Azione 48 del 27 novembre 2017

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Cooperativa Migros Ticino

G.A.A. 6592 Sant’Antonino

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXX 27 novembre 2017

Azione 48 M sh o alle p pping agine 49-54 / 67-7 1

Società e Territorio Si sono svolte anche in Ticino le giornate sportive per bambini promosse dall’Associazione svizzera dei paraplegici

Ambiente e Benessere Un esame per la vita: su 300-350 nuovi casi all’anno di cancro al seno riscontrati in Ticino, 90 sono stati diagnosticati grazie allo screening mammografico cantonale

Politica e Economia La Catalogna voterà il 21 dicembre per rinnovare la Generalitat in un clima teso

Cultura e Spettacoli La formazione musicale svizzero tedesca C’est si B.O.N. saluta con grande passione Lugano

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Sorrisi e piccoli passi ma i nodi restano

Paul Klee alla Beyeler, la parabola di un angelo

di Peter Schiesser

di Gianluigi Bellei

La visita del presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker a Berna, giovedì scorso, evidenzia bene lo stato dei rapporti fra la Svizzera e l’Unione europea: da un lato tempo sereno, con una primavera che sembra alle porte, fra la Commissione europea e il Consiglio federale, dall’altro l’eterno bisticcio interno al panorama politico elvetico se una primavera con l’UE sia davvero auspicabile e a quale prezzo, sullo sfondo di un diffuso scetticismo popolare verso l’Europa. I calorosi abbracci fra Jean-Claude Juncker e Doris Leuthard sono diventati un’immagine ricorrente in questi ultimi anni, trasmettono un che di amichevole e la rassicurante idea che si negozia fra amici, anche se su posizioni distanti. Non è poca cosa, in un contesto in cui gli oppositori dell’UE tendono a dipingere gli uomini di Bruxelles come avversari di cui diffidare. In fondo è un segnale positivo che i toni siano sempre rimasti amichevoli, nonostante lo scossone del voto sull’immigrazione di massa e il conseguente blocco nei negoziati settoriali. Di questa premessa non ci si può comunque accontentare a vita: un salto di qualità, un chiarimento definitivo deve giungere. Ma a questo punto non siamo ancora arrivati. Formalmente i negoziati fra UE e Svizzera sono ripartiti dalla primavera scorsa, e in effetti a Berna è anche stato annunciato questo e quel progresso e successo, come pure la concessione di un nuovo «miliardo di coesione» sull’arco di 10 anni, in favore di progetti nell’Est europeo (1,1 miliardi) e legati alla migrazione (200 milioni). Ma il grande nodo, anzi i due grandi nodi non sono ancora sciolti: l’accordo quadro con l’Ue non sarà trovato entro fine anno, per il rammarico di Berna; e per sapere se la maggioranza degli svizzeri vuole ancora la libera circolazione e gli accordi bilaterali si dovrà aspettare la votazione sull’iniziativa popolare contro la libera circolazione che l’UDC e l’Azione per una Svizzera neutrale e indipendente hanno promesso di lanciare. L’ostacolo per un accordo quadro è sempre lo stesso: i cosiddetti giudici stranieri, ossia la facoltà della Corte di giustizia europea di emettere sentenze vincolanti su eventuali controversie fra Svizzera e UE. Per tentare di uscire dall’impasse, nel gennaio del 2013 il ministro degli esteri Didier Burkhalter e il segretario di Stato Yves Rossier hanno provato ad aggirare l’ostacolo, proponendo alla Commissione europea una soluzione che, per dirimere le divergenze, preveda dopo una sentenza della Corte di giustizia europea ancora una decisione politica nel comitato misto CH-UE. Una proposta che non è mai decollata e che ora, a dimissioni avvenute di Burkhalter, viene apertamente criticata anche in Svizzera da personalità di peso: l’ex consigliere federale Arnold Koller, dal 1989 al 1999 ministro di giustizia e polizia, ha spiegato per esteso sulla NZZ (6.11.2017) perché una simile proposta non poteva essere accettata dall’Unione; il giurista svizzero e presidente della Corte di giustizia dell’Aels Carl Baudenbacher è stato meno diplomatico e ha sottolineato che la proposta Burkhalter-Rossier non ha mai trovato consensi fra gli esperti in diritto europeo, accusando poi Berna di aver svalutato altre soluzioni possibili con dichiarazioni non veritiere (NZZ 17.11.2017). Baudenbacher si riferisce alla possibilità di appoggiarsi alle strutture dell’Area europea di libero scambio (Aels), di cui fa parte anche la Svizzera, o addirittura di riproporre nuovamente un’adesione allo Spazio economico europeo. Quale sia ora la via che il Consiglio federale ha deciso di imboccare (se lo ha deciso) non è dato sapere. In particolare, assieme al professore di diritto Baudenbacher, molti analisti e commentatori di Oltralpe si chiedono come si debba interpretare la volontà di schiacciare il tasto reset riguardo all’accordo quadro con l’UE, formulata da Ignazio Cassis durante la sua campagna per l’elezione in Consiglio federale. Si tratta infatti di sapere se una qualche forma di accordo quadro, di cornice giuridica che stabilizzi gli accordi bilaterali e le relazioni con l’UE sia ancora desiderata e desiderabile per la Svizzera. Ricordiamoci che la cosiddetta Via bilaterale era stata accettata dall’UE quando ancora il Consiglio federale non aveva ritirato la domanda di adesione all’UE, per Bruxelles si trattava quindi di una soluzione intermedia, con qualche difetto giuridico. Ora che per Berna la Via bilaterale sembra voler essere la forma definitiva, parrebbe logico che anche per la Svizzera, essendo il partner minore e quindi il più esposto alle pressioni, sia auspicabile un quadro giuridico chiaro. Invece, si ha l’impressione che il dibattito su un accordo quadro con l’UE sia un tabù. Si preferisce criticare il Consiglio federale per aver concesso il miliardo di coesione senza contropartita – quando invece è chiaro da 27 anni che è il prezzo da pagare, poco più di 100 milioni all’anno, per avere un accesso preferenziale ad un mercato da 15mila miliardi di euro.

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 27 novembre 2017 • N. 48

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 27 novembre 2017 • N. 48

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Società e Territorio La CAT si rinnova La Conferenza delle Associazioni Tecniche raggruppa ingegneri e architetti decisi a unire le forze pagina 3

Bambini e libri La Biblioteca dei ragazzi di Pregassona compie 35 anni, una bella realtà che deve la sua vitalità a una ventina di volontarie

Il custode sociale di paese La figura è stata introdotta a Cadenazzo per aiutare in modo mirato gli anziani del paese

Aumentano i centenari A livello svizzero il Ticino è il Cantone che conta più centenari, una sfida per i Comuni

Costruire domani

Incontri La Conferenza delle Associazioni Tecniche del Cantone Ticino si rinnova per far fronte alla complessità

del lavoro di architetti e ingegneri. Ne abbiamo parlato con il presidente, l’ingegnere Paolo Spinedi

pagina 5

Stefania Hubmann pagina 8

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Praticare sport aiuta a consolidare l’autostima dei ragazzi disabili, il prossimo appuntamento è in febbraio sulle piste di Airolo. (Keystone)

Sport per incontrarsi e integrarsi Kids day Per la prima volta si sono svolte anche in Ticino le giornate per bambini promosse dall’Associazione

svizzera dei paraplegici con lo scopo di avvicinare allo sport e al movimento

Elia Stampanoni L’Associazione svizzera dei paraplegici (ASP) ha organizzato a ottobre un evento per i bambini in carrozzella, chiamato kids day. Da anni la giornata è proposta Oltralpe raccogliendo un ottimo successo e lo stesso è avvenuto anche presso il Centro sportivo nazionale della gioventù di Tenero, dove una quindicina di bambini hanno risposto all’invito. I partecipanti, costretti da incidenti o patologie a una vita in sedia a rotelle, hanno così potuto avvicinarsi al movimento, all’attività fisica e allo sport condividendo una serie d’attività proposte dall’ASP in collaborazione con il Gruppo paraplegici Ticino e gli Insuperabili, i due gruppi sportivi attivi a sud delle Alpi in questo settore. Sulle rive del Verbano i ragazzi hanno potuto partecipare a una caccia al tesoro, svolgere percorsi in palestra, praticare il tiro, il bowling e altri giochi con la palla, prima di concludere con una danza, sempre seguiti da istruttori preparati. I monitori dei due club citati, Gruppo paraplegici Ticino e Insuperabili, sono stati accompagnati da alcuni esperti giunti dal centro svizzero

di paraplegia di Nottwil, istituto leader in Europa per la cura e la riabilitazione di persone affette da paraplegia, lesioni o patologie alla colonna vertebrale. Lo scopo dell’iniziativa proposta a Tenero è di avvicinare i ragazzi al movimento e, in futuro, portarli a praticare con regolarità dello sport. Attività fisiche che si possono esercitare sia aggregandosi a uno dei club, sia partecipando alle proposte dell’Associazione svizzera che, per l’imminente stagione invernale, prevede diverse uscite sulla neve o sul ghiaccio per la pratica di sci alpino, sci nordico, bob o curling. In estate il programma contempla invece sport come canoa, nuoto, atletica, tiro o diversi giochi con la palla. Alle attività proposte a Tenero nell’arco della giornata hanno potuto partecipare anche famigliari o conoscenti e, per i genitori, sono stati organizzati dei momenti di confronto, come ci spiega Davide Bogiani, coordinatore sportivo per la Svizzera tedesca e italiana in seno all’Associazione dei paraplegici: «Abbiamo organizzato anche degli incontri con i genitori per capire cosa loro desidererebbero da parte nostra e dai club, e sono emersi molti spunti interessanti». L’appunta-

mento è stato anche il momento ideale per esporre le attività proposte e creare un legame tra le famiglie interessate: «Esatto, il contatto tra le famiglie è molto importante per condividere esperienze, trovare soluzioni e sinergie», spiega Bogiani, molto soddisfatto della prima edizione del kids day a sud delle Alpi, dove ha partecipato anche la campionessa del freestyle Deborah Scanzio che, con grande dedizione e attenzione, si è occupata dei piccoli sportivi diversamente abili. Il buon esito dell’evento, promosso con il sostegno di Migros Ticino, Handy Sistem e Funivie di Airolo, è solo il primo di una serie di avvenimenti che l’Associazione dei paraplegici intende promuovere nella Svizzera italiana. Il 3 e 4 febbraio sulle piste di Airolo sarà infatti possibile per tutti provare l’ebrezza di sciare. Grazie alla presenza di monitori esperti, bambini e adulti in carrozzina potranno scendere sulle piste leventinesi con un mono o un dual sci. Sempre a Tenero, in occasione del kids day, abbiamo incontrato Simona De Agostini. Fisioterapista di formazione è da anni costretta in carrozzina a causa di un incidente avvenuto sulle

piste da sci, dove però è presto ritornata, come ci ha raccontato: «Mi ricordo ancora quel giorno in clinica a Nottwil, quando mi mostrarono per la prima volta un monosci: mi venne subito una grande voglia di provare l’attrezzo. Con quell’obiettivo nella mente affrontai la riabilitazione determinata a tornare al più presto sulla neve e sul luogo dell’incidente. Quando ci riuscii l’emozione e la gioia furono immense». Un percorso lungo e impegnativo che oggi Simona non disprezza affatto: «Non mi pesa l’essere disabile. Riesco a svolgere diverse attività fisiche e mi sento bene nella mia pelle. Avrei potuto perdere la vita o rimanere tetraplegica, invece ho avuto l’opportunità di una seconda vita del tutto nuova e diversa, anche grazie allo sport». Lo sport come mezzo per ritrovare autostima: «Esatto, quando si riesce a praticare dello sport quasi alla pari dei normodotati, per esempio con un monosci, ci si sente inclusi e parte della società. Per me è stato fantastico tornare a praticare dello sport con gli amici e giornate come queste di Tenero sono veramente il metodo e lo stimolo ideale per “accendere la fiamma” e avvicinare i giovani diversamente abili o gli

adulti che li accompagnano alla pratica di un’attività, per rimanere in salute, interagire, integrarsi e non sentirsi esclusi», racconta Simona, oggi docente presso il Centro professionale sociosanitario medico-tecnico. Dei momenti utili, non solo ai disabili: «È vero, tutti ne approfittano, sia i portatori di handicap sia i normodotati: loro possono capire e percepire forse un po’ meglio come la grande gioia può nascere anche da cose molto semplici e come imprese apparentemente impossibili, con dei piccoli accorgimenti come una sedia a rotelle, un monosci o altri mezzi ausiliari, diventano improvvisamente possibili». Importante nella crescita del disabile è senz’altro anche lo scambio d’idee e il potersi confrontare con altre persone che condividono la stessa situazione: «Sì, in Ticino siamo pochi ed è più difficile, ma le cose stanno migliorando. Gli incontri tra disabili e tra le loro rispettive famiglie sono dei momenti preziosi e utili di scambio e crescita reciproci», conclude Simona. Informazioni

www.spv.ch

Otto associazioni, duemila membri, cinquemila impiegati. Sono i numeri della nuova CAT, la Conferenza delle Associazioni Tecniche del Cantone Ticino composta principalmente da architetti e ingegneri e decisa a raccogliere le sfide di questo settore unendo le forze e professionalizzando l’attività. Primo obiettivo, quindi, l’assunzione di un direttore o di una direttrice cui affidare i compiti di migliorare coordinamento, prese di posizione, rete di conoscenze e impiego delle risorse. Il presidente, ingegnere Paolo Spinedi, è fiducioso che questo rilancio sia il passo decisivo per promuovere e difendere da un lato la cultura della qualità del costruito e dall’altro gli interessi delle categorie professionali riunite nell’associazione mantello, interessi sempre più messi in discussione. Forti di una lunga tradizione associativa, che ad esempio per la SIA (Società Svizzera Ingegneri e Architetti) risale all’Ottocento, gli otto enti hanno deciso a inizio ottobre di ripartire su nuove basi, allargando il gruppo operativo. Accanto al comitato, composto per lo più dal presidente di ogni associazione, figura un’assemblea di cui fanno parte una ventina di delegati. «Desideriamo innanzitutto coinvolgere e informare meglio i nostri aderenti», spiega Paolo Spinedi. «Le otto associazioni raggruppano architetti e ingegneri, ma anche urbanisti, tecnici antincendio e il settore padronale. Dobbiamo valorizzare ciò che ci accomuna per meglio affrontare le trasformazioni in atto». Ricordiamo che le otto associazioni sono: ASIAT (Associazione Studi d’Ingegneria e di Architettura Ticinesi), ATRA (Associazione Tecnici Riconosciuti Antincendio), ATS (Associazione Tecnica Svizzera – Swissengineering, sezione Ticino), CSEA (Collège Suisse des Experts Architectes ), FAS (Federazione Architetti Svizzeri), FSU (Federazione Svizzera degli Urbanisti), OTIA (Ordine Ingegneri e Architetti del Cantone Ticino) e SIA (Società Svizzera Ingegneri e Architetti, sezione Ticino). La necessità di riunirsi in un unico gremio, risalente agli anni Ottanta, è sfociata dapprima nella Camera Tecnica e in seguito nella CAT, riconosciuta nel 2011 dal Consiglio di Stato e dall’Amministrazione cantonale quale interlocutrice unica. La piattaforma, essendo basata essenzialmente sul volontariato, negli ultimi anni ha però faticato ad occuparsi della crescente attività di sua competenza, situazione alla quale si è ora voluto porre rimedio modificando gli statuti, in modo da gettare le basi per poter professionalizzare alcune prestazioni con la nomina di un direttore. La realtà

del settore delle costruzioni d’altronde lo impone. Rispetto a 20-30 anni fa, il metodo con il quale si affronta la progettazione e la costruzione anche di una semplice casa è molto cambiato. Precisa il presidente della CAT: «Le esigenze a livello progettuale e tecnico sono molto più elevate rispetto ad alcuni anni fa. Non solo l’architetto ha sempre più bisogno dell’ingegnere e viceversa, ma la complessità di alcune opere richiede un crescente intervento di altri specialisti. I team di progettazione diventano quindi più ampi con figure dalle competenze sempre più qualificate. Un esempio significativo è quello dell’impiantistica che riveste un ruolo accresciuto, in particolare per alcuni tipi di costruzione come ad esempio gli stabili amministrativi, gli ospedali e le gallerie. Non bisogna inoltre dimenticare l’impatto ambientale, divenuto uno dei primi obiettivi da prendere in considerazione. La tematica dell’ambiente comprende però a sua volta suolo, acqua, aria, rumore e altre specializzazioni, vale a dire una moltitudine di settori e di relativi professionisti. In un team di progettazione è essenziale tenere in considerazione tutti questi aspetti sin dalle prime fasi del lavoro, sforzandosi di capire le rispettive esigenze». Quale il ruolo delle nuove tecnologie nel ramo dell’architettura e dell’ingegneria? Risponde Paolo Spinedi: «Come in altri settori, la digitalizzazione sta rivoluzionando il nostro modo di lavorare. Dai piani bidimensionali sulla carta si è passati alla rappresentazione tridimensionale e oltre. Oggi si discute infatti di quinta, sesta e settima dimensione. I programmi sono diventati vere e proprie banche dati che includono informazioni sui materiali, i costi, i tempi di realizzazione, la fase esecutiva, la messa in esercizio e la manutenzione». Lo strumento di riferimento nella digitalizzazione dei processi lavorativi per ingegneri e architetti è il BIM (Building Information Modelling). Già diffuso negli Stati Uniti, nel mondo anglosassone in generale e nel Nord Europa, esso è di fatto una realtà anche in Svizzera, soprattutto al Nord delle Alpi. «Questo sistema rappresenta una grande opportunità di conoscenza dell’opera sia per gli addetti ai lavori, sia per il committente. Da parte nostra è indispensabile capire e monitorare il suo sviluppo così come la sua applicazione. Non da ultimo dobbiamo chinarci sulle competenze necessarie per utilizzarlo. Per questo motivo abbiamo già instaurato una collaborazione con la SUPSI, in modo da garantire una preparazione adeguata ai giovani in formazione e possibilità di aggiornamento per i professionisti». Il BIM rappresenta uno dei temi

Grandi e piccole opere: la CAT vuole diffondere la cultura del costruito perché oggi l’attenzione alla salvaguardia del territorio riporta in primo piano il discorso qualitativo. (Keystone)

di carattere generale che impegnerà la CAT a lungo termine, in ragione dell’attenzione che l’associazione porta alla formazione e alla qualità del suo operato. Il fine ultimo è infatti quello di diffondere nella società una cultura del costruito. Le discussioni in atto tra i cittadini e a livello politico sull’uso del territorio, con un marcato riferimento alla sua salvaguardia, riportano il discorso qualitativo in primo piano. Da rilevare, inoltre, altre questioni meno visibili ma altrettanto importanti per le categorie professionali rappresentate dalla CAT. Il presidente cita al riguardo l’attenzione rivolta alle commesse pubbliche, da continuare ad osservare e monitorare per contribuire a garantire sempre il rispetto della legge. Altro aspetto rilevante quello degli onorari che in diversi ambiti tendono in modo preoccupante verso il basso. In

effetti alcune indicazioni contenute nei regolamenti SIA vengono oggi messe in discussione facendo leva sul principio della concorrenza. Per ingegneri e architetti si tratta invece di una questione di rispetto del ruolo professionale e della garanzia di qualità. Quale interlocutore dell’autorità cantonale la CAT segue inoltre da vicino i mutamenti legislativi che interessano il suo ambito professionale, a tutela dei suoi membri ma anche dell’interesse pubblico. Al momento sono sul tavolo le revisioni del Piano direttore cantonale e della Legge cantonale sulle commesse pubbliche. Quando interpellata, l’associazione offre collaborazione già nella fase di allestimento di tali modifiche o di nuove disposizioni legislative, senza perdere di vista l’attività edificatoria in generale. Precisa Paolo Spinedi: «Il nostro inten-

to, soprattutto per le commesse pubbliche, è quello di anticipare i tempi, nel senso di sensibilizzare il committente sulle forme migliori di messa in concorrenza delle prestazioni. Strumento principe a questo livello è il concorso di progetto che, sebbene anch’esso non sempre perfetto, offre la possibilità di scegliere il progetto migliore da realizzare confrontando più proposte». Al futuro direttore o futura direttrice della CAT si chiede quindi di essere proattivo/a su più fronti, in modo da assicurare un intervento dell’associazione più efficace e tempestivo. Per il presidente sarà pure essenziale il coordinamento delle attività delle otto associazioni nonché il miglioramento della visibilità sui media per informare meglio la popolazione sull’importanza di queste professioni alle quali dobbiamo tutto quanto è costruito attorno a noi. Annuncio pubblicitario

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 27 novembre 2017 • N. 48

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 27 novembre 2017 • N. 48

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Società e Territorio La CAT si rinnova La Conferenza delle Associazioni Tecniche raggruppa ingegneri e architetti decisi a unire le forze pagina 3

Bambini e libri La Biblioteca dei ragazzi di Pregassona compie 35 anni, una bella realtà che deve la sua vitalità a una ventina di volontarie

Il custode sociale di paese La figura è stata introdotta a Cadenazzo per aiutare in modo mirato gli anziani del paese

Aumentano i centenari A livello svizzero il Ticino è il Cantone che conta più centenari, una sfida per i Comuni

Costruire domani

Incontri La Conferenza delle Associazioni Tecniche del Cantone Ticino si rinnova per far fronte alla complessità

del lavoro di architetti e ingegneri. Ne abbiamo parlato con il presidente, l’ingegnere Paolo Spinedi

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Stefania Hubmann pagina 8

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Praticare sport aiuta a consolidare l’autostima dei ragazzi disabili, il prossimo appuntamento è in febbraio sulle piste di Airolo. (Keystone)

Sport per incontrarsi e integrarsi Kids day Per la prima volta si sono svolte anche in Ticino le giornate per bambini promosse dall’Associazione

svizzera dei paraplegici con lo scopo di avvicinare allo sport e al movimento

Elia Stampanoni L’Associazione svizzera dei paraplegici (ASP) ha organizzato a ottobre un evento per i bambini in carrozzella, chiamato kids day. Da anni la giornata è proposta Oltralpe raccogliendo un ottimo successo e lo stesso è avvenuto anche presso il Centro sportivo nazionale della gioventù di Tenero, dove una quindicina di bambini hanno risposto all’invito. I partecipanti, costretti da incidenti o patologie a una vita in sedia a rotelle, hanno così potuto avvicinarsi al movimento, all’attività fisica e allo sport condividendo una serie d’attività proposte dall’ASP in collaborazione con il Gruppo paraplegici Ticino e gli Insuperabili, i due gruppi sportivi attivi a sud delle Alpi in questo settore. Sulle rive del Verbano i ragazzi hanno potuto partecipare a una caccia al tesoro, svolgere percorsi in palestra, praticare il tiro, il bowling e altri giochi con la palla, prima di concludere con una danza, sempre seguiti da istruttori preparati. I monitori dei due club citati, Gruppo paraplegici Ticino e Insuperabili, sono stati accompagnati da alcuni esperti giunti dal centro svizzero

di paraplegia di Nottwil, istituto leader in Europa per la cura e la riabilitazione di persone affette da paraplegia, lesioni o patologie alla colonna vertebrale. Lo scopo dell’iniziativa proposta a Tenero è di avvicinare i ragazzi al movimento e, in futuro, portarli a praticare con regolarità dello sport. Attività fisiche che si possono esercitare sia aggregandosi a uno dei club, sia partecipando alle proposte dell’Associazione svizzera che, per l’imminente stagione invernale, prevede diverse uscite sulla neve o sul ghiaccio per la pratica di sci alpino, sci nordico, bob o curling. In estate il programma contempla invece sport come canoa, nuoto, atletica, tiro o diversi giochi con la palla. Alle attività proposte a Tenero nell’arco della giornata hanno potuto partecipare anche famigliari o conoscenti e, per i genitori, sono stati organizzati dei momenti di confronto, come ci spiega Davide Bogiani, coordinatore sportivo per la Svizzera tedesca e italiana in seno all’Associazione dei paraplegici: «Abbiamo organizzato anche degli incontri con i genitori per capire cosa loro desidererebbero da parte nostra e dai club, e sono emersi molti spunti interessanti». L’appunta-

mento è stato anche il momento ideale per esporre le attività proposte e creare un legame tra le famiglie interessate: «Esatto, il contatto tra le famiglie è molto importante per condividere esperienze, trovare soluzioni e sinergie», spiega Bogiani, molto soddisfatto della prima edizione del kids day a sud delle Alpi, dove ha partecipato anche la campionessa del freestyle Deborah Scanzio che, con grande dedizione e attenzione, si è occupata dei piccoli sportivi diversamente abili. Il buon esito dell’evento, promosso con il sostegno di Migros Ticino, Handy Sistem e Funivie di Airolo, è solo il primo di una serie di avvenimenti che l’Associazione dei paraplegici intende promuovere nella Svizzera italiana. Il 3 e 4 febbraio sulle piste di Airolo sarà infatti possibile per tutti provare l’ebrezza di sciare. Grazie alla presenza di monitori esperti, bambini e adulti in carrozzina potranno scendere sulle piste leventinesi con un mono o un dual sci. Sempre a Tenero, in occasione del kids day, abbiamo incontrato Simona De Agostini. Fisioterapista di formazione è da anni costretta in carrozzina a causa di un incidente avvenuto sulle

piste da sci, dove però è presto ritornata, come ci ha raccontato: «Mi ricordo ancora quel giorno in clinica a Nottwil, quando mi mostrarono per la prima volta un monosci: mi venne subito una grande voglia di provare l’attrezzo. Con quell’obiettivo nella mente affrontai la riabilitazione determinata a tornare al più presto sulla neve e sul luogo dell’incidente. Quando ci riuscii l’emozione e la gioia furono immense». Un percorso lungo e impegnativo che oggi Simona non disprezza affatto: «Non mi pesa l’essere disabile. Riesco a svolgere diverse attività fisiche e mi sento bene nella mia pelle. Avrei potuto perdere la vita o rimanere tetraplegica, invece ho avuto l’opportunità di una seconda vita del tutto nuova e diversa, anche grazie allo sport». Lo sport come mezzo per ritrovare autostima: «Esatto, quando si riesce a praticare dello sport quasi alla pari dei normodotati, per esempio con un monosci, ci si sente inclusi e parte della società. Per me è stato fantastico tornare a praticare dello sport con gli amici e giornate come queste di Tenero sono veramente il metodo e lo stimolo ideale per “accendere la fiamma” e avvicinare i giovani diversamente abili o gli

adulti che li accompagnano alla pratica di un’attività, per rimanere in salute, interagire, integrarsi e non sentirsi esclusi», racconta Simona, oggi docente presso il Centro professionale sociosanitario medico-tecnico. Dei momenti utili, non solo ai disabili: «È vero, tutti ne approfittano, sia i portatori di handicap sia i normodotati: loro possono capire e percepire forse un po’ meglio come la grande gioia può nascere anche da cose molto semplici e come imprese apparentemente impossibili, con dei piccoli accorgimenti come una sedia a rotelle, un monosci o altri mezzi ausiliari, diventano improvvisamente possibili». Importante nella crescita del disabile è senz’altro anche lo scambio d’idee e il potersi confrontare con altre persone che condividono la stessa situazione: «Sì, in Ticino siamo pochi ed è più difficile, ma le cose stanno migliorando. Gli incontri tra disabili e tra le loro rispettive famiglie sono dei momenti preziosi e utili di scambio e crescita reciproci», conclude Simona. Informazioni

www.spv.ch

Otto associazioni, duemila membri, cinquemila impiegati. Sono i numeri della nuova CAT, la Conferenza delle Associazioni Tecniche del Cantone Ticino composta principalmente da architetti e ingegneri e decisa a raccogliere le sfide di questo settore unendo le forze e professionalizzando l’attività. Primo obiettivo, quindi, l’assunzione di un direttore o di una direttrice cui affidare i compiti di migliorare coordinamento, prese di posizione, rete di conoscenze e impiego delle risorse. Il presidente, ingegnere Paolo Spinedi, è fiducioso che questo rilancio sia il passo decisivo per promuovere e difendere da un lato la cultura della qualità del costruito e dall’altro gli interessi delle categorie professionali riunite nell’associazione mantello, interessi sempre più messi in discussione. Forti di una lunga tradizione associativa, che ad esempio per la SIA (Società Svizzera Ingegneri e Architetti) risale all’Ottocento, gli otto enti hanno deciso a inizio ottobre di ripartire su nuove basi, allargando il gruppo operativo. Accanto al comitato, composto per lo più dal presidente di ogni associazione, figura un’assemblea di cui fanno parte una ventina di delegati. «Desideriamo innanzitutto coinvolgere e informare meglio i nostri aderenti», spiega Paolo Spinedi. «Le otto associazioni raggruppano architetti e ingegneri, ma anche urbanisti, tecnici antincendio e il settore padronale. Dobbiamo valorizzare ciò che ci accomuna per meglio affrontare le trasformazioni in atto». Ricordiamo che le otto associazioni sono: ASIAT (Associazione Studi d’Ingegneria e di Architettura Ticinesi), ATRA (Associazione Tecnici Riconosciuti Antincendio), ATS (Associazione Tecnica Svizzera – Swissengineering, sezione Ticino), CSEA (Collège Suisse des Experts Architectes ), FAS (Federazione Architetti Svizzeri), FSU (Federazione Svizzera degli Urbanisti), OTIA (Ordine Ingegneri e Architetti del Cantone Ticino) e SIA (Società Svizzera Ingegneri e Architetti, sezione Ticino). La necessità di riunirsi in un unico gremio, risalente agli anni Ottanta, è sfociata dapprima nella Camera Tecnica e in seguito nella CAT, riconosciuta nel 2011 dal Consiglio di Stato e dall’Amministrazione cantonale quale interlocutrice unica. La piattaforma, essendo basata essenzialmente sul volontariato, negli ultimi anni ha però faticato ad occuparsi della crescente attività di sua competenza, situazione alla quale si è ora voluto porre rimedio modificando gli statuti, in modo da gettare le basi per poter professionalizzare alcune prestazioni con la nomina di un direttore. La realtà

del settore delle costruzioni d’altronde lo impone. Rispetto a 20-30 anni fa, il metodo con il quale si affronta la progettazione e la costruzione anche di una semplice casa è molto cambiato. Precisa il presidente della CAT: «Le esigenze a livello progettuale e tecnico sono molto più elevate rispetto ad alcuni anni fa. Non solo l’architetto ha sempre più bisogno dell’ingegnere e viceversa, ma la complessità di alcune opere richiede un crescente intervento di altri specialisti. I team di progettazione diventano quindi più ampi con figure dalle competenze sempre più qualificate. Un esempio significativo è quello dell’impiantistica che riveste un ruolo accresciuto, in particolare per alcuni tipi di costruzione come ad esempio gli stabili amministrativi, gli ospedali e le gallerie. Non bisogna inoltre dimenticare l’impatto ambientale, divenuto uno dei primi obiettivi da prendere in considerazione. La tematica dell’ambiente comprende però a sua volta suolo, acqua, aria, rumore e altre specializzazioni, vale a dire una moltitudine di settori e di relativi professionisti. In un team di progettazione è essenziale tenere in considerazione tutti questi aspetti sin dalle prime fasi del lavoro, sforzandosi di capire le rispettive esigenze». Quale il ruolo delle nuove tecnologie nel ramo dell’architettura e dell’ingegneria? Risponde Paolo Spinedi: «Come in altri settori, la digitalizzazione sta rivoluzionando il nostro modo di lavorare. Dai piani bidimensionali sulla carta si è passati alla rappresentazione tridimensionale e oltre. Oggi si discute infatti di quinta, sesta e settima dimensione. I programmi sono diventati vere e proprie banche dati che includono informazioni sui materiali, i costi, i tempi di realizzazione, la fase esecutiva, la messa in esercizio e la manutenzione». Lo strumento di riferimento nella digitalizzazione dei processi lavorativi per ingegneri e architetti è il BIM (Building Information Modelling). Già diffuso negli Stati Uniti, nel mondo anglosassone in generale e nel Nord Europa, esso è di fatto una realtà anche in Svizzera, soprattutto al Nord delle Alpi. «Questo sistema rappresenta una grande opportunità di conoscenza dell’opera sia per gli addetti ai lavori, sia per il committente. Da parte nostra è indispensabile capire e monitorare il suo sviluppo così come la sua applicazione. Non da ultimo dobbiamo chinarci sulle competenze necessarie per utilizzarlo. Per questo motivo abbiamo già instaurato una collaborazione con la SUPSI, in modo da garantire una preparazione adeguata ai giovani in formazione e possibilità di aggiornamento per i professionisti». Il BIM rappresenta uno dei temi

Grandi e piccole opere: la CAT vuole diffondere la cultura del costruito perché oggi l’attenzione alla salvaguardia del territorio riporta in primo piano il discorso qualitativo. (Keystone)

di carattere generale che impegnerà la CAT a lungo termine, in ragione dell’attenzione che l’associazione porta alla formazione e alla qualità del suo operato. Il fine ultimo è infatti quello di diffondere nella società una cultura del costruito. Le discussioni in atto tra i cittadini e a livello politico sull’uso del territorio, con un marcato riferimento alla sua salvaguardia, riportano il discorso qualitativo in primo piano. Da rilevare, inoltre, altre questioni meno visibili ma altrettanto importanti per le categorie professionali rappresentate dalla CAT. Il presidente cita al riguardo l’attenzione rivolta alle commesse pubbliche, da continuare ad osservare e monitorare per contribuire a garantire sempre il rispetto della legge. Altro aspetto rilevante quello degli onorari che in diversi ambiti tendono in modo preoccupante verso il basso. In

effetti alcune indicazioni contenute nei regolamenti SIA vengono oggi messe in discussione facendo leva sul principio della concorrenza. Per ingegneri e architetti si tratta invece di una questione di rispetto del ruolo professionale e della garanzia di qualità. Quale interlocutore dell’autorità cantonale la CAT segue inoltre da vicino i mutamenti legislativi che interessano il suo ambito professionale, a tutela dei suoi membri ma anche dell’interesse pubblico. Al momento sono sul tavolo le revisioni del Piano direttore cantonale e della Legge cantonale sulle commesse pubbliche. Quando interpellata, l’associazione offre collaborazione già nella fase di allestimento di tali modifiche o di nuove disposizioni legislative, senza perdere di vista l’attività edificatoria in generale. Precisa Paolo Spinedi: «Il nostro inten-

to, soprattutto per le commesse pubbliche, è quello di anticipare i tempi, nel senso di sensibilizzare il committente sulle forme migliori di messa in concorrenza delle prestazioni. Strumento principe a questo livello è il concorso di progetto che, sebbene anch’esso non sempre perfetto, offre la possibilità di scegliere il progetto migliore da realizzare confrontando più proposte». Al futuro direttore o futura direttrice della CAT si chiede quindi di essere proattivo/a su più fronti, in modo da assicurare un intervento dell’associazione più efficace e tempestivo. Per il presidente sarà pure essenziale il coordinamento delle attività delle otto associazioni nonché il miglioramento della visibilità sui media per informare meglio la popolazione sull’importanza di queste professioni alle quali dobbiamo tutto quanto è costruito attorno a noi. Annuncio pubblicitario

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 27 novembre 2017 • N. 48

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Società e Territorio

Auguri biblioteca!

Bambini e libri I 35 anni della Biblioteca dei ragazzi di Pregassona

L’Odissea di Mario Videogiochi S uper Mario Odyssey

di Nintendo è un piccolo capolavoro Davide Canavesi

«In 35 anni i bambini sono cambiati, ora sono nativi digitali, però la meraviglia che vedo nei loro occhi quando ascoltano una storia in biblioteca, o quando sfogliano un libro, è la stessa. Ed è per questa meraviglia che dopo 35 anni sono ancora qui» ci dice Marisa Rathey, che dal 1982 non ha mai smesso di trovare il tempo e le energie per proseguire, con entusiasmo, la sua esperienza di volontariato come bibliotecaria presso la Biblioteca dei ragazzi di Pregassona. Biblioteca che nasceva proprio nell’autunno del 1982, su iniziativa di sei mamme che l’anno precedente si erano costituite in Associazione, per poter cercare ufficialmente una sede adatta e il sostegno economico necessario. La sede, offerta dal Municipio, che tuttora offre il suo sostegno, è ancora la stessa, al pianterreno dell’edificio situato in viale Cassone 40, la Ca’ Rossa. Nel frattempo le volontarie si sono avvicendate, sono cresciute di numero, così come sono aumentati i libri a disposizione – dagli 800 dell’inizio agli oltre 6400 di oggi –, la gestione si è informatizzata, le attività proposte si sono rinnovate, ma lo spirito di chi la gestisce è sempre improntato alla passione e alla consapevolezza di fare un lavoro bellissimo. A Marisa brillano gli occhi quando parla di libri e di bambini: «Sono sempre stata un’appassionata lettrice, sin da quel Al passo con la vita, di Dante Bertolini, letto d’un fiato quando ero alle elementari. Ai tempi, i libri per l’infanzia non erano tanti, e anche quando ero una giovane mamma scarseggiavano le proposte, soprattutto per i più piccoli, mentre in questi 35 anni di attività in biblioteca ho visto aumentare vertiginosamente il numero di pubblicazioni». La Presidente attuale è Barbara Privitera, preziosa collaboratrice da vent’anni: «Ci venivo con i miei tre figli, ero colpita dall’ambiente sereno e piacevole e dal bel rapporto che c’era tra le volontarie». «Non c’è mai stato uno screzio in 35 anni, e non è cosa da poco. Anche le più giovani si sono sempre inserite bene» afferma Marisa Rathey. Una ventina di volontarie, dai 35 agli 80 anni, tre generazioni di donne a mandare avanti una Biblioteca a cui afferiscono molti utenti anche da altri Comuni, per un servizio che è prestito libri, è promozione della lettura, è animazione, ed è anche una sorta di centro d’aggregazione: «Abbiamo libri in altre lingue, la biblioteca è frequentata anche da famiglie immigrate, e ci fa molto piacere» ci dice Barbara Privitera, sot-

Switch, l’attuale console di Nintendo, è arrivata sul mercato circondata da incertezza e dubbi. In molti, noi compresi, ci siamo chiesti se l’azienda nipponica avesse fatto bene i suoi calcoli, proponendo una macchina ibrida: un po’ portatile e un po’ casalinga. A sei mesi dal suo arrivo sul mercato però non ci sono dubbi. Switch è stato un successo, complice anche l’uscita di titoli davvero solidi come Zelda: Breath of the Wild e Splatoon 2. Tuttavia gli occhi di tutti erano puntati sul prossimo capitolo delle avventure di Super Mario, vero punto focale della libreria di ogni console creata da Nintendo. Super Mario Odyssey, questo il nome del gioco, è finalmente arrivato nei negozi. Come di consueto Bowser ha deciso di rapire la principessa Peach. Questa volta però, evidentemente stufo di pagare affitti astronomici, ha deciso di tralasciare tutta la fase in cui la tiene prigioniera in sfarzosi castelli per convolare direttamente a nozze. Aiutato da una banda di strani conigli, i Broodals, Bowser sta girando per il mondo al fine di raccogliere tutto quello che serve per il matrimonio: vestito nuziale, torta, anello… Ma ovviamente non ha fatto i conti con Mario! Il primo scontro tra i due però si risolve con una sonora sconfitta e l’intrepido omino coi baffi finisce scaraventato in uno strano mondo abitato da cappelli a cilindro senzienti. Qui incontra Cappy che, disperato, piange per il rapimento della sorella. Egli si offre volontario per sostituire il berretto rosso di Mario e, in cambio della promessa di salvare la sorella, gli offre i suoi poteri. Grazie a Cappy il cappello potremo prendere il controllo dei nemici e usare i loro poteri speciali, oltre che usarlo come arma offensiva e per saltellare nei vasti mondi che li aspettano.

Nata nel 1982 su iniziativa di sei mamme occupa la Ca’ Rossa di viale Cassone.

tolineando pure il fatto che per gli adulti che accompagnano i bambini (genitori, ma anche nonni) è stato creato un settore di narrativa. I libri per bambini sono suddivisi per genere e per età. Non mancano i testi di divulgazione, e da alcuni anni sono a disposizione anche testi «ad alta leggibilità», accessibili anche ai lettori con difficoltà specifiche, per favorire la lettura e la comprensione del testo. La Biblioteca, oltre ad aderire al progetto Nati per Leggere e all’iniziativa Notte del Racconto, propone un interessante calendario di animazioni, tra cui diversi eventi di narrazione, l’appuntamento con la scienza e con la natura, quattro momenti di doposcuola, alcuni laboratori con la creazione di un piccolo oggetto abbinato ad una fiaba ascoltata e naturalmente anche incontri con autori e illustratori. Particolarmente suggestive sono le Fiabe dell’Avvento, da lunedì 4 dicembre a giovedì 21 dicembre, tutte le sere d’apertura della Biblioteca, appena fa buio, raccontate a lume di candela. Cos’è cambiato in questi 35 anni? «L’età dei nostri fruitori si è abbassata, concentrandosi particolarmente da 0 a 8 anni, ma l’interesse per i libri non è diminuito, anzi! L’unica cosa che è cambiata è il tempo che i bambini hanno a disposizione – ci dice Barbara –, a volte venire in biblioteca è un’attività da sbrigare al volo fra mille altre. Dispiace sentire una mamma che mette fretta al suo bambino». Quali sono i comportamenti che un genitore dovrebbe evitare venendo in biblioteca? «Pronunciare troppo spesso la frase “su che dobbiamo andare” – rispondono Marisa e Barbara sorridendo – insieme a “ma questo l’abbiamo appena letto” o a “non prendere questo libro, che è da

piccoli”». Perché un bambino ha tutto il diritto di farsi le sue piccole regressioni a libri apparentemente «da piccoli», così come ha il diritto di rileggere infinite volte lo stesso libro. Questo è proprio un bisogno profondo, che si fa sentire finché non si è completamente elaborata la storia. «Un’altra cosa che dispiace è vedere il genitore che messaggia al cellulare durante un incontro di narrazione, oppure il genitore che porta il bambino di due anni a un incontro previsto dai quattro, perché, tanto, “il mio bambino è molto più avanti della sua età”. In realtà quel bambino si annoierà e inevitabilmente disturberà l’incontro». Ma queste sono eccezioni, perché la Biblioteca funziona alla grande anche grazie alla collaborazione preziosa di tante famiglie che partecipano attivamente, come sottolineano Marisa e Barbara. Famiglie che portano con entusiasmo i bambini e che a volte offrono le proprie competenze per proporre delle attività. «Come quella mamma giapponese che ha narrato storie molto interessanti appartenenti alla sua cultura; o come Larissa, una bambina che ogni giorno veniva in biblioteca e si immergeva nella lettura (tanto che una sera ha rischiato di rimanere chiusa dentro!) e che ora, ormai liceale, si è offerta come collaboratrice per la Notte del Racconto». Per il futuro, Barbara e Marisa auspicano che il ricambio tra le volontarie sia sempre assicurato, che le scuole continuino a manifestare l’interesse a collaborare e che si possano fare progetti per bambini con necessità particolari, come ad esempio i non vedenti. Informazioni

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Nintendo

Letizia Bolzani

Super Mario Odyssey vede il ritorno della serie ad una struttura detta «open world» in cui il giocatore può muoversi liberamente per i diversi mondi di gioco alla ricerca di vari obiettivi per avanzare nella storia. Lo scopo principale è raccogliere un certo numero di lune colorate che servono per alimentare la Odyssey, una sorta di barca volante che Mario e Cappy utilizzano per muoversi tra i mondi. Veleggiando tra foreste di sequoie, mondi subacquei, metropoli e molte altre ambientazioni davvero strane dovremo quindi raccogliere le lune, collezionare monete, aiutare gli abitanti, sconfiggere nemici e cercare segreti. Proprio questi ultimi sono probabilmente la parte più consistente di Super Mario Odyssey. Se un lato per finire la storia principale bastano una decina di ore di gioco, dall’altro se desideriamo davvero scoprire ogni lato nascosto probabilmente dovremo quintuplicare la nostra stima. Il gioco è infatti disseminato di segreti, alcuni facili da trovare altri davvero ben nascosti e molto ingegnosi, celati da bizzarri meccanismi o strane sequenze d’azione che vanno scoperte a tentativi e un pizzico di ragionamento. Questa nuova produzione di Nintendo è assolutamente deliziosa. Accessibile per chiunque e al contempo complesso e impegnativo se decidiamo di volerlo terminare del tutto. Visivamente brillante, un piccolo gioiellino visivo sia sul televisore di casa che sul piccolo schermo portatile di Switch. I mondi sono vasti ma non troppo, in modo da non introdurre troppa frustrazione nel giocatore. Ogni zona che visiteremo sarà contraddistinta da un proprio tema visivo e, spesso, anche da qualche particolarità a livello di gameplay. Quasi sempre, sarà una sorpresa esilarante! A titolo d’esempio dobbiamo citare i livelli in cui possiamo prendere possesso di un Tirannosauro oppure le favolose occasioni in cui, entrando all’interno di un muro il gioco passerà da titolo 3D a un gioco a due dimensioni, proprio come nelle prime avventure uscite su Nintendo e Super Nintendo. Switch è una console che durante il 2017 ha saputo sorprendere e l’uscita di Super Mario Odyssey spazza via qualsiasi dubbio o riserva che potessimo ancora avere sul prodotto nipponico. La nuova avventura di Mario è un’opera creata ad arte, con intelligenza e grandissima perizia da un gruppo di sviluppatori di enorme esperienza. Divertente, sorprendente e variato è davvero un piccolo capolavoro. Annuncio pubblicitario

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 27 novembre 2017 • N. 48

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Società e Territorio

Una persona di cui potersi fidare

Anziani – 1 A Cadenazzo è stata istituita la figura del «custode sociale di paese», una prima a livello ticinese e svizzero

Alessandra Ostini Sutto Rimanere il più a lungo possibile al proprio domicilio, sentendosi rassicurati dalla presenza di una persona fidata e qualificata alla quale poter fare riferimento e rivolgersi in caso di bisogno. È quello che consente la figura del custode sociale, che risponde ad alcune esigenze del nostro tempo. Il numero delle persone anziane è infatti in aumento e i familiari più stretti spesso non riescono ad assicurare una presenza regolare. Al punto che a volte sono gli anziani stessi ad esprimere il desiderio di andare in una residenza per la terza età. «Noi puntiamo a favorire la permanenza al proprio domicilio delle persone con l’appoggio della rete di aiuto formale esistente che consente di mantenere una buona qualità di vita ed essere seguiti. Allo stesso tempo si infondono sicurezza e serenità ai familiari, apportando loro un sostegno concreto», afferma Marta Marchese, custode sociale di paese del comune di Cadenazzo, che ha alle spalle 22 anni di attività nel settore. Il custode sociale è un operatore con esperienza nel campo socio-assistenziale, che collabora attivamente con gli altri attori presenti sul territorio – assistenti sociali, personale curante, medici, infermieri, gruppi di volontari ed enti di appoggio – nell’ottica di favorire il benessere dei propri utenti, e questo, anche, sviluppando una rete di supporto informale, composta da familiari, amici o vicini. Figura professionale di creazione piuttosto recente, il custode sociale è

pure presente, per esempio, nella vicina Italia. In Ticino è stata introdotta nel 2013 presso la Residenza Mesolcina di Bellinzona. Attualmente i custodi sociali nel nostro Cantone sono sei e sono attivi in altrettante strutture – residenze o quartieri – che dispongono di appartamenti concepiti per rispondere ai bisogni delle persone anziane, la cui gestione e promozione sono frutto di una collaborazione fra Pro Senectute Ticino e Moesano e i Servizi di assistenza e cura a domicilio di interesse pubblico. Qui i custodi sociali sono a disposizione dei residenti garantendo presenza, assistenza e sostegno quotidiani e prevenendo l’isolamento sociale attraverso una cultura di prossimità. La maggior parte delle residenze a misura di anziani è ubicata nel bellinzonese. Ad oggi, da Arbedo-Castione a Cadenazzo sono infatti oltre 200 gli alloggi di questo tipo, tra quelli già costruiti e quelli in via di progettazione o realizzazione. Ed è proprio in un comune della regione che è stato fatto un ulteriore passo avanti in questo ambito. A Cadenazzo infatti, dal mese di ottobre, è attivo un «custode sociale di paese», una prima a livello non solo cantonale ma pure svizzero. La novità di questa proposta voluta da ABAD (Associazione Bellinzonese per l’Assistenza e la cura a Domicilio), in collaborazione con Pro Senectute e il Comune di Cadenazzo, sta nel fatto di estendere l’attività del custode sociale – che diventa sempre più una figura di riferimento per assistenza e cure a domicilio – potenzialmente a

Tra i servizi proposti c’è anche l’organizzazione del trasporto per andare dal medico. (Keystone)

tutti gli anziani del paese, in particolare a quelli soli o i cui familiari non riescono ad essere presenti tanto quanto vorrebbero. Uno dei punti di forza di questa figura professionale sta proprio nel fatto di intervenire in modo mirato e concreto laddove l’anziano, o il suo entourage, non arrivano. Come esemplifica Marta Marchese, prima custode sociale di paese in Svizzera: «Se un anziano ha bisogno di prendere un appun-

tamento da uno specialista, necessita che si organizzi un servizio di trasporto per andare dal medico oppure è rimasto senza un medicinale, me ne posso occupare io». Il fatto di andare verso i propri utenti caratterizza l’agire di Marta Marchese in tutte le sfaccettature che lo compongono: «Nei momenti di socializzazione io porto delle proposte, poi il gruppo decide se fare una chiacchierata, bere un tè insieme o fare un gioco

di società; voglio essere a loro disposizione perché con la mia attività miro al benessere dei miei ospiti». L’innovativo progetto si rivolge infatti anche alle persone anziane, residenti nel Comune, che semplicemente desiderano fare conoscenze o svolgere attività di gruppo. Marta Marchese le riceve all’interno di uno spazio riservato presso la Residenza InContro, una struttura privata di recente edificazione dove la custode sociale di paese ha il proprio ufficio. Marta Marchese al mattino presta cure e assistenza a persone già seguite da ABAD o a coloro che ne presentano la necessità; durante alcuni pomeriggi, come detto, organizza attività gratuite di animazione o intrattenimenti, per esempio musicali o conferenze. «Con la collaborazione degli ospiti più autosufficienti, organizziamo anche pranzi in comune; queste attività possono sembrare banali, ma il fatto di stare insieme, fare due chiacchiere, due risate, pur nella sua semplicità, risulta benefico per l’anziano», commenta la custode sociale di paese, che, durante una mezza giornata o su appuntamento, è disponibile nel proprio ufficio per fornire informazioni e consulenza in ambito socio-sanitario; durante la settimana è reperibile telefonicamente e interviene in caso di necessità non programmate. «Con queste mie attività vorrei che le persone di cui mi occupo vedessero in me, con il tempo, una persona di cui potersi fidare, con cui potersi aprire, per le cose piccole ma anche per quelle più personali; il mio obiettivo ultimo è questo», conclude la custode sociale di paese. Annuncio pubblicitario

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 27 novembre 2017 • N. 48

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Società e Territorio

Un Cantone di centenari

Anziani – 2 A livello svizzero il Ticino è la regione che conta più centenari, solo a Lugano nel 2017

a spegnere 100 e più candeline sono stati in 20 Guido Grilli Non è un Cantone per vecchi, anzi sì: la terza età rimane tema a cuore delle città. Da Chiasso a Lugano, a Bellinzona, Locarno fino ad Airolo sono in molti a raggiungere e persino superare il secolo, di vita s’intende, indice – non l’unico – che campare fino a cent’anni alle nostre latitudini non si riduce a sola speranza ma a traguardo tangibile.

A Locarno gli over 65 rappresentano il 23% della popolazione, la città ha avviato una riflessione «Anziani in rete» e un progetto di mobilità Abbiamo consultato gli uffici controllo abitanti dei cinque capoluoghi ticinesi presi in considerazione per conoscere, cifre alla mano, la presenza dei decani che illuminano di saggezza le statistiche comunali. Il risultato? Per nulla trascurabile e talora persino sorprendente. Iniziamo dalla città più popolosa del Cantone, Lugano con i suoi oltre 68mila abitanti: qui se lo scorso anno i centenari raggiungevano le 15 unità, nel 2017 sono lievitati a 20, con un incremento dunque pari al 25%. Dichiara il sindaco Marco Borradori, cui spetta il ruolo, unitamente all’usciere comunale con pronto in dono un mazzo di fiori, «la gioia», di portare gli omaggi della città ogniqualvolta un nuovo decano si appresta a spegnere le cento candeline: «Sono spesso molto sorpreso: ho incontrato molti centenari in questi quattro anni e mezzo da sindaco. Arrivare a questa invidiabile età è davvero sorprendente. I centenari – sono in maggioranza le centenerarie a tagliare questo traguardo – sono spesso molto in forma e di grande lucidità. La maggior parte delle visite, per ovvie ragioni, avviene nelle case per anziani, ma, seppure rari, vi sono casi in cui il decano vive ancora in casa propria. È sempre un gran bel momento di umanità». Anche nella capitale i centenari sono in buon numero: nell’anno in corso se ne contano 13, di cui sei raggiungono con esattezza il secolo di vita, quattro superano il già ambizioso traguardo arrivando ai 101, due ai 103 e uno ha invece compiuto i 104. E nel 2018 questo fortunato gremio potrebbe accompagnarsi ad altri 11 nuove «new entry» che proprio l’anno prossimo conquisteranno l’agognata longevità a tre cifre, portando così a 24 il totale dei

Quest’anno a Bellinzona si contano 13 centenari e ben 11 persone hanno 99 anni. (Marka)

decani di Bellinzona. Il sindaco, Mario Branda, dopo l’esposizione di queste cifre si dice meravigliato: «Accidenti. Un bel numero. Quello che abbiamo detto sin dall’inizio, promulgando il progetto di aggregazione della nuova Bellinzona, una delle grosse sfide era proprio quella di prepararsi all’evoluzione demografica. Noi sappiamo infatti che per il 2030 ci saranno nella nostra città circa 12-13 mila abitanti che avranno più di 65 anni di età, senza contare gli over 80. E quindi risulta importante farsi trovare preparati, offrendo dei servizi di qualità rivolti a questa importante fetta di popolazione». E le case per anziani sono in numero sufficiente? «Per ora sì, con l’apertura recente di una nuova struttura, che ha abbattuto la grande lista di attesa. C’è poi un nuovo trend, a mio avviso positivo, ossia la costruzione di appartamenti a misura di anziano, che costituisce una formula intermedia tra l’abitare al proprio domicilio e la casa per anziani. Questi appartamenti – oggi ne esistono un centinaio – garantiscono agli anzia-

ni una propria dimora e al contempo di poter beneficiare di prestazioni assistenziali e di condurre una vita relativamente autonoma». A Chiasso, invece, 8300 anime, il numero dei decani è più esiguo: dai tre registrati lo scorso anno si è passati a due quest’anno, entrambe donne di 104 anni. «Fino all’anno scorso avevamo quella che forse è stata la persona più longeva del Cantone, la signora Lucrezia Furceri di origine siciliana, ospite della casa Giardino, che era arrivata fino ai 109 ed era vicinissima ai 110» – fa sapere con orgoglio il sindaco, Bruno Arigoni, già municipale a capo del dicastero istituti sociali che ricorda come la decana dovette reperire dal Cantone le pezze giustificative da mostrare all’Inps di Palermo. L’Istituto Nazionale Previdenza Sociale non riteneva, infatti, possibile che fosse ancora in vita a quella improbabile età ma dovette poi convincersi a pagarle la pensione. Come rispondete all’universo della terza età? «A Chiasso abbiamo due case

anziani per un totale di 127 posti ma la lista di attesa rimane lunga. Tanto che alcuni hanno dovuto essere ospitati in strutture fuori dal nostro Comune. Nel Mendrisiotto c’è una evidente penuria di strutture: nel comprensorio è prevista la costruzione di due case per anziani, una a Vacallo e una a Coldrerio, ma se per quest’ultima è stata posata la prima pietra per la seconda sono ancora in alto mare». «A Chiasso – prosegue Arigoni – oltre alle due case per anziani vantiamo un centro diurno e uno terapeutico. Con il nostro ufficio sociale abbiamo inoltre costituito una rete di controllo degli anziani: dopo un censimento realizzato lo scorso anno, monitoriamo tutti i 75enni per sapere se possiedono una rete sociale così da preservarli dalla solitudine, fenomeno che un paio di anni fa si era acuito in due casi quando erano state rinvenute due persone morte nel loro appartamento senza che nessuno si fosse accorto di nulla». Il sindaco informa inoltre che per la terza età

un messaggio istantaneo e breve, un altro è doversi prendere il tempo di leggere e, soprattutto, di capire, mentre si è alla guida, di corsa al supermercato o a scuola a prendere i bimbi. Nel migliore dei casi si prendono fischi per fiaschi, si scambia la data per un’altra o ci si dimentica immediatamente della minuscola locandina colorata che finisce subito nel cestino. Mi chiedo: non è più bello, soprattutto più costruttivo ed efficace, sia per chi fa l’invio, sia per chi lo riceve, fare in modo che il messaggio di un certo tipo raggiunga l’utente in un momento di calma e di tranquillità in cui ha modo di scorrere con attenzione, selezionare e leggere i messaggi, le novità che più lo interessano? Ci vorrebbe, come per tutte le interazioni sociali, una guida al galateo per l’utilizzo di Whatsapp e affini. Esiste qualcosa di

simile, in gergo si chiama netiquette, da network, rete, e étiquette, buona educazione, e indica un insieme di regole informali che disciplinano il buon comportamento dell’utente online. In caso di mancato rispetto della netiquette c’è la disapprovazione degli altri utenti della Rete. Andrebbe sicuramente messa a punto e fatta girare... In ogni caso, Whatsapp a parte, stiamo proprio disimparando non solo a scrivere e a prenderci il tempo per farlo bene, ma a relazionarci gli uni con gli altri in quel modo che fa sentire unica e importante la persona alla quale ci rivolgiamo. Sempre di più tendiamo a rivolgerci alla massa, al maggior numero possibile di persone e di contatti che possiamo raggiungere perché la quantità vince sulla qualità, la velocità sulla lentezza, la di-

esiste il progetto privato «Tertianum», una residenza di appartamenti e assistenza che sorgerà in zona Comacini a Chiasso a inizio 2019. A Locarno ad oggi sono 5 gli abitanti entrati nell’orbita dei 100. C’è pure un nuovo record appena conquistato: Bruna, classe 1913 il 10 novembre ha toccato la vetta dei 104, arzilla ospite della Casa San Carlo nata sotto il segno dello scorpione. Il sindaco Alain Scherrer: «Proprio due settimane fa sono stato alla San Carlo in visita a un’altra signora che ha festeggiato i cent’anni e l’ho trovata in forma splendida e invidiabile. Locarno – prosegue il capo dell’Esecutivo – è una città attenta agli anziani. Oltre a quella pubblica, abbiamo diverse case per anziani private e servizi: l’Associazione Valmaggese Casa Anziani, la Pro Senectute, la Pro Infirmis, l’Atte che assicura le attività ricreative. Siamo inoltre presenti sul territorio: ogni agente di quartiere visita le persone sole sopra i 75 anni due volte all’anno e per ognuna di loro abbiamo una scheda in cui sono elencati i parenti, il medico e le persone di riferimento da chiamare in caso di problemi. L’iniziativa era stata proposta di comune accordo con i servizi sociali dal nostro ex comandante di polizia, Silvano Stern. A fine 2015 era stata avviata una riflessione, intitolata “Anziani in rete” e inoltre abbiamo in corso un Progetto di mobilità degli anziani che studia i percorsi per fare in modo che siano in sicurezza (garantire una sufficiente presenza di panchine, marciapiedi non troppo alti, e altri interventi ancora). Lo studio ha consentito tra l’altro di porre in evidenza come a Locarno gli over 65 rappresentino il 23% della popolazione totale che raggiunge i 16 mila abitanti». Airolo, attualmente non conta invece nessun centenario, come a dire che l’aria buona di montagna non garantisce la longevità. Dall’ufficio controllo abitanti ci informano tuttavia che in corsa verso l’ambiziosa meta figura una anziana, classe 1918, candidata l’anno prossimo a toccare i cento in una stagione davvero propizia, in primavera. Assicura dal canto suo il sindaco, Franco Pedrini: «il nostro paese dispone senz’altro di tutte le infrastrutture per poter permettere agli anziani di vivere in maniera ottimale». Il mistero della vita e della longevità rimane irrisolto. Stando all’Ufficio federale di statistica alla fine del 2016 in Ticino gli abitanti di cento e più anni hanno toccato le 120 unità, che a livello svizzero segna una cifra da record. Insomma, nel cantone più a sud del Paese vivere a lungo non sembra rappresentare solo un sogno, ma un traguardo appartenente all’universo del possibile.

La società connessa di Natascha Fioretti Dalla netiquette all’arte perduta della comunicazione Non so se vi è capitato e se avete provato lo stesso fastidio: su Whatsapp da qualche tempo, sia contatti telefonici che ho in rubrica ma non utilizzo da tempo, sia persone che conosco e con le quali sono già in contatto via Facebook o via mail, mi mandano inviti in pdf per i loro eventi che mi hanno già segnalato più volte altrove. Personalmente questa invasione di campo, l’utilizzo di un canale che personalmente uso soltanto per comunicare in modo rapido con gli amici più stretti e i famigliari, raramente qualche gruppo («io odio i gruppi!»), non mi piace. Pubblicizzare il proprio evento è lecito ma insomma farlo su Whatsapp perché è rapido e con un solo invio manda la stessa locandina a tutti i numeri in rubrica mi sembra

davvero pecchi di originalità. Almeno un messaggino personale prima per chiedere se uno è interessato, è disposto a ricevere un file pdf o un’immagine, stabilire un contatto personale. Invece cadiamo sempre nella tentazione di usare la tecnologia per portare a termine le nostre prestazioni nel modo più sbrigativo, semplice e impersonale possibile. Se leggete la mia rubrica e avete il mio contatto telefonico, segnatevelo, non mandatemi inviti in pdf o altro via Whatsapp, scrivetemi via mail o segnalate il vostro evento in bacheca su Fb. Se sono tra i vostri contatti ci farò caso e deciderò se mi interessa oppure no. Insomma se tutti facessero così in un giorno quante volte suonerebbe Whatsapp distogliendo la nostra attenzione da altro? E poi a che pro, un conto è fermarsi un attimo a leggere

strazione sulla concentrazione. Non chiediamo davvero attenzione e comprensione profonda, mutuo scambio, ciò che rincorriamo affannosamente è la partecipazione, la condivisione, il consenso a prescindere. Questo è il metro di misura con il quale oggi misuriamo il successo delle nostre comunicazioni sempre più immediate, vuote e stereotipate. L’altro giorno in un negozio shabby chic ho comperato una cassetta delle lettere molto vintage, del colore delle foglie della salvia, con la scritta incisa e romantica «Post». L’ho comperata e ho subito detto all’amica che era con me «mi scriverai qualche volta, altrimenti andrà sprecata perché sarà destinata a contenere solo bollette e pubblicità». Non so voi, ma a me le lettere mancano molto. E le comunicazioni, quelle vere, autentiche, pure.


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Società e Territorio Rubriche

Lo specchio dei tempi di Franco Zambelloni L’unione (in rete) fa la forza Nella scuola del futuro non ci saranno libri – non cartacei, perlomeno. Così leggo in una recente pubblicazione dedicata alla didattica del futuro. Sui banchi scolastici ci saranno computer portatili, tablet, smartphone – tutti rigorosamente allacciati in rete. L’informazione che cerchi la trovi lì, opportunamente sintetizzata per una lettura rapida e poco impegnativa. Il volume di carta diventa inutile. E, in qualche misura, anche l’insegnante: già oggi in rete si trovano programmi didattici dai quali è possibile capire e apprendere magari meglio che in aula. Questo può essere il cambiamento più vistoso, ma non certo il più importante. Di maggiore rilievo è il fatto che tutto il processo di apprendimento si avvia ad essere modificato. Imparare voleva dire – nella scuola che fu, dalle origini antiche fino a ieri – in primo luogo ascoltare una lezione o leggere un libro, capirne il contenuto, memorizzare.

L’applicazione veniva dopo. Insomma, la trasmissione verbale – orale e scritta – era il canale per apprendere la tradizione culturale. Ma i nuovi mezzi tecnologici privilegiano vie diverse: l’immagine e l’apprendimento per esperienza, tramite una simulazione. Il computer è un simulatore della realtà: tramite videogiochi, ad esempio, è possibile imparare a pilotare un aereo, oppure decidere strategie di investimenti finanziari. È, dunque, una forma di apprendimento tramite l’esperienza, «per prove ed errori», come si diceva al tempo di Dewey. Con il vantaggio, però, che in questo caso un errore non comporta un danno o una conseguenza catastrofica. Così, se un tempo la cultura appresa a scuola era sistematica e organica, già ora tende ad essere sostituita da una massa disorganica di informazioni frammentarie, alimentata dall’enorme capacità delle banche dati e

resa disponibile dalla velocità degli elaboratori. Allo studio, oggi subentra la consultazione; quanto rimanga di questi dati pescati all’occorrenza e poi, in genere, presto dimenticati, è difficile stabilire. La cultura, quella acquisita con lo studio, quella che in passato arricchiva la persona e la faceva crescere, richiede l’organizzazione del sapere intorno a concetti e idee di fondo; la documentazione raccolta in rete si limita ad accumulare dati relativi a parole-chiave. Nel primo caso il sapere ce l’hai dentro; nel secondo, è disponibile al di fuori. È un bene? Un male? Direi: l’una e l’altra cosa insieme. Ogni progresso e ogni svolta decisiva, nella storia, hanno comportato vantaggi e svantaggi, acquisizioni e perdite. Quando fu inventata la scrittura cominciò – a giudizio di Platone – il declino della memoria; ma, in compenso, la tradizione fu consegnata a fonti più durature e affidabili.

Quando fu inventata l’automobile iniziò una capacità di spostamento ben più efficiente e rapida rispetto a quella consentita dalla carrozza a cavalli; ma noi oggi ci lamentiamo delle code interminabili in autostrada, degli incidenti automobilistici, dell’inquinamento da gas di scarico… Così è anche per l’epoca cominciata di recente, quella delle tecnologie informatiche. Ci sono competenze e abilità che si vanno perdendo, anche nel campo dell’istruzione: la memoria, in primo luogo; poi, anche la competenza linguistica. Dappertutto, nel mondo occidentale, è segnalata la povertà lessicale dei giovani, la loro crescente difficoltà a comporre o a decifrare frasi complesse: al posto delle parole, nella nuova scrittura «messaggistica», si usano icone, faccine che piangono o che ridono, stereotipi abbreviativi e così via. In cambio, si è sempre connessi, sempre aggiornati sulle faccende degli

amici – anche di quelli che sono solo virtuali. È un nuovo villaggio globale che nasce. O addirittura – a detta di alcuni che si sforzano di scrutare più avanti, nel mondo che verrà – una nuova identità umana: non più quella del singolo individuo, con la sua storia, la sua memoria, le sue capacità; ma una «creatura planetaria» (così la chiama Giuseppe O. Longo nel suo libro Il nuovo Golem) «di cui le reti, e le macchine e gli uomini che ne fanno parte, sono il primo stadio embrionale ma già vigoroso». Questa creatura planetaria ingloberebbe in sé le memorie e le capacità individuali: diverrebbe dunque un’entità superiore, dentro la quale ogni individuo starebbe come le singole formiche rispetto al formicaio. Così, la somma di innumerevoli capacità potenzierebbe enormemente le risorse intellettuali dell’umanità. Sarà bene, sarà male? Ai posteri – per fortuna – l’ardua sentenza.

questo lato fino alle finestre. Alle spalle, delle esili sbarre parallele di ottone luccicante creano lo spazio per mettere giacche e borse; ricordano qualcosa dei treni di una volta. Sbrigata la pratica dell’insalatina, ecco l’entrata in scena. In contemporanea con il vecchietto dignitosamente da solo, un tavolino più in là. L’entrecôte zebrato a dovere è abbracciato da abbondante beurre Café de paris. Arrivano anche le frites. Pommes allumettes per la precisione. Tagliate fini come fiammiferi appunto. Bisogna però avere ancora un po’ di pazienza Perché il segreto sta nel réchaud sotto che man mano scioglie il burro. L’oblungo entrecôte sembra intero ma è tagliato a pezzi generosi, in modo da prenderne uno alla volta con due cucchiai d’argento. E poi cospargerlo di burro a piacere. Solo un aggettivo kantiano: sublime. E un’onomatopea fumettistica-infantile: gnam gnam. La funzione della tovaglia di carta è chiara, appoggiando i cucchiai si macchia non poco. Il réchaud calibrato al punto giu-

sto permette di gustarsi la carne sempre calda senza perdere il sanguineo. Il vecchietto ha una fame da lupo, già quasi spazzato tutto. Fa bene, eppure gli yoghi insegnano a gustarsi piano piano ogni boccone fino in fondo. E poi non capita tutti i giorni di essere come a Parigi ma a Ginevra; perciò me la prendo con comodo. Peccato solo per la ripetibilità di questa esperienza straniante ad Abu Dhabi, Dubai Mall, Madrid, Stoccolma, Sion, Isérables. Ma non facciamo i puristi, così va il mondo, il luogo originario è comunque qui. Là in faccia, sullo specchio, c’è scritto Chez Boubier 1930. In onore dell’inventore di questa liturgia. I tavolini sono un po’ stretti, ma accentuano la condivisione fino a tramutarsi quasi in rito. «Le Monde», alcuni anni fa, pubblica uno scoop rivelando gli ingredienti della ricetta segreta. Ne mancano diversi invece, mi ha confessato un cuoco che ha lavorato qui, una sera tardi, al bancone della Sportive. Ed io li ho maniacalmente scritti su un foglietto di fortuna. Burro a temperatu-

ra ambiente, prezzemolo, dragoncello, timo, maggiorana, basilico, levistico detto anche sedano di monte, rosmarino, salvia, acciughe, senape di Dijon, rafano, curry madras, buccia di limone, succo di limone, salsa Worcestershire, cognac, sale, pepe bianco macinato al momento, panna 35%. Ma quello che più conta è che ora mi ricordo di quei due graziosi vecchietti seduti accanto, la seconda volta che sono venuto qui con una mia morosa. Ci raccontarono di essersi innamorati qui e che dal 1953, una volta al mese, risparmiando qualcosa, si concedevano una cena al Café de Paris. A ben guardare, di colpo, mi sembra che il vorace vecchietto sia seduto proprio dove sedeva quella sera, anni fa, con sua moglie. E mi viene un dubbio triste ma inevitabile. Ma no dai, sarebbe una coincidenza un po’ troppo borgesiana. Ad ogni modo ha tutta l’aria del vedovo. Ora è al dessert. Camminando verso il lago, a un certo punto, si scorge in lontananza il Monte Bianco che oggi è di una bellezza straziante.

affettivi, la consuetudine, la continuità di oggetti, strumenti, meccanismi ormai compagni di vita? L’interrogativo è insidioso. Soprattutto per i meno giovani, chiamiamoli così, che nel rapporto con l’avvento del virtuale non vorrebbero perdere la faccia, e, d’altra parte, neppure negare l’appartenenza a un’era, ormai conclusa. Quella anteriore allo smartphone. Fu, infatti, l’avvio di un processo di sostituzione a ritmi accelerati e implacabili. Prima vittima proprio il telefono fisso, con relative cabine. Di cui rimane, a titolo storico-decorativo, la versione londinese, dipinta di rosso. Fu, poi, la volta della macchina fotografica, con relativi rullini, album, e, non da ultimo, le cartoline postali: tutta roba spazzata via dal selfie, che ha facilitato, e insieme banalizzato, lo scatto di immagini. E sempre, per via di una app, stanno scomparendo le sveglie. E, a quanto pare, persino l’orologio da polso, già simbolo di ricorrenze famigliari e di prestigio sociale. Addio Rolex, insom-

ma? Alla stessa stregua, diventano superflue cartine topografiche e geografiche: l’auto sa già dove condurci. Infine, e qui si tocca un ambito delicato, addirittura doloroso per gli addetti ai lavori e gli appassionati, i libri stampati su carta, e i giornali con loro, cedono il posto ai tablet, in nome di un’innegabile praticità. Un’intera biblioteca concentrata in un rettangolo portatile, leggibile in qualsiasi luogo e situazione: la conquista è fuori discussione. Però a questo punto, il rapporto perdita-guadagno assume connotati difficili da valutare. Nei confronti dei libri entra in gioco la passione rivolta a un oggetto che, proprio accumulandosi nel tempo e nelle dimensioni, può trasformarsi in una collezione, magari preziosa e utile, oppure scadere in mania, fanatismo, idolatria. Citando, una volta di più, l’impareggiabile Gillo Dorfles: «Oggi si assiste all’horror vacui, la paura di spazi vuoti da riempire a ogni costo». Troppe cose, dunque. Ma i libri non sono soltanto cose.

A due passi di Oliver Scharpf Il Café de Paris a Ginevra Il famoso beurre Café de Paris non viene da Parigi ma da Ginevra. È stato inventato nel 1930, al numero sei della rue Pierre Fatio, dal cuoco che teneva il Coq d’Or, il signor Boubier. La ricetta passa poi a suo genero, Arthur-François Dumont che nel 1942 apre un ristorante: il Café de Paris, rue du Mont-Blanc ventisei, vicinissimo alla stazione Cornavin. Dove si serve coraggiosamente solo un piatto: entrecôte con questo burro speciale alle erbe e spezie dal nome pseudoparigino, patatine fritte, insalata. Nel 1968 subentra la vallesana Aline Abriel che non cambia una virgola di questo locale monotematico ormai mitico, lasciandolo nel 1989 in mano al nipote, François Vouillamoz, il gestore attuale. Ci sono stato un paio di volte, quando vivevo a Ginevra, e in realtà l’originale non ha niente a che vedere con il ricciolo di banale burro alle erbe imitato da altri ristoranti – disponibile pure in commercio, da porre a casa sulla carne – abbastanza di moda negli anni ottanta e oggi un po’ eclissato. È tutta

un’altra storia. In treno pregusto quei divani in pelle, l’ambiente da brasserie francese anni trenta, ma soprattutto quel piatto ellittico di acciaio cromato dove l’entrecôte nuota nel verdognolo burro sopraffino. Dalla stazione è un attimo. Aperto sette giorni su sette con cucina non stop dalle 11 alle 23, arrivo verso le due. E così, a fine novembre entro per la terza volta al Café de Paris a Ginevra (382 m). «Cuisson?» mi chiede la cameriera. L’unica scelta rituale qui è la cottura. Al sangue, va da sé, almeno per me. E per Roland Barthes che a questa evidenza quasi «una morale» in La bistecca e le patate fritte – Miti d’oggi (1957) dedica ventinove righe. E così scrive una esse sulla tovaglia di carta. Nell’attesa assaporo il décor: tre lampadari acrobatici, legno alle pareti, tavolini di legno con tovaglia rossa ricoperta appunto da tovaglia di carta che non leva eleganza ma è funzionale come vedrete, sedie di legno semplici molto belle. Non c’è gara però con il sedersi sulla pelle fiore, color bordò, che percorre tutto

Mode e modi di Luciana Caglio Quando gli oggetti diventano virtuali La Svezia è praticamente cash free. Ha conquistato il primato, addirittura mondiale, nella graduatoria dei paesi passati dal contante al virtuale: il 99% dei pagamenti avviene mediante carta di credito o telefonino. E così un uso riservato ad acquisti importanti o a situazioni particolari si è generalizzato. Concerne, ormai, spese d’ordinaria amministrazione, comprese quelle minute, il caffè o la birra al bar, il giornale, l’ingresso al cinema, la corsa in taxi o in tram, e non soltanto. Persino l’obolo raccolto durante la messa o per accendere una candela è diventato elettronico.

Ciò che non ha mancato di sorprendere, addirittura scandalizzare, come succede quando s’interviene in un luogo simbolo di tradizioni intoccabili. Tanto da fare notizia, nelle cronache internazionali, suscitando ironie e sospetti: ma allora le chiese potranno controllare offerte che, sin qui, rimanevano anonime? E, allargando il discorso carità, come la mettiamo con i barboni, che, anche nella supersocializzata Stoccolma, tendono il cappello capovolto in cui versare monetine o banconote? Commenti trascurabili per le autorità svedesi, che, invece, rilevano gli effetti salutari del

Il pagamento tramite smartphone sta sostituendo monete e banconote.

cash free: diminuiscono spaccio di droga e lavoro nero. Non si nasconde, però, un possibile aumento di truffe informatiche e, infine, maggiori difficoltà per gli anziani, refrattari alle tastiere. Con ciò, anche questo progresso informatico ha fatto la sua vittima illustre. Eliminando banconote e monete, scompare il danaro, nella forma concreta di oggetto, che oltre il valore ufficiale del momento, possiede un plusvalore d’ordine artistico, storico, culturale. In proposito, è esemplare il caso della Svizzera. Con la sua stessa fisionomia, il franco sembra esprimere tipiche virtù nazionali: l’accuratezza, la solidità, l’attenzione grafica. Forse così si spiega la fedeltà all’utilizzo del contante, nelle nostre abitudini quotidiane. Ma è soltanto un’ipotesi, o l’auspicio di riuscire, conservando gli oggetti, a frenare la corsa del tempo che ci mette, sempre più spesso, di fronte a scelte imbarazzanti: quali oggetti personali e pubblici conservare e quali buttare, e cioè privilegiare funzionalità, praticità, rapidità o difendere i contenuti


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Ambiente e Benessere Quando i boschi bruciano Non tutti gli incendi hanno un effetto negativo sull’ecosistema boschivo

Il turista nell’era dei social Un viaggio sembra non avere senso se non viene condiviso in tempo reale attraverso Facebook, Twitter o Instagram pagina 17

Onorificenze climatiche Tra le migliori stazioni meteo mondiali, quella del Gran San Bernardo, premiata di recente pagina 20

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Conosciamo lo storione Sebbene abbia un aspetto primitivo e rozzo, produce un cibo molto nobile: il caviale

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Uniti contro il tumore al seno

Medicina La diagnosi precoce aumenta

le possibilità di guarigione

Maria Grazia Buletti In Svizzera, ogni anno circa 5400 donne ricevono la diagnosi di tumore al seno e circa 1350 muoiono per questa malattia. Nel canton Ticino l’incidenza è di 300-350 nuovi casi all’anno (statistica 2015 del Registro cantonale dei tumori), di cui 90 diagnosticati nell’ambito del programma di screening mammografico cantonale che ha preso avvio a febbraio del 2015 e del quale parliamo con la dottoressa professoressa oncologa Olivia Pagani (vice primario Istituto Oncologico della Svizzera italiana – Iosi, direttrice del Centro di senologia dell’Ente ospedaliero cantonale – Eoc) e con la dottoressa Sabine Zehbe, caposervizio di radiologia dell’Ospedale regionale Bellinzona e Valli (Orbv) e responsabile per il Centro di screening mammografico Orbv e Ospedale regionale di Locarno (Odl). Le statistiche ci consegnano altri dati molto interessanti circa questo tumore maligno che si rivela essere il più frequente e la principale causa di mortalità per tumore nelle donne. «Possiamo affermare che i tumori maligni mammari siano la malattia dell’invecchiamento, perché essi si manifestano con una certa frequenza dopo la menopausa e in modo esponenziale con l’invecchiamento», afferma la dottoressa Pagani, mettendo in guardia sul fatto che vi sono sempre più donne anziane e queste sono spesso le meno controllate: «Il programma cantonale di screening copre le donne fino ai 70 anni e restano a rischio quelle più anziane che magari non vanno più dal ginecologo». Questo ci fa desumere che il tumore al seno potrebbe essere «un grosso problema degli anni a venire», come lei stessa afferma. E neppure essere giovane esime la donna dall’ammalarsi: «Il 25 per cento delle pazienti si ammala prima dei 50 anni; per questo si invitano le donne sotto questa soglia di età (non coperta dallo screening mammografico) ad essere attente e farsi controllare regolarmente. Ottobre è stato indetto mese della prevenzione al seno, ma è giusto non abbassare mai la guardia, spiega la dottoressa Pagani sottolineando il triste primato del tumore maligno mammario: «Purtroppo associato alla maggiore mortalità, in termini di numeri e non di possibilità di guarigione». L’oncologa ricorda che: «Negli ultimi decenni si sono fatti enormi passi

avanti nei confronti di questa neoplasia e si è dimostrato che una diagnosi precoce, unitamente a cure ottimali, porta a una guarigione definitiva nella maggioranza dei casi». Diagnosi precoce e cure adeguate sono la combinazione che oggi ci consente di rendere guaribile questa malattia dalle molteplici cause e fattori di rischio, afferma la nostra interlocutrice: «Se le cause sono ancora per lo più sconosciute, in una piccola percentuale (inferiore al 10 per cento) vi sono fattori di rischio predisponenti a livello di famigliarità e genetica. Nella maggioranza delle donne abbiamo fattori predisponenti classici come l’inizio precoce del periodo fertile, una menopausa tardiva, non aver avuto figlii o non aver allattato, obesità nella donna post menopausa (a causa degli ormoni insiti nel tessuto adiposo), mentre non vi è una correlazione diretta con la pillola anticoncezionale o con le terapie sostitutive ormonali in menopausa, anche se queste possono favorire la crescita di un tumore mammario preesistente». La cosiddetta «diagnosi precoce» viene attuata, per l’appunto, attraverso uno screening mammografico selettivo rivolto a tutte le donne tra i 50 e i 69 anni che sono invitate regolarmente ogni due anni (e per iscritto) a beneficiare di una mammografia nell’ambito del programma cantonale partito nel 2015. Le donne sopra i 70 anni possono comunque partecipare al programma su propria richiesta. La dottoressa Sabine Zehbe spiega di cosa si tratta in concreto: «La mammografia è una particolare radiografia del seno che permette di identificare anche tumori molto piccoli, generalmente molto tempo prima che siano palpabili o riconoscibili attraverso la manifestazione di sintomi». Pagani, dal canto suo, sottolinea un concetto fondamentale: «La diagnosi precoce mammografica non è prevenzione in quanto una mammografia non evita l’insorgere di un tumore al seno: essa non ne previene l’insorgenza, ma può prevenire la mortalità. Per questo si parla di prevenzione secondaria». La dottoressa Zehbe ritorna sull’importanza di sottoporsi alla mammografia e di non procrastinarne l’appuntamento: «I due anni di tempo che intercorrono fra la prima e la seconda mammografia permettono di individuare in fase estremamente precoce, dunque curabile, l’eventuale insorgenza del tumore mammario». E

I medici Olivia Pagani, a sinistra, e Sabine Zehbe, a destra. (Vincenzo Cammarata)

ciò è di vitale importanza, come mostra questo esempio interessante: «Un tumore di cinque millimetri ha meno del 10 per cento di possibilità di sviluppare metastasi linfonodali ascellari, mentre per uno di un centimetro si sale al 30 per cento». Lo screening mammografico permette dunque di trovare i tumori più piccoli, per i quali la prognosi è migliore e le terapie risulteranno meno invasive. Terapie che la dottoressa Pagani così riassume: «Esse fanno capo a un team medico multidisciplinare. Sono individualizzate e possono comprendere una prima tappa chirurgica (trattamento curativo), associate alle cosiddette terapie precauzionali (terapia medica e radioterapia se il seno ha avuto un intervento conservativo). In alcuni casi la sequenza è invertita, proprio in ragione della personalizzazione della cura per ciascuna donna, in quanto gli scenari possono essere molteplici». L’esame mammografico non è

complicato, spiega Zehbe: «Dura pochi minuti durante i quali, per ottenere un’immagine di buona qualità e ridurre la dose di radiazioni è necessario comprimere ciascun seno fra due lastre per alcuni secondi». A chi teme le radiazioni la radiologa ricorda i vantaggi del risultato mammografico di molto superiori «a un improbabile danno da raggi X». Per intenderci: «Un tempo si diceva che, in termini di radiazioni, una mammografia equivaleva a un volo aereo da Londra a New York; oggi, con gli apparecchi mammografici delle ultime generazioni, ancora meno». Incoraggianti i risultati esposti dalla dottoressa Pagani: «Con una diagnosi precoce la prognosi sarà molto buona a lungo termine nella maggioranza dei casi». Così potrebbe non essere per le donne che purtroppo arrivano con una diagnosi tardiva, e per quelle che presentano una ricaduta nella fase iniziale delle cure: «Ci sono donne che continuano a morire di tumore al seno,

mentre alcune convivono con la malattia per lunghi anni; oggi le cure consentono una sopravvivenza la cui qualità di vita è conservata anche per quelle donne con malattia avanzata». La sfida? Entrambe le nostre interlocutrici concordano: «Diminuire sempre più il numero di donne che non ce la fanno».

Video intervista Sul canale Youtube di «Azione» e su www.azione.ch la videointervista a Olivia Pagani e a Sabine Zehbe.


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Ambiente e Benessere

L’ecologia degli incendi Biodiversità Migliaia di vegetali dipendono dal fuoco per la loro esistenza

«Molti alberi dalle fiammifere folgori di Giove percossi» (Boccaccio 1313-1375): così recita il primo scritto in lingua italiana che ricorda un incendio boschivo. Sono passati sette secoli da quando il sommo fiorentino parlava di fulmini e di alberi incendiati. Ma fin da epoche lontane nel tempo, gli incendi hanno sempre fatto parte dei paesaggi vegetali terrestri. E, probabilmente, hanno condizionato l’evoluzione e la diffusione degli animali erbivori, creando vaste aree prive di boschi, modificando inoltre le coperture e le strutture vegetali, per esempio le praterie e le savane. L’uso del fuoco è molto antico da parte dell’uomo: per cuocere il cibo, per illuminare i suoi ricoveri, e per difesa. L’uomo assistì terrorizzato agli effetti dei fulmini, e in seguito imparò a «domesticare» il fuoco. In una caverna dell’Africa (ora tropicale) è stato documentato l’uso del fuoco, grazie alla scoperta di strati carboniosi in focolari datati un milione di anni or sono (Bond & van Wilgen, 1996). In seguito si pose il problema della cura e della conservazione del fuoco. I pastori nomadi asiatici adottarono il sistema di utilizzare dei cesti foderati con l’argilla per conservare le braci. Nella Roma pre-cristiana la dea Vesta, assistita da sei vestali sacerdotesse, lo conservava in permanenza. Lungo le scarpate dei sentieri, che si dipartono da Robiei in alta Valle Maggia (regione del Basodino), sono tuttora evidenti numerosi livelli carboniosi, risalenti al periodo in cui il nostro antenato ticinese aveva dissodato la fascia superiore del bosco per aumentare le superfici dei pascoli. Era l’epoca di Oetzi, l’uomo dei ghiacci scoperto nel 1991, che 5400 anni or sono aveva già il necessario per accendersi un fuocherello.

Gli incendi sono parte delle dinamiche naturali esistenti sulla Terra, e i biomi terrestri sono evoluti anche grazie a loro Come e perché i vegetali bruciano? La fitomassa costituisce il combustibile che alimenta il fuoco, e gli effetti dell’incendio dipendono dalle sue tipologie. Può essere radente (fogliame al suolo, erbe secche), oppure di chioma distruggendo il fogliame e le parti elevate degli alberi. Infine può essere un focolaio sotterraneo nelle torbiere. In un bosco, la propensione all’incendio dipende dal tipo di alberi e dalle proprietà collettive della comunità di alberi. È ben nota la capacità di generare calore da parte dei diversi alberi. Castagni e querce bruciano con difficoltà a causa del loro contenuto di tannino. II faggio brucia bene generando calore perché il suo legno contiene fenoli che, come la resina e la cera delle conifere, sono un fuoco-stimolante. Un bosco di conifere è un serbatoio di materia infiammabile. Per contro, un bosco di latifoglie è ricco di umidità, che non facilita la combustione. Insieme con le conifere sono le erbe e la brughiera, che hanno tutte un apparato fogliare finemente diviso. Gli incendi si possono sviluppare quando siano presenti le seguenti fonti di combustione: i fulmini (una delle

Azione

Settimanale edito da Migros Ticino Fondato nel 1938 Redazione Peter Schiesser (redattore responsabile), Barbara Manzoni, Manuela Mazzi, Monica Puffi Poma, Simona Sala, Alessandro Zanoli, Ivan Leoni

Takeaway

Alessandro Focarile

principali cause naturali), le eruzioni vulcaniche e le cadute di meteoriti. Tuttavia l’uomo resta la causa principale, sia per dolo, sia involontaria. Dalla tundra boreale alle praterie, steppe e savane, gli incendi consumano enormi quantitativi di vegetali (fitomassa). La vegetazione terrestre è stata intaccata e manomessa fino dall’era mesozoica (180-60 milioni di anni da oggi): l’era dei dinosauri e delle ammoniti. Già durante quei tempi lontani, la combinazione letale «alberi – erbe – incendi» creò spazi aperti che facilitarono un’estesa diffusione e distribuzione degli animali erbivori: vertebrati e invertebrati. Testimonianze di arcaici incendi sono state scoperte su tronchi silicizzati rinvenuti nell’Arizona (USA) e in Umbria (Mancuso, 2015). L’incendio di vegetali causa numerosi fattori fisici e biologici. L’incendio di chioma può distruggere vecchie foreste di conifere, e iniziare processi di rivitalizzazione, che necessitano decenni e centinaia di anni. Per contro, nelle comunità di erbe (pascoli, praterie e savane), la ripresa vegetativa può essere molto rapida: gli effetti distruttivi possono scomparire entro

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breve tempo a causa dello sviluppo cespitoso, e quindi protettivo, delle radici. Un fenomeno che si poteva osservare fino ad alcuni decenni or sono: gli incendi volutamente provocati e controllati per fertilizzare i pascoli montani in primavera sulle prealpi lombarde e ticinesi. Con il favore di un vento favonio era tutto un rosseggiare delle pendici dei monti, facilmente visibile di notte dalla pianura lombarda. E anche in Sardegna viene tuttora appiccato il fuoco per la formazione di nuove aree pascolive ottenute grazie alla distruzione della macchia mediterranea facilmente combustibile; questo procedimento genera anche un arricchimento di potassio attraverso le ceneri. L’incendio è parte integrante delle dinamiche naturali esistenti sulla Terra, e i biomi terrestri sono evoluti nel corso del tempo anche in funzione degli incendi ricorrenti. Questi provocano inoltre alterazioni chimiche e fisiche del suolo nella struttura del bosco a seguito delle elevate temperature. Tra gli effetti biologici post-incendio è da ricordare il caso dei conifereti che albergano una categoria di insetti coleotteri esclusivi di questo ambiente biologicamente estremo. Si tratta di alcuni caràbidi del genere Europhilus (immagine a lato) i quali frequentano, per la loro alimentazione, le aree boschive già percorse dagli incendi, dove predano la massa di insetti «arrostiti». Questi coleotteri, ottimi volatori, sono stati trovati spesso in gran numero persino sulle ceneri ancora calde e sotto le cortecce semi-carbonizzate! Essi hanno una diffusione geografica molto vasta, che copre tutta l’area forestale dell’Eurasia e del Nord America, rivelando una iper-specializzazione alimentare che esclude la concorrenza di altre specie (Lindroth, 1966). Questi Europhilus sono stati sporadicamente trovati anche in Svizzera, considerando che gli entomologi frequentano ben di rado questi ambienti all’apparenza privi di vita. Un altro fenomeno biologico di notevole importanza è costituito dalla germinazione dei semi, stimolata dal fuoco e dal fumo. Questi fattori sono in grado di

facilitare la schiusura dei semi dai loro ricettacoli molto legnosi, come lo sono le pigne (stròbili) delle conifere. In mancanza di incendi, talune specie vegetali potrebbero essere condannate all’estinzione (Bond & van Wilgen, 1966). Migliaia di vegetali dipendono dal fuoco per la loro esistenza. Alle nostre latitudini, è noto il caso della ginestra dei carbonai (Sarothamnus scoparius) e dell’epilobio (Epilobium angustifolium) che si insediano e colonizzano le aree percorse dagli incendi. Nella foresta boreale di conifere la maggior parte di questi eventi disastrosi è provocata dai fulmini. In Russia la foresta occupa una superficie di 730 milioni di ettari, pari a quella dell’Australia, ed è la più grande foresta continua esistente sulla Terra. Questo enorme patrimonio boschivo è suscettibile di essere insidiato dagli incendi, e ogni anno bruciano dai cinque ai dieci milioni di ettari (Goldammer, 1993). In Russia sono impiegati centinaia di aerei appositamente equipaggiati, e sono mobilitati 8mila forestali paracadutisti. Per quanto riguarda i tipi di vegetazione boschiva e il loro differente grado di infiammabilità, e limitandoci alle regioni temperate e boreali dell’emisfero settentrionale, è opportuno considerare la loro maggiore o minore propensione agli incendi. Da Nord a Sud troviamo i seguenti ecosistemi forestali: la tundra, la foresta boreale dominata dalle conifere (Pinus, Picea, Larix), la taiga, la foresta di tipo climaticamente temperato, con dominanza di latifoglie (pioppi, salici, querce, tigli, faggi, aceri e frassini, e ontani), la steppa a graminacee nell’Asia centrale, la regione mediterranea dall’Anatolia al Portogallo e al Maghreb (Algeria, Marocco), in gran parte formata dalla macchia (maquis) e con piantagioni di Pino d’Aleppo, albero fortemente fuoco-stimolante. La foresta di latifoglie, come si è detto, non favorisce gli incendi. Nel suo ambito è necessario rilevare che, da qualche secolo, l’uomo ha sostituito la foresta primaria con estese piantagioni di abete rosso (Picea abies) e di pini nelle regioni atlantiche della Francia. Questo notevole mutamento fisionomico della

foresta europea ha reso possibile una maggiore propensione per gli incendi. In tal modo vaste aree dell’Europa centrale, inclusa la Svizzera, sono state rese maggiormente suscettibili ad essere incendiate. Questi eventi hanno giustificato in epoca recente la creazione di una nuova scienza applicata e pluri-disciplinare: l’ecologia degli incendi, che coinvolge le conoscenze dei forestali, dei botanici, dei biologi, dei climatologi e degli ingegneri del territorio. Tutti accomunati dal comprendere come, dove, quando e perché si originano gli incendi e quali ne siano le conseguenze. L’argomento «incendio» può essere trattato attualmente all’insegna dei cambiamenti a scala globale: nella modalità di pressione sul territorio da parte dell’uomo; nell’attitudine umana verso l’incendio (visto non soltanto nei suoi aspetti negativi); nelle caratteristiche degli ecosistemi forestali; cambiamenti climatici in atto per l’effetto-serra (aumento delle temperature e conseguente aumento dell’anidride carbonica CO2); alterazioni positive e negative nella composizione qualitativa e quantitativa della vegetazione boschiva, nella regione europea temperata: dalle latifoglie all’abete rosso di impianto artificiale. Infine, nella regione mediterranea, l’incendio modifica le caratteristiche della copertura vegetale. Un insieme di trasformazioni che generano a cascata tutta una serie di conseguenze difficilmente quantificabili, da quelle ecologiche a quelle economiche. Argomenti che ormai non interessano soltanto gli specialisti (forestali ed ecologi degli incendi), ma anche la vasta opinione pubblica. Hamburger e bistecche dipendono anche dagli incendi appiccati in Amazonia e in Indonesia. Regioni vastissime dove, al posto della foresta tropicale primaria, sono state create immense piantagioni di soia, alimento per i bovini.

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Bibliografia

William J. Bond & Brian W. van Wilgen, Fire and Plants, Chapman & Hall (London-New York-Tokyo) 1996, 263 pp.

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 27 novembre 2017 • N. 48

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Ambiente e Benessere

Ribes: da frutto o da fiore?

Mondoverde Come coltivare e selezionare questi arbusti da giardino belli e... buoni

Anita Negretti Il vasto genere dei ribes è composto da arbusti che raggiungono solitamente i 100-150 cm di altezza. Per chi desidera ospitarne un esemplare nel proprio giardino, la scelta dovrebbe però tenere in considerazione più che l’altezza, il tipo di peculiarità che la pianta ha da offrire: preferire i ribes classici da bacca come il ribes rosso od orientarsi su un ribes da fiore in grado di portare colore a lungo grazie ai petali dalle tinte brillanti? I primi, quelli da frutto, appartengono alla famiglia delle Grossulariaceae e sono originari dell’Europa centrale. Le foglie portate da un lungo picciolo hanno un margine seghettato a 3 o 5 lobi, una fioritura che passa quasi inosservata ma a cui segue un’esplosione di colore tra giugno e agosto, quando le piccole bacche maturano e sono perfette come spuntino leggero o per decorare gelati e dolci estivi. Tra quelli commestibili troviamo in vendita Ribes rubrum, a frutta rossa e con rami privi di spine. Ha una fioritura tra marzo e aprile con piccoli fiorellini bianco crema e può essere coltivato anche in vaso, purché si rispettino le sue esigenze idriche. Nel periodo primaverile-estivo richiede, infatti, parecchia acqua; indicativamente se posto in pieno sole si innaffierà a giorni alterni con 3 o 5 litri d’acqua in base alla grandezza del vaso e della pianta. Tra le varietà più ricercate troviamo «Rovada» con frutti rosso brillante, medio grande; «Red Lake», molto produttiva e con

Un esemplare di Ribes sanguineum in fiore. (Pxhere.com)

frutti dolci e profumati; e «Perfection», dal gusto deciso e aspro. Ribes rubrum «White Grape» è poco nota e si differenzia per via delle bacche bianche, simili a perle trasparenti e dolci. Tra le particolarità dei ribes da frutto coltivabili nel frutteto o in giardino vi è anche quello nero, Ribes nigrum (Cassis), molto noto per le sue proprietà antinfiammatorie e salutari. I suoi frutti compaiono in luglio-set-

tembre, le foglie e le bacche sono molto profumate per via delle loro ghiandole contenenti oli essenziali. Tra i loro parenti stretti vi sono i ribes ornamentali o da fiore dall’ottima fragranza e dalle corolle che si schiudono a gruppetti o a racemi cascanti da febbraio a giugno. I fiori compaiono sui rami dell’anno precedente quindi bisogna far attenzione alla potatura invernale: se eccessiva, infatti, si rischierà di tagliare le gemme a fiore. Per non sbagliare vi

consiglio di eseguire i tagli di pulizia e di contenimento delle piante di ribes subito dopo la fioritura, nel mese di luglio o agosto. Se non potati, compariranno subito dopo la fioritura delle piccole bacche commestibili ma insapore color giallo o nere. La specie da fiore più appariscente è sicuramente Ribes sanguineum, arbusto caduco dell’America nord-occidentale, senza spine e con fiori rosa in aprile-giugno, che sbocciano prima

della comparsa delle foglie. I boccioli sono penduli, lunghi fino a 15 cm, le foglie sono profumate e la pianta può raggiungere i 250 cm sia di altezza sia di diametro della chioma. Tra le varietà più appariscenti di questa specie troviamo «King Eduard VII» con fiori rosso intenso, «Pulborough Scarlet» rosso scuro, «Koja» dai grappoli lunghi ben 20 cm e «Tydeman’s White» a fiore bianco. Preferite fiori giallo oro? Allora Ribes odoratum farà al caso vostro: senza spine, rustico, caduco, tra aprile e maggio si riempie di fiori color del sole con una vistosa pennellata rossa al centro e dal marcato profumo di garofano. Sia per i ribes da fiore sia per quelli da frutto le cure sono simili: la buca dovrà essere ricca di concime, preferibilmente di origine animale; posizione soleggiata e terreno irrigato di frequente. Al momento della messa a dimora, il cui periodo ideale è l’autunno, con temperature più fresche e con davanti un intero inverno per ambientarsi, incorporate nel terreno del concime granulare per bacche a lenta cessione, da reintegrare ogni 4-6 mesi. Per la potatura, oltre a quella già descritta sopra, si può optare per dei leggeri tagli di svecchiamento durante l’autunno o il tardo inverno. Fruttificando sui rami di almeno due anni, non bisognerà accorciarli tutti, ma solo alcuni, fin dalla base, cercando di equilibrare i rami giovani con quelli maturi e poco produttivi. Andranno eliminati anche i rami interni alla chioma per favorire una buona aerazione. Annuncio pubblicitario

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Ambiente e Benessere

Specchi infiniti anche in rete

Il fascino del silenzio

Viaggiatori d’Occidente Partiamo verso nuove destinazioni per dare uno sfondo

ai nostri selfie?

Claudio Visentin

Il turista contemporaneo è sempre connesso e senza un buon Wi-Fi pare non ci sia speranza di trattenere il pubblico Warhol era superficiale per definizione, felice di questa condizione: «Se volete sapere tutto su Andy Warhol, guardate solo la superficie: dei miei dipinti, dei miei film e di me, eccomi là. Dietro non c’è niente». Il problema è che nell’era dei social media la sua celebre provocazione – «Nel futuro tutti saranno fa-

mosi per quindici minuti» – non è mai sembrata così profetica. Gli appassionati d’arte sono solo un esempio, la mania dei selfie è al centro di ogni esperienza turistica. Un viaggio sembra non avere senso se non viene condiviso in tempo reale attraverso Facebook, Twitter o Instagram. E non si tratta solo dei millennial, la generazione cresciuta con la comunicazione, i media e le tecnologie digitali. Se appena un luogo è un poco noto ci trovi persone di ogni età e delle più diverse nazionalità con il bastone da selfie proteso per realizzare la fotografia perfetta: tutte le energie sono impegnate in questo sforzo, sino quasi a dimenticarsi dove sono e perché ci sono andati. È solo un ricordo quella sensazione di lontananza dalla propria terra e dai propri legami un tempo considerata un segreto piacere e una delle maggiori attrattive del viaggio. Il turista contemporaneo è sempre connesso e senza un buon Wi-Fi non c’è speranza di trattenere il pubblico. Un esempio? Il Mandarin Oriental Hotel di Parigi organizza escursioni con autista in auto collegate alla rete, così che nei trasferimenti tra l’una e l’altra visita si possono già postare le proprie foto. Se tutti vogliono farsi un selfie, perché non far pagare il paesaggio? Per ora il comune di Positano, nella costie-

Vincenzo Cammarata

Specchi infiniti è il titolo della nuova mostra di Yayoj Kusama al museo di arte contemporanea The Broad di Los Angeles. Tutti i cinquantamila biglietti disponibili sono stati acquistati nella prima ora di prevendita e ogni mattina davanti al museo si forma la coda per prendere il posto di chi avesse rinunciato, pagando trenta dollari. Non è solo interesse per il percorso creativo dell’artista giapponese di ottantotto anni. Ciascun biglietto d’ingresso, infatti, dà diritto anche a trenta secondi tutti per sé all’interno di una delle sei stanze infinite, tra pareti a specchio, luci Led sfavillanti, zucche di resina illuminate o sfere fluttuanti: insomma lo sfondo perfetto per un selfie. I critici hanno storto il naso davanti a questa trasformazione del museo in una «fabbrica di selfie», ma è stata proprio la diffusione degli smartphone a far riscoprire questa artista, a lungo trascurata dalla critica; e l’apertura ai social media ha spinto The Broad al quinto posto tra i musei su Instagram. Non a caso siamo a Los Angeles, la città dove nulla è autentico; per esempio qui tra poche settimane aprirà un parco a tema dedicato all’inverno, dove ci si potrà anche scattare un selfie

in una gigantesca palla di vetro con la neve, salvo che i fiocchi di neve saranno di… plastica. L’idea sarebbe piaciuta a Andy Warhol quando scriveva: «Amo Los Angeles. Ognuno è di plastica, ma io amo la plastica, vorrei essere fatto di plastica». Proprio Andy Warhol del resto è considerato da molti l’inventore del selfie: di recente è stato venduto all’asta per quasi otto milioni di franchi un suo autoritratto del 1963 – occhiali scuri, camicia, cravatta e impermeabile – scattato con l’aiuto di una macchina per fototessere, considerato il punto di partenza della ricerca di Warhol sulla propria immagine personale.

ra amalfitana, ha imposto una tassa di mille euro sugli usi commerciali dell’immagine dell’antico borgo di pescatori, con le case color pastello declinanti verso il mare; l’uso strettamente privato resta gratuito, ma per quanto? La scelta della meta spesso dipende dalla possibilità di promuovere la propria immagine. È un narcisismo a livello globale, il desiderio di mostrare a tutti cosa stiamo facendo, invece di semplicemente farlo. Il mondo diventa così uno scenario davanti al quale, con studiata disinvoltura, ci mostriamo sorridenti, coraggiosi, teneri o fighi. Al tempo stesso però rischia di andare perduto il significato profondo dei luoghi. Guardo dei selfie scattati davanti alle Piramidi di Giza: con la loro mescolanza di grandiosità, esotismo, mistero, le piramidi sono la prima destinazione turistica del mondo e già i viaggiatori dell’antichità ne erano irresistibilmente attratti. Ma nelle fotografie in rete la loro bellezza è svilita: il disinteresse dei turisti è palese, qualunque altro luogo famoso ed evocativo andrebbe altrettanto bene. La passione per i selfie potrebbe anche indicare una più generale tendenza a preferire le immagini alla realtà, caratteristica del nostro tempo. Alcuni esempi? Per gestire i controlli di sicurezza di oltre ottanta milioni di passeggeri l’anno, l’aeroporto di Dubai sta costruendo per il 2018 un acquario virtuale. I passeggeri in partenza lo attraverseranno e mentre la loro attenzione sarà catturata dai pesci finti ottanta videocamere eseguiranno la scansione dei loro volti e la confronteranno con i dati disponibili. È un’idea intelligente, ma con qualche risvolto inquietante. Anche il tempo speso in volo sarà sempre più occupato dalla visione di serie tv o di altri contenuti di intrattenimento direttamente sui propri smartphone e tablet; una delle compagnie più innovative, Virgin America, sta già muovendo in quella direzione. E su molti voli è già disponibile il Wi-Fi, cancellando così l’ultima oasi di pace tecnologica rimasta: e quindi ancora selfie, invece di guardare dal finestrino le nuvole… Prima o poi, tuttavia, passata l’ubriacatura, dovremo accettare l’evidenza: i selfie non sono la vita, anzi dietro la loro brillante apparenza celano un senso di insicurezza, il desiderio di mostrarsi migliori della realtà, di suscitare invidia. Quando lo avremo compreso, torneremo a essere padroni dei nostri viaggi, padroni del mondo.

Bussole I nviti a

letture per viaggiare

«È una traccia aerea che non ha eguali sulle Alpi. Si sviluppa tra le creste della Val Pogallo, su una quota costante, intorno ai duemila metri. Le creste sono come un’infilata di belvedere: tutt’intorno è spazio, luce, aria. Avanzando, le montagne ai lati mutano, si rimodellano ruotando intorno al loro stesso asse. (…) Da una parte si alza il Monte Rosa, dall’altra il separato gruppo delle Grigne. Si riconoscono in lontananza il Monviso, i denti ghiacciati della Svizzera; gli Appennini sono disposti su una striscia scura in fondo alla pianura, oltre la tavola riflettente del Lago Maggiore. E infine, girando lo sguardo ai piedi delle creste, si apre il sistema della Val Grande…» Se non fossimo troppo impegnati a scattarci dei selfie, potremmo fare scoperte sorprendenti. Per esempio che la Val Grande, alle porte di casa nostra, fra Piemonte e Lago Maggiore, è tornata selvatica. La società pastorale ha concluso la sua millenaria storia di solitudine, lavoro, povertà. Dove un tempo sorgevano centottanta minuscoli villaggi-alpeggio, dove centinaia di famiglie sopravvivevano con parsimonia grazie al legname e al pascolo, non è rimasto nessuno. Niente più campanacci, canti, grida richiami. Gli uomini sono scesi verso il piano, verso le città e in pochi decenni la natura si è ripresa il suo. Ma proprio dalle pianure sono risaliti altri uomini, come Marco Albino Ferrari, affascinati dal silenzio, dalla fatica, desiderosi di misurarsi con la natura per scoprire sé stessi. La loro palestra esistenziale è il Sentiero Bove, la più antica alta via delle Alpi italiane, dedicata allo sfortunato esploratore Giacomo Bove, bloccato dai ghiacci per trentacinque settimane nell’inverno artico; la sua straordinaria vicenda è raccontata davanti al fuoco dei bivacchi nelle pause del cammino attorno alla Val Grande. Bibliografia

Marco Albino Ferrari, La via incantata. Nella natura, dove si basta a sé stessi, Ponte alle grazie, 2017, pp.192, € 13. Annuncio pubblicitario

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Ambiente e Benessere

Una perla della rete svizzera di monitoraggio climatico Riconoscimenti La bisecolare stazione del Gran San Bernardo è stata inserita

nella lista delle Centennial Observing Station dell’Organizzazione meteorologica mondiale

Marco Martucci Due secoli di misurazioni meteorologiche strumentali ininterrotte non sono una sciocchezza. Se a ciò s’aggiunge una posizione ad alta quota nel cuore delle Alpi, allora siamo di fronte a qualcosa di molto particolare, tanto da essere accolta, la prima di poche decine, fra la schiera delle Centennial Observing Station dell’Organizzazione meteorologica mondiale (Omm). L’onore è toccato alla stazione di misura di MeteoSvizzera al Passo del Gran San Bernardo, attiva dal 1817 che, come segno tangibile, ha ricevuto una speciale targa commemorativa a metà settembre: lassù, a 2500 metri d’altitudine, stava già nevicando anche se il freddo non ha tenuto lontano i convenuti (perlopiù meteorologi) all’evento speciale. Con questo riconoscimento ufficiale, l’Omm sottolinea la grande importanza delle stazioni meteorologiche con serie di misura continue durante almeno un secolo: base essenziale per comprendere il clima del passato e del futuro. Iniziatore delle misurazioni meteorologiche strumentali regolari fu il ginevrino Marc-Auguste Pictet, d’illustre famiglia fra i cui membri s’annoverano militari di carriera, politici, scienziati e banchieri. Figlio dell’Illu-

minismo, Marc-Auguste (1752-1822), fisico, meteorologo, astronomo fu, fra le tante sue attività, successore di Horace-Bénédict de Saussure quale professore di filosofia naturale all’Académie de Genève, l’attuale università, e fu anche fra i fondatori della Società elvetica di scienze naturali, membro corrispondente della Royal Society ed era conosciuto a livello internazionale. Nella sua carica di direttore dell’Osservatorio di Ginevra, installò la stazione di misura al Gran San Bernardo, giustamente convinto dell’importanza di misurare anche a quote elevate. Il Passo, che collega il Vallese con la Valle d’Aosta, è caratterizzato, proprio per la sua posizione, da inverni particolarmente rigidi. Dall’inizio delle misurazioni, la temperatura media annua all’Ospizio non ha mai superato gli zero gradi. Il compito di misurare fu affidato ai canonici della Congrégation du Grand-Saint-Bernard, fondata secondo la regola di Sant’Agostino da San Bernardo da Mentone nel XI secolo per aiutare pellegrini, mercanti e viandanti durante la traversata delle Alpi. Giorno dopo giorno, estate e inverno, col vento gelido e sferzante e metri e metri di neve, i canonici misuravano pressione atmosferica, temperatura, umidità, vento e osservavano la nuvolosità, tutto registrando meti-

L’Ospizio al Passo del Gran San Bernardo. Sul sito www. azione.ch altre immagini. (MeteoSvizzera)

colosamente. Gli strumenti dovevano dunque essere solidi e resistenti e alcuni erano fissati alle finestre più alte, per poter essere letti più volte al giorno. Grazie all’impegno assiduo e costante dei canonici del Gran San Bernardo disponiamo oggi di una serie continua di dati, un prezioso tesoro d’informazioni sul clima e i suoi cambiamenti. Da

questa, traspare, per esempio, il deciso aumento della temperatura media negli ultimi trent’anni. Dal 1981 la stazione meteorologica del Gran San Bernardo, parte della rete di rilevamento al suolo di MeteoSvizzera con circa 160 stazioni, è automatizzata ed effettua misurazioni ogni dieci minuti. Ma la presenza dell’uomo resta

indispensabile. Tre volte al giorno, i canonici del Passo compiono osservazioni delle nuvole, del tempo, del tipo di precipitazioni, dell’altezza della neve, completando le misurazioni automatiche di questa stazione meteorologica e climatologica, considerata «una delle perle della rete svizzera di monitoraggio climatico». Annuncio pubblicitario

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 27 novembre 2017 • N. 48

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Ambiente e Benessere

Un pesce dalle uova d’oro

Mondosommerso Un allevamento di storione esiste anche nel cuore delle Alpi, grazie all’energia geotermica

Sabrina Belloni Lo storione è un pesce primordiale e gran parte del suo scheletro è cartilagineo, come quello degli squali, anziché osseo. Appare primitivo e rudimentale anche nell’aspetto esteriore, con le cinque serie di grosse placche disposte longitudinalmente sulla pelle nuda: una dorsale, due laterali e due quasi ventrali, che lo fanno sembrare un animale mitologico. Nonostante queste caratteristiche grossolane e rozze, lo storione ha carisma da vendere. Non solo per le dimensioni imponenti di alcuni esemplari (alcune specie superano ampiamente i tre metri di lunghezza) e per l’astuzia di risalire senza sforzo la corrente approfittando dei vortici che si creano sul letto dei fiumi, con buona pace delle estenuanti fatiche dei pescatori che nei secoli scorsi si cimentavano nella pesca degli esemplari selvatici, armati soltanto di semplici canne robuste, di arpioni e della propria forza muscolare. Il suo fascino è ancestrale, mitologico. Rimanda ai fasti degli Zar russi, alla grandeur delle corti di Luigi XV o di Ludovico Sforza, detto il Moro. Le femmine dello storione, infatti, producono ciò che da sempre è considerato cibo degli Dei: il caviale, da assaporare con cucchiaio di madreperla, servito in coppette di cristallo adagiate su letto di ghiaccio per mantenere la temperatura e non alterare il sapore particolarmente delicato, gustando con tutti i nostri cinque sensi i fasti e gli eccessi di un luculliano banchetto da zarina. Il caviale più prezioso si ottiene dalle sacche ovariche dello storione femmina, tramite accurata manipolazione: piccole e affascinanti sfere lucenti di colore grigio scuro. E pensare che quando lo zar Pietro il Grande portò in regalo a Luigi XV le pregiate uova, questi le sputò sui pavimenti di Versailles, rinnegando ciò che sarebbe divenuto per antonomasia il cibo sinonimo di lusso. Sorte migliore sembra invece occorse al dono che Leonardo da Vinci fece a Beatrice d’Este, in occasione delle nozze con Ludovico Sforza: un preziosissimo scrigno colmo di piccole uova nere, lucenti come perle. Anche le carni dello storione sono apprezzate sin dall’antichità. Già antichi greci e latini si cibavano delle carni bianche, prive di lische; il loro consumo crebbe particolarmente durante il Rinascimento italiano, soprattutto nei banchetti delle corti Gonzaga ed Estensi, sia per la bontà, sia per le virtù che venivano loro attribuite. Lo storione

era, infatti, considerato simbolo di forza, resistenza e vitalità. Attualmente, la maggior parte delle 26 specie viventi in natura si trova nei fiumi russi o asiatici, nel Mar Nero e nel Mar Caspio. Come spesso accade, è stato l’uomo a determinare la rarefazione e la rarità degli storioni selvatici (e conseguentemente del caviale selvatico), oggi tutelati dalla Convenzione di Washington, a causa di una massiccia pesca di esemplari in età riproduttiva e soprattutto della costruzione di dighe e di sbarramenti lungo i grandi fiumi, che impediscono agli animali di raggiungere i siti di riproduzione. A causa dell’esaurimento degli stock naturali, la pesca degli storioni selvatici è quasi scomparsa e l’esportazione di caviale prelevato da animali in natura è proibita. Si è però riusciti a introdurre tecniche di allevamento all’avanguardia nelle ricche acque delle risorgive, equiparabili agli habitat naturali, per non privare i palati sopraffini del «cibo degli Dei». La pesca ha quindi ceduto il passo all’allevamento. L’acquicoltura cinese rappresenta in quantità l’85 per cento della produzione mondiale, seguita dalla Russia e dall’Unione Europea. Mentre in Cina e in Russia gli storioni sono allevati per il consumo delle carni pregiate, in Europa (e specificamente in Italia e Francia) essi sono allevati per la produzione di caviale, oltre che per il ripopolamento delle specie in natura. La filiera dell’allevamento degli storioni per la produzione di caviale è molto più onerosa di quella per il consumo dei pesci. Le femmine più precoci si riproducono solamente oltre i sette anni di età, pertanto nei primi anni di vita l’investimento dell’allevatore non viene retribuito. Inoltre il sesso degli storioni non è riconoscibile a vista, ma si individua tramite una ecografia; tale elemento consente la selezione degli esemplari adatti (scartando i maschi e le femmine inadeguate perché prive di ovario o con ovario immaturo) solamente in età avanzata; conseguentemente il mantenimento in età giovanile di esemplari inadatti alla produzione di caviale (e che quindi saranno destinati al consumo come pesci) è molto rilevante. In pratica, su dieci esemplari, solamente 2,5 hanno un valore commerciale per la produzione del prezioso caviale. Gli storioni selvatici sono dei pesci anadromi, ossia passano la maggior parte della loro vita in mare e compiono lunghe e faticose migrazioni pur di raggiungere i fiumi dove sono nati e ove iniziare il proprio ciclo riproduttivo.

Franco Banfi

proveniente dall’acqua calda che scorre nella galleria di base del Lötschberg

Risalgono la corrente e sondano il letto dei grandi bacini acquiferi tramite i barbigli tattili che si trovano sulla parte inferiore della mandibola, alla ricerca di prede; si cibano di invertebrati, molluschi e più raramente di piccoli pesci. Un tempo nelle acque europee erano presenti lo Storione Cobice e altre due specie che raggiungevano notevoli dimensioni: lo Storione Comune (Acipenser sturio) che misurava due metri di lunghezza e 200 kg di peso, e lo Storione Ladano (Huso huso) il più grande tra tutti (poteva raggiungere i sei metri di lunghezza) e il più pregiato per la produzione di carne e caviale. Lo storione cobice (Acipenser naccarii) è una specie endemica, esclusiva dell’alto mare Adriatico e dei suoi

principali tributari (fiumi Po, Adige, Tagliamento, Piave). Tale specie faceva parte anche della comunità ittica del fiume Ticino, originariamente composta da 36 specie ittiche, oggi invece profondamente alterata data la totale scomparsa di alcune di esse, la forte rarefazione di altre e con la presenza di specie ittiche non autoctone. Con il bando 2010 «Tutelare e valorizzare la biodiversità» è stato finanziato anche un progetto finalizzato alla conservazione dello Storione cobice (A. naccarii) nel Fiume Ticino, che coinvolge il Consorzio Parco Lombardo della Valle del Ticino e l’Università di Milano – Dipartimento di Scienze e Tecnologie Veterinarie per la Sicurezza Alimentare.

Anche in Svizzera a Frutigen, nell’Oberland Bernese, sono allevati gli storioni, oltre a diverse specie di pesci autoctoni. Per l’allevamento è utilizzata l’energia geotermica proveniente dall’acqua calda che scorre nella galleria di base del Lötschberg. L’acqua di ottima qualità a temperatura costante di 18°C è l’ambiente ideale per lo storione siberiano (Acipenser baerii). Contrariamente a molte specie di storioni questa specie non raggiunge mai il mare ma popola solo le acque dolci avventurandosi al massimo nei pressi degli estuari. Peter Hufschmied, ideatore dell’allevamento OONA, ha per questo pensato di allevarla nel cuore delle Alpi, ben lontano da estuari e foci salmastre.

M Festeggiamo e doniamo tutti insieme Natale 2017 Insieme ai suoi clienti, Migros desidera dare il proprio contributo affinché le persone in difficoltà

in Svizzera ricevano sostegno e non trascorrano le festività da sole In Svizzera molte persone trascorrono le feste da soli. Che si tratti di problemi sociali o finanziari, spesso sono questioni economiche a creare difficoltà di relazione. Migros ha quindi deciso anche quest’anno di raccogliere fondi tramite la vendita di cuori di cioccolato. La somma donata, che alla fine dell’anno sarà aumentata di un milione di franchi da Migros, verrà devoluta interamente a Caritas, Heks – Aiuto alle chiese protestanti, Pro Juventute, Pro Senectute e Soccorso d’inverno. Queste organizzazioni caritatevoli hanno dato vita a progetti a lungo termine per aiutare persone abbandonate a sé stesse. C’è chi ad esempio organizza una festa di Natale, un telefono amico per i giovani, un servizio di visita per perso-

I folletti protagonisti della campagna di Natale sono sette.

ne anziane sole e diversi programmi di consulenza e integrazione. Lo spot televisivo di Natale che pubblicizza la campagna di quest’anno, racconta la storia di un piccolo folletto Migros. Dall’interno dello scomparto laser in cui lavora, aiuta le cassiere a scansionare e a inserire gli articoli di Natale Migros a una velocità vertiginosa. Chiuso nel suo piccolo spazio, si sente tutto solo, proprio a pochi giorni dalle feste. Anche a lui piacerebbe festeggiare il Natale. Ma c’è un dettaglio che gli sfugge: anche nelle altre casse vivono dei folletti. Lo spot televisivo inscena il tema «Non lasciamo nessuno da solo» e invita a donare. I sette folletti Migros, tutti diversi fra loro, sono anche audiopersonaggi

da collezionare. Ognuno custodisce una storia avvincente che può essere riprodotta sullo smartphone con l’app Migros Play oppure sul già noto box

Video Il video è visibile qui: https://youtu.be/VBtclZY7G5o

audio di StoryMania. Per ricevere gratuitamente un audiopersonaggio occorre completare un’apposita cartolina con dieci bollini, ognuno dei quali viene consegnato con una spesa minima di 20 franchi. La raccolta dei bollini si svolge dal 21 novembre al 25 dicembre. Oltre a ciò, prosegue la raccolta fondi tramite l’acquisto di cuori di cioccolato del valore di 6, 10 e 15 franchi in tutte le filiali Migros e continua fino al 24 dicembre 2017. È anche possibile effettuare offerte con un versamento sul conto postale per le donazioni 30620742-6. Informazioni

www.migros.ch/natale


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 27 novembre 2017 • N. 48

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Ambiente e Benessere

Sablé con mandorle e zafferano

Migusto La ricetta della settimana

Dessert Ingredienti per circa 40 biscotti: 2 prese di stimmi di zafferano · 2 cucchiai

migusto.migros.ch/it/ricette Per diventare membro di Migusto non ci sono tasse d’iscrizione. Chiunque può farne parte, a condizione che un membro della sua famiglia possieda una Carta Cumulus.

d’acqua · 250 g di burro, morbido · 150 g di zucchero greggio · 2 prese di sale · 25 g di miele cristallizzato · 300 g di farina semibianca · 80 g di mandorle a fiammifero. 1. Pestate leggermente gli stimmi di zafferano in un mortaio. Versate l’acqua e lasciate macerare per circa 30 minuti, poi filtrate e conservate il liquido. Versate l’acqua in una scodella con il burro e lo zucchero. Lavorate gli ingredienti a spuma con uno sbattitore elettrico. Unite il sale, il miele e la farina quindi impastate velocemente fino a ottenere una massa morbida. Incorporate con cautela le mandorle. Formate un rotolo di circa 3,5 cm Ø e avvolgetelo nella pellicola trasparente. Mettete in frigo per almeno 1 ora o in congelatore per 30 minuti. 2. Scaldate il forno a 200 °C. Estraete il rotolo dal frigo e tagliatelo in fette di circa 8 mm di spessore. Trasferite i sablé su una teglia foderata con carta da forno facendo attenzione a non metterli troppo vicini. Cuoceteli al centro del forno per 6-8 minuti, finché si colorano un po’. Fateli raffreddare su una griglia. In una scatola con coperchio, i sablé si conservano per circa 2 settimane.

Preparazione: circa 30 minuti + riposo di circa ½ ore + refrigerazione almeno

1 ora + cottura in forno 6-8 minuti.

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A R T I 23 CAmbiente A R E e Benessere R N E I P S S I A M E D I S T I O

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Otto Luttrop, che «promosse» un giornalista 18

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Sportivamente Ancora due parole per ricordare uno dei più grandi campioni sportivi,

scomparso la scorsa settimana, a 78 anni

(N. 46 - ... dà la sensazione di cadere nel vuoto)

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Alcide Bernasconi Credo che mio padre – che si chiamava Alcide, come me – si convinse in un momento preciso che potessi continuare nella mia nuova professione di giornalista, non solo sportivo, come era il caso ancora negli anni Sessanta. Successe dopo un articolo su Otto Luttrop, il campione di calcio tedesco che tutti invidiavano al Lugano. In quei giorni egli era ricoverato all’Ospedale Civico per una brutta botta a un piede, credo il destro. I tifosi bianconeri erano però dubbiosi: forse l’Otto voleva cambiare squadra, perché le offerte non mancavano.

Diventato ticinese nel cuore, volle rimanere a Lugano quando terminò la sua carriera sportiva Ricordo semplicemente questo episodio, per un necrologio che arriva ultimo, visto che «Azione» non è un quotidiano. I suoi sostenitori, l’hanno avuto sempre nel cuore, citandolo appena possibile anche nel calcio di oggi per le sue cannonate, spesso con punizioni da distanza ragguardevole, oltre che con colpi di testa in cui faceva valere la forza delle gambe in elevazione, e ancora le finte che mettevano fuori gioco gli av-

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«Io sogno di guadagnare settemila euro al mese come il mio papà!» – «Perché tuo papà guadagna settemila euro al mese?». Trova la risposta del bambino rispondendo alle definizione e leggendo le lettere evidenziate. (Frase: 2, 1, 3 5, 3, 2, 2, 5)

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Sudoku EA G RN N I R I G O R Soluzione: GR IA I Scoprire i 3C A 14 15 numeri corretti LH E N GI N da inserire nelleD 18 caselle colorate. I N TO 20 O RAL 23 24 C O 27(N. 46 - ... dà la sensazione di cadere 28 nel vuoto) A R P ` D A` N I E 31 I LS OE L IE 34 S T I A Z C C I A P 36 O AC B A O R 48

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Regolamento per i concorsi a premi pubblicati su «Azione» e sul sito web www.azione.ch

SUDOKU PER

e una delle 2 carte regalo da 50 franchi con il sudoku 45 - Pangolino, ingoiando sassi) 7 (N. 48 - “No, è che (N. anche lui se lo sogna!”)

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ORIZZONTALI 1. Bagna Firenze 4. Quella delle navi non riscalda... 10. Tutt’altro che mesti 11. Recipienti per uso domestico 12. Ettogrammo 13. Permettono l’accesso 14. Davanti al nome del Principe (sigla) 16. Dentro 18. Le tracce più labili 19. Pesci dalle carni pregiate 20. Esprime dubbio 22. Primo cardinale inglese 23. L’indimenticabile Dalla 25. Ha 47 corde 27. Lo sono le pesche mature 29. Monete rumene 30. Priva di lucentezza 31. Le iniziali dell’attore Slater 32. Porzione visibile del dente 34. La sua fuga è pericolosa 35. Annullata, abrogata 36. La magia delle streghe

già molto bene in italiano. A me non restava che fargli gli auguri per correre in redazione a scrivere il pezzo così da rassicurare i tifosi che Luttrop sarebbe rimasto a Lugano. Ma prima doveva rimettersi in sesto. Intanto era entrato nella camera il compagno Lusenti, mentre io, N E diedi L ancora un’occhiata ai uscendo, due giocatori bianconeri. Otto stava I T A togliendosi un’altra volta la fasciatura, per mostrare l’entità del colpo ricevuto A Rcon quella caviglia da film alla gamba, dell’orrore. Lusenti scrollava la testa, I V non era possibile. Chiusi dicendosi che la porta senza far rumore e me ne anR E dai unIpo’ sconsolato. Anch’io ero un tifoso. Credo che Otto apprezzò quell’articolo scritto da uno che non frequentava allora lo spogliatoio dello stadio di calcio, poiché impegnato con gli incontri di hockey e le storie di Lugano e Ambrì Piotta. Diventammo amici, con 5 brevi saluti e qualche 4 impressione 8 scambiati allo stadio. 7 Sono 8 davvero triste: stavolta2 sì, Otto è partito per un viaggio senza ritorno e sono vicino ai suoi famigliari ri4 i bei2momenti che6Otto Lutcordando trop ci fece vivere seguendo la nostra 9 5del cuore. 6 Un 2 campione vero, squadra per il quale, alcuni tifosi, esagerando, avevano coniato un detto, 6 poi 1 fortunatamente dimenticato poiché il Lugano non era chiaramente soltanto il grande 1 3 centrocampista tedesco: «Lu-trop, i altri nagott!».

N. 41 FACILE Schema D E R O G A U L N A L B O L A E T A M A G R O G R A N G O D U E L A R E S C R A M P I G A I G R I D O O A T U L I3 V I 2G N 6 26 Giochi per -FNovembre O“Azione” F da C2017E con R I 6O 3 5 Vinci una delle 3 carteSregalo 50I2franchi il 9cruciverba Stefania Sargentini 1

Cruciverba

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D A N I E L A versari superati con straordinaria ele7 ganza, nonostante il suo fisico possente I S O L E N ma scolpito come quello di una statua 9 greca o romana.8 S T I A Z I Sui dati più importanti della sua 10 11 carriera avrete letto negli scorsi giorni C I A P O T tutto ciò che ha fatto di lui un campio12 13 14 15 16 ne eccezionale. Sebbene fosse diventato O C A R R A un eroe sportivo con la maglia del Lu17 lo 18 19 gano, perfino il «Blick» venerò chiaE S T E R D mandolo «Atom Otto», per quei tiri mi20 21 22 23 cidiali che permisero ai bianconeri di C A R D O R E vincere una Coppa Svizzera nel 1968, 24 25 26 27 battendo a Berna il Winterthur per 2-1. E T N I E O L Ad aprire le marcature fu proprio Otto, 28 29 che trafisse il pur bravissimo portiere B U I O S T O Caravatti, che, guarda un po’, era di Lugano. Il raddoppio lo firmò Simonetto Simonetti. Era una bella squadra con i vari (N. 47 - De Gaulle, Grande Asparago) Prosperi, Coduri, Pullica, Signorelli, Vito Gottardi e il funambolico «Cens» 1 2 3 4 5 Brenna, allenata dallo zurighese Louis Maurer. Un Lugano che giunse perfino Otto Luttrop attorniato dai a un soffio dalla conquista del titolo, ne6 7 suoi8fan dopo una partita del 1970. (Keystone) 2 gatogli dall’agile Künzli dello Zurigo che sfruttò un erroraccio difensivo proCoppa delle Coppe10affrontò il BarcelloOtto, che soffriva chiaramente, ri9 6 1 prio sul campo luganese. na. Ricordo che Otto, nell’andata a Cor- uscì comunque a sorridere mentre con Anche per questo fatto, penso che naredo, colpì12 di proposito un avversario cura svolgeva il bendaggio per mostra11 8 di al7 i tifosi luganesi (si contarono fino a die- fastidioso con un pedatone sul sedere, mi la caviglia colpita in5 una gara cimila spettatori di dopo un lenamento. Impressionante! Era di un 13 in 14alcune 15 partite 16 17battibecco a centrocampo. 7 a cartello attorno al campo di CornareMa torniamo al mio primo incon- viola intenso, con tutte le sfumature do!) credessero tro margine. Chissà quando avrebbe po18 che l’Otto, giustamente 19 a tu per tu col grande campione, che ambizioso, volesse cambiare squadra valse a mio padre un bel po’ di compli- tuto tornare in campo, il nostro eroe 5 per conquistare menti… Al campione tedesco spiegai preferito, che pure sembrava d’acciaio. 20 un altro titolo nazio21 nale dopo un campionato e una Coppa il motivo della mia visita: scrivere cosa «Mah, non lo so neppure io. A questo vinta col Monaco 1860, e dopo23 la bella c’era di vero nelle voci di una sua proba- proposito i medici non mi hanno an22 24 Coppa Svizzera vinta col Lugano che in bile partenza. cora detto nulla». Otto si esprimeva

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VERTICALI 1. Passano da parte a parte 2. Abile tessitore 3. Lettera dell’alfabeto greco 4. Non ne mangiava Hitler 5. Il suo quarto è due 6. Devote 7. Preposizione francese 8. Alea 9. Si alzano dopo la partenza 11. Residenza e seguito del sovrano 13. Canto greco dedicato ad Apollo 15. Preposizione articolata 17. Può essere del Cancro e del Capricorno 18. Grossa borsa 20. Un ruminante 21. Un indumento 23. Nome femminile I premi, cinque carte regalo Migros del valore di 50 franchi, saranno sorteggiati tra i partecipanti che avranno fatto pervenire la soluzione corretta entro il venerdì seguente la pubblicazione del gioco.

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24. Il nome dello scrittore Wilde 24 25 27 26. Figura tra le carte 26 28 29 27. Interrompe i programmi tv... 28. Pronome personale 30. Danno un punto a scopa 33. Il nucleo del SoleGrande Asparago) (N. 47 - De Gaulle, 34. In genere... sono estremi 1

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I vincitori 9

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Vincitori del concorso Sudoku 23 su «Azione 46», del 13.11.2017 26 T. Susann, R. Montemezzani

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 27 novembre 2017 • N. 48

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Politica e Economia Viaggio Apostolico In Asia Papa Francesco incontrerà i musulmani di etnia rohingya e Aung San Suu Kyi

È morto Totò Riina Il boss della mafia siciliana è morto in carcere dove era rinchiuso dal 1993. Porterà con sé nella tomba i tanti segreti di Cosa nostra e dei suoi legami con lo Stato italiano

Un tetto ai costi della sanità Uno studio di esperti internazionali mette sotto la lente il sistema sanitario elvetico

Un’iniziativa insidiosa Riflessioni attorno alla Vollgeldinitiative, che vorrebbe lasciare solo alla BNS la facoltà di creare moneta pagina 34

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La bandiera Estelada nelle vie di Barcellona durante una manifestazione proindipendenza. (AFP)

Oggi in Spagna domani chissà Caso catalano Le elezioni del 21 dicembre, destinate a varare il governo della Generalitat, non riusciranno

a curare la ferita aperta con il referendum del 1. ottobre. Anche nel quadro degli equilibri continentali Lucio Caracciolo Il 21 dicembre si svolgono in Catalogna le elezioni regionali destinate a varare il nuovo parlamento e quindi la Generalitat, ovvero il governo della più importante comunità autonoma della Spagna, centrata su Barcellona. Il voto non potrebbe avvenire in condizioni peggiori. Il governo di Madrid, guidato da Mariano Rajoy, esponente del Partito popolare (centro-destra), ha infatti commissariato la regione ribelle, il cui parlamento aveva proclamato a stretta maggioranza l’indipendenza, violando così la costituzione spagnola. Ciò in base all’esito del referendum – anch’esso illegale secondo Madrid – con cui il 1. ottobre il 90% dei votanti (43% del corpo elettorale) si era espresso per la secessione. Il commissariamento della Catalogna ha quindi bloccato l’indipendenza, portato all’arresto dei principali esponenti indipendentisti catalani e all’autoesilio dell’ultimo presidente della Generalitat, Carles Puigdemont, attualmente in Belgio a cercare l’appoggio – che non ha e non avrà – delle istituzioni comunitarie e di alcuni paesi europei.

Il tutto in un clima di forte tensione, con l’annunciato cambio di sede delle principali banche e aziende catalane, oltre alle continue manifestazioni di piazza dei fronti separatista e spagnolista, che dividono circa a metà l’opinione pubblica catalana. Il risultato del 21 dicembre forse non cambierà di molto i rapporti di forza all’interno del parlamento catalano, anche se la Esquerra Republicana, partito storico del catalanismo, dovrebbe superare ampiamente la formazione indipendentista di centro-destra guidata (dall’estero) da Puigdemont, mentre gli estremisti di sinistra della Cup, anch’essi secessionisti, potrebbero avvicinarsi al 10%. Alla fine gli indipendentisti potrebbero avere una minima maggioranza in parlamento, oppure perderla a favore degli spagnolisti, tra i quali, oltre al Ppe, si segnala la crescente influenza di Ciudadanos (centristi catalani ma filo-Madrid). Insomma, quasi un nulla di fatto. In ogni caso, la ferita resta aperta e non esistono ricette per curarla efficacemente e rapidamente. Giacché non si tratta affatto di una disputa economica,

quanto di un conflitto identitario. È ormai oltre un secolo che in un modo o nell’altro i catalani hanno dato vita a movimenti prima regionalisti, poi fortemente autonomisti, infine separatisti, repressi con particolare vigore nel periodo di Franco, in nome della loro diversità nazionale. Oggi il secessionismo illegale – insomma, la rivoluzione – proposto con notevole dilettantismo da Puigdemont e associati ha rafforzato coloro che a Madrid vorrebbero dare una stretta agli autonomismi che storicamente organizzano, dal 1978, i delicati equilibri di uno Stato con troppe nazionalità (catalani, baschi, galiziani su tutti). Le cancellerie europee sono con Madrid perché temono l’effetto domino. Se la Catalogna parte, questo potrebbe dare nuova linfa ai secessionismi espliciti, come il fiammingo o lo scozzese, ma anche a quelli latenti, come il bavarese o il veneto. Insomma, il vaso di Pandora si spaccherebbe in mille pezzi. Bisogna anche considerare che la Catalogna dei catalanisti va molto al di là di quella riconosciuta da Madrid

e inglobata quale comunità autonoma nel suo spazio sovrano. In molti catalani, specie nazionalisti di sinistra, vive la rappresentazione geopolitica del Pi de les Tres Branques, marchio (geo)grafico dei «paesi catalani» («països catalans»), i quali ricamano nei rispettivi stendardi e gonfaloni variazioni araldiche della senyera real, bandiera dei re d’Aragona e conti di Barcellona. Il «pino a tre rami» – ma la ramificazione è assai più folta – comprende lo storico Principato di Barcellona, composto dalla Comunità autonoma di Catalogna (già autoproclamata repubblica), dalla quasi totalità del dipartimento francese dei Pirenei Orientali (la Catalogna Nord dei catalanisti), dalle Baleari e dalla Comunità Valenzana. Inoltre, la Frangia d’Aragona; il Principato di Andorra, indipendente; El Carxe, nella Regione di Murcia; l’Alguer, ovvero l’italiana Alghero, nel Nord-Ovest della Sardegna, dove aveva sede un distaccamento della Generalitat, fatto sgomberare dalla Spagna. Spagna, Francia, Andorra e Italia: quattro Stati europei coinvolti nel pancatalanismo risorgente. Non solo spiritualmente. Un drappello di sardisti

filocatalani è sbarcato a Barcellona in soccorso dei confratelli durante il referendum del 1. ottobre. I nord-catalanisti di Perpignano, dopo aver stampato milioni di schede referendarie trasportate clandestinamente oltre i Pirenei, hanno offerto senza successo una magnifica villa all’eventuale «governo in esilio», rifugio per il «loro» presidente Carles Puigdemont. Né sarà sfuggito alle autorità di Parigi come durante gli scontri che il 26 ottobre hanno accompagnato la visita di Emmanuel Macron nella Guyana francese in subbuglio alcuni autonomisti franco-amazzonici sventolassero a Caienna la bandiera catalana. Prodigi dell’interconnettività no-global. Troppo spesso declassata a folklore, salvo poi sorprendersi delle sue eruzioni. Ecco perché il caso catalano, lungi dal ridursi a disputa intraspagnola, è destinato a ripercuotersi sugli equilibri continentali in una fase in cui la stessa Germania, centro geoeconomico del continente, vive una crisi politica senza precedenti. Parafrasando un motto antico: «Oggi in Spagna, domani in Europa»?


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 27 novembre 2017 • N. 48

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Politica e Economia

Le spine del nuovo viaggio

Il Papa in Asia Tappa in Myanmar (Birmania) ma non in India

Giorgio Bernardelli Il Myanmar, nel mirino della comunità internazionale per la durissima repressione nello Stato di Rakhine e il drammatico esodo dei profughi Rohingya. E poi il vicino Bangladesh, che mette insieme radicalismo islamico, emergenza climatica e lavoro in condizioni di semi-schiavitù, tre delle grandi piaghe del mondo di oggi. Bastano pochi tratti per capire quanto si annunci delicato il viaggio internazionale di papa Francesco che da lunedì 27 novembre lo porterà in Asia. Le difficoltà sono iniziate molto presto per questa nuova iniziativa di Bergoglio. Va ricordato, intanto, che per strada si è perso il Paese geopoliticamente più importante: era stato infatti il Papa stesso, durante una delle sue conferenze stampa in aereo, ad annunciare un anno fa l’India insieme al Bangladesh tra le sue prossime mete. Per New Delhi c’era anche una ragione molto pratica: i vescovi locali avrebbero voluto tenere a Calcutta la canonizzazione di Madre Teresa, celebrata invece da papa Francesco a Roma nel settembre 2016 nell’ambito del Giubileo della misericordia. Il viaggio sarebbe dovuto essere, dunque, una sorta di secondo atto rispetto a quell’evento. Ma a rendere l’ipotesi impossibile sono stati i rapporti difficili tra la Chiesa cattolica locale e il premier nazionalista Narendra Modi, accusato dai cristiani di troppa indulgenza nei confronti dei movimenti fondamentalisti indù. Quegli stessi movimenti a cui vengono attribuite le crescenti azioni violente contro chiese e proprietà dei cristiani, accusati di «proselitismo» soprattutto per le loro attività in favore dei fuori casta e dei tribali. Accantonata dunque l’ipotesi India, un po’ a sorpresa accanto al Bangladesh nell’agenda del Papa è spuntata la tappa in Myanmar. Meta del tutto inimmaginabile fino ad appena qualche anno fa. Sarà la prima visita in assoluto di un Pontefice in un Paese dalla storia recente travagliata e dove però i cristiani sono una minoranza significativa (intorno al 7% della popolazione). Una Chiesa che ha guardato con speranza alla lenta transizione che vede oggi la storica leader della Lega nazionale per la democrazia – la premio Nobel per la pace Aung San Suu Kyi – condividere il potere con i generali dell’ex giunta militare, dopo aver vinto le elezioni politiche del 2015. Alla fine di agosto, però, proprio mentre questo viaggio di Francesco veniva annunciato, il quadro si è notevolmente complicato con il riesplodere della questione Rohingya, la minoranza musulmana che vive nello Stato occidentale di Rakhine e che Yangon considera essenzialmente una presenza straniera in un Paese a schiacciante maggioranza buddhista. Alcune azioni di un gruppo indipendentista locale ha

scatenato una controffensiva dell’esercito birmano, che non ha fatto distinzioni tra gruppi combattenti e civili. Testimonianze parlano di interi villaggi bruciati e violenze indiscriminate che hanno spinto centinaia di migliaia di Rohingya a fuggire nel territorio del vicino Bangladesh. Che a sua volta – però – non ha intenzione di farsi carico di queste popolazioni e le tiene confinate in campi profughi nella fascia a ridosso del confine. Oggi si tratta di una grande emergenza umanitaria con 800 mila persone che vivono in campi profughi in condizioni estremamente precarie. Una situazione che ha portato il Myanmar a finire sotto accusa di fronte all’opinione pubblica mondiale; ci sono state persino petizioni per chiedere il ritiro del premio Nobel per la pace ad Aung San Suu Kyi, accusata di complicità coi generali riguardo a questa «pulizia etnica». Da parte sua lo stesso papa Francesco non è rimasto indifferente a quest’ondata di profughi: il Pontefice ha lanciato personalmente un appello pubblico in favore dei Rohingya. Cosa che, però, non è piaciuta affatto alle autorità del Myanmar e men che meno ai gruppi più nazionalisti della galassia buddhista locale, che hanno iniziato a dire apertamente che Francesco non era più il benvenuto nel Paese. Lo stesso arcivescovo di Yangon, il cardinale Charles Bo, è intervenuto pubblicamente per suggerire al Pontefice di non utilizzare il termine Rohingya, ma l’espressione «minoranze musulmane dello Stato di Rakhine», come si è soliti definirle in Myanmar. Del resto va aggiunto che il mosaico etnico del Paese è da sempre un nodo problematico per Yangon e che i Rohingya stessi non sono l’unica popolazione a trovarsi oggi a fare i conti con la repressione dell’esercito birmano; anche negli Stati orientali ci sono scontri e frizioni con i Karen e gli Shan, due minoranze tra le quali si conta anche un discreto numero di cristiani. In un contesto così complicato è facile prevedere che Francesco si muoverà con prudenza, lanciando sostanzialmente un appello alla riconciliazione nazionale. Tenendo presente anche che il Myanmar oggi si muove nell’orbita della Cina e dunque anche da Pechino si studieranno con grande attenzione le mosse del Pontefice. Due saranno i momenti chiave in questo senso: martedì 28 la visita ai Naypyidaw, la nuova capitale voluta dalla giunta militare all’inizio degli anni Duemila, dove avverrà anche l’incontro con Aung San Suu Kyi: e poi mercoledì 29 la Messa al Kyaikkasan Ground, il grande parco di Yangon dove sono attesi almeno 100 mila fedeli. Non meno delicata la seconda parte del viaggio, quella che da giovedì 30 a sabato 2 dicembre vedrà Bergoglio fare tappa a Dakha in Bangladesh. In questo

caso sarà la visita a un grande Paese a maggioranza islamica (160 milioni di abitanti), dove i cristiani sono appena lo 0,6% della popolazione. Viaggio nel cuore di quella frontiera inquieta che è l’islam dell’Asia meridionale; uno degli angoli del mondo su cui il radicalismo jihadista, in fuga dall’Iraq e dalla Siria dopo la fine del sedicente Califfato, oggi fa più affidamento. Del resto sono decenni che – complici le generose sovvenzioni dal Golfo Persico – l’islam locale tradizionalmente sufi è sfidato dalla presenza sempre più massiccia di predicatori legati alle correnti salafite. Gruppi che si sono saldati ai movimenti jihadisti locali, in un intreccio pericoloso di cui la strage dell’Holey Artisan Bakery, costata la vita nel luglio 2016 a 24 persone tra cui 9 italiani, è stata la punta di un iceberg fatto di una serie molto più lunga di omicidi e violenze che hanno colpito soprattutto blogger e intellettuali laici locali. Alla luce di tutto questo sarà molto importante l’incontro interreligioso ed ecumenico per la pace che papa Francesco terrà nel pomeriggio di venerdì 1 dicembre nei giardini dell’arcivescovado di Dakha. Insieme all’incontro del giorno successivo con i giovani, vero e proprio banco di prova in Bangladesh per la sfida di offrire alternative convincenti al virus del radicalismo. Tutto questo senza dimenticare gli altri temi caldi: ad esempio la questione del lavoro in un Paese dove appena quattro anni fa la tragedia del Rana Plaza, con il crollo della fabbrica con le sue oltre 2500 vittime, ha posto davanti agli occhi di tutti le contraddizioni del modello economico che sforna qui abiti low cost per conto dei marchi più popolari oggi nel mondo. Dietro ai prezzi bassi ci sono spesso condizioni di lavoro inaccettabili, che in taluni casi arrivano letteralmente a uccidere. E poi la sfida del cambiamento climatico: in un Paese come il Bangladesh, posto sul delta dei grandi fiumi, non è più un’ipotesi per dibattiti accademici ma una realtà con cui già oggi ci si trova a fare i conti. Ogni anno che passa le inondazioni si fanno più violente e con effetti anche a lungo termine, confermando come i poveri siano anche in questo caso i primi a pagare il prezzo delle scelte troppo timide della politica nel fare i conti con questioni come la riduzione delle emissioni di gas inquinanti nell’atmosfera. E anche questo contribuisce ad alimentare il flusso delle migliaia di migranti che ogni anno partono dal Bangladesh in cerca di fortuna ai quattro angoli del mondo. Lontana dai riflettori, dunque, Dhaka già oggi è una delle grandi megalopoli del mondo, più vicina alle nostre vite di quanto pensiamo. La visita di papa Francesco è un’ottima occasione per accorgersene. E capire che il nostro futuro – ci piaccia oppure no – passerà anche da qui.

Rifugiati rohingya verso il campo profughi di Balukhali dopo aver attraversato la frontiera con il Bangladesh. (AFP)

Balochistan, l’altro Tibet dimenticato Mehran Marri F ermato (per errore?)

all’aeroporto di Zurigo con tutta la sua famiglia il rappresentante Onu dei baluchi, l’attivista che denuncia il genocidio nella più grande provincia del Pakistan Francesca Marino Sei uomini circondano la famiglia all’aeroporto: marito, moglie e due bambini, di quattro e di sette anni. I quattro vengono portati in un ufficio nelle vicinanze, dove all’uomo viene notificato un documento in una lingua che non conosce, e gli viene chiesto di firmare. Di chiamare un avvocato o l’Ambasciata non se ne parla proprio. Uno dei bambini è ammalato, non viene permesso alla madre di aprire i bagagli per prendere le medicine. Vengono prese foto segnaletiche di tutta la famiglia, inclusi i bambini. I quattro vengono trattenuti per dodici ore, senza cibo né acqua e infine espulsi dal Paese. No, non è l’ennesimo racconto dal Pakistan o dall’Iran, non è neanche successo alla frontiera degli Stati Uniti a qualcuno proveniente dall’Iran: siamo a Zurigo, e la famiglia è quella di Mehran Marri (foto), rappresentante per i diritti umani dei baluchi alle Nazioni Unite. Le autorità svizzere hanno notificato a Mehran un documento che lo bandisce dalla Svizzera, e gli nega quindi la possibilità di parlare come d’abitudine alla Commissione per i Diritti Umani delle Nazioni Unite, per i prossimi dieci anni. Facendo un favore, un grossissimo favore a Islamabad che è chiaramente dietro il provvedimento in questione. Provvedimento che viola ogni pur minima pretesa di legalità e che porta in ogni riga il marchio dei servizi segreti pakistani. Il nome, anzitutto: il provvedimento è a nome di Mehran Baluch, nato in Pakistan. Mehran Marri (e non Baluch) è nato in Afghanistan, è cittadino britannico e con il Pakistan non ha nulla a che vedere. I dati suddetti sono in genere adoperati dall’Isi per cercare di mettere le mani su una delle voci più attive e più visibili nel denunciare le violazioni di legalità e diritti umani in Balochistan. Mehran viene accusato di essere a capo di una inesistente organizzazione terroristica, anche questa in uso alla narrativa dell’Isi, e soprattutto di aver sposato la sorella di Brahumdagh Bugti, considerato dal Pakistan un pericoloso terrorista. Strano ma vero, però, nessuno tocca Brahumdagh, che per inciso aveva quindici anni l’ultima volta che è stato in Pakistan: Brahumdagh Bugti vive da anni a Ginevra, e gli è solo stato vietato di svolgere attività politica. Sono state cancellate d’ufficio dal governo svizzero, però, tutte le prenotazioni d’albergo effettuate a nome di altri leader baluchi che dovevano incontrarsi a Zurigo per concertare una strategia comune cercando di portare all’attenzione internazionale lo stato in cui da sempre vive la popolazione baluchi. Un altro Tibet, ignorato dai più. La verità è che il Pakistan è sul piede di guerra a causa delle ricorrenti campagne appar-

se sui muri di Ginevra e dopo su taxi e autobus di Londra: Free Balochistan, liberate il Balochistan. Ginevra aveva, al contrario di Londra, giustamente ignorato le proteste di Islamabad in nome della sacrosanta libertà di espressione. L’Europa non è il Pakistan, giusto? Ma evidentemente Islamabad e i suoi servizi segreti hanno altre frecce al loro arco per convincere le autorità di un qualunque paese europeo a comportarsi alla loro maniera. Nel documento notificato a Mehran si legge infatti che la sua presenza potrebbe «incidere sulle buone relazioni» tra la Svizzera e il Pakistan. Sarebbe interessante capire come. Ma una cosa è certa: agire in violazione così patente della legalità nei confronti di quattro cittadini europei non è cosa da prendersi alla leggera in nessun senso e costituisce un pericoloso precedente. La moglie e i bambini di Mehran sono stati illegalmente detenuti e schedati, visto che non c’erano accuse a loro carico. Tenere due bambini piccoli per dodici ore senza acqua né cibo è contrario a ogni norma di decenza e di umanità, non è soltanto illegale. Notificare un provvedimento su informazioni non verificate e non corrette, in una lingua sconosciuta a chi lo riceve e senza la presenza di un legale è contrario a ogni norma di diritto. Tentare di estradare in Pakistan un oppositore politico del governo, che riveste una carica più o meno ufficiale alle Nazioni Unite non solo viola il diritto internazionale, ma significa mandare a morte certa, e prima alla tortura, un essere umano. Di recente il governatore, al soldo del governo, del Balochistan ha dichiarato che l’unica soluzione possibile nella provincia è il genocidio: sterminare tutti gli oppositori così da avere mano libera nello sfruttamento della regione. Il genocidio è già in atto da anni, e non si ferma nemmeno davanti a donne e bambini. Migliaia di persone scomparse, fosse comuni, corpi torturati e abbandonati poi ai bordi delle strade sono soltanto alcune delle cose che Mehran Marri denuncia da anni instancabilmente alla Commissione Diritti Umani e al mondo intero. Se noi, l’Europa, accettiamo di spegnere la sua voce e quella di altri come lui, se accettiamo di togliere i manifesti dalle strade e dagli autobus, se accettiamo di rendere «flessibili» i nostri standard in fatto di legalità e diritti umani, se distogliamo lo sguardo da quello che accade in Balochistan o in altri posti del mondo, siamo peggio che testimoni silenziosi. Siamo complici. Annuncio pubblicitario

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 27 novembre 2017 • N. 48

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Politica e Economia

La fine di ogni Cosa

Salvatore Totò Riina Il capo dei capi della mafia siciliana, che era arrivato a dichiarare guerra allo Stato italiano,

è morto in carcere portando via con sé molti segreti

Alfio Caruso Adesso riposano assieme a Corleone in questo singolare Famedio del Male: Michele Navarra, Luciano Leggio, Calogero Bagarella, Bernardo Provenzano, Totò Riina. Un medico e quattro semianalfabeti braccianti agricoli, capaci però di sconvolgere il corso dell’Italia repubblicana. Nel 1944 Navarra è il quarantenne medico condotto dell’antico bastione normanno, dal quale si controlla l’accesso agli aranceti della Conca d’Oro e alla polverosa strada statale 118, che conduce a Palermo. Navarra è anche il direttore dell’ospedale, il fiduciario del più grande istituto assicurativo e, grazie alla benevolenza delle autorità militari Usa, le quali hanno regalato i Dodge abbandonati dalle truppe, il fondatore della prima società siciliana di collegamento interurbano. Ma Navarra è soprattutto il capomafia di Corleone: l’hanno aiutato la discendenza parentale e l’attenta gestione del potere tesa ad accontentare gli altri boss locali.

Salvatore Riina era dotato di notevole astuzia e ferocia. Non si fermava davanti ad alcuna empietà Il braccio destro di Navarra è lo scatenato diciannovenne Luciano Leggio, assassino del sindacalista Placido Rizzotto e molto probabilmente pure di Salvatore Giuliano, il più importante bandito del Novecento italiano assurto a fama mondiale grazie alle trame prima dell’Oss e poi della Cia. Proprio nella relazione conclusiva dell’omicidio Rizzotto, risolto dal giovane capitano dei carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa, il cognome è diventato, per un errore di battitura, Liggio. Da latitante Lucianeddu ha raccolto attorno a se i giovanissimi ammiratori, ansiosi d’imitarlo per sfuggire alla miseria e alla fame. Da subito la roba, il suo possesso a ogni costo diventano la stella cometa del gruppetto, che Leggio a metà degli anni Cinquanta raduna in un casolare dei boschi della Ficuzza per avviare il florido commercio della macellazione clandestina. Li uniscono rapporti di sangue, di amicizia, di vicinato. Abbondano i nipoti e i cugini di Leggio con l’aggiunta dello zio Leoluca nel ruolo di saggio: il suo sodale più caro è Giacomo Riina pronto a suggerire l’arruolamento del nipote Totò appena scarcerato con considerevole sconto di pena per l’omicidio commesso nel 1949. «U curtu» ha alle spalle un’infanzia di lacrime e povertà culminate con la morte, nel 1940, del padre e del fratello Giuseppe mentre tentavano di estrarre l’esplosivo da una bomba. Riina porta con sé il fratello minore Gaetano a sua volta sponsor di un coetaneo dai prolungati silenzi, Bernardo

Provenzano. Apre la bocca soltanto per chiedere se può far entrare nel giro un picciotto di valore, che ha nel cuore, Calogero Bagarella. Questi si presenta accompagnato dal fratellino con i pantaloni corti, Leoluca. Per dirla con Mao, l’assalto al cielo può cominciare. E i corleonesi, definiti i «viddani» per la bassa estrazione sociale, maoisti a loro insaputa lo risultano anche in altri aspetti. Sono i proletari della mafia, convinti che il potere cammini sulle canne dei fucili; si muovono dalle campagne per impadronirsi delle città; ne ammazzano cento per educarne dieci (Mao più moderato suggeriva di ammazzarne dieci per educarne cento). Il primo da eliminare è Michele Navarra, se ne occupa Leggio. È il via a una sanguinosissima guerra civile corleonese terminata nel 1963 con lo sterminio di tutti i nemici del clan. Sparatorie, fughe, morti favoriscono un rapporto assai stretto fra Bernardo Provenzano e Totò Riina. Vengono promossi ad angeli custodi di Leggio, dopo la sua cattura del ’64, dentro il letto della fidanzata di Rizzotto, e la clamorosa assoluzione del ’69. I due procedono appaiati, però non sono amici. Riina è dotato di notevole astuzia e di una ferocia che non si ferma dinanzi ad alcuna empietà. Provenzano è stimatissimo per l’abilità con le armi, «spara come un dio», ma a causa del carattere introverso gli attribuiscono il «cervello di una gallina». Lo crede pure Riina: non avendo voglia di rischiare la pelle delega le missioni punitive a Provenzano, «che tanto non capisce». Viceversa Binnu «u tratturi» capisce a tal punto che dopo la conquista di Palermo e l’asservimento della Sicilia preferisce ritagliarsi un ruolo appartato per non suscitare improvvise gelosie. Trasferisce la famiglia dal fratello in Germania, anch’egli vi trascorre molti periodi lontano dalla furia sanguinaria del compare impegnato in un selvaggio repulisti a scapito delle rinomate famiglie mafiose su piazza dall’Ottocento, Bontate, Inzerillo, Badalamenti, Greco, Di Maggio, Spatola. Gli amici scoprono che a Riina, quando non si corrono pericoli, piace strangolare le vittime con le proprie mani pronunciando una sorta di sentenza: «Acca finisce ’a storia». Provenzano, viceversa, preferisce dedicarsi alla compilazione delle liste elettorali attraverso il rapporto privilegiato con Vito Ciancimino, il figlio del barbiere di Corleone, che gli dava ripetizioni di aritmetica e si vanterà sino alla morte di esser stato l’unico ad avergli rifilato più di una sberla quando sbagliava le operazioni. Per un ventennio Riina esercita una supremazia assoluta; asservisce politici, industriali, professionisti, funzionari pubblici; le vaste protezioni gli permettono prima di sposare l’eterna fidanzata Ninetta Bagarella, in seguito di far nascere i quattro figli nella più lussuosa clinica palermitana e di denunciarli all’anagrafe; incassa tangen-

Totò Riina, soprannominato «U curtu» per la sua bassa statura, o Belva per via della sua ferocia, fu arrestato nel 1993. (Keystone)

ti in ogni provincia dell’isola su ogni appalto, su ogni concessione, su ogni compravendita. Durante un festeggiamento bagnato dall’amato champagne «mosciandonne» si bea di riscuotere tasse come lo Stato. È sicuro di esserne una controparte dotata di eguali poteri e in grado di contrattare qualsiasi provvedimento. A cambiare il corso della cronaca è la nomina di Falcone, nel 1991, a direttore generale degli Affari Penali del ministero di Grazia e Giustizia. In pochi mesi Falcone riporta in galera i mafiosi liberati dall’ennesimo verdetto favorevole della Cassazione e per di più sottrae i processi alla sezione presieduta dal giudice Carnevale, implacabile demolitore di qualsiasi condanna. Riina imbelva e reagisce nell’unica maniera che conosce: il terrore, le ammazzatine indiscriminate, bambini compresi («Forse che a Sarajevo non uccidono anche i picciriddi?»).

Il vero grande mistero che Riina porterà nella tomba è la strage di Capaci: forse bisognava allontanare il sospetto che l’ordine di uccidere Falcone non fosse venuto da Palermo La serie è aperta da Salvo Lima, il democristiano fedelissimo di Andreotti, cinico gestore per oltre trent’anni dei più perversi intrecci tra mafia, politica, imprenditoria e massoneria. Il

secondo della lista sarebbe il ministro dell’Agricoltura Mannino, invece Riina cambia obiettivo, punta su Falcone. Il trentenne rampante Matteo Messina Denaro guida la squadretta di killer incaricata di farlo fuori a Roma assieme al presentatore televisivo Costanzo, che si salva dal tritolo per una questione di secondi, e al ministro di Grazia e Giustizia, Martelli, troppo protetto. Al contrario, Falcone si muove senza scorta e sarebbe un obiettivo facilissimo. Improvvisamente Riina cambia idea: anziché nella Capitale, dove sarebbe stato facile negare o respingere le responsabilità di Cosa Nostra, Falcone va sotterrato a Palermo con un’assunzione di colpa, della quale sarà comunque pagato un prezzo elevatissimo. Chi convince Riina alla scelta, che decreterà la fine del suo dominio? Che cosa gli viene promesso in cambio? Perché in ogni caso non può tirarsi indietro? Ecco il vero, grande mistero che ha portato con sé nella tomba. La strage di Capaci («l’attentatuni») assume una dimensione terroristica: soltanto la fortuna restringe il numero delle vittime a cinque. L’eliminazione di Falcone ha come conseguenza l’obbligatoria eliminazione di Borsellino, l’erede, il confidente, l’unico a conoscenza dei suoi segreti. E noi possiamo soltanto immaginare che riguardassero il consueto impasto di complicità inconfessabili fra re di denari, mafiosi, agenti dei servizi segreti, apparati dello Stato. Addirittura in via D’Amelio, secondo Leoluca Bagarella, il cognato e l’esecutore più spietato, Riina avrebbe subìto le decisioni altrui, si sarebbe limitato a fornire

la Fiat 126 imbottita di esplosivo, che macellò Borsellino e i cinque agenti di scorta. Venticinque anni dopo sono ancora ignoti il luogo, in cui si posizionò il killer con il timer e la sua identità. Una simile sfida allo Stato non poteva che essere persa. Sull’ingabbiatura di Riina incidono le indagini dei carabinieri, seppure fra diverse ambiguità, e la voglia di Provenzano di sfruttare la situazione per ascendere al trono. La sua Cosa Nostra finisce di essere un’emergenza nazionale, s’inabissa occupandosi soltanto degli affari, ligia alla regola aurea sancita da Tano Badalamenti prima della fuga: «La mafia per prosperare dev’essere sempre governativa, come la Fiat». A Riina tocca assistere da una cella di massima sicurezza e nel massimo rigore all’epilogo del suo folle sogno di Antistato. Rifiuta qualsiasi accenno di collaborazione nella speranza di salvare la roba, ne è stata rintracciata pochissima. Il suo nome viene usato dagli aspiranti eredi per legittimarsi, benché la sua influenza da dietro le sbarre sia quasi nulla. Se la prende con il pupillo di un tempo, Messina Denaro, accusato di pensare soltanto ai propri interessi («le sue pale eoliche, saprei io dove infilargliele…»). Ammesso che sia vivo, è difficile che Messina Denaro possa esserne il successore. La nuova mafia, demolita da vent’anni di arresti e di decessi, non riuscirà a conservare l’unicità che ne aveva decretato il successo dal 1970 agli arresti eccellenti del 2006-2008. Forse è cominciata la parabola discendente come predetto da Falcone: «Non c’è cosa che non abbia sempre la sua fine». Annuncio pubblicitario

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 27 novembre 2017 • N. 48

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Politica e Economia

L’economia del calcio La consulenza della Banca Migros Aline Martinoli

Aline Martinoli è specialista in comunicazione online alla Banca Migros

Il trasferimento del campione brasiliano Neymar dall’FC Barcellona al Paris St. Germain (PSG), andato in porto quest’estate per una cifra di 222 milioni di euro, rilancia il dibattito sulle enormi somme pagate per la cessione dei giocatori di calcio. Grazie al Financial fairplay, le crescenti spese per gli stipendi e i trasferimenti dovrebbero risultare proporzionate alle entrate dei club calcistici. Il Financial Fairplay (FFP) è il regolamento dell’Unione delle associazioni calcistiche europee (UEFA) che disciplina la concessione delle licenze di partecipazione alle competizioni UEFA per i club europei. In parole semplici il fairplay finanziario deve assicurare che i club non spendano più di quanto incassano. Un ammanco di 35 milioni di euro in tre anni è considerato legale. Con il caso Neymar l’FFP si trova ad affrontare la prova del fuoco. Un’ulteriore questione è il senso di questo trasferimento in termini economici. Non appare affatto ovvio se si pensa ai 222 milioni di euro spesi per la cessione e ai circa 30 milioni di euro di stipendio annuo. Del resto, diverse entrate potenziali legate alla presenza di Neymar non escludono del tutto l’opportunità dell’operazione sotto il profilo economico. La più comune fonte di reddito legata al trasferimento di un giocatore è il fatturato aggiuntivo proveniente dal merchandising. Ad esempio, nell’estate del 2016, dopo aver contrattato Zlatan

Neymar, con la maglia del Paris St. Germain: una gallina dalle uova d’oro? (Keystone)

Ibrahimovic, il Manchester United ha realizzato un incasso di 99 milioni di franchi in sette giorni soltanto con la vendita delle maglie. Non è comunque noto quale sia la ripartizione del fatturato tra i produttori delle maglie e i club. Una parte importante di questo calcolo è costituita dalle entrate aggiuntive legate ai successi sportivi che la capitale francese si aspetta di ottenere grazie a Neymar. Con questo trasferimento il club vorrebbe finalmente riuscire

nell’impresa di vincere la Champions League. Il vincitore della massima competizione europea riceve un premio di circa 60 milioni di euro. Nel conteggio non sono inclusi gli ulteriori proventi dei diritti televisivi pagati dalla UEFA, poiché questi possono subire forti oscillazioni. Un altro valore da considerare, per quanto difficile da quantificare, è la strategia di internazionalizzazione dei club. Con un giocatore famoso in tutto il mondo come Neymar si può aumentare

il valore di mercato dell’associazione. I dati appena illustrati sembrano indicare che l’affare non debba necessariamente risolversi in una perdita. Anche una cessione del giocatore per una cifra non eccessivamente inferiore al prezzo d’acquisto potrebbe giustificare l’investimento. D’altro canto, bisogna considerare che tutte queste potenziali fonti di valore aggiunto sono di natura estremamente speculativa e dipendono in gran parte dal successo sportivo del progetto. Annuncio pubblicitario

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Politica e Economia

Un tetto massimo per i costi della salute

Dibattito Lo propone uno studio di esperti internazionali per il Dipartimento federale dell’interno. Gli attori

del settore reagiscono negativamente. Sarà difficile agire sulla domanda e sull’offerta di cure sanitarie Ignazio Bonoli Tra i vari tentativi messi in atto per cercare di frenare la crescita delle spese della salute, quello annunciato a fine ottobre da un gruppo di esperti sta sollevando un putiferio presso i maggiori interessati. I costi della salute in Svizzera, negli ultimi vent’anni, sono aumentati in media del 4% all’anno. Gli esperti incaricati dal Consiglio federale di analizzare il perché di questa crescita hanno chiaramente detto che quanto fatto finora è un «fallimento sistematico» e che l’intervento per frenare la crescita dei costi è stato «insufficiente e tardivo». Il gruppo di esperti internazionali ha quindi avanzato 38 proposte di intervento, alcune delle quali sono già in atto o in corso di realizzazione, secondo quanto precisato dal consigliere federale Alain Berset: tra gli altri l’esame periodico del prezzo dei medicamenti e degli apparecchi sanitari e la limitazione del numero di studi medici. Inoltre è in atto un trasferimento delle cure ospedaliere «stazionarie» a quelle ambulatoriali. Dal prossimo anno alcuni di questi trattamenti saranno obbligatoriamente effettuati a livello ambulatoriale. Questo comporterà però un trasferimento di sussidi cantonali al settore ambulatoriale. Questa è una delle 27 nuove misure proposte dal gruppo di esperti, che vanno dall’incentivo a prescrivere me-

dicinali generici a importi forfettari per i trattamenti ambulatoriali. Due misure sono ritenute prioritarie: un «articolo sperimentale» nella legge sull’assicurazione malattia (LAMAL) che permette modelli ancora non sperimentati, compresa la soppressione dell’obbligo di contrarre, o anche un tetto massimo annuale per le spese per la salute. Misura quest’ultima che sta sollevando molte reazioni, ma che è già applicata in parecchi paesi confinanti, nonché per certe spese, in alcuni cantoni svizzeri. Il gruppo di esperti mette anche in evidenza un aspetto di cui si parla molto, ma che è difficile da contrastare nel nostro sistema. L’azione dei vari attori del sistema sanitario – dice il rapporto – «consiste soprattutto nel perseguire il proprio interesse», per cui «la responsabilità riguardo ai costi» e anche «l’efficienza delle prestazioni» lasciano a desiderare. Un tetto massimo annuale di spesa aumenterebbe la pressione politica sui quattro grandi generatori di costi: ospedali, studi medici, medicamenti e altre categorie (analisi di laboratorio, apparecchi, fisioterapie, ecc.). Il tetto massimo di spesa potrebbe essere basato su vari parametri, tra cui la crescita economica (PIL nominale), l’evoluzione dei salari, tenendo anche conto dei progressi tecnici della medicina. Superato il tetto massimo scatterebbero delle sanzioni, come una riduzione delle

tariffe, ma ovviamente evitando una riduzione delle cure necessarie. Secondo gli esperti, questo sistema – generalizzato – permetterebbe di sfruttare al massimo le potenzialità di contenimento dei costi che, nell’ambito dell’assicurazione di base, si può stimare nel 20%. Alla notizia della proposta di un tetto massimo per la spesa sanitaria, i principali attori del settore, cioè ospedali, medici, farmacisti, assicuratori e anche rappresentanti dei pazienti hanno subito reagito definendola «una proposta avventata a scapito dei pazienti». In altri paesi il sistema non avrebbe frenato la crescita dei costi, ma già provocato rinvii delle cure o trasferimenti in ambiti non coperti dalle assicurazioni di base. Ci sarebbe il rischio di un razionamento delle cure a scapito della qualità e si creerebbe una medicina a due velocità. Difficile però negare che il sistema attuale provochi molti sprechi. Lo conferma anche l’esperto bernese di costi della salute Heinz Locher, il quale afferma che la tendenza allo spreco nel sistema svizzero della salute è molto alta. Ma questo spreco si traduce in maggiori entrate per gli operatori. Perciò non vi sono incentivi al risparmio. Anche gli sforzi delle casse malati per risparmiare sono limitati, devono solo stare attente a non superare i costi della concorrenza, ma per loro c’è anche la minaccia di una «cassa unica». Uno studio per conto

Una sanità di qualità comporta costi alti, sarà davvero possibile ridurli? (Keystone)

dell’Accademia delle scienze , nel 2012, valutava uno spreco tra i 6 e i 7 miliardi per le maggiori voci dei costi della salute, ossia il 10% del totale. Tenendo conto di altre voci difficilmente cifrabili, si può giungere al 20% valutato per l’assicurazione di base. Tutti gli studi nel settore indicano che un aumento dell’offerta (medici, ospedali e altri) provoca sempre un aumento dei costi. Non si vedono nemmeno cure peggiori laddove l’offerta è minore. Anzi, tra i medici con pochi pazienti le cure sono spesso migliori. Altri

studi constatano che la concorrenza fra medici provoca aumenti delle cure e non della loro qualità. Spesso si constatano doppioni nelle prestazioni di più sanitari per una cura. In questo caso si constata che gli studi con più medici associati riescono a ridurre i costi. Infine, anche i pazienti che pagano solo una parte delle cure, non sono invogliati a risparmiare. Sono solo alcuni esempi per dimostrare che i criteri dell’economia non sono applicabili al settore sanitario. Quasi sempre l’operatore è infatti in grado di controllare sia la domanda, sia l’offerta. Annuncio pubblicitario

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Politica e Economia

«Moneta intera»: sinonimo di «piena sicurezza»?

Politica monetaria Uno dei principali obiettivi dei policymaker è, da sempre, la stabilità monetario-finanziaria.

Analisi di un approccio «nuovo» ad un problema «vecchio» Edoardo Beretta

L'evoluzione degli aggregati monetari (M0 e M1) in Svizzera (dic. 1984 - ago. 2017, mld. CHF) 700.00 600.00 500.00 400.00 300.00

M0

200.00

M1

100.00 0.00 dic.84 lug.86 feb.88 set.89 apr.91 nov.92 giu.94 gen.96 ago.97 mar.99 ott.00 mag.02 dic.03 lug.05 feb.07 set.08 apr.10 nov.11 giu.13 gen.15 ago.16

È dai tempi di Bretton Woods (1-22 luglio 1944, New Hampshire), in cui le principali Nazioni mondiali (escluse Germania, Giappone e Italia) (ri)disegnarono l’assetto monetario internazionale o, al più tardi, dalla demonetizzazione dell’oro nella prima parte degli anni 70 che questioni legate alla «moneta», quindi non solo alla sfera finanziaria (che ne è una derivazione), hanno ripreso un posto d’onore della cronaca. Così è il caso dell’«iniziativa moneta intera» (Vollgeldinitiative), con cui i sostenitori (trasversali per composizione) intendono coinvolgere i cittadini svizzeri nel 2018 a referendum. Per addentrarsi anche in modo embrionale nella questione risulta indispensabile comprenderne i motivi della potenziale rilevanza popolare. In generale, nelle economie postmoderne la moneta non è soltanto un’aggiunta, ma ne è l’essenza stessa, differenziandole da società del passato caratterizzate dal mero baratto. Parlare di «moneta» equivale a trattare di «economia» ‒ né più né meno. Il problema sollevato dalla Vollgeldinitiative consiste, perciò, nel fatto che attualmente solo una minima parte della moneta in circolazione (beninteso: ciò non solo nella Confederazione, bensì in tutte le principali economie mondiali) sia di diretta emissione della Banca Nazionale Svizzera, cioè dell’istanza bancaria suprema del sistema monetario rossocrociato. Tali somme di diretta emissione (ed altrettanto stretto controllo) da parte della banca centrale costituiscono talvolta persino ‒ come rilevato dai promotori dell’iniziativa referendaria ‒ solo il 10% del denaro complessivamente in circolazione1. La restante parte, invece, è perlopiù rappresentata da moneta scritturale (cioè elettronica) generata da ciascuna banca secondaria affiliata al sistema bancario federale. Poiché ogni unità di moneta nasce ‒ come ricordano molti grandi economisti del secolo passato ‒ quale «riconoscimento spontaneo di debito»

Elaborazione propria sulla base di: https://data.snb.ch/en/topics/snb#!/cube/snbmonagg

o «promessa di pagamento», è evidente che lo squilibrio a favore dell’emissione monetaria «decentrata» sia da osservare con attenzione.

Nel 2018 si voterà sull’iniziativa «Moneta intera» che vuole riservare alla sola BNS la creazione di moneta Ecco che la moneta emessa dalla BNS (chiamata «base monetaria» o «M0») è a lungo stata al di sotto dell’altro aggregato monetario M1, che consta del circolante detenuto dal pubblico, dei depositi a vista dei residenti presso le banche, di quelli sui conti di risparmio ed investimento con finalità di pagamento (conti di transazioni) e rappresenta un’ampia «fetta» del denaro

emesso dalle singole banche secondarie per finanziare le loro transazioni. Ergo, ciascuna di esse oggigiorno presta non solo le risorse depositate dai risparmiatori, ma può emettere moneta (sulla base di certi standard). Con la nuova iniziativa referendaria si vorrebbe impedire a tutte le banche fuorché alla BNS di operare in tal modo, così da ridurre il rischio di bolle finanziarie o pressioni al rialzo dei prezzi indotte da sovraemissione monetaria. Sui conti correnti dei titolari di deposito si dovrebbero trovare, quindi, solo unità monetarie direttamente emesse dalla BNS, mentre le banche secondarie potrebbero operare soltanto con risorse provenienti dal mercato interbancario, dai risparmiatori o dalla banca centrale stessa. I clienti potrebbero, in ogni caso, proseguire i loro affari con le modalità già note, mentre fra i benefici spiccherebbe il fatto che il sistema bancario diverrebbe incen-

trato sul prestito di risorse disponibili direttamente controllate dall’istituto bancario centrale. Certamente, è fatto noto che l’attuale sistema economico internazionale poggi sulla creazione di mezzi di pagamento su base scritturale e ‒ quest’ultimo è il «vero» fattore di preoccupazione ‒ senza una copertura «reale». In altri termini, trattasi di un sistema particolarmente esposto a degenerazioni inflazionistiche e bolle finanziarie, il cui spostamento da un settore all’altro (alla stregua di un vuoto d’aria in un recipiente d’acqua) provoca sconvolgimenti intersettoriali. Anche il fatto che la base monetaria M0 ‒ in seguito alle politiche espansionistiche delle banche centrali a sostenimento dell’economia locale ‒ abbia nel caso svizzero raggiunto ormai i livelli di M1 non può tranquillizzare, poiché il sistema è strutturalmente incentrato sulla suddivisione dei ruoli

così come precedentemente descritta ed è immaginabile che (una volta tornata la serenità in tutti i settori economici) il motto sia nuovamente business as usual. Nel contempo, forse, più importante ancora è che ogni mezzo di pagamento abbia una copertura «reale», cioè non si tratti di denaro immesso ex nihilo, bensì di monetizzazioni di operazioni commerciali/finanziarie «collateralizzate» in termini reali. Un’ulteriore considerazione da non sottovalutare è il potenziale impatto in termini occupazionali oltre che creditizi, che il passaggio da un sistema attuale più «liberale» ad uno più «restrittivo» in termini monetari possa comportare: la fase di transizione sarebbe, infatti, da gestire con oculatezza per minimizzare criticità. Ragionare in termini di «moneta intera» non è del tutto nuovo, come teorizzano il Chicago Plan (1933) ed Irving Fisher (1936): molte crisi economicofinanziarie non sarebbero occorse, se le banche commerciali non avessero spesso operato «a sbalzo» nell’erogazione di prestiti o nell’azione sul mercato interbancario. Tuttavia, sarebbe di inevitabile importanza valutare l’impatto che un eventuale «riordino» monetario ‒ «in solitaria» ‒ possa avere sull’economia federale, poiché i principali competitori internazionali continuerebbero ad operare con sistemi forse meno «sicuri», ma in tempi di calma economica potenzialmente più «su di giri»: la «decrescita economica» (o, in questo caso, «monetaria») merita, se operata da unici, un particolare sforzo di riflessione. Se l’idea in sé potrebbe riscontrare il favore generalizzato, rimane comunque essenziale risolvere punti nodali legati all’attuazione meno invasiva possibile perché il modello svizzero funga da best practice mondiale anziché applicazione da rifuggire. Nota

1. http://www.iniziativa-monetaintera.ch/info-in-2-minuti/ Annuncio pubblicitario

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 27 novembre 2017 • N. 48

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Politica e Economia Rubriche

Il Mercato e la Piazza di Angelo Rossi La rivoluzione dei cittadini in Ecuador Sono appena tornato da un breve viaggio nell’Ecuador post-Correa. Che cosa si può dire oggi, da osservatore esterno, sulla rivoluzione dei cittadini, promossa da questo presidente, nel corso del decennio che ha passato al potere? Certo non ci sarebbe bisogno delle centinaia di cartelli pubblicitari, situati lungo le nuove arterie autostradali, per segnalarci che il paese è cambiato. Lo possono vedere tutti coloro che lo attraversano, in modo veloce e sicuro, approfittando di queste infrastrutture, costruite per l’appunto durante gli ultimi dieci anni, gli anni in cui Correa è stato al potere. Per far risaltare l’importanza dell’opera compiuta varrà la pena di ricordare che l’Ecuador, come la Svizzera, è diviso in tre zone, la Costa, al livello dell’Oceano Pacifico che conta un po’ più della metà della popolazione ed ha, come grande città, Guayaquil con 4

milioni di abitanti. Viene poi la Sierra, che è la grande regione andina, situata tra i 2000 e i 4000 metri, che ospita il 40% della popolazione e la capitale del paese, Quito, con tre milioni di abitanti. Viene infine la Selva, la regione amazzonica, al di là della catena delle Ande nella quale abita circa il 5% della popolazione del paese. L’Ecuador conta il doppio di abitanti della Svizzera, 16 milioni, su una superficie che è 6,7 volte maggiore di quella del nostro paese. La sua economia dà un prodotto interno lordo pari a 195 miliardi, ossia il 30% del Pil realizzato dall’economia svizzera. Questo significa che, nonostante il Pil pro-capite annuale superi gli 11’000 dollari, il paese conosce molte sacche di povertà. I poveri appartengono alla popolazione indigena, concentrata nella Sierra e nella Selva e alla popolazione ecuadoriana-africana, che si trova soprattutto

nelle province della Costa. Vittima di una grave crisi economica negli anni Novanta, con tassi di inflazione che sfioravano il 100% annuo, il paese fu sottoposto dapprima a una cura di cavallo neoliberale che non sortì grandi effetti. Per ristabilire un po’ di ordine a livello monetario, alla fine del secolo scorso, l’Ecuador adottò il dollaro come moneta di conto e di transazione rinunciando al Sucre che, fino ad allora era stata la sua divisa. La difficile situazione economica era accompagnata da una ancora più difficile situazione politica alla quale mise fine Rafael Correa, vincendo le elezioni per la presidenza del paese nel 2007. Il partito del presidente si chiamava «Alleanza paese» e conquistò la maggioranza anche in parlamento. Il nuovo presidente si mise al lavoro per realizzare quella che, in seguito, fu definita come la «rivoluzione dei cittadini». La stessa verteva

su tre assi: migliorare le infrastrutture del traffico (viario, ferroviario, aereo); migliorare l’educazione di tutti i cittadini (costruendo soprattutto nuove scuole anche in zone periferiche); assicurare un reddito minimo a tutta la popolazione per consentirle di vivere in modo dignitoso senza dovere chiedere la carità. Si può dire che questi tre obiettivi sono stati raggiunti. Non al 100%, naturalmente, ma in larga parte. Difficile dire in che misura i cittadini, e soprattutto quelli delle minoranze indigene, abbiano partecipato effettivamente alle trasformazioni messe in atto dal nuovo presidente. Dalle testimonianze che ho potuto raccogliere sembrerebbe però che un cambiamento sia avvenuto anche a livello individuale, per esempio, sarà cosa da poco ma che sempre conta, nel rispetto della proprietà pubblica e nella gestione delle immondizie. Qualche

progresso si è fatto anche in materia di sicurezza. Correa, che certamente avrebbe desiderato poter continuare nel suo mandato, ha dovuto lasciarlo all’inizio di quest’anno. E il suo successore, Lenin Moreno, si trova ora confrontato con grandi difficoltà. Da un lato perché il formidabile programma di investimenti di Correa non ha potuto essere finanziato senza un forte aumento del debito che ora deve essere in qualche modo gestito e, dall’altra, perché questo programma, purtroppo, ha foraggiato la corruzione anche nel partito del presidente. Uno scandalo che coinvolge il vice-presidente ha provocato una divisione in seno all’Alleanza paese che ne sta minacciando la governabilità. La rivoluzione dei cittadini ha certamente trasformato il paese. Ma l’onere del debito e la corruzione stanno mettendo in pericolo la sua continuità.

sia convinto che i liberali siano la causa della crisi: sono stati votati per formare un governo e controbilanciare la Merkel, ma hanno rifiutato di assolvere il loro compito. Se così fosse davvero, la propensione della cancelliera a un nuovo voto sarebbe ancora più comprensibile: buona parte dei voti andati ai liberali proviene dal bacino dei cristianodemocratici guidati dalla Merkel, la quale non ha bisogno di molti voti in più per riuscire a fare un governo soltanto con i Verdi, che è l’opzione che lei preferisce. In ogni caso, se passasse il messaggio che i partiti più piccoli sono poco responsabili e poco affidabili, i voti convergerebbero verso i due partiti principali, il che sarebbe garanzia di stabilità (sulla litigiosità non si può forse dire altrettanto). Due voti nel giro di pochi mesi non sono un buon segnale, ma se l’esito poi è il rigetto della frammentazione, allora il calcolo potrebbe essere esatto. Intanto continua lo stallo, e i detrattori della cancelliera sono stati molto svelti a inaugurare l’epoca post

Merkel. Non si può dire altrettanto dei tedeschi, che pure qualche insofferenza l’hanno mostrata nelle urne, ma continuano a credere nella cancelliera (al 55 per cento, dopo dodici anni di governo) e soprattutto pensano che debba essere lei a guidare il Paese (al 60 per cento). Ma fuori dai confini tedeschi l’egemonia merkeliana è sempre più percepita con fastidio: un sintomo evidente è stata l’eliminazione di Francoforte dalla votazione dell’Agenzia europea delle banche (Eba). Si pensava che fosse quasi scontata la vittoria di Francoforte, che ha fatto anche una campagna pubblicitaria divertente e che è quasi la destinazione naturale di un ente che si occupa di istituzioni finanziarie, invece ha vinto Parigi, a dimostrazione che tutti gli astri oggi sono allineati per il presidente francese, Emmanuel Macron. La riforma dell’Unione europea passa per la collaborazione di entrambi, Merkel e Macron, ma il preferito ora è lui. Questo basta per giustificare i molti titoli della stampa europea sulla

fine imminente della cancelliera tedesca (gli inglesi come sempre si sono distinti, ma loro sono anche giustificabili visto che hanno guai grossi con la Brexit e temono molto la leadership tedesca – e il paragone tra la Merkel e la loro premier, Theresa May). In realtà, a guardare le possibilità che ancora ci sono per la cancelliera e l’assenza di un’alternativa altrettanto stabile e credibile per la guida della Germania, i giorni della Merkel non sembrano contati. Il tic antimerkeliano è sempre molto forte, negli stessi ambienti che chiedono stabilità e riforme, contraddizione assoluta, ma i commentatori tedeschi sono i primi a dire di restare calmi. Come dice Wolfgang Schäuble, questa non è una crisi, questo semmai è un test per la Germania e per l’Europa. Un po’ presto per dire che il metodo Merkel è finito e ha fallito: un motivo del collasso dei negoziati è stata la destinazione dell’enorme surplus di 20 miliardi di euro della Germania. Tutti i paesi che vedono con sollievo lo stallo merkeliano pagherebbero per avere problemi di questo genere.

L’«égalité» è uno dei princìpi proclamati dalla rivoluzione francese, accanto alla libertà e alla fraternità, oggi declinata come solidarietà. È un concetto, com’è facile intuire, multiforme e che nei secoli ha nutrito utopie che si sono rivelate disastrose per le stesse sorti di chi aspirava al riscatto. Ma proprio perché articolata nelle sue premesse e nelle sue ripercussioni, l’uguaglianza rimane al centro delle politiche sociali, e come tale figura nei programmi di tutti i partiti dell’arco costituzionale, dai liberali ai socialisti passando per la dottrina sociale della Chiesa. Di qui un largo ventaglio di interpretazioni, che ciascuna forza traduce poi in programmi d’azione differenziati: come uguaglianza delle opportunità, ovvero dei punti di partenza (liberali), come potenziamento del sostegno alle famiglie (cattolici), come tassazione dei grandi patrimoni (sinistra). In questo campo, il ruolo dello Stato, nel secondo dopoguerra, è stato fondamen-

tale, anche nel nostro cantone, come Mauro Baranzini ha dimostrato in una serie di studi pubblicati alla fine degli anni 70 per conto della Banca del Gottardo. L’intervento pubblico ha indubbiamente favorito una ridistribuzione dei redditi e della ricchezza, allargando la fascia del ceto medio e riducendo il più possibile il bacino in cui confluivano le persone bisognose di assistenza. Con l’affermazione delle economie globali, la questione della disuguaglianza ha acquisito ancora nuove facce; di conseguenza anche gli economisti hanno dovuto perfezionare i loro strumenti d’indagine, rivedere ipotesi e categorie. Ma a volte nemmeno i più raffinati metodi quantitativi riescono a cogliere i mutamenti profondi in atto, non tutti misurabili come si vorrebbe. Tra gli argomenti di studio poco battuti figura quello della ricchezza. In passato, le comunità degli studiosi e le associazioni attive nel sociale si sono occupate soprattutto della povertà

vecchia e nuova, ma poco del rovescio della medaglia, sfuggente e raramente illuminato: quello dei grandi patrimoni, della loro influenza nella vita politica, nella costruzione dei valori sociali, dei loro canali informativi e ideologici. Di questi aspetti, nel nostro paese, poco si discute. Un po’ perché sono considerati materia-tabù, schermati dal segreto bancario; un po’ perché l’etica protestante vieta un’eccessiva ostentazione dell’agiatezza. Negli ultimi anni solo il sociologo basilese Ueli Mäder ha osato bussare alla porta dei ricchi per vedere «come pensano e dirigono» («wie Reiche denken und lenken»). La sua tesi è che denaro e potere sono strettamente intrecciati e che la Svizzera è sempre meno politico-liberale e sempre più economico-liberale, uno Stato ove miliardari come Blocher possono dettare indirizzi e condizionare pesantemente le consultazioni popolari. Anche attraverso un esteso e capillare controllo dei media.

Affari Esteri di Paola Peduzzi Merkel, è presto per dire fine

Dominik Butzmann

I negoziati per la coalizione di governo in Germania sono collassati e ora alla cancelliera, Angela Merkel (foto), restano tre opzioni: convincere i socialdemocratici a formare una grande coalizione, guidare un governo di minoranza, andare al voto nuovamente. La cancelliera preferisce la terza opzione – la prima pare impercorribile, nonostante ci siano molte

pressioni: l’Spd ha escluso di voler tornare al governo, elettoralmente non è conveniente e ora e punta a una restaurazione che dovrebbe, secondo le intenzioni, dare i propri frutti per il 2020. Merkel dice che un governo di minoranza sarebbe comunque meno stabile di un nuovo voto, un po’ perché nella cultura politica tedesca il governo di minoranza è quasi inesistente e un po’ perché la cancelliera non vuole che il mandato che definirà la sua legacy sia scandito da ostruzionismi e giochi di potere. Anche un nuovo voto non è molto tedesco, in realtà, ed è per questo che lo sforzo di tutti i leader del Paese è quello di richiamare i partiti alla responsabilità: prima viene la guida del Paese, poi vengono personalismi ed egoismi. Sul banco degli imputati ci sono soprattutto i liberali, che hanno fatto crollare i negoziati e molti insinuano che volessero farlo fin dall’inizio, cioè che non abbiano fatto trattative credibili. A giudicare dai primi numeri pubblicati dopo lo stallo, sembra che la maggior parte dei tedeschi si

Cantoni e spigoli di Orazio Martinetti Il potere della ricchezza L’economia sarà pure, come si dice, una «scienza triste»; sta di fatto che orienta e regola la vita di ognuno, un po’ come la medicina. Nel bene e nel male determina la quotidianità di tutti noi, invitandoci a tener d’occhio il bilancio familiare con l’attenzione che si riserva al quadro clinico: quante entrate, quante uscite, cifre nere e cifre rosse. Se a fine mese i conti non tornano, sono guai. È per questo che scorriamo le diagnosi allestite dagli economisti con estrema cura, quali fossero i sacerdoti del nostro tempo, gli aruspici di un mondo uscito dai cardini e che non si riesce più a riassettare come si vorrebbe. Cresce insomma la domanda, anzi, un’ansia di conoscenza. Si vorrebbe decifrare e capire prima di intraprendere una qualsiasi forma d’investimento non basata sull’azzardo. L’accademia negli ultimi decenni ha cercato di rispondere alla crescente domanda istituendo sempre nuove facoltà di scienze economiche. Per non allon-

tanarsi troppo: ce n’è una a Lugano, una a Varese (Insubria), una a Lucerna (la più recente). La prima pietra, a livello cantonale, fu posata nel lontano 1895, con la fondazione della Scuola cantonale di Commercio; una primogenitura che nel corso dei decenni le ha permesso di acquisire un prestigio indiscusso. Non è quindi casuale che in quelle aule sia maturata l’idea di creare un Festival dell’economia, un’occasione di dibattito e di approfondimento che lo scorso 11 novembre è giunta alla terza edizione. Non una rassegna facile, va precisato; nulla che ricordi i raduni mondani che tanto allietano le piazze e riempiono i locali, ma una serie di conferenze su temi spinosi, come le trasformazioni economiche (2015) e le ripercussioni della frontiera (2016). Quest’anno i relatori hanno affrontato un argomento che sta alimentando un flusso copioso di studi e di saggi: la distribuzione del reddito, ossia la questione della disuguaglianza nelle economie progredite.


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Cultura e Spettacoli La saggezza di Saul Il Premio Nobel e grande scrittore Saul Bellow è anche autore di una serie di saggi, ora editi da BigSur

Il dandy per eccellenza All’Elfo di Milano va in scena la versione un po’ pop della più celebre opera di Oscar Wilde

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Esplorare dal palco A teatro è possibile anche incontrarsi, ad esempio con Nando Snozzi o Serge Nicolaï pagina 43

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Einsiedeln e i pellegrini La storia e il fascino dell’Abbazia in un’accattivante mostra al Museo nazionale di Zurigo

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Davanti alle porte di Kairouan, Paul Klee, 1914, 72. (Moderna Museet, Stoccolma)

La dimensione astratta Mostre Paul Klee alla Fondation Beyeler di Basilea Gianluigi Bellei Paul Klee nella letteratura artistica è considerato un musicista che traspone nella pittura la sua visione. Proviene da una famiglia di musicisti; Hans, il padre, studia canto, piano, organo e violino al conservatorio di Stoccarda. Fino al 1931 lavora come maestro di musica a Berna. La madre, Ida Frick, studia canto. Paul nel 1886 a sette anni prende lezioni di violino e diventa membro dell’orchestra di Berna. In opposizione ai dettami genitoriali inizia però a scrivere e disegnare. Nel 1898 segue i corsi di disegno nella scuola privata di Heinrich Knirr e dal 1900 è all’Accademia di Belle arti di Monaco di Baviera con Franz Stuck. Ha una doppia vita e una doppia morale: tratto tipico della borghesia del tempo. Da un parte, di giorno, frequenta la pianista Lily Stumpf e dall’altra, di notte, i bordelli malfamati. Amore da una parte e sesso dall’altra. Dopo il matrimonio con Lily e la nascita del figlio Felix i coniugi fanno vita ritirata. Lei insegna pianoforte e lui si occupa delle faccende domestiche e dell’educazione del figlio. Nel 1912 viene invitato da Franz Marc e Vasilij Kandinskij a partecipare alla seconda mostra del Gruppo Blaue Reiter. Ma è nel 1914 che scopre la sua autonomia ar-

tistica e contemporaneamente la potenza del colore durante un viaggio formativo, ancorché breve, in Tunisia assieme ad August Macke e Louis Moilliet. Nel suo diario scrive: «Il colore mi possiede. Non ho bisogno di tentare di afferrarlo. Mi possiede per sempre, lo sento. Questo è il senso dell’ora felice: io e il colore siamo tutt’uno. Sono pittore». Dopo la Prima guerra mondiale, che lo vede all’inizio scettico ma favorevole e in seguito decisamente critico, è all’apice del successo e delle vendite. Nel 1920 lavora al Bauhaus di Weimar, chiamato da Walter Gropius. Qui viene riproposta l’opera d’arte totale e Klee è maestro di forma nella legatoria prima e responsabile dei laboratori di pittura murale e su vetro poi. «A volte – scrive – sogno un’opera di una vastità enorme attraverso tutta l’aria elementare, oggettiva, contenutistica e stilistica… Abbiamo iniziato là al Bauhaus, abbiamo iniziato con una comunità alla quale diamo tutto ciò che abbiamo». Arriva Hitler. Klee non capisce bene il problema e rimane sempre fiducioso sugli sviluppi. Poi viene bollato come artista degenerato. Nel 1933 dipinge l’autoritratto intitolato Cancellato dalla lista. Perde la cattedra all’Accademia di Düsseldorf ma pure la sua dignità. Nel dipinto inserisce una

grande X nera. Si stabilisce a Berna. Nel 1936 gli viene diagnosticata una sclerodermia progressiva. Muore nel 1940 nella clinica Sant’Agnese di Muralto. La Fondation Beyeler di Basilea rilegge la sua opera e il suo rapporto con l’astrattismo. 109 dipinti, scelti fra un corpus di circa diecimila, per affrontare un tema cruciale del suo percorso. Siamo agli inizi del secolo e l’astrattismo irrompe e rivoluziona il linguaggio artistico; lo sovverte. Pensiamo solo a personaggi come Pablo Picasso, Kazimir Malevič o Piet Mondrian. Nessun riferimento alla realtà ma solo colore, linee, movimento. L’uomo esce di scena e a rappresentarlo ci sono le idee, i concetti. Man mano che la drammaticità degli avvenimenti si susseguono l’immagine dell’uomo scompare contribuendo a creare l’arte tragica e impalpabile del dopoguerra. Ancor oggi ne rimangono gli strascichi attraverso creazioni intellettualisticamente irrilevanti e prive di téchne: unicamente mentali. Ma cento anni fa era diverso. Perché l’arte è sempre bene inserirla in un contesto generale come sostiene Meyer Schapiro. Klee, forse per questo ebbe tanto successo: elabora un suo modello di astrattismo mescolando, e facendo interagire, le linee e i colori con le più disparate forme tratte dalla natura. O magari, come

scrive Anna Szech, solo perché la pittura astratta risulta spesso ermetica, impregnata d’esistenzialismo e portatrice di tratti totalitari, mentre quella di Klee è considerata, al contrario, come più facilmente accessibile, romantica, sensibile. Nel 1963 Jean-Paul Sartre scrive che «Klee è un angelo, mentre Wols un povero diavolo». All’inizio questa accessibilità si manifesta tramite i colorati paesaggi di Hammamet e Kairouan; in seguito con le variazioni ritmiche «musicali» e infine con una drastica riduzione delle forme nel decennio del Bauhaus. Nel 1915 nel suo diario scrive: «Quanto più spaventoso è questo mondo (come oggi), tanto più astratta è l’arte. Mentre un mondo felice produce un’arte dell’aldiquà». L’esposizione è suddivisa in sette sale e rispetta l’ordine cronologico. Segnaliamo Teppich der Erinnerung del 1914 con i suoi motivi geometrici; Klassische Küste del 1931 con il suo puntinato geometrico dal quale si intravede la sagoma, appunto, di una costa lambita dal mare; Welthafen del 1933 con i suoi rimandi alla scrittura cuneiforme e ai geroglifici; fino agli ultimissimi lavori zeppi di luce e fantastici segni come Zeichen in Gelb del 1937, una sorta di «tapis de la vie», come lo descrive Ernst Beyeler, dai colori luminosi intrisi di

ludici segni neri. Ohne Titel (Gitter und Schlangenlinien um «T») del 1939 è il tragico epilogo di un dramma umano e politico che si spegne con quelle grate in alto come a prospettare una prigione nel fanatismo del nazionalsocialismo. Scompare così il mondo incantato pieno di sole sfaccettato e inebriante del breve viaggio a Kairouan, presente all’inizio del percorso. Dopo la morte a Muralto, Klee è stato sepolto assieme alla sua Lily nel cimitero di Berna. Il figlio Felix fa incidere le parole del suo programma: «Non appartengo solo a questa vita / Poiché io vivo bene coi morti / Come con i non nati / Più vicino di altri al cuore della creazione / Ma sempre troppo lontano». Bella mostra, buone le luci, interessante il catalogo con saggi delle storiche dell’arte, ed esperte di Klee, Fabienne Eggelhöfer e Regina Prange, ma anche del direttore d’orchestra Teodor Currentzis e dell’architetto Peter Zumthor. Dove e quando

Paul Klee. Die abstrakte Dimension. Fondation Beyeler, Basilea. A cura di Anna Szech. Fino al 21 gennaio 2018. Catalogo Hatje Cantz, fr. 62,50. www.fondationbeyeler.ch


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Cultura e Spettacoli

La languida nostalgia del soleggiato Ticino

Musica Miti popolari e smitizzazioni contemporanee nello spettacolo del gruppo C’est si B.O.N. pubblico. Per quanto cerchiamo di essere chiari nel nostro approccio ironico verso certi cliché c’è sempre qualcuno che capisce il contrario e prende molto sul serio dei contenuti che per noi sono unicamente evocativi». E – considerata qui dal sud – l’ironia su un Ticino tutto palme, laghi e soleggiati sorrisi non può che risultare necessaria. Ma per meglio entrare nella parte ed elaborare il tema il gruppo C’est si B.O.N. ha dovuto anche risiedere e lavorare nella Svizzera italiana? «In relazione allo spettacolo sono stati soprattutto regista e videomaker a frequentare spesso il Ticino. Ma noi membri del gruppo siamo comunque stati spesso in Ticino, e io stessa ho trascorso diverso tempo nel vostro cantone: per uno scambio durante il liceo e – ora che la mia cognata vive in Ticino – ci vengo di frequente imparando a conoscere la vita reale, lontana dagli stereotipi turistici». Una quotidianità nostrana che in Madlaina Janett genera meraviglia e perplessità: «Non riesco a capire perché i ticinesi usino così tanto l’auto, creando sempre nuove strade sistematicamente piene d’ingorghi: per la mentalità svizzerotedesca è davvero inconcepibile come si possa rovinare un paesaggio così bello con un traffico invadente e onnipresente. Poi però capita di spostarsi nell’Alto Malcantone e in poco tempo si recupera quell’intatta meraviglia che deve aver ispirato i miti popolari».

Zeno Gabaglio Grüss mir Lugano – cioè «salutami Lugano» – è innanzitutto il titolo di una vecchia canzone, uno SchwyzerLändler (tipica forma della canzone popolare confederata) scritto nel 1938 da Walter Wild: organetti, violini e fiati, per un brano che recita «Salutami Lugano, salutami il lago, le palme e il Monte Brè. Salutami le rose e il sole splendente, salutami Lugano, il mondo sognante e la mia signorina mora». Da poco tempo Grüss mir Lugano è però anche uno spettacolo del tutto particolare «una serata con molta musica, dal popolare fino al jazz passando per la classica e la canzonetta. Con uno schermo e musicisti raddoppiati, una banda in prova, un coro, una macchina da caffè, almeno una palma gonfiabile e un po’ di nostalgia per il lato sud delle Alpi». Il nucleo fondante «Grüss mir Lugano» è costituito dal gruppo C’est si B.O.N.: una realtà ben radicata nel panorama della musica popolare, formata da giovani musicisti (quasi tutti membri della famiglia grigionese Janett) che però hanno maturato significative esperienze anche in generi cosiddetti colti. Anche se l’idea di realizzare un vero e proprio spettacolo attorno all’immaginario della canzone di Walter Wild è venuto alla regista teatrale Kathrin Siegfried e al filmmaker Georg Vogel.

La formazione C’est si B.O.N., creatrice di Grüss mir Lugano.

«Il leitmotiv del lavoro – ci dice Madlaina Janett, violista del gruppo ma anche operatrice culturale di ampio respiro – è quello della nostalgia, in quell’accezione popolare e forse un po’ demodé che il pezzo Grüss mir Lugano perfettamente evoca. Una nostalgia del Sud, del sole e delle palme che ha accompagnato da generazioni anche la mia famiglia». Oltre al tema c’è però anche un espediente tecnico – estremamente contempora-

neo – che rende lo spettacolo ulteriormente attraente: la presenza di «un telo di proiezione su cui il gruppo si trova sdoppiato, portando la band reale in dialogo costante con il suo alter ego (registrato e prodotto in precedenza) presente sullo schermo». Nuovissimo e antico si incontrano quindi senza soluzione di continuità in Grüss mir Lugano, con al centro uno stereotipo che concerne da vicino

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il canton Ticino. «Lo spettacolo non è però solo nostalgia e malinconia ma – anzi! – vuole gettare anche uno sguardo ironico, giocando con i miti popolari, con il senso del kitsch: in diversi punti dello spettacolo la nostalgia dovrebbe sovrapporsi e confondersi con la risata». Dovrebbe o deve? «Suonando spesso musica popolare ci siamo accorti che non si possono mai dare per scontate le percezioni e le reazioni del

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Cultura e Spettacoli

Bellow, la morte del luogo comune Pubblicazioni BigSur ha dato alle stampe un’imperdibile raccolta di saggi scritti dal grande narratore

e Premio Nobel Saul Bellow Mariarosa Mancuso «Mia madre voleva che diventassi un violinista, o in alternativa un rabbino», scrive Saul Bellow. A scombinare i piani, la passione per la lettura: «Avevo cominciato a leggere in maniera frenetica fin da piccolo, allontanandomi così dalla religione e dalla mia gente». Università, e ancora letture: «Per riposare gli occhi stanchi giocavo a biliardo e a ping pong, nel club riservato agli studenti maschi». Vigeva l’apartheid tra i sessi, al club. Non come adesso che le studentesse vanno in giro con un materasso sulle spalle per protestare contro le violenze nel campus, e altri iscritti non vogliono indicare sui documenti se sono maschi o femmine (Asia Kate Dillon, che recita nella serie Billions, vorrebbe agli Emmy una categoria intermedia tra attori e attrici). Intanto scopriamo che non solo gli schermi fanno male agli occhi, anche i libri di carta stancavano. Parola di Saul Bellow medesimo, nei saggi raccolti in Troppe cose a cui pensare, edizioni BigSur (l’arco di tempo va dal 1951 al 2000). Subito notiamo la bravura di chi riesce a passare disinvoltamente dall’autobiografia all’opera. Era nato in Canada con il nome di Solomon Bellows, in una famiglia ebreo-lituana proveniente da San Pietroburgo; a metà degli anni 20 emigrò a Chicago, non del tutto legalmente. «Molti miei romanzi mi sembrano ora, retrospettivamente, commedie sul significato

della lettura». E via con l’elenco. Nel romanzo Il re della pioggia, Henderson si aggira tra gli scaffali del palazzo ereditato cercando i libri sottolineati dal padre. Humboldt – modellato sull’amico poeta Delmore Schwartz – in Il dono di Humboldt cita Macbeth (e la trama del romanzo, una rivalità tra due scrittori, ricorda L’informazione di Martin Amis). Augie March scopre i classici in una scatola sotto il letto del suo datore di lavoro, il corrotto Einhorn. Manca Herzog, il tradito che scrive lettere al mondo? Niente affatto, lo troviamo qui e in altri saggi della raccolta (compilata da Benjamin Taylor, edizione italiana a cura di Luca Briasco). «Una presa in giro degli americani colti» spiega lo scrittore che all’occasione fa prevalere la propria ebraicità, in altri momenti più tormentata. Il romanzo si potrebbe ribattezzare: a cosa serve leggere tanti libri? Poco e niente, quando la moglie ti lascia per un altro uomo. Herzog furioso scrive lettere a tutti gli amici e ai conoscenti, ma anche a Heidegger e a Dio (senza ricavarne gran sollievo, a divertirci siamo noi lettori). Sappiamo da Saul Bellow anche quando la lettura diventa scrittura. Accade a Parigi, con l’idea di sfruttare un’infanzia che oggi diremo multietnica, ma allora era solo povera, poco educata, difficile. Si lascia alle spalle l’inglese accademico, comincia a scrivere con le inflessioni che aveva sentito nelle strade di Chicago. Pubblica Le avventu-

Lo scrittore ripreso a Capri negli anni Ottanta. (Keystone)

re di Augie March, il suo primo grande successo (poi arriveranno il Pulitzer e il Nobel). Questa – perlomeno – la versione fornita a Philip Roth, in una serie di conversazioni. Scrivere significa «coltivare una stramba fedeltà a cose che abbiamo scoperto da ragazzi» (Graham Greene sarebbe d’accordo: è l’infanzia il vero patrimonio di uno scrittore). E qui vuol dire scrivere romanzi, genere che dopo James Joyce era guardato con sospetto. «I seguaci del disordine non amano i romanzi», annota, riconoscendo a ogni narratore degno del nome la

voglia di sistemare e capire il mondo. Non resta in piedi un solo luogo comune, primo fra tutti il consiglio: «bisogna scrivere solo quel che si conosce» (di recente, si è dichiarato contrario anche l’altro premio Nobel Kazuo Ishiguro). La forza di uno scrittore sta nell’immaginazione: l’esperienza va bene quando bisogna assumere un contabile, non in letteratura. Saul Bellow odia anche i lettori che cercano dietro le parole significati reconditi, come se un romanzo fosse una sciarada da risolvere. Nel 1959 – prima degli strutturalisti anni 70, prima della psicoanalisi che

spiega ogni cosa, prima del femminismo, prima delle etnie che cercano il loro spazio e nella Tempesta di Shakespeare sono interessate solo a Calibano, prima della correttezza politica che impedisce di dire «vecchio» o «negro» – scrive «La lettura in profondità è diventata pericolosa per la letteratura stessa». Il Pequod di Hermann Melville può essere una fabbrica, certo. E Achab un capitano d’industria. Salpa la mattina di Natale, ci sarà un significato religioso? Ma non sarebbe più interessante – e originale – leggerlo come romanzo sulle balene? Annuncio pubblicitario

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Cultura e Spettacoli

Earnest, un nome che ispira fiducia Teatro La più famosa commedia di Oscar Wilde in versione pop (o camp?)

Giovanni Fattorini

Il cast dello spettacolo in scena all’Elfo di Milano.

zoli) di un classico della discomusic che è diventato una sorta di inno gay: I Will Survive. L’importanza di chiamarsi Ernesto è una «commedia di conversazione» in cui la scarsità degli avvenimenti è compensata dalla brillantezza e dalla causticità dei dialoghi. A un primo ascolto, il comune spettatore può forse giudicarla intessuta di paradossi che vogliono principalmente stupire. Ma leggendola è impossibile non condividere ciò che ha scritto Borges in poche e dense pagine sullo scrittore irlandese, e cioè che «Wilde, quasi sempre, ha ragione». Viene anche fatto di pensare che molte delle battute che svelano, come scrivono Bruni e Frongia in una nota di regia, «la

Povertà e ingiustizie Massimario classico Ai ricchi spetta

sempre di più, ai poveri sempre meno, oggi come un tempo

Elio Marinoni Semper pauper eris, si pauper es […] / Dantur opes nullis nunc nisi divitibus. Se sei povero, sarai sempre povero […]. Oggi si concedono beni solo ai ricchi. (Marziale, Epigrammi, V, 81) Marziale scrive nella Roma imperiale degli ultimi decenni del I sec. d.C. La concentrazione del capitale nella società di quel tempo era certo era assai più marcata di quanto non lo sia oggi, quanto meno nei paesi sviluppati; non si può tuttavia negare che esistesse anche allora una certa mobilità economica e sociale. La pessimistica affermazione di Marziale riflette in realtà l’atteggiamento fatalistico dei ceti inferiori: una forma di supina accettazione della realtà, o, come si direbbe oggi, di «pensiero debole». Più specificamente, sotto quest’affermazione cova il sentimento di frustrazione di chi, a dispetto della propria vera o presunta superiorità intellettuale, ha subito molte umiliazioni, praticando tra l’altro (è il caso appunto dell’epigrammista) il mestiere del cliente. Sono ricorrenti, nella poesia di Marziale, le lamentele per la disagiata condizione economica, nonostante il successo dei suoi libri (allora non esistevano i diritti d’autore). E quando, stanco di Roma, decise di tornare nella nativa Bilbilis (Spagna Tarragonese), a pagargli il viaggio fu il facoltoso, liberale e vanesio Plinio il Giovane, che si compiace di darne notizia. Qualche decennio più tardi, lo stesso sentimento di frustrazione e di sdegno per le ingiustizie sociali trova sfogo nelle satire di Giovenale, che indica nell’indignatio la musa ispiratrice

della propria poesia. Anch’egli lamenta, nella Satira VII, le misere condizioni degli intellettuali, contrapposte alle smodate ricchezze dei campioni sportivi (nihil novi verrebbe da dire!); e nella Satira III si sofferma sulle diverse conseguenze che l’incendio del proprio appartamento (a quei tempi non si erano ancora diffuse le assicurazioni!) ha per un povero o per un ricco: il primo perde anche quel niente che aveva, per il secondo si mobilita la solidarietà di classe, trasformando il sinistro in occasione di ulteriore arricchimento. La denuncia dell’inadeguato riconoscimento economico del lavoro intellettuale costituisce del resto un topos della letteratura non solo antica, che ha trovato espressione nell’adagio latino, ma non classico, Litterae (o carmina) non dant panem, «La letteratura (o: la poesia) non procura il pane», non meno che nel petrarchesco «Povera e nuda vai filosofia / dice la gente al vil guadagno intesa». Chiudo queste noterelle osservando che la massima di Marziale sulla radicalizzazione dell’antinomia poveri/ricchi può essere estesa al livello dei rapporti interstatali: nonostante le varie forme di aiuto poste in essere dagli Stati, da istituzioni religiose e no, da enti umanitari, il divario tra paesi ricchi e paesi poveri tende, soprattutto nei periodi di crisi economica come quello da cui stiamo faticosamente uscendo, ad aumentare. Non è forse un caso che la decima edizione (2017) del Premio giornalistico Gaspare Barbiellini Amidei abbia avuto come tema: «Ricchi o poveri? Il mondo spezzato: valori, paure, sofferenze, benessere».

falsa coscienza di una società che mette il denaro e la divisione in classi al centro della propria morale», acquistano pieno rilievo solo se pronunciate tra le pareti di stanze abitate e frequentate dai membri di una high society che coltiva l’eleganza dei modi, il rispetto delle convenzioni, la conoscenza della sintassi. Vale a dire: una società che difende – sia pure ottusamente e ipocritamente come quella vittoriana – il mantenimento di una forma. Di un siffatto ambiente e di una commedia che possiede anch’essa una forma precisa, è possibile inscenare una versione pop? È possibile, cioè, farne uno spettacolo che guardi e attinga alle forme di rappresentazione e autorappresentazione della società di mas-

sa, senza finire nella parodia? Bruni e Frongia ci hanno provato. Per ragioni di spazio mi limiterò ad elencare alcuni degli elementi più vistosamente pop dello spettacolo: 1) Gli abiti molto colorati che in varia misura contaminano spiritosamente antico e moderno, fatta eccezione per quelli neri e più ottocenteschi del reverendo Chesuble e Miss Prism. 2) Il design dei sedili nel salotto di Algernon Moncrieff e la pianta folta di rose rosse palesemente finte che fiammeggiano nel giardino di Manor House. 3) Le illustrazioni proiettate sulla parete di fondo, col ritratto di Wilde che nel primo atto è su un divano; nel secondo fra le rose di una carta da parati; nel terzo su una sterlina,

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Nella locandina de L’importanza di chiamarsi Ernesto inscenata da Ferdinando Bruni e Francesco Frongia, il nome «Ernesto» è cassato con un frego nero, per richiamare l’attenzione sulla difficoltà (sull’impossibilità?) di tradurre adeguatamente l’inglese «Earnest», che si pronuncia come «earnest», aggettivo dalle accezioni diverse e tutte positive per la giovane Gwendolen Fairfax, la quale sogna da sempre di amare qualcuno che si chiami Earnest («C’è qualcosa in quel nome che ispira una fiducia assoluta»). Insoddisfatti di tutte le versioni finora proposte (Ernesto, Franco, Onesto, Probo, Sincero, Fedele, ecc.), Bruni e Frongia hanno dunque deciso di mantenere, nella messinscena, il nome inglese originale: Earnest. Ad apertura di sipario, le intenzioni dei due registi-scenografi-costumisti vengono immediatamente dichiarate. Sulla nuda parete di fondo si vede la riproduzione ingigantita (l’originale misura 26 x 25 cm) di un collage di Richard Hamilton che molti considerano l’opera inaugurale della Pop Art. Chi lo conosce e lo ricorda bene nota subito una significativa modificazione: al posto della pin-up a seno scoperto seduta in atteggiamento seduttivo su un divano (equivalente femminile del culturista che all’altezza dell’inguine impugna un vistoso lecca-lecca puntato verso la donna e con sopra scritto «pop»), Bruni e Frongia hanno inserito un ritratto fotografico di Wilde. Contemporaneamente risuonano le note (una breve citazione, modificata da Giuseppe Mar-

con la corona in testa, gli orecchini di brillanti e la legenda «God save Oscar». 4) Il disegno alla Roy Lichtenstein dello scambio di anelli nuziali. 5) Le citazioni modificate da I Will Survive e più frequentemente da Paint It Black dei Rolling Stones. 6) La gestualità dei personaggi e il ritmo dell’azione, che spesso richiamano i cartoon. Nella già menzionata nota di regia si legge che «Wilde inventa un linguaggio inedito che pone le basi dell’umorismo queer». Da questo convincimento derivano alcuni degli elementi pop di cui ho detto, e soprattutto certi aspetti (sporadici per quanto riguarda John, assai più frequenti per quanto riguarda Algernon) di una recitazione dalle coloriture gay. Penso che lo spettacolo di Bruni e Frongia si possa definire una messinscena moderatamente camp e parecchio divertente (in qualche punto molto divertente) della più famosa e più bella commedia di Oscar Wilde. Tutti bravi gli attori. A cominciare da quelli che interpretano le giovani coppie di innamorati: Riccardo Buffonini (Algernon), Camilla Violante Scheller (Cecily), Giuseppe Lanino (John), Elena Russo Arman (Gwendolen). Brave Ida Marinelli (Lady Bracknell) e Cinzia Spanò (Miss Prism). Nicola Stravalaci è il maggiordomo Merriman e il cameriere Lane. Luca Toracca il dignitoso e comico reverendo Chasuble, palpitante d’amore per Miss Prism.


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 27 novembre 2017 • N. 48

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Cultura e Spettacoli L’attore e regista Serge Nicolaï.

Azione

L’avventura di Serge, l’utopia di Nando In scena Due toccanti momenti teatrali

grazie a Serge Nicolaï e Nando Snozzi

«Vitalità e apertura» sono le nuove parole d’ordine dell’Accademia di Verscio che sta moltiplicando le occasioni per alimentare l’interesse degli allievi verso nuove frontiere della conoscenza, portandoli a vedere spettacoli di pregio e «diversi», facendo loro conoscere da vicino personaggi di spessore teatrale internazionale. Ospite per un workshop con gli studenti di Master, l’attore e regista Serge Nicolaï si è pertanto recentemente proposto alla curiosità di una numerosa platea prevalentemente costituita da giovani. Nato a Marsiglia ma di origini corse, il cinquantenne Nicolaï da 20 è membro della leggendaria compagnia del Théâtre du Soleil diretta da Ariane Mnouchkine con cui ha partecipato all’allestimento delle sue maggiori produzioni: non solo in veste di attore ma anche in quella di scenografo. Il pubblico del grande schermo lo ricorderà anche per aver partecipato al Festival di Locarno nel 2015 con il film Olmo et la Mouette (Premio Giuria dei giovani), una docufiction di Petra Costa e Lea Glob girata con Olivia Corsini, l’attrice italiana sua compagna nella vita e nell’arte. Averlo dunque a disposizione ha soddisfatto domande che hanno messo in rilievo la vita dell’artista in un tutt’uno con la dimensione teatrale.

AVerscio si cercano vie di apprendimento lontane dagli schemi, mentre Snozzi invita ad entrare nel suo mondo Tutto parte dall’esperienza con la Mnouchkine alla Cartoucherie di Vincennes, «Quando ho fatto il mio primo stage con Ariane», ha ricordato Serge, «ho compreso tutta la sua grandezza e la sua forza». La leadership della regista è infatti una componente fondamentale per gestire la dinamica di una cooperativa creata nel 1964, dove la condivisione del lavoro, degli spazi e degli ideali ancora oggi sono parte integrante di un progetto totale basato sull’essenza rivoluzionaria del teatro. Esplicitamente politico, possibilmente a soggetto storico, è un teatro che parte dal corpo, dalla sua rappresentazione e dalla sua narrazione. Accompagnato da immagini tratte dai film realizzati su alcuni fra i più significativi

allestimenti (Le dernier Caravansérail, Les Ephémères, Macbeth…), Nicolaï si è soffermato sul metodo per la nascita dei personaggi fissati dopo decine di improvvisazioni e lunghe sperimentazioni collettive che poi diventano scene di spettacoli che possono durare anche otto ore. «Il tema del prossimo lavoro ci viene spesso comunicato il giorno dell’ultima replica. Poi ognuno andrà per la sua strada per alcuni mesi durante i quali Ariane ci spedisce suggerimenti sui quali documentarci». Nascono così spettacoli che hanno affascinato da Giorgio Strehler a Peter Brook, da Pina Bausch a Carolyn Carson… «Sono lavori molto intensi», spiega ancora Serge, «delle avventure collettive dove tutti devono fare tutto. Riceviamo lo stesso stipendio (compreso quello di Ariane) e abbiamo pari diritti e doveri». Un’esperienza umana e artistica esemplare decisamente unica. Pittura, musica e testi per clandestini

Per entrare in sintonia con l’arte di Nando Snozzi andiamo al suo «Athelier Attila» di Arbedo per quella che l’artista ha definito «una sincronia di segni, suoni, parole dentro i territori dichiarati appartenenti all’arte e alla musica». Basta per catturare il desiderio di sorpresa che avvolge il suo progetto. Quello a cui abbiamo assistito, dal titolo Ipotesi per un’utopia, è un’azione scenica parte di una trilogia iniziata nel 2010 con Ipotesi per un delirio, proseguita nel 2015 con Ipotesi per un destino e che verrà riunita e presentata al Teatro Sociale la prossima stagione. Accompagnato dalle suggestive musiche di Matteo Mengoni, Snozzi legge sette componimenti letterari per due tempi: istantanee di vena surrealista, immagini di riflessioni esistenziali, «un teatro dei sensi della commedia umana» dove i sogni si mescolano a sensazioni, dove la parola diventa drammaturgia del mondo contemporaneo: «un selvaggio interlocutore mi aveva sollecitato a scegliere tra un’esistenza da gregario o una vita da Pirata oppure tra un’utopia sommersa e un’utopia salvata». Si rinnova il rituale pittorico: la mano dell’artista intinta nei colori fa nascere sulla parete i volti della sua cifra espressiva. Rabbia e dolcezza dove la favola dell’io narrante è anche sorpresa e amore per l’universo femminile: «Lei cerca i canti della vita, cerca le danze del tempo, cerca la musica del cuore». Una performance intensa per due serate intime, in attesa del gran palco.

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 27 novembre 2017 • N. 48

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Cultura e Spettacoli

Mille anni di pellegrinaggi alla volta di Einsiedeln

Quando Cuba incontra il Bronx Jazz A Jazz in Bess

Mostre Al Landesmuseum di Zurigo si narrano le vicende storiche e spirituali

il 1. dicembre il duo Ortiz – Byron

Marco Horat

Il penultimo appuntamento della stagione Tra jazz e nuove musiche 2017, proposta da RETE DUE Rsi con il sostegno del Percento Culturale di Migros Ticino, propone a Jazz in Bess di Lugano un concerto di grande interesse, aperto alle tendenze più recenti del jazz newyorkese. Sono attesi infatti venerdì 1. dicembre, alle 21.00, due eccezionali solisti, attivi entrambi da tempo nella Grande Mela. Aruan Ortiz ha poco più di quarant’anni ma sta affermandosi come uno dei giovani pianisti più interessanti attualmente in attività. La sua visione del lavoro musicale è convincente e matura. In particolare ha destato grande interesse la sua attitudine a concepire forti legami tra musica e architettura, idea-guida che ha dato luogo a numerose performance ispirate all’esplorazione delle analogie tra le due arti. Architetto dei suoni, Aruan Ortiz fonda naturalmente le radici della sua visione artistica nel patrimonio culturale che vien dalla sua isola, Cuba, di cui recupera sia gli elementi ritmici originari, sia la tradizione dei canti popolari, che mescola poi però a stili altrettanto popolari come il blues. Questo suo interesse per l’espressione folclorica va sottolineato: Ortiz esprime attraverso la sua musica la volontà di utilizzare come elementi di ispirazione il carattere umano dei suoi rapporti con il mondo, con i famigliari e con le persone del suo entourage, relazioni che diventano spunti fondamentali della sua composizione. Come ha affermato recentemente, la musica per lui è un’esperienza di condivisione con il pubblico, a cui Ortiz vorrebbe offrire stimoli di curiosità e di gioco, tanto da suscitare nelle persone il desiderio di riascoltare la sua musica, di capirne i meccanisimi di composizione, di scoprirne le caratteristiche

dell’Abbazia dal IX al XX secolo

Concorsi

«Andare di qua e di là sulle strade in pellegrinaggio verso immagini sante, acquistare lettere di indulgenza, cantare e pregare per ricompensa, organizzare processioni... è pura ipocrisia». Così Zwingli nel 1523, pochi anni prima di essere scomunicato, bollava la vita religiosa che si svolgeva attorno all’Abbazia di Einsiedeln; vita che conosceva bene dal momento che lì aveva esercitato in qualità di prete secolare dal 1516 al 1518 e quale predicatore qualche anno dopo. Oltralpe soffiava il vento impetuoso della Riforma che non avrebbe scalfito comunque più di tanto la più importante meta di pellegrinaggi in Svizzera, dal XIII secolo, verso la celebre cappella della Madonna nera. La storia dell’abbazia, fondata nel 934 sui luoghi dove visse per 26 anni il monaco Meinrado, viene raccontata ora da una mostra che presenta oltre trecento oggetti, molti dei quali per la prima volta esposti al pubblico, provenienti direttamente dal tesoro di Einsiedeln che ha raccolto nel tempo lasciti, donazioni, ed ex-voto di imperatori, re, papi come pure di pellegrini e gente comune di tutto il mondo. Alti e bassi si sono susseguiti lungo i secoli. Ci sono le fortune ai tempi dell’imperatore Ottone I che nel 962 elevò l’abbazia al rango di Abbazia reale, con tutti i privilegi che ne derivavano; o quelle della cosiddetta «consacrazione angelica», che secondo un documento attribuito a Papa Leone VIII – poi dimostratosi un clamoroso falso storico – affermava come la notte del 14 settembre del 948 Cristo stesso avesse consacrato la cappella eretta sul luogo dove sorgeva la cella di Meinrado, facendo di Einsiedeln un luogo eletto da Dio; infine la rinascita durante il periodo barocco che portò all’attuale volto dell’Abbazia (1664-1744). Dall’altro lato i periodi difficili, come durante le dispute in occasione della rivolta degli svittesi, sfociate nella Pace di Svitto del 1350 nella quale l’Abbazia doveva rinunciare alla metà dei suoi possedimenti (tra parentesi rimane comunque il maggior proprietario di foreste in Svizzera ancora ai nostri giorni); oppure gli anni dell’occupazione delle

www.azione.ch/concorsi

L’abbazia di Einsiedeln intorno al 1840-1850. Collezione d’arte dell’abbazia di Einsiedeln. (Museo nazionale svizzero)

truppe napoleoniche che nel 1798 saccheggiarono e devastarono il monastero, smantellando pietra dopo pietra la Cappella delle Grazie. Tutti i vari capitoli della storia sono ricostruiti in mostra non soltanto con musiche, immagini, testi in quattro lingue e postazioni interattive, ma soprattutto attraverso documenti originali di eccezionale valore storico e artistico che raccontano dell’importanza religiosa, economica e politica dell’Abbazia di Einsiedeln; senza dimenticare i risvolti umani della storia, come i racconti dei presunti miracoli avvenuti grazie all’intercessione della Vergine, documentati da racconti ascoltabili su tablet e da testi redatti appositamente. Ci sono poi manoscritti della prima metà del IX secolo appartenuti a Meinrado, il Registro delle Doglianze del 1311, nel quale i monaci elencano in 46 paragafi le ragioni del convento nei confronti della gente di Svitto, che aveva rubato bestiame e ucciso dei fattori

poiché contestava i privilegi dei religiosi riguardo all’allevamento (famosi sono ancora oggi i cavalli), ai diritti di pesca, al commercio del legname e ai dazi percepiti. Toccante una scultura in legno di abete rosso del XII secolo raffigurante una (Ma)donna seduta con il suo bambino, che fino all’incendio del 1465 occupava il posto poi toccato alla Madonna nera. Un capitolo a parte è rappresentato dalla spettacolare esposizione di diciassette delle preziose vesti che dal XV secolo ornano a rotazione la statua sacra (la più antica risale al 1685). Per concludere vorrei ricordare alcune testimonianze della devozione popolare, che sta poi alla base delle fortune secolari di Einsiedeln. Oltre agli ex-voto ben noti anche da noi, sono esposte curiose statuette della madonna in argilla, che venivano grattate con un coltello dai contadini che poi mescolavano la polvere ottenuta con il mangime per gli animali (ma sembra anche per i cristiani) a scopo apotro-

paico o curativo. Ancora: immagini mariane stampate su carta speciale che i pellegrini potevano inghiottire per ottenere benefici spirituali, nonché i famosi «pünteli», biglietti ripiegati con cura e conservati in appositi contenitori, che i soldati portavano al collo per difendersi dalle pallottole; oppure i cataloghi di immagini sacre della Benziger Verlag che nel XIX secolo occupava ancora più di mille impiegati in Svizzera e all’estero; una vera e propria industria del santino, diremmo oggi, che operava in regime di monopolio, e diffondeva nel mondo la fama dell’Abbazia benedettina di Einsiedeln, che del resto perdura fino ai nostri giorni.

Tra jazz e nuove musiche Rassegna di RETE DUE Jazz in Bess, Lugano Besso Venerdì 1 dicembre, ore 21.00

Danza e mistero Spettacolo Teatro San Materno, Ascona Domenica 3 dicembre, ore 17.00

Minispettacoli Rassegna teatrale per l’infanzia Oratorio San Giovanni, Minusio Dom. 3 dicembre, ore15.00-17.00

Duo Ortiz-Byron

Omaggio a Charlotte Bara

La conta di Natale

Aruan Ortiz: piano Don Byron: clarinetti, sassofoni

Coreografia e regia Tiziana Arnaboldi Danzatori Marta Ciappina, Eleonora Chiocchini, Valentina Moar. Ricerca musicale Mauro Casappa. Video Oscar Accorsi. Progetto luci Christoph Siegenthaler. Musiche di Bach, Pergolesi, e Kolk.

Di e con Claudio Milani, Elisabetta Viganò. Narrazione e pupazzi per bambini dai 3 agli 8 anni. La Conta di Natale porta in scena un Calendario d’Avvento con caselle grandi e piccole che nascondono storie, brevi racconti, pupazzi, giochi e qualche cioccolatino per i più fortunati.

www.rsi.ch/jazz

www.sanmaterno.ch

www.facebook.ch/minispettacoli

Regolamento Migros Ticino offre ai lettori biglietti gratuiti per le manifestazioni sopra menzionate.

La partecipazione è riservata a chi non ha beneficiato di vincite in occasione di analoghe promozioni nel corso degli scorsi mesi.

Per concorrere, segui le istruzioni contenute nella pagina del sito www.azione.ch/concorsi.

Una collaborazione RSI Rete Due – Associazione Jazzy Jams.

Biglietti in palio per gli eventi sostenuti dal Percento culturale di Migros Ticino

Dove e quando

L’abbazia di Einsiedeln. Mille anni di pellegrinaggi. Zurigo, Museo nazionale. Orari: ma-do 10.00-17.00; gio 10.00-19.00. Fino al 21 gennaio 2018. www.nationalmuseum.ch

Buona fortuna!

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strutturali. Un discorso in questo senso ancora più vicino ai concetti dell’architettura. Don Byron, per quanto più anziano di Ortiz, è un personaggio dalla carriera straordinariamente ricca e dinamica: la lista delle incisioni a cui ha partecipato è spettacolare, e va dall’hard rock fino al free jazz. Come per Ortiz, comunque, il suo pensiero musicale possiede una base concettuale solida e ragionata, e influenza in modo determinate le sue scelte artistiche. Byron è uno sperimentatore metodico, tanto che alcuni critici hanno sottolineato il carattere monografico di molti dei suoi album. In ognuno di essi ha affrontato una riflessione estetica su un particolare aspetto della musica jazz, vista di volta in volta sotto una diversa luce. Come Ortiz, del resto, non si considera soltanto un esecutore e uno strumentista ma un compositore moderno: molte delle sue partiture sono state premiate e hanno ricevuto importanti riconoscimenti. /AZ


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 27 novembre 2017 • N. 48

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Cultura e Spettacoli Rubriche

In fin della fiera di Bruno Gambarotta Al Festival di Sanremo Un amico mi chiede una testimonianza per un libro che sta preparando sulla storia del Festival di Sanremo. In un primo tempo nego di esserci mai stato, poi lui mi spedisce tre fotografie nelle quali mi si vede sul palco del teatro del Casinò mentre manovro una telecamera e non posso più sottrarmi. Con una premessa: essere presente al Festival non è mai stato in cima alla classifica dei miei desideri, di conseguenza i miei ricordi sono labili. Per tre anni e mezzo, dall’aprile 1962 fino all’ottobre del 1965, ho fatto parte dell’esercito degli Invisibili. Lo sono tutti coloro che, pur essendo vicini per motivi di lavoro a personaggi di primo piano, non sono notati. Come gli autisti, i camerieri, le sarte, i parrucchieri, non percepiti come potenziali testimoni e perciò in grado di ascoltare le conversazioni dei Famosi. Nel 1965 ho fatto parte della squadra di riprese televisive impegnata in un Festival che aveva ancora un’aria casereccia, di affare di famiglia,

al teatro del Casinò, dove si circolava liberamente e i cantanti, seduti in platea, potevano ascoltare le esibizioni dei colleghi rivali. Eravamo in quattro cameraman. Le prime file della platea erano occupate da commendatori milanesi che per farsi riprendere in primo piano ed essere visti dai famigliari e dai compaesani, infilavano banconote da 10mila in tasca al collega incaricato di inquadrare il pubblico. Come ultimo arrivato nella squadra, mi era stata assegnata la telecamera meno impegnata nelle riprese. Dotato del piccolo zoom, da 2 a 8 pollici di lunghezza focale, ero collocato sul palcoscenico dietro le quinte con il compito di riprendere i cantanti di tre quarti. Capitava che gli esordienti per l’emozione esitassero un po’ troppo a entrare in scena; in quel caso mi arrivava in cuffia l’ordine di sollecitarli, io eseguivo con una leggera spinta di incoraggiamento. Wilma Goich era in onda quando cantando alzò le braccia mostrando sotto le

ascelle una vistosa macchia di sudore. Dalla regia partì l’ordine: «Stringi! Stringi!», subito eseguito. A mezzogiorno, volendo, si andava a pranzo alla mensa dei croupier dove si mangiava benissimo e si conversava amabilmente. Di quella prima esperienza al Festival la mia memoria non trattiene né un cantante né una canzone, solo il titolo a tutta pagina di un quotidiano: «È morto Winston Churchill». Era un lunedì, giorno di riposo per la squadra; con un collega siamo andati a Nizza, attirati dalla fama di uno chef fuggito dalla Spagna di Franco che nel suo ristorante cucinava una paella strepitosa. È un dettaglio che mi rappresenta bene: capace di percorrere 100 chilometri per mangiare una paella, privo di interesse verso il mondo della musica leggera, al punto da non ricordare né una canzone né un cantante. Sarei ritornato al Festival una seconda e ultima volta nel 1997 per condurre la radiocronaca in diretta su Radio 2, in pratica per coprire con

interviste le pause pubblicitarie in onda sui televisori. Il nostro studio era sotto il palcoscenico dell’Ariston. Conducevano Mike Buongiorno, Valeria Marini e Piero Chiambretti. Mi colpirono due vistose differenze rispetto alla mia precedente esperienza: la ferrea vigilanza affidata alle guardie del corpo e la presenza asfissiante di operatori televisivi e di giornalisti in ogni luogo. Il primo giorno arrivo in albergo e devo sostare in attesa che liberino la mia camera. Nella hall un manipolo di bionde ragazze coscia lunga avvolte in mantelli neri camminano a grandi falcate avanti e indietro con il telefono incollato all’orecchio. Scrutano ansiose la porta dell’ascensore. Sui divani, in attesa di ordini, stravaccano appesi a grappolo gli operatori nella posa di chi è stato appena abbattuto a fucilate, ciascuno tenendo abbracciata la sua telecamera. Quando le valchirie arrivano nei miei paraggi catturo brandelli delle loro conversazioni: «Al Bano l’ho già fatto

stamattina presto, ma Patty Pravo è impossibile, qua all’albergo dicono che non l’hanno mai vista scendere prima delle tre del pomeriggio». A un certo punto una delle ragazze si accorge della mia presenza, si avvicina alla poltrona dove sto seduto e dice: «Scusa, in questo momento mi sfugge il tuo nome. Chi sei già?». Mi presento e lei: «Ti dispiace se ti faccio qualche domanda?». «Perché no?». «Aspetta che chiedo al boss». Telefonata concitata: «Senti, Patty non scende, potrei fare Bruno Gambarotta». Pausa. «Lo so anch’io che Gambarotta non è Patty Pravo e che non canta ma lui è qui, mentre lei non c’è e tra poco dobbiamo andare in onda». Così posso esternare alla telecamera di chissà quale emittente il mio parere sui sedici vestiti da sera della Marini, sulla composizione delle giurie, su certi aspiranti campioni, argomenti sui quali ignoro tutto, dando così modo alla giornalista di farmi i complimenti: «Sei meglio di Bruno Vespa».

per le due righe scritte a un astratto «Esattore» non è tanto nella curiosità, pur vera, che suscita la dichiarazione di non poter assolvere un dovere verso lo Stato che si è contribuito a unificare e, in fondo, a creare. È piuttosto la sicurezza con cui ciò viene affermato, senza che si ritenga opportuna alcuna motivazione, senza cercare scusanti, senza la minima traccia di contrizione o dispiacere. Garibaldi sa di avere fatto molto per l’Italia: ebbene, l’Italia lo deve prendere così com’è. L’uomo di mare non conosce formalità e belle maniere, la guerra e le tante prigionie, insieme alle turbolente vicende sentimentali e famigliari, fanno di lui un uomo che esercita la parresia senza remore. Ma non intesa come si diceva nella scorsa postilla, quando così si definiva anche l’esondare dei discorsi privati sui social media, l’eccesso di confidenze gettate in pasto a chiunque, la perdita di ogni rispetto per se stessi. No, la libertà di parola di Garibaldi assomiglia piuttosto

a quella di Socrate, che nulla ferma dal dire quello che pensa, anche se ai più sembrerà sconveniente e fuori luogo, come sembra sconveniente che un patriota non paghi le tasse solo perché «impossibilitato». Socrate nel primo libro della Repubblica discute con alcuni amici di differenti età. Dopo aver vagliato i vantaggi (molti) e gli svantaggi (pochi) della vecchiaia, il discorso cade sulla definizione di giustizia, perché l’anziano Cefalo afferma che col passare degli anni si ha sempre più presente l’aldilà, dove saremo chiamati a rendere conto delle ingiustizie commesse. Vuole intervenire il giovane Trasimaco, lo fanno tacere per poter ascoltare Socrate, ma questi esplode: «Che chiacchiere sono queste che andate facendo da un pezzo, Socrate, e cosa dite scemenze facendovi ridicolmente delle concessioni l’un l’altro?» Il ragazzo non sopporta che si discuta chiarendosi l’uno con l’altro il concetto di giustizia e propone con maleducazio-

ne il suo: «il giusto non è altro che l’utile del superiore». Socrate non si scandalizza né si adira, chiede compassione per la sua ignoranza e lumi a Trasimaco. Che da parte sua si spiega dando a Socrate dell’ingenuissimo, del disgustoso, del sicofante. E Socrate ancora: «Persuadici dunque davvero, uomo fortunato, che la nostra valutazione è erronea, se stimiamo la giustizia più dell’ingiustizia». Trasimaco aggredisce, tenta rozzamente di spiegarsi. Ma rimane spiazzato dalla tranquilla fermezza del filosofo, che non grida e non arretra, sicuro di dove sta conducendo il discorso. Molti vorrebbero avere questa stessa libertà, vorrebbero sembrare impavidi propalatori di scomode verità. Per questo gridano, insultano, litigano. Si querelano. Quando a Socrate bastava un’educata domanda, per mettere in crisi l’arroganza di Trasimaco, quando a Garibaldi bastavano due educate righe a un Esattore sconosciuto per raccontare la sua vicenda umana.

con cui segnalavano le profondità dei fondali («marca due!», cioè due braccia, l’unità di misura corrispondente a due metri). I travestimenti per protezione, nell’Ottocento, interessano molto le donne che vogliono pubblicare sì evitando lo scandalo e magari mascherandosi da uomini (vedi le sorelle Brőnte), ma è ancora più ovvio, nel 1942, il cambio di identità di Natalia Ginzburg in Alessandra Tornimparte per sfuggire alla censura antisemita. Eric Arthur Blair diventa George Orwell (dal nome del fiume che scorre nella contea inglese di Suffolk), rifiutando un cognome da cui si poteva intuire l’estrazione sociale (alta) della sua famiglia: lo fa per potersi immergere più facilmente nel mondo del proletariato in cui si propone di indagare come giornalista e scrittore. Pseudonimo come una sorta di tuta mimetica. Non è questo il caso di Romain Gary (nome falso), con cui Baudino (nome autentico) apre il suo libro: pilota di guerra, eroe gollista, carattere spavaldo, intrepido, soprav-

vissuto a diversi incidenti aerei, dandy dal carisma irresistibile per le donne, grande scrittore nato in Lituania come Roman Kacew da famiglia ebrea e portato bambino in Francia da sua madre Nina, Gary si uccide a 66 anni nel suo appartamento parigino il 2 dicembre 1980 con un colpo di pistola. Due giorni prima ha spedito un breve memoriale al suo editore, Gaston Gallimard, chiedendogli di pubblicarlo postumo. Il titolo è Vita e morte di Émile Ajar e si chiude con un saluto quasi irridente: «Mi sono davvero divertito. Arrivederci e grazie». Ajar è stato, nei suoi ultimi sei anni, il doppio di Gary, il cui successo compie in pieno le profezie di grandezza pronunciate dalla madre: morta nel ’41, Nina, per non turbare il figlio impegnato in guerra, ha affidato una serie di lettere a un amico perché le spedisca a Romain. Che le riceve postume per quattro anni senza sapere che la madre non c’è più. L’ultima lettera dice: «Figlio mio, tieni duro, sii forte. Mamma». Il figlio non avrebbe tenuto duro, stanco,

nonostante gli pseudonimi, del fatto di essere rimasto prigioniero di una «sola faccia», quella dello scrittore famoso costruita dai lettori, dalla critica e, a onor del vero, anche da lui stesso. Altri casi, altre ragioni che spingono a cambiar nome? Doris Lessing mandò un manoscritto al suo editore abituale firmandosi Jane Somers per il gusto di vedere la reazione: Jonathan Cape lo rifiutò e quando Knopf decise di pubblicarlo, con il falso nome, il romanzo non ebbe alcun riscontro. Anche JK Rowling, la «madre» di Harry Potter, ebbe la stessa tentazione e mandò alle stampe un romanzo con un nome maschile, Robert Galbraith. Fu smascherata quasi subito e quella che aveva immaginato come un’«esperienza liberatoria» naufragò per l’imprudenza di un funzionario editoriale. Nessuno si era accorto del libro, ma quando si seppe che Galbraith era lei, il pubblicò impazzì e fu un trionfo. Dal tonfo al trionfo ci vuol poco. Basta insinuare: lei non sa chi sono io, e a volte non lo so neanch’io…

Postille filosofiche di Maria Bettetini La libertà in due parole «Signor esattore, mi trovo nell’impossibilità di pagare le imposte». La missiva, vergata a penna, è indirizzata al Sig. Esattore di Roma, la firma è G. Garibaldi, la data un 26 di maggio, di un anno probabilmente successivo al 1871, quando Roma divenne capitale d’Italia anche per merito, indiretto, di Giuseppe Garibaldi. In verità Garibaldi aveva tentato almeno tre volte di rendere Roma all’Italia, e una di queste fu anche ferito, sull’Aspromonte (non solo «a una gamba» come canta la marcetta dei bersaglieri, bensì a due). «O Roma o morte!», pare abbia detto a Catania prima di tentare l’avventura romana nel 1862. Ancora oggi le innumerevoli statue che lo ritraggono nelle piazze d’Italia hanno tutte lo sguardo volto alla capitale, che per Garibaldi rimase un sogno: quando infatti nel 1870 Roma fu finalmente presa dall’esercito italiano attraverso la breccia di porta Pia, si dovette strapparla alle truppe francesi che la difendevano. Ma proprio

quell’anno Garibaldi era andato a combattere a fianco della Francia nella guerra franco-prussiana, non poteva certo lasciare gli alleati per andare a combatterli a Roma. Un intricato conflitto di interessi, tipico un po’ di tutto il Risorgimento, per non dire dell’umanità intera che volentieri cambia alleati e difensori appena intravvede un vantaggio. Comunque, nel 1874 Garibaldi non solo può godere dell’unità d’Italia e di Roma capitale, ma diventa addirittura deputato del Regno. Dobbiamo pensare di questo periodo la sua lettera al signor Esattore, perché abbiamo un altro segnale dell’indigenza dell’Eroe dei Due Mondi: nel dicembre del 1874 viene proposto per lui un vitalizio, approvato nel maggio successivo. Inizialmente Garibaldi lo rifiuta, ma poi nel 1876 accetta le 50’000 lire di pensione, che probabilmente gli servono anche per le cure mediche (è ormai in sedia a rotelle, morirà nel 1882 prima di compiere i 75 anni). Tuttavia la causa dell’interesse

Voti d’aria di Paolo Di Stefano Io non so chi sono io Cos’è che accomuna Voltaire, Carlo Collodi, Pablo Neruda, Italo Svevo, Umberto Saba e Alberto Moravia? Nessuno di questi nomi è quello anagrafico: si tratta di pseudonimi. La letteratura pullula di false identità, di scrittori che si celano dietro maschere onomastiche, da Senofonte fino a Elena Ferrante. «La pratica e persino il culto dello pseudonimo non sono mai stati popolari come oggi», scrive Mario Baudino, autore di un racconto-saggio dal titolo Lei non sa chi sono io (Bompiani) che merita il massimo dei voti d’aria per la notevole mole di informazioni che fornisce e per l’eleganza della narrazione. L’epidemia del nome falso si è imposta con i blog, dove celandosi dietro il cosiddetto «nickname» ciascuno può dire ciò che vuole, con licenza di spararla grossa in forma rigorosamente anonima. È la (discutibilissima) democrazia del web. Nell’ambito letterario è una consuetudine remota, che nei secoli (specialmente nel ’600) ha generato numerosi dizionari sull’argomento. Ma il vero

campione è Stendhal, ovvero Henri Beyle, che nella sua carriera ha collezionato circa 350 pseudonimi, il doppio di Voltaire, considerato uno dei più prolifici e fantasiosi nell’inventare autonominazioni fasulle. Per Stendhal, cambiare nome è, secondo il suo massimo studioso, Jean Starobinski, «un’alterazione volontaria del sistema dei valori nominali per dominarlo meglio e goderne di più»: un modo per moltiplicare le proprie vite possibili (qualcosa di simile fece Fernando Pessoa con i suoi «eteronimi»), ma anche un rifiuto dell’identità imposta, uno scacco al padre, Chérubin Beyle, avvocato e proprietario terriero detestato per l’avidità borghese. Non mancano gli esempi di scrittori che a furia di adottare identità sempre diverse sembrano dirci: io non so chi sono io. Ma a volte le ragioni sono più evidenti: è per aggirare le probabili noie contro la sua satira sferzante che Samuel Langhorne Clemens decide di firmarsi Mark Twain, prendendo in prestito dai battellieri del Mississippi il grido


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 27 novembre 2017 • N. 48

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shopping Un mondo di dolcezze

Attualità Le specialità natalizie della Jowa sono frutto di un mix di ingredienti di qualità, accurato lavoro manuale, savoir-faire e tanta pazienza. Ne abbiamo parlato con Lorenzo Stornetta, assistente di produzione alla Jowa di S. Antonino

Lorenzo Stornetta va fiero dei «suoi» prodotti. (Flavia Leuenberger Ceppi) Signor Stornetta, quanti tipi di panettone e pandoro proponete nei negozi Migros durante il periodo natalizio?

Dai più classici a quelli più elaborati, contando le diverse pezzature, almeno una quindicina. Tra le specialità particolari, citerei il profumato «Panettone artigianale» con fichi, noci, albicocche e mandarino di Ciaculli. Oppure anche il «Panettone Sélection» con frutta candita scelta con grande cura e incartato in una splendida confezione regalo. Quale prodotto preferisce produrre?

In generale non faccio distinzione sulla preferenza nella produzione di un prodotto rispetto ad un altro: ad ogni dolce è importante dedicare assoluta attenzione e massimo riguardo. Esiste un segreto per ottenere un panettone o un pandoro di qualità?

Il segreto principale sta nell’accurata la-

vorazione del lievito naturale prima, sia dopo, nel momento in cui si arricchisce quest’ultimo con ingredienti di prima qualità. Infine, anche le mani esperte dei nostri panettieri giocano un ruolo fondamentale: è infatti necessario porre molta attenzione ad ogni fase, così da poter ottenere un prodotto finale qualitativamente ineccepibile che possa sprigionare tutti i suoi aromi.

Quanto dura la produzione di un panettone o di un pandoro?

La cura nella preparazione, o meglio il rinfresco dei lieviti e dei vari impasti, si svolge sull’arco di almeno 34 ore, dopodiché si passa alla cottura. Perché il lavoro manuale è importante nella preparazione di queste specialità?

In primo luogo per la conoscenza dell’artigianalità, poiché solo mani esperte sono in grado di curare i dettagli con

minuziosa perizia; secondariamente il lavoro manuale permette di poter lavorare con degli impasti meno duri, cosi da ottenere un migliore sviluppo.

Giovedì è il giorno del panettone Gli amanti del tradizionale dolce potranno acquistarlo appena uscito dal forno al Centro Migros di S. Antonino per tre giovedì consecutivi a partire dal 7 dicembre. I panettieri della «Panetteria della casa» prepareranno in giornata il panettone sotto gli occhi della clientela e lo metteranno in vendita a partire dalla ore 15.00 di fronte al laboratorio stesso. Approfittatene!

Panettone San Antonio 1 kg Fr. 11.–

Pandoro San Antonio 800 g Fr. 11.50

Panettone Artigianale 500 g Fr. 17.90


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 27 novembre 2017 • N. 48

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Idee e acquisti per la settimana

La gioia dell’Avvento Attualità L’assortimento Migros di articoli natalizi offre tantissime idee per prepararsi alla festa più bella dell’anno.

Ecco alcune proposte

La pianta simbolo del periodo natalizio è prodotta in Ticino dall’azienda Rutishauser di Gordola. È disponibile nel più classico colore rosso vivo, ma anche bianca o rosa, sia al naturale che già decorata con brillantini. Affinché duri a lungo è importante non annaffiarla troppo: è sufficiente una volta alla settimana. Inoltre evitare i ristagni d’acqua e gli sbalzi di temperatura.

L’abete Nordmann è l’albero di Natale preferito per le decorazioni natalizie. Si caratterizza per la sua fitta chioma a forma di piramide e i lucenti aghi che non pungono. Il suo colore varia dal verde al verde scuro. Rispetto ad altri abeti perde pochissimi aghi e, se tenuto in un piedistallo con riserva d’acqua, manterrà il suo colorito più a lungo. Abete Nordmann reciso p. es. 90/120 cm Fr. 34.90

Stella di Natale prodotta in Ticino p. es. Mini Stella in vaso, 6 cm Fr. 3.90

I mastri pasticceri della Jowa hanno creato questa bontà a base di pasta lievitata dolce e l’hanno resa ancora più invitante grazie all’aggiunta di uva sultanina. La stella d’Avvento è perfetta per essere decorata a piacere, seguendo per esempio, il consiglio di bricolage riportato sulla confezione.

Stella d’Avvento con uva sultanina 300 g Fr. 2.90

Tradizione e golosità si fondono in modo perfetto nei calendari dell’Avvento creati dalla Frey. In ognuna delle 24 finestrelle si nasconde un finissimo ed irresistibile cioccolatino che renderà l’attesa del Natale ancora più dolce. Sono disponibili cinque soggetti diversi per soddisfare ogni preferenza.

Flavia Leuenberger Ceppi

Calendari d’Avvento Frey diversi soggetti da Fr. 4.20 a Fr. 11.20

Il Babbo Natale a km zero. Queste originali figure di legno sono disponibili in due grandezze diverse nei reparti fiori delle maggiori filiali Migros. A base di legno di castagno ticinese, ogni pezzo è unico ed è realizzato a mano da un falegname e artista di Castione.

Le corone dell’Avvento rallegrano il periodo dell’attesa del Natale. La tradizione vuole che ad ogni domenica d’Avvento – la prima quest’anno cade il 3 dicembre – venga accesa una candela. La scelta è molto variegata e include sia corone decorate in modo classico, sia modelli particolarmente originali.

Corone dell’Avvento diversi modelli da Fr. 14.90

Babbo Natale di legno prodotto in Ticino piccolo Fr. 14.90 grande Fr. 19.90


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Idee e acquisti per la settimana

Lo zafferano ticinese alla Migros Novità Anche a Castel San Pietro si coltiva una delle spezie più pregiate al mondo

È solo una piccola produzione e non la si può di certo ancora paragonare, per storia e tradizione, a quella vallesana di Mund, ma lo zafferano di Castel San Pietro sta crescendo. Nel 2014 sono stati messi a dimora i primi bulbi che ora sono diventati circa 15mila e danno un buon raccolto, destinato prevalentemente alla vendita diretta, a qualche ristorante e a Migros Ticino. La coltivazione avviene all’istituto di Loverciano, una struttura che dal 1950 accoglie minorenni e giovani con disabilità o con problematiche derivanti dal disagio sociale, offrendo loro educazione e formazione scolastica o professionale. Il Crocus sativus fiorisce in ottobre, quando i campi si colorano di un viola seducente. Se ne utilizzano i tre filamenti, stigmi o stimmi, che fanno parte del fiore. Per il raccolto occorrono circa una ventina di giorni ed è effettuato rigorosamente a mano, così come la cernita e la seguente essiccazione; passaggi molto delicati per la qualità dello zafferano che trova spazio non solo nei risotti, ma anche in salse, pane e in

sorprendenti piatti dolci e dessert. Una spezia che sul mercato può essere quotata anche oltre i 40 franchi per grammo, ma questo non deve spaventare, dato che per un risotto per quattro persone se ne usa un decimo di grammo, quindi meno di cinque franchi. La produzione annua di Loverciano, stimata in circa mezzo

chilo, è una goccia nel deserto paragonata alle 180 tonnellate prodotte al mondo, con in prima fila Iran, Afghanistan e Marocco. In Ticino l’interesse è crescente: oltre a Castel San Pietro, già dal 2009 lo si coltiva a Pianezzo in Val Morobbia e altri produttori si stanno avvicinando a questa nicchia speziata. / Elia Stampanoni

Autentica prelibatezza Il foie gras è una vera gourmandise della cucina francese e da sempre è sinonimo di festa. Quella del foie gras è la storia di una specialità suprema e misteriosa che si perde nella notte dei tempi e, addirittura, dall’Antico Egitto arriva ai giorni nostri: sapori coniugati con talento e passione gli uni con gli altri per dare luogo a un cibo

raffinato. È una storia che in Francia è fatta di tradizioni regionali e di uomini che le fanno vivere, nelle Landes, in Alsazia, nel Gers e nel Périgord. Ma è soprattutto la storia di un piacere culinario che necessita solo di una fetta di buon pane per essere valorizzato come si conviene. A proposito: l’assortimento di foie

«Zafrán» Zafferano in fili 0,3 g Fr. 12.90 In vendita nelle maggiori filiali Migros

L’insalata delle Feste gras di Migros Ticino si declina in diverse specialità dedicate ai palati più esigenti: come ad esempio le varianti in blocco oppure le fettine pronte per essere semplicemente impiattate, piatti degustazione con una selezione di succulenti variazioni e persino specialità particolari come il foie gras «au piment d’Espelette».

La composizione di deliziose verdure svizzere accuratamente selezionate è ciò che rende questa insalata mista un piatto ideale per i giorni di festa. Grazie al suo sapore delicatamente aromatico e nocciolato conquista il palato di grandi e piccoli buongustai. Con un semplice condimento di olio di colza, aceto balsamico, fleur du sel e pepe macinato fresco si esalta al meglio la raffinata

combinazione di lattuga cappuccio, lollo rossa, spinacino, ravanelli, cavolo bianco e mizuna. L’insalata è già lavata e pronta per essere condita.

Insalata mista «Celebration» 160 g Fr. 2.90 In vendita nelle maggiori filiali Migros


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Idee e acquisti per la settimana

Migros Ticino online e su Facebook Attualità Lanciato lo scorso 6 novembre, il nuovo sito web della cooperativa sta già riscuotendo un ottimo successo.

E ora Migros Ticino è anche su Facebook. Quattro domande a Luca Corti, Responsabile Comunicazione e Cultura, coordinatore del progetto

Perché un nuovo sito web e una pagina Facebook per Migros Ticino? Semplicemente perché oggi essere efficienti ed efficaci in rete e sui social è fondamentale. Ci si muove all’interno di logiche di comunicazione immediate e più mobili rispetto al passato: l’85 percento degli accessi a un sito in Ticino avvengono tramite smartphone e tablet, mentre si è in giro... Il vecchio sito da questo punto di vista aveva grossi limiti. Come è strutturato il sito? Il nuovo ambiente è stato sviluppato con tecnologia «responsive», per un’ottima visualizzazione dei contenuti oltre che su PC anche sui sistemi mobili. Abbiamo voluto mantenere tutti i preziosi servizi offerti sino ad ora, aggiungendo però una serie di contenuti volti a servire ancor meglio i nostri clienti, che oggi si dimostrano sempre più informati, esigenti e, come già detto, soprattutto mobili. La veste grafica è al contempo moderna e sobria, coerentemente con il DNA della Cooperativa Migros Ticino. Essa varierà nel corso dell’anno con un’ottica di stagionalità.

Quali sono state le difficoltà principali nel suo sviluppo? La struttura navigazionale e gli ambienti del sito Internet sono stati completamente ripensati e, per restare al passo con i tempi, è stata data anche una maggior attenzione alle esigenze e ai bisogni delle nuove generazioni «tecnologiche». Anche molti contenuti sono stati riadattati. Questo ha comportato delle profonde riflessioni e diverse fasi di analisi e testing. Il team di sviluppo ha lavorato a ritmi serrati per quasi un anno. Cosa ci si aspetta dal sito e dalla pagina Facebook di Migros Ticino? Questi nuovi canali digitali di Migros Ticino vogliono semplicemente essere dei buoni amici per i nostri clienti: dei punti di riferimento affidabili, che stanno sempre accanto, sinceri, con una buona capacità di consigliare e dare delle risposte immediate.

Ti aspettiamo su

www.migrosticino.ch Facebook: @Migros Ticino Annuncio pubblicitario

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Idee e acquisti per la settimana

Vanessa Glässel è responsabile del progetto Famigros e tre volte mamma. Vanessa Glässel

«L’ideale sono idee di regali semplici e utili»

«Anche i bambini piccoli si divertono facendo bricolage». Vanessa Glässel, responsabile progetto Famigros

Famigros

Idee regalo creative

A Natale vi piacerebbe rendere felici parenti e conoscenti con regali fatti a mano assieme ai vostri figli? Sul sito del club per famiglie Famigros sono disponibili idee e suggerimenti per il bricolage Testo Angela Obrist; Foto Getty Images, LDD

I regali fatti a mano vengono dal cuore e prepararli in casa può essere un’attività divertente per l’intera famiglia. Nel periodo che precede il Natale, spesso frenetico, in genere i genitori faticano a trovare il tempo per individuare delle idee di regali originali. E anche i piccoli aiutanti non sempre sono entusiasti all’idea di partecipare ai lavori. Ma può anche andare in altro modo. Mamma e papà decidono alcune idee di regali, piccoli ma utili, da realizzare. Idealmente i lavori di bricolage vanno iniziati con un buon anticipo e portati a termine in più fasi. Un aspetto quest’ultimo particolarmente rac-

comandato, perché a seconda dell’età i bambini hanno più o meno costanza (vedi intervista a lato). Ma con piccoli progetti adatti all’età, il bambino partecipando si diverte e nel giro di poco tempo avrà modo di sperimentare una gratificante esperienza e di rallegrarsi per quanto realizzato. La gioia di chi riceve un dono è in genere più grande quando il regalo è fatto a mano, ancor più se è davvero utile e offre un sorriso nella vita di tutti i giorni. Famigros, il club per le famiglie della Migros, riserva numerose idee creative per lavoretti manuali, che possono essere realizzati in tempi ragionevoli e senza troppe fatiche. Chi visita il sito

internet www.famigros.ch, alla voce «bricolage» trova diverse idee per realizzare manualmente dei regali. Oltre a ciò ci sono anche suggerimenti per oggetti decorativi, giochi, idee di attività manuali facili e rapide per le feste di compleanno dei bambini e tanto altro. Le idee possono essere filtrate e valutate sulla base del tempo necessario per la loro realizzazione, il grado di difficoltà e il tipo di occasione. Per esempio, che ne dite di scatole regalo a forma di animale, di fragranti sali da bagno fatti in casa o di luci decorative invernali? www.famigros.ch/bricolage

Per quale motivo fa regali realizzati manualmente con i suoi figli? I miei figli desiderano partecipare ai preparativi del Natale. I lavori manuali fatti insieme promuovono la creatività e sono un’attività che spesso risulta pure divertente. Anche i bambini piccoli, dai due anni, possono trovare un gran piacere nel fare bricolage. Con un piccolo aiuto sono in grado di dipingere o incollare oggetti con il pennello. L’importante è non sollecitarli per troppo tempo. Non hanno la costanza dei bambini che già frequentano la scuola dell’infanzia o elementare. Quali i suoi suggerimenti, affinché il bricolage abbia successo? Andrebbe deciso in anticipo quale lavoro manuale si intende realizzare. I genitori non dovrebbero prefissarsi un impegno troppo grande. L’ideale sono piccoli progetti e lavori di bricolage che possono essere suddivisi in tappe da completare in più giorni. La mancanza di pazienza o un attimo di confusione fanno parte delle attività manuali con i bambini. Se i bambini si stancano di ciò che stanno facendo, possiamo terminare noi il lavoro e motivare i piccoli bricoleur a svolgere compiti alternativi, per esempio preparare i bigliettini per i regali.


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Idee e acquisti per la settimana

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Ogni giorno un dolcetto Anche quest’anno chi regala le prelibatezze Yummy nelle originali confezioni Frey dedicate all’avvento accresce in tutti i bambini la gioiosa attesa delle feste. Al popolare calendario dell’avvento si aggiungono un grazioso pinguino con berretto abbinato a un mix di vivaci snack, una casetta natalizia colorata con una dolce miscela natalizia e un variopinto caleidoscopio ripieno di scoppiettanti caramelle.

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2.35 invece di 3.55

Sminuzzato di pollo Optigal in conf. da 3 Svizzera, 3 x 222 g

30% Salmone fresco norvegese (bio escluso), per es. filetto di salmone senza pelle, d’allevamento, Norvegia, per 100 g, 3.25 invece di 4.70

Prosciutto cotto Puccini prodotto in Ticino, affettato in vaschetta, per 100 g

40%

21.90 invece di 36.50 Mini filetti di pollo Optigal Svizzera, imballati, al kg


. a z z e h c s e fr lo o s e e r Semp 50%

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Consiglio

Pasticcio di San Nicolao Rapelli Svizzera, 500 g

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Entrecôte e scamone di manzo, al pezzo, invece di 7.05 in conf. speciale per es. entrecôte, Uruguay/Paraguay, per 100 g, 4.50 Cervelas TerraSuisse in conf. da 3 3 x 2 pezzi, 600 g invece di 7.50

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11.40 invece di 19.– Salmone selvatico Sockeye MSC in conf. speciale pesca, Alaska, 280 g

PER ARRICCHIRE LA FONDUE Servita con aglio sottaceto preparato con le vostre mani, la fondue moitié-moitié sarà ancora più squisita. Particolarmente delicati nel sapore, gli spicchi d’aglio esaltano il gusto tipico della fondue. Trovate la ricetta su migusto.ch e tutti gli ingredienti freschi alla vostra Migros.

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20%

20.45 invece di 25.60 Fondue moitié-moitié, pronta all’uso, in conf. da 2 2 x 600 g

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2.20 invece di 3.25 Robiölina Natür prodotti in Ticino, in conf. da 150 g

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2.15 invece di 2.70 Emmentaler Höhlengold per 100 g

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1.45 invece di 1.85 Gruyère piccante in conf. da 250 g ca., in self-service, per 100 g

Migros Ticino OFFERTE VALIDE SOLO DAL 28.11 AL 4.12.2017, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK

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Sminuzzato di pollo Optigal in conf. da 3 Svizzera, 3 x 222 g

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Prosciutto cotto Puccini prodotto in Ticino, affettato in vaschetta, per 100 g

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2.80 invece di 4.40 Arance bionde Spagna, rete da 2 kg

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13.50 invece di 16.90 Rose dell’altopiano Fairtrade, mazzo da 9 lunghezza dello stelo 50 cm, in diversi colori, per es. rosa e fucsia

40%

2.20 invece di 3.90 Cachi Persimon Italia, al kg

2.70 invece di 3.90

2.70 invece di 3.90 Papaya Brasile, il pezzo

40%

3.50 invece di 5.90 Clementine dolci Italia, imballate, 1,5 kg

Migros Ticino OFFERTE VALIDE SOLO DAL 28.11 AL 4.12.2017, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK

3.80 invece di 5.50 Prosciutto crudo del Chianti Italia, affettato in vaschetta da 100 g

20%

2.75 invece di 3.45 Arrosto spalla di manzo TerraSuisse imballato, per 100 g

20%

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5.95 invece di 7.50

Pere Kaiser Alexander Svizzera, al kg

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Tutti i sushi per es. Sushi Nigiri Classic, prodotto in Svizzera, in conf. da 180 g, 9.50 invece di 11.90, fino al 2.12

Fettine fesa di vitello fini TerraSuisse imballate, per 100 g

25%

4.35 invece di 5.80 Arachidi extra Israele, imballati, 500 g

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2.90 invece di 3.70 Finocchi Italia, al kg

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2.15

Formentino Ticino, imballato, per 100 g

20% Tutti panettoni e panettoncini Jowa per es. panettone in scatola, 1 kg, 8.80 invece di 11.–


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Tutti i biscotti Tradition a partire da 2 confezioni, –.60 di riduzione l’una, per es. Cremisso, 175 g, 2.90 invece di 3.50

Biberli d’Appenzello in conf. da 6 450 g

PASTA E INSALATA DA GOURMET Le lasagne e il formentino con chicchi di melagrana creano un meraviglioso connubio di colori e sapori. Insieme formano anche un piatto principale completo ed equilibrato. Trovate la ricetta su migusto.ch e tutti gli ingredienti freschi alla vostra Migros.

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7.20 invece di 9.– Uova svizzere, da allevamento all’aperto 15 x 53 g+

20% Tutto l’assortimento di confetture Favorit per es. lamponi svizzeri, 350 g, 3.35 invece di 4.20

–.60

di riduzione Tutti i biscotti di Natale Grand-Mère per es. miscela di Natale, 380 g, 5.40 invece di 6.–

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Ravioli Anna’s Best in conf. da 3 per es. al pomodoro e alla mozzarella, 3 x 250 g, 9.80 Mini Babybel invece di 14.70 retina, 18 x 22 g

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20% Tutti i succhi Gold da 1 l e 3 x 25 cl per es. multivitaminico Fairtrade, 1 l, 1.55 invece di 1.95

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di riduzione Tutte le capsule Delizio, 48 pezzi, UTZ per es. Lungo Crema, 16.80 invece di 19.80


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a partire da 2 pezzi

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20% Tutto l’assortimento Mifloc per es. purea di patate, 4 x 95 g, 3.60 invece di 4.55

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di riduzione l’uno Tutte le salse Agnesi a partire da 2 pezzi, –.50 di riduzione l’uno, per es. al basilico, 400 g, 2.30 invece di 2.80

Ammorbidenti Exelia in busta di ricarica a partire da 2 pezzi, 50% di riduzione

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Tutte le zuppe in bustina e istantanee Bon Chef a partire da 2 pezzi, 20% di riduzione

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Tutte le conserve di tonno M-Classic a partire da 2 pezzi, 20% di riduzione

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Mandorle e nocciole sgusciate M-Classic, 200 g a partire da 2 confezioni, 20% di riduzione

1.–

di riduzione Tutte le chips Zweifel da 170 g, 280 g o 300 g per es. alla paprica, 280 g, 4.70 invece di 5.70

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7.40 invece di 9.30 Manella in conf. da 3 per es. Winter Rose, 3 x 500 ml, offerta valida fino all’11.12.2017

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Altre offerte. Frutta e verdura

Lattuga iceberg, Spagna, il pezzo, –.90 invece di 1.30 30%

Tutti i prodotti di pasticceria ai vermicelles, per es. tortine, 2 pezzi, 240 g, 4.30 invece di 5.40 20% Tutti i sandwiches M-Classic, TerraSuisse, per es. sandwiches, 4 pezzi, 260 g, 1.60 invece di 2.– 20%

Fiori e piante

Feldschlösschen senz’alcol, 6 x 50 cl o 10 x 33 cl, per es. 10 x 33 cl, 7.60 invece di 10.90 30%

Tutte le colorazioni Syoss e Schwarzkopf, a partire da 2 pezzi 20% **

Délice di pollo Don Pollo, surgelati, 1 kg, 9.10 invece di 13.05 30%

Tutto l’assortimento di lettiere per gatti Fatto 20%

Tutti i mitici Ice Tea in bottiglie di PET in conf. da 6, 6 x 1 l, UTZ, per es. al limone, 5.45 invece di 7.80 30% *

Tutto l’assortimento di alimenti per gatti Vital Balance 20%

Aceto di vino alle erbe aromatiche Chirat Kressi in conf. da 2, 2 x 1 l, 4.40 invece di 5.90 25%

Pesce, carne e pollame

Biscotti al caramello Lotus, 2 x 250 g, 4.45 invece di 5.60 20%

20% Tutto l’assortimento Zoé (Zoé Sun escluso), per es. crema da giorno rassodante Revital, 50 ml, 10.70 invece di 13.40

a partire da 2 pezzi

30%

Tutti i mascara Covergirl a partire da 2 pezzi, 30% di riduzione

Coniglio, Svizzera, al banco a servizio, per 100 g, 2.20 invece di 2.80 20% Racks d’agnello, Nuova Zelanda / Australia, imballati, per 100 g, 4.45 invece di 5.60 20%

Corona dell’Avvento, 25 cm, disponibile in diversi colori, il pezzo, per es. rossa, 14.90 Hit

Antipasti La Trattoria, per es. pomodori secchi in bustina, 125 g, 3.50 invece di 4.40 20%

Tutti i bulbi da fiore di amarillide, per es. rosso, in vaso color oro, il pezzo, 15.90 invece di 19.90 20%

Nutella in barattolo di vetro da 1 kg, 5.95 invece di 6.80 10%

Tutti i detergenti Pial, a partire da 2 pezzi 30% ** Gasatore Crystal SodaStream con 2 caraffe di vetro, nero o bianco, per es. bianco, il pezzo, 99.– invece di 149.– 33% ** Shampoo Belherbal in conf. da 3, per es. shampoo antigrasso, 3 x 250 ml, 7.70 invece di 11.55 33% ** Tutti i prodotti da bagno (esclusi Kneipp e confezioni regalo), per es. bagno all’eucalipto Herbs, 400 ml, 4.40 invece di 5.50 20% ** Tutti gli assorbenti igienici Secure, per es. Light Plus, FSC, 24 pezzi, 4.80 invece di 5.70 15% **

Near Food/Non Food Altri alimenti

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Tutti i tipi di pane e panini cotti su pietra, per es. Twister chiaro, bio, 360 g, 2.60 invece di 3.30 20% Tutti i tipi di Caffè Latte Emmi, per es. Macchiato, 230 ml, 1.55 invece di 1.95 20%

Pizza Finizza in conf. da 3, al prosciutto, alla mozzarella e al tonno, surgelata, per es. al prosciutto, 3 x 330 g, 6.– invece di 12.– 50% Borsa Agnesi, assortita, 3 kg, 8.15 Hit Mini Mentos Fruit Mix, 525 g, 7.50 Hit

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Prodotti I am Hair in conf. da 3, per es. shampoo Intense Moisture, 3 x 250 ml, 4.60 invece di 6.90 33% ** Prodotti Le petit Marseillais in confezioni multiple, per es. docciacrema ai fiori d’arancio in conf. da 3, 3 x 250 ml, 6.95 invece di 10.50 33% **

Sciroppo alla melagrana bio, 50 cl, 4.95 Novità **

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Idee e acquisti per la settimana

Sanactiv

Prendersi cura dell’intestino

L’intestino è una raffinata meraviglia della natura che necessita di attenzioni e cure. Sanactiv offre prodotti che supportano il lavoro di questo organo sensibile, promuovendo così il nostro benessere

Disturbi della digestione? Il lassativo al gusto di limone è un preparato ben tollerato che in modo naturale risolve i problemi di stitichezza. Sanactiv lassativo, 10 bustine Fr. 5.90

Bruciore di stomaco e reflussi acidi? Gli ingredienti del gel formano una barriera protettiva nello stomaco e impediscono all’acido gastrico di risalire nell’esofago. Sanactiv gel per l’acidità di stomaco 20 stick da 10 ml Fr. 14.90 Nelle maggiori filiali

Bruciori e prurito? La pomata allevia le sofferenze causate dalle emorroidi, come bruciori, sanguinamento o infiammazione e favorisce la cicatrizzazione. L’applicatore accluso permette un pratico utilizzo. Sanactiv pomata contro le emorroidi, 30 g Fr. 8.20 Nelle maggiori filiali

Flatulenze e sensazione di gonfiore? Le pastiglie alleviano le sgradevoli conseguenze dell’accumulo di gas nel tratto gastrointestinale. Sanactiv pastiglie gastrointestinali, 30 pezzi Fr. 7.80

iMpuls-Consigli di lettura

Intestino miracoloso L’intestino fa un lavoro molto importante. È nel suo funzionamento che risiede il nostro benessere generale. Consigli su come supportarlo nel suo lavoro sono disponibili su www.migros-impuls.ch.

iMpuls è la nuova iniziativa in favore della salute della Migros.


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Idee e acquisti per la settimana

Frutta e verdura

«Tutto fresco come sempre»

Nei reparti frutta e verdura delle filiali Migros le confezioni di numerosi prodotti sono ora uniformate con il nome «Migros Fresca». Federico Fariello, collaboratore del reparto nella filiale di S. Antonino, spiega di cosa si tratta

Migros Fresca Cicoria Belga in busta 500 g

Migros Fresca lattuga cappuccio in busta

Migros Fresca Arance bionde rete da 2 kg

Migros Fresca Peperoni nella busta da 500 g

Migros Fresca Patate, resistenti alla cottura nel sacchetto da 2.5 kg

Migros Fresca Cipolle nella rete da 1 kg

Migros Fresca Mele Gala, in vaschetta*

Migros Fresca Cavolini di Bruxelles in busta da 500 g

Intervista: Claudia Schmidt Foto: Flavia Leuenberger Ceppi

Federico Fariello con le nuove confezioni Migros Fresca nella filiale di S. Antonino.

Molteplici marchi

Buono a sapersi Federico Fariello, da alcune settimane diversi prodotti del reparto frutta e verdura hanno una nuova confezione. C’è un motivo particolare?

Sì, perché con Migros Fresca sono state uniformate le confezioni della gamma standard. E sugli scaffali lo si nota: tutto appare più omogeneo e armonioso. Cosa significa Migros Fresca?

Fresca comprende un’ampia selezione di verdure e frutta fresca con il miglior rapporto qualità-prezzo. Finora avevamo di-

versi marchi, con caratteristiche simili tra loro. Ora abbiamo raggruppato tutto sotto il nuovo marchio. Naturalmente è come sempre tutto fresco. Con Migros Fresca possiamo garantire i nostri alti standard di qualità già con i produttori. Senza aumenti di costo. Ce lo può spiegare?

Grazie all’uniformità delle confezioni è già chiaro al momento in cui le merci vengono imballate che sono destinate alla Migros e che di conseguenza devono essere soddi-

sfatti i più elevati requisiti. Ciò ci permette di differenziarci rispetto agli altri dettaglianti. Il marchio comprende anche le merci al libero servizio?

No, è utilizzato solo per le merci confezionate, così come avviene con i marchi MBudget, Extra, Sélection, Migros Bio e TerraSuisse. Analogamente a quanto avviene con la frutta e la verdura a libero servizio, l’obiettivo è di far sì che il cliente possa vedere con chiarezza cosa acquista. Le con-

fezioni sono trasparenti e ispirano già sul punto vendita. Con il nuovo marchio l’etichetta è diventata più grande. Perché?

Anche in questo ambito diversi aspetti sono stati standardizzati e per la descrizione delle merci si tiene conto delle nuove normative di legge. Per i clienti la leggibilità è di particolare importanza. Tutte le informazioni più rilevanti sono ora in caratteri nettamente più grandi di prima. Di ciò si rallegrano in primo luogo i clienti deboli di vista.

Nel reparto frutta e verdura si trovano i seguenti marchi: Sélection: frutta e verdura accuratamente selezionate e di alta qualità, con il miglior gusto nella loro categoria. Extra: contraddistingue frutti particolarmente grandi e belli. M-Budget: la confezione bianco-verde è sinonimo di qualità a basso costo, con una tolleranza per l’aspetto estetico, così da evitare il «food waste». I Nostrani del Ticino: con la caratteristica coccarda, contrassegna i prodotti coltivati nella Svizzera italiana. Molti desiderano acquistare prodotti della regione e una confezione che ne evidenzia la provenienza facilita la scelta.

* nelle maggiori filiali


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Frutta e verdura

«Tutto fresco come sempre»

Nei reparti frutta e verdura delle filiali Migros le confezioni di numerosi prodotti sono ora uniformate con il nome «Migros Fresca». Federico Fariello, collaboratore del reparto nella filiale di S. Antonino, spiega di cosa si tratta

Migros Fresca Cicoria Belga in busta 500 g

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Migros Fresca Arance bionde rete da 2 kg

Migros Fresca Peperoni nella busta da 500 g

Migros Fresca Patate, resistenti alla cottura nel sacchetto da 2.5 kg

Migros Fresca Cipolle nella rete da 1 kg

Migros Fresca Mele Gala, in vaschetta*

Migros Fresca Cavolini di Bruxelles in busta da 500 g

Intervista: Claudia Schmidt Foto: Flavia Leuenberger Ceppi

Federico Fariello con le nuove confezioni Migros Fresca nella filiale di S. Antonino.

Molteplici marchi

Buono a sapersi Federico Fariello, da alcune settimane diversi prodotti del reparto frutta e verdura hanno una nuova confezione. C’è un motivo particolare?

Sì, perché con Migros Fresca sono state uniformate le confezioni della gamma standard. E sugli scaffali lo si nota: tutto appare più omogeneo e armonioso. Cosa significa Migros Fresca?

Fresca comprende un’ampia selezione di verdure e frutta fresca con il miglior rapporto qualità-prezzo. Finora avevamo di-

versi marchi, con caratteristiche simili tra loro. Ora abbiamo raggruppato tutto sotto il nuovo marchio. Naturalmente è come sempre tutto fresco. Con Migros Fresca possiamo garantire i nostri alti standard di qualità già con i produttori. Senza aumenti di costo. Ce lo può spiegare?

Grazie all’uniformità delle confezioni è già chiaro al momento in cui le merci vengono imballate che sono destinate alla Migros e che di conseguenza devono essere soddi-

sfatti i più elevati requisiti. Ciò ci permette di differenziarci rispetto agli altri dettaglianti. Il marchio comprende anche le merci al libero servizio?

No, è utilizzato solo per le merci confezionate, così come avviene con i marchi MBudget, Extra, Sélection, Migros Bio e TerraSuisse. Analogamente a quanto avviene con la frutta e la verdura a libero servizio, l’obiettivo è di far sì che il cliente possa vedere con chiarezza cosa acquista. Le con-

fezioni sono trasparenti e ispirano già sul punto vendita. Con il nuovo marchio l’etichetta è diventata più grande. Perché?

Anche in questo ambito diversi aspetti sono stati standardizzati e per la descrizione delle merci si tiene conto delle nuove normative di legge. Per i clienti la leggibilità è di particolare importanza. Tutte le informazioni più rilevanti sono ora in caratteri nettamente più grandi di prima. Di ciò si rallegrano in primo luogo i clienti deboli di vista.

Nel reparto frutta e verdura si trovano i seguenti marchi: Sélection: frutta e verdura accuratamente selezionate e di alta qualità, con il miglior gusto nella loro categoria. Extra: contraddistingue frutti particolarmente grandi e belli. M-Budget: la confezione bianco-verde è sinonimo di qualità a basso costo, con una tolleranza per l’aspetto estetico, così da evitare il «food waste». I Nostrani del Ticino: con la caratteristica coccarda, contrassegna i prodotti coltivati nella Svizzera italiana. Molti desiderano acquistare prodotti della regione e una confezione che ne evidenzia la provenienza facilita la scelta.

* nelle maggiori filiali


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Mondo Animale

… fai felice il tuo gatto Parliamo della toilette del nostro micio. Affinché possa essere felice di continuare a fare i suoi bisognini, è bene prestare attenzione ad alcuni punti. Ecco cinque consigli Testo Melanie Michael; Foto Getty Images

1

Pulire quotidianamente I gatti sono animali attenti alla propria pulizia. Hanno un olfatto molto sensibile, pertanto urina e feci andrebbero eliminati ogni giorno dalla cassetta e la lettiera dovrebbe avere uno spessore minimo di 10 cm.

2

Sfera privata, per favore! Posizionare la cassetta del gatto lontano dal pubblico ed evitare anche le correnti d’aria. Al contempo non dovrebbe stare in un locale chiuso, i vostri amici a quattro zampe devono poter accedere alla toilette in qualsiasi momento.

4

Step-by-step Quando si sostituisce la lettiera, la nuova dovrebbe essere mischiata poco a poco con la vecchia sabbia. In questo modo i gatti si abituano lentamente al nuovo materiale.

Conoscenze

Tre fatti sui gatti Atterraggio sicuro Più i gatti cadono dall’alto, maggiore è la possibilità che sopravvivano. Cadendo da una certa altezza, infatti, la velocità di caduta non aumenta più, si rilassano e si preparano all’atterraggio in modo ottimale. Fare le fusa Alcuni studi hanno confermato che i gatti fanno le fusa non solo se stanno bene: con una frequenza di 25 hertz sostengono anche lo sviluppo delle ossa. Meglio note alte I gatti preferiscono la musica con le stesse frequenze alte con cui comunicano tra di loro. Fonte: Neon/Stern

3

Il mio e il tuo Ogni gatto ovrebbe avere la sua toilette. Se ci sono più gatti in casa è bene non piazzare le cassette una vicina all’altra per evitare dei conflitti.

5

Oops…! Se ogni tanto il gatto dovesse fare i suoi bisogni fuori dalla cassetta, per pulire è utile usare una soluzione a base di alcool, acqua e aceto in parti uguali. Fatto Plus Lettiera per gatti agglomerante 10 l Fr. 6.80


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Idee e acquisti per la settimana

Anna’s Best

Un aperitivo per girare il mondo Per le feste natalizie, volendo offrire agli ospiti un buon aperitivo, sarebbe bello presentare qualcosa di speciale anche quando non si ha troppo tempo a disposizione. Con le confezioni di Anna’s Best in un battibaleno è possibile imbandire di specialità internazionali una tavola delle grandi occasioni: Dim Sum cinesi, antipasti classici delle cucine mediterranee e tre tipi di falafel dalla tradizione araba, possono contribuire tutti a un buffet gustoso, magari accompagnato da una bella insalata festiva.

Anna’s Best Piatto di antipasti 280 g Fr. 7.20 Nelle maggiori filiali

Anna’s Best Insalata festiva 250 g Fr. 4.10

Anna’s Best Vegi Falafel Mix 16 pezzi, 200 g Fr. 5.90 Nelle maggiori filiali

Anna’s Best Asia Dim Sum Sea Treasure with shrimps 10 pezzi, 250 g Fr. 6.90

Il termine ha la stessa origine della voce tedesca «salat» e del francese «salade»: tutte derivano dal latino «sallita», che significa «cosparso di sale». Un tempo le insalate erano cibi a lunga conservazione, grazie ai loro ingredienti salati. Solo dalla fine del 1600 la bibliografia culinaria riporta ricette in cui vengono usate foglie verdi e croccanti di lattuga. Queste erano molto apprezzate in particolare in Inghilterra e in Olanda.


TI ASPETTIAMO!

S. ANTONINO BIASCA Giovedì 30 novembre

10

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i z u di rid

su tutto* l’assortimento dei supermercati Migros S. Antonino e Biasca. * Ad eccezione di un numero ridotto di prodotti e delle prestazioni di servizio.

ANIMAZIONI A partire dalle ore 16.00: – merenda offerta per tutti – clown con palloncini in omaggio per i bambini A partire dalle ore 18.00, ai primi 200 clienti, TROLLEY IN OMAGGIO


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