Cooperativa Migros Ticino
G.A.A. 6592 Sant’Antonino
Settimanale di informazione e cultura Anno LXXIX 12 dicembre 2016
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Società e Territorio Il mondo maschile si declina al plurale e lotta contro la violenza di genere: intervista a Stefano Ciccone
Ambiente e Benessere Un reportage di Daisy Gilardini dal lontano arcipelago di Pribilov, tra la Russia e l’Alaska, dove vive la pulcinella di mare e si pescano prelibati granchi
Politica e Economia È in atto una fuga di giovani dal Ticino? L’analisi di Elio Venturelli e Angelo Rossi
Cultura e Spettacoli Le inquietanti rappresentazioni del corpo umano dell’artista messicano Marín a Locarno
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di Luciana Caglio pagina 43
Tipress
Professore, grazie
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Quando il falso inonda il reale di Peter Schiesser Domenica pomeriggio 4 dicembre: un uomo armato entra in una pizzeria a Washington ed esplode alcuni colpi. Era convinto di trovarsi in un covo di pedofili che fanno capo a Hillary Clinton, come insinuato da alcuni tweet durante le presidenziali americane. Fortunatamente, nessuno viene ferito e l’uomo arrestato. Tre giorni dopo Michael J. Flinn viene licenziato dal team di Donald Trump: è stato lui a mettere in circolazione il tweet falso sul giro di pedofili legati alla Clinton. Michael J. Flinn non è un signor nessuno, suo padre, il generale in pensione Michael Flinn, è il futuro consigliere alla sicurezza di Donald Trump. Anche il padre aveva pubblicato un tweet con le stesse insinuazioni, ma a pagare è stato solo il figlio. Il caso aggiunge un aspetto drammatico ad un problema inquietante che ha caratterizzato questa campagna presidenziale: l’ampia diffusione di informazioni false attraverso Twitter e Facebook. Ciò che porta ad interrogarsi sull’influenza avuta sulle elezioni. Studi condotti negli Stati Uniti su siti della destra e della sinistra radicale suggeriscono che in questa campagna presidenziale il 40
per cento delle informazioni pubblicate da questi siti erano false. A queste si aggiungono le notizie false prodotte per puro desiderio di guadagno. Ha fatto scalpore il caso delle fake news prodotte a Veles, nel cuore della Macedonia, dove alcuni giovani sono riusciti a guadagnare migliaia di dollari (una manna, in quella regione) inventando notizie false su Hillary Clinton che hanno avuto una diffusione virale su Facebook, attirando quindi pubblicità sulle pagine in questione. Ma più preoccupante ancora è il ruolo che i servizi segreti americani hanno attribuito alla Russia. Mosca è accusata di avere violato i server del Partito democratico per impossessarsi di email che potevano danneggiare Hillary Clinton e di averli messi a disposizione di Wikileaks. Inoltre, secondo un’inchiesta del «Washington Post» pubblicata il mese scorso, degli esperti stimano che durante la campagna presidenziale americana 200 siti web hanno fatto propaganda in favore della Russia, raggiungendo, con 200 milioni di click, almeno 15 milioni di cittadini americani. E non tranquillizza il fatto che il già citato generale in pensione Flinn abbia visitato ed elogiato a Mosca il canale televisivo Russia Today, importante organo di diffu-
sione filo-governativo, in gioco anche nelle presidenziali americane. In questa guerra di propaganda informatica hanno svolto un ruolo anche i cosiddetti Bots, twitter generati dal computer. Neppure più la fatica di scrivere fake news, ci pensa il computer a produrle e a lanciarle come bombe a grappolo. Secondo una ricerca di un’università californiana, citata dalla «Neue Zürcher Zeitung» (24.11.16), il 15 per cento dei partecipanti a Twitter non sono persone reali, e questi robot hanno generato un quinto dei tweet legati alla campagna presidenziale americana. Sempre secondo questo studio, un terzo di questi Bots era favorevole a Trump, un quinto a Hillary. A tutto questo va aggiunto il fatto che Facebook e altre piattaforme lavorano sempre più con algoritmi che riconoscono le preferenze dei fruitori e gli presentano esclusivamente notizie che confermano le loro opinioni, rinchiudendoli in una «bolla cognitiva» (vedi l’articolo di Enrico Morresi su «Azione» di settimana scorsa). Dobbiamo quindi imparare a difenderci da disinformazione e propaganda in un contesto assolutamente nuovo. Questo mentre i tradizionali canali di informazione soffrono di una grave crisi di credibilità e vengono soppiantati dai social network.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 12 dicembre 2016 • N. 50
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Attualità Migros
A Bellinzona da venerdì fa ancor più Frescotto!
Novità Nella rinnovata Stazione FFS ha aperto un frizzante take away, con prezzi alla mano
e menu sopra le righe, che si smarca dall’attuale offerta gastronomica di Migros Ticino
Locale curato, personale qualificato, simpatico e gentile ed offerta unica nel raggio di un paio di chilometri: queste le carte vincenti del Frescotto, che dallo scorso venerdì 9 dicembre sa certamente attirare l’attenzione dei molti viaggiatori in transito, ma anche i favori di tutti i residenti della zona. Non si tratta, insomma, del solito esercizio d’asporto. La carta comprende il mondo colazione – con un vero fiore all’occhiello: il delizioso caffè al 100 per cento biologico – croissant e crostate di tutti i tipi e per tutti i gusti. L’universo salute e benessere, con tutta una serie di alimenti super freschi e sani come insalate, frutta, smooties e centrifughe varie, proposti in versione convenience, fatti e finiti, per chi è di fretta. Per chi ha qualche minuto in più di relax ecco invece la personalizzazione dell’offerta, con
Il team del responsabile Daniele Cirnigliaro (primo da sin.) è pronto a festeggiare l’apertura insieme a pendolari, giramondo e a tutti i residenti nel Bellinzonese.
specialità preparate al momento, su richiesta e su misura. Per uno snack o un pasto veloce, c’è poi l’angolo della pizza, la gran specialità della casa, preparata da esperti, acrobatici e qualificati pizzaioli in diversi formati, con svariate farine ed impasti – a chilometro zero, ai quattro cereali o integrale - e una moltitu-
dine infinita di ingredienti a scelta. Si potranno acquistare al momento oppure ordinare, secondo i propri gusti, sia pizze un po’ più alte sia invece fini, fedeli alla più alta tradizione partenopea. Il responsabile Daniele Cirnigliaro e i suoi 14 collaboratori sono pronti a soddisfare i bisogni della clientela
con cura e attenzione, in un clima allegro, accogliente e famigliare. Informazioni
Orari di apertura: Lu-do: 6.00-22.00 – 7 giorni su 7 – 365 giorni all’anno Per ordinazioni: Tel. 091 821 78 88 – email: ordinazione@frescotto.ch
M Una mano tesa agli anziani
Campagna natalizia 2016 Anche Pro Senectute è entrata a far parte del gruppo
di associazioni benefiche sostenute dalla raccolta fondi di solidarietà Quando si pensa alla povertà, non viene mai spontaneo di metterla in relazione con la Svizzera. Eppure, anche nel nostro Paese la povertà è più diffusa di
quanto si creda. Molte categorie di persone sfavorite devono confrontarsi con barriere sociali e culturali e spesso vengono dimenticate.
I cioccolatini sono in vendita alle casse delle filiali Migros.
E, proprio nella ricca Svizzera, una persona anziana su otto è colpita dalla povertà. I problemi finanziari da affrontare dopo la pensione sono di diversa natura: rincaro delle pigioni, costi di cura elevati, onere economico eccessivo in seguito alla morte del coniuge. Le conseguenze invece, non cambiano: molti anziani faticano ad arrivare a fine mese, a pagarsi l’affitto, un caffè con gli amici o addirittura a fare la spesa. Una delle istituzioni che è stata coinvolta quest’anno per la prima volta nella raccolta fondi natalizia di Migros è Pro Senectute, la quale si impegna affinché in Svizzera le persone possano essere membri attivi e apprezzati della società fino ad un’età avanzata. Pro Senectute dà consulenza gratuita agli anziani e ai loro familiari in più di 130 punti in Svizzera e offre servizi come pasti, pulizie e trasporti nonché proposte per lo sport e l’attività fisica. Il ricavato delle donazioni confluisce in progetti contro la povertà degli anziani, a sostegno dei familiari che
si prendono cura di loro e per l’aiuto contro la demenza. Acquistando i cuori di cioccolato al prezzo di 5, 10 o 15 franchi, i clienti Migros possono contribuire, insieme agli enti caritatevoli partecipanti, a migliorare in modo duraturo e sostenibile le condizioni di vita delle persone bisognose in Svizzera. Il ricavato delle donazioni sarà devoluto interamente ai cinque enti caritatevoli citati. Alla fine dell’anno Migros aggiungerà un milione di franchi all’importo raccolto. La raccolta fondi dell’anno scorso ha permesso di consegnare agli enti caritatevoli aiuti per un importo di 6,2 milioni di franchi. Chi desidera donare direttamente può farlo anche tramite SMS con la parola chiave «stella» al numero 455 oppure tramite versamento sul conto postale per le donazioni 30-620742-6. Vi è inoltre la possibilità di effettuare le donazioni con carta di credito alla pagina Internet http://www.migros.ch/natale. Ogni ente caritatevole riceverà, al termine della campagna di raccolta fondi, il 20 per cento delle donazioni.
Migros news Consiglio di Cooperativa Lunedì 5 dicembre si è tenuta presso la centrale di Sant’Antonino l’ultima seduta annuale del Consiglio di cooperativa di Migros Ticino. In particolare, sono state decise le nomine dei membri della commissione culturale del Consiglio di cooperativa per il quadriennio 2016-2020. Alla presidenza è stato riconfermato Mario Colombo, come sono stati riconfermati i membri Marco Bronzini, Flavia Camozzi, Rita Demarta e Maria Pia Rondi. Entrano nella Commissione culturale Simona Guenzani e Maria Pia Ronzi. Il Consiglio d’amministrazione di Migros Ticino ha confermato anche per il prossimo quadriennio il credito di 20mila franchi all’anno per la Commissione culturale, da devolvere a sostegno di progetti con una valenza sociale o culturale. I membri del Consiglio di cooperativa sono inoltre stati informati sugli esiti delle due sedute dell’Assemblea dei delegati della Federazione delle cooperative Migros svoltesi a Zurigo il 3 settembre e il 5 novembre 2016. Dal canto suo, il direttore di Migros Ticino Lorenzo Emma ha orientato i membri del Consiglio di cooperativa sull’andamento degli affari e sulle nuove attività, mentre la presidente del Consiglio d’amministrazione Monica Duca Widmer ha presentato il bilancio annuale dei lavori del CdA. Infine, il redattore capo di «Azione» Peter Schiesser ha illustrato il nuovo sito online del giornale. Tavolino Magico in Ticino Domenica prossima 18 dicembre, in occasione dell’apertura prenatalizia, dalle ore 10 alle 18 nei supermercati Migros di Agno, Biasca, Locarno, Pregassona, S. Antonino, Serfontana e Taverne, grazie al prezioso contributo di numerosi volontari, si terrà la tradizionale raccolta di alimenti destinati a persone in difficoltà economica. Saranno raccolti alimenti a media e lunga conservazione come farina, latte, pasta, riso, aceto, olio, caffè, ecc., come pure articoli non alimentari, liscive e articoli per l’igiene personale. L’iniziativa è organizzata dalla Fondazione Amici della Vita a favore dell’Associazione Tavolino Magico, che raccoglie settimanalmente in Ticino una dozzina di tonnellate di alimenti (il 60% sono prodotti freschi) ancora in ottimo stato, distribuiti a circa 1600 persone in difficoltà, attraverso una rete di 13 centri di distribuzione e 260 volontari. Per info: www.tavolinomagico.ch e www.amicidellavita.org Ritiro di prodotto Il fornitore di Migros Sodastream® richiama per motivi di sicurezza la bottiglia per gasatori lavabile in lavastoviglie di Sodastream® (art. n. 7031.528) con data di scadenza 04/2020. La causa del richiamo è un difetto di qualita. Per motivi di sicurezza Migros invita tutti i clienti che hanno acquistato una bottiglia con la data di scadenza indicata a non utilizzarla più. I clienti possono restituire le bottiglie Sodastream in tutte le filiali Migros e ottenere così il rimborso del prezzo d’acquisto pari a fr. 17.–. Annuncio pubblicitario
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 12 dicembre 2016 • N. 50
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Società e Territorio Premio Möbius Intervista ad Alessio Petralli direttore della Fondazione Möbius Lugano
Il progetto Rustici Ticino La Federazione delle associazioni dell’artigianato promuove le competenze degli antichi mestieri per tutelare e valorizzare i rustici
Arte della memoria La Società di storia dell’arte in Svizzera dedica una guida storico-artistica al cimitero monumentale di Lugano pagina 9
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Uomini fuori dagli schemi
Identità maschile Incontro con Stefano Ciccone promotore dell’associazione «Maschile plurale»
Laura Di Corcia «Boys don’t cry», cantavano i Cure nei lontani anni Ottanta, raccontando il bisogno di reagire a un dolore con le lacrime e allo stesso tempo l’essere impossibilitati a farlo in quanto uomini. Quando si parla di temi legati al femminicidio e alla violenza di genere spesso si ritiene che chi parla sia sempre e comunque una donna volta a denunciare le brutalità maschili, ma il fallocentrismo in realtà danneggia anche l’altra parte, gli uomini che si trovano ingabbiati in codici di comportamento dettati da una cultura ingenerosa non solo verso le quote rosa. Non tutti se ne accorgono, ma qualcuno sì: nello specifico, una rete di uomini sparsi in diverse città italiane, che ha voglia di discutere, di capire e dialogare, di cercare nuovi basamenti sui quali fondare la propria identità maschile. «Maschile plurale» nasce proprio a questo scopo. In occasione di una conferenza pubblica svoltasi alla Biblioteca cantonale di Bellinzona a metà novembre e organizzata da Comundo, abbiamo avvicinato il suo fondatore, Stefano Ciccone. Che cosa intende con l’espressione «maschile plurale»?
Ci sono tanti modi di essere uomo.
Per questo abbiamo chiamato la nostra associazione così, per far passare il concetto che ogni uomo possa vivere e interpretare la propria mascolinità al di là dei modelli imposti. Siamo convinti, infatti, che anche gli uomini subiscano pesanti condizionamenti sociali. L’esperienza di «maschile plurale» è nata da una rete di uomini sparsi in molte città italiane che avevano espresso un desiderio di cambiamento e di libertà, essendosi accorti che quei modelli sono delle gabbie. Parallelamente a questo abbiamo riconosciuto la violenza maschile nei confronti delle donne, che non può essere attribuita a una devianza e nemmeno agli immigrati o agli stranieri, ma è frutto di una cultura condivisa. Tutti gli uomini, anche quelli che non hanno mai agito violenza, sono immersi nella cultura che la produce. Come se ne esce?
Non ha senso chiedere più repressione, bisogna lavorare sul cambiamento culturale. L’impegno principale di «maschile plurale» riguarda l’autoconsapevolezza e la trasformazione personale, visto che il cambiamento parte prima di tutto da noi. Non è possibile o perlomeno è difficile farlo da soli, per questo è fondamentale
il confronto con altri uomini e la condivisione delle storie personali, dei desideri, delle aspettative e delle frustrazioni, che palesano quanto i condizionamenti siano presenti e agiscano nelle scelte individuali. Non è di secondaria importanza il lavoro pubblico e per questo ci impegniamo ad andare nelle scuole: quando in una classe arriva a parlare di violenza nei confronti del femminile proprio un uomo, si infrangono tutti quei luoghi comuni, quei cliché secondo i quali sono sempre le femministe a parlare di questi temi perché ce l’hanno con i maschi.
Come avvicinare gli uomini, che, a causa di questi condizionamenti, tendono ad essere refrattari a questo genere di discorsi?
Evitando di giudicare e di fare la parte degli uomini buoni che giudicano quelli che sbagliano. È meglio lasciar perdere gli approcci di tipo normativo, quelli che suggeriscono cosa bisogna e cosa non bisogna fare. Spesso, quando si fanno questi discorsi, si punta il focus sul dovere, ricordando all’universo maschile che la perdita di potere e privilegi è qualcosa da accettare supinamente. Io credo che dovremmo ribaltare la rappresentazione: anche gli uomini possono guadagnare
molto nel cambiamento, in termine di relazione con i propri figli, con le donne e con gli uomini stessi. Oggi la sessualità per gli uomini è spesso legata all’ansia di prestazione, mentre la socialità con gli altri uomini risente del cameratismo o della competizione «fra maschi». Il rapporto con i figli è irrigidito nel ruolo di pater familias, quello che porta lo stipendio a casa e deve far rispettare la legge. Abbandonare questi paradigmi vuol dire guadagnare una qualità della vita che le generazioni di uomini precedenti non hanno conosciuto.
sono gli stessi condizionamenti che a tre anni ci impedivano di piangere per non sembrare una femminuccia e a quattordici anni ci costringevano a fare le gare con i nostri coetanei per dimostrare di essere virili, mentre oggi, da adulti, ci portano ad avere l’ansia da prestazione a letto o a non sentirci abbastanza uomini se non portiamo a casa lo stipendio o se la nostra compagna guadagna più di noi.
Purtroppo gli uomini sono in gabbia, ma è una gabbia invisibile. Gli uomini vedono innanzitutto i propri privilegi, che sono evidenti, ma difficilmente riescono a percepire i propri vincoli. I modelli di genere sono a tal punto introiettati da risultare normali. Ma quando come uomini ci sentiamo a disagio nel fare qualcosa, sentiamo di non essere capaci di mettere in gioco una nostra emotività, percepiamo dell’imbarazzo anche nell’usare il corpo, per esempio per ballare o abbracciare qualcuno, in quel momento possiamo accorgerci di quanto questi condizionamenti siano profondi. E
Consiglio di scommettere su questo cambiamento, che può essere disorientante anche per le donne a tal punto da spingere ad agire da freno. Oggi c’è questa retorica sugli uomini che non sono più quelli di una volta, che sono in crisi, incerti, come se in qualche modo ci fosse la nostalgia dell’uomo tradizionale, più virile. Scoprire che gli uomini hanno altre sfaccettature, magari impreviste, può essere arricchente anche per l’universo femminile. Alle donne quindi dico: accettate la sfida di avere a che fare con un uomo che non sta dove voi vi aspettate che stia.
Quanta sofferenza provocano questi modelli soffocanti?
La relazione fra sessi è diventata ormai intricatissima. Cosa consiglierebbe a quelle donne che si trovano ad avere a che fare con uomini bloccati, che fanno fatica a impegnarsi in una relazione?
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 12 dicembre 2016 • N. 50
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Società e Territorio
Creatività che guarda al futuro
Intervista Incontro con Alessio Petralli per parlare del Premio Möbius, della sua storia ma, soprattutto,
delle prospettive di sviluppo Alessandro Zanoli In un articolo pubblicato qualche settimana fa avevamo ripercorso insieme a Bruno Giussani gli albori di Internet in Ticino, all’inizio degli anni 90. In quell’epoca di fervore diremmo quasi visionario la tecnologia muoveva passi ancora incerti, ed apriva però di fronte agli occhi scenari futuristici, anche nella nostra regione. E proprio in Ticino, in quel periodo, un’altra importante iniziativa andava in quella direzione. L’istituzione a Lugano del Premio Möbius, un riconoscimento internazionale alla creatività e all’impegno nell’uso delle (allora) nuove tecnologie digitali, creava sicuramente un polo di interesse internazionale.
La Fondazione Möbius ha una vocazione divulgativa: aiuta progetti meritevoli a farsi conoscere e stimola la riflessione su temi fondamentali per la società contemporanea Attivo fin dall’inizio in quell’avventura, che continua ancora oggi con grande slancio di idee e di inventiva, era Alessio Petralli, docente e studioso di linguistica. Molti dei nostri lettori lo conosceranno proprio per l’importanza delle sue pubblicazioni legate allo studio della lingua. Ma Petralli è un cultore di tecnologia, un precursore che si impegna da due decenni ormai per organizzare la tappa luganese di questo premio. «Il Möbius è nato in realtà a Parigi nel 1992, per iniziativa di Jean-Claude Quiniou e di Ghislaine Azémard del Département hypermédia dell’Università Paris VIII» ci spiega Petralli. «In seguito hanno cercato di allargarne la presenza in Europa e nel mondo, e alla fine sono riusciti ad avere 13 comitati di preselezione». A Lugano Möbius è arrivato nel 1996 e ha ottenuto il sostegno della Città e della Radiotelevisione Svizzera. «Siamo riusciti a creare un comitato di preselezione per tutti i prodotti in lingua italiana. Allora si parlava prevalentemente della creazione di CDRom. Ricordo ad esempio un bellissimo CD-Rom ticinese sul corpo umano. Era un’accuratissima descrizione multimediale dell’apparato locomotore che aveva vinto dapprima il premio a Lugano, poi era andato a Parigi e si era fatto molto onore anche nel contesto internazionale».
In quegli anni, si ricorderà, si erano create molte aspettative attorno al CD-Rom, supporto digitale che poteva contenere informazioni di vario tipo e organizzarle in una pubblicazione multimediale. Lo stesso Umberto Eco ne aveva preconizzato il successo quale medium d’elezione per la diffusione della cultura: «Certo – conferma Petralli – c’era chi riteneva di aver scoperto un nuovo papiro; del resto Internet non era ancora così diffuso, stava appena arrivando. Però poi, col CD-Rom sappiamo come è andata... Comunque è stato molto bello per noi essere coinvolti in una rete dai contatti internazionali così estesi. Siamo stati fin dall’inizio una piccola realtà, ma ora come Fondazione Möbius ci siamo consolidati. Negli anni abbiamo creato importanti contatti e questa è la nostra grande ricchezza». Visto il veloce cambiamento che caratterizza il mondo della tecnologia il Premio Möbius ha dovuto seguire il corso dell’evoluzione. «Col passare del tempo ci siamo dovuti più volte riposizionare. Oggi abbiamo tre premi, il primo dei quali è il Gran Prix per l’editoria in transizione. Certo, qui si apre un discorso particolare, perché l’editoria è in grande difficoltà. Noi abbiamo mantenuto il premio perché vogliamo cercare di scovare nicchie che, con l’aiuto di tanti autorevoli amici del Möbius, potrebbero avere prospettive di successo». In questo settore specifico il Möbius ha premiato quest’anno un libro molto particolare: «È un ricchissimo dizionario italiano-olandese di un linguista siciliano che si chiama Vincenzo Lo Cascio e che vive da più di cinquant’anni in Olanda. Sembrerebbe un progetto molto specialistico e circoscritto, ma in realtà la sua ricchissima banca dati si presta molto bene allo sviluppo di tanti altri dizionari bilingui, con l’italiano quale lingua di riferimento». Oltre all’editoria «da salvare», l’attività di Möbius si concentra oggi sulle nuove idee per prodotti ad alto contenuto tecnologico: «In collaborazione con la Fondazione Agire, che si occupa di favorire le startup locali, con il Grand Prix Möbius Suisse ci concentriamo proprio sulle giovani imprese e sulle loro idee innovative». Da questo punto di vista il Ticino sembra in grado di produrre proposte davvero innovative: «Cerchiamo di valorizzare il locale, in modo da favorire visibilità e contatti ai prodotti di valore, così come è accaduto ad esempio l’anno scorso con smARTravel, che da Lugano ha stabilito una più che promettente collaborazione con la Treccani. I prodotti che hanno partecipato quest’anno (si possono ve-
Alessio Petralli, direttore della Fondazione Möbius Lugano, e il suo Mac Classic SE, pezzo d’antiquariato tecnologico. (Stefano Spinelli)
dere nel nostro nuovo sito www.moebiuslugano.ch) sono tutti e tre davvero notevoli. Ha vinto Clara, una giacca sportiva “intelligente” per chi viaggia in bicicletta di notte, con Led comandati via Bluetooth che indicano movimenti, direzioni e frenate del ciclista». Nel campo di interesse del premio Möbius ci sono però anche le tecnologie legate alla comunicazione. «In collaborazione con la Supsi abbiamo creato un’iniziativa che mira a coinvolgere giovani creativi attorno alle attività culturali promosse nel territorio. Il riconoscimento si chiama Möbius Giovani. Il premio, assegnato quest’anno allo studente Michele Gandolfi per la sua proposta di filmato virale (anch’esso visibile sul sito del Möbius), era legato alla creazione di un breve video che lanciasse in maniera originale la mostra di Meret Oppenheim programmata al Lac dal prossimo febbraio. Per raggiungere questo obiettivo è stata determinante la disponibilità del direttore del Masi Marco Franciolli, che fa parte del nostro comitato esecutivo assieme ad Augusto Chollet». Oltre agli aspetti legati al concorso, comunque, le sessioni luganesi del Premio Möbius sono accompagnate da una serie di eventi, legati all’argomento che caratterizza l’edizione specifica della manifestazione. «Sì, ogni anno scegliamo un tema: quest’anno ad esempio erano i Big Data, e l’abbiamo sviluppato con una conferenza iniziale a cui hanno partecipato Dick Marty e Jacques Baud, un colonnello attivo nei servizi di sicurezza svizzeri. Il dibattito
sulla figura di Edward Snowden, che è andato molto bene grazie a due relatori di grande spessore, è stato il giusto prologo al simposio che teniamo normalmente il sabato pomeriggio. L’idea della fondazione è quella di far passare, se possibile, riflessioni forti su temi che fanno discutere, magari difficili ma fondamentali per la vita di tutti, con l’intento di favorirne una maggiore conoscenza. Il tema dell’anno prossimo è già in fase di elaborazione. Si parlerà molto probabilmente di città intelligente, di smart city e di felicità urbana». Per quanto riguarda i premi, la Fondazione non propone un sostegno finanziario. Il premio in palio è di valore ma simbolico, si tratta di un oggetto davvero speciale, un nastro di Möbius realizzato dal noto artista luganese Fernando Bordoni, in rame ricoperto d’oro. Il ruolo della Fondazione Möbius, ci spiega Alessio Petralli, è piuttosto quello aiutare i progetti vincitori cercando di diffonderne la portata attraverso i propri contatti: «Come si diceva prima, un esempio che per noi è stato di grande soddisfazione è smARTravel, che ha vinto l’anno scorso. La startup di Chiasso ha creato un’App per smartphone che permette di realizzare ed usufruire in modo pratico di guide interattive per i musei. Visto che fra gli amici di Möbius c’è fin dall’inizio Massimo Bray, già ministro della cultura italiano sotto il governo Letta e attuale direttore della Treccani, si stanno delineando concrete possibilità per smARTravel di accedere ai contenuti della Treccani per proporre progetti pilota in Italia e, se le cose an-
dove sei, mi comunichi tutti i tuoi spostamenti?». La lontananza molto spesso viene vissuta come un difetto, una mancanza anziché essere vista come una risorsa. Ma qui si riflette quello stesso meccanismo di pensiero che oggi va tanto di moda tra alcuni politici di grido: valorizzare il locale, ciò che è prossimo e guardare invece con diffidenza tutto ciò che è o proviene da oltre confine. Dove rimane allora l’importanza di una mente aperta, il valore di una persona flessibile, capace di adattarsi e organizzarsi in qualsiasi situazione? Dove rimane l’importanza dello scambio e della contaminazione con altre culture? Anche la diversità sul posto di lavoro, e non parlo solo di genere ma anche di cultura e di etnia, è ancora lontana dall’essere raggiunta e lo dicono i dati. Secondo l’Osservatorio Smart Working della School of
Management del Politecnico di Milano, il 67 per cento delle aziende ha già attivato qualche iniziativa di Smart working, ma ad oggi solo l’8 per cento adotta realmente un modello di Smart Working, cioè ha sviluppato un piano sistemico introducendo strumenti tecnologici digitali, adeguate policy organizzative, nuovi comportamenti organizzativi e layout fisici degli spazi. La resistenza inutile dirlo è di tipo culturale. Bigna Salzmann organizzatrice della «Work smart week» racconta come in Svizzera, rispetto ad altri paesi, possediamo molti più strumenti per inserire un lavoro più flessibile ma come la resistenza culturale, soprattutto tra i manager, rallenti molto questo processo. E mi è tornato in mente un saggio dal titolo Il futuro come fatto culturale, nel quale Arjun Appadurai docente di Media, Culture and Com-
dranno bene, di entrare in forze in un mercato in forte espansione». Continuando a parlare del futuro del Möbius con Alessio Petralli, si tocca anche il discorso legato all’importanza nella divulgazione dei suoi risultati. «Nel nostro piccolo siamo una sorta di incubatore di idee: esiste la ricerca che procede secondo i suoi percorsi, esiste la ricerca applicata che ne segue altri, e noi cerchiamo di stare un po’ nel mezzo sapendo cosa succede in quegli ambiti e cercando di far arrivare alla popolazione la portata di queste idee». Möbius quindi ha una vocazione informativa fin dall’origine, che potrà essere valorizzata dal nuovo sito web. «All’inizio si interessava al Möbius soprattutto un pubblico di addetti ai lavori legati all’editoria; ora, con la creazione delle Fondazione, è importante per noi allargare la cerchia delle persone che ci conoscono, oltre che la nostra presenza durante l’arco dell’anno. Abbiamo ad esempio in mente un ciclo sul “web del futuro” su temi fondamentali che hanno, o avranno presto, a che fare con la quotidianità di tutti noi, quali l’internet delle cose o l’auto senza pilota. Certo, ci vuole energia per gestire il tutto, soprattutto se si considerano le potenzialità, ma anche le insidie, delle reti sociali. Insomma, prima di tutto occorre premiare e trattare contenuti di valore, talvolta complessi, ma poi è indispensabile divulgarli al meglio, specialmente se riguardano la vita di tutti. Come i Big Data quest’anno o la “felicità urbana” e la “città intelligente” il 6 e 7 ottobre dell’anno prossimo».
La società connessa di Natascha Fioretti La paura di cambiare È strano ma mentre Facebook e la Rete sembrano mostrarmi quanto siamo globalizzati, mobili e flessibili, tecnologici e connessi, la realtà, quella più prossima, spesso mi fa vedere quanto poco siamo resilienti e quanto invece tentiamo di resistere al cambiamento. Ho la percezione, e sono felice di sbagliarmi, che in giro ci sia una paura diffusa a lasciare quelli che fino a ieri erano i nostri punti fermi, quelli che hanno caratterizzato e plasmato la vita dei nostri genitori, per intenderci, e con i quali noi, dai quarantanni in su, siamo cresciuti. Mi sembra che, seppur le nostre opzioni e le nostre opportunità si siano in molti casi moltiplicate, noi anziché abbracciarle, sceglierle, percorrerle, le scansiamo. Principalmente in due modi: rimanendo fermi, imbambolati e disorien-
tati oppure ripiegandoci su noi stessi nel tentativo di rifiutare il nuovo che ci circonda voltandoci indietro per afferrare e trattenere ciò che fino a ieri ci dava sicurezza, stabilità e fiducia. Noto in questo senso anche una certa, come dire, incoerenza, tra il dire e il fare, ad esempio sul lavoro. A parole le aziende di oggi, in particolare quelle attive nel campo della comunicazione, dell’informazione e dell’informatica sono tutte orientate o favorevoli ad introdurre modalità di lavoro più libere e indipendenti che rientrano sotto il cappello dello smart working. Ma a ben guardare, noto che più sei indipendente più vieni guardato con sospetto, come se fossi una meteora e sorgono domande del tipo «Ma sei qui o vai via?», «Da dove lavori?», «Da che ora a che ora?», «Ma non potresti venire in ufficio più spesso?», «Mi fai sapere
munication alla New York University, considerato uno dei massimi studiosi di globalizzazione, mass media e processi migratori, sottolinea come sia vitale ridefinire le categorie di lettura del mondo presente nel tentativo di studiare la dimensione dell’avvenire inteso non come uno scenario prossimo venturo ma come un elemento immaginario mediante il quale le comunità, i gruppi, le collettività elaborano strategie di adattamento e di sopravvivenza. Ecco, credo che qui risieda la sfida per ognuno di noi, nella ridefinizione delle categorie di lettura del mondo che è profondamente cambiato e ancora cambierà. E se vogliamo che avvenga in meglio dobbiamo indossare nuove lenti, essere pronti a comprendere nuovi significati e abbracciare nuovi scenari. Non sarà facile ma certo ne varrà la pena.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 12 dicembre 2016 • N. 50
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Società e Territorio
Artigiani per i rustici Ticino Tutelare e valorizzare i rustici rilanciando l’artigianato: è la sfida della Federazione delle associazioni
dell’artigianato grazie a un progetto che promuove le competenze degli antichi mestieri
Fabio Dozio Bisogna volare per scoprire nel modo migliore la geografia del canton Ticino. Osservando dal cielo, a bordo di un elicottero o di un piccolo aeroplano, si nota una particolarità, appena fuori dai centri abitati e dalle piane sfigurate dai capannoni: sui pendii, ai bordi dei boschi, nelle vallate, si svela una miriade di costruzioni, di legno o di granito: i rustici. Celeberrimi perché sono stati protagonisti di una contesa tra Cantone e Confederazione per deciderne il destino. Famosi perché nel corso degli ultimi cinquant’anni si è assistito al riattamento e alla ristrutturazione di molti esemplari, non sempre con risultati apprezzabili. Anzi, sono nati veri e propri ecomostri. In ogni caso i rustici appartengono all’identità della regione. Si stima che le costruzioni in zone non edificabili siano complessivamente circa 60mila e che almeno circa 10mila sono rustici che meriterebbero di essere protetti e ristrutturati. Per il Ticino rappresentano una risorsa: turistica, dato che possono essere utilizzati come strutture di accoglienza, ed economica, perché la ristrutturazione può dar lavoro a piccole aziende e agli artigiani. La Federazione delle associazioni dell’artigianato del Ticino (Glati) si occupa e preoccupa, da tempo, di rilanciare i vari settori dell’artigianato grazie al progetto Rustici Ticino, «che prevede l’analisi della cultura tradizionale del canton Ticino attraverso lo studio dell’architettura e della cultura materiale». L’obiettivo del progetto – ci dice Claudio Gianettoni, presidente della Federazione – è di «salvare e valorizzare il patrimonio frutto di una cultura unica, vero e proprio bene storico locale, e favorire l’occupazione e le attività artigianali nelle zone periferiche. Crediamo sia importante, nella scelta e nel recupero degli immobili, affidarsi a professionisti che hanno le
I rustici: una risorsa turistica ed economica del nostro cantone. (CdT-fotogonnella)
conoscenze e l’esperienza per intervenire nel settore». Glati ha avviato un censimento degli operatori del settore, artigiani e professionisti, da inserire in una Banca dati a disposizione dei proprietari e di tutti gli interessati. In Ticino la storia dei rustici coincide con il mancato rispetto delle leggi e con un atteggiamento che ha cercato di sdoganare la cultura del «fai da te» senza farsi condizionare da domande di costruzione o richiesta di permessi. Sono infatti innumerevoli le costruzioni rurali che sono state riattate abusivamente, non rispettando l’originale e l’ambiente circostante. Insomma, se ne vedono di tutti i colori: balconcini e terrazze, autorimesse, finestroni, aggiunte in materiali improponibili, innalzamenti vertiginosi, lastricati sproporzionati, ecc. ecc. «Il progetto Rustici Ticino – spiega l’architetto Francesco Buzzi, presidente della Federazione architetti svizzeri (FAS) – è interessante perché fa capire
che la qualità va difesa partendo dalle radici. È molto utile stimolare una riflessione su come si costruiva una volta. Il buon architetto deve mettersi al servizio di un luogo e di un contesto. Rispettare il paesaggio, senza alterarlo, intervenendo in modo minimalista». Nel 1980 entra in vigore la Legge sulla protezione del territorio che sancisce il principio della separazione tra zone edificabili e non edificabili. Nelle prime fanno stato i piani regolatori comunali, nelle seconde vigono le disposizioni federali. Bisogna aspettare fino al 2000 per varare un’ordinanza che precisa le condizioni per il cambiamento di destinazione. E, infine, il 2010 affinché il Gran Consiglio approvi il PUC-PEIP, vale a dire il Piano di utilizzazione cantonale dei paesaggi con edifici e impianti protetti, che fa riferimento al Piano Direttore cantonale. Dopo anni di contrapposizione tra Cantone e Confederazione, nel 2012 l’Ufficio federale dello sviluppo territoriale (ARE) rinuncia a contestare il Piano cantona-
le nel suo insieme, così che si riapre la possibilità di ristrutturare un rustico in piena legalità. Il Dipartimento del territorio alla voce www.ti.ch/rustici offre tutte le informazioni necessarie per i proprietari che volessero riattare. Davanti al Tribunale amministrativo pendono circa 250 ricorsi relativi a progetti di ristrutturazione che non rispetterebbero le regole della pianificazione. Negli ultimi quattro anni il Dipartimento del territorio ha evaso circa 230 domande di costruzione, di cui l’80% in modo favorevole. Inoltre, lo scorso mese di luglio il Consiglio di Stato ha inviato al Parlamento un messaggio che chiede di stanziare 3,6 milioni di franchi per i prossimi quattro anni, a favore di progetti di valorizzazione del paesaggio, in particolare per la costruzione dei tetti tradizionali in piode. La Federazione dell’artigianato sta promuovendo il rilancio dei rustici, cercando di creare una sinergia fra la volontà e la necessità dei proprietari di ristrutturare e l’interesse di picco-
le aziende artigianali di offrire le loro competenze. «Per questo è stata costituita – afferma Gianettoni – la piattaforma www.rustici-ticino.ch che vuole raccogliere e promuovere gli artigiani del settore da una parte e dall’altra essere strumento per i proprietari ed i professionisti per scegliere gli artigiani che meglio rispondono alle varie esigenze». In sostanza si tratta di approfittare del bisogno di ristrutturare per dare nuova linfa a settori dell’artigianato che altrimenti andrebbero persi. «Oggi trovare un fabbro che ancora sa usare la forgia e realizza opere in ferro battuto è un compito difficile», annota Gianettoni. L’obiettivo è il rilancio dei mestieri legati all’edilizia storica. Gli attori in campo per questa sfida sono diversi: architetti, che hanno la responsabilità di intervenire salvaguardando le peculiarità delle costruzioni rustiche, senza tradire le specificità della civiltà rurale di un tempo, operatori del settore dell’edilizia, che devono dimostrare attenzione per la qualità degli interventi; funzionari e pianificatori del territorio, giudici chiamati a valutare le situazioni critiche e banche interpellate per finanziare i progetti di rivitalizzazione e di recupero. «Perché il progetto Rustici Ticino funzioni – sottolinea l’architetto Francesco Buzzi – bisogna superare una certa miopia culturale. Va promossa una mediazione culturale per far capire che gli interventi recenti hanno dato risultati negativi, mentre l’architettura rurale originaria aveva grandi qualità. Bisogna promuovere i buoni esempi». Vale ancora il suggerimento dell’architetto Tita Carloni: o i rustici si lasciano al loro destino, una dignitosa caduta in rovina pura e semplice, oppure si interviene con «la trasformazione in modeste case attrezzate per il tempo libero, con interventi sobri, qualificati e manifesti, che rivelino onestamente la circostanza che lì non soggiornano più poveri pastori, donne pie e qualche vaccarella…».
Il coloratissimo mondo di Mario
Videogiochi P aper Mario Color Splash è uno degli ultimi titoli per Wii U: a marzo 2017
dovrebbe essere presentata la nuova Nintendo Switch Davide Canavesi Conosciamo tutti Super Mario: il piccolo ed intraprendente idraulico italiano che da decenni sconfigge funghetti e raccoglie monetine in mondi strani e colorati. Magari non tutti conoscono invece Paper Mario, la versione «cartacea» di Mario. No, non stiamo parlando di un libro da colorare ma di un videogioco in cui ogni cosa è disegnata
come se fosse fatta di cartoncino, Mario compreso. Strano? Non del tutto, visto che stiamo parlando di un gioco della Nintendo! La trama di Paper Mario Color Splash è piuttosto semplice. La Principessa Peach del Regno dei Funghi riceve una strana lettera completamente bianca. Nel tentare di leggerla si rende conto che ciò che tiene in mano non è un foglio bianco bensì uno sfortunato
Toad tutto accartocciato e senza colori di cui non è rimasta altro che la sagoma senza lineamenti. Allarmata da questa scoperta (in fondo, tutti sono fatti di sagome di cartoncino colorati nel suo regno) la principessa manda subito a chiamare Paper Mario, eroe di mille avventure. Dopo una breve consultazione, i due decidono di partire immediatamente per l’isola Prisma, la famosa località turistica. La cittadi-
Un gioco pieno di fantasia e originalità, adatto a tutta la famiglia. (Nintendo)
na che li attende è stranamente calma e priva di abitanti. Il motivo di tanta quiete viene presto svelato: la fontana Arcobaleno, vera e propria fonte di vita dell’Isola Prisma è stata prosciugata da un gruppo di Tipi Timidi armati di cannuccia. L’unico che possa risolvere la situazione è Paper Mario, il quale dovrà raccogliere le Vernistelle sparse per l’isola con l’aiuto di Tinto, un secchiello per i colori posto a guardia della fontana. Qualcuno ha rubato il colore dell’isola e sta a noi recuperarlo. In Paper Mario Color Splash la vernice colorata è alla base di ogni cosa. Nei panni di Paper Mario saremo chiamati a colorare il mondo attorno mediante un martello magico. Per farlo dovremo però esplorare i molti ambienti dell’isola, divisi in zone che andranno sbloccate mano a mano che proseguiamo nella storia. Durante le nostre peregrinazioni dovremo anche risolvere piccoli enigmi a tratti piuttosto ingegnosi e a combattere contro i Tipi Timidi. Il sistema di combattimento è piuttosto macchinoso ed è sicuramente la parte meno riuscita di questo titolo. Tutto si basa su un sistema di carte da gioco che dovremo prima raccogliere per i livelli e poi colorare tramite lo schermo tattile della
console Wii U. Il tutto si traduce in un lento ed a tratti frustrante e monotono esercizio che spezza l’altrimenti delizioso gameplay di Paper Mario Color Splash. In effetti il gioco è un tripudio di colori pastello, di comicità innocente e di piccole idee originali. Ad esempio in alcuni livelli potremo, sempre tramite lo schermo tattile di Wii U, ritagliare dei pezzi di carta da aggiungere al mondo di gioco al fine di raggiungere sezioni altrimenti inaccessibili. Tutto in Paper Mario Color Splash funziona benissimo (tranne il già citato sistema di combattimenti) e si amalgama alla perfezione. Nonostante Wii U non sia una console tecnicamente all’avanguardia sa regalare livelli davvero molto belli, tutti contraddistinti da tanta fantasia e originalità che spesso e volentieri diamo per scontata nei giochi di Nintendo ma che invece è fin troppo rara nel mondo dei videogiochi. Paper Mario Color Splash è forse il penultimo grande titolo per Wii U, in attesa dell’uscita della nuova Nintendo Switch a marzo 2017. Si tratta di un gioco allegro e spensierato, decisamente adatto a tutta la famiglia, che saprà dare un senso agli ultimi mesi di vita di Wii U.
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Società e Territorio
L’arte per i defunti
Pubblicazioni La Società di storia dell’arte in Svizzera ha dedicato
una guida al cimitero monumentale di Lugano
Stefania Hubmann Viaggiare nel tempo attraverso le sculture e scoprire l’evoluzione del gusto estetico dall’Ottocento ad oggi. È il percorso che si può compiere se si visita il cimitero di Lugano. Ad aiutare nell’esplorazione e nella conoscenza dei monumenti, la guida storico-artistica pubblicata di recente dalla Società di storia dell’arte in Svizzera (SSAS) su iniziativa della Città di Lugano. L’agile ma denso volume riassume la storia del cimitero monumentale e le tipologie delle opere, di cui quasi quaranta presentate in singole schede. La pianta riprodotta nel risvolto di copertina permette di ritrovare in loco le diverse tombe. Le autrici della guida, le storiche dell’arte Cristina Brazzola, Paola Capozza e Giovanna Ginex, hanno percorso tutti i viali e i vialetti del cimitero monumentale della Città, costruito fra il 1897 e il 1899 sull’esempio dei cimiteri monumentali italiani e considerato uno dei più importanti a livello svizzero. Nel 2009 esso è stato infatti inserito nell’Inventario dei beni culturali di importanza nazionale. Negli anni seguenti è stata avviata, per iniziativa del Municipio di Lugano, la ricerca affidata all’allora Dicastero attività culturali, ricerca che ha potuto contare anche su un primo censimento effettuato dall’Ufficio cantonale dei beni culturali in collaborazione con il Consorzio protezione civile regione Lugano Città. Un’indagine lunga e approfondita, come spiega Cristina Brazzola. «Sono tre le principali fonti
alle quali abbiamo potuto attingere. In primis il cimitero stesso. In cifre si tratta di 4600 sepolture analizzate di cui poco meno di mille selezionate per la ricerca. Oltre all’indagine sul terreno, abbiamo consultato gli archivi e le poche pubblicazioni sul tema, mentre sono stati utili i quotidiani e in particolare gli articoli che annualmente venivano pubblicati in occasione della ricorrenza dei defunti». Defunti che le famiglie borghesi della seconda metà dell’Ottocento e dei primi tre decenni del Novecento celebravano con sepolture di pregio, in alcuni casi imponenti, in sintonia con lo spirito del tempo. Nel nuovo cimitero alla Gerra sono state traslate alcune sepolture dei vecchi camposanti di Gambalarga (a Molino Nuovo) e Loreto, per cui si possono ammirare anche sculture risalenti a metà Ottocento, come ad esempio il monumento realizzato da Pietro Lucchini per la famiglia Riva, di gusto neoclassico. «Il nucleo più significativo delle sculture è quello compreso tra metà Ottocento e gli anni Venti e Trenta del Novecento», precisa Cristina Brazzola. «Grazie alle opere di questo periodo è possibile seguire l’evoluzione del linguaggio scultoreo dal neoclassicismo al romanticismo, dal verismo al liberty. Partendo da Vincenzo Vela, scomparso però pochi anni prima dell’inaugurazione del nuovo cimitero, ritroviamo i nomi dei principali maestri dell’arte scultorea ticinese come i fratelli Antonio e Giuseppe Chiattone, Raimondo Pereda e Luigi Vassalli. I primi erano
fra i più notevoli a Lugano, mentre Pereda ha lavorato anche nel Monumentale di Milano. Vassalli dal canto suo, essendo insegnante di scultura alla Scuola di disegno di Lugano, ha influenzato un’intera generazione di giovani scultori, traghettandola dal gusto verista a quello simbolista». In questo periodo, aggiunge la curatrice, la scultura funeraria era diventata l’attività principale di molti scultori, tanto che i più importanti possedevano veri e propri cataloghi di modelli. Anche se nel cimitero di Lugano non sono state trovate repliche dirette, fra gli artisti minori era diffusa l’abitudine di copiare opere dei grandi maestri. Le opere dei Chiattone, ad esempio, erano pubblicate quali modelli su riviste italiane specializzate nella diffusione di plastica sepolcrale. La ricerca ha permesso di scoprire altri legami e curiosità in questo ambito, come ad esempio la figura femminile dolente realizzata dallo scultore veneziano Valentino Casal per la tomba Monti. Si tratta infatti di una replica di quella scolpita dallo stesso autore per una tomba situata in un cimitero di Berlino. Il legame di Casal, conosciuto per il suo lavoro in ambito tedesco, con la città di Lugano è stato scoperto proprio in occasione di questa ricerca. Connessioni sono state appurate anche con maestri italiani attivi soprattutto a Milano, Torino e Genova, come Leonardo Bistolfi ed Enrico Butti. Per tombe più articolate, con una maggiore impronta architettonica,
Giuseppe Chiattone, Monumento famiglia D’Ambrogio, 1905. (SSAS)
alcune famiglie facevano appello direttamente a un architetto. È il caso di Otto Maraini chiamato con Raimondo Pereda a progettare il sepolcro della famiglia De Filippis. Questo binomio architetto-scultore sarà riproposto con una certa frequenza anche nella seconda metà del Novecento, in particolare con Camenzind-Rossi. «Nelle epoche successive – precisa Cristina Brazzola – il modo di approcciarsi alla morte si modifica con ripercussioni anche sulla realizzazione delle sepolture». La guida Il cimitero monumentale di Lugano permette di confrontarsi anche con le espressioni artistiche contemporanee, a volte concepite per altri contesti e poi ricollocate su una tomba. Come ricorda Valeria Frei, responsabile dell’Ufficio della Svizzera italiana della SSAS, altri cimiteri del nostro cantone sono già stati oggetto di stu-
dio e divulgazione attraverso la collana delle Guide storico-artistiche della Svizzera. Molto diffusa ed apprezzata per il rigore scientifico dei contenuti e la praticità del formato, la serie ha dedicato un numero al cimitero di Bellinzona nel 2009, mentre nella guida «Collina d’Oro» dell’anno seguente un capitolo è stato riservato al locale cimitero. Se negli anni Quaranta del secolo scorso il cimitero monumentale di Lugano risultava essere uno dei luoghi più visitati della Città dai turisti confederati, oggi, anche attraverso la Guida storico-artistica edita dalla SSAS è possibile aggiungere questo museo a cielo aperto alla lista di attrattive culturali che la regione offre a popolazione e visitatori. Informazioni
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Società e Territorio Rubriche
Lo specchio dei tempi di Franco Zambelloni L’informazione disinformante Nell’era della comunicazione – come molti ormai definiscono questo nostro tempo – l’informazione cresce e si moltiplica con ritmo esponenziale. Uno studio dell’Università di Berkeley, che giunge però solo fino al 2006, ha raggiunto queste conclusioni: tra il 2001 e il 2004 si sono prodotte tante informazioni quante nei trent’anni precedenti; in quei trent’anni, poi – dal 1970 al 2000 –, il volume dell’informazione prodotto risulta equivalente a tutta quella tramandata dalla nascita della scrittura fino al 1970. Grosso modo, dunque, in trent’anni sono state comunicate notizie, opinioni, racconti, pensieri profondi e frottole equivalenti a quelli trasmessi in più di cinquemila anni; ma, dopo il 2000, lo stesso volume di dati ha richiesto solo quattro anni per essere eguagliato; infine, la medesima quantità d’informazione si è prodotta in un solo biennio, dal 2004 al 2006. Roba da far girare la testa.
Sono molti i problemi sollevati dalle conclusioni di questa ricerca. Il primo è che il voler rimanere pienamente aggiornati, sia pure solo nell’ambito dei propri interessi, diventa impossibile, perché richiederebbe più tempo di quanto la vita ne mette a disposizione. Ma anche solo la lettura di alcuni quotidiani, per sapere come va il mondo, richiede non poco tempo; e, d’altra parte, è bene cogliere le stesse informazioni da schieramenti ideologici diversi, perché solo soppesando punti di vista diversi o anche opposti si può forse intravedere una valutazione obiettiva. Ma quel «forse» va rimarcato: il bianco e il nero, il semplicemente vero e il totalmente falso non si trovano ormai in nessuna testata ed è molto difficile individuare la sfumatura di grigio che sia più probabilmente vicina alla realtà. Poi, specie con l’informazione digitale che straripa dalla Rete, ciascuno può non solo dire la propria opinione o
dare una propria versione dei fatti, ma può anche inventarseli di sana pianta. Come difendersi? Chi possiede una cultura abbastanza solida è in grado, in genere, di riconoscere la validità o meno dell’informazione, ma i giovani sono per lo più allo sbaraglio nella foresta dei dati e rischiano facilmente di pigliare per oro colato quel che è persino un’evidente falsificazione. Ci sono siti maggiormente affidabili, ai quali si può attingere con una certa fiducia: l’enciclopedia multimediale di Wikipedia, ad esempio. Ma anche in questo caso la garanzia non è affatto assoluta: pochi mesi fa i quotidiani ticinesi davano notizia di un’effrazione che sarebbe stata compiuta da alcuni funzionari pubblici che, in tempo di lavoro, avrebbero pubblicato, appunto nelle pagine di Wikipedia, informazioni fasulle su alcuni comuni ticinesi. Come sia finita la vicenda, che era stata oggetto di un’interrogazione
parlamentare, non l’ho mai saputo. E, naturalmente, rimane il dubbio se la notizia fosse vera. Viene da rimpiangere il tempo (era il Settecento, il secolo dei Lumi) nel quale Lessing poteva scrivere «Viel muss man lesen, nicht vielerlei»: bisogna leggere molto, non molte cose. È pur vero che, a quei tempi, solo una minoranza della popolazione sapeva leggere. Oggi, in teoria, tutti o quasi, almeno in Occidente, dovrebbero saper leggere. Ma a che serve? La sovrabbondanza dell’informazione è una foresta nella quale ci si smarrisce. E poi, la stessa sovrabbondanza offusca la memoria: e purtroppo vale ancora quanto Beatrice raccomandava a Dante nel primo canto del Paradiso: di prestare ascolto e di fissare bene nella mente la spiegazione, «ché non fa scïenza, / sanza lo ritenere, avere inteso»; se capisci, ma poi non ricordi, la tua cultura è nulla. Ma oggi si tende a pensare – specie tra i giovani
– che la cultura è un archivio esterno, non depositato nella mente individuale ma diffuso nella memoria artificiale della Rete. Se ti serve un’informazione vai in internet e la peschi lì, e poco importa se è un dato attendibile oppure una bufala. Dunque, milioni di potenziali giovani lettori di oggi rischiano di essere sempre disinformati pur disponendo di un’informazione quale non c’è mai stata. Ma è poi vero che i lettori sono così tanti? Da ripetute inchieste emergono a tratti dati inquietanti su quello che viene chiamato «analfabetismo di ritorno», che sembra un fenomeno capillarmente diffuso in molti Paesi; qualche anno fa, un settimanale italiano tra i più autorevoli conduceva un’indagine a seguito della quale dichiarava: «Oltre la metà degli italiani non sa leggere i giornali». Una notizia sconfortante. Ma sarà vera?
tonni all’alba del tredici ottobre 1956 al largo di Sète, dove tra l’altro è nato Paul Valéry. Più che impressionare, come il famoso squalo tigre da dieci milioni di dollari dell’artista inglese Damien Hirst immerso nella formaldeide bluastra intitolato The Physical Impossibility of Death in the Mind of Someone Living (1992), ha un’aria simpatica. Forse, ai tempi in cui c’era la scritta mangiatore d’uomini, spaventava di più. In realtà lo squalo non è l’erronea immagine traumatica che ci ha propinato, seppur drammaturgicamente impeccabile, il film di Spielberg: Lo squalo (1975). In media ci sono solo cinque morti all’anno, con gli omicidi non c’è gara. È l’unico a non avere più nemmeno la didascalia con il nome scientifico che sarebbe Carcharodon Carcharias. Sarà perché gode dello statuto a sé di mascotte. Gli tengono compagnia una tartaruga Luth e un tricheco nonsocosa. Mi raggiunge Chantal Ebongué, responsabile della comunicazione, e mi dice che dentro,
il tassidermista, ha lasciato una bottiglia di rum e una lettera scritta di suo pugno. Sono le mani di Eugène Küttel (1916-2002) ad aver preparato lo squalo acquistato dal museo. Sbarcato qui per via della telefonata di un professore di Neuchâtel in vacanza a Sète, fatto a pezzi al macello di Malley, ci sono voluti due anni a Küttel per ricomporlo con cura e conservarlo così. Visto le condizioni della pelle, impossibile tassidermizzarlo, ha dovuto dunque ricreare tutto con un mix di materiali e dipingerlo. Comunque l’ittiotassidermia è un po’ utopica, pare, per gli squali. Di vero rimangono le pinne pettorali e i denti, tranne tre che sono stati rubati. Un’ammirevole arte maniacale quella del tassidermista, a metà strada tra l’artista e il naturalista. «Ha sbagliato strada» mi dice la signora Ebongué, visto che nel golfo di Sète non ci sono squali bianchi e precisa che è una femmina ed è morta a bordo, infarto. Al macello hanno trovato dentro due delfini di due metri. Mi conferma poi il forte
legame tra lo squalo e la città: una sua amica per i suoi settant’anni le ha chiesto se potevano fare «un apéro accanto allo squalo e nella sala dei mostri». Dice poi che ogni museo di storia naturale ha la sua mascotte, a Ginevra è la tartaruga a due teste, a Friburgo la balena; i suoi figli spesso dicono «andiamo al museo della balena ?». Ma se cercate emozioni forti, vi porto qui accanto, nella cosiddetta sala dei mostri. Sulla soglia, nella lunetta in alto, risalta un altorilievo marmoreo con una donna muscolosa che tiene in mano un teschio alla Amleto. Qui c’è roba da Wunderkammer: un vitello con due teste, una capra vallesana con tre corna e una con cinque zampe. Torno dallo squalo di Küttel e penso alla bottiglia di rum e a quella lettera nel ventre. E poi ai messaggi nelle bottiglie in mare, agli egittologi che aprono i sarcofaghi, alle vite dei pirati, alla potenza del tempo, alla pazienza soprattutto. Merce rara oggi, al pari del pinguino estinto delle Malvinas quaggiù nei depositi, al buio.
to, dietro ai milioni e poi ai miliardi, può esserci un semplice colpo di fortuna, una discussa eredità o addirittura un’impresa truffaldina. Ma, nella maggior parte dei casi, la ricchezza ha rappresentato un obiettivo raggiungibile, grazie a meriti conquistati lavorando, inventando, creando e coinvolgendo gli altri. Non è un’avventura individuale, ma spesso collettiva, su cui gravano le incognite della congiuntura economica e politica, contrassegnata quest’anno dall’incertezza. Insomma, le distanze fra loro e noi si starebbero abbreviando, a bordo tutti insieme di una barca traballante? È quanto intende dimostrare l’edizione di dicembre della rivista, attraverso l’incontro con i 300 più ricchi nel paese più ricco del mondo. Si tratta di un primato che, diversamente da altri , non suscita fierezza né soddisfazione. Anzi al cittadino comune, alle prese con conti che stentano a tornare, sembra quasi una beffa. Tanto da giustificare, nell’opinione pubblica, l’incredulità che circonda le cifre ufficiali del benessere. Per non parlare
dei sentimenti contrastanti, un misto di sospetto e ammirazione, nei confronti dei grandi ricchi,: nell’immaginario collettivo, sembrano relegati in un mondo a sé. «Bilanz» cerca, invece, di restituirli alla realtà, raccontandone le singole storie in cui, pure noi, siamo parte in causa. Infatti, siamo i consumatori, gli utenti, gli spettatori, dei prodotti, dei luoghi, delle manifestazioni che loro, i ricchi, creano, producono e vendono, e spesso con il nostro contributo quali lavoratori e collaboratori. Facciamo qualche nome, per spiegarci meglio. Cominciando da un marchio ultrapopolare, Ikea, il cui inventore, Ingvar Kamprad, con 45 miliardi, domina sempre la graduatoria. A 90 anni, è tornato, «dove batte il suo cuore», a Almhult, Svezia, affidando la gestione dell’azienda ai tre figli, rimasti a Epalinges (Vaud), dove seguendo le orme paterne, conducono una vita modesta, auto Smart, e fazzoletti di carta della linea M-Budget. Ciò che, da parte di miliardari, non appare una scelta virtuosa, piuttosto uno sfizio
snob, un’originalità, un’esibizione pauperistica. Sta di fatto che, fra i superricchi, cresce la consapevolezza del proprio privilegio, per il quale c’è un prezzo da pagare. Susanne Scheoff, alla testa del gruppo Rotronic, considera il danaro un obbligo, che si è tradotto in interventi umanitari, ad ampio raggio, in India e Myanmar, per finanziare scuole e promuovere la condizione della donna. Anche Tito Tettamanti allude a un «Charity Trust», dove ha investito la maggior parte dei suoi beni. In altri casi, si finanziano gallerie d’arte, concerti, stagioni culturali. Scorrendo l’elenco dei grandi ricchi, ospiti del nostro Paese, non mancano poi le sorprese: ecco lo scrittore Paulo Coelho, che risiede a Ginevra, l’architetto Santiago Calatrava, che ha optato per una casa d’epoca, nei dintorni di Zurigo, i Gucci, domiciliati nei Grigioni, e il nostro beniamino nazionale Roger Federer. Come dire sono tante le strade che portano ai milioni. Tutto sta a imboccare quella giusta.
A due passi di Oliver Scharpf Lo squalo di Losanna In treno, mattino presto di dicembre, ho appuntamento con uno squalo. Non tutti sanno che a Losanna c’è il più grande squalo bianco naturalizzato del mondo. Eppure da quasi sessant’anni è esposto in una sala del museo di zoologia e «ha impressionato generazioni di losannesi in calzoncini corti» scrive il «24 heures» nel giugno 2015 dando notizia di un suo lifting. Per evitare un bidone ho scritto un’email al museo, mi hanno risposto subito, il progetto lifting si è arenato e lo squalo di 5,89 metri è sempre lì, fedele al suo posto. Al quinto piano del palais de Rumine, in place de la Riponne, dove sbuco dopo due minuti di metrò. Due sfingi alate vigilano su due colonne in marmo rosa di Baveno ai fianchi dell’imponente palazzo in stile italianizzante che prende il nome da Gabriel de Rumine (1841-1871). Figlio di principi russi venuti a curarsi a Losanna, ha lasciato un milione e mezzo di franchi per un edificio di utilità pubblica. Davanti c’è uno scarno mercato delle pulci e tanti
sbalestrati che bevono lattine di birra al sole d’inverno. Costruito tra il 1891 e il 1906 sui piani dell’architetto lionese Gaspard André, dentro è di una teatralità non da poco, incentrata su uno scalone che si dirama a ogni piano: accoglie altri quattro musei e la biblioteca cantonale. All’ultimo piano incontro diciotto uccelli invernali lemanici dentro una vetrinetta con tanto di sfondo lacustre dipinto e canneti secchi veri. Una tigre tassidermizzata mi dà il benvenuto. Percorro poi una carrellata di pelicanidi impagliati e una marea di altri volatili esotici mai visti, tutti dentro delle favolose vetrine vecchiotte in legno dipinto di bianco. Mi sembra di essere all’inizio dell’Uccello dalle piume di cristallo di Dario Argento. Tutti sono etichettati con una didascalia scritta a penna: nome comune e in piccolo, il nome scientifico. Fascino folle del desueto. Le pareti sono color pistacchio pallido. Di colpo mi ritrovo faccia a faccia con lo squalo di Losanna (517 m/s.l.m.) finito nelle reti dei pescatori di
Mode e modi di Luciana Caglio C’e ricco e ricco Un paio di settimane fa, Lapo Elkann è tornato a far notizia, con un episodio di cronaca nera, persino indefinibile, al limite del grottesco, com’è nel suo stile di vita. Adesso a New York, come prima a Torino, si è ripetuta la stessa situazione: una notte brava, con trans, droga, alcol, aggravata, però, dalla sceneggiata del finto sequestro che pesa sul piano giudiziario. Anche se, prevedibilmente, se la caverà, grazie alla parentela che porta. Ora, guarda caso, quest’ultima sbandata del rampollo della dinastia Agnelli coincideva con l’uscita del numero speciale di «Bilanz» dedicato ai ricchi: per la precisione, i superricchi, residenti in Svizzera, fra i quali figura, appunto, Lapo Elkann De Pahlen. Che, su queste pagine, compare sorridente, fra le sorellastre Sofia e Anna, durante un «pigiama party» organizzato dagli stilisti Dolce e Gabbana. A questo genere di manifestazioni il nipote dell’Avvocato è di casa, precisa il giornalista. Un’allusione, garbatamente ironica, che equivale a un giudizio d’ordine morale e sociale: come dire, Lapo è il
tipico esempio di un privilegiato che spreca la sua fortuna. E nuoce a tutta la categoria, oggi più che mai impegnata a riscattare la propria immagine. In realtà, c’è ricco e ricco, c’è modo e modo per diventarlo e rimanerlo. Cer-
Tra i 300 più abbienti in Svizzera: lo scrittore Paulo Coelho. (Wikipedia)
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Ambiente e Benessere Un inglese scopre l’Elvezia La curiosa esperienza di Diccon Bewes, suddito britannico che ha deciso di spiegare la Svizzera ai suoi connazionali pagina 17
La teoria confermata in laboratorio L’inventore della tavola periodica, Mendeleev, aveva previsto l’esistenza di alcuni elementi che ora gli scienziati sono riusciti a creare davvero
Nell’isola della pulcinella Un reportage fotografico dall’arcipelago Pribilof, tra la Russia e l’Alaska
L’opinione di Alcide Vecchio Sportivo commenta gli avvenimenti agonistici più importanti della settimana
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Prevenire è la scelta vincente
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Per ogni mille donne in più che si sottopongono allo screening preventivo, avremmo un decesso all’anno in meno, in Ticino. (Ti-Press)
Salute Lo screening mammografico precoce è fondamentale e aumenta la possibilità di guarigione dal tumore al seno Maria Grazia Buletti
«Agio»: è favorito dalla prevenzione, attraverso la messa in atto dello screening mammografico, con conseguente diagnosi precoce. E «dis-agio»: quello del percorso terapeutico per nulla semplice, ma efficace, della cura del tumore mammario. «Agio» e «dis-agio» sono i due concetti utilizzabili per circoscrivere la reazione emotiva in rapporto al tumore del seno, una patologia che si insinua nell’universo femminile e mette radici in un ambito molto profondo. La femminilità e l’integrità della donna ne sono profondamente messe in discussione. E affrontare il percorso terapeutico è assai impegnativo. «Il seno caratterizza l’esistenza femminile fin dalla pubertà, collaborando alla realizzazione della propria immagine corporea e dell’immaginario collettivo», afferma l’oncologa professoressa Gemma Martino (Direttore emerito della Divisione Istituto Nazionale Tumori Milano e docente alla Scuola Italiana di Senologia) nella sua interessantissima pubblicazione Il disagio in senologia oncologica. Scritto con Hubert Godard (Analyse du mouvement, Université de Paris VIII), il libro ci spiega: «Segnali grafici, opere d’arte, dissertazioni filosofiche, biologiche, evoluzionistiche antropo(gineco)logi-
che confermano la complessità affettiva, nutritiva, erotica, seduttiva» dei seni, definiti «forma-funzione» dalla dottoressa Martino. Che il seno sia celebrato in ogni ambito socioculturale è un dato di fatto ben riportato dalla nostra interlocutrice: «...(lo è) nei mass media e ci nutre di automobili, biscotti, dentifrici, aperitivi, caffè... le tecniche protesiche concorrono a modificarne il senso, astraendo il seno dal sentire del corpo, con artifici di forma freddi, anaffettivi, poco erotici...». Al «tripudio di seni prorompenti, fisiologici o protesici» che riempiono, appiattiti, i tristi muri delle nostre città, la dottoressa Martino affianca la realtà dell’oggettività estetica a cui si appellano gli oncologi–senologi, e approfondisce le «scelte terapeutiche in cui si muovono le immagini inconsce proprie di ciascuno (donne e sanitari): i ricordi di un seno nutriente, accudente su un respiro calmo e suadente o di concitate lotte per difendersi dall’intrusione e dal possesso materno... il bisogno di consolazione...». Ce n’è a sufficienza per comprendere la complessità della situazione in cui si viene a trovare la donna che deve far fronte a una diagnosi di tumore mammario. In Svizzera viene diagnosticato ogni anno a circa 5400 donne. In particolare, per quelle di età compre-
sa fra 50 e 60 anni, questa neoplasia è il tipo di tumore più frequente e la principale causa di mortalità. «Le probabilità di sopravvivenza e di guarigione dal tumore del seno sono nettamente maggiori se la malattia è diagnosticata in fase precoce e trattata in modo appropriato»: lo dice l’opuscolo inviato in Ticino a tutte le donne nella fascia d’età citata poiché il Cantone ha fatto suo il concetto di screening mammografico generalizzato. Tale opuscolo è a sua volta basato su quello redatto da swiss cancer screening che è stato allestito con il sostegno professionale e finanziario di migesplus, nell’ambito del Programma nazionale Migrazione e salute 2008-2013 dell’Ufficio federale della sanità pubblica. Oggi, ogni donna può dunque decidere in maniera consapevole e personale se partecipare al programma di diagnosi precoce del tumore al seno grazie alle informazioni esaustive su benefici e possibili rischi dell’esame diagnostico mammografico di screening. L’iniziativa ruota attorno al concetto di prevenzione e al fatto che il tumore al seno diagnosticato in una fase iniziale, dunque precoce, ha maggiori possibilità di guarigione. Dato di fatto confermato dalla professoressa Marino che ricorda l’importanza di eseguire una mammogra-
fia ogni due anni a tutta la popolazione femminile fra i 50 e i 69 anni: «Pratica inserita fra i Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) e costituisce un diritto delle donne a usufruirne». Certamente, anche in questo tipo di azione di prevenzione bisogna valutare vantaggi e rischi. Lo riporta il gruppo Screening mammografico Ticino nell’opuscolo citato. Per «svantaggi e rischi» si intende: la sovra-diagnosi (alcuni tumori non si evolvono, ma al momento dell’esame mammografico questo non è possibile prevederlo); i possibili falsi risultati positivi (anomalie riscontrate nella mammografia, che richiedono ulteriori accertamenti); i tumori di intervallo (diagnosticati nei due anni che intercorrono tra una mammografia e la successiva), e la sovraesposizione ai raggi X. Ma i numeri parlano da sé a proposito dei grandi vantaggi: «In Svizzera, circa 1250 donne dai 50 anni d’età in poi muoiono ogni anno per un tumore del seno. Il rischio di decesso per cancro al seno diminuisce in modo significativo per quelle che a partire dai 50 anni partecipano ogni due anni al programma di screening mammografico». Ciò significherebbe che se tutte le donne invitate a parteciparvi vi si sottoponessero, dopo dieci anni si potrebbe salvare la vita a circa 200 donne. Inol-
tre, l’elevata qualità dell’esame di screening mammografico si rivela essere un provvedimento rassicurante: «il 95 percento delle donne esaminate possono essere rassicurate, poiché i risultati della loro mammografia non rivelano anomalie». L’esercizio sta nel non vedere lo screening mammografico come un nemico, mentre l’eventuale percorso terapeutico non è una battaglia o, peggio, una guerra. È quello che si evince anche dalla lettura del libro della dottoressa Marino, attraverso la visione dei molteplici punti di vista espressi: quello del medico e del personale curante che accompagna la paziente lungo il percorso terapeutico, e quello della paziente che viene presa a carico. Tutte le parti in causa mettono in gioco una grande forza indirizzata a un obiettivo molto più raggiungibile, oggi, anche grazie alle diagnosi precoci del tumore del seno: la guarigione. «Secondo le stime, un decesso per tumore al seno può essere evitato nel gruppo di donne che si sottopone allo screening, ogni due anni per un periodo di 10 anni», ribadisce il Gruppo screening mammografico canton Ticino. Parlando di guarigione, ciò significa che ogni anno avremo un decesso per tumore del seno in meno ogni 1000 donne che seguono il programma preventivo.
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Ambiente e Benessere
Come diventare Svizzeri
Viaggiatori d’Occidente La curiosa vicenda di uno scrittore inglese a Berna e dei suoi sforzi per integrarsi
Claudio Visentin Diccon Bewes è un popolare scrittore di viaggio inglese. Ho avuto occasione di conoscerlo meglio e conversare a lungo con lui quando, qualche giorno fa, ha tenuto una lezione agli studenti del Master in International Tourism dell’Università della Svizzera italiana. Dapprima ha parlato del suo libro «Slow Train to Switzerland», pubblicato nel 2013. Diccon Bewes ha ripercorso
Nel suo secondo libro ha ripercorso una vicenda storica: il primo viaggio turistico organizzato da inglesi nel nostro paese fedelmente le orme di un piccolo gruppo di suoi connazionali che nel 1863 visitò il nostro Paese affidandosi all’agenzia di viaggi Thomas Cook, oggi assai famosa ma che allora muoveva solo i primi passi. L’itinerario comprendeva Ginevra – Chamonix – Sion – Leukerbad – Interlaken – Lucerna – Olten – Neuchâtel. Tra loro vi era anche una giovane signora dello Yorkshire sulla trentina, Jamima Morrell. Grazie a Thomas Cook infatti per la prima volta anche le donne potevano viaggiare all’estero: un merito dei viaggi organizzati che spesso si dimentica. Le annotazioni di Jamima hanno permesso di conoscere ogni momento della spedizione. Non dobbiamo farci ingannare dai confortevoli viaggi di gruppo dei giorni nostri,
dove tutto è stato accuratamente preparato in anticipo. In questo caso neppure Thomas Cook, la guida, era mai stato in Svizzera. Fu dunque un viaggio di scoperta, appassionante e avventuroso. Nonostante il lungo abito vittoriano, con tanto di crinoline, Jamima affrontò coraggiosamente i più ardui passi alpini, camminando anche per una ventina di miglia al giorno nei tratti dove la ferrovia non era ancora stata costruita, e spingendosi fin sopra i ghiacciai senza nessun attrezzatura specifica, salvo l’immancabile ombrellino. Quel viaggio cambiò per sempre la nostra storia. La buona riuscita spianò la via a milioni di turisti e la Svizzera fu il primo Paese al mondo completamente trasformato dal turismo. Per lungo tempo tuttavia fu una «Svizzera senza svizzeri», dal momento che l’attenzione dei turisti stranieri era riservata quasi esclusivamente al paesaggio alpino. Proprio gli svizzeri hanno invece fatto la fortuna di Diccon Bewes come scrittore da quando, una decina d’anni fa, si è trasferito a Berna, dopo un viaggio di diciotto mesi intorno al mondo e una decennale collaborazione con l’editore di guide turistiche Lonely Planet. Diccon Bewes ha cercato subito di diventare un «perfetto svizzero». Come scrive, «ho dedicato gli ultimi anni a lottare con la grammatica tedesca, imparare da capo ad attraversare la strada come si deve e vincere il mio innato desiderio di formare una coda ordinata. Nel frattempo ho esplorato quelle parti della Svizzera delle quali non avevo mai sentito parlare (e ho mangiato un sacco di cioccolato)».
È nato nello Hampshire e vive in Svizzera dal 2005. (diccon bewes.com)
Il suo libro del 2010, «Swiss Watching», presto tradotto anche in francese e tedesco, ha avuto un sorprendente successo e Diccon Bewes è diventato il riferimento per chi vuole capire qualcosa di più della Svizzera e degli svizzeri. I suoi ingenui sforzi di integrazione sono divertenti, anche al livello delle semplici abitudini quotidiane. In Inghilterra ogni conversazione inizia immancabilmente con delle osservazioni sul tempo, per esempio quando si vuole sciogliere il ghiaccio alla fermata dell’autobus: la pioggia, il sole (finalmente!), inverni memorabi-
li e così via. Ma quando a Berna Diccon Bewes butta lì un «Oggi fa freddo, vero?», gli rispondono solo «Certo, è inverno». Oppure deve abituarsi al vuoto pneumatico delle domeniche svizzere. In Gran Bretagna da decenni la domenica è un giorno come gli altri. Qui invece tutti i negozi sono chiusi e ciascuno si riposa, va al cinema o al museo, si dedica alla famiglia e agli amici. Ma bisogna fare attenzione se si viene invitati a una passeggiata! Nello Hampshire un’escursione domenicale dura un paio d’ore al massimo lungo dolci pendii collinari e si conclude inevitabil-
mente al pub. In Svizzera può voler dire alzarsi all’alba e trascinarsi per il resto della giornata sulle montagne sino allo sfinimento. Meglio allora svegliarsi tardi, prendere il treno quando non è più affollato e unirsi al gruppo per pranzo dopo essere saliti con la funicolare... È interessante notare che anche molti svizzeri hanno cominciato a leggere i libri di Diccon Bewes. Può sembrare paradossale chiedere chi siamo a uno straniero che appena ci conosce. Dopo tutto lo sguardo dello straniero è necessariamente superficiale, esteriore, anche solo perché non comprende la lingua e gli usi locali. Ma per cominciare questi svantaggi sono al tempo stesso una sfida, spingono a superarli, tengono desta l’attenzione. E poi chi viene da lontano ha un formidabile vantaggio: anche quando è tra noi, lui è escluso, sta al di fuori e dunque può distinguere facilmente tra il particolare e l’universale, tra ciò che è comune alla condizione umana e quel che invece è caratteristico soltanto di quel Paese e quella cultura. Dopo una decina d’anni come expat – ovvero la particolare e interessante condizione di chi vive a lungo in un Paese straniero senza appartenervi – presto Diccon Bewes potrà chiedere di diventare cittadino svizzero. Sarà così parte di una comunità che ha imparato ad amare, ma forse dovrà cercare un’altra fonte d’ispirazione come scrittore quando perderà il suo particolare punto d’osservazione e comincerà a trovare normale quel che oggi lo stupisce: d’altronde, chi ha voglia di perdere tempo per parlare del tempo che fa? Annuncio pubblicitario
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Ambiente e Benessere
Ambiente e Benessere
I nuovi elementi creati dall’uomo
Scienza Nella Tavola periodica di Mendeleev si aggiungono quattro nuove sigle: quella del Moscovium (Mc),
del Tennessine (Ts), dell’Oganessum (Og) e del Nihonium (Nh), tutti realizzati artificialmente
Marco Martucci Scegliere il nome per un neonato non è impresa facile. Dare il nome a un nuovo elemento chimico può essere perfino più laborioso. Sembra però che la strada per battezzare i quattro nuovi elementi che si aggiungono agli oltre cento già conosciuti, sia spianata. La massima autorità in fatto di nomenclatura chimica, la IUPAC, International Union of Pure and Applied Chemistry (Unione internazionale di chimica pura e applicata) ha accettato e raccomandato i nomi proposti dagli scopritori.
Le recenti scoperte erano state previste dallo scienziato: il suo sistema prevedeva infatti alcune caselle vuote Secondo una tradizione ormai consolidata, il nome di un nuovo elemento deve avere attinenza con un concetto o un personaggio mitologico, corpi celesti inclusi, con un minerale o simile sostanza, con un luogo o una regione geografica, deve rifarsi a qualche proprietà dell’elemento o, infine, ricordare il nome di uno scienziato. I nomi dei quattro nuovi elementi soddisfano queste condizioni.
Uno dei laboratori della Riken, in Giappone, dove è stato isolato il Nihonium. (www.riken.jp)
Il primo, l’elemento 113 che, fino alla formale accettazione, porterà il nome provvisorio e poco fantasioso di Ununtrium (uno-uno-tre), si chiamerà Nihonium e avrà il simbolo Nh. È stato scoperto al laboratorio RIKEN in Giappone e Nihon è uno dei nomi giapponesi del Paese del Sol levante. Il secondo, elemento 115, verrà chiamato Moscovium (Mc), in onore della capitale russa perché è stato scoperto al laboratorio russo di ricerca nucleare a Dubna, nella regione di Mosca, in collaborazione con due laboratori statunitensi dove è stato prodotto il terzo dei quattro nuovi elementi, il 117, Tennessine (Ts), per onorare lo Stato del Tennessee, dov’è situato uno dei due laboratori, l’Oak Ridge National Laboratory. Infine, l’elemento 118, frutto di una collaborazione fra Russia e Stati Uniti, per ora ultimo della serie e che completa l’ultima riga della tavola periodica, prenderà il nome di Oganesson (Og), dal cognome di Yuri Oganessian, nato nel 1933, fisico nucleare russo di origine armena, personaggio di spicco nella ricerca di nuovi elementi chimici. Non ci si aspetti di trovare questi nuovi elementi in natura, dentro le rocce, nell’aria o nell’acqua, come il ferro, il rame o lo zolfo. Sono stati tutti, come gli altri cosiddetti «superheavy elements», elementi superpesanti, termine un po’ vago che designa elementi con numero atomico superiore a cento o, secondo alcuni, a 104, «costruiti» in
laboratorio. Le quantità di questi nuovi elementi, che sono anche poco stabili perché decadono in pochi secondi, sono minime ma, in questa gara alla caccia di pesi massimi della tavola periodica – già si parla degli elementi 119 e 120 – si spera di arrivare a quella che viene chiamata «isola di stabilità», con elementi meno evanescenti e che abbiano qualche utile e nuova proprietà. Del resto, i primi elementi ottenuti artificialmente, come il plutonio nel 1940, hanno dimostrato una buona stabilità e non mancano le applicazioni pratiche. L’americio, elemento numero 95, un cosiddetto «transuranico», con numero atomico maggiore di quello dell’uranio, scoperto nel 1946, trova impiego fra l’altro nei rilevatori di fumo. Oltre ad essere rari e molto costosi – un grammo di plutonio costa sui 4000 dollari – questi nuovi elementi sono pericolosi da maneggiare perché radioattivi e molti sono anche parecchio tossici. Vengono prodotti o nelle centrali nucleari o con acceleratori di particelle e alcuni sono stati in seguito ritrovati anche in natura.
Dmitrij Ivanovic Mendeleev (1834-1907) ha inventato il sistema di classificazione degli elementi.
La storia dell’atomo
Trasformare un elemento in un altro o, addirittura, produrre un elemento totalmente nuovo è qualcosa che la scienza riesce a fare da relativamente poco tempo. Era il sogno degli alchimisti, i precursori se si vuole della moderna chimica, che, fra i loro obiettivi avevano la trasformazione, la «trasmutazione» dei metalli «vili», come piombo o ferro, in oro, il metallo «nobile» per eccellenza. Ma per cambiare un elemento in un altro non basta la normale chimica: bisogna lavorare sui nuclei degli atomi, occorre fare chimica nucleare. Due concetti molto importanti per la chimica, elemento e atomo, nacquero nella Grecia antica di oltre due millenni or sono. Si ipotizzava che dovesse esistere un elemento fondamentale da cui tutto si sarebbe formato. Per alcuni filosofi questo «elemento» era il fuoco, per altri l’aria. Con Aristotele (384-322
a.C.) si giunse alla dottrina dei quattro elementi, aria, terra, acqua e fuoco, che dominò la cultura occidentale per duemila anni. Altri filosofi, fra i quali Leucippo (circa 450 a.C.) e Democrito (ca. 470-380 a.C.) introdussero il concetto di «atomo» (dal greco «indivisibile»), la particella minima della materia. Gli «elementi» e gli «atomi» di un tempo sono ben diversi da quelli della scienza moderna, ma l’idea era fondamentalmente corretta. Nel primo libro di testo di chimica, il «Traité élémentaire de chimie», pubblicato da Antoine Laurent Lavoisier (17431794) nel 1789, l’elemento viene definito come sostanza pura non scomponibile. In questo modo divenne chiaro che diverse sostanze già conosciute da secoli, come l’oro, il rame o lo zolfo erano «veri» elementi e se ne scoprirono di nuovi, come l’ossigeno, l’azoto, l’idrogeno.
Il concetto di atomo venne ripreso in maniera rigorosa e scientifica dall’inglese John Dalton (1766-1844) che, nella sua Teoria atomica del 1803, definì gli atomi come particelle compatte e indivisibili, costituenti di tutta la materia e gli elementi come sostanze fatte dallo stesso tipo di atomi, che si distinguono per il loro peso. A metà Ottocento si conoscevano una sessantina di elementi diversi e nacque l’esigenza di metterli in ordine, perché alcuni di loro si somigliavano. L’impresa riuscì grazie a due chimici, il tedesco Lothar Meyer (1830-1895) e il russo Dmitri Mendeleev (18341907) che per primo presentò nel 1869 il suo sistema periodico degli elementi. Ordinati per peso atomico crescente (oggi per numero atomico), gli elementi fino allora conosciuti presentavano proprietà che si ripetevano periodicamente: era la tavola periodica degli elementi, una delle massime conquiste della scienza. Nella tavola c’erano caselle ancora vuote, di elementi allora sconosciuti, dei quali Mendeleev predisse con esattezza incredibile le proprietà, confermate molti anni dopo, quando gli elementi vennero scoperti. Nel frattempo, il modello atomico di Dalton si avviava verso un ulteriore perfezionamento. Nel 1895 Wilhelm Konrad Röntgen (1845-1923) scopre i raggi X, nel 1896 Henri Becquerel (1852-1908) scopre la radioattività e nel 1897 Joseph John Thomson scopre l’elettrone. Finalmente, nei primi decenni del Novecento, grazie alle fondamentali ricerche del fisico britannico d’origine neozelandese Ernest Rutherford (1871-1937), l’atomo, da particella sfe-
rica compatta, si rivela come fatto da un piccolo nucleo circondato da elettroni. Si capirà in seguito che il nucleo a sua volta è formato da protoni, scoperti da Rutherford nel 1919 e da neutroni, individuati da James Chadwick (1891-1974) nel 1932. È il numero dei protoni, il numero atomico, che distingue un elemento dall’altro. Ancora Rutherford dimostra che nella radioattività gli elementi si trasformano in altri elementi e, nel 1919, compie la prima trasmutazione, la prima reazione nucleare, bombardando azoto con particelle alfa, trasformando così gli atomi di azoto, numero atomico 7, in atomi di ossigeno, numero atomico 8. Nel 1934, Irène Curie, figlia di Marie e Pierre Curie, sulla scia delle scoperte dei suoi genitori riesce, insieme al marito Frédéric Joliot, a produrre la prima radioattività artificiale, cui sarebbero seguiti gli isotopi radioattivi così importanti nella terapia dei tumori e nella ricerca. Nel 1929, con l’invenzione del primo acceleratore di particelle da parte di John Cockroft e Ernest Walton, perfezionato nel 1932 con il ciclotrone di Ernest Orlando Lawrence, la ricerca di nuovi elementi riceve un’ulteriore spinta in avanti che prosegue fino ad oggi. Il primo elemento artificiale fu ottenuto nel 1937 dal fisico italiano Emilio Segrè, già collaboratore di Enrico Fermi: era il tecnezio, elemento numero 43. Nel 1939 fu prodotto il primo elemento transuranico, il nettunio, seguito, l’anno dopo, dal plutonio. La tavola periodica stava per imbarcarsi in un viaggio di cui ancor oggi non vediamo la fine.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 12 dicembre 2016 • N. 50
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Ambiente e Benessere
Ambiente e Benessere
I nuovi elementi creati dall’uomo
Scienza Nella Tavola periodica di Mendeleev si aggiungono quattro nuove sigle: quella del Moscovium (Mc),
del Tennessine (Ts), dell’Oganessum (Og) e del Nihonium (Nh), tutti realizzati artificialmente
Marco Martucci Scegliere il nome per un neonato non è impresa facile. Dare il nome a un nuovo elemento chimico può essere perfino più laborioso. Sembra però che la strada per battezzare i quattro nuovi elementi che si aggiungono agli oltre cento già conosciuti, sia spianata. La massima autorità in fatto di nomenclatura chimica, la IUPAC, International Union of Pure and Applied Chemistry (Unione internazionale di chimica pura e applicata) ha accettato e raccomandato i nomi proposti dagli scopritori.
Le recenti scoperte erano state previste dallo scienziato: il suo sistema prevedeva infatti alcune caselle vuote Secondo una tradizione ormai consolidata, il nome di un nuovo elemento deve avere attinenza con un concetto o un personaggio mitologico, corpi celesti inclusi, con un minerale o simile sostanza, con un luogo o una regione geografica, deve rifarsi a qualche proprietà dell’elemento o, infine, ricordare il nome di uno scienziato. I nomi dei quattro nuovi elementi soddisfano queste condizioni.
Uno dei laboratori della Riken, in Giappone, dove è stato isolato il Nihonium. (www.riken.jp)
Il primo, l’elemento 113 che, fino alla formale accettazione, porterà il nome provvisorio e poco fantasioso di Ununtrium (uno-uno-tre), si chiamerà Nihonium e avrà il simbolo Nh. È stato scoperto al laboratorio RIKEN in Giappone e Nihon è uno dei nomi giapponesi del Paese del Sol levante. Il secondo, elemento 115, verrà chiamato Moscovium (Mc), in onore della capitale russa perché è stato scoperto al laboratorio russo di ricerca nucleare a Dubna, nella regione di Mosca, in collaborazione con due laboratori statunitensi dove è stato prodotto il terzo dei quattro nuovi elementi, il 117, Tennessine (Ts), per onorare lo Stato del Tennessee, dov’è situato uno dei due laboratori, l’Oak Ridge National Laboratory. Infine, l’elemento 118, frutto di una collaborazione fra Russia e Stati Uniti, per ora ultimo della serie e che completa l’ultima riga della tavola periodica, prenderà il nome di Oganesson (Og), dal cognome di Yuri Oganessian, nato nel 1933, fisico nucleare russo di origine armena, personaggio di spicco nella ricerca di nuovi elementi chimici. Non ci si aspetti di trovare questi nuovi elementi in natura, dentro le rocce, nell’aria o nell’acqua, come il ferro, il rame o lo zolfo. Sono stati tutti, come gli altri cosiddetti «superheavy elements», elementi superpesanti, termine un po’ vago che designa elementi con numero atomico superiore a cento o, secondo alcuni, a 104, «costruiti» in
laboratorio. Le quantità di questi nuovi elementi, che sono anche poco stabili perché decadono in pochi secondi, sono minime ma, in questa gara alla caccia di pesi massimi della tavola periodica – già si parla degli elementi 119 e 120 – si spera di arrivare a quella che viene chiamata «isola di stabilità», con elementi meno evanescenti e che abbiano qualche utile e nuova proprietà. Del resto, i primi elementi ottenuti artificialmente, come il plutonio nel 1940, hanno dimostrato una buona stabilità e non mancano le applicazioni pratiche. L’americio, elemento numero 95, un cosiddetto «transuranico», con numero atomico maggiore di quello dell’uranio, scoperto nel 1946, trova impiego fra l’altro nei rilevatori di fumo. Oltre ad essere rari e molto costosi – un grammo di plutonio costa sui 4000 dollari – questi nuovi elementi sono pericolosi da maneggiare perché radioattivi e molti sono anche parecchio tossici. Vengono prodotti o nelle centrali nucleari o con acceleratori di particelle e alcuni sono stati in seguito ritrovati anche in natura.
Dmitrij Ivanovic Mendeleev (1834-1907) ha inventato il sistema di classificazione degli elementi.
La storia dell’atomo
Trasformare un elemento in un altro o, addirittura, produrre un elemento totalmente nuovo è qualcosa che la scienza riesce a fare da relativamente poco tempo. Era il sogno degli alchimisti, i precursori se si vuole della moderna chimica, che, fra i loro obiettivi avevano la trasformazione, la «trasmutazione» dei metalli «vili», come piombo o ferro, in oro, il metallo «nobile» per eccellenza. Ma per cambiare un elemento in un altro non basta la normale chimica: bisogna lavorare sui nuclei degli atomi, occorre fare chimica nucleare. Due concetti molto importanti per la chimica, elemento e atomo, nacquero nella Grecia antica di oltre due millenni or sono. Si ipotizzava che dovesse esistere un elemento fondamentale da cui tutto si sarebbe formato. Per alcuni filosofi questo «elemento» era il fuoco, per altri l’aria. Con Aristotele (384-322
a.C.) si giunse alla dottrina dei quattro elementi, aria, terra, acqua e fuoco, che dominò la cultura occidentale per duemila anni. Altri filosofi, fra i quali Leucippo (circa 450 a.C.) e Democrito (ca. 470-380 a.C.) introdussero il concetto di «atomo» (dal greco «indivisibile»), la particella minima della materia. Gli «elementi» e gli «atomi» di un tempo sono ben diversi da quelli della scienza moderna, ma l’idea era fondamentalmente corretta. Nel primo libro di testo di chimica, il «Traité élémentaire de chimie», pubblicato da Antoine Laurent Lavoisier (17431794) nel 1789, l’elemento viene definito come sostanza pura non scomponibile. In questo modo divenne chiaro che diverse sostanze già conosciute da secoli, come l’oro, il rame o lo zolfo erano «veri» elementi e se ne scoprirono di nuovi, come l’ossigeno, l’azoto, l’idrogeno.
Il concetto di atomo venne ripreso in maniera rigorosa e scientifica dall’inglese John Dalton (1766-1844) che, nella sua Teoria atomica del 1803, definì gli atomi come particelle compatte e indivisibili, costituenti di tutta la materia e gli elementi come sostanze fatte dallo stesso tipo di atomi, che si distinguono per il loro peso. A metà Ottocento si conoscevano una sessantina di elementi diversi e nacque l’esigenza di metterli in ordine, perché alcuni di loro si somigliavano. L’impresa riuscì grazie a due chimici, il tedesco Lothar Meyer (1830-1895) e il russo Dmitri Mendeleev (18341907) che per primo presentò nel 1869 il suo sistema periodico degli elementi. Ordinati per peso atomico crescente (oggi per numero atomico), gli elementi fino allora conosciuti presentavano proprietà che si ripetevano periodicamente: era la tavola periodica degli elementi, una delle massime conquiste della scienza. Nella tavola c’erano caselle ancora vuote, di elementi allora sconosciuti, dei quali Mendeleev predisse con esattezza incredibile le proprietà, confermate molti anni dopo, quando gli elementi vennero scoperti. Nel frattempo, il modello atomico di Dalton si avviava verso un ulteriore perfezionamento. Nel 1895 Wilhelm Konrad Röntgen (1845-1923) scopre i raggi X, nel 1896 Henri Becquerel (1852-1908) scopre la radioattività e nel 1897 Joseph John Thomson scopre l’elettrone. Finalmente, nei primi decenni del Novecento, grazie alle fondamentali ricerche del fisico britannico d’origine neozelandese Ernest Rutherford (1871-1937), l’atomo, da particella sfe-
rica compatta, si rivela come fatto da un piccolo nucleo circondato da elettroni. Si capirà in seguito che il nucleo a sua volta è formato da protoni, scoperti da Rutherford nel 1919 e da neutroni, individuati da James Chadwick (1891-1974) nel 1932. È il numero dei protoni, il numero atomico, che distingue un elemento dall’altro. Ancora Rutherford dimostra che nella radioattività gli elementi si trasformano in altri elementi e, nel 1919, compie la prima trasmutazione, la prima reazione nucleare, bombardando azoto con particelle alfa, trasformando così gli atomi di azoto, numero atomico 7, in atomi di ossigeno, numero atomico 8. Nel 1934, Irène Curie, figlia di Marie e Pierre Curie, sulla scia delle scoperte dei suoi genitori riesce, insieme al marito Frédéric Joliot, a produrre la prima radioattività artificiale, cui sarebbero seguiti gli isotopi radioattivi così importanti nella terapia dei tumori e nella ricerca. Nel 1929, con l’invenzione del primo acceleratore di particelle da parte di John Cockroft e Ernest Walton, perfezionato nel 1932 con il ciclotrone di Ernest Orlando Lawrence, la ricerca di nuovi elementi riceve un’ulteriore spinta in avanti che prosegue fino ad oggi. Il primo elemento artificiale fu ottenuto nel 1937 dal fisico italiano Emilio Segrè, già collaboratore di Enrico Fermi: era il tecnezio, elemento numero 43. Nel 1939 fu prodotto il primo elemento transuranico, il nettunio, seguito, l’anno dopo, dal plutonio. La tavola periodica stava per imbarcarsi in un viaggio di cui ancor oggi non vediamo la fine.
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Ambiente e Benessere
Libri per giocare e giochi da leggere
Biglietti in palio Migros Ticino offre ai lettori di «Azione» biglietti gratuiti per le manifestazioni che sostiene attraverso il Percento culturale. Massimo due biglietti per economia domestica. La partecipazione è riservata a chi non ha beneficiato di vincite in occasione di analoghe promozioni. Per aggiudicarsi i biglietti basta scrivere una email con i propri dati, martedì 13 dicembre all’indirizzo giochi@azione. ch. I vincitori saranno estratti a sorte tra tutti partecipanti e riceveranno una conferma via email. Buona fortuna!
Editoria Nuovi consigli biblio-ludici
Ennio Peres Maiden Voyage a cura di Francesca Garello (Homo Scrivens, pp. 264, € 15,00) Un romanzo sperimentale che coniuga esposizione collettiva, gioco, fantascienza e giallo. La storia è ambientata in un tempo futuro, in cui la Terra si trova sull’orlo di un conflitto devastante. Il resoconto degli avvincenti avvenimenti che si sviluppano è affidato alla narrazione di quattordici personaggi, a ciascuno dei quali dà voce un autore diverso, creando una bizzarra scrittura a mosaico. Per la cronaca, tali autori sono: Andrea Angiolino, Chiara Bertazzoni, Ramona Corrado, Pelagio d’Afro, Arturo Fabra, Gabriele Falcioni, Francesca Garello, Gianfranco Grenar, Biancastella Lodi, Manuela Maggi, Piermaria Maraziti, Alessandro Morbidelli, Alessandro Papini, Francesco Troccoli. Cronache di scienza improbabile di Pierre Barthélémy (Dedalo, pp. 144, € 14,00) Una divertente panoramica di esperimenti assolutamente strampalati (pur se condotti col massimo rigore scientifico), insigniti del celebre premio Ig
Nobel. Ricorrendo anche a divertenti fumetti, il libro mostra come, anche nella Scienza, non ci sia limite alla fantasia. Per cui, è lecito cercare di rispondere a interrogativi come: «Leggere in bagno fa bene alla salute?», «Esiste una relazione tra il successo professionale e il nome che si porta?», «È vero che nascono più bambini a San Valentino?». L’autore, affermato giornalista scientifico francese, con questa opera ha vinto il premio «Le goût des sciences» del Ministero della Cultura francese. LINUS. Storia di una rivoluzione nata per gioco di Paolo Interdonato
(Rizzoli, pp. 380, € 20,00) Un racconto, attento e documentato, in merito alla nascita della prestigiosa rivista italiana di fumetti «Linus», avvenuta per iniziativa dello scrittore, Giovanni Gandini, con il contributo di personalità del calibro di Oreste del Buono, Vittorio Spinazzola, Umberto Eco ed Elio Vittorini. Questo gruppo di poliedrici intellettuali fu il primo a riservare uno sguardo, al contempo colto e affettuoso, al fumetto e a promulgare un’idea autoriale di un mezzo capace di raccogliere, registrare e spesso anticipare i fenomeni più interessanti, le sperimentazioni e le avanguardie.
LuganoInScena, Lac Musical, Le avventure di Alice nel paese delle meraviglie, me 28/12 alle 20.30 Un viaggio in compagnia della piccola e coraggiosa Alice all’interno di quel mondo che contraddice tutte le leggi di quello reale: il mondo delle meraviglie!
Operazione nostalgia... Giochi matematici e logici di Fabio
Ciuffoli (Franco Angeli, pp, 176, € 19,00) Un volume che si pone l’obiettivo di stimolare, attraverso il gioco, la scoperta della bellezza di materie fondamentali, come Matematica, Geometria, Logica ed Economia. L’autore, infatti, è convinto che il gioco sia la via più semplice per superare blocchi e timori legati allo studio di discipline scientifiche. A tale riguardo afferma che la soluzione è, in molti casi, dentro di noi, nelle capacità innate del nostro cervello di pensare naturalmente in modo intuitivo, visivo e logico. Scoprire e sfruttare al meglio queste capacità è solo una questione di allenamento.
Mamma che numeri! di Litton
Jonathan e Flintham Thomas (Editoriale Scienza, pp. 16, € 16,90) Un originale libro cartonato, con animazioni in rilievo, rivolto a bambini dagli 8 anni in su, che presenta in maniera chiara ed essenziale alcuni tra i principali temi della teoria matematica. Ponendosi l’obiettivo di dimostrare come la Matematica sia dovunque, fornisce anche convincenti riposte a intriganti domande concrete, come: «Perché i quadrifogli sono così rari?», «Quant’è grande l’infinito?», «Perché i matematici pensano che una tazza e una ciambella abbiano la stessa forma?».
Rassegna Home Studio Foce, Lugano Il viaggio di Abar e Badir, lu 26 e ma 27/12, ore 17.00 (Adatto a partire dai 6 anni). Due pastori poveri decidono di partire per esaudire il loro più profondo desiderio. Concerto di Natale con il coro Calicantus Locarno Chiesa San Francesco Locarno Do 18 dicembre, ore 17.00 I 150 allievi della scuola di canto si esibiranno mostrando al pubblico tutta la loro energia e freschezza di giovani entusiasti. Annuncio pubblicitario
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Ambiente e Benessere
Sperduta nel mare di Bering
Reportage L’Arcipelago delle Pribilof fa parte del Parco nazionale d’Alaska ed è il rifugio di rare specie animali.
Vi viene praticata la celebre pesca ai granchi, il lavoro più pericoloso d’America Daiys Gilardini Nel mezzo del mare di Bering, a circa 500 Km a ovest della costa dell’Alaska e a circa 800 chilometri dalla costa siberiana si trovano le isole Pribilof. Il piccolo arcipelago di origine vulcanica è composto da due isole principali, St. Paul, la più grande con una superficie di 104 km quadrati, St. George con 91 km quadrati e due isolotti disabitati Otter e Walrus. Le isole formate da basalto sono prive di alberi ma presentano una vegetazione folta e rigogliosa. Il clima, che è influenzato delle fredde acque del mare di Bering, è considerato artico, con tassi di umidità attorno all’80 per cento, e venti che soffiano costantemente ad una media di 25/30 km/h.
Risorse economiche principali dell’isola sono la pesca dell’halibut e dei crostacei Con una copertura nuvolosa pari al 95 per cento e nebbia persistente durante l’estate, il sole qui è un ospite raro, tanto che alcuni fiori a volte non riescono neppure a sbocciare. Le circa 600 anime che abitano le Pribilof (500 a St. Paul e 100 a St. George), sono principalmente nativi delle Isole Aleutine che nel 18mo secolo furono forzati dai Russi a trasferirsi sulle isole come schiavi al loro servizio per la caccia alle foche e la lavorazione delle pellicce. Tra il 1786 e il 1867 avvenne lo sterminio di circa 2,5 milioni di foche da pelliccia che causò un duro colpo per la specie. Nonostante le restrizioni di caccia introdotte dai russi nel 1834 e il passaggio del territorio dell’Alaska dalla Russia agli Stati Uniti nel 1867, seguita dal divieto di caccia in mare aperto, i numeri delle foche da pelliccia alle Pribilof, che una volta erano nell’ordine dei milioni, scesero al minimo storico di 216’000 individui nel 1912. Con l’inclusione dell’arcipelago nell’«Alaska Maritime National Wildlife Refuge» nel 1984, a tutt’oggi solo la caccia di sussistenza ai nativi è permessa e la popolazione di foche è risalita a circa 800’000 esemplari. Poco è cambiato dalla mia prima visita a St. Paul circa venti anni or sono. Il villaggio dominato dalla chiesa Ortossa costruita nel 1907, è costituito da tante piccole case monofamigliari, un piccolo negozio di generi alimentari, una scuola, il centro medico e la locale industria del pesce. Il vecchio Kind Eider Hotel dove avevo alloggiato nel lontano 1996, è stato chiuso nel 2006 e rimpiazzato da un dormitorio all’aeroporto. Non esistono bar e/o ristoranti e per i pasti devo andare al refettorio dell’industria del pesce,
Le isole sono di basalto ma ricoperte da una folta vegetazione.
Pulcinella di mare in fase di atterraggio.
semplice, pulito e culturalmente molto interessante! L’economia e la vita qui oggi sono dettati dai ritmi del mare. Un mare ancora molto generoso in halibut e granchio (Alaskan King Crab), anche se molto pericoloso. Di fatto le statistiche dell’ufficio del lavoro statunitense dimostrano che la pesca al granchio in Alaska è uno dei mestieri più pericolosi negli Stati Uniti, con in media una fatalità alla settimana durante l’alta stagione dovuta ad annegamento e/o ipotermia. Molti di voi ricorderanno la serie televisiva Deadliest Catch di Discovery Channel lanciata nel 2005, che illustrava il pericoloso lavoro di questi pescatori in balia di mari tempestosi e temperature glaciali. Durante l’ora di pranzo sono interrotta: un peschereccio ha fatto la sua entrata in porto con 40 tonnellate di ha-
Il villaggio di St. Paul con la chiesa ortodossa.
Cuccioli di volpe artica blu.
libut fresco e vengo gentilmente invitata a fare una visita all’impianto. L’addetto alla sicurezza mi accompagna spiegandomi tutti i processi della lavorazione, dalla pulizia, al taglio fino al congelamento e allo stoccaggio del prodotto finito. Durante i mesi estivi l’impianto lavora a tempo ridotto poiché la stagione del granchio comincia solo in autunno. Posso solo immaginare il frastuono e la confusione che regna nello stabilimento al momento dell’arrivo dei pescherecci. Mi viene spiegato che il granchio deve essere lavorato ancora vivo altrimenti produce delle tossine che possono mandare in rovina un intero pescato con delle perdite finanziare esorbitanti. Durante l’alta stagione, per far fronte alle grosse quantità di granchio, il personale triplica e i lavoratori, per la maggior parte filippini, si sottopongono a turni di lavoro estenuanti che possono durare fino a venti ore giornaliere, senza riposo settimanale per quattro mesi consecutivi. Mi viene assicurato però che il benessere dei lavoratori è una priorità per l’azienda che concede quindici minuti di pausa ogni due ore… Anche se la storia delle Isole e la vita di questa comunità di pescatori sono affascinanti, chi mi conosce intuirà che vi è ben altro in questo piccolo arcipelago sperduto nel mare di Bering. In effetti, a portarmi qui non sono né i pescatori, né i granchi o l’halibut ma è l’abbondante vita animale che colonizza queste isole: quasi un milione di foche da pelliccia, volpi artiche blu e circa 250 specie di uccelli. Le mie giornate sono scandite dagli orari del refettorio: 7.30 colazione, 12.00 pranzo. 17.00 cena. Ma oltre a questi
appuntamenti fissi trascorro il resto del mio tempo, fino a sera inoltrata (qui c’è luce fino alle 23.00) lungo le scogliere dell’isola a osservare gli animali. Tra le molteplici specie presenti sugli scogli in questa stagione oltre all’uria comune, l’uria di Bruenich, l’alca minore pappagallo, il gabbiano tridattilo, e il cormorano, i miei preferiti sono le pulcinella di mare (dal corno e dal ciuffo). Sono affascinata da questa specie che, a causa dei colori sgargianti del loro becco triangolare, vengono anche chiamati i pappagalli o clown del mare. Il loro corpo tozzo e pesante e le corte ali permettono di volare anche sott’acqua, raggiungendo profondità fino ai 60 metri. In effetti, nutrendosi di pesce e calamari, sono degli ottimi nuotatori: le spine che ricoprono lingua e palato permettono loro di intrappola-
Riconoscimento Daisy Gilardini premiata al concorso fotografico internazionale di Washington
Giovedì 17 novembre 2016 la fotografa Daisy Gilardini ha ricevuto il Gran Premio al concorso internazionale Nature’s Best Windland Smith Rice presso il Museo Nazionale di Storia Naturale Smithsonian a Washington DC – Stati Uniti. Le immagini vincitrici sono state selezionate tra più di 20’000 scatti di fotografi provenienti da cinquantuno paesi diversi, e saranno esposte allo Smithsonian sino a settembre 2017.
re decine di pesciolini pescati e riportarli al pulcino nel nido. Pattugliando gli scogli mi rendo presto conto che fotografare questi uccelli non è cosa facile. I loro nidi sono nascosti tra le faglie della ripida scogliera e per avere delle angolature decenti mi trovo a dover scendere i ripidi pendii con il mio pesante equipaggiamento. Con le gambe tremolanti e il fiato sospeso faccio finta di non avere le vertigini e mi concentro sui loro sgargianti colori. Dai ritratti tra le rocce passo alla foto d’azione. Nonostante il loro aspetto tozzo e pesante, le pulcinelle di mare sono uccelli velocissimi che possono raggiungere fino a 90 km/h sbattendo le ali fino a 400 volte al minuto. Accetto la sfida e armata di tanta pazienza e perseveranza, spingo gli ISO della mia macchina fotografica fino a 3200 per raggiungere una velocità di scatto di 1/2500s. Cercando di inquadrare al meglio l’uccello quando si avvicina, al momento in cui ho la messa a fuoco, scatto a raffica… 12 immagini al secondo. Con il rumore di una mitragliatrice gli scatti si susseguono, centinaia di scatti… probabilmente anche migliaia… tutti a vuoto… opss… l’uccello non è nell’inquadratura… opss… ecco una zampa… grrr… ecco la coda… wow, eccone uno tutto intero… ah... troppo lontano… eccone un altro… accipicchia questo è fuori fuoco! Le ore letteralmente «volano» assieme ai miei «amici» pulcinella… la frustrazione comincia a salire e un po’ demoralizzata sto per mollare la spugna… Ma non è da me… rialzo l’obiettivo… ed ecco finalmente lo scatto pagante!
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Ambiente e Benessere
Trifle al caffè e caramello
Cucina di Stagione La ricetta della settimana
Dessert Ingredienti per 6 persone, per 1 pirofila di ca. 1,2 l: 200 g di zucchero · 0,75 dl d’acqua · 1 cucchiaio di burro · 5,5 dl di panna · 2 g di fleur de sel · 3 fogli di gelatina · 3 cucchiai di espresso in polvere · 250 g di Blanc battu · 1 pan di Spagna Classic di 160 g · 0, 75 dl d’espresso · 2 cucchiai di grappa, a piacere · 2 dl di panna · sale · succo di limone per insaporire. 1. Per la salsa al caramello, in una padella antiaderente fate cuocere dolcemente 120 g di zucchero con 2 cucchiai d’acqua a fuoco medio, finché si forma un caramello ambrato. Aggiungete il burro e fatelo sciogliere facendo ruotare la padella. Unite 1,5 dl di panna e fate sobbollire un poco il tutto, finché il caramello diventa una salsa densa. Condite con il fleur de sel, lasciate raffreddare e mettete in frigo. 2. Per la mousse, ammorbidite la gelatina in acqua fredda. Mescolate 0,5 dl d’acqua con l’espresso in polvere e 50 g di zucchero e portate a ebollizione. Strizzate la gelatina e fatela fondere nel liquido caldo. Lasciate intiepidire e mescolate con il Blanc battu. Mettete in frigo per ca. 20 minuti, finché il bordo della miscela inizia a consolidarsi. Montate 1,5 dl di panna e incorporatela alla mousse. Trasferite il tutto in una pirofila e mettete in frigo per ca. 1 ora. 3. Montate la panna rimasta e mescolatela con 2/3 della salsa al caramello. Ritagliate il pan di Spagna della stessa grandezza dello stampo. Adagiatelo sulla mousse. A piacere profumate l’espresso con la grappa, zuccherate con lo zucchero rimasto e spruzzate il liquido sul pan di Spagna. Distribuite la panna al caramello e servite subito.
Un esemplare gratuito si può richiedere a: telefono 0848 877 869* fax 062 724 35 71 www.saison.ch * tariffa normale L’abbonamento annuale a Cucina di Stagione, 12 numeri, costa solo 39.– franchi.
Preparazione: circa 40 minuti + refrigerazione circa 80 minuti. Per persona: circa 40 minuti + refrigerazione circa 80 minuti.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 12 dicembre 2016 • N. 50
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Ambiente e Benessere
Lara, bionda condottiera del nostro sci Sportivamente Punto di riferimento per tutti i rossocrociati, quindi anche per il settore maschile, Lara Gut
ha tutti i numeri per affermarsi con una certa regolarità nelle prove veloci, quelle che preferisce
Alcide Bernasconi L’inverno, come per altri ragazzi quando tutto s’imbiancava, era la mia stagione preferita. La neve, un tempo, se ben ricordo quella decina di volte in cui cadde per bene, arrivava di solito durante la notte. C’era un gran silenzio, anche se davanti a casa passava un’automobile. Non avevamo gli sci allora. I pochi che li possedevano, non essendo stati ancora inventati gli attacchi di sicurezza, dopo le vacanze di Natale tornavano spesso, quasi dandosi il turno, chi con una gamba rotta e ingessata e se ne andavano e venivano con le stampelle, chi con un braccio rotto, chi con il volto sfregiato.
Dai ricordi di Vecchio Sportivo sulla neve alla soddisfazione per i successi della sciatrice ticinese Conciati a quel modo destavano comunque un po’ di ammirazione, specie fra le ragazzine. Gli altri compagni, quelli che non possedevano sci, si divertivano con una slitta, di quelle di legno che, quand’era nuova e lucida, era un piacere vederla, con la magica scritta «Davos» nel mezzo: le si saltava sopra e con una breve spinta, lungo stradine fiancheggiate da muretti pericolosi, si andava a capofitto fin giù alla strada principale, dove un altro ragazzo segnalava di attendere, se
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passava qualche veicolo, o, addirittura bloccava il poco traffico alzando un braccio, come un vero poliziotto. Oppure si andava a pattinare, dapprima nel quartiere di Loreto e poi al Laghetto di Muzzano, calzando scarponi a cui venivano applicate le lame dei pattini a suole che le continue operazioni di riattacco avevano reso sempre meno resistenti. Pure quelli furono inverni troppo miti, come quando nevicava pochissimo. Se i laghetti gelavano, dopo alcuni giorni ecco apparire un po’ ovunque cartelli che proibivano il pattinag-
gio. Una raccomandazione che a volte un «overtime»… a gentile richiesta del non veniva presa troppo sul serio e ci pubblico che s’era goduto lo spettacoscappò pure qualche tragico annega- lo fino in fondo. Qualcosa di mai visto 7 mento. L’HC Lugano, nell’anno della dalle nostre parti. Insomma, quando sua fondazione (1941) non disputò il poteva, l’HC Lugano faceva di tut5 campionato, annullato per mancanza to per essere un pezzetto di Davos o di ghiaccio. E così altre volte nei pri- Arosa e convincere gli sportivi ticinesi 8 del resto in mi dieci anni in cui a Loreto gioca- che non c’era solo il calcio, GIOCHI PER AZIONE Dicembre 2016 rono una storica partita la nazionale pausa invernale. del Canada (campione del mondo e Ho ripensato con 3 leggera nostalStefania SARGENTINI successivamente anche olimpica) e il gia a quei tempi, seguendo alla tv le Milano rinforzato dagli stessi cana- discese imperiali della nostra Lara (Spiegazione in word) desi tutti dilettanti. Il ghiaccio nondel era gioco Gut, diventata in un paio di stagioni la ideale: molliccio, dissero gli attori di bionda condottiera dello sci svizzero, quella gara terminata in parità, dopo tanto femminile quanto maschile. La
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DONI SOTTO L’ALBERO - GIOCO N. 48 Giochi per “Azione”NATALIZIO - Dicembre 2016 9 4 Stefania Sargentini (Uscita del 19 Dicembre 2016) Vinci una delle 3 carte regalo da 50 franchi con il cruciverba
da 50 franchi con il sudoku2 7 4 M U R E N A M U S I SOLUZIONE Sudoku E T I C O TN. A 2 L O S GENI
e 45 una delle triangolare 2 cartedella regalo (N. - Un muscolo lingua)
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Ultimato il cruciverba, scoprite i doni che la nostra redazione metterà quest’anno sotto l’albero partendo dalla lettera con il cappellino di Babbo Natale e seguendo il tracciato … se metterete anche voi questi doni sotto l’albero, sarà sicuramente un Natale strepitoso! (Frase: 5, 12, 6, 1, 7, 1, 7)
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T A Scoprire i 3 numeri E L A N E R O M corretti O E da inseF I L rire nelle caselle A RD E R G O E colorate. I D G O L AO N T N L A I N O G E LN A U
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(N. 46 - Stare 31 seduto mentre studia diritto)
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Regolamento per i concorsi a premi pubblicati su «Azione» e sul sito web www.azione.ch
SUDOKU PER
Lara come Federer? (Keystone)
Giochi
ORIZZONTALI 1. Penosa, dolorosa 5. Vi si esibiscono gli attori 11. Capitale europea 13. Città dell’isola di Boiko nel golfo di Guinea 14. Destinate ai sacrifici 15. Piccoli frutti 17. Servono a sospendere oggetti 18. Passano in cucina... 20. La fanno i tifosi 21. Un quinto di five 23. Nel gomito e nel calcagno 24. Particella negativa 26. Non è sempre legale 28. La rabbia nei fumetti 29. Il 29 verticale in Francia 31. Copri costumi 32. Ruvidi 34. Andata per Virgilio 35. Forniscono pasti 36. Fiume dell’universo immaginario di Arda 37. Inventare 38. Antenato
sua sciata veloce, senza timori, con un grande senso della gara e percorsi che dimostrano il suo coraggio e la bravura nelle prove di velocità, è stata da tutti ammirata, non solo dai nostri tifosi che hanno intrapreso la trasferta oltre oceano. Mi auguro tanto che Lara possa diventare un Federer della neve. Preceduta nel tempo da due ticinesi fra le sorprese allora dello sci elvetico, ossia Doris De Agostini e una giovanissima Michela Figini – campionessa olimpica a Sarajevo (’84), argento ai Giochi di Calgary (’88) con successivi titoli mondiali – Lara Gut ha tutto il tempo per togliersi molte altre soddisfazioni, sotto l’esperta guida del papà, Pauli. La stagione della vincitrice della Coppa del mondo si è iniziata nel migliore dei modi, con la vittoria nella primissima gara a Sölden, davanti all’americana Mikaela Shiffrin che sarà verosimilmente la sua più accesa avversaria. Lara ha raccolto vittorie e punti anche sulle nevi del Nordamerica dicendo però che non vede l’ora di tornare a battersi in Europa. L’inverno le appartiene, se anche un po’ di fortuna l’assisterà nelle discipline8da lei preferite, il gigante e la discesa. Lo 1 sci femminile ticinese è dun3 que, ora, grazie a Lara, l’unico vero punto di riferimento rossocrociato. 6 sono 9 d’obbligo, 3 anche da Gli auguri parte di chi storceva il naso per via di 5 suo atteggiamento non graqualche dito. La forza di lottare anche nei momenti più 3 difficili non 1 ha mai abbandonato Lara. Ed è questo un merito che ha saputo conquistarsi sin da gio2 8 Forza Lara! 7 vanissima.
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VERTICALI 1. La sua capitale è Saragozza 2. Etica 3. Allegra, divertente SOLUZIONE 4. Le iniziali di Arbore 6. Dunque, perciò 7. Non si deve calpestare 8. Siffatti 1 9. Furbe ma senza testa... 9 10. Nella poesia e nel romanzo 12. Le iniziali del musicista Respighi 11 15. Il prezzo della colpa 13 16. Aspro in latino 17 19. Razza di gatto 22. Ultimo cerchio dell’Inferno dantesco 23. Con Hansel in una fiaba 25. Moltitudine indistinta 27. Bombiscono SCHEMA 28. Al servizio di Don Rodrigo nei Promessi Sposi
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Vincitori del concorso Cruciverba 18 su «Azione 48», del 28.11.2016:
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SUDOKU NATALIZIO 20 e M. Bertolini 21 . M. Betti, S. 19 Piatti Vincitori del 22 concorso Sudoku: 23 su «Azione 48», del 28.11.2016: E. Rigotti e A.Allio . 25
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C 7C E H I 8F 1 A 5N M 3O R E N C 6I 93 L 3E N R 5E A N E C E R 3 A 1E R (19 Dicembre 2016) 2V 8E L O 7 8T 9 O 4U 4 T R 2 M A 9 7 4 L O C A 2R
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N. 2 GENI 48 - Amore, comprensione, caritàlae sorrisi a volontà) I premi, cinque carte regalo Migros (N. Partecipazione online: inserire luzione, corredata da6 nome, cognome, è possibile 4 8 un 7 pagamento 3 6 1 in 2 contanti 9 5 9 5 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 del valore di 50 franchi, saranno sor- soluzione del cruciverba o del sudoku indirizzo, email del partecipante deve dei premi. I vincitori saranno avvertiti A M 6A R A 7 8 T E A T R 2O 1 6 5 9 7 8 3 4 teggiati tra i partecipanti che avranno 11 nell’apposito formulario pubblicato essere spedita a «Redazione Azione, per iscritto. Il nome dei vincitori sarà 12 13 ‘ B 3A 9 su5«Azione». ‘ 8 4 Partecipazione 2 7 6 1 R 9OC.P. A 6901 R 1 I Apubblicato 5M 6315, 2O Lugano». fatto pervenire la soluzione corretta sulla pagina del sito. Concorsi, 14 15 16 entro il venerdì seguente la pubblica- Partecipazione postale: la lettera o Non 1siA intratterrà sui riservata esclusivamente a lettori 1 2 3 6 8 9 4 5 che 7 2R E 6 corrispondenza F R A G O L E 17 la cartolina postale che 18 zione del gioco. riporti la so- 19concorsi. Le vie legali sono escluse. Non risiedono in Svizzera. 7S 6 9 1 5 4 3 2 8 7G 6A N 1C I 4 C O L I
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 12 dicembre 2016 • N. 50
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Politica e Economia Bocciato il referendum Il voto sulla riforma si è trasformato in un plebiscito sull’operato di Renzi che ha rassegnato le dimissioni
Una Brexit strategy difficile I contorni dell’uscita dall’Ue non sono ancora definiti. Il governo di Theresa May attende la sentenza della Corte Suprema che dovrà decidere se serve l’ok del parlamento per l’iter di divorzio pagina 29
Donne in marcia I movimenti femminili americani protesteranno in gennaio a Washington contro l’elezione di Trump. Ma anche nel resto del mondo le donne si mobilitano
Fuga dei giovani dal Ticino La disoccupazione giovanile nel cantone sta calando: un segnale che si cerca lavoro altrove?
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Crisi di legittimazione della politica
Che cosa preoccupa oggi il mondo Dopo il successo di Trump, della Brexit e il trionfo del No al referendum
italiano si assiste a una introversione del clima sociopolitico che si accompagna e accelera la crisi della globalizzazione
Lucio Caracciolo Il trionfo del «no» al referendum italiano sulla riforma costituzionale è l’ennesimo segnale della crisi della politica nelle liberaldemocrazie occidentali. Fino a pochi anni fa sembrava che l’orizzonte liberale e democratico fosse il destino del mondo. Oggi l’efficacia delle politica in Occidente è in discussione. E con essa la sua legittimazione. Non stupisce che a Berlino, e di conseguenza a Bruxelles, la reazione diffusa al voto in Italia sia stata quella di considerare fallito lo Stato italiano, riprecipitato nella spirale di instabilità cui Renzi sembrava averlo sottratto. Al di là delle soluzioni formali – si avrà probabilmente a Roma un governo «di scopo» mirante alla riforma della legge elettorale, per poi andare al voto durante il 2017 – la Germania, Stato decisivo in ciò che resta della costellazione comunitaria, pare orientata a mettere sotto tutela lo Stivale, facendone una sorta di semiprotettorato, cui sottrarre definitivamente la sovranità fiscale. Obiettivo immediato il salvataggio delle banche italiane in sofferenza, il
cui crollo avrebbe conseguenze sistemiche – in Italia, in Europa e nel mondo. Salvataggio via ricapitalizzazione delle banche da scambiare con una politica economica di «lacrime e sangue» vegliata da Berlino tramite la Commissione europea. Per ridurre finalmente il debito italiano. Una manovra di questo tipo finirebbe probabilmente per far saltare l’Unione Europea. A meno di non togliere il diritto di voto agli italiani, il semiprotettorato europeo provocherebbe una rivolta diffusa delle classi medie, quelle che hanno subìto direttamente e pesantemente la ristrutturazione voluta e variamente attuata dai governi Monti, Letta e, in parte, Renzi. Significherebbe il probabile avvento al governo del Movimento 5 Stelle, tuttora sprovvisto di un chiaro progetto politico e di una classe dirigente capace di reggere a tanta responsabilità. Per leggere il senso del «no» italiano nel contesto del deficit di legittimazione della politica in Europa e in Occidente, conviene allargare lo sguardo al resto del mondo, così come ci appare dopo il referendum britannico sulla
Brexit e soprattutto dopo il successo di Trump nelle elezioni presidenziali americane. La crisi di senso della politica accompagna infatti, e insieme accelera, quella della globalizzazione. La prudenza suggerisce di non affrettare verdetti epocali. Epperò la fase alta di questa globalizzazione sembra esaurita. Tesi confortata da diversi indicatori, che segnalano l’inversione di tendenza negli scambi globali. Spartiacque è il 2008, anno orribile della crisi scoppiata nella finanza privata americana, poi diffusa per via virale. A investire prima l’economia, quindi la società, la politica, l’idea stessa di comunità, ovvero della convivenza fra uguali e diversi. I più evidenti segnali di deglobalizzazione economica sono tre. Primo, la drastica diminuzione della mobilità del capitale: i flussi finanziari in relazione al prodotto interno lordo globale sono caduti dal 57% del 2007, vigilia della crisi, al 36% del 2015. Secondo, l’infiacchirsi dei traffici internazionali: dal 2008 il rapporto fra commercio e produzione è piatto, appena sotto al 60%. L’aumento dei volumi del traffico
di servizi e merci sarà quest’anno inferiore alla crescita del pil globale (2% contro 2,4%). Terzo, la caduta degli investimenti diretti esteri, il cui ritmo di crescita è dimezzato rispetto al 3,3% toccato nel 2007. Se a questo sommiamo le politiche protezionistiche attivate da diversi paesi e l’aborto dei troppo ambiziosi progetti strategicocommerciali concepiti da Obama per Atlantico (Ttip) e Asia-Pacifico (Tpp) – misto di liberoscambismo e contenimento geopolitico di apparenti partner (Germania) ed espliciti rivali (Russia e Cina) – ne traiamo che le oleografie sui destini globali dell’economia dipingono il recente passato più che il futuro prossimo. Di qui il surriscaldamento e l’introversione del clima sociopolitico in America e in Europa. Ricchezza insultante dei supermiliardari e impoverimento dei ceti medio-bassi, che alcuni economisti e gran parte delle opinioni pubbliche occidentali attribuiscono alla faccia oscura della globalizzazione, alimentano il discredito dei poteri stabiliti, l’insofferenza verso gli immigrati e la diffidenza verso il
mondo esterno. Meglio la dipendenza controllata dal proprio Stato nazionale che l’interdipendenza incontrollata dall’anonima dunque irresponsabile globalizzazione. Il nazionalismo rimontante dopo una parentesi di settant’anni non è figlio di ideologie trascorse. Nasce piuttosto dallo spaesamento eccitato dal globalismo, dalla frizione fra politicamente corretto e senso comune, dal bisogno di calore che l’individuo trova nell’appartenenza alla terra ancestrale, non negli algoritmi della finanza elettronica. Con metafora germanica: è nostalgia di focolare (Heimat) prima che di patria (Vaterland). Dalla politica non ci si attende l’interconnessione con i mercati altrui, si pretende la difesa degli interessi nazionali, che ciascuno identifica con i propri. In questo clima, il progetto di ridurre l’Italia come la Grecia, sottomettendola alla camicia di forza delle istituzioni europee – peraltro più impopolari che mai – è destinato a fallire. Peggio: a precipitare quella disintegrazione dell’Unione Europea che vorrebbe evitare.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 12 dicembre 2016 • N. 50
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Politica e Economia
I no travolgono Renzi
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legato all’esito popolare il proprio destino politico
l’attacco di Uri, nel Kashmir indiano, portano a Brescia
Referendum costituzionale Il premier rimpiange l’errore di aver
Alfredo Venturi Un solo sconfitto, una marea esultante di vincitori. Votando in massa, gli italiani hanno trasformato il referendum sulla riforma costituzionale dettata da Matteo Renzi (foto) in un dramma scespiriano. Da una parte la solitudine del presidente del consiglio: nessuno lo aveva mai visto così, un nodo alla gola, prossimo alle lacrime mentre prende atto della disfatta e annuncia le dimissioni. Dall’altra un assortimento di trionfatori che copre uno spettro amplissimo, da Matteo Salvini che gongola citando Marine e Marion Le Pen ed evoca il trionfo della destra europea, fino a chi festeggia intonando «Bella Ciao», il canto della guerra partigiana. E ancora: Silvio Berlusconi redivivo che con la consueta autostima si appropria il risultato: «sono stato determinante, con la mia sola presenza ho spostato almeno il cinque per cento dei voti». E poi Massimo D’Alema, oppositore interno al Partito democratico, che osserva compiaciuto: «gli sarà passata la voglia di rottamare». Infine un euforico Beppe Grillo che dichiara i suoi pronti per governare e dunque invoca elezioni immediate. Grillo e Salvini scalpitano per votare subito, vogliono passare all’incasso, lo stesso Renzi sognava di capitalizzare con nuove elezioni la massa pur sempre rispettabile dei sì. Ma l’incertezza sulla legge elettorale complica la prospettiva. La norma attuale denominata Italicum, un sistema a doppio turno con premio di maggioranza alla lista che supera il quaranta per cento oppure ballottaggio fra le prime due, vale per la Camera dei deputati ma non per il Senato. Sulla legge pende il giudizio della Corte costituzionale, che si pronuncerà il 24 gennaio, ma secondo i fautori delle elezioni anticipate è comunque vigente e può portare il Paese al voto. Altri invocano una nuova legge, non a caso Renzi l’aveva promessa accettando di modificare l’Italicum, per placare le ansie di chi vedeva nella riforma un eccessivo rafforzamento dei poteri dell’esecutivo. Sembra caduta nel vuoto una pronuncia del Consiglio d’Europa, secondo cui ogni innovazione elettorale dovrebbe vedere la luce almeno un anno prima del voto, per evitare che venga ritagliata sulle esigenze politiche del momento. Che è esattamente quanto si
prospetta: non a caso Berlusconi preme per un ritorno al proporzionale puro, perché quello corretto dell’Italicum, nell’attuale assetto tripolare del panorama politico italiano, centro-destra, centro-sinistra e Cinque stelle ciascuno dei quali attorno al trenta per cento, potrebbe assicurare il successo proprio ai candidati grillini, favoriti nel probabile ballottaggio dalle pulsioni anti-sistema dell’opinione pubblica. Non è un caso che Grillo abbia tanta fretta di votare. Ora la parola è al presidente della repubblica Sergio Mattarella: per prima cosa ha invitato Renzi, che voleva immediatamente gettare la spugna, a rinviare le dimissioni di un paio di giorni: bisogna prima approvare la legge finanziaria. Poi ha frenato la sua propensione a elezioni in tempi ravvicinati. Mattarella dovrà promuovere un governo che funzioni di fronte alle molte crisi che affliggono il Paese, dall’economia alla pressione migratoria, dall’occupazione ai rapporti con l’Unione Europea. E che riformi la legge elettorale. Potrà essere un governo di «responsabilità nazionale» che superi gli steccati fra i partiti per affrontare le emergenze o un esecutivo di più basso profilo che si limiti a traghettare il Paese verso il voto. Per la presidenza si fanno i nomi dei ministri Pier Carlo Padoan, Graziano Delrio e Paolo Gentiloni, responsabili rispettivamente dell’economia delle infrastrutture e degli esteri, e quello dello speaker del Senato Pietro Grasso. Ma lo stesso premier dimissionario potrebbe rientrare in gioco per un incarico a termine. Sopraffatto dal voto popolare e stordito dall’ampiezza del dissenso, quasi il sessanta per cento contro poco più del quaranta, Renzi sicuramente rimpiange l’errore commesso all’inizio della campagna elettorale, quando legò all’esito del voto il proprio destino politico. Poi ci ripensò, ma la sua martellante presenza in ogni canale televisivo trasformò di fatto il referendum in un plebiscito sul governo e su chi lo guidava. «Non credevo che tanta gente mi odiasse», ha confidato ai collaboratori la sera del verdetto. Più che di odio, si tratta d’insofferenza per quel suo presenzialismo eccessivo, che può avere indotto al voto di protesta chi trovava inaccettabile il rapporto fra la realtà percepita sulla propria pelle, come l’incertezza sulle prospettive economiche o il livello drammatico della disoccupa-
zione giovanile, e il quadro roseo tratteggiato dal premier. Sullo sfondo la ricattatoria insistenza, condivisa da molti media internazionali, sui catastrofici effetti di un eventuale successo del no. Si parlava di borse in picchiata, tassi del debito pubblico in aumento con conseguente impennata dello spread rispetto ai titoli tedeschi, alcune banche a rischio fallimento, la possibile uscita dell’Italia dall’euro e dalla stessa Unione Europea. Invece i mercati, come già era accaduto per Brexit e per la vittoria di Donald Trump, almeno all’inizio hanno reagito senza scomporsi. Due fra le principali agenzie di rating, Fitch e Standard & Poors, fanno sapere che l’esito del referendum non comporta di per sé una valutazione al ribasso del sistema Italia. Dopo i primi titoli sensazionali, la stessa stampa internazionale ha cominciato a considerare con freddezza la nuova situazione. Il voto lascia ovviamente inalterati i rapporti di forza parlamentari. Il Pd dispone della netta maggioranza che gli fu garantita dalla vecchia legge elettorale, la cui dichiarata incostituzionalità non pregiudica la legittimità del parlamento comunque eletto. Tocca dunque al Pd, come ha riconosciuto il vertice di Forza Italia, assicurare gli adempimenti del caso e formulare proposte politiche. Ma nel Pd Renzi, che resta segretario, deve vedersela con un’opposizione interna rafforzata dal voto referendario, che non gli perdona l’incredibile parabola impressa al partito. All’indomani dell’insediamento, quasi tre anni or sono, poté festeggiare una travolgente vittoria alle elezioni del parlamento europeo, con il Pd al 41 per cento. Il giovane presidente aveva il vento in poppa, una sconfinata ambizione, una solida maggioranza: ma ha peccato di eccessiva fiducia in se stesso. Del resto questo è un po’ dappertutto tempo di resa dei conti. Circola in rete una foto di gruppo assai significativa, scattata lo scorso aprile al vertice di Hannover. Vi si vedono cinque leader internazionali: Cameron, Obama, Merkel, Hollande e Renzi. Di costoro, soltanto la Cancelliera è tuttora in sella e si prepara al giudizio degli elettori per un eventuale quarto mandato. Cameron ha perduto la scommessa della Brexit, Obama termina il secondo quadriennio alla Casa Bianca senza poter rimettere la presidenza in mani amiche, Hollande travolto dai sondaggi ha dovuto rinunciare alla ricandidatura. E ora Renzi seppellito da una valanga di no alla sua proposta riformatrice. Avanzano nelle democrazie occidentali le forze antisistema. In controtendenza l’Austria, dove nel ballottaggio per la presidenza il candidato ecologista Alexander Van der Bellen ha sbarrato il passo all’ultranazionalista Norbert Hofer. Si temeva anche a Vienna il trionfo del populismo anti-Bruxelles, così non è andata. Una boccata d’ossigeno per l’Unione Europea che ora attende col fiato sospeso il voto del 15 marzo in Olanda, dove i sondaggi danno favorito il demagogo Geert Wilders, e quello francese in programma il 23 aprile e il 7 maggio, quando le legioni lepeniste muoveranno all’assalto dell’Eliseo.
Rivelazioni I soldi per finanziare
Francesca Marino Un negozietto nel centro storico di Brescia, uno dei tanti call center gestiti da immigrati, finisce per la seconda volta nel mirino della Polizia e delle agenzie di intelligence indiane. La prima volta, è stato nel 2008 all’indomani dell’attacco di Mumbai. Dal Medina Trading, di proprietà dei cittadini pakistani Mohammad Yaqub Janjua e Amir Yaqub, erano state trasferite consistenti somme di denaro ed erano stati forniti servizi Voip a persone coinvolte nella strage di cittadini indiani e stranieri. All’epoca i due proprietari erano stati arrestati per essere poi rilasciati quasi immediatamente dal Tribunale del Riesame, visto che la persona a cui i fondi erano stati trasferiti risultava estranea ai fatti. In seguito è stato provato che i soldi erano realmente andati a membri della Lashkar-i-Toiba che avevano adoperato l’identità di un ignaro cittadino, ma i due proprietari del Medina Center sono rimasti in libertà seppure ufficialmente «ricercati». L’uso delle virgolette è d’obbligo perché in realtà i due signori hanno semplicemente chiuso la Medina Trading e riaperto con il nome di Help Services, continuando pacificamente la loro attività. L’Help Services è finito nel mirino dell’Enforcement Directorate indiano per il costante flusso di denaro inviato ai separatisti dell’Hurryat in Kashmir: si tratta di un partito politico e non di un’organizzazione terroristica ma, sempre secondo gli inquirenti, il denaro sarebbe stato adoperato per finanziare attività illegali. Lo stesso Enforcement Directorate ha emesso sei mandati di cattura internazionali nei confronti di cittadini pakistani residenti in Italia. Il denaro, tracciato dagli inquirenti da Brescia fino al Kashmir indiano, sarebbe stato adoperato per realizzare l’attacco di Uri nello scorso settembre (foto): l’attacco a una postazione militare nel Kashmir indiano è costato la vita a diciotto soldati ed è stato definito «L’attacco più sanguinoso degli ultimi venti anni» ai militari in forza nella regione contesa. A compiere sia la strage di Mumbai che l’attacco di Uri è stato lo stesso gruppo, la Lashkar-i-Toiba: un’organizzazione poco nota in Italia e dintorni, e di cui si parla poco perché nella percezione corrente «opera soltanto in Kashmir». Niente di più sbagliato, e niente di più pericoloso. La LiT è sulla lista dei gruppi terroristici delle Nazioni Unite e sulla testa del suo fondatore, Mohammed Hafiz Saeed, pende una cospicua taglia della Cia. L’organizzazione è stata fondata in Pakistan dal signore di cui sopra nel 1990, e pur essendo stata ufficialmente bandita in Pakistan mantiene uffici e sedi a Lahore e in altre città del paese mentre Hafiz Saeed è libero di tenere comizi e incitare all’odio settario e contro l’Occidente in ogni piazza del Pakistan. La LiT, ben lungi dall’essere confinata al Kashmir, possiede affiliati e cellule in una ventina di Nazioni. I suoi affiliati provengono da vari paesi islamici e non. L’organizzazione ha legami molto stretti con Al Qaeda, con Daesh e altri gruppi islamici che operano nelle Filippine e in Cecenia e possiede una
rete che si estende da Pakistan, India e Bangladesh fino all’Arabia Saudita e alla Gran Bretagna. Cellule della Lashkar-iToiba sono presenti anche in Germania, in Spagna, negli Stati Uniti e ovviamente in India, dove ha costituito una vasta rete di cellule dormienti. È finanziata, addestrata e armata principalmente dall’Isi, i servizi segreti pakistani, e dall’Arabia Saudita. L’agenda dell’organizzazione teorizza la propagazione dell’Islam a livello globale e considera la jihad come il mezzo più adatto a raggiungere i suoi obiettivi. Che comprendono il «piantare la bandiera dell’Islam su Washington, Delhi e Tel Aviv». In Italia, alcuni affiliati alla Lashkar-i-Toiba sono stati arrestati nel 2015 in una clamorosa tornata di arresti di cittadini in maggioranza pakistani effettuati dalla Polizia italiana per attività sovversive. Non solo: durante un paio di Conferenze internazionali organizzate dalla stessa Lashkar-iToiba erano presenti alcuni individui residenti in Italia e legati a organizzazioni integraliste religiose che operano sul territorio. Negli anni l’Italia è stata sede privilegiata di un certo numero di organizzazioni terroristiche che hanno operato allegramente e liberamente: una per tutte le Tamil Tigers, che raccoglievano fondi e organizzavano le loro attività dalla Sicilia. Al momento i vari gruppi jihadi hanno vita facile: tutta l’attenzione è concentrata sull’Isis e su coloro che vanno a rimpolpare le fila del triste Califfato in Siria e dintorni. Gli altri, purché usino sigle diverse e mantengano un basso profilo, purché non operino direttamente in Occidente, vivono tranquilli e indisturbati. Daesh o Isis che dir si voglia rivendica ormai di tutto, ma molto spesso, indagando sui singoli esecutori, si scopre una connessione con il Pakistan. E i campi di addestramento pakistani, o almeno la maggior parte di essi, sono gestiti dalla Lashkar-i-Toiba. Ostinarsi a credere che Hafiz Saeed e i suoi costituiscono un pericolo soltanto per l’India è quantomeno miope. L’agenda della LiT, è bene non dimenticarlo, è ambiziosa quanto quella di Daesh e dell’Isis: ma i suoi fondatori, e soprattutto i suoi burattinai occulti, non hanno alcuna intenzione di farne apertamente un brand internazionale e finire così nel mirino delle intelligence occidentali come l’Isis. Operare nell’ombra, per i «buoni» terroristi, è molto più conveniente e, soprattutto, garantisce un futuro prospero e luminoso. Annuncio pubblicitario
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 12 dicembre 2016 • N. 50
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Politica e Economia
A rischio la strategy della May Brexit La Corte Suprema britannica deve stabilire se il governo di Theresa May dovrà avere anche il voto
parlamentare per avviare formalmente il divorzio dall’Ue e attivare l’articolo 50 come richiesto dell’Alta Corte
Cristina Marconi La Brexit perfetta non deve essere «morbida» o «dura», bensì «rossa, bianca e blu», secondo la premier Theresa May, che si è affidata ad un’immagine – quella di un’uscita dalla Ue che abbia i colori della Union Jack, la bandiera nazionale – per cercare di dare al mondo un’idea di quello che intende fare per dare seguito al voto dei cittadini al referendum del 23 giugno scorso. Ma a parte i colori e il mantra secondo cui «Brexit vuol dire Brexit», i contorni dell’uscita dalla Ue sono ancora indefiniti. «Terrò alcune carte coperte, sono sicura che tutti capiscono che in un negoziato non si rivela tutto quanto», ha spiegato May tentando di far leva sull’argomento del bene del Paese. «È importante che siamo in grado di raggiungere l’accordo giusto per il Regno Unito». Un desiderio di riservatezza, quello della May, che non solo deve vedersela con una sentenza dell’Alta Corte che ha stabilito che prima di avviare ufficialmente i negoziati con Bruxelles occorre un voto del parlamento britannico, ma che si è scontrato anche con il rischio di una ribellione dei deputati di maggioranza e opposizione, subito sedato con la promessa di rendere noto un piano d’azione prima di invocare l’articolo 50 del Trattato di Lisbona. Un passo avanti che non sarebbe però sufficiente nel caso la Corte Suprema non accogliesse il ricorso del governo e imponesse un voto sulla Brexit. I giudici hanno ascoltato gli avvocati di Downing Street e quelli del gruppo di cittadini che ha intrapreso l’azione legale in difesa del ruolo del Parlamento dal 5 al 10 dicembre, ma non si pronunceranno prima di gennaio. Nel caso fosse confermata la sentenza dell’Alta Corte, la May dovrebbe consentire alla camera dei deputati e a quella dei Lord di votare su un decreto del governo, con il rischio di aprire un vaso di Pandora di emendamenti e posizioni discordanti non solo da parte dell’opposizione ma – ed è questo il rischio principale per una premier che ha già considerevolmente modificato il manifesto elettorale sul quale il suo predecessore David Cameron è stato eletto – soprattutto da parte degli stessi Tories, da sempre profondamente spaccati in materia di Unione europea. Non solo la premier rischierebbe di non tenere fede alla promessa di invocare l’articolo 50 entro la fine di marzo prossimo, ma potrebbe ritrovarsi stritolata tra un parlamento dove la maggioranza dei deputati non vuole una Brexit troppo punitiva e quella parte dell’opinione pubblica che si aspetta un taglio netto dei rapporti con la Ue e soprattutto misure drastiche contro l’immigrazione. E siccome accesso al mercato interno e libera circolazione dei lavoratori sono due aspetti indissolubili agli occhi di Bruxelles, la May sa di doversi muovere con cautela
La Corte Suprema del Regno Unito. (AFP)
per tenere fede alla sua promessa che «Brexit vuol dire Brexit» senza scadere nell’autolesionismo economico e portare il paese alla deriva. E soprattutto senza finire bruciata come tutti i politici britannici, ultimo dei quali Cameron, che hanno avuto l’ardire di avvicinarsi troppo al dossier europeo.
L’Alta Corte aveva stabilito che il governo non ha il potere esecutivo sufficiente per far ricorso all’Articolo 50 del Trattato di Lisbona. Articolo che la premier si era invece impegnata a far scattare entro la fine di marzo In un contesto in cui, come ha scritto Janan Ganesh sul «Financial Times», «la premessa anglocentrica» su cui si basa Theresa May è che «il lato britannico dei negoziati ne è la variabile decisiva», dalla capitale Ue arrivano messaggi comprensibilmente risoluti e pressanti. Il negoziatore capo sulla Brexit, Michel Barnier, ha fatto presente che i due anni previsti dal Trattato di Lisbona per l’uscita di un paese dall’Unione non sono tutti da dedicare al ne-
goziato, poiché occorre lasciare il tempo al Consiglio, all’Europarlamento e al Parlamento nazionale di ratificare l’accordo raggiunto. E quindi tra Londra e Bruxelles la partita non dovrebbe durare al di là dell’ottobre del 2018, ossia 18 mesi dall’inizio delle discussioni ufficiali. «È la prima volta che ne sentiamo parlare», ha spiegato un portavoce di Downing Street commentando la scadenza indicata da Barnier, che ha anche fatto presente che nessuno degli accordi che potrà essere raggiunto presenterà tanti vantaggi quanto l’essere parte della Ue. Questo viene «con diritti e doveri» e «i paesi terzi non possono avere questi diritti e doveri», ha spiegato Barnier, che ha aperto la strada ad un possibile periodo di transizione dopo la chiusura del negoziato, ma ha ribadito che di «cherry-picking», ossia di selezione delle politiche europee più congeniali a scapito delle altre, non si parla. Un dilemma che il governo non ha escluso di poter risolvere pagando per l’accesso al mercato interno, secondo quanto spiegato dal ministro per la Brexit, David Davis, ex falco diventato improvvisamente più conciliante davanti ai preoccupati appelli dell’industria britannica. «Il criterio principale è di ottenere l’accesso migliore possibile per i beni e i servizi al mercato europeo», ha spiegato, suscitando un immediato rafforzamento della sterlina. Barnier ha osservato che
la possibilità espressa da Davis esiste – «è uno dei modelli più vicini all’essere nella Ue senza essere membro» – ma si può ottenere solo grazie ad un «contributo predeterminato e molto specifico al bilancio europeo». Con la May che ha più volte ribadito che non vuole la libera circolazione dei lavoratori anche se questo significa perdere l’accesso al mercato interno, i termini di questo scambio con Bruxelles restano tutti da vedere, visto che per ora si è al muro contro muro. E anche se le danze non sono ancora ufficialmente iniziate, la sensazione, secondo il direttore del Centre for European Reform, Charles Grant, è che questo negoziato non sia nelle mani di «diplomatici nati». A sei mesi dal voto sulla Brexit, le spaccature interne al Paese non si sono risanate, ma solo sedate per via di una situazione economica che ancora non ha mostrato segni di affanno. A distrarre c’è anche uno scenario internazionale fluido e imprevedibile che ha stemperato lo shock per il risultato referendario in altri, più imprevedibili, sconvolgimenti. L’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca è il primo della lista, ma anche il referendum italiano, con il successo di un partito euroscettico come i Cinque Stelle, ha dato molto da pensare ai commentatori britannici. Sul piano nazionale Theresa May non può trascurare neppure i segnali che sono giunti dalle elezioni suppletive di Richmond, quartiere
più che benestante di Londra, dove la Libdem Sarah Olney ha soppiantato il deputato Tory euroscettico Zac Goldsmith e quasi cancellato dalla mappa il candidato laburista esponendo il programma apertamente antiBrexit di cui il partito liberaldemocratico si è fatto portavoce. «La Union Jack rappresenta un Regno Unito aperto, tollerante e multiculturale, non la visione ottusa di Ukip e di Farage», ha spiegato Tim Farron, leader LibDem, formazione europeista in netto recupero dopo il coma politico seguito alla disastrosa esperienza nel governo di coalizione tra il 2010 e il 2015. Sebbene la retorica anti-immigrazione dell’estate scorsa sia stata un po’ sfumata, il tema continua a rimanere incandescente. Il ministro degli Interni Amber Rudd, la stessa che aveva suggerito che le aziende fornissero delle liste dei loro dipendenti stranieri, ha annunciato che ci sarà una carta d’identità speciale per i cittadini europei autorizzati a restare nel Regno Unito. Tra economia interna stabile e mondo esterno in subbuglio, ci sono state abbastanza distrazioni da permettere alla May di tenere «le sue carte vicino al petto», almeno per il momento. Ma la Corte Suprema è solo uno dei fattori che potrebbe costringerla a rivelarle: quale che sia la strada scelta per uscire dall’Unione europea, il Regno Unito non può pensare di andarsene alla chetichella. Annuncio pubblicitario
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 12 dicembre 2016 • N. 50
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Politica e Economia
Martin Luther King ispira anche le donne
Fra i libri di Paolo A. Dossena
Proteste femminili Una «marcia delle donne su Washington» è prevista il 21 gennaio,
giorno dell’insediamento di Donald Trump: è la risposta alle dichiarazioni machiste del neo eletto presidente americano
Le manifestazioni anti-Trump all’indomani della sua elezione: si ripeteranno il 21 gennaio. (AFP)
Luisa Betti Dakli È prevista per il 21 gennaio a Washington nel giorno dell’insediamento del nuovo presidente degli Stati Uniti alla Casa Bianca, e si prospetta come un avvenimento storico. È la marcia delle donne contro Donald Trump che ha già più di 100’000 adesioni, da quando una nonna hawaiana ha invitato 40 dei suoi amici a manifestare contro la nuova amministrazione: un’idea ispirata alla storica marcia sul Mall dove Martin Luther King pronunciò il celebre «I Have a Dream», e diventata virale in pochissimo tempo.
Secondo le statistiche 1 donna su 7 subisce violenza maschile. In Italia ogni 3 giorni una donna viene uccisa da uomini all’interno di una relazione «Accogliamo con favore i nostri alleati di sesso maschile e vogliamo che quest’azione sia il più inclusiva possibile», ha detto una delle organizzatrici. Una dimostrazione pacifica che rappresenti le donne di tutte le provenienze, razze, religioni, età e che sotto lo slogan «i diritti delle donne sono diritti umani», porti nelle strade la voce di chi durante la campagna elettorale si è sentito minacciato da Trump – compresi LGBTQ (acronimo che sta per lesbiche, gay, bisessuali e trasgender), nativi, neri, musulmane, i diversamente abili. Una dichiarazione d’intenti nei confronti del neo presidente che, oltre ad aver affermato che un vip può fare ciò che vuole con una donna prendendola per i genitali e oltre le denunce pubbliche di donne molestate da lui nel corso degli anni, ha più volte espresso l’idea che l’interruzione di gravidanza dovrebbe essere vietata, paventando l’istituzione di un tribunale anti-aborto presso l’Alta Corte. Ma Trump è stato eletto in un clima di controriforma in materia di diritti che non riguarda solo gli Sta-
ti Uniti, e che in un momento di crisi stagnante prende di mira i soggetti più esposti con l’aggancio della paura. Un attacco che molte donne hanno deciso di non stare a guardare. Nel mondo una donna su 7 subisce una forma di violenza maschile: in Marocco 6 su 10 vivono una violenza domestica che solo il 3% denuncia, in Tunisia il 78% viene molestata nei luoghi pubblici e in Messico i femminicidi sono migliaia. A Londra un rapporto delle autorità locali (GLA) ha segnalato come la violenza domestica sia aumentata del 57% in 4 anni nella sola città, mentre a Bruxelles il 60% delle donne dichiara di aver subito intimidazioni sessuali. Il 25 novembre scorso, durante la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, in Francia le associazioni sono sfilate per le strade di Parigi al grido «Debout contre les violences faites aux femmes» (In piedi contro la violenza); mentre in Turchia le donne sono scese in piazza, in un clima di repressione, con le mani viola dipinte col volto di una bimba contro una legge che avrebbe legalizzato lo stupro delle minori prevedendo il matrimonio riparatore, e hanno vinto. Una proposta fatta dal partito Akp del presidente Erdogan con quella che l’Unicef ha definito una «amnistia per i colpevoli di abusi sui minori», e che dopo la contestazione è stata ritirata. In Spagna, lo stesso giorno, la polizia ha divulgato un video di un’aggressione avvenuta a San Juan de Alicante in cui un uomo colpiva ferocemente la compagnia per poi prenderla per i capelli e trascinarla per le scale di un luogo pubblico ripreso da una telecamera. Qui il governo di Mariano Rajoy (Partido Popular) un anno fa è riuscito a limitare l’aborto dai 16 ai 18 anni, previo consenso dei genitori, malgrado il grande movimento delle donne che nel 2014 portò in piazza centinaia di migliaia di persone facendo ritirare la proposta di legge che avrebbe cancellato del tutto l’interruzione di gravidanza. Un diritto, quello all’aborto, che riceve attacchi ovunque e su più fronti, fino alla teorizzazione esasperata dell’embrione come essere umano che deve essere difeso in quanto tale.
In Polonia – dove dal 2015 il partito di maggioranza è Diritto e Giustizia (Pis), conservatore e di destra – le donne hanno difeso la cancellazione totale dell’aborto, che sebbene sia applicato solo se la madre è in pericolo, nel caso di malformazione del feto o di stupro, avrebbe spazzato via anche la norma applicata in maniera restrittiva: una proposta fatta dai cattolici e appoggiata dalla Conferenza episcopale polacca con 100 mila firme raccolte. Ma la Czarny Protest (La protesta in nero) è stata vincente, e le migliaia di donne scese per le strade di Varsavia, Danzica e altre città, hanno avuto la meglio su Kaczyński, leader del Pis, che aveva dichiarato: «Vogliamo che le donne partoriscano anche se il bambino è gravemente malformato, affinché possa venire battezzato, seppellito e avere un nome». In Italia Valentina Miluzzo di 32 anni, incinta di due gemelli, è morta al quinto mese di gravidanza all’Ospedale Cannizzaro di Catania perché, dopo aver espulso il primo feto morto, un medico «perché obiettore di coscienza si sarebbe rifiutato di estrarre il feto, che aveva gravi difficoltà respiratorie, fino a quando fosse rimasto vivo»: un episodio su cui il Ministero della salute ha svolto un’indagine, concludendo che «non si evidenziano elementi correlabili all’obiezione di coscienza». Eppure nella denuncia presentata alla Procura si legge che dopo il ricovero della donna per dilatazione dell’utero anticipata, e dopo 15 giorni di osservazione, Valentina comincia a peggiorare perché «dai controlli – si legge – emerge che l’altro feto respira male e che bisognerebbe intervenire, ma il medico di turno si rifiuta perché obiettore: “fino a che è vivo io non intervengo”, avrebbe detto». Un Paese, l’Italia, in cui la legge 194 che regola l’Igv (interruzione volontaria di gravidanza) è resa ormai inapplicabile dato che la maggior parte dei medici è obiettore, e in cui ogni 3 giorni una donna viene uccisa da uomini all’interno di relazioni intime: strangolate, colpite con oggetti vari, finite a coltellate, bastonate, chiuse in sacchi dell’immondizia e abbandonate, bruciate vive, e spesso uccise con i propri figli, per un numero che rimane
stabile sui 125 femminicidi all’anno. Donne che non hanno fatto in tempo a chiedere aiuto ai centri antiviolenza, continuamente a rischio chiusura per mancanza di fondi, nell’assenza totale di un Piano nazionale che contrasti la violenza in maniera sistematica – compresa la prevenzione – e dove spesso rischiano di non essere credute nei tribunali e nei commissariati quando vanno a chiedere di essere protette. Una situazione che il 26 novembre scorso ha portato in piazza 250’000 persone contro la violenza maschile – inclusi LGBTQ e uomini – con lo scopo di denunciare l’inefficienza delle istituzioni. Sotto lo slogan «Non una di meno», preso in prestito dalle argentine, la Rete centri antiviolenza (DiRe), l’Unione delle donne in Italia (Udi), e la Rete Io decido, hanno creato un comitato che ha raccolto migliaia di adesioni organizzando una mobilitazione dal basso che in Italia non si vedeva da tempo, e che è continuata il giorno dopo con l’avvio di tavoli di discussione a cui hanno partecipato 1300 delegate per la scrittura di un Piano antiviolenza femminista. Manifestazione trattata dai Tg della sera come una notizia di costume e società, e relegata alle ultime notizie senza rilievo politico, per un movimento che ha in programma uno sciopero generale l’8 marzo prossimo, in sintonia con i movimenti dell’America Latina che a ottobre sono scesi in piazza dopo che Lucia Perez – una ragazza di 16 anni – è morta per essere stata drogata, stuprata, torturata e impalata in Argentina – dove i casi di femminicidio sono aumentati del 78% dal 2008 al 2015, malgrado ci sia una legge. Oggi «Ni Una Menos» – termine nato nel 2015 quando in 300’000 manifestarono per Chiara Páez uccisa incinta a 14 anni dal fidanzato di 16 e sotterrata nel giardino con l’aiuto dei genitori di lui – è diventato un grido di battaglia a cui aderiscono migliaia di donne in Messico, Bolivia, Perù, Uruguay, Guatemala, Cile, ma anche italiane, spagnole e francesi: movimenti per i quali il prossimo appuntamento sarà l’8 marzo per una mobilitazione che potrebbe diventare uno sciopero globale.
JOSEPH S. NYE, Jr, Fine del secolo americano?, Il Mulino, 2016 «Il secolo americano è destinato a proseguire quanto meno per un certo numero di decenni». Così si chiude il libro (uscito poco prima delle elezioni americane) di Joseph Nye, che non aveva previsto il trionfo elettorale di Donald Trump. Ecco infatti, nel saggio di questo studioso, la sponsorizzazione per Hillary Clinton: «L’America dovrà ascoltare per ottenere che gli altri paesi si arruolino in quello che la candidata alla presidenza degli Stati Uniti, Hillary Clinton ha chiamato un mondo multipartner». Il professor Nye è uno dei massimi esperti di relazioni internazionali; ha servito il Dipartimento di Stato (Ministero degli esteri) durante l’amministrazione democratica di Bill Clinton, e nel 2014 è stato nominato dal liberal John Kerry al Foreign Affair Policy Board. Infine, coniò nel 2003 l’espressione smart power. Nelle relazioni internazionali smart power si riferisce a una combinazione delle strategie di hard power (ossia il ricorso alla potenza militare ed economica) e di soft power (ossia la formazione del consenso tramite la persuasione e non la coercizione). Anche le espressioni hard power e soft power sono state inventate da Joseph Nye all’inizio degli anni Novanta. Esempi di uso dello hard power sono le guerre in Afghanistan (2001) e in Iraq (2003). Barack Obama era invece normalmente descritto come un rappresentante del soft power. Era. Infatti, nel 2009, quando Hillary Clinton divenne segretario di Stato dell’amministrazione Obama, disse: «Dobbiamo usare ciò che è stato chiamato smart power – l’intera gamma di strumenti a nostra disposizione – strumenti diplomatici, economici, militari, politici, legali e culturali – scegliendo con cura per ogni situazione l’attrezzo giusto.» (Dichiarazione apparsa nell’articolo Clinton: Use «Smart Power», 15 gennaio 2009). Joseph Nye, inventore dell’idea di soft power, sosteneva ora Hillary Clinton e lo smart power, rimanendo convinto che il partito democratico fosse estraneo allo hard power. Il che è inverosimile. Per esempio, per quanto concerne la Nato, le cose cambiarono con un’amministrazione democratica e non con una repubblicana. Fu infatti Bill Clinton a decidere che la Nato (che avrebbe potuto essere un’organizzazione per la sicurezza collettiva) dovesse espandersi verso Est. Concepita in funzione di un nemico che non esisteva più, la Nato trovò un nuovo avversario nella guerra del Kosovo 1999. Il successivo allargamento della Nato verso Est si spiega anche in termini economici: ogni volta che un paese entra in questa organizzazione, per l’industria bellica americana c’è un nuovo cliente che deve rinnovare i propri armamenti per uniformarsi agli standard Nato. E che dire, per quanto riguarda Barack Obama e Hillary Clinton, dell’intervento in Libia, e, per quanto riguarda la Siria, della triplicata vendita di armi all’Arabia Saudita (notoriamente accusata di finanziare l’Isis)? Eppure, il libro Joseph Nye è consigliato a chiunque sia interessato alle relazioni internazionali. Il professore conosce questa materia al punto da averle regalato un nuovo vocabolario.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 12 dicembre 2016 • N. 50
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Politica e Economia
Fuga dei cervelli dal Ticino?
saldo intercantonale svizzeri
600 400
1981 1983 1985 1987 1989 1991 1993 1995 1997 1999 2001 2003 2005 2007 2009 2011 2013 2015
2015
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1989
-400
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2000
1988
cambiato nel frattempo per provocare un netto rovesciamento di tendenza? Come mai i giovani residenti tendono oggigiorno ad emigrare, malgrado la congiuntura favorevole che ha caratterizzato gli anni 2000, sostenuta da una forte immigrazione di manodopera estera e dall’esplosione del frontalierato? Sappiamo che questi saldi sono dovuti a un continuo calo degli arrivi nel nostro cantone e ad un aumento sensibile delle partenze nell’ultimo decennio. Le statistiche non ci permettono però di caratterizzare ulteriormente i due flussi. Non sappiamo se il calo degli arrivi sia da attribuire a una diminuzione delle opportunità
1984
Ciò che sorprende in questa nuova tendenza è il forte recente incremento dell’esodo. Da un saldo negativo di circa 200 unità negli anni 2000, si è passati a più di 400 nel 2012 e a quasi 900 nel 2015. Per dare un’idea dell’importanza di questi flussi, è come se il nostro cantone avesse perso nel 2015, quindi in un solo anno, l’equivalente dell’intera popolazione giovanile (cioè dai 20 ai 39 anni, nel caso specifico) di un comune di medie dimensioni come Morbio Inferiore, Collina d’Oro o Ascona. Negli anni 80, caratterizzati dal boom economico, questi flussi erano nettamente a favore del Ticino. Cos’è
-200
1983
«È come se il Ticino avesse perso nel 2015 l’intera popolazione giovanile di un comune di medie dimensioni»
1987
0
1986
200
Saldi intercantonali e internazionali dei residenti di 20-39 anni, secondo l’origine, dei residenti in Ticino, dal 1981. (Fonte sito online Ustat)
-2000
saldo internazionale svizzeri
800
6000
-1000
saldo intercantonale stranieri
1996
1000
1982
I nostri giovani guardano sempre più oltre Gottardo o fuori dai nostri confini, probabilmente alla ricerca di un lavoro che risponda alle loro aspettative e che non trovano in Ticino. Nel solo 2015 le partenze verso altri cantoni di residenti in età tra i 20 e i 39 anni hanno superato gli arrivi di 761 unità. Se a questi aggiungiamo il saldo, pure negativo, degli svizzeri residenti in Ticino con l’estero, pari a 122 unità, otteniamo un saldo complessivo di –873. Questi saldi negativi (vedi grafico 1), sono andati gradatamente aumentando negli ultimi anni, evidenziando una chiara tendenza all’emigrazione giovanile dei residenti. Complessivamente il Ticino, negli ultimi tre lustri, ha visto diminuire la popolazione residente tra i 20 e i 39 anni di circa 6000 unità, in seguito a questi flussi, ciò che corrisponde grossomodo al 7-8% dei residenti d’età corrispondente. I flussi più importanti riguardano i movimenti con gli altri cantoni, con un saldo negativo per il Ticino di 3’460 unità per quanto riguarda i residenti svizzeri, la cui emigrazione è iniziata già negli anni 90 e che si è andata via via rafforzando negli anni successivi. A questa si aggiunge l’emigrazione più recente dei residenti stranieri, sempre verso gli altri cantoni, con un saldo negativo di 588 unità per gli anni 2009-2015.
Il Ticino ha però perso, sempre per quanto riguarda queste classi di età, anche circa 2000 unità negli scambi internazionali di residenti svizzeri. L’emigrazione di giovani svizzeri verso altri paesi è iniziata con la crisi che ha caratterizzato l’inizio degli anni 90, ma è poi proseguita anche nel decennio successivo, periodo di espansione economica e del mercato del lavoro.
1981
Elio Venturelli
1985
Migrazione Un’analisi dei motivi che spingono sempre più giovani a lasciare di anno in anno il Ticino
Saldo internazionale (arrivi meno partenze) della popolazione straniera in Ticino, dal 1981. (Fonte sito online Ustat)
occupazionali in determinati settori (turismo, sanità, banche, ecc.). Non conosciamo le qualifiche professionali di coloro che lasciano il Ticino. Ciononostante, ci sembra di poter dire che il cambiamento delle condizioni quadro per quanto riguarda il mercato del lavoro per i residenti ticinesi possa in gran parte spiegare questa nuova emigrazione di giovani. Salari troppo bassi per i residenti, offerti da aziende che non possono pagare di più, profili professionali diversi da quelli offerti sul territorio, hanno probabilmente indotto molti giovani ticinesi a cercare altre opportunità. Se così fosse, è molto probabile che ad andarsene siano stati i giovani con le migliori qualifiche professionali, la cui formazione è stata pagata dal nostro cantone, ciò che rappresenta una perdita considerevole per le finanze cantonali. Va però anche detto che, senza questa opportunità di lasciare il cantone, i dati sulla disoccupazione assumerebbero una tutt’altra connotazione. Se inoltre si tiene conto anche delle recenti statistiche sulla sotto occupazione pubblicate dall’Ustat, si vedrebbe il mercato del lavoro ticinese sotto una luce ben diversa da quella che scaturisce dagli indicatori «ufficiali». Dal 1980 in poi, il mercato del lavoro ticinese è sempre dipeso dalla mano-
dopera estera, sia grazie all’immigrazione, sia grazie al frontalierato. Negli anni 80 ciò non ha impedito il pieno impiego dei residenti, anzi il mercato del lavoro ha assorbito un flusso consistente di giovani provenienti da altri cantoni. Con la crisi degli anni 90, che ha provocato il crollo dell’immigrazione dall’estero (vedi grafico 2) è iniziata l’emigrazione di giovani svizzeri verso altri cantoni e verso l’estero. Questa emigrazione è però proseguita anche nel successivo periodo di forte espansione economica. Si è anzi fortemente accentuata negli ultimi anni. Indipendentemente da qualsiasi ideologia, si fa fatica a non vedere una relazione con l’entrata in vigore dei bilaterali (2002) e il conseguente deterioramento delle condizioni del mercato del lavoro cantonale (dumping salariale, precariato, sotto occupazione). Se la tendenza all’emigrazione di giovani residenti dovesse ulteriormente accentuarsi, tenuto conto che negli ultimi anni l’immigrazione dall’estero è sensibilmente diminuita (vedi grafico 2), ciò che potrebbe preludere a una situazione analoga a quella della crisi del 90, il nostro cantone si troverebbe in una situazione assai critica, con conseguenze non solo sul mercato del lavoro, ma sull’insieme degli equilibri intergenerazionali.
Un problema serio per il Ticino
Mondo del lavoro L’emigrazione dei giovani e l’invecchiamento della popolazione sono un fenomeno nuovo
e ancora poco studiato nel nostro cantone, le conseguenze non devono essere sottovalutate Angelo Rossi Quando, più di 50 anni fa, ho cominciato a lavorare in una fabbrica italiana di gelati del Mendrisiotto, il direttore, il segretario di direzione e il capo del marketing erano svizzero-tedeschi. Il capovendite era sì un ticinese, ma abitava a Lucerna. È solo un esempio per provare che, nel periodo della sua maggiore crescita, l’economia ticinese e, in particolare, il settore manufatturiero, erano attrattivi per gli svizzero-tedeschi che volentieri iniziavano in Ticino la loro carriera. Questo faceva sì, come osserva giustamente Elio Venturelli nel suo articolo, che il movimento migratorio degli svizzeri avesse un saldo positivo. Oggi, invece, il saldo migratorio degli svizzeri è contraddistinto da due tendenze negative. La prima riguarda i giovani. In Ticino non immigrano più solo giovani e famiglie con bambini. Il saldo migratorio delle persone tra i 20 e i 39 anni è infatti negativo. In questa categoria di età sono più gli svizzeri che lasciano il Ticino di quelli che vengono ad abitarvi. La seconda tendenza ci dice che, per la popolazione di nazionalità svizzera, l’eccedenza migratoria è largamente co-
stituita da persone con più di 40 anni. In Ticino gli svizzeri non vengono quindi più per lavorare, ma per godersi la pensione, contribuendo così non al ringiovanimento ma, purtroppo, all’invecchiamento della popolazione.
Il tasso di disoccupazione in Ticino è diminuito perché a seguito dell’emigrazione cala la disoccupazione giovanile Per il momento abbiamo ancora gli immigranti stranieri che sono più giovani e aiutano così a rallentare lo svilupparsi di questo fenomeno. Le prospettive però non sono buone. Indipendentemente da come la Confederazione deciderà di dar seguito al mandato costituzionale che le è stato imposto dall’iniziativa sull’immigrazione di massa, è più che certo che in futuro avremo meno immigrati stra-
nieri di quanto non ne abbiamo avuto negli ultimi dieci anni. E allora? Allora le previsioni sono facili da fare. Con un saldo naturale nullo o negativo, con un saldo migratorio degli svizzeri alimentato soprattutto da persone anziane e con un saldo migratorio degli stranieri in diminuzione, la tendenza all’invecchiamento della popolazione residente in Ticino si accelererà. Questa è la cattiva notizia che possiamo leggere tra le righe del contributo di Venturelli. Nel suo contributo c’è però anche una notizia che sembrerebbe buona, ma, di fatto, è buona solo a metà. Per spiegare perché questa notizia è buona solo a metà devo partire dall’evoluzione della disoccupazione. In Ticino, nel corso degli ultimi venti mesi, il tasso di disoccupazione è diminuito eliminando praticamente la differenza che aveva con il tasso di disoccupazione medio nazionale. Si può affermare che una buona parte di questa diminuzione è da attribuirsi al calo della disoccupazione giovanile. Questa tendenza rappresenta la metà positiva della notizia. La metà negativa è invece quella che ci mostra Venturelli nel suo articolo. Ripetiamola: nelle classi di età tra i 20 e i 39 anni il saldo migratorio degli svizzeri
è negativo. Questo significa che dal Ticino partono più giovani svizzeri di quanti ne arrivino, il che suggerisce che, da noi, la diminuzione della disoccupazione giovanile è dovuta probabilmente al fatto che i giovani che non trovano occupazione lasciano il cantone. Molti di loro fanno dunque le valigie ed emigrano oltre S. Gottardo e nel resto del mondo. Così facendo scompaiono dai registri degli Uffici di collocamento e non sono più contati come disoccupati. Per le persone che emigrano, l’esperienza può essere positiva anche se dovesse chiudersi con l’abbandono definitivo del cantone nel quale sono cresciuti. Dal profilo degli interessi ticinesi, tuttavia, l’emigrazione e, in particolare, l’emigrazione dei giovani non può essere considerata come una tendenza positiva e tanto meno la buona soluzione per la disoccupazione giovanile. È un rimedio di ultima istanza al quale sarebbe bello poter rinunciare. Purtroppo sembra che la tendenza dei giovani ticinesi ad emigrare per trovare un’occupazione continua ad aggravarsi e stia diventando un dato strutturale per l’equilibrio del nostro mercato del lavoro. Un po’ come una volta gli stagionali, dapprima,
e poi i frontalieri, giocavano il ruolo di valvole regolatrici, uscendo dal mercato del lavoro ticinese in periodi di bassa congiuntura e rientrando con la ripresa, oggi questo ruolo lo svolgono, con effetti regolatori minori, data la minore entità dei flussi, i giovani svizzeri. Si tratta di un fenomeno nuovo e poco conosciuto. Venturelli, in realtà, è il primo studioso ad occuparsene. Così per mancanza di dati non si sa come siano formati i flussi di giovani che lasciano il Cantone. Si può però pensare che, in larga maggioranza, siano formati da persone con livelli di formazione elevati. La fuga dei cervelli è una delle maggiori tare delle regioni sottosviluppate. Ora sembra stia diventando un problema veramente serio per il Ticino che, non dimentichiamolo, è diventato, da venti anni e con grandi ambizioni per il futuro, un cantone universitario. Annuncio pubblicitario
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 12 dicembre 2016 • N. 50
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Politica e Economia
Una politica fiscale di successo
Imposizione delle imprese Le più recenti statistiche dell’OCSE dimostrano gli influssi positivi della politica fiscale
svizzera, sia per i gettiti a favore delle comunità pubbliche, sia per la crescita economica
Ignazio Bonoli Ancora una volta il popolo svizzero sarà chiamato a pronunciarsi su un soggetto di non facile comprensione e che si presta a interpretazioni divergenti: la riforma III dell’imposizione delle imprese, oggetto di un referendum. Quello delle perdite fiscali per la Confederazione è l’argomento principale dei referendisti (vedi «Azione» del 17.10.2016). Ma – ancora una volta – il problema non può essere limitato alle sole perdite fiscali per la Confederazione. È già noto da tempo che il sistema di privilegi fiscali concessi da alcuni Cantoni alle società di sede è mal visto tanto a livello dell’Unione Europea, quanto a livello dell’OCSE. Inoltre, sul piano interno, si rimprovera ad alcuni Cantoni di praticare – con questo strumento – una concorrenza fiscale eccessiva nei confronti dei loro vicini. D’altro canto non si può nemmeno negare che queste società privilegiate fiscalmente offrono in cambio posti di lavoro pregiati (e quindi anche buoni contribuenti, nonché importanti ricadute economiche), al punto che la Confederazione risarcirà i Cantoni che più soffriranno dall’eliminazione di questi privilegi. Ogni riforma – e in particolare quelle fiscali – tende a migliorare una data situazione, tenendo conto degli interessi particolari (in questo caso
dei Cantoni), ma soprattutto dell’interesse generale (quello dell’economia nazionale), evitando nella misura del possibile conseguenze spiacevoli. Saranno infatti interessate in Svizzera 24’000 aziende con 150’000 posti di lavoro. Il rischio che si corre è di provocare la partenza di alcune di esse verso lidi più attraenti, ciò che comprometterebbe anche l’attuale gettito fiscale per la Confederazione, che è di circa 4 miliardi di franchi. Che questa politica del compromesso (anche fiscale) abbia ottenuto in Svizzera notevoli successi, lo dimostrano le cifre delle più recenti statistiche fiscali pubblicate dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) per i 35 paesi più ricchi dell’Organizzazione. Sono stati qui valutati sia l’influsso delle strategie fiscali sullo sviluppo dell’economia, sia quello sui gettiti a favore dello Stato. Stando ai dati per l’anno 2014, la Svizzera ottiene buone note proprio per quanto concerne i gettiti fiscali dovuti alla tassazione delle aziende. Gettiti che assommavano al 2,8 per cento del prodotto interno lordo. Dieci anni prima erano del 2,2 per cento e nel 1990 soltanto dell’1,7 per cento. A dipendenza della congiuntura, questi dati variano leggermente di anno in anno. Nonostante tassi d’imposta per le aziende piuttosto bassi, la quota dei gettiti sul PIL era nettamente superio-
La riforma III dell’imposizione fiscale delle imprese è stata approvata dal Parlamento il 17 giugno 2016; il popolo si esprimerà il 12 febbraio 2017. (Keystone)
re a quella dei quattro paesi confinanti (eccetto il Liechtenstein) ed era nella media dei paesi dell’OCSE. Inoltre il PIL per abitante in Svizzera, anche tenendo conto del livello dei prezzi sensibilmente più alto, era notevolmente superiore a quello della maggior parte degli altri paesi. Ciò è sicuramente dovuto a parecchi fattori, ma anche alla politica fiscale.
Il successo della politica fiscale svizzera per le aziende si manifesta con i gettiti delle imposte sugli utili, commisurato al numero di abitanti. Nel 2014, questi introiti in Svizzera erano di circa il 50 per cento superiori a quelli della media dei paesi dell’OCSE e quasi il doppio di quelli dei paesi confinanti, nonostante nel confronto internazionale presenti sempre aliquote di
imposta sugli utili inferiori. Se, inoltre, si considera la media ponderata delle aliquote sugli utili nei capoluoghi di ogni cantone, si constata che la tassazione degli utili delle aziende è di circa un terzo inferiore a quella media dei paesi confinanti. Rispetto alla situazione attuale, il pacchetto di riforme in votazione il 12 febbraio provocherà un leggero aumento di imposte per aziende internazionali molto mobili. A breve scadenza si potrebbero quindi registrare gettiti superiori, ma le imprese piccole e medie del mercato svizzero beneficeranno di riduzioni d’imposte. Il successo del sistema fiscale svizzero è evidente non solo nel confronto internazionale. Anche sul piano puramente interno i gettiti sono infatti aumentati da 6 a 18 miliardi di franchi per le tasse sugli utili aziendali (per Confederazione, cantoni e comuni) con una crescita superiore al PIL. La cosa non è passata inosservata all’estero, per cui le pressioni sul sistema fiscale svizzero sono aumentate. Sistema che conferma che le imposte elevate aumentano i gettiti a breve scadenza, ma poi gli utili tassabili tendono a diminuire, a causa sia di manovre di aggiramento, sia di partenze, sia di minori arrivi di aziende, soprattutto se le aziende internazionali godono di una grande mobilità. La riforma attuale tende a ridurre al minimo questi inconvenienti. Annuncio pubblicitario
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 12 dicembre 2016 • N. 50
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Politica e Economia
Gli inquilini riusciranno mai a beneficiareVieledei tassi bassi? Mieter sind unzufrieden. Trotz rekordtiefer Zinsen zahlen sie
LEBEN | MM50, 12.12.2016 | 191
Migros-Bank-Ratgeber
La consulenza della Banca Migros
immer höhere Mieten. Doch jetzt hat der Trend gedreht.
Die Grafik zeigt eindrücklich, wie stark die Mieten seit Jahren in die Molti inquilini sono scontenti. NoHöhe klettern. Wer heute eine neue nostante i tassi ipotecari ai minimi Wohnung sucht, bezahlt dafür 50 Prostorici pagano affitti sempre più cari. zent mehr als im Jahr 2000. In der Con il boom delle costruzioni la tengleichen stieg die Teuerung aber denza si è invertita. Ma questoZeit causa nur um 7 Prozent. Von den rekordproblemi a sua volta. tiefen Zinsen konnten die Mieter Il grafico mostra inequivocabilmente alsoinkaum profitieren. Zwar hat sich l’impennata degli affitti corso da anni. Oggi, chi cercader un appartamento durchschnittliche Zins für Hypopaga il 50 percento intheken più rispetto seital2008 von 3,5 auf unter 1,7 2000, ma nello stessoProzent periodo l’inflaEvoluzioneverteuerdegli halbiert. Trotzdem zione è salita solo delten 7 percento. Gli affitti richiesti sich die Angebotsmieten in dieser inquilini hanno beneficiato ben poco (per i nuovi DemgegenPeriode um 17 Prozent. dei tassi d’interesse ai minimi storici. inquilini), degli über ist das allgemeine Preisniveau Dal 2008 il tasso medio delle ipoteaffitti esistenti um 2 Prozent gesunken. che si è dimezzato dalseit 3,5 2008 al di sotto (per i contratti Albert Steck
Gli appartamenti in affitto diventano sempre più cari
So haben sich Angebotsmieten (für Neumieter), Bestandesmieten (für bereits abgeschlossene Mietverträge) und Teuerung entwickelt (indexiert: 1970=100). 500
Nuovi Neumieter inquilini
400
Bestehende Rapporti d’affitto Mietverhältnisse in essere
300 Inflation
Inflazione 200
Albert Steck ist
verantwortlich für Markt- und Produktanalyse bei der Migros Bank.
von 1,75 auf 1,5 Prozent. Damit hat ein Grossteil der Mieter Anspruch auf eine Preissenkung von 2,9 Prozent. Was für die Mieter ebenfalls positiv ist: Aktuell wird enorm viel gebaut.
X
gleich über die Schweiz verteilt: Von tausend Wohnungen sind im Kanton Appenzell Ausserrhoden deren 36 unbewohnt, in den Städten Zürich oder Lausanne dagegen weniger als drei (eine Übersicht zur Wohnungsknapp-
8 200 0 200 2 200 4 200 6 200 8 201 0 201 2 201 4 201 6
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dell’1,7 percento. Nonostante ciò, i di affitto già Die Mieter folglich prezzi dei nuovi contratti d’affitto müssen stipulati) e einen 100 sono aumentati del 17 percento mendell’indice immer grösseren Teil ihres Budgets tre il livello generale fürs dei prezzi è scesoreservieren. d’inflazione. Wohnen Haushalte del 2 percento dal 2008. (Dati: UST, Wüest mit einem monatlichen Einkommen Daten: BfS, Wüest & Partner Gli inquilini sono dunque costretti a und& 8000 Partner) 6000 Franken gezwischen riservare una parte sempre maggiore ben im Schnitt bereits 20,4 Prozent del proprio budget per pagare l’affitto. so di riferimento ipotecario dall’1,75 degli alloggi vuoti. Su scala nazionale Conclusione: dopo un lungo periodo 30 000 ihres Geldes für dieall’1,5 Miete aus, gegenAlleingran dieses Jahr erhielten heit einzelnen Regionen dercoLe famiglie con un guadagno mensile percento. Di conseguenza se ne contano 45’000, il livello più altoin den difficile gli inquilini possono 16 ,9 Prozent im Jahr 2000 . Doch neue Mietwohnungen eine Baubewilüber Schweiz finden Sie unter www.blog. compreso tra 6000 e 8000 franchi parte degli inquilini ha diritto a una dal 1999, tuttavia la loro distribuziominciare a tirare il fiato. Le difficoltà Lage. An man- del 2,9ligung, doppelt wie noch vor migrosbank.ch). spendono in media ilnun 20,4 bessert percentosich per die riduzione dell’affitto percento. neso sulviele territorio svizzero è ben poco continueranno a non mancare per chen Ortendelsind diePer Preise schonè jetzt Der Boomnell’Appenzello hat bereits zuEsterno l’affitto, rispetto al 16,9 percento gli inquilini positivo zehn anche Jahren. il omogenea: abitare in città, ma chi si sposta negli 2000. Ma la situazione sta miglioranfattoim chekommenden si sta costruendo einem moltissi-massiven 36 appartamenti mille sono vuoti, agglomerati urbani ritrova alternative leicht gesunken. Und Fazit: Nach einer langen DurststreAnstieg der su leerstedo. In alcune localitàJahr i prezzi hanno ich sogar mo. Solo quest’anno rilasciataObjekte nelle città di Zurigo o Losanna sono accettabili. erwarte einen flächen-è statahenden cke bessert sich die Lage der Mieter. geführt. Schweizweit già dato i primi segnali di cedimento. una licenza edilizia tre 000 (una–panoramica della die deckenden Rückgang. Der Grund istper 30’000 Zwar muss man weiter mit harten sindnuovi es derzeitmeno überdi45 E l’anno prossimo midie aspetto addiritappartamenti in affitto, il doppio penuria di alloggi nelle diverse regioni All’indirizzo voraussichtliche Abnahme des hy- höchste Zahl seit 1999. Diese LeerBandagen kämpfen,www.blog.bancamigros.ch um in der Stadt tura una flessione su scala nazionale. Il rispetto a dieci anni fa. Il boom ha è pubblicata all’indirizzo www.blog. sono pubblicate altre utili informazioni stände sind allerdings höchst unpothekarischen Referenzzinssatzes zu wohnen. Wer aber in die Agglomemotivo è la prevista riduzione del tasgià provocato un massiccio aumento bancamigros.ch). per gli inquilini. 197
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Politica e Economia Rubriche
Il Mercato e la Piazza di Angelo Rossi Tanto rumore per quasi nulla Nel corso delle ultime settimane le pagine economiche dei maggiori quotidiani svizzeri, e anche quelle di qualche domenicale, si sono occupate largamente di due studi dai risultati apparentemente provocatori. In ordine di tempo il primo ad apparire è stato lo studio di Avenir Suisse, un think tank economico zurighese che venera il potere del mercato, sulle banche cantonali. Chissà perché questo gruppo di ricercatori si è dilettato a calcolare quanto dovrebbero pagare i Cantoni se le loro banche cantonali dovessero fallire. Forse in omaggio alla famosa legge di Murphy che, come è risaputo, afferma che se qualcosa può andare storto, lo farà? Vediamo! Quello che non lascia dormire i ricercatori di Avenir Suisse è la garanzia che quasi tutti i Cantoni che possiedono banche cantonali danno ai loro istituti. È evidente – tocchiamo ferro – che se una banca cantonale dovesse fallire il Cantone che presta la garanzia sarà chiamato a pagare e per lui, ovviamente, i suoi contribuenti. Lo scenario non è impossibile. Ginevra ha
già fatto questa esperienza pagando a caro prezzo il fallimento della sua banca cantonale. Soletta e Appenzello esterno si sono salvati per il rotto della cuffia vendendola ad altre banche. Facendo i conti, il fallimento delle banche cantonali potrebbe costare molto ai Cantoni. Per esempio, nel caso del Ticino, Avenir Suisse stima che il Cantone dovrebbe mettere sul tavolo 312 milioni, il che equivarrebbe, più o meno, ad un aumento della spesa annuale del Cantone e del debito pubblico del 10%. Avenir Suisse raccomanda quindi ai Cantoni che ancora si fanno garanti delle loro banche cantonali di privatizzarle per evitare di vedersi piombare addosso una grossa ipoteca in caso di fallimento delle stesse. In effetti però la finalità perseguita dagli autori non è tanto quella di avvertire i Cantoni quanto quella di argomentare in favore di un passaggio, il più rapido possibile, delle banche cantonali in mano private. Per loro la banca cantonale deve scomparire per due ragioni: in primo luogo perché essa oggi non ha più ragione di esistere in
quanto il risparmio e il credito a livello locale possono essere benissimo gestiti da istituti nazionali e internazionali e, in secondo luogo, perché tutto quello che è statale è, per loro, in contrasto con l’efficienza economica. I lettori che hanno un conto in Banca Stato non si preoccupino: non sarà con questo tipo di argomenti che la banca verrà venduta. Qui si fa tanto rumore per nulla. Il secondo studio che ha destato molto interesse nelle ultime settimane è quello dell’Ufficio dell’economia del Canton Zurigo sull’occupazione dei lavoratori immigrati. Stando a questo studio solo il 20% di questi lavoratori sono occupati in rami nei quali si manifesta una carenza di lavoratori qualificati. Il resto va ad occupare posti di lavoro per i quali, secondo questo studio, ci sarebbero abbastanza candidati residenti in Svizzera. Se fosse veramente così, è la nostra conclusione, per equilibrare offerta e domanda sul nostro mercato del lavoro basterebbe 1/5 dell’immigrazione che registriamo attualmente. Conosciamo il rapporto dell’Ufficio dell’economia
zurighese solo per quel che abbiamo potuto leggere nella stampa. Tuttavia ci sembra difficile che, nel corso degli ultimi anni, il mercato del lavoro svizzero avrebbe potuto rispondere al forte aumento della domanda di lavoratori facendo ricorso, nella misura dei 4/5, solo a lavoratori già residenti nel paese e non ancora occupati. A parte il problema dell’idoneità, ossia quello di trovare il lavoratore giusto per il posto giusto, l’interrogativo maggiore sarebbe stato di carattere quantitativo: il tasso di attività della popolazione residente, in particolare di quella femminile, avrebbe dovuto aumentare molto di più di quanto sia riuscito a fare. Secondo noi è quindi difficile equilibrare offerta e domanda di lavoro senza ricorrere a una significativa immigrazione di lavoratori dall’estero. Questo almeno fino a quando la domanda di lavoro continuerà ad aumentare. In futuro però la valvola dell’immigrazione non sarà più disponibile nella misura che lo fu per il recente passato. Le alternative saranno quindi due: la prima è che le aziende
che cercano lavoratori, in particolare quelle che vogliono lavoratori a buon mercato, lascino il paese; la seconda è che, grazie a forti incrementi della produttività nei processi produttivi il capitale si sostituisca al lavoro. Le due alternative porteranno inevitabilmente a un forte incremento dei salari e quindi a una erosione del grado di competitività della nostra economia sui mercati internazionali. Non dovremo aspettare molto per vedere che cosa succede in un’economia nella quale l’offerta di lavoro si fa rara e viene amministrata dallo Stato. Il parlamento ha approvato la settimana scorsa le misure con le quali si vuol dar seguito all’iniziativa che intendeva limitare l’immigrazione di massa. Se non interviene il referendum contro le stesse già nel corso dei prossimi due anni il mercato del lavoro svizzero dovrà adeguarsi alle nuove regole. Scommettiamo che il tasso di attività della popolazione residente non si muoverà, nemmeno di un decimo, e il tasso di disoccupazione resterà quello che è?
lavorarono alla campagna di Cruz, prima dell’infatuazione trumpiana. È anche per questo che la festa natalizia a casa Mercer quest’anno aveva un significato enorme, e Kellyanne Conway è stata la prima a rilanciarne l’importanza, twittando una proprio foto in costume: era vestita da Wonder Women. Il tema della festa era «Villains and Heroes», cattivi ed eroi, sintesi perfetta del ruolo che questa famiglia anti establishment sta assumendo nel diventare l’establishment sostitutivo del mondo di Trump. Gli invitati hanno approfittato della festa lussuosissima per regolare qualche conto: pare che ci fossero almeno tre signore vestite come il giudice della Corte suprema Ruth Bader Ginsburg, che durante la campagna elettorale aveva definito il candidato repubblicano un «falsificatore» e poi era stata costretta a scusarsi, perché i giudici non dovrebbero mai intervenire direttamente nella politica. Il magnate
della Silicon Valley trumpiano, il celebre Peter Thiel, che ha donato a Trump 1,25 milioni di dollari, si è vestito da Hulk Hogan, l’ex wrestler che ha fatto causa al sito Gawker per violazione della privacy: Thiel ha finanziato (clandestinamente per buona parte del tempo) la causa di Hogan, che ha portato Gawker, sito odiato da Thiel, al fallimento. Una vendetta in grande stile, che ben riassume lo spirito della festa del mondo Trump: c’era una gran voglia di celebrare il presidente eletto e tutti i suoi sostenitori facendosi beffa dei democratici e della bolla mediatica che ha combattuto contro il candidato impresentabile, ha perso e ancora non si è ripresa dallo shock. Naturalmente alla festa dei Mercer non poteva mancare Nigel Farage, ex leader degli indipendentisti britannici ora coccolatissimo da Trump, che sogna di dargli un posto-ponte tra la sua Amministrazione e il popolo della
Brexit: Farage era vestito da ammiraglio Lord Nelson e spiegava la sua scelta così: «Quello che lui ha fatto con i cannoni noi l’abbiamo fatto con i voti, giusto?» Fino all’ultimo è sembrato che Trump non riuscisse a partecipare alla festa: era in viaggio negli Stati del mid-west per il suo «thank you tour», il giro del ringraziamento, ma ha infine deciso di passare a ringraziare anche i Mercer e i loro invitati. I giornalisti non erano ammessi, ma alcuni ospiti hanno raccontato – coperti da anonimato – che Trump si è fermato per un paio d’ore, ha fatto un discorso di una ventina di minuti in cui sostanzialmente ha ringraziato i presenti, molti dei quali hanno contribuito con soldi, idee e lavoro pratico alla sua elezione. Quando gli è stato chiesto qual era il suo costume, ha risposto semplicemente: «Me», sono vestito da me stesso, e ancora non sappiamo se lui sia un eroe, o un cattivo.
all’Argentina, patria del peronismo, e a tanti altri Stati dell’America centrale e meridionale, dove la certezza del diritto è soltanto una nuvola passeggera. Ma ecco la novità di questi nostri anni: populismo non è più una pianta tropicale, che prospera solo nelle repubbliche delle banane, ma un’onda intrisa di rancore che sta allagando tutto lo spazio liberal-democratico. Dal sottosuolo di un malessere dalle molte facce – disoccupazione, povertà, immigrazione, socialità declinante – è improvvisamente fuoriuscito un getto che promette di spazzar via tutti i privilegi e tutte le rendite di posizione. L’intento non è privo di giustificazioni. Uno dei più citati è la disuguaglianza cresciuta a dismisura negli ultimi anni, unita allo strapotere delle élites: l’aristocrazia del denaro, le grandi banche, le multinazionali, le istituzioni europee e mondiali che, da stanze invisibili, muovono le leve del sistema
finanziario, decretando la salvezza degli uni e la dannazione degli altri. In precedenza, contro i poteri costituiti (l’«establishment»), si erano scagliati gli antiglobalisti, movimenti apparsi per la prima volta nel 1999 a Seattle, a margine della conferenza dell’Organizzazione mondiale del commercio. Al grido «Il mondo non è in vendita» e «Un altro mondo è possibile», i «no-global» occuparono la scena per alcuni anni, da Porto Alegre a Genova, muovendo guerra a tutti i vertici dei governi e delle grandi istituzioni: manifestazioni che spesso degenerarono in violenti scontri di piazza. Poi fu la volta della Borsa di New York, simbolo della finanza tentacolare, contestata dai gruppi di «Occupy Wall Street» che si erano organizzati in picchetti con tanto di tende montate nei giardini pubblici. Ora tutto questo è sparito, oppure è stato risucchiato dalle ruote dentate
della storia. Nel vuoto che i «noglobal» hanno lasciato si è formata una galassia gelatinosa che gli analisti ancora non sanno come qualificare. Neo-populismo? Rivolta dal basso? In parte. Perché è difficile credere che le vecchie élites abbiano ceduto lo scettro ai movimenti nazionalistici intenti ad attizzare il fuoco del risentimento collettivo. Ampie porzioni dei ceti medio-bassi hanno sì voltato le spalle alle socialdemocrazie e all’impalcatura sociale eretta nel secondo dopoguerra, ma non è per nulla certo che i neo-gruppi dirigenti, espressione di plutocrazie e diretti da miliardari, difenderanno gli interessi di chi li ha eletti. Tutti dicono di «servire il popolo» (vecchia testata dei maoisti italiani), ma poi, alla prova dei fatti, fanno tutt’altro. Nel frattempo la galassia cresce, si allarga, assorbe l’umor nero di una società che non sa più orientarsi.
Affari Esteri di Paola Peduzzi Trump mascherato da Trump È dal Natale del 2009 che la famiglia Mercer organizza una festa in maschera nella sua tenuta a Long Island (è chiamata Owl’s Nest, sulla rete ci sono le foto della villa vista dall’alto), un appuntamento imperdibile cui negli anni hanno partecipato centinaia di amici, di businessmen, di politici (soprattutto Ted Cruz, senatore del Texas che era la prima scelta della facoltosa famiglia newyorchese) e che ha regole severissime: gli invitati hanno accesso a un sito web segreto in cui possono ispirarsi per i costumi da indossare. I Mercer, che fanno capo al settantenne milionario hedge-funder Bob, che è anche capo della Renaissance Technologies e partecipa a tornei di poker internazionali (impazzisce per i numeri e gli schemi), sono molto riservati e poco ciarlieri, si sa solo che sono ricchissimi e che da anni lavorano per una restaurazione in chiave libertaria del Partito repubblicano, con infatua-
zioni per i Tea Party e molte critiche ai leader conservatori tradizionali. Rebekah Mercer, una delle tre figlie del magnate Bob e della moglie Diana, è al momento il volto più noto della famiglia, perché compare nel team della transizione dell’Amministrazione in divenire del presidente eletto Donald Trump. Rebekah, Bekah per gli amici, è anche la regista del team elettorale di Trump: molti dei volti nuovi arrivati con l’allora candidato repubblicano sono cresciuti nell’orbita dei Mercer. In particolare ci sono Steve Bannon, ex direttore del sito Breitbart e ora nominato capo della strategia della Casa Bianca trumpiana, e Kellyanne Conway, portavoce di Trump, assunta ad agosto dalla campagna elettorale: quando nel 2011 Breitbart era in ristrettezze finanziarie, Mercer fece un investimento che, secondo Bloomberg, ammonta a 10 milioni. Kellyanne invece è amica della figlia Mercer da anni, e insieme
Cantoni e spigoli di Orazio Martinetti Tutti impegnati a servire il popolo Che cos’è questo rumore sordo che attraversa le pareti, questa falda freatica che lentamente sale dalle cantine, questo rubinetto spanato che non si riesce più a chiudere? È lo scontento fattosi ribellione che pian piano sta invadendo l’edificio della democrazia, in primo luogo i canali tradizionali della rappresentanza. Per descrivere questo fenomeno circola da tempo una parola: «populismo». È la rivolta popolare che nasce nel seminterrato dei ceti dimenticati o traditi, e che poi si propaga ai piani superiori, travolgendo tutto quanto incontra lungo il suo cammino: i partiti, i sindacati, le associazioni, i media. La sua meta finale è la classe politica al governo, vampiro vorace e insaziabile. Populista – spiegano gli studiosi – è di regola il politico che si appella direttamente al popolo, scavalcando tutte le mediazioni. Congressi e assemblee gli servono solo come passerella promo-
zionale, non come luogo di proposta, discussione, elaborazione di progetti. Il suo terreno privilegiato è il sistema maggioritario, generatore di logiche manichee: o con me o contro di me. Le sue armi sono la retorica e la possibilità di controllare/condizionare le fonti d’informazione. Ama decidere, e quindi disprezza i negoziati e la concertazione tra le parti sociali. Per raggiungere lo scopo, deve comunque disporre di mezzi finanziari ingenti. Accumulare ricchezza è quindi operazione indispensabile per poter sbaragliare la concorrenza. Non esiste un populista povero. Le democrazie meno corazzate – malferme, prive di un’architettura solida e di un sistema fatto di pesi e contrappesi – rappresentano il terreno ideale per la fioritura del populismo. Si pensi alla Russia, che dagli zar a Putin non ha mai conosciuto un regime democratico alla Montesquieu; oppure
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Cultura e Spettacoli Di un angelo che non esiste A Losanna una mostra labirintica indaga un mistero delle Ande con finale a sorpresa pagina 39
Jane Austen 2.0 Prendendo spunto da un romanzo giovanile dell’osannata Jane Austen, a Whit Stillman è riuscita un’operazione cinematografico-letteraria encomiabile
Puccini e la farfalla Alla Scala di Milano ambientazioni esotiche e ispirate per Madama Butterfly
La vera musica ticinese Musiques Suisses dedica l’ultimo CD a una raccolta ragionata di musiche popolari ticinesi
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L’anatomia del contrasto Mostre Alla Pinacoteca Comunale Casa
Rusca di Locarno le opere dello scultore messicano Javier Marín
Alessia Brughera Nudi, possenti e imperfetti. Nudi perché è solo così che possono manifestare la loro intensa fisicità, il loro essere pura forma umana. Possenti perché è solo così che possono raggiungere una drammatica forza espressiva. Imperfetti perché è solo così che possono diventare emblema dell’inadeguatezza dell’esistenza. I corpi scolpiti dall’artista messicano Javier Marín si impongono al nostro sguardo con una veemenza che non lascia indifferenti. Trasgressivi e inquieti, questi esseri dalle anatomie spezzate e dalle pose esasperate ci obbligano a scrutarli in ogni dettaglio, a percorrere con occhio attento le loro superfici irregolari per coglierne tutte le corruzioni, generando in noi un misto di attrazione e repulsione. Le grandi teste dalle capigliature concitate e dai lineamenti accentuati, i corpi dagli arti allungati e dalle muscolature espanse non possono non ricondurre il lavoro di Marín a un passato classico e alla cifra stilistica di alcuni maestri che in epoca rinascimentale, manierista e barocca hanno trovato nell’enfatizzazione delle forme umane e nelle loro torsioni dinamiche un mezzo espressivo di rara efficacia. Tornano alla mente le vigorose figure michelangiolesche, le deformazioni del Parmigianino, le spregiudicate dilatazioni del Pontormo o del Rosso Fiorentino, le sinuose estensioni del Greco, il vitalismo plastico del Bernini. Marín impasta questi richiami alla storia dell’arte europea con la sua sensibilità latino-americana, filtrandoli attraverso le immagini e le reminiscenze legate alla cultura della sua terra. Una rielaborazione, questa, che ha condotto
le sue sculture verso una libertà formale inedita, verso una sperimentazione ardita capace di allontanarsi da quegli stessi precetti presi a modello per presentarsi in una prospettiva profondamente contemporanea. La Pinacoteca Comunale Casa Rusca di Locarno dedica una mostra a questo artista, nato nel 1962 a Uruapan (nello Stato di Michoacán), portando per la prima volta in territorio elvetico una nutrita serie di suoi lavori. Vi sono raccolte opere che testimoniano il percorso creativo di Marín dalla metà degli anni Novanta a oggi, un arco temporale che ha visto il suo nome consolidarsi nel panorama artistico internazionale con un centinaio circa di esposizioni personali e più di duecento partecipazioni a collettive un po’ in tutto il mondo. Negli spazi locarnesi, complice il suggestivo allestimento curato dall’architetto Mario Botta, le sculture di Marín sanno trasportarci in una dimensione sospesa tra passato e presente, una sorta di limbo temporale in cui le figure disarticolate e smembrate si sottraggono a un’attribuzione storica precisa, proiettate come sono in una realtà che sa scomporre l’antico per reinventare il moderno. Sono opere drammaticamente umane quelle di Marín, lavori in cui il corpo emerge nella sua natura contraddittoria, contenitore di vita da una parte, organismo sottoposto al decadimento dall’altra. Perché se è il corpo che attesta l’esistenza dell’uomo è anche ciò che ne prova l’ineludibile vulnerabilità. Le sculture dell’artista sembrano farsi rappresentazione di questa verità: con le loro forme imponenti ed espressive, ma vuote, sconnesse e lace-
Javier Marín, Grupo L 1012, 2016, resina poliestere e filo di ferro. (© 2016 Enrico Cano)
rate, ci ricordano la grandezza e la miseria di ogni individuo. Marín disgrega i suoi nudi femminili e maschili per poi riassemblarne le varie parti in maniera approssimativa, quasi a voler curare le ferite che la vita vi ha impresso. Deturpate, rotte, con le superfici scabre inquinate da residui di elementi plastici e metallici, queste figure sono spesso tenute insieme da fili di ferro che ne penetrano le carni nel tentativo di ricostituire un’unità perduta. Anche nella scelta dei materiali l’artista ambisce a esprimere appieno l’umanità delle sue opere. Le plasma con la terracotta, «un materiale vivo dotato dell’umidità che può avere la pelle», con il bronzo e, negli esiti più recenti, con la resina poliestere, attraverso la quale riesce a emulare con effetti di grande realismo la consistenza e il colorito dell’epidermide. Marín mescola questa sostanza con elementi organici quali petali di fiori, tabacco, amaranto e persino carne essiccata, ingredienti naturali che vanno ad animare la materia traslucida con delicate sfumature e, al contempo, simboleggiano con la loro deteriorabilità la caducità del corpo umano.
Por aquí, por aquí, del 1995, è una sagoma femminile monca, forata, rivestita di tagli e incisioni a sciuparne senza sosta la superficie, che sa però ergersi fiera nella sua incompiutezza come un’antica dea, in una posa impetuosa che pare congelata nel tempo e che lascia una traccia nella forte espressività del viso. Volti ancor più incisivi sono quelli della serie Barbudo, del 2005, con grandi occhi dalle palpebre colanti, folte barbe dai riccioli svolazzanti e quel piglio austero e imperturbabile che conferisce loro un’aura enigmatica. I corpi di Marín giacciono esanimi, distesi rigidamente con le mani dalle lunghe dita appoggiate sul petto, a farci riflettere sul confine tra essere e non essere; sono ammucchiati l’uno sull’altro, fondendo le membra in un’unica massa, a ricordarci il comune e tragico destino che ci attende; vengono ingigantiti in alcune loro parti e poi ingabbiati in cornici di legno, a significare la condizione umana divisa tra impulso vitale e costrizione. Nel percorso di mostra colpisce per impatto visivo Mujer Suspendida,
un’opera del 2015 in resina ricoperta di pittura dorata. Appesa al soffitto, questa scultura dalle forme abbondanti mutilate e ricucite richiama nella parte superiore la figura di una santa martire, con l’espressione devota e le mani giunte, e nella parte inferiore la figura del Cristo crocefisso. Per metà femminile e per metà maschile, carnale e spirituale insieme, è metafora e sintesi degli opposti che dimorano nella natura umana. Quella di Marín è un’estetica in cui la concessione formale, l’iperbole plastica e il trattamento difettoso della materia divengono lo strumento per penetrare intimamente la corporeità dell’uomo e per restituirla in ammalianti e controverse visioni che si fanno territorio d’incontro di sogni e angosce. Dove e quando
Javier Marín. Pinacoteca Comunale Casa Rusca, Locarno. Fino all’8 gennaio 2017. A cura di Rudy Chiappini. Orari: ma-do 10.00-12.00/14.00-17.00, lu chiuso. www.museocasarusca.ch
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Cultura e Spettacoli
Il mistero di un angelo andino a Losanna
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Mostre Il Musée Romain di Vidy propone
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un’originale esposizione
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Marco Horat
Questa settimana «Cinemando» è sul web Su www.azione.ch/spettacoli troverete le novità cinematografiche della settimana a cura di Fabio Fumagalli. In cartellone anche Sully, il nuovo film di Clint Eastwood con Tom Hanks e Laura Linney.
La locandina della mostra in corso a Vidy.
vari specialisti), sono riusciti nell’impresa di sorprendere anche il visitatore più smaliziato lungo un labirinto buio che si percorre seguendo degli spot luminosi, disseminato di colpi di scena, accompagnati da un iphone che funge da guida con voci di attori romandi che interpretano i vari personaggi che popolano il cammino di Pablo. L’esposizione è accompagnata da una serie di iniziative collaterali. Prima di tutto perché la storia appena raccontata è stata inventata di sana pianta: non esistono Pablo, né vasi in argento, tantomento un dio di nome Rijkallpa o Helmut Schneider. I documenti storici e i reperti delle civiltà precolombiane esposti nelle vetrine sono rigorosamente dei falsi creati espressamente per questa mostra da maestri orafi e ceramisti sotto la guida di archeologi, rispettando le regole dell’arte precolombiana. Sempre senza dimenticare che il castello di fantasie è comunque basato su elementi scientifici emersi nel corso di scoperte realmente avvenute in Perù in questi ultimi decenni, spesso clamorose. Di qui il fascino di questa avventura fantascientifica nel vero senso della parola, proposta dal museo losannese. Ci si può chiedere a quale scopo; solo un gioco per sorprendere il visitatore? Risponde la curatrice Sophie Weber: «No, certo. Oltre al piacere che sempre si prova quando siamo coinvolti in una storia intrigante ci sono molte informazioni scientifiche per familiarizzarci con le civiltà precolombiane. Ma la mostra vuole anche far riflettere su alcuni temi: i problemi legati al mercato grigio-nero dei reperti archeologici (che interessa anche il nostro Paese), il confine sottile e ambiguo che divide un reperto originale da uno falso, il lavoro degli archeologi con le loro scoperte e le conclusioni che ne traggono non sempre scientificamente dimostrabili, il tema affascinante in tutte le culture dell’origine del mito e della sua persistenza nella realtà, quindi il valore che bisogna accordare alla cultura popolare e alla tradizione». Molta carne al fuoco dunque, cucinata da cuochi provetti con immaginazione, con l’intento di fare cultura divertendo a pro’ di un pubblico che ha comunque fame di sapere e capire. Dove e quando
L’ange des Andes, Musée romain de Lausanne-Vidy, fino all’8 gennaio 2017. Orari: ma-do 11.00-18.00. www.lausanne.ch/mrv
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Una storia incredibile quella messa in scena sulle sponde del Lemano in una mostra dai contorni decisamente inusuali. Tutto comincia nel 1996 durante un viaggio turistico in Perù quando un giovane tecnico svizzero di nome Pablo con la passione dell’aeromodellismo incontra un vecchio contadino, che si rivela poi essere uno sciamano, e viene a conoscenza di un’antica leggenda locale. È il racconto di un mito che ha per protagonista il dio Rijkrallpa sceso sulla terra con ali di condor alle quali rinuncia per poter condividere con gli uomini la loro dura vita. Pablo, educato nella religione cristiana, rimane impressionato da questo racconto che gli ricorda la vicenda del suo Gesù fattosi uomo per salvare l’umanità. In seguito in un negozio di antiquariato vede un vaso precolombiano d’argento decorato con figure che gli sembrano proprio rappresentare il mito di Rijkrallpa. Lo acquista, consapevole dei rischio, sapendo che il commercio di reperti archeologici è sottoposto a leggi severe e che il mercato è inondato di falsi. Tornato in Svizzera si dedica a una ricerca per ottenere maggiori informazioni sulla divinità incontrata a Lima, ma nessuna fonte parla di quel dio. Perfino uno studioso interpellato a proposito gli conferma che il nome di Rijkrallpa non compare in nessun testo né del passato né del presente. Si tratta dunque di una storia inventata ad uso dei turisti? Pablo è testardo oltre che curioso e non è convinto di questa spiegazione, anche perché nel Museo de las Americas di Madrid ha visto un vaso con una figura alata, interpretata però come quella di un contadino che porta un cesto sulle spalle. Pablo ritorna in Perù, più determinato che mai a far luce sul mito: inizia una minuziosa ricerca che durerà anni, tra alti e bassi, e lo porterà a viaggiare in lungo e in largo per il Paese, visitando musei e incontrando studiosi che si sono confrontati con le antiche civiltà chimu, mochica e inca. Tra questi vi è l’archeologo tedesco Helmut Schneider che ha scoperto una stele del 3600 a.C. con gli stessi simboli – una figura alata, una specie di sole con lunghi raggi e un serpente a due teste in forma circolare – di quelli presenti sul vaso acquistato a Lima. Le ricerche sul mito di Rijkrallpa continuano così più serrate di prima, tra vicende appassionanti e ritrovamenti archeologici clamorosi, come si scopre percorrendo le sale dell’esposizione di Vidy... fino alla clamorosa e inattesa conclusione che non rivelerò, per non togliere a chi legge il gusto della scoperta personale. Laurent Flutsch direttore del Museo romano di Losanna-Vidy e Sophie Weber che ne è la curatrice (nonché artefice di questa esposizione decisamente fuori contesto che ha coinvolto
Condizioni di partecipazione: Termine di invio: 24 dicembre 2016. Il concorso è aperto a tutte le persone domiciliate in Svizzera, eccetto le collaboratrici e i collaboratori della federazione dei Produttori Svizzeri di Latte (PSL). I premi non sono corrisposti in contanti. Sul concorso non si tiene alcuna corrispondenza. Il ricorso è escluso. Partecipando al concorso, Lei autorizza la federazione dei Produttori Svizzeri di Latte (PSL) e i suoi partner a utilizzare i dati per eventuali scopi di marketing. I dati saranno trattati con la necessaria confidenzialità.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 12 dicembre 2016 • N. 50
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Cultura e Spettacoli
Escamotage ottocenteschi
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Narrativa Il regista Whit Stillman «ripesca»
Jane Austen e ci regala un film e un romanzo
«Una scrittrice incurante della punteggiatura e della verità, zelante soltanto nell’obbedire agli ordini dei suoi aristocratici benefattori». Zitella, pure. E antipatica. Così un certo Rufus Martin-Colonna de Cesari-Rocca strapazza Jane Austen, scribacchina colpevole di aver rovinato (in un romanzo giovanile che fu pubblicato postumo) la reputazione della sua amata zia Susan Vernon. Lady Susan è il titolo del romanzo sotto accusa. Romanzo epistolare: a quei tempi il carteggio era un espediente per garantire che la vicenda era raccontata dai protagonisti, senza l’impiccio di narratori onniscienti e ficcanaso. Magari tanto sfacciati da sgridare il lettore: «come mai sei ancora lì mentre le cose interessanti succedono altrove?» (il rimbrotto non l’abbiamo inventato al momento, viene da Tom Jones di Henry Fielding). Una certezza nella storia letteraria è infatti l’antichità del postmoderno: per gli increduli, nei Meridiani Mondadori è appena stato ristampato – con divagazioni, interrogativi rivolti al lettore, pagine graficamente audaci – Vita e opinioni di Tristram Shandy, gentiluomo, pubblicato da Laurence Sterne nel 1767. Jane Austen scrisse Lady Susan a vent’anni, ed era molto più cinica di come la conosciamo. Elizabeth Bennet briga parecchio, per conquistare l’amatissimo e malmostoso Mr Darcy. Mai quanto Lady Susan, che avanza tra inganni e doppi giochi per uscire dalla condizione di vedova con figlia a carico. Cerca un marito benestante (e generoso) e intanto fa la civetta, con grave danno per la reputazione. Non può parlare con la migliore amica Alicia (il marito di lei minaccia di rimandarla in Connecticut) quindi si scrivono lettere. A scompigliare le carte è intervenuto Whit Stillman, il regista newyorkese di Metropolitan e Last Days of Disco. Legittimo aver dimenticato il suo nome e i suoi film, in 26 anni ne ha girati cinque. L’ultimo – Amore e inganni – ripesca proprio Lady Susan. Toglie di mezzo lo scambio epistolare, cambia il finale, costringe due attrici americanissime come Kate Beckinsale e Chloe Sevigny all’accento britannico (impeccabili, secondo il critico del «Guardian»). Gira un film perfettamente austeniano, e lo accompagna con un romanzo altrettanto austenia-
no. Ma ancora non siamo arrivati al misterioso Rufus Martin-Colonna de Cesari-Rocca, e alla sua censura sulla zitella scribacchina Jane Austen. Capita che da film di successo si traggano romanzi. Prima esce il film, e poi arriva la «novelization»: un libro che ne sfrutta il successo. Di solito lo firmano scrittori di cui non ricordiamo il nome (anche perché compaiono in piccolo sulla copertina). Amore e inganni – inteso come romanzo, in italiano esce da Beat – è la prima novelization per intellettuali. A firma Whit Stillman, il titolo completo recita: Amore & inganni, ovvero Lady Susan Vernon di Jane Austen finalmente vendicata. Il romanzo si finge scritto (e pubblicato nel 1858) appunto da Rufus Martin-Colonna de Cesari-Rocca, nipote di Lady Susan Vernon. Che non era intrigante, non sfruttava un’amica priva di mezzi come dama di compagnia, non mostrava amore materno a fasi alterne, non usava il suo fascino per rovinare le famiglie. Al contrario: «era la donna più dolce e deliziosa che si potesse conoscere, una gentildonna incantevole la cui reputazione è stata guastata da una scribacchina vigliacca nascosta dietro l’anonimato». Alla fine del romanzo che ristabilisce la verità (nel frattempo Rufus ha svelato anche qualche suo pasticcio negli affari; ma non importa, ormai aspira solo alla gloria letteraria) viene ristampato il carteggio originale. Con i commenti: questa lettera è vera, quest’altra inventata di sana pianta dalla zitellona. Whit Stillman ha l’aria di essersi molto divertito, come deve essersi molto divertito Julian Fellowes a scrivere Belgravia (esce da Neri Pozza). Lo conosciamo per la sceneggiatura della serie tv Downton Abbey, e prima ancora per la sceneggiatura di Gosford Park girato da Robert Altman. A partire dallo scorso aprile, Belgravia si poteva leggere a puntate su un’app, proprio come a puntate uscivano i bestseller dell’Ottocento. Oltre al testo, l’applicazione consentiva di godersi anche la versione arricchita con gli alberi genealogici delle famiglie, i ritratti dei personaggi, la mappa del lussuoso quartiere londinese, la pianta delle case, fotografie dell’epoca (siamo nel 1840, ma le basi per l’intrigo d’amore e di classi sociali sono poste nel 1815). Il romanzo vittoriano va a nozze con le nuove tecnologie.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 12 dicembre 2016 • N. 50
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Cultura e Spettacoli
Un intellettuale a modo suo
In memoriam Una collaborazione, quella di Giovanni Orelli con il settimanale «Azione»,
durata quattro decenni, e che lascia a tutti un ricordo commosso e grato
Simona Sala
Giovanni Orelli, qui in un camerino, amava anche scherzare e prendersi in giro. (Keystone)
derive nazionaliste che vanno di moda oggi. Mentre fra gli intellettuali ticinesi prevaleva il culto di un’italianità a volte rischiosa dal profilo ideologico, Orelli guardava, incuriosito, oltre Gottardo. Nella Confederazione, dove godeva di notorietà e stima, ravvisava un modello democratico ben funzionante e, grazie al plurilinguismo, una necessaria apertura verso altri orizzonti. Un mezzo, insomma, per sottrarsi alla trappola del regionalismo cantonale. Con ciò, è sempre rimasto vivo il legame con la terra d’origine, la Valle Bedretto, protagonista, con il suo paesaggio, il suo clima, la sua gente, di tante pagine e tante ricerche. Del resto, Giovanni ne recava, fisicamente, le impronte: da montanaro solido e vigoroso, diventato, poi, un luganese d’adozione, e un cittadino aperto al cambia-
mento e ai luoghi lontani, in particolare New York, predilezione ovviamente apprezzata da parte mia. Con Giovanni Orelli entrai in contatto, e tramite questo settimanale, alla fine degli anni Settanta. Come giornalista, e come madre, assistevo, sconcertata, al cambiamento in atto nell’ambito didattico ed educativo. Il ginnasio stava per essere sostituito dalle medie unificate e, nei programmi liceali di storia e letteratura, il percorso cronologico cedeva il posto ai cosiddetti «prelievi». Il termine incuriosiva e insospettiva. Per saperne di più, mi rivolsi a Giovanni Orelli, professore, per un’intervista. Non ricordo se, da quella conversazione, uscirono argomenti in grado di convincere i lettori della bontà di un cambiamento che portava l’impronta del ’68. Per quel che mi concerne, i dubbi sui «prelievi»
permangono. E poco importa. Quel che conta fu l’avvio di una collaborazione fra l’«Azione» e Orelli che ha rappresentato un privilegio, sul piano professionale e umano. Nel corso dei decenni, la presenza di Orelli doveva trasformarsi, per via naturale, in un punto fermo. Si cercava un commentatore attuale di Dante, ed ecco che lui suggerisce il più giusto, Vittorio Sermonti. Un giovane scrittore chiede un giudizio per i suoi testi? E, di nuovo, si ricorre a Orelli. Si è in dubbio su una citazione? Sarà ancora lui a trarci d’impiccio. Ma, evidentemente, il rapporto non si limita a quello prezioso di una fonte enciclopedica. Ad attribuirgli un’altra dimensione è l’amicizia che ci ha riservato. Personalmente, in momenti difficili, ho apprezzato un suo bigliettino, una sua chiamata.
Autenticità e artificio in Ticino
Meridiani e paralleli Proponiamo ai nostri lettori uno degli ultimi articoli inviatici
da Giovanni Orelli, in cui con lucidità e sincerità, si confronta anche con il Ticino di oggi
Keystone
Giovanni Orelli Sono usciti negli ultimi anni alcuni molto utili volumetti per lodevoli scelte degli editori Dadò di Locarno e del Casagrande di Bellinzona: nulla so circa la diffusione di questi volumetti (che segnalerò fra poco, brevissimamente) presso il pubblico ticinese. Confesso di avere più di un timore in proposito. L’amore per un paese, come l’amore per una persona, è fondato in gran parte sulla conoscenza soda che si ha di quel paese, di quella persona. La conoscenza si nutre in buona parte dalla conoscenza storica. Penso alla diffusione ai giorni nostri. Uno dei volumetti che segnalo appena, quello di Emilio Motta, Come rimanesse svizzero il Ticino nel 1798, a c. di Silvano Gilardoni, è stato ristampato nel 1992, con l’avvertenza che «Questo scritto, che fu pressoché ignorato alla sua uscita, (1888 e, rifacimento, 1898) e che anche la ricerca storica del nostro tempo tende a dimenticare...». Una curiosità che probabilmente molti ticinesi ignorano: Basilea fu prima nel rinunciare alla sovranità sulle terre ticinesi. Il 13 febbraio 1798, «Basilea offriva a Lugano ed alle altre prefetture, libertà, fratellanza ed amicizia; libertà per scegliersi un governo democratico; fratellanza per vederle unite in confederazione colla nuova Elvezia». «Inutile avvertire – prosegue Emilio Motta, p. 87 – che questo atto di Basilea promosse la definitiva adesione di Lugano alla Svizzera».
In redazione
Le visite di Orelli sono sempre state molto apprezzate
Luciana Caglio Oggi, 12 dicembre, a partire dalle cinque del pomeriggio la redazione di «Azione» apre le porte a collaboratori e amici per l’aperitivo natalizio, nel rispetto di una tradizione che non è soltanto festosa. La coincidenza con la fine dell’anno ne fa, inevitabilmente, un momento di riflessione su questi giorni in fuga, che ci portano via cose e persone insostituibili. E che, adesso, ci hanno privato di una presenza. Forse la più attesa e qualificante al nostro appuntamento, quella di Giovanni Orelli. Proprio lui diventava subito un polo d’attrazione, creando intorno a sé una cerchia di interlocutori e ascoltatori, incuriositi e divertiti, non però in soggezione. Questa situazione, per così dire di predominio, non era certo predisposta dalla regia dell’incontro, né tanto meno voluta da lui. In un ambiente del tutto informale, nasceva spontaneamente e confermava la forza di una personalità dai tratti incisivi, fuori dagli schemi abituali. L’uomo di cultura, di fama internazionale, era in grado d’imporsi anche sul piano della simpatia e dell’affabilità, che non sono doti tipiche degli intellettuali, categoria cui apparteneva a modo suo. Orelli, intellettuale lo era per meriti concreti, acquisiti lavorando sodo, come scrittore, poeta, traduttore, linguista, e come insegnante, risvegliando la passione per la lettura in varie generazioni di ticinesi, e anche come militante politico. Sembrava, invece, al riparo da qualsiasi vezzo snobistico, a cominciare dal sorriso-sberleffo esibito dagli appartenenti a quella casta che si considera depositaria esclusiva del pensiero corretto. Ad accentuare questa lontananza dai canoni dell’intellighenzia, era soprattutto la sua dichiarata identità elvetica. Per carità, nulla da spartire con le
Giovanni e i cartoncini bianchi
Più recenti sono quattro volumetti editi dal Dadò (2013 e 2014). In Incanto e disincanto del Ticino del 2013, di Hermann Hesse, prevalgono ricordi e considerazioni di un letterato; molto per il villaggio dove Hesse visse parecchi anni, e morì il 9 agosto del 1962. Ecco cosa dice di sé uno che ha pazientemente imparato a guardare bene, ma bene davvero, le cose che deve dipingere o descrivere: «Anno dopo anno, durante le passeggiate e le soste, nel tempo dedicato alla pittura, in ozio o al lavoro, ho imparato a conoscere piuttosto bene questa bella regione di cui gli stranieri, durante i loro stupidi e inutili viaggi del turismo di massa, non vedono altro che la facciata da cartolina...» (p. 129) Pure del 2013, di Orazio Martinetti Fare il Ticino: Economia e società tra otto e Novecento, con una Premessa di An-
drea Ghiringhelli. Il Martinetti aveva già pubblicato (il titolo è eloquente!) La matrigna e il monello; Confederazione e Ticino tra dialogo e silenzi. Qui poche righe da un episodio tragico legato allo scavo del San Gottardo ferroviario (pp. 98-99): «Le condizioni di vita e di lavoro generarono tensioni e conflitti. Il più grave scontro avvenne a Göschenen nel luglio del 1875, allorché una milizia frettolosamente adunata dal governo urano uccise quattro scioperanti. Quattro operai italiani, quattro “regnicoli” come si diceva allora, giunti a Göschenen per partecipare all’impresa del secolo: un lavoro sfibrante e malsano, che la manodopera indigena preferiva lasciare agli immigrati, ai nerboruti operai del Nord Italia, adusi a lavorare nelle miniere di mezza Europa». Altro libro del Dadò è, di Jean-Marie Roland De La Platière, La Svizzera nel Settecento, pubblicato nel 2014. Il Roland è anche autore di Lettere dalla Svizzera, Italia, Sicilia e Malta; «venerate, dice la quarta di copertina, da Stendhal, Michelet e SainteBeuve». Anche qui, nel volumetto Dadò, notizie curiose e altre meravigliose come questa (p. 146): «Solamente il baliaggio della Valmaggia è ricoperto da montagne».» Ma è un caso isolato. Pure nel ’14 è uscito, di Heinrich Zschokke, 1771-1848, La guerra civile nella Svizzera italiana. Segnalo appena il capitoletto 2, pp. 98-99 per l’Ospizio dei Cappuccini sul San Gottardo, con una vivace descrizione del cüss (- c prepalatale schiacciata, caratteristica del
leventinese): «... un vento tempestoso, che getta contro di loro (forestieri di passaggio) nugoli di neve, cancellando ogni traccia del sentiero, accecando loro gli occhi, finché, impotenti, essi non possono più andare avanti né tornare indietro fra gli abissi avvolti dalla neve...». Ma voglio tornare un attimo al volumetto di Hesse perché contiene un violento saggio di Sandro Bianconi che ha per titolo Un amico scomodo. È qui che il lettore trova una spietata voce contro (non già contro il lodato Hesse, ma contro gli «sviluppi abnormi che hanno cambiato, in peggio, il Ticino, pagine 241-251). In particolare la 242, da cui tolgo qualche legnata: «Oggi Hesse fuggirebbe inorridito di fronte alle brutture che hanno stravolto... Non ritroverebbe nulla del paesaggio e della gente che lo avevano affascinato e convinto a vivere in Ticino. Il Ticino è diventato territorio di conquista (a ritmo vertiginoso), vittima della mancanza di consapevolezza culturale... logica del profitto a ogni costo... paesaggio aggredito e violentato». Ma leggano i ticinesi il resto, fino alle pagine finali: «L’autenticità del vecchio mondo si contrappone all’artificio “autentico” del nuovo: un tempo l’autenticità non era un’esigenza perché tutto lo era, ogni pecora era in effetti una pecora autentica e dava lana autentica. Oggi invece...». (p. 250). «Ottantacinque anni or sono il nostro scomodo amico aveva già chiuso in modo lucido e disilluso il discorso sul cambiamento, che noi non abbiamo saputo gestire in alcun modo». (p. 251)
Qui in redazione lo ricorderemo così, quando ancora veniva a salutarci regolarmente, cosa che avveniva meno spesso negli ultimi mesi. Il suo buongiorno, inconfondibile, con la «r» arrotolata e quell’accento «d’insù», che anni trascorsi a Lugano non avevano mai del tutto cancellato, riecheggiava per gli spazi dei nostri uffici. Se era inverno Giovanni Orelli indossava un berretto di tweed, le guance erano accese quando il freddo era pungente; sotto il braccio l’immancabile cartelletta di cuoio marrone. «Buongiorno Professore», gli rispondevamo andandogli incontro, perché le sue erano sempre visite gradite, anche quando annunciava di avere pasticciato di nuovo con il computer e chiedeva a uno di noi di recuperargli qualche documento a domicilio. Con l’umiltà e la discrezione che erano diventati i suoi tratti distintivi negli ultimi anni, cercava di fare in fretta: per non rubarci tempo prezioso si limitava ad accennare a qualche bel testo in cui si era imbattuto di recente. Ma poi bastava una domanda da parte nostra, una curiosità espressa a malapena, quasi en passant, che i suoi occhi azzurri si facevano vispi, illuminandosi, e prendevano il colore di quel cielo di montagna sotto cui era cresciuto. Cominciava allora a recitare versi a memoria, a raccontare, con gioia e volentieri. Saltabeccava qua e là tra versi di poesia e citazioni, aprendo gli innumerevoli cassetti di una conoscenza sterminata, e che certamente mancherà a molti. Come il suo altrettanto celebre cugino Giorgio, anche lui con gli anni (nonostante rimanesse attento a quanto usciva di nuovo e alle voci più interessanti) si era avvicinato sempre più a Dante, che identificava ancora oggi – o forse oggi più che mai – con la summa di tutto quanto la letteratura potesse, o dovesse, dire e dare. A noi, oltre al privilegio di pubblicare centinaia di suoi arguti e ficcanti articoli, con punte di polemica sempre rispettosa, restano innumerevoli cartoncini bianchi. Quei cartoncini sui cui, fino all’ultimo, con la sua scrittura minuta che raccontava del bambino curioso ma anche furbo che certamente era stato, si raccomandava, o semplicemente, ci salutava, augurandoci una buona giornata.
Giornalismo e un pizzico di poesia Il tono di voce era grave, lo sguardo serio: «chi ha scritto il titolo del suo editoriale?». Lo guardai imbarazzato, chiedendomi quale errore avessi commesso. «Io», risposi, aspettando una sua critica, ma lui si addolcì: «È un endecasillabo perfetto! E come suona bene!». Giovanni Orelli era così, scovava poesia anche in un giornale. Quel giorno di quasi sette anni fa, un cerchio per me si chiudeva: era stata la sua visita nella mia classe di quarta ginnasio a farmi nascere il desiderio di diventare giornalista; ci aspettavamo una lezione noiosa, invece analizzò con passione un lungo reportage, introducendoci in un mondo nuovo che da allora divenne il mio. Lo ringrazio per avermi insegnato che nel nostro lavoro può esserci spazio anche per un po’ di poesia. / PS
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Cultura e Spettacoli
Cultura e Spettacoli
Era buona la prima
Un’antologia di musica popolare ticinese, finalmente
Opera Madama Butterfly di Giacomo Puccini inaugura la stagione lirica al Teatro alla Scala
Sabrina Faller Dopo Turandot con il finale di Berio e La Fanciulla del West senza «tagli», Riccardo Chailly propone il recupero della partitura originale di Madama Butterfly (ricostruita da Julian Smith) che inaugura la stagione scaligera e trionfa in quello stesso teatro che l’aveva rigettata il 17 febbraio 1904, probabilmente vittima della guerra tra i due editori musicali più forti del momento, Ricordi e Sonzogno. Puccini, sedotto dall’omonimo dramma di David Belasco in un solo atto, visto a Londra nel 1900, aveva audacemente proposto un’opera in soli due atti, di cui il secondo piuttosto lungo. Dopo il fiasco, si affrettò a riscriverla in tre atti. Tagliò alcuni momenti nel primo atto che ridicolizzavano la cultura giapponese, ad esempio un parente ubriaco di Butterfly, e addolcì con il rimorso il cinico e razzista Pinkerton regalandogli «Addio, fiorito asil». Fece molto altro, e non in una sola volta, al punto che è quasi impossibile stabilire quale delle almeno quattro diverse versioni riconosciute dell’opera sia la definitiva. Su un punto alcuni studiosi oggi concordano, cioè sul fatto che, dal punto di vista drammaturgico, la versione della prima assoluta alla Scala rappresenti la soluzione migliore. Lo sostiene ad esempio il massimo biografo vivente di Puccini, il tedesco Dieter Schickling. Ovvio perciò che la ripresa di questa prima versione costituisca un elemento di grande attrattività e curiosità per il pubblico. L’allestimento del regista lettone Alvis
Hermanis (che cura anche le scene con Leila Fteita) sorprende per l’assenza di una cifra personale, che pure Hermanis possiede, ma che sembra volere nascondere, a vantaggio di un’impronta solo tradizionale e, si direbbe, addomesticata sulle attese di un pubblico fortemente conservatore. Ci sono grappoli di geishe danzanti ad impreziosire lo spettacolo, e il grappolo bianco che apre il primo atto dietro i pannelli luminosi delle porte scorrevoli, muovendo le braccia come ali di farfalla, è davvero suggestivo. Ci sono momenti in cui interno ed esterno dialogano: penso all’inizio del secondo atto, in cui la casa giapponese di Butterfly è diventata una casa occidentale con divanetto, sedie, macchina da cucire, un’immaginetta di Gesù alla parete, e lei veste in abiti da giovane americana dell’epoca, mentre il giardino con i ciliegi fioriti prima timidamente si affaccia tra le pareti, poi erompe in primo piano nel fulgore della primavera. Molti appassionati avranno, come me, atteso con ansia il lungo intermezzo della veglia in cui il pubblico della «prima» del 1904 assistette al trascorrere della notte fino all’alba – l’idea era ripresa da Belasco e aveva affascinato enormemente Puccini – in un tripudio di uccellini cinguettanti che suscitarono l’ilarità della claque prezzolata. Qui la notte trascorre in un anonimo trionfo di eleganza, raffinatezza e colori, gli uccellini si sentono appena, ma il momento della veglia si riconferma centrale nella drammaturgia dell’opera. La presenza della moglie americana di Pinkerton, Kate, in questa prima ver-
Musica Pubblicato dal Percento Culturale Migros il disco «Vüna bela! Panorama popolare ticinese»
Zeno Gabaglio
Un suggestivo momento di Madama Butterfly. (Brescia/Amisano, Teatro alla Scala)
sione, è più accentuata, e nel contempo più morbida nei riguardi della giapponese, e ci vorrà la mano di un regista francese, Albert Carré, per sancire definitivamente in scena – e di conseguenza in partitura – l’isolamento di Butterfly, mentre al console statunitense spetterà l’ingrato compito di «sostenere le ragioni di quell’immota bambola bionda», come spiega esaurientemente Michele Girardi nel suo celebre saggio su Giacomo Puccini. Nella versione scaligera assistiamo all’incontro tra le due donne, alla desolazione di Butterfly che riconosce nei tratti occidentali della rivale una bel-
lezza lontanissima dai canoni orientali ma presente nel figlio suo e di Pinkerton, biondo con gli occhi azzurri, ed è in questo riconoscimento della propria diversità razziale e del fallimento nel tentativo di congiungersi a una cultura che non è la sua, che Cio-Cio-San concepisce l’idea della separazione dal bambino e la sua propria morte. Madama Butterfly è uno scontro fra culture, che in questa prima versione presenta i suoi toni più aspri. Maria José Siri è una Cio-Cio-San di presenza scenica incerta, ma quando dispiega la sua forza drammatica convince e avvince. Bryn Hymel ci comunica un
Pinkerton misuratamente volgare e godereccio. Un plauso speciale è per la dolente Suzuki di Annalisa Stroppa e per lo Sharpless di Carlos Alvarez, interprete perfetto anche al cinema. Vero re di questa produzione è in ogni caso Riccardo Chailly, che ci regala un’opera potente e maestosa, eppure anche delicata e tenera in ogni sfumatura dell’intensa tavolozza. Madama Butterfly è in scena alla Scala fino all’8 gennaio. Da ricordare che per la prima volta si è potuto assistere alla «prima» in un cinema ticinese, il Lux di Massagno: la sala piena ha sancito il successo dell’operazione.
La cultura musicale della Svizzera italiana è generosamente ricca, viva e vivacissima: ecco l’affermazione passepartout che capita sistematicamente di incrociare nei quattro angoli del cantone, a ogni gradino della scala socioculturale. Un plebiscito di autocompiacimento musicale – e sin qui tutto bene – se non fosse che l’affermazione non corrisponde a verità. A esser oltremodo ricca – a livelli quasi di bulimia – è la cultura musicale nella Svizzera italiana, vale a dire tutto quello che di musicale vi succede: stagioni, festival, concerti, dischi, trasmissioni, interviste,… ma questa non è la cultura musicale della Svizzera italiana. L’identità culturale di una popolazione e/o di un’area geopolitica è ben altra cosa: è il modo con cui essa stessa sceglie di rappresentarsi e di riconoscersi, principalmente in forme d’espressione definite «arte». È per questo unico motivo che l’arte è – ed è stata ritenuta – un valore assoluto da difendere: perché parla all’uomo dell’uomo, perché nella cultura si può trovare lo specchio di quello che noi siamo. Tutto il resto – l’estetica e il gusto – sono solo piacevolissimi capricci soggettivi. C’è quindi il dilemma delle preposizioni articolate: cultura nella o della Svizzera italiana. La distinzione può
Il gruppo dei Vox Blenii.
sembrare sottile – al punto che le nostre principali istituzioni preposte hanno creduto per decenni di fare l’una, mentre in realtà si stavano occupando quasi solo dell’altra – anche se poi proprio così sottile non è: se una forma d’arte viene creata, pensata e realizzata in Ticino o nei Grigioni italofoni, essa è cultura della Svizzera italiana. Tutto il resto no. E non può che dispiacere il fatto di doverci ammettere che Beethoven e
i Manhattan Transfer non sono in nessun modo cultura musicale della Svizzera italiana – senza che per questo li si debba evitare, anzi! – ma ben più spiacevole è il dover notare quanto poco sia stato fatto negli anni (soprattutto da quando il benessere ha portato nella nostra regione salutari velleità culturali e ingenti disponibilità finanziarie) affinché si potesse sviluppare un’autentica cultura musicale della Svizzera italiana, senza preclusioni di genere ma
chiamando le cose con il proprio nome. Non a caso una delle più meritorie operazioni compiute in tempi recenti per la cultura musicale della Svizzera italiana non è stata promossa nella Svizzera italiana bensì oltralpe: Percento Culturale Migros, Pro Helvetia e Fondation SUISA hanno infatti voluto dedicare l’ultimo disco della mirabile serie Musiques Suisses – da sempre e per sempre una delle più affidabili guide nella musica svizzera – a una
raccolta ragionata di musiche popolari ticinesi. Vüna bela! Panorama popolare ticinese è così il disco fresco di stampa che verrà presentato il prossimo sabato 17 dicembre alle ore 20.00 alla Casa Cavalier Pellanda a Biasca, con la partecipazione dei gruppi Vox Blenii, Vent Negru e Duo di Morcote. Traghettatrice verso una meta difficile come quella di un ritratto oggettivo e comprensivo della musica popolare ticinese è stata la musicologa – anche lei di origini svizzero-tedesche (sarà un caso?) ma da anni ticinese, anche per il prezioso lavoro svolto alla Fonoteca nazionale – Silvia DelorenziSchenkel. Nel breve volgere delle 18 tracce del disco è miracolosamente riuscita a comporre un articolato e seducente mosaico di musica vocale, corale e strumentale; nuova e tradizionale; in dialetto (ovvero: nei vari dialetti) e in italiano: del Sopra – e del Sottoceneri. Arrivando a realizzare lo strumento che effettivamente mancava a chiunque volesse capire qualcosa di più del modo in cui il Ticino e i Ticinesi hanno saputo mettere in musica – cioè nella musica di matrice popolare – loro stessi. Altre voci – oltre a quelle già citate – che danno vita a questo percorso musicale imprescindibile sono quelle di Giangol, La Cantora, Verbanus, Nicola Maspoli e Piazza Pomée, Marco Zappa, I Bagiöö e i Cantori di Pregassona diretti da Luigi De Marchi.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 12 dicembre 2016 • N. 50
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Cultura e Spettacoli
Cultura e Spettacoli
Era buona la prima
Un’antologia di musica popolare ticinese, finalmente
Opera Madama Butterfly di Giacomo Puccini inaugura la stagione lirica al Teatro alla Scala
Sabrina Faller Dopo Turandot con il finale di Berio e La Fanciulla del West senza «tagli», Riccardo Chailly propone il recupero della partitura originale di Madama Butterfly (ricostruita da Julian Smith) che inaugura la stagione scaligera e trionfa in quello stesso teatro che l’aveva rigettata il 17 febbraio 1904, probabilmente vittima della guerra tra i due editori musicali più forti del momento, Ricordi e Sonzogno. Puccini, sedotto dall’omonimo dramma di David Belasco in un solo atto, visto a Londra nel 1900, aveva audacemente proposto un’opera in soli due atti, di cui il secondo piuttosto lungo. Dopo il fiasco, si affrettò a riscriverla in tre atti. Tagliò alcuni momenti nel primo atto che ridicolizzavano la cultura giapponese, ad esempio un parente ubriaco di Butterfly, e addolcì con il rimorso il cinico e razzista Pinkerton regalandogli «Addio, fiorito asil». Fece molto altro, e non in una sola volta, al punto che è quasi impossibile stabilire quale delle almeno quattro diverse versioni riconosciute dell’opera sia la definitiva. Su un punto alcuni studiosi oggi concordano, cioè sul fatto che, dal punto di vista drammaturgico, la versione della prima assoluta alla Scala rappresenti la soluzione migliore. Lo sostiene ad esempio il massimo biografo vivente di Puccini, il tedesco Dieter Schickling. Ovvio perciò che la ripresa di questa prima versione costituisca un elemento di grande attrattività e curiosità per il pubblico. L’allestimento del regista lettone Alvis
Hermanis (che cura anche le scene con Leila Fteita) sorprende per l’assenza di una cifra personale, che pure Hermanis possiede, ma che sembra volere nascondere, a vantaggio di un’impronta solo tradizionale e, si direbbe, addomesticata sulle attese di un pubblico fortemente conservatore. Ci sono grappoli di geishe danzanti ad impreziosire lo spettacolo, e il grappolo bianco che apre il primo atto dietro i pannelli luminosi delle porte scorrevoli, muovendo le braccia come ali di farfalla, è davvero suggestivo. Ci sono momenti in cui interno ed esterno dialogano: penso all’inizio del secondo atto, in cui la casa giapponese di Butterfly è diventata una casa occidentale con divanetto, sedie, macchina da cucire, un’immaginetta di Gesù alla parete, e lei veste in abiti da giovane americana dell’epoca, mentre il giardino con i ciliegi fioriti prima timidamente si affaccia tra le pareti, poi erompe in primo piano nel fulgore della primavera. Molti appassionati avranno, come me, atteso con ansia il lungo intermezzo della veglia in cui il pubblico della «prima» del 1904 assistette al trascorrere della notte fino all’alba – l’idea era ripresa da Belasco e aveva affascinato enormemente Puccini – in un tripudio di uccellini cinguettanti che suscitarono l’ilarità della claque prezzolata. Qui la notte trascorre in un anonimo trionfo di eleganza, raffinatezza e colori, gli uccellini si sentono appena, ma il momento della veglia si riconferma centrale nella drammaturgia dell’opera. La presenza della moglie americana di Pinkerton, Kate, in questa prima ver-
Musica Pubblicato dal Percento Culturale Migros il disco «Vüna bela! Panorama popolare ticinese»
Zeno Gabaglio
Un suggestivo momento di Madama Butterfly. (Brescia/Amisano, Teatro alla Scala)
sione, è più accentuata, e nel contempo più morbida nei riguardi della giapponese, e ci vorrà la mano di un regista francese, Albert Carré, per sancire definitivamente in scena – e di conseguenza in partitura – l’isolamento di Butterfly, mentre al console statunitense spetterà l’ingrato compito di «sostenere le ragioni di quell’immota bambola bionda», come spiega esaurientemente Michele Girardi nel suo celebre saggio su Giacomo Puccini. Nella versione scaligera assistiamo all’incontro tra le due donne, alla desolazione di Butterfly che riconosce nei tratti occidentali della rivale una bel-
lezza lontanissima dai canoni orientali ma presente nel figlio suo e di Pinkerton, biondo con gli occhi azzurri, ed è in questo riconoscimento della propria diversità razziale e del fallimento nel tentativo di congiungersi a una cultura che non è la sua, che Cio-Cio-San concepisce l’idea della separazione dal bambino e la sua propria morte. Madama Butterfly è uno scontro fra culture, che in questa prima versione presenta i suoi toni più aspri. Maria José Siri è una Cio-Cio-San di presenza scenica incerta, ma quando dispiega la sua forza drammatica convince e avvince. Bryn Hymel ci comunica un
Pinkerton misuratamente volgare e godereccio. Un plauso speciale è per la dolente Suzuki di Annalisa Stroppa e per lo Sharpless di Carlos Alvarez, interprete perfetto anche al cinema. Vero re di questa produzione è in ogni caso Riccardo Chailly, che ci regala un’opera potente e maestosa, eppure anche delicata e tenera in ogni sfumatura dell’intensa tavolozza. Madama Butterfly è in scena alla Scala fino all’8 gennaio. Da ricordare che per la prima volta si è potuto assistere alla «prima» in un cinema ticinese, il Lux di Massagno: la sala piena ha sancito il successo dell’operazione.
La cultura musicale della Svizzera italiana è generosamente ricca, viva e vivacissima: ecco l’affermazione passepartout che capita sistematicamente di incrociare nei quattro angoli del cantone, a ogni gradino della scala socioculturale. Un plebiscito di autocompiacimento musicale – e sin qui tutto bene – se non fosse che l’affermazione non corrisponde a verità. A esser oltremodo ricca – a livelli quasi di bulimia – è la cultura musicale nella Svizzera italiana, vale a dire tutto quello che di musicale vi succede: stagioni, festival, concerti, dischi, trasmissioni, interviste,… ma questa non è la cultura musicale della Svizzera italiana. L’identità culturale di una popolazione e/o di un’area geopolitica è ben altra cosa: è il modo con cui essa stessa sceglie di rappresentarsi e di riconoscersi, principalmente in forme d’espressione definite «arte». È per questo unico motivo che l’arte è – ed è stata ritenuta – un valore assoluto da difendere: perché parla all’uomo dell’uomo, perché nella cultura si può trovare lo specchio di quello che noi siamo. Tutto il resto – l’estetica e il gusto – sono solo piacevolissimi capricci soggettivi. C’è quindi il dilemma delle preposizioni articolate: cultura nella o della Svizzera italiana. La distinzione può
Il gruppo dei Vox Blenii.
sembrare sottile – al punto che le nostre principali istituzioni preposte hanno creduto per decenni di fare l’una, mentre in realtà si stavano occupando quasi solo dell’altra – anche se poi proprio così sottile non è: se una forma d’arte viene creata, pensata e realizzata in Ticino o nei Grigioni italofoni, essa è cultura della Svizzera italiana. Tutto il resto no. E non può che dispiacere il fatto di doverci ammettere che Beethoven e
i Manhattan Transfer non sono in nessun modo cultura musicale della Svizzera italiana – senza che per questo li si debba evitare, anzi! – ma ben più spiacevole è il dover notare quanto poco sia stato fatto negli anni (soprattutto da quando il benessere ha portato nella nostra regione salutari velleità culturali e ingenti disponibilità finanziarie) affinché si potesse sviluppare un’autentica cultura musicale della Svizzera italiana, senza preclusioni di genere ma
chiamando le cose con il proprio nome. Non a caso una delle più meritorie operazioni compiute in tempi recenti per la cultura musicale della Svizzera italiana non è stata promossa nella Svizzera italiana bensì oltralpe: Percento Culturale Migros, Pro Helvetia e Fondation SUISA hanno infatti voluto dedicare l’ultimo disco della mirabile serie Musiques Suisses – da sempre e per sempre una delle più affidabili guide nella musica svizzera – a una
raccolta ragionata di musiche popolari ticinesi. Vüna bela! Panorama popolare ticinese è così il disco fresco di stampa che verrà presentato il prossimo sabato 17 dicembre alle ore 20.00 alla Casa Cavalier Pellanda a Biasca, con la partecipazione dei gruppi Vox Blenii, Vent Negru e Duo di Morcote. Traghettatrice verso una meta difficile come quella di un ritratto oggettivo e comprensivo della musica popolare ticinese è stata la musicologa – anche lei di origini svizzero-tedesche (sarà un caso?) ma da anni ticinese, anche per il prezioso lavoro svolto alla Fonoteca nazionale – Silvia DelorenziSchenkel. Nel breve volgere delle 18 tracce del disco è miracolosamente riuscita a comporre un articolato e seducente mosaico di musica vocale, corale e strumentale; nuova e tradizionale; in dialetto (ovvero: nei vari dialetti) e in italiano: del Sopra – e del Sottoceneri. Arrivando a realizzare lo strumento che effettivamente mancava a chiunque volesse capire qualcosa di più del modo in cui il Ticino e i Ticinesi hanno saputo mettere in musica – cioè nella musica di matrice popolare – loro stessi. Altre voci – oltre a quelle già citate – che danno vita a questo percorso musicale imprescindibile sono quelle di Giangol, La Cantora, Verbanus, Nicola Maspoli e Piazza Pomée, Marco Zappa, I Bagiöö e i Cantori di Pregassona diretti da Luigi De Marchi.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 12 dicembre 2016 • N. 50
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Cultura e Spettacoli Rubriche
In fin della fiera di Bruno Gambarotta Un tram chiamato desiderio di lavoro Questa storia potrebbe intitolarsi Vita di un italiano. Inizia in un negozio aperto in una via all’estrema periferia di Torino, alla penultima fermata della metropolitana, in direzione della valle di Susa. Si tratta del risuolificio «Cura della Scarpa». È un ambiente singolare per molte ragioni: lustro, pulito e ordinato come una gioielleria, le pareti dipinte di celeste esibiscono diversi diplomi intestati al titolare, Federico R. Siamo arrivati fin qui incuriositi da un’esortazione letta su un volantino pubblicitario: «I piedi sono il nostro secondo cuore: trattiamoli bene», seguita da un’affermazione: «Quello del calzolaio è uno dei mestieri più antichi e amati nel mondo e anche se oggi lo abbiamo dimenticato, un paio di buone scarpe comode unite ai preziosi consigli di chi ha la competenza per ripararle rendono la vita più piacevole». Con queste premesse uno s’aspetterebbe di leggere sui numerosi diplomi attestati di frequenza di scuole professionali in sintonia con la nobile professione del restauratore di scarpe. Tutto al contrario: leggendoli veniamo a sapere
che Federico R., nato a Torino il 20 settembre 1960, ha conseguito nel 1984 la maturità all’istituto alberghiero di Pinerolo e dieci anni dopo all’università di Torino la laurea in Scienze Politiche a indirizzo sociologico con una tesi sul sistema politico in URSS negli anni di Stalin; accanto al diploma di laurea troviamo l’attestato che certifica la sua conoscenza della lingua russa. Non basta: entriamo in negozio mentre Federico sta preparando per i suoi allievi di un liceo scientifico statale di Torino la lezione su Hegel; a 56 anni di età, ancora e per sempre supplente, insegna filosofia per poche ore settimanali, durante le quali tiene chiuso il negozio. «Non gli faccio comprare libri di testo. Io spiego, loro prendono appunti e si fanno un quadro chiaro della materia». A questo punto una spiegazione su come è arrivato fin lì si impone e Federico mi racconta la sua vita «come un romanzo» a intervalli, fra un cliente e l’altro. Entrano a portare o a ritirare scarpe; con loro è gentile, prodigo di attenzioni, di consigli e di piccoli regali. Fin dalla nascita la sua è stata una vita
in salita. È figlio di una ragazza madre che l’ha messo al mondo quando aveva 40 anni e si era innamorata di un uomo sposato che ne aveva 80. Ogni tanto la madre lo portava in visita a uno «zio» e solo molti anni dopo Federico ha saputo che quello zio era il padre che non aveva potuto riconoscerlo. La madre apparteneva a una rispettabile famiglia borghese, con un padre generale morto a 110 anni e una madre morta a 95. E due fratelli che mai avrebbero accettato di tenere in casa «il figlio della colpa». Federico, fino alla maggiore età, è stato allevato da famiglie affidatarie che si alternavano a soggiorni in collegi per orfani. Per incontrarsi con la madre che, priva di reddito, era costretta a vivere con i fratelli, si davano appuntamento nei bar vicino ai luoghi in cui lui di volta in volta risiedeva. Gli zii non hanno mai voluto vederlo o incontrarlo; una volta, quando già era adulto, ne ha incrociato uno su un treno locale, costui si è chiuso nella toilette e c’è rimasto fino all’arrivo in stazione. L’ostracismo degli zii è durato fino a quando la mamma è stata bene; solo
quando la madre, all’età di 86 anni, ha iniziato ad avere problemi di salute, gli hanno telefonato: «È ora che cominci ad occuparti di lei, noi non siamo infermieri». I fratelli la tenevano in casa ma l’avevano messa a dormire in uno dei due bagni dell’appartamento: alla sera, al momento di mettersi a dormire, la mamma copriva la vasca da bagno con una tavola di legno, ci appoggiava sopra materasso e coperte a si preparava il letto. Vestiti e biancheria erano stipati in due armadi dentro il bagno. Alla morte della nonna si era liberata una camera da letto ma i due fratelli non vollero cederla alla sorella, la tennero chiusa e intatta come un sacrario e lei, per altri 35 anni, finché non arrivò il figlio Federico a prenderla per farsene carico, continuò a vivere nel bagno. Nelle parole di Federico non c’è ombra di risentimento, solo una chiosa: «Gli zii sono gente di chiesa, lasceranno tutto ai salesiani». Ospite di famiglie e di collegi, Federico, volendo continuare gli studi, scopre l’esistenza di un istituto alberghiero in provincia che può ospitarlo e nutrirlo. Dopo il diploma
in tecnica sala bar, rimane nella scuola come insegnante della stessa materia. Durante le estati lavora come cameriere in varie località di villeggiatura per pagarsi le tasse universitarie. Mi resta una curiosità da soddisfare. Come ha fatto a diventare restauratore di scarpe, borsette e duplicatore di chiavi? È successo per caso, dieci anni or sono. Aveva aiutato un amico a rilevare il negozio e poi lui si era trasferito in centro. Ha semplicemente preso il suo posto, ha imparato il mestiere andando a chiedere in giro. Conversando scopriamo di avere in comune la passione per i tram, ma per lui si tratta di un amore folle che l’ha portato in tutta Europa, in Russia e in Cina. A Leningrado saliva sui tram senza sapere dove l’avrebbero portato. Per il nostro amico, calzolaio per caso ed eterno supplente, arrivato alla soglia dei sessanta anni, i giochi sono fatti. C’è da chiedersi: quanti sono oggi i giovani italiani, muniti di inutili diplomi, costretti a salire su un tram senza sapere in quale direzione andranno e a quale fermata saranno costretti a scendere?
associazione al famigerato ingrediente, a breve troveremo insalata senza olio di palma, e così bistecca, acqua minerale, caffè miracolosamente privi del torbido intruglio. Scatta così quel meccanismo del «non avere» che avevamo già illustrato in una Postilla del 2014 (del 25 maggio, credo), quella dedicata alla ricetta della pasta con le «sarde a mare», cioè della pasta come si cucinerebbe con le sarde, ma senza le sarde che sono, dunque, beatamente nel mare. Il gioco filosofico è sottile, di origine antica: la classificazione di ciò che esiste avviene per genere e differenza, come descrive il cosiddetto «albero di Porfirio». Davanti a un gatto, lo puoi definire vivente (genere), poi animale (differenza da vegetale e da inanimato). Animale come genere si differenzia in mammifero, che come tale si differenzia in quadrupede, poi felino, poi domestico, poi carnivoro e
così via, fino ad arrivare all’individuo, alla Biri che mollemente dorme sul calorifero, e che non può più avere differenze da se stesso. Mi scuso con i biologi, le ramificazioni di quella che poi diventerà la classificazione di Linneo non mi sono esattamente note, ma ci siamo capiti. Questo sistema di ordine della realtà è sempre andato bene, e anche quando i filosofi hanno detto macché genere macché specie, esiste solo l’individuo povero e solo, andando dal fruttivendolo non chiedevano quella e quella mela, chiamandole per nome, ma chiedevano un chilo di mele. I figli li avranno mandati a una scuola per bambini, non alla scuola Pinca per il bambino Pallo e così via. Non dunque i filosofi hanno scardinato il sistema, nella pratica, ma dove non è giunta la ragione è arrivato il mercato. Quella che vedi ti sembra una crostata qualunque, genere dolce, specie di
pastafrolla, genere con marmellata, specie con marmellata di albicocche. Invece io ti dico che si tratta di una crostata senza olio di palma, senza glutine, senza zucchero, senza burro, senza lattosio, senza uova, senza tutto ciò che potrebbe nuocere a un intollerante allergico celiaco obeso diabetico. La mia crostata, caro compratore che la vita ha offeso con tutti i danni or ora elencati, è la migliore, perché la sua definizione è raffinatissima, quindi di molti livelli superiore alle altre crostate. A proposito, è senza zuccheri raffinati. Sarà buona? Farà bene? Che pretese, lo sai che non ho certo aggiunto aromi artificiali. Se è «buona» perché non ha ingredienti potenzialmente «cattivi», sii felice di questo, abituati a un cibo insapore e incolore, che pagherai di più (con tutte queste differenze!) e che non esiga da me altra fatica del togliere, e vedrai la differenza.
(36 anni), oltre a essere uno scrittore dilettante e sconosciuto. Ciò non toglie che in giugno, dopo soltanto due mesi e mezzo, si è già stufato dell’attesa e ha firmato il contratto con un altro editore, Denoël. Dunque quando il segretario di Gallimard gli comunica che potrebbero accogliere la proposta («un romanzo comunista contenente episodi di guerra molto ben raccontati» è il giudizio), i giochi sono già fatti: la grande casa editrice parigina ha perso l’occasione di pubblicare un bestseller e un capolavoro, il caso letterario dell’anno, non per averlo rifiutato ma per essere arrivata in lieve ritardo. L’obiettivo di Céline resta però quello di pubblicare presso il più prestigioso editore francese, Gallimard, magari nella collana monumentale per eccellenza, la «Pléiade», dove vengono accolti e celebrati i classici. Cardelli parla di una lunga «storia d’amore contrastata»: ci saranno di mezzo la guerra, la pubblicazione dei pamphlet antisemiti e l’esilio di Céline in Danimarca in
seguito all’accusa di collaborazionismo, l’estradizione e l’arresto, la riconquistata libertà e il disonore. Con l’editore Robert Denoël ingaggia subito un duello sul cosiddetto «editing»: «Per carità non aggiunga una sola sillaba al testo senza avvertirmi! In un attimo farebbe crollare il ritmo – solo io posso ritrovarlo. Potrò sembrarle uno sprovveduto ma so perfettamente quello che voglio. Non una sillaba». E più in là: «Rifiuto nella maniera più assoluta di sopprimere una parola, una virgola». Il che dice della presunzione e della superbia, ma anche dell’autocontrollo ossessivo sulla propria scrittura. Nessun cedimento: a differenza della troppo arrendevole elasticità con cui molti esordienti d’oggi si mettono nelle mani dei redattori editoriali o del marketing pur di vedere uscire i propri libri, illudendosi di ottenere l’agognato successo. Di solito, il rapporto con un editor funziona se lo scrittore non è totalmente prostrato di fronte alle richieste
del suo interlocutore e anzi è disposto a combattere una strenua battaglia in nome della propria libertà espressiva e stilistica. Anche dopo essere approdato nel tempio dorato dell’editoria francese, e cioè finalmente presso Gallimard, Céline rimane un caso estremo, non risparmia insulti, minacce, accuse di poltroneria e di inefficienza: tutta gente che passa il tempo «tra due vacanze e tredici malattie», «all’ospedale, al bordello, sulle Alpi, in fondo al mare, e sulle nuvole». Si infuria se l’editore non risponde al telefono, lancia violente invettive al «vecchio cioccolataio», al «compare Alibi», al «coglionazzo in capo», al «bandito», al «disastroso salumiere», al «pagliaccio». Se la prende con il «coacervo di microcefali» che è la redazione più prestigiosa di Francia. Però, se si fosse arreso debolmente alle richieste di tagliare e appianare qua e là il suo stile, probabilmente ne sarebbe uscito talmente sfigurato da non essere più Céline.
Postille filosofiche di Maria Bettetini La fatica della sottrazione Il problema dell’olio di palma è molto serio. È inutile perder tempo con altre sciocchezze, la pace nel mondo, la deriva populista, l’onda femminicida. Fino a qualche tempo fa, nessuno di noi sapeva che cosa fosse l’olio di palma. A domanda avremmo pensato a un abbronzante, un lenitivo, un idratante, qualcosa di simile all’olio di cocco. Invece scopriamo che trattasi di olio vegetale (ovviamente) dall’infimo costo, largamente utilizzato nei prodotti dolciari e in generale da forno. È risultato quindi che i nostri bambini assumono dosi molto alte di un olio ricco di acidi grassi saturi, quelli «cattivi» che apportano solo danni, colesterolo, obesità, diabete. Naturalmente, perché è sempre così che finisce, il pessimo soggetto si nasconde tra le cose più buone, come le merendine, i biscotti, la Nutella. I produttori si sono sentiti come bambini colti con
le mani, appunto, nella marmellata, o nella crema di cioccolato. Alcuni si sono autodenunciati, sperando di sortire un buon effetto come gli studenti di John Keating-Robin Williams nell’Attimo fuggente, che salivano sul banco per difendere il loro professore. Così, sulle pagine dei giornali dichiarano: noi usiamo l’olio di palma, ma lo produciamo così bene che il nostro sembra quasi innocuo. Altri invece dichiarano di non saperne nulla, olio di che?, e si trincerano dietro il diniego: noi non usiamo né abbiamo mai usato quella schifezza dell’olio di palma. Per esser più convincenti, lo scrivono sulle confezioni: brioche senza olio di palma, biscotti senza e così via. Presi da sacro zelo, e dalla speranza di trarre vantaggi commerciali da tale crociata, scrivono «senza olio di palma» anche su confezioni di cibi che in ogni caso sarebbero impensabili in
Voti d’aria di Paolo Di Stefano Il genio e il cioccolataio Le storie dei rapporti tra scrittori ed editori non mancano di fascino e di sorprese. Nei casi peggiori (o migliori per chi li osserva da lontano) non mancano di rabbia, di risentimento, di furia, di paradosso, di umor nero oppure di complicità more uxorio. Il film Genius (5–), del regista inglese Michael Grandage, racconta il corpo a corpo tra il ventenne Thomas Wolfe e Maxwell Perkins, celebre redattore della casa editrice Scribner, cui si deve la scoperta di talenti letterari come Francis Scott Fitzgerald e Ernest Hemingway. Le oltre mille pagine che Perkins riceve dal geniale Wolfe verranno discusse, elaborate, tagliate, corrette e nel 1929 ne nascerà un romanzo di successo, Angelo, guarda il passato, seguito da Il fiume e il tempo del 1935 che l’autore volle dedicare proprio al suo editor, «un uomo onesto e coraggioso, che è rimasto al fianco dello scrittore di questo libro anche nei momenti di profondo sconforto». Un’altra storia di editoria? Sentite
questa. «È pane per un intero secolo di letteratura. Il premio Goncourt 1932 su un piatto d’argento per il Fortunato editore che saprà accogliere quest’opera senza pari, momento capitale della natura umana…». Di che cosa sta parlando Louis Destouches, in arte il grande Louis-Ferdinand Céline, scrivendo all’editore Gallimard nell’aprile 1932? Il medico-scrittore francese, tra i geni letterari più pazzi del secolo scorso, sta parlando di sé. Del manoscritto del suo romanzo Viaggio al termine della notte, che ha appena finito dopo cinque anni di lavoro. Non si può negare che quel tipo sia molto consapevole dei suoi mezzi. Nell’introduzione della raccolta delle Lettere agli editori (appena pubblicata da Quodlibet: voto 5½), Martina Cardelli accenna giustamente a una consapevolezza «lucida e allo stesso tempo folle»: quella di essere chi si presenta come colui che cambierà per sempre le sorti della letteratura francese. Per di più Céline, in quel 1932, è ancora piuttosto giovane
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Sabato 17.12
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Tavolette alla Coca-Cola Per 4 persone
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50%
5.85 invece di 11.70 Tutti i tipi di Coca-Cola in conf. da 6, 6 x 1,5 l per es. classic, offerta valida il 17.12.2016
Preparazione: Far addensare la Coca-Cola in una pentola fino a ottenere 2 dl di liquido. Sciogliere il burro con lo zucchero in una padella. Incorporare il latte e il concentrato di Coca-Cola, mescolare brevemente con il mixer e poi portare a ebollizione continuando a mescolare con una frusta. Dimezzare il calore del fornello. Continuare a mescolare finché la massa non si sarà addensata. Dimezzare di nuovo il calore. A seconda del fornello e delle dimensioni della pentola la cottura può durare 40–50 minuti. Con un cucchiaio mettere un po’ di composto sulla carta da forno e osservare se si indurisce. Se non si indurisce, continuare a cuocere finché la prova non avrà successo. Poi versare tutto il composto in una pirofila rivestita di carta da forno e lasciar indurire. Tagliare in pezzi di uguali dimensioni e confezionare in carta pergamena trasparente da regalare. Preparazione: ca. 50 minuti
DA QUESTA OFFERTA SONO ESCLUSI GLI ARTICOLI M-BUDGET E QUELLI GIÀ RIDOTTI. QUESTA OFFERTA PER LA GIORNATA JOLLY È VALIDA SOLO ALLA DATA INDICATA E IN QUANTITÀ USUALI PER UNA NORMALE ECONOMIA DOMESTICA, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK.
Consiglio: nel periodo natalizio rifinire con cannella e spezie per panpepato.
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Idee e acquisti per la settimana
shopping Gustosa alternativa alla tradizione Natale Specialità ittiche freschissime,
sostenibili e una consulenza professionale personalizzata sono un must presso i banchi del pesce di Migros Ticino. Alcuni consigli per portare in tavola indimenticabili manicaretti
Nelson Dos Santos, quali sono le specialità di pesce più indicate in occasione delle festività di fine anno?
Per le feste molti si concedono volentieri qualche pesce esclusivo. Molto apprezzati sono per esempio la sogliola, le capesante, il branzino, la rana pescatrice, il rombo, la trota nostrana, i filetti di pesce persico e i gamberetti Sélection. Inoltre durante questo periodo è particolarmente apprezzata la fondue assortita di pesce, che prepariamo sul momento direttamente in filiale. Quanto è importante la consulenza?
Sono sempre a completa disposizione della clientela per consigli personalizzati e ricette per la buona riuscita delle pietanze. Spesso i clienti mi chiedono il modo migliore per cucinare i pesci interi. Inoltre su richiesta li sfilettiamo volentieri, oppure prepariamo delle ricette particolari pronte solo per essere cucinate a casa.
Il cliente è attento alla sostenibilità dei prodotti?
Certamente, sono sempre di più coloro che ci chiedono da dove provengono i pesci. In questi casi li posso tranquillamente rassicurare, dal momento che tutto il nostro assortimento ittico proviene al 100% da fonti sostenibili. Cosa consiglia in modo particolare per Natale?
Personalmente consiglierei un bel vassoio misto di fondue di pesce. Oppure anche uno scorfano alle erbette fresche o della rana pescatrice al forno. Per altri consigli basta chiedere…
Nelson Dos Santos, responsabile della nuova pescheria di Migros Lugano Centro. (Flavia Leuenberger)
Antipasti sopraffini Il piacere di accogliere famigliari e amici più cari attorno alla tavola è particolarmente sentito durante le festività di fine anno: finalmente ci si può concedere più tempo per godere delle deliziose proposte che la tradizione ci riserva! Accontentare tutti non è poi così difficile, se per esempio si porta in tavola una selezione assortita di prelibatezze di alto livello. E quando se non a Natale ci si dovrebbe concedere qualche peccato di gola speciale? I salumi e i paté sono degli ingredienti tradizionali imprescindibili in questi momenti, so-
prattutto in occasione degli aperitivi o sotto forma di antipasti per dare il via alla festa come si conviene. Carne secca e prosciutto crudo della Mesolcina, Prosciutto San Daniele, Salame Felino, Lardo di Colonnata, Prosciutto cotto Lenti, Salame Strolghino, Paté di fegato, Paté alle noci, Paté tartufato, Paté di coniglio… sono solo alcune delle prelibatezze proposte per i giorni di festa e che trovate nella vostra filiale Migros di fiducia. Venite a trovarci e lasciatevi consigliare dai nostri specialisti.
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Idee e acquisti per la settimana
Per le grandi tavolate
Specialità Lo stinco di manzo è un piatto perfetto per i banchetti natalizi fino a 10 persone
Ecco un’idea gustosa per le prossime festività, senza dover spadellare troppo dietro ai fornelli: lo stinco di manzo da oltre 3 kg pronto in forno in 135 minuti. Questa specialità è prodotta in Scozia dalla Donald Russell, azienda con oltre 40 anni di esperienza nel settore della carne e fornitrice ufficiale della famiglia reale britannica. I bovini Donald Russell sono allevati sui pascoli scozzesi dove si nutrono di preziosa erba fresca. Una volta macellati, la loro carne viene fatta frollare all’osso secondo la tradizione per un periodo tra i 25 e 35 giorni. Questo procedimento permette di ottenere una carne di una tenerezza e di un sapore incomparabili, dal colore scuro rosso rubino e ben marmorizzata. La carne viene successivamente cucinata lentamente da esperti chef seguendo le migliori ricette tradizionali in modo da garantire un risultato eccellente. Lo stinco di manzo è il pezzo forte della gamma Donald Russell. È marinato con rosmarino e pepe nero e farà la gioia di tutti i commensali.
Stinco di manzo surgelato, 3.2 kg Fr. 100.–
I preziosi sapori di Langa Alcune proposte:
Tajarin artigianali al tartufo 250 g Fr. 9.80
Gli amanti dei tartufi non possono certo lasciarsi sfuggire alcune specialità che esaltano al meglio questi nobili prodotti della terra. La linea Ori di Langa nasce dalla passione per i prodotti del territorio delle Langhe. La selezione è stata sviluppata per condividere l’amore per il buon cibo e per le eccellenze di questa regione piemontese. Unicità, originalità e individualità sono i segni distintivi dei prodotti Ori
di Langa. I Tajarin sono fatti con il 30% di uova e il 3% di tartufo nero per un gusto senza eguali che non necessita di altri condimenti fuorché una noce di burro o olio di oliva. Gustata come sugo nelle paste oppure da sola su crostini o pane, la crema di Parmigiano e tartufo nero conquista ogni palato. Rosso Tartufo è una deliziosa salsa al pomodoro e tartufo perfetta per paste e bruschette. Riso Carnaroli Superfino
e Tartufo danno vita ad un delizioso risotto perfetto per dare il via ad ogni banchetto di festa. Grazie alle Chips al tartufo nero lo snack sfizioso e invitante è servito: patate di prima qualità, spesse e croccanti, spolverate con sale e tartufo liofilizzato a fine cottura. Infine, ecco il sale grigio di Guérande al tartufo bianco d’Alba: un condimento che esalta meravigliosamente ogni vostro piatto.
Sale al tartufo bianco 30 g Fr. 6.90
Riso al tartufo 175 g F. 7.40
Crema di Parmigiano Reggiano e tartufo 90g Fr. 9.30 In vendita nelle maggiori filiali
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Idee e acquisti per la settimana
Il piacere delle Feste
Attualità Più tempo per voi e per i vostri cari grazie al Party Service di Migros Ticino
Il Party Service è a vostra completa disposizione affinché possiate trascorrere delle feste natalizie senza troppo stress; come ci conferma Simona Gerosa, del servizio catering di Migros Ticino: «Al motto di “Questo Natale… più tempo per i tuoi ospiti” siamo pronti ad offrire alla nostra clientela un servizio completo e di qualità, dall’aperitivo all’antipasto, passando per il piatto forte fino ai dessert più golosi. Le nostre delizie artigianali per le festività rispettano ogni richiesta e soddisfano anche i desideri dei buongustai più esigenti. La vasta gamma di specialità è realizzata solo con materie prime di elevata qualità e verifichiamo costantemente la loro freschezza affinché ognuno possa festeggiare in grande stile in occasione dei banchetti di fine anno». Le proposte gastronomiche sono consultabili sul sito del Party Service (vedi in calce), oppure nello specifico prospetto disponibile in tutte le filiali Migros. Le ordinazioni possono essere trasmesse direttamente sul portale oppure recandovi o telefonando al vostro negozio di fiducia. Informazioni e ordinazioni su : www.migrosticino.ch/party-service
Cosa ne direste di provare i fingerfood? Scatola assortita da 15 pezzi Fr. 33.–
Piatto gastronomico carne Per 4 persone Fr. 68.–
Piatto gastronomico pesce Per 4 persone Fr. 56.–
Salatini di sfoglia misti 100 g Fr. 3.40
I migliori datteri I datteri Medjool si distinguono per la loro dolcezza e succosità.
Per le qualità organolettiche la Medjool è ritenuta la migliore varietà di datteri. Un tempo erano conosciuti come il «il frutto dei re» perché era riservato esclusivamente alla famiglia reale del Marocco. I datteri Medjool sono più dolci e grandi dei datteri tradizionali e vengono raccolti quando non sono ancora completamente maturi e il loro colore è marrone chiaro. Per questo motivo risultano particolarmente morbidi, quasi liquidi, e vanno conservati in frigorifero. Possono anche essere congelati. I datteri Medjool spiccano non solo per il sapore delicatamente zuccherino, ma anche per le loro proprietà salutistiche: sono ricchi di glucidi – ideali per sportivi che necessitano di energia immediata –, fibre alimentari, nonché potassio, vitamine e altri sali minerali. I datteri Medjool Sélection provengono da Israele.
Azione Sélection Datteri Medjool 6 pezzi/200 g Fr. 6.30* invece di 7.90 *dal 13 al 19.12 Nelle maggiori filiali Migros
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Idee e acquisti per la settimana
Dolcezze dedicate ai vegani
Novità Due specialità festive particolari firmate dallo storico produttore di panettoni Vergani
Due nuove bontà natalizie del noto produttore di panettoni milanese Vergani sono entrate quest’anno a far parte dell’assortimento di Migros Ticino: i dolci MilanoVeg. Privi di ingredienti di origine animale, sono pensati non solo per chi sposa uno stile di vita vegano, ma anche per coloro che sono attenti ad un’alimentazione a basso contenuto di grassi e priva di lattosio. I dolci di Natale vegani spiccano per la loro sofficità e fragranza e sono creati
con grande perizia artigiana con l’utilizzo delle migliori materie prime alfine di garantire una qualità e un gusto eccellenti. Burro, uova, latte e miele sono stati sostituiti con olio extravergine di oliva, olio di riso e burro di cacao. Inoltre vengono usati solo aromi naturali, scorze d’arancia di Sicilia candite a fresco con zucchero di canna e vaniglia del Madagascar in bacche. La lievitazione naturale dura 72 ore con l’impiego di lievito madre.
MilanoVeg Dolce di Natale vegano* 750 g Fr. 21.–
MilanoVeg Dolce di Natale vegano senza canditi* 750 g Fr. 21.– *In vendita nelle maggiori filiali Migros
Giovanni Barberis
Raffinata specialità locale Genuini e ticinesi
Pepe della Valle Maggia 170 g Fr. 15.– In vendita nelle maggiori filiali
Cestone Nostrano Fr. 59.50
Flavia Leuenberger
Il Pepe della Valle Maggia è un prodotto conosciuto e apprezzato da oltre trent’anni che permette di conferire un caratteristico tocco aromatico alle pietanze. Si usa a freddo, senza mai scaldarlo, su carni, pesci, insalate, paste, risotti, affettati e formaggi, sia freschi che stagionati. La ricetta originale prevede l’uso di pepe nero, a cui si aggiungono altre spezie quali cannella, sale, aglio, chiodi di garofano, noce moscata, nonché vino bianco e liquore. Una volta aperto, il vasetto va conservato in frigorifero per preservare al meglio i delicati aromi del prodotto.
State ancora cercando un regalo natalizio originale e sfizioso per i vostri amici e parenti? Abbiamo una soluzione sicuramente gradita e apprezzata: l’elegante cestone Nostrano composto da una selezione di prodotti a chilometro zero.
La golosa scelta di prodotti include: sciroppo al sambuco, gazosa al mandarino, farina meschia, tisana della sera, farina di segale, confettura all’uva americana, sugo al basilico, biscotti alla farina bona, prosciutto crudo e mortadella di fegato.
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Idee e acquisti per la settimana
Migros Bio
E adesso qualcosa di caldo Nella stagione fredda una zuppa calda fa sempre piacere. Le verdure invernali come la carota, il porro e il sedano rapa si prestano particolarmente bene per la loro preparazione. Chi ne cucina qualche porzione in più da riporre nel congelatore avrà poi a disposizione un pasto veloce e semplice da servire in tavola Testo Heidi Bacchilega; Foto e Styling Ruth Küng; Ricetta Regula Brodbeck
Una zuppa, tre varianti Di porri, sedano rapa o carote: hanno tutte un gusto delicato e riscaldano
Migros Bio è sinonimo di agricoltura in armonia con la natura. L’assortimento Bio comprende oltre 1300 prodotti. Ingredienti di qualità bio che ben si abbinano alla zuppa di carote: castagne glassate spezzettate, scorza d’arancia e una spolverata di cacao in polvere.
Parte di
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Idee e acquisti per la settimana
Aiuto in cucina
Suggerimenti e trucchi per il congelamento delle zuppe
Ricetta di base per vellutata di carote, di porri o di sedano
Le zuppe possono essere congelate con facilità. A tale scopo possono essere utilizzati non solo i contenitori salvafreschezza, bensì anche i sacchetti per la congelazione e le bottiglie in PET.
Piatto principale per 4 persone Ingredienti 500 g di verdure, ad es. o carote, o porri o sedano rapa* 1 cipolla* 300 g di patate farinose* 2 cucchiai di burro* 8 dl di brodo di verdura* 1 foglia d’alloro 1 cucchiaino di maggiorana secca un pezzetto di scorza di limone* 180 g di panna acidula semigrassa* sale alle erbe, pepe
Ingredienti di qualità bio che ben si abbinano alla zuppa di porri: crostini, uovo in camicia e porro finemente tagliato.
Preparazione Tagliate la verdura, la cipolla e le patate a pezzetti. Soffriggetele nel burro e bagnatele con il brodo. Aggiungete la foglia d’alloro, la maggiorana e la scorza di limone. Incoperchiate e lasciate sobbollire per 20-25 minuti. Eliminate la foglia d’alloro e la scorza di limone. Incorporate la panna e frullate il tutto. Regolate la vellutata di sale e pepe.
Contenitori salvafreschezza Sono disponibili in vari formati e particolarmente adatti per il trasporto. Unico inconveniente: versare il contenuto in un piatto o in una ciotola risulta talvolta un po’ difficoltoso.
Tempo di preparazione 15 minuti + cottura 20-25 minuti
* In vendita come prodotto di qualità Bio. Per persona senza guarnizione, ca. 5 g di proteine, 13 g di grassi, 19 g di carboidrati, 900 kJ/210 kcal
Sacchetti per congelazione Devono essere chiusi con particolare attenzione. Bisogna inoltre fare in modo che la zuppa sia fredda prima di metterla nel congelatore. In caso contrario ne risentono gli alimenti già congelati. Bottiglie in PET Sono disponibili in diverse dimensioni e con diversi tipi di tappo. Importante: le bottiglie non devono essere riempite completamente, dal momento che durante la congelazione il volume dei liquidi aumenta, ciò che potrebbe far saltare il tappo.
Ingredienti di qualità bio che ben si abbinano alla zuppa di sedano rapa: feta sbriciolata, foglioline di cavoletti di Bruxelles e pepe nero.
Scongelare Chi non dispone di un forno a microonde può togliere la zuppa dal congelatore qualche ora prima del consumo e riporla nel frigorifero. Se invece si ha fretta si può mettere il contenitore del cibo congelato in ammollo nell’acqua calda.
Ricette di
www.saison.ch **Nelle maggiori filiali
Migros Bio Cipolle rete, 500 g al prezzo del giorno
Migros Bio Carote sacchetto, 1 kg al prezzo del giorno
Migros Bio Burro 200 g Fr. 3.70
Migros Bio Uova da allevamento all’aperto 4 x 63 g+ Fr. 3.30
Migros Bio Bevanda al cacao 500 g** Fr. 7.60
Migros Bio Feta 150 g** Fr. 3.40
Migros Bio Max Havelaar Pepe nero 100 g** Fr. 3.40
Migros Bio Brodo di verdura 180 g Fr. 3.55
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Idee e acquisti per la settimana
Aiuto in cucina
Suggerimenti e trucchi per il congelamento delle zuppe
Ricetta di base per vellutata di carote, di porri o di sedano
Le zuppe possono essere congelate con facilità. A tale scopo possono essere utilizzati non solo i contenitori salvafreschezza, bensì anche i sacchetti per la congelazione e le bottiglie in PET.
Piatto principale per 4 persone Ingredienti 500 g di verdure, ad es. o carote, o porri o sedano rapa* 1 cipolla* 300 g di patate farinose* 2 cucchiai di burro* 8 dl di brodo di verdura* 1 foglia d’alloro 1 cucchiaino di maggiorana secca un pezzetto di scorza di limone* 180 g di panna acidula semigrassa* sale alle erbe, pepe
Ingredienti di qualità bio che ben si abbinano alla zuppa di porri: crostini, uovo in camicia e porro finemente tagliato.
Preparazione Tagliate la verdura, la cipolla e le patate a pezzetti. Soffriggetele nel burro e bagnatele con il brodo. Aggiungete la foglia d’alloro, la maggiorana e la scorza di limone. Incoperchiate e lasciate sobbollire per 20-25 minuti. Eliminate la foglia d’alloro e la scorza di limone. Incorporate la panna e frullate il tutto. Regolate la vellutata di sale e pepe.
Contenitori salvafreschezza Sono disponibili in vari formati e particolarmente adatti per il trasporto. Unico inconveniente: versare il contenuto in un piatto o in una ciotola risulta talvolta un po’ difficoltoso.
Tempo di preparazione 15 minuti + cottura 20-25 minuti
* In vendita come prodotto di qualità Bio. Per persona senza guarnizione, ca. 5 g di proteine, 13 g di grassi, 19 g di carboidrati, 900 kJ/210 kcal
Sacchetti per congelazione Devono essere chiusi con particolare attenzione. Bisogna inoltre fare in modo che la zuppa sia fredda prima di metterla nel congelatore. In caso contrario ne risentono gli alimenti già congelati. Bottiglie in PET Sono disponibili in diverse dimensioni e con diversi tipi di tappo. Importante: le bottiglie non devono essere riempite completamente, dal momento che durante la congelazione il volume dei liquidi aumenta, ciò che potrebbe far saltare il tappo.
Ingredienti di qualità bio che ben si abbinano alla zuppa di sedano rapa: feta sbriciolata, foglioline di cavoletti di Bruxelles e pepe nero.
Scongelare Chi non dispone di un forno a microonde può togliere la zuppa dal congelatore qualche ora prima del consumo e riporla nel frigorifero. Se invece si ha fretta si può mettere il contenitore del cibo congelato in ammollo nell’acqua calda.
Ricette di
www.saison.ch **Nelle maggiori filiali
Migros Bio Cipolle rete, 500 g al prezzo del giorno
Migros Bio Carote sacchetto, 1 kg al prezzo del giorno
Migros Bio Burro 200 g Fr. 3.70
Migros Bio Uova da allevamento all’aperto 4 x 63 g+ Fr. 3.30
Migros Bio Bevanda al cacao 500 g** Fr. 7.60
Migros Bio Feta 150 g** Fr. 3.40
Migros Bio Max Havelaar Pepe nero 100 g** Fr. 3.40
Migros Bio Brodo di verdura 180 g Fr. 3.55
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Idee e acquisti per la settimana
Migros-Bio
I nostri principi Divieto di trasporti aerei
Protezione naturale delle piante, anziché uso di pesticidi di sintesi Le coccinelle sono insetti utili contro gli afidi.
Biodiversità e rotazione delle colture Inclusi sovescio e coltivazioni miste.
Produzione nel rispetto dei cicli naturali Concimi e foraggi di produzione propria.
Allevamento rispettoso degli animali Hanno la possibilità di muoversi regolarmente all’aperto.
Un approccio rispettoso dell’ambiente significa agricoltori bio che lavorano in armonia con la natura. Sta loro a cuore il benessere di persone, animali piante, così come la fertilità del suolo, la biodiversità e un uso attento dell’acqua. Mantenendo intatto l’ecosistema, contribuiscono a far sì che le generazioni future possano usufruire di prodotti biologici di alta qualità.
Migros Bio è sinonimo di agricoltura in armonia con la natura. L’assortimento Bio comprende oltre 1300 prodotti.
Parte di
20% su tutti i praliné Prestige Frey.
20%
21.20 invece di 26.50 Praliné Prestige Frey, UTZ 500 g
20%
13.75 invece di 17.20 Praliné Prestige Noir Frey, UTZ 250 g
20%
8.60 invece di 10.80 Praliné Prestige Figue & Nougat Frey, UTZ 130 g
20%
14.80 invece di 18.50 Praliné Prestige Edition d’Or Frey, UTZ 256 g
Da tutte le offerte sono esclusi gli articoli già ridotti. OFFERTE VALIDE SOLO DAL 13.12 AL 19.12.2016, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK
20%
12.20 invece di 15.30 Praliné Prestige con motivo di renna Frey, UTZ 235 g
20%
13.75 invece di 17.20 Praliné Prestige Caramel Frey, UTZ 250 g
20%
7.80 invece di 9.80 Praliné Prestige Frey in scatola a forma di cuore, UTZ 99 g
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Idee e acquisti per la settimana
M-Classic
Chinoise a volontà
Azione 20% su tutte le fondue chinoise surgelate di M-Classic dal 13 al 19 dicembre Per una fondue chinoise si calcolano tra i 150 e i 200 grammi di carne a testa e circa 150 grammi di salse.
Se si vuole organizzare una festosa cena in compagnia, che possa competere in popolarità con una fondue di formaggio o con una raclette, allora ci si deve orientare verso la classica fondue chinoise. Qui il fattore principale è rappresentato dalla scelta della carne. Affinché tutti gli amanti di questo tipo di fondue trovino in tavola qualcosa di loro gusto, tutte le varietà di carne dovrebbero essere rappresentate in porzioni sufficienti. Nessun problema con M-Classic, il cui assortimento di surgelati comprende l’intera gamma di possibili combinazioni e confezioni.
M-Classic Fondue Chinoise Manzo Svizzera, surgelato, 450 g Fr. 22.40 invece di 28.–
M-Classic Fondue Chinoise Manzo/Maiale Svizzera, surgelato, 600 g Fr. 26.40 invece di 33.–
M-Classic Fondue Chinoise Manzo/Vitello Svizzera, surgelato, 600 g Fr. 30.40 invece di 38.– Nelle maggiori filiali
M-Classic Fondue Chinoise Pollo/Tacchino Svizzera, surgelato, 200 g Fr. 7.– invece di 8.80
Azione 30%
8.40 invece di 12.– Bratwurst di vitello Olma Svizzera, in conf. da 4 x 160 g/640 g
15% Grana Padano per es. grattugiato, in busta, 120 g, 1.85 invece di 2.20
50% Tutti i coltelli da cucina e le forbici Cucina & Tavola e Victorinox per es. coltello da trancio Victorinox, il pezzo, 11.40 invece di 22.80, offerta valida fino al 26.12.2016
50%
9.50 invece di 19.– Carne macinata di manzo Svizzera/Germania, in conf. da 2 x 500 g/1 kg
30%
1.75 invece di 2.50 Mango Peru/Brasile, il pezzo
20% Tutti i prodotti Perldor e Kids Proseccoli per es. Perldor Classic, 75 cl, 3.80 invece di 4.80
20% 40% Tutti i detersivi Total per es. Color, 2,475 kg, 9.50 invece di 15.90
Migros Ticino Da tutte le offerte sono esclusi gli articoli M-Budget e quelli già ridotti. OFFERTE VALIDE SOLO DAL 13.12 AL 19.12.2016, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK
Tutta la carne per fondue chinoise M-Classic surgelata, per es. manzo, 450 g, 22.40 invece di 28.–
. to a rc e m l a e m o c a z La freschez 50%
9.90 invece di 19.80 Salmone affumicato ASC d’allevamento, Norvegia, 330 g, offerta valida fino al 26.12.2016
M consiglia
30%
6.60 invece di 9.50 Pollo intero Optigal, 2 pezzi Svizzera, al kg
40%
3.20 invece di 5.40 Filetto di maiale M-Classic Svizzera, per 100 g
50%
21.50 invece di 43.– Filetto di maiale in crosta Svizzera, 800 g
ABBINAMENTO GOLOSO La pasta ai gamberetti si trasforma in uno squisito piatto festivo. I peperoncini conferiscono ai crostacei quel tocco piccante, la crème fraîche e l’olio d’oliva il giusto condimento. Trovi la ricetta su saison.ch/consigliamo e tutti gli ingr edienti freschi alla tua Migros.
30%
3.85 invece di 5.50 Gamberetti tail-on cotti, bio d’allevamento, Ecuador, per 100 g
30%
5.25 invece di 7.50 Filetto di sogliola limanda Atlantico nord-orientale, per 100 g, fino al 17.12
25%
1.95 invece di 2.65 Gnocchi freschi Di Lella prodotti in Ticino, conf. da 500 g
30%
1.60 invece di 2.30 Pancetta da grigliare affettata TerraSuisse per 100 g
Migros Ticino OFFERTE VALIDE SOLO DAL 13.12 AL 19.12.2016, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK
30%
25%
4.90 invece di 7.10
2.70 invece di 3.65
Fettine di vitello razza Piemontese Italia, imballate, per 100 g
Spezzatino di vitello TerraSuisse Svizzera, imballato, per 100 g
conf. da 2
30%
5.95 invece di 8.55 Prosciutto cotto Malbuner in conf. da 2 Svizzera, 2 x 138 g
30%
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3.30 invece di 3.80 Pane rustico Pain Création 400 g
20% Tutto l’assortimento di confetture Favorit per es. albicocche del Vallese, 350 g, 3.15 invece di 3.95
30% Tutti i biscotti natalizi in busta da 500 g (confezioni miste escluse), per es. stelline alla cannella, 4.10 invece di 5.90
20% Tutte le Praliné Prestige Frey, UTZ per es. 250 g, 12.60 invece di 15.80
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Tutti i montalatte, le caffettiere, le teiere e le caraffe isolanti Bialetti e Cucina & Tavola per es. caffettiera Bialetti, argento, per 6 tazze, il pezzo, 29.80, offerta valida fino al 26.12.2016
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Orata reale 300–600 g, Grecia, per 100 g, 1.60 invece di 2.30 30% Fino al 17.12
Insalata del re Anna’s Best in conf. da 2, 2 x 150 g, 6.20 invece di 7.80 20%
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Torta all’ananas Royal, torta Nougat e torta svedese al lampone, intera o 2 pezzi, per es. torta Nougat intera, 500 g, 7.80 invece di 9.80 20%
Salmone affumicato MSC surgelato, al kg, 52.50 invece di 75.– 30%
Fiori e piante
Red Bull Standard in conf. da 24, 24 x 250 ml, 27.70 invece di 39.60 30%
Luganighetta, Svizzera, conf. da 2 x 250 g/500 g, 6.90 invece di 9.30 25%
Pane e latticini
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Salmone affumicato MSC, surgelato, 475 g, 52.50 invece di 75.– 30%
Phalaenopsis, 3 steli, con decorazione e coprivaso, in vaso da 12 cm, disponibile in diversi colori, per es. bianca, 24.90 Hit ** Mazzo di amarillidi, disponibile in diversi colori, per es. rosso, 14.90 Hit
Salviettine cosmetiche e fazzoletti Linsoft in confezioni multiple per es. scatola di salviettine cosmetiche in conf. da 3, FSC, 3 x 150 pezzi, 4.55 invece di 5.70, offerta valida fino al 26.12.2016
Rosette di formaggio Tête de Moine in conf. da 2, 2 x 120 g, 9.25 invece di 11.60 20%
Altri alimenti
Panettone in scatola, 500 g, 5.20 invece di 6.50 20%
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Pane Happy Bread chiaro e scuro, 350 g, 1.90 invece di 2.40 20%
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20% Tutti i prodotti per la cura del viso Nivea Men per es. schiuma da barba sensitive, 200 ml, 2.– invece di 2.50, offerta valida fino al 26.12.2016
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Ravioli e gnocchi M-Classic in confezioni multiple, per es. ravioli al formaggio e al pesto in conf. da 3, 3 x 250 g, 9.60 invece di 12.90 25%
Tutto l’assortimento di lettiere per gatti Fatto, per es. Plus, 10 l, 5.40 invece di 6.80 20% Tutti gli alimenti per gatti Sheba in conf. da 12, bustine e vaschette, 12 x 85 g, per es. Selection in salsa, 12 x 85 g, 8.35 invece di 10.05 15%
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Cofanetto di biscotti senza glutine e lattosio, 950 g, 18.70
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Per una colazione golosa e fruttata.
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Dal profumo esotico al cocco.
3.60 Crema per le mani al cocco I am 100 ml
i Impilabili e lavabil in lavastoviglie. Piatti e ciotole in tinta unita Cucina & Tavola in set da 4 per es. piatto, 21,5 cm, 9.80
Si prende cura delle labbra.
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Per la pelle dei piedi secca e sollecitata. Rinfresca la pelle.
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Deterge e calma la pelle.
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Idee e acquisti per la settimana
Valflora
Unâ&#x20AC;&#x2122;aggiunta cremosa
La mezza panna e la panna intera di Valflora danno un tocco finale a torte, pasticcini e dessert. La panna montata nella bombola è invece ideale per le decorazioni, anche in occasione di feste fuori casa
Valflora Panna intera UHT 500 ml Fr. 3.15
Valflora Panna montata non zuccherata, bombola 250 g Fr. 3.90
Valflora Mezza panna UHT 250 ml Fr. 1.15
Valflora Panna montata zuccherata, bombola 250 g Fr. 4.35
Quadratini di semolino con amaretti e bacche Per 1 contenitore porta dolci (partybutler) o per 1 stampo rettangolare di 21 x 31 cm; per ca. 16 pezzi Ingredienti 1 l di latte 2,5 dl di panna semigrassa 1 presa di sale 170 g di semolino di grano duro 300 g di bacche miste surgelate 50 g di zucchero 40 g di burro 200 g di amaretti, ad es. italiani 1 bottiglietta di panna montata spray
Preparazione Portate a ebollizione il latte con la panna e il sale. Versate in un colpo solo il semolino e fatelo sobbollire dolcemente a fuoco basso, mescolando di tanto in tanto, per ca. 10 minuti, fino a ottenere un semolino. Aggiungete le bacche, lo zucchero e il burro e mescolate per ca. 2 minuti. Togliete la pentola dal
fuoco. Distribuite gli amaretti nello stampo. Versate il semolino sugli amaretti e livellate. Fate raffreddare e consolidare in frigo per almeno 4 ore. Dividete in ca. 16 pezzi e guarnite con la panna montata. Tempo di preparazione ca. 25 minuti + raffreddamento e consolidamento minimo 4 ore Valflora Mezza panna bombola 250 g Fr. 3.65
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Idee e acquisti per la settimana
La produzione
Dalla scelta al bancone Maurizio Marzullo, capo macellaio alla Migros di Lugano Centro. (TiPress)
Dry Aged Steak con una frollatura di 6 settimane. Più la frollatura è lunga, più il sapore è intenso.
Dry Aged Steak con una frollatura di 5 settimane
2
1
Scelta e frollatura: i pezzi di carne che saranno lavorati secondo il metodo Dry Aged Beef devono essere «marmorizzati» in modo perfetto, ossia devono presentare delle striature appropriate. Si tratta di un indizio di qualità importante, perché il grasso veicola il sapore. La carne viene lasciata a frollare sull’osso per almeno 21 giorni, all’interno di una stanza speciale con una temperatura di due gradi e un tasso d’umidità dell’80 percento. Qui cede il 20 percento del suo peso. Alla fine del processo diventa tenera e si distingue dalla comune carne per il suo gusto nocciolato.
Qual è il modo migliore di preparare la carne? Bisognerebbe tirare fuori la carne dal frigorifero un’ora prima di cucinarla. Poi bisognerebbe rosolarla a puntino su entrambi i lati e quindi metterla a cuocere nel forno preriscaldato a 120 gradi, fino al raggiungimento della temperatura interna desiderata. Quest’ultima si può misurare con un apposito termometro da carne. Con il livello di cottura «medio» la temperatura interna si attesta tra i 59 e i 61 gradi. Siccome la carne ha di per sé un sapore intenso, basta condirla alla fine con un pizzico di Fior di sale. Buon appetito!
Dry Aged Beef
Amanti della carne, attenzione: alcune filiali Migros selezionate propongono il «Dry Aged Beef». Questa carne di manzo «frollata all’osso» si distingue per la sua particolare tenerezza e l’aroma intenso. In Ticino la trovate nelle filiali di Agno e Lugano Centro Testo Anna Bürgin; Foto zVg, Christophe Chammartin
Signor Marzullo, cosa significa esattamente «Dry Aged»? La carne Dry Aged viene frollata a secco all’osso, perdendo così fino al 20 percento del peso. In questo modo non solo diventa particolarmente tenera, ma accentua il suo sapore di carne.
Come ci descriverebbe il primo morso a una bistecca di qualità Dry Aged? La carne è così tenera che si scioglie letteralmente sulla lingua. Inoltre, a seconda del grado di stagionatura, ha un sapore più o meno forte di nocciola.
Grado di frollatura: dopo il processo di frollatura la carne viene messa a riposare in un umidificatore (v. foto principale), disponibile nelle filiali Migros selezionate: la carne vi viene lasciata fino alla vendita, ripartita su quattro livelli a seconda del grado di frollatura. Più è scura, maggiore è il tempo di riposo trascorso. La superficie secca è uno dei marchi di qualità della frollatura all’osso; il macellaio la rimuove prima della vendita. La varietà Dry Aged è disponibile per le entrecôte, costa schiena e costata.
Gustosa tenerezza
«La carne è così tenera che si scioglie sulla lingua»
Cosa è importante per una buona bistecca, oltre al grado di frollatura? L’età dell’animale e la percentuale di grasso intramuscolare (carne marmorizzata).
Dry Aged Steak con una frollatura di 4 settimane
Dry Aged Steak con una frollatura di 3 settimane. È la durata minima della frollatura in osso; pertanto il sapore della carne è un po’ più tenue.
Intervista
3
Dal banco: le bistecche Dry Aged sono vendute al banco della carne fresca nelle filiali Migros selezionate. Il macellaio della Migros garantisce tagli di carne corretti: i pezzi dovrebbero avere uno spessore minimo di tre centimetri, per facilitare una cottura di livello medio. Inoltre, più i pezzi sono spessi meno peso perdono in fase di cottura. Durante le feste natalizie, si prega di prenotare la carne in anticipo presso le filiali, affinché tutta la richiesta possa essere soddisfatta.
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Idee e acquisti per la settimana
La produzione
Dalla scelta al bancone Maurizio Marzullo, capo macellaio alla Migros di Lugano Centro. (TiPress)
Dry Aged Steak con una frollatura di 6 settimane. Più la frollatura è lunga, più il sapore è intenso.
Dry Aged Steak con una frollatura di 5 settimane
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Scelta e frollatura: i pezzi di carne che saranno lavorati secondo il metodo Dry Aged Beef devono essere «marmorizzati» in modo perfetto, ossia devono presentare delle striature appropriate. Si tratta di un indizio di qualità importante, perché il grasso veicola il sapore. La carne viene lasciata a frollare sull’osso per almeno 21 giorni, all’interno di una stanza speciale con una temperatura di due gradi e un tasso d’umidità dell’80 percento. Qui cede il 20 percento del suo peso. Alla fine del processo diventa tenera e si distingue dalla comune carne per il suo gusto nocciolato.
Qual è il modo migliore di preparare la carne? Bisognerebbe tirare fuori la carne dal frigorifero un’ora prima di cucinarla. Poi bisognerebbe rosolarla a puntino su entrambi i lati e quindi metterla a cuocere nel forno preriscaldato a 120 gradi, fino al raggiungimento della temperatura interna desiderata. Quest’ultima si può misurare con un apposito termometro da carne. Con il livello di cottura «medio» la temperatura interna si attesta tra i 59 e i 61 gradi. Siccome la carne ha di per sé un sapore intenso, basta condirla alla fine con un pizzico di Fior di sale. Buon appetito!
Dry Aged Beef
Amanti della carne, attenzione: alcune filiali Migros selezionate propongono il «Dry Aged Beef». Questa carne di manzo «frollata all’osso» si distingue per la sua particolare tenerezza e l’aroma intenso. In Ticino la trovate nelle filiali di Agno e Lugano Centro Testo Anna Bürgin; Foto zVg, Christophe Chammartin
Signor Marzullo, cosa significa esattamente «Dry Aged»? La carne Dry Aged viene frollata a secco all’osso, perdendo così fino al 20 percento del peso. In questo modo non solo diventa particolarmente tenera, ma accentua il suo sapore di carne.
Come ci descriverebbe il primo morso a una bistecca di qualità Dry Aged? La carne è così tenera che si scioglie letteralmente sulla lingua. Inoltre, a seconda del grado di stagionatura, ha un sapore più o meno forte di nocciola.
Grado di frollatura: dopo il processo di frollatura la carne viene messa a riposare in un umidificatore (v. foto principale), disponibile nelle filiali Migros selezionate: la carne vi viene lasciata fino alla vendita, ripartita su quattro livelli a seconda del grado di frollatura. Più è scura, maggiore è il tempo di riposo trascorso. La superficie secca è uno dei marchi di qualità della frollatura all’osso; il macellaio la rimuove prima della vendita. La varietà Dry Aged è disponibile per le entrecôte, costa schiena e costata.
Gustosa tenerezza
«La carne è così tenera che si scioglie sulla lingua»
Cosa è importante per una buona bistecca, oltre al grado di frollatura? L’età dell’animale e la percentuale di grasso intramuscolare (carne marmorizzata).
Dry Aged Steak con una frollatura di 4 settimane
Dry Aged Steak con una frollatura di 3 settimane. È la durata minima della frollatura in osso; pertanto il sapore della carne è un po’ più tenue.
Intervista
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Dal banco: le bistecche Dry Aged sono vendute al banco della carne fresca nelle filiali Migros selezionate. Il macellaio della Migros garantisce tagli di carne corretti: i pezzi dovrebbero avere uno spessore minimo di tre centimetri, per facilitare una cottura di livello medio. Inoltre, più i pezzi sono spessi meno peso perdono in fase di cottura. Durante le feste natalizie, si prega di prenotare la carne in anticipo presso le filiali, affinché tutta la richiesta possa essere soddisfatta.
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Idee e acquisti per la settimana
Assortimento bebè
Idee regalo per i piccolissimi
Milette Gioco da appendere Mini-Musica assortita con carillon integrato Fr. 21.80
Cossa posso mai regalare al mio figlioccio piccolino, si starà chiedendo qualcuno. Bella e utile nel contempo, ecco la babybox che si può riempire a piacimento con un sacco di cose fantastiche. L’assortimento bebè della Migros offre l’ispirazione per molti regali: comprende tutto quanto serve a un bimbo, dai giocattoli ai vestitini fino ai prodotti per la cura del corpo Testo Dora Horvath; Foto Fabian Häfeli; Styling Mirjam Käser
Pigiama per bebè turchese con motivo pupazzo di neve due pezzi, taglie 68-98 Fr. 11.90
Box wellness I prodotti della linea curativa per bebè di Milette viziano il bimbo dalla testa ai piedi. Una morbida coperta completa bene il tutto.
Coperta per bebè bianco-grigia cotone-jersey e velluto 100 x 80 cm Fr. 19.–
Milette Primo libro illustrato per bebè assortito con funzioni di gioco nascoste Fr. 12.80
Box giocattoli Quali primi giocattoli per bebè vanno benissimo un libro illustrato o un gioco da appendere con carillon integrato.
Pantofole unisex con motivo rinoceronte maglia con suola antiscivolo, grigio-bianco gr. 3-9 mesi e 9-12 mesi Fr. 13.–
Milette Naturals gel detergente e shampoo per bebè 200 ml Fr. 4.80
Milette Naturals gel bagno per bebè 300 ml Fr. 4.20
Milette Naturals crema Body & Face per bebè 100 ml Fr. 5.90
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Assortimento bebè
Idee regalo per i piccolissimi
Milette Gioco da appendere Mini-Musica assortita con carillon integrato Fr. 21.80
Cossa posso mai regalare al mio figlioccio piccolino, si starà chiedendo qualcuno. Bella e utile nel contempo, ecco la babybox che si può riempire a piacimento con un sacco di cose fantastiche. L’assortimento bebè della Migros offre l’ispirazione per molti regali: comprende tutto quanto serve a un bimbo, dai giocattoli ai vestitini fino ai prodotti per la cura del corpo Testo Dora Horvath; Foto Fabian Häfeli; Styling Mirjam Käser
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Idee e acquisti per la settimana
Cucina & Tavola
Infornare è ancor più comodo
Con le nuove e pratiche teglie di Cucina & Tavola preparare dolci è ancor più facile. Le piastre da forno sono maneggevoli, dotate di un migliorato rivestimento antiaderente e facili da pulire Testo Jaqueline Vinzelberg
Cucina & Tavola Teglia per mini muffin Fr. 9.80
Cucina & Tavola Teglia per crostate smaltata, Ø 28 cm Fr. 16.80
Affinché i muffin riescano bene lo speciale rivestimento della teglia assicura una distribuzione del calore rapida e uniforme.
La teglia rotonda è particolarmente robusta e resistente ai graffi grazie al rivestimento in smalto. È adatta per la cottura di tutti i tipi di torte.
Suggerimento La teglia è idonea anche per la preparazione di porzioni singole di gratin di patate o pasta.
Suggerimento È la forma ideale per la cottura delle torte rovesciate, come la tarte Tatin.
Cucina & Tavola Teglia Partybutler Fr. 14.80
Cucina & Tavola Teglia per crostate 34 x 26 cm Fr. 12.80
Coprire e trasportare: il Partybutler è nel contempo teglia da forno e confezione: risulta così facile portare con sé i dolci fatti in casa. Questo vale anche per sformati e dessert. La teglia ha un rivestimento antiaderente e può essere messa nella lavastoviglie. Il coperchio deve invece essere lavato a mano.
Per cuocere e arrostire: grazie ai suoi bordi alti questa è la teglia ideale per preparare sia torte che carni, o ancora lasagne e cannelloni fatti in casa. Suggerimento I professionisti consigliano di ingrassare la teglia o di utilizzare la carta da forno.
m e i e. s n i e Pe festeggia Piatto gastronomico pesce
Il Pain Surprise Nostrani del Ticino
56.– vassoio per 4 persone
46.–
(a discrezione con pane bianco o integrale)
Pizzette e salatini di sfoglia mista
3.40 per 100 g
Piatto gastronomico carne
(min. di ordinazione 500 g)
68.– vassoio per 4 persone
I finger food salati
33.– confezione 15 pezzi
Il Pain Surprise salumi e formaggi
34.–
(a discrezione con pane bianco o integrale)
Stella sfoglia frutta mista
3.20 per 100 g
(es. per 6 persone, ca. 840 g)
Questi e molti altri articoli sono disponibili in tutti i De Gustibus, i Ristoranti e i banchi pasticceria dei supermercati Migros del Ticino. (Ordinazioni con almeno 48 ore di anticipo) Tel. 0848 848 018 / party-service@migrosticino.ch Per maggiori informazioni: www.migrosticino.ch/party-service
La pasticceria mignon
3.70 per 100 g
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Idee e acquisti per la settimana
Elan
Fresco profumo per tutta la giornata I detersivi universali liquidi di Elan garantiscono non solo biancheria pulita, ma anche un fresco profumo che dura a lungo. Le cinque diverse profumazioni floreali sono dotate di perle di freschezza, che si liberano in caso di movimenti o di contatto con i capi di vestiario. I detersivi di Elan sono adatti alla biancheria bianca e colorata, agiscono giĂ a partire da 15 gradi e sono facilmente biodegradabili.
Elan Spring Time 2 l Fr. 13.90
Elan Flower Moments 2 l Fr. 13.90 Il contatto libera le perle di profumo.
Elan Summer Breeze 2 l Fr. 13.90
Elan Fresh Lavender 2 l Fr. 13.90
M-Industria crea numerosi prodotti Migros, tra cui anche i detersivi Elan.
APERTURE STRAORDINARIE
Domenica 18 dicembre saranno aperti dalle 10 alle 18: Centro Agno – Arbedo-Castione – Bellinzona Biasca – Giubiasco – Parco Commerciale Grancia Locarno – Losone Do it + Garden – Lugano Centro Pregassona – Centro S. Antonino Centro Shopping Serfontana – Taverne
Sabato 24 e 31 dicembre i negozi saranno aperti già alle 7.30!