Cooperativa Migros Ticino
G.A.A. 6592 Sant’Antonino
Settimanale di informazione e cultura Anno LXXIX 7 novembre 2016
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Società e Territorio Intervista a Paolo Crepet sul suo ultimo libro intitolato Baciami senza rete
Ambiente e Benessere Le ricerche di Yoshimori Ohsumi sull’autofagia cellulare sono state premiate con il Nobel per la medicina 2016
Politica e Economia Grande incertezza sull’esito delle elezioni americane 2016
Cultura e Spettacoli Pietro Montorfani e l’Archivio storico della città di Lugano
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di Giorgio Thoeni pagina 42
Compagnia Finzi Pasca
Il teatro che affronta la vita
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Una profonda frattura sociale di Peter Schiesser È stata la campagna presidenziale americana più devastante, deleteria, assurda da decenni. Mercoledì il mondo conoscerà il nome del prossimo presidente e potrà cominciare a fare i conti con Hillary Clinton o con Donald Trump. Perché le presidenziali americane non sono una questione interna: importa a tutto il mondo sapere chi guiderà la maggiore superpotenza mondiale per i prossimi 4 o 8 anni. L’unica consolazione è che la lunga corsa alla Casa Bianca è terminata, ma in un crescendo di accuse reciproche, sulla condotta sessuale di «the Donald», sui segreti di Hillary. E questo lascia molti interrogativi aperti sul dopo: Trump accetterà una sconfitta, o seguiterà ad aizzare i suoi sostenitori contro il «sistema»? Hillary saprà conquistarsi la fiducia degli americani, posto che riesca davvero ad ereditare lo Studio ovale da Barack Obama? Ma soprattutto: dove stanno andando gli Stati Uniti? La domanda è legittima: com’è possibile che una persona come Donald Trump, egocentrica, permalosa, menzognera, truffaldina, senza la minima conoscenza del funzionamento della politica,
interna e internazionale, senza un programma che poggi su basi se non solide almeno credibili, dalla condotta morale impresentabile, riesca a farsi nominare candidato presidenziale e ad ambire di reggere le sorti degli Stati Uniti? È stato spiegato fino alla nausea: Trump è l’incarnazione della paura del ceto medio bianco, che paga lo scotto di una modernizzazione che poggia su un’alleanza d’acciaio tra globalizzazione dei commerci e rapida evoluzione tecnologica. Se questa paura induce molti cittadini a scegliere un candidato di rottura come Trump, nell’illusione di spostare indietro le lancette della storia, significa che la frattura all’interno della società statunitense è profonda e grave. Qualche sociologo inserisce questa crisi in un contesto più ampio (come si legge sul «New York Times» del 3 novembre), di una crisi dell’«identità bianca», frutto del rimescolamento etnico seguito alle migrazioni favorite dalla globalizzazione. Abituato ad un benessere e a un ruolo preminente nel mondo (che nei secoli scorsi ha colonizzato), l’uomo bianco fatica ad accettare che le regole del gioco sono cambiate, che la sua cultura e il benessere di cui ha goduto (senza chiedersi su quali basi di sfruttamento e ingiustizie nel mondo
poggiasse) non sono più predominanti né garantiti. È una posizione di rendita che è andata perduta. Non è una consolazione, per chi vive questa crisi di identità, sapere che la povertà nel mondo è diminuita grazie alla globalizzazione, poiché nel mondo «bianco» ha favorito pochi a detrimenti di molti. Tuttavia, nulla possono i muri e il rifiuto di accordi di libero scambio evocati da Trump, poiché «i posti di lavoro persi dall’economia statunitense non sono andati ai messicani, sono andati ad un microchip» (citazione di Thomas L. Friedman sul NYT). La «crisi dell’identità bianca», che ha partorito una rinascita del populismo, non è solo americana: lo provano le reazioni di molti cittadini europei, tradottesi in voti per i movimenti nazionalisti, per una Brexit, per i muri contro gli immigrati. Eppure, il mondo ha bisogno di un’America che tiene ancora in considerazione i valori democratici dell’Occidente. Ciò vale in moltissimi ambiti, fra questi anche quello ambientale: la salvaguardia del clima, centrale per il futuro del pianeta, sarebbe impossibile con un presidente come Trump, che nega l’esistenza dell’effetto serra. Se è pur vero che gli Stati Uniti sono sempre pronti a difendere i loro interessi, è altrettanto vero che non si vedono altre potenze «illuminate».