Cooperativa Migros Ticino
G.A.A. 6592 Sant’Antonino
Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXI 5 novembre 2018
Azione 45 -71 ping M shop ne 49-53 / 67 i alle pag
Società e Territorio Pronti per la stagione invernale? Informazioni e novità dalle stazioni sciistiche ticinesi
Ambiente e Benessere I fiumi sono un ecosistema complesso in cui vivono molti minuscoli organismi: studiandoli possiamo capire lo stato di salute delle nostre acque
Politica e Economia Tutte le donne di Jair Bolsonaro, a cominciare dalla terza moglie Michelle
Cultura e Spettacoli Grande successo per l’edizione 2018 di Piazzaparola, la rassegna luganese dedicata alla letteratura
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di Angela Nocioni pagina 25
AFP
Svolta pericolosa in Brasile
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Credere o riflettere? di Peter Schiesser Come andranno a finire le elezioni di medio termine negli Stati Uniti, domani? E la lenta successione alla cancelliera Angela Merkel, di capitale importanza per la stabilità della Germania e dell’Unione europea, la diatriba fra Roma e Bruxelles sul bilancio dello Stato per l’anno prossimo, la Brexit, la cui scadenza di fine marzo si avvicina a rapidi passi, il Brasile di Bolsonero...? Dopo l’elezione di Donald Trump, che pochi hanno saputo predire, non conviene affidarsi troppo alla razionalità per dedurne delle logiche decisioni e conseguenze. Se il futuro sembra ancor più imprevedibile, anche la lettura del presente è difficile. Realtà molto diverse fra di loro, in Europa, reagiscono politicamente in modo simile, favorendo forze populiste, non sempre inscrivibili in uno schema di destra e sinistra ma con rumorose frange senza dubbio di estrema destra. A volte si capisce da dove proviene la rabbia, quando si vedono i volti dei perdenti della globalizzazione, ma in altri casi bisogna fare una bella giravolta mentale per capire: com’è possibile che Cdu-Csu e socialdemocratici abbiano subito un tale tracollo in Länder così prosperi come la Bavie-
ra e l’Assia? I litigi e la stanchezza all’interno della GroKo, l’acronimo per la grande coalizione fra Cdu-Csu e Spd, giustificano un simile risultato? O forse è quel milione di rifugiati accolti dalla cancelliera Merkel nell’estate del 2015? Ma allora il crollo poteva avvenire già l’anno scorso alle elezioni federali. C’è qualcosa che ancora sfugge nella crescita di partiti populisti come la Alternative für Deutschland in un paese che ha fra le migliori prospettive in Europa. Come pure sfugge ad una logica complessiva una hard Brexit dall’Ue. Tuttavia, un malcontento e una sfiducia verso l’ordine costituito, politico, economico, culturale, esistono. È cresciuto un sentimento diffuso di indignazione, che può avere tante spiegazioni individuali ma di cui manca la spiegazione principe. E chi è indignato non è pronto a dialogare, a cercare compromessi. Lo si nota nei toni della politica odierna, nei commenti ai giornali, ma ancor di più nei social media. Si creano muri contro muri, si distrugge l’avversario, in una difesa estrema contro qualcosa che resta impalpabile e per qualcosa che è spesso illusorio. Infatti, dai movimenti populistici, dagli estremismi vari non si intravvede davvero una nuova via, un progetto politico praticabile che risolva o perlomeno sopporti le contraddizioni di
società complesse come quelle moderne. In alcuni paesi, di conseguenza, ci si sta rifugiando di nuovo nella visione di un uomo forte. Un leader in cui identificarsi, deresponsabilizzandosi. In questa era del caos, loro, i leader populistici sono forse tra i pochi a sapere che strada imboccare (quella del potere), quali mezzi impiegare: la disinformazione. Se nel resto del mondo si punta tradizionalmente ad eliminare anche fisicamente le voci critiche, avversari politici e giornalisti, in Occidente lo strumento principe sono oggi i social media. Si comunica con il popolo tramite tweet e facebook, salta la mediazione del giornalista che potrebbe leggere criticamente le parole del politico, ogni dichiarazione passa senza verifica, ogni parola e il suo contrario assumono tono di verità, anche se dette dalla stessa persona. I fatti alternativi assumono a poco a poco lo stesso peso dei fatti reali, per giungere ad una logica conclusione: la verità non è la verità (frase dell’ex procuratore di New York Giuliani, oggi avvocato di Trump). Non c’è più molto posto per la riflessione, la concatenazione logica di fatti e conseguenze. Anche se forse è un processo di cui non siamo molto consapevoli, c’è di nuovo un gran bisogno di credere. Anche questa volta in un pensiero magico.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 5 novembre 2018 • N. 45
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Attualità Migros
M La lingua dei segni, un ponte di comprensione
Scuola Club di Migros Ticino Grazie alla collaborazione con la Federazione Svizzera dei Sordi, in partenza
nuovi corsi di Lingua dei segni italiana (LIS) e una formazione per interpreti e traduttori «Se pensiamo che fino agli anni Settanta la lingua dei segni era vietata ovunque, anche nelle scuole…» – racconta Alexandra Nötzli, presidente della Federazione Svizzera dei Sordi SGB-FSS – «Fortunatamente negli ultimi decenni sono stati compiuti grandi passi in avanti, ma c’è ancora tanto da fare per raggiungere il pieno riconoscimento di tutte le lingue dei segni. Non bisogna dimenticare che ogni idioma parlato ha un corrispettivo in lingua dei segni e per questo motivo nel nostro Paese ne abbiamo tre: la lingua dei segni svizzero-tedesca, quella francese e quella italiana appunto, la LIS». In Svizzera si stima attorno al milione il numero di persone sorde, audiolese o con problemi di udito. I sordi profondi raggiungono quota 10’000, circa 600 nel solo Ticino. Si parla sempre di stime. Nessuno ha un conteggio dettagliato perché la sordità è un handicap invisibile e solo quando c’è una specifica richiesta di supporto da parte della persona sorda, il problema emerge e viene preso in carico. La vita di un sordo ha una sua normalità. Il vero nodo resta la comunicazione, premessa alla piena integrazione. A ciò viene in aiuto la LIS, la lingua dei segni, lo strumento più naturale per una persona sorda di relazionarsi con altri, interagire, farsi comprendere, contribuire.
«Per questo è importante promuovere le opportunità di apprendimento della lingua dei segni italiana, così come accompagnare la formazione di professionisti che affianchino le persone sorde nella gestione delle piccole e grandi sfide quotidiane» – puntualizza Alexandra Nötzli – «In questa direzione va la collaborazione tra la nostra Federazione e la Scuola Club di Migros Ticino, un’istituzione formativa riconosciuta a livello nazionale soprattutto nel campo delle lingue che si è messa con passione e professionalità al nostro fianco in questa sfida». Due sono le iniziative avviate. Su un primo fronte, alla Scuola Club di Migros Ticino vengono rilanciati i corsi nella lingua dei segni italiana con una significativa novità: grazie a un grande sforzo di sistematizzazione degli apprendimenti, la LIS viene riconosciuta lingua a tutti gli effetti ed integrata nel quadro dei livelli previsti dal quadro comune linguistico europeo (QCER). «Occorre forse spiegare come erano prima i corsi…» – precisa Alexandra Nötzli per sottolineare la rilevanza dell’operazione – «Si cominciava con il primo livello e si proseguiva con i successivi senza una definizione di obiettivi e contenuti dei diversi step… Da qui l’idea di ripensare i corsi, allineandoli
Il percorso biennale professionalizza il ruolo di interprete e traduttore.
al quadro di valutazione europeo. Abbiamo lavorato per sistematizzare la proposta e proporla all’intero Canton Ticino. La collaborazione con la Scuola
Corsi nella lingua dei segni italiana alla Scuola Club Principianti Livello A1
Introduzione alla Lingua dei Segni Italiana (LIS). Corso rivolto a persone sorde o udenti interessate alla LIS. Dal 19 novembre all’8 aprile 2019, 36 ore-lezioni / Fr. 510.–. Scuola Club Migros Ticino, sede di Lugano (via Pretorio 15) o sede di Mendrisio (via Praella 14).
Corso LIS avanzato
Modulo propedeutico al Percorso formativo per Interpreti e Traduttori LIS (9 moduli). Primo step per accedere al Percorso formativo modulare per Interpreti e Traduttori LIS. Corso rivolto a persone che desiderano diventare interpreti e traduttori LIS, docenti sordi, interessati di linguistica.
Dal 9 novembre al 15 febbraio 2019, 120 ore-lezione / Fr. 2160.–, Scuola Club Migros Ticino, sede di Lugano (via Pretorio 15). Iscrizioni e informazioni: Tel. 091 821 71 50 scuolaclub.ticino@migrosticino.ch www.scuola-club.ch
Club si è cementata anche grazie al successo del primo corso di formazione per formatori che ha visto la piena integrazione di 3 persone sorde. Un unicum in Svizzera». Il secondo fronte vede l’avvio di un corso di interpreti e traduttori della Lingua dei segni italiana che arriva dopo 20 anni dall’ultima formazione sull’argomento nel territorio ticinese. Così introduce la novità Pietro Celo, consulente esperto per la Lingua dei segni della Federazione dei Sordi SGB FSS, direttore pedagogico del Centro oto-logopedico Sant’Eugenio di Locarno e professore di Lingua dei segni all’Università di Bologna Scuola interpreti e traduttori di Forlì «La proposta risponde ad una reale esigenza di servizi da parte di persone sorde per un loro pieno accesso al dirit-
to di cittadinanza e di pari opportunità. Lo definirei un corso audace, ricco di insegnamenti e contenuti, modulare nella forma, con la possibilità di accesso a ciascun modulo da parte di esperti e curiosi». Il corso, biennale, porterà alla professionalizzazione del ruolo di interprete e traduttore nella lingua dei segni. Novità assoluta dal punto di vista formativo e culturale è anche la riflessione sulla traduttologia nella Svizzera Italiana. «Andiamo a colmare un vuoto importante nell’offerta dei servizi di traduzione e interpretariato della LIS» – conclude Pietro Celo – «non solo per le persone sorde, ma anche per la comunità tutta che si avvale di questo servizio come atto di civile inclusione dei sordi nella nostra società». Annuncio pubblicitario
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 5 novembre 2018 • N. 45
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Società e Territorio Una vita tra le essenze Visita a Jean-Claude Richard che esercita una delle professioni più profumate del mondo
Svizzere straordinarie Fatima Vidal ha raccolto in un libro la storia di 100 donne, ognuna delle quali ha scelto una carriera unica ed esemplare
Pronti per l’inverno Una carrellata sulle stazioni sciistiche ticinesi con le indicazioni sulle novità che caratterizzano la prossima stagione pagina 8
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Marka
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Come cambia la personalità nell’adolescenza
Psicologia Gli anni tra l’infanzia e l’età adulta sono cruciali perché fattori esterni di stress possono condizionare
per sempre lo sviluppo. Secondo diversi studi, gli adulti dovrebbero avere più cura dei teenager, aiutandoli a conoscere il funzionamento del proprio cervello e a sviluppare abilità non solo cognitive Stefania Prandi L’adolescenza è un periodo cruciale per lo sviluppo della personalità. Una serie di studi, raccolti di recente in un articolo della BBC, ricorda come «la fase più travagliata della vita» sia anche quella più delicata nel percorso per diventare adulti. Sarah-Jayne Blakemore, professoressa di Neuroscienze cognitive all’University College di Londra e autrice di Inventare se stessi: Cosa succede nel cervello degli adolescenti (Bollati Boringhieri), ha dedicato gran parte del suo lavoro accademico nell’analizzare il delicato sviluppo del cervello durante gli anni precari, intensi e decisivi dell’adolescenza. Secondo lei, gli adulti esprimono giudizi troppo severi verso i più giovani e non li capiscono a sufficienza. In un’intervista al settimanale «Observer» ha dichiarato che ci sono stereotipi negativi da sempre, già da Socrate che diceva che hanno brutti modi, disprezzo per l’autorità, mostrano poco rispetto per i più vecchi e amano le chiacchiere invece dell’esercizio. Non sarebbe consentito fare lo stesso con altri gruppi sociali, come gli anziani, ad esempio, ma è stranamente ammissibile deridere e demonizzare i teenager. «Non apprezziamo
che i nostri bambini si ribellino, diventando indipendenti. È un passaggio difficile da gestire e un modo per accettarlo è prenderli in giro». Nel suo libro, da poco pubblicato in italiano, pioneristico per certi versi e adatto ai diretti interessati, gli adolescenti, Blakemore spiega che i cambiamenti, i turbamenti, la volubilità, sono parte di un processo biologico naturale e adattivo che ha bisogno di un certo periodo per stabilizzarsi. I teenager non studiano il funzionamento del loro cervello a scuola e invece sarebbe opportuno introdurre delle lezioni ad hoc perché, in base ad alcuni programmi sperimentali monitorati dalla stessa Blakemore, ci potrebbero essere dei benefici nell’avere una maggiore consapevolezza. In questa fase della vita, infatti, compaiono i tre quarti dei disturbi e delle malattie mentali come depressione, ansia, disordini alimentari e schizofrenia. Succedono cambiamenti contemporaneamente e le pressioni della vita, soprattutto quelle scolastiche, aumentano all’improvviso. Il problema è che si comincia a sembrare adulti e gli altri si aspettano che ci si comporti da grandi, quando invece non si è ancora pronti. In questi anni di mezzo la persona-
lità può cambiare drasticamente. Christian Jarrett, psicologo britannico con diverse pubblicazioni scientifiche all’attivo, e con in programma, per il 2019, l’uscita del libro Personology, Using the Science of Personality Change to Your Advantage (Personology, Usando la scienza del cambio di personalità a proprio vantaggio), per gli editori Simon and Schuster e Little Brown, sostiene che da parte di genitori e insegnanti servono particolari attenzioni e cautele. Nel passaggio tra l’infanzia e la maturità si è paragonabili a un caleidoscopio che viene scosso ed è di profonda importanza il modo in cui alla fine si combinano i pezzi. Una ricerca apparsa nel 2017 sul «Journal of Personality and Social Psychology», realizzata su migliaia di teenager olandesi, che sono stati sottoposti a test ogni anno per sette anni, dimostra che ci sono temporanei cali di coscienziosità e un aumento dell’instabilità emozionale. Si assiste a una regressione che dura per qualche anno, per poi sparire. Anche se questa branca di studi è solo all’inizio, i risultati raccolti fino ad ora indicano che un’ampia variazione nei tratti della personalità può essere parzialmente collegata a importanti processi dello sviluppo neu-
rologico che permettono al cervello di essere modellato e influenzato dall’ambiente. I tratti che appaiono nella fase da teenager sono predittivi di un ampio raggio di risultati a lungo termine. Christian Jarrett dice ad «Azione»: «Per molto tempo c’è stata la convinzione che la personalità fosse qualcosa di relativamente fisso. Adesso, invece, si ritiene che sia in gran parte malleabile e che gli aspetti strettamente connessi all’andamento scolastico e alla riuscita sul lavoro possano essere stimolati. Le implicazioni di questo approccio recente prevedono che la società non debba concentrarsi solo sull’insegnamento di materie specifiche, ad esempio la matematica oppure la scrittura di tesine: occorre una visione più ampia per aiutare i teenager a sviluppare abilità utili per il resto della vita in termini di salute, felicità e successo». In questo senso, ci sono interventi specifici che si possono adottare per valorizzare le abilità non cognitive, come l’autodisciplina, spingendo i giovani a coltivare nuove abitudini virtuose di pensiero e comportamento, facendoli riflettere sulle differenze tra il tipo di persona che sono e quella che vorrebbero
essere. «Più in generale, scuole e famiglie possono fare uno sforzo per creare situazioni che aiutino a nutrire e stimolare la responsabilità. Questo significa dare ai ragazzi ruoli formali, con compiti chiari», continua Jarrett, che ricorda quanto la presenza di genitori autorevoli e supportivi sia importante, soprattutto per le influenze dell’ambiente esterno. I fattori di stress, infatti, possono incidere in maniera negativa e irreversibile. Uno studio del 2017 pubblicato sul «Journal of Research in Personality» e condotto negli Stati Uniti su ragazzini e ragazzine tra gli otto e i dodici anni, seguiti nell’arco di dieci anni, indica che esperienze negative tra cui il divorzio dei genitori oppure un incidente d’auto sono associate a un’instabilità emotiva che si forma nell’adolescenza e continua anche dopo. E quando gli eventi avversi sono responsabilità diretta dei giovani, come il comportarsi in maniera indisciplinata in classe fino ad arrivare all’espulsione, hanno ripercussioni ancora peggiori sulla personalità: oltre al nevroticismo (la tendenza a provare emozioni negative, soprattutto in risposta allo stress), si ha una diminuzione della coscienziosità e della capacità di vivere in armonia con il resto del mondo.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 5 novembre 2018 • N. 45
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Società e Territorio
Come un alito di vento
Mestieri Il creatore di profumi Jean-Claude Richard inventa miscele di oli naturali ma ammonisce:
non bisogna coprire il proprio odore, perché è un importante mezzo di comunicazione Sara Rossi Guidicelli
Naso fino, in un arcobaleno di aromi. (S. Rossi)
ricordi quell’odore fresco di montagna quando si taglia l’erba ancora verde, ma non è facile perché se metto l’erba in un alambicco o in un torchio non succede niente». Non da tutte le piante infatti è possibile estrarre l’essenza. Creare profumi per Jean-Claude Richard è un gioco. Può però anche essere un mezzo di comunicazione per il corpo: gli si dice cosa fare. «Non posso dormire a comando, questo è un fatto. Ma se metto un po’ di lavanda sul cuscino mi addormento più facilmente, perché è un segnale che può dare una piccola quantità di olio essenziale della lavanda». Gli chiedo quindi dell’altra sua specializzazione. «L’osmologia, ovvero la scienza dell’olfatto, studia l’influenza che hanno gli odori sul comportamento della gente. Si tratta di una scienza nuova ma importante, perché se le risposte emozionali sono positive possono sollecitare il sistema immunitario, sviluppare la memoria, migliorare il nostro stato relazionale, combattere lo stress, aumentare o ridurre l’appetito, agire favorevolmente in alcune patologie. Certo l’osmologia interessa anche i commercianti», spiega il «naso». «Per esempio, si sa che se voglio vendere più pane mi conviene far sentire in tutta la strada il profumo fragrante delle mie brioches. Tuttavia interessa molto anche la medicina, perché un’équipe di ricercatori tedeschi dell’Università Tecnica di Monaco, guidata da Peter Schieberle, ha scoperto che ci sono cellule nel cuore, nei polmoni, nel sangue, e in altri organi, che possiedono gli stessi recettori dell’olfatto. Questi rappresentano una sorta di porta ingresso per i composti chimici volatili che veicolano un odore. Questi composti si connettono con i recettori e avviano una serie di reazioni biochimiche che il cervello associa ai diversi odori. Con la scoperta dei recettori “disseminati” sarà necessario studiare più a fondo il meccanismo e capire come l’organismo reagisce agli odori “catturati”, ad esempio, dal sangue». Un campo della medicina dove c’è ancora molto da esplorare. L’osmologia però si occupa anche di amore, coppia, separazioni. «Perché ci innamoriamo di una persona e non di un’altra? Perché il sudore è olfattivamente diverso se siamo nervosi? Ognuno di noi ha sulla pelle 3 milioni di pori che “parlano” in continuazione: il nostro corpo è programmato per dare continuamente informazioni agli altri corpi. Anche l’amore dipende un po’ da questo: le persone, in particolare le donne, sono fortissime nel scegliere un partner in base al suo odore. Naturalmente non ne sono coscienti e ci sono molti altri fattori che entrano in
gioco: ma uno dei primi segnali che ci dice se una persona ci piace o no è il suo odore». In due università, quella di Losanna e quella di Vienna, mi cita Richard, sono stati fatti recentemente due test simili, per indagare sul tema di coppia. Entrambi hanno dimostrato come prima di tutto uomini e donne cercano un odore il più possibile diverso dal proprio: una questione animale, per
mischiare i geni e rendere più forte la specie. Poi è risultato che per gli uomini il gradimento di un profumo è più o meno costante nel tempo, mentre per le donne cambia moltissimo nel corso del mese. Un odore che attira, durante il ciclo diventa repellente. Quando una donna ha le mestruazioni, o è in gravidanza, o prende la pillola, tende a scegliere odori simili al suo, per proteggersi. «Attenzione dunque a innamo-
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Professione: naso. Campi di interesse: aromatologia, oli essenziali e osmologia. Invenzioni particolari: profumo di nuvola e profumo di avventura. Jean-Claude Richard è affascinato dagli oli: centinaia di essenze che vengono estratte dalla natura (piante, fiori, frutti) per spremitura o distillazione. È un processo molto delicato e costoso. Per un litro di olio essenziale di melissa per esempio ci vogliono otto tonnellate di foglie. Mi passa il vaso che lo contiene e mi dice: «In questo momento hai in mano 30mila franchi». Ex hippy che in gioventù ha vissuto in una comune in Ticino, questo parfumier ha studiato in Svizzera interna aromatologia e osmologia, ovvero la scienza che studia il comportamento umano in relazione con gli odori. «Non ho fatto la scuola di profumeria perché non volevo studiare ingredienti sintetici. Non mi interessano e sono il 90 per cento del materiale che usa un “normale” inventore di fragranze. Mi sono concentrato sull’aromaterapia, gli oli essenziali e la chimica per fabbricarli, conservarli, miscelarli. Chiunque può diventare un creatore di profumi: non ci vuole un dono particolare, basta studiare, come per qualsiasi altra disciplina. Si allena il naso a riconoscere, trovare e ricordare gli odori. Il nostro cervello ha un posto dove conserva ogni esperienza olfattiva che facciamo, fin da piccoli». Il suo ricordo più bello: quando era malato, da piccolo e la mamma gli preparava la camomilla. Per lui quel profumo avrà sempre una connotazione di dolcezza. Mi racconta che l’ispirazione per i suoi profumi nasce così: come una poesia, un ricordo, un moto di ammirazione. Succede spesso in viaggio. «Una volta ero in Tanziania, con un piccolo aereo guidato da una pilota svizzera e siamo atterrati sull’erba. La guardavo e di colpo mi sono immaginato un profumo, un po’ selvaggio, avventuroso. Nella mia testa era chiaramente definito e l’ho chiamato in francese Terre d’aventure. Poi ho impiegato quasi un anno per trovarlo». Molto sta nella conoscenza. Bisogna studiare le essenze, capirle e trattarle con passione. Avere un bravo botanico a disposizione, poi, è fondamentale: «Per noi lavora la biologa Serena Wiederkehr-Britos, di Lugano. Quando ho un desiderio glielo spiego e lei parte alla ricerca di una menta o di una lavanda particolari, che vengono coltivate in un certo modo e che hanno una certa storia. Non ci interessa solo il profumo, infatti, ma anche la vita della pianta e di chi la coltiva. Vogliamo che tutte le nostre essenze siano derivate da coltivazione biologica e preparate sul posto. Seguiamo questo lavoro da vicino perché fa parte della nostra etica e teniamo moltissimo al nostro marchio di sostenibilità». Lo sentono come un dovere verso il pianeta, mi spiega il creatore di profumi. Anche l’osservazione di come viene usata una fragranza nel posto in cui viene coltivato il fiore, la radice o la spezia, può dare un’idea di profumo o di linea nuova. Per la sua ditta, il Farfalla, Richard ha creato dei temi, con vari prodotti: relax, vitalità, sicurezza, sonno, inverno e così via. Un’altra volta però gli è venuta un’ispirazione mentre se ne stava sul suo terrazzo e ha guardato il cielo. Ha pensato a quale potesse essere il profumo delle nuvole e ha iniziato a lavorare su una fragranza soffice e leggera. «Non ci sono limiti all’immaginazione. Semmai a contenerla sono motivi pratici: da sempre sto cercando qualcosa che
rarsi quando si prende la pillola, perché potrebbe smettere di piacervi...», ammonisce con un sorriso Jean-Claude Richard. Alla fine gli chiedo quale sia il suo profumo, come lo sceglie e se ne ha uno solo o se ne mette uno diverso in occasioni diverse. Gli chiedo se si stufa e poi lo cambia, se se ne è inventato uno tutto per sé o per la persona che ama. La sua risposta mi sorprende. «Io non uso quasi mai profumo. Con la mia compagna abbiamo deciso così: odoriamo di noi stessi e basta. Magari per un’occasione molto speciale sì, che è come aggiungere un accessorio un po’ chic, magari usato sulla sciarpa, in modo che ti svolazzi intorno come un alito di vento, ma che sia dedicato a chi ti viene vicino, non si deve sentire da lontano. Credo che nel nostro mondo abbiamo dei tic igienici troppo forti e ci profumiamo continuamente di qualcos’altro: shampoo e gel sui capelli, dopobarba e profumo sul collo, deodorante e vestiti che sanno di bucato. Ma il nostro odore non lo conosciamo più. Quello che è più importante di tutto è che una madre che allatta non si profumi, perché il bambino riconosce l’odore del latte e quello particolare della sua mamma. Però anche agli altri direi di non abusarne: a me piace pensare che non imbavagliamo tutte quelle molecole olfattive che si parlano tra un essere umano e l’altro e restiamo un po’ più noi stessi».
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 5 novembre 2018 • N. 45
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Società e Territorio
Donne svizzere straordinarie
Parità tra i sessi Un’iniziativa di Fatima Vidal, che vuole fornire
dei modelli virtuosi alle giovani Natascha Fioretti Laura Schälchli classe 1982 ha studiato Design-Management a New York e Scienze gastronomiche in Italia. Oggi è direttrice di LA FLOR (laflor.ch) la sua marca di cioccolato. Lei la definisce una trasparente manifattura cioccolatiera di casa a Zurigo che lavora in modo artigianale. «Si riconosce subito il sapore di una cioccolata fatta a mano, il gusto emerge grazie al cacao e non agli additivi. Le fave di cacao contengono fino a 600 componenti gustativi che, proprio come il vino, dipendono dal paese di provenienza, dalla pianta e dal clima in cui sono maturati». Esther Zwygart, invece, è una delle poche donne pilote al mondo e da diversi anni vola sugli aerei di linea della Lufthansa. Ma quello di guardare giù dal finestrino della cabina di pilotaggio e ammirare il panorama non è l’unico sogno che ha realizzato. Insieme alla sua famiglia è proprietaria di un’isoletta in Canada «è stato tutto molto casuale, eravamo in vacanza da quelle parti e abbiamo saputo di questo terreno in vendita. Ci siamo innamorati e nel giro di una notte abbiamo deciso di prenderlo». Da allora con amici e parenti trascorrono lì le loro vacanze in mezzo al silenzio della natura, spesso quando vanno in canoa per mare gli capita di vedere leoni marini e delfini. Poi c’è la profes-
soressa di economia comportamentale a Harvard, Iris Bohnet, direttrice del Women and Public Policy Program, e autrice del saggio What works – Gender Equality by Design, tradotto in altre parole: come il design comportamentale può rivoluzionare la parità. Esempio: le cinque migliori orchestre americane da decenni potevano contare su una sparuta percentuale di donne del 5%. Ogni volta che si apriva un concorso le candidate donne venivano bocciate da una giuria di soli maschi. Quasi a dire che gli uomini suonano meglio. Poi la sorpresa: ad un certo punto si è deciso di tenere le audizioni dietro ad una tenda, dunque era impossibile sapere se a suonare era un uomo o una donna e, come per incanto, la quota femminile in queste orchestre è sensibilmente salita. Nelle assunzioni, nelle promozioni, nel salario le donne spesso sono penalizzate. Iris Bohnet nel suo brillante libro mostra che le cause risiedono nelle nostre percezioni distorte che influenzano le nostre decisioni anche quando siamo convinti di essere oggettivi. A proposito di parità parliamo allora di Margrith Bigler-Eggenberger, classe 1933, primo giudice federale donna. È stata anche tra le prime docenti all’Università di San Gallo. Era il 1974, tre anni dopo l’entrata in vigore del diritto di voto alle donne, quando fu eletta per il rotto della cuffia. Per 17 anni rimase
l’unico giudice federale donna in tutta la Svizzera. Ed è stata una pioniera in fatto di parità e questioni di genere. Si è battuta per il diritto all’aborto e per la parità salariale. Nel 1977 un insegnante denunciò di essere vittima di una discriminazione salariale e il tribunale federale le diede ragione. Per Margrith Bigler-Eggenberger i diritti umani sono sempre stati irrinunciabili, suo marito sopravvisse per miracolo ad un campo di concentramento nazista. Vi chiederete cosa hanno in comune queste donne così interessanti eppure così diverse tra loro. Sono svizzere, hanno un forte legame con il nostro Paese e insieme ad altre 96 fanno parte di un sito dal titolo 100 aussergewöhnlichen Frauen in der Schweiz (100 donne straordinarie in Svizzera). Il progetto porta la firma di Fatima Vidal che ci spiega quanto il termine «straordinario» nel caso di questo lavoro sia molto soggettivo: «ho scelto quelle donne le cui storie mi appassionavano e che ho pensato fossero interessanti da conoscere per altre donne. Storie talvolta normali, talvolta eccezionali per diversi motivi. Racconto ad esempio di una parrucchiera che da un giorno all’altro ha deciso di lasciare il suo negozio per cambiare vita, oppure di Franziska Kiefer, appassionata di storia medievale, che voleva diventare una forgiatrice di armature ma, visti i tempi, ha trovato
Margrith Bigler-Eggenberger, primo giudice federale donna. (Cécile Oberholzer)
un compromesso ed è diventata maniscalco, oppure racconto la storia di Rosmarie Hidber, una vita dedicata al volontariato e, ancora, Renate Oertig che addestra cani da valanga e tre giovani ragazze, Monica Oliveira, Leslie Iseli, Natalia Rasstrigina, che con il loro video sulla cybersecurity e l’uso attento dei social sono state premiate dall’associazione di categoria per la protezione dei dati». Fatima Vidal, giornalista, autrice e fondatrice di una piccola casa editrice, ha voluto unire e mettere in evidenza donne di tutte le età che giocano un ruolo importante nella politica, nello sport, nella cultura, nell’economia, nella società e nelle scienze. Donne con un curriculum particolare. Perché tutte donne? «Perché ero stufa, soprattutto nei media, di vedere sempre e solo uomini. Se da un lato oggi
possiamo dire di avere raggiunto le pari opportunità, dall’altra le strutture nelle quali ci muoviamo non sono adeguate, non sono abbastanza emancipate. Inoltre con questo progetto mi sta a cuore fornire dei modelli positivi, virtuosi e costruttivi per le più giovani, dare loro il coraggio di percorrere la propria strada». Perché un progetto online? «È un segno dei tempi, oggi le persone non leggono più così tanti libri. Il mio sito ha più di 54’000 visitatori, con un libro non ne avrei mai raggiunti altrettanti. Tuttavia nei miei piani c’è anche una pubblicazione cartacea, per ora sono in cerca di fondazioni e sponsor disposti a sostenere il progetto». Se siete curiosi e avete voglia di conoscere destini e storie di altre donne non vi resta che andare a questo indirizzo: www.100frauen.ch Annuncio pubblicitario
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 5 novembre 2018 • N. 45
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Società e Territorio
Emozioni dalla montagna
Stagione bianca Una panoramica sulle attività proposte dalle quattro principali località per gli sport invernali
ticinesi, per scoprire cosa hanno in serbo nei prossimi mesi
Nicola Mazzi Chi sta preparando con cura e dedizione la stagione invernale di casa nostra è in fermento. In queste settimane si stanno ultimando i programmi e gli eventi previsti nei prossimi mesi, e con un orecchio si ascoltano le previsioni del tempo, speranzosi. La neve, che lo scorso anno è caduta copiosa anche in Ticino, si spera farà la sua parte anche quest’anno. Magari con il sole che splende durante il fine settimana. Ecco, questo binomio sarebbe l’ideale: tanta neve e bellissime giornate in cui poter sciare e passeggiare sulle nostre montagne. Per saperne di più abbiamo contattato i responsabili delle maggiori stazioni sciistiche della regione. Loro ci hanno illustrato i progetti in corso e le novità previste da dicembre. Alcune davvero molto interessanti e di sicuro appeal. Iniziamo con Bosco Gurin. Il piccolo paesino valser sta per dare forma a un progetto di ampio respiro e che si sviluppa su più anni. L’ideatore è l’imprenditore Giovanni Frapolli. «Stiamo concretizzando un’idea importante e che vuole abbracciare tutto l’anno, non solo l’inverno. Osserviamo, ormai, che il cambiamento del clima non favorisce le stazioni invernali e per questa ragione intendiamo allargare l’offerta turistica con infrastrutture attive da gennaio a dicembre». Entrando nel merito Frapolli evidenzia che la novità di Bosco quest’anno sarà l’inaugurazione della slittovia quattro stagioni. Un bob su monorotaia che viaggia su un percorso di 1 km con curve spettacolari e degne delle montagne russe, dove l’adrenalina e la massima sicurezza sono un connubio vincente. «Un’attrazione vicina agli impianti che vogliamo offrire a chi desidera magari fare una pausa tra una sciata e l’altra e passare qualche ora in compagnia, divertendosi», rileva l’imprenditore. Ed è proprio questo lo spirito che anima Frapolli. Quello di cambiare la destinazione; allargare l’offerta e farla vivere sulle quattro stagioni. In proposito, a Bosco Gurin, nei prossimi anni verranno realizzate nuove strutture. «Il nostro è un progetto consistente nel quale abbiamo investito diversi milioni di franchi». Infatti, oltre alla slittovia saranno costruiti anche un nuovo parco giochi per bambini e una Tirolese. Inoltre è in corso un’importante ristrutturazione dell’albergo e del ristorante. «Il tutto per far diventare Bosco Gurin, ma anche l’intera Valle-
La nuova slittovia di Bosco Gurin.
maggia un luogo turistico a 360 gradi e attivo tutto l’anno. Per questa ragione – continua – è giusto promuove la Locarno Vallemaggia Card, con la quale si mettono in rete stazioni come quella di Bosco e Mogno. Sono cosciente che è un cambio di mentalità importante, ma io ci credo e sono convinto che ci siano le premesse per costruire davvero qualcosa di importante, a beneficio di tutti: ticinesi e turisti», conclude Frapolli.
Bosco Gurin, Airolo, Carì e Campo Blenio si preparano ad accogliere il pubblico con nuove proposte e formule Sono tre le novità previste per la stazione di Airolo. Come ci spiega il responsabile marketing Andrea Rinaldi si parte dal rinnovamento del sito web. «Abbiamo infatti voluto rifare il portale per renderlo più accessibile e facile da navigare. In modo da essere più visibili e attrattivi per il pubblico». La seconda novità di quest’anno riguarda l’apertu-
ra di un bar igloo alla stazione di partenza della funivia. Mentre quella che forse farà più scalpore è l’introduzione di un tariffario dinamico. «In effetti – spiega Rinaldi – da quest’anno abbiamo elaborato un’offerta di prezzi un po’ particolare, prendendo spunto da altre stazioni sciistiche e da quanto capita per esempio con i biglietti d’aereo. Infatti sarà possibile, se acquistato con un certo anticipo, avere una riduzione fino al 25% del biglietto. Proprio come succede con gli aerei. Una giornaliera, in questo modo, potrà costare solo 27 franchi». L’apertura della stazione sciistica di Airolo, meteo e temperature permettendo, è prevista per il 1. dicembre. Fino a metà di quel mese gli impianti saranno aperti il finesettimana, in seguito e fino alla fine di marzo, tutti i giorni. Da segnalare che anche gli impianti di innevamento sono stati ottimizzati e sono già in programma diversi eventi come le gare di Coppa Europa di freestyle, il Grand Prix Migros oltre a un evento speciale per l’apertura del nuovo bar e uno alla fine della stagione, in marzo. Anche sull’altro versante della Le-
ventina e cioè a Carì, si stanno ultimando i preparativi per la nuova stagione. Il nuovo direttore degli impianti Luca Müller ci spiega in che modo. «Anzitutto riproponiamo la Leventiva Card, insieme alle altre stazioni della valle (Airolo, Dalpe e Cioss-Prato) dove è previsto uno sconto importante per chi l’acquista in prevendita. E come ad Airolo ci saranno sconti sulle giornaliere e un sistema che prevede una riduzione del prezzo a dipendenza di quando arrivi. Se uno sciatore viene, per esempio, nel pomeriggio, avrà uno sconto interessante» aggiunge. Gli impianti di Carì restano quelli usuali e cioè due seggiovie e due tappeti per i principianti. E anche questa stazione ha a disposizione i cannoni da neve, in modo da poter garantire l’apertura delle piste. A proposito di apertura Müller precisa che Carì aprirà dal 15 dicembre fino al 13 marzo e ricorda come la destinazione sia adatta anche alle scuole e ai gruppi, in quanto offre pure la pista per le slitte di 3 km e diversi percorsi per le ciaspole. Anche a Carì sono previsti svariati eventi tra cui un torneo di unihockey sulla neve, racchettate notturne, sotto la luna piena e giorna-
te dedicate alle aziende che desiderano passare un momento di svago e divertimento. Il direttore degli impianti di Campo Blenio Denis Valbianchi illustra le preposte che offre la stazione invernale che, meteo permettendo, intende aprire l’8 dicembre. «È la terza stagione in cui offriamo, a chi vuole fare una pausa dalle discese, anche la pista di ghiaccio. Oltre a questa possibilità la stazione sciistica è a disposizione per le settimane bianche, i corsi di sci e le racchettate e si rivolge soprattutto alle famiglie» evidenzia Valbianchi. Da notare che lo scorso anno erano stati registrati quasi 30mila primi passaggi, malgrado il brutto tempo degli ultimi weekend che hanno penalizzato gli arrivi. L’obiettivo è quello di almeno ripetere, se non migliorare, il risultato. «Ma intanto stiamo lavorando a un progetto per la stagione estiva, in quanto vogliamo far conoscere ai turisti e ai ticinesi quello che offre la nostra regione anche senza neve». Comunque, restando alla stagione invernale, Campo Blenio offre oltre alle piste di sci alpino anche piste per lo sci di fondo e due percorsi per le racchette.
Viale dei ciliegi di Letizia Bolzani Chiara Lorenzoni, I misteri del Circo Trepidini, Pelledoca. Da 11 anni Prosegue l’attività da «brivido» della giovane casa editrice milanese Pelledoca, che offre ai ragazzi romanzi thriller e di mistero affidati alla scrittura di qualità di vari autori italiani. I misteri del Circo Trepidini, ad esempio, ci porta in un’ambientazione, come quella circense, tipicamente adatta ad essere declinata anche su un tono noir, proprio perché la sua connotazione di allegria e divertimento può avere un lato oscuro perturbante. Del resto l’ambiguità del clown è un tema narrativo ben noto. Questo romanzo riesce tuttavia a scansare con eleganza le piste già sfruttate, e ci offre una storia avvincente che, certo, fa paura, ma soprattutto parla di coraggio e della possibilità di superarla. Non ci sono clown, ma c’è una ragazzina rimasta sola al mondo
che è affidata ai suoi lontani parenti Goffredo e Ulderica Trepidini, inquietanti proprietari dell’omonimo Circo. Goffredo, violento e alcolista, è il lanciatore di coltelli e Giulietta è la sua «partner» nei pericolosissimi numeri: immobile, appoggiata al tavolaccio su cui i coltelli vanno a disegnare il suo profilo o rannicchiata nel cubo trapassato dalle lame, è così che la ragazzina deve guadagnarsi il pane. Già questo basterebbe a scatenare il plot narrativo, perché Giulietta deve trovare il modo di sottrarsi alla sua angosciante
prigionia, ma c’è altro: c’è il suo giovane amico Victorius, «minore non accompagnato» fuggito da un centro d’accoglienza sovraffollato e quindi ormai clandestino, che più ancora di Giulietta è ricattabile e come lei subisce il destino di vittima dei paurosi numeri circensi; c’è il vuoto lasciato dalla sorella maggiore di Giulietta, misteriosamente scomparsa; e c’è un giallo legato a strani furti. Lo scioglimento di questi nodi è affidato alla solidarietà tra i personaggi positivi di questa avvincente storia. Julien Baer – Simon Bailly, Il libro nel libro nel libro, Il Castoro. Da 4 anni Le livre du livre du livre, s’intitola, nell’originale, questo incantevole albo a cui le immagini raffinate, pulite, moderne e antiche al contempo, del giovane illustratore francese Simon Bailly, devono gran parte della fascinazione
visiva. Tradotto con la preposizione nel, il titolo italiano sottolinea maggiormente il fatto che – letteralmente – questo libro ne contenga un altro che a sua volta ne contiene un altro, come già accadeva in un albo, altrettanto incantevole, di qualche anno fa: Apri questo piccolo libro, di Jesse Klausmeier e Suzy Lee (Corraini). Tuttavia questa è anche la storia di un libro, che a sua volta parla di un libro, che parla di un libro... Quesiti metaletterari a parte (che restano, per il lettore adulto, pur sempre affascinanti), resta il fatto
che il piccolo lettore si farà coinvolgere dall’avventura di Tommy e soprattutto dalla sua paura. Sì perché anche questa, a suo modo, è una storia di paura, la più grande per i piccoli, quella di non trovare più i genitori: Tommy va in spiaggia con loro, si allontana un po’ e non li vede più. Ha paura e sente freddo, ma trova un libro, lo apre e vi trova la storia di Tommy che va in montagna con i suoi genitori, si allontana un po’ e non li trova più, ma... trova un libro, che racconta la storia di Tommy che va su un altro pianeta, eccetera eccetera. Alla fine, come nel rassicurante gioco del cucù, ecco tre pacificanti finali: che sia al mare, in montagna o su Marte, mamma e papà sono lì, sorridenti, vicino a lui. Una storia che usa l’espediente onirico della mise en abîme per raccontare una piccola avventura di ansia e di sollievo, ma anche per raccontare come, a volte, aprire un libro possa far passare sia la paura sia il freddo.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 5 novembre 2018 • N. 45
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Società e Territorio Rubriche
L’altropologo di Cesare Poppi Quando vinsero gli indiani La cosidetta «storiografia revisionista» ha da un po’ di tempo in qua cresciuto un’audience di «interessati alla materia» – chiamiamoli cosi – pronti a sottoscrivere quelli che vengono presentati sul mercato della comunicazione come punti di vista diversi e «alternativi» alla storiografia ufficiale. O forse, per meglio dire, di quanto della storiografia ufficiale è passato nella coscienza culturale di massa delle moderne res gestae. Prendiamo ad esempio gli Indiani d’America, gli stessi che già dalla prima apparizione sulla scena della Storia globale hanno avuto la sfortuna di essere chiamati col nome sbagliato perché com’è noto gli Indiani d’America con gli Indiani Indiani non ci azzeccano proprio. Ma tant’è: complice un certo populismo ormai vincente, da cattivoni selvatici sporchi e puzzolenti che erano nei classici film Western d’antan sono stati sdoganati a vittime innocenti della Storia secondo quella rilettura codificata da film come L’Autunno dei
Cheyenne di un John Ford convertito sulla via di Damasco al paternalistissimo – perdonerete la scorciatoia linguistica altropologica – «Balla coi Lupi» da Sette Oscar dove, fra danzate e narrate, le balle sono altropologicamente innumerevoli. Tanto che, a proposito di Sette, lo stesso Settimo Cavalleria che per anni aveva annunciato a suon di cariche di tromba la salvezza last minute dei prodi pionieri o chi per loro dall’accerchiamento dei guerrieri di Manitù è stato fatto vittima sacrificale, eroica anche-sema-proprio-perché perdente di un Generale Custer immolato al Piccolo Grande Corno. Si tratta di una revisione sincera? Si tratta di una rilettura seria, critica e sincera di un’epoca nella marcia trionfale del cosidetto Occidente verso il Sol dell’Avvenir oppure... oppure... oppure un Corno, sostiene il Vostro, a proposito del Little Big Horn. La sostanza del discorso è e rimane che gli Indiani hanno due sole alternative nel campo della
guerra guerreggiata: o perdere perché perdono o perdere perché se anche vincono così sia per esaltare l’eroismo per quanto incosciente e dunque tanto piu tale» del folle di turno in vena di bravate. L’importante è – comunque – che i Pellerossa non vincano mai senza se e senza ma. Eppure. Con la firma del Trattato di Parigi che poneva fine alla guerra per l’indipendenza delle Colonie americane nel 1783, al governo dell’Unione veniva assegnata la giurisdizione delle terre ad est del Mississipi e a sud dei Grandi Laghi. Il governo americano sperava di risollevarsi dalla catastrofica situazione finanziaria del periodo post-rivoluzionario con la vendita di quelle fertili terre ai pionieri. Conti fatti senza l’oste: gli indiani nativi non ne volevamo sapere. I territori a Nordovest del fiume Ohaio dovevano rimanere di sovranità indigena, altrimenti... Altrimenti, come poi fu in effetti, sarebbe stata guerra. Sotto la leadership di Piccola Tartaruga e
di Giacca Blu gli indiani riuscirono a bypassare inimicizie storiche per poi formare una coalizione in grado di mobilitare, al massimo della sua forza, almeno un migliaio di guerrieri ben armati e meglio determinati ad impedire l’invasione dei grandi terreni di caccia del bisonte all’Uomo Bianco ed alle sue Giacche Blu. Le prime scaramucce divennero presto scontri in campo aperto fra truppe raccogliticce di giovani reclute e volontari motivati più dall’odio verso gli indiani che da un’effettiva capacità militare. Sconfitte umilianti acc ompagnate da perdite significative non motivarono il presidente americano George Washington – dopo tutto eroe vincitore contro gli Inglesi che certo non erano militarmente da meno di quattro selvaggi sporchi e puzzolenti – a più miti consigli. E fu così che il Generale Arthur St Clair si trovò a guidare un’improbabile forza mista di un migliaio fra soldati regolari, reclute e volontari con relativo
seguito di cuoche mogli, cantiniere e prostitute così come da prassi per gli eserciti di allora. Sia come fu: all’alba del 4 Novembre 1791 i mille guerrieri di Piccola Tartaruga attaccarono il campo dei soldati americani. Presi di sorpresa molti di questi non riuscirono nemmeno a mettere mano ai fucili e fuggirono gettando l’intero accampamento nel caos. Al termine del fuggi fuggi generale – e del massacro che ne conseguì perché i guerrieri di Piccola Tartaruga mica prendevano prigionieri – più del 97 per cento della forza americana, ovvero un quarto dell’esercito allora in armi della giovane Unione statunitense, era caduto sul campo. Statisticamente parlando, si tratta della peggior sconfitta della maggiore potenza globale di tutti i tempi. Da parte di quattro selvaggi-sporchipuzzolenti. E cattivi: non risparmiarono nessuno perché per loro guerra era guerra di popolo. Ovvero totale. Compris?
sia un’altra, magari poco chiara anche a chi, pur vivendo nello scontento, non sa intravvedere una soluzione desiderabile e possibile. Quello che chiede il desiderio, ancor prima di venire appagato, è di essere riconosciuto. Ed è soprattutto il sintomo a porre la domanda giusta. Non sappiamo da quali comportamenti di suo marito lei tragga la convinzione di essere abbandonata e di trovarsi sola con i due figli adottivi, che le sembrano più desiderati da lei che dal padre. Le lamentele, da sole, rappresentano soprattutto una richiesta di aiuto e di conforto. È difficile nella famiglia, un organismo vivente, distinguere le illazioni dalla realtà, separare le paure, resistere alla tentazione di proiettare sull’altro anche il proprio disagio. In questo momento suo marito ha bisogno di ascolto e di comprensione perché soltanto nel dialogo emergono i propri desideri, sempre parziali, ambivalenti contradditori. Può darsi, come lei teme, che sia in crisi perché non vi ama più ma, se così fosse, lasci che sia
lui a dirlo, non spetta a lei suggerirglielo. Spesso noi donne non tolleriamo la sospensione, il dubbio, la contraddizione e preferiamo far precipitare la situazione piuttosto che attendere. Dobbiamo invece recuperare l’arte antica di saper aspettare, come suggerisce il mito di Penelope che, facendo e disfacendo la tela, riesce ad accogliere Ulisse, il marito che ritorna dopo anni di inquieta, perigliosa navigazione. Nel frattempo cerchi di propiziare la crescita dei vostri ragazzi stabilendo in casa e fuori un clima di fiducia e di speranza. Non disperi: in fondo, anche dopo la notte più lunga, viene sempre il mattino. Con gli auguri di tutti i protagonisti, lettori e corrispondenti, di questo piccolo luogo di parola.
Non che, sia chiaro, le cosiddette parolacce non esistano più. Anzi, imperversano, come molti deplorano. Ma fanno capo, ad altre fonti d’ispirazione o riferimento, risapute: il cinema, la tv, la musica pop, lo sport, e , ormai frequentatissimi, i canali elettronici. Si tratta, insomma, di un’ondata incessante e di continuo rinnovata che, da un lato, appartiene allo «slang» di gruppi soprattutto giovanili, ma dall’altro contagia il linguaggio normale, persino, loro malgrado, dei benpensanti o ben parlanti che siano. E sono diventati materia di ricerca per gli addetti ai lavori: oggi, ben lontani, dal rigore purista di un tempo. Ottavio Lurati, nella Neologia degli anni 1980-90 e Sebastiano Vassalli in Il neoitaliano anni 80, registrarono quest’afflusso di parole nuove, fra cui non mancavano anche le parolacce.
Che, ben presto, non sarebbero più state tali, ormai assolte dall’uso comune. Tuttavia, secondo studi su scala mondiale, l’italiano risulta meno contaminato dai gerghi volgari: soltanto lo 0,5% dei vocaboli più usati appartiene alla categoria parolacce. Mentre, per gli anglosassoni, soprattutto americani, si sale addirittura al 7%. In Ticino poi, come osservava Lurati nel suo Italiano regionale, la frontiera rappresenta un filtro che rallenta la diffusione dei neologismi, e quindi delle parolacce. Ma è anche questione di disinvoltura. Sui quotidiani italiani «cazzo» «cazzeggio», «figo», «sfigato,» «stronzo», «cagata», compaiono, ormai, in articoli e commenti seri, che recano firme prestigiose. Una libertà che, da noi, non ha corso. Personalmente, li scrivo qui per la prima volta. E non si ripeterà, considerando la libertà un’altra cosa.
La stanza del dialogo di Silvia Vegetti Finzi L’arte di saper aspettare Gentile Signora Finzi, con interesse leggo sempre la sua rubrica. Con questa mia lettera vorrei riallacciarmi a quella di Antonio e Livia di lunedì 24 settembre, dove si parlava di saper riconoscere i propri desideri, in quel caso riguardo al figlio. Io invece sono in grande difficoltà con mio marito a causa del riconoscere i propri desideri. Siamo sposati da 16 anni e abbiamo due figli adottati di 11 e 6 anni. Dopo pochi mesi dall’arrivo del primo figlio, c’è stata una prima crisi superata dopo 6 mesi, ed io avevo pensato fosse stata colpa mia e mi sono assunta le responsabilità della situazione credendo di aver dedicato troppo tempo al nuovo arrivato e troppo poco alla coppia. Poi tutto sembrava risolto, e così insieme ci siamo incamminati verso il secondo figlio. Dopo un anno dal suo arrivo, un’altra crisi che dura da oltre un anno. Mio marito dice che ha bisogno di riconoscere i suoi desideri, che la vita che ha fatto con me fino ad ora non lo rende autentico, lo ha fatto perché così s’aspettavano tutti. Ha bisogno di cogliere nuove e stimolanti attività, vivere una
vita piena cogliendo ogni opportunità. Io mi chiedo, ma a 45 anni e dopo aver formato una famiglia, com’è possibile che una persona abbia ancora bisogno di cercare dell’altro, di voler percorre una nuova strada abbandonando coloro con i quali è stato costruito un cammino, possibile che questo cammino lungo 16 anni stia stretto e che si abbia bisogno di creare nuovi progetti che rendano soddisfatti, possibile che una persona si possa rendere conto solo ora di aver mentito a se stesso (e agli altri) per non aver vissuto in modo autentico? Mentre io ora mi ritrovo sola a gestire il tutto, con la tristezza nel cuore, la necessità di reagire per far fronte al quotidiano e con una domanda che mi assilla: vale la pena continuare a lottare e sperare? Grazie. / Donatella Cara Donatella, innanzitutto grazie per la fiducia che mi dimostra e benvenuta nella «stanza del dialogo». La sua lettera mi permette di approfondire il tema del desiderio uno dei più importanti e complessi della psicoa-
nalisi. Tenga conto che la sua rilevanza viene scoperta da Freud nell’interpretazione dei sogni dove emerge chiaramente l’attività di un pensiero notturno che cerca di soddisfare nel sonno desideri proibiti di giorno perché condannati dalla società e dal Superio, l’istanza interiore che rappresenta le norme morali. Tutti noi viviamo nel conflitto tra desideri e interdizioni, conflitto che si fa più intenso in certe stagioni della vita come l’adolescenza e la tarda maturità. Suo marito si trova appunto in un campo di battaglia tra «vorrei e non vorrei», come canta don Giovanni di Mozart. Il momento più delicato è quando, compiendo un bilancio della propria vita, ci si rende conto di quanto non è stato realizzato, di quanto è rimasto incompiuto e si vorrebbe tornare indietro riavvolgendo la moviola del tempo. Ma non è detto che l’alternativa sia l’abbandono della famiglia e la costruzione di una nuova relazione sentimentale, come lei sembra dare per scontato. Può darsi che l’aspirazione
Informazioni
Inviate le vostre domande o riflessioni a Silvia Vegetti Finzi, scrivendo a: La Stanza del dialogo, Azione, Via Pretorio 11, 6900 Lugano; oppure a lastanzadeldialogo@azione.ch
Mode e modi di Luciana Caglio Anche le parolacce diventano laiche Procede a tappe, sempre più ravvicinate, il processo di secolarizzazione in Irlanda. Nel maggio 2015 gli elettori accettano le unioni gay, nel maggio 2018 passa l’aborto legalizzato e, il 28 ottobre scorso, è la volta della blasfemia che non sarà più reato, come prevedeva la Costituzione. E una bestemmia poteva costare multe salatissime: fino a 25’ 000 euro. Si trattava, del resto, di adeguarsi a una raccomandazione del Parlamento europeo, basata sul principio della libertà d’espressione, secondo il quale «l’insulto religioso non costituisce reato e, quindi, non giustifica condanne». Come, per nostra fortuna, avviene nella stragrande maggioranza dei paesi democratici, cui, ovviamente, appartiene l’Irlanda, dove però l’avanzata della laicità doveva assumere tratti particolari: quelli di una rivalsa nei confronti di un cattolicesimo oppressivo e corrotto. In
proposito la ricca letteratura irlandese ci ha fornito incessanti testimonianze. Basti pensare, citando un esempio recente e popolare, a Le ceneri di Angela di Frank McCourt:, romanzo e cronaca di un’infanzia, fra povertà e sofferenze inverosimili, subite in scuole affidate a religiosi. Ora quest’Irlanda non esiste più. Si è voltato pagina depenalizzando l’insulto religioso. Anzi banalizzandolo, come si poteva leggere nell’edizione domenicale di «Irish Indipendent», il più diffuso quotidiano dell’isola, che, casualmente, ho avuto fra le mani. In un commento di prima pagina, Brennon O’Connor non nascondeva una certa inquietudine nei confronti di un cambiamento che cancellava un passato, dove la fede religiosa improntava la quotidianità. E, a modo suo, persino la blasfemia tollerata lo confermava. Si
viveva, insomma, fra invettive contro Dio, la Madonna e i santi, e, d’altro, canto il rosario recitato in casa, il suono delle campane che scandiva le giornata. Ma, allargando lo sguardo, al di fuori dei confini irlandesi, e registrando i comportamenti delle nuove generazioni e persino i nostri di anziani giovanilisti, la constatazione è inevitabile. E, per certi versi, consolatoria. Dal linguaggio popolare e, in particolare, dal gergo giovanile, la bestemmia è praticamente scomparsa. Quell’invettiva, lanciata contro i poteri divini, che, sino a mezzo secolo fa, apparteneva alla parlata dei contadini, oggi non risuona più, sui campi e sui cantieri. Aveva un significato liberatorio, rappresentava una forma di ribellione individuale e, in definitiva, alludeva alla presenza, nella quotidianità, del fattore religioso. Insomma, la chiesa ancora al centro del villaggio.
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Ambiente e Benessere Un bagno in Transilvania Ben oltre la leggenda di Dracula, la regione è conosciuta per le sue acque termali
Nuove luci per le auto Le tecnologie moderne permettono di sperimentare nuovi sistemi di illuminazione, con un occhio speciale alla sicurezza
Cucina alla romana Tra le varie culture gastronomiche italiane è una delle più popolari e saporite pagina 21
La cura dei gatti Una campagna dell’Usav vuole richiamare l’attenzione sulle necessità e i bisogni dei felini
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Restituiamo i fiumi alla natura
Sensibilizzazione Con Globe, il programma
internazionale di educazione ambientale, è possibile partecipare attivamente per valutare i corsi d’acqua e aiutarne così il recupero
Marco Martucci Il fiume, come ogni corso d’acqua, ruscello o torrente, è dinamico. «Panta rhei», «Tutto scorre». Non possiamo bagnarci due volte nello stesso fiume perché, nel frattempo, le sue acque sono mutate. Proprio per questa sua variabilità e imprevedibilità il fiume ha fatto e ancor oggi fa paura. Così, non pochi corsi d’acqua sono stati «corretti», termine a dire il vero non proprio felice dato che il fiume non è «sbagliato», ma semmai naturale, spontaneo. Interventi anche parecchio invasivi hanno raddrizzato il corso dei fiumi, hanno stretto l’alveo entro alti argini, l’energia è stata sfruttata in mille modi, le acque sono state trattenute da imponenti dighe. Queste grandi opere, realizzate in un’epoca nella quale la natura, più che da ammirare e proteggere era temuta, da dominare e sfruttare, erano giustificate. Hanno fatto guadagnare terreni all’agricoltura, alle costruzioni e alle vie di comunicazione e contenuto piene e allagamenti. Ma talvolta si è esagerato e interi corsi d’acqua sono stati costretti dentro tubi di cemento, alvei artificiali, perfino sotterrati o prosciugati. Negli stretti alvei, l’acqua aumenta di velocità e, non avendo più sfogo, si libera creando talora danni maggiori di quelli d’un tempo, quando scorreva senza costrizioni. In non pochi fiumi si riversano scarti industriali, liquami, fertilizzanti e pesticidi: fra i segni più visibili ecco l’aumento di alghe e le morie di pesci. La situazione non è dappertutto ugualmente preoccupante e ci sono ancora corsi d’acqua naturali e puliti. Ma tutto questo ha condotto a una riconsiderazione dell’ambiente dei corsi d’acqua e modificato i nostri comportamenti nei suoi confronti. Il fiume non è solo acqua. Anzi. Il fiume, quando scorre liberamente, è ambiente di vita, habitat di molte creature, piante e animali, prezioso elemento di biodiversità. Dei fiumi si riscoprono i pregi naturali, la dinamicità, la bellezza selvaggia; alcuni tratti sono stati «rinaturati» e non pochi progetti di rivitalizzazione dei corsi d’acqua sono in corso, con lo scopo di ridare al fiume la sua naturalezza, migliorandone la qualità, senza per questo com-
promettere in alcun modo la nostra sicurezza, che rimane prioritaria. Sulla qualità dei nostri corsi d’acqua vigilano i competenti uffici cantonali. Inoltre, c’è anche la possibilità per tutti, singoli o scuole, di approfondire il tema dei corsi d’acqua e contribuire, con proprie valutazioni basate su protocolli scientifici, alla loro conoscenza. Un esempio è offerto da Globe, il programma internazionale di educazione ambientale. Il corso d’acqua viene analizzato in un lavoro sul campo con tre modalità: gli aspetti morfologici come elemento del paesaggio e la qualità delle sue acque attraverso la presenza di determinati bioindicatori e mediante semplici analisi chimico-fisiche. I risultati delle osservazioni si possono in seguito inviare a una banca dati nazionale. Mentre l’analisi chimicofisica riflette una situazione puntuale, momentanea, come un improvviso inquinamento, gli altri due metodi consentono una valutazione più a lungo termine. La valutazione «ecomorfologica» è semplice e si basa su un protocollo di dieci caratteristiche. Ad ognuna è assegnato un punteggio da 1, molto naturale, a 3, per nulla naturale. Ecco un paio di esempi. Se il corso del fiume è serpeggiante, con meandri naturali (ciò che ne aumenta la biodiversità), si assegnerà un punto. Se ci sono alcune correzioni, si daranno due punti, un corso d’acqua completamente diritto e incanalato riceverà tre punti. Analogamente si valuteranno la larghezza, le rive, la vegetazione, la percorribilità per i pesci. Il metodo è abbastanza oggettivo. Il fiume Cassarate, ben noto esempio di rinaturazione presso la foce a Lugano, ha ricevuto il seguente punteggio: 1,5 per il tratto rinaturato e 2,5 nella parte arginata. Sorprendente e anche molto appassionante – i più piccoli ne restano letteralmente affascinati – è la bioindicazione, la valutazione della qualità delle acque attraverso la presenza o assenza di alcuni animaletti, «bioindicatori» più o meno sensibili, i cosiddetti macroinvertebrati o Macrozoobenthos, cioè grandi animali viventi sul fondo. Non si pensi a gamberi di fiume, aragoste o granchi. Qui, il termine «macro», grande, vuol dire più grande di un paio di millimetri, dun-
L’identificazione di macroinvertebrati è uno dei bioindicatori per la salute dei corsi d’acqua. Su www.azione.ch una galleria fotografica più ampia. (Marco Martucci)
que visibile a occhio nudo, per distinguerli da protozoi o batteri, rintracciabili solo con l’aiuto di un microscopio e oggetto di altro tipo d’indagine. Questi macroinvertebrati hanno abitudini davvero singolari e, ciò che più conta, sono più o meno esigenti. Alcuni vivono solo in acque pulite, fredde e ben ossigenate, altri si trovano a loro agio fra liquami e fognature. Certi sono insetti, altri crostacei, altri ancora sono vermi. Ecco quattro esempi, tutti insetti, individuabili allo stato larvale in acqua. Se ne possono trovare sotto i sassi, cui si aggrappano per non lasciarsi trascinare dalla corrente, altri fra la ghiaia, altri nel fango del fondo. Quelli dai gusti più «difficili», garanzia di acque pulite, sono le larve dei plecotteri, che vogliono acque fresche e ben ossigenate. I pescatori conoscono bene queste e altre larve e piccoli animaletti dei fiumi perché, in quanto predati da pesci come la trota, sono usati come esche. I pescatori «alla mosca», una pesca che si potrebbe definire «artistica», fabbricano esche artificiali che imi-
tano le larve alla perfezione. Un poco meno «difficili» ma pur sempre esigenti, sono le larve di tricotteri. Queste sono davvero curiose: molte di loro si fabbricano, per aumentare la stabilità, veri e propri «astucci», dove la fantasia pare non aver limiti: sono fatti con sassolini, con frammenti vegetali, da cui i loro nomi popolari di portasassi o portalegna, e perfino con minuscole conchiglie. Seguono, in ordine di esigenza, le larve degli efemerotteri, così chiamati per la loro brevissima vita adulta, immaginale. Trascorrono la maggior parte della vita come larva acquatica per poi trasformarsi in insetto adulto, riprodursi e morire in pochissimo tempo, anche un solo giorno. Le loro «danze nuziali» possono davvero essere impressionanti: a milioni volteggiano sull’acqua o nelle vicinanze. Il grande Linneo, naturalista svedese del Settecento, così li aveva descritti, in latino non senza una certa eleganza poetica. «Larvae natant in aquis, volatiles factae brevissimo fruuntur gaudio, uno saepe eodemque die nuptias, puerperia
et exequia celebrantes», cioè: «le larve nuotano nell’acqua; divenute alate, esse godono di una felicità molto breve, celebrando spesso in un solo e stesso giorno nozze, parto e funerale». Per finire, ecco le larve meno esigenti, che vivono benissimo fra liquami e acque luride: sono i cosiddetti «vermi a coda di topo», in realtà grosse – fino a due centimetri – larve pingui e grigiastre, decisamente bruttine che, per respirare in acque prive di ossigeno, sono munite di un sifone – un tubo respiratorio – telescopico, più lungo di loro. Dopo la metamorfosi, diventano insetti volanti, eristaline del gruppo dei sirfidi, mosche note per il loro volo a scatti, somiglianti a vespe o api. Ottimi impollinatori, si nutriranno di nettare e polline. Una vita davvero singolare: nascono nelle fogne per morire fra i fiori. Informazioni
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Ambiente e Benessere
Transilvania goccia a goccia Reportage Alla scoperta delle acque della contea di Harghita, tra laghi vulcanici e sorgenti minerali Simona Dalla Valle, testo e foto L’immaginario legato alla regione rumena della Transilvania è oggi segnato per lo più dai maestosi castelli della zona e dalla figura di Vlad III di Valacchia – più famoso come Vlad Țepeș, «l’impalatore» – attorno ai quali si è sviluppata la leggenda del conte Dracula, raccontata nel 1897 nel celebre romanzo di Bram Stoker. Ma oltre alle bellezze architettoniche e alle storie di vampiri, nella zona è possibile trovare una ricca biodiversità e un’abbondanza di risorse naturali, in particolare legate all’acqua.
Turisti e gente del luogo accorrono a Băile TuŞnad e Balvanyos per le proprietà benefiche delle acque termali Il distretto di Harghita, a nord della città di Brașov, ne è un esempio; le sue montagne sono di origine vulcanica e l’area è nota per le sorgenti di due dei principali fiumi rumeni, il Mureș e l’Olt. Numerose sono le sorgenti minerali e termali. Lo spettacolare ambiente naturale dell’Harghita comprende il lago di Sfânta Ana (Sant’Anna) e il particolare ecosistema del vicino cratere gemello, il Tinovul Mohoş. All’inizio vi erano due vulcani: Mohoş e Sfânta Ana. Una volta estinto, nel cratere del vulcano Mohoş si formò un lago che poco a poco si riempì di cenere vulcanica proveniente dall’eruzione del vicino Sfânta Ana, formando un letto di terreno fertile. Con il passare del tempo, le piante crebbero e morirono su di essa, formando così uno strato di torba che oggi raggiunge a tratti lo spessore di 15 metri. In alcuni punti non ricoperti dalla torba, la quale è in continuo processo di rinnovamento, vi sono dei piccoli laghi: attualmente i tre laghi interni sono profondi 17, 26 e 60 metri e sono collegati sul fondo da canali sotterranei. Nell’area, ricoperta da un muschio leggero ed estremamente permeabile (Sphagnum palustre), vivono oltre 100 specie di ragni, oltre a vipere e orsi. La torbiera può essere visitata solo con una guida a causa del percorso su sentiero galleggiante, formato da tavole di legno posizionate sulla superficie coperta di muschio: anche un solo passo sbagliato può essere pericoloso. La vegetazione comprende reperti dell’era glaciale come diverse specie di piante carnivore
Lago di Băile Tus�nad – Una ampia galleria fotografica su www.azione.ch.
(Drosera rotundifolia e Drosera obovata), il rosmarino di palude (Andromeda polifolia), il giuncastrello delle torbiere (Scheuchzeria palustris), il pennacchio guainato (Eriophorum vaginatum), l’empetro nero (Empetrum nigrum) o il mirtillo palustre (Vaccinium oxycoccus). Gli alberi della torbiera non dimostrano la loro età di circa 3-400 anni: lo strato di torba, più sottile al centro, ne ha impedito lo sviluppo delle radici, per cui l’ontano nero (Alnus glutinosa), il pino silvestre (Pinus sylvestris), la betulla bianca (Betula pubescens) e il pino mugo (Pinus mugo), sono rimasti nani, raggiungendo al massimo 1,5-2 metri di altezza e conservando l’aspetto di piante giovani. Qualche tornante in discesa e in pochi minuti si arriva al lago Sfânta Ana. Il primo impatto è sorprendente: la dimensione del lago è notevole, soprattutto se si considera che è costituito esclusivamente da acqua piovana e neve in inverno. Per questo motivo, il grado di mineralizzazione dell’acqua è molto basso e la sua purezza è simile a quella dell’acqua distillata che si compra nei negozi.
Una delle sorgenti nei pressi di Balvanyos.
Azione
Settimanale edito da Migros Ticino Fondato nel 1938 Redazione Peter Schiesser (redattore responsabile), Barbara Manzoni, Manuela Mazzi, Monica Puffi Poma, Simona Sala, Alessandro Zanoli, Ivan Leoni
Per proteggerne la qualità, a dicembre 2017 è stato introdotto il divieto di balneazione. L’acqua del lago non è ossigenata, per questo non c’è vita nel lago tranne pochi pesci vicino alle rive, le cui uova sono state inconsapevolmente trasportate sotto le zampe delle anatre. La zona, negativamente ionizzata, provoca un effetto calmante sul sistema nervoso. Secondo la gente del posto è facile prevedere il tempo quando si è vicini al lago: se l’acqua ha un cattivo odore è segno di tempesta imminente, altrimenti il tempo sarà sereno. Il fenomeno ha una spiegazione scientifica: poiché la montagna sta ancora vivendo qualche attività post-vulcanica, è sensibile ai cambiamenti nella pressione dell’aria. Quando la pressione diminuisce, i gas come lo zolfo e il biossido di carbonio salgono in superficie. Si dice che Sant’Anna aiuti i giovani a trovare l’amore e le donne a rimanere incinte; sono in molti a venire a pregare alla cappella in pietra, costruita nel XVI secolo. Tra le diverse leggende che spiegano l’origine del nome del lago, la più
diffusa riguarda due fratelli malvagi che governavano la regione. Uno di loro aveva una bella carrozza trainata da cavalli. Il fratello, invidioso, fece trainare la carrozza da otto ragazze ma iniziò a frustarle quando si accorse che non erano in grado di spostarla. Una di loro, Anna, lo maledisse per la sua crudeltà scatenando una tempesta che fece crollare le montagne e distrusse il castello, uccidendo il tiranno. A poca distanza dal lago, le località di Băile Tușnad e Balvanyos sono visitate da migliaia di turisti per le proprietà delle loro acque termali ricche di minerali. I pastori locali, le cui ferite e graffi si rimarginavano da sole, si accorsero presto delle proprietà benefiche di queste acque. Nella zona di Băile Tușnad sono presenti 44 sorgenti di acque termali, carbogassose, ferruginose e ricche di bicarbonato. Le sorgenti sono utilizzate sin dal 1880, ottenendo risultati eccellenti nella cura delle affezioni cardiovascolari, digestive (gastriti croniche, enterocolite) e dell’apparato locomotore. La cittadina di Balvanyos è costruita sul turismo termale, cresciuto attorno a tre impor-
tanti sorgenti. Hotel e resort offrono programmi di cura del riposo, oltre a spa e saune. Sulle colline circostanti, un percorso contrassegnato da cerchi blu conduce in trenta minuti di cammino a delle caverne affascinanti. Lungo il percorso già si inizia ad annusare il gas solforoso che emana dal suolo, testimonianza di un’eruzione accaduta in questa zona vulcanica due milioni di anni prima. Il percorso porta alla grotta chiamata pucios in rumeno, o büdös nella lingua ungherese parlata da molti residenti locali: il significato di entrambi gli aggettivi è «puzzolente». Lunga 14 metri, la grotta era anticamente una cava di zolfo, utilizzata nella produzione di polvere da sparo. Ha pareti ricoperte da depositi che creano un cappotto giallo brillante, dal basso fino a circa un metro dal suolo; ogni giorno sono emanati oltre tremila metri cubi di gas tra anidride carbonica e idrogeno solforato. La grotta è una moffetta, ciò significa che la gente si siede e «fa il bagno» nel gas caldo quasi come fosse una sorgente d’acqua. Si dice che la grotta aiuti a curare mal di testa, reumatismi, infiammazioni e malattie degli occhi e della pelle e viene addirittura prescritta nei cicli di trattamento medico per le sue capacità di migliorare la circolazione sanguigna. Ne è una prova l’improvviso senso di calore alle gambe non appena si entra nelle caverne, a causa della vaso-dilatazione periferica. Il calore appare anche nei testicoli; questo è il motivo per cui la gente del posto ha soprannominato la moffetta il Szekler Viagra. È possibile testare il livello del gas con una fiamma aperta, poiché l’accendino si spegne quando viene immerso nella CO2 sottostante. Non lontano dalla Peşteră Puturoasă (caverna puzzolente) vi è «il cimitero degli uccelli» – una depressione in cui spesso vengono trovate creature selvagge, soffocate dal gas.
Tiratura 102’022 copie
Abbonamenti e cambio indirizzi Telefono 091 850 82 31 dalle 9.00 alle 11.00 e dalle 14.00 alle 16.00 dal lunedì al venerdì fax 091 850 83 75 registro.soci@migrosticino.ch
Interno del centro termale di Balvanyos. Sede Via Pretorio 11 CH-6900 Lugano (TI) Tel 091 922 77 40 fax 091 923 18 89 info@azione.ch www.azione.ch La corrispondenza va indirizzata impersonalmente a «Azione» CP 6315, CH-6901 Lugano oppure alle singole redazioni
Editore e amministrazione Cooperativa Migros Ticino CP, 6592 S. Antonino Telefono 091 850 81 11 Stampa Centro Stampa Ticino SA Via Industria 6933 Muzzano Telefono 091 960 31 31
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Ambiente e Benessere
Ambiente e Benessere
La luce del futuro
Motori Un tempo erano semplici candele, domani saranno fari led che proiettano sull’asfalto scritte di sicurezza
Mario Alberto Cucchi Wolfsburg, città della Bassa Sassonia, famosa per essere la sede dell’industria automobilistica Volkswagen. Qui si trova il reparto di ricerca e sviluppo dedicato a proiettori e fanali delle auto. Un centro di eccellenza per l’illuminazione, dotato di un tunnel fotometrico lungo 100 metri, largo 15 e alto 5, dedicato alle simulazioni di utilizzo reale lontano da occhi indiscreti. Ci sono aree ad accesso controllato, in cui si lavora in gran segreto sulle tecnologie che verranno adottate sulle auto di domani. Indubbiamente i fanali anteriori di un veicolo sono tra gli elementi più caratterizzanti del frontale. Non per nulla si parla di «muso» della vettura e qualche appassionato arriva ad equiparare i fari agli occhi che donano carattere alla quattro ruote.
La tecnologia permette di progettare sistemi di illuminazione che si interfacciano con GPS e computer di bordo È uno dei motivi per cui questi elementi sono da sempre tra gli ultimi a essere svelati sui nuovi modelli. Per ringiovanire una vettura in occasione di un restyling, spesso la prima cosa che fanno i designer è ridisegnare i fanali. Un lavoro che negli ultimi anni è stato esaltato dall’implementazione tecnologica
La Volkswagen possiede uno dei più avanzati centri di ricerca sperimentale nel settore.
dei led, permettendo ai progettisti di sbizzarrirsi essendo svincolati dagli ingombri delle parabole e delle lampadine tradizionali. Ecco allora che i proiettori sono diventati sempre più efficienti e a volte più sottili, integrandosi perfettamente nelle linee della vettura. Se il discorso estetico è il più evidente, quello che riguarda l’aumento della sicurezza attiva è però il più im-
portante. Partiamo dal presente. Oggi la nuova Volkswagen Touareg è equipaggiata con un gruppo ottico dotato di 48 sorgenti luminose per il fascio anabbagliante e di 27 per quello di profondità, a cui si aggiungono quelle per le altre funzioni, come la luce diurna e l’indicatore di direzione. Se una volta bastavano quattro o cinque lampadine, oggi l’I.Q. Light della Touareg
conta 256 led e rappresenta la massima espressione dei sistemi di illuminazione Volkswagen. Questi ultimi rischiarano la strada in modo flessibile con tredici tipologie di fascio luminoso. Città, autostrada e fuoristrada sono solo alcune delle modalità che vengono selezionate automaticamente. Come fa il sistema a sapere quali sono le luci più adatte al momento? In
aiuto arrivano le immagini rilevate dalla telecamera frontale, che vengono analizzate considerando la velocità istantanea, l’angolo di rotazione del volante e le informazioni fornite dal navigatore satellitare. E domani? Le luci della nostra auto non serviranno più solo per illuminare la strada. «La luce del futuro – spiega il capodesigner della Volkswagen Klaus Bischoff – si evolverà in un mezzo di comunicazione. Interagirà con il conducente e gli altri utenti della strada. Automobilisti, motociclisti, ciclisti e anche pedoni». I fari saranno in grado di proiettare informazioni direttamente sull’asfalto, utilizzandolo come se fosse una lavagna. Un esempio? Il conducente ha appena spento l’auto e un ciclista si avvicina da dietro nell’angolo cieco. Le telecamere di bordo rilevano la bicicletta e il sistema riconosce una situazione di potenziale pericolo. Ecco allora che una luce immediatamente illumina lo spazio vicino alla portiera per avvisare il ciclista, mentre sul cristallo si accende una luce rossa per avvisare il guidatore di non scendere. Allo stesso modo le luci posteriori potranno segnalare le intenzioni del conducente con scritte all’interno del faro stesso, oppure proiettare luce al suolo per aiutare nelle manovre più complesse. Un campo, quello dell’illuminazione, in cui davvero negli ultimi anni si sono fatti passi da gigante. E pensare che i primi fanali delle auto altro non erano che semplici candele di cera posizionate all’interno di lanterne di lamiera.
Appetitosi sorbi Mondoverde Una pianta dai bei frutti colorati che assolve anche un importante compito
come risorsa alimentare degli uccelli
Anita Negretti Anni fa ho partecipato per curiosità ad un corso di birdwatching. Armata di binocolo, libro per il riconoscimento e molta pazienza, ho potuto ammirare moltissimi volatili nel loro ambiente, capendo l’importanza delle siepi naturali sia come rifugio, sia come ristorante per gli uccelli. È per questo motivo che nelle prossime settimane piantumerò un Sorbus aucuparia, chiamato anche sorbo degli uccellatori ed utilizzato in passato per richiamare gli uccelli nei roccoli di caccia, ma non essendo io una fan di questa pratica, lo rivaluterò solo come rifugio per l’avifauna. Si presenta come un alberello caducifoglio che cresce spontaneo anche al margine dei boschi ed appartiene alla famiglia delle Rosaceae. Allo stato naturale arriva a 7-8 metri di altezza e presenta una chioma espansa e leggera, grazie alle sue foglie, composte ognuna da 6-7 paia di foglioline lanceolate e con margine seghettato. La corteccia del sorbo aucuparia è grigio-argento e diventa rugosa con il passare degli anni; tra maggio e luglio compaiono i fiori, dai petali bianco crema e gli stami gialli, lasciando poi spazio ai frutti, vera prelibatezza per gli uccelli. Sono delle bacche sferiche color corallo, di circa un centimetro di diametro, in grado di persistere sulla pianta per tutto l’inverno.
Il sorbo è molto interessante anche per via del fogliame che in autunno si tinge di rosso-arancio e risulta quindi essere una pianta molto decorativa in giardino. L’esposizione ideale è in pieno sole o a mezz’ombra ed è una pianta che tollera bene l’inquinamento atmosferico. Ha bisogno di terreni profondi poiché ha radici a fittone e necessita di spazio per potersi ancorare bene al suolo. Grazie alla sua rusticità si accontenta di una sola concimazione nell’arco della sua vita, quella eseguita al momento dell’impianto, così come la potatura, non necessaria se piantata in un posto adeguato per accogliere la sua chioma. Tra le varietà di questa pianta vi è Sorbus aucuparia «Edulis», con frutti commestibili e saporiti color rosso vermiglio, «Joseph Rock», «Fastigiata» dal portamento stretto e compatto, ideale per le alberature stradali e «Fructu Luteo» con fiori arancio-gialli ma non apprezzato dagli uccelli che lo credono sempre acerbo. Io pianterò il sorbo vicino ad altre piante del giardino già molto utili per il mio birdwatching domestico: Lonicera fragrantissima, Berberis vulgaris e Callicarpa bodinieri. Se anche voi apprezzate le caratteristiche del sorbo aucuparia, vi consiglio di dare un’occhiata anche alle altre due specie autoctone: Sorbus aria e Sorbus domestica. Il primo ha foglie caduche, ovali,
Il Sorbo degli uccellatori è uno degli spettacoli dei boschi autunnali. (pxhere.com)
semplici, con margine dentato; i fiori primaverili sono bianchi, mentre i frutti si presentano come delle piccole mele rosso-arancio, molto attrattive per gli uccelli. Sorbus domestica invece vale la pena conoscerlo per via dei suoi frutti,
le sorbole, oltre al fatto che è una gran bella pianta, decorativa e dai tanti usi. Le sorbole sono dei pomi che si raccolgono in ottobre-novembre ma che hanno bisogno di un lungo periodo di ammezzimento prima di poterle mangiare.
In passato si mettevano nella paglia per maturare e da questa abitudine nasce il detto «con il tempo e la paglia maturano anche le sorbole», ovvero un proverbio che significa che serve pazienza per poter vedere i risultati. Annuncio pubblicitario
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La luce del futuro
Motori Un tempo erano semplici candele, domani saranno fari led che proiettano sull’asfalto scritte di sicurezza
Mario Alberto Cucchi Wolfsburg, città della Bassa Sassonia, famosa per essere la sede dell’industria automobilistica Volkswagen. Qui si trova il reparto di ricerca e sviluppo dedicato a proiettori e fanali delle auto. Un centro di eccellenza per l’illuminazione, dotato di un tunnel fotometrico lungo 100 metri, largo 15 e alto 5, dedicato alle simulazioni di utilizzo reale lontano da occhi indiscreti. Ci sono aree ad accesso controllato, in cui si lavora in gran segreto sulle tecnologie che verranno adottate sulle auto di domani. Indubbiamente i fanali anteriori di un veicolo sono tra gli elementi più caratterizzanti del frontale. Non per nulla si parla di «muso» della vettura e qualche appassionato arriva ad equiparare i fari agli occhi che donano carattere alla quattro ruote.
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portante. Partiamo dal presente. Oggi la nuova Volkswagen Touareg è equipaggiata con un gruppo ottico dotato di 48 sorgenti luminose per il fascio anabbagliante e di 27 per quello di profondità, a cui si aggiungono quelle per le altre funzioni, come la luce diurna e l’indicatore di direzione. Se una volta bastavano quattro o cinque lampadine, oggi l’I.Q. Light della Touareg
conta 256 led e rappresenta la massima espressione dei sistemi di illuminazione Volkswagen. Questi ultimi rischiarano la strada in modo flessibile con tredici tipologie di fascio luminoso. Città, autostrada e fuoristrada sono solo alcune delle modalità che vengono selezionate automaticamente. Come fa il sistema a sapere quali sono le luci più adatte al momento? In
aiuto arrivano le immagini rilevate dalla telecamera frontale, che vengono analizzate considerando la velocità istantanea, l’angolo di rotazione del volante e le informazioni fornite dal navigatore satellitare. E domani? Le luci della nostra auto non serviranno più solo per illuminare la strada. «La luce del futuro – spiega il capodesigner della Volkswagen Klaus Bischoff – si evolverà in un mezzo di comunicazione. Interagirà con il conducente e gli altri utenti della strada. Automobilisti, motociclisti, ciclisti e anche pedoni». I fari saranno in grado di proiettare informazioni direttamente sull’asfalto, utilizzandolo come se fosse una lavagna. Un esempio? Il conducente ha appena spento l’auto e un ciclista si avvicina da dietro nell’angolo cieco. Le telecamere di bordo rilevano la bicicletta e il sistema riconosce una situazione di potenziale pericolo. Ecco allora che una luce immediatamente illumina lo spazio vicino alla portiera per avvisare il ciclista, mentre sul cristallo si accende una luce rossa per avvisare il guidatore di non scendere. Allo stesso modo le luci posteriori potranno segnalare le intenzioni del conducente con scritte all’interno del faro stesso, oppure proiettare luce al suolo per aiutare nelle manovre più complesse. Un campo, quello dell’illuminazione, in cui davvero negli ultimi anni si sono fatti passi da gigante. E pensare che i primi fanali delle auto altro non erano che semplici candele di cera posizionate all’interno di lanterne di lamiera.
Appetitosi sorbi Mondoverde Una pianta dai bei frutti colorati che assolve anche un importante compito
come risorsa alimentare degli uccelli
Anita Negretti Anni fa ho partecipato per curiosità ad un corso di birdwatching. Armata di binocolo, libro per il riconoscimento e molta pazienza, ho potuto ammirare moltissimi volatili nel loro ambiente, capendo l’importanza delle siepi naturali sia come rifugio, sia come ristorante per gli uccelli. È per questo motivo che nelle prossime settimane piantumerò un Sorbus aucuparia, chiamato anche sorbo degli uccellatori ed utilizzato in passato per richiamare gli uccelli nei roccoli di caccia, ma non essendo io una fan di questa pratica, lo rivaluterò solo come rifugio per l’avifauna. Si presenta come un alberello caducifoglio che cresce spontaneo anche al margine dei boschi ed appartiene alla famiglia delle Rosaceae. Allo stato naturale arriva a 7-8 metri di altezza e presenta una chioma espansa e leggera, grazie alle sue foglie, composte ognuna da 6-7 paia di foglioline lanceolate e con margine seghettato. La corteccia del sorbo aucuparia è grigio-argento e diventa rugosa con il passare degli anni; tra maggio e luglio compaiono i fiori, dai petali bianco crema e gli stami gialli, lasciando poi spazio ai frutti, vera prelibatezza per gli uccelli. Sono delle bacche sferiche color corallo, di circa un centimetro di diametro, in grado di persistere sulla pianta per tutto l’inverno.
Il sorbo è molto interessante anche per via del fogliame che in autunno si tinge di rosso-arancio e risulta quindi essere una pianta molto decorativa in giardino. L’esposizione ideale è in pieno sole o a mezz’ombra ed è una pianta che tollera bene l’inquinamento atmosferico. Ha bisogno di terreni profondi poiché ha radici a fittone e necessita di spazio per potersi ancorare bene al suolo. Grazie alla sua rusticità si accontenta di una sola concimazione nell’arco della sua vita, quella eseguita al momento dell’impianto, così come la potatura, non necessaria se piantata in un posto adeguato per accogliere la sua chioma. Tra le varietà di questa pianta vi è Sorbus aucuparia «Edulis», con frutti commestibili e saporiti color rosso vermiglio, «Joseph Rock», «Fastigiata» dal portamento stretto e compatto, ideale per le alberature stradali e «Fructu Luteo» con fiori arancio-gialli ma non apprezzato dagli uccelli che lo credono sempre acerbo. Io pianterò il sorbo vicino ad altre piante del giardino già molto utili per il mio birdwatching domestico: Lonicera fragrantissima, Berberis vulgaris e Callicarpa bodinieri. Se anche voi apprezzate le caratteristiche del sorbo aucuparia, vi consiglio di dare un’occhiata anche alle altre due specie autoctone: Sorbus aria e Sorbus domestica. Il primo ha foglie caduche, ovali,
Il Sorbo degli uccellatori è uno degli spettacoli dei boschi autunnali. (pxhere.com)
semplici, con margine dentato; i fiori primaverili sono bianchi, mentre i frutti si presentano come delle piccole mele rosso-arancio, molto attrattive per gli uccelli. Sorbus domestica invece vale la pena conoscerlo per via dei suoi frutti,
le sorbole, oltre al fatto che è una gran bella pianta, decorativa e dai tanti usi. Le sorbole sono dei pomi che si raccolgono in ottobre-novembre ma che hanno bisogno di un lungo periodo di ammezzimento prima di poterle mangiare.
In passato si mettevano nella paglia per maturare e da questa abitudine nasce il detto «con il tempo e la paglia maturano anche le sorbole», ovvero un proverbio che significa che serve pazienza per poter vedere i risultati. Annuncio pubblicitario
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 5 novembre 2018 • N. 45
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Ambiente e Benessere
La Mancha e le regioni viticole del Levante
Scelto per voi
Bacco Giramondo Continua il viaggio in terra iberica per conoscere le varietà enologiche
più pregiate di una regione dalla grande tradizione Davide Comoli La regione centrale della Castiglia – La Mancha (o Nuova Castiglia), è la più vasta regione viticola a livello mondiale. Raggruppa 8 D.O.: Méntrida, Mondéjar, Madrid, La Mancha, Manchuela, Ribera del Jùcar, Valdepeñas e Almansa. Queste zone producono un’impressionante quantità di vino da tavola, infatti più della metà dei vini comuni spagnoli sono qui prodotti, si parla di circa (secondo gli anni) 15-20 milioni di ettolitri. La Mancha, con l’eccezione di qualche vino degno di essere rimarcato, prodotto con i vitigni a bacca rossa Tempranillo e Cencibel, che coprono a malapena un quarto dell’immenso territorio vitato (500’000 km!) è caratterizzata dalla coltivazione di un vitigno bianco locale, l’Airén Blanco, che guarda caso è anche il vitigno a bacca bianca più coltivato al mondo. La ragione è data dalla resistenza di questo vitigno a condizioni estreme. Infatti questa regione si trova su di un altopiano con un clima secco e caldo in estate e molto freddo in inverno. Anche il suo inserimento nel quadro ampelografico della regione se vogliamo non è di antica
data: fu infatti per le ragioni sopracitate messo a dimora dopo la distruzione totale del vigneto locale da parte dell’attacco fillosserico, in modo da salvare il territorio dalla desertificazione, ma in ogni caso l’Airén produce vini abbastanza mediocri. I pochi rossi di spessore che abbiamo provato sono poco freschi d’acidità, caldi di alcool e dove vengono percepiti in modo rimarchevole i sentori minerali dati dal terreno. La D.O. Ribera del Jùcar produce, con i suoi 700 m s/m e con suoli pietrosi, dei rossi equilibrati con i vitigni locali, ma sempre di più legati all’aiuto del Merlot e del Cabernet Sauvignon. La maggior parte dei 4’000 ettari vitati della regione di Mondéjar è invece formata da vigneti dove prospera un vitigno bianco locale, il Malvar Bianco. La Valdepeñas occupa la parte meridionale della Mancha, la D.O. copre quasi 500 km di vigne, la città che dà il nome alla regione, occupa il centro di una larga valle, sul fondo della quale si elevano i primi contrafforti della Sierra Morena. In castigliano val de peñas significa «valle delle rocce». I vini di questa zona hanno conosciuto il loro momento di gloria alla fine del XIX sec., quando il mercato del vino
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È la regione con la maggior estensione di viti del mondo.
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aveva incominciato a guadagnare importanza a Madrid e le due città furono collegate da una ferrovia che quotidianamente trasportava 3’000 otri di vino nella capitale. Oggi le «bodegas» si sono modernizzate, ma si trovano ancora le gigantesche «tinajas» di cemento, usate per stoccare il vino. La maggior parte dei rossi prodotti con il vitigno Cencibel, che matura molto bene sotto l’impietoso sole della Mancha del sud, viene elevato in barriques di legno americano e, grazie al clima, i millesimi sono di qualità abbastanza stabili e le varie «Crianzas», le «Reservas» e le «Gran Reservas» sono richieste anche all’estero, mentre i vini giovani vengono venduti nei numerosi caffè e tapas di Madrid. Nella regione del Levante, Valencia con i suoi 17’000 ettari, produce quasi esclusivamente vini bianchi di bassa qualità con i vitigni Moscatel e Merseguera. Sono vini che devono essere bevuti giovani; tra loro si contraddistinguono alcuni vini liquorosi, sempre prodotti con i vitigni sopracitati, pochi i rossi prodotti con il Bobal ed il Monastrell. Ad ovest della sottozona Moscatel de Valencia troviamo, con i suoi 40’000 ettari vitati, la D.O. Utiel-Requena. Il vitigno dominante è il Bobal e piccole quantità di Macabeo (bianco). Qui i viticoltori pensano di più alla quantità che alla qualità. Le gelate arrivano presto in queste zone, quindi si vendemmia anticipatamente: non bisogna meravigliarsi se i rossi prodotti dal Bobal con uve povere di tannini, non possono essere tenute a lungo nelle barriques. La D.O. Alicante è concentrata sui vitigni Moscatel e Monastrell, dai quali si ottengono vini rosati e rossi da bere giovani. Interessante è la produzione del Vino Licor Moscatel e del Fondillón, una specie di Porto, ottenuto con Monastrell e Garnacha, da provare con il Ponche dolce (uova sbattute, riso, latte caldo, zucchero e cannella).
2015, Mendoza, Argentina, 75 cl
Trivento Golden Reserve Malbec 94 PUNTI JAMES SUCKLING
2015, Mendoza, Argentina, 75 cl Rating della clientela:
Il vino Nobile Montepulciano è prodotto con il 70 per cento minimo di Sangiovese (qui in loco chiamato «Prugnolo Gentile») e in quantità minore di Canaiolo Nero. I vini prodotti in questo piccolo comune sono apprezzati da lungo tempo. Erano amati da A. Dumas che ricorda questo vino nel suo Conte di Montecristo, da Voltaire che lo fa lodare nel suo Candide e da Thomas Jefferson che lo introdusse alla Casa Bianca. Il termine «Nobile» fu aggiunto a questo vino nel XVII secolo per indicare l’eccezionale qualità del prodotto, ritenuto adatto ai «nobili» che potevano pagare un prezzo più alto. La menzione «Riserva» che troviamo sull’etichetta, viene attribuita ai vini che siano stati sottoposti ad un invecchiamento, compreso l’eventuale affinamento, non inferiore ai due anni. Dal colore granata più o meno accentuato e dagli intensi profumi di viola mammola, con tannini vellutati, pieno e generoso, questo vino eccelle sulla classica «Fiorentina», con i piatti a base di cinghiale e soprattutto con gli «stracotti», dove vi ritroverete a far la «scarpetta». / DC
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Jacopo Biondi Santi Sassoalloro Rosso
Cannonau di Sardegna DOC Riserva
Jacopo Biondi Santi Sassoalloro Rosso
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Italia, 75 cl Santi Jacopo Biondi Rating della clientela: Sassoalloro Rosso
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2015, Toscana IGT, Italia, 75 cl
90 PUNTI ROBERT PARKER
Trivento Golden Reserve Malbec 94 PUNTI JAMES SUCKLING
2015, Mendoza, Argentina, cl Carne rossa,75 verdure, ratatouille, grigliate, piatti a base di funghi Rating 94 PUNTI della clientela: JAMES SUCKLING
Malbec
Carne rossa, verdure, ratatouille, Rating1–5 della clientela: anni grigliate, piatti a base di funghi Malbec Carne rossa, verdure, ratatouille, grigliate, piatti a base di funghi 1–5 anni Malbec 1–5 anni
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Nobile Montepulciano Carpineto Riserva
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Trivento Golden Reserve Malbec
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La regione autonoma della Murcia è poco piovosa e caldissima, confinante con il Levante. Qui troviamo 3 zone che negli ultimi anni si sono fatte ben conoscere: Bullas, Jumilla e Yecla. Siamo nel regno del vitigno Monastrell, conosciuto in Francia con il nome di Mourvèdre, coltivato su più di 100’000 ettari in Spagna. Molti amano i vini prodotti con questo vitigno dagli acini piccoli e la buccia spessa, dai forti tannini e un gusto un po’ rustico che troviamo nei vini giovani prodotti il più delle volte con la macerazione carbonica, ben tollerata dal Monastrell. La zona di Jumilla è in grandissima crescita. Qui i molti vigneti risalgono ad epoca prefilossera. Dalla fine degli anni 80 si sono installate in questa zona un paio di grosse aziende francesi che hanno incominciato a produrre dei rossi con le uve che crescono su suoli aridi e calcarei. In effetti hanno ottenuto risultati sorprendenti con il Monastrell vendemmiato in anticipo e grazie alla perfetta maturità delle uve determinata dal sole che qui regna ed impera. Si hanno così dei vini fini, eleganti, dai profumi di frutta rossa ben percettibili. Anche lo Syrah, portato dalla Côtes du Rhône, si è acclimatato con successo sui pianori spelacchiati e ripidi. Ottimi sono gli assemblaggi del Monastrell con il Cabernet Sauvignon e il Merlot. Yecla è la sola regione viticola spagnola confinata in un solo comune. Intorno alla città 20’000 ettari sono vignati con vecchi ceppi indigeni. Troviamo ancora dei ceppi a «pied franc», cioè risparmiati dalla filossera. Il clima molto secco, il suolo molto povero e le montagne che lo separano dalla costa e dal nord ha infatti impedito l’invasione di questo parassita. Questo permette ai ceppi di Garnacha e Monastrell di sviluppare le loro caratteristiche meglio che sui ceppi innestati.
2015, Toscana IGT,
90 PUNTI ROBERT PARKER
2015, Toscana IGT, Italia,rossa, 75 cl cacciagione, Carne verdure, lasagne, risotto Rating 90 PUNTI della clientela: ROBERT PARKER
Sangiovese
2015, Sardegna, Italia, 75 cl
DIPLOMA D’ARGENTO EXPOVINA
2015, Sardegna,
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2015, Sardegna, Italia, 75 cl Zuppa, salsiccia, pesce d’acqua salata, lasagne, Rating DIPLOMA della clientela: piatti a base di funghi D’ARGENTO EXPOVINA
Carne rossa, cacciagione, Rating4–6 della clientela: anni verdure, lasagne, risotto
Grenache Zuppa, salsiccia, pesce Rating d’acqua della clientela: salata, lasagne, 3–7 anni piatti a base di funghi
Sangiovese Carne rossa, cacciagione, verdure, lasagne, risotto 4–6 anni Sangiovese
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 5 novembre 2018 • N. 45
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Ambiente e Benessere
Roma a tavola
Gastronomia La tradizione laziale propone alcuni tra i piatti più celebri della cucina italiana e si fonda
Allan Bay Nel nostro viaggio alla scoperta delle cucine regionali italiane, oggi tocca al Lazio. Quasi tutti chiamano romana questa cucina, dato che la Capitale domina e assorbe, però laziale è più corretto. Semplice, popolare e gustosa: queste le caratteristiche principali di questa tradizione. È figlia di tre filoni che si intrecciano strettamente: quello cosiddetto burino (che non è un termine dispregiativo come molti credono, sia chiaro, nel Lazio vuol dire campagnolo e basta), con comunque tanti influssi abruzzesi; il macellaro, creato dall’estro popolare utilizzando le parti di scarto della macellazione: zampe, coda, guance ecc; senza dimenticare quello ebraico, cittadino e non campagnolo ovviamente, raffinato e ingegnoso.
Le specialità vanno dalle paste alle ricette con scarti di macellazione, dal pesce ai piatti della tradizione giudaica La cucina laziale abbonda di primi piatti, asciutti o in brodo: agli spaghetti cacio e pepe fanno compagnia quelli all’amatriciana – che richiedono l’apporto fondamentale del guanciale –, o alla gricia, o alla checca (pomodori crudi e semi di finocchio), e ancora i quadrucci (un tipo di pasta all’uovo) con i piselli, le penne all’arrabbiata e la pasta con broccoli o fave; molte di queste ricette gradiscono una spolverata del gustoso pecorino locale. Attenzione: la carbonara è invece un’invenzione recente avvenuta non si sa bene dove, che ha preso piede a Roma e dovunque in Italia. Tra le zuppe emerge la celebre stracciatella, a base di uova, semolino e pangrattato. Le carni – ovine, suine e bovine – danno luogo a piatti saporiti
come la coda alla vaccinara o la paiata – intestini di bovino e ovino sgrassati, stufati con il pomodoro e serviti preferibilmente con la pasta (interessanti esempi dell’arte del recupero) – o i celebri saltimbocca alla romana (fettine di vitello e prosciutto crudo); ma su tutti domina l’abbacchio, preparato in diverse versioni: al forno, alla cacciatora, brodettato… Non meno ricca e appetitosa l’offerta di pesce: triglie fredde con uvetta e pinoli, un piatto di origine ebraica; anguilla all’agro o alla romana (con piselli) o ancora allo spiedo; baccalà con i peperoni o dorato; mazzancolle in umido o fritte; palombo con i piselli; zuppa di telline al pomodoro. Gli ortaggi abbondano nelle aree verdi della regione (broccoli, fave, puntarelle, cicoria, lattuga…), come pure i legumi (le fave, le tenere lenticchie di Onano, i fagioli cannellini di Atina o i quarantini di Viterbo, i piselli di Frosinone). Preparazioni tipiche a base di ortaggi sono i carciofi alla giudia, fritti, o quelli alla romana, ripieni di acciughe e pangrattato, e la misticanza, un’insalata di almeno undici erbe spontanee. Oltre al pecorino, il Lazio produce anche un’ottima ricotta, utilizzata per la preparazione di dolci e in particolare per una deliziosa crostata. L’offerta dolciaria, semplice ma varia e golosa, propone poi maritozzi, sorta di pane dolce lievitato; tozzetti, biscotti con mandorle e nocciole; pangiallo, dolce lievitato tipico del periodo natalizio, arricchito da molta frutta secca; fave dolci o dei morti, dolcetti croccanti insaporiti dalle mandorle. Nota bene. Alla romana si dice di alcune preparazioni tipiche della cucina della capitale, accomunare da nulla se non l’uso di questa dizione: non c’è veramente nessuna correlazione fra di loro a livello di ingredienti o di tecnica di cottura. Alcune sono di origine laziale, altre importate, comunque prosperano.
Marka
su una ricca cultura popolare
CSF (come si fa)
In vescica è un metodo di cottura in cui la carne è lessata all’interno di una vescica di bue o maiale; la vescica funge da casseruola naturale con il vantaggio che la carne cuoce nei suoi grassi e gli aromi si intensificano per i ridotti scambi con l’esterno. Si preferisce in genere la vescica suina, più resistente di quella bovina: prima dell’uso questa è lavata con cura in acqua tie-
pida e tenuta a bagno per 1-2 giorni – ma lo fanno i macellai che la vendono. Dopo che la carne viene inserita dentro la vescica, questa viene cucita a una delle due estremità, lasciando fuoriuscire dall’altra una cannuccia che serve da sfiatatoio. Si immerge il tutto in una pentola con acqua fredda, portata al bollore minimo e mantenuta così per il tempo previsto. Si utilizza tipicamente per cuocere capponi, polli e volatili in genere. Una variante, che sembrerebbe risalire addirittura ai longobardi, prevede l’uso di scamone o biancostato di manzo. Vediamo come si fa. Manzo alla longobarda in vescica. Per 6 persone. Tagliate a cubotti 1,5 kg tra polpa di manzo o di bue e biancostato disossato e metteteli in una vescica di bue o di maiale. Unite 1 o 2 cipolle
mondate e finemente tritate, 2 chiodi di garofano pestati, un pizzico di sale grosso, una macinata di pepe, se volete altre spezie comunque pestate e mezzo mestolo di brodo di carne o acqua. Legate in modo ermetico un’apertura della vescica e inserite nell’altra una cannuccia che permetta la fuoriuscita del vapore. Chiudete ermeticamente anche questa apertura intorno alla cannuccia e immergete la vescica in abbondante acqua fredda, facendo attenzione che la cannuccia esca dall’acqua. Portate a leggero bollore e cuocete per circa 3 ore a fuoco bassissimo, per evitare la rottura della vescica (l’acqua deve appena vibrare); se il liquido di cottura asciugasse troppo aggiungete altra acqua bollente. Servite la vescica ancora chiusa e apritela in tavola davanti ai commensali.
Ballando coi gusti Oggi, due minestre di riso: molto di stagione. I piselli sono ottimi anche surgelati, come di fatto tutte le verdure da minestra.
Minestra di riso ai piselli
Minestra di riso al rosso
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Ingredienti per 4 persone: riso da minestre g 300 · 2 patate · 1 porro · spinaci o
Il brodo deve essere piuttosto concentrato. Sciogliete in una pentola 1 cucchiaio di burro con 1 spicchio di aglio mondato, unite la pancetta e rosolatela per qualche minuto, mescolando. Aggiungete circa 1 litro di brodo, i piselli, la cipolla tritata e prezzemolo, portate al bollore. Aggiungete il riso e portatelo a cottura, tenendolo molto al dente e unendo altro brodo bollente se vi aggrada. Regolate di sale, spegnete e servite spolverizzando di pepe e unendo formaggio grattugiato.
Il brodo deve essere piuttosto concentrato. Pelate le patate e tagliatele a cubotti. Mondate il porro e affettatelo. Tagliate a piacer vostro le erbe. Scaldate al fuoco una pentola con poco olio e fate appassire il porro con le erbe, mescolando. Aggiungete 1 litro di brodo e portate a bollore. Aggiungete le patate e il riso e portate il riso a cottura, tenendolo molto al dente e unendo altro brodo bollente se vi aggrada. Solo alla fine stemperate con un’abbondante punta di concentrato di pomodoro. Regolate di sale, spegnete e servite spolverizzando di pepe e unendo formaggio grattugiato.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 5 novembre 2018 • N. 45
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Ambiente e Benessere
Luna & Filou, testimonial felini Mondoanimale Una campagna informativa per il benessere e la salute dei gatti
intende sensibilizzare su alcuni temi legati alla loro convivenza con l’uomo Maria Grazia Buletti I gatti sono di gran lunga gli animali domestici più popolari in Svizzera. Ben 1,7 milioni di esemplari vivono con noi come gatti domestici o in semilibertà. Ciò significa, fatti due conti, che in ogni terza economia domestica svizzera vive almeno un gatto. Tuttavia, appena un terzo circa di tutti i gatti è registrato nella banca dati Anis di Identitas SA. Secondo l’Ufficio federale salute alimentare e veterinaria (Usav) quest’ultima percentuale deve aumentare nei prossimi anni, così come deve essere incrementato il numero di gatti castrati. A questo scopo la Protezione svizzera degli animali (Psa), il partner tecnologico Identitas SA e l’Associazione svizzera per la medicina dei piccoli animali (Asmpa) si sono uniti e sono passati all’offensiva assieme alle autorità e ai veterinari. Piano d’azione che prende il nome di due gatti: «Luna & Filou», ed è nettamente a favore del benessere e della salute dei gatti che hanno la possibilità di uscire. «Il mio Gino va e viene da casa attraverso la porticina della porta del balcone che dà sul giardino, dove poi trova il suo personale “parco giochi” fatto di alberi su cui si arrampica, arbusti sotto i quali si nasconde per tendere agguati agli uccellini e la siepe nella quale si infila per spiare il cane del nostro vicino», ci racconta Maria che permette al suo Gino di vivere felicemente da felino. Il messaggio principale della campagna promossa a livello federale riguarda i vantaggi della castrazione e dell’applicazione del microchip a tutti i gatti, con lo scopo di evitarne la ripro-
Giochi Cruciverba Per scoprire, cosa stanno a significare i colori verde, bianco e rosso della bandiera italiana, risolvi il cruciverba e leggi le lettere nelle caselle evidenziate. (Frase: 2, 5, 1, 5, 8, 2, 6, 3, 8).
duzione incontrollata, l’inselvatichi«per evitare che ne vengano rinchiusi mento e le malattie. A questo proposito ancora di più nei ricoveri». Mentre «lo abbiamo interpellato alcuni proprietari spazio vitale del gatto dovrebbe essere di gatti, scoprendo che la maggior pararredato a sua misura: posti di osservate li aveva muniti di microchip, come ci zione elevati e morbide cucce protette e ha raccontato ad esempio Giorgio che al riparo dalla luce». ha un bellissimo micione grigio: «Il mio Dal canto loro, sia Maria sia Giorgio gatto esce regolarmente e il microchip (che di gatti ne hanno due, rispettivami permette di ritrovarlo nell’eventuamente tre) ci spiegano che il gatto è un lità che si dimentichi di tornare a casa, o animale solitario con una vena sociale: nel caso in cui dovesse essere investito». «Se gli viene insegnato da piccolo, esso A quel punto sarebbe facile risalire subipuò benissimo convivere con altri anito al proprietario. mali della sua specie. L’uomo è divenuto «I gatti sono animali indipendenoramai un ottimo coinquilino del gatto, ti che possono diventare molto docili ma non si potrà mai sostituire, per comse abituati a vivere con l’uomo fin da pagnia, a un altro gatto». E a proposito cuccioli. Sono curiosi e necessitano di del rapporto con l’essere umano, gli opportunità di svago, posti di osser- Indipendente ma esperti affermano che non si sa se siano vazione, arrampicatoi, giocattoli da curioso. (Pxhere. i gatti ad avvicinarsi all’uomo («perGiochi per “Azione” - Ottobre stati 2018 catturare e luoghi confortevoli dove ri- com) ché i suoi granai pullulavano di topoliStefania Sargentini ni»), o se sia stato l’uomo a decidere di altirarsi», così l’Usav sintetizza la natura dei felini che tanto intrigano la mente (N. la castrazione unitamente all’applica- sessi come un metodo assolutamente af- levare per primo dei piccoli micetti: «Ciò 37 - Duecentottantaquattro) umana, forse (pensano in tanti) per il zione del microchip: «In 4questo 5modo, fidabile. Informazione, inserimento del che si sa è che il gatto proviene dall’Afri1 2 3 6 D U Nsono E il filSrouge C fatto che assomigliano alle tigri, con la non solo è possibile ritrovare gli anima- microchip e castrazione ca, e più precisamente dall’Egitto». 7 8 differenza che i gatti li possiamo avvici- li smarriti, ma dalla banca dati si può della campagnaE «Luna che Asi Inoltre, osservando i loro beniaN O& TFilou» E C 9 nare molto più facilmente dei loro cugi- anche evincere se il gatto è 10castrato o prefigge di orientare mini e ascoltando i racconti dei nostri T dei O gatC I T i detentori E 11 ricordare12 ni selvatici della savana. Ad ogni modo, meno». Si vuole ai detentori di ti su quello che davvero è fare il bene di due interlocutori, abbiamo imparato O A dall’annoT T A la campagna informativa sostenuta 13gatti che anch’essi, come i proprietari dei questi ultimi. AT cominciare che i nostri felini amano i posticini cal14 15 16 17 A N T un A gattoAè bene Z OcheT viva O dall’Usav si concentra sulle malattie fe- cani, hanno obblighi legali, soprattutto S sa questione: di, morbidi e al riparo dalla luce, come 18 19 line, come ad esempio la panleucopenia se i loro beniamini stanno regolarmente all’interno, poter racconta Maria: «Niente di più semplice E Q U Io deve A V uscire A R seguenI 21 22 23 o semplicemente l’influenza, che sono 20all’aperto senza sorveglianza. E qui ci si N do ilAsuo istinto felino di predatore? che lasciare socchiusa la porta dell’arC I V I L E T altamente contagiose e si diffondono 24riferisce I gatti d’appartamento posare vecchi SUDOKU PERhanno AZIONEmadio, - OTTOBRE 2018panni sugli scaffali 25 a quei 26gatti che hanno la 27possiA B C aspettative L I diSvita, E ma non T diU rapidamente fra le popolazioni di gatti 28bilità di uscire dall’appartamento o dalla maggiori o scatole di cartone in tutta la casa». E 29 N.spongono T37AFACILE V di Ouno L spazio O vitale A R O non protette: «Pertanto, tutti i provve- casa sia di giorno sia nottetempo. cosìCvario anche se l’appartamento può sembrare Schema dimenti atti ad aiutare a evitare tali maA questo proposito, l’Usav ricor- come quelli in libertà. Su questo siamo in disordine, gli Soluzione esperti della campagna - ...chiare: giapponese, rana porta fortuna) lattie hanno effetti diretti sul benessere (N. da 38 regole «Uno deglilaobblighi rende «Luna7& Lilou» 7 concordi, 4 1 anche se2 la campagna 5 4 1 osservano 8 6 2che3con5tutti9 2 3 4 5 6 7 8 degli animali stessi e promuovono la 1 sancito dall’ordinanza sulla protezioattenti al fatto bisogna nascondigli al gatto sembreG I 8G A 4che 5non P O L 6IrinchiuP O quei piccoli 3 2 8 9 4 5 7 1 6 10 11 loro protezione», sostengono i promo- 9 ne degli animali è quello di adottare i dere in appartamento un gatto abituato rà di essere in paradiso. Posto dove in U N O R E S E U L 9 in 1 libertà. «Soli o in compa- realtà 6non5arriverà 9 1tanto 3 presto, 7 4 avendo 2 8 tori dell’iniziativa a favore innanzitutto 12provvedimenti del caso per evitare che 6 a vivere 13 14 O gli esperti R A rispondono R E A G I del controllo e della contingenza della gli animali si riproducano in modo in- 8 Agnia?»: che i gatti proverbialmente a disposizione ben 1 2 9 5 7 3 8 1 4 2 9 6 5 7 set-3 15 16 popolazione felina randagia. controllato (art. 25 cpv. 4 OPAn)», indi- N d’appartamento te vite che l’essere umano ha il dovere di C A P non I andrebbero K I tenuti E V 3 soli. Tutti4andrebbero 9 8 5 6dalla 3 prima 7 1all’ultima. 4 9 8 2 18 19 «Luna & Filou» sostiene dunque 17cando la castrazione dei gatti di ambo i TmaiRda preservare A M A C O R castrati T E 20 21 2 8 3 4 2 9 7 5 8 3 6 4 1 O A S I F O 22 23 8 5 9 2 7 1 8 6 4 5 9 2 3 7 N O I R A T 24 25 3 9 7 5 3 2 8 1 6 4 I 7U C E N 1T 6 26 4 4 3 2 6 7 1 8 9 5 L 2 I P 7A S 8I N. 38 MEDIO (N. 39 - ... raggiungere meno sessanta gradi)
Giochi per “Azione” - Novembre 2018 Stefania Sargentini SUDOKU PE
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RSudoku A 7G U 3N A USoluzione: G 6M 5 9 Scoprire N i 3G I numeri A 1 Tcorretti E 7N da inserire nelle 3 E N 2O M caselle colorate. 8E S S I S T O4 O T A6 G I A 2 N G E 1L
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V 7A A I I M 12 T8 I E S S OI7 5A 4R I N AS NA RE C3 17 18 19 20 CAT 23D OVI 4RT UAI 9 24 L6 I1 (N. 40 - “Ho dimenticato la torta N. in forno!”) 39 IDIFFICILE A 29 30 R 9 O7 D E 8 3 N G HI 6 DE U E E N2 E 5M 4 9 33 34 35 7 I N LOO4 P7O IS T AE4 L3 I R A T A 5 37 38 C9A A TRS I I 7 A D 31O L I O 1
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ORIZZONTALI 1. Articolo 3. Il fiume dei boeri 7. Il fiabesco Babà 9. Tutt’altro che sommo 10. Venuti alla luce 12. Le iniziali della Zanicchi 13. Vano, inutile 15. Le iniziali della campionessa Compagnoni 16. Privati del contenuto 22. Il noto Pacino 24. Fu amata da Vasco de Gama 25. Giungono in centro 27. Le hanno tutte e due 29. Può essere pallida ma non ha volto... 31. Povertà, indigenza 34. Ispida, pungente Regolamento per i concorsi a premi pubblicati su «Azione» e sul sito web www.azione.ch
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Schema L 12 93 75 26 84 31 69 58 47 O7 6 8 4 85 9 7 1 31 2 9 5 1 3 7 4 2 6 8 Z 4 6 3 9 2 8 37 1 5 8 7 2 1 6 5 3 4 9 I 3 21 9 4 59 2 8 7 6 O2 7 T4 6A 8 T3 9 I 5 2 1 5 2 8 7 1 6 4 9 3 N E9 S 3 A 4 41 6 5 2 7 9 I 8 D3 5E31 A 4 1 6 7 9 2 3 5 8 63 T 7 I8 2 9R 85 5 A 4 1 6 6 5 7 9 1 3 8 2 4 T 2O9 1 8 6I 4 I77 3 5
A V E2 P R9 O S 1 A T 3 8 4 92 58 7 1 9 6 21 5E R O6 S I C O A N 36. Aspetto, sembianza 23. Simbolo di Roma 6 1 7 8 5 2 9 6 4 3 24 25 37. Prefisso che vuol dire orecchio 26. Consonanti in genere T C A R N E L O T 4 7 settimana precedente 2 5 4 3 6 7 8 1 9 2 26 28. Le iniziali della conduttrice 27 38. Elisabetta d’Inghilterra Isoardi Soluzione della A F O N O E R A N O 6 1 8 9 6 2 GIUDICARE 4 3 1 MAI 5 8 7 VERTICALI 30. Cibele lo mutò in pino IL PROVERBIO NASCOSTO – Proverbio risultante: NON 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 1. Gruppo etnico indonesiano di Papua (N. 32.41 Due- di noi IL LIBRO DALLA COPERTINA. Non giudicare mai il libroN.dalla copertina) 40 GENI 2. Antilope londinese 33. Sono uguali nel catalogo 1 2 3 4 5 6 7 8 8 6 53 7 4 1 5 8 2 9 11 12 13 C O N4 D 1O 5N A 2T O G I 4. 20 verticale al contrario 35. Preposizione articolata 9 10 5. Un amico francese... R C A N 5 A 9 U3 A D I 5 4 9 3 8 2 7 1 6 11 1216 13 14 14 anche per capelli 15 6 3 7 6. Ci sono M A T I T A L O R D E I vincitori 2 1 8 7 6 9 4 3 5 15 16 8. L’isola di Nessuno E S S I L I T R O 8 2 7 6 4 7 9 8 1 65 2 3 3 11. Preposizione 17 18 19 19 17 18 8DE N O E L I E T E B Vincitori del concorso Cruciverba 14. Era Volgare 6 9 7 3 6 4 8 9 7 2 5 1 20 21 22 R U O L O D A G D L su «Azione 43», del 22.10.2018 17. Qui in fondo... 20 21 24 7 3 2 23 5 6 8 3 7 5 2 6 4 1 4 9 8 3 18. Noia, fastidio M. Zaghen, T. Orsoni, L. Cereda A L A G N E Z U L U 25 26 27 1 8 6 1 2 5 9 7 8 3 6 4 Vincitori del concorso Sudoku 19. Un figlio di Giacobbe... in caserma C O P I A R E G A L E 22 23 9 28 su «Azione 43», del 2922.10.2018 20. Coda di paglia 4 I M E2 5 I 4 9 3 2 5 6 1 7 8 I 7 G O R T 21. Delfino di fiume dell’America F. Bernardoni, A. Mastrovito 30 31 8 O I 2 E T A 8 7 6 1 3 4 5 9 2 M O N T E M 24 25 Meridionale 8 1 21
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(N. 43 - L’orca e il coccodrillo marino) '
I premi, cinque carte regalo Migros del valore di 50 franchi, saranno sorteggiati tra i partecipanti che avranno 27 fatto pervenire la soluzione corretta entro il venerdì seguente la pubblicazione del gioco.
L' I C E O
online: inserire la soluzione del cruciverba o del sudoku nell’apposito formulario pubblicato sulla pagina del sito. Partecipazione postale: la lettera o la cartolina postale che riporti la soPartecipazione 26
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O R D A C D E A L E I O D O C O F E L I R U B I N A C E R A luzione, corredata da nome, cognome, 3A 7 indirizzo, email del partecipante deve R essere spedita a «Redazione Azione, 6 Concorsi, C.P. 6315, 6901 N Lugano». A V Non si intratterrà corrispondenza sui 5
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concorsi. Le vie legali sono escluse. Non
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S T E A O S L I I D L I L E V S O M A è possibile un pagamento in contanti 6 I I vincitoriNsaranno avvertiti deiI premi. per iscritto. Il nome dei vincitori sarà 4 pubblicato A R su «Azione». R1 O5Partecipazione riservata esclusivamente a lettori che risiedono in Svizzera.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 5 novembre 2018 • N. 45
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Politica e Economia Mid-term: è l’ora La partecipazione giovanile potrebbe fare la grande differenza per Trump
Merkel lascerà la presidenza CDU La cancelliera tedesca ha confermato che non correrà per la presidenza della Cdu a dicembre e che resterà fino alla fine del mandato, nel 2021. «È ora di aprire un nuovo capitolo», ha detto, annunciando di non aspirare ad altri incarichi politici
OMS sotto tiro L’Organizzazione mondiale del commercio sembra impotente di fronte alle guerre commerciali. È tempo di riformarla
Sempre fra i più ricchi Nella classifica del Credit Suisse, Stati Uniti e Svizzera restano la patria dei milionari
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Il suo successo è anche l’espressione di una voglia di fascismo che serpeggia in tutto il Paese. (AFP)
Il fenomeno Bolsonaro
Brasile Il 55 per cento degli elettori lo ha votato perché vuole che sia un militare dal linguaggio violento e xenofobo
a ridare ordine al Paese Angela Nocioni Il nuovo presidente del Brasile, l’ex capitano Jair Bolsonaro, eletto con oltre il 55% dei voti al ballottaggio contro Fernando Haddad del Partito dei lavoratori, non è un outsider della politica. È sì un ex militare della destra più radicale, che ha espresso più volte nostalgia per la dittaura dei colonnelli e rammarico per il mancato assassinio di molti oppositori arrestati. Ha sì fatto il pieno dei voti dell’antipolitica, dilagata come passione rabbiosa nel Brasile dei partiti tradizionali rasi al suolo da mega-inchieste sul finanziamento illecito dei politici e la corruzione sistematica delle imprese di Stato. Ma ciò nonostante resta un politico di professione, fa il deputato (seppur in ombra e sostanzialmente nullafacente) da 28 anni. Dall’esercito fu cacciato quasi subito per eccessi di aggressività e una questione mai chiarita sull’esplosione di una bomba nel corso di una protesta per migliorie salariali di categoria. Fatto sta che Bolsonaro, quando era ancora capitano, viveva come leader sindacale dei suoi commilitoni. Come tale riuscì a farsi eleggere deputato.
Noto più per le sue sparate violente e xenofobe che per concrete proposte elaborate. È stato spesso titolo di tg, negli ultimi anni, per frasi come quella rivolta a una deputata del Partito dei lavoratori, appellata come «impossibile da essere stuprata perché troppo brutta». Per elogio della tortura, per l’appoggio alla pena di morte, per insultare omossesuali, donne, neri. Perché il 55% degli elettori brasiliani l’ha votato? Perché lui ha promesso ordine e la maggioranza dei brasiliani è disposto a farselo dare da un ex militare dal linguaggio violento e razzista. Il fenomeno Bolsonaro non è solo il risultato dell’esplosione dei vecchi partiti dopo le inchieste a tappeto sul finanziamento alla politica e la corruzione, non è solo la conseguenza del terremonto della classe dirigente per via giudiziaria. È anche l’espressione della finora inconfessabile voglia di un po’ di fascismo che serpeggia da tempo nei tanti, seppur silenti, a cui non è mai andata giù del tutto quella legge per le quote riservate ai neri nelle università voluta dalla sinistra al governo, o quel 20% dei futuri posti nei concorsi pubblici da riservare a neri, o i nuovi diritti
dei camerieri a domicilio previsti dalla civilissima quanto detestata legge per regolamentare il lavoro domestico (diritto a una giornata di lavoro non più lunga di otto ore, diritto alla retribuzione dello straordinario: norme rivoluzionarie nel Brasile dell’apartheid di fatto delle cameriere). La promessa di ordine attraverso una repressione militare spiccia della delinquenza e la tolleranza totale per l’uso delle armi da fuoco garantita da Bolsonaro hanno fatto il resto. Alla maggioranza dei brasiliani oggi piace molto la frase di moda «l’unico bandito buono è il bandito morto». Piace alla maggioranza dei giovani, si deduce dalla mappatura del voto. Anche a moltissimi giovani neri. Nella Baixada fluminense, per esempio, la regione più nera e più povera dello stato di Rio de Janeiro, popolata da giovani neri e poveri, Bolsonaro ha stravinto e l’approvazione per la sua politica di mano libera alla polizia è plebiscitaria. Eppure il 77% dei minori di 24 anni ammazzati dalla polizia è anche qui composta di giovani neri poveri. Bolsonaro è stato votato da un eterogeneo 55% di elettorato fatto da evangelici (neri e poveri in maggio-
ranza), dalla maggior parte degli under 30 e, soprattutto, da moltissimi elettori bianchi, istruiti di ceto medio e medio alto. La mappatura del voto è chiarissima: ha vinto in tutte le regioni ricche e bianche del Brasile. E sono loro, i bianchi brasiliani colti che si esprimono mediamente meglio di Bolsonaro e hanno studiato certo più di lui, ad aver spostato definitivamente i sondaggi in suo favore già alla fine di settembre in modo così netto da ammutolire la destra liberal e convincere quella parte di establishment ancora esitante a spalancare le porte all’ultradestra. Sembra strano che gli abitanti della patria del lulismo, del Partito dei lavoratori al potere con tutta la sua forza simbolica nonostante l’onda di odio cresciuta via social, si siano improvvisamente ribaltati a destra? Non è successo ora. Già l’ultimo Congresso era il più a destra della storia del Brasile. Già alle penultime elezioni i sindacalisti erano spariti dagli scranni dell’Aula lasciando il posto a un’orda di militanti evangelici ed ex militari di varie provenienze. Il nuovo Parlamento è per metà composto di debuttanti, eletti da for-
mazioni nate da poco, sigle mai sentite prima, una trentina di partiti dalla ideologia indefinibile, ma quasi tutti di estrema destra. Un esempio per tutti: il Partito social liberale che ha candidato Bolsonaro (approdato al Psl dopo aver visto la sua candidatura rifiutata da altri a destra) nel 2014 aveva un solo deputato, oggi ne ha 52 (militari, poliziotti, un ex attore porno, un ex atleta olimpico, un’agente diventata famosa per un video in cui spara a un ladro o supposto tale). Il gruppo parlamentare principale rimane comunque quello del Partito dei lavoratori, con 56 deputati, ma non è in grado numericamente di contrastare il partito trasversale dell’ultradestra che somma i voti della famosa banda «Bibbia, vacche e pallottole» (religiosi, agrobusiness e politiche securitarie). Il partito trasversale dell’ultradestra ha grande potere d’attrazione sugli eletti con i partitini piccoli. La nuova legge elettorale impedisce l’accesso a fondi per i rimborsi alle formazioni con meno dell’1,5% dei voti o almeno 9 eletti in 9 stati distinti. Ci sono 90 deputati in questa situazione, già pronti a fare le valigie per passare nel partito del presidente.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 5 novembre 2018 • N. 45
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Politica e Economia
La partecipazione, fattore X
Casa Bianca T rump è in lieve risalita alla vigilia delle elezioni di mid-term, con due punti in più rispetto a Obama
nel 2010. Ma è il voto dei giovani (se andranno alle urne) che potrebbe far avanzare l’onda blu dei democratici
dente potrà dire di aver limitato i danni rispetto a tanti suoi predecessori che subirono delle débacle. E se la differenza la facessero le ragazze e i ragazzi? Le abbiamo viste invadere Washington all’indomani dell’Inauguration Day nel gennaio 2017: le giovani erano una maggioranza in quella «marea rosa» che manifestò contro Trump appena 24 ore dopo il suo insediamento alla Casa Bianca (e non era ancora stagione di #MeToo). Li abbiamo visti nelle tante mobilitazioni di #BlackLivesMatter, per denunciare gli abusi della polizia contro gli afroamericani. Li abbiamo rivisti ancora dopo le troppe sparatorie e stragi nei licei, scesi in piazza per chiedere nuove regole sulle armi. Infine nelle sfilate oceaniche dell’Earth Day, il giorno della terra, quando tante città americane sono apparse ultra-verdi, compatte nel condannare il negazionismo climatico della destra. I giovani sono stati in prima linea nelle piazze. Ma lo saranno anche nelle urne? I sondaggi dicono che una netta maggioranza dei Millennials e della X-Generation sono contro questo presidente. Perciò il partito democratico spera in una Youth Wave, un’onda giovanile. In passato queste aspettative furono deluse. Gli stessi giovani che scendono in piazza, motivati da qualche causa che li appassiona sul momento, «dimenticano» di esistere quando si tratta di mettere una scheda nell’urna. Apatici, scoraggiati, diffidenti? La Youth Wave, se si guarda ai numeri delle passate elezioni, è un miraggio sempre invocato e che non si materializza mai. Anche nel voto presidenziale del 2016 i sondaggi dicevano che la schiacciante maggioranza dei giovani detestava Trump. Però al dunque, degli aventi diritto al voto sotto i 30 anni di età, andarono a votare solo il 43%. Perfino in un Paese che ha un’affluenza alle urne cronicamente bassa, la media nazionale fu del 60% in occasione della sfida Donald-Hillary. I giovani, molto più degli adulti, quel giorno rimasero a casa e la loro assenza fu determinante. Eppure ai giovani non mancano le ragioni per voler contare, almeno sulla carta. Un problema enorme che li riguarda è il peso dei debiti studenteschi. In una nazione dove l’università costa sempre più cara, milioni di giovani intraprendono la vita attiva oberati di debiti: sono i «prestiti d’onore» erogati dalle banche per pagare le rette accademiche. Barack Obama raccontò che non aveva finito di rimborsare il suo quando era già senatore. Ci vuole un bel pezzo di vita professionale, e ammesso che lo stipendio sia buono, per liberarsi di quell’onere. Lo aveva capito bene il senatore del Vermont Bernie Sanders, il socialista che provò a contendere a Hillary la nomination
democratica nel 2016. «Istruzione gratuita» era uno dei suoi slogan favoriti. E infatti i suoi comizi facevano il pienone tra i giovani. Ma Sanders perse la corsa alla nomination. E molti di quei ragazzi e ragazze che si erano entusiasmati per lui, rimasero a casa il giorno dell’elezione. Ora ci provano anche le pop star come Taylor Swift, a lanciare appelli per la partecipazione il 6 novembre. Sono nati dei comitati ad hoc, finanziati generosamente dai miliardari e milionari liberal: c’è Priorities Usa che ha investito 65 milioni in annunci pubblicitari su Facebook, Youtube e Spotify,
per prendere di mira i giovani e incitarli a votare per candidati democratici alla Camera e al Senato. C’è NextGen America, del finanziere Tom Steyer, che ha mobilitato volontari in 40 campus universitari della Florida (uno Statochiave, come sempre). Qualche segnale di cambiamento si nota: un sondaggio della Harvard School of Government rileva che le intenzioni di votare sono in risalita. Sarebbero il 40% per i giovani tra i 18 e i 29 anni. Una percentuale modesta e deludente in qualsiasi altra parte del mondo ma non qui negli Stati Uniti. Se andranno davvero alle urne il 6 novembre, sarebbero più del doppio rispetto alle ultime mid-term. E potrebbero, davvero, fare la differenza. Il protagonista assoluto comunque ha le idee chiare. È l’immigrazione che può fargli recuperare voti cruciali. «Stop all’invasione del nostro Paese. Basta con la libertà provvisoria ai profughi arrestati. Cambierò le leggi sul diritto di asilo. Aumento a 15’000 soldati il contingente alla frontiera col Messico, che respingerà le carovane». Sono gli ultimi messaggi presidenziali prima dell’elezione. Il suo istinto gli dice che nella gara a compattare e motivare la propria base, a raccogliere gli ultimi elettori indecisi, lui ha interesse a drammatizzare il tema. Deve imporlo all’attenzione del Paese, se è vero che su questo l’elettorato repubblicano fa quadrato, e l’affluenza sale. «Dico basta – annuncia il presidente, con la procedura del catch and release, cattura-erilascia. Da questo momento si cattura
e basta». Il riferimento è al fatto che chi viene arrestato per il solo reato d’immigrazione clandestina, di solito viene rimesso in libertà (sia pure con braccialetto elettronico) in attesa di processo. Trump indica come una minaccia la carovana partita dall’Honduras, «e altre che si stanno formando dietro quella, piene di criminali». Sferra l’accusa ai suoi oppositori: «I democratici li vogliono accogliere, mantenerli, e dargli anche il diritto di voto». In quanto alle procedure di asilo d’ora in avanti annuncia che saranno accettate solo quelle che vengono presentate ai pochi Port of Entry, quelle città di frontiera che hanno il compito amministrativo di esaminare le richieste. Tutto questo si aggiunge al taglio di aiuti ai paesi del Centro America se non trattengono i migranti; alla promessa-minaccia di abolire il diritto alla cittadinanza americana per chi nasce sul territorio degli Stati Uniti. Quest’ultimo è sancito dal 14esimo emendamento, modificabile solo da una maggioranza qualificata al Congresso. Trump si avvale dei (pochissimi) pareri giuridici che ritengono possibile una diversa interpretazione di quell’emendamento, aggiunto alla Costituzione nel 1868. Ma non importa sapere quanto le riforme annunciate siano fattibili, o che cosa resterà di queste promesse dopo il voto del 6 novembre. A Trump, che gioca d’istinto, interessa pesare sul dibattito pubblico in questi ultimi giorni, dettare l’agenda dei media. Annuncio pubblicitario Annuncio
Cosa si può curare con la cannella?
All’unanimità, per i ricercatori di tutto il mondo: la cannella è ricca di benefici per la salute! Dalle Americhe al Medio Oriente, dalla Cina ai sui antipodi, la cannella è d’aiuto per le persone affette da diabete, obesità, artrite, ipercolesterolemia e numerose altre patologie. Questa deliziosa spezia viene comunemente utilizzata per i biscotti, sul pane tostato o nel tè. È la spezia più utilizzata al mondo, dopo il pepe nero. Ingrediente molto utilizzato nelle lozioni e nei profumi, la cannella addolcisce cereali, frutta e diversi piatti. La cannella: un patrimonio di benefici per la salute … Chi l’avrebbe creduto? Ora, scopra più di 350 rimedi e trattamenti di bellezza nel libro scritto dalla famosa autrice di testi sui rimedi naturali, Emily Thacker. Dopo gli elogi ricevuti in tutto il mondo per la sua serie di libri sull’aceto, l’aglio, il miele, il bicarbonato di sodio, la nuova pubblicazione di Emily Thacker La informerà in merito alle ultime ricerche nell’ambito della salute e di alcuni rimedi. Un tempo bramata più dell‘oro, in Cina la cannella viene usata da secoli per controllare il livello degli zuccheri nel sangue. Secondo uno studio pakistano del 2003, la cannella riduce fino al 29% il tasso glicemico nei pazienti affetti da diabete di tipo 2. Ricerche condotte dall’Università Statale dell’Iowa hanno consentito di scoprire che la cannella può rappresentare un efficace trattamento contro la resistenza insulinica, aumentando l’azione dell’ormone. Utilizzata da secoli per alleviare i dolori provocati dall’artrite, un recente studio dell‘Università di Copenhagen ha confermato che una combinazione di cannella e miele procura ai pazienti affetti da artrite un significativo sollievo dopo una sola settimana. Che splendida notizia! Il centro medico dell’Università Rush sta attualmente conducendo delle ricerche sulla capacità della cannella di arrestare i danni alle fibre nervose provocati dalla sclerosi multipla. I partecipanti a questo studio sperano che la sclerosi multipla possa, un giorno, essere controllata semplicemente con un cucchiaino di cannella in polvere. Uno studio condotto dal centro medico dell’Università di Georgetown ha scoperto che la cannella produce effetti positivi sulla pressione arteriosa. Uno studio tedesco dimostra come la cannella elimini completamente i batteri responsabili delle infezioni del tratto urinario. È efficace anche contro i funghi responsabili della candidosi. In Giappone è stato scoperto che la cannella allevia i disturbi gastrici e favorisce la prevenzione delle ulcere. Secondo il Journal of American College of Nutrition, alcuni componenti presenti nella
cannella sono in grado di ridurre i fattori di rischio associati alle patologie cardiovascolari e al diabete. La cannella contiene più di 80 principi nutritivi, ma non grassi, zuccheri, colesterolo né sodio. Un cucchiaino di cannella ha un apporto calorico di sole 6 calorie. Il Libro sulla Cannella La stupirà e La delizierà con oltre 350 benefici e sorprendenti modi per utilizzarla per: l Eliminare il grasso addominale l Stimolare la memoria l La pressione arteriosa l Ridurre le rughe l Evitare le infezioni micotiche l I batteri l L’artrite l La glicemia l Il mal di stomaco l Le trombosi l Le malattie infiammatorie intestinali l Le ulcere l Ridurre l‘appetito favorendo la perdita di peso l La tosse l I raffreddori l L’influenza l Le sinusiti l L’infiammazione l L’affaticamento l I tagli e le escoriazioni l Favorire la digestione l I crampi l Migliorare la circolazione l Evitare le infezioni l La nausea l Il vomito l La diarrea l Il piede d‘atleta l Aumentare l‘energia l Alleviare i disturbi nervosi l Conservare i cibi l Evitare l’E. coli l Attenuare gli eczemi l Trattare l’acne l E molto altro ancora! Da polverizzare, masticare, mescolare, grattugiare, bere ... Indipendentemente dalla forma utilizzata (in polvere, olio, corteccia o pastiglia), la cannella è ricca di risorse e La farà
sentire meglio, più giovane e con una salute migliore. È incinta? In tal caso dovrebbe evitare di consumare eccessive quantità di cannella. L‘aroma naturale della cannella può aiutare a migliorare la memoria e favorire le capacità motorie. Ad alto contenuto di fibre, la cannella può alleviare la stitichezza. Beva una tazza di tè alla cannella due volte al giorno, e dica addio alla tosse o al raffreddore. Prepari un composto di miele e cannella per curare l‘influenza e dare sollievo alla sinusite. Una particolare specie di cannella è molto efficace contro la nausea, il vomito e la diarrea. È anche un buon stimolante. Antibatterica, antimicotica, antisettica e antinfiammatoria, la cannella consente di curare diverse patologie. Sì, più di 350 ricette e rimedi testati e dimostrati vengono descritti in quest’opera unica che Lei potrà liberamente consultare a casa sua per 30 giorni. Sì, ha letto bene, potrà leggere e beneficiare del suo contenuto senza obbligo d’acquisto. Questo meraviglioso testo non si trova nelle librerie ed è disponibile esclusivamente presso la società Body Best. (service@bodybest.ch – Tel. 091 252 00 98 WhatsApp/SMS 078 222 65 00) Risparmi denaro! Faccia un regalo a un(a) amico/a e ordini 2 libri a soli CHF 59.- – con un risparmio di 19 franchi.Non dimentichi che beneficia della nostra prova gratuita di 30 giorni. Se non sarà soddisfatta/o o per qualsiasi altro motivo, potrà restituire l’ordine, e la fattura verrà annullata senza discussioni. È così facile. BONUS! Ordinando entro 72 ore riceverà in aggiunta il libretto „Alimentazione Rigenerante per la Salute e la Mente“. Anche qualora ci rispedisca il libro, avrà diritto a tenersi il regalo. Si affretti! Le scorte sono limitate. Agisca ora!
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Un interrogativo aleggia sul partito democratico alla vigilia delle elezioni legislative di mid-term, che si tengono questo martedì 6 novembre: che cosa può frenare «l’onda blu» della loro riscossa? L’idea di un’America esasperata e indignata da questo presidente, pronta a castigarlo voltando pagina sull’inaudito «incidente» del 2016, è una tentazione facile. Basta radunare i titoli dei media d’opposizione negli ultimi due anni, basta respirare l’aria di New York o della California, e il verdetto dovrebbe essere pesantissimo per il partito del presidente. I primi sondaggi sull’elezione legislativa di mid-term alcuni mesi fa avevano lasciato sperare che questo fosse vero. Via via che i sondaggi si focalizzano sulle varie circoscrizioni, e i candidati prendono il polso degli elettori, subentra una nuova cautela. L’altra America, quella che non legge il «New York Times» né guarda la Cnn, potrebbe essere protagonista di una rimonta in extremis? Uno dei segnali lo dà il protagonista numero uno. La saggezza convenzionale consiglia ai presidenti – spesso puniti dagli elettori al passaggio di boa del primo biennio (accadde a Obama, Bush, Clinton) – di tenere le distanze dalle elezioni legislative di mid-term, per evitare che una batosta del proprio partito sia vissuta come una sconfessione dell’azione di governo. Donald Trump fa il contrario, si è buttato nella mischia, fa comizi in giro per il Paese ogni sera, si compiace nel trasformare l’elezione del Congresso e dei governatori in un referendum su se stesso. Il solito narciso egomaniaco, forse. Ma l’istinto lo guida e in passato gli è stato utile. I democratici dell’America «di mezzo», la provincia profonda dove prevalgono moderati e conservatori, osservano con inquietudine i temi che Trump maneggia come una clava nei comizi. L’economia: il suo punto forte. La disoccupazione è scesa ai livelli del 1969, si sfiora il pieno impiego, i salari salgono più dell’inflazione. Il presidente si attribuisce il merito della crescita ben oltre il lecito, però è vero che i suoi regali fiscali alle imprese hanno fatto rientrare capitali e fornito carburante agli investimenti. La sua dura tattica negoziale ha funzionato con Messico e Canada sfociando in un nuovo accordo di libero scambio che premia gli operai americani. Altro tema che agita nei comizi: la Corte suprema. L’affare Kavanaugh, il giudice accusato di molestie sessuali quando era adolescente, ha eccitato il movimento #MeToo ma ha avuto l’effetto opposto nell’America conservatrice, donne incluse: dove i fondamentalisti protestanti e i cattolici di destra considerano vitale il controllo della Corte per il suo peso sulle norme etiche e valoriali della nazione. Infine: l’immigrazione. Il regalo insperato per Trump viene dalla carovana dei profughi partiti dall’Honduras, che si è ingrossata attraversando il Messico, e punta al confine con gli Stati Uniti. La vicenda riaccende tutte le paure che hanno alimentato il trumpismo: quella di un Paese che non è più padrone di decidere chi può immigrare, di una nazione che perde il controllo sui propri confini. Trump è in lieve risalita nei sondaggi: col 47% dei consensi è due punti più su rispetto a Barack Obama alle sue prime elezioni mid-term (novembre 2010). La sua speranza è un quasi-pareggio: se i democratici si riprendono una maggioranza alla Camera ma con un margine contenuto; se i repubblicani salvano per un soffio la propria maggioranza al Senato, allora il presi-
AFP
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 5 novembre 2018 • N. 45
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Politica e Economia
La Germania senza la sua Angela
L’addio Sarà difficile per il successore della Cancelliera raccogliere
l’eredità di questa europeista pragmatica che ha portata la CDU verso il centro sinistra
Michelle, la «geisha» di Jair La First lady brasiliana La terza moglie
di Bolsonaro discreta e molto credente Luisa Betti-Dakli
La Cancelliera ha guidato il partito per 18 anni. (Keystone)
Alfredo Venturi Armin Laschet rende l’onore delle armi: «Sono stati diciotto anni di successi quelli in cui la Cancelliera ha guidato il nostro partito portandolo al governo». Ministerpräsident del più popoloso fra i Länder tedeschi, il Nordreno-Westfalia, Laschet è uno dei possibili candidati alla più difficile successione che mai si sia prospettata in Germania. In crisi di consenso ormai da alcuni anni, stordita dalle massicce perdite della sua CDU (Unione cristiano-democratica) e del partito gemello CSU (Unione cristiano-sociale) in Baviera e in Assia, Angela Merkel si è apparentemente rassegnata all’inevitabile. Il prossimo 8 dicembre, quando la CDU riunita a congresso ad Amburgo rinnoverà i vertici, non ripresenterà la sua candidatura. Lascerà dunque la presidenza dell’Unione alla quale si era dedicata fin dal 2000, quando aveva preso il posto di Wolfgang Schäuble a sua volta successore di Helmut Kohl, il cancelliere della riunificazione travolto da una vicenda di finanziamenti al partito di cui non volle chiarire la provenienza. Ma questo non è che un primo passo. Parlando di esito elettorale «amaro e deludente», la Bundeskanzlerin annuncia un’uscita graduale e definitiva dalla scena pubblica. Dopo avere lasciato la guida del partito resterà al vertice del governo federale, che occupa dal 2005 quando prese il posto del socialdemocratico Gerhard Schröder: ma solo per pochi anni. Al termine dell’attuale quarto mandato, nel 2021, si ritirerà a vita privata. A quel punto avrà governato la Germania per sedici anni, proprio come il suo mentore Helmut Kohl, Cancelliere dal 1982 al ’98. Ha sempre detto di considerare le due cariche, capo del partito e del governo, strutturalmente inscindibili, ma da politica esperta sapeva di dover dare un segnale di rinnovamento, al tempo stesso preparando la transizione meno traumatica consentita dalle circostanze. Per questo resterà al timone della Repubblica Federale fino alla scadenza del mandato. In particolare guiderà il governo in occasione del cruciale voto europeo in programma nel maggio 2019.
Sessantaquattrenne, amburghese di nascita ma cresciuta nella Repubblica democratica tedesca, formazione scientifica fino al dottorato in chimica quantistica, das Mädchen, come la chiamava Kohl, si lanciò nella grande politica dopo gli esordi nei gruppi di protesta che animarono il disgregarsi della Prussia rossa di Erich Honecker. Ha goduto di un lungo periodo di potere autorevole e indiscusso. Ha svolto con successo un ruolo storico: fedele alla divisa con cui Kohl («Germania la nostra patria, Europa il nostro futuro») volle tranquillizzare un mondo turbato dalla riunificazione del gigante geopolitico, si è trovata a capo della Germania europea ma anche dell’Europa tedesca. Infatti il peso demografico ed economico della Repubblica Federale non poteva che tradursi in una massiccia egemonia sull’Unione di Bruxelles, che la Cancelliera ha saputo esercitare con il massimo di delicatezza compatibile con la realtà di fatto. A tradirla è stata, dieci anni dopo l’ascesa al vertice, una lungimirante visione di statista che spaziava ben oltre le angustie dell’orticello elettorale. Di fronte al dramma delle guerre mediorientali Angela Merkel rifiutava d’inseguire un facile consenso popolare. Centinaia di migliaia di profughi siriani, iracheni e afghani bussavano alle porte dell’Europa, secondo lei l’Europa non poteva, se non tradendo i suoi valori, respingere quell’umanità perseguitata dalla storia. E così una marea di profughi, quasi un milione, nel 2015 ha potuto varcare la frontiera tedesca. Avvezza a interpretare le motivazioni del consenso, la Cancelliera sapeva che avrebbe pagato cara la sua generosità, peraltro suffragata da considerazioni documentate sulle necessità demografiche e occupazionali di un Paese afflitto da bassi indici di natalità. In più, mentre l’Unione Europea balbettava sul tema lacerante delle migrazioni e gli egoismi nazionali dilagavano nel continente, anche in Germania si facevano avanti formazioni politiche pronte a cavalcare il disagio di un fenomeno mai chiaramente spiegato, a fondare le proprie fortune sul più fermo no all’«invasione». E così si sono gradualmente assot-
tigliate le fortune elettorali che in altri tempi l’avevano largamente favorita, fino alle sconfitte registrate in Baviera, dove la CSU ha conosciuto il più drastico ridimensionamento di sempre nonostante le ripetute prese di distanze dai gemelli della CDU e dalle «improvvide» aperture della Cancelliera, e ora in Assia. Accompagna la disfatta cristiano-democratica e cristiano-sociale il crollo verticale della SPD, il partito della socialdemocrazia alleato nel governo di grande coalizione, mentre è cresciuto il partito ecologista dei Verdi che ha ereditato in pratica il patrimonio d’opinione dei socialdemocratici. Un vero terremoto, tanto più notevole in un elettorato propenso alla stabilità, certo non abituato a simili sconvolgimenti del quadro politico. Per quanto importante, la questione migratoria non è la sola causa della declinante popolarità di Angela Merkel. Più in generale la Cancelliera sconta una gestione di governo che al collaudato conservatorismo delle Unioni cristiane ha sostituito, anche in conseguenza della coalizione con la socialdemocrazia, un cauto approccio riformista. Nei primi tredici anni di cancellierato non ha soltanto aperto le frontiere nazionali ai profughi mediorientali. Ha anche predisposto, dopo la catastrofe di Fukushima, l’abbandono dell’energia nucleare. Ha abolito il servizio militare obbligatorio. Si è pronunciata in favore dei matrimoni omosessuali. Per usare una terminologia che ormai mostra la corda, la Merkel ha introdotto nella gestione elementi di sinistra che da una parte hanno complicato i rapporti con gli alleati-fratelli bavaresi della CSU, tradizionalmente più conservatori, mentre dall’altra hanno favorito l’ascesa di movimenti di protesta come l’Alternative für Deutschland, che alle ultime legislative è approdata al Bundestag con oltre il dodici per cento dei voti per poi sfondare nelle successive consultazioni regionali. Per non parlare delle ondate di rinascente neonazismo, nutrite soprattutto nelle province dell’Est da un sempre più diffuso sentimento di xenofobia. Perplessa davanti alla svolta impressa alla politica federale, la Germania cerca ora di orientarsi fra le possibili personalità destinate a raccogliere il testimone lasciato da Angela Merkel. Chi si prenderà la briga di pilotare la CDU in questi frangenti così tempestosi? E fra tre anni chi potrà rappresentare l’Unione nella nuova competizione per la Cancelleria federale? Oltre al Ministerpräsident Laschet, figura fra gli aspiranti alla presidenza del partito Friedrich Merz, da sempre critico nei confronti del governo Merkel, così come il ministro federale della salute Jens Spahn che nella CDU rappresenta l’ala più conservatrice, dunque più ostile alla Cancelliera. Una soluzione nel segno di una relativa continuità potrebbe essere impersonata da Annegret Kramp-Karrenbauer che fu a capo del governo regionale della Saar e attualmente come segretaria generale della CDU è politicamente molto vicina alla presidente uscente. Come è inevitabile quando si tratta di sostituire una personalità forte e temprata dalla consuetudine del potere, sarà in ogni caso una sfida molto difficile. Intanto i populisti cantano vittoria e si ripromettono di fare sfracelli l’anno prossimo, quando in Germania e negli altri paesi dell’Unione un voto enigmatico e inquietante rinnoverà il Parlamento europeo.
Alla fine ce l’ha fatta, Jair Bolsonaro ha vinto con il 55,29% contro il 44,71% del leader di sinistra, Fernando Haddad, e dal 1. gennaio 2019 entrerà in carica come il nuovo presidente del Brasile. Pronti alcuni nomi del governo di destra, tra cui Paulo Guedes, Onyx Lorenzoni, il generale Heleno, Oswaldo Ferreira e Marcos Pontes: tutti uomini, perché le donne per Bolsonaro sostengono ma non partecipano. Come sua moglie, Michelle de Paula Firmo Reinaldo, che si presenta come una first lady di basso profilo e che per tutta la campagna elettorale è stata dietro le quinte. Conosciuta alla Camera dei deputati nel 2007, quando lavorava lì come segretaria, Bolsonaro ha deciso di convivere con lei dopo poche settimane e di sposarla dopo 5 mesi, malgrado i 25 anni di differenza e con alle spalle due matrimoni e 4 figli. Un colpo di fulmine che porta il deputato Bolsonaro ad assumerla come segretaria personale e a darle promozioni e uno stipendio triplicato, tanto da doverla licenziare dopo che la Corte Suprema stabilì che il nepotismo è illegale. Terza moglie, e già madre di una ragazza che oggi ha 16 anni, Michelle e Jair hanno una figlia di 8 anni che Bolsonaro ha confessato di aver avuto decidendo di riaprire una vasectomia per avere una famiglia con lei: una bambina che ha detto di aver concepito in un «momento di debolezza» dopo i 4 figli maschi. Accanto a lui Michelle appare in pubblico solo quando il marito viene ferito, il 6 settembre durante un comizio, ed è ricoverato all’ospedale di San Paolo dove lei gli asciuga la fronte dopo l’operazione. Per Michelle il peggior difetto di suo marito è il disordine, ma per il resto «è un uomo meraviglioso, affettuoso, che adora la famiglia e non odia i gay, né è razzista». Sempre pronta a difenderlo, la nuova first lady è probabilmente per Bolsonaro la donna ideale: fervente credente, madre severa e membro della chiesa evangelica battista, appare come una donna semplice e dichiara di volere essere coinvolta in «tutte le possibili cause sociali». Ma la first lady, che si sta preparando per il trasloco da Barra de Tijuca, a Rio de Janeiro, alla residenza del Palácio da Alvorada, a Brasilia, non è l’unica donna del presidente. Con lui ci sono anche le ex mogli: Rogéria Nantes Nunes Braga, con la quale ha i tre figli Flàvio, Carlos ed Eduardo, e Ana Cristina Siqueira Valle con cui ha Renan. La prima, che ha Flàvio ed Eduardo in politica con il padre (il secondo è stato il parlamentare più votato nella storia del Brasile), ha pubblicato sui social, durante la campagna elettorale, un video in cui dichiarava che «Jair non è mai stata una persona aggressiva e non ha mai alzato un dito su di me o con i ragazzi». Dichiarazione uscita dopo
Michelle Bolsonaro, una vita dedicata al marito. (AFP)
l’inchiesta pubblicata da «Veja Magazine» in cui si riportava la contesa tra Bolsonaro e Ana Cristina che nel 2008 dichiarò di essersi separata dal lui per il suo «comportamento esplosivo» e per la sua «aggressività smisurata», e di essere fuggita in Norvegia col bambino, perché minacciata di morte dal suo ex marito. Un’inchiesta che riporta anche un dossier di oltre 500 pagine con incriminazioni per occultamento di beni, entrate illegali e furto, in quanto, durante la separazione, Ana Cristina accusò Bolsonaro di non aver dichiarato tutte le sue entrate per un reddito mensile di 100 mila R$, a cui si aggiungeva un patrimonio di più di 7 milioni R$ di cui solo una parte dichiarati al fisco, e lo denunciò per il furto di gioielli e contanti da una sua cassetta di sicurezza. Denunce che poi furono ritrattate dalla seconda moglie che si è presentata adesso alle elezioni nel partito dell’ex marito dove, anche se non è stata eletta, lo ha sostenuto candidandosi con il nome di Ana Cristina Bolsonaro. Ma quali sono le donne che lo hanno eletto? Malgrado il grande movimento #EleNão (Lui no), che ha cercato di contrastare il leader di destra con manifestazioni oceaniche, il leader di destra è stato eletto con 10 punti in più rispetto al rivale, e questo sebbene le donne siano il 53% della popolazione che però, evidentemente, non hanno votato tutte a sinistra. Oltre a #EleNão esiste il movimento #EleSim (Lui sì) con un gruppo di «Donne con Bolsonaro» che sui social raggruppa 20 mila membri per le quali «le questioni di genere non sono una priorità perché ci sono cose più importanti». Per Vitoria Deluchi, impiegata di Caxias do Sul, Bolsonaro è stato «uno dei parlamentari che ha parlato più apertamente della rigidità di leggi che dovrebbero essere più dure anche per gli stupratori», mentre per Cristina Amorim, studentessa di medicina a Salvador, «il femminismo non combatte lo stupro, non fa nulla». Il nuovo presidente è ormai famoso per le sue frasi maschiliste come quelle sulle donne che dovrebbero guadagnare meno degli uomini e non dovrebbero essere assunte, «perché rimangono incinte», e per le offese verso la deputata Maria do Rosário, alla quale Bolsonaro disse che non si meritava di essere stuprata perché troppo brutta (cosa per cui fu denunciato e condannato dalla Corte Suprema). Coerente con le sue idee, Bolsonaro nel suo programma di governo di 81 pagine, ha messo solo due punti dedicati alle donne: uno è il trattamento dentale e vaginale per le donne incinte contro le nascite premature; l’altro è per la «lotta contro lo stupro di donne e bambini attraverso il cambiamento ideologico», senza chiarire con quali azioni, anche se ha parlato più volte di castrazione chimica e autodifesa delle donne con l’uso delle armi.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 5 novembre 2018 • N. 45
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Politica e Economia
Ma Trump può fare quello che vuole?
Guerre commerciali I dazi alle importazioni imposti dall’amministrazione statunitense hanno riacceso il dibattito
sul ruolo dell’Organizzazione Mondiale del Commercio
Marzio Minoli È difficile narrare la cronaca di come stia evolvendo la guerra commerciale innescata da Donald Trump. L’eclettico presidente statunitense gioca su più campi, e quasi ogni giorno arrivano delle novità. Dalle dispute con la Cina a quelle con l’Unione Europea, senza parlare del Canada e del Messico. Una saga, quella dei dazi, che inizia nel gennaio di quest’anno, quando Trump decise di imporre tariffe sull’importazione di pannelli solari e macchine da lavare. Una misura che più che impaurire, fece quasi sorridere, vista l’esiguità della sanzione. Ma questa mossa fu solo la prima, quella che innescò una serie di batti e ribatti tra gli Stati Uniti e i suoi principali partner commerciali. A questo punto però è interessante concentrarsi su un aspetto che fino a questo momento è stato tralasciato, o perlomeno ha goduto di poca visibilità, ovvero il ruolo in questa guerra commerciali dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, l’OMC (che ha sede a Ginevra). L’OMC nasce nel 1995 come evoluzione del GATT, il General Agreement on Tariffs and Trade stipulato nel 1947 per abbattere le barriere doganali e, ironia della sorte, furono proprio gli Stati Uniti a caldeggiare fortemente questo accordo. L’OMC è dunque l’organo sovranazionale deputato al controllo del rispetto degli accordi commerciali stipulati tra gli Stati membri. Una sorta di arbitro. Attualmente sono
164 i paesi firmatari, ai quali se ne aggiungo 22 in qualità di osservatori. Gli Stati Uniti ne fanno parte, così come i paesi dell’Unione Europea e la Cina. Cifre che portano a dire che l’OMC è considerata da molti l’incarnazione della globalizzazione. La domanda è: perché di fronte a questo proliferare di azioni e ritorsioni, tutto tace? Perché l’arbitro non fischia? Uno dei motivi fondamentali è la furbizia di Donald Trump. In che senso? Le regole dell’OMC permettono di applicare tariffe alle importazioni, in deroga agli accordi, ma a determinate condizioni. Una di queste è che il livello dei prodotti importati non debba arrecare danno o anche solo minacciare le industrie locali. Se prendiamo l’esempio dell’acciaio, le importazioni statunitensi nel 2017 sono aumentate del 20% rispetto ad un anno prima. Un aumento discreto, ma che potrebbe non bastare per giustificare i dazi. E qui arriva la mossa astuta di Trump, che chiama in causa la sicurezza nazionale, riferendosi ad una legge interna sul commercio del 1962. Ora, cosa dice questa legge? Si potrebbe pensare che si riferisca all’industria bellica. Dipendere dall’estero per questo settore è senza dubbio pericoloso. Ma l’acciaio importato viene utilizzato solo in ragione del 3% dall’industria bellica. E allora dove sta la sottigliezza? Nella legge si dice che anche il «benessere economico» delle aziende siderurgiche deve essere considerato elemento di sicurezza nazionale.
L’OMC è preso di mira da chi contesta la globalizzazione e svuotato di potere da chi pratica il protezionismo. (Keystone)
Il gioco è fatto e la conclusione diventa quasi ovvia. L’OMC dovrebbe decidere se i dazi applicati da Trump sono o meno legittimi, mettendo in discussione il concetto di sicurezza nazionale di una nazione. E non una nazione chiunque. Stiamo parlando degli Stati Uniti. La possibilità quindi che l’OMC si pronunci contro i dazi di Trump, su queste basi è praticamente nulla. Inoltre, fatto non da sottovalutare, mancano dei precedenti. È la prima volta infatti che viene invocata la sicurezza nazionale. Ma allora a cosa serve l’OMC? È quello che si chiedono in molti nel mondo, visto che basta un elemento difficilmente controvertibile e soggettivo per aggirare le regole. Tra coloro che hanno fatto capire a chiare lettere che bisogna riformare le regole, c’è il presidente francese Emanuel Macron. Ma anche l’Unione Europea nella sua interezza e
il Giappone hanno già attivato dei colloqui informali con membri dell’Amministrazione statunitense su come l’OMC debba cambiare, visto che Donald Trump addirittura ha minacciato di lasciare l’organizzazione. In effetti un ripensamento sembra necessario. I tempi sono cambiati. Dal 1995 ad oggi si sono aggiunti molti elementi nello scacchiere mondiale, dal punto di vista del commercio e i continui incontri ministeriali, i cosiddetti round, per discutere di eventuali nuove regole non sembrano sortire nuovi effetti. Basti pensare che il Doha Round, è in corso dal 2001 e non si è ancora giunti ad un accordo definitivo, soprattutto a causa di paesi che stanno assumendo un peso sempre maggiore nell’economia mondiale, come l’India che non intende ad esempio cedere su determinati accordi sui prodotti agricoli che sarebbero dannosi per i suoi contadini.
Tra i maggiori cambiamenti intercorsi negli ultimi vent’anni però il caso più emblematico è l’ascesa della Cina. Dalla sua adesione all’OMC nel 2001, il paese asiatico non si è profilato come un nuovo partner in materia di scambi, ma ha intrapreso una politica di produzione fortemente sussidiata dallo Stato, dando inizio ad una concorrenza ritenuta sleale da molti partner commerciali, senza contare le forti barriere imposte alle aziende estere che vogliono installarsi in Cina. Questi sono alcuni dei temi che l’Organizzazione Mondiale del Commercio dovrebbe regolare, ma che attualmente non riesce a fare. Forse per mancanza di mezzi o semplicemente perché gli attori in campo sono talmente potenti, da poter sovrastare anche gli organismi internazionali. L’OMC quindi è diventata un’organizzazione inutile e non ha più ragione di esistere? Secondo molti analisti no. Mettere d’accordo 164 paesi non è un’impresa facile, ma avere un’organizzazione che dia delle regole è sempre meglio che un’anarchia totale, dove ognuno è libero di attaccare o contrattaccare, creando caos. La Cina ne è consapevole, così come lo sono l’Unione Europea e il Giappone. Trump invece è imprevedibile. Sarà compito dei suoi consiglieri mettere sulla sua scrivania delle proposte di riforme dell’OMC che lo soddisfino. Per il bene del commercio mondiale e dei consumatori, che spesso e volentieri sono quelli che pagano le conseguenze delle faide commerciali. Annuncio pubblicitario
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 5 novembre 2018 • N. 45
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Politica e Economia
Svizzeri e americani i più ricchi al mondo Classifiche L a statistica allestita dal Credit Suisse sulla ricchezza creata a livello mondiale nel 2017-18
pone Svizzeri e Statunitensi fra i maggiori detentori di patrimoni. Sono sorti anche 2,3 milioni di nuovi «milionari», che salgono a 42,2 milioni, fra questi in crescita anche le donne
Ignazio Bonoli Proprio pochi giorni dopo il «Global Competitive report» del World Economic Forum, il «Global Wealth report», allestito dal Credit Suisse, confermava che la Svizzera è sempre al primo posto mondiale tra i paesi i cui abitanti posseggono le maggiori ricchezze. Nella classifica per grandi regioni mondiali, il Nordamerica è nettamente in testa per la ricchezza pro-capite media, espressa in dollari, dei suoi abitanti, e cioè 392’690 dollari. Seguono l’Europa con 144’903 dollari, l’Asia/Pacifico con 48’119 dollari, la Cina con 47’819 dollari, l’America latina con 18’605 dollari, l’India con 7024 dollari e l’Africa con 4138 dollari.
42 milioni di persone detengono il 44,8 per cento delle ricchezze mondiali, 3,2 miliardi di poveri l’1,9 per cento In Europa si distingue nettamente la Svizzera, in testa con 530’240 dollari, che, tradotti in franchi, significano 526’700 franchi per abitante. La media mondiale sarebbe invece di 63’100 dollari. Nel considerare questa statistica, sia a livello di paesi o regioni, sia a livel-
lo di persone, non bisogna dimenticare che si tratta di medie, senza nessuna ponderazione e ricordarsi anche della celebre poesia del Trilussa sul pollo a testa. In effetti, la distribuzione di questa ricchezza è tutta un’altra storia. Sta di fatto, comunque, che questa ricchezza viene prodotta a livello mondiale e che il numero di persone «ricche» aumenta. Tuttavia anche il concetto di ricchezza deve essere relativizzato e adeguato al tenore di vita dei singoli paesi o delle singole regioni, tenendo conto del livello di benessere di ognuno. È anche probabile che vi sia un chiaro spostamento della ricchezza, soprattutto verso Oriente, a causa del forte sviluppo economico della Cina e di altri paesi dell’Asia. In questo contesto, i ricchi in Svizzera hanno perso – rispetto all’anno precedente – circa 21’000 dollari a testa. Ma anche qui attenzione: la perdita deve essere in primo luogo attribuita al corso di cambio del franco svizzero che, nel periodo considerato, si è indebolito rispetto al dollaro, cioè la moneta sulla quale si basa lo studio e quindi serve anche per i confronti. Considerate soltanto in franchi, anche le ricchezze degli Svizzeri sono leggermente aumentate. A livello mondiale, nel periodo che va da metà 2017 a metà 2018, le ricchezze sono sensibilmente aumentate, e cioè di circa 14’000 miliardi di dollari (+4,6%), salendo a 317’000 miliardi.
Anche il numero di milionari in dollari è sensibilmente aumentato, precisamente di 2,3 milioni, salendo a 42,2 milioni di persone. La maggior parte, 17,4 milioni, si trova negli Stati Uniti, paese che ha anche fatto registrare la crescita maggiore (quasi 900’000). Al secondo posto troviamo già la Cina con 3,5 milioni di milionari, anche se il raggiungimento di questo traguardo è rallentato nell’anno appena trascorso. In Svizzera ci sono pur sempre 725’000 milionari. I numeri più impressionanti li troviamo però nella concentrazione di questa ricchezza. Ed è proprio su queste cifre che si sono concentrate le maggiori attenzioni dei media, definendo «paperone» chi possiede miliardi, ma anche chi possiede una casa d’abitazione che, con i valori commerciali di oggi, entra facilmente nella classifica. Comunque si è potuto stabilire che i 42 milioni di persone più ricche (pari all’1% della popolazione adulta) possiedono il 44,8% delle ricchezze globali, mentre i 3,2 miliardi di poveri (pari al 64% della popolazione adulta nel mondo) possiedono soltanto l’1,9% della ricchezza globale. Nei paesi industrializzati, circa un terzo della popolazione adulta possiede meno di 10’000 dollari. La sua situazione è però spesso provvisoria, dovuta magari a un periodo di disoccupazione. Diversa è la situazione nel subcontinente indiano o in Africa, dove il 90% della popola-
La skyline di Manhattan, New York: gli USA restano la Mecca dei ricchi. (Keystone)
zione adulta è la più povera al mondo. Lo studio del Credit Suisse dedica una parte importante al ruolo delle donne. Secondo le statistiche utilizzate, possiederebbero oggi circa il 40% della ricchezza mondiale. Il dato è più alto di quelli solitamente rilevati. Ciò è probabilmente dovuto al fatto che il CS non considera soltanto fattori quali la ricchezza finanziaria disponibile o il capitale di vecchiaia nelle casse pensioni. Tiene conto del fatto che molte donne, comprese le madri sole, hanno un lavoro, una formazione migliore e riman-
gono più a lungo nei processi lavorativi, anche perché hanno figli in età più avanzata e tornano più rapidamente nel mercato del lavoro. Spesso le donne si costruiscono con prudenza un proprio capitale e lo gestiscono meglio di certi uomini che sono portati a sovrastimare la loro capacità di gestione del patrimonio. Fra le classi più sfavorite si trovano ancora molte donne sole con figli, ma tra le quote di benestanti, le donne sono in aumento. Anche «Forbes» nel suo elenco delle 2200 persone più ricche al mondo conta 244 donne. Annuncio pubblicitario
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 5 novembre 2018 • N. 45
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Politica e Economia Rubriche
Il Mercato e la Piazza di Angelo Rossi 10 anni dalla crisi delle banche: il Ticino se l’è cavata bene Nel corso di queste ultime settimane si è ricordato il decennale della crisi bancaria che, tra il 2008 e il 2010 causò notevoli difficoltà a molti istituti in diversi paesi del mondo. Si sono ricordate le bancarotte e si sono celebrati i salvataggi. Meno attenzione ha ricevuto nei media il fatto che la crisi bancaria ha provocato una recessione di vasta portata in tutte le economie avanzate, non da ultimo nelle economie dei Cantoni svizzeri. E questo nonostante bisognasse risalire agli anni Trenta del Novecento per ritrovare un fenomeno di recessione generalizzata a livello mondiale di questa portata. L’importanza di questa crisi non è però sfuggita ai ricercatori che, da qualche anno, indagano non tanto sulle sue cause, quanto sul come i diversi sistemi economici siano stati in grado di sopportarla.
Nel loro trattamento della crisi essi distinguono tra due prospettive: quella del breve e quella del lungo periodo. Il breve periodo è, di solito, composto dal triennio 2008-2010, durante il quale la maggioranza dei sistemi considerati ha registrato una recessione, con diminuzione del prodotto interno lordo, e il triennio 2010-2012, durante il quale, invece si è manifestata la ripresa. Il lungo periodo ingloba tutto il periodo di ripresa, dal 2010 a oggi. Come si può rilevare, nel caso dei Cantoni svizzeri, la crisi del 2008 si è manifestata in modo diverso da un Cantone all’altro. Per il confronto con il Ticino si sono ritenuti tre Cantoni con struttura della produzione diversa. Il Canton Zurigo che basa la sua struttura sul terziario avanzato, il Canton Grigioni che,
invece, deve molto al turismo e, infine, il Canton Neuchâtel nel quale è ancora molto importante il settore industriale. Di primo acchito si potrebbe pensare che, siccome quella del 2008, è stata una crisi delle banche, le economie cantonali che avrebbero dovuto maggiormente risentirla avrebbero dovuto esser quella zurighese e quella ticinese e questo per l’importanza che, nelle stesse, ha il valore aggiunto dalle banche e dagli istituti finanziari. Dai dati si rileva invece che l’economia zurighese e, soprattutto, quella ticinese sono quelle che meno hanno risentito della recessione avviata dalla crisi bancaria. L’esposizione alle conseguenze negative della crisi bancaria si misura con l’indice di sensibilità che è tanto più negativo quanto maggiore è stata l’ampiezza della recessione subita. Nel caso dei nostri
quattro Cantoni l’indice di sensibilità varia tra il –0,02 del Ticino e il –0,14 del Canton Neuchâtel. Quindi anche l’indice di sensibilità conferma che, dei quattro Cantoni considerati, il Ticino è quello a cui è andata meglio nella crisi del 2008. Per ottenere però una visione d’assieme degli effetti della crisi conviene calcolare anche l’indice di ripresa che misura per l’appunto l’importanza della fase di ripresa immediata. In questo caso più alto è il valore positivo dell’indice e più importante è stata la ripresa. Dal calcolo risulta che il Canton di Neuchâtel ha il valore più elevato, pari a 0,26, mentre Ticino e Zurigo hanno il valore più basso, pari a 0,07. I valori di questi indici sembrano suggerire che sia l’esposizione agli effetti negativi della crisi, sia l’ampiezza della
ripresa, siano una funzione inversa della dimensione del sistema economico considerato. In altre parole, le fluttuazioni congiunturali, verso l’alto o verso il basso, sono tanto più ampie quanto il sistema è piccolo. Economicamente parlando, Grigioni e Neuchâtel sono due piccole unità. In termini di Pil, per esempio, il Ticino vale almeno due volte questi Cantoni e Zurigo nove o dieci volte. È possibile che la dimensione consenta ai Cantoni più grandi di poter contare su una struttura di produzione maggiormente diversificata, in grado quindi di meglio assorbire le fluttuazioni cicliche. Insomma, la si metta come si vuole, la conclusione è sempre che l’economia ticinese, in questa circostanza, se l’è cavata molto bene.
generale (cioè nell’ultimo luogo al mondo dove qualcuno andrebbe a delinquere), e lo stesso facciano i finanzieri, come a marcare il territorio, mentre ci sono zone calde della capitale dove le forze dell’ordine si vedono di rado? Infine, la cosa forse più importante: c’è una generazione che fa della droga un’abitudine. La scuola, la famiglia, la chiesa: tutti sono chiamati a fronteggiare l’emergenza educativa.
Salvini si è distinto in questi giorni anche con un’altra proposta: costringere i negozietti etnici, spesso aperti nelle grandi città italiane tutta la notte, a chiudere alle 21, accusandoli più o meno velatamente di essere centrali di spaccio della droga. Nello stesso periodo si discute in Italia della mensa di Lodi, dove con il pretesto di far pagare la refezione a tutti la sindaca leghista ha obbligato le famiglie immigrate a provare di non avere proprietà terriere o edilizie nei Paesi d’origine; cosa molto difficile. Come risultato, i bambini di origine straniera hanno mangiato per giorni i panini portati da casa in una sala diversa da quella dove mangiavano gli altri bambini; fino a quando una colletta di privati cittadini ha consentito agli immigrati di pagare la retta e ai loro figli di mangiare con tutti gli altri. A volte è meglio lasciar posare le polemiche e le strumentalizzazioni per ragionare con maggiore serenità. Molti hanno difeso la sindaca. Certo che la mensa scolastica è un servizio e va pagato. Ma nel caso di Lodi, non prendiamoci in giro, l’esponente leghista non ha fatto la sua mossa per recuperare
risorse; l’ha fatta per rendere la vita più difficile ai figli di immigrati. Ma in Italia non può essere consentita una forma strisciante di apartheid. Sessant’anni dopo Rosa Parks, non ci sono possono essere posti riservati ai neri e ai bianchi sulla metro (antica proposta di Salvini quand’era ancora il leader della Lega milanese). Ricordiamoci che gli attentati islamici a Londra e a Parigi non li hanno fatti gli immigrati di prima generazione, ma i loro figli, che si sono sentiti esclusi e diversi. Altro discorso è ripristinare la legalità, sospesa in troppi quartieri. Troppi spacciatori, spesso stranieri, agiscono impuniti. Magari anche nei negozietti etnici, che non vanno criminalizzati (esistono in tutte le grandi città americane ed europee), ma controllati. E i controlli non sono mai abbastanza. Se la legge attuale non consente di tenere gli spacciatori in galera, la si cambi, e si costruiscano nuove carceri. Non possono esistere zone franche nelle città italiane. L’integrazione si costruisce anche così, facendo rispettare a tutti le stesse regole e gli stessi valori. Credo che la Svizzera, anche con le sue durezze, abbia qualcosa da insegnare all’Italia.
hattan, Massagno in questo periodo può esibire lo stesso paesaggio con gli scheletri delle gru al posto dei grattacieli! Inevitabile la cartolina da via al ponte al Municipio. Dedica: «L’è mia che sa esagera un puu tropp?». Terza cartolina solo virtuale. Si collega alla notizia, data a fine ottobre dai media elvetici, che pone la Svizzera al primo posto in Europa per le aspettative di vita: secondo la classifica di Eurostat (l’ufficio di statistica europeo) per la nostra popolazione è di 83,7 anni. Ovviamente in media, ché per le donne elvetiche l’aspettativa è sugli 85 anni, mentre per gli uomini si arriva a poco oltre gli 81 anni. Niente male comunque, anche per chi scrive queste cose e conta gli anni che rimangono sulle dita delle mani... Ma per i ticinesi c’è un altro record: subito dopo la città di Madrid con 85,2 anni, è il nostro cantone e figurare ai primi posti con 85 anni esatti (i media italiani ci ignorano, per poter dare il
secondo posto al Trentino). Un dato lusinghiero, anche se occorre tener conto che la speranza di vita non si allunga solo grazie agli autoctoni, ma anche a tanti immigrati che scelgono la nostra regione come tappa per l’ultimo tratto della loro esistenza. È un fenomeno che riguarda soprattutto i confederati, esteso però negli ultimi anni anche a cittadini esteri sospinti forse non tanto dalle aspettative di vita che le statistiche ci attribuiscono, quanto piuttosto dal richiamo di altre sirene: dalle proprietà immobiliari alle residenze «senior» sino agli immancabili (anche se tutti da verificare) vantaggi fiscali. Su questa cartolina metterei le parole di una famosa poesia in dialetto napoletano del grande Totò: «’A morte ’o ssaje ched’è? È ’na livella: / ’nu rre, ’nu maggistrato, ’nu grand’ommo, / trasenno ’stu canciello ha fatt’o punto / c’ha perzo tutto, ’a vita e pur’o nomme». E pure l’età!
In&outlet di Aldo Cazzullo Costruire la cultura dei controlli ti, senza lavoro, in balia della malavita. Ripristinare la legalità, senza zone franche. Stroncare il traffico di droga con leggi più severe, a costo di costruire nuove carceri: come non capire la frustrazione degli agenti che si vedono sfilare davanti gli spacciatori che hanno arrestato e sono stati subito rilasciati? Costruire una nuova cultura dei controlli: ha senso che i carabinieri fermino i passanti a caso sotto il loro comando
Dinamopress
Mi ha colpito molto l’accoglienza ricevuta da Matteo Salvini nel quartiere romano di San Lorenzo (foto), teatro dell’orrendo omicidio di Desirée, la sedicenne laziale drogata, stuprata per dodici ore e lasciata morire da un gruppo di spacciatori africani, vanamente espulsi (in teoria) nei mesi scorsi dall’Italia. Qualsiasi ministro dell’Interno che arrivasse sul luogo di un delitto verrebbe fischiato; rappresenta lo Stato, e anche se il crimine non è colpa sua la gente di solito lo contesta. Se Salvini viene acclamato dai più (a parte qualche voce di dissenso), è perché all’evidenza la sua strategia di presentarsi come capo dell’opposizione, nonostante sia ministro dell’Interno da cinque mesi (non cinque anni, ma nemmeno cinque giorni), paga. Oltretutto a San Lorenzo, il quartiere un tempo più rosso di Roma, l’unico a opporsi ai fascisti calati sulla capitale il 28 ottobre 1922; a conferma di quanto sia sbagliato leggere le vicende di oggi con gli occhiali ideologici del passato. Le cose da fare sono molte. Fermare il traffico di esseri umani, che una volta arrivati in Italia restano spesso sbanda-
Zig-Zag di Ovidio Biffi Cartoline illustrate dal Ticino Saluti e baci dal Ticino. Era la formula in voga fino a trenta o quarant’anni fa, sulle cartoline che recavano scorci di paesaggio ormai tutti scomparsi, tanto da diventare oggetto di ricerche e persino di confronti su Twitter. Idealmente suddivido questa rubrica in tre di quelle cartoline: il mittente lo conoscete, il destinatario varia. Il primo spunto è sull’incontro di tre sorelle presso quella che abita in Ticino, prima che l’inverno tolga la voglia di viaggiare. Giornata gioiosa, baciata oltretutto da tempo estivo, ma oscurata da una sorpresa che ha impedito... un’altra sorpresa. Una di loro, avendo un abbonamento generale delle Ffs, si è infatti diretta a Zurigo per poter così sorprendere l’altra che, proveniente da San Gallo, sarebbe salita sullo stesso treno ad Arth Goldau. Ma anche le Ffs avevano una sorpresa: a Zurigo hanno impedito alla prima sorella di salire sul treno diretto in Ticino: convogli difettosi, obbligo di ricorrere
al treno successivo (ovviamente stracarico) e addio al viaggio in comune con la sorella e a due ore in più di stare assieme, prima dell’incontro con l’altra sorella a Lugano. Nessuna tragedia, ma pur sempre qualcosa che non rientra fra i viaggi sereni. Ecco: visto che nemmeno un abbonamento generale basta per un viaggio sereno, la prima cartolina la indirizzo alle Ffs con l’invito a muoversi per evitare simili «sorprese di servizio» (diciamolo ancora una volta: abituali sulla tratta nord-sud). Personale invece la seconda cartolina. Trasmette idealmente uno di quei filmati che si vedono sul web per presentare cose turistiche: dal panorama dall’alto di un grattacielo o di una montagna sino alla visione interna di una camera d’albergo. Mostrano quello che uno vedrebbe compiendo un giro su se stesso, quindi di 360 gradi. Ebbene, se io compio una simile ripresa posso dirmi molto fortunato:
alzando un po’ lo sguardo non solo vedo il Bre, il Sighignola e il San Salvatore, ma cambiando camera anche il Lema, il Tamaro, il Bar e il Boglia. A mitigare la fortuna c’è che fino a dieci anni fa potevo scorgere anche il golfo di Lugano, quindi «vista lago» anche se ridotta; ora siamo ai minimi termini, tanto che occorre una luce particolare per indovinare, tra i palazzi, una ridotta striscia delle acque del Ceresio. Inoltre questo personale «360 gradi» da qualche settimana offre uno spettacolo assai poco rassicurante: sono già dodici, e sembra che debbano ancora aumentare, le grandi gru che riesco a individuare e che ogni giorno entrano in azione per altrettanti cantieri. Il lato più impressionante è che queste gru mi si presentano sullo stesso giro di 360 gradi: sono (pardon: mi sento) circondato da gru e da scavi o costruzioni di palazzi. Ho persino pensato che, così come New York ha la sua «skyline» con grattacieli a Man-
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 5 novembre 2018 • N. 45
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Cultura e Spettacoli La forza di Bovary Silvia Vegetti Finzi, ospite di Piazzaparola, racconta la forza del romanzo di Flaubert
I barocchisti sbarcano a Ginevra La prestigiosa formazione diretta da Diego Fasolis si esibirà in un atteso concerto nell’ambito dei MigrosPercento-culturale-Classics
Antico inchiostro A colloquio con la scrittrice Rachel Kadish, che ha rimescolato le carte della storia
L’arte di Gianni Paris Un doveroso ricordo del bravo artista scomparso di recente, maestro dell’essenzialità pagina 47
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The Cleaner
Mostre Marina Abramović a Palazzo Strozzi
di Firenze
Gianluigi Bellei La performance è una forma di arte nata negli anni Settanta del secolo scorso che porta il corpo dell’artista in primo piano. Non esistono più il quadro o la scultura come opere separate dal creatore, bensì lo spazio, il luogo e il movimento che l’artista stesso organizza. Magari coinvolgendo il pubblico. Al contrario dell’Happening, che è un’azione dettata dal caso, la performance è un evento pianificato. Tutto questo rivoluzionò completamente il mondo dell’arte che però aveva sempre bisogno di sopravvivere tramite i soliti canali delle gallerie. Ben presto si trovò il trucco di filmare le performance e di spacciarle per l’opera. Per i fruitori la questione risultò noiosa anche perché sorbirsi in un museo o in un’esposizione temporanea ore e ore di filmati era ed è piuttosto barboso. Marina Abramović ha risolto il problema creando le re-performance. Si tratta di una riproposizione delle vecchie azioni realizzate da altre persone sul modello di quelle originali e sempre sotto la sua supervisione. In pratica nelle ultime mostre accanto ai filmati delle sue performance d’epoca troviamo altri giovani che le ricreano, ovviamente non con lo stesso pàthos e la stessa intensità emotiva, ma con modalità simili. Il contesto ovviamente è diverso, ma almeno si assiste dal vivo e non unicamente tramite i soliti video. Le performance si modificano a seconda dell’interprete e così facendo acquistano una nuova vita. Un po’, dicono, come per un brano musicale che da un interprete all’altro muta dall’originale, diretto magari dal compositore stesso. A Palazzo Strozzi di Firenze, in occasione della retrospettiva dedicata a Marina Abramović, possiamo vedere questa nuova modalità di fruizione presentata per la prima volta nel 2005 al Solomon R. Guggenheim Museum di New York. A Firenze il gruppo di performer è stato selezionato da Lynsey Peisinger, collaboratrice dell’artista. Per poter vedere le re-performance bisogna consultare il sito di Palazzo Strozzi in quanto non tutte hanno luogo nello stesso giorno e alla stessa ora. L’unica riproposta giornalmente è Imponderabilia dalle 11.30 alle 19.30 e il giovedì fino alle 21.30. Si tratta della performance più semplice e quindi facilmente riproducibile. Di grande impatto perché coinvolge un uomo e una donna completamente nudi; il che al giorno d’oggi ha del miracoloso, visti i tempi che corrono. La prima volta è stata realizzata da Marina Abramović
e dal compagno Ulay nel giugno 1977 alla Galleria comunale d’arte moderna di Bologna. In quell’occasione i due artisti hanno trascorso 90 minuti nudi, vicini uno di fronte all’altra. Fra loro i visitatori dovevano passare per entrare nel museo volgendosi verso l’uno o l’altra. Dopo 90 minuti ha fatto irruzione la polizia per bloccare tutto. Ulay è stato il grande amore di Marina. Assieme hanno realizzato tante performance, utilizzando il loro corpo in un abbraccio totale fra scontro e incontro, dal 1976, anno in cui Marina si è trasferita ad Amsterdam per vivere con lui. Un sodalizio struggente, fatto di viaggi, meditazioni, performance estreme. Sino al 1988 con The Lovers, quando entrambi, partendo uno dal deserto dei Gobi e l’altra da Shan Hai Guan, hanno attraversato in 90 giorni la Grande muraglia cinese per incontrarsi a metà strada e dirsi addio. L’idea era nata otto anni prima ed era quella, appunto, di incontrarsi a metà strada e sposarsi. «La storia epica», scrive Marina, «di due amanti che si incontrano dopo tante sofferenze». È stato solo un addio. Si sono rivisti nel 2010 quando al Museum of Modern Art di New York Marina ha realizzato una performance dal titolo The Artist is Present nella quale per 736 ore ha mantenuto il contatto visivo con 1675 visitatori seduti di fronte a lei. In quell’occasione si è seduto anche Ulay. E hanno pianto assieme, senza parlare. Ma torniamo alle re-performance. Il lunedì, il giovedì e il venerdì dalle 15 alle 16 e la domenica dalle 12 alle 13 ha luogo Luminosity. Un lavoro presentato alla Galleria Sean Kelly di New York nel 1977. Qui nuda resta in equilibrio sul sellino di una bicicletta con i piedi sospesi in aria e le braccia e le gambe che si alzano e si abbassano lentamente. Altri lavori coinvolgono il pubblico. Come Counting the Rice del 2015 nel quale i partecipanti dopo aver depositato borse, cappotti, orologi e fotocamere in un armadietto indossano delle cuffie isolanti. Si siedono a un tavolo con al centro un mucchio di riso e lenticchie mescolati assieme. Mediante una bacchetta separano il riso dalle lenticchie e contano i chicchi annotando i risultati su un foglio. Scrive l’artista: «Viviamo in un periodo difficile in cui il tempo vale sempre di più perché ne abbiamo sempre meno. Per questo motivo vorrei dare al pubblico l’opportunità di sperimentare e di riflettere su vacuità, tempo e spazio, luminosità e vuoto. Durante tale esperimento spero che i partecipanti si connettano con loro stessi e con il presente, il fugace attimo del qui e ora».
Marina Abramovič Balkan Baroque (Bones), 1997, video a un canale (b/n, sonoro), 9’42”. (New York, Abramovič LLC. Courtesy of Marina Abramovič Archives e LIMA © Marina Abramovič. Marina Abramovič by SIAE 2018)
La mostra fiorentina ripercorre tutto il lavoro dell’artista lungo i suoi cinquant’anni di carriera. Dai primi dipinti a olio alla Strozzina nel sottosuolo alle performance al piano nobile dell’edificio. Le prime performance solitarie e dolorose al limite della sopportazione, come Rhythm 0 a Napoli nel 1974. Sei ore in balia dei visitatori che potevano fare sul suo corpo qualsiasi cosa con 72 oggetti posti su un tavolo vicino. Oggetti quali pistole, chiodi, catene, vernice, coltelli, bisturi, lacci… Le tagliarono la maglietta facendola rimanere a torso nudo, le allargarono le gambe e «conficcarono il coltello a poca distanza dal sesso», qualcuno
le tagliò il collo e succhiò il sangue. In quel momento «mi resi conto che il pubblico può ucciderti», scrive. Poi l’incontro con Ulay e infine l’ultimo periodo, maggiormente meditativo e trascendentale, che la vede avvicinarsi al buddhismo e al misticismo. Oggi Marina coinvolge sempre più il pubblico, cambia posizione e, come scrive Lena Essling in catalogo, «diventa silenziosa partner del dialogo o catalizzatrice della partecipazione altrui, come la scintilla che mette in moto un motore». The Cleaner, si intitola la mostra organizzata da Palazzo Strozzi in collaborazione con il Moderna Museet
di Stoccolma, il Louisiana Museum of Modern Art e la Bundeskunsthalle di Bonn. Anche per Marina è giunto il momento di «fare pulizia del passato, della memoria e del destino» per tenere solo quello che serve. Ottimo allestimento, buone le luci come il catalogo. Dove e quando
Marina Abramović. The Cleaner. A cura di Arturo Galansino, Lena Essling, Tine Colstrup e Susanne Kleine. Palazzo Strozzi, Firenze. Fino al 20 gennaio. Catalogo Marsilio Editori, euro 40. www.palazzostrozzi.org
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Cultura e Spettacoli
Siamo tutte figlie di Emma Bovary
Bojack Horseman – la stagione 5
Incontri Per l’ottava edizione la manifestazione letteraria Piazzaparola si è spostata
nella hall del LAC
Simona Sala Molti, anzi, soprattutto molte, sono state le ospiti che nel corso dell’ottava edizione di Piazzaparola (in scena dal 24 al 28 ottobre a Lugano) hanno preso la parola davanti a un pubblico incredibilmente folto – anche se, e lo diciamo con una punta di rammarico – declinato quasi prettamente al femminile. Le occasioni di scambio sono state molteplici, e oltre a diversi focus di natura letteraria sul ruolo della donna nella lettura e nelle lettere, vi sono stati momenti musicali, cinematografici ed editoriali. Il fil rouge della manifestazione, curata da Yvonne Pesenti e da Natascha Fioretti, era rappresentato dal romanzo per eccellenza sulla presunta pericolosità dell’erudizione femminile, ossia quell’ottocentesco Madame Bovary, che attirò su Flaubert gli strali non solo della critica del tempo, ma anche di cittadini e – probabilmente – cittadine che si credevano per bene. Giovedì 24 ottobre ha incontrato il suo pubblico anche la psicanalista e scrittrice italiana Silvia Vegetti Finzi, da anni apprezzata collaboratrice di «Azione», per il quale cura la rubrica La stanza del dialogo. L’autrice di libri come La bambina senza stella, L’età incerta, Quando i genitori si dividono: le emozioni dei figli o L’ospite più atteso anche nel corso del recente appuntamento è riuscita a dare corpo a quella sua voce così inconfondibile, che la vuole preparata, dedita con intensità all’incontro con il prossimo, ma soprattutto in grado di comprendere e trasmettere con levità argomenti e tematiche complesse e particolarmente profonde. Le abbiamo chiesto di parlare con «Azione» del suo rapporto con il romanzo di Flaubert e dell’attuale situazione del lungo percorso di emancipazione femminile di cui lei stessa è sempre stata protagonista attiva e attenta. Silvia Vegetti Finzi, Lei afferma che Madame Bovary, scritto nel 1856, sia un libro che rischia l’estinzione.
Eppure a distanza di oltre un secolo siamo ancora qui a parlarne, e a molti non sembra avere perso nulla della propria freschezza originale.
Non credo che punendo atrocemente la sua eroina Flaubert avesse un intento moralistico, ma così il libro è stato letto ed utilizzato: come dissuasione e monito rispetto alla tentazione del sesso debole di abbandonarsi al sogno d’amore, all’assurda pretesa di una sconfinata felicità. Più in generale, come romanzo di formazione, la tragica vicenda dell’inquieta Emma Bovary sembra ribadire la condanna che nel ’700, secolo dei lumi, colpisce l’immaginazione. Contrapposta alla geometria della ragione, la fantasia si rivela fluida, incontrollabile, trasgressiva, pericolosa per l’equilibrio individuale e la stabilità sociale. Tanto più quando dilaga nella mente femminile, fragile e vulnerabile per costituzione.
La fantasia come una cosa pericolosa, e siamo già nel cuore tematico della recente edizione di Piazzaparola. A differenza di oggi, si credeva addirittura che una fantasia troppo sviluppata potesse avere delle vere e proprie conseguenze fisiche per le donne. Ce ne vuole parlare?
Secondo i medici dell’epoca la fantasia, se troppo sollecitata, infiammava
Il LAC per l’occasione si è trasformato in una piazza.
gli organi interni femminili provocando l’increscioso fenomeno della ninfomania, o «furore uterino», ossia un desiderio sessuale imperioso e insaziabile che, se non curato con diete, bagni freddi, abbigliamento essenziale, isolamento e perentorio divieto di leggere romanzi d’amore, avrebbe condotto alla rovina le giovinette e le loro famiglie. Un secolo dopo l’anatema si ripropone, ma questa volta in termini non organistici, bensì psicologici, non materiali ma spirituali – Emma è spinta al peccato e alla colpa, al disdoro e alla morte non dal corpo, ma dalla mente. Nel 1910, in un saggio psicologico Jules de Gaultier conia il termine «bovarismo ideologico» per indicare una sindrome femminile provocata dalla prevalenza della fantasia sulla realtà. Lei a Piazzaparola ha cercato di proporre una nuova interpretazione del capolavoro di Flaubert...
Convinta che i classici, come afferma Italo Calvino, non finiscano mai di dirci ciò che ci volevano dire, io invito lettrici e lettori a rivolgere proprio a
Emma Bovary i nostri interrogativi, a iscriverla nel nostro percorso, nella storia dell’emancipazione femminista e della liberazione femminile. In questa prospettiva lo stereotipo tradizionale – che utilizza il prototipo dell’adultera per rendere patologica la fantasia e interdire il piacere della lettura – perde di attualità e d’incisività. Emma, enigmatica e complessa, contraddittoria e ostinata, procede abbandonando, lungo la corsa forsennata verso la rovina, i residui medievali della femminilità. E noi donne del 2018? Da dove dovremmo partire per raggiungere una vera libertà?
Per cambiare il presente, per rinunciare alle rassicuranti certezze del noto, occorre che qualcuno lo avverta come insopportabile, che denunci il malessere che provoca, che testimoni, con la sua insofferenza, la necessità di rovesciare il tavolo e mutare gli equilibri esistenti. In fondo quella delle donne è l’unica rivoluzione del Novecento a non essere fallita, ma è anche l’unica che non si è ancora conclusa.
Montserrat? Un fenomeno In memoriam L a recente scomparsa della grande artista ha permesso di mettere
in luce una carriera a dir poco straordinaria Giovanni Gavazzeni Il cordoglio planetario che ha circondato la morte di Montserrat Caballé è stato degno di una testa coronata e merita qualche riflessione non frettolosa. Perché il grande soprano catalano apparteneva alla Casa Reale del Canto di ogni tempo. Lo riconobbero altre divinità dell’Olimpo canoro come Renata Tebaldi, Joan Sutherland e Maria Callas, ammiratrici della voce unica della Caballé. Donna Montserrat ha fatto anche il miracolo nei tormentati frangenti politici del suo paese di mettere tutti d’accordo: il Re e il primo ministro Sanchez, indipendentisti e lealisti catalani, popolari, centristi e socialisti. Sulla stampa però è stata ricordata soprattutto la sua partecipazione alla cerimonia d’apertura delle Olimpiadi a Barcellona. Montserrat fece un numero di alta pirotecnia vocale accanto a quella forza della natura che era Freddy Mercury. L’insistenza con cui è stato narrato questo evento poteva indurre a pensare che quella fosse stata la sommità della sua carriera e non un
Montserrat Caballé in un’immagine di gennaio, durante le prove di Enrico VIII a Barcellona. (Keystone)
episodio, importante sì, ma non certo unico. Episodio che dimostra la straordinaria versatilità dell’artista e la generosità della persona. Mercury, durante le prove, le disse di essere sieropositivo e malato, scusandosi per un eventuale possibile défaillance vocale. Montserrat
scelte sbagliate e nuove dipendenze Alessandro Panelli
Il libro Madame Bovary, come tutti i classici, rischia l’estinzione per essere stato imbalsamato in uno stereotipo che pre-giudica la lettura, offrendo una risposta ancor prima di sollecitare una domanda. Come la coetanea Anna Karenina, Emma Bovary rappresenta la femminilità inquieta, incontenibile, non addomesticabile, l’isterica insomma.
Secondo Lei, nonostante l’epoca in cui fu scritto, un periodo cioè in cui i ruoli dei generi erano ancora estremamente distinti, Flaubert con la stesura del suo libro non aveva alcun intento moralistico. Come è giunta a questa conclusione, quando è proprio questa la lettura che buona parte della critica del tempo ha dato del libro?
Netflix Sensi di colpa,
lo ringraziò per averla messa a parte di una cosa così personale, considerandola così un’amica. E un’amica fu per tutti i compagni sul palcoscenico, a partire dalla non facile categoria dei tenori: parliamo di artisti di grande personalità come Alfredo Kraus, Placido Domingo, Luciano Pavarotti, e il concittadino, José Carreras, scoperto proprio dal clan Caballé e rimasto amico di tutta una vita. Nel gruppo familiare che gravitava intorno al soprano ebbe una parte decisiva il fratello Carlos, che consigliò sempre le opere giuste per non compromettere mai la maturazione vocale. Questo è uno dei segreti di una carriera durata più di mezzo secolo – iniziata in Svizzera, a Basilea, nel 1956 con la Bohème di Puccini. Due anni nella compagnia stabile di Basilea e poi il triennio (195962) a Brema consentirono a Montserrat di approfondire il repertorio tedesco (fu capace di trionfare in quattro lingue, spagnolo, italiano e francese comprese). Fu pronta per tornare a Barcellona e debuttare in Arabella di Richard Strauss, il compositore a cui l’aveva preparata
la sua maestra, Conchita Badia, grande liederista catalana. Quando Montserrat girava i suoni e «filava» smorzando in pianissimo un acuto, dava l’impressione fonica di una stella cometa (per non parlare del colore sempre caldo e morbido della voce). Queste qualità naturali furono affinate da uno studio tecnico formidabile, appreso proprio negli anni dell’educazione musicale al Conservatorio di Barcellona. Ricordo una celebre regista di tanti decenni fa, che pur ammirandola, ne faceva un’imitazione leggermente ironica. Montserrat studiava uno dei tanti impervi spartiti belcantistici che riesumò dall’oblio in cucina. Nel contempo girava la salsa di pomodoro, prendendo in braccio il figlio. Era l’immagine nello stesso tempo di una matriarca semplice e di una straordinaria professionista, cui è stato possibile interpretare i ruoli più diversi, ruoli per i quali normalmente ci sarebbero volute interpreti diverse: il belcanto italiano (Rossini, Bellini, Donizetti) e Verdi, la Salome di Strauss e Puccini. Un fenomeno.
La serie tv racconta i fatti di Bojack, un attore divenuto famoso per aver interpretato la star nella sitcom di successo degli anni 90 Horsin’ Around. Dopo aver vissuto per molto tempo nell’ombra di questo personaggio, Bojack cerca di reinserirsi nel mondo dello spettacolo, venendo a conoscenza della sua criptica, quanto preoccupante personalità. La quinta stagione della serie creata da Raphael Bob-Waksberg colpisce ancora nel segno e riesce a dare allo spettatore validissimi punti di riflessione trasmettendo significanti emozioni grazie all’empatia che si crea fra lo spettatore e i personaggi. Siamo abituati alla serietà e alla sincerità con cui i temi vengono trattati all’interno della serie, e sembra strano da dire perché stiamo parlando di un mondo dove uomini e animali antropomorfi vivono insieme. Eppure stagione dopo stagione ci rendiamo sempre più conto di quanto questi bizzarri personaggi siano umani e di quanto riescano a darci vere e proprie lezioni di vita: per esempio come trattare le persone che davvero ti stanno vicino, come reagire alle disgrazie e come combattere i propri ripensamenti. Tutto questo avviene in modo inusitato e straordinariamente efficace grazie alla solida ironia di fondo che caratterizza la serie. In questa stagione abbiamo di fronte un Bojack che ha l’obiettivo di redimersi, di riscattarsi dalle scelte compiute in passato e che decide di accettare il ruolo come protagonista nella serie Philbert sperando di rilanciare la sua carriera… Ma riuscirà a non cadere nel limbo della disperazione che lo ha così lacerato in passato? Veniamo a conoscenza anche di nuovi personaggi presenti sul set della serie, quello più inserito è il regista Flip: dipinto in modo piuttosto negativo si presenta come colui che riscuote tutto il successo non avendo nessun merito. Non mancano quindi le critiche al mondo dello spettacolo, tanto che gli scrittori hanno colto la palla al balzo per inserire battute sui recenti movimenti contro le molestie sessuali e altri casi che dipingono l’attuale mondo dello show business americano. Ogni puntata ha un tema su cui si focalizza attraverso l’analisi dei vari personaggi. In particolare risalta l’ossessione per il proprio lavoro, il limite che si raggiunge se si crede di dipendere solamente da se stessi, il mascheramento dei propri dolori e la dipendenza vista come arma letale. Persistono ancora entrelacement di livello altissimo e puntate dalle vesti registiche più che autentiche; per farvi capire una di queste è un episodio di mezz’ora incentrato unicamente su un monologo di Bojack. Da brividi. Raphael Bob-Waksberg rapisce con questa nuova stagione, ponendo sempre di più l’attenzione sul dramma umano e mostrandoci un mondo paradossale e inimmaginabile; ma così vero e paurosamente reale.
La locandina del programma, giunto alla quinta serie. (Netflix)
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Cultura e Spettacoli
L’intramontabile fascino della grande canzone italiana In scena Oltre all’apprezzato spettacolo di Ornella Vanoni al LAC, a Verscio
si è potuto vedere I dodici imperfetti
Giorgio Thoeni Genuina simpatia e gran classe sono state le caratteristiche di una serata che il palcoscenico del LAC ha riservato a Ornella Vanoni, diva e gran Signora della canzone italiana. Un vero e proprio evento per una platea di nostalgici che ha mostrato qualità dal profilo musicale ma curiosa avarizia per quanto quella parte narrativa o aneddotica di uno spettacolo il cui titolo La mia storia prometteva, oltre a un repertorio da favola, il racconto di un’avventura artistica e umana che, come sappiamo, è stata ricca di incontri straordinari. Abbiamo dovuto accontentarci – ma si fa per dire – della generosità musicale di un’ora di concerto che ha percorso epoche e alcuni autori che hanno segnato la carriera di una cantante e attrice certamente fra le più longeve (e in perfetta forma) del panorama italia-
no. Accompagnata da Roberto Cipelli al pianoforte, Bebo Ferra alla chitarra, Loris Leo Lari al contrabbasso, Piero Salvatori al violoncello e Tommaso Bradascio alla batteria, l’ingresso in scena della Vanoni è sulle note finali di Musica Musica, lasciando subito intendere il taglio delle riletture musicali del quintetto con arrangiamenti jazzistici stilizzati per dare risalto alle interpretazioni dell’artista milanese che non ha lesinato preziosismi vocali senza esitazioni o cedimenti, tutti gestiti con assoluta padronanza e divertissement. Un’ottuagenaria da sballo, insomma, per una serata d’antan che ha esaltato e commosso la numerosa ed entusiasta platea luganese. Soprattutto con brani che scegliamo di ricordare, cavalli di battaglia e monumenti della canzone italiana nati dalla penna di Gino Paoli come Senza fine e Mi sono innamorata di te, di Luigi Tenco con una toccante
Ornella Vanoni, un pezzo di storia musicale italiana. (luganolac.ch)
Vedrai o la suggestiva Caruso di Lucio Dalla: «piccolo, brutto ma un genio» ha commentato la Vanoni nel presentare un capolavoro che «sembra un plagio ma non lo è». Ma anche Io che amo solo te di Sergio Endrigo o la sanremese Imparare ad amarsi di Bungaro e Pacifico. Per la conclusione l’artista ha scelto Domani è un altro giorno (cover di Tammy Wynette), l’intensa e scaramantica poesia di Aria di Dario Baldan Bembo e Sergio Bardotti alla pari con L’azzurro immenso di Sergio Cammariere: eleganza allo stato puro per una straordinaria, unica e inconfondibile voce. Il senso della tradizione
Sono almeno trent’anni che le stagioni teatrali a Verscio si avvicendano senza rinunciare di inserire la proposta del Variété fra gli appuntamenti previsti nel cartellone (sostenuto, fra gli altri, dal Percento culturale di Migros Ticino). Nato con l’obiettivo di avvicinare i giovani studenti della scuola (oggi Accademia della SUPSI) alla dimensione professionale sottolineando la cifra stilistica che ha sempre contraddistinto le creazioni del grande clown Dimitri, il Variété continua ancora oggi a essere uno spettacolo che richiama un pubblico di appassionati, grandi e piccini. Quando è iniziata l’avventura del Variété, il suo allestimento veniva realizzato dopo una selezione di allievi che dovevano superare un provino. Ovviamente poter far parte di quel piccolo e agguerrito contingente teatrale diventava motivo di giustificato orgoglio. Anche oggi è un sentimento condiviso, sebbene da diverse stagioni la compagnia del Variété sia ormai composta di studenti del secondo anno del ciclo di formazione. Pertanto ogni stagio-
ne può riservare delle sorprese. Sia dal profilo registico sia da quello interpretativo. Per esempio l’edizione 2018, di cui abbiamo visto recentemente la rappresentazione, è stata diretta a quattro mani da Andrea Herdeg, docente di danza, in accoppiata con Colette Roy, docente di costruzione e recita maschere, una posizione occupata per molti anni dal compianto Richard Weber, grande maestro del genere e co-fondatore con Dimitri della scuola. Una regia che ha pertanto fornito un’impostazione particolare dello show che con il titolo I dodici imperfetti già la dice lunga sulle personalità che ogni giovane artista ha voluto proporre in scena, fra danza e movimento. Il pretesto è l’incontro di una dozzina di persone talentuose e dalle personalità ben distinte. C’è chi ha lo sguardo stupito e un cappello sempre in testa, chi è perennemente con la testa per aria, chi ha fatto del silenzio una regola oppure chi sembra alla continua rincorsa di qualcosa. O chi invece apparentemente è perfetto… ma è solo un’illusione. Dall’incontro di tutte le diverse inclinazioni lo spettacolo prende le mosse e si sviluppa sulla scena per un mondo fantasioso, dove gli attori dimostrano la loro bravura in una sequenza di sketches fra acrobazie e jonglage, danza, canto e musica con o senza maschere espressive, ma con grande perizia esecutiva. Un esercizio carico di gioiosa esuberanza e di risorse che lasciano spazio all’estro del singolo ma che fanno parte di un prezioso bagaglio acquisito nel ricordo di una singolare matrice espressiva: segno di una tradizione e di una delle vie percorribili per entrare nel mondo dello spettacolo.
I Barocchisti, Fasolis e la storia Musica L a prestigiosa formazione diretta da Diego Fasolis si esibirà a Ginevra il prossimo
12 novembre nell’ambito della tournée di concerti organizzata dal Percento culturale Migros Enrico Parola Oggi Diego Fasolis è il direttore svizzero più richiesto a livello internazionale: in queste settimane è stato applaudito alla Scala con La finta giardiniera di Mozart, terza opera dopo due titoli händeliani nel massimo teatro lirico mondiale; il Barbiere di Siviglia al Lac è stato definito dalla critica di mezza Europa una «rivoluzione-rivelazione necessaria e benvenuta». «Da quando ho deciso, nel 2014, di aprire il mio guscio-rifugio alla RSI e rendermi disponibile sul mercato, ho avuto la sorpresa di essere immediatamente invitato dai più prestigiosi teatri del mondo; oltre ai concerti quest’anno ho diretto dieci opere, rimanendo lontano da casa per dieci mesi. Spero di convincere il mio agente, ma anche me stesso, a dire qualche no. Per ora sto cercando di rifiutare un tour in Cina con la Scala…»; un successo dovuto soprattutto «al lungo lavoro svolto nel campo delle esecuzioni storicamente informate». E proprio con i Barocchisti, l’orchestra di strumenti originali da lui fondata e portata all’eccellenza, sarà protagonista lunedì prossimo, nell’ambito dei Migros-Percento-culturale-Classics, di un concerto straordinario alla Victoria Hall di Ginevra: «Questo concerto segna una svolta nella storia dei Barocchisti che tornano, dopo qualche anno di gestione RSI, a una conduzione privata, purtroppo senza il supporto
della compianta fondatrice Adriana Fasolis-Brambilla. Mi trovo a dover di nuovo gestire direttamente le cose e per fare questo ho voluto avere al fianco uno degli amici della prima ora: il flautista Maurice Steger, con cui abbiamo inciso il nostro primo disco dedicato a Vivaldi, sarà solista con Laura Schmid nei concerti La notte e Il gardellino. Sono contento di questa occasione anche perché io da giovane sono stato un beneficiario degli «stipendi» Migros: è anche grazie a quel sostegno che ho potuto completare gli studi; e in generale i grandi progetti culturali e musicali sono resi possibili solo dal sostegno mecenatizio pubblico e privato». Il programma si apre e si chiude con Vivaldi, che in questi anni sta vivendo una renaissance grazie alla filologia; si dice che piace ai giovani perché il suo ritmo è incalzante come un rock: «Vivaldi è molto più di questo; Cecilia Bartoli ha contribuito grandemente al rilancio della sua musica operistica così come lo hanno fatto tanti gruppi per quella strumentale; a Lugano abbiamo inciso e portato in grandi teatri vari capolavori di musica sacra, strumentale e operistica, da Farnace e Orlando Furioso a Dorilla in Tempe, che andrà in scena nel 2019 alla Fenice di Venezia, primo atto di un progetto che riporterà il teatro del Prete Rosso nella sua città». Rispetto ai pionieri degli anni 7080, i Leonhardt e Hogwood, la filologia musicale ha fatto enormi progressi: «Ho
Diego Fasolis, carismatico direttore dei Barocchisti. (CdT - Gonnella)
il più grande rispetto per chi ha aperto la strada, penso alle Quattro Stagioni con Alice e Nikolaus Harnoncourt, quando nessuno osava superare gli aspetti estetizzanti e «semplici» di Vivaldi per andare invece a fondo del suo strepitoso messaggio formale e virtuosistico, inteso nel senso più completo. Ora si tratta solo di abbellire e ornare autostrade dove si circola in molti». Nel programma compaiono campioni del barocco come Corelli e Geminiani, pilastri come Sammartini: «Il Barocco italiano è stracolmo di capolavori o comunque di artigianato artistico di altissima qualità; Corelli ha recuperato la fama che all’epoca aveva con la sua gigantesca orchestra a Roma, Geminiani e Sammartini ancora parzialmente attendono la diffusione che meritano». C’è poi un concerto di Domenico Sarro, a ricordare come tanto giaccia ancora nel sommerso di archivi e biblioteche: «Mol-
te città e teatri italiani custodiscono vere perle. Sarro impressionava molti con le sue opere a Napoli e Venezia; non fu un gran promotore di se stesso e la diffusione della sua musica è rimasta limitata; ma per capirne lo spessore basti pensare che il suo Achille in Sciro ha inaugurato il San Carlo di Napoli e che fu il primo a musicare un testo di Metastasio». Dove e quando
I Barocchisti diretti da Diego Fasolis, con l’intervento dei flautisti Laura Schmid e Maurice Steger si esibiranno alla Victoria Hall di Ginevra lunedì 12 novembre 2018. www.culturel-migros-geneve.ch In collaborazione con
Chi è di Scena a Bellinzona? Concorso Al Teatro
Sociale venerdì 16 novembre Notte di follia
Enza Di Santo Offese, battute, malintesi e bollicine alcoliche, caratterizzano il fortuito incontro tra i protagonisti dello spettacolo Notte di follia in scena al Teatro Sociale di Bellinzona giovedì 15 e venerdì 16 novembre alle ore 20.45. La pièce, tratta da Nuit D’Ivresse di Josiane Balasko, rinomata attrice e autrice francese di cinema e teatro, è interpretata da Debora Caprioglio nei panni di Simone Keller e Corrado Tedeschi nelle vesti di Jacques Belin. Imbattutisi casualmente l’uno nell’altra in un anonimo bar della stazione ferroviaria, si inerpicano in un sostenuto dialogo, spesso interrotto da Roberto Serpi nei panni di un irriverente e loquace barista che continua a versare da bere ai due protagonisti. La donna appena uscita di prigione e il conduttore di quiz televisivi in declino che affoga i sui pensieri nell’alcol (e ben presto sarà brillo), sembrano non avere proprio nulla in comune; sono gli opposti che per qualche motivo si attraggono. Si scoprirà attraverso due ore circa di spettacolo, che i protagonisti in realtà condividono un segreto. Così in un improbabile scambio di battute, affiorano i dettagli che li spingono ad attrarsi. Il testo dal ritmo serrato, nella sua intelligenza è divertente, e tra imbarazzi e chiacchiere Simone e Jacques si incontreranno in un lieto fine nonostante lo scontro iniziale. Una storia d’amore appena accennata in cui i cuori coinvolti sono più preoccupati di bere che non di instaurare un rapporto sentimentalmente coinvolgente. Un cocktail ben mixato, questa pièce che è stata accolta con molto interesse e favore dalla critica: Notte di Follia, infatti, bilancia magistralmente ritmo spigliato e acume testuale. Vanta la regia di Antonio Zavatteri, noto per la serie televisiva Gomorra e molti altri grandi successi cinematografici. Lo spettacolo di venerdì 16 novembre è organizzato con il sostegno del Percento culturale di Migros Ticino che mette a disposizione dei lettori di «Azione», in collaborazione con gli organizzatori del Teatro sociale, alcune coppie di biglietti per questa serata. Per aggiudicarsi due entrate omaggio basta partecipare all’estrazione a sorte seguendo le istruzioni indicate sulla pagina web www.azione.ch/concorsi. Questo concorso si concluderà mercoledì 7 novembre a mezzanotte. La partecipazione ai concorsi di «Azione» è riservata a coloro che non hanno beneficiato di vincite in occasione di promozioni analoghe nel corso degli scorsi mesi. In collaborazione con
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 5 novembre 2018 • N. 45
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Cultura e Spettacoli
Ma quanto pesano le parole? Incontri A colloquio con la scrittrice Rachel Kadish,
autrice del convincente Il peso dell’inchiostro, edito da Neri Pozza
Blanche Greco Un’antica casa inglese custode di molti misteri; un’anziana studiosa di storia ebraica, Helen Watt, alla fine della propria carriera; un carteggio della metà del 1600, rimasto nascosto per secoli, e uno scrivano che si firma con la lettera aleph dell’alfabeto ebraico; sono questi gli elementi al centro dell’affascinante intrigo del libro di Rachel Kadish, Il peso dell’inchiostro, vincitore del National Jewish Book Award, appena pubblicato da Neri Pozza. Una trama avvincente nella quale s’intrecciano due romanzi, entrambi ambientati in Inghilterra, ma uno dei quali ci trasporta nella Londra della metà del XVII secolo. «Noi “nuotiamo” nella Storia, ma non ce ne accorgiamo sino a quando qualcosa non s’impone alla nostra attenzione e allora scopriamo la storia di una casa, quella di una comunità, o della nostra stessa famiglia. Una dimensione che mi ha sempre affascinata, forse perché i miei nonni, nati intorno al 1900, erano dei sopravvissuti all’Olocausto, e nella loro lunga fuga attraverso l’Europa, avevano accumulato una grande quantità di storie e di ricordi di un’epoca ormai sparita, che saltavano fuori a sprazzi nelle conversazioni di famiglia», ci ha raccontato la scrittrice Rachel Kadish che abbiamo incontrato recentemente, in occasione della presentazione del suo libro a Milano. «Per me erano come
preziosi francobolli del passato che aprivano squarci nella mia quotidianità e davano un significato al mondo che mi circondava. E, per il mio romanzo, ho voluto creare una struttura similare». Così dalle pergamene del 1600 ritrovate nel ripostiglio segreto di una vetusta casa vicino a Londra, emerge in filigrana la storia di Aleph, scrivano di un famoso rabbino portoghese accecato in gioventù dall’Inquisizione. Ma la mano che sigla i documenti, i sermoni e le missive indirizzate alla prospera comunità ebraica portoghese fuggita ad Amsterdam e a quella riparata in Inghilterra, nasconde un segreto quasi ignominioso, infatti è la mano di una donna, Ester Velasquez. Così il racconto comincia a rimbalzare dai giorni nostri, alla formicolante Londra del 1650 e viceversa, dalla Biblioteca dell’Università dove l’anziana professoressa Helen Watt, (personaggio degno di Agatha Christie), studia il carteggio di Aleph e lotta contro gli arroganti colleghi maschi decisi a “farla fuori” dalla ricerca per toglierle l’onore della scoperta; agli affanni della giovane Ester, orfana portoghese dal passato agiato e tragico, alla quale il rabbino cieco, suo antico precettore, affida, temporaneamente, la cura dei suoi scritti. Infatti come gli ricordano da più parti, Ester è inadatta a tale compito poiché come dice il rabbino Eliezer del Talmud, «la parola della Torah dovrebbe essere bruciata piuttosto che insegnata
alle donne». Perciò Ester-Aleph mentre amplia la sua cultura e la sua conoscenza dell’inglese, si arrovella per escogitare un modo per mantenere il suo ruolo di scriba che le dà accesso alle risme di carta, all’inchiostro, alle candele e ai libri, tutte cose costose, che sono la sua chiave del sapere e della libertà, le uniche cose che diano un senso alla sua esistenza. «Molti anni fa mi aveva colpito una riflessione di Virginia Woolf che in uno dei suoi saggi nel libro, Una stanza tutta per sé, dopo essersi chiesta quale sarebbe stato il destino di una ipotetica sorella di William Shakespeare, intelligente e brillante come lui, concludeva sconsolata che “purtroppo sarebbe morta senza avere scritto neppure una parola”». Affermazione difficile da controbattere, chiosa Rachel Kadish, raccontandoci dove ha tratto l’ispirazione del suo romanzo «A quell’epoca l’esistenza e l’educazione di una donna erano costellate di divieti e di restrizioni, e la vita artistica e intellettuale erano considerate inadatte, anzi perniciose all’indole femminile, soprattutto per una donna ebrea. Ci voleva un genio, per riuscire a trionfare su così tante regole. Eppure io ero convinta che dovesse esserci stata una donna, o forse più d’una che, mascherando con intelligenza la propria identità, fosse riuscita a diventare uno scrittore, magari un filosofo. E da questa idea è nata la mia eroina Ester Velasquez». Menzogna e verità storica si mesco-
Un salto nel passato ricco di fascino.
lano nel Peso dell’inchiostro, un romanzo epico con una miriade di personaggi, ma dove quelli femminili appaiono più complessi e palpitanti, spesso divisi tra le ragioni della mente e quelle del cuore, oggi come tre secoli fa. Rachel Kadish per spiegare cosa significasse per una donna vivere nel Seicento, ha studiato per anni la storia del Portogallo, quella della comunità ebraica di Amsterdam e quella di Londra; gli usi e costumi di entrambe; il pensiero filosofico, quello religioso e le questioni più controverse delle élite letterarie del XVII secolo. Senza contare le ricerche sulla conservazione dei libri antichi e sulla composizione
degli inchiostri, come l’inchiostro ferrogallico capace nel tempo di corrodere la carta e di scavare le parole sino a rendere il testo illeggibile. Con il personaggio della studiosa Helen Watt prendono corpo anche le contese che oggi dividono storici e letterati alle prese con ritrovamenti archeologici e antichi documenti, questioni su chi abbia il diritto di studiare la storia di un popolo, e se esista una «proprietà» della storia. Il peso dell’inchiostro è un’avventura, piena di pathos e di suspense che ci ricorda che «noi» siamo la Storia e che questa si può raccontare anche così. Annuncio pubblicitario
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Cultura e Spettacoli
L’essenzialità di Gianni Paris
Arte Ricordo di un importante artista che ha fatto della sottrazione la propria cifra espressiva
Eliana Bernasconi È scomparso agli inizi dell’anno in corso un artista del Ticino il cui sorprendente spessore e valore artistico non ha certo, al momento attuale, ottenuto il riconoscimento che meriterebbe. Nel multiforme panorama dell’arte contemporanea, e a maggior ragione di quella a noi prossima sul territorio, la scoperta dell’opera di Gianni Paris, al di là di ogni retorica, rappresenta un incontro prezioso, raro e unico. Lo vogliamo qui sottolineare perché Paris, (1948-2018) giurassiano di origine, vissuto tra Zurigo, la Spagna e il sud della
Grazie alla sua leggerezza, Paris ha saputo conferire alla sua opera un valore universale Francia, era artista schivo e riservato che dopo gli studi a Brera ha proseguito con rigore estremo e coerenza la sua ricerca nell’atelier di Melano, rifuggendo da facili esibizioni della sua opera come raramente oggi vediamo, e che a volte possono rendere difficile l’obiettività di un giudizio sereno. Esistono nel mondo dell’arte affinità elettive basate su comuni Weltangschauungen, su visioni poe-
tiche simili che accomunano tra loro gruppi di artisti, come succede del resto nei normali rapporti personali. Il Centro culturale e artistico Areapangeart, di Loredana Müller e Gabriele Donadini, da tre anni attivo a Camorino, era un luogo congeniale per Paris, e nel 2015 aveva ospitato la mostra personale Pittura in pagina. Sull’opera di Paris poco si è scritto, è al momento in preparazione, grazie al consenso di Veronica Paris e dei figli Giacomo e Rachele, la pubblicazione di un quaderno-catalogo dedicato alla sua opera, con introduzione di Maria Will, testi della letterata e critica d’arte Rosa Pierno, e scatti fotografici delle sue opere e del suo studio di Lorenzo Pellegrini, mentre recente, sempre ad Areapangeart, è stata l’ultima esposizione delle sue opere In carta e in tela, con intervento poetico di Antonio Rossi e suoni in sala di Luciano Zampar. Per descrivere queste sue ultime opere ci serviamo delle parole di Maria Will, estraendole da La bellezza dell’illusorietà nell’opera di Gianni Paris edizioni Topik, minimateca 3 del 2016: «Bella di una bellezza palpitante, sentimentalmente seducente eppure enigmatica e inafferrabile, la pittura di Gianni Paris è anzitutto pittura che si nutre di pittura. Le sue stesure, la sua materia, che hanno sontuosità antiche ma pure glabra essenzialità di segno, non potrebbero essere tali se non ci fosse la compren-
sione profonda, l’amore più devoto per i tanti che hanno aperto vie, indicato possibili varchi nel fondale illusorio del visibile». Will accosta qui la sua pittura a quella di un Giorgio Morandi o di un Julius Bissier, pittori del silenzio. Rosa Pierno, docente universitaria di Roma, accosta invece le opere di Paris ad alcune incisioni a maniera nera di Goya. Sono davvero molte le istanze espressive contenute nell’opera di questo artista: occorre tenerne conto per avvicinarsi a un’arte dalle radici molto profonde che confluiscono però in sempre spiazzanti nuove immagini aperte. In primo luogo Paris fu creatore e ideatore di una tecnica assolutamente unica e personale, di una perizia estrema di cui si serviva per aprire nuove dimensioni, attraverso tale procedimento il rapporto tra segno e matericità, la loro interazione sulla quale sempre lavorava si faceva stile personale, apriva spazi mai percorsi prima di impressionanti potenzialità espressive. Nelle sue ultime opere, piccole tele di identico formato del 2014, 16 e 17, la pittura a olio viene quasi prosciugata, disseccata, trattata comunque togliendo la parte più oleosa e grassa della materia, conservando quasi soltanto il pigmento, con risultati di rara e sapiente asciuttezza e rastremazione cromatica. Paris lavorava anche su piccole carte a pastello grasso, graffite e inchiostro che
Gianni Paris, senza titolo, 2013.
tolgono il fiato per la loro raffinatezza e leggerezza. In queste opere puoi intravvedere a volte corpi, a volte figure o tronchi, e a volte l’allusione alla terra da cui si nasce, figure sorgono e spariscono come quelle che Leonardo scorgeva nei muri. Un altro aspetto contenuto nella sua opera è il pensiero del tempo che la pervade sempre con una sorta di moto circolare, lo vediamo nel ricorso alla forma-libro in una dimensione che è quasi diaristica, o nel ricorso all’invenzione e sperimentazione di
una scrittura illeggibile ed ermetica su pagine consunte alternate ad altre che seguono le regole del libro tipografico. E da ultimo segnaliamo un altro aspetto sorprendentemente attuale in questo artista: la sua assonanza con l’estetica della riduzione porta a percepire infatti nella sua opera un’essenzialità di derivazione orientale, qualcosa di estraneo quindi alla nostra cultura contemporanea, ma che proprio per questo si fa valore universale senza tempo. Annuncio pubblicitario
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Idee e acquisti per la settimana
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Raffinato salmone bio
Attualità Per piatti da chef, il salmone fresco biologico norvegese allevato a nord
del Circolo Polare Artico è una vera raffinatezza
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Dal 2016 Migros propone sui propri scaffali solo pesce certificato proveniente da fonti sostenibili. Uno di questi è il salmone biologico norvegese, un’autentica prelibatezza per veri intenditori. Il pesce è prodotto nelle fredde e limpide acque marine ricche di ossigeno dei fiordi a nord del Circolo Polare Artico, regione che può vantare condizioni ottimali per l’allevamento dei migliori salmoni al mondo. Nelle aree delimitate da reti in mare aperto, i pesci crescono lentamente, disponendo di molto spazio in cui nuotare grazie anche una bassa densità di fauna ittica. La loro alimentazione è costituita da ingredienti provenienti da fonti sostenibili e rinnovabili, nella fattispecie farine e olio di pesce, come pure fibre, vitamine e minerali.
Un cibo sano
Il salmone non è solo buono, ma è anche considerato un alimento sano e leggero grazie al suo contenuto di proteine di facile digestione. In termini di valori nutrizionali, il salmone d’al-
levamento bio è un ottimo prodotto perché è una ricca fonte di acidi grassi omega-3 utili per la salute cardiovascolare e di vitamine liposolubili A e D. Inoltre possiede un alto livello di vitamine idrosolubili B12 e piridossina.
Filetto di salmone glassato con sale dell’Himalaya Un delizioso piatto di pesce a base di filetto di salmone, dadini di carota, crescione, pepe ai fiori e sale dell’Himalaya. Squisito!
Ingredienti per 4 persone ½ limone · 20 g di crescione · 5 cucchiai d’olio d’oliva · 2 carote · 4 filetti di salmone di 150 g · 1 cucchiaio di burro per arrostire · sale dell’Himalaya · pepe ai fiori Preparazione Prelevate alcune striscioline dalla scorza del limone e spremete il succo. Tagliate finemente circa 10 g di crescione. Mescolate il tutto con l’olio. Tagliate le carote a dadini piccolissimi.
Rosolate il salmone nel burro a fuoco medio ca. 2 minuti per lato. Quando girate il salmone, unite i dadini di carota e proseguite la cottura. Servite il salmone e le carote nei piatti e condite con l’olio al crescione e limone preparato in precedenza e sale macinato dell’Himalaya. Insaporite con il pepe ai fiori. Cospargete con il crescione restante e accompagnate con del riso. Tempo di preparazione ca. 25 minuti.
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Idee e acquisti per la settimana
Aperture Pane che Passione straordinarie Attualità Il Pane Passione con ingredienti
100% ticinesi non può mancare sulla tavola autunnale
d’anniversario domenica 11 novembre
Sono ben cinque le filiali Migros che la prossima domenica festeggeranno in grande stile il loro compleanno: Massagno-Radio (30 anni), Biasca (40 anni), Locarno (25 anni), Solduno (30 anni) e Giubiasco (25 anni). Per queste importanti occasioni tutti i punti vendita saranno aperti in via straordianaria dalle ore 10.00 alle
Impossibile restare indifferenti all’assaggio del Pane Passione dei Nostrani del Ticino. Questa bontà di farina chiara realizzata con soli cereali di origine ticinese certificati IP-Suisse conquista il palato grazie al suo sapore deciso e alle delicate note aromatiche di lievito. La sua forma ritorta è frutto di una lavorazione in buona parte manuale compiuta con sapienza dai mastri panettieri del panificio Jowa di S. Antonino. La mollica molto soffice e la crosta croccante al punto giusto fanno ricordare il pane d’altri tempi. Valorizzare le eccellenti qualità del Pane Passione
Bambini in panetteria Migros Ticino offre la possibilità a 10 bambini tra i 6 e 12 anni di prendere parte ad un indimenticabile pomeriggio in panetteria. I partecipanti saranno seguiti all’interno della «Panetteria della Casa» di S. Antonino da un esperto panettiere della Jowa e avranno l’opportunità di realizzare delle simpatiche e golose figure a base di pasta per treccia. Il pomeriggio si terrà mercoledì 21 novembre dalle ore 14.00 alle 16.30 ca., previa iscrizione telefonica al numero 091 850 82 76, giovedì 8 novembre a partire dalle ore 10.30. La partecipazione è riservata a coloro che non hanno partecipato agli ultimi pomeriggi organizzati.
Nostrano combinandolo con altri ingredienti è davvero facile vista la sua grande versatilità: se nei periodi più caldi lo si consuma volentieri con una croccante insalata di stagione o imbottito con i companatici classici della nostra tradizione, durante l’autunno e l’inverno diventa un ottimo accompagnamento a zuppe fumanti, selvaggina, brasati, salmone affumicato, oppure a bocconcini da intingere nelle fondue di formaggio. Tagliato a fettine sottili e tostato leggermente si trasforma in un’ottima base per canapè assortiti da servire come aperitivo.
Pane Passione Nostrano 420 g Fr. 3.– invece di 3.80 Azione valida dal 6 al 12.11
18.00 e la clientela potrà approfittare di un’imperdibile riduzione dell’11% su tutto l’assortimento. Ma non finisce qui: coloro che visiteranno i supermercati potranno gustare gratuitamente un buon caffè con cornetto alle ore 10.00 e un’invitante fetta di torta a partire dalle 15.00. Vi aspettiamo numerosissimi!
Ancora più convenienza a Serfontana e a Molino Nuovo porary tem
Dopo Bioggio, che ha aperto i battenti qualche settimana fa, ecco che Migros Ticino inaugura due nuovi punti vendita Outlet «temporanei»: uno all’interno del Centro Shopping Serfontana e l’altro presso il supermercato Migros nel quartiere di Lugano Molino Nuovo. Caratteristica distintiva di questi nego-
zi sono l’ampia scelta di articoli di qualità nei settori non food e food e i prezzi davvero vantaggiosi. Il ventaglio di proposte dei due nuovi Temporary Outlet spazia dagli articoli per le decorazioni ai giocattoli, dalla valigeria ai casalinghi, passando per la biancheria da letto fino a una selezione di prodotti alimentari.
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Idee e acquisti per la settimana
Il gioco dell’anno
Vincitore del prestigioso premio «Gioco dell’anno 2018», Azul è un avvincente gioco di società tattico consigliato a partire dagli otto anni e ideale per 2-4 persone. Il gioco è stato ideato da Michael Kiesling, celebre inventore e sviluppatore di giochi tedesco. I giocatori si improvviseranno dei veri ceramisti e dovranno realizzare la più bella decorazione di piastrelle del Palazzo Reale di Evora, in Portogallo. Le piastrelle di ceramica smaltata, conosciute come azulejos, furono
introdotte dai Mori nel periodo della conquista della Penisola Iberica. Nel XVI secolo l’allora Re del Portogallo rimase così affascinato dalle piastrelle decorative del palazzo dell’Alhambra a Granada, in Spagna, che volle far rivestire anche il suo Palazzo Reale. È un gioco facile da allestire e altrettanto da spiegare, ma quando si tratta di sfidarsi a «colpi di piastrelle» offre un’esperienza assolutamente appassionante e coinvolgente, da cui sarà difficile staccarsi.
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Mercoledì 21 novembre, dalle ore 13.30 alle 18.00, a Migros S. Antonino, con un po’ di fortuna potrai partecipare a un appassionante torneo di giochi di società firmati Adventerra Games. Watergame, Powerhouse, Global Warning e Spazza via la spazzatura sono i quattro giochi da poco introdotti nell’assortimento di Migros Ticino protagonisti di questo divertente pomeriggio. Sono giochi educativi che contribuiscono a sensibilizzare le nuove generazioni al
rispetto del nostro pianeta e all’ecologia. Sono, infatti, tutti e quattro pensati per insegnare e correggere piccoli comportamenti quotidiani che possono ridurre in modo significativo il proprio impatto sull’ambiente. Il torneo vedrà i partecipanti, a partire dai sette anni, confrontarsi tra di loro con l’obiettivo di diventare il più virtuosi possibile nella gestione di acqua, energia e altre fondamentali risorse naturali. Per partecipare al torneo è necessario iscriversi entro il 16 novembre, telefonando al numero 078 4025917. I primi classificati verranno premiati con uno di questi originali giochi «ambientali». Annuncio pubblicitario
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Idee e acquisti per la settimana
M-Classic
Ospiti affamati
Sono piccoli, grandi, colorati, a tinta unita, rumorosi e silenziosi. E nei mesi invernali cercano nutrimento nelle mangiatoie o nelle casette per gli uccelli. Sugli scaffali Migros è disponibile il giusto mangime per numerose varietà di uccelli
Cinciarella
Testo Thomas Tobler, Illustrazioni Bunter Hunf
Le cinciarelle sono uccelli curiosi e amichevoli, che in inverno appaiono spesso nelle mangiatoie e nelle casette. Si trovano a proprio agio nell’abitato, nei parchi e nei frutteti, così come nei boschi di latifoglie. In Svizzera vivono tra le 200 000 e le 300 000 coppie di cinciarelle. Tra i suoi alimenti preferiti figurano gli insetti, i ragni e i semi.
Azione 20% sull’offerta di mangimi per uccelli M-Classic e Happy Bird dal 6 al 12 novembre
Ciuffolotto Al contrario della cinciarella, che si sente a suo agio nei boschi di latifoglie, il ciuffolotto preferisce vivere nelle foreste di conifere. È un uccello timido, che non si mostra volentieri. Il maschio ha colori vivaci, mentre la femmina più tenui, ma entrambi con ali, coda, testa e becco neri. Si nutre prevalentemente di gemme e di semi, che riesce a estrarre dai gusci grazie ai taglienti bordi del suo becco.
Merlo Picchio rosso maggiore Il martellio del picchio rosso maggiore non si sente solo nei boschi, bensì anche nei parchi urbani. La specie di picchio più diffusa in Svizzera riesce a tamburellare con il becco contro un albero circa 15 volte ogni due secondi. I picchi rossi maggiori lo fanno per poter estrarre gli insetti dalla corteccia, ma anche per attirare l’attenzione degli altri picchi.
Nel nostro paese il merlo è tra gli uccelli nidificanti più diffusi. Dai tetti delle case o dalle cime degli alberi, è proprio il merlo la prima specie di uccello ad annunciare la primavera con il suo melodioso fischiettio. Questi uccelli nidificano sugli alberi, tra i cespugli, così come vicino alle case. Si nutrono di vermi, insetti e frutti.
Pettirosso Il nome deriva dal piumaggio rosso-arancio, che va dal capo al petto. Questo uccello nidificante si nutre di bacche, insetti e ragni. Sono uccelli molto amichevoli e quando sono nei giardini alla ricerca di cibo non dimostrano alcuna timidezza nei confronti dell’uomo. Il loro cinguettio può essere sentito dal sorgere del sole e fino a notte inoltrata, anche in inverno.
Per evitare la trasmissione di malattie tra gli uccelli è necessario garantire che negli spazi dedicati all’alimentazione non ci siano escrementi. Eventuali miscugli di sterco e semi sul terreno vanno regolarmente eliminati. Il becchime dovrebbe essere protetto dall’umidità e dalla neve e le mangiatoie essere progettate in modo tale che gli uccelli non possano entrare e fare i propri bisogni dove c’è il mangime.
Durante i mesi invernali le femmine di fringuello si spostano verso climi più caldi, mentre i maschi restano nel paese e li si vedono regolarmente nelle mangiatoie. Durante la stagione riproduttiva, da aprile a luglio, sono fino a un milione le coppie di fringuelli che vivono in Svizzera: dalle nostre parti nessun’altra specie di uccello nidificante è tanto numerosa. Il loro spazio vitale è il bosco, ma stanno volentieri anche nei giardini con piante.
Una leccornia per merli, pettirossi, scriccioli, così come per tutte le specie di cince. Becchime grasso M-Classic 1,2 kg Fr. 3.30
Picchio muratore Il picchio muratore è un contemporaneo piuttosto ingegnoso. Deve il suo nome all’abitudine di murare l’ingresso della sua cavità di nidificazione con argilla, così che solo lui e nessun altro uccello che gli contende lo spazio per la nidificazione possa accedere. Il suo nutrimento consiste in insetti e semi. Questi ultimi li incastra nella corteccia degli alberi e poi li batte ripetutamente con il becco finché si rompono.
Buono a sapersi È bello osservare gli uccelli che cercano cibo nelle mangiatoie o nelle casette. Bisognerebbe però distribuire le quantità di mangime in modo controllato. Così come noi umani, anche gli uccelli hanno particolare appetito il mattino. È in quel momento che bisognerebbe perciò fare in modo che abbiano becchime a loro disposizione.
Fringuello
Scricciolo
Questo becchime è particolarmente apprezzato da cince, fringuelli, lucherini e ciuffolotti Gourmet mix M-Classic 1,2 kg Fr. 2.80
Mangime energetico per cince, picchi muratori e picchi rossi maggiori Bastoncini di arachidi M-Classic 330 g Fr. 2.60
Osservato frontalmente, con la sua coda che si erge ben sollevata nell’aria, lo scricciolo sembra indossare un imponente copricapo. Il suo spazio vitale è costituito da siepi, boschi e insediamenti, dove si muove a scatti sul terreno mentre va a caccia di cibo, insetti e ragni. Per essere un uccello minuscolo, il suo canto è molto squillante e potente.
Semi di girasole sbucciati per cince e lucherini Casetta monouso per uccelli M-Classic 220 g Fr. 2.80
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M-Classic
Ospiti affamati
Sono piccoli, grandi, colorati, a tinta unita, rumorosi e silenziosi. E nei mesi invernali cercano nutrimento nelle mangiatoie o nelle casette per gli uccelli. Sugli scaffali Migros è disponibile il giusto mangime per numerose varietà di uccelli
Cinciarella
Testo Thomas Tobler, Illustrazioni Bunter Hunf
Le cinciarelle sono uccelli curiosi e amichevoli, che in inverno appaiono spesso nelle mangiatoie e nelle casette. Si trovano a proprio agio nell’abitato, nei parchi e nei frutteti, così come nei boschi di latifoglie. In Svizzera vivono tra le 200 000 e le 300 000 coppie di cinciarelle. Tra i suoi alimenti preferiti figurano gli insetti, i ragni e i semi.
Azione 20% sull’offerta di mangimi per uccelli M-Classic e Happy Bird dal 6 al 12 novembre
Ciuffolotto Al contrario della cinciarella, che si sente a suo agio nei boschi di latifoglie, il ciuffolotto preferisce vivere nelle foreste di conifere. È un uccello timido, che non si mostra volentieri. Il maschio ha colori vivaci, mentre la femmina più tenui, ma entrambi con ali, coda, testa e becco neri. Si nutre prevalentemente di gemme e di semi, che riesce a estrarre dai gusci grazie ai taglienti bordi del suo becco.
Merlo Picchio rosso maggiore Il martellio del picchio rosso maggiore non si sente solo nei boschi, bensì anche nei parchi urbani. La specie di picchio più diffusa in Svizzera riesce a tamburellare con il becco contro un albero circa 15 volte ogni due secondi. I picchi rossi maggiori lo fanno per poter estrarre gli insetti dalla corteccia, ma anche per attirare l’attenzione degli altri picchi.
Nel nostro paese il merlo è tra gli uccelli nidificanti più diffusi. Dai tetti delle case o dalle cime degli alberi, è proprio il merlo la prima specie di uccello ad annunciare la primavera con il suo melodioso fischiettio. Questi uccelli nidificano sugli alberi, tra i cespugli, così come vicino alle case. Si nutrono di vermi, insetti e frutti.
Pettirosso Il nome deriva dal piumaggio rosso-arancio, che va dal capo al petto. Questo uccello nidificante si nutre di bacche, insetti e ragni. Sono uccelli molto amichevoli e quando sono nei giardini alla ricerca di cibo non dimostrano alcuna timidezza nei confronti dell’uomo. Il loro cinguettio può essere sentito dal sorgere del sole e fino a notte inoltrata, anche in inverno.
Per evitare la trasmissione di malattie tra gli uccelli è necessario garantire che negli spazi dedicati all’alimentazione non ci siano escrementi. Eventuali miscugli di sterco e semi sul terreno vanno regolarmente eliminati. Il becchime dovrebbe essere protetto dall’umidità e dalla neve e le mangiatoie essere progettate in modo tale che gli uccelli non possano entrare e fare i propri bisogni dove c’è il mangime.
Durante i mesi invernali le femmine di fringuello si spostano verso climi più caldi, mentre i maschi restano nel paese e li si vedono regolarmente nelle mangiatoie. Durante la stagione riproduttiva, da aprile a luglio, sono fino a un milione le coppie di fringuelli che vivono in Svizzera: dalle nostre parti nessun’altra specie di uccello nidificante è tanto numerosa. Il loro spazio vitale è il bosco, ma stanno volentieri anche nei giardini con piante.
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Picchio muratore Il picchio muratore è un contemporaneo piuttosto ingegnoso. Deve il suo nome all’abitudine di murare l’ingresso della sua cavità di nidificazione con argilla, così che solo lui e nessun altro uccello che gli contende lo spazio per la nidificazione possa accedere. Il suo nutrimento consiste in insetti e semi. Questi ultimi li incastra nella corteccia degli alberi e poi li batte ripetutamente con il becco finché si rompono.
Buono a sapersi È bello osservare gli uccelli che cercano cibo nelle mangiatoie o nelle casette. Bisognerebbe però distribuire le quantità di mangime in modo controllato. Così come noi umani, anche gli uccelli hanno particolare appetito il mattino. È in quel momento che bisognerebbe perciò fare in modo che abbiano becchime a loro disposizione.
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Osservato frontalmente, con la sua coda che si erge ben sollevata nell’aria, lo scricciolo sembra indossare un imponente copricapo. Il suo spazio vitale è costituito da siepi, boschi e insediamenti, dove si muove a scatti sul terreno mentre va a caccia di cibo, insetti e ragni. Per essere un uccello minuscolo, il suo canto è molto squillante e potente.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 5 novembre 2018 • N. 45
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Idee e acquisti per la settimana
Farm Fries
Genuino piacere Chi apprezza le Farm Chips, apprezzerà sicuramente anche le nuove Farm Fries. Le loro due varietà Nature e Rosmarino si distinguono per un loro carattere rustico. Sono prodotte con patate non sbucciate e tagliate a fette più spesse rispetto alle patatine fritte convenzionali. Una particolarità che contribuisce a renderle davvero saporite. Naturalmente anche le Farm Fries surgelate vengono prodotte con patate svizzere. La preparazione con olio di colza permette una cottura veloce nel forno, e con un minore uso di grassi.
Azione 20X Punti Cumulus per le nuove Farm Fries dal 6 al 19 novembre
Consiglio 1
Per la maionese-aioli soffriggere qualche spicchio d’aglio in un po’ d’olio. Con l’ausilio di un mixer a immersione ridurre l’aglio in purea insieme a un cucchiaio di olio e 5 dl di latte. Aggiungere un filo d’olio vegetale e mescolare bene. Aromatizzare con sale, peperoncino in polvere e qualche goccia di succo di limone.
Farm Fries Nature 600 g* Fr. 4.20
Consiglio 2
Per il ketchup di barbabietole tagliare finemente 300 g di barbabietole. Triturare 200 g di pomodori. Soffriggere il tutto in un po’ d’olio insieme a una cipolla rossa. Aggiungere dello zucchero e lasciare caramelizzare. Spegnere con dell’aceto di lamponi e del succo d’arance. Aromatizzare con sale, pepe e noce moscata. Cuocere coperto per qualche minuto. Ridurre in purea ancora caldo e riempiere i vasetti. Farm Fries Rosmarino 600 g* Fr. 4.50 *Nelle maggiori filiali
Una maionese aioli e del ketchup alle barbabietole si abbinano bene al sapore delle patatine Farm Fries.
M-Industria crea numerosi prodotti Migros, tra cui anche le Farm Fries.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 5 novembre 2018 • N. 45
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Idee e acquisti per la settimana
aha!
Ben più di una semplice crema da spalmare La crema da spalmare Lupinen choco di «aha!» ispira i suoi estimatori. Buona anche per accompagnare semplicemente la treccia domenicale, la crema – prodotta con una consistente porzione di semi di lupino, ricchi di proteine – è perfetta anche per preparare dessert. Per esempio nell’impasto dei waffle alla belga, oppure come salsa con cui coprirli. I waffle possono essere preparati anche in versione vegana. La crema da spalmare è priva di olio di palma e grazie all’olio di cocco risulta facile da stendere, anche appena tolta dal frigorifero.
Ricette per waffle alla belga vegani su migusto.migros.ch/it/ricette/ waffle-vegani-alla-belga
Il marchio aha! contraddistingue i prodotti particolarmente indicati per chi soffre di allergie o intolleranze.
Parte di
L’impegno Migros a favore della sostenibilità è da generazioni in anticipo sui tempi.
M-Industria crea numerosi prodotti Migros, tra cui anche la crema da spalmare aha! con cioccolato e lupini.
Raffinati waffle alla belga con crema di cioccolato e lupini nell’impasto o come delicata salsa con cui cospargerli.
Lupinen choco aha! 180 g Fr. 4.10
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 5 novembre 2018 • N. 45
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Idee e acquisti per la settimana
Mister Rice
Integrale che bontà! Mister Rice arricchisce il proprio assortimento con due nuovi prodotti biologici: Jasmin Mix e riso Basmati integrale. Quest’ultimo fornisce al nostro corpo più del doppio di fibre alimentari rispetto al riso Basmati bianco. Jasmin Mix contiene invece, oltre a riso a chicco lungo, anche riso al gelsomino nero e rosso. Entrambe le varietà si prestano alla preparazione di contorni tipici della cucina asiatica oppure come ingrediente principale in un’invitante insalata di riso thailandese.
Novità
Il marchio Mister Rice si presenta in confezioni dal nuovo design.
Bio Mister Rice Integrale Basmati 500 g Fr. 2.90
Bio Mister Rice Jasmin Mix 500 g Fr. 2.90 Nelle maggiori filiali
Gli agricoltori bio lavorano in armonia con la natura. Si prendono cura di animali, piante, suolo e acqua.
M-Industria crea numerosi prodotti Migros, tra cui anche i prodotti Mister Rice. Con il nuovo riso basmati integrale si può preparare una deliziosa insalata di riso thai. La ricetta la trovate su www.migusto.ch/insalatariso. Migusto è la piattaforma di cucina della Migros. www.migusto.ch
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 5 novembre 2018 • N. 45
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Idee e acquisti per la settimana
Oskar
Molta carne in più
Farebbe volentieri uno scambio: il suo bel pezzo di legno con una porzione di «Oskar»…
Azione 20X Punti Cumulus sugli alimenti per cani Oskar dal 30.10 al 12.11
Tutti i proprietari di cani sono avvisati: alla Migros c’è una nuova ed esclusiva marca di cibi per i nostri beniamini. I prodotti «Oskar» si caratterizzano per il loro alto contenuto di carne. Per gli alimenti umidi e secchi la percentuale è del 60, rispettivamente del 40 per cento e oltre, nel caso dello snack al pollo addirittura dell’85 per cento. Il mangime non contiene né frumento, né aromi o zucchero. L’assortimento propone prodotti per animali di ogni età. Sono disponibili anche varianti per cani che hanno una digestione sensibile.
Oskar Sensitive umido pollo 400 g Fr. 3.95
Oskar Senior manzo 400 g Fr. 3.95
Oskar Sensitive tacchino, cibo secco 3 kg Fr. 16.95
Oskar Sensitive snack pollo 150 g Fr. 3.90
Anniversari MASSAGNO-RADIO Via Besso 74, 6900 Massagno, tel. +41 91 821 72 00
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Via General Guisan 26, 6710 Biasca , tel. +41 91 821 78 30
Via Stefano Franscini 31, 6600 Locarno , tel. +41 91 821 76 00
Via A. Franzoni 43, 6604 Locarno-Solduno, tel. +41 91 821 77 40
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