «copia e incolla» e non verificata, ma ugualmente sparata in prima pagina perché scandalo e paura fanno notizia. I maligni che puntano il dito sulle ricerche hanno mostrato un marcato successo di pubblico per le storie con approccio costruttivo. Nella crisi mondiale dell’editoria tradizionale, è un pubblico che fa gola.

r Viale dei ciliegi di Letizia Bolzani Elisabetta Gnone, Fairy Oak. Trilogia, Salani. Da 10 anni La trilogia di Fairy Oak, uscita una decina di anni fa da De Agostini, è stato un autentico caso editoriale, con oltre un milione di copie vendute, soprattutto tra le giovani lettrici, non solo italiane. Elisabetta Gnone, l’autrice, conosce bene il suo pubblico, in quanto è stata direttore responsabile delle riviste femminili della Walt Disney, per la quale nel 2001 ha ideato la serie a fumetti delle «W.I.T.C.H», diventata subito un successo mondiale. Le ventenni di oggi se la ricorderanno bene, così come le loro sorelle minori ricorderanno Fairy Oak. Ora, per la gioia delle ragazzine di oggi, i volumi di Fairy Oak sono ripubblicati da Salani, e con Il potere della Luce, ultimo capitolo, dopo Il Segreto delle Gemelle e L’incanto del Buio, si conclude in questi giorni questa nuova edizione della trilogia. Come si può intuire sin dai titoli,

in questi romanzi si parla di due gemelle, di buio, di luce: il due, il doppio, il contrasto che anima ogni cosa e tiene tutto in equilibrio, è tema cruciale in questi libri che raccontano di magia, di crescita, di amore, ma che hanno anche – condotta con toni teneri e delicati – una forte tensione simbolica e

Lucie Brunellière, Il garage. Serie «apri-trova-gioca», Il Castoro. Da 2 anni

Nell’età delle scoperte e della formazione del linguaggio, che divertimento puntare il ditino su queste robuste pagi-

ne cartonate e trovare gli oggetti nominati! E che oggetti, mica roba da poco, ma autentiche meraviglie come il «cacciavite», il «martello», «gli specchietti retrovisori», «la targa», i «rulli» dell’autolavaggio, il distributore di «benzina». Quattro sono gli scenari che si rivelano aprendo le alette di questo piccolo ma ricchissimo libro: il garage, l’autorimessa, l’autolavaggio, la stazione di servizio. In ogni scenario tanti oggetti da riconoscere, nominare e trovare. E alla fine il libro, tutto aperto, si trasforma in un garage tridimensionale con cui si può anche giocare liberamente con le proprie macchinine. Il gioco sarà gestito dal bambino, mentre la lettura, la narrazione, la nominazione saranno condivise con l’adulto di riferimento. Una serie francese che l’editore Il Castoro propone ai lettori di lingua italiana, una serie piena di sorprese, e non solo per i piccoli amanti dei motori: c’è anche «apri-trova-gioca» Il Castello, La Casa, Lo Zoo. Davvero per tutti i gusti!


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 7 novembre 2016 • N. 45

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Società e Territorio

L’eterna danza delle interazioni

Le tagliatelle nel videogame

insiemi sociali interagiscono fra loro e influiscono sulla storia umana e tecnologica

iniziativa dell’Enciclopedia Treccani e di Casa Artusi

Sopravvivere o vivere Dagli aggregati alle organizzazioni: ecco come i diversi livelli degli

Massimo Negrotti Le cose che ci circondano possono ovviamente essere descritte e classificate in vari modi e le scienze naturali lo fanno da sempre. Tuttavia, c’è una modalità descrittiva che si è resa disponibile solo dopo l’avvento, nel secolo scorso, della Teoria dei Sistemi e della Cibernetica. Invece di classificare gli oggetti, si tratta di classificare le interazioni fra di essi, per comprendere la natura e in particolare la dinamica degli insiemi che gli oggetti costituiscono grazie alle loro interazioni. Su questa base possiamo definire almeno quattro tipi di insiemi: gli aggregati, le strutture, i sistemi omeostatici e le organizzazioni. Un aggregato è costituito da elementi che si distribuiscono e interagiscono in termini puramente casuali. Basti pensare ai granelli di sabbia sulla spiaggia o alle gocce d’acqua durante la pioggia ma anche, sul piano umano e sociale, alla folla che riempie una piazza in un giorno di festa o uno stadio di calcio. Ciò che caratterizza gli aggregati è il fatto che, da un lato, essi non possiedono né configurazioni né confini precisi e, dall’altro, che, se una loro regione viene perturbata o eliminata, non perdono la propria natura, cioè rimangono aggregati, tutt’al più di diverse dimensioni. Le strutture, invece, sono costituite da elementi che interagiscono secondo un’architettura precisa ossia uno «stato preferenziale» determinato da leggi naturali, si pensi al sistema solare, o dalla progettazione umana come è per un edificio. Sul piano sociale, anche le persone presenti in una biblioteca pubblica o i professori d’orchestra durante un concerto, costituiscono strutture, sebbene solo temporanee. Ciò che contraddistingue una struttura è il fatto che, a differenza dell’aggregato, essa possiede un certo grado di «reattività» specifica e non casuale. Una perturbazione, se grave, può distruggere una struttura, ma se non è grave, la struttura tende a reagire per la forza stessa delle interazioni fra i suoi componenti e, dunque, a rimanere intatta come succede ad un edificio nel caso di un lieve terremoto

La folla che riempie una piazza è un «semplice» aggregato. (Wikimedia)

o in una biblioteca dopo un falso allarme d’incendio. Un sistema omeostatico, a sua volta, è una struttura in grado di mantenere il proprio stato preferenziale grazie al fatto che alcuni suoi componenti sono «specializzati». Alcuni sono capaci di rilevare per tempo e poi valutare le perturbazioni mentre altri sono in grado di intervenire per porvi rimedio. Il tutto, generalmente, attraverso l’elaborazione e la comunicazione di informazione. Gli esempi naturali vanno cercati, come appare chiaro, nel regno animale e in quello vegetale, mentre quelli riferibili all’attività umana si possono reperire in mille dispositivi tecnologici e in molti insiemi sociali. L’organismo umano stesso è una enorme fabbrica di omeostasi per la quale, fra gli altri, il sistema immunitario svolge un ruolo strategico. Ma anche un semplice frigorifero è un sistema omeostatico perché, una volta fissata la temperatura, auto-regola le proprie interazioni per mezzo di un sensore e di un dispositivo di attuazione al fine di

mantenere lo stato termico preferenziale fissato dall’uomo. Negli insiemi sociali l’omeostasi è onnipresente poiché la conservazione di un certo stato delle dimensioni fondamentali – per esempio, nel caso della famiglia, la salute dei suoi membri, il benessere acquisito – è condizione indispensabile per la sopravvivenza del sistema e di chi ne fa parte. Ma il massimo sviluppo degli aspetti cibernetici, di controllo, comunicazione e azione, si ha nelle organizzazioni, le quali sono sistemi che, oltre all’omeostasi, possiedono un fine aggiuntivo da perseguire. Mentre è discutibile che gli animali, l’uomo escluso, possano essere concepiti come qualcosa in più rispetto a semplici sistemi omeostatici, è sicuro che l’uomo non si accontenta di sopravvivere ma si pone degli obbiettivi aggiuntivi. Esplorare, inventare, costruire, gareggiare e, naturalmente, conoscere, sono tutte attività che esigono certamente, come condizione primaria, una configurazione omeostatica ma, poi, vanno al di là di questa.

Dopotutto, risiede proprio in questo la differenza fra il sopravvivere e il vivere. Un’organizzazione sociale – un’azienda, un’associazione ecc. – deve, prima di tutto, poter sopravvivere ma solo perché sulla base della sopravvivenza sarà possibile tentare di perseguire il fine che essa si propone. In natura non esistono organizzazioni mentre tutta la tecnologia consiste in progetti e macchine da intendersi come organizzazioni. Un’organizzazione, in definitiva, è il massimo livello che un insieme può raggiungere per quanto riguarda le interazioni fra le sue parti, che risultano coordinate al perseguimento di un obiettivo liberamente prefissato. Ciò è talmente vero che nella storia umana e in quella della tecnologia, si è assistito, e si assiste tuttora, al fenomeno limite del suicidio: un processo organizzativo per il quale il fine aggiuntivo che il sistema si prefigge è l’autodistruzione, cioè l’opposto dell’omeostasi. Del resto, anche un missile militare si comporta così, poiché esso si autoregola accuratamente fino a quando raggiunge il proprio bersaglio, per poi esplodere decretando la sua stessa scomparsa. C’è infine da osservare che la tipologia degli insiemi che abbiamo tratteggiato presenta la peculiare, ma parziale, proprietà della mutua inclusione. Infatti, un’organizzazione deve includere un sistema omeostatico e questo deve includere una struttura. La tipica degenerazione di un’organizzazione, sociale o tecnologica, consiste allora nella sua riduzione a mero sistema omeostatico (perdita del fine da perseguire), la degenerazione di un sistema omeostatico consisterà nella sua riduzione a pura struttura (perdita della capacità di autoregolazione conservativa a feedback negativo) mentre la degenerazione di una struttura sarà costituita dalla sua riduzione a semplice aggregato. Il passaggio evolutivo dal livello meno organizzato (l’aggregato) fino all’organizzazione e da qui di nuovo giù, verso l’aggregato, descrive bene la storia di qualsiasi insieme vivente, sociale o tecnologico. Basta un po’ di immaginazione per individuare tutti gli esempi possibili.

App Una curiosa

Ugo Wolf È online da almeno un anno ma con la quantità di proposte che si trovano sul mercato è andato sepolto sotto la montagna delle mille altre App per giocare. Un videogioco nato nientemeno che dalla collaborazione dell’Enciclopedia Treccani e della Casa Artusi, una delle più importanti istituzioni gastronomiche italiane, dovrebbe invece attirare l’attenzione. Da un lato perché mostra come due colossi dell’editoria e della cultura italiane si facciano avanti in un settore che non sembra proprio affine alla tradizione della pubblicistica all’antica. D’altro canto è indubbio che l’iniziativa si ponga anche l’obiettivo ambizioso e serio di veicolare dei concetti basilari della tecnica culinaria tradizionale. Il senso di questo Artusi Cooking Time è infatti anche quello di convincere a giocare per imparare le ricette di Pellegrino Artusi, il celebre gastronomo romagnolo che alla fine dell’800 scrisse il primo manuale «scientifico» di cucina ad uso dei «nuovi» italiani: La scienza in cucina e l’arte del mangiar bene. Insomma, giocando ad Artusi Cooking Time si intraprende una sfida con il tempo e si risolvono alcuni rompicapo già visti: mentre piovono dall’alto gli ingredienti di una ricetta occorre combinarli in gruppi di tre o di quattro per accumularne la quantità necessaria alla preparazione del piatto che si è scelto. All’inizio del percorso i livelli di gioco corrispondono ad altrettante ricette del libro, disposte in ordine crescente di difficoltà. Ed è qui che il gioco si differenzia dagli altri. A noi di mostrarci all’altezza del compito. Il gioco è disponibile su smartphone e tablet, per iOS e Android, e scaricabile gratuitamente dai rispettivi App Store. Come tutti i giochi di questo tipo è gratuito, inizialmente, ma se volete davvero progredire è offerta la possibilità di acquistare delle «foglie d’oro». Annuncio pubblicitario

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Società e Territorio Rubriche

L’altropologo di Cesare Poppi Le nebbie della laguna Uno dei paradossali e meno riconosciuti effetti del processo di globalizzazione è l’emergere di nicchie locali che potremmo definire «extraterritoriali» nei confronti del locale rispetto all’incessante processo di connessione fra realtà tanto extra-culturali quanto extra-territoriali indotto dalla globalizzazione stessa. Ambiti di vita, forme di occupazione del territorio, economie specializzate che per secoli hanno vissuto in contatto e a ridosso delle controparti trainanti della città fornendo cibo, materiali di ogni sorta e servizi si trovano quasi all’improvviso al di fuori degli schermi radar della cosiddetta «civilizzazione». Ci troviamo così, dietro l’angolo di casa, in presenza di una sorta di «buchi neri» in buona misura alieni al modo di vita dominante, Lebenswelten – «mondi della vita», come direbbe il grande Max Weber, «altri» rispetto al modello dominante. Avulse, non omologate e recidive, si formano forme inedite di vita associata, crescono nuove tribù frutto di un processo di ri-primitivizzazione

che, per l’Altropologia, potete immaginarvi, è come andare a nozze. O così rimuginava il Vostro, tutti i suoi cento e passa chili precariamente appollaiati a prua di un barchino di quattro-cinque metri, versione moderna di quei natanti portatili che nelle lagune del Veneto chiamano «saltafossi». Costruita in una sottile vetroresina, la tinozza galleggiante procedeva a fatica sospinta da un motore fuoribordo asmatico che teneva calandra e motore solidali per via di un elastico frusto al punto di rottura. Al timone uno degli ultimi vallanti, come li chiamano da quelle parti. Originario della punta estrema del Delta del Po, là dove il mare e la terra si confondono e le nebbie si tagliano col coltello, D. è arrivato nella Valle della Baiona, sul retro degli impianti petrolchimici del Porto di Ravenna dopo aver fatto di tutto e – dicono ma forse non è vero – dopo averne fatte di tutte. Pescatore per tradizione di famiglia, poi calafato in un cantiere nautico, marinaio motorista (dicono si rifiutasse di uscire dalla sala motori

con la nave in navigazione perché aveva paura del mare), oggi sbarca – è proprio il caso di dire – un magro mensile fra nasse e trappole per seppie e anguille arrotondate con qualche cassa di acquadelle (in italiano «latterini») che porta a vendere all’asta del mercato di Goro: «Sempre ultimo perché ne ho poco io di pesce – e allora mi tocca di accontentarmi del prezzo più basso che mi offrono». Così vanno le maree, da queste parti. Era il Giorno dei Morti. Un freddo che l’umidità ti spalmava dentro, laggiù in fondo che non sapevi neanche dove. La tinozza procedeva alla cieca – o così sembrava, in una nebbia che sembrava di andare a sbatterci: «Ma come fai a sapere dove stiamo andando!?». Dalla nebbia, dalla parte del motore asmatico: «È facile! Basta seguire l’acqua!». Poi, d’improvviso, appena un palmo sulla destra il palo di sostegno di un capanno da pesca, quelli che sembrano immensi granchi con la rete da pesca – «il padellone» – sospesa sul canale: «Scansati che ti rompi la testa e non saresti il primo!». I

capanni da pesca delle Valli sono capolavori di architettura spontanea: spesso abusivi, sono costruiti rigorosamente con materiali di recupero – lamiere, tubi, bulloni, tavoli, sedie… tutto ma proprio tutto deve essere «di recupero». Ovvero: di provenienza non-commerciale. Cioè – mi spiegava D. – se proprio vogliamo… materiale «trovato»… insomma ci siamo capiti. «Qui non c’è niente che sia nuovo – mi spiegava D. – è tutto di seconda mano, e che non sia poi rubato, perché fra motori, reti, generatori e tutte le altre trappole non c’è niente che stia insieme… insoma, xe tuto marso, no?» – «è tutto marcio», concludeva in quel suo dialetto del Delta che fa inorridire i venexiani. «Perché là dentro nelle Valli», mi spiegava un ufficiale della Capitaneria di Porto, «là dentro è un mondo a sé». Vige un codice non scritto che pone rimedio ai furti di pesce dalle trappole, agli incendi dei capanni da pesca, agli affondamenti delle barche, alla pesca di frodo nelle concessioni altrui e ai tagli di gomma delle automobili con… l’esatto

inverso reciproco. «Un ciclo continuo che continua e continuerà per sempre: noi là dentro non ci andiamo. Facciano loro». È un mondo rigorosamente maschile: «Una donna seria sta alla larga dalle Valli», come maschile è il mondo di inviti e feste che animano i capanni soprattutto d’estate, quando il profumo delle grigliate di pesce riempie l’aria fra le grida sguaiate dei crucai e delle magoghe – i gabbiani eternamente affamati. Gli abitanti delle terre «normali» chiamano i vallanti di Comacchio «Comanci» – «perché sono più selvatici dei Comanches del Far West». Arrivati sul luogo di pesca andavamo a ispezionare le trappole delle anguille – i cosiddetti «lavorieri», macchine mortali antiche come l’umanità, capolavori d’inganno e di scaltrezza nati direttamente dalla fame. E dalla nebbia che pian piano si dissolveva nella polvere dorata di un sole gelato emergeva lentamente la mole degli impianti petroliferi del porto. Sagome lontane, aliene e indifferenti: un altro mondo, un mondo Altro.

un’età della vita in cui si fanno bilanci e si guarda il mezzo secolo trascorso per valutare sé stesse e trarne indicazioni per il futuro, per sé e per gli altri. In questo senso il tema del desiderio è fondamentale. Renata ci fa notare che il desiderio, indipendentemente dalla sua attuazione, è intrinsecamente irrealizzabile: resta sempre un «come sarebbe bello se…», che alimenta il nostro scontento. Ed è bene così perché la soddisfazione completa, definitiva, viene a coincidere con la morte. Siamo «esseri di desiderio» ed è questa spinta che vi fa vivere e intenzionare il futuro. Il futuro non esiste al di fuori della nostra «tensione dell’anima», per usare una bella espressione di Sant’Agostino. Mentre gli animali, soddisfatti i bisogni essenziali, dormono, noi, sempre inquieti, riapriamo volontariamente i giochi della vita. In particolare, per quanto riguarda i figli, credo che il figlio perfetto, ideale, definitivo non esista. Ognuno possiede nell’inconscio un’immagine di nascitu-

ro, trasmessa dall’istinto per orientare i comportamenti generativi, un Il bambino della notte che, essendo una fantasia, non coinciderà mai col bambino del giorno, col figlio in carne e ossa. Resta sempre una discordanza che sollecita il desiderio inappagato a dire «ancora». Credo che , quando Renata ci invita a «vivere il presente», voglia dire che il desiderio umano è mobile e che, come tale, può essere spostato su altre méte, magari piccole, quotidiane, ma non per questo insignificanti. Da Dafne ci viene invece un avvertimento importante: guardate, ci dice, che il desiderio materno è così forte, passionale, da divenire pericoloso. Mentre sua mamma, mettendola al mondo, sanava la ferita del proprio disamore, apriva con la figlia un altro contenzioso, quello dell’eccesso, del troppo amore che diventa «una prigione da cui liberarsi». Quando ci si volta indietro e si ripercorrono i tracciati del destino, si scorge che un filo rosso unisce le generazioni per cui, nascendo, abbiamo già ricevuto le

premesse della nostra storia. Premesse che starà a noi confermare o disconfermare, anche facendo i conti con un sentimento difficile da governare: il senso di colpa. Tanto che Dafne, figlia ingiustamente odiata dai maschi della sua famiglia, ancora si chiede quale sia la sua colpa. Forse quella di essere nata, come tutti, con le stigmate del «peccato originale». Come vedete, la riflessione proposta si alimenta di sempre nuovi argomenti perché il desiderio è il cuore pulsante della nostra vita psichica, che dura finché permane un vuoto, una mancanza che, mentre cerchiamo l’appagamento, ci fa inconsciamente «desiderare di desiderare».

secondo i quali «non è stata confermata neanche una correlazione fra assunzione di acidi grassi saturi e maggiori rischi di malattie cardiovascolari». Ed è finito nel dimenticatoio il caso Nutella, conclusosi, lo scorso anno, con un nulla di fatto. L’allora ministro francese dell’ecologia, Ségolène Royal, che aveva denunciato l’eccessivo contenuto di olio di palma nel popolare prodotto, dovette ricredersi. Del resto il fenomeno di quest’incessante rimbalzo di accuse e smentite, di fa bene o fa male, soprattutto in ambito alimentare, rispecchia gli umori di un’epoca che ha riscoperto e forse esasperato la cultura del cibo, nei suoi diversi aspetti. Compreso quello salutistico. Si tratta, quindi, di identificare le proprietà di alimenti che possono diventare un nuovo nemico in tavola. O al contrario, un eventuale amico. Ed è un settore scientifico, o parascientifico, che giustifica dubbi di credibilità. Non di rado, si assiste, da un giorno all’altro, a un totale rovesciamen-

to di ruoli. Ecco il cioccolato, condannato ai tempi della mia lontana gioventù, adesso riabilitato per imprevedibili virtù terapeutiche. Sorti alterne anche per il caffè, eccitante per definizione, a cui adesso si attribuisce, figurarsi, un effetto protettivo dall’Alzheimer. In pratica, ogni cibo, persino quelli basilari tipo latte, farina, pane, e via dicendo, potrebbe nascondere un’insidia: che i media, e si pensi a «Patti chiari» della RSI, s’impegneranno a rivelare e documentare. Riservando autentiche sorprese. Capita di leggere, su pagine autorevoli come «Repubblica» che, «il formaggio causa dipendenza come una droga». Mentre la pizza, caposaldo della dieta mediterranea, può provocare «una pericolosa dipendenza»: in che modo, per ora non si sa. Paradossalmente, persino i prodotti light sono nel mirino degli igienisti: non mantengono le loro promesse. Al pari delle vitamine e degli integratori di cui, negli ultimi anni, si denuncia l’inutilità.

Si tratta, in fin dei conti, di crederci o non crederci, cioè dell’atteggiamento del cittadino, oggi più che mai sensibile alle raccomandazioni e alle ricette concernenti la salute sua e dell’ambiente. Non si fermerà, quindi, la lunga marcia alla ricerca del nemico di turno, avviata negli anni 70, quando in Svizzera scoppiò la polemica del burro: da sostituire, secondo gli igienisti, con la più sana margarina. Facendo, ovviamente, infuriare i produttori del settore latte e derivati. Successivamente, sul piano ambientale, si paventavano le minacce nell’ozono, dell’effetto serra, della desertificazione. Oggi dimenticati, o meglio sostituiti da altri nemici di turno, reali, probabili o fittizi. Sebastiano Vassalli, lo scrittore e linguista scomparso di recente, fu il primo a parlare di «catastrofismo», dietro il quale risiede la paura che, in forma a volte scaramantica, ci accompagna tutta la vita. Temendo il peggio che forse non verrà.

La stanza del dialogo di Silvia Vegetti Finzi I figli e i desideri inappagati La lettera di Susanna, che vorrebbe tanto avere una figlia femmina dopo due maschi, ma che non può realizzare il suo desiderio per l’opposizione del marito, ha suscitato due interventi molto diversi, ma entrambi di grande interesse. Nel primo, la signora Renata così scrive: Ho letto la richiesta di aiuto di Susanna e sono dispiaciuta per lei che non abbia avuto la figlia dei suoi sogni. Io ho 55 anni e tre figlie, ma nemmeno io ho avuto la figlia dei miei sogni. Parliamoci chiaro, voglio un bene dell’anima a tutte e tre, ma anch’io mi ritrovo a pensare: «come sarebbe bello se…». È pericoloso proiettare tutto sui figli, peggio ancora su un potenziale figlio (anzi FIGLIA, le probabilità sono del 50%). Non è meglio cercare di vivere il presente? – Dafne ci presenta invece l’altro punto di vista, quello della figlia concepita dalla madre contro il volere del marito: Dopo il terzo tentativo, e tre figli maschi, mio padre non voleva più sentir parlare di una figlia femmina ma lei deve aver

talmente insistito (credo per riversare su di me l’amore che le è mancato da sua madre) che (chissà come) sono nata io e lei mi ha ADORATA! Ma gli altri? DETESTATA! ODIATA! Lei ci ha amato tutti e quattro ma io di più: ero la sua bambina! … Da quando mia madre non c’è più... è scomparso l’unico filtro che costringeva il clan a tollerarmi/sopportarmi. Ora ho 50 anni, indipendente, «cresciutella» ormai. C’è voluta tanta volontà per liberarmi dalla sua prigione d’amore, ma non potrò mai liberarmi dell’odio del clan, eppure non ho colpe… Mi scuso con Renata e Dafne per aver dovuto tagliare parte delle loro lettere e le ringrazio per la stima e la gratitudine che mi esprimono e che ricambio di cuore, estendendola a tutti i lettori. I temi sollevati sono talmente tanti, e così profondi, che mi limiterò ad alcune osservazioni. Innanzitutto è significativo che le scriventi abbiano più o meno cinquant’anni,

Informazioni

Inviate le vostre domande o riflessioni a Silvia Vegetti Finzi, scrivendo a: La Stanza del dialogo, Azione, Via Pretorio 11, 6900 Lugano; oppure a lastanzadeldialogo@azione.ch

Mode e modi di Luciana Caglio C’è sempre il nemico di turno L’ultimo, di cui abbiamo fatto la conoscenza in queste settimane, è l’olio di palma. E per forza di cose. Il suo nome ci è familiare: compare, ormai, sulle confezioni di un numero crescente di prodotti alimentari e cosmetici, affiancato però alla preposizione «senza» che, qui, assume il significato di garanzia. Di questi biscotti, salatini, gelati, pasticcini, come pure saponi, creme per il viso e detersivi, ci si può fidare: sono, privi di un ingrediente sotto processo. Qual è l’olio di palma, che deve rispondere di due reati: uno d’ordine sanitario e uno d’ordine ambientale. Infatti, per via del suo alto contenuto di grassi saturi è ritenuto responsabile di malattie cardiovascolari. D’altro canto, la forte richiesta da parte dell’industria contribuirebbe all’eccessivo ampliamento delle piantagioni, deforestando i territori. Ora, che c’è di vero in queste incriminazioni che, comunque, stanno facendo notizia? In proposito, si ricalca il solito cliché:

fa stato l’allarme, che preannuncia un pericolo, suscitando nell’opinione pubblica paure immediate e contagiose, e invece sembrano non lasciare traccia le smentite, con cui si cerca di riportare la minaccia entro limiti realistici. Una volta di più, la fantasia pessimista ha il sopravvento sulla concretezza dimostrabile. Di conseguenza, scivolano via le dichiarazioni dei ricercatori scientifici dell’Istituto Mario Negri di Milano,

Sorti alterne anche per il caffè.


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 7 novembre 2016 • N. 45

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Ambiente e Benessere Auto sempre più verdi Le case produttrici di tutto il mondo sono ormai decise a rinunciare alla benzina

Al paese della felicità con «Azione» Hotelplan propone ai lettori di «Azione» un viaggio di gruppo per conoscere le meraviglie del Bhutan pagina 18

Calici a stelle e striscie La diversità dei vini californiani è pressoché illimitata grazie alla varietà dei terroir e dei microclimi

Nutrire e accudire i ricci I responsabili del Centro di cura dei ricci di Maggia ci parlano degli sforzi ticinesi

pagina 21

pagina 17

pagina 23

Svelato il segreto delle «pulizie cellulari»

Ricerca Assegnato a Yoshimori Ohsumi

Sergio Sciancalepore Anche le cellule che costituiscono un organismo – non solo quello umano ma di tutte le forme di vita, dalle più semplici alle più complesse – hanno il loro contenitore dei rifiuti nel quale gettare tutto quello che non serve più o che è logorato dall’uso o dal tempo: non solo, in anticipo rispetto a noi umani (praticamente da quando esiste la vita sulla Terra), le cellule differenziano i «rifiuti» che si formano al loro interno e li riciclano. La raccolta e il riciclaggio praticati a livello cellulare costituiscono la cosiddetta «autofagìa», dai termini greci «autòs = da sé» e «phagèin = mangiare». Schematicamente, una cellula è formata da un involucro esterno – la membrana cellulare – che isola, delimita la cellula ma al tempo stesso permette lo scambio di sostanze di vario genere con l’ambiente circostante. All’interno della cellula si trovano una gran quantità di strutture (gli organelli cellulari) organizzate e delimitate da altre membrane, ciascuna con una funzione specifica: nel nucleo si trovano i cromosomi formati da geni e DNA, con il compito di «dirigere» le funzioni della cellula; le strutture che assemblano le proteine e quelle che producono sostanze da emettere all’esterno, per esempio gli ormoni; le «centrali» (i mitocondri) per la produzione dell’energia necessaria alle migliaia di reazioni chimiche che avvengono dentro la cellula; e vari altri organelli. Tutte queste strutture – e le sostanze che le costituiscono, come le proteine – col tempo si logorano, si danneggiano oppure sono fabbricate con dei difetti e sono quindi inutili o potenzialmente pericolose, non solo per la cellula ma anche per tutto l’organismo: in ogni caso, la cellula deve «mangiarle», «digerirle» e riciclarle

(per quanto possibile) mediante l’autofagìa. Questo fenomeno – che si è mantenuto praticamente invariato nel corso dei milioni di anni dell’evoluzione – era noto dal 1963 ma per quasi un trentennio il suo funzionamento è rimasto un mistero biologico, che ha cominciato a svelarsi e diventare più comprensibile grazie alle ricerche di un tenace scienziato giapponese, Yoshinori Ohsumi (nella foto), e della sua équipe dell’Università di Yokohama; ricerche condotte a partire dal 1988 e per le quali è stato insignito del Premio Nobel 2016 per la Medicina. L’autofagìa ha un ruolo essenziale per il buon funzionamento della cellula. Pensate cosa sarebbero le nostre case e le nostre città se non mettessimo i rifiuti domestici nel sacco della spazzatura e nessun Comune provvedesse a raccogliere i sacchi e a smaltire il tutto correttamente: analogamente, se non ci fosse l’autofagìa, l’interno della cellula si riempirebbe di inutile e pericolosa «spazzatura» cellulare. A tale scopo, le strutture cellulari responsabili dell’autofagìa devono agire in modo preciso ed efficiente: per fare un esempio, devono identificare, raccogliere e trattare solo quelle strutture e sostanze (in special modo le proteine) che sono danneggiate o logorate non toccando tutto quello che è ancora intatto ed efficiente. Per risolvere il mistero dell’autofagìa, Ohsumi ha scelto di studiare il fenomeno usando cellule dalla struttura piuttosto semplice, quelle del comune lievito usato per fare il pane e la birra. In anni di studi, il gruppo dello scienziato giapponese è riuscito a ricostruire le tappe dell’autofagìa: in primo luogo, la cellula costruisce un contenitore (l’autofagosoma) adatto per racchiudere le strutture deteriorate, precedentemente identificate grazie a un particolare sistema di «etichettatura» di riconoscimento; successivamente, que-

Keystone

il Nobel per la Medicina per i suoi studi sull’autofagìa, il sistema usato dalle cellule per raccogliere e riciclare i «rifiuti cellulari»

sti contenitori sono trasferiti – sempre nello spazio interno cellulare – verso altri contenitori, i lisosomi, pieni di enzimi che degraderanno, «smonteranno» le sostanze presenti nell’autofagosoma. A tale scopo, i lisosomi e gli autofagosomi si fondono in un unico contenitore: al termine della degradazione, quel che è possibile riciclare sarà riutilizzato, il resto espulso fuori della cellula. Ohsumi è riuscito anche a identificare 15 geni che dirigono queste complesse operazioni – le quali richiedono un coordinamento dei meccanismi e dei tempi di esecuzione – e ha dimostrato che quanto osservato nelle cellule del lievito accade anche nelle cellule degli altri organismi, uomo compreso. Quando la cellula usa l’autofagìa? Praticamente in continuazione, nella normalità e nella malattia. C’è infatti un’autofagìa basale, continua che per-

mette di mantenere «pulita» la cellula, fenomeno che si accentua in modo particolare durante la fase di sviluppo dell’embrione, quando in tempi relativamente brevi si formano gli organi e si differenziano i vari tipi di cellule che li costituiscono. L’autofagìa ha poi un ruolo importante – la protezione della cellula – nello stress indotto da situazioni di malattia, per esempio nell’infiammazione, quando si verificano modificazioni e danni all’interno della cellula e l’eliminazione dei «rifiuti» che si formano è essenziale: lo stesso accade durante le malattie infettive, altra causa di notevole stress e danno cellulare. Un’interessante prospettiva delineata dalle ricerche di Oshumi è anche quella riguardante le malattie degenerative del sistema nervoso, nelle quali spesso – a causa forse di un malfunzionamento dei meccanismi dell’auto-

fagìa – le cellule nervose non riescono a smaltire in modo efficiente le sostanze degradate che quindi si accumulano al loro interno: è quello che accade, per esempio, nella malattia di Parkinson e di Alzheimer. Ancora, il malfunzionamento dell’autofagìa potrebbe avere un ruolo importante nei meccanismi alla base dello sviluppo dei tumori. Un gene, denominato BECN1, è mutato (difettoso) in molte donne con tumore della mammella e dell’ovaio: ebbene, questo gene è presente anche nel lievito (è denominato ATG6) dove svolge una funzione fondamentale nel corretto avvio dell’autofagìa. Forse, la mutazione del gene umano analogo a quello del lievito, potrebbe influenzare negativamente l’autofagìa della cellula normale ed essere una delle cause del tumore e anche uno dei possibili bersagli sui quali intervenire per curare queste e altre forme di tumori.


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 7 novembre 2016 • N. 45

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Ambiente e Benessere

In Germania la benzina ha i giorni contati

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Motori Per salvare il pianeta andrà rinnovato

il parco auto europeo, ma non solo

Chicago, Hong Kong, Londra e Singapore. Ecco quattro città, tra le altre, in cui la mobilità nei prossimi quindici anni abbandonerà le auto private e utilizzerà mezzi pubblici elettrici, car sharing e veicoli a guida autonoma. A dirlo è una ricerca congiunta di McKinsey e Bloomberg New Energy Finance presentata in occasione del summit londinese Future of Energy. Entro il 2030, nelle grandi città dei paesi più ricchi due terzi delle auto potrebbero essere elettriche, e il 40 per cento a guida autonoma. Nei paesi in via di sviluppo il rapporto prevede che, per ridurre l’inquinamento, il trasporto pubblico venga elettrificato. Anche il traffico congestionato di città come New Delhi, Mexico City e Mumbai potrebbe essere combattuto con lo sviluppo del car sharing, anche elettrico.

In anteprima mondiale negli USA, la seconda generazione della MINI Countryman, che sarà presentata al Los Angeles International Auto Show Il 2030 sarà un anno di svolta pure per la Germania. L’agenzia di stampa Reuteurs riporta infatti che il parlamento tedesco ha approvato una nuova risoluzione dei Verdi che chiede il divieto di vendita di nuove auto a benzina o gasolio entro i prossimi 14 anni. A dirlo oggi sembra improbabile eppure, teoricamente, dal 2030 i tedeschi potranno acquistare solamente auto a zero emissioni, elettriche o a idrogeno. D’altronde già a maggio di quest’anno il governo tedesco aveva approvato nuovi incentivi e sgravi fiscali per ben 1,2 miliardi di euro: uno sconto di 4mila euro e l’esenzione dal bollo auto per ben dieci anni con effetto retroattivo dal 1. gennaio 2016, mentre per le ibride plug-in il contributo è stato di 3mila euro. Il programma prevede inoltre 300 milioni di euro di investimento per le stazioni di ricarica.

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Insomma, sembra proprio che per salvare il pianeta andrà rinnovato il parco auto che in Europa conta diverse decine di milioni di vetture. Questo mese, dal 14 al 27 novembre, aprirà i battenti negli Stati Uniti il Los Angeles International Auto Show. Molte le auto che verranno mostrate al pubblico di appassionati. Tra le novità più attese il nuovo SUV marchiato Alfa Romeo che potrebbe chiamarsi Stelvio. In esposizione anche la Honda Civic Si, la nuova Land Rover Discovery e le Mercedes AMG GT Roadster, AMG GT R e G550 4x4 Squared. A Los Angeles verrà mostrata al pubblico in anteprima mondiale anche la seconda generazione della MINI Countryman (nella foto) che arriverà nelle concessionarie nel 2017. È più lunga di 20 cm, più larga di 3 e con un passo allungato di 7,5 cm rispetto alla serie precedente. Una nota interessante anche per il bagagliaio: la capienza è incrementata, ora compresa tra 450 e 1390 litri. La prima MINI a quattro porte, che dal 2010 ad oggi ha conquistato oltre 540mila clienti, avrà la seduta posteriore scorrevole con un’escursione di 13 cm in senso longitudinale in modo da poter modulare lo spazio a seconda delle necessità. Tra i propulsori disponibili: benzina 3 cilindri 1.5 da 136 cavalli per Cooper e 4 cilindri 2.0 da 192 cavalli per Cooper S; e diesel 4 cilindri 2.0 da 150 cavalli per Cooper D e 4 cilindri 2.0 da 190 cavalli per Cooper SD. I propulsori sono abbinati a un cambio manuale a sei rapporti o Steptronic sempre a sei marce, mentre lo Steptronic a otto rapporti si associa alle sportive Cooper S e Cooper D. La grande novità della nuova Countryman sarà l’introduzione per la prima volta su una MINI di una variante ibrida plug-in. Si chiama Cooper S E All4 e debutterà nel secondo semestre del 2017. Il powertrain nasce dall’abbinamento di un 3 cilindri turbo benzina di 1,5 litri da 136 cavalli con un motore elettrico sincrono da 88 cavalli, collegato all’asse posteriore attraverso una trasmissione a rapporto singolo. La potenza di sistema è di 224 cavalli con coppia di 385 Nm, i consumi sono contenuti a 2,1 litri/100 km e le emissioni di CO2 sono limitate a 49 g/km. La plug-in promette un’autonomia elettrica di 40 km.

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 7 novembre 2016 • N. 45

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Ambiente e Benessere

Splendori buddisti Viaggio Per i lettori di «Azione», Hotelplan organizza

un tour collettivo nel Bhutan, dall’8 al 23 aprile 2017

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Pagode, Buddha sdraiati, antiche capitali, monasteri, ponti in tek, tramonti, botteghe, barche e canali. Questo e tanto altro lungo un itinerario che offre la grande opportunità di osservare le meraviglie del Myanmar, della sua cultura e del Buddismo. È quanto offre il viaggio proposto da Hotelplan ai lettori di «Azione» ai quali desidera rendere unica l’esperienza durante la visita al paese della felicità, il Bhutan. Il programma prevede la partenza in volo da Milano per raggiungere inizialmente il Myanmar, il Paese dei mille templi, unico nel sul genere. La permanenza che consiste in una decina di giorni di visita con una guida locale, permetterà ai fortunati iscritti

un piede nel passato e un altro nel futuro, si avvia con fiducia verso la modernizzazione, intesa dal suo punto di vista, proteggendo fieramente la sua antica cultura, le sue risorse naturali e il suo stile di vita profondamente buddista. Un viaggio unico e straordinario tra due Paesi buddisti con l’accoglienza e l’umiltà dei loro popoli.

Via NAP Località

Informazioni

di immergersi nella cultura buddista e lasciarsi coinvolgere dai modi miti dei popolo birmano.

Programma 08.04 Ticino / Milano / Bangkok 09.04 Bangkok / Yangon 10.04 Yangon / Mandalay 11.04 Mandalay / Bagan 12.04 Bagan 13/04 Bagan / Lago Inle 14.04 Lago Inle 15.04 Lago Inle / Yangon / Kyaikhtiyo

Cognome

16.04 Kyaikhtiyo / Yangon 17.04 Yangon / Calcutta 18.04 Calcutta / Paro / Thimpu 19.04 Thimpu 20.04 Thimpu / Paro 21.10 Paro / Valle di Haa 22.04 Paro / Calcutta 23.04 Milano / Ticino

Un solo volo interno collega questo Paese con Calcutta, in India, dove potremo ammirare uno scorcio della città sia all’andata sia al rientro. Il giorno seguente si vola con la compagnia di bandiera verso Paro, unico aeroporto internazionale del Bhutan. Si tratta di un luogo straordinario, rimasto quasi completamente immune al passare del tempo. Situato al centro dell’imponente catena montuosa dell’Himalaya, è vissuto per secoli in una sorta di isolamento volontario, lontano dal resto del mondo. Da quando le sue porte sono state aperte, con diffidenza, nel 1974, i visitatori ne sono rimasti ammaliati. E oggi, con

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Ambiente e Benessere

Onigiri, dal Giappone con le mani Allan Bay Qualche giorno fa un’amica, l’autrice di ricettari Manuela Vanni, mi ha preparato degli onigiri. Mi sono piaciuti moltissimo. Le ho chiesto di scriverne. Ecco quanto mi ha mandato. «Il nome onigiri (da pronunciare onighiri) deriva dal verbo “impugnare”, dato che sono preparati con le mani. Sono gli elementi di un piatto tipico giapponese che adoro per la sua semplicità. Fin da piccola, queste insolite polpette di riso mi hanno incuriosita: mi sono sempre chiesta con quale gusto inenarrabile i protagonisti di molti cartoni animati giapponesi, le anime, assaporavano queste leccornie, ingurgitandone a piene mani tanto da avere la bocca contornata da miriadi di chicchi di riso. Quando li guardavo gli occhi mi si illuminavano, ma prima di riuscire ad assaporarne uno ho dovuto aspettare ben 28 anni». Si tratta dunque di polpette di riso bianco di forma triangolare, dotate di una striscia di alga nori su un lato e con un cuore di salmone e verdure. Ecco come prepararli. Ingredienti per 4 persone. Lavate a mano con acqua fredda quattro porzioni di riso giapponese della varietà nishiki (si trova nei supermercati). Fatelo più volte fino a che l’acqua diventi quasi trasparente. Lasciate sgocciolare il riso in uno scolapasta e dopo 30 minuti mettetelo in una pentola di teflon con acqua in proporzione di 1:1,2 (ad esempio: per 100 g di riso serve 1,2 dl di acqua). Cuocete a fuoco basso e coperto fino alla bollitura dell’acqua, quindi alzate il fuoco fino a cottura ultimata e all’evaporazione di tutto il liquido (sempre col coperchio). Lasciate riposare il riso almeno 10 minuti. Nel frattempo preparate quattro piccole ciotole: una con sale fino, una con acqua, una

con le alghe nori tagliate a rettangoli di 9 centimetri per 3, una con il ripieno (salmone grigliato e verdure saltate) e un piatto vuoto largo e piatto dove verranno posti gli onigiri completati. Quindi bagnate leggermente le mani immergendole nell’acqua della ciotola, poi prendete un pizzico di sale fino e sfregate leggermente le mani fino a inumidire in modo uniforme i palmi con acqua e sale. Prendete con un cucchiaio bagnato il riso ancora caldo e mettetelo sul palmo della mano leggermente piegata con le dita unite a mo’ di conchetta. Premete leggermente al centro con il pollice dell’altra mano così da creare il posto per il ripieno. Mettete un cucchiaino del ripieno scelto e coprite con un po’ di riso. Poi piegate la mano con il riso senza chiuderla completamente e ponete l’altra sopra nella stessa posizione, fino a chiudere il riso tra le due mani. La mano superiore ha il compito di dare la forma ai lati dell’onigiri, premendo il riso tra il dito medio e l’anulare uniti e il palmo della stessa. La mano inferiore si occupa di mantenere il riso «in forma». Lo scopo è di dare alla polpetta una forma triangolare dallo spessore approssimativo di due dita. Una volta definita la forma, collocate su un lato del triangolo l’alga nori, che aderirà subito al riso bagnato. L’alga, oltre ad aggiungere sapore, ha il compito di facilitare la presa delle polpette evitando di far attaccare il riso alle mani. Procedete così fino a quando non terminate il riso. In tutto dovreste avere 4 onigiri grandi oppure 8 più piccoli. È consigliabile mangiare gli onigiri quando sono ancora caldi ma sono gradevoli anche freddi. Si possono congelare, ricoprendoli con la pellicola per alimenti per poi riscaldarli al forno a microonde: mantengono intatte tutte le loro caratteristiche.

cyclonebill

Gastronomia Un piatto tipico nipponico che piace per la sua semplicità

CSF (come si fa)

Oggi vediamo come si fanno due ghiotti dolci. Cicerchiata. Per 4/6 porzioni. Sgusciate 2 uova e sbattetele leggermente. Versate 150 g di farina in una terrina e amalgamatevi le uova, poi unitevi 2 cucchiai di zucchero, 2 di olio extra vergine leggero e 70 g di farina, mescolando fino a ottenere un impasto morbido, che avvolgerete in un telo e lascerete riposare per 30’ in luogo tie-

pido. Infarinate la spianatoia, appoggiate l’impasto e ricavate una sfoglia alta circa 2 cm. Ritagliatela prima a bastoncini e poi a tocchetti. Scaldate 2 cucchiai di olio in una padella e fatevi dorare, pochi per volta, i tocchetti di pasta. Versate 400 g di miele in una capace casseruola e fatelo colorire a fiamma moderata: sarà pronto quando, versandone qualche goccia in un bicchiere d’acqua fredda, si solidificherà. Togliete la casseruola dal fuoco e unite al miele i pezzetti di pasta fritta, 50 g di mandorle sbucciate e tagliate a lamelle, 80 g di frutta candita mista tagliata a dadini e 2 cucchiai di brandy; mescolate con cura. Ungete con olio uno stampo munito di foro centrale, versatevi il composto, livellatelo e lasciatelo riposare per qualche ora in modo che il miele

si solidifichi. Poi capovolgetelo su un piatto da portata e servite la cicerchiata guarnendola con bastoncini di cioccolato. Riso e amarene. Per 4 porzioni. Riunite in una casseruola 4 dl di latte, 2 dl di panna, mezza stecca di vaniglia, portate a ebollizione e unite 70 g di riso, 1,5 dl di panna, 5 cl di Grand Marnier, 70 g di zucchero e poco sale e cuocete sino a quando il riso è cotto. Lasciate raffreddare e se la preparazione risultasse densa diluitela con panna. Sgusciate e tostate 50 g di pistacchi. Distribuite in ciascun piatto il riso come per un risotto, disponete al centro 5 amarene sciroppate scolate. Con 50 g di sciroppo di amarene disegnate, lasciando cadere a filo da un cucchiaio, una spirale e punteggiate la preparazione con i pistacchi.

Ballando coi gusti Oggi due ricette a base di pollo cotto alla griglia: va benissimo quella di ghisa da mettere al fuoco, ma quando cucinate tenete la finestra aperta.

Pollo alla griglia col rosmarino

Pollo alla griglia con zenzero

Ingredienti per 4 persone: 12 coscette di pollo · 200 g di lardo a fette · rosmarino

Ingredienti per 4 persone: 4 petti di pollo di media grandezza · il succo di 1 limone · 8 cucchiai di yogurt · 1 cucchiaio di zenzero fresco grattugiato · 1 spicchio di aglio · 1 cipolla · 2 cucchiai di olio di oliva · sale

· olio di oliva · sale e pepe

Mondate le coscette di pollo, disossatele, sbollentatele per 5’, poi scolatele in acqua e ghiaccio. Dopo 10’ levatele e asciugatele bene. Salate e pepate ogni coscetta, unitevi del rosmarino e avvolgete il tutto in una fettina di lardo. Pennellate con poco olio, poi mettetele su una griglia e cuocetele per circa 30’ a temperatura moderata, rigirando di tanto in tanto.

Tagliate il pollo a cubetti di circa 3 cm di lato. Metteteli in una ciotola e unite lo yogurt, il succo di limone, lo zenzero, l’olio, l’aglio tritato e poco sale. Mescolate bene e fate marinare in frigorifero per un giorno. Sbucciate la cipolla, tagliatela in 4 parti e separatene gli strati. Preparate gli spiedini alternando i pezzetti di pollo con le fettine di cipolla. Grigliateli molto lentamente, girandoli affinché la cottura sia uniforme.


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Ambiente e Benessere

California, colosso del Nord America Davide Comoli Un’incredibile quantità di vitigni e di zone vitivinicole, senza dimenticare i numerosissimi produttori, hanno fatto della California una delle regioni più dinamiche e interessanti di questo settore a livello mondiale. Favorita dal suo clima, la California produce vini da circa duecento anni. Ma è solo negli anni Sessanta che gli esigenti consumatori di San Francisco e Los Angeles cominciano a ricercare dei vini locali un po’ più eleganti. I produttori finanziariamente solidi e molto determinati non perdono molto tempo prima di colmare queste lacune. È dalla Spagna, via Messico, che l’uva arriva in California grazie ai frati Francescani che fondano delle missioni lungo tutto El Camino Real (oggi US 101): attraverso le missioni cercano di convertire gli indigeni al cristianesimo e, per far questo, si ritrovano con la necessità di produrre il vino per celebrare la S. Messa. Anche la corsa all’oro del 1849 aiuta la viticoltura a espandersi attraverso lo Stato: orde di giovani arrivano un po’ da tutte le parti alla ricerca del prezioso metallo. Dopo aver rivoltato il più delle volte inutilmente il terreno, finiscono però per cercare dei mezzi di sussistenza più sicuri. La passione per il vino diventa dunque la conseguenza della mescolanza di giovani coloni europei di diversa provenienza. La diversità delle zone del Golden State, soleggiate per tutto l’anno, fornisce un’incredibile gamma di terreni e microclimi, si va dalle fresche zone situate ai

bordi del Pacifico, culla di vini molto fini, alle fertili vallate di Saint Joaquin Valley, dal torrido caldo ai piccoli vigneti situati ai piedi dei contrafforti innevati della Sierra Nevada. Dopo essere sopravvissuto agli attacchi fillosserici (prima nel 1880 e in seguito agli inizi del 1990), alle imposizioni del proibizionismo (1920-1933) e senza dimenticare la grande depressione che colpì gli USA nel 1930, l’industria viticola californiana restò molto solida. La California fornisce ogni anno circa il 90 per cento della produzione di vino degli Stati Uniti. La diversità dei vini californiani rispecchia il ventaglio pressoché illimitato dei luoghi di produzione, infatti la vite viene coltivata in ben 49 delle 58 contee dello Stato. Le zone costiere sono le più importanti per la produzione dei vini di qualità. Le zone vicine al Pacifico come Napa Valley (nella foto), contea di Sonoma, contea di Lake, la Anderson Valley nella contea di Mendocino, Livermore Valley, le montagne di Santa Cruz, intorno alla baia di San Francisco, la contea di Monterey, San Luis Obispo e Santa Maria nella contea di Santa Barbara, beneficiano delle brume oceaniche e dai fiumi che sfociano nelle baie e temperano le temperature diurne. Le uve riescono così a mantenere la loro acidità naturale, il che favorisce la produzione di vini fini, fruttati ed eleganti, di grande qualità, con Napa e Sonoma al vertice. La Valle centrale, immensa zona molto calda, fornisce vini da tavola di qualità standard; le vaste vallate tra Ba-

Keystone

Bacco giramondo Il Golden State fornisce ogni anno circa il 90 per cento della produzione di vino degli Stati Uniti

kersfield e il nord di Sacramento (usando i vitigni Riesling e Gewürztraminer) forniscono invece superbi vini prodotti con vendemmie tardive. La dolcezza del clima di questo Paese spiega il motivo per cui le variazioni dei vari millesimi siano più lievi che nelle regioni prestigiose della vecchia Europa. Se alcuni microclimi patiscono la pioggia, il freddo o il caldo fuori stagione, le annate cattive sono molto rare in California. Il sistema di vinificazione, per la maggior parte dei vini californiani, permette il loro consumo abbastanza giovani, questo per quei vini di qualità standard. I grandi vini bianchi come lo

Chardonnay e il Sauvignon, prodotti a Sonoma o a Napa (ne parleremo prossimamente) possono benissimo resistere 8-10 anni. Tra i rossi, il Cabernet Sauvignon e lo Zinfandel, delle migliori zone costiere possono conservarsi bene anche per 20 anni, ma noi consigliamo di berli un po’ prima, anche se tentano d’eguagliare i grandi Crus del Bordeaux e della Borgogna. In California la scelta del terreno su cui impiantare la vigna è l’esatto contrario di quello usato in Europa. Se da noi si vanno a cercare zone con più sole per ragioni di clima, i viticoltori californiani disponendo di un clima troppo dolce

e caldo, cercano luoghi più freschi, dove l’uva cresce con un po’ più di fatica, per evitare una maturazione troppo precoce. In ogni terreno vitato, il clima è molto più determinante della composizione del suolo per la scelta del vitigno. Per esempio nelle contee di Napa e Sonoma i varchi nella catena dei monti che corre parallela alla costa permette alle brezze marine e alle fresche e umide nebbioline, di temperare il caldo delle vallate. Carneros a sud di Napa è molto più fresca che le regioni del nord. Dal 1970 i viticoltori hanno però capito come certi vitigni crescono su terreni a loro favorevoli. Infatti hanno appreso molto in fretta che, piantato su un suolo ben drenato e pietroso, il Cabernet Sauvignon dona vini classici, mentre piantato su un suolo pesante e argilloso, esprime male il suo frutto, dando vini molto erbacei e vegetali. I costoni sono le zone privilegiate per i Cabernet Sauvignon e per lo Zinfandel. Un po’ dappertutto l’esposizione a sud è giudicata troppo calda: è preferibile un’esposizione rivolta a nord-est che si rivela più adatta a produrre uva di grande qualità. In California, l’etichetta del vino indica generalmente il nome del vitigno (sui vini di qualità). I più importanti sono per i vini rossi: Zinfandel, Cabernet Sauvignon, Grenache, Pinot Nero, Merlot, Cabernet Franc, Petite Sirah, Syrah, Gamay, Carignan, Barbera, Nebbiolo, Sangiovese. Per i vini bianchi: Chardonnay, Colombard, Chenin Blanc, Sauvignon Blanc, Muscat, Riesling, Semillon, Gewürztraminer. Annuncio pubblicitario

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Ambiente e Benessere

Astri autunnali

Mondoverde Bei capolini variopinti che sbocciano da settembre a fine ottobre

Anita Negretti I veri protagonisti di inizio autunno sono sicuramente gli astri o settembrini, erbacee perenni dai capolini variopinti che si aprono quando la calura estiva diminuisce, tra le prime settimane di settembre e le ultime di ottobre. Gli Aster, della famiglia delle Composite, contano quasi 200 specie e decine e decine di varietà, di cui le due specie più note sono Aster novi-belgii e Aster novae-angliae. Entrambe sono alte dagli 80 ai 150 centimetri, con steli eretti, rigidi e portanti foglie lanceolate e fiori semplici, simili a quelli delle margherite, con delicati colori pastello.

Per nulla esigenti, crescono bene al sole o a mezz’ombra, con terra calcarea o acida, in climi caldi o freddi Negli ultimi decenni, grazie all’ibridazione con una terza specie dalle dimensioni più contenute (Aster dumosum) si sono ottenute varietà compatte, tra i 20 e i 60 centimetri di altezza, ideali per i primi piani in aiuole e bordure. Per nulla esigenti, crescono bene al sole o a mezz’ombra, con terra sia calcarea sia acida, fertile o ricca di sostanza organica, in climi caldi o freddi, sopportando gelate fino a -20°C durante l’inverno e punte di calura intorno ai 40°C.

Un esemplare di Aster novaeangliae. (Haeferl)

L’unico problema da scongiurare durante la coltivazione di queste belle piante è l’attacco di oidio o mal bianco, dovuto allo sviluppo del fungo Erysiphe cichoracearum, in grado di moltiplicarsi molto velocemente e di procurare alla vegetazione una patina biancastra, che andrà a indebolire la pianta compromet-

tendone la fioritura e la sopravvivenza. Per scongiurare questo problema fitosanitario è bene anzitutto dividere i cespi ogni 2-3 anni in maniera tale da garantire una buona circolazione dell’aria tra le foglie; inoltre è bene utilizzare un prodotto a base di zolfo a fine fioritura, da spruzzare dopo la potatura di pulizia,

quando si interviene tagliando gli steli appassiti a livello del terreno. Rusticissimi, si moltiplicano molto velocemente sia per divisione dei cespi, sia per talea o tramite semina. In quest’ultimo caso, seminateli tra aprile e luglio, quando in poco più di un mese, in un angolo semi ombreggiato del giar-

dino, vedrete spuntare le nuove piantine. Diradate e curate a dovere, fioriranno dall’autunno successivo. In giugno si esegue invece la moltiplicazione tramite talee di punta, con le cime lunghe una decina di centimetri e derivanti dalla potatura estiva che si esegue per accestire maggiormente le piante. Interrate in un miscuglio di terra, torba e sabbia, le talee radicheranno in 4-5 settimane e saranno successivamente pronte per il trapianto in piena terra nella primavera a seguire. Infine tra fine ottobre e inizio marzo si possono dividere i cespi delle radici estirpando le piante durante il loro riposo vegetativo e dividendole in 2 o 4 porzioni con un coltello ben affilato. Ripiantate subito dopo il taglio e tenute bagnate per le prime settimane, le porzioni daranno vita a nuove piante in fioritura lo stesso anno. Belle da sole, diventano magnifiche se abbinate ad altre erbacee perenni da fiore: ad esempio la varietà «Carnival» dai fiori rosso porpora e alte 60 centimetri, ben si abbinano con del Sedum spectabile. «Mrs S. T. Wright» con fiori rosa chiaro si sposa con molte graminacee, mentre «Herbstschnee» alta fino a un metro, presenta capolini grandi color bianco puro e spicca se accostata a rudbekia e solidago. Grandi gruppi di Echinacea purpurea e anemoni giapponesi si uniscono agli steli di «Autumn Beauty» dallo stupendo color blu ametista dei suoi fiori doppi. Annuncio pubblicitario

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Ambiente e Benessere

«Ricci» da curare

Giochi per “Azione” - Novembre 2016 Stefania Sargentini Mondoanimale L’uomo rappresenta il pericolo numero uno per questi animaletti, ma sempre più persone corrono (N.il41 - Sfregano uno contro l’altro) in loro aiuto; in Ticino spicca Centro di curai nasi a Maggia Maria Grazia Buletti «Madame Michel ha l’eleganza del riccio: fuori è protetta da aculei, una vera e propria fortezza, ma ho il sospetto che dentro sia semplice e raffinata come i ricci, animaletti fintamente indolenti, risolutamente solitari e terribilmente eleganti». Chi non ricorda la descrizione con cui la scrittrice francese Muriel Barbery caratterizza il personaggio principale del libro L’eleganza del riccio? Restando in tema, con i loro pungenti aculei questi animaletti si prestano quale esempio per l’essere umano, il quale rappresenta però il loro pericolo numero uno: «Tanto più due esseri si avvicinano fra loro, molto più probabilmente si feriranno uno con l’altro». Questo il concetto de Il Dilemma del Porcospino, che origina dal Parerga und Paralipomena (di Arthur Schopenhauer) e viene adottato da Sigmund Freud che lo riporta in Psicologia delle masse e analisi dell’io. Con i loro 6-8mila aculei, se si avvicinassero troppo fra loro, i ricci potrebbero facilmente ferirsi reciprocamente. Per analogia, se due persone iniziassero a prendersi cura e a fidarsi l’uno dell’altro, ogni cosa spiacevole dovesse succedere a uno di loro finirebbe per ferire anche l’altra. Allo stesso modo, le incomprensioni tra i due potrebbero causare problemi ancora più seri. Abbiamo preso a pretesto qualche illustre citazione e un po’ di filosofia spicciola per parlare del Riccio comune: una delle tre specie di animali provvisti di aculei che, insieme all’Istrice e al Porcospino americano, fanno parte della famiglia dei Porcospini. Il Riccio comune (Erinaceus europaeus) ci sta a cuore perché popola i margini dei nostri

Giochi Cruciverba Forse non tutti sanno che la femmina del… Trova il resto della frase a cruciverba ultimato leggendo nelle caselle evidenziate. (Frase: 8, 2, 6, 7)

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boschi e i nostri giardini. «Esso si nutre 9 10 di insetti, ragni e cavallette, lombrichi, chiocciole, topi e piccoli rettili che ha 11 trovato ai margini 12 del bosco; 13 sempre habitat che oggi è sensibilmente ridotto dall’urbanizzazione14e dall’agricoltura 15 moderna e intensiva, che ha costretto i ricci ad adattarsi a vivere nei dintorni 16 17 18 degli agglomerati. Per questo, li troviamo spesso nei cespugli dei nostri giar20 dini dove si 19 rendono utili regolando la presenza di lumache, insetti e altri animaletti 21per noi fastidiosi, dei quali sono 22 ghiotti». Così riassume l’evoluzione degli 23 spazi vitali dei ricci sul nostro territorio, Alex Andina che, con Elsa Hofmann-Perini è24 responsabile del Centro di cura dei ricci di Maggia. Nato nel 2001 sotto l’egida della Spab (Società protezione animali ma non tutti quelli che hanno bisogno di Bellinzona) – con cui tutt’oggi collabo- cure e di svernare possono essere ospitarano –, il Centro ha l’obiettivo di salvare ti a Maggia, dove disponiamo di gabbie i ricci feriti, nutrire quelli sottopeso pri- apposite per quelli più malati e quelli ma che vadano in letargo e curare quelli convalescenti, e box esterni per quelli che 1 3 4 5 6 7 8 ammalati per2 poi liberarli nuovamente. saranno rimessi presto in libertà». Da noi interpellato qualche tempo fa, Per questo serve l’aiuto di volontari 9 aveva altresì riferito che al Cen11 fare carico di qualche ricAndina che si10possano tro «ci occupiamo in media di 350 ricci cio da curare al di fuori del Centro, che all’anno 12 (un nuovo riccio ogni giorno), 13resta comunque il punto di riferimento 14 per ogni ragguaglio, per l’alimentazione e il supporto dei volontari stessi. «Siamo 15 16 un esercito di satelliti del Centro di Maggia», esordisce la signora Palma Pestoni che da circa cinque anni si occupa di dare 17 18 una mano ospitando a casa questi simpaSolo su www.azione.ch trovate le tici animaletti, nel suo Bed and Breakfast 19 20 originali creazioni di Giovanna Griper ricci. «Nel mese di novembre di qualmaldi Leoni, che questa settimana vi che anno fa ne avevo trovato uno: era 21 spiega come realizzare con i vostri piccolo. Non22potevo lasciarlo per strada: bambini dei simpatici porta block non sarebbe sopravvissuto al freddo. notes. Allora 23l’ho portato a casa, rivolgendomi al Centro di Maggia per avere le indica-

,

O F A N O E C P U D I O A T R A L O E V N E P I L

R A S T A

Esu tutto Gil nostro O territorio: L A«Bisogna laandare a scaglioni, maschi o femM Nsciarli mine, Ie nonA tutti insieme.N Prima, però, Alex Andina passa a visitarli per dare il A Tnulla Aosta, controllarli, C tagliare I loro le unghie e altro ancora. Solo se saranno si potranno N Esani R nuovamente O M integrare nella natura». La nostra simpatica e appassionata T C OinvitaNle persone I a consiinterlocutrice , questo piccolo ma grande aiuto derare O Lnella cura e salvaguardia dei ricci bisognosi di cure o di svernare al calduccio: non richiede tanto temT O«Occuparsene po o particolari strutture: venti minuti nella pulizia della gabbia, e B A Rquotidiani uno spazio adeguato, magari in una lavanderia chiusa e calda per rapporto al O G Ofreddo invernale. Non nascondo che i

zioni necessarie sul da farsi». Loro hanno ricci hanno un odore caratteristico con saputo spiegarle bene come comportar- cui dobbiamo fare i conti, ma nulla di insi, le hanno dato indicazioni circa il cibo sopportabile». Si tratta però pur sempre («Mi raccomando, crocchette per gatti o di animali notturni, che di giorno per lo cibo specifico che Maggia fornisce, mai più sonnecchiano, inoltre «ogni riccio ha mai mai latte che è velenosissimo per i il suo carattere e un suo comportamento: ricci!»), e tutto ciò di cui aveva bisogno c’è quello docile che si lascia carezzare senza alzare gli aculei, poi abbiamo quelper accudirlo. «Ero così soddisfatta dell’assisten- lo che si difende, l’anarchico che saltella za del Centro che il mio piccolo riccio e soffia, eccetera. Non sono tutti uguali alla fine è cresciuto al punto di rompere e vanno a sommarsi a quelli selvatici che arrivano spontaneamente la gabbia». Era SUDOKU evidentemente arrivato PER AZIONE - NOVEMBRE 2016 al mio Bed il tempo di portarlo a Maggia per met- and Breakfast per ricci». Novembre è un mese critico per i terlo in un recinto: «Così ho fatto, con la Schema N. 41 FACILE per i piccolini, che pospromessa che lo avrei ripreso con me al ricci, soprattuttoSoluzione momento della liberazione, perché non si siamo trovare in giro. 2 3 8 9 4 1 7 6 5 2 8lasciare andare 1 tutti nella 5 regiopossono 6 1 5 7 8 2 9 4 3 Informazioni ne 6 attorno al7Centro». 8 Centro4Cura È 7 ricci 9 5Maggia 3 6 -tel: 1 091 2 8 7 soprattutto 9 3 a 6questo 1 che servono i volontari «satelliti», come li ha ben defi- 753 29 22; e-mail: ccdm@ricci-in-dif5 4 1 2 9 7 3 8 6 1 2 9 niti la signora Pestoni: a3distribuire l’im- ficoltà.ch; Ass. amici dei ricci: www. 8 6 3 4 1 5 2 9 7 5 dei ricci, 9 pegno di3cura e tutela e alla li- ricci-in-difficolta.ch/ita berazione di quelli che ce 9 2 7 3 6 8 4 5 1 4 l’avranno 1 fatta

S T A N C H E O S E F I L O S S O L E E R O S M A T I T A R I N P A T T O L A E L E T T O F E S T O R A S A I M A R S T S O R D I 7 8 6 1 2 4 5 8 1 4 9 E L I 1 9 E 2 6 5 3 A 8 9 2 Vinci una delle 3 carte regalo da 50 franchi con ilTcruciverba

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(N. 43 - ... camoscio si chiama camozza) 1

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N. 42 MEDIO

C A5R M E 2 3 Soluzione: 8 Scoprire 3i 3 numeri S6 C I1 A corretti da inse9 7 8 rire nelle caselle 8 9 4 3 V E colorate. I 4 7 6 C E 3 S C1 2016 17 18 19 20 Giochi per “Azione” 2 8 - Novembre 6 Stefania H ESargentini P O 23(N. 41 - Sfregano i nasi uno contro l’altro) N. 43 DIFFICILE E S C A 1 O3 S O F A 2 R E G 26 27 6 2 5 M A 4 U O FNO G LN I I A 8 O E C A S 6T A 30 31 D NI P U N 7T TE O6R 5 33 I D I O 6T 3A 8 C O , RA O I L, T9 6T 2 RD O

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e una delle 2 carte regalo da 50 franchi con il sudoku

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Regolamento per i concorsi a premi pubblicati su «Azione» e sul sito web www.azione.ch

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(N. 42 - “Anche se fossero mille fermateli!”)

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ORIZZONTALI 1. Nome maschile 7. Sovrano persiano 8. Bocca in latino 9. Quattro romani 10. L’Oriente 12. Un tasto del computer 14. Al centro dello schema 16. In seguito 18. Strumento di offesa 21. Appesa all’amo 23. Scuro 24. Organo delle piante 26. Parte dell’arma da fuoco 28. Le iniziali della conduttrice D’Amico 29. La indossano i magistrati 31. Il letto dei wagons

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A R M R O 5 7 4 6 2 6 1 2 5 3 A L Z 9 3 8 4 7 4 9 L 3 8 I1 1 2 5 9 6 E 7 8 6 2A 5

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3 6 7 1 4 2 5 9 8 A L O 1E T O 9 8 5 1 7 9 6 3 4 2 8 V 5 N B A R 4 20. Componente dell’aria 24 2 4 9 3 8 5 7 6 1 2 4 3 22. Le iniziali dell’attrice Gerini Soluzione E P I della L Osettimana G O precedente SUL FRONTE NEMICO – «Maresciallo stanno arrivando i monsoni!» – «Fermateli!» 25. Pari nel filotto N. 44 PER GENI (N. - “Anche mille fermateli!”) 27. Una di famiglia – «Ma sono venti!» Risposta risultante: «ANCHE SE FOSSERO MILLE, FERMATELI!» 542 6se fossero 7 8 30. Le iniziali dell’attrice Rohrwacher 1 2 3 4 5 6 7 8 2O S E 8 4 3 6 7 5 9 1 2 S T A N C 5H E 11 9 10 11 9F I L O S 4S 6O L E 9 7 5 2 3 1 4 6 8 I vincitori13 12 14 1 3 1 2 6 4 8 9 5 7 3 E R O S M A T I T A 14 15 15 16 3 9 2 5 7 3 8 9 6 4 1 2 5 Vincitori del concorso Cruciverba R I N P A T T O L 17 18 19del 24.10.2016 su «Azione 43», 4A 1E 3L E T T 8O 4 5 1 3 2 7 6 8 9 F E P. Cavadini, 19A. Rusca, L. Borini 20 2 6 9 5 1 8 7 3 4 S T O R A S 22 21 22 4 6 3 7 5 1 2 8 4 6 3 9 7 Vincitori del concorso Sudoku A I M A R S 23 3 5 2 su «Azione 43», del 24.10.2016 3 9 7 1 5 2 8 4 6 25 26 T S O R D I I. Spagnolatti, 24 P. Boscacci 4 7 E 3L I T E 6 8 4 7 9 3 2 5 1 A 23

32. Lo è il topo 33. In mezzo al caos

(N. 44 - Non esistono venti favorevoli per chi non sa dove andare)

VERTICALI 1 2 3 1. Le iniziali della Spaak 2. Lo uccise Polifemo 9 10 3. Vi si smorzano le onde 4. Spesso fa coppia con se 12 spagnolo 13 5. Articolo 6. Più versa più guadagna 17 18 10. Dà16ripetizioni a voce... 11. Nota bevanda caucasica 13. Gradinate20degli stadi 21 15. Secondo libro del Pentateuco 17. Immagine poetica 23 24 18. Pappagallo americano 19. Rotolo inglese 27

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I premi, cinque carte regalo Migros 32 di 50 franchi, saranno 33 sordel valore teggiati tra i partecipanti che avranno 36 fatto pervenire la35soluzione corretta37 entro il venerdì seguente la pubblicazione 39 del gioco.

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(N. 43 - ... camoscio si chiama camozza) Partecipazione online: inserire la 1 2 3 4 5 6 soluzione del cruciverba o 34 del sudoku formulario pubblicato 7 nell’apposito 8 38 sulla pagina del sito. 9 10 Partecipazione postale: la lettera o 11 12 13 la cartolina postale che riporti la so40 14

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 7 novembre 2016 • N. 45

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Politica e Economia Ultime ore di incertezza Le elezioni americane si avviano alla conclusione, in uno scenario di grande complessità

Obama, quale eredità? Nonostante le aspettative deluse di un cambiamento profondo, il primo presidente afro-americano lascerà la Casa Bianca con favori popolari in crescita

Rajoy l’inossidabile Il leader conservatore spagnolo esce indenne dalla crisi politica e si riconferma primo ministro

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Utili BNS: nuove regole A causa delle ingenti riserve in valute estere, gli utili della BNS oscillano fortemente. A Confederazione e Cantoni si garantisce ora in media la distribuzione di 1 miliardo all’anno pagina 33

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Keystone

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L’onda lunga del populismo

Gran Bretagna Dopo il voto in favore dell’uscita del regno Unito dall’UE, anche la premier May deve tener conto

di un modo di intendere e di far politica che raccoglie crescenti consensi in Europa e negli Stati Uniti Cristina Marconi Non si ritirerà facilmente, l’ondata populista che ha travolto il Regno Unito, spaccato gli Stati Uniti e che continua a lambire molti paesi dell’Unione europea, dopo averne conquistati definitivamente un paio. «Il genio è uscito dalla lampada», come ebbe a dire Nigel Farage alla chiusura dei seggi del referendum sulla Brexit, quando pensava ancora che avesse prevalso il voto a favore del remain. Che invece, come tutti sanno, ha perso, dando un giro di vite all’autostima di quella classe politica che dagli anni Sessanta a oggi, solo in Europa, è passato dal 5% al 13,2% dei voti e che, secondo la maggioranza degli esperti interpellati dalla rivista «Foreign Politics», non è destinata a sparire a breve. Che sia il colpo di coda di una generazione di elettori che si è sentita messa da parte dalle evoluzioni sociali e culturali, prima ancora che dalla crisi economica, o che sia l’inizio di una nuova era politica in cui la verità e i fatti saranno considerati come qualcosa di superato, il referendum britannico e le elezioni americane hanno cambiato per sempre

il modo di fare politica. Nel giro di pochi anni i temi all’ordine del giorno sono rimasti pressoché invariati – al centro ci sono sempre l’immigrazione e il conservatorismo sociale – mentre è molto cambiato il tipo di dialogo che il politico populista ha instaurato con il suo elettorato. L’attacco continuo alle élite da parte di gente che siede in Parlamento da decenni o che, come nel caso di Trump, ha un grattacielo su Fifth Avenue, è uno strumento retorico efficace, ma non basta a spiegare il successo di Farage&Co, secondo Jan-Werner Müller, professore di Princeton e autore di Cos’è il populismo?, importante lavoro uscito a settembre. Il vero punto che accomuna tutti i populisti e che Trump ha espresso con primitiva chiarezza è il fatto di sostenere «che loro, e loro soltanto, rappresentano la gente reale». Il candidato repubblicano alla Casa Bianca, poco avvezzo ai mezzi termini, ha scritto che «su ogni singola questione importante che riguarda questo paese la gente ha ragione e le élite al governo hanno torto». Secondo Müller «la logica populista implica che chiunque non sostenga i partiti populisti non possa far parte

della “gente reale” e anche qui Trump è stato il più espressivo: «L’unica cosa importante è unire le persone, perché le altre persone non significano niente». E che quelle persone siano in prevalenza maschi bianchi di una certa età con pochi titoli di studio, una minoranza difficile da persuadere a votare altrimenti, non significa che si possano trascurare in futuro, perché le loro preoccupazioni sono contagiose. Da uno studio del Chicago Council on Global Affairs è emerso che immigrazione e globalizzazione sono due temi che hanno acquisito un’importanza crescente in tutte le fasce dell’elettorato, anche le più tradizionalmente liberali. Inoltre, la distinzione tra destra e sinistra sembra ormai essere stata soppiantata da quella tra cosmopoliti e nativisti, complice un divario crescente tra le città e le campagne che si stanno svuotando e trasformando in sacche di scontento, in grado di rendere difficile formulare politiche complesse, soprattutto a livello europeo, sul commercio e gli affari esteri, come dimostrato dal recente veto della Vallonia a ratificare l’accordo commerciale con il Canada. Essendosi ritrovata a gestire per

prima le conseguenze di un voto che senza la consumata retorica populista di Ukip avrebbe senz’altro avuto altri risultati, o forse non ci sarebbe proprio stato, la premier britannica Theresa May ha cercato di fare suo parte di questo approccio per lanciare un messaggio chiaro all’elettorato brexiteer, soprattutto quando ha detto la sua frase sui «cittadini del mondo che non sono cittadini di nessun luogo», facendo arrabbiare tantissimo il canadese Mark Carney, governatore della Banca d’Inghilterra, che si è sentito preso di mira. Complice un deserto assoluto a sinistra – gli ultimi sondaggi danno i Tories al 43% e il Labour al 27% - la May sta cercando di usare l’asso pigliatutto, annunciando una brusca inversione di tendenza rispetto al liberismo thatcheriano e profilando un ruolo dello Stato molto più forte di quanto sia tradizionalmente accettato tra i conservatori. La sua durezza in materia di immigrazione, l’attenzione alle famiglie che fanno fatica ad arrivare a fine mese e i suoi riferimenti alle politiche del passato, un po’ nostalgiche, sono un modo per cercare di liberare il campo da ogni dubbio su da che parte

stia lei, soprattutto in vista di un negoziato sulla Brexit così tecnico che anche l’astrofisico Stephen Hawkings ha ammesso di non capirci nulla. Se non tutte le ragioni che hanno portato a votare contro la Ue sono da ascrivere al populismo, quelle a favore di una «hard Brexit» dannosa sotto il profilo economico lo sono molto di più e May deve evitare a tutti i costi che Ukip aizzi l’opinione pubblica nelle fasi più delicate del negoziato. La premier, che sta tenendo un profilo basso e sta evitando di farsi trascinare in polemiche, ha dalla sua parte il fatto di poter rubare politiche a destra e a sinistra in modo da ergersi a paladina del popolo e emergere come la figura forte nell’alleanza tra conservatori sociali e fautori del libero mercato che alberga all’interno nel suo partito. Populista negli annunci e pragmatica nelle politiche, la May sta portando avant un esperimento che può non piacere, ma che potrebbe dover essere seguito dai politici di tutto il mondo. Vedremo come la decisione dell’Alta Corte di Londra del 3 novembre scorso, che impone un pronunciamento del Parlamento britannico sulla Brexit, influirà sulle sue scelte.


Un grande tormento per i piccoli: la pipì a letto

Svegliarsi la mattina in un letto bagnato è un peso per ogni bambino. E anche i genitori soffrono, sono stressati e spesso disorientati. Ma è possibile aiutarsi in modo rapido e ottenere il giusto sostegno. L’enuresi notturna è frequente. Un bimbo su cinque o sei in età prescolare e anche due o tre bambini in media per classe elementare si svegliano regolarmente in un letto bagnato. L’enuresi notturna è così, dopo le allergie, l’affezione cronica più frequente negli anni d’infanzia. L’enuresi notturna è un peso. Per i ragazzi alle soglie della scolarizzazione o persino già in età scolare o addirittura adolescenziale non ancora asciutti, il problema diventa un vero e proprio peso. Per vergogna, paura di essere derisi o emarginati, i piccoli non vogliono dormire da amici o si rifiutano di partecipare per es. a gite scolastiche di più giorni. Inoltre, spesso, chi è affetto da enuresi notturna dorme male e riscontra con maggior frequenza problemi a scuola. E anche i genitori soffrono. Si preoccupano per il figlio, si tormentano per la sensazione di aver sbagliato nel loro compito di educatori e l’estenuante cambio della biancheria, anche più volte a notte, può spingere l'intera famiglia in una crisi. La pipì a letto si può combattere. Nessuno è colpevole dell’enuresi notturna. La causa di un letto bagnato non è un errore educativo, né tantomeno una

Reportage pubblicitario

Le storie della buona notte di DRYNITES®

reazione ostinata del bambino. L’enuresi notturna è quasi sempre legata a un ritardo nello sviluppo corporeo, che si può affrontare di regola rapidamente e con facilità con l’aiuto di un medico. Sabine Petzl, attrice e coautrice.

Raramente è dovuta a un problema psichico, ma lo può invece diventare se non affrontata correttamente.

Per i bambini affetti da enuresi notturna i rituali prima di andare a coricarsi sono particolarmente importanti. Li aiutano infatti a combattere le loro paure e li rassicurano.

Un ottimo sostegno è offerto anche dalla biancheria da notte assorbente, come le mutandine DryNites® da indossare sotto il pigiama, in vendita alla Migros. Dal design alla moda differenziato per maschietti e femminucce, le DryNites® sono prodotte in un materiale simile alla stoffa e sono comode proprio come le comuni mutandine, ma proteggono come un pannolino.

A tale scopo, l’attrice austriaca Sabine Petzl (conosciuta per le sue interpretazioni nelle serie televisive Guardia costiera, Il commissario Rex e Medicopter) in collaborazione con DryNites® ha registrato diverse storie della buona notte in versione libro sonoro.

Le DryNites® offrono così una protezione discreta e aiutano a rompere il circolo vizioso di insicurezza e mancanza di autostima causato dalla pipì a letto. I bambini vanno così a dormire con maggior fiducia in loro stessi e osano persino trascorrere la notte da amici, divertirsi a un pigiama party o seguire la classe per escursioni con pernottamento.

Le avventure di Jamie, Ella, Sam e del piccolo elfo Buki sono disponibili gratuitamente sul sito drynites.ch.

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 7 novembre 2016 • N. 45

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Politica e Economia

Tasselli di un mosaico confuso Elezioni USA 2016 Alcuni piccoli spunti di riflessione per mettere a fuoco lo scenario

di una situazione complessa e piena di incognite

Federico Rampini A poche ore dal voto americano, e dopo una defatigante campagna elettorale durata quasi due anni, il commento più calzante lo ha fatto lo storico inglese Andrew Roberts riesumando una battuta di Henry Kissinger all’epoca della prima guerra Iran-Iraq: «Peccato che non possano perdere entrambi». È forse l’unica cosa su cui oggi la maggioranza degli americani sono d’accordo: la scelta è fra due pessimi candidati, le cui debolezze sono diventate ancor più evidenti in quest’ultima fase segnata da fango, veleni, scandali, uno spettacolo da Repubblica delle banane. Se pensate di trascorrere la notte fra l’8 e il 9 incollati al televisore in attesa degli exit poll (che rischiano di arrivare quando da voi in Europa spunta l’alba), eccovi un mio manualetto, una guida personale che ho scritto a capitoli, per aiutarvi a decifrare i dati e a situarli nel quadro complessivo. Cominciando da un «riassunto delle ultime puntate», cioè una sintesi dell’atmosfera e delle previsioni nella dirittura finale. Brividi tra i democratici

Se Barack Obama critica l’Fbi, accentuando l’atmosfera da crisi istituzionale, ha le sue ragioni. Nel merito: l’Fbi sembra impegnata in fughe di notizie a senso unico, solo contro i democratici, avendo riesumato perfino una vecchia inchiesta su Bill Clinton di 15 anni fa. Ma per spiegare il gesto di Obama c’è un altro fattore: la paura. L’avvicinarsi del voto coincide con un aumento dell’incertezza. Sondaggi

«Sì, Donald Trump ha un percorso verso la vittoria». Il verdetto è autorevole, porta la firma di Nate Silver (sito FiveThirtyEight), il massimo esperto di sondaggi. Il vantaggio di Hillary è sceso ai minimi termini, ormai tre o quattro punti: dentro la forchetta di errore statistico. Anche l’analisi che conta di più, quella compiuta Stato per Stato che sfocia sul conteggio dei «grandi elettori», dà lo stesso risultato: da due settimane la rimonta di Trump è netta. Tornano ad essere contendibili molti Stati in bilico che erano finiti nella casella di Hillary. Scandali vs. Obamacare.

Perché questa frana tardiva nei consensi verso la candidata democratica? Il trend dei sondaggi era cominciato prima che l’Fbi rilanciasse lo scandalo delle email segrete, quindi non è detto che questo strappo abbia influito, anche se di certo è negativo per Hillary finire la campagna sulla difensiva, circondata da un’atmosfera di sospetti. I media di sinistra rilan-

ciano gli scandali di Trump. Ma l’elettore forse si fa influenzare più da questioni che lo toccano personalmente: come l’aumento del 25 per cento nelle tariffe dell’assicurazione medica, che dà ragione alle accuse di Trump sulla riforma sanitaria di Obama.

Ohio

Altro Stato industriale, cerniera tra la East Coast e il Midwest, ha un bottino di 18 voti. Era la roccaforte del governatore repubblicano (moderato) John Kasich malamente sconfitto da Trump nelle primarie. Anche se la Clinton gode di un leggero vantaggio nei sondaggi, qui il tycoon rimane competitivo. Strappare l’Ohio per lui può significare anche una performance migliore del previsto in altri Stati della cosiddetta «cintura della ruggine», la vecchia America delle fabbriche.

Disciplina di partito

Determinante è anche il ri-compattamento delle due famiglie politiche. Più si avvicina la scadenza elettorale più si rafforza il riflesso di appartenenza in un paese fondamentalmente bi-partitico. Anche i repubblicani che lo attaccarono pubblicamente hanno finito per schierarsi con Trump. Quando lui toccò i minimi nei sondaggi una parte dei repubblicani erano in libera uscita o accarezzavano l’idea di un voto di protesta per il libertario Gary Johnson, ora «tornano a casa» pur di non rivedere una presidenza Clinton.

Texas

Voto afroamericano

Con gli elettori indecisi che ormai sono ridotti ai minimi, ora quel che conta è fare il pieno di consensi in casa propria. Il pericolo è l’assenteismo. Perciò spaventa i democratici il dato dalla Florida: nelle votazioni anticipate l’affluenza dei neri è stata inferiore al previsto, inferiore alle elezioni di Barack Obama. Hillary ha bisogno di fare il pieno di voti afroamericani per compensare il vantaggio di Trump fra i bianchi maschi. Idem fra ispanici e Millennial. Mercati

Gli investitori preferiscono la continuità (Hillary) al salto nel buio (Trump). Non amano le proposte fiscali dei democratici (più tasse sui ricchi) ma detestano la retorica contro il libero scambio del repubblicano. Oltre a divorare sondaggi pubblici, le banche di Wall Street usano fonti private. Il calo della Borsa sembra «prevedere» una vittoria di Trump. Ma non è infallibile: a Londra la Borsa si era convinta che avrebbe vinto il Remain. Sistema elettorale

Il presidente degli Stati Uniti non viene eletto sulla base di una percentuale nazionale, per questo i sondaggi generalisti compiuti sui 50 Stati Usa sono un termometro di popolarità ma possono indicare un vincitore diverso da quello che alla fine conquisterà la Casa Bianca. Nel sistema americano i voti si contano Stato per Stato. Ciascuno Stato esprime un certo numero di «grandi elettori» che andranno a formare il collegio elettorale nazionale. Il peso dello Stato è proporzionale alla popolazione, sicché il numero uno è la California (55), secondo il Te-

L’artista Pedro Reyes e la sua installazione di protesta Doomocracy, la casa stregata degli orrori politici, dedicata alle elezioni americane, a New York. (Keystone)

xas (38), al terzo posto si affiancano New York e la Florida (29 ciascuno), e così via. Vince chi si aggiudica 270 delegati. Con rarissime elezioni gli Stati applicano un sistema maggioritario puro, per cui il primo arrivato arraffa la totalità dei delegati nello Stato. Molti Stati esprimono tradizionalmente una maggioranza netta, di destra o di sinistra, il che accentua l’importanza di quegli Stati che invece sono «in bilico» e possono di volta in volta finire nel campo repubblicano (rosso) o democratico (blu). Tuttavia, sia per effetto di cambiamenti demografici (immigrazione) sia per il carattere anomalo di questa campagna e della candidatura Trump, non è escluso che le tradizionali preferenze politiche possano subire cambiamenti vistosi. L’altra elezione: Congresso

Si elegge anche la Camera dei deputati, e si rinnova un terzo del Senato. Chi conquista il Senato condiziona le nomine del presidente alla Corte suprema (fra l’altro), sicché è giusto dire che perfino il massimo organo giudiziario è in palio. Attualmente la Corte suprema è divisa a parità fra giudici repubblicani e democratici ma c’è un seggio vacante da riempire. La vittima quasi certa di questa elezione, chiunque vinca: la legittimazione dell’avversario. Quindi la possibilità di trovare intese bipartisan, e un’agenda di riforme condivise da varare rapidamente al Congresso. Su questa analisi del dopovoto concordano quasi tutti. Se si avvera,

avremo una democrazia più malata che mai, un sistema indeciso a tutto, un Congresso paralizzato. Se i repubblicani conservano almeno la Camera, lanceranno inchieste parlamentari a ripetizione su Hillary e i suoi scandali. Alcuni Stati chiave. Florida

Da sempre il trofeo più ambito tra i collegi in bilico. Fu decisiva (con brogli) nella sfida Bush-Gore. La demografia favorisce la Clinton: aumentano gli immigrati ispanici che hanno la cittadinanza, e non gradiscono la xenofobia di Trump. Ma lei può anche permettersi di perderla mentre per Trump un «percorso di vittoria» senza Florida è arduo. La media degli ultimi sondaggi assegna la Florida a Trump con un margine esiguo, dello 0,5%, ben al di sotto della probabilità di errore statistico. Pennsylvania

Con 20 «grandi elettori» è uno Stato medio-grande. C’è abbastanza classe operaia bianca danneggiata dalle delocalizzazioni, da essere conquistabile per Trump col suo protezionismo. Invece la Clinton è favorita con un margine di 5 punti. Forse per questo Trump ha parlato di «cose orrende» che accadono a Philadelphia: i presunti brogli sono un’allusione a qualcos’altro, troppi neri che votano. Ma se la sera di martedì 8 dovessimo scoprire che la Pennsylvania va a destra, sarebbe il segnale che i sondaggi hanno sbagliato, l’avvisaglia di una «frana» imprevista di Hillary.

L’inverosimile traguardo che fa sognare i democratici. Dopo il presidente Lyndon Johnson (ultimo democratico texano alla Casa Bianca) lo Stato del Big Oil è passato stabilmente nel campo repubblicano. Con i suoi 38 grandi elettori è indispensabile alla destra per bilanciare la progressista California (55). I sondaggi lo assegnano a Trump, ma con un margine meno solido di altre tornate elettorali. Se dovesse scivolare a sinistra il Texas, si aprirebbe uno scenario da «landslide», la frana del Grand Old Party. Con effetti a catena sul Congresso dove i democratici potrebbero riconquistare la maggioranza non solo al Senato ma forse perfino alla Camera. Le due Americhe

Il rosso (che qui indica la destra) e il blu si mescolano poco. L’America liberal è prevalentemente sulle fasce costiere, quella conservatrice presidia il profondo Sud e i petro-Stati dove domina il business delle energie fossili. Le varianti sono spesso legate ai flussi migratori. Alcuni Stati del Sud sono diventati «contendibili» per i democratici in seguito all’aumento dell’elettorato ispanico. Non è scontato che gli immigrati siano di sinistra: nella sua storia il partito repubblicano ha saputo conquistare dei consensi tra italiani, irlandesi, polacchi. Ma le ultime posizioni sull’immigrazione hanno creato un solco. Se i sondaggi sbagliano?

Cosa potrebbe determinare un flop delle previsioni? In genere chi mette in dubbio la loro attendibilità, pensa che possano sottostimare gli elettori di Trump. Due le ipotesi in questo caso. La prima è che esistano dei seguaci di Trump che si vergognano a palesarsi nei sondaggi; la seconda è che la campionatura delle indagini demoscopiche non tenga conto della capacità di attrazione del tycoon newyorchese su fasce di popolazione che tradizionalmente non vanno a votare. Sono supposizioni che ci inseguiranno ancora per qualche ora. Annuncio pubblicitario

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 7 novembre 2016 • N. 45

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Politica e Economia

L’eredità di Obama

Presidenziali USA N onostante le speranze di cambiamento incarnate dal presidente afro-americano siano state

disilluse, la distruttiva campagna che ha opposto Clinton e Trump rende meno severo il giudizio sul suo mandato Paola Peduzzi La campagna elettorale più distruttiva della storia americana ha già avuto un effetto chiaro: far sentire nostalgia di Barack Obama da subito, da mesi, da un anno, anche se tecnicamente il suo successore s’insedierà alla Casa Bianca alla fine del gennaio prossimo. Anatre zoppe: così sono chiamati i presidenti a fine mandato, e quando alla festa di Halloween della Casa Bianca, a una settimana dall’Election Day, si è presentato un bambino vestito da anatra gialla con bende vistose, Barack e sua moglie Michelle hanno riso. Obama non ha nulla dell’anatra e certo non sembra zoppo, visto che non è mai stato tanto popolare durante il suo secondo mandato quanto lo è adesso. Le critiche, i giudizi negativi, le aspettative deluse: tutto è stato sospeso nelle ultime settimane, Obama sembra a un tratto insostituibile e inarrivabile, e lui ne approfitta, gioca con la nostalgia mondiale – sono tornati gli occhi eccitati che guardavano il primo Obama come la salvezza: in Europa si sospira senza sosta quando si parla del voto americano – mostrando una nuova, irresistibile spensieratezza. Non dovendo più rivincere alcuna elezione, il presidente cool s’è impegnato in quello in cui è più bravo: è una macchina elettorale vivente, l’apertura delle urne lo galvanizza, questo voto in particolare ha tirato fuori quella potenza, quell’empatia che soltanto nel 2008 Obama aveva mostrato (già nel 2012, con quattro anni di governo sulle spalle, non era altrettanto ispirato). Con Michelle al suo fianco, autrice dei discorsi più belli di questa campagna elettorale, la first lady dei sogni che ora tutti vorrebbero alla Casa Bianca (lei dice che non ci pensa proprio), Obama ha steso di emozioni tutti gli americani. «Hope and change», speranza e cambiamento, questo era lo slogan del primo presidente nero della storia degli Stati Uniti. «Se qualcuno ancora lì fuori dubita che l’America sia il posto in cui tutto è possibile – disse Obama nella notte elettorale del 2008, al Grant Park di Chicago pieno di commozione – Se c’è qualcuno che ancora s’interroga sul fatto che il sogno dei nostri padri fondatori sia ancora vivo, se c’è qualcuno che ancora ha domande sulla potenza della nostra democrazia, questa notte ha trovato la risposta». Oggi quelle parole – ha scritto il «Washington Post» – sembrano «residui di un’altra epoca». Forse questo è il momento di minore speranza per il popolo americano: il patto bipartisan siglato da Obama all’inizio del suo mandato è stato più volte violato, la lotta tra repubblicani e democratici, tra l’America rossa e quella blu che il presidente dell’unità sognava di superare, è diventata durissima, e spesso Obama si è ritrovato nella posizione di dover esercitare i suoi diritti presidenziali per supe-

Barack Obama a un comizio in favore di Hillary Clinton: in campagna elettorale Obama ha ritrovato la sua capacità di ammaliare il pubblico. (Keystone)

rare le battaglie politiche al Congresso. Il trumpismo, con i suoi effetti che ancora devono essere quantificati, ha contribuito allo scollamento tra Washington e la «pancia» del paese. Anche la piazza si è riempita, a causa soprattutto dello scontro tra la polizia e la comunità afroamericana: spesso Obama, incarnazione dell’America post-razziale, ha dovuto gestire una crisi culturale bianchi-neri profonda e a tratti incurabile. Le conseguenze sono rilevabili nelle inclinazioni di voto di questi ultimi giorni, con il cosiddetto voto bianco schierato in gran parte con Donald Trump e le minoranze alleate con Hillary Clinton – con una sostanziale disaffezione nell’elettorato afroamericano. Di quella formula «hope and change», anche il cambiamento ha subito grandi trasformazioni. Oggi un candidato del cambiamento non c’è più, e in generale la retorica del «change» è andata affievolendosi anche a livello globale dopo il grande exploit di Obama. Hillary è la candidata della continuità, Trump della rottura, e quindi in teoria di un cambiamento che però è percepito in modo molto negativo, perché, come ha detto spesso anche Oba-

Obamacare è stato uno dei primi successi, ma la copertura sanitaria per tutti ha portato ad un aumento dei costi della salute. (Keystone)

ma nei suoi comizi, il paese non ha più «un cuore aperto». Molti commentatori sono convinti che il presidente stesso sia la causa di questa trasformazione: la sua professione di cambiamento è stata spesso disattesa dai fatti. Questo giudizio, soprattutto sul fronte interno, è in parte ingiusto: l’economia ha dato segni di grande ripresa – l’ultimo trimestre con la crescita al 2,9 per cento è stato straordinario – e se è vero che la middle class americana (e internazionale) sta pagando ancora il prezzo dello choc finanziario del 2008, è altrettanto vero che i dati sull’impoverimento si sono invertiti e anzi, in alcune fasce della popolazione, si sono registrati picchi di benessere come non c’erano da decenni. Allo stesso modo la promessa obamiana «sarò un presidente liberal» è stata mantenuta sul fronte dei diritti e della copertura sanitaria: con la legge sul matrimonio gay e con l’Obamacare si sono aperti fronti culturali nuovi per tutto il paese. La rivoluzione, da un punto di vista ideologico, è innegabile. Ma proprio l’Obamacare rappresenta a oggi una delle ferite più dolorose per il mondo democratico: con l’aumento dei costi della copertura sanitaria scattati proprio a ridosso del voto (il primo novembre), il costo di una riforma «universale» è diventato a un tratto concretissimo, e non è un caso che molti candidati democratici del Congresso abbiano iniziato a non citare più con troppo entusiasmo gli effetti della «sanità per tutti». L’immobilismo maggiore però, il tradimento più sentito della promessa di cambiamento, riguarda la politica estera. Obama è arrivato alla Casa Bianca con l’obiettivo di porre fine alle guerre bushiane, ma il ritiro dei soldati dall’Afghanistan è stato – necessariamente – rallentato a causa di una continua recrudescenza dell’offensiva talebana; in Iraq il ritiro è stato completato con una grande enfasi («welcome home!», urlò Obama ai soldati rientrati dal paese alla fine del 2011), ma a oggi l’America, con i suoi alleati, è di nuovo

fortemente impegnata contro lo Stato islamico. Si può dire che nonostante la riluttanza ideologica e il mancato dispiegamento di truppe sul terreno (ce ne sono, anche tante, seimila soltanto in Iraq per dire, ma non si tratta di «un’invasione»), Obama ha fatto parecchie guerre: Iraq, Afghanistan, Yemen, Somalia, Libia. Ma è la questione siriana che forse contribuirà in maniera maggiore a definire la cosiddetta «legacy», eredità, obamiana. L’inerzia del presidente sulla gestione del regime di Bashar el Assad è stata analizzata in ogni modo: Obama non ha voluto intestarsi una battaglia che i paesi dell’area avrebbero potuto e dovuto, secondo lui, combattere con un obiettivo comune. Il multinazionalismo di questa Amministrazione ha avuto un volto chiaro: ognuno si occupi dei problemi della propria area geografica, gli europei «freeriders», scrocconi, in particolare. Ma questa strategia, protratta per anni con alcuni errori enormi come la violazione impunita delle «linee rosse» sull’utilizzo delle armi chimiche in Siria, ha contribuito a determinare due variabili che resteranno sulle spalle del successore di Obama (tutta la questione siriana in realtà rimane sulle spalle del futuro presidente: al momento l’Amministrazione americana sta cercando di cambiare gli equilibri sul campo in Iraq, con la battaglia di Mosul). Il primo riguarda il ruolo della Russia, che è entrata nella guerra siriana un anno fa e ha tenuto in piedi il regime di Assad aumentando di molto la pressione sull’opposizione al dittatore – opposizione come si sa molto variegata. Se la Russia, nonostante le parole, non ha ancora inferto un colpo letale allo Stato islamico, allo stesso tempo si è messa di traverso in ogni consesso internazionale, a partire dall’Onu. Riempie un vuoto, la Russia, lasciato dallo stesso Obama e i consiglieri più falchi della Casa Bianca (falchi liberal si chiamavano una volta) vengono accusati di aver violato la promessa che fecero negli anni Novanta, quando di fronte allo scempio

umanitario del Ruanda dissero «mai più». L’apertura all’Iran con l’accordo sul programma nucleare rappresenta il successo diplomatico più importante del mandato obamiano, ma le sue ripercussioni soprattutto sul terreno di guerra sono già pericolose: l’alleanza tra iraniani, russi e regime siriano è in sostanziale contrasto con la coalizione a guida americana in Siria, e la mancata collaborazione ha già avuto effetti disastrosi sul popolo siriano e sulla crisi dei rifugiati che spezza in più parti l’Unione europea.

Oggi un candidato del «cambiamento» non c’è più: Clinton rappresenta la continuità, Trump una rottura in negativo La politica estera però non ha avuto grande impatto nel dibattito elettorale e nel definire la presidenza obamiana oggi gli americani guardano ad altro: basti pensare che durante un dibattito elettorale tra Trump e Hillary molte persone sono andate a cercare su Google la parola «lepo», perché non sapevano a che cosa si riferissero i candidati quando parlavano di «Aleppo». E al momento Obama gioca la carta della spensieratezza rivendendosi come il più grande mobilitatore del voto «del cambiamento» esistente al mondo: ogni volta che parla, il presidente fa appello ai giovani, parla ai giovani, dice di essere dov’è grazie ai giovani e al loro istinto naturale verso la speranza e il cambiamento. È questo il testimone che Obama vuole passare a chi viene dopo di lui, il successo di cui va più fiero, l’aver incarnato un simbolo rivoluzionario stando seduto sulla sedia più istituzionale che c’è, facendosi venire i capelli grigi, ma lasciando intatta la sua capacità di ispirare, anche quando la realtà è stata meno brillante della sua irresistibile promessa.


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 7 novembre 2016 • N. 45

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Politica e Economia

Le sette vite di Rajoy

Spagna Il leader conservatore è riuscito a formare un esecutivo dopo 315 giorni di stallo politico.

La guerra interna al partito socialista e le pressioni dell’establishment hanno giocato un ruolo decisivo

Gabriele Lurati A Madrid lo definiscono come un «sopravvissuto». A 61 anni, di cui una quarantina passati in politica, alla fine l’ha spuntata ancora lui: l’inossidabile Mariano Rajoy. Dato per politicamente finito più volte nel corso della sua lunga carriera (due volte sconfitto da Zapatero nel 2004 e 2008), uscito miracolosamente illeso da un incidente di elicottero una decina di anni fa, toccato da vicino dai numerosi scandali di corruzione all’interno del proprio partito, undici mesi fa nessuno avrebbe scommesso su di lui dopo i non brillanti risultati del Partito popolare (Pp) alle elezioni di dicembre 2015. Tuttavia Rajoy ha tenuto duro, tirando avanti per la sua strada, aspettando pazientemente che le acque si calmassero. Dopo aver ottenuto un miglior risultato nelle successive elezioni di giugno, ha atteso per quattro mesi lungo la riva del fiume fino a vedere passare il cadavere del suo maggior rivale politico (l’ex segretario socialista Pedro Sánchez, eliminato in ottobre dal «fuoco amico» del suo stesso partito) e si è rimesso di nuovo in sella al governo. È stato dunque un attendismo vincente quello di Rajoy, ma il neonato esecutivo non avrà vita facile in questa legislatura, dato che il Pp ha solo 137 deputati nelle Cortes, mentre la maggioranza è di 176 parlamentari. Pur avendo stretto un accordo di governo con i liberal-centristi di Ciudadanos (32 deputati) e avendo beneficiato di una tormentata astensione dei socialisti del Psoe nell’elezione di investitura, Rajoy dovrà dimostrare di avere abilità negoziali e fare delle concessioni se non vorrà finire spesso in minoranza in Parlamento. Il leader del Pp si è detto pronto al dialogo e si è proposto di governare per tutta la legislatura, ma la strada è piena di ostacoli e sin da subito dovrà affrontare tre grandi problemi.

L’appoggio esterno del Partito socialista a Rajoy è costata la carica di segretario a Pedro Sanchéz Il primo e più urgente in ordine di tempo sarà l’approvazione della legge di bilancio per il 2017 che si prevede sarà durissima, visto il perdurare del deficit delle casse dello Stato spagnolo (un –5% previsto per il 2016). L’Unione europea ha recentemente mandato una lettera al ministro dell’economia spagnolo per ricordargli che nell’imminente manovra economica dovrà includere ulteriori 11 miliardi di euro di nuove entrate per i prossimi due anni. A Rajoy rimarranno quindi solo due opzioni: o aumentare le tasse o tagliare la spesa pubblica. La linea preferita da Bruxelles è quella della continuazione delle politiche di austerità economica che Rajoy ha attuato nei suoi primi quattro anni di governo. Non a caso si vocifera che l’Ue avrebbe sospeso il procedimento di infrazione aperto nel luglio scorso nei confronti della Spagna per continuo eccesso di deficit (da ben otto anni consecutivi il Paese iberico supera abbondantementente il limite di disavanzo del 3% del PIL, favorendo una crescita smisurata del debito pubblico, passato dal 40% del 2008 a un preoccupante 103% del PIL) in cambio di una prosecuzione del programma di austerity, una volta formato il nuovo governo. Rajoy sarà quindi costretto a una finanziaria da «lacrime e sangue» che comporterà una nuova serie di tagli e conseguente malcontento sociale, tanto che alcuni analisti prevedono già un autunno con scioperi e contestazioni.

Mariano Rajoy presta giuramento quale nuovo capo del Governo. (Keystone)

Il secondo ostacolo è di ordine politico. Quanti e quali appoggi troverà Rajoy in Parlamento per far approvare le leggi? Per il momento ha assicurato solo i voti di Ciudadanos e quindi dovrà continuamente cercare delle sponde anche in altri partiti per raggiungere la maggioranza parlamentare necessaria. Quando si approverà la legge di bilancio, si avrà un’idea più chiara sulla durata e sulla tenuta del governo di minoranza di Rajoy. I socialisti hanno già fatto sapere che non sono disposti a dare il loro appoggio a una manovra in linea con quelle neo-liberali anteriori di Rajoy. In quel momento si capirà se realmente il primo ministro avrà appreso dagli errori del passato, passando così da premier intransigente e poco incline alla ricerca del consenso, a capo di un esecutivo disposto a negoziare e a fare delle concessioni agli altri partiti, al Psoe in primis. Intanto, la crisi interna in casa socialista ha tenuto banco nei media spagnoli nel corso degli ultimi trenta giorni. Nelle file del Psoe si è consumato infatti una sorta di assassinio politico, degno dei migliori gialli, che ha dilaniato il partito. Il tutto è iniziato con la defenestrazione dell’ex segretario Pedro Sánchez da parte dei cosiddetti «baroni territoriali» del partito (capitanati da Susana Díaz, l’ambiziosa presidente dell’Andalusia) che, durante una riunione del direttorio nazionale, hanno messo in minoranza lo stesso Sánchez, costringendolo alle dimissioni. Un contributo decisivo a questo golpe interno lo ha dato anche una figura storica del partito come l’ex premier Felipe González e la campagna mediatica ostile a Sánchez orchestrata dal gruppo editoriale proprietario del giornale «El Pais». La «colpa» di Sánchez, sostenuto nella sua posizione dalla maggioranza dei militanti del suo partito ma non dai pesi massimi dello stesso, è stata quella di essersi sempre dichiarato contrario a un governo guidato dal nemico storico Rajoy (il suo famoso «no è no» lo ha ripetuto con coerenza fino alle estreme conseguenze, tanto che si è dimesso da deputato proprio nel giorno dell’investitura di Rajoy). L’ex segretario del Psoe però ha pagato anche per la sua volontà di volere formare un governo progressista assieme a Podemos. Questa opzione era invisa e considerata pericolosa dall’establishment spagnolo (il sistema finanziario e le grandi banche non hanno mai nascosto la loro contrarietà alla presenza del movimento della sinistra radicale di Podemos in un possibile governo) ed è stata fatta abortire con la forza, come raccontato dallo stesso Sánchez in un’intervista televisiva. Si è assistito di fatto a una vera e propria intromissione dei poteri forti nella vita politica che ha prodotto una lacerazione nel partito socialista. Con la decisione di astenersi nell’investitura di Rajoy, il Psoe si è immolato per la causa di formare un governo nell’interesse del Paese, trovandosi però ora sen-

za un leader, con il partito diviso in varie correnti e con prospettive nefaste. Di questa debolezza e confusione all’interno dei socialisti ne ha subito approfittato il leader di Podemos Pablo Iglesias, ritagliando per sé e per il suo partito il ruolo di unica vera opposizione a quello che ha definito il governo della «Triplice alleanza» (Pp, Ciudadanos e Psoe). L’esecutivo di Rajoy si trova infine sulla strada una terza grande questione spinosa da affrontare: la sfida indipendentista catalana. Il presidente del governo catalano Carles Puigdemont ha infatti da tempo annunciato che nel

settembre prossimo anno si celebrererà un referendum sull’indipendenza da Madrid. Puigdemont e i partiti autonomisti che formano il governo catalano in carica da gennaio affermano di essere determinati ad andare avanti nel loro progetto secessionista (chiamato di «disconnessione catalana»). I fautori del quesito referendario sperano di trovare questa volta una soluzione consensuale con il governo di Rajoy per poterlo effettuare legalmente, dato che nel 2014 già si svolse un referendum analogo, ma che fu dichiarato previamente illeggittimo dalla Corte Costituzionale. In questo contesto di relazioni tese tra Madrid e Barcellona, si è inserito recentemente un altro elemento che ha fatto infuriare i catalani. La stessa Corte costituzionale ha revocato il divieto dello svolgimento delle corride in Catalogna, cancellando di fatto la scelta antitaurina votata nel 2010 dal Parlamento catalano. Questo è stato interpretato a Barcellona come l’ennesima sentenza politica in chiave anti-catalana voluta dal Pp, un partito che vede nella corrida un simbolo dell’unità di Spagna e che ha approvato nel 2015 proprio una legge che considera la tauromachia come «patrimonio storico e culturale nazionale». Molti catalani hanno considerato questo fatto come l’ennesima restrizione alla loro libertà di legiferare sul territorio della propria «nazione» e sono scesi per le strade a gridare una volta di più la loro rabbia verso Madrid al grido di «indipendenza».

I grattacapi non mancano dunque per Rajoy e ci si interroga anche come il premier affronterà altri temi chiave di questa legislatura, come la riforma della scuola e delle pensioni, adesso che il Pp dovrà governare in minoranza e vedersela con un’opposizione composita (e non più solo fatta da un unico partito come in passato). Rajoy intende governare per quattro anni e ha ripetuto più volte nel suo discorso di investitura la parola «dialogo», dichiarandosi disponibile a negoziare l’approvazione delle leggi con la maggior parte dello spettro politico parlamentare, ma ha anche detto che non modificherà le leggi più importanti approvate nel suo precedente mandato (riferendosi soprattutto alla riforma del mercato del lavoro che ha consentito una minima diminuzione della disoccupazione, da poco scesa sotto la soglia del 20%, ma ha portato anche molta precarietà occupazionale). È poco probabile quindi che il governo Rajoy possa durare un’intera legislatura, ma è difficile prevederne la durata. Alcuni commentatori politici ritengono però che se Rajoy dovesse finire sin da subito costantemente in minoranza alle Cortes, il premier potrebbe sciogliere il Parlamento e convocare nuove elezioni già fra sei mesi. Questo gli consentirebbe di approfittare dell’attuale debolezza del Psoe e di affrontare con più forza la sfida indipendentista catalana in nome dell’unità di Spagna. Annuncio pubblicitario

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 7 novembre 2016 • N. 45

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Politica e Economia

Distribuzione degli utili su nuove basi

Banca Nazionale Svizzera L’utile del terzo trimestre è di quasi 30 miliardi di franchi ma la BNS vuole consolidare

il contributo di un miliardo all’anno a Confederazione e Cantoni Ignazio Bonoli Nel terzo trimestre di quest’anno, la Banca Nazionale Svizzera ha realizzato un utile d’esercizio di 28,7 miliardi di franchi. Oltre 20 miliardi sono dovuti alle posizioni in valute estere. Anche le riserve d’oro hanno generato 7,5 miliardi di utili. Il risultato era largamente previsto e, se la tendenza continuerà fino alla fine dell’anno, si possono creare le premesse per una maggior distribuzione ai Cantoni e alla Confederazione. Con l’accordo della Confederazione, la Banca Nazionale ha però deciso di mantenere l’attuale regola di una distribuzione di un miliardo di franchi all’anno, in atto da ormai cinque anni. Ma questa distribuzione provvisoria diventerà definitiva, con una durata che il Consiglio federale deciderà probabilmente verso metà novembre. Anche i Cantoni dovrebbero essere soddisfatti, se si considerano oggettivamente le condizioni operative della Banca Nazionale. Lo scopo dell’istituto non è infatti quello di realizzare utili e tanto meno di distribuirli. Inoltre i Cantoni non dovrebbero contare su questo apporto nei loro bilanci preventivi, poiché non è sempre garantito. Gli utili della Banca Nazionale, in particolare negli ultimi tempi, sono soggetti a forti oscillazioni e dipendono in grande misura – come si vede - dall’andamento delle divise estere. Il loro valore dipende dalle quotazioni del mercato e la loro entità dipende dall’u-

Lavori in corso alla BNS, nel giugno scorso: gli utili oscilleranno anche in futuro, poiché dipendono in larga parte dai tassi di cambio dell’euro. (Keystone)

so che la Banca Nazionale può o deve farne, in funzione delle misure di politica monetaria che deve adottare. La novità del nuovo accordo consiste nel definire questa distribuzione di utili una misura «di base». Questo significa che in certi casi può aumentare, ma anche che in altri casi può diminuire. Nelle nuove regole è però ancorato il principio di una compensazione dei versamenti anno per anno. Nel senso che, in caso di mancato versamento per un anno, negli anni seguenti possono

essere versate delle compensazioni, tendenzialmente volte a raggiungere la distribuzione «di base» di un miliardo di franchi. Miliardo che – come noto – viene assegnato in misura di un terzo alla Confederazione (che di regola lo riversa all’AVS) e di due terzi ai Cantoni che sono i maggiori azionisti della Banca Nazionale. Il miliardo era già quello stabilito nel 2011, quando la Banca Nazionale non era più stata in grado di distribuire i 2,5 miliardi dell’accordo preceden-

te. Quest’anno non dovrebbero esserci problemi perché i conti stanno migliorando, anche se la banca centrale non è mai al riparo da eventuali sorprese. Comunque i suoi dirigenti devono sempre dar prova di molta prudenza. Esaminati sotto l’aspetto della gestione bancaria, i conti presentano, per esempio, una quota di capitale proprio tra il 12 e il 13%, che è abbastanza debole anche in riguardo a tempi passati. Diverso il discorso per quanto concerne le riserve. A fine agosto, le disponibilità della banca avevano ormai superato i 700 miliardi di franchi, di cui il 90% in divise estere. L’utile per i primi nove mesi dell’anno è vicino ai 30 miliardi di franchi. Oggi le riserve della Banca Nazionale sono circa il doppio di quelle di cinque anni fa e l’aumento delle disponibilità dovrebbe produrre anche un aumento degli utili. C’è già chi ha valutato che il solo gettito degli interessi dovrebbe garantire i 10 miliardi delle riserve per la distribuzione degli utili. Se si dovesse verificare l’auspicato aumento dei tassi di interesse, la Banca Nazionale potrebbe perdere parte del rendimento attuale, ma nell’arco di due o tre anni il rendimento dei tassi di interesse dovrebbe aumentare. Secondo una valutazione degli economisti di UBS, le previsioni di utili per la Banca Nazionale dovrebbero aggirarsi attorno ai 15 miliardi di franchi all’anno. Determinanti sono però i tassi di cambio. UBS valuta un leggero indebolimento del franco sull’euro e un leg-

gero rafforzamento sul dollaro. Se però queste previsioni non dovessero avverarsi e proseguire la tendenza di lungo periodo per il franco, gli utili potrebbero perfino scendere sotto il livello dei 10 miliardi. Gli economisti della BNS parlano comunque sempre di un franco sopravvalutato. Una sua riduzione potrebbe perciò provocare utili sui tassi di cambio.

A fine agosto la BNS aveva disponibilità per 700 miliardi di franchi, di cui il 90 per cento in divise estere È però difficile fare previsioni in questo campo. In ogni caso si può presumere che le oscillazioni degli utili saranno ancora molto ampie. Nel 2014, l’utile della BNS era di 38 miliardi di franchi, nel 2015 si registrò però una perdita di 23 miliardi, mentre quest’anno è nuovamente probabile un utile di una trentina di miliardi. Si tenga conto però che la variazione di un centesimo del tasso di cambio dell’euro sul franco ha un effetto di 2,5-3 miliardi sui bilanci della Banca nazionale. Per questo, oltre che per la bassa quota di capitale proprio, ma anche per l’enorme cifra di bilancio, la prudenza nella distribuzione degli utili è di rigore. Annuncio pubblicitario

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Politica e Economia Rubriche

Il Mercato e la Piazza di Angelo Rossi Una ferrovia gloriosa, dal futuro incerto È confortante constatare che in un Ticino che sta cogitando di isolarsi dal resto del mondo ci siano ancora ricercatori che si dedicano con passione, senza remunerazione specifica e non contando le ore di lavoro, a ricostruire le vicende di come questo cantone sia riuscito, in meno di un secolo, a fare un incredibile salto in avanti in civiltà e benessere, perseguendo una politica di sempre maggiore apertura verso l’esterno. Sono gli storici del Moderno tra i quali contiamo, per limitarci alle pubblicazioni apparse di recente, da un lato, Giorgio Bellini e Marco Marcacci, che hanno rifatto la storia delle strade, e, dall’altro Remigio Ratti, che ha ricostruito la storia della ferrovia del San Gottardo. Nel nostro paese, strada e ferrovia non sono solo le due innovazioni tecniche più importanti del diciannovesimo secolo, ma sono anche investimenti che non si sarebbero potuti fare senza la partecipazione dello Stato, del Cantone come

della Confederazione. Ma veniamo alla ferrovia del San Gottardo, questo monumento della tecnica ferroviaria che, per decenni, ha suscitato la meraviglia degli specialisti della mobilità su rotaia. Per Remigio Ratti la ferrovia del San Gottardo è stato il tema di ricerca di una vita. Ora esce con un nuovo libro dal titolo L’asse ferroviario del San Gottardo – economia e geopolitica dei trasporti alpini, pubblicato da Dadò. Come si è detto, la ferrovia, per Ratti è una parte importante del suo vissuto, anzi starei quasi per dire dei suoi affetti. Ratti, infatti, è nato in una famiglia di ferrovieri ed è cresciuto mangiando pane e ferrovia. Conosce, si potrebbe affermare quasi palmo per palmo la rete ferroviaria svizzera. In questo libro di storia e di analisi politiche c’è quindi anche una nota autobiografica che, come sottolinea il prof. Martin Schuler nell’introduzione, ne aumenta l’interesse e la credibilità. Il lettore si chiederà, vista l’abbondanza

delle pubblicazioni sulla ferrovia del S. Gottardo, se sia possibile trovare ancora nuovi aspetti che consentano di rivisitare in modo originale la storia del manufatto e quella dell’esercizio ferroviario sull’asse disegnato dallo stesso. Nel caso del libro di Ratti la risposta è affermativa. Messo un po’ da parte l’aspetto tecnico, che però non viene dimenticato, Ratti si concentra nella sua rivisitazione sugli aspetti politici e economici. E facendo questo non solo ci aiuta a meglio capire – grazie all’utilizzazione dettagliata di fonti che, di solito, vengono citate solo con il titolo – che cosa sia successo tra il 1850 e l’apertura della linea ferroviaria nel 1882, ma ci rifà una storia di come, dopo l’apertura della linea ferroviaria del S. Gottardo, si siano modificati e sviluppati in altre direzioni gli scambi di merci e i trasporti di persone a livello europeo. Se è vero che la Svizzera, per la sua posizione geografica, è il cuore dell’Europa, è però

anche vero, come dimostra l’autore di questa pubblicazione, che piattaforma degli scambi lo è diventata solo con la realizzazione dell’asse ferroviario gottardiano. Non solo ma quasi, quasi, si legge tra le righe che l’asse moderno dello sviluppo europeo, la cosiddetta «banana blu» che va dal sud dell’Inghilterra alla Lombardia, passando per la Francia e la Svizzera, non ci sarebbe mai stato senza la ferrovia del S. Gottardo. Milano può quindi dire grazie ai promotori di questa ferrovia se oggi si ritrova ad essere tra le grandi metropoli europee. L’esposizione dei fatti e delle tendenze prosegue nel libro di Ratti in modo cronologico. Si parla dapprima della Gotthardbahn, poi della sua nazionalizzazione e del periodo tra le due guerre mondiali. L’autore dedica anche un capitolo al periodo della seconda guerra mondiale che, di solito, viene elegantemente messo da parte da chi si occupa della storia di questa ferrovia. I 30 anni che fanno

seguito alla seconda guerra mondiale sono il periodo d’oro della ferrovia del S. Gottardo. Poi comincia il periodo delle incertezze e della sfiducia. Una nuova svolta potrebbe venire dalla messa in esercizio di Alptransit. Ratti avverte però, negli ultimi tre capitoli del suo libro, che il successo di questa nuova linea non è scontato. Molti sono ancora i problemi che devono essere risolti, a livello svizzero come a livello internazionale: tecnici, politici, di gestione. L’evoluzione degli scambi internazionali ferroviari nord-sud dipenderà poi molto anche da come le economie a sud delle Alpi e sulle rive del Mediterraneo si svilupperanno, nonché dal volume di traffico che in futuro passerà per il canale di Suez. Per effetto di questi problemi e di questi sviluppi la Svizzera non deterrà più in futuro una posizione di forza in questi scambi e dovrà cercare di trovare il suo tornaconto nel quadro di – sempre più difficili – accordi a livello europeo.

tremare come in tutto il Centro Italia. Il Paese è impaurito. Le ragioni della sua bellezza sono le stesse della sua fragilità. Sull’Italia che si riaffaccia dopo la peggior crisi della storia recente pare accanirsi un destino avverso. Si attende un ritorno alla normalità che non viene e non verrà; perché in Europa non viviamo un tempo normale. Eppure l’Italia dei borghi mostra una tempra che si credeva perduta. Una rete di solidarietà che funziona. Una classe dirigente locale di sindaci che hanno la fiducia delle loro comunità. Un Paese che resiste. Questo non cancella, anzi acuisce la rabbia per la trascuratezza con cui si è costruito in questi anni, con cui si è abbandonata la cura del territorio. L’indignazione è sempre un sentimento positivo, se si accompagna alla capacità di reazione. Il terremoto riguarda tutti gli italiani non solo perché si è sentito da Venezia a Bari, da Bologna a Roma. E non solo perché la paura e la resistenza esprimono bene il sentimento collettivo dell’epoca che è data in sorte a noi europei. Se

paesi che pochi avevano sentito nominare appaiono ora familiari, è perché l’identità nazionale è più profonda di quel che pensiamo. Perché gli italiani sono quasi tutti nipoti di contadini o di artigiani, e quindi quei borghi appartengono un po’ a tutti. Ci si sente un po’ tutti cacciati da casa, nel vedere le immagini degli sfollati, tra cui moltissimi anziani, che dividono un tetto provvisorio con i figli degli immigrati, i nuovi italiani. E le crepe che si allargano nei muri delle torri e delle chiese ricordano l’affresco del Cattivo Governo, in cui Ambrogio Lorenzetti mise in guardia i senesi dalle conseguenze della discordia e dell’inerzia. Ricostruire «com’era e dov’era» – come fecero i veneziani con il campanile di San Marco, come hanno fatto i frati e i restauratori di Assisi con gli affreschi di Cimabue nella basilica di San Francesco – non diventa soltanto un fatto urbanistico, ma una scelta di civiltà. Raccogliere la richiesta d’aiuto delle popolazioni colpite è anche il modo per rispettare anche sé stessi.

L’Italia può imparare a convivere con il terremoto se avrà i mezzi morali e materiali per riparare i danni e prevenire quelli prossimi venturi. Questo richiede un grande progetto, che può essere un’occasione non solo per mettere in sicurezza il territorio ma per ricucire il tessuto sociale, ripopolare i borghi, far vivere i centri storici, riportare fiducia nell’avvenire. Se l’Europa non lo capisse, se non si rendesse conto che la preoccupazione e l’urgenza sono la cifra dell’Italia di oggi, se l’arroganza burocratica di Bruxelles ostacolasse anziché aiutare, il discredito che già ha accumulato lasciando sola l’Italia nell’accoglienza ai migranti si farebbe irreparabile. Purtroppo finora l’Europa si è limitata a girare la testa dall’altra parte, dicendo che il governo di Roma potrà scorporare i danni del terremoto dal calcolo deficit-Pil. Ma è troppo poco. L’Europa dovrà essere in prima fila nella ricostruzione. Altrimenti in Italia nessuno vorrà più sentire parlare di Berlino e di Bruxelles.

dubbi e le incertezze. Ma gli autori consultati mi salvano e dicono che l’impedimento maggiore va ricercato nel fatto che noi anziani quasi sempre immaginiamo il futuro come un’esatta proiezione del passato e che, di conseguenza quando pensiamo al domani, noi lo proiettiamo immaginando un altro ieri. Mi avvertono anche che, soprattutto in tarda età, si è portati a relegare in secondo piano le verità e si preferisce dare la precedenza a faccende, impressioni, deduzioni più assillanti e solo apparentemente più importanti. Però non mi convincono del tutto. A darmi ragione sono proprio i fondatori del «Giornale del Popolo»: proiettando oggi la situazione e le contingenze di quel lontano 1926, vale a dire immaginando gli sforzi e il coraggio di un vescovo e di un giovane prete che avviano un giornale in un Ticino già povero e senza prospettive, oltretutto pochi anni dopo una guerra e nell’imminenza di una depressione che avrebbe reso an-

cora più buio il quadro e ardua l’impresa, ecco che ricaviamo un formidabile insegnamento e un messaggio di speranza tuttora validi per affrontare problemi e futuro. E mi permetto di aggiungere (anche se su questo terreno temo di non avere gli attrezzi giusti) che l’intuito e gli sforzi di quei fondatori, che oggi sono riflessi nella caparbietà di chi difende e diffonde un media cattolico, possono far bene anche a tutta la Chiesa (dal papa sino ai nuovi martiri vittime di guerre e terrorismi religiosi), impegnata ad aprirsi nel segno della solidarietà proprio mentre il mondo politico paradossalmente continua a privilegiare chiusure e isolamenti. E questo conferma che i 90 anni del «Giornale del Popolo» sono dispensatori di un forte atteggiamento aperturistico, in coraggiosa controtendenza con le indifferenze e i disimpegni che dominano su tanti fronti. Un aspetto che arricchisce la sua quasi centenaria storia.

In&outlet di Aldo Cazzullo Italia, bella e fragile Il terremoto di domenica 30 ottobre 2016 è una delle peggiori catastrofi della storia europea. L’impatto all’estero non è stato altrettanto grande perché non ci sono stati morti. Se ne conterebbero a migliaia, se non fossero stati sgomberati prima decine di paesi già feriti dai terremoti precedenti, e ora letteralmente rasi al suolo. Serve un grande piano di investimenti pubblici e privati per farli risorgere. C’è un pezzo di Italia da ricostruire, come dopo una guerra. Sarà la sfida di una generazione. C’è un’Italia di cui gli italiani si accorgono soltanto quando muore, o rischia di farlo. Un Paese di piccole patrie, di borghi nascosti, ognuno dei quali però custodisce un tassello della memoria nazionale. Con la tragedia di agosto si è scoperto che uno dei cibi più noti al mondo era nato in un paese che ora non esiste più: Amatrice. In questi giorni si è temuto per il manoscritto dell’Infinito di Leopardi, messo in salvo dal museo di Visso, mentre tremavano anche

Recanati, la casa del poeta, e Camerino, la cittadella degli studenti. Il terremoto ha rivelato memorie remote e poli di avanguardia, microcosmi dove le vestigia etrusche sono custodite accanto al centro di ricerca sul cuore artificiale, nell’Emilia dove la terra continua a

Le rovine della cattedrale di Norcia. (Keystone)

Zig-Zag di Ovidio Biffi Quante storie nei 90 anni del GdP! Ci sono giorni in cui, anche se il vento non c’è, io avverto la sindrome del «föhn». Chi mi è vicino lo intuisce, se non da toni e comportamenti, dalla comparsa di alcuni libricini che porto in giro per la casa, leggendoli da nevrastenico, a caso. Se vi interessa, i titoli dei libri taumaturgici sono abbastanza emblematici, come La forza del carattere, Buio e Speranze, gli autori sono James Hillman, Paolo Mauri e Paolo Rossi. Non chiedetemi perché, ma dopo un po’ di letture le paturnie si attenuano e poi svaniscono. Di recente ho avuto un «giorno da föhn», con relativo rito librario, all’indomani dei festeggiamenti per i 90 anni del «Giornale del Popolo», e l’ho superato con il solito sistema. Come, esattamente? È storia complessa, provo a raccontarla. Intensa la festa del quotidiano di Massagno, adeguata, meritata anche. Per il vescovo e la curia, ammirevoli nel portare avanti impegni e sforzi come editori; poi per chi è oggi, o è stato in passato,

direttore, amministratore o sostenitore del GdP. Bella anche per i tanti redattori e i dipendenti della tipografia che era retta, prima della cessione a terzi, con passione e zelo dalle suore di Saint Maurice. Erano (oso dire eravamo) tutti abilmente guidati da sempre generosi maestri. Ed è confortante vedere che questo privilegio continua tuttora. Date queste premesse era inevitabile che la festa assumesse l’atmosfera di una rimpatriata, che si finisse per parlare non solo dell’anniversario del giornale, ma delle storie dei 90 anni del GdP: tutti impegnati a ricomporre le tessere di personali mosaici, a riesumare ricordi con nomi, volti e aneddoti che finalmente riaffioravano dall’oblio. E al piacere della rievocazione seguiva quello di garantire certezze alla memoria futura. Meno scontata invece la tendenza a tracciare paralleli fra i vari percorsi storici. Ad esempio confrontando le fasi di successo e di crisi del giornale cattolico con un analogo andamento che, più o

meno nel medesimo lasso di tempo, ha caratterizzato l’evoluzione socio-politica, quindi la storia recente del nostro cantone. Quasi non bastasse (ma forse era inevitabile, data la matrice e la linea editoriale del giornale) ecco insinuarsi anche l’inevitabile confronto fra la perspicacia e il coraggio decisionale di una volta con i tanti interrogativi e le incertezze del mondo di oggi, in particolare quelli che assillano il cattolicesimo per obbligarlo ad assoggettare la pastorale evangelica alla diplomazia politica… Ecco motivate le paturnie del giorno dopo, il mio rimuginare per cercare le cause, e magari anche le colpe delle differenze fra «noi vecchi» e «loro giovani» nel giudicare il passato e nel guardare al futuro. Dapprima arrivo a ipotizzare che tutto il malessere derivi più che altro dal mio patologico scetticismo, o magari dalla mia difficoltà, o incapacità se volete, di lasciar prevalere l’entusiasmo e la speranza invece di privilegiare e ascoltare i


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 7 novembre 2016 • N. 45

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Cultura e Spettacoli Patrimonio di carte antiche Intervista a Pietro Montorfani, curatore dell’Archivio storico della città di Lugano

Un grafico che era anche artista Al Max Museo di Chiasso una retrospettiva sull’opera di uno dei maggiori pubblicitari italiani del 900, il marchigiano Federico Seneca

Finzi Pasca ricorda Julie La nuova, toccante opera del regista ticinese, in memoria della moglie

Castellinaria, edizione 29 Si aprirà a Bellinzona sabato prossimo l’apprezzata rassegna dedicata al cinema giovane pagina 44

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L’artista più influente del mondo

Mostre A Palazzo Strozzi di Firenze la

Gianluigi Bellei Non tutti gli artisti sono ribelli. Non tutti i ribelli sono artisti. Non tutti sono famosi, e ricchi. Anzi, di alcuni artisti e ribelli si sente parlare poco. Uno di questi è Oleg Vorotnikov, fondatore del gruppo d’avanguardia Voina. Accusato in Russia di vandalismo e teppismo, su di lui è stato emesso un mandato di cattura internazionale. Vaga senza documenti per l’Europa con la moglie Natalia, laureata in filosofia, e i due figli. Né l’Italia né la Svizzera gli hanno dato asilo. Certo, direte voi, mica è arte quella roba lì: pornografa e guerriglia. Ma sono arte le stupidate Dada? Mettiamola così; per Dada sono passati 100 anni e ormai non danno più fastidio, Voina opera adesso e nessuno vuole mettersi contro Putin. Ai Weiwei, al contrario, è di un’altra pasta. I suoi lavori sono mediamente conformi all’estetica internazionale e creati per essere esposti. Difficile dire come sia potuto succedere che in patria dall’altare — nel 2008 le autorità di Shanghai lo invitano a costruire uno studio a Malu Town, che in realtà sembra una reggia — sia caduto nella polvere — con la demolizione dello studio «costruito senza i necessari permessi» e l’arresto nel 2011 per evasione fiscale di FAKE Design, suo studio e sua agenzia di architettura fondata nel 2003 sotto la direzione della moglie Lu Qing. Per poi risalire nuovamente sull’altare in Occidente oggi. Rimane in carcere 81 giorni. Difficile dirlo perché la Cina è lontana, come si suol dire, e Ai Weiwei è un personaggio molto esuberante e attivo. Nella sua biografia si racconta che negli anni Ottanta viene accompagnato da un autista in limousine al Casinò grazie alla sua abilità nel blackjack e sicuramente molti lo ricordano nella gran-

de fesseria virale del 2012 del cantante coreano Psy, Caonima, che tutti, come lui, ballano. Ogni cosa che fa Ai Weiwei però è di protesta contro la repressione cinese. Anche quelle più assurde. Resta il fatto che nel 2011 la prestigiosa rivista «Art Review» lo nomina «l’artista più influente del mondo». Di sicuro ha un curriculum di tutto rispetto: nel 1999 partecipa alla Biennale di Venezia curata da Harald Szeemann; nel 2002 collabora con gli architetti svizzeri Herzog e de Meuron per il progetto dello stadio olimpico di Pechino; nel 2004 espone alla Kunsthalle di Berna; nel 2006 partecipa a Documenta 12 di Kassel; nel 2010 ricopre il pavimento della Turbine Hall della Tate Modern di Londra con 100 milioni di semi di girasole in porcellana; nel 2013 partecipa alla Biennale di Venezia curata da Massimiliano Gioni; l’anno successivo espone al Martin-Gropius-Bau di Berlino. In questi mesi espone a Palazzo Strozzi di Firenze. Karen Smith nel catalogo scrive di lui come di un puro esteta. «Si tratta del raro talento per la bellezza, le proporzioni e le dimensioni, e la capacità di ottenere un impatto a volte sobrio, altre sbalorditivo». Per contro il curatore Arturo Galansino — nuovo direttore generale della Fondazione Palazzo Strozzi che ha preso il posto di James Bradburne ora alla Pinacoteca di Brera a Milano — scrive che l’opera di Ai Weiwei «ci parla qui di temi importanti in modo potente e diretto, utilizzando strumenti e linguaggi artistici a cavallo tra Oriente e Occidente». L’esposizione inizia subito all’esterno dell’edificio (vedi foto). Sull’austera facciata rinascimentale l’artista ha collocato davanti alle bifore del primo piano altrettanti gommoni di salvataggio color rosso per ricordare tutti

Ai Weiwei Studio

discussa esposizione del cinese Ai Weiwei

quei migranti che si spingono fino alle nostre latitudini affrontando le acque infide del mare. Nel cortile interno troviamo l’installazione Refraction formata dall’assemblaggio di cucine solari montate a forma di ala. Simbolo di libertà ma ancorata al suolo. Opera dedicata ai detenuti e presentata per la prima volta nel 2014 nell’isola di Alcatraz. Poi, all’interno del palazzo, una sessantina di lavori che incontrano il Surrealismo e la Pop Art, tenendo sempre presente il ready-made di Marcel Duchamp come nelle 950 biciclette assemblate una sopra l’altra a incastro nel primo caso o Andy Warhol nella carta da parati con il logo di Twitter, The animal that Looks like a Llama but is Actually an Alpaca, nel secondo. Quello che si nota subito scorrendo le sale è che Ai Weiwei ricorre a diversi tipi di tecniche e materiali: dal video alla fotografia, dalla scultura al mattoncini Lego. Questo gli permette una varietà espressiva mutevole e malleabile, frutto di una mente duttile e aper-

ta. Iperrealista e irrealista, si potrebbe dire, perché ogni suo lavoro è come sembra e nel contempo ha una valenza e un significato diverso da ciò che è. Tutte le opere sono frutto di una collaborazione con artigiani specializzati che via via interpella per creare dei manufatti impeccabili. Come Feiyu, il pesce volante della serie mitologica, realizzato con bambù e seta o Table with Three Legs creato da maestri falegnami utilizzando un tavolo di legno della dinastia Qing. L’artista indaga il sapere ancestrale dei suoi avi e lo trasporta in un’altra dimensione, sempre al limite dell’insofferenza e del gioco, fra meraviglia e canzonatura. Certo è anche iconoclasta quando distrugge con indifferenza e imperturbabilità un’urna cineraria della dinastia Han di duemila anni o sgraziatamente provocatorio quando, in Study of Perspective, con il dito medio alzato irride i monumenti storici mondiali come il Colosseo, la Casa Bianca o la Tour Eiffel. Una bella mostra che si vede tutta

in un fiato, che lascia pensare e sicuramente pone qualche interrogativo sull’arte, la politica e il suo uso disinvolto e intollerante che lo Stato e i regimi, ma non solo, utilizzano. In una sua lettera indirizzata al figlio esposta nel carcere di Reading nella mostra collettiva Inside terminata il 30 ottobre e scritta durante la detenzione non a caso, forse, sostiene di essere «stato rapito dallo Stato». Per quest’occasione l’esposizione invade anche i sotterranei della Strozzina, zona da sempre dedicata all’arte contemporanea. Ma anche le Gallerie degli Uffizi e il secondo piano del mercato centrale in via dell’Ariento. Dove e quando

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 7 novembre 2016 • N. 45

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Cultura e Spettacoli

Un museo vivo per la storia di Lugano Intervista A colloquio con Pietro Montorfani, nuovo curatore dell’Archivio storico della città sul Ceresio,

che ci illustra il patrimonio dell’istituzione e i suoi progetti futuri Guido Grilli Ci si può accedere spinti da curiosità personale, per aggiungere una tessera alla propria identità, per scoprire la traccia di un proprio antenato, per studio oppure per conoscere lo stupore di eventi passati, nomi date luoghi. In una parola, Storia. Parliamo dell’Archivio storico della Città di Lugano, da poco affidato alla direzione di Pietro Montorfani, studi e incessanti interessi storico-letterari, classe 1980, proprio l’anno in cui questa istituzione ha visto la luce. Da poco ha raccolto il testimone da colui che si può definire il suo fondatore, Antonio Gili, che ne è stato a capo per 36 anni. A Castagnola, nello stabile già dimora dell’esule Carlo Cattaneo e dei poeti lettoni Rainis e Aspazija, ci accoglie in mattinata il neodirettore, già collaboratore scientifico dal 2011, non privo di idee per il futuro, tra cui quella di accrescere la conoscenza dell’archivio presso la popolazione.

Ha conseguito un dottorato in scienze storiche e filologiche all’Università Cattolica di Milano. (Stefano Spinelli)

esuli a Castagnola ai primi del Novecento.

La casa in cui si trova oggi l’archivio, già dimora di Carlo Cattaneo, era diventata a quel tempo l’Osteria Taddei. Rainis e Aspazija vi soggiornarono qualche settimana, prima di trasferirsi nella Pensione Stella d’Oro (oggi distrutta) a pochi metri di distanza. Vi restarono quattordici anni, dal 1906 al 1920. Centinaia di lettoni vengono ogni anno a Castagnola per celebrarli. Rainis ha tradotto in lettone i grandi capolavori della letteratura europea, da Goethe a Shakespeare, ed è considerato una sorta di padre della patria.

Tra i documenti più preziosi il fondo del Patriziato e l’archivio fotografico di Vincenzo Vicari L’Archivio storico della città di Lugano si fa anche vettore culturale, articolando le sue attività tra pubblicazioni e attività espositive.

In che modo, Pietro Montorfani?

Quando Antonio Gili ha iniziato a lavorare a Castagnola si è trovato di fronte una montagna di scatole, più che un archivio era un magazzino. Si deve a lui il primo inventario completo dei fondi, che ancora oggi rimane un punto fermo per il nostro lavoro. Un inventario che stiamo aggiornando e vorremmo presto rendere disponibile online. È questo uno dei modi per raggiungere un maggior numero di persone. Attualmente chi vuole vedere i nostri documenti deve venire a Castagnola. In futuro sarebbe bello che alcuni di questi documenti potessero venire consultati comodamente a casa. Chi segue oggi le attività dell’Archivio storico?

Abbiamo un nostro pubblico di appassionati, persone che ci conoscono bene e ci seguono da anni. Alle nostre conferenze mancano però ancora i giovani (un problema comune a molti ambiti della cultura) e in questa direzione bisognerà lavorare di più in futuro: se il nostro compito è tenere viva la sensibilità per la storia, il nostro

interlocutore deve essere tutta la popolazione, non soltanto una parte.

Chi è oggi il fruitore di questo spazio, e chi potrà esserlo un domani?

Sono soprattutto ricercatori, sia professionisti che amatori. I professionisti consultano i nostri documenti per completare ricerche di vario genere, anche di storia dell’arte, per l’allestimento di mostre alla Pinacoteca Züst o al Museo Vincenzo Vela, ad esempio, o in vista di monografie sul Ticino dell’Ottocento. Gli studiosi per diletto cercano invece, di solito, informazioni genealogiche, sulla loro famiglia o su personaggi del passato che hanno destato il loro interesse. Questi sono casi abbastanza tipici. Il servizio è gratuito e siamo aperti sempre la mattina (il pomeriggio su appuntamento). Poi ci sono persone che, non potendo venire fisicamente da noi, ci chiedono informazioni via e-mail o al telefono. Cerchiamo, nel limite del possibile, di rispondere a tutte le richieste, ma con

la partenza di Margherita Albisetti prima, e di Antonio Gili poi, lo staff dell’archivio si è ridotto sensibilmente negli ultimi anni e le nostre forze al momento sono piuttosto limitate.

Ma quali documenti, quali tesori si trovano all’Archivio storico della città di Lugano?

Il nucleo principale è costituito dal fondo antico del Comune di Lugano, in cui si conservano i registri municipali di epoca moderna e molti altri documenti di ambito civile. Preziosissimo è inoltre il Fondo del Patriziato, depositato presso di noi in convenzione, che apre affascinanti finestre sull’epoca medievale. Ci sono poi documenti, non meno importanti, legati a istituzioni particolari, come l’antico Ospedale di Santa Maria o la Fiera Svizzera di Lugano, senza dimenticare i numerosi fondi familiari (ne cito uno per tutti, quello della famiglia Riva). Tra i fondi fotografici vale la pena di citare, perché vorremmo valorizzarlo

nei prossimi anni, quello di Vincenzo Vicari: quasi centomila tra negativi e positivi, una documentazione sterminata sulla vita di Lugano nel Novecento.

Ampie e importanti sono anche le pubblicazioni dell’Archivio, che scandiscono il passo della sua attività. Con quali riscontri ?

La fortuna di un libro varia da caso a caso, sono gli argomenti che ne dettano il successo. Non sempre le pubblicazioni che noi riteniamo più solide dal punto di vista scientifico sono quelle che ottengono un maggiore riscontro di pubblico: volumi troppo ampi, troppo scritti, spaventano. Abbiamo avuto successo invece puntando su tematiche popolari, come i trasporti pubblici, la toponomastica o la storia degli hotel cittadini. Dobbiamo trovare un equilibrio tra queste due esigenze. Grande attenzione è dedicata ai poeti lettoni Rainis e Aspazija,

Il mandato principale è la conservazione del patrimonio archivistico, ma credo che non si possa conservare un patrimonio senza farlo parlare, altrimenti equivale a chiuderlo in un frigo. Per questa ragione, compatibilmente con il nostro budget che è modesto, vorrei tenere vivo il più possibile l’aspetto culturale e divulgativo. Giovanna Masoni Brenni e Antonio Gili, con competenze e responsabilità diverse, hanno fatto molto per allontanare l’archivio dall’ambito stettamente amministrativo e per portarlo in ambito culturale. Sempre, naturalmente, nell’ottica di una valorizzazione di quanto abbiamo in casa e di quanto si può trovare sul territorio. Se mi è permessa una piccola anticipazione: usciremo presto con una monografia dedicata ai fratelli Ciani e alla loro villa, con il maestoso parco sul lago. Un bel modo, io credo, di tenere viva una parte importante (fin nella toponomastica) della storia di Lugano.

Parole che restano

Linguistica Il libro-bilancio dello storico della lingua italiana Gian Luigi Beccaria,

tra passato presente e futuro dell’italiano Stefano Vassere «Guardando al mio mondo professionale, quello della linguistica e della storia della lingua, constato che sono sempre di più gli studiosi che si limitano a considerare la lingua soltanto come uno strumento per comunicare, e basta: l’immenso patrimonio storico, antropologico, affettivo, è tenuto in minor conto».

Quando uno studioso può permettersi di scrivere un saggio di storia della lingua italiana di duecento pagine usando la prima persona singolare, allora possiamo dire di avere a che fare con una carriera scientifica ormai più che maturata, che si concede bilanci e retrospettive, respiri biografici e, soprattutto, il privilegio di un ciclo di studioso ampiamente compiuto. Così

Un particolare della copertina.

è per Gian Luigi Beccaria, che pubblica ora questo suo L’italiano che resta. Le parole e le storie. Beccaria è, insieme a qualche altro linguista italiano (principalmente Luca Serianni, Claudio Marazzini, Francesco Bruni e, naturalmente, Tullio De Mauro), portabandiera di una linguistica storicista che ha avuto e ha tradizione e riconosciuto successo in Italia. Quella tradizione secondo la quale «fuor di metafora, è indispensabile che gli studiosi continuino a guardare alla nostra lingua come a un risultato del passato» e che pure parla di futuro, ma solo considerando che il codice e la sua società si muovono di continuo, sempre e solo si muovono. Non fosse che il termine suona leggermente sinistro, si potrebbe dire che questo libro è un libro-testamento, il bilancio ragionato e dal tono legittimamente discorsivo di una carriera di studioso e insegnante universitario. Solo così si spiegano alcuni passi di piglio piuttosto moralizzante, come i frequenti inviti a volgersi ai classici, quelli a prendersi il tempo della lettura, quelli a cedere solo con grande prudenza alle lusinghe lessicali e di costume della lingua inglese. Proprio

a questo proposito, Beccaria ripropone un solido ragionamento sulla prepotenza dell’inglese nell’ambito scientifico e sul fatto che questo fenomeno tocca sì quel linguaggio specialistico ma finisce per piegare anche la lingua e, peggio, la società e la cultura di tutti noi. «Ci saranno conseguenze negative sulla possibilità pubblica di comprensione delle tecniche e delle scienze. Se puntiamo su una lingua sola come lingua unica della scienza, assisteremo a una caduta rapida dei saperi diffusi». Certo Beccaria non è voce isolata: sul tema l’illustre linguista francese Claude Hagège ha scritto anni fa il sorprendente Contre la pensée unique. Nel libro di Beccaria trova posto il ragionamento sulla lingua italiana ma anche quelli sui temi fratelli della scuola, della lettura, dei classici in letteratura, della società della comunicazione veloce, dei giovani, della continua tensione tra tradizione e innovazione. Su tutto, sembra di poter concludere, impera un sentimento che si potrebbe banalmente e precipitosamente qualificare come amore per la propria lingua madre, per le sue declinazioni regio-

nali, per quanto questo codice-mondo sappia tanto riempirci di passione. Va detta un’altra cosa. L’attività divulgativa di Gian Luigi Beccaria è intensa e frequente, e può capitare che alcune parti di libri siano il risultato di una rielaborazione (spesso non di sostanza) di testi già usciti per esempio su giornali e sedi informali di varia natura. Non in questo libro, per fortuna, che si apre con la benvenuta e rasserenante indicazione che «le pagine che seguono sono quasi tutte inedite, salvo sporadiche rifusioni di articoli comparsi sul ‘La Stampa’ o sul ‘L’Indice’». Benissimo così. «Anni fa Benvenuto Terracini scrisse che l’italiano svetta come lingua tra le più ‘libere’ delle europee, se si pensa alle sue possibilità sintattiche ed espressive, per un verso delicate, per altro verso vistose e violente, appena la si confronti col più discreto francese, così simile – diceva Verlaine – a dei begli occhi dietro a un velo». Bibliografia

Gian Luigi Beccaria, L’italiano che resta. Le parole e le storie, Torino, Einaudi, 2016.


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Cultura e Spettacoli

Un artista libero e la pubblicità

Mostre Al M.A.X. Museo di Chiasso l’esposizione legata all’opera grafica di Federico Seneca, un creativo

che non ha mai voluto piegarsi alle esigenze della «réclame» Eliana Bernasconi La mostra che apre la stagione espositiva del Max Museo chiassese è un riconoscimento, a 40 anni dalla sua scomparsa, della figura e dell’opera di un grande grafico pubblicitario che trascorse l’ultimo decennio della sua vita molto vicino al confine svizzero. Concepita come «progetto integrato», per usare un termine di moda, l’esposizione nasce dalla fruttuosa collaborazione fra il Max Museo, il Museo Nazionale Collezione Salce di Treviso e la Galleria Nazionale dell’Umbri. Avrà tre tappe successive: alla Galleria Nazionale dell’Umbria a Perugia, alla Galleria Palazzo Corbelli di Fano e al Museo Nazionale Collezione Salce di Treviso, in omaggio ai 4 luoghi identitari del percorso di vita e di lavoro di Federico Seneca. Dietro l’esposozione c’è un lungo lavoro di ricerca e collaborazione con gli archivi di impresa di note case produttrici quali l’Archivio Storico Buitoni Perugina, l’Archivio Storico Cinzano e l’Archivio Storico Enil, cui si uniscono opere provenienti da Musei e collezioni private come quella di proprietà dei figli e nipoti dell’artista sino ad ora inedita. Sono esposti 300 pezzi: grandi manifesti, locandine, illustrazioni di copertina, bozzetti preparatori, elaborati grafici e insegne, riviste, scatole in legno e latta, matrici e foto d’epoca cui si aggiungono inediti bozzetti scultorei in gesso. In tutti i saggi storici sulla grafica

Due celebri immagini di Seneca: Baci Perugina e Agipgas.

del 900 italiano Seneca è presente, ma come molti altri grandi grafici pubblicitari non aveva ancora ottenuto un riconoscimento ufficiale. Nella gerarchia delle discipline artistiche la grafica soffre di un peccato originale dovuto alla falsa distinzione disciplinare fra arti maggiori e arti minori. Ne deriva un problema per il grafico pubblicitario che deve farsi riconoscere con un ruolo a valenza artistica. Seneca in tal senso rivendicò sempre in assoluto la totale

libertà e autonomia del grafico di fronte al committente. Nessun artista è estraneo al suo tempo ma inevitabilmente lo rispecchia: nella Mostra chiassese si avvertono le fasi della cultura del 900 che Seneca ha attraversato, percorrendo le sale che ospitano i primi elaborati grafici dal 1920 fino alle ultime opere del 1959 notiamo nel suo stile l’avvicendarsi storico delle stagioni artistiche senza che le stesse abbiano mai interferito con

la coerenza e la potenza creativa della sua ispirazione. Ritroviamo echi delle arti d’avanguardia che influenzarono il cartellone pubblicitario, dal liberty all’Art Déco al Déco geometrizzante, dalla visione futurista alla metafisica e al realismo magico, per approdare infine alla modernità della sintesi grafica minimalista quando il segno di Seneca si avvale di suggestioni tipografiche e di violente contrapposizioni coloristiche nella creazione delle forme. L’atmosfera dell’epoca rivive nelle opere della prima sala, di chiara ascendenza liberty, da un grande manifesto (cm 140x100) del 1924 una fanciulla in castigatissimo costume da bagno reclamizza Fano come Stazione balneare, accanto altre figure propongono cacao e cioccolata Perugina, una banana è accostata a un esotico nero africano e a una fanciulla bianca . Queste «Réclames » che propongono inedite immagini sono i primi vagiti di un linguaggio nuovo che oggi dilaga nel nostro quotidiano ma già allora lasciano un’indelebile impronta nell’immaginario visivo di un’epoca. Seneca inizia in quegli anni la collaborazione con la neo-costituita Perugina, industria produttrice del cioccolato, e con la Buitoni di Perugia è responsabile dell’ufficio pubblicità. Risale al 1922 il celebre manifesto Baci, cioccolato Perugina, (cromolitografia di cm.100x140) dove due innamorati in nero di cui non vediamo il viso si baciano avvinghiati contro uno sfondo azzurro, nello stesso periodo lavora

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all’ideazione dei «cartigli», i ben noti bigliettini amorosi che avvolgono il cioccolatino, (che furono originati, racconta la leggenda, da un vero bigliettino di un amore costretto a rimanere... clandestino) ma la scatola dei cioccolatini blu argento che vediamo in esposizione entrava liberamente nelle case degli italiani. Nel 1933 Seneca lascia Perugia per aprire un proprio studio a Milano, crocevia di relazioni del Graphic design che si sta affermando in Europa, allargherà quindi le sue collaborazioni a prestigiose aziende, sono nomi come Agip, Agipgas, Ramazzotti, Chlordont, Cinzano e altri. Le sale 3 e 4 evidenziano la sua fantasia e versatilità: troviamo inediti bozzetti scultorei in gesso. L’artista partiva dalla tridimensionalità plastica per estrapolare l’immagine a due dimensioni, metodo che nessun altro artista grafico praticava. Una suggestiva cromolitografia del 1930 Modiano evoca una magica atmosfera dai cromatismi accesi, nella Pastina glutinata Buitoni una suora si china in gesto protettivo, e nella lavabiancheria Fiat cigni sbirciano nelle lavatrici. Colpisce la potenza espressiva del famoso gatto selvatico a strisce verdi e nere della Agipgas dalla coda che emette fuoco su uno squillante sfondo giallo, logo che invase l’Italia del 1954 e il modernissimo segno che traccia un serpente nero su fondo giallo in Olio per motori Energol Agip, del 1955-56. L’arte di Federico Seneca davvero precorreva i tempi. Annuncio pubblicitario

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Cultura e Spettacoli

La poesia in dialogo con la vita

Teatro A l LAC il tenero omaggio di Finzi Pasca e della sua compagnia a Julie Hamelin; a Bellinzona un balletto

ispirato al Gabbiano di Checov; a Locarno la nostalgia di Santuzza Oberholzer

Giorgio Thoeni «Io per te spezzerò i ricordi in frammenti sempre più piccoli... E in questo buco dell’universo che da lontano è blu... in questo buco dove siamo tutti fatti di mare... in questo buco azzurro di universo torneremo a confonderci e ad abbracciarci...». È un toccante passaggio tratto dalla scena finale di Per te, l’ultima creazione di Daniele Finzi Pasca. Ma anche un segnale intimamente forte della sua volontà di reagire a un lutto che l’ha colpito così profondamente. La prematura scomparsa di Julie Hamelin, amica, compagna e sposa di Daniele, co-fondatrice e motore del successo mondiale degli spettacoli della Compagnia, ha trascinato nello sconcerto anche la sua intera famiglia artistica. Così infatti va intesa la straordinaria coesione di attori e tecnici che, stringendo i denti, hanno fatto muovere i primi passi sul palco del LAC all’ultimo nato dalla penna e dalla fantasia di Daniele Finzi Pasca. Per te è un omaggio dichiarato a Julie, dall’inizio alla fine. Un amorevole ricordo dove l’urlo estetico personale vuole uscire dalla sfera di chi l’ha conosciuta per affrontare platee più vaste utilizzando i registri della poesia e la magia teatrale dei sogni. Dalle sue prime battute, lo spettacolo ci prende per mano dichiarando gli intenti e immaginando lo spettacolo ancora in prova a tre mesi dal debutto ma con il corredo al completo. La pesante corazza indossata dagli attori (il fardello sul cuore malato di Julie), il colore rosso scarlatto per i

Qui a fianco, l’immagine sul manifesto di Per te. A destra, Francesca Sproccati e Giuseppe Asaro.

costumi, la presenza costante del vento che trascina ogni cosa in un vorticoso turbine, il colorato flusso sanguigno che si innalza furente al centro del palco: «vedere il rosso che scappa via a me provoca ancora vertigine... in una goccia di sangue c’è tutta una mappa, c’è tutto un universo». Elementi di uno spettacolo che corre sulle ali di una battaglia contro una malattia che porterà Julie ad arrendersi definitivamente dopo infinite e penose cure: «sono un guerriero, quello che so fare è lottare. Morirò cercando di stare in piedi».

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Vediamo i suoi sogni, il suo modo di affrontare la vita e il teatro, attraverso idee che diventano germogli per un giardino fiorito, la sua gioiosa voglia di ridere. Senza rinunciare alle sospensioni tipiche della cifra stilistica di Finzi Pasca, acrobazie e jonglages leggeri e eleganti, Per te ci regala un testo generoso e intenso: parole cucite su una trama dove la poesia diventa necessità laddove la parola stessa non basta per descrivere il dolore, accanto a immagini di impatto e citazioni tratte da precedenti creazioni.

Per te è in programma a Lugano, Un vuoto spazio è stato al Sociale, Il tempo delle case al Teatro dei Fauni Efficace la scenografia (Hugo Gargiulo) e le luci (Finzi Pasca, Alexis Bowles), i bei costumi dai tessuti impalpabili (Giovanna Buzzi) e le musiche di grande suggestione di Maria Bonzanigo registrate con l’Orchestra della Svizzera Italiana. E «la famiglia» degli ottimi e fedeli performers orfani di Julie con Andrée-Anne GingrasRoy, Beatriz Sayad, David Menes, Erika Bettin, Evelyne Laforest, Félix Salas, Francesco Lanciotti, Marco Paoletti, Moira Albertalli, Nicolò Baggio, Rolando Tarquini e Stéphane Gentilini. In scena fino al 9 novembre. Un gabbiano che danza

Dal repertorio classico, moderno e contemporaneo si assiste a un continuo travaso di reciproca empatia fra il teatro e la danza: un rapporto complesso, rispettoso, delicato e sinuoso. Può apparire una sfida se un regista teatrale viene chiamato a firmare la messa in scena di uno spettacolo di danza. Ne è però valsa la pena per Un vuoto spazio, spettacolo in prima assoluta al Teatro Sociale di Bellinzona e liberamente ispirato a Il gabbiano di Cechov. Un’idea coreografica di Giuseppe Asaro in scena con Francesca Sproccati. Inizio molto fisico in cui i due protagonisti si presentano in proscenio invocando un rituale individuale di movimenti ripetuti, come cercando di liberarsi di qualcosa. Gli ambienti musicali e sonori sono ipnotici, lontani e profondi al medesimo tempo, evocatori di spazi e memoria. Per i due personaggi inizia una trama di

incontri, di contatti svelati o intimi, come quelli resi dietro a un velario dove un tavolo e due sedie creano la parentesi domestica. Suggestioni teatrali di Spadaro come i tagli di luce, ora caldi ora accennati, fra sospensioni e cambi d’accento sui movimenti: allusioni a una storia dove immaginiamo la Nina di Cechov, ora con Treplëv ora con Trigorin in un amore il cui il movimento dei corpi è in un continuo equilibrio fra contatti giocati sulla leggerezza. Riconoscervi la commedia di Cechov non è scontato, conoscerne la storia può però fornire indicazioni. Come in alcune azioni ripetute dove gli amanti si attraggono e si respingono in un loop di ripetizioni (talvolta eccessive) per un sottinteso drammatico. O come l’intreccio delle braccia in un estremo battito di ali (il gabbiano). Lo spettacolo termina sulla falsariga del suo esordio con i danzatori che rievocano i loro primi movimenti, ma a vivere, seppur disperatamente, c’è solo Nina. Di lui non ci resta che un’espressione fissa, ormai spenta. Una prova intensa e affiatata di Francesca Sproccati e Giuseppe Asaro per uno spettacolo riuscito nell’incontro Santuzza Oberholzer in scena. (Patrik Soergel )

creativo tra l’idea coreografica e la sostanza teatrale. Una Locarno d’altri tempi

I ricordi personali stanno caratterizzando una generazione di artisti. L’avevamo colto nel ritorno a una dimensione teatrale più intima di Daniele Finzi Pasca con Bianco su Bianco, l’abbiamo ritrovato recentemente al Sociale con Il tempo delle case di Santuzza Oberholzer per il Teatro dei Fauni, regia di Andrea Valdinocci e Walter Broggini. Escludendo una volontà di emulazione c’è tuttavia un’urgenza verso la propria memoria mediata di chi è abituato a raccontare storie a un pubblico di giovanissimi. Ecco così l’album di una Locarno degli anni 60, con i suoi personaggi e la dimensione di quartiere con i nomi delle strade di cui resta solo il ricordo delle piante che le adornavano (camelie, rose, palme…) e «quella casa rosa con i piedi nell’acqua» abitata dalle emozioni del passato. Un revival nostalgico dalla tessitura narrativa efficace nonostante problematiche parentesi cantate. Santuzza Oberholzer è accompagnata in scena dalle musiche di Tiziano Tomassetti.


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Cultura e Spettacoli

La capitale del cinema giovane Rassegne Si aprirà sabato a Bellinzona la XXIX Edizione di «Castellinaria»

Giovanni Medolago Sono passati quasi trent’anni da quando un giovane Gino Buscaglia si affacciò sul palco del Cinema Forum di Bellinzona nei panni del bravo presentatore per aprire la prima edizione di quello che allora era definito «Film Festival Ragazzi Bellinzona», manifestazione voluta, tra gli altri, anche dal futuro sindaco della capitale Brenno Martignoni e che aveva quale direttore artistico Domenico Lucchini. Quasi trent’anni, per l’esattezza ventinove, e il «Buscaglione» è ancora lì, stavolta nei panni del presidente e in versione sempre più mefistotelica – adesso poi che barba e capelli si son fatti vieppiù canuti – a condurre per mano, col fido direttore artistico Giancarlo Zappoli, «Castellinaria». Rassegna che nel frattempo è cresciuta, ha raggiunto la maggiore età ed ora si appresta a festeggiare l’importante traguardo del 30esimo, che cadrà nel 2017, anno in cui «il fratello maggiore» della kermesse bellinzonese compirà 70 anni tondi tondi. «Ma attenzione – spiega Buscaglia – quella che apriremo sabato 12 novembre non sarà un’edizione di transizione in vista dei festeggiamenti futuri. Anzi, ci sembra che quest’anno siamo riusciti ad allestire un cartellone di tutto rispetto». Senza l’assillo di trovare anno dopo anno generosi sponsor, grazie ai contributi finalmente garantiti da Cantone e Confederazione, in effetti i responsabili di «Castellinaria» hanno potuto concentrarsi su titoli, registi, attori e ricorrenze: i

Per il centenario di Luigi Comencini sarà proiettato il suo film Heidi - Son tornata per te, del 1952. (ecranlarge.com )

cento anni dalla nascita di Luigi Comencini, ad esempio. Famoso per il suo interesse costante all’infanzia e ai bambini in generale (memorabile la sua versione di Pinocchio, con Nino Manfredi nel ruolo di Mastro Geppetto), Comencini nel 1947 è stato pure tra i fondatori, con Antonio Lattuada, della Cineteca italiana. Proprio da questa importante istituzione approderà all’Espocentro la mostra fotografica Liberi tutti, immagini del regista colto in modo inedito, quanto mai ener-

gico e vivo, attorniato dai bambini divenuti suoi attori. Mamma svizzero-tedesca, Comencini fu chiamato nel 1952 da una casa di produzione zurighese per dirigere la prima versione cinematografica del fortunato romanzo di Johanna Spyri Heidi, che sarà ri/proposta domenica 13 alle 16.30. Proporre ai ragazzi di oggi una pellicola in bianco e nero girata oltre mezzo secolo fa? «Certo – risponde sicuro Zappoli – anche per fugare un

equivoco: non sono i ragazzi a rifiutare questi film, siamo noi che abbiamo timore di proporglieli». Detto di Comencini, val la pena di soffermarci sugli altri grandi nomi attesi a Bellinzona. Spicca l’ultimo titolo di Steven Spielberg, GGG, il Grande Gigante Gentile, tratto dall’omonimo romanzo di Rohal Dahl, di cui – altra ricorrenza – si ricorda quest’anno il 100mo della nascita, avvenuta in Galles da genitori di origine danesi. È la storia di Sophie, bambina che

vive in un orfanotrofio di Londra e che viene rapita da un gigante che la porta nel suo mondo, popolato di altri giganti però non gentili come lui, anzi… Altro nome di prestigio nel cartellone di «Castellinaria» quello di Werner Herzog, già profeta del «Nuovo cinema tedesco» negli anni 70 del secolo scorso e che addirittura scenderà in competizione col suo nuovo film verità (guai a chiamarlo semplicemente «documentario»), Lo and Behold-Internet: il futuro è oggi, inchiesta su passato, presente e futuro della rete, una delle grandi rivoluzioni che l’umanità sta vivendo senza rendersi completamente conto delle insidie (cyber bullismo, dipendenza da connessione, tanto per dirne due) insite in questo incredibile strumento tecnico. Atteso il ritorno, dopo l’inatteso quanto meritato exploit del 2013 colto con Vado a scuola, del regista francese Pascal Plisson, il quale stavolta è andato a Cuba, in India, in Uganda e in Mongolia per incontrare ragazzi meno fortunati dei nostri ma fortemente determinati a rivendicare uno dei diritti fondamentali per l’infanzia: quello all’istruzione. L’amore tra una ragazza serba e un coetaneo croato è invece trattato dal 41enne Dalibor Matanic in Sole alto, premiato al Festival di Cannes lo scorso anno e di cui si dice un gran bene. Degni di nota, infine, altri due titoli italiani: Fai bei sogni di Marco Bellocchio (tratto dall’omonimo bestseller di Massimo Gramellini) e Un bacio, del regista-scrittore Ivan Cotroneo, il quale sarà a Bellinzona a presentare il suo lavoro. Annuncio pubblicitario

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Cultura e Spettacoli

Splendidamente prevedibile

CD L’ultraottantenne Leonard Cohen non si smentisce e, ancora una volta, lascia a bocca

aperta i suoi fan con un lavoro allo stesso tempo dolente e delicato Benedicta Froelich Vi sono alcuni nomi, all’interno del panorama musicale internazionale, in grado di rappresentare, per così dire, una vera e propria «garanzia»: si tratta di rari, preziosi personaggi che calcano i palchi ormai da decenni e che, non avendo mai deluso le aspettative dei fan, costituiscono un patrimonio più unico che raro – soprattutto per quanto concerne l’attuale scena pop-rock di matrice angloamericana, sempre più spesso soffocata da insipidi fenomeni commerciali da classifica. È quindi stato con un innegabile sospiro di sollievo che chi scrive ha accolto la notizia dell’uscita di un nuovo lavoro dell’ormai ottantaduenne Leonard Cohen, senza dubbio uno dei migliori cantautori di lingua inglese che il ventesimo secolo ci abbia regalato. Stavolta poi la curiosità è ancora più forte del solito, poiché l’instancabile canadese ritorna sulle scene avvalendosi della collaborazione del figlio Adam, cantautore a sua volta e coproduttore delle nove tracce di questo attesissimo You Want It Darker.

Il nuovo disco è stato realizzato in collaborazione con il figlio Adam, anche lui cantautore Ebbene, che il buon Leonard faccia, anche stavolta, davvero sul serio lo si intuisce fin dalla traccia d’apertura, la suggestiva title track You Want It Darker, un brano potente e a tema biblico, che sfiora l’inno sacro (il termine «Hineni», modulato sia da Cohen che dai coristi, si riferisce alla parola «eccomi», che nella Genesi viene pronunciata da Abramo nel momento in cui Dio lo mette alla prova, a se-

A 82 anni la sua vena musicale non sembra esaurita. (cohencentric.com)

gnalare la sua disponibilità e volontà a dedicarsi al Signore). E in effetti, la componente religiosa sembra, come sempre avviene con Cohen, rivestire una certa importanza nell’immaginario e nelle tematiche di You Want It Darker; ma non si tratta di riferimenti alla religione canonica (all’ebraismo, al cattolicesimo o ad altro), quanto piuttosto di una generale allusione a un’atmosfera di raccolto, illuminante misticismo. È il caso della lenta ballata It Seemed The Better Way, la cui melodia si affida, come accaduto con la title track, a inquietanti e suggestivi cori dal sapore mistico – non a caso opera del Congregation Shaar Hashomayim Synagogue Chorus. Quest’aura mistica si riscontra anche in Traveling Light, ballata che richiama da vicino brani del calibro di Dance Me To The End Of Love, conservandone appieno l’efficacia; proprio come accade con i lenti Leaving The Table e If I Didn’t

Have Your Love, in cui ritroviamo il Cohen riflessivo e amaramente arguto di album come The Future (1992) e Ten New Songs (2001). Certo, l’unico limite di questo eccellente disco risiede, paradossalmente, in quello che è anche il suo maggior punto di forza: l’ormai irrinunciabile «prevedibilità» a cui i fan del cantautore canadese sono da sempre abituati, e della quale, in effetti, non potrebbero più fare a meno. Musicalmente, Leonard suona sempre e comunque allo stesso modo, e il constatarlo non toglie nulla al suo fascino o alla grandezza della sua opera; tanto che la mancanza di apprezzabili variazioni stilistiche nel suo lavoro degli ultimi trent’anni passa in secondo piano davanti all’incredibile costanza mostrata dall’artista. A quasi cinquant’anni dall’esordio, Cohen mantiene uno standard qualitativo altissimo, che non ha mai vacillato, né mostrato alcun segno di

cedimento: e oggi, You Want It Darker conferma come ogni singolo brano da lui inciso sia tuttora pervaso da un fascino assoluto, che esula da qualsiasi considerazione relativa ai tempi o alla moda. Così, il marchio di fabbrica dell’artista – quel cantato che non è cantato, quanto piuttosto un cadenzato, meditato recitativo, intessuto su di una base musicale scarna ma ipnotica – rivive alla perfezione in questo nuovo lavoro: basta un pezzo come il ritmato Steer Your Way, impreziosito dall’accattivante accompagnamento offerto dagli strumenti ad arco, per rinnovare nell’ascoltatore un eterno senso di meraviglia, e questo nonostante l’innegabile somiglianza con altri pezzi storici del buon Leonard. Forse in nessun brano ciò si fa evidente quanto nel toccante Treaty, il cui anticonvenzionale romanticismo, intriso delle metafore di stampo militare da sempre care a Cohen, non manca di colpire ancora una volta nel segno; mentre On the Level rappresenta invece uno di quegli esperimenti in cui il cantautore si avvicina di più alla forma canzone vera e propria, impiegando una melodia più spigliata e meno rigorosa, che esula in parte dall’abituale ritmo da metronomo da lui tanto amato. Tali sensazioni pervadono l’intera tracklist: tanto che, una volta terminato l’ascolto del CD, la reazione più immediata è quella di una profonda, sincera gratitudine nei confronti di un artista che, a un’età in cui molti pensano soprattutto ad assicurarsi una confortevole pensione, ha ancora l’energia e il desiderio di rimettersi in gioco. Il che spinge a sperare e augurarsi che You Want It Darker non sia, come alcuni temono, il «canto del cigno» di Cohen, ma semplicemente un nuovo, eccellente capitolo nella sua incredibile avventura artistica – un’avventura di cui non potremo mai, in verità, stancarci.

Il violoncello moderno è (anche) donna

CD Pubblicati su supporto digitale e su vinile i nuovi album di Julia Kent e Daniela Savoldi

li che vedono da sempre una predominanza del sesso maschile – è che il violoncello creativo dei nostri anni 10 veste panni equilibratamente unisex. Come ben dimostrano i recenti lavori di Julia Kent e Daniela Savoldi.

Zeno Gabaglio Il violoncello contemporaneo gode di una strana posizione – senz’altro inedita – tra gli strumenti monodici, cioè tra quegli strumenti che non hanno in sé un’estesa possibilità armonica e che quindi – a differenza di pianoforte, chitarra, organo, fisarmonica o arpa – non possono contemporaneamente generare sia accordi sia linee melodiche. Strumenti di conseguenza limitati, quelli monodici; e per questo l’unicità che il violoncello ha saputo ritagliarsi non è per nulla scontata: affermarsi come compiutamente solistico. Nel nostro inizio di millennio numerosi creatori di nuova musica stanno infatti riuscendo a rivelare nel violoncello (non nel violino, non nell’oboe, non nella tromba) uno strumento autonomamente espressivo, capace di vestire panni diversissimi, di dar voce alle poetiche più disparate, di farsi veicolo della contemporaneità. I motivi di tale rivelazione stanno dentro e fuori lo strumento stesso. Da un lato l’ambito di generazione sonora piuttosto vasto, che può rendere acuta o grave la voce del violoncello, stridente o dolce, d’accompagnamento o di primo piano. Dall’altro il fatto – senz’altro significativo – per cui il

Julia Kent – Asperities

violoncello è l’unico tra gli strumenti storici a poter venir appreso soltanto in ambito classico: non c’è scuola o metodo di jazz, di pop e di folk che integri l’apprendimento del violoncello; soltanto i conservatori classici. E la conseguenza più naturale è che se il giovane musicista vuole rendere attuale la sua espressione musicale – sentirsi vividamente ancorato al presente – deve inventarsi da sé la strada per arrivarci, deve abbracciare a piene mani la propria creatività. E un ultimo fattore di non poco conto – rispetto ai generi strumenta-

Pur essendo ancora relativamente giovane Julia Kent (foto) può senz’altro venir definita come l’antesignana delle violoncelliste altre, cioè di quelle violoncelliste compositrici e performer che con coerenza e caparbietà seguono la propria via espressiva solitaria. Completamente da sola, la musicista canadese, non lo è invero sempre stata, avendo fatto parte di alcune tra le realtà più interessanti della musica americana d’inizio millennio, come il gruppo delle Rasputina oppure i the Johnsons che da sempre accompagnano Antony Hegarty. Come solista al violoncello Julia Kent ha poi prodotto cinque album negli ultimi dieci anni, un cospicuo e variegato corpus di cui il disco Asperities è più recente testimonianza. La musica della Kent – con un pendant senz’altro eloquente dal punto di vista del look e dell’immagine – si sta facendo più scura, e nel dark è più industrial che non gotica. Accanto al violoncello emerge infatti sempre di più la componente di elettronica,

che in un procedere compositivo a fasce rende le onde sonore a tratti anche molto rumorose e aggressive. Una ricercata densità che però – nel viaggio musicale ed emotivo profondamente dialettico di Asperities – non esclude possibilità di struggenti lirismi, come nella malinconica Heavy Eyes. Daniela Savoldi – Trasformazioni

Sarà forse uno stereotipo, ma la metà brasiliana di Daniela Savoldi (che per l’altra metà è pienamente lombarda nonché vivacemente inserita nel contesto musicale italiano come collaboratrice di Le Luci della Centrale Elettrica, Calibro 35, Dente, Nada Malanima, Alessandro Mannarino) riesce a portare la stessa configurazione strumentale di Julia Kent – violoncello ed elettronica – in tutt’altra direzione: più ritmica, solare e variopinta. Ovviamente questo non cancella l’andatura a tratti anche sperimentale di certe composizioni (una conditio sine qua non per il genere) o l’adozione di parti ricche di tensione e di dissonanza, ma il contesto generale è quello di un’opera luminosa e positiva, in cui le situazioni musicali si giustappongono compenetrandosi, come un cielo variabile dove le nuvole si fondono addensandosi in temporali o aprendosi a improvvisi sprazzi di cielo terso.

Un’avventura spirituale Filmselezione Uno

splendido e insolito film colombiano

Fabio Fumagalli *** El abraço de la serpiente, di Ciro Guerra, con Nilbio Torres, Antonio Bolivar, Jan Bijvoet (Colombia 2015)

Una foresta a perdita d’occhio, il fiume immobile, un uomo seminudo, accovacciato sulla riva, confuso nel fogliame; il tutto immerso in un bianco e nero dalla densità viscerale. Karamakate è l’ultimo sopravvissuto di una tribù sterminata dall’esercito colombiano: uno sciamano nel profondo dell’Amazzonia che guiderà, a 30 anni di distanza, due esploratori occidentali. Entrambi gli scienziati sono alla ricerca di una rarissima pianta della gomma, un fiore mitico, curativo e allucinogeno della yakruna. All’interno dell’ipnotico labirinto naturale, messi a confronto in quello spazio temporale, gli itinerari dell’etnologo tedesco Koch-Grünberg nel 1909 e del botanico americano Richard Evans Schultes nel 1940 finiranno per confondersi. Rimarrà inalterato soltanto il desiderio di Karamakate di ritrovare la propria gente; non più un’identità, scomparsa com’è nella sua solitudine di «chullachaqui», l’individuo svuotato della propria anima. Il terzo film di Ciro Guerra è un viaggio ai confini della follia, dello stesso universo magico, esaltante ma infine perverso che aveva permesso a Werner Herzog di girare opere come Aguirre e Fitzcarraldo, o a Malick Il nuovo mondo. Ma lo sguardo di un regista dell’America latina, con un indiano per la prima volta protagonista in tutta la sua dignità, sembra far vivere dall’interno parte dei misteri inesplicabili. Senza mai cadere nell’esotismo, senza il peso delle colpe del colonialismo alle spalle; con un’autenticità che ricorda quella del filippino Lav Diaz consacrato a Locarno, o del portoghese Miguel Gomes di Tabou. Immersione concreta nelle cadenze dell’avventura, documento etnografico e meandro metafisico, rappresentazione sontuosa, il lungo abbraccio di quel duplice viaggio lungo il fiume della conoscenza è pure riflessione razionale e poetica su problematiche che ancora ci occupano. Fra una sapienza che definiamo scientifica e il patrimonio ancestrale di un ordine naturale. Altri film nelle sale: *** I, Daniel Blake, di Ken Loach *** Neruda, di Pablo Larrain

Quasi un nuovo Fitzcarraldo.


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Idee e acquisti per la settimana

shopping Un gioco dell’oca dedicato al Ticino

Novità Uno dei più classici giochi di società nella versione ambientata nel nostro Cantone. Un’idea regalo originale

nata dalla fantasia dell’editore comasco Alessandro Dominioni, che ce ne parla in questa intervista

Alessandro Dominioni, come mai un gioco dell’oca incentrato sul Ticino?

Fin dalla fondazione della nostra libreria specializzata in libri antichi e stampe, nel 1984, abbiamo preferito dare spazio a pubblicazioni che trattassero argomenti legati al nostro territorio insubrico. Nel 1995 nasce l’attività editoriale, con lo scopo di valorizzare e promuovere contenuti, testi e autori di quest’area così ricca di storia e bellezze naturali. Qualche anno fa abbiamo realizzato un gioco dell’oca ambientato in Brianza, per avvicinare anche i più piccoli alla riscoperta delle tradizioni e del territorio. Un pomeriggio della scorsa estate stavo chiacchierando con un amico e affezionato cliente luganese, Marzio Ammendola. Ad un certo punto la sua attenzione fu catturata proprio dal gioco dell’oca della Brianza esposto nella nostra libreria: bastò uno sguardo e immediatamente in noi nacque l’idea di realizzare un gioco dell’oca ambientato in Canton Ticino.

Come è stato concretizzato il progetto?

tonica in uno spazio così ridotto non è semplice e servono più bozze per «aggiustare il tiro». Alla fine ci siamo però divertiti a realizzare il Gioco dell’Oca del Canton Ticino e pensiamo di essere riusciti a realizzare un prodotto simpatico e con un obiettivo ben preciso: valorizzare il territorio, avvicinare più generazioni intorno a un tavolo e far scoprire ai più piccoli, in modo giocoso, ciò che hanno attorno. E visto il grande successo che sta riscuotendo questo gioco abbiamo già in cantiere altre idee e altri progetti editoriali.

Chi si è occupato dei bellissimi disegni?

Cosa apprezza del Cantone Ticino?

Uno degli aspetti più interessanti del progetto è stato selezionare 80 particolarità del Ticino da abbinare alle caselle. La scelta è avvenuta spontaneamente una sera a cena con degli amici svizzeri: abbiamo accennato alla nostra idea di realizzare il gioco e loro entusiasti hanno cominciato a elencare una serie di caratteristiche ticinesi. A fine serata siamo tornati a casa con le nostre 80 caselle praticamente definite.

Per questa parte ci siamo affidati a Marco Posa, fumettista comasco che ha già collaborato con noi illustrando alcuni nostri libri. Gli abbiamo chiesto di usare uno stile un po’ naif che richiamasse il sapore dei giochi vintage. Marco ha accolto divertito la sfida e tra un bozzetto e l’altro abbiamo visto nascere sotto ai nostri occhi il tabellone. Ogni casella ha una storia a sé, qualcuna è stata complessa: raffigurare una bellezza naturalistica o architet-

Sono nato e ho vissuto la mia infanzia a pochi metri dalla Svizzera: a Maslianico. Per me e i miei amici il confine esisteva solo sulla carta; abbiamo passato la gioventù in Canton Ticino. Sono sempre stato legato al Ticino e oggi, anche se sono passati molti anni, ogni volta che passo il confine mi sento comunque un po’ a casa. Erano anni che volevo creare un prodotto che rendesse omaggio al territorio ticinese e finalmente ciò si è avverato.

Il Gioco dell’oca del Canton Ticino Fr. 34.80 In vendita nelle filiali Migros di Locarno, S. Antonino, Lugano, Biasca, Faido, Serfontana SportXX e Agno Do it + Garden

Vinci un Gioco dell’Oca del Canton Ticino Migros Ticino mette in palio 10 divertenti giochi dell’oca ambientati in Ticino. Per aggiudicarsene uno è sufficiente telefonare al numero 091 840 12 61, mercoledì 9 novembre 2016, tra le 10.30 e 11.30. Buona fortuna!


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Idee e acquisti per la settimana

«Il pollo della nonna»

Novità Sotto la linea «Campese» di Amadori, Migros Ticino introduce due prodotti italiani d’eccellenza Allevato all’aperto, nutrito solo con mangime vegetale senza OGM, al 100 per cento italiano, lavorato con l’uso di energie rinnovabili… queste sono le peculiarità del nuovo pollo Amadori della linea «Campese», un prodotto di elevata qualità che rispetta pienamente le esigenze Migros nell’ambito del benessere degli animali. Il pollo «Campese» è allevato all’aperto in ampi spazi ricchi di vegetazione dove gli animali possono razzolare liberamente. Gli animali sono al 100 per cento nati, allevati e lavorati in Italia. L’alimentazione è costituita solamente da cereali, soia e sali minerali privi di OGM; grassi e farine di origine animale sono assolutamente bandite. Per tutte le fasi della lavorazione del «Campese» si utilizzano esclusivamente energie da fonti rinnovabili – eolico, fotovoltaico, biomasse –; ciò che rappresenta un punto cardine nell’ambito del progetto di sostenibilità Amadori. I particolari metodi d’allevamento del pollo «Campese» si riflettono di fatto anche sulla qualità delle carne, che di fatto risulta particolarmente soda e consistente, con un sapore caratteristico, come quello di una volta.

Fettine di Pollo Amadori Campese 100 g Fr. 1.90

Pollo Amadori Campese 100 g Fr. 1.40

Per un risotto da 5 stelle!

Sughi vegani Pesto con Tofu vegano Polli* 120 g Fr. 2.30 *In vendita nelle maggiori filiali

Dallo storico marchio italiano Riso Scotti, ecco giungere sugli scaffali di Migros Ticino un prodotto dedicato a tutti i puristi del risotto: il Carnaroli Invecchiato 18 mesi Selezione Speciale. Questo riso eccelso, coltivato esclusivamente nelle risaie Lombarde, dopo essere stato accuratamente selezionato, viene lasciato stagionare per almeno 18 mesi prima di essere lavorato.

Questo procedimento, già noto presso le popolazioni dipendenti principalmente dal riso, permette di perfezionare la qualità del cereale conferendogli una maggiore struttura e una consistenza croccante, mentre alla cottura risulta migliorata la capacità di assorbire profumi e condimenti. Un ingrediente straordinario per risotti dal sapore indimenticabile.

Ragù alla Bolognese con Soia vegano Polli* 120 g Fr. 2.30

Riso Scotti Carnaroli Invecchiato 18 mesi 850 g Fr. 6.50

Chi segue un regime vegano oppure chi, semplicemente, cerca qualcosa di diverso dai soliti sapori, nei due nuovi sughi Polli troverà di che soddisfare le proprie aspettative. Realizzati nel rispetto dei sapori tradizionali della dieta mediterranea, questi condimenti di declinano nelle varianti ragù alla

bolognese a base di soia e in quella pesto alla genovese al tofu. I sughi vegani Polli sono ideali per una porzione e sono pronti in un attimo: basta versarli direttamente sulla pasta appena cotta e servire subito. Oltre ad essere privi di lattosio e proteine animali, i due prodotti sono pure privi di glutine.


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Idee e acquisti per la settimana

Raccard

Un fornello che scioglie anche i cuori Se un tempo il formaggio da raclette veniva sciolto direttamente a contatto con il fuoco, oggi per questa operazione esistono dei pratici fornelli elettrici. Parallelamente alla tecnica per la sua preparazione, anche il sapore del formaggio da raclette ha subito un’evoluzione. Di conseguenza oggi non viene più pro-

dotto e venduto solamente il formaggio classico, ma ne esistono anche varianti all’aglio, stagionato per diversi mesi e, come novità, anche quello affumicato. Per affinare la raclette sono indicate noci, frutta e verdura finemente affettata, come pure pancetta e prosciutto, per degli esperimenti a tutto gusto.

Raccard Family 30 fette, 900 g* Fr. 22.–

Azione 20X Punti Cumulus per la raclette affumicata Special Edition di Raccard fino al 14 novembre

Novità Raccard Special Edition Affumicato 8 fette, 225 g* Fr. 5.20

Esotico Gamberetti e peperoni finemente affettati completano il formaggio da raclette Barrique.

Novità Sélection Raclette Barrique 8 fette, 225 g* Fr. 7.50

Rustico Prosciutto e fettine di pera sono ideali con l’aromatico formaggio da raclette aglio.

Raccard Aglio 8 fette, 225 g* Fr. 5.50

Autunnale Con il formaggio da raclette affumicato sono perfette noci e fichi.

*Nelle maggiori filiali

M-Industria crea numerosi prodotti Migros, tra cui anche il formaggio da raclette Raccard.


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Idee e acquisti per la settimana

Da sapere Oltre due milioni di svizzeri soffrono di allergie e intolleranze. Per questo motivo la Migros ha ampliato del 60 percento il suo assortimento di prodotti certificati aha!

Torta di mela grattugiata e cannella Per 4 persone, per una 1 teglia di 28 cm Ø Ingredienti 2 dl panna semigrassa* 2 uova 2 cucchiai di zucchero 1 bustina di zucchero vanigliato 1 un pizzico di cannella 3 cucchiai di nocciole macinate 450 g di mele, es. Gala 1 pasta per crostate da 400 g* * disponibile in qualità aha!

Preparazione Preriscaldate il forno a 200 °C. Spianate la pasta arrotondandola e con uno spessore di circa 5 cm. Mettetela in frigo. Per la crema, sbattete panna, uova, zucchero, zucchero vanigliato e cannella. Sbucciate la mela e grattugiatela con la grattugia da Rösti. Stendete la pasta sulla teglia assieme alla carta da forno e bucherellatela con una forchetta. Spargeteci sopra in modo uniforme le nocciole e la mela. Versate la crema. Collocate la torta sulla scanalatura più bassa del forno per circa 35-40 minuti. Cospargetela di uva passa a volontà.

aha!

Golosità senza glutine

In caso di visite inaspettate o semplicemente quando si ha voglia di qualcosa di sfizioso: i Muffins nella qualità aha! sono sempre una buona scelta.

Affinché nessuno – neppure chi si alimenta senza glutine – debba privarsi di qualche dolcetto, esistono biscotti ed altri prodotti di pasticceria anche di qualità aha! La scelta comprende Milanesini, panpepato e Brunsli di Basilea. Inoltre ci sono confezioni singole di muffin al cioccolato o alle nocciole. E chi volesse mettere alla prova il proprio talento di pasticciere usa la pasta da torte senza glutine di aha! Magari per preparare una squisita torta di mele e cannella.

L’etichetta aha! certifica prodotti particolarmente indicati anche per soggetti che soffrono di intolleranze e allergie.

aha! Brunsli di Basilea senza glutine, frumento e lattosio 55 g* Fr. 2.10

aha! Panpepato senza glutine, frumento e lattosio 85 g* Fr. 1.90

aha! Milanesini senza glutine, frumento e lattosio 3 x 50 g* Fr. 4.90

Migros Bio aha! Tortine di Panpepato senza glutine e frumento 200 g* Fr. 4.90

aha! Muffin Nocciole senza glutine, frumento e lattosio 75 g* Fr. 1.90

aha! Muffin Cioccolato senza glutine, frumento e lattosio 75 g Fr. 1.90

aha! Pasta per crostate senza glutine, frumento e lattosio 400 g* Fr. 5.70

Parte di

*Nelle maggiori filiali


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Idee e acquisti per la settimana

Da sapere Oltre due milioni di svizzeri soffrono di allergie e intolleranze. Per questo motivo la Migros ha ampliato del 60 percento il suo assortimento di prodotti certificati aha!

Torta di mela grattugiata e cannella Per 4 persone, per una 1 teglia di 28 cm Ø Ingredienti 2 dl panna semigrassa* 2 uova 2 cucchiai di zucchero 1 bustina di zucchero vanigliato 1 un pizzico di cannella 3 cucchiai di nocciole macinate 450 g di mele, es. Gala 1 pasta per crostate da 400 g* * disponibile in qualità aha!

Preparazione Preriscaldate il forno a 200 °C. Spianate la pasta arrotondandola e con uno spessore di circa 5 cm. Mettetela in frigo. Per la crema, sbattete panna, uova, zucchero, zucchero vanigliato e cannella. Sbucciate la mela e grattugiatela con la grattugia da Rösti. Stendete la pasta sulla teglia assieme alla carta da forno e bucherellatela con una forchetta. Spargeteci sopra in modo uniforme le nocciole e la mela. Versate la crema. Collocate la torta sulla scanalatura più bassa del forno per circa 35-40 minuti. Cospargetela di uva passa a volontà.

aha!

Golosità senza glutine

In caso di visite inaspettate o semplicemente quando si ha voglia di qualcosa di sfizioso: i Muffins nella qualità aha! sono sempre una buona scelta.

Affinché nessuno – neppure chi si alimenta senza glutine – debba privarsi di qualche dolcetto, esistono biscotti ed altri prodotti di pasticceria anche di qualità aha! La scelta comprende Milanesini, panpepato e Brunsli di Basilea. Inoltre ci sono confezioni singole di muffin al cioccolato o alle nocciole. E chi volesse mettere alla prova il proprio talento di pasticciere usa la pasta da torte senza glutine di aha! Magari per preparare una squisita torta di mele e cannella.

L’etichetta aha! certifica prodotti particolarmente indicati anche per soggetti che soffrono di intolleranze e allergie.

aha! Brunsli di Basilea senza glutine, frumento e lattosio 55 g* Fr. 2.10

aha! Panpepato senza glutine, frumento e lattosio 85 g* Fr. 1.90

aha! Milanesini senza glutine, frumento e lattosio 3 x 50 g* Fr. 4.90

Migros Bio aha! Tortine di Panpepato senza glutine e frumento 200 g* Fr. 4.90

aha! Muffin Nocciole senza glutine, frumento e lattosio 75 g* Fr. 1.90

aha! Muffin Cioccolato senza glutine, frumento e lattosio 75 g Fr. 1.90

aha! Pasta per crostate senza glutine, frumento e lattosio 400 g* Fr. 5.70

Parte di

*Nelle maggiori filiali


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Yogos

Saluti autunnali dalla Grecia

Special Edition Yogurt Noce di Pecan di Yogos

Yogos Noce Pecan 180 g Fr. –.95

Il tradizionale yogurt greco alle noci di pecan completa l’assortimento fino a marzo.

In autunno in Grecia vengono raccolte le noci di Pecan. Ed è pertanto il momento giusto per la marca propria Migros Yogos di creare un prodotto ad hoc. Lo yogurt alle noci di Pecan sorprende con il suo aroma nocciolato e dolce; nonché per l’irresistibile consistenza vellutata e cremosa dello yogurt alla panna preparato secondo la vera tradizione greca.

Yogos Nature 180 g Fr. –.90

Yogos Fichi 180 g Fr. –.95

Yogos Miele 180 g Fr. –.95

M-Industria crea numerosi prodotti Migros, tra cui anche gli yogurt Yogos.


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Idee e acquisti per la settimana

Dolci dell’Avvento

Con poco sforzo

Due ricette per un Avvento all’insegna della serenità: la torta di panpepato avvolta in pasta di zucchero è un dessert fastoso veloce da preparare. E i toast a forma di stella strappano l’applauso ad ogni aperitivo Testo Sonja Leissing; Foto e Styling Ruth Küng; Ricette Margaretha Junker

La torta di panpepato si decora in un attimo con una corona di panna montata e spolverata di stelline di zucchero. È eccellente sorseggiando un punch caldo.

Nella vostra Migros trovate tutto il necessario per trascorrere un gioioso Natale. Lasciatevi ispirare su www.migros.ch/natale


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Selezione di prodotti

Per la pasticceria natalizia Cucina & Tavola Pasta decorativa oro 100 g Fr. 7.90

Cucina & Tavola Decorazioni di zucchero Stars Mix 130 g Fr. 7.90

Step 1 Usando una spatola, distribuite uniformemente la pasta decorativa sulla stuoia decorativa e spalmatela bene in modo che le singole forme vi aderiscano. Appoggiate la stuoia su una teglia. Cuocete il pizzo decorativo al centro del forno per 15-20 minuti.

Il Burro 250 g Azione Riduzione di Fr. 0.20 Fr. 2.75* invece di 2.95

Decorazioni di zucchero in diversi colori 30 pezzi da 4 g (totale 120 g) Fr. 7.90

Zucchero a velo 250 g Azione 20% di sconto Fr. 1.25* invece di 1.60

Step 2 Sollevate con cautela il bordo di ogni ornamento e, aiutandovi con la punta di un coltellino, staccate delicatamente i pizzi.

Patissier Polvere di cacao 200 g Fr. 2.90

Torta di panpepato Per 1 tortiera apribile di 18 cm Per 6-8 fette Ingredienti burro per la forma 3 uova 80 g di zucchero 1 punta di coltello di pasta di vaniglia 40 g di burro 80 g di farina 40 g di nocciole macinate 20 g di cacao in polvere 1 cucchiaino di spezie per panpepato ¼ di cucchiaino di lievito in polvere ½ arancia Guarnitura 1 scatola di crema in polvere Varietà 1 rotolo di copertura bianca per dolci Cucina & Tavola Tortiera con piatto di servizio integrato 16 cm Fr. 14.80

Preparazione 1. Foderate il fondo della tortiera con carta da forno e imburrate il bordo. Scaldate

il forno a 180 °C. Montate a spuma a bagnomaria le uova con lo zucchero e la pasta di vaniglia. Togliete la scodella dal bagnomaria e continuate con uno sbattitore elettrico finché il composto non si raffredda. Fate fondere il burro. Mescolate il resto degli ingredienti fino al lievito compreso. Unite la scorza d’arancia grattugiata. Incorporate la miscela alle uova poco per volta. Unite con cura il burro fuso. Versate l’impasto nella tortiera. Cuocete al centro del forno per ca. 30 minuti. Lasciate riposare nella tortiera per 10 minuti. Staccate il bordo facendo attenzione, capovolgete la torta su una griglia e lasciatela raffreddare.

torta con due terzi della crema e ricoprite con la parte superiore della torta. Spalmate un po’ di crema sulla torta, bordi compresi e ricopritela di copertura bianca. Guarnitela con le decorazioni preparate in precedenza, con rosette di crema e perle di zucchero colorate.

2. Per la guarnitura, preparare la crema seguendo le indicazioni sulla confezione. Dividete la torta in due parti uguali in senso orizzontale. Farcite la base della

Una fetta su 8 ca. 6 g di proteine, 11 g di grassi, 30 g di carboidrati, 1000 kJ/250kcal

Suggerimento Per la variante più semplice, montate 2 dl di panna ben ferma. Decorate la torta con rosette di panna e guarnizioni di zucchero. Terra Suisse Farina bianca 1 kg Azione 40% di sconto Fr. 1.10* invece di 1.85

Tempo di preparazione ca. 30 minuti + cottura in forno ca. 30 minuti

Cucina & Tavola Stuoia decorativa con diversi motivi Fr. 12.80 Nelle maggiori filiali

Pasta di vaniglia 65 g Fr. 7.90 Nelle maggiori filiali

*Azioni valide dall’8 al 14 novembre


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Selezione di prodotti

Per la pasticceria natalizia Cucina & Tavola Pasta decorativa oro 100 g Fr. 7.90

Cucina & Tavola Decorazioni di zucchero Stars Mix 130 g Fr. 7.90

Step 1 Usando una spatola, distribuite uniformemente la pasta decorativa sulla stuoia decorativa e spalmatela bene in modo che le singole forme vi aderiscano. Appoggiate la stuoia su una teglia. Cuocete il pizzo decorativo al centro del forno per 15-20 minuti.

Il Burro 250 g Azione Riduzione di Fr. 0.20 Fr. 2.75* invece di 2.95

Decorazioni di zucchero in diversi colori 30 pezzi da 4 g (totale 120 g) Fr. 7.90

Zucchero a velo 250 g Azione 20% di sconto Fr. 1.25* invece di 1.60

Step 2 Sollevate con cautela il bordo di ogni ornamento e, aiutandovi con la punta di un coltellino, staccate delicatamente i pizzi.

Patissier Polvere di cacao 200 g Fr. 2.90

Torta di panpepato Per 1 tortiera apribile di 18 cm Per 6-8 fette Ingredienti burro per la forma 3 uova 80 g di zucchero 1 punta di coltello di pasta di vaniglia 40 g di burro 80 g di farina 40 g di nocciole macinate 20 g di cacao in polvere 1 cucchiaino di spezie per panpepato ¼ di cucchiaino di lievito in polvere ½ arancia Guarnitura 1 scatola di crema in polvere Varietà 1 rotolo di copertura bianca per dolci Cucina & Tavola Tortiera con piatto di servizio integrato 16 cm Fr. 14.80

Preparazione 1. Foderate il fondo della tortiera con carta da forno e imburrate il bordo. Scaldate

il forno a 180 °C. Montate a spuma a bagnomaria le uova con lo zucchero e la pasta di vaniglia. Togliete la scodella dal bagnomaria e continuate con uno sbattitore elettrico finché il composto non si raffredda. Fate fondere il burro. Mescolate il resto degli ingredienti fino al lievito compreso. Unite la scorza d’arancia grattugiata. Incorporate la miscela alle uova poco per volta. Unite con cura il burro fuso. Versate l’impasto nella tortiera. Cuocete al centro del forno per ca. 30 minuti. Lasciate riposare nella tortiera per 10 minuti. Staccate il bordo facendo attenzione, capovolgete la torta su una griglia e lasciatela raffreddare.

torta con due terzi della crema e ricoprite con la parte superiore della torta. Spalmate un po’ di crema sulla torta, bordi compresi e ricopritela di copertura bianca. Guarnitela con le decorazioni preparate in precedenza, con rosette di crema e perle di zucchero colorate.

2. Per la guarnitura, preparare la crema seguendo le indicazioni sulla confezione. Dividete la torta in due parti uguali in senso orizzontale. Farcite la base della

Una fetta su 8 ca. 6 g di proteine, 11 g di grassi, 30 g di carboidrati, 1000 kJ/250kcal

Suggerimento Per la variante più semplice, montate 2 dl di panna ben ferma. Decorate la torta con rosette di panna e guarnizioni di zucchero. Terra Suisse Farina bianca 1 kg Azione 40% di sconto Fr. 1.10* invece di 1.85

Tempo di preparazione ca. 30 minuti + cottura in forno ca. 30 minuti

Cucina & Tavola Stuoia decorativa con diversi motivi Fr. 12.80 Nelle maggiori filiali

Pasta di vaniglia 65 g Fr. 7.90 Nelle maggiori filiali

*Azioni valide dall’8 al 14 novembre


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Idee e acquisti per la settimana

Pane per toast a forma di stella Per 2 stampi a forma di stella di 20 cm Ingredienti 400 g di farina bianca o di farina di spelta chiara 1 cucchiaino di sale ½ cubetto di lievito, ca. 20 g 40 g di burro 2,2 dl di latte Preparazione Mescolate la farina con il sale in una scodella. Unite il lievito sbriciolato. Fate fondere il burro e aggiungete il latte. Incorporate il tutto alla farina e impastate fino a ottenere una massa liscia e omogenea. Coprite l’impasto e lasciatelo lievitare a temperatura ambiente, finché raddoppia di volume. Scaldate il forno a 200 °C. Dividete l’impasto in due parti e formate con ognuna un filone. Accomodateli negli stampi e lasciate riposare in verticale per ca. 10 minuti. Coprite le forme. Accomodatele su carta da forno. Cuocete i pani al centro del forno per 25-30 minuti. Lasciate raffreddare nelle forme per ca. 10 minuti. Così sarà più facile estrarre il pane dalla forma. Tempo di preparazione ca. 20 minuti + lievitazione ca. 1 ora + cottura in forno 25-30 minuti Un pane ca. 34 g di proteine, 24 g di grassi, 148 g di carboidrati, 4000 kJ/1000 kcal Consiglio 1 Tagliate a fette i toast a forma di stella. Spalmateli di formaggio fresco a piacere e guarniteli con prosciutto, salmone o erbe aromatiche. Consiglio 2 Aggiungete all’impasto frutta secca e noci. Il pan di frutta si abbina molto bene al formaggio.

Ricette di

www.saison.ch

Cucina & Tavola Canapè per aperitivo, rotolo di pasta in diverse forme Fr. 9.80 Nelle maggiori filiali


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7.80 invece di 10.40 Coca-Cola in conf. da 8, 8 x 50 cl per es. classic

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2.10 invece di 3.– Mini spalletta Quick bio, affumicata e cotta* Svizzera, per 100 g, offerta valida fino al 12.12.2016

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15.80 invece di 23.10 Salmone affumicato bio d’allevamento, Scozia/Irlanda/Norvegia, 260 g

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2.10 invece di 2.65 Lingua di manzo affumicata* Paesi Bassi/Svizzera, per 100 g, offerta valida fino al 2.1.2017

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1.85 invece di 2.70 Mini spalletta Quick TerraSuisse, affumicata e cotta* Svizzera, per 100 g, offerta valida fino al 12.12.2016

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1.– invece di 2.–

Costine di maiale Svizzera, al banco a servizio, per 100 g

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30%

3.05 invece di 4.40 Vitello tonnato prodotto in Ticino, in vaschetta, per 100 g

40%

5.90 invece di 9.90 Prosciutto TerraSuisse affettato finemente in conf. da 2 2 x 148 g

*In vendita nelle maggiori filiali Migros. Migros Ticino OFFERTE VALIDE SOLO DALL’8.11 AL 14.11.2016, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK

30%

2.65 invece di 3.85 Salametti di cervo prodotti in Ticino, conf. da 2 x ca. 90 g/180 g, per 100 g

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20%

30%

1.45 invece di 2.10

2.40 invece di 3.05

Fettine di tacchino M-Classic Francia/Ungheria, carne prodotta in base all’Ordinanza svizzera sulla protezione degli animali, per 100 g

conf. da 2

40%

6.60 invece di 11.– Bratwurst di vitello TerraSuisse in conf. da 2 2 x 2 pezzi, 560 g

25%

2.70 invece di 3.65 Spezzatino di vitello magro TerraSuisse Svizzera, imballato, per 100 g

Arrosto spalla di manzo TerraSuisse Svizzera, imballato, per 100 g


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1.50 invece di 1.90 Tilsiter alla panna bio per 100 g

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3.20 invece di 4.60 Arance bionde Spagna, rete da 2 kg

M consiglia TRIO PERFETTO Un’idea semplice e imbattibile: abbina patate e noci al cremoso camembert. Servi il delizioso formaggio con dei panini di patate e noci preparati con le tue mani e cotti in vasetti di vetro. Trovi tutti gli ingredienti alla tua Migros, la ricetta su www.saison.ch/it/ consigliamo.

20%

4.20 invece di 5.25 Camembert Suisse Crémeux 300 g

20% Raccard Tradition in blocco e a fette da 10 pezzi per es. in blocco maxi, per 100 g, 1.70 invece di 2.15

20%

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Tutti gli yogurt bio (yogurt di latte di pecora esclusi), per es. alla fragola, Tortelli ai funghi Armando De Angelis 180 g, –.60 invece di –.75 conf. da 250 g Migros Ticino OFFERTE VALIDE SOLO DALL’8.11 AL 14.11.2016, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK

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40% Tortelloni M-Classic in conf. da 2 per es. Tre colori al basilico, 2 x 500 g, 7.– invece di 11.80

50%

20%

–.70 invece di 1.50

2.40 invece di 3.–

Cetrioli Svizzera/Spagna, il pezzo

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4.40 invece di 6.40 Gnocchi alla romana Armando De Angelis conf. da 500 g

Formentino Svizzera, imballato, per 100 g

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3.60 invece di 4.80 Patate Amandine Svizzera, imballate, 1,5 kg

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1.95 invece di 2.45 Cicoria Belga Svizzera, imballata, 500 g


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M consiglia TRIO PERFETTO Un’idea semplice e imbattibile: abbina patate e noci al cremoso camembert. Servi il delizioso formaggio con dei panini di patate e noci preparati con le tue mani e cotti in vasetti di vetro. Trovi tutti gli ingredienti alla tua Migros, la ricetta su www.saison.ch/it/ consigliamo.

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20% Tutti i gelati da passeggio alla panna in conf. da 12 e i gelati in blocchetto in conf. da 6 per es. gelato da passeggio alla panna al gusto di vaniglia, 12 pezzi, 5.75 invece di 7.20

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1.65 invece di 3.30 Tutti i tipi di Aquella in conf. da 6, 6 x 1,5 l (Aquella Taste esclusa), per es. verde

a partire da 2 confezioni

– .3 0

di riduzione l’una Tutta la pasta M-Classic a partire da 2 confezioni, –.30 di riduzione l’una, per es. pipe, 500 g, 1.20 invece di 1.50

20% Tutte le bevande bio (Alnatura escluse), per es. tè freddo alle erbe delle Alpi svizzere, 1 l, 1.25 invece di 1.60

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5.40

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conf. da 2

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a partire da 2 pezzi

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20% Alimenti per animali e lettiere M-Classic per es. miscela per uccelli in libertà, 1,2 kg, 1.90 invece di 2.40

20% Prodotti per la doccia Nivea in conf. da 2 e da 3 per es. Creme Soft in conf. da 3, 3 x 250 ml, 5.75 invece di 7.20, offerta valida fino al 21.11.2016

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20% Prodotti di ovatta Primella in conf. da 3 per es. dischetti di ovatta, 3 x 80 pezzi, 4.55 invece di 5.70, offerta valida fino al 21.11.2016

20% Tutti i prodotti per la cura delle labbra (Bellena e cosmesi decorativa esclusi), per es. Labello Original, 2 x 4,8 g, 2.55 invece di 3.20, offerta valida fino al 21.11.2016


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Altre offerte. Frutta e verdura

Pane e latticini

Altri alimenti

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Rosa di Natale in vaso da 12 cm, bianca, 9.90 invece di 12.90 3.– di riduzione

Tutte le caramelle per la gola Bonherba senza zucchero, in bustina, in conf. da 2, alla melissa citronella, alle erbe e ripiene alle erbe, per es. alle erbe, senza zuccheri, 2 x 150 g, 6.50 invece di 8.20 20%

Tutti i tipi di senape, maionese e ketchup bio (Alnatura esclusi), per es. maionese, 265 g, 1.75 invece di 2.20 20% Purea di patate, rösti e rösti al formaggio Mifloc bio (Alnatura esclusi), per es. rösti, 500 g, 1.95 invece di 2.45 20% Tutta la pasta, i sughi per pasta e le conserve di pomodoro bio (Alnatura esclusi), per es. salsa di pomodoro con basilico, 420 g, 2.55 invece di 3.20 20%

Tutti i sushi, per es. sushi Nigiri Classic, prodotti in Svizzera, in conf. da 180 g, 9.50 invece di 11.90 20% fino al 12.11

Novità

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Slip da uomo Maestro Pure Cotton John Adams, disponibili in 4 colori e in diverse misure, per es. blu chiaro, tg. M, 17.80 invece di 26.70 3 per 2

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Tutto l’assortimento Starbucks, per es. Cappuccino Fairtrade, 220 ml, 1.65 invece di 2.10 20%

Tutti gli zwieback (Alnatura esclusi), per es. Original, 260 g, 2.55 invece di 3.20 20%

Fagiolini Bio, Spagna, in busta da 500 g, 4.20 invece di 5.60 25%

Pizza Anna’s Best in conf. da 2, per es. al prosciutto e al mascarpone, 2 x 395 g, 9.60 invece di 13.80 30%

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Michettine M-Classic, TerraSuisse, 6 pezzi, 180 g, 1.60 invece di 2.– 20%

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Pane delle Alpi TerraSuisse, 380 g, 2.20 invece di 2.60 –.40 di riduzione

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Cordon-bleu di maiale TerraSuisse, imballati, per 100 g, 1.55 invece di 2.60 40% Carpaccio di cervo con rucola e Reggiano, prodotto in filiale con carne dalla Nuova Zelanda, imballato, per 100 g, 3.05 invece di 4.60 33% Arrosto collo di maiale, Svizzera, in conf. da ca. 1 kg, per 100 g, 1.60 invece di 2.15 25%

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2.80 Tisana di moringa Alnatura 20 bustine

In vendita nelle maggiori filiali Migros. Da tutte le offerte sono esclusi gli articoli M-Budget e quelli già ridotti. OFFERTE VALIDE SOLO DALL’8.11 AL 21.11.2016, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK

4.70 Purea di cocco Alnatura 225 g


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Idee e acquisti per la settimana

Frey

Stelle scintillanti

Ogni anno Chocolat Frey arrichisce il proprio assortimento stagionale, con una «Limited Edition». La nuova qualità Sparkling Mandarin è stata scelta dagli utenti del sito Migipedia

Azione* Frey Freylini Palline Sparkling Mandarin Limited Edition, UTZ 500 g Fr. 10.80 *20X Punti Cumulus dall’8 al 21 novembre

Concorso Diteci perché gustate volentieri in compagnia i Freylini www.chocolatfrey.ch/xmas

Frey Freylini Palline Mix, UTZ 500 g Fr. 10.80

Lo scorso anno i cioccolatini sferici Freylini al pistacchio erano andati ad aggiungersi agli altri in assortimento: quest’anno è la volta della qualità Sparkling Mandarin. Le palline avvolte in carta verde e arancione sono preparate con cioccolato al latte e contengono un ripieno cremoso al mandarino, con effetto effervescente. Un’altra novità: i Freyilini in versione miscela speciale di Natale: Special XMas-Mix. La scatola dorata contiene cioccolatini al caramello-nougat-sale marino, al pistacchio, e i Brownie.

Azione* Frey Freylini Palline Special X-mas Mix, UTZ 250 g Fr. 6.90 *20X Punti Cumulus dall’8 al 21 novembre

I Freyilini colorati fanno venire l’acquolina in bocca

Frey Freylini Palline Classic Mix, UTZ 380 g Fr. 9.80

M-Industria crea numerosi prodotti Migros, tra cui anche le Palline Freylini.


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Frey

Stelle scintillanti

Ogni anno Chocolat Frey arrichisce il proprio assortimento stagionale, con una «Limited Edition». La nuova qualità Sparkling Mandarin è stata scelta dagli utenti del sito Migipedia

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Lo scorso anno i cioccolatini sferici Freylini al pistacchio erano andati ad aggiungersi agli altri in assortimento: quest’anno è la volta della qualità Sparkling Mandarin. Le palline avvolte in carta verde e arancione sono preparate con cioccolato al latte e contengono un ripieno cremoso al mandarino, con effetto effervescente. Un’altra novità: i Freyilini in versione miscela speciale di Natale: Special XMas-Mix. La scatola dorata contiene cioccolatini al caramello-nougat-sale marino, al pistacchio, e i Brownie.

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Idee e acquisti per la settimana

Lo sapevate? Migros-Bio

Le tre paste per biscotti in qualità Migros-Bio sono prodotte al 100 per cento con burro svizzero. I prodotti bio sono sempre ottenuti in sintonia con la natura.

Massima bontà con il burro bio svizzero

Coloro che desiderano risparmiare tempo durante le intense settimane dell’Avvento, con le paste pronte in qualità bio è presto servito. E siccome sono fatte con autentico burro svizzero bio, i biscotti sono buoni come quelli fatti in casa Testo Sonja Leissing; Foto Martina Meier

La pasta per milanesini è indicata anche per i biscotti ripieni.

In una graziosa confezione i biscotti bio rappresentano un attrattivo regalo per la notte di S. Nicolao: mettere i biscotti in un bel vaso di vetro, decorarlo con un nastrino con un biglietto di auguri personalizzato.

La pasta alle nocciole e cioccolato è buona come quella fatta in casa.

*Nelle maggiori filiali

Le formine di metallo (7 cm) sono ottenibili su www.galaxus.ch/birkmann.

Migros-Bio è sinonimo di un’agricoltura in sintonia con la natura. L’assortimento bio è composto da oltre 1300 prodotti. Migros Bio Pasta per milanesini al burro in blocco, 400 g Fr. 4.90

Migros Bio Pasta alle nocciole con cioccolato in blocco, 400 g* Fr. 5.20

Migros Bio Pasta di spelta e avena con uva di Corinto in blocco, 400 g* Fr. 5.20

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Lo sapevate? Migros-Bio

Le tre paste per biscotti in qualità Migros-Bio sono prodotte al 100 per cento con burro svizzero. I prodotti bio sono sempre ottenuti in sintonia con la natura.

Massima bontà con il burro bio svizzero

Coloro che desiderano risparmiare tempo durante le intense settimane dell’Avvento, con le paste pronte in qualità bio è presto servito. E siccome sono fatte con autentico burro svizzero bio, i biscotti sono buoni come quelli fatti in casa Testo Sonja Leissing; Foto Martina Meier

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In una graziosa confezione i biscotti bio rappresentano un attrattivo regalo per la notte di S. Nicolao: mettere i biscotti in un bel vaso di vetro, decorarlo con un nastrino con un biglietto di auguri personalizzato.

La pasta alle nocciole e cioccolato è buona come quella fatta in casa.

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Migros-Bio è sinonimo di un’agricoltura in sintonia con la natura. L’assortimento bio è composto da oltre 1300 prodotti. Migros Bio Pasta per milanesini al burro in blocco, 400 g Fr. 4.90

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Nocciole

L’istruzione è vincente

Grazie al programma per l’agricoltura sostenibile UTZ i coltivatori di nocciole turchi e i lavoratori che li aiutano nella raccolta migliorano le loro condizioni di vita. La Migros è tra i fautori del programma lanciato nel 2015 Testo Dora Horvath; Foto Claudia Linsi

Crema da spalmare di nocciole e cioccolato Per 2 vasetti da ca. 3,5 dl Ca. 35 porzioni in 2 cucchiai da tè Ingredienti 200 g di nocciole 200 g di cioccolato fondente 4 cucchiai di zucchero greggio 3 dl di panna 1 cucchiaio di cacao in polvere non zuccherato 1 presa di sale 2 cucchiai d’olio di noci o nocciole Preparazione 1. Tostate le nocciole in una padella

antiaderente senza aggiungete grassi a fuoco medio per 5-10 minuti. Fatele raffreddare e tritatele finemente. 2. Tritate il cioccolato. Mettetelo in padella con lo zucchero e la panna. Fate scaldare mescolando fino a quando il cioccolato si è sciolto. Incorporate le nocciole, il cacao, il sale e l’olio. Riempite i vasetti sciacquati con acqua bollente con la crema, chiudete subito ermeticamente e lasciate raffreddare.

Tempo di preparazione ca. 20 minuti Una porzione ca. 1 g di proteine, 9 g di grassi, 5 g di carboidrati, 450 kJ/100 kcal

Migros Bio Nocciole UTZ 200 g Fr. 4.60

M-Classic Nocciole macinate UTZ 200 g Fr. 4.20

Una lavoratrice stagionale mentre raccoglie nocciole UTZ in Turchia.

La Migros è uno dei pochissimi rivenditori al dettaglio al mondo che offre nocciole del programma di sostenibilità UTZ. La Migros ha messo a punto gli standard di produzione assieme alla sua industria Delica, ai responsabili della certificazione UTZ e ad altri partner. Queste normative vengono applicate gradualmente a partire dalla fine del 2015 e forniscono migliori condizioni sociali per i contadini e i loro aiutanti durante il raccolto. Così, nel dicembre dell’anno scorso, alla Migros erano disponibili le prime nocciole del programma UTZ e ora sono arrivate sugli scaffali anche le nocciole M-Classic contrassegnate con il sigillo UTZ. L’assortimento sarà ampliato costantemente. Le nocciole provengono dalla costa turca sul Mar Nero, una regione con condizioni atmosferiche ideali per questa coltivazione, grazie alle calde temperature e a sufficienti precipitazioni. Tre quarti della raccolta mondiale di nocciole proviene dalla Turchia. In questo settore agricolo, tuttavia, spesso le condizioni di lavoro sono insoddisfacenti, le piantagioni poco curate o le piante troppo vecchie. Lo scopo del programma UTZ è di aumentare i redditi degli agricoltori attraverso il miglioramento dei metodi di col-

tivazione. Consulenti con una formazione specifica insegnano ai contadini ad estirpare le piante più vecchie e improduttive sostituendole con delle nuove e a potare correttamente quelle restanti. Inoltre, insegnano a combattere i parassiti e a conservare la qualità delle nocciole dalla raccolta fino all’essiccatura. Altre priorità sono la gestione ecologica e un uso parsimonioso delle risorse più preziose.

Migros Bio Nocciole macinate UTZ 200 g Fr. 4.60

Migliori raccolti portano migliori prospettive

Dell’introduzione delle direttive UTZ approfittano anche i lavoratori agricoli stagionali, che si spostano da un raccolto all’altro con tutta la famiglia. A loro viene insegnato come maneggiare gli arbusti di nocciolo e ricevono utili informazioni sulle strutture sanitarie cui possono rivolgersi. Viene ampliata anche l’offerta di attività ricreative diurne per i loro figli. Il programma, inoltre, responsabilizza i contadini sui loro doveri. Ad esempio, devono rispettare le leggi sul lavoro e le condizioni di assunzione, come pure tenere un registro delle retribuzioni degli aiutanti per la raccolta. Molti agricoltori hanno già ottenuto dei redditi migliori, così che il programma sta avendo un gran successo.

Il sigillo di qualità UTZ certifica una coltivazione rispettosa dell’uomo e della natura, che consente agli agricoltori di aumentare i raccolti e i redditi. Ricette di

www.saison.ch

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Nocciole

L’istruzione è vincente

Grazie al programma per l’agricoltura sostenibile UTZ i coltivatori di nocciole turchi e i lavoratori che li aiutano nella raccolta migliorano le loro condizioni di vita. La Migros è tra i fautori del programma lanciato nel 2015 Testo Dora Horvath; Foto Claudia Linsi

Crema da spalmare di nocciole e cioccolato Per 2 vasetti da ca. 3,5 dl Ca. 35 porzioni in 2 cucchiai da tè Ingredienti 200 g di nocciole 200 g di cioccolato fondente 4 cucchiai di zucchero greggio 3 dl di panna 1 cucchiaio di cacao in polvere non zuccherato 1 presa di sale 2 cucchiai d’olio di noci o nocciole Preparazione 1. Tostate le nocciole in una padella

antiaderente senza aggiungete grassi a fuoco medio per 5-10 minuti. Fatele raffreddare e tritatele finemente. 2. Tritate il cioccolato. Mettetelo in padella con lo zucchero e la panna. Fate scaldare mescolando fino a quando il cioccolato si è sciolto. Incorporate le nocciole, il cacao, il sale e l’olio. Riempite i vasetti sciacquati con acqua bollente con la crema, chiudete subito ermeticamente e lasciate raffreddare.

Tempo di preparazione ca. 20 minuti Una porzione ca. 1 g di proteine, 9 g di grassi, 5 g di carboidrati, 450 kJ/100 kcal

Migros Bio Nocciole UTZ 200 g Fr. 4.60

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Una lavoratrice stagionale mentre raccoglie nocciole UTZ in Turchia.

La Migros è uno dei pochissimi rivenditori al dettaglio al mondo che offre nocciole del programma di sostenibilità UTZ. La Migros ha messo a punto gli standard di produzione assieme alla sua industria Delica, ai responsabili della certificazione UTZ e ad altri partner. Queste normative vengono applicate gradualmente a partire dalla fine del 2015 e forniscono migliori condizioni sociali per i contadini e i loro aiutanti durante il raccolto. Così, nel dicembre dell’anno scorso, alla Migros erano disponibili le prime nocciole del programma UTZ e ora sono arrivate sugli scaffali anche le nocciole M-Classic contrassegnate con il sigillo UTZ. L’assortimento sarà ampliato costantemente. Le nocciole provengono dalla costa turca sul Mar Nero, una regione con condizioni atmosferiche ideali per questa coltivazione, grazie alle calde temperature e a sufficienti precipitazioni. Tre quarti della raccolta mondiale di nocciole proviene dalla Turchia. In questo settore agricolo, tuttavia, spesso le condizioni di lavoro sono insoddisfacenti, le piantagioni poco curate o le piante troppo vecchie. Lo scopo del programma UTZ è di aumentare i redditi degli agricoltori attraverso il miglioramento dei metodi di col-

tivazione. Consulenti con una formazione specifica insegnano ai contadini ad estirpare le piante più vecchie e improduttive sostituendole con delle nuove e a potare correttamente quelle restanti. Inoltre, insegnano a combattere i parassiti e a conservare la qualità delle nocciole dalla raccolta fino all’essiccatura. Altre priorità sono la gestione ecologica e un uso parsimonioso delle risorse più preziose.

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Migliori raccolti portano migliori prospettive

Dell’introduzione delle direttive UTZ approfittano anche i lavoratori agricoli stagionali, che si spostano da un raccolto all’altro con tutta la famiglia. A loro viene insegnato come maneggiare gli arbusti di nocciolo e ricevono utili informazioni sulle strutture sanitarie cui possono rivolgersi. Viene ampliata anche l’offerta di attività ricreative diurne per i loro figli. Il programma, inoltre, responsabilizza i contadini sui loro doveri. Ad esempio, devono rispettare le leggi sul lavoro e le condizioni di assunzione, come pure tenere un registro delle retribuzioni degli aiutanti per la raccolta. Molti agricoltori hanno già ottenuto dei redditi migliori, così che il programma sta avendo un gran successo.

Il sigillo di qualità UTZ certifica una coltivazione rispettosa dell’uomo e della natura, che consente agli agricoltori di aumentare i raccolti e i redditi. Ricette di

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 7 novembre 2016 • N. 45

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