Cooperativa Migros Ticino
Società e Territorio Il centro TRaGitto propone un progetto di integrazione sociale basato sull’Urban Knitting
Ambiente e Benessere L’assicurazione obbligatoria delle cure medico-sanitarie (AOMS) continuerà a rimborsare le prestazioni di medicina complementare
G.A.A. 6592 Sant’Antonino
Settimanale di informazione e cultura Anno LXXX 18 aprile 2017
Azione 16 Politica e Economia Domenica primo turno delle presidenziali francesi: tutto resta aperto
Cultura e Spettacoli Il Grand Palais di Parigi festeggia Auguste Rodin nel centenario della morte
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Keystone
Il Papa al Cairo, viaggio difficile
di Giorgio Bernardelli
Parola d’ordine: dietrofront di Peter Schiesser Se una settimana fa scrivevo di un’Amministrazione Trump in cerca di identità, dopo le giravolte e gli scivoloni in politica interna, frutto dello scontro fra i diversi poteri (esecutivo, legislativo, giudiziario), la cronaca impone di occuparsi ancora una volta della politica americana, questa volta estera. Se nelle faccende interne Trump è costretto a muoversi all’interno di un sistema di checks and balances, nel resto del mondo il presidente ha la mano molto più libera. E sembrava che avrebbe stravolto le strategie perseguite da decenni, verso la Cina, la Russia, la Nato, la Siria, la Corea del Nord. La Cina è un «campione nelle manipolazioni valutarie» e tiene artatamente basso il valore del Renminbi per danneggiare le esportazioni americane? Dopo l’incontro nella sua tenuta in Florida con Xi Jinping, il presidente statunitense ha ritirato l’accusa, per predisporre il presidente cinese ad aiutarlo a disinnescare la crisi nordcoreana. Nonostante fosse accusato di essere il beneficiario dei tentativi russi di influenzare le presidenziali americane, Trump ha più volte elogiato Putin e preannunciato una primavera nei rapporti con Mosca; ora i
59 missili scagliati su una base aerea militare in Siria hanno riportato le relazioni con la Russia ai livelli più bassi. La Nato è obsoleta? Alla prima conferenza stampa con il segretario generale della Nato Stoltenberg, Trump ha ritirato il suo giudizio, affermando candidamente il contrario. La Siria non rappresenta un interesse strategico per gli Stati Uniti? Dopo l’uso di armi chimiche contro la popolazione nella provincia di Idlib, a quanto si legge mosso a compassione dalla reazione scioccata della first daughter Ivanka, Trump ha ordinato il bombardamento della base aerea da cui è partito l’attacco, aprendo di fatto come primo presidente americano le ostilità con il regime di al-Assad. Non è escluso un intervento militare con invio di truppe contro la Corea del Nord? Troppo rischioso, ora si cerca di motivare il governo cinese a lasciar cadere il regime nordcoreano. Rispondono ad una strategia, queste ritrattazioni? In parte rispecchiano decennali interessi geopolitici (non erano pochi gli scettici riguardo un riavvicinamento con la Russia), in parte sono frutto di un’improvvisazione e di un’incompetenza in politica estera da lasciar stupiti. Prendiamo la rappresaglia in Siria: in termini militari i 59 missili hanno avuto un impatto irrisorio, non è neppure stata
danneggiata la pista d’atterraggio, in termini politici sollevano un unico grande interrogativo: E poi? Cosa segue a questo primo attacco? C’è una strategia per liberarsi di al-Assad o di porre termine in qualche modo al conflitto? Se la risposta è no, che senso avevano quei 59 missili? E se invece Trump intende sovvertire le sorti del conflitto, scalzare al-Assad, dovrà intervenire in modo più duro, ma non ci sono avvisaglie in tal senso. A Washington non possono certo dimenticare che intervenire in Siria significa correre il grosso rischio di assistere ad uno scontro tra militari americani e russi, l’ultimo degli scenari auspicabili. Se tutto finirà qui, bisognerà constatare che agli occhi del governo americano valgono di più una settantina di vittime di un attacco chimico delle altre 400mila che la guerra ha fin qui provocato, senza contare i feriti e i milioni di profughi. Improvvisazione e imprevedibilità sono molto pericolose in politica estera, un campo in cui ad ogni atto può corrispondere una reazione imprevista. E qui non si può evitare di pensare alla Corea del Nord, la cui dirigenza è già paranoica di suo. Che su Pyongyang Trump mostri di voler trovare un’intesa con la Cina è un buon segno, ma non è ancora una strategia compiuta.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 18 aprile 2017 • N. 16
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Attualità Migros
M Per gli Svizzeri Migros ha la migliore reputazione
Riconoscimenti È il quarto anno consecutivo che il sondaggio GfK Business Reflector
conferma la posizione di leader dell’azienda svizzera: ciò soprattutto grazie al suo impegno sociale ed ecologico Il GfK Business Reflector, istituto specializzato in ricerche di mercato, conduce ogni anno un sondaggio rappresentativo per misurare la reputazione di 50 aziende leader svizzere. La ricerca è effettuata in collaborazione con il Forschungsinstitut für Öffentlichkeit und Gesellschaft (fög) dell’Università di Zurigo. Per stilare la classifica 2017 sono state intervistate oltre 3500 persone in tutta la Svizzera. Il sondaggio si è concentrato su fattori come qualità, sostenibilità, originalità e identificazione con l’impresa nonché simpatia nei confronti dell’azienda. Al termine della ricerca Migros ha chiaramente fatto registrare il primo posto in classifica nella valutazione della sua reputazione. Negli ultimi dieci anni la Migros si è classificata prima per ben sei volte, e le ultime quattro sono state addirittura vittorie consecutive. La dott.ssa Anja Reimer di GfK Switzerland commenta così il risultato: «Migros ottiene le valutazioni migliori sotto tutti gli aspetti della reputazione. Stanno dando i loro frutti soprattutto i continui sforzi dell’azienda nel settore della sostenibilità. È in questo ambito che Migros stacca più nettamente la concorrenza». Migros è già stata insignita del titolo di commerciante al dettaglio più sostenibile al mondo dall’agenzia di rating indipendente Oekom Research AG di Monaco. Il primo posto decretato dal GfK Business Reflector conferma ancora una volta la gestione responsabile della Migros. Cornelia
Da sinistra: Ludovit Szabo (MD GfK Switzerland), Pascal Schaub (Resp. Marche della Federazione delle cooperative Migros), Cornelia Diethelm (Resp. Direzione sostenibilità e Issue Management FCM), Dr. Anja Reimer (GfK Sen. ResearchConsultant).
Diethelm, Responsabile della Direzione Sostenibilità e Issue Management della Federazione delle Cooperative Migros, è entusiasta di questa ulteriore conferma: «Una gestione improntata alla responsabilità è una componente
fondamentale dei valori Migros. Siamo estremamente felici di ottenere un così grande consenso da parte di tutte le generazioni». Da notare che il risultato dello studio trova conferma anche in un son-
daggio compiuto sul sito web ticinese Ticinonline, consultabile all’indirizzo web: www.tio.ch/News/Finanza/Consumi-e-risparmi/1138282/Migros-eancora-l-azienda-con-la-miglior-reputazione-in-Svizzera--/
Sessant’anni anni di Riseria: una festa sul Generoso Eventi Un grande risotto all’ombra del «Fiore di pietra», appuntamento speciale
per ricordare questo anniversario importante della Comunità Migros
La più grande riseria della Svizzera ha festeggiato nei giorni scorsi il sessantesimo anno dalla propria creazione. La Riseria di Taverne SA per questa occasione ha invitato 70 persone nel nuovissimo ristorante costruito sulla vetta del Monte Generoso dal famoso architetto Mario Botta. E, per una volta, la celebre ferrovia a cremagliera che sale sulle pendici della montagna non ha accompagnato verso la cima soltanto la comitiva dei passeggeri ma anche la cosiddetta Risomobil. Si tratta di un veicolo speciale a tre ruote che contiene una cucina attrezzata di tutto punto. Gli ospiti hanno dunque potuto gustare un ottimo risotto agli asparagi e altre specialità locali. Per l’occasione del suo anniversario la Riseria ha programmato la messa in commercio di una linea speciale di prodotti, che saranno disponibili nei supermercati Migros a partire dall’autunno. Per informazioni: www.riseria.ch
La «Risomobile» pronta ad accogliere gli invitati. (S. Spinelli)
Azione
Settimanale edito da Migros Ticino Fondato nel 1938 Redazione Peter Schiesser (redattore responsabile), Barbara Manzoni, Manuela Mazzi, Monica Puffi Poma, Simona Sala, Alessandro Zanoli, Ivan Leoni
Sede Via Pretorio 11 CH-6900 Lugano (TI) Tel 091 922 77 40 fax 091 923 18 89 info@azione.ch www.azione.ch La corrispondenza va indirizzata impersonalmente a «Azione» CP 6315, CH-6901 Lugano oppure alle singole redazioni
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Migros News Migros Ticino: zero emissioni? Zero franchetti! Dopo una fase sperimentale, la Cooperativa Migros Ticino, coerente con i suoi principi e valori di azienda sostenibile, sta lavorando per ampliare la sua rete di ricariche per auto elettriche. A fine dicembre dello scorso anno, tra il Centro di S. Antonino e il supermercato di Mendrisio Sud, le stazioni in funzione erano 6, di cui 4 classiche e 2 a ricarica veloce. «Non dobbiamo nascondercelo, la mobilità elettrica è ormai realtà!» afferma Silvio Vassalli, responsabile sostenibilità di Migros Ticino: «Per questo intendiamo attrezzare sempre più filiali con colonnine di rifornimento elettrico». Entro il 2018 ne sono infatti previste ulteriori 6: 2 ad Agno, 2 a Locarno e 2 a Lugano, e certamente ne seguiranno altre. In queste stazioni ecologiche, i clienti di Migros Ticino avranno dunque la possibilità di ricaricare gratuitamente i loro veicoli elettrici. Ogni colonnina costa 10’000 franchi, ma Migros Ticino è fermamente convinta che quest’ultime vadano a soddisfare un bisogno sempre più attuale e presente. La Veggie-Bag è arrivata È in vendita nelle maggiori filiali di Migros Ticino la nuova «Veggie Bag», un sacchetto per gli acquisti pensato appositamente per il trasporto di prodotti vegetali, frutta e verdura vendute sfuse nelle filiali. Realizzata completamente in poliestere, è messa in commercio in confezioni da 4 esemplari. L’obiettivo della sua introduzione è ridurre la quantità di sacchetti monouso utilizzati, diminuendo quindi l’impatto della plastica sull’ambiente. Riutilizzando il sacchetto almeno 5 volte, si ottiene già un effetto misurabile in questo senso. Interessante notare che questi sacchetti sono più ecologici anche delle borsette di stoffa, perché la produzione richiede l’uso di una minor quantità di materia prima. I produttori di questi sacchetti conformano i loro processi aziendali allo standard BSCI, che prescrive rapporti di lavoro equi e responsabili. La borsetta non è solo ecologica, ma anche socialmente sostenibile. Nuovo appuntamento per Ava Eva Il Movimento AvaEva (sostenuto dal Percento culturale Migros) invita tutte le donne interessate al primo Caffè di Sora Morte. Si terrà lunedì 24 aprile 2017 al bar History, Piazza Collegiata 5, Bellinzona dalle 14 alle ore 16.30. Si tratta di uno spazio informale in cui diventi possibile parlare della morte e di ciò che comporta per il singolo individuo, per le famiglie, per gli amici e tutti coloro che accompagnano o hanno accompagnato un morente. Con questo colloquio il Movimento AvaEva intende anche rompere quel cerchio di silenzio e di cose non dette che spesso ancora avvolge questo tema nella nostra società e, a volte, opprime le persone. L’incontro sarà moderato da Norma Bargetzi, coordinatrice di AvaEva, e Romana Camani, membro del gruppo pianificazione di AvaEva. Il Movimento AvaEva raggruppa donne della generazione delle nonne. Vuole promuovere la loro partecipazione attiva nella società, nonché dare voce alle loro rivendicazioni sociali. Info: www.avaeva.ch Abbonamenti e cambio indirizzi Telefono 091 850 82 31 dalle 9.00 alle 11.00 e dalle 14.00 alle 16.00 dal lunedì al venerdì fax 091 850 83 75 registro.soci@migrosticino.ch Costi di abbonamento annuo Svizzera: Fr. 48.– Estero: a partire da Fr. 70.–
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 18 aprile 2017 • N. 16
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Società e Territorio Il gioco ossessivo Una riflessione sulle ambivalenze del gioco d’azzardo e sui suoi rischi, primo fra tutti la dipendenza derivante dalla perdita di controllo sul bilancio fra ragione e non-ragione pagina 5
Ragazzi che scoprono il Ticino È al via la seconda edizione di Italiando, il progetto per adolescenti d’oltre Gottardo invitati a trascorrere una settimana estiva nel nostro Cantone per scoprirne le bellezze, imparare l’italiano e fare sport pagina 6
L’Urban Knitting è un’idea nata negli Stati Uniti, si tratta di ricoprire alberi, oggetti e arredi urbani con tessuti lavorati a maglia o uncinetto. (Wikimedia/ Shrewdcat)
Fili colorati per tessere legami
Urban Knitting Al centro di socializzazione Il TRaGitto lavorare a maglia diventa un progetto di integrazione sociale Roberta Nicolò Si chiama Urban Knitting e già da qualche anno sta impazzando per le città di tutta Europa. Nato negli Stati Uniti nel 2005, si è presto diffuso in tutto il mondo. Un movimento artistico o una moda? Probabilmente entrambi. L’idea è semplice: ricoprire alberi, biciclette, oggetti e arredi urbani con tessuti lavorati a mano a maglia o a uncinetto. Fare la maglia è un’occupazione che, fino a qualche decennio fa, alle nostre latitudini, si voleva squisitamente femminile, ma che storicamente era invece considerato appannaggio dell’uomo in quanto attività produttiva. Oggi, questa forma di street art, che contempla l’uso di materiali non tossici e che diventa anche un modo divertente per donare colore, vivacizzare e combattere il grigio delle metropoli contemporanee, appassiona giovani e meno giovani di entrambi i sessi. A Lugano, il centro di socializzazione Il TRaGitto, ha fatto di più. Ha unito la filosofia di questa nuova forma d’arte con il bisogno di costruire relazioni umane e sviluppare momenti di vera e propria integrazione sociale. Fili di lana che si intrecciano per colorare
gli spazi della città e intessere nuove amicizie. Gerda Pini, responsabile del progetto, ci ha raccontato come un’attività antica possa essere trasformata in un’occasione di moderna condivisione. «Non abbiamo inventato nulla di nuovo, lavorare a maglia è qualcosa che fa parte della nostra cultura e che si trova anche in moltissime altre culture del mondo. Il filato è retaggio comune. Noi da bambine si imparava addirittura a scuola a lavorare ai ferri, oggi non lo si fa più, ma questo movimento di arte urbana, l’Urban Knitting, lo ha letteralmente riportato in auge dandogli una nuova prerogativa, quella di unire le persone. Fili colorati che prendono vita per lanciare un messaggio alla comunità. Quest’idea ci è piaciuta molto. Al nostro centro di socializzazione vengono molte donne, madri soprattutto, provenienti da vari paesi. Eritrea, Siria, Iran. Ma anche dal Giappone e dall’Afghanistan. Tra le attività che noi proponiamo il lavoro di cucito ha uno spazio importante. Offre infatti occasione, ad alcune signore, di imparare un mestiere e di poter avviare una piccola attività produttiva. Il lavoro aiuta a sentirsi maggiormente integrati nella società e regala autostima. Lavorare insieme
crea un ambiente sereno e rilassato nel quale le relazioni si sviluppano con maggiore facilità. È stato quindi naturale immaginare di poter coinvolgere donne, e perché no, anche uomini, in vere e proprie sedute di Urban Knitting. Un momento collettivo, finalizzato ad abbellire lo spazio che ci circonda e renderlo colorato e vivace. Un’attività da fare insieme per impreziosire il nostro quartiere. Ma è anche un momento nel quale possono avvenire degli scambi di competenze tra chi sa già lavorare a maglia e chi invece ha voglia di imparare. Facendo la maglia si possono, inoltre, scoprire elementi che accomunano e avvicinano i paesi. È stato interessante, per esempio, vedere che in Eritrea si lavora ai ferri con lo stesso metodo usato nella Svizzera Tedesca». Il Comune di Lugano ha messo a disposizione di questa iniziativa un viale alberato a Cassarate, che si trova a pochi passi dal centro il TRaGitto. «Da qualche mese, all’interno del progetto Incontriamoci (un progetto attivo da alcuni anni e finalizzato a dare un sostegno a mamme e bambini), vengono organizzate delle mattinate per lavorare insieme a maglia e uncinetto. Gli incontri sono aperti a tutti. Si lavora
a maglia regolarmente, approfittando di piacevoli momenti informali con un obiettivo condiviso, la realizzazione dell’opera. Durante il mese di aprile, inoltre, alcuni di questi momenti sono stati organizzati proprio nel parco a lato del viale che sarà addobbato, con l’obiettivo di rendersi visibili e coinvolgere altri abitanti del quartiere, passanti e frequentatori di questo spazio pubblico. Stiamo organizzando anche degli incontri in alcune case anziani. L’Urban Knitting è un linguaggio universale, che non fa distinzione di sesso, età o nazionalità. Non serve mediazione culturale per leggere l’opera e neppure per condividere il lavoro. È quindi adatta davvero a tutti. Il colore del filato e la fantasia di chi lo lavora raccontano una storia comune e ricordano il valore e il significato delle parole condivisione e pubblico – continua la signora Pini – alberi che diventano sculture e quadri allo stesso tempo, anche se per un periodo di tempo limitato. In Germania, paese che ha un clima simile al nostro, si è visto che la lana resiste circa cinque mesi prima di dover essere rimossa dal tronco. Ma per noi l’importante è il tempo passato a produrre insieme i tessuti di lana, quello che viene costruito in termini
di relazione durante l’Urban Knitting non teme l’usura del clima. Soprattutto per le donne straniere poter instaurare dei legami amicali è molto importante. Questa attività condivisa è per loro un’opportunità. Lavorare al parco poi aiuta a prendere maggiormente contatto non solo con il territorio nel quale viviamo, ma anche con i vicini di casa, le persone del quartiere. Oggi spesso nelle città si perde la dimensione umana della vita. Tutto è frenetico e si presta poca attenzione a quello che ci succede intorno. Concedersi un momento di condivisione in uno spazio come il parco pubblico, per contribuire insieme ai nostri vicini ad un’opera d’arte collettiva per la città, può essere una bella occasione per tutti. E chi non si sente portato per il lavoro a maglia può dare il suo contributo offrendo lana e cotone» conclude Gerda Pini. Sabato 13 maggio prossimo, al parco pubblico di Cassarate in Via Vicari, verrà organizzato un vero e proprio vernissage di inaugurazione. Il TRaGitto offrirà per l’evento un buffet dai mille sapori, con pietanze tipiche dei paesi più disparati. L’occasione di incontrarsi, conoscersi e gustare quanto preparato dalle partecipanti al progetto.
Che gusto ha la bistecca? Scoprilo ora: nella tua macelleria Migros.
Un consiglio sul gusto dal mastro macellaio: mastica ogni boccone almeno 20 volte. In questo modo la carne sprigiona tutto il suo aroma. Provare per credere!
piacere-del-gusto.ch
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Società e Territorio
Ambivalenze del gioco d’azzardo
Dipendenze Nelle esperienze di gioco ossessivo o patologico si vive la perdita di controllo sul bilancio
fra ragione e non-ragione
Massimo Negrotti Pare che l’espressione «azzardare» derivi dall’arabo zara, cioè il gioco dei dadi e si sia poi estesa a tutte le attività che presentano un rischio, positivo o negativo come è per il francese antico hasard o l’inglese hazard. Ma non c’è bisogno dell’etimologia per intuire che il gioco d’azzardo e, più generalmente, il desiderio di «sfidare la sorte» è antico quanto l’uomo. Tuttavia, oggi, sembra che l’attitudine al gioco d’azzardo, nel mondo sviluppato, stia generando vere e proprie forme di dipendenza, talvolta definite persino patologie o, appunto, ludopatie. In realtà l’assiduità al gioco non è una novità e già Dostoevskij ce ne fornisce la prova ne Il giocatore, del 1866, in cui, fra l’altro, compaiono figure di tutte le categorie sociali.
Al contrario della cabala o della «smorfia» napoletana i codici e le procedure mentali del giocatore ossessivo sono personali e incomunicabili Può darsi che, attualmente, la disponibilità di tecnologie di varia natura che, grazie all’elettronica, hanno ampliato notevolmente l’offerta di dispositivi con cui giocare (in particolare slot machine e mille canali Internet attraverso cui fare «puntate») abbia agito da moltiplicatore delle tentazioni e, poi, delle dipendenze psicologiche. È però sicuro che nessuno può dirsi davvero estraneo al fascino dell’azzardo poiché, in misura per così dire «normale», si tratta di una propensione naturale verso il regno del possibile, della «fortuna» che ci può baciare improvvisamente, del futuro che potrebbe essere in procinto di riservarci una gradevole sorpresa. Naturalmente chiunque sa perfettamente che, nel gioco d’azzardo, le probabilità sono tutte contro e ciò certamente determina il carattere non razionale di questa attività se pensata come si trattasse di un investimento. Ma, paradossalmente, è proprio per questo che il giocatore trae eccitazione dal fatto di giocare. Infatti, se vincere
fosse possibile con alta probabilità, la vincita non fornirebbe alcuna gratificazione speciale. Il desiderio del bacio da parte della Fortuna, la dea romana, in altri termini, è invece il desiderio irrazionale di venire selezionati dalla «dea bendata», come fosse il premio per qualche nostra particolare virtù. C’è, inoltre, la percezione di ciò che sopra ho chiamato il «regno del possibile», ossia l’intuizione che tutto può accadere e, dunque, anche la vincita in un gioco in cui il successo, sotto il profilo matematico, è una probabilità infima. In fondo, chi gioca alle grandi lotterie o in altre simili circostanze, dimostra di possedere un orientamento ottimistico perché, sulla base del principio secondo cui anche un fenomeno a bassa probabilità «non si può escludere» del tutto, si affida alla possibilità che il successo arrida proprio a lui in quella occasione. L’ottimismo non risiede solo nel fatto di porre fiducia in un evento poco verosimile ma anche nella fiducia che viene riposta in comportamenti che presentino probabilità altrettanto basse ma di esiti negativi. Per esempio, la probabilità che l’aereo su cui stiamo per salire abbia un incidente durante il volo è, grosso modo, la stessa di una nostra grossa vincita ad un lotteria nazionale, ma l’ottimista trascura la prima e conta invece sulla seconda. Le cose sono ben diverse quando interviene la dipendenza, cioè quando il giocatore finisce per diventare preda del gioco che agisce su di lui con una forza attrattiva irresistibile. Qui, la massima di Seneca secondo cui «semel in anno licet insanire» (una volta all’anno è lecito far pazzie) cessa di essere una opportuna concessione al bisogno umano di staccarsi, di quando in quando, dalle regole, dal calcolo e dalla ragionevolezza per abbandonarsi al sogno ad occhi aperti e alla casualità degli eventi, sperando siano positivi. La figura del giocatore ossessionato dal gioco, anche senza coinvolgere, come è stato fatto, questioni patologiche di indole freudiana, è invariabilmente una figura triste, cupa e taciturna che finisce per impoverire le stesse relazioni sociali quotidiane. Egli è tacitamente persuaso di condurre una specie di battaglia infinita con la sorte che lo raggira, lo illude e poi di nuovo lo lascia a bocca asciutta. Il giocatore ossessivo non ha né vuol sentire argomenti razionali perché li conosce bene ma
Nessuna vincita può soddisfare chi ha sviluppato dipendenza dal gioco d’azzardo, così come nessuna perdita può scoraggiarlo. (Keystone)
è convinto che essi nascondano una verità più profonda, quella di un’entità invisibile potenzialmente sempre pronta ad essere catturata a proprio favore. Se non questa volta, magari la prossima: chi lo può escludere? Le vincite, che ogni tanto gli accadono, di più o meno modeste somme di danaro lo stimolano ad insistere quanto lo stimolano le sconfitte, sicuramente più numerose. In realtà, non c’è nessuna vincita che lo possa soddisfare pienamente poiché, ormai, è il gioco in quanto tale ad assorbire tutto il suo interesse e così come le sconfitte gli servono come alibi per continuare e rifarsi, le vincite sono per lui la prova che la vittoria finale è dietro l’angolo
e, dunque, conviene proseguire. Egli si persuade che la sorte, l’entità invisibile con cui ha ingaggiato la guerra, in realtà non sia del tutto imperscrutabile e, così, immagina e definisce, a proprio uso mentale esclusivo, segnali, correlazioni fra eventi o azioni da compiere dalla cui elaborazione attende una sensazione di soddisfacimento e di sicurezza nel prossimo atto di gioco. Mentre la cabala o il codice della «smorfia» napoletana forniscono indicazioni di gioco aperte a tutti e non raramente accettate con leggerezza e senza impegno alcuno, i codici e le procedure mentali del giocatore ossessivo sono totalmente personali e incomunicabili, governate da una «razionalità» com-
Un capetto in passeggino
Concorso Dal 20 aprile al cinema, con anteprime dal 12, il film d’animazione Baby Boss Tim, un ragazzino di sette anni molto fantasioso racconta dal suo punto di vista del tutto particolare la storia dell’arrivo sconvolgente di un nuovo ed originale membro all’interno della sua famiglia. Baby Boss, il nuovo fratellino, che si atteggia a piccolo dittatore ha qualcosa di diverso dagli altri neonati: arrivato in taxi, indossa giacca e cravatta e porta con sé una valigetta 24ore... sembra una spia! Tim diventa geloso di Baby, teme di perdere l’amore dei suoi genitori e si accende la rivalità tra loro. Il nuovo fratellino però nasconde un grande segreto, quando Tim lo scoprirà, le loro ostilità si placheranno e diventeranno compagni d’avventura. Solo Tim potrà essere d’aiuto al suo al suo fratellino minore in missione segreta. I due saranno coinvolti in una storia molto stravagante, surreale e ricca di colpi di scena. Insieme sventeranno un terribi-
le complotto architettato dal carismatico e malvagio Francis E. Francis, ed affronteranno un’epica battaglia, ma perché? Affidato a Tim, narratore completamente inaffidabile, questo film celebra il potere dell’immaginazione, che il protagonista usa per distorcere la realtà ed affrontare il cambiamento. Comico, divertente ed avventuroso dipinge la naturale crescita dell’affetto fraterno. Gli occhi grandi e le espressioni dei molti personaggi daranno vita ad uno spiritoso racconto in grado di coinvolgere tutta la famiglia. Il best seller di Marla Franzee a cui s’ispira questa esilarante commedia per adulti e piccini ha colpito il regista Tom McGrath conosciuto specialmente per i tre Madagascar e il fantasy Megamind. L’idea del film è nata proprio attraverso la lettura di questo libro per ragazzi ed i ricordi d’infanzia di McGrath. Il
più piccolo di due fratelli, è stato un po’ il Baby Boss della sua famiglia e consapevole dello sconvolgimento creato dal suo arrivo, racconta: «Mio fratello ed io giocavamo molto, da piccoli, ma litigavamo come tutti i fratelli. Tuttavia i fratelli, da grandi, a volte diventano amici intimi. Questo film per me è stato un omaggio affettuoso a mio fratello». Infatti la storia narrata da Franzee ruota attorno ad un bebè ad ai suoi genitori, mentre in Baby Boss è stato aggiunto il tenero Tim, che descrive le conseguenze e le dinamiche familiari che vengono introdotte da questo importante cambiamento. La storia di Tim e Baby ha la capacità di riflettere la vita e l’infanzia di chiunque, alterata dalla fantasia, coinvolgendoci in un’incredibile storia di spionaggio fatta soprattutto di immaginazione, di valori affettivi e di famiglia. Trailer su: www.babybossilfilm.it
pletamente soggettiva, che nessuno può capire ma che, presto o tardi, porterà ad una pienezza di godimento che, peraltro, assume una consistenza quasi metafisica. A questo fine viene sacrificato ogni altro valore e, in tal modo, il soggetto può accedere ad una china pericolosa di a-socialità e di potenziale aggressività. In definitiva, vale per il gioco ossessivo la stessa dinamica che vale per ogni altra forma di comportamento rischioso esagerato e dominante, cioè la perdita di controllo sul bilancio fra ragione e non-ragione, fra volizione personale e dipendenza da ciò che ci viene offerto dal mondo. Un capitolo decisivo per qualsiasi pedagogia.
Gadget in palio per i nostri lettori In occasione dell’uscita di Baby Boss in Ticino il 20 aprile (anche in 3D), Twentieth Century Fox in collaborazione con Migros Ticino mette in palio 3 pacchetti contenenti ognuno: ■ 1 zainetto ■ 1 maglietta per bambino ■ 1 activity set ■ 1 porta carte di credito ■ 1 porta carte di credito per cellulare La partecipazione è riservata a chi non ha beneficiato di vincite in altri concorsi promossi da «Azione» negli scorsi mesi. Per partecipare invia una email all’indirizzo giochi@ azione.ch mercoledì 19 aprile. Buona Fortuna!
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 18 aprile 2017 • N. 16
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Società e Territorio
Italiando ti accoglie
Amate gli anni 90?
d’oltre Gottardo sostenuto dai Frontaliers, dal DECS e dal Percento culturale Migros Ticino. L’obiettivo? Diffondere l’italiano in Svizzera
e humor firmato Playtonic Games
Giovani Sono aperte le iscrizioni al programma per adolescenti
Videogiochi Y ooka-Laylee: divertimento
Davide Canavesi
L’anno scorso sono stati 500 i ragazzi d’Oltralpe arrivati in Ticino con Italiando. (Foto Studio Job)
Sara Rossi Guidicelli Ospiti, amici, cugini d’oltralpe, venite! Entrate, vi apriamo le porte e vi mostriamo questo bel Ticino, con i suoi laghi, le montagne, la lingua italiana che canta, un po’ di dialetto per il ritornello, le palme ma soprattutto i castagni e i festival culturali e i mille sport all’aria aperta che vi possiamo offrire! Vogliamo voi, ragazzi; aspettiamo voi che avete tra i 14 e i 17 anni. Diciamo così: vogliamo 1500 giovani di lingua romancia, francese e tedesca: 1500 giovani in tre anni affinché scoprano la Svizzera italiana, per una settimana delle loro vacanze estive. Potete darvi un’infarinatura di grammatica e vocabolario e poi fuori a giocare, visitare, saltare, nuotare, calciare, arrampicarsi. Perché non venire? Vi invitiamo, e lo facciamo perché non abbiamo voglia di stare qui a lamentarci che il Ticino è il brutto anatroccolo della Svizzera, che le minoranze linguistiche sono dimenticate, che noi contiamo poco niente... ci rimbocchiamo le maniche e ci divertiamo con voi. Come matti. Sono i Frontaliers della Rsi, insieme con il Dipartimento dell’Educazione, della Cultura e dello Sport e con il Percento culturale Migros Ticino che hanno pensato a questo programma e che ne garantiscono la qualità. Una settimana per classi intere che alloggiano al Centro Sportivo nazionale di Tenero o per singoli allievi che soggiornano a Bellinzona al Centro Gioventù e Sport; la mattina si studia e il
pomeriggio si va a spasso, guidati da monitori, per svolgere attività sportive su tutto il territorio. L’anno scorso, lancio del progetto, è andata benissimo: 12 classi (250 allievi) con i loro docenti di riferimento e 250 ragazzi che si sono iscritti singolarmente, per un totale di 500 nuovi fan della Sonnenstube, o meglio: di quella che ormai ai loro occhi è molto di più di una Sonnenstube. Li abbiamo visti tirare con l’arco, camminare in montagna, visitare la Valle di Blenio, la Mesolcina, la Valle Maggia e la Verzasca senza dimenticare la Leventina e le nostre città, saltare nel fiume e imparare qual è la capitale del Ticino e come si può conversare in italiano, con un po’ di parole e molti gesti. Ci sono anche i corsi per chi un po’ di italiano lo sa già, magari perché lo impara a scuola o perché in famiglia c’è qualcuno che lo parla. E questo Ticino, come è sembrato loro? «Quello che mi è piaciuto del Ticino: la meteo, i paesaggi, la cultura che è piuttosto diversa dalla nostra», racconta una partecipante dell’anno scorso, friburghese. «Quello che rende il Ticino unico: il suo charme. Il Ticino ha un fascino magnifico, è un piccolo “Paese” con paesaggi bellissimi, una mescolanza di montagna e mare (i laghi) che mi fa pensare alle regioni del nord Italia. Consiglio il Ticino alle famiglie e alle coppie innamorate della natura». Anche Léane è stata felice di partecipare l’anno scorso e ha condiviso con la sua famiglia e i suoi amici ciò che ha visto.
«Personalmente ho adorato il paesaggio, la meteo, la gente che è gentilissima e sempre pronta ad aiutare gli altri... e poi il cibo, eccellente! Penso che la lingua italiana sia un punto molto forte del Ticino, qualcosa che non c’è in quasi nessun altro cantone svizzero. Quando si arriva da voi si ha subito l’impressione di essere in vacanza nel cuore dell’Italia, è veramente meraviglioso e molto riposante!». Il costo di questa settimana è solo di 250 franchi, la metà di quello che dovrebbe, a fare bene i conti. Sì, perché i Frontaliers di «Qui si parla itaGliano» lo avevano detto subito: obiettivo della raccolta fondi con la vendita del dvd è diffondere l’italiano in patria. Dare la possibilità, l’opportunità, il piacere ai giovani d’Oltralpe di venire qui, e di provare, imparare, trascorrere una vacanza. Conoscere. Conoscerci un po’. Diventare ambasciatore dell’italiano in Svizzera, perché è dai giovani che dipende il futuro della nostra lingua a livello nazionale, non dai politici. E qualcuno alla fine ha detto: tornerò. D’altronde, come scegliere un modo migliore per trascorrere le vacanze se non in una colonia estiva per adolescenti, quando il mondo è ancora nuovo, quando ci si innamora solo perché splende il sole e il tramonto arriva tardi, quando gli amici sono tutto, ma proprio tutto quello che si ha?
Rare è un nome famoso tra i videogiocatori attivi negli anni 90. L’azienda inglese è stata infatti molto prolifica, creando un nutrito numero di giochi per le piattaforme Nintendo. GoldenEye 007, Perfect Dark, Conker’s Bad Fur Day, Star Fox Adventures e BanjoKazooie sono tutti nomi molto cari ad una intera generazione. Rare è stata maestra nel creare universi fantasiosi e personaggi stravaganti. Più di tutte, era nota la sua perizia nel produrre giochi di grande qualità. Con l’arrivo degli anni 2000 Rare è diventata di proprietà di Microsoft e ha iniziato a produrre giochi per la console Xbox, abbandonando quindi le piattaforme della rivale Nintendo. I gusti dei giocatori sono cambiati, l’azienda è cambiata con essi. Tuttavia, le menti dietro ad alcuni dei giochi platform (quei giochi in cui bisogna saltare a più non posso e raccogliere oggetti) più iconici dell’epoca Nintendo 64, come BanjoKazooie, avevano ancora tante idee nel cassetto. Abbandonata Rare, queste persone hanno fondato Playtonic Games e grazie al supporto di una campagna di crowdfunding riuscita (Playtonic ha racimolato un milione di sterline in sole ventiquattro ore), hanno creato il successore spirituale dei giochi che hanno reso Rare così famosa. Il motivo di un’introduzione così lunga a YookaLaylee, il gioco di questa settimana è presto spiegato. Si tratta di un titolo a cui bisogna approcciarsi con gli occhi di un adolescente di fine anni 90. Yooka e Laylee sono un camaleonte ed un pipistrello amici per la pelle. I due conducono una vita semplice e tranquilla all’interno di un vecchio galeone pirata. Laylee, la pipistrellina co-protagonista del gioco, si interroga sul valore monetario di un vecchio libro ammuffito trovato per caso quando, per via di qualche strano fenomeno, centinaia di libri e pagine cominciano a volare verso una destinazione lontana. Dietro il bizzarro comportamento dei libri ci sono Capital B, un manager senza scrupoli e il malvagio Dr Quack. Il duo ha intenzione, tramite l’acquisizione forzata del potere delle pagine, di
Informazioni e iscrizioni
Il camaleonte Yooka con la pipistrellina Laylee. (Playtonic Games)
risate e il nostro dialogo ha proseguito con maggiore intensità e complicità. Ma non è tutto. Hans Hofmann, l’attuale proprietario, un effervescente zurighese animato da una smisurata passione per i libri, saputo del nostro incontro felino ci ha rivelato che quello era Henry Jaeger e come quella, in realtà, fosse anche la sua libreria. «Ci siamo adottati a vicenda» e ho voluto chiamarlo così perché come Henry Jaeger ha successo con le femmine. Ora vi chiederete perché vi sto parlando di gatti. Vi faccio un altro esempio e capirete. Sempre in quel di Ascona nell’ambito degli Eventi Letterari ho avuto il piacere di sedere accanto ad un grande signore della letteratura che conoscevo di fama ma mai avevo visto da vicino. Vestito di nero dalla punta dei piedi fino al cappello, occhiali da
sole inclusi, due punti di luce dati dalla barba e dalla camicia, sento che dice all’intervistatore di Rete Due che non parla tanto bene italiano e non sa se è il caso di esprimersi in questa lingua. Non vi dico lo stupore quando Alberto Manguel, in un perfetto italiano addolcito dalla cadenza spagnola, inizia a discorrere di luoghi immaginari, biblioteche, della magia della lettura e di Borges. Scrittore di origine argentine, Manguel quando, ancora sedicenne, lavorava in una nota libreria di Buenos Aires, ebbe infatti la fortuna di incontrare Jorge Luis Borges che – ormai cieco – gli chiese se volesse leggere per lui, la sera dopo il lavoro nel suo appartamento di Calle Maipù. Manguel accettò e fu per sempre toccato da questo straordinario incontro umano e letterario. Era il 1964, non c’erano internet,
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dominare il mondo. Toccherà al dinamico duo camaleonte-pipistrello salvare la situazione. In Yooka-Laylee lo scopo principale del giocatore è scovare e raccogliere decine di Pagie, le pagine perdute nascoste nei diversi ambienti di gioco. Durante parecchie decine di ore di gioco visiteremo ampi mondi soleggiati, cupe ambientazioni halloweeniane, gelide pianure, un casinò e molti altri ambienti. Ogni mondo contiene diverse Pagie che possono essere raccolte in qualsiasi ordine si desideri. Yooka e Laylee dispongono di un vasto inventario di mosse speciali, come salti e doppi salti, rotolate e planate, colpi di coda e poteri acquatici, fiammeggianti e raffreddanti da utilizzare per farsi strada nelle bizzarre contrade di questo gioco. Il giocatore non deve però solamente raccogliere le Pagie. Ci sono parecchi tipi di oggetti collezionabili, alcuni da sfruttare per acquistare nuove mosse speciali da Trowzer, il serpente venditore. Ci sono anche dei potenziamenti che ci permettono di trasformarci in esseri dotati di poteri particolari, come ad esempio una strana pianta saltellante o un camioncino spazzaneve. Sparsi per i livelli possiamo anche trovare delle monetine da spendere nella sala giochi di Rextro, un tirannosauro fanatico dei giochi da sala giochi degli anni 80. Una delle idee più divertenti escogitate da Playtonic Games è sicuramente quella legata all’espansione dei mondi e la possibilità di aumentare l’area esplorabile dei livelli. Yooka-Laylee è un gioco delizioso, divertente, impegnativo al punto giusto, permeato da un humor tutto particolare. Un gioco che riporta indietro di quasi vent’anni all’epoca d’oro del genere platform e che va quindi valutato come una delle espressioni di un canone videoludico oramai andato un po’ fuori moda. Playtonic Games ha fatto un ottimo lavoro, proponendo un titolo molto divertente, fruibile anche da più giocatori contemporaneamente. L’inclusione di tutta una serie di mini giochi racchiusi all’interno di un’apposita sala giochi è la ciliegina sulla torta. Yooka-Laylee è disponibile su PC, Xbox One, PlayStation 4, Linux, MacOS e lo sarà anche su Nintendo Switch nel corso del 2017.
La società connessa di Natascha Fioretti Della potenza e della fortuna degli incontri umani Henry Jaeger è stato uno scrittore tedesco del Novecento con un movimentato trascorso criminale – era specializzato in rapine armate – che visse gli ultimi anni della sua vita ad Ascona. Come Hermann Hesse e Erich Maria Remarque, per citarne alcuni, fu un assiduo frequentatore della libreria La Rondine aperta nel 1951 da Leo Kock, pianista olandese scampato ai campi di concentramento, che nel cuore del centro creò un importante punto di incontro per scrittori ed artisti. Qui, in questo luogo che profuma di storia, letteratura e passione ho intervistato alcune delle voci letterarie presenti quest’anno agli Eventi Letterari del Monte Verità, evento sostenuto tra l’altro dal Per-
cento culturale di Migros Ticino. E ho avuto il piacere di incontrare Henry Jaeger sotto nuove spoglie. Ero nel bel mezzo della mia chiacchierata con Olga Grjasnowa, scrittrice tedesca di origini azere, quando tutt’a un tratto fa un salto sulla sedia e lancia un urlo che avranno sentito fino al lungolago. Mi giro e sul rustico tavolone in legno, tra i libri e un vaso di fiori, vedo camminare un gatto bianco e nero con lo sguardo curioso di chi vuole sapere che cosa sta succedendo. La giovane, autrice tra gli altri del romanzo Tutti i russi amano le betulle, ne è terrorizzata e per giunta allergica. Ho dunque subito invitato gentilmente il gatto a dileguarsi per non rovinare per sempre la mia intervista... In realtá però, grazie alla sua inaspettata comparsa, Olga ed io ci siamo fatte moltissime
mondi digitali e comunicazioni istantanee a distanza. Ieri più di oggi c’erano la fortuna e la magia degli incontri personali. Quelli che attraverso i gesti, i profumi, la luce degli occhi, il suono della voce, dischiudono mondi, iniettano sensazioni, regalano intuizioni e, soprattutto, raccontano storie. Quelli che oggi – filtrati dalle comodità tecnologiche – sembrano essere più radi e meno intensi, così compressi in vortici di vita istantanei in cui la lentezza e la profondità sono una rarità. Ma la potenza dell’incontro umano, in particolare quello casuale, la magia dei luoghi reali nei quali avviene, non potranno mai essere eguagliati da nessun mezzo, strumento, mediazione, saranno sempre il propulsore principe del nostro vivere, agire e sentire, del nostro essere umani, prima che digitali.
PUNTI. RISPARMIO. EMOZIONI.
Opera Ballet
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Il Festival internazionale di lirica e balletto ospita al Palazzetto Fevi tre eventi internazionali che, dopo aver conquistato migliaia di spettatori nel mondo, incanteranno il pubblico locarnese: La Traviata, l’opera più significativa e romantica di Giuseppe Verdi, con Mirella Di Vita nel ruolo di Violetta; Romeo e Giulietta, la più grande storia d’amore in un nuovo balletto eseguito dal Balletto di Milano su musiche di Cajkovskij; e la Madama Butterfly di Giacomo Puccini, una delle opere più famose e rappresentate nel mondo, con interpreti Hiriko Morita e Luigi Albani. Quando: dal 2 al 4 giugno 2017 Dove: Locarno Prezzo: da fr. 24.– a fr. 96.– (invece che da fr. 30.– a fr. 120.–), a seconda della data e della categoria Informazioni e prenotazione: www.cumulus-ticketshop.ch
QUALIFICAZIONE DI PALLAMANO
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La nazionale maschile di pallamano giocherà in casa, nella Tissot Arena di Bienne, la partita di qualificazione agli Europei contro il Portogallo.
Dopo 80 milioni di copie vendute, Umberto Tozzi torna dal vivo con il tour «40 anni che Ti Amo», che farà tappa anche al Palazzo dei Congressi, dove canterà «Ti Amo», il suo più grande successo, e tutti i brani che lo hanno reso celebre.
Quando: 4 maggio 2017 Dove: Bienne Prezzo: da fr. 16.– a fr. 52.– (invece che da fr. 20.– a fr. 65.–), a seconda della categoria Informazioni e prenotazione: www.cumulus-ticketshop.ch
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 18 aprile 2017 • N. 16
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Società e Territorio Rubriche
Lo specchio dei tempi di Franco Zambelloni Un’altra faccia del progresso Le cronache televisive hanno mostrato le stragi di civili provocate dalle armi chimiche che il regime di Assad pare aver utilizzato contro la provincia di Idlib; hanno poi messo in onda le riprese di missili americani che si levavano con una lunga scia bianca per una spedizione punitiva contro la base aerea di Shayrat; poi hanno annunciato nuovi test di lanci missilistici della Corea del Nord. Così le armi di distruzione di massa dominano gli scenari di un inquietante presente e di un ancora più inquietante futuro. Non c’è dubbio che il progresso tecnologico ha fatto passi da gigante anche nel settore degli armamenti. Ci sono testimonianze del Quattrocento – quando la polvere da sparo e le prime armi da fuoco avevano fatto da poco la loro comparsa – che oggi fanno sorridere per l’ingenuità delle loro affermazioni. L’Ariosto, nell’undicesimo canto dell’Orlando furioso, disprezza
l’arma da fuoco che permette di colpire da lontano e di evitare così, vilmente, il duello faccia a faccia; e accusa l’archibugio: «Per te la militar gloria è distrutta, / per te il mestier de l’arme è senza onore». Una tesi ripresa da Cervantes che fa maledire da don Chisciotte l’inventore delle «indemoniate macchine dell’artiglieria», con le quali «un ignobile e codardo braccio può togliere la vita a un prode cavaliere». Non molti anni fa Ermanno Olmi ha riaffermato la tesi dell’Ariosto e di Cervantes nel bel film Il mestiere delle armi, nel quale le trasformazioni tecnologiche della guerra eclissano i codici d’onore del cavaliere e assegnano la vittoria militare non al valore dei combattenti, ma all’efficienza dell’artiglieria. Eppure, ai tempi dell’Ariosto, la potenza di fucili e bombarde era ben poca cosa, stando ad altre testimonianze dell’epoca: Machiavelli, nell’Arte della guerra, sosteneva che «i cannoni servono solo a spaven-
tare i contadini»; e ancora Montaigne, nel 1580, scriveva: «È molto più facile poter contare sulla spada che teniamo in pugno che sulla palla che esce dalla nostra pistola, in cui vi sono molte parti, la polvere, la pietra, la ruota, delle quali la minima che fallisca farà fallire la vostra sorte. Quanto a quest’arma, salvo l’assordamento degli orecchi, a cui ormai ognuno è abituato, credo che sia di pochissimo effetto, e spero che un giorno ne abbandoneremo l’uso». Speranza vana: la scienza e la tecnologia fanno progressi costanti e con rapidità sempre più vertiginosa, anche negli armamenti; la morale umana, assai meno. Anzi, è anche vero – come rilevava Konrad Lorenz – che la possibilità di uccidere da lontano, senza vedere in volto il dolore della persona colpita, toglie il freno inibitore della compassione e allenta gli scrupoli morali, rendendo così assai più facile ammazzare.
È pur vero che i Paesi dell’Europa occidentale stanno vivendo, da ormai più di settant’anni, il più lungo periodo di pace di tutta la loro storia; ma non tutti concordano sul fatto che ciò sia dovuto a un’evoluzione della morale. C’è chi dice che la guerra non è cessata affatto, neppure da noi: semplicemente, alla guerra delle armi è subentrata la guerra economica, il cui scopo non è più la conquista di territori, bensì la conquista di mercati. E c’è chi sostiene che il freno che impedisce lo scatenarsi di un’altra guerra mondiale non è affatto dovuto al progresso della morale e della civiltà, ma solo alla paura connessa con le capacità distruttive di una guerra atomica. Quando, nell’ottobre del 1962, scoppiò la crisi dei missili cubani e Russia e Stati Uniti si fronteggiarono in un braccio di ferro che sembrava destinato a risolversi in un conflitto nucleare, non fu un impulso etico ad evitare lo scontro: semplicemente,
entrambe le parti si resero conto che da una devastazione nucleare nessuno sarebbe uscito vincitore, ma tutti ugualmente sconfitti. Anche la paura, dunque, fa progressi, sulla scia dell’avanzata tecnologica. Ma non posso non ricordare che quando fu messa a punto la prima bomba atomica, che fu fatta esplodere per un esperimento di prova ad Alamogordo nel Nuovo Messico, il generale Groves, capo del progetto, telegrafò subito dopo al presidente Truman: «Baby is born» – «il bambino è nato». Poi, un altro comandante battezzò col nome di sua madre – Enola Gay – l’aereo che avrebbe sganciato la bomba su Hiroshima. Strano miscuglio di amore e orrore; strano, ma non certo nuovo per quell’homo sapiens che – come suona il titolo di un libro famoso di James Hillman – ha sempre dato prova di «un terribile amore per la guerra».
storica della regione, incontrato al Cafè de la Poste di Fleurier due anni fa, mi ha rivelato il luogo esatto della storia: la sorgente dell’Areuse. E così, dopo una camminata di quaranta minuti partendo da Fleurier – villaggio orologiero a pianta ortogonale che sembra La Chaux-de-Fonds in miniatura dove ho preso una camera spartana proprio sopra il Café de la Poste – eccola indicata: 5 minuti. Entro nel bosco, lungo l’Areuse edifici mezzo abbandonati un tempo mulini o segherie. Il sottobosco è costellato dalle Primule veris, ogni tanto spunta anche il viola-porpora dei calici imbutiformi della Pulmonaria officinalis. Un forte getto d’acqua esce da una deludente diga che mi lascio alle spalle e in compenso si apre un angolo di pace come pochi. Eccoci, l’acqua smeraldina forma una specie di laghetto triangolare che nasce invisibile ai piedi di una parete calcarea vertiginosa, tutto intorno pinete. È questo il teatro della lotta tra la viverna e un giovane fabbro di Saint-Sulpice di nome Sulpice
Reymond, la cui traccia più remota si trova in un manoscritto del 1687 conservato nella bilioteca cantonale di Neuchâtel. La sorgente dell’Areuse (790 m) è di tipo valchiusano, vale a dire che sgorga impercettibile da misteriose cavità sotterranee. Mi siedo su una delle due panchine di legno. «Couaaac» rimbomba laggiù. Una banda di scoiattoli ha spezzato un ramo e corre indemoniata su è giù un pomeriggio di metà aprile. È lì, in cima a quella roccia che Sulpice Reymond nel 1273 appende a una lunga catena la gabbia in ferro costruita per affrontare la viverna. Viveva da tre anni nella grotta in basso e seminava terrore in tutta la valle tanto che nessuno osava più passare di qui. A quei tempi non c’era la strada di oggi né i binari, perciò il collegamento tra Neuchâtel e Pontarlier era bloccato qui dove ancora sale il sentiero per Les Bayards. Inoltre le mucche erano talmente impaurite da non fare più latte e la vegetazione si era seccata per via del suo alito malefico. Addormentata
dopo un bagno nell’Areuse, la colpisce con una raffica di frecce. Uscito dal suo marchingegno per sgozzarla, la viverna piscia sangue emettendo un grido mostruoso che echeggia fino giù a Couvet. Con la coda cerca di strangolare il giovane Reymond che però alla fine riesce a ucciderla. Accolto in paese come un salvatore, muore qualche giorno dopo per le ferite alla gola provocate dalle scaglie e per il suo sangue velenoso. Mi avvicino alla sorgente saltando sui sassi biancastri, spirali risorgive venano l’acqua da sotto. Pare che sui fondali in ghisa di diversi camini delle vecchie case di Saint-Sulpice ci sia, cesellata a bassorilievo, la viverna. Mentre sul limitare di una foresta non lontana, stupisce una sontuosa dimora in stile reggenza costruita nel 1727 sui piani di un architetto parigino. Lì ha abitato i suoi ultimi anni Alexandre Reymond, ricchissimo banchiere emigrato a Parigi e discendente dell’uccisore della viverna. La sua enorme fortuna deriva, dicono, dall’impagabile carbonchio.
rittura in Romandia, dove sta minando un rapporto che, nella convivenza elvetica, rappresentava un unicum: l’idillio, ormai storico, fra svizzeri francesi e Francia, considerata un punto di riferimento, e non soltanto culturale. Infatti, mentre è risaputo il distacco, persino d’ordine linguistico, che separa gli svizzeri tedeschi dalla Germania, patria del nazismo che minacciò la nostra integrità nazionale, sembrava incontrastabile l’implicita alleanza, sul piano dei sentimenti e delle consuetudini, fra i cantoni francofoni e la Francia, patria linguistica e culturale, e oggetto di una fedele sudditanza psicologica. Invece, qualcosa, in questo meccanismo di reciprocità ben funzionante, si sta rompendo. Si tratta di un cambiamento rivelatore di nuove condizioni socio-economiche, di nuovi influssi ideologici e culturali, persino di nuove mode. La Francia, da cui erano arrivate conquiste insostituibili, la libertà, l’illuminismo, la tolleranza, ha ces-
sato di essere una fonte d’ispirazione, creatrice di ammirevoli modelli di pensiero e di vita. «È diventata un vicino criticabile», come s’intitolava un ampio commento, pubblicato sulla «Neue Zürcher Zeitung», e firmato da Christophe Büchi, giornalista, filosofo e osservatore del costume, che opera dal vivo: svizzero tedesco d’origine, abita fra Champéry e Losanna. E da qui, registra, la crescente insofferenza di una regione che subisce l’invasione quotidiana di 160mila frontalieri, ovviamente indispensabili ma, in pari tempo, assillanti. Senza contare, poi, la presenza di un numero imprecisato di evasori fiscali francesi d’alto bordo. Altro che «douce France», è piuttosto l’immagine di una nazione, politicamente caotica, che esporta guai. Fatto è che questa sarebbe la fine confermata di un lungo idillio. Mentre, allude Büchi, potrebbe aprirsi un’inattesa stagione: la Svizzera tedesca che, adesso, allaccia rapporti di ottimo vicinato con i cittadini d’oltre Reno.
A due passi di Oliver Scharpf La viverna di Saint-Sulpice La viverna è una bestia fantastica raffigurata come serpentone alato con un occhio solo in forma di carbonchio. Un rubino di straordinaria purezza che illumina la sua rotta sopra i boschi, proiettando un fascio di luce così forte da avvistarla a grande distanza. Quando vola da un monte all’altro sputa lingue di fuoco che fanno brillare le sue scaglie come un vestito di paillettes, rischiarando le sue ali gigantesche. In primavera è solita fare il bagno alla sorgente dei fiumi, prima però appoggia il carbonchio sulla riva. «Essendo questo diamante di un valore inestimabile più di un uomo coraggioso ha tentato di uccidere il dragone» scrive Alfred Cérésole in Légendes des Alpes vaudoises (1885). Ed è questo un po’ il meccanismo narrativo ricorrente che accomuna le molte leggende con protagonista la viverna. Riducendo il campo d’azione alla Svizzera, tante sono ambientate nel Giura, in specialmodo nell’Ajoie, dove è tuttora lo stemma. Mentre nel basso Vallese c’è Vouvry, paesino verso
la foce del Rodano il cui nome diversi etimologisti riconducono alla viverna – vouivre in francese – uccisa in una leggenda da un giovanotto del posto. Come a Saint-Sulpice, su quasi in cima alla Val de Travers, nel canton Neuchâtel. Villaggio di seicento anime a nove chilometri dalla Francia adagiato in fondo alle pinete e ai fianchi dell’Areuse che ora scorre sonnacchiosa. La seguo risalendo il suo riposante corso che spesso compie curve incantevoli ed è addomesticata, un paio di volte, da scenografiche chiuse. Filari di pioppi completano il quadro distensivo. SaintSulpice, oltre a contenere nel nome quello dell’eroe della leggenda locale, conserva tre microtoponimi derivati dall’enorme viperastra volante chiamata da queste parti Vuivra: Roche à la Vuivra, Fontaine à la Vuivra, Combe à la Vuivra. Quest’ultimo è un vallone nel fitto dei boschi dove sono ambientate diverse versioni della leggenda. Ma Jacques-André Steudler (1932-2016), maestro di scuola e istrionica memoria
Mode e modi di Luciana Caglio Romandi e francesi: fine di un idillio A quanto pare, quel «prima i nostri», che fa tanto parlare di sé, non è più soltanto una poco invidiabile prerogativa ticinese, insomma un’invenzione della Lega che certi malumori li percepisce, per poi sfruttarli a modo suo. Comunque, non sono campati in aria. Appartengono a quel bagaglio di sentimenti, e risentimenti, che la gente di confine accumula nei confronti di vicini di casa, da cui la separa una convenzione politica e burocratica, che ha alzato una rete, a volte invisibile, ma sempre presente nelle abitudini mentali. È la «ramina», come la chiamano familiarmente nel Mendrisiotto, regione, per circostanze geografiche, profondamente segnata proprio da questa barriera, tanto da diventare addirittura il simbolo di una dipendenza che si muove fra affinità e diversità, fra attrazione e rifiuto, fra benessere e disagio. Con effetti evidenti, sul piano economico, creando flussi di clienti di segno opposto, ma anche sul piano sociale e persino morale. Fra Chiasso, Balerna, la Valle di Muggio,
luoghi della mia infanzia e adolescenza, e sto parlando di oltre mezzo secolo fa, la figura del contrabbandiere era accettata, con un misto d’indulgenza e ammirazione. Per non parlare, poi, dei riflessi sul piano culturale. Questa condizione di dualismo, a cavallo di una frontiera, doveva animare, nell’ul-
timo dopoguerra, un intenso dibattito intellettuale, promosso, fra altri, da scrittori come Nessi e Pusterla o registi come Bruno Soldini, alle prese, appunto, con la realtà ambigua che si sviluppa intorno a un confine. Condizionata, per quel che concerne il Ticino, dalle vicissitudini di una politica italiana che, guardata attraverso la «ramina», si presta, e come, a perplessità e persino a condanne. Ora, ad accentuare quest’atteggiamento critico del Ticino, sia ufficiale sia privato, nei confronti delle scelte politiche italiane, contribuirono, prima, gli sbandamenti fanfaroni del fascismo e, in seguito, il velleitarismo rivoluzionario del ’68: con il risultato di un’anti-italianità esacerbata, recentemente, dalla recessione, dal traffico, gonfiato da 63mila frontalieri, da una diffusa paura che è sempre cattiva consigliera ed è contagiosa. Ecco, dunque, che, per tornare al punto di partenza, lo slogan «prima i nostri» si fa largo, conquistando seguito, addi-
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 18 aprile 2017 • N. 16
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Ambiente e Benessere Archivi del passato I pollini e le spore, nelle Alpi, documentano le alternanze del clima degli ultimi 18mila anni
All’estero senza marito Quando le femministe capirono che il passaporto era il pretesto perfetto per ingaggiare una battaglia per l’uguaglianza delle donne
Tenere costolette d’agnello Al gusto deciso e un po’ amaro del radicchio trevisano con burro all’aglio e curcuma
Una giornata in lentezza Il prossimo 23 aprile il Piano di Magadino torna ad essere uno «spazio slowUp» per tutti
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Rimborso garantito per la medicina complementare Salute A decorrere dal 1° maggio le cinque
terapie «testate» negli ultimi sei anni saranno equiparate alle altre specialità
Maria Grazia Buletti Il 17 maggio 2009 popolo e Cantoni hanno approvato il nuovo articolo costituzionale che obbliga la Confederazione e i Cantoni, nel quadro delle loro competenze, a considerare e integrare la medicina complementare nel sistema sanitario. Dal primo gennaio 2012, per un periodo transitorio di sei anni, cinque terapie sono state inserite nei contesti rimborsabili dall’Assicurazione obbligatoria delle cure medico sanitarie (AOMS): medicina antropofisica, omeopatia, terapia neurale, fitoterapia e medicina tradizionale cinese. Nel frattempo, a sei anni dall’approvazione dell’articolo costituzionale sulla medicina complementare (CAM), la sua attuazione ha seguito il suo corso a vari livelli e nel marzo del 2014 il Parlamento ha chiesto al Consiglio federale d’informarlo sullo stato dell’attuazione e sull’eventuale necessità di intervento. Ciononostante a tutt’oggi, fra la popolazione, vi sono persone diffidenti rispetto la bontà di cure diverse dalla medicina tradizionale, anche se complementari ad essa, come ci spiega ad esempio Remo (nome noto alla redazione): «Sono possibilista, ma scettico. Sono ormai in là con gli anni e, per fortuna, non mi sono mai ammalato seriamente: un raffreddore, tosse, una brutta influenza e qualche infortunio di poco conto sugli sci. Per tutte queste cose mi sono sempre affidato al mio medico di famiglia o al Pronto Soccorso. La nostra medicina è così specifica, precisa ed efficace che, onestamente, non mi sentirei di affidarmi ad altre pratiche a me sconosciute». Va da sé, però, che nel tempo sempre più persone (taluni consapevolmente e in modo ponderato, altri perché giunti all’ultima spiaggia), dicono di scoprire quanto a volte sia efficace
integrare altre cure a quelle tradizionali. «I miei dolori alla schiena erano oramai cronici e non speravo più di porvi rimedio, se non con analgesici e fisioterapia che però mi davano un sollievo temporaneo», racconta ad esempio Rita (nome noto alla redazione) che dice di aver integrato alle cure mediche delle sedute di agopuntura: «Devo ammettere che con l’agopuntura ci sono stati grandi miglioramenti soprattutto nella gestione del dolore». Torniamo un momento al 2012 e ai motivi dell’introduzione di questo periodo transitorio di riammettere, seppur provvisoriamente, le medicine complementari per tener conto dell’opinione che era stata espressa. All’epoca il presidente dell’ordine dei medici del canton Ticino, dottor Franco Denti, sostenne che si trattava «di un tentativo da perseguire, anche perché il periodo transitorio di sei anni dovrebbe permettere di acquisire maggiori indicazioni circa i criteri di applicazione ed efficacia di queste terapie complementari». Oggi si sono tirate dunque le somme, tant’è che circa un anno fa il Dipartimento federale dell’interno ha comunicato che: «L’assicurazione obbligatoria delle cure medico-sanitarie (AOMS) continuerà a rimborsare le prestazioni di medicina complementare; il DFI intende equipararla alle altre specialità mediche e avvia l’indagine conoscitiva per le modifiche delle rispettive ordinanze». Il rimborso, dal 2012 al 2017, era altresì necessario nella forma della provvisorietà per testare oltre all’efficacia, anche l’appropriatezza e l’economicità delle quattro specialità di medicina complementare più l’agopuntura. In tal senso, dal canto suo, il DFI in un comunicato aveva sottolineato che «a determinate condizioni (tradizione di applicazione e ricerca, evidenza scientifica ed
L’agopuntura è una delle specialità di medicina complementare integrate nell’AOMS. (Vivian Chen)
esperienza medica, perfezionamento) varrà anche per esse il principio della fiducia e del rimborso delle prestazioni da parte dell’AOMS». Dunque, analogamente a quanto avviene già per le altre specialità mediche, la verifica si limiterà a singole prestazioni controverse. Fino a quel momento sono state attuate parecchie misure, come ad esempio si è stabilito che in futuro i medicamenti complementari e fitoterapici dovranno poter beneficiare di un accesso agevolato al mercato e la loro omologazione dovrà essere semplificata. Inoltre, medici, farmacisti, dentisti, veterinari, chiropratici interessati dovranno in futuro acquisire conoscenze adeguate in medicina complementare durante la loro formazione universitaria, i cui obiettivi sono già stati integrati nel quadro della revisione parziale della legge sulle professioni mediche e saranno progressivamen-
te inclusi nei cataloghi degli obiettivi delle rispettive professioni. Di fatto, già il 28 maggio 2015 la Segreteria di Stato per la formazione, la ricerca e l’innovazione (SEFRI) ha approvato l’esame professionale superiore di naturopata e così via. Per l’attuazione di tutti gli obiettivi saranno necessari adeguamenti delle ordinanze: «Da un lato per determinare se per le prestazioni di una determinata specialità debba essere applicato il principio della fiducia, dall’altro per poter valutare singole prestazioni controverse secondo i criteri di efficacia, appropriatezza ed economicità». Ricordiamo che, oltre alle altre quattro specialità, l’equiparazione dovrà riguardare anche l’agopuntura che già oggi è rimborsata dall’AOMS a tempo indeterminato. Per le rispettive modifiche delle ordinanze, il DFI ha svolto un’indagine conoscitiva conclusasi il 30 giugno
dello scorso anno, mentre la loro entrata in vigore dovrebbe essere prevista per il 1° maggio 2017. «Ciò consentirà all’AOMS di continuare a rimborsare le prestazioni di medicina complementare senza soluzione di continuità», concludono al DFI. Oggi viviamo un presente in cui anche la medicina si rivolge verso una visione olistica del paziente, nel suo insieme e nella sua unicità, e questo è un segnale molto positivo. La filosofia della medicina complementare è permeata dall’ascolto e dalla focalizzazione sull’individuo e sulle cause della sua malattia, piuttosto che unicamente della sua sintomatologia. Possiamo affermare che ogni ambito terapeutico, sia esso medico, naturopatico o omeopatico, dovrebbe comportare questi elementi quali condizione essenziale per l’accoglienza e la buona cura. Per «prendersi cura» del paziente, oltre che «curare».
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 18 aprile 2017 • N. 16
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Ambiente e Benessere
Pollini e spore: non soltanto febbri da fieno Palinologia Grazie alle analisi polliniche è possibile ricostruire anche la storia dei popolamenti umani
sul territorio, dopo il ritiro dei ghiacciai alpini
Alessandro Focarile Durante la primavera e percorrendo i boschi, penetriamo in un’atmosfera satura delle spore dei funghi, delle felci, dei muschi e dei licheni. A questi microscopici corpuscoli vegetali, si aggiungono i pollini delle piante con fiori che popolano la campagna ancora naturale: alberi, arbusti, erbe.
È stato calcolato che nelle foreste di abete rosso della Svezia sono prodotte ogni anno ben 72mila tonnellate di pollini Le alberature urbane ornate con tigli, platani e ippocastani, partecipano con un altrettanto copioso apporto di pollini. Spore e pollini sono la carta d’identità di ogni singolo vegetale, in quanto le loro strutture e il loro colore sono l’espressione del patrimonio morfologico e genetico di ogni singola specie, secondo la classificazione botanica. E ogni primavera è immancabile il ripetersi di quella affezione nota da vecchia data come «febbre da fieno», in quanto la sua insorgenza si collega con i pollini generati dalla fioritura delle graminacee dei prati da sfalcio. Affezione che colpisce numerose persone allergiche a queste produzioni vegetali. Durante molti secoli, i pareri sulla causa di questa patologia erano innumerevoli e discordanti. Anche i medici dell’epoca si perdevano in un mare di supposizioni, pregiudizi e dicerie, spesso assurde. Oltre mille anni or sono, un erudito e polivalente personaggio del mondo culturale arabopersiano intuiva che l’origine di alcuni malesseri di natura allergica dovesse farsi risalire al mondo vegetale. Rhazes-Rey (865-930) scriveva un trattato sull’argomento, intitolato Sulla ragione per cui la testa delle persone si gonfia al momento della fioritura delle rose e produce catarro. Dopo circa un millennio, un eccentrico medico omeopata inglese: Charles Harrison Brackley (1820-1890) intraprende una serrata e testarda sperimentazione, con l’intento di trovare le cause concrete delle allergie provocate dall’inalazione di sostanze irritanti per l’organismo umano attraverso la respirazione. Brackley si arma di molta pazienza e determinazione, e grazie a una meticolosa sperimentazione quasi maniacale durante qualche decennio, elimina progressivamente le possibili cause allora conclamate dell’allergia. Innanzitutto nota che nell’Inghilterra dell’Ottocento non sono soltanto le classi socialmente agiate a essere affette dalla malattia. E nemmeno che gli occidentali di pelle bianca ne fossero maggiormente affetti, come si credeva all’epoca. Inoltre osserva realisticamente che il popolo delle campagne quasi ignorava il problema delle «febbri da fieno», forse in virtù di un più efficiente e collaudato sistema immunitario. Brackley prova su se stesso gli effetti dell’acido benzoico, dell’ozono, e persino con l’inalazione dei vapori di decotti di camomilla! Si può affermare che, per giungere a una conclusione probante e definitiva del problema, il bravo medico inglese le aveva provate tutte. Brackley è stato il riscopritore in epoca moderna delle cause delle «febbri da fieno»: i pollini e le spore di
Pollini di una varietà di piante comuni, dal girasole, alla primula, al giglio... (Stefano Mancuso)
molti vegetali. Ignaro che Abu Bakr Muhammad Ibn Zakariya al-Razi (noto con il nome di Rhazes – 865-925) di Rey lo avesse preceduto nell’intuizione molto tempo addietro. La palinologia è la scienza che tratta dei pollini e delle spore. Oltreché degli aspetti attinenti la medicina, essa aiuta anche nella ricostruzione degli ambienti naturali del passato, e delle relative condizioni climatiche durante un definito periodo di tempo (cronostratigrafia dei sedimenti). La crescente diffusione degli studi palinologici è dovuta al fatto che i pollini e le spore non sono rari. Sono ovunque e hanno immense possibilità di trasporto con il vento e con l’acqua. È stato calcolato che nelle foreste di abete rosso della Svezia sono prodotte ogni anno ben 72mila tonnellate di pollini. In campioni di ghiaccio raccolti sul Colle Gnifetti (4500 metri, Monte Rosa) sono stati trovati (tra l’altro) pollini di castagno e di eucalipto perfettamente conservati e identificabili. Grazie al loro riconoscimento è possibile risalire ai vegetali di appartenenza. In base ai loro chiari caratteri morfologici che consentono di visualizzare l’appartenenza a ogni singola specie vegetale (foto), è possibile ricostruire i climi del passato (fino a 4050mila anni da oggi), la loro datazione assoluta con l’impiego della tecnica del radio-carbonio (C14). Infine, stabilire le correlazioni di interesse paleo-geografico anche in territori differenti. Le analisi polliniche (un recente sviluppo dell’archeologia) hanno consentito di ricostruire anche la storia dei popolamenti umani nel territorio, dopo il ritiro dei ghiacciai alpini.
La coltivazione dei cereali, della vite, del castagno e del noce, della canapa e del lino, e la presenza eventuale di ortiche, lavazze (rumici) e artemisie – tutte piante nitrofile che prosperano sulle deiezioni – hanno testimoniato l’allevamento degli animali addomesticati, come i bovini, le pecore e le capre. Conosciamo alberi che producono pollini che non si conservano, come nel caso dei larici. Altri alberi hanno una sovraproduzione di pollini, come i faggi. Oppure una debole produzione, come i tigli e i frassini. Questi fattori possono condurre a una errata interpretazione dei dati nel corso della costruzione di un diagramma pollinico (illustrazione), documentazione grafica dei dati elaborati. Con apposite trivelle (foto) si ottengono dai sedimenti da analizzare, campioni detti «carote», che contengono anche pollini e spore in varia misura e di differente natura.
La successiva identificazione tassonomica (e cioè a quali specie vegetali appartengono i reperti) e in quale quantità questi siano rappresentati in ogni livello investigato, consente di elaborare il diagramma, che evidenzia la percentuale dei differenti pollini appartenenti alle specie vegetali in funzione dell’epoca di sedimentazione nella torba, nel limo, oppure nel suolo. I pollini e le spore, eccellenti archivi del passato, documentano le alternanze del clima (caldo, freddo, umido, secco) che hanno condizionato la presenza delle differenti specie arboree nel corso del tempo, in funzione delle loro esigenze ecologiche durante gli ultimi 18mila anni per quanto riguarda le Alpi. Nella cerchia alpina da Nizza alla Slovenia, sono state fatte finora analisi polliniche in oltre 400 località, a cura di numerosi studiosi specialisti della materia. È stato così possibile riunire
un’imponente documentazione che copre la storia forestale e illumina sulle modalità dell’occupazione umana del territorio alpino. Le Alpi hanno conosciuto la presenza e la frequentazione di renne e di mammut, prima che i cacciatoriesploratori si affacciassero su questi vasti territori. Ai primi radi boschi di betulle e pini silvestri – espressione di un clima secco e freddo – nel corso del tempo è seguito l’arrivo delle conifere boreali dall’Asia: larici, abeti rossi, diverse specie di pini tra le quali il cembro. A basse quote, un clima più mite e umido consentiva l’impianto del querceto misto, con farnie e roveri, tigli, aceri, ontani e frassini. Nelle bassure più umide i pioppi e i salici. E l’abbondanza (relativa) dei pollini di noce e di castagno, ci documenta l’arrivo dell’uomo, il nostro antenato del neolitico: l’epoca di Oetzi, 5400 anni da oggi. In questa lunga storia, pollini e spore costituiscono una preziosa documentazione, grazie all’intuizione di un famoso botanico Svedese, De Vries. Pollini, spore, febbre e starnuti: la primavera ci attende. Bibliografia
Pollini di varie specie di alberi, da Walter-Straka. (Adattamento grafico di A. Focarile)
Stefano Mancuso, Uomini che amano le piante. Storie di scienziati del mondo vegetale, Giunti editore (Firenze, Milano), 2014, 139 pp. Josette Renault-Miskovsky & Michel Petzold. Spores et Pollen, Delachaux et Niestlé (Lausanne) 1992, 360 pp. Heinrich Walter & Herbert Straka, Arealkunde, Verlag Eugen Ulmer (Stuttgart), 1970, 478 pp.
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Ambiente e Benessere
Passaporti per femministe
Un milione di passi
Viaggiatori d’Occidente Negli anni Venti il viaggio cambiò l’immagine delle donne
Claudio Visentin «Il segretario di Stato degli Stati Uniti d’America chiede che al titolare del presente documento sia concesso il passaggio senza ritardi o impedimenti e che, in caso di bisogno, gli sia accordata la protezione della legge». Questo messaggio compare su ogni passaporto americano e riassume il fondamentale significato del documento. Dopo la caduta del Muro di Berlino (1989), le frontiere sembrarono superate e destinate a scomparire nel nuovo mondo globale. Al contrario negli ultimi tempi i confini sembrano aver ripreso importanza e di conseguenza anche il passaporto, che permette di attraversarli. Nel frattempo questo documento si è evoluto; e ad esempio è già dal 2007 che, per prevenire infiltrazioni di terroristi, gli Stati Uniti hanno iniziato a rilasciare solo passaporti biometrici, cioè con riconoscimento del volto, dell’iride e delle impronte digitali (come ora si fa anche da noi). Non fu sempre così. Fino alla Prima guerra mondiale i passaporti non erano necessari per recarsi all’estero, quanto meno nei Paesi più moderni. Certo, li richiedevano Russia e Turchia, ma così facendo provavano anche la loro arretratezza. Solo negli anni Venti del Novecento, dopo che la Prima guerra mondiale aveva sconvolto le frontiere tra gli Stati, il loro uso divenne più comune. E fu proprio allora che negli Stati Uniti scoppiò una curiosa controversia. Si discuteva di questo: una ragazza americana poteva avere il passaporto col suo nome ma, dopo il matrimonio, veniva registrata sul documento del marito, per esempio «Mr. John Smith e signora». Era una regola burocratica, ma ancor più il riflesso della mentalità del tempo: era semplicemente impensabile che una donna viaggiasse all’estero senza essere accompagnata dal marito. Le femministe capirono che il passaporto era il pretesto perfetto per ingaggiare una battaglia per l’uguaglianza delle donne, a cominciare dalla possibilità di mantenere il proprio nome dopo il matrimonio; un tema d’attualità, se pensiamo che solo dal 2013 questo diritto è riconosciuto dalla legge svizzera. Alcune attiviste cer-
carono di creare un precedente. Poco dopo essersi sposata, nel 1917, la scrittrice Ruth Hale chiese un passaporto a suo nome per andare in Francia come corrispondente di guerra, ma la richiesta non fu accolta. Nel 1922 un’addetta stampa, Doris Fleischman, acquistò il biglietto di un transatlantico diretto in Europa e pose un ultimatum al suo capo, il giornalista Edward Bernays: «Sposami o non mi vedrai mai più». L’uomo accettò la singolare proposta ma Doris Fleischman decise di andare comunque in Europa da sola dopo il matrimonio e chiese un passaporto a suo nome. La prima versione del documento era intestata a «Doris Fleischman Bernays, conosciuta professionalmente come Doris Fleischman», e naturalmente questa soluzione di compromesso scontentò tutti. Solo nel 1925 Doris riuscì a far togliere ogni riferimento al marito, per la prima volta negli Stati Uniti. Nel 1937, dopo una prolungata campagna di stampa, questa eccezione divenne la regola, per decisione di un’altra donna, Ruth Shipley, che si era fatta strada nella pubblica amministrazione sino a diventare la responsabile dell’Ufficio passaporti, con decine di uomini sotto il suo comando. Questo cambiamento fu reso possibile anche da alcune coraggiose viaggiatrici, le cui imprese sfidarono gli stereotipi femminili. In quegli stessi anni per esempio il pubblico si appassionò alle imprese di Idris Galcia Hall, meglio nota come Aloha Wanderwell, «The World’s Most Traveled Girl». Idris era originaria di Winnipeg, Canada, ma si era trasferita in Francia con la famiglia al seguito del padre, volontario nella Grande guerra, morto nella battaglia di Ypres (1917). Dopo la perdita del padre, la fanciulla rimase in Francia, dove studiava svogliatamente in una scuola di suore; più spesso la sua mente, nutrita dai giornaletti, si perdeva dietro a sogni di viaggi in terre lontane, avventure, intrighi. Nel 1922, quando aveva solo 16 anni, Idris rispose a una curiosa inserzione rivolta a una giovane donna con «cervello, bellezza e calzoni» per una spedizione intorno al mondo. L’autore dell’inserzione era un avventuriero polacco, Valerian Johannes Piecynski,
Bussole I nviti a
letture per viaggiare «Perché partire? Questa è la domanda. Tanto, sappiatelo, prima o poi, dopo tutto il vostro rimuginare, camminare, fotografare e riflettere, alla fine ve la faranno. Quindi pensateci bene: le motivazioni sono molte, e tra le più quotate ci sono senza dubbio le più sagge. Perché avevo bisogno di raccogliere le idee, di cambiare vita per un po’. Perché avevo necessità di stare con me stesso. Perché…»
I Wanderwell: Aloha e Walter. (www. alohawanderwell. com/biography)
che si faceva chiamare Capitano Walter Wanderwell. E, dopo averla scelta, Aloha Wanderwell fu il nome d’arte che attribuì alla giovane. Ad Aloha fu affidata la seconda auto della spedizione, una Ford modello T, la prima automobile prodotta in serie dall’industria statunitense. La giovine con grande energia condusse la sua auto attraverso Spagna, Portogallo, Marocco, Italia, Svizzera, Belgio, Olanda, Germania, Polonia, Russia, Romania, Bulgaria, Grecia, Turchia, Siria, Palestina, Egitto. Dopo aver posto il campo ai piedi della Sfinge, la spedizione attraversò il Mar Rosso alla volta dell’India e avanzò in Birmania, Indocina, Siberia e Giappone, superando ogni difficoltà. Soprattutto in India e Cina fu difficile trovare carburante, olio e pezzi di ricambio e per alcune tratte le auto dovettero essere tirate a braccia dai pazienti coolies cinesi. La spedizione si concluse con la traversata dal Pacifico
verso San Francisco, dove i Wanderwell arrivarono nei primi giorni del 1925. Lungo tutto il viaggio, Aloha svolse i più diversi compiti: attrice, fotografa, cameraman, meccanico. La sua abilità nel parlare le lingue straniere si rivelò utilissima, insieme alla facilità nello stabilire un dialogo con le persone incontrate. Ma soprattutto l’intrepida viaggiatrice seppe mantenere desto l’interesse dei giornali, un elemento fondamentale per una spedizione senza finanziamenti sicuri. E poco male se in questo modo la segretaria rubò la scena al suo principale con il quale peraltro, strada facendo, si era stabilito un legame profondo. Infatti dopo il ritorno negli Stati Uniti Aloha sposò il capitano Wanderwell e partì con lui per nuovi viaggi, a cominciare dall’Amazzonia. Ma certo nel suo caso, anche senza vedere il passaporto, nessuno avrà pensato a lei come a una semplice accompagnatrice del marito…
Il nostro collaboratore Fabrizio Ardito conosce bene le diverse vie per Santiago di Compostela. Lungo questi cammini, in diverse occasioni nel corso degli anni, ha percorso circa duemilatrecento chilometri. I pochi compagni di viaggio di un tempo sono aumentati a dismisura: oltre 250mila nel 2016. Questa esperienza di lungo corso è confluita dapprima nel bel volume fotografico I Cammini di Santiago (Touring Editore), dedicato ai quattro itinerari principali: il tradizionale Camino Francés, la Via de la Plata attraverso l’Estremadura (raccontata anche sulle pagine di «Azione»), il Camino Portugués e il Camino del Norte lungo la costa atlantica del Golfo di Biscaglia. Ma dopo questa rassegna dei diversi percorsi a Fabrizio Ardito restava ancora molto da dire, su un piano diverso, più semplice e concreto. È nato così questo piccolo volume che si sofferma appena sulle motivazioni profonde di chi parte (peraltro spesso oscure a noi stessi) e mette piuttosto in fila una serie di consigli pratici: come prepararsi al viaggio, cosa mettere nello zaino (il meno possibile), le letture preparatorie, come modulare la lunghezza delle tappe, come scegliere gli eventuali compagni di viaggio, come difendersi dalla pioggia, dove dormire e mangiare, come gestire dolori e acciacchi… Sino al ritorno alla vita normale che – dopo ottocento chilometri e un milione di passi – non sarà più la stessa. Bibliografia
Fabrizio Ardito, Come sopravvivere al Cammino di Santiago, Ediciclo, 2017, pp.144, € 12,50. Annuncio pubblicitario
Fare la cosa giusta
Quando la povertà mostra il suo volto Per saperne di più su Ali e sulla sua famiglia: www.farelacosagiusta.caritas.ch
Ali Al-Ahmad (49), Siria Ha perso il figlio in guerra
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Ambiente e Benessere
Costolette d’agnello con radicchio trevisano
Migusto La ricetta della settimana
Piatto principale Ingredienti per 4 persone: 12 costolette d’agnello di circa 60 g ciascuna · pepe · 4 cucchiai d’olio di colza HOLL · 1 spicchio d’aglio · 60 g di burro, morbido · 1 cucchiaino di curcuma · sale · 500 g di radicchio trevisano o di cicorino rosso.
migusto.migros.ch/it/ricette Per diventare membro di Migusto non ci sono tasse d’iscrizione. Chiunque può farne parte, a condizione che un membro della sua famiglia possieda una Carta Cumulus.
1. Scaldate il forno a 80 °C. Pepate la carne e rosolatela nella metà dell’olio a fuoco forte da entrambi i lati per circa 2 minuti. Poi trasferitela in forno per circa 5 minuti. Nel frattempo schiacciate l’aglio sul burro. Aggiungete la curcuma, mescolate bene e salate. 2. Tagliate il radicchio in quattro per il lungo e conditelo con sale e pepe. Rosolatelo brevemente nell’olio rimasto a fuoco forte, in modo che rimanga bello croccante. Servitelo con le costolette d’agnello e il burro all’aglio e alla curcuma. Accompagnate con l’amaranto o il miglio. Preparazione: circa 25 minuti. Per persona: circa 23 g di proteine, 33 g di grassi, 2 g di carboidrati, 1700 kJ/400
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2.95 a bottiglia invece di 3.95 Offerte valide dal 18 al 24 aprile 2017 / fino a esaurimento / i prezzi promozionali delle singole bottiglie sono validi solo nella rispettiva settimana promozionale / decliniamo ogni responsabilità per modifiche di annata, errori di stampa e di composizione
Enoteca Vinarte, Centro Migros Agno
Orari d’apertura: lun.–mer. + ven.–sab. 8.00–18.30 / gio. 8.00–21.00 tel.: +41 91 605 65 66
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 18 aprile 2017 • N. 16
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Ambiente e Benessere
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G I O R G I A 7 8 E L L A D M 9 10 S E I P O P 11 12 O R E N I slowUp Ticino La settima edizione della manifestazione dedicata alla mobilitàTlenta 13 14 15 16 17 L I M B O M A R E A è in programma domenica 23 aprile 18 19 I S A R T E D I O 20 21 22 E L I C E S A R GSUDOKU PER AZION 23 24 25 26 Dolce Caffè che offriranno un conforT A M I S N. S 9 FACILE E G O Renato Facchetti tevole punto di ristoro prima del via e 27 28 A M N I S T I A N Schema A Ritorna l’atteso appuntamento con durante il percorso. La possibilità di
Vivi una domenica senz’auto
slowUp Ticino. Un evento gratuito e unico nel suo genere, che prevede la chiusura al traffico motorizzato di un tracciato di 50 km tra Locarno e Bellinzona da poter percorrere (anche solo in parte) in bicicletta, coi pattini, a piedi o con qualsiasi altro mezzo rigorosamente senza motore. A rendere slowUp una vera e propria festa del movimento e della mobilità lenta saranno i villaggi presenti lungo il percorso, che proporranno animazioni, ristorazione e intrattenimenti di vario genere. Un’occasione per condividere senza nessuna fretta con famigliari e amici rigeneranti ore primaverili di svago all’aria aperta. Tra le novità, la cerimonia ufficiale di apertura, che quest’anno si terrà per la prima volta in Piazza Governo a Bellinzona (ore 9.30) anziché a Locarno. Lo slowUp Ticino, come da tradizione, inaugura il ricco programma nazionale con in calendario ben 17 tappe e si concluderà il 24 settembre sulle rive del lago di Zurigo. Domenica, il percorso si snoderà come di consueto tra Bellinzona e Locarno transitando attraverso Giubiasco, Camorino, S. Antonino, Cadenazzo, Gudo, Cugnasco, Gerra-Piano, Riazzino, Gordola, Tenero-Contra, Minusio, Muralto. I villaggi e punti di animazione presenti lungo il tracciato – la maggior parte gestiti da associazioni ricreative e sportive locali – saranno ben 14 e proporranno innumerevoli proposte gastronomiche e animazioni. Sono pure previste le «so-
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Regolamento per i concorsi a premi pubblicati su «Azione» e sul sito web www.azione.ch
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Un percorso a misura d’uomo. (M. Curti)
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ste agricole», ovvero aziende del settore primario presenti sul percorso, che in 11 occasione dell’evento apriranno le loro porte ai partecipanti e organizzeranno 14 attività per i più piccoli. Questo evento, gratuito ed accessi17 18 bile a tutti, intende promuovere i bene21 del movimento, uniti 22 fici della pratica alla conoscenza del territorio. È patro25 cinato da Svizzera Mobile, Promozione Salute Svizzera e Svizzera Turismo e 29 sostenuto dagli sponsor nazionali principali Migros, SportXX e Rivella, dagli 32 sponsor nazionali SuvaLiv e ŠKODA e
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dal co-sponsor nazionale EGK – Cas- Carnevale Sciavatt e Gatt, Gruppo GioQ U vani A Cugnasco, L E Ludoteca T E T R sa della 13salute. I principali sostenitori Cugnasco, 12 a livello regionale del progetto sono U ilS MTB C Boboteam, I R ESP Muraltese, AVeloN Cantone, affiancato dai partner e so- Club Bellinzona, Federazione 9 K Ticinese 15 16 stenitori regionali Città di Bellinzona, Produttori e Unione O E T Latte E R E Contadini N A Ticino Energia, dalle or- Ticinese) che gestiranno diversi punti 19 Associazione 20 ganizzazioni turistiche regionali Lago eS ristorazione T eA di animazione R C I lungo A il 23 Maggiore e Valli e24Bellinzonese e Alto tracciato. 8E A N S Presso I A T S.RAnTicino e non da ultimo dalla Polizia il Centro O Migros 26 27 28 cantonale e dalle Polizie comunali ed tonino sarà a disposizione l’ampio Q coloro 1 Eche O 7 9 5 intercomunali. Determinante è pure parcheggio S per tutti giun-L O 30 31 il ruolo delle associazioni sportive ri- geranno dal nord del Ticino e dal C U OalleR17.30 saràE slowUp P 4Ticino, domenica 3 23 aprile creative della33regione (AC Bellinzona, Sottoceneri. Dalle 9.307 AC Audax Gudo, AC Tenero – Contra, Giochi apertoper il “Azione” Ristorante Migros e il bar 2017. Aprile 2017 O I L O N E
5 6 A N Vinci una delle 3 carte regalo da 50 franchi con il cruciverba (N. una 13 - ... girasoli, e saggina) e dellemais 2 carte regalo da 50 franchi con il sudoku 8 7 (N. 16 - Caldo letto e cene corte, vita lunga, sana e forte) 6
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Trovate il proverbio nascosto nello schema, completandolo e leggendo le lettere evidenziate. (Frase: 5, 5, 1, 4, 5, 4, 5, 4, 1, 5)
1. Nel calendario romano primo giorno del mese 7. Simbolo di bellezza 11. Penisola del mare Adriatico 12. Assieme al risconto in bilancio 13. Le iniziali dell’attore Memphis 14. Le iniziali della Canalis 15. Antico strumento musicale a corde 16. Si ripete in un ballo francese 18. Dottrine che si oppongono alla Chiesa 21. Ci sono quelli botanici 23. Il viaggio dei latini 24. Le iniziali dell’Incontrada 25. Al… contrario 26. Ultimo ad Harvard 28. Rischio, azzardo 30. Si manifestano in gravidanza 32. Emittente televisiva statunitense 33. Una cesta sulle spalle 34. Le iniziali del cantante Stewart 36. La pace nel cuore 37. Venute alla luce in quei luoghi 38. Bucati 40. Portico dell’antica Grecia e anagramma di tosa 41. Avvolge il bozzolo del baco da seta VERTICALI 1. Associazione di persone con comuni interessi 2. Capitale dell’Eritrea
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pranzare sarà naturalmente garantita anche a tutti coloro che non dovessero poter a slowUp. La zona 7 partecipare 8 verde all’esterno del Centro S. Antonino con il parco 2 giochi permanente, 4 A ospiterà il «villaggio Famigros» con a premi, zona S 4animazioni 1 relax,7 esibizioni di bike-trial e musica non-stop. SportXX Migros presenterà l’ampia T 9 7 gamma di biciclette e di e-bike. Per R eventuali piccoli interventi meccanici, 9al Centro S. Antonino sarà attivo uno I «garage SportXX» come pure un dei 5 4gestito dai Samaripresidio sanitario tani. Ospite lo stand di StarTi, progetto per valorizzare il potenziale educativo 4 insito nell’attività sportiva. Si ricorda che il percorso 1 slowUp per ragioni di sicurezza è completa5mente 3chiuso 6 al traffico motorizzato dalle 9.30 alle 17.30. Sono previsti solo alcuni punti di attraversamento gestiti da polizia o personale di sicurezza. Per la buona riuscita della settima edizione di slowUp, si invitano tutti gli utenti ad 9O 7 alle indicazioni 2 degli addetti 3 attenersi alla sicurezza. Sul sito www.slowupticino.ch sono ottenibili informazioni 5T 8 6 utili per coloro che intendono parteciT parvi, ma pure consigli per i residenti 6 2 oO coloro che avessero necessità di spostarsi nel corso della giornata nelle zone 9 toccate dal percorso.
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I premi, cinque carte regalo Migros del valore di 50 franchi, saranno sorteggiati tra i partecipanti che avranno fatto pervenire la soluzione corretta entro il venerdì seguente la pubblicazione del gioco.
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3. Le iniziali dell’attrice Tyler 4. Capitoli della geologia 5. Bello in Inghilterra 6. Preposizione 7. Genere letterario 8. Sacca per liquidi 9. Prima moglie di Giacobbe 10. Le iniziali del regista Olmi 12. Restituite 15. Questa a Monte Carlo 17. Le iniziali della ballerina Titova 19. Lite con ingiurie e percosse 20. Chiacchiera, pettegolezzo 22. La conduttrice D’Amico 24. Possono esserlo i marmi 27. Sale per riunioni solenni 29. Le iniziali della Cuccarini 30. Fiume calabrese, anagramma di note 31. Il Superman dei fumetti
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G I O R G I A Sudoku C A L E EL LNA D DEM S O L S E I P O P Soluzione: I S T T RO I R AE N5 I R A T E Scoprire i 3 numeri corretti L I da MinseB O RnelleM E MCA R ECA E T R A rire caselle I S A R T E D 7I O 9 colorate. I E EC L AI NC E SE A R R EG S 8 T A O R MT I IS S IE GTO E R V A M N I S T I A N A 2017E L A SUDOKU L 6APER9SAZIONE T - APRILE A L
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O N A U S E E Schema A L L U C E V E N A 9 3 1 6 7 8 T I G E NE R M 8 AL I A S S R 2 8 4 I M O G A L2 A 4 L T N A T I E F O 4 1 7 4 U I A 1 V 7 I R P5 E B 7 2 3 6 9 7 IS T R EOA A L N S O TP I E 9 1 3 5 C U O R9 I E 7 1 9 3 2 5 4 6 8 5 L 4 I O N9 E R 7 6 8 9 3 1 4 2 7 5 6 4 T D R E I 6 5 2 7 8 9 3 4 1 1 A N A2 della T Esettimana M A precedente Soluzione 4 7 1 5 3 6 PONTI. 8 2 9 1 5 3– Venezia 6 CITTÁ D’ITALIA! ha: . QUATTROCENTOTRENTACINQUE
33. Oasi del Fezzan 25 35. Sigla di Società a Responsabilità 26 Limitata 37. Le iniziali del conduttore Savino 38. Le iniziali della nuotatrice Pellegrini (N.39. 15Gli - ...estremi quattrocentotrentacinque ponti) dell’accusa
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Partecipazione online: la lunga, luzione, corredata da nome, cognome, (N. 16 - Caldo letto e ceneinserire corte, vita sana e forte) 5 1 11 13 16
soluzione del cruciverba o del sudoku 2 3 4 5 6 7 8 9 nell’apposito formulario pubblicato sulla pagina del sito. 12 Partecipazione postale: la lettera o 14 15 la cartolina postale che riporti la so17
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indirizzo,5email del partecipante9deve 10 essere 7spedita 9 C A a L«Redazione E N DAzione, E Concorsi, C.P. 6315, 6901 Lugano». I S 8Tcorrispondenza R 1I 3A suiR Non si intratterrà 6 9 concorsi. R Le vie escluse. C NonE Mlegali sono E 3C 20
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 18 aprile 2017 • N. 16
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Politica e Economia Francia alle urne Nell’imminenza delle presidenziali di domenica le previsioni sono tutte aperte
Duro messaggio Usa a Mosca L’inviato americano Tillerson a Mosca chiede al Cremlino di dare il proprio aiuto nella risoluzione della crisi siriana. E le relazioni fra le due superpotenze tornano subito al minimo storico
I paletti del Tribunale federale Nessuna assistenza giudiziaria ad autorità estere in materia di evasione fiscale se i dati bancari risultano rubati, come nel caso dei documenti sottratti da Hervé Falciani pagina 21
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Decine di migliaia di sudafricani sono scesi in piazza in tutto il Paese per protestare contro il presidente Jacob Zuma. (AFP)
Sud Africa, crisi nera
Massacro ministeriale Con una mossa a sorpresa che ha avuto quasi le modalità di un colpo di stato, il presidente
Zuma ha operato un mega rimpasto di governo. Facendo una vittima eccellente, il ministro delle Finanze Gordhan Pietro Veronese Qualcuno ricorderà ancora la scena, trasmessa dalle tv di tutto il mondo. Era l’11 luglio 2010, allo FNB Stadium di Johannesburg era in programma la finale dei Mondiali di calcio: Paesi Bassi-Spagna. Shakira cantò per l’ultima volta il suo Waka Waka, che comunque aveva avuto tutto il tempo, nelle settimane precedenti, di diventare un tormentone universale. Poi, fuori programma e nel delirio dello stadio colmo di spettatori, un’auto elettrica avanzò verso il centro del campo. Sul sedile posteriore, accanto alla moglie seduta alla sua sinistra, l’anziano Nelson Mandela, 92 anni meno una settimana. In testa un colbacco per ripararlo dal freddo, sulla bocca il leggendario sorriso. Stretto, in quel momento, in un abbraccio planetario che avvolgeva il Paese passato da regno dell’ingiustizia a faro di una società globale più equa, inclusiva, proiettata verso l’avvenire. Sono passati meno di 7 anni. Quel Sudafrica non esiste più. Non è più il Paese di Nelson Mandela, scomparso tre anni e mezzo dopo la sua ultima apparizione in pubblico, allo FNB Stadium. Non è più un membro del club dei «Brics», i cinque Paesi emergenti
sulla scena economica mondiale. Certo, neanche il club c’è più; ma mentre India e Cina e in una certa misura anche la Russia proseguono la loro marcia sia pure rallentata, il Brasile e soprattutto il Sud Africa hanno perso contatto, quest’ultimo fino al punto di invertire tendenza ed entrare in recessione. L’economia ristagna, gli investitori stranieri si ritirano, il malgoverno impera, la società è percorsa da un malessere crescente, la maggioranza politica si sgretola e già alle amministrative il partito di governo, l’ANC, ha perso le maggiori città. Crescono i consensi alla campagna #Zumamustfall, che chiede a gran voce le dimissioni del presidente della Repubblica, implicato in una sequela di scandali. Questa era già da mesi la cupa situazione nella quale il Sud Africa si è andato cacciando. Poi, nel giro di dieci giorni, tra il 28 di marzo e il 7 di aprile, la situazione è precipitata. Le prospettive da grigie si sono fatte nere. In questo breve tempo tutte le contraddizioni sudafricane sono deflagrate contemporaneamente: l’ultimo assalto della vecchia guardia rivoluzionaria che lottò insieme a Mandela; la brama di potere di un capo dello Stato ridotto a un arroccamento disperato; il cinismo dei mercati
internazionali indifferenti alla sorte dei poveri; il fuggi fuggi degli alleati politici che cercano di salvare il salvabile; il partito-regime che finisce per fare quadrato contro lo scontento di massa. Nelle prime ore del 28 marzo se n’è andato a 87 anni Ahmed Kathrada, una delle figure più rispettate della recente storia sudafricana. Militante anti-apartheid quasi fin dall’infanzia, Kathrada era stato condannato all’ergastolo insieme a Nelson Mandela nel famoso processo di Rivonia del 1963-64 e aveva condiviso con lui oltre un quarto di secolo di prigionia. Ma in tempi recentissimi lo «zio Kathy», come era affettuosamente chiamato, aveva fatto di nuovo qualcosa che lo aveva portato alla ribalta della scena politica. Quando nel 2016 la Corte suprema sudafricana aveva riconosciuto il presidente Zuma colpevole di gravi malversazioni (centinaia di milioni di rand di denaro pubblico spesi per ristrutturare la sua proprietà di campagna), Ahmed Kathrada aveva preso carta e penna e gli aveva scritto una lettera aperta. Fatto inusitato da parte di un uomo elegante, discreto, che si era sempre definito leale e disciplinato membro del partito. Non più. Con parole misurate e definitive lo zio Kathy invitò Zuma a dimettersi.
Kathrada era musulmano e secondo i dettami della sua religione è stato seppellito il giorno dopo il decesso. La famiglia aveva fatto sapere al capo dello Stato che la sua presenza non era gradita. C’erano invece molti esponenti della vecchia guardia e tra questi l’ex presidente Kgalema Motlanthe il quale, pronunciando il discorso funebre, ha pensato bene di rileggere la lettera aperta a Zuma dell’anno prima, tra lo scrosciare degli applausi. Il funerale del vecchio combattente anti-apartheid è diventato una manifestazione politica. Questo era il clima nel Paese quando, alla mezzanotte dell’indomani, con una mossa inattesa che ha avuto quasi i modi di un colpo di Stato, Zuma ha operato un mega-rimpasto di governo. Il «massacro ministeriale» ha visto cadere le teste di nove titolari di dicastero e sei vice. Nessuno era stato avvisato, consultato, coinvolto nella decisione. E soprattutto, tra i nove, c’era una vittima eccellente: il ministro delle Finanze Pravin Gordhan. Un nome intoccabile. L’uomo che garantiva l’affidabilità del Sud Africa sui mercati internazionali. Nel giro di ore il rand, la valuta nazionale da tempo in declino, ha perso un ulteriore 5 per cento del suo valore. Tutte le massime cariche del Paese, a
cominciare dal vicepresidente Cyril Ramaphosa, hanno preso le distanze. Non è la prima volta che Zuma cerca di liberarsi di Gordhan e della sua severa politica fiscale: già un’altra volta l’aveva licenziato, salvo essere costretto a riaffidargli il ministero poco tempo dopo. La settimana che è seguita è stata una valanga. Due delle tre maggiori agenzie di rating, prima Standard & Poors e poi Fitch, hanno ribassato la loro valutazione. Il credito sudafricano è sceso a BB+. Il ribasso di Moody’s, annunciato, è questione di ore. L’«alleanza tripartita» che da 25 anni regge le sorti politiche del Paese è morta: la confederazione sindacale Cosatu e il South African Communist Party hanno abbandonato l’African National Congress, il partito che fu di Mandela e oggi è di Zuma. Le opposizioni sono scese in piazza, mobilitando decine di migliaia di persone con lo slogan #Zumamustfall. Le commemorazioni di Ahmed Kathrada si sono trasformate in manifestazioni di protesta. Il presidente ha ancora il controllo degli organi direttivi dell’ANC, ma il partito è spaccato, alcune tra le più importanti federazioni hanno votato contro di lui e ne chiedono l’allontanamento. La passione del Sud Africa non fa che cominciare.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 18 aprile 2017 • N. 16
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Politica e Economia
Francia, primo turno dove tutto è ancora possibile
Presidenziali E lettori teoricamente agli antipodi si stanno rivelando molto «porosi», cioè passano da una parte
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all’altra senza una logica prevedibile e questo rende difficile fare previsioni anche di fronte a una contesa elettorale in cui gli schieramenti sono tanto polarizzati
Paola Peduzzi Gli indecisi, nel voto presidenziale in Francia, sono il 40 per cento degli elettori e questo dato sta facendo salire l’ansia ai commentatori, che ripetono ossessivamente: un’incertezza così non c’era mai stata. Sulle «prime volte» di questi anni burrascosi ci sarebbe da scrivere trattati, ma certo è abbastanza bizzarro che, in una contesa elettorale in cui gli schieramenti sono tanto polarizzati, quasi metà degli elettori si ritrovi nell’indecisione. Forse manca la convinzione, e la campagna elettorale è stata un pochino folle e un pochino scadente, o forse ancora una volta i sondaggi restituiscono un’immagine falsata dei sentimenti della Francia. Non è dato saperlo, non ora che mancano pochi giorni al primo turno del voto del 23 aprile, ma quel che si sa è che ci sono quattro candidati tra il 20 e il 26 per cento dei consensi, e che il margine d’errore delle rilevazioni potrebbe diventare ancora una volta decisivo. Ora tutti gli scenari sono possibili, combinazioni varie del risultato ottenuto da François Fillon, leader dei Républicains, Marine Le Pen, leader del Front national, Emmanuel Macron, leader di En Marche! e Jean-Luc Mélenchon, leader di France insoumise (da sinistra nella foto). Se fino a poco fa, la corsa sembrava segnata dallo scontro tra la Le Pen e Macron, che sono in effetti quanto di più distante ideologicamente ed elettoralmente si possa immaginare – si pensi soltanto all’Europa: lei vuole un referendum per rincorrere la «Frexit», lui s’avvolge nella bandiera europea appena ne ha l’occasione –, ora la dinamica si è complicata. L’elettorato di destra tradizionale, i fillionisti (che pure non amano essere chiamati così, visti gli scandali e la scarsa credibilità del loro candidato), ripetono ai giornalisti che «quando si è di destra si vota a destra, il proprio partito», indicano le loro magliette blu e bianca (hanno tutti un’età piuttosto avanzata: non ci sono giovani ai comizi e ai banchetti di Fil-
lon) e incitano il loro partito a crederci. Così ora ha preso piede l’idea che i Républicains siano stati sottovalutati: l’unico partito tradizionale rimasto in corsa è anche quello che ha più chance di fare bene alle legislative di giugno e questo senso di sicurezza, pur nella fragilità della figura di Fillon, rende ancora plausibile la speranza. Molti intellettuali conservatori parigini sostengono da tempo che no, non c’è riscatto per Fillon, anche se nessuno s’aspettava né lo scandalo degli stipendi parlamentari alla famiglia né il suo esoso desiderio di abiti di lusso: nella dimensione più filosofica della politica, Fillon non rappresenta affatto il suo elettorato. Ma si sa che poi, nel giorno in cui ci si incammina verso il seggio, conta poco la filosofia, contano semmai l’appartenenza e il messaggio da recapitare, e allora se l’orgoglio gollista è davvero una cosa seria, con tutta probabilità i Républicains avranno qualche carta in più da giocare.
Quasi la metà degli elettori si ritrova nell’indecisione. Forse manca la convinzione e così tutti gli scenari sono possibili a pochi giorni dal voto Al momento però, nonostante la resilienza dell’elettorato filloniano, l’insidia arriva dall’ultimo arrivato, il «comunista» Mélenchon, che nel giro di pochi giorni è diventato il bersaglio privilegiato degli altri candidati e dei media variamente schierati. Mélenchon è il Bernie Sanders di Francia, il puro che grida che il re è nudo dopo aver battagliato indefesso contro il suo stesso partito, quello socialista, e contro i suoi stessi ex amici. Non è un caso che il team della comunicazione di Mélenchon sia andato a studiare il fe-
nomeno Sanders negli Stati Uniti e abbia cercato di riposizionare l’immagine del proprio candidato sulla falsariga del senatore del Vermont: meno livore, più umanità. Chi conosce Mélenchon sa che il suo istinto è tutt’altro che conciliante, anzi è famoso proprio per la sua ira, per la sua incapacità di compromessi, per la sua veemenza retorica: sentirlo parlare di come si prepara l’insalata di quinoa o celebrarlo per quella sua idea di proiettare il proprio ologramma ai comizi in modo da essere ubiquo e animare più folle fa un po’ ridere, ma è stato efficace. Mélenchon è risalito nei consensi, ha superato di un bel pezzetto il rivale naturale, il candidato per il Partito socialista Benoit Hamon (secondo da sinistra nella foto), ha insidiato Fillon e in alcuni sondaggi lo ha superato, posizionandosi così al terzo posto dei consensi. Non si arriva al ballottaggio da lì, ma la progressione della candidatura di Mélenchon segnala l’incertezza nei confronti di Macron e soprattutto la possibilità di creare un altro genere di attrattiva, che non ha nulla a che fare con il centro e le riforme, ma riguarda gli estremi cosiddetti populisti. Mélenchon predica il reddito di cittadinanza, le tasse ai redditi alti (al 100 per cento, non è uno scherzo), una settimana lavorativa non più di 35 ore ma di 32, gli investimenti nel welfare, la difesa dell’ambiente, l’uscita dalla Nato, la rinegoziazione dei trattati europei e in politica internazionale gravita attorno alla Russia. Assomiglia a un Jeremy Corbyn, leader del Labour britannico, ma assomiglia anche, pur con sfumature più marcate, a Marine Le Pen, o per lo meno: l’elettore tipo di Mélenchon non è così distante da quello della Le Pen. Come è facile immaginare, nessuno dei due ama il paragone, essendo figli di una storia completamente diversa, lei è cresciuta nell’estrema destra e lui ha militato nel Partito socialista per poi costruire una fronda con il Partito della sinistra e ora la France insoumise, all’estremo sini-
stro. Ma quando si parla con i militanti del Front national più giovani, si scopre che alcuni di loro hanno iniziato il loro attivismo in politica con Mélenchon: dicono che molte delle idee, soprattutto sull’economia, sono simili e semmai sottolineano che il leader della France insoumise è «troppo europeista» perché non parla di un’uscita della Francia dalla zona euro. Non si tratta naturalmente di sfumature in senso assoluto, ma se il confronto non fosse con la più radicale delle scelte, la Frexit, definire Mélenchon europeista sarebbe piuttosto paradossale. Non è un caso che, di fronte alla decisione dell’Amministrazione americana di Donald Trump di fare un blitz di rappresaglia contro il regime di Damasco dopo l’attacco chimico a Idlib, la reazione della Le Pen e di Mélenchon sia stata simile. Entrambi hanno criticato Trump, lei più perché non ci sono le prove delle responsabilità di Assad, lui più per un’ispirazione pacifista secondo cui ogni atto di guerra «è criminale», ma il risultato è lo stesso: meglio Vladimir Putin.
Secondo l’«Economist» potrebbe avverarsi uno scenario da incubo: il secondo turno fra Mélenchon e Le Pen; dopo la Brexit e Trump, la Francia si dividerebbe fra i suoi due estremi, disertando l’opzione liberale Questa convergenza ideologica sta creando un fenomeno nuovo: i giornali raccontano che molti elettori di destra stanno valutando l’ipotesi di votare Mélenchon. Un ministro del governo socialista ha detto a «Libération» che quel che sconvolge di più è che elettora-
ti che pure sono teoricamente agli antipodi si stanno rivelando molto «porosi», cioè passano da uno schieramento all’altro senza una logica prevedibile. Tanto che i mercati hanno iniziato a credere, agitandosi enormemente, alle chance di quello che l’«Economist» chiama «lo scenario da incubo»: Le Pen e Mélenchon al secondo turno. In questo caso, le rilevazioni dicono che Mélenchon batterebbe poi la Le Pen al secondo turno, ma di misura, e questo non soltanto lascia aperte tutte le possibilità ma conferma quella porosità ingovernabile tra populismi che pure avrebbero matrici differenti. Soprattutto il messaggio per il resto dell’Europa e del mondo sarebbe devastante: dopo la Brexit, dopo Trump, la Francia si divide tra i due suoi estremi, disertando del tutto l’opzione liberale. Il teorizzatore della porosità, del superamento di destra e sinistra, in realtà in Francia è un altro, ed è Emmanuel Macron. È stato lui il primo a smantellare la dialettica classica tra i partiti, creando dal nulla il suo En Marche! e attirando, da un punto di partenza progressista, i moderati di destra e di sinistra. L’operazione è andata bene, perché al di là delle riflessioni sulle intenzioni di voto (che sono alte per Macron, ma non si traducono poi in una certezza di voto altrettanto solida) e della candidatura un po’ da tecnico del giovane ex ministro dell’Economia, da tempo Macron è in testa o secondo nei sondaggi, assieme alla Le Pen. Ma la flessione nelle ultime rilevazioni e l’ascesa di Mélenchon fanno pensare non tanto e non solo che Macron possa essere un’altra bolla liberale pronta a scoppiare alla prova delle urne, ma piuttosto che la Francia sia un paese refrattario alla proposta liberale ed europeista e che la crisi dell’identità occidentale sia molto più profonda di quanto ci siamo abituati a credere. La scommessa in fondo è stata da sempre rischiosa seppure inevitabile: lasciare ai francesi l’ultima arma di salvezza di un progetto intero, il nostro.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 18 aprile 2017 • N. 16
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Politica e Economia
Un segno di vicinanza
Il Papa in Egitto La strage dei copti da parte
dell’Isis non dividerà la comunità cristiana Giorgio Bernardelli
Mosca rimpiange Obama Usa-Russia Il segretario di Stato americano Rex Tillerson porta
al Cremlino un duro messaggio in cui si chiede la collaborazione russa nella crisi siriana Anna Zafesova Sono bastati 59 Tomahawk a ribaltare gli equilibri tra i giocatori strategici in Medio Oriente, e a rompere definitivamente l’illusione di un «reset» tra Russia e Stati Uniti. Vladimir Putin sostiene che il livello delle relazioni, «soprattutto sotto l’aspetto militare non è migliorato, anzi, è degradato rispetto all’amministrazione Obama». Donald Trump poche ore dopo ha constatato che i rapporti con la Russia sono «al minimo storico» di fiducia, anche se ammette che sarebbe «fantastico» avere un buon rapporto con Mosca. Ma intanto la Russia è tornata un avversario, e il segretario di Stato Usa Rex Tillerson è volato a Mosca con un ultimatum: togliere il sostegno a Bashar Assad e allearsi con l’Occidente, oppure restare in compagnia della Siria, dell’Iran e degli Hezbollah, «una scelta che non corrisponde agli interessi a lungo termine dei russi». Alle cinque ore di colloquio con il ministro degli Esteri russo Serghey Lavrov sono seguite due ore con Putin, un onore che dimostra che Tillerson si è presentato a Mosca non solo come capo della diplomazia americana, ma come emissario della Casa Bianca. Il risultato è stata la nomina di due rappresentanti speciali che faranno un inventario dei numerosi problemi nelle relazioni tra i due Paesi. Non molto, e il veto russo, poche ore dopo, alla risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu che proponeva un’indagine sull’attacco chimico di Idlib – invocata dallo stesso Putin – dimostra che Mosca per il momento non ha nessuna intenzione di cedere su Damasco. La situazione in realtà non è cambiata da quella del settembre 2015, quando Putin ha deciso di entrare in azione in Siria a fianco di Assad: da un lato un variegato fronte di occidentali e Paesi dell’area che chiedono l’uscita di scena del rais di Damasco, dall’altro la Russia con l’Iran che lo sostengono. Il raid missilistico ordinato da Trump il 7 aprile contro la base siriana di AlShayrat come rappresaglia per l’attacco chimico però ha mostrato un «rientro» degli Usa sul campo, con una determinazione mai vista, che ha fatto sperare
a molti nella fine del periodo meno decisionista di Obama. Il presidente turco Tayyip Recep Erdogan – cosponsor, insieme a Russia e Iran, di una tregua in Siria – è immediatamente tornato a chiedere una dipartita di Assad, incrinando le già vaghe prospettive del deal trilaterale, che si proponeva come un’alternativa alla diplomazia americana nella regione. Ma soprattutto è la durezza del messaggio portato da Tillerson a mostrare un cambiamento dello scenario: «Il regime di Assad si sta avviando alla sua fine, e la Russia come suo alleato più stretto potrebbe aiutarlo a comprendere questo fatto», ha detto dopo l’incontro con Putin, sottolineando che la questione di una permanenza del rais al potere è fuori discussione.
Mosca potrebbe accettare una exit strategy che dovrebbe però permetterle di non perdere la faccia In altre parole, a Mosca viene offerto di collaborare, o di venire considerata nemica, dopo che Trump ha già accusato i russi di aver tenuto al potere «l’animale» Assad. Il ministro degli Esteri britannico Boris Johnson ha chiesto nuove sanzioni per Mosca, e il suo collega alla Difesa Michael Faellon ha attribuito alla Russia «la responsabilità di ogni morte di civili» nell’attacco chimico. Mosca continua a negare che Assad sia in possesso di armi chimiche, e Putin ha quasi esplicitamente accusato gli americani di aver organizzato il massacro di Idlib come «provocazione». Ma è evidente che venire associati ai crimini di guerra in Siria, anche in assenza di un’esplicita incriminazione di complicità, rende la posizione di Mosca più fragile. Il Cremlino aveva già tentato in passato di provare a «barattare» Assad in cambio di un maggiore ruolo internazionale, e soprattutto in cambio di un condono dell’Ucraina e dell’annessione alla Crimea. Ma se fino a qualche mese fa poteva essere la carta vincente calata da un player decisivo, con il pos-
sibile ritorno nel gioco di Washington, e il passaggio alle maniere forti di Tillerson, diventa il pedaggio da pagare per un salvacondotto. Il presidente ucraino Petro Poroshenko ha annunciato di avere avuto dagli Usa garanzie che non ci sarebbe stato un «pacchetto» che barattava la soluzione siriana con concessioni sull’Ucraina. E Trump ha rivelato di non considerare più la Nato «obsoleta», un’altra speranza del Cremlino che va in frantumi, insieme all’idea che la nuova amministrazione sarebbe stata più incline all’isolazionismo, lasciando ai russi dei vuoti da riempire sullo scacchiere internazionale. Una svolta difficile da spiegare anche sul fronte interno, dove fino a qualche giorno fa i talk show presentavano Tillerson come un «amico del Cremlino», Trump come un «filorusso» e la politica russa in Siria come un trionfo. Ora Putin rimpiange Obama, definito dalla propaganda russa fino a due giorni prima come il male assoluto, e l’editoriale di «Gazeta.ru» sottolinea che «la diplomazia ibrida, che dice una cosa, ne pensa un’altra e ne fa una terza, spacciando qualunque atto per una vittoria, ha mostrato i suoi limiti». Anche perché lo scandalo sulle «Russian connections» di Trump ha ridotto drasticamente lo spazio di compromesso che il presidente americano può concedersi nei confronti dei russi. Il capo della Casa Bianca ha usato la politica estera per far dimenticare i problemi interni, un trucco collaudato da anni anche dal Cremlino. Ma in uno scontro diretto la Russia non ha molte carte da giocare, sia per la differenza del potenziale bellico ed economico rispetto agli Usa («La Russia è un Paese potente, noi un Paese molto, molto potente», per sintetizzarla con Trump), sia per il rischio che l’avventura siriana che dura ormai da un anno e mezzo incominci a pesare sui consensi, nell’anno che precede le elezioni presidenziali. Mosca probabilmente accetterebbe volentieri una exit strategy, che però dovrebbe offrirle la possibilità di non perdere la faccia, e resta da capire se Tillerson ha portato al Cremlino una controfferta che Putin possa prendere in considerazione.
Era già un viaggio di per sé delicatissimo quello di papa Francesco con destinazione il Cairo. Ma dopo gli attentati che, nella domenica delle Palme in Egitto, hanno ucciso 46 cristiani copti tra le città di Tanta e Alessandria, le giornate del 28 e 29 aprile sono diventate un appuntamento cruciale per tutto il Medio Oriente. Non ha esitato a confermare questa visita, Bergoglio, consapevole del fatto che un annullamento sarebbe stato un colpo ancora più duro per i copti, circa 10 milioni di fedeli, l’ultima grande comunità cristiana della regione. Ma la preoccupazione è grande e non tanto per l’incolumità fisica del Pontefice, intorno al quale lo schieramento di sicurezza sarà imponente; il pericolo vero è piuttosto un altro: la possibilità che l’Isis possa colpire di nuovo prendendo di mira, in quei giorni, una chiesa o qualche gruppo di cristiani per dimostrare la sua capacità di arrivare ovunque e diffondere ancora di più il terrore in Egitto. È infatti una sfida aperta contro di loro il viaggio che porterà papa Francesco al Cairo; una sfida che viaggia su due direttrici distinte, ma oggi intrecciate. Da una parte è il sigillo al lungo processo di riavvicinamento tra il Vaticano e al Azhar, l’istituzione islamica antica di oltre un millennio che nella capitale egiziana conta settanta facoltà universitarie e studenti provenienti da oltre cento Paesi. Come è noto il mondo musulmano non ha una gerarchia di autorità, ma tra i sunniti al Azhar è lo stesso uno dei punti di riferimento più importanti da un punto di vista dottrinale. Anche per questo il Vaticano ha storicamente relazioni con quest’istituzione: una commissione mista per anni si è riunita una volta all’anno – al Cairo o a Roma – per discutere i temi più importanti del momento sul dialogo islamo-cristiano. Tutto questo, però, si era interrotto al tempo del pontificato di Benedetto XVI. E non tanto per il celeberrimo discorso di Regensburg ma per una condanna espressa da Ratzinger proprio all’indomani di un’altra strage contro i copti, avvenuta nella notte di Capodanno 2011 alla chiesa dei Santi ad Alessandria. L’imam di al Azhar, Ahmed al Tayyeb, interpretò quel gesto come un’ingerenza negli affari interni in un Egitto che allora era ancora quello di Mubarak. In questi sei anni – però – è cambiato tutto, non solo in Vaticano ma anche al Cairo. Perché nell’estate 2013 proprio l’appoggio di al Tayyeb – insieme a quello del papa copto Tawadros II (foto) – è stato decisivo per il generale al Sisi nella destituzione di Mohammed Morsi, il presidente espressione dei Fra-
telli musulmani, eletto l’anno prima come sbocco della rivoluzione di piazza Tahrir e già impegnato nell’imprimere un volto islamista al Paese. Negli anni successivi al Sisi ha lasciato l’uniforme per farsi eleggere a sua volta presidente; ma, nonostante il pugno di ferro su ogni forma di dissenso che anche la vicenda della morte di Giulio Regeni ha mostrato, l’Egitto è rimasto un Paese spaccato a metà, con un’intera area – la regione del Sinai, ai confini con Israele – fuori controllo per l’esercito. Proprio lì i gruppi islamisti locali – che fin dal 2015 hanno giurato fedeltà all’Isis, costituendo un braccio locale del Califfato, il Wilayat Sinai – hanno continuato a colpire ininterrottamente tanto l’esercito egiziano quanto le comunità copte. In un contesto del genere il riavvicinamento tra i vertici di al Azhar e il Vaticano di papa Francesco è stato un passo naturale: riavviato il dialogo, l’imam al Tayyeb l’anno scorso ha già incontrato il Pontefice in un’udienza in Vaticano. E da lì è partito il percorso che porterà tra qualche giorno Bergoglio al Cairo, dove proprio nel grande centro sunnita parteciperà a una conferenza interreligiosa sul tema della pace. Segno importante per la stessa al Azhar, mondo composito dove non tutti condividono le aperture di al Tayyeb. Tutto questo, però, non è in contraddizione con la vicinanza della Chiesa cattolica ai copti, espressa dal Pontefice anche a caldo – la domenica delle Palme in piazza San Pietro – appena giunte le notizie delle stragi. Il copto Tawadros II è uno dei leader delle Chiese d’Oriente a cui Francesco è più vicino. Insieme stanno coltivando il desiderio che la durissima persecuzione che i cristiani oggi vivono in Medio Oriente aiuti a superare le incomprensioni storiche tra le diverse Chiese. E già prima degli ultimi fatti di sangue era previsto che – venerdì 28 aprile, lo stesso giorno della visita ad al Azhar – Tawadros e Francesco compiano un omaggio comune ai martiri cristiani vittime della violenza jihadista, recandosi insieme alla chiesa dei Santi Pietro e Paolo, sventrata da un kamikaze nel dicembre scorso durante una liturgia domenicale trasformatasi anche allora in una strage. Sostenere la parte dialogante del mondo musulmano egiziano, portandolo a schierarsi in maniera netta in difesa dei copti: è su questa strada strettissima che si muoverà Francesco al Cairo. Mostrando che – come quando tutto ebbe inizio a piazza Tahrir – anche oggi è in Egitto che si gioca una delle partite più importanti per il futuro del mondo arabo.
AFP
Quattro ore di colloqui tra i responsabili delle rispettive diplomazie Rex Tillerson (a sinistra) e Sergei Lavrov. (AFP)
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 18 aprile 2017 • N. 16
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Politica e Economia
Dati bancari rubati: nessuna assistenza giudiziaria
Evasione fiscale Importante sentenza del Tribunale federale nel caso dell’italo-francese Hervé Falciani con la HSBC
di Ginevra, che contrasta con la prassi adottata in questi ultimi anni dalle autorità svizzere
Ignazio Bonoli Nella controversia che oppone alcune banche svizzere ad alcuni paesi (o regioni), il Tribunale federale ha emesso una sentenza che potrebbe frenare almeno le pretese avanzate sulla base di dati rubati. La faccenda prende avvio dall’esperto di informatica della banca HSBC di Ginevra Hervé Falciani che, fino al 2008, aveva sottratto circa 130’000 dati di clienti della banca e che, dopo la mancata cessione ad altre banche, li aveva venduti alle autorità francesi e di altri paesi. La Francia aveva poi trasmesso
questi dati a parecchie dozzine di altri paesi (una cinquantina secondo lo stesso Falciani). Lo stesso venne condannato in contumacia dal Tribunale penale federale di Bellinzona a cinque anni di carcere per spionaggio economico, mai scontati perché la Francia non ne concede l’estradizione. Sulla base di questi dati, sia la Francia, sia altri paesi, hanno chiesto a Berna l’assistenza giudiziaria in materia fiscale. Ora però il Tribunale federale ha decretato che questa assistenza non può essere concessa nel caso di dati sottratti illegalmente. Il sospetto è che la posizione rigida
delle autorità svizzere sia anche dovuta al fatto che la Francia ha negato l’estradizione di Falciani. La questione della concessione dell’assistenza giudiziaria anche in altri casi e ad altri paesi, basata su dati non derivati direttamente da un furto, è però rimasta aperta. A livello politico si stanno comunque cercando allentamenti al principio secondo cui furti di dati non devono essere premiati. Il Consiglio federale cerca cioè di reagire alle molte critiche ricevute dall’estero, alle quali ha sempre risposto negando la possibilità di un’assistenza amministrativa. In effetti, in alcuni casi le autorità
Hervé Falciani ha sottratto dati di 130 mila clienti alla banca HSBC di Ginevra e li ha venduti a diversi paesi. (Keystone)
svizzere hanno suggerito alle autorità dei paesi interessati di avviare inchieste approfondite e – sulla base dei dati raccolti – chiedere adeguate informazioni fiscali. A livello di tribunali però questi dati continuano ad essere trattati alla stregua delle sentenze sui dati «rubati». Secondo il Tribunale federale anche i dati raccolti mediante inchieste nei paesi terzi, che però possano lasciar supporre una base di dati rubati, non possono dar seguito all’assistenza amministrativa. Questo rigido atteggiamento contrasta però con una precedente sentenza, sempre su un caso francese, in cui la richiesta di assistenza si basava su dati rubati. In questo caso si trattava però di un ex-cliente francese di UBS, ma il furto di dati era avvenuto in Francia, per cui non poteva essere perseguito in base al diritto svizzero. Nel caso della HSBC, la domanda di assistenza francese si basava sull’accordo franco-svizzero sulla doppia imposizione che, nel 2009, è stato adeguato alle nuove prescrizioni standard dell’OCSE. L’amministrazione federale delle contribuzioni ha quindi accettato le richieste francesi di assistenza amministrativa, che però il Tribunale federale amministrativo ha bloccato, così come ha fatto in seconda istanza il Tribunale federale, basandosi sulla legge sull’assistenza amministrativa. La stessa prevede che l’assistenza non deve essere concessa – tra l’altro – se le informazioni necessarie sono state ottenute mediante atti punibili in Svizzera, principio applicabile anche se non menzionato espressamente nell’accordo franco-svizzero. D’altro canto la Francia aveva concordato con la Svizzera di non utilizzare informazioni sottratte illegalmente
per giustificare la domanda di assistenza. Nel caso specifico si tratta di un’utilizzazione indiretta dei dati sottratti da Falciani, ma, secondo il Tribunale federale, questi devono sottostare ai medesimi principi. La decisione è importante poiché stabilisce alcuni principi che si applicano ai probabilmente numerosi casi di richieste di assistenza, in Francia, ma anche altrove, anche se per il momento soltanto la Francia ha promesso di non utilizzare dati rubati. La Svizzera dovrebbe quindi rifiutare ogni assistenza basata su dati rubati in Svizzera. Il principio si applica sicuramente per dati rubati che sono stati comprati. Non si sa ancora come verranno trattati Stati terzi che hanno ottenuto i dati, ma senza pagarli. La cosa si complica ulteriormente quando si tratti di dati rubati a una banca svizzera, ma operante all’estero. In uno di questi casi l’assistenza amministrativa è stata accordata. Le singole situazioni vanno comunque analizzate caso per caso. Da notare che tutte queste procedure riguardano fatti avvenuti in passato e si estingueranno da sé a poco a poco. Dal 2018 entrerà infatti in vigore l’accordo internazionale sullo scambio automatico di informazioni fiscali, basato per la prima volta sui dati del 2017. Sono però ancora molti i casi aperti – non solo in Francia, ma anche in Germania e in parte negli Stati Uniti, con ramificazioni in vari paesi, come dimostra il recente caso olandese. La resistenza di UBS alle richieste francesi e la sentenza del Tribunale federale sembrano voler porre fine alla tendenza che vedeva la Svizzera trattare, per principio, positivamente ogni richiesta dall’estero.
Le elezioni in Francia mettono in ombra la ripresa economica in Europa La consulenza della Banca Migros
Miglioramento della congiuntura nell’Eurozona 120
Produzione industriale Eurozona* Vendite al dettaglio Eurozona*
110
* Indicizzato, 2010 = 100 100
Persino in caso di vittoria della Le Pen l’uscita della Francia dall’UE è tutt’altro che scontata. L’adesione della Francia all’Unione europea è sancita nella sua Costituzione. Prima del referendum, la Le Pen dovrebbe dunque presumibilmente cambiare la Costitu-
zione, ma per farlo occorre il consenso del Parlamento. Se, contrariamente alle aspettative, l’Assemblea nazionale approvasse la modifica costituzionale, è possibile la bocciatura alle urne. La probabilità di un’uscita della Francia dall’UE appare dunque piuttosto
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Fonte: Commissione UE
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Christoph Sax è capo economista della Banca Migros
Aumento degli ordinativi, prospettive migliorate in termini di utili e fatturato, calo della disoccupazione: la fiducia delle imprese europee non raggiungeva questi livelli da ormai sei anni. La ripresa è in atto non solo in Germania, ma anche nella maggior parte degli altri Stati membri. La borsa e il valore esterno dell’euro non tengono tuttavia pienamente conto di questo andamento. Il motivo è da ricercare nelle elezioni presidenziali in Francia. In caso di vittoria, la candidata populista di destra Marine Le Pen vuole indire un referendum sulla permanenza della Francia nell’UE. Se dovesse essere eletta presidente, è presumibile una reazione fortemente negativa da parte dei mercati finanziari. Anche l’euro subirebbe probabilmente pesanti pressioni al ribasso. Secondo i sondaggi, al primo turno delle presidenziali francesi il 23 aprile prossimo, Marine Le Pen può contare sullo stesso numero di voti dell’attuale favorito, Emmanuel Macron. Ma nelle previsioni per il ballottaggio del 7 maggio è decisamente in svantaggio, poiché gli elettori dei candidati uscenti sosterrebbero soprattutto Macron.
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Christoph Sax
remota, ma se si verificasse i potenziali danni per l’euro e per l’economia europea sarebbero ancora più pesanti. Per questo motivo, sconsigliamo di acquistare azioni per il momento, nonostante la favorevole situazione congiunturale.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 18 aprile 2017 • N. 16
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Politica e Economia Rubriche
Il Mercato e la Piazza di Angelo Rossi Il business della beneficenza Ho deciso di scrivere questa nota sul mercato della beneficenza dopo aver risposto a un’inchiesta di una delle molte ong (organizzazioni non governative) che cercano di diminuire la grande miseria che c’è ancora in questo mondo. Nella stessa si cercava di appurare in quale misura i benefattori conoscono le campagne pubblicitarie dell’ong in questione. Hai letto bene, caro lettore, agli organizzatori dell’inchiesta non interessava se il benefattore sapesse delle attività condotte, a sostegno dei miseri, in questo o in quel paese povero, ma piuttosto se aveva notato la campagna pubblicitaria fatta dall’organizzazione di beneficenza in questione. Siccome io non vado in giro con il naso per aria a cercare se vi sono cartelloni che parlano della miseria nel mondo ho risposto a tutte le domande del questionario per la negativa. A una domanda finale aperta che dava la possibilità di esprimere la mia opinione sulle campagne pubbli-
citarie di questo tipo ho risposto che mi sembrava fossero solo uno sperpero di risorse scarse che l’ong avrebbe fatto bene a utilizzare in modo più diretto per alleviare la miseria. Per me questa inchiesta è l’ultima prova (forse la più deleteria) di una tendenza alla superprofessionalizzazione della raccolta di fondi a favore delle persone o delle regioni bisognose alla quale bisognerebbe, in un modo o nell’altro, dare finalmente un grande taglio. Nel corso degli ultimi anni le organizzazioni di beneficenza devono aver scoperto che si raccoglie di più se, invece di attendere che i benefattori mettano mano al loro portafoglio, li si sollecita contattandoli frequentemente, o facendo gentilmente pressione in altri modi, per convincerli a versare importi sempre maggiori, con sempre maggior frequenza. E non si limitano a fare un appello. No, nelle loro buste, per impedire che il destinatario non reagisca come desiderano, includono
sempre un piccolo regalo o dei biglietti di augurio. Così uno, dopo aver aperto la missiva, si sente obbligato a mandare almeno un piccolo obolo. Vi sono poi anche organizzazioni che fanno pressione perché il benefattore sottoscriva una specie di promessa di aiuto a tempo indeterminato per una somma ben precisa, fissata dall’organizzazione stessa. Altre ti contattano addirittura per telefono per sollecitarti a far parte dei loro «club di beneficenza». Accettando di far parte di questi «club di beneficenza» uno può guadagnarsi la riconoscenza di bambini, orfani, malati, invalidi, donne, o di qualunque altra popolazione necessiti aiuto di cui si occupa l’organizzazione in questione. Vi sono poi le organizzazioni di beneficenza che hanno moltiplicato i loro indirizzi di raccolta. Si può così versare il proprio obolo o all’organizzazione nazionale, o alle sezioni cantonali. Oppure, sempre nel senso della diversificazione,
si creano iniziative particolari per le quali la stessa organizzazione raccoglie fondi ma per scopi o per progetti diversi. Questi sviluppi fanno pensare che oggi, nel mercato della beneficenza, la concorrenza tra i raccoglitori di fondi deve essere enorme e che quindi sia necessario insistere con il marketing. Fanno anche pensare che, nelle organizzazioni di beneficenza stesse, o nel mercato dei servizi, esistano specialisti del come identificare possibili benefattori e del come sollecitare dagli stessi un contributo sempre maggiore. Nelle zone urbane, ogni famiglia riceve, almeno tre volte la settimana se non di più, un appello di raccolta fondi da parte di una qualunque organizzazione di beneficenza. Il risultato è che il potenziale benefattore resta confuso e non sa come comportarsi davanti a questa valanga di sollecitazioni. Di recente, in un articolo della pagina economica di un quotidiano svizzero che va per la maggiore, si invitava-
no i benefattori a non disperdere i loro mezzi e a concentrarli su quelle organizzazioni che impiegavano i mezzi raccolti in modo efficiente e, cioè, investendoli direttamente là dove l’aiuto è necessario. Il problema è però che Pinco Pallino, potenziale benefattore, non è in grado di giudicare quale sia l’organizzazione maggiormente efficiente. Nei loro appelli tutte promettono di salvare vite e di aiutare. Al massimo, il benefattore potenziale può distinguere tra le organizzazioni che svolgono la loro attività in Svizzera e quelle che invece si occupano della miseria nel mondo. Ma non dispone di altri parametri per comparare le loro attività. In attesa che qualcuno faccia una classifica dell’efficienza delle organizzazioni di beneficenza, io continuo ad aiutare, senza fare nessun altro tipo di scelta, quelle 42 alle quali, da sempre, verso il mio modico contributo. Per le altre spero che ci pensino i miei connazionali.
notabile Nicolas Dupont-Aignan, che si appella alla Francia profonda che va a caccia e a pesca. Macron è apparso fin dall’inizio l’uomo da battere, e quindi tutti l’hanno attaccato. Lui ha risposto
bene, non ha perso la calma. Almeno per il momento. Enarca, banchiere, ministro dell’Economia: sembra il profilo meno adatto a questo tempo di rivolta contro le élites, l’establishment, di cui la Scuola nazionale d’amministrazione (Ena) e appunto le banche sono simbolo. Eppure Macron ha saputo approfittare della crisi dei due grandi partiti, il socialista e il neogaullista (che Sarkozy ha ribattezzato Les Républicains), i quali non saranno presenti al secondo turno: è la prima volta che accade a entrambi nello stesso tempo. L’ex premier Manuel Valls ha metaforicamente accoltellato il presidente Hollande, ma non gli è servito a nulla: ha perso le primarie socialiste contro un personaggio poco conosciuto, esponente della sinistra del partito, Benoit Hamon, il cui elettorato è sovrapponibile a quello di Jean-Luc Melenchon, che dal partito è uscito appunto a sinistra. Da qui l’autostrada che si è aperta per Macron,
grazie anche allo scandalo familista in cui è incappato il candidato della destra repubblicana, l’ex primo ministro di Sarkozy, Fillon, che ha versato 800 mila euro di fondi pubblici alla moglie Penelope per non lavorare. Resta l’incognita Marine Le Pen. Sembra impossibile che un Paese politicamente «strutturato» come la Francia attribuisca il 51 per cento a una leader che resta un outsider. Certo, Marine non è il padre. Contro di lei non ci sarà «l’unione sacra» che si formò contro Jean-Marie Le Pen nel 2002, quando la sinistra non fece mancare un voto a Jacques Chirac. Rispetto a quindici anni fa, i francesi sono disillusi nei confronti dell’Europa, arrabbiati verso il sistema, perplessi di fronte al mondo globale. La speranza è che la maggioranza si renda conto che un Paese esportatore come la Francia non ha nulla da guadagnare dalla chiusura dei mercati e dal ritorno delle frontiere.
vazioni sui costumi il passo è breve. Di garrulità traboccano i giornali e le riviste diffuse sia a nord che a sud dell’Europa… disunita. Corrono anche tra le pagine dei rotocalchi della piccola Confederazione, solitamente riluttanti ad avvelenare con chiose maliziose le relazioni tra le regioni linguistiche. Nel 2012 il settimanale «Die Weltwoche» mise in copertina l’immagine di un funzionario romando visibilmente alticcio, un calice di bianco in mano, i piedi sulla scrivania, un reggiseno rimasto tra i classificatori. Titolo: «I greci della Svizzera. Perché i romandi lavorano di meno e incassano rendite più alte». All’interno, il redattore riportava tutta una serie di indicatori comprovanti l’inveterata accidia della Svizzera francese, lo scarso attaccamento al lavoro, l’eccessivo indebitamento dei cantoni (segno di cattiva amministrazione), l’alta percentuale di casi sociali finiti in assistenza, l’amore per il vino e le ragazze (stigma immortale…). Ce n’era anche per i connazionali del Sud, stessi vizi, stessi difetti, con in
più la pericolosa abitudine di guidare in stato di ebbrezza. Anche quel numero fece scalpore, ma su quel terreno era difficile contestare le cifre. Da quando esistono i rilevamenti, i cugini latini conseguono risultati inferiori alla media nazionale. Fino a che punto tale permanente ritardo è riconducibile a fattori culturali, religiosi, morali? A tare ereditate dal passato (vassallaggio)? A scelte politiche sbagliate o discriminatorie? Rispondere a queste domande non è certamente facile, nemmeno per il più ferrato storico dell’economia o delle mentalità. In conclusione ci piace ricordare come un pubblicista svizzero tedesco descrisse nel 1915 la classica figura del politicante ticinese: «Per esercitare la professione di politico bisogna portare con sé la seguente attrezzatura: una lingua sciolta, una gesticolazione teatrale, un rapido movimento delle pupille, una cartelletta gialla e tutto il denaro che serve per mantenere a galla un giornale. È uno sport caro, ma sempre sport è».
In&outlet di Aldo Cazzullo In bilico fra realtà e speranze È proprio così sicuro che le presidenziali francesi siano avviate su binari già tracciati? Che Macron vinca comodamente il ballottaggio, forse arrivando già in testa al primo turno? C’è da dubitarne. La situazione è più incerta di quel che appare. Emmanuel Macron (foto) alla fine dovrebbe farcela. Ma resta un candidato più forte sui media e nei sondaggi che nel Paese e sul territorio. Senza un partito alle spalle, senza un’organizzazione, potrebbe rivelarsi esposto al dossieraggio (che ha già messo in gravissima difficoltà François Fillon) o a qualsiasi altra difficoltà; nella speranza che Putin non interferisca e che l’intelligence francese riesca a prevenire gli attacchi del terrorismo islamista. I due dibattiti televisivi a undici non hanno detto granché. Sono emersi soprattutto candidati minori, che non saranno al ballottaggio e proprio per questo non hanno nulla da perdere: Philippe Poutou, l’antisistema di
sinistra, esponente del Nuovo partito anticapitalista; la candidata di Lutte Ouvrière, Nathalie Artaud, che sogna la rivoluzione, quella vera, con i capitalisti dai tratti porcini in fuga; il vecchio
Cantoni e spigoli di Orazio Martinetti Bacco e Venere riducono l’Ue in cenere La fabbrica degli stereotipi non chiude mai. L’ultima provocazione è uscita dalla bocca del ministro delle finanze olandese nonché presidente dell’Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem, il quale – in un’intervista alla «Frankfurter Allgemeine Zeitung» (FAZ) – ha rinfacciato ai paesi latini di sperperare i fondi ricevuti dalla Banca centrale in alcol e donne («Schnaps und Frauen»). La sortita ha naturalmente sollevato un polverone. Siccome le notizie subiscono spesso distorsioni ed esagerazioni prima di arrivare al destinatario, siamo andati direttamente alla fonte. Ecco quanto il ministro ha effettivamente dichiarato alla FAZ lo scorso 20 marzo: «Durante la crisi dell’euro gli Stati nordici dell’eurozona si sono comportati in modo solidale nei confronti dei paesi in crisi. Come socialdemocratico ritengo la solidarietà estremamente importante. Ma chi la esige ha anche doveri. Io non posso spendere tutti i miei soldi in alcol e donne e poi pretendere un sostegno. Questo principio vale sia sul piano personale,
locale, nazionale, sia, appunto, sul piano europeo». Come si vede, Dijsselbloem non fa nomi e nemmeno cita paesi (Grecia, Italia, Spagna…), ma il senso è chiaro: ancora una volta l’Unione deve fare i conti con la neghittosità dei paesi-cicala, mentre le formiche nordiche sputano sangue per mantenere quei lazzaroni di meridionali. Che non solo oziano, ma si danno ai piaceri della vita usando il denaro altrui. Due parole senz’altro poco eleganti hanno riportato alla luce una frattura le cui radici risalgono perlomeno all’età moderna e alla Riforma di Lutero e Calvino. Il celebre studio di Max Weber, L’etica protestante e lo spirito del capitalismo, è stato mille volte contestato, ma va riconosciuto che rimane fondamentale per comprendere le dinamiche economiche continentali dal tardo Medioevo in poi. Altrimenti non sarebbe possibile capire come mai, nonostante sussidi, sovvenzioni, piani di sviluppo, il cigolante carro mediterraneo continui ad arrancare dietro la locomotiva tede-
sca, imperniata sulla «Leistung» e sul risparmio. Già Kant, nel 1798, sosteneva che il carattere tedesco si riassume nei concetti di diligenza, ordine, pulizia, senso del dovere. Caratteristiche (per alcuni: virtù) che la teoria economica del secondo dopoguerra ha condensato nell’«ordoliberalismo», formula che invitava gli attori presenti sulla scena – padronato, amministrazione statale, sindacati di categoria – a collocarsi in un quadro generale definito come «economia sociale di mercato». Per conseguire gli obiettivi era necessario che tutti questi attori collaborassero nella cornice giuridica definita dalla Costituzione repubblicana. Sul piano etico e comportamentale, il modello presupponeva un legame indissolubile tra solidarietà, merito e responsabilità: solo chi dimostrava di impegnarsi poteva, in caso di bisogno, invocare l’aiuto delle istituzioni. Una via condivisa non soltanto dalle forze liberali, ma anche dalla socialdemocrazia. Dal modello economico alle osser-
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Cultura e Spettacoli Margherita Turewicz Lafranchi in mostra Nelle opere dell’artista polacca in mostra a Lugano fino al 6 maggio, si trovano molte considerazioni sull’essere umano e sulla società pagina 24
Nel guscio di McEwan Per la gioia dei suoi ammiratori in tutto il mondo, lo scrittore britannico Ian McEwan ha scritto un nuovo, incantevole libro, in cui si racconta la vita vista con gli occhi di un nascituro pagina 26
L’esposizione del centenario Mostre Auguste Rodin al Grand Palais
di Parigi
Gianluigi Bellei François-Auguste-René Rodin è morto nel suo atelier di Meudon, nei pressi di Parigi, il 17 novembre 1917. In occasione del centenario Parigi organizza una mostra al Grand Palais per celebrare uno dei suoi figli prediletti. Perché al Grand Palais e non al Musée Rodin, che conserva tantissime sue opere molte delle quali esposte proprio al Grand Palais? Principalmente per due ragioni: la grandezza degli spazi e, di conseguenza, anche la possibilità di un accesso maggiore di visitatori ma soprattutto il fatto che in quest’occasione l’opera di Rodin è accostata a quella di altri scultori, creando così una sinergia a volte criticabile ma interessante. Consacrato in vita come uno dei maggiori artisti dell’epoca, dopo la morte Rodin viene associato all’arte del passato. È il periodo delle avanguardie! Sino alla fine della Seconda guerra mondiale; quando con il ritorno al figurativismo vengono ripresi alcuni temi a lui cari come gli ingrandimenti, le frammentazioni e gli assemblaggi. Facciamo una premessa prima di parlare della mostra. Rodin nasce nel 1840. Nel 1877 realizza l’Âge d’airain, una statua michelangiolesca con la quale viene accusato di lavorare tramite un calco dal vivo. Nel 1880 per demolire queste accuse ne realizza un’altra più grande del naturale e cioè Saint Jean-Baptiste. Lo stesso anno la direzione della futura scuola di Belle arti lo incarica di realizzare una porta decorativa per l’entrata. Rodin lavora a questa Porte de l’Enfer per tutta la vita e molte delle sue più celebri opere non sono altro che una estrapolazione delle figure presenti nella porta stessa. Questa, secondo i committenti, doveva rappresentare la Divina Commedia di Dante. L’artista si ispira alla Porta del Paradiso di Lorenzo Ghiberti a Firenze realizzata tra il 1425 e il 1452. La prima maquette disegnata a mina di piombo del 1880 è composta di otto formelle – quelle del Ghiberti sono dieci – e contiene già un abbozzo di Adam et Éve. Nella terza maquette, in gesso, la porta si divide in tre parti e sopra
si intravvede la figura de Le penseur, Dante stesso. Poi via via si definiscono i soggetti: Ugolino a destra e Paolo e Francesca a sinistra. Nel 1900, parallelamente all’Esposizione universale di Parigi, Rodin organizza una mostra con i lavori della Porte de l’Enfer al Pavillon d’Alma. Numerosi collezionisti internazionali – come Carl Jacobsen di Copenhagen e gli americani John e Kate Simpson – entusiasti delle opere gli commissionano dei lavori analoghi che vengono realizzati in bronzo o in marmo e in diversi formati. Detto questo è opportuno sapere che della stessa Porte de l’Enfer esistono diverse copie. Quella in gesso del 1900 posseduta dall’artista, senza le figure centrali, del Musée Rodin di Parigi; quella completa, sempre in gesso, del Musée d’Orsay di Parigi del 1917; quelle in bronzo del Rodin Museum di Philadelphia del 1925 e altre a Shizuoka e Tokyo in Giappone, al Kunsthaus di Zurigo, a Stanford in America, a Seul in Corea, oltre a quella del Musée Rodin a Parigi del 1926-1928. L’esposizione presenta tutti i suoi capolavori in un percorso fluido e maestoso che si dipana nelle alte sale del Grand Palais. Le sue sculture a volte sono associate a opere di altri artisti, dai suoi contemporanei sino ad oggi. L’Homme qui marche di Rodin del 1899, imponente, muscoloso, traboccante di forza, è affiancato, nell’ultima sala, allo stesso soggetto di Alberto Giacometti del 1960 che lo scarnifica sino a farne una filiforme silhouette. Walking man di Thomas Houseago del 1995 è, al contrario, quasi molle e liquefatto. Le penseur, presente in due versioni, è forse la scultura maggiormente famosa di Rodin. Ha una vita propria al di là della Porte de l’Enfer per la quale è stata concepita. Il 21 aprile 1906 la statua è stata inizialmente posta davanti al Panthéon, dove è rimasta fino al 1923. In occasione dell’inaugurazione Henri Dujardin-Beaumetz, sottosegretario di Stato per le Belle arti, ha detto che codesto atleta muscoloso e calmo nella sua forza è il simbolo della libertà e della democrazia. Molti artisti si sono ispirati a questa gigantesca macchina
Femme Accroupie (1881-1885) di Auguste Rodin. (grandpalais.fr)
umana, rude ma pensante; ricordiamo Edvard Munch, Antoine Bourdelle, Jacques Lipchitz, André Derain, Wilhelm Lehmbruck che la depotenzia con Sitzender Jüngling del 1916, o Georg Baselitz che la trasforma in un robot con Volk Ding Zero del 2009. Splendide come sempre la Femme accroupie del 1881-85 e l’altra icona dell’artista Le Baiser del 1881-82 nella versione in marmo di Carrara che inizialmente doveva rappresentare l’amore di Paolo e Francesca ma che, in seguito, non è stata inserita ne la Porte de l’Enfer perché in contrasto con la narrazione drammatica della porta stessa. Se poi Rodin per Ève si ispira al Michelangelo della Cappella Sistina a Roma, Henri Matisse realizza quattro nudi femminili di schiena su tale modello. La terza versione, Dos III del 1917, anno della morte di Rodin, è un altorilievo di carattere monumentale rappresentante una donna di schiena il cui dorso richiama appunto quello di Ève.
Insomma, si tratta di un artista antiretorico, icastico, amante sempre del non finito michelangiolesco e soprattutto della tecnica del marcottage che gli permette di riutilizzare, in altre situazioni, con diverso materiale e dimensioni, la stessa figura. Fino all’estrema conseguenza: quella di estrapolarne un dettaglio – una mano, una gamba – e dargli forma e vita autonoma. Le curatrici della mostra, Catherine Chevillot e Antoinette Le NormandRomain, nell’introduzione al catalogo scrivono di masse in movimento, animate da un’energia vitale propria; di sculture dinamiche o nervose e di materia deformata o scarnificata: insomma di un genio a volte naturalista, altre impressionista, espressionista, simbolista, ma sempre moderno. Da vedere, in una sala con le pareti rosse, i disegni esposti a Praga nel 1902: evanescenti, cupi, dalle forme semplificate, rinforzati con ampie sfumature di acquarello.
Naturalmente tutto il 2017 sarà dedicato all’artista con libri, colloqui, documentari, conferenze, film, festival della musica, francobolli e monete, esposizioni, fra le quali citiamo quella prevista al Metropolitan Museum of Art di New York in settembre. Per gli aderenti alla Société des amis du Musée Rodin è poi prevista in giugno una cena di gala. Ottimo l’allestimento come il catalogo che contiene anche l’indice dei nomi. Dove e quando
Rodin. L’exposition du centenaire. Grand Palais, Galeries nationales, entrée Clemenceau, Parigi. A cura di Catherine Chevillot e Antoinette Le Normand-Romain. Fino al 31 luglio. Chiuso martedì. Catalogo Réunion des musées nationaux-Grand Palais, 40 euro; album 10 euro. www.grandpalais.fr www.rodin100.org
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Cultura e Spettacoli
L’eterno effimero della materia
Mostre/1 Le opere di Margherita Turewicz Lafranchi alla Galleria Daniele Agostini di Lugano
Alessia Brughera Margherita Turewicz Lafranchi, artista polacca nata a Stettino, giunge in Ticino agli inizi degli anni Novanta, quando su consiglio di Anda Rottenberg, storica dell’arte a quei tempi direttrice della Galleria d’Arte Nazionale Zachęta di Varsavia, partecipa a un concorso il cui premio consiste in una residenza artistica al Museo Vela di Ligornetto. Risultata vincitrice, da quel momento lega la sua vicenda professionale e privata al nostro cantone.
Margherita Turewicz Lafranchi ci fa riflettere sulla relatività delle cose e sul confine tra effimero ed eterno Viaggia molto la Turewicz, va in Spagna, in Austria, in Germania, dove ha modo di confrontarsi con diversi artisti e di approfondire correnti passate e contemporanee da cui trarre ispirazione per la sua ricerca: con uno sguardo sempre attento a carpire gli stimoli più vicini al suo sentire, avvia un percorso che disegna una traiettoria singolare fin dagli esordi, dando vita a un linguaggio che rivela chiaramente l’influenza di alcuni movimenti neoavanguardistici, ma che sa giungere, tramite una personale rielaborazione di queste esperienze, a esiti di estrema originalità. Sono opere, le sue, da cui trapelano difatti richiami all’Arte Povera nell’impiego di elementi nella loro forma primaria e immediata e che hanno l’obiettivo di schiudere un rapporto nuovo con il mondo delle cose allargando al massimo la soglia percettiva ed emozionale. Evidenti sono anche i riferimenti alle indagini dei minima-
Margherita Turewicz Lafranchi, Meteoriti, 2016, rete di plastica. (Danny Noël)
listi americani: come loro la Turewicz persegue una sorta di «understatement estetico» fondato sul concetto di riduzione, che passa attraverso soluzioni dalla geometria basilare e da materiali, soprattutto industriali, scelti per la loro semplice struttura. Tutto ciò si coglie chiaramente nella mostra dedicata all’artista ospitata negli spazi della neonata Galleria Daniele Agostini a Lugano. Sono una ventina i lavori esposti, tutti realizzati dal 1997 a oggi e raccolti sotto l’emblematico titolo Effimero, con cui si è voluto mettere in evidenza quel peculiare carattere di antitesi tra forma e sostanza che distingue la produzione della Turewicz.
Le opere dell’artista sono essenziali, attente al proprio ritmo interiore, sono composizioni aperte e ricche di relazioni interne che sanno raggiungere il massimo dell’espressività con il minimo di strumenti esecutivi. La Turewicz usa esclusivamente materiali sintetici, legati in particolar modo all’edilizia, da lei considerati al pari di quelli tradizionali e più nobili. Ecco allora che reti di plastica, fili di rame, cavi elettrici, lana d’acciaio, plexiglas e alluminio, elementi dalla natura resistente e dalla lenta deteriorabilità, vengono elaborati dall’artista in creazioni leggere e diafane – effimere, appunto – che riducono il loro impatto formale e cromatico e gli conferiscono un alto potenziale emotivo.
La materia fredda, rigida e incorruttibile assume così una fisionomia delicata, evanescente quasi, a generare microcosmi in cui il pensiero si crogiola per suscitare un’emozione o evidenziare un’immagine mentale privilegiata. Nei lavori della Turewicz l’ordine e il rigore convivono con la fragilità, la volumetria si combina con la levità, la geometria sposa l’intrigo introspettivo, la trasparenza sfocia nell’ambiguità. I titoli delle opere ci aiutano a capire quanto questi universi impalpabili racchiudano le considerazioni dell’artista sull’essere umano e sulla società: le piccole Trappole in rete di plastica datate 2016, ad esempio, sono
meditazioni sull’isolamento dell’individuo nella società contemporanea; la raccolta famiglia di Meteoriti, dello stesso anno, nella sua stratificazione di materiali plastici e in alluminio diventa una sorta di esortazione a guardare oltre l’apparenza; la Lente in plexiglas e lana di acciaio, del 2005, si fa simbolo della nostra visione del mondo offuscata dai pregiudizi. Interessanti sono anche i lavori che rispecchiano la vicinanza della Turewicz alla natura, un legame profondo, questo, che prende vita nelle aggraziate Infiorescenze in gommapiuma e filo di rame, del 1998, o nelle serie intitolate Stami, Pistilli e Bozzoli, eseguite in lana e filo di acciaio tra il 2002 e il 2005, in cui l’artista riproduce, ingrandendoli, le parti del fiore e l’involucro protettivo simbolo della metamorfosi per investigare il concetto di trasformazione e di mutevolezza. Nel percorso di mostra c’è spazio inoltre per un omaggio a Marcel Duchamp, geniale ed eversivo progenitore delle gran parte dei movimenti artistici giunti fino ai giorni nostri, con un piccolo lavoro del 2003 intitolato Mulino e realizzato con dei pulisci-camino: appeso al soffitto, ricorda nelle forme la celebre Macinatrice di cioccolato del maestro francese. Con le sue opere eteree e incorporee composte di materia imperitura, la Turewicz riesce a farci riflettere sulla relatività delle cose, sul volubile rapporto tra essenza e apparenza e su quel sottilissimo e ingannevole confine che separa la fugacità dall’eternità. Dove e quando
Margherita Turewicz Lafranchi. Effimero. Galleria Daniele Agostini, Lugano. Fino al 6 maggio 2017. Orari: me, ve e sa 13.00-18.00, gio 13.00-19.00 e su appuntamento. www.danieleagostini.ch
Scarti di vita quotidiana votati alla bellezza
Mostre/2 Al Museo Comunale di Arte Moderna di Ascona le opere e la ricerca di Giuliano Collina Eliana Bernasconi In un tempo che sembra sancire la «morte clinica» dell’arte, l’immagine, sequestrata da altri media più in voga come fotografia, video, installazioni, performance, sembra non trovare più posto, e «questa tendenza alla soppressione è un sintomo del nostro tempo». Scrive così Massimo Recalcati in Il mistero delle cose. Nove ritratti di artisti dove afferma che «la pittura si muove sullo stesso terreno della psicoanalisi, entrambe impegnate nella rappresentazione dell’inesprimibile, poiché l’opera d’arte intrattiene sempre un rapporto con l’assoluto delle cose». Eppure, conclude lo psicoanalista che sull’arte contemporanea ha molto riflettuto negli ultimi decenni: «il miracolo della pittura resiste». Pur dando pieno riconoscimento al valore di queste tendenze contemporanee, Giuliano Collina, nato nel 1938, appartiene a una generazione che comprende ancora veri artisti che dialogano quasi esclusivamente con la tela, testimoni di una continuità storica che ci traghetta nel futuro. Residente a Como, Collina si forma e inizia a esporre nella Milano degli anni 60, in un clima artistico culturale vivo come non mai, ricco di fermenti. Le gallerie fanno conoscere la pop art americana, l’informale internazionale, l’espressionismo astratto, la nuova figurazione, inevitabilmente tutto ciò si rispecchia nelle sue prime opere. Ogni artista è contraddistinto da una sua poetica, che in Collina non pre-
scinde mai totalmente dall’oggetto, cui resta fedele nei mutamenti della ricerca e nei continui passaggi di sperimentazioni tecniche. La sua è una poetica rivolta agli oggetti di uso comune anche se periodicamente contempla soggetti sacri come gli spazi del corpo umano, della crocifissione e il tema dell’angelo, mediatore di confini sconosciuti. Attinge quindi alla realtà del quotidiano e ad oggetti di uso comune come la sedia o la tazzina di caffè, a frammenti di paesaggio lariano o a interni dove le figure umane appaiono come sospese in uno spazio architettonicamente indefinito. La sua pittura, dove il segno conti-
nuamente opera su un tessuto di luce, è caratterizzata, scrive Enrico Crispolti «da una intrinseca espressività materico-cromatica». La valorizzazione e sacralizzazione degli oggetti quotidiani che si fanno universali non si discosta molto dal tipo di operazione che ha compiuto nelle recenti opere, del 2015 e 2016, in mostra ad Ascona. Anche in esse si attribuisce valore totale e in fondo si sacralizzano le cose quotidiane, gli scarti, quelli che solitamente finiscono nella spazzatura. Ma attenzione, qualcosa li differenzia: è esclusivamente con gli avanzi di materiale dei suoi lavori che l’artista ha creato opere che anche per questo motivo sono originali
Attenti al cane, collage, 2016. (museoascona.ch)
e uniche. È questo il singolare messaggio della mostra, fondata su un’attualissima, intima economia del riciclo. Ma non si tratta qui degli «objet trouvé» picassiani o di quanto proponevano gli esponenti delle avanguardie negli anni 60 e 70, utilizzando rottami industriali o scarti di vita quotidiana, e nemmeno della pratica iniziata con gli artisti del dadaismo, sebbene il lavoro di Collina si inserisca in parte in questa tradizione per l’accostamento di materiali diversi. Collina non avrebbe potuto approdare anni fa a questa soluzione espressivo stilistica che è frutto di maturità, dominio della materia e della tecnica, padronanza del mezzo, sperimentazione incessante. Dieci anni or sono, ci ha raccontato, appendendo al muro dei residui sgocciolanti di smalto fresco solo perché si asciugassero prima di gettarli nella spazzatura, si è accorto che tutti questi pezzi, nel loro accostarsi e casualmente comporsi in modi sempre diversi acquistavano vita autonoma e prendevano un senso. Ha cominciato allora a conservarli e ad utilizzarli sistematicamente, e così sono nate queste opere. Oggi nel suo ampio studio, dove nitore estremo e organizzazione smentiscono il cliché dell’artista caotico e disordinato, conserva tutti questi resti in cartelle. Ha chiamato il ciclo dei collages, tutti del 2015-2016 Le Cose Avanzate (LCA), o meglio, come specifica: «Con le cose avanzate». Gli accostamenti sono diversi tra di loro: ritagli di tele, brandelli di dipin-
ti scartati, cartoni, alluminio, carte da imballaggio, stracci arrotolati, filo di ferro, fondi di barattoli, fogli di quotidiani coperti di lucidi macchie utilizzati come tavolozza. La Zucca è eseguita con carta straccia e smalto rovesciato su pagine di giornale, in Orto botanico un sacco di plastica contorto si fa germoglio e gli schizzi di vernice sulla carta semi. Il tessuto logoro di una vecchia maglietta è una grande campitura stesa sulla carta bianca e si intitola Mar Rosso, mentre La scopa del diavolo raccoglie fili di ferro, ritagli meccanici, carta straccia, plastica. In tutte le opere si intuisce la leggerezza ironica del gioco, lo stupore divertito della scoperta nel riagganciarsi a un’infanzia perduta con la quale ogni vero artista conserva un misterioso canale. Oggi la perfezione della riproduzione fotografica sostituisce quasi la visione diretta, ma non in questi lavori che sono quasi tattili, percepibili con i sensi. Anche se può suonare eccessivo, si pensa a quanto scriveva Walter Benjam sull’opera d’arte, unica e irripetibile nell’epoca della sua riproducibilità tecnica. Dove e quando
Giuliano Collina. La vita in studio. Ascona, Museo Comunale d’Arte Moderna. Fino al 7 maggio 2017. Orari: ma-sa 10.00-12.00, 14.00-17.00, do 10.30-12.30, lunedì chiuso. museoascona.ch
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Cultura e Spettacoli
I racconti fetali della maturità
Narrativa In Il guscio lo scrittore britannico Ian McEwan racconta la vita dalla prospettiva
di un feto senza dimenticare di strizzare l’occhio a Shakespeare
Cinema Un nuovo
capolavoro su un tema delicato
Mariarosa Mancuso Irresistibile. Il punto di vista è azzeccato e originale. La chiacchiera è intelligente e ironica. Cosa possiamo chiedere di più a un romanzo? Ciliegina, per completare la felicità: non lo ha scritto un esordiente, ma uno scrittore che credevamo perduto e ora abbiamo ritrovato. Avevamo tanto amato Ian McEwan, da quando un amico consigliò i racconti intitolati Primo amore, ultimi riti e Fra le lenzuola. Abbiamo continuato ad amarlo dopo la decisione di passare al romanzo, balzo che non sempre riesce: Il giardino di cemento, Espiazione o L’amore fatale. Abbiamo continuato, in anni più recenti – un titolo tra tutti, il molto sopravvalutato Chesil Beach – a prendere in mano i suoi libri per inerzia, senza grandi entusiasmi, come ogni tanto si telefona a un vecchio amico che ripete le stesse cose. Li abbiamo cominciati, abbiamo letto qualche capitolo, non possiamo giurare di averli letti fino in fondo. Nel guscio, l’ultimo romanzo appena uscito da Einaudi, è servito a fare pace. Protagonista: un bambino ancora nella pancia della mamma, a testa in giù perché qualcosa sta per accadere. Spiega di avere appena scartato «il dono della coscienza dal dorato involucro in cui era avvolta», e comincia a sospettare che si tratti di un regalo avvelenato. Ha già le sue nostalgie: prima fluttuava nel palloncino, ora sta stretto nel suo alloggiamento, e come se non bastasse attorno a lui c’è spesso trambusto. Mamma Trudy e un certo Claude (che poi scopriremo essere lo zio del piccino, di mestiere agente immobiliare, sprovvisto di senso dell’umorismo e dedito ai beveroni che secondo lui allungano la vita) si agitano tra le lenzuola, brevemente ma intensamente. Il pupo che sta per nascere non ha ancora un nome, ma è curioso di tutto. Ascolta i notiziari e i programmi culturali che piacciono alla madre, oltre a orecchiare le conversazioni attorno a
Kaurismaki e i migranti, ironica arte poetica
Fabio Fumagalli **** L’altro volto della speranza, di Aki Kaurismaki, con Sherwan Haji, Sakari Kuosmanen, Kati Outinen (Finlandia 2017)
Lo scrittore britannico durante un festival letterario a Colonia in marzo. (Keystone)
lui (sennò l’unica distrazione sarebbe il cordone ombelicale con cui giocare). La mamma e lo zio parlano di un piano, ma spesso lo fanno sotto la doccia e non tutte le parole sono chiare. C’è anche un padre, tale John Cairncross, titolare di una minuscola e raffinata impresa editoriale che pubblica solo libri di poesie, perlopiù invenduti. Un piano congegnato lontano da orecchie indiscrete, una famiglia nido di vipere, una frase di William Shakespeare in apertura di romanzo: «Potrei essere confinato in un guscio di noce e sentirmi il re di uno spazio infinito – se non fosse per i brutti sogni». Ma certo, è Amleto, anche gli altri dettagli vanno al loro posto. I nomi (Trudy sta per Gertrude) e soprattutto il dilemma «essere o non essere», mai stato tanto cruciale. Ian McEwan riscrive Amleto e si diverte parecchio, come mai in letteratura gli era capitato. Era tetro in gioventù, serio e a tratti solenne nella
maturità, scanzonato ora che è in vista dei 70 anni. Circondati come siamo da adulti che si comportano come bambini capricciosi, duecento pagine in compagnia di un nascituro dotato di buon senso sono un magnifico regalo. Il nostro ha capito che vivrà in un angolo privilegiato del pianeta, fornito di acqua corrente calda e fredda, vacanze, anestetici, lampade da tavolo. Apprezza il fatto che l’umanità non sia mai stata tanto ricca, sana, longeva. Ricorda al lettore distratto – e ai politicamente corretti che hanno annesso d’ufficio Ian McEwan al loro partito – che oggi sono di uso comune lussi che gli imperatori di epoche passate potevano solo sognare. Ai tempi di Shakespeare, per restare dentro la famiglia letteraria di riferimento, le donne non calcavano i palcoscenici e Giulietta era un baldo giovane in abiti femminili. In piazza combattevano gli orsi e gli assassini ve-
nivano impiccati (entrambi con grande successo di pubblico). È vero, ammette il non ancora nato: forse abbiamo costruito un mondo troppo complicato per governarlo. Ma nessuna persona sana di mente farebbe cambio con l’armonioso mondo contadino che esiste solo nei film di Ermanno Olmi (dove si sacrifica un albero intero per ricavarne due zoccoli). Oltre a Shakespeare, Ian McEwan strizza l’occhio a Laurence Sterne e a Tristram Shandy, altro personaggio romanzesco che racconta i fatti suoi prima ancora di nascere. Addirittura prima di essere concepito: ogni domenica il genitore caricava la pendola e si dedicava ai doveri coniugali, la madre sul più bello chiede se la pendola ha avuto la sua carica. «Per questo sono venuto su un po’ strano», spiega Tristram. L’Amletino di McEwan ha invece fatto sua la frase di Re Lear: la maturità è tutto.
Sei anni dopo Miracolo a Le Havre l’inconfondibile finlandese ritorna al suo trittico sulla condizione dei migranti. Una volta ancora, con un capolavoro: nel quale fonde realtà e surrealismo, commozione e ironia, denuncia e poesia. Come riuscire in quell’equilibrio, a prima vista irrealizzabile, fra energia politica e gioia nella musica, eclatante essenzialità dello stile e autentica quotidianità dei personaggi? Il fatto è che, dopo una serie inimitabile di 17 lungometraggi, tutti destinati a fustigare come ad approfittare dell’assurdità del mondo in cui viviamo, la qualità e la coerenza dello sguardo di Aki Kaurismaki sono rimasti intatti. Addirittura più emozionati. Ecco allora questa storia, impossibile e verissima, del rifugiato siriano che emerge dal mucchio di carbone di una nave. Un clandestino dal trascorso atroce, ma premuroso di rispettare le regole. L’asilo gli viene negato, mentre le immagini di Aleppo scorrono su un televisore. Ma un destino alla Kaurismaki lo fa incappare in un commerciante all’ingrosso di camicie che si gioca tutto a poker, pur di aprire uno di quegli spazi prediletti dall’autore di L’uomo senza passato, il ristorante. Non è che fra i due sia subito l’idillio. La solidarietà, nel cinema dell’au-
Due debutti a margine di una ricca offerta teatrale di fine stagione Teatro Al Foce un convincente Marco Paioni ha debuttato con il monologo La mar,
al San Materno Carolyn Carlson ha incantato il pubblico con uno spettacolo poetico Giorgio Thoeni Si stanno esaurendo i cartelloni più importanti e queste ultime settimane di sfogo teatrale offrono spettacoli eccellenti sui quali ci sarebbe piaciuto soffermarci più a lungo. Dalla straordinaria e intensa Medea di Elisabetta Pozzi alla regia di Christoph Marthaler per il suo riuscito King Size, entrambi al LAC, o ancora all’intelligente comicità di Ale e Franz al Teatro Sociale con un personalissimo omaggio a Gaber e Jannacci. Tutto non si può fare perciò dedichiamo questo spazio a due spettacoli di casa nostra. A cominciare dall’interessante debutto di Marzio Paioni al Teatro Foce con La mar, un monologo scritto da Olimpia De Girolamo e diretto da Claudio Orlandini con musiche originali di Gipo Gurrado e la scenografia di Dino Serra. Per presentare questa originale operazione, «Agorà Teatro» di Paioni ha lasciato la piccola sala di Magliaso per un palco più ampio e una platea più capiente. Come ne Il vecchio e il mare di Hemingway, il titolo vuole ricondursi al mare, che nella lingua spagnola si traduce al femminile per la sua dignitosa eleganza e generosità. Lo spettacolo ci racconta di Venerio,
personaggio vecchio e solo su un’isola sperduta su cui si erge un faro. Potrebbe essere il guardiano della luce che orienta le navi, ma nell’oggetto della narrazione diventa molto di più. È il testimone di una resa esistenziale, il rifugio di una bandiera bianca, una «stanza trasparente» che illumina a intermittenza i ricordi ripercorsi nell’ultimo giorno di vita per poi finire avvolti dall’oscurità. È dunque la sua storia, del rapporto frettoloso con le donne, spesso prostitute, o di quello, decisamente più tormentato, con il padre violento: un segreto che va
raccontato per potersene liberare. La lingua di Venerio è contaminata, ora è napoletano, soprattutto italiano ma anche qualche slancio in francese, tedesco e qualche venatura nostrana. Una Babele che sembra seguire il filone di contemporaneità regionali che diventano universali, come la disperata solitudine di Franco Scaldati o le audaci estetiche di Emma Dante. Parallelismi forse esagerati oppure inconsci, ma legati al cordone ombelicale di quella drammaturgia che trasforma l’evento narrativo in azione teatrale. La direzione di Orlandini asseconda la vena interpretativa di Marzio Paioni regalandogli possibilità espressive inattese e sorprendenti che mettono a proprio agio l’attore per uno spettacolo convincente, che esce dai soliti schemi, che lascia fecondare idee, emozioni e che è stato accolto calorosamente dal numeroso pubblico delle due serate luganesi. La calligrafia danzata di Carolyn
Marzio Paioni è il protagonista di La Mar, di Olimpia De Girolamo. (foce.ch)
Nonostante l’eccezionalità del personaggio e la sua indiscussa grandezza, possiamo considerare il ritorno di Carolyn Carlson al Teatro San Materno come un evento «di casa nostra», in
quanto la superba danzatrice e coreografa americana ha creato uno spettacolo appositamente per il suo ritorno ticinese, lasciandosi ispirare dal piccolo e magico palco Bauhaus di Charlotte Bara. Un bel colpo per Tiziana Arnaboldi che continua un percorso da «tutto esaurito» a conferma della scelta di orientare la sua direzione artistica sulla danza contemporanea. Intitolando Poetry event… Ink Sketches for Water Words, la carismatica Carolyn ha voluto dar forza alla sua passione per la calligrafia giapponese con forme che attraverso il segno del pennello diventano istantanee del cuore, giochi di movimento, gesti e immagini. L’ha fatto accompagnandosi a Sara Simeoni, sua storica danzatrice (ma l’omonimìa non tragga in inganno), bravissima nel ruolo di spiritoso ed eccellente contraltare sulle affascinanti declinazioni poetiche proposte dai disegni proiettati sullo sfondo e su quelli tracciati su carta. Uno spettacolo in cui la coreografia si trasforma in quel Poetry event che porta l’immaginario della parola all’espressività del movimento. Un’ora di intensa bravura, di magistrale leggerezza e di divertita intelligenza.
L’ultimo film di Aki Kaurismaki ha suscitato entusiasmi unanimi.
tore, passa anche attraverso una certa ambiguità dei rapporti; nell’orrore, soprattutto, di un sentimentalismo di facciata. Questo è in linea con l’impassibilità del protagonista nei confronti della tragedia che si porta appresso, al punto che il collega venuto dall’Iraq gli suggerisce di sorridere di tanto in tanto. Poiché qui, se hai l’aria triste, arrischi di farti espellere. C’è tutto lo humour sconsolato di Kaurismaki in quel suggerimento. Assieme alla sua arte sconfinata della sottrazione, del negare ogni privilegio al superfluo. Un ristorante dalle pareti smunte color pastello, le suppellettili assurde, il personale assonnato e un menu di sardine in scatola su letto di patate bollite. Ma un universo che di fronte agli skin biechi della solita «Armata per la Libertà» locale saprà come comportarsi. Come indica il suo titolo, L’altro volto della speranza si alimenta del rifiuto della disperazione. Nella tenerezza schiva di certe situazioni, nell’irresistibile irruzione dei musicisti country, nelle cadenze chapliniane dei suoi momenti anche più drammatici, l’arte di Kaurismaki conserva un suo commovente antidoto all’epoca che attraversiamo. Il ricorso, contro ogni evidenza, alla fiducia.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 18 aprile 2017 • N. 16
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Cultura e Spettacoli Rubriche
In fin della fiera di Bruno Gambarotta I testi parlano, ascoltiamoli! A proposito di vacanze. Sono stato bambino durante la guerra e poi ragazzo nei primi anni del dopoguerra, quando il mondo si divideva fra chi andava in villeggiatura e chi non si allontanava mai da casa. La mia famiglia apparteneva alla seconda categoria. Abitavo ad Asti, una piccola città del Piemonte; mio padre era tipografo e mia madre pettinatrice. D’estate mi mandavano in campagna dai nonni materni e con i miei cugini formavo una banda di piccoli selvaggi. Si rubava la frutta ancora acerba e nelle ore più calde si faceva il bagno in Tanaro, il fiume a poche centinaia di metri da casa. Prima di tornare in città mia madre mi minacciava: «Se anneghi in Tanaro ti ammazzo!». Le rispondevo: «Come fai ad ammazzarmi se sono già morto?». E lei: «Tu non pensarci, lo so io». Nelle estati di guerra una zia che non si era sposata e viveva con i nonni, aveva il compito di sorvegliarci. Lo faceva con lo strumento di solenni promesse: «Se state bravi per tutto il giorno, questa sera vi porto su in collina a veder bombardare Torino». Visti da lì sembravano più
che altro fuochi d’artificio. Se poi quella sera non c’erano bombardamenti a noi sembrava di aver sprecato i nostri sforzi, di essere stati bravi per niente. Per vedere il mare ho dovuto aspettare la fine della guerra. Per merito di un’altra zia, Emma, sorella di mia madre che viveva in casa nostra, lavorando come apprendista nel negozio. Aveva solo sedici anni più di me e, scoppiata la pace, aveva sposato un toscano conosciuto mentre era militare nella nostra città. Era andata ad abitare a Livorno, in casa dei suoceri e d’estate mi ospitava. Si viaggiava con un treno che da Asti a Livorno impiegava ventiquattro ore. Faceva un numero infinito di soste e andava talmente piano che il vagone merci che ci trasportava aveva i portelli aperti consentendoci di viaggiare seduti sul bordo con le gambe penzoloni. Livorno era distrutta dalla guerra. La casa degli zii si trovava in via de Larderel, vicino al Cisternone, il monumentale serbatoio dell’acqua. Mi portavano al mare, alla spiaggia libera piena di scogli, seduto sulla canna della bicicletta. Ma solo nei giorni in cui mio
zio ferroviere era a casa dal lavoro. Mia zia era un’appassionata lettrice, in casa c’era una cassapanca piena di libri. Le piacevano Riccardo Bacchelli, Guido da Verona, Alfredo Panzini, Virgilio Brocchi, un autore prolifico che aveva sfornato nei primi decenni del Novecento una cinquantina di romanzi. Non mancavano gli ungheresi, fra i quali il famoso Ferenc Körmendi, l’autore di Un’avventura a Budapest. Se non andavo al mare, me ne stavo in casa a leggere, ero troppo giovane per andare in giro da solo. Interi pomeriggi appollaiato su una sdraio sotto il davanzale della finestra; quando dopo ore mi alzavo mi girava la testa. Un giorno la zia mi mise in mano L’isola del tesoro, di Stevenson. Fu una folgorazione. Da allora non ho più smesso di leggere. La mia insegnante di matematica mi prestava gli Omnibus Mondadori: Via col vento, Le novelle per un anno di Pirandello, ecc. Molti anni or sono ero in una libreria romana con Andrea Camilleri, alla presentazione di un suo romanzo. Una signora domandò: «Cosa possiamo fare per convincere i
nostri figli a leggere?» Camilleri rispose: «La nostra fortuna sono state le malattie esantematiche – la varicella, la rosolia, la scarlattina – che ci costringevano a letto isolati per almeno una settimana senza doveri scolastici. E le lunghe vacanze chiusi in casa. Fu così che la mia generazione si buttò sui libri. Ricordo, d’estate, pomeriggi così assolati che non si poteva neanche uscire. Stavo in casa con le persiane abbassate». Tornando alle mie avventure di lettore, un grande contributo l’hanno dato anche i rimproveri di mia madre che non approvava il mio stile di vita: «Smettila di leggere che diventi cieco, tisico, gobbo e rachitico. Vai a giocare con i tuoi compagni». La sera leggevo a letto e lei entrava in camera a spegnere la luce costringendomi a proseguire di nascosto, sotto le lenzuola, con l’aiuto di una pila. Ad Asti frequentavo la biblioteca civica che, come tutte le istituzioni astigiane, era intitolata a Vittorio Alfieri. I libri si potevano solo leggere sul posto, era vietato portarli a casa. Nessuno mi aveva insegnato a compilare il modulo
per la richiesta di un libro; aprivo il cassetto, sfogliavo le schede con segnature complicatissime – lettere, numeri arabi e romani, cancellature – cercavo di non fare errori e consegnavo il foglietto al bibliotecario, un ex portiere della squadra di calcio della città ritornato dalla Russia con i piedi congelati. Lui si avviava a cercare il libro, muovendosi lentamente con grandi pantofole, come se pattinasse. Spariva nei meandri della casa natale di Alfieri e quando ritornava sovente aveva tra le mani un testo diverso da quello che avrei voluto leggere. Non osavo fargli presente l’errore perché magari era colpa mia. Mi sedevo al tavolo e leggevo il testo estratto a sorte; al posto di Ventimila leghe sotto i mari di Jules Verne, un trattato sulla lotta alla peronospera, un fungo che colpiva i vigneti. Devo ancora leggere il romanzo di Verne e prima o poi lo farò. In compenso sono in grado di tenere una conferenza sulla coltivazione della vite e sui parassiti che la minacciano. Ho imparato che tutti i testi parlano, basta saperli ascoltare.
zione, e tante possibili reincarnazioni fino a una sorta di divinizzazione, che spetterebbe al filosofo, colui che più di tutti si è avvicinato alle cose divine. E però il testo sacro della grecità tutta, l’opera di Omero, ancora una volta smentisce e riporta a una ben diversa e trista concezione della sopravvivenza dell’anima, se di anima si può parlare, quando sappiamo che il termine psyche fa riferimento al soffio vitale che anima i corpi. Nell’undicesimo libro dell’Odissea, Achille, ormai nell’Ade, rifiuta gli omaggi del vivo Ulisse, che riconosce al figlio di Teti una superiorità rispetto agli altri morti: «Non lodarmi la morte, splendido Odisseo», perché «vorrei essere un bifolco, servire un padrone», piuttosto che «dominare su tutte l’ombre consunte». Privo di ogni dignità, ma sotto la luce del sole, vorrebbe essere Achille, lo stesso che nell’Iliade aveva dedicato a Patroclo
imponenti cerimonie funebri, e grida e preghiere: per ottenere cosa? Per farlo vivere nella memoria? Per strappare agli dèi un destino diverso? Un classico sull’argomento, Psiche. Culto delle anime e fede nell’immortalità presso i Greci di Erwin Rohde (Laterza), permette di approfondire l’argomento mai risolto. Concluso nel 1893, diciassette anni dopo La nascita della tragedia di Nietzsche, il testo riprende l’intuizione che vuole il dionisiaco come figura di continuità tra le religioni misteriche e quella olimpica, tra un mondo di uomini destinati alla terra e uno di dèi felici di mischiarsi agli altri in figure come quelle di Dioniso, mezzo uomo e mezzo dio. Alle radici della nostra civiltà non ci sarebbe quindi l’opposizione tra la carnalità di Dioniso e la razionalità di Apollo. L’idea è invece quella di una evoluzione, di una nuova modalità per potere avvicinare il divino. Il semi-dio
in fondo è un metaxù, un essere di mezzo come i dèmoni, a metà strada tra l’oltresensibile e la nostra vita di quaggiù, tra l’eterno e il temporale. E che cosa cercano il ragazzo tatuato, la fanciulla coi piercing? Che cosa se non dimostrare che il corpo offre una testimonianza che va oltre la sua normale vita? Io credo invece che questi atti indichino una cancellazione, come un tentativo di distrarre l’attenzione dall’ingombrante sé del nostro corpo. Si può ottenere in tanti modi, anche indossando abiti o abbronzature o trucchi, ma gli aghi del tatuatore e i ferri che perforano hanno anche un senso punitivo. Altro che Quaresima, altro che purificazione: i Greci tentarono la via della sola anima, con esiti alterni, come abbiamo letto. A noi tocca il paradosso dell’epoca del nudo esibito e disinibito, che trova mille modi per nascondere ciò che potrebbe senza scandalo mostrare.
mani un medaglione con l’immagine di sant’Antonio che teneva sempre sul comodino. A pagina 5 del «Corriere», Indro Montanelli firmò un elzeviro (5+) intitolato semplicemente Quel viso: «Credo che Totò sia morto un po’ anche per l’angoscia di morire. Era ossessionato da questo pensiero». Da quando aveva saputo di avere un cuore fragile, diceva ai suoi registi: «Sono disposto a darvi tutto, ma solo da qui in su» e si toccava la gola. In effetti gli bastava il viso: un viso che avrebbe potuto essere dipinto dal Picasso cubista, con la mascella «deragliata» da quando, ragazzo, aveva preso un calcio in faccia giocando al pallone. Era un trovatello del quartiere sottoproletario Sanità di Napoli, dove aveva vissuto un’infanzia povera convinto di essere il discendente di una famiglia nobile: e forse lo era davvero. «Miseria e nobiltà» è il binomio che fotografa al meglio la sua vita, il suo carattere e la sua arte. La fame (di pane e di donne e di rivincita sociale) sarebbe
diventata il filo conduttore dei suoi personaggi comici e snodabili, delle sue marionette, dei pinocchi e dei pulcinella che incarnava. Ai Parioli, ricordava Montanelli, Totò aveva vissuto da nobile decaduto, facendosi chiamare Altezza dall’autista e dal cameriere, in una casa spaziosa, piena di stemmi e di cimeli ma senza troppa ostentazione. Per avere un ritratto ravvicinato, si può leggere lo scrittore e sceneggiatore Ennio Flaiano (5½), che rievocò il suo primo incontro con Totò: era il 1952 e si trovavano in piazza Augusto, a Roma, per girare la prima scena di un film di Roberto Rossellini, Dov’è la libertà: «Totò era un “signore”, perlomeno del signore meridionale aveva la calma, la tolleranza, la cortesia. Salutava togliendosi il cappello, non faceva mai circolo attorno a sé, non raccontava storielle, né cadeva preda di quelle concitate allegrie o depressioni che, nel lavoro del cinema, sono il prodotto delle lunghe e inspiegabili attese. Dagli uomini della troupe veniva chiamato princi-
pe». Flaiano lo vedeva sorridere quasi sempre, ma quando gli consegnava il foglietto con le battute da studiare lì per lì la sua espressione cambiava: «egli lo leggeva assumendo un’aria serissima, ma ad ogni parola, con una sorpresa sempre nuova, il suo volto cominciava a scomporsi in una reazione continua, apparentemente comica, e di una intensità infantile. Un re da favola, che avesse letto il discorso preparatogli dal ciambellano, non avrebbe espresso in altra forma la sua contenuta meraviglia. Un minuto dopo era pronto a dire nel migliore dei modi le povere cose da noi scritte». Il segreto di quella calma? La sua «disposizione surreale di fronte alla vita…». Totò, scrive Flaiano, «non esisteva in natura, non era vero», non era una maschera da commedia dell’arte e neanche un eroe squallido e miserabile da commedia all’italiana. Era Totò, una zona metafisica, l’imponderabile, il grottesco, l’inverosimile. Né uomo né caporale, né sogno né desto, né limite né pazienza…
Postille filosofiche di Maria Bettetini Il corpo cancellato «È ormai venuta l’ora di andare: io a morire, e voi, invece, a vivere. Ma chi di noi vada verso ciò che è meglio, nessuno lo sa, solo il dio lo sa». Parole dell’apologia, della difesa di Socrate davanti alle insulse delazioni dei concittadini, così come ce le racconta, da ventitré secoli, l’allievo Platone, forse il prediletto. Le parole di Socrate danno forti indicazioni sul senso dell’aldilà. E persino sul senso dei tatuaggi e dei piercing, continuare a leggere per credere. Quanta speranza, quanto felice ottimismo nelle parole di Socrate, quanta ironia. Intesa come la intendiamo oggi: razza di idioti, sono io quello che vince, che va verso un premio sicuro; siete voi che rimanete qui nelle vostre miserie e poi nell’aldilà non sarete certo premiati, meschini oggi e miseri domani. Oppure ironia nel senso greco dell’eironeia, dello sminuirsi perché il riconoscersi inferiori sia in realtà segno di superio-
rità. Come – dice Aristotele nell’Etica a Nicomaco – come gli spartani, che si vestono con abiti grezzi e scomodi per significare il loro amore alla povertà, proprio loro che sono in verità ricchissimi grazie all’oro conquistato in guerra. «Ma chi di noi vada verso ciò che è meglio, nessuno lo sa, solo il dio lo sa»: le vibranti parole di commiato che Socrate rivolse agli Ateniesi al termine del suo processo, potrebbero essere segno di come i Greci intendevano l’aldilà: un’altra vita, forse, ma non migliore di questa, forse – Socrate poche righe prima aveva detto di «un lungo sonno», un «sonno senza sogni», «un sonno da gran re», o di passeggiate nei Campi Elisi come possibilità valide entrambe. Niente di strano, non fosse che Platone fa dire allo stesso suo maestro ben altro, nella Repubblica, e anche nel Fedro: l’anima è certo immortale, l’attende un destino di premio o puni-
Voti d’aria di Paolo Di Stefano Il principe metafisico «Siamo uomini o caporali», «Oddio, desto o son sogno?», «Ogni limite ha una pazienza» eccetera. Sono alcune (poche, troppo poche) delle frasi famose pronunciate da Sua Altezza Conte Palatino e Cavaliere del Sacro Romano Impero Antonio Griffo Focas Flavio Angelo Ducas Comneno Porfirogenito Gagliardi De Curtis di Bisanzio, in arte Totò (6). Un delirio di nomi. Classe 1898, pensate che Totò è morto, per un attacco cardiaco, a soli 69 anni, il 15 aprile 1967 nell’ora in cui era solito andare a dormire, le 3.30 del mattino. Totò è morto a Roma, in via dei Monti Parioli 4, pare che avesse da poco consegnato al cugino Eduardo Clemente, suo segretario, 120 mila lire per il funerale: «Dovrebbero bastare per tutto, anche per il trasporto a Napoli, perché a Napoli dovete portarmi subito». Voleva onoranze semplici, senza sfarzo. L’ultima scena l’aveva girata non molto tempo prima, per il film di Nanni Loy (5+) Il padre di famiglia, con Nino Manfredi. Ed era la scena di
un funerale. Durante il soggiorno luganese, nei primi anni 60, aveva avuto il primo, lieve, infarto, quasi inavvertito, e da allora, superstizioso com’era, non venne mai abbandonato dal presentimento sulla fine imminente. Il giorno dopo la morte, il «Corriere della Sera» raccontò la cronaca dell’ultima giornata di Totò. Nel pomeriggio si era seduto in poltrona per ascoltare il primo 45 giri da lui firmato: su una facciata era incisa una scena che culminava nella battuta «È morto Diocleziano? Ragazzi, come passa il tempo», e sull’altra la poesia A livella. Era tornato a letto e verso le 21.30 si era rimesso in poltrona davanti alla tv, ma colto da un dolore al petto aveva chiesto alla moglie, Franca Faldini, di essere accompagnato in camera. Il dottor Cusimano l’aveva assistito senza poter fare molto. Le ultime sue parole: «Portami subito a Napoli, subito». Lo vestirono con una giacca blu di taglio marinaro, con bottoni d’argento, cravatta nera, pantaloni grigi e calze rosse, tra le
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 18 aprile 2017 • N. 16
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Idee e acquisti per la settimana
shopping Il Centro S. Antonino vi invita al 7° slowUp Ticino
Eventi Domenica 23 aprile la ristorazione del Centro S. Antonino sarà aperta dalle 09.30 alle 17.30
Tutti i fans di slowUp sono già connessi alle fonti che regolarmente aggiornano le previsioni meteo per la prossima domenica con la speranza che il sole contribuirà a riconfermare l’enorme successo dell’edizione 2015 che vide una partecipazione record di oltre 30’000 appassionati della cosiddetta mobilità lenta. Gli scongiuri sono evidentemente che non abbia a ripetersi un’edizione purtroppo bagnata come quella dello scorso anno che comunque ha fatto muovere 5000 persone. Come da tradizione, l’edizione ticinese aprirà il calendario nazionale che prevede 17 appuntamenti nei vari angoli della Svizzera per concludersi a fine settembre sul lago di Zurigo. I circa 50 chilometri di strade chiuse al traffico motorizzato (dalle 10.00 alle 17.00) attraverso tutto il Piano di Magadino, da Locarno a Bellinzona, sono un’occasione unica! Migros crede molto nel progetto slowUp
e lo sostiene attivamente da anni dando visibilità al progetto «Generazione M» (www.generazione-m.ch). Quale ideale porta d’entrata al percorso per chi giunge da più lontano in automobile, suggeriamo di raggiungere i posteggi del Centro S. Antonino e da lì
immettersi sul percorso in direzione di Cadenazzo e Gudo per poi scegliere se dirigersi verso il Locarnese o risalire il piano in direzione della nuova Bellinzona. Per rendere più confortevole la partenza o la pausa pranzo, il Ristorante Migros e il bar Dolce Caf-
fè, saranno aperti dalle ore 09.30 alle 17.30. Le animazioni inizieranno alle ore 10.00: in particolare nel parco del Centro S. Antonino le famiglie con bambini troveranno di che divertirsi presso la zona Famigros; sono pronti migliaia di simpatici regalini! La musica di «DJ Daniele» e le esibizioni live di una rappresentanza della nota guggen bellinzonese «Stracaganass» inonderanno l’intero villaggio. L’officina SportXX Migros sarà a disposizione per le eventuali piccole riparazioni di cui potrebbero aver bisogno soprattutto i ciclisti. Restando in tema di due ruote, a pochi metri dall’officina, lo stand SportXX Migros S. Antonino presenterà le novità 2017 del settore e-bike. Per la sicurezza personale di tutti gli amanti delle attività outdoor, saranno presentate le innovative soluzioni «Ice Key». Vi sarà pure la possibilità di partecipare al concorso che mette in palio una
bellissima e-bike Crosswave UrbanWave 28” del valore di 2299.– franchi; basta ritagliare il tagliando sotto, compilarlo e imbucarlo nell’apposita urna presente allo stand. Non solo due ruote, ma anche la classica ruota della fortuna che permetterà di aggiudicarsi centinaia di pratici premi immediati. Alle ore 11.30, 14.30 e 16.00 sono previste le spettacolari esibizioni di bike trial con Pascal Benaglia, fra i più forti specialisti a livello nazionale, coadiuvato da giovanissimi atleti. Fra questi uno dei suoi allievi più promettenti, il locarnese Mattia Patelli, che ha già dato prova del suo talento sia a livello nazionale sia europeo. Per tranquillizzare tutti coloro che vorranno privilegiare il pranzo con grigliata sulla terrazza al Ristorante Migros, non sono richieste riservazioni e il ristorante sarà aperto anche a coloro che non parteciperanno a slowUp. Il Centro S. Antonino vi aspetta!
DA IMBUCARE ALLO STAND SPORTXX. BUONA FORTUNA!
CONCORSO Valore 2299.–
In palio: 1 bicicletta elettrica Crosswave Urban-Wave 28” Imbuca il tagliando compilato nell’urna presso lo stand SportXX presente alla manifestazione Slow Up a S. Antonino. Nessun obbligo di acquisto. Il premio non sarà corrisposto in denaro. Sul concorso non si tiene alcuna corrispondenza. I vincitori saranno avvisati tramite e-mail. Nome e Cognome: Indirizzo: E-mail e no. Tel:
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 18 aprile 2017 • N. 16
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Idee e acquisti per la settimana
«Sparg vèrd ticines»
Attualità I pregiati asparagi ticinesi sono ora disponibili alla vostra Migros
Una volta acquistati, gli asparagi si conservano per qualche giorno nel cassetto delle verdure, meglio se avvolti in un panno umido per evitare che perdano la loro croccantezza e diventino fibrosi. Rispetto a quelli bianchi, gli asparagi verdi non vanno pelati prima di essere cucinati. Raschiare semplicemente la parte terminale del gambo, solitamente quella ricoperta di terra perché più legnosa. Sciacquare il resto velocemente sotto l’acqua corrente. Gli asparagi sono una delizia gustati da soli, appena sbollentati, a piacere accompagnati da una salsa, ma sono una vera raffinatezza anche in risotti, frittate e zuppe.
Gli asparagi verdi nostrani sono prodotti da Salvatore Romeo a Gordola, sul Piano di Magadino. I delicati turioni sono coltivati in piena terra senza l’utilizzo di alcuna sostanza chimica. Rispetto a quelli importati, gli ortaggi indigeni sono particolarmente teneri e posseggono un calibro più piccolo: si possono pertanto consumare anche crudi, p.es. tagliati direttamente nell’insalata. La produzione locale di asparagi è limitata, di conseguenza saranno disponibili nei negozi Migros solo per qualche settimana nel mazzo da 500 grammi.
Agli asparagi sono riconosciuti numerosi benefici per la salute: sono ipocalorici, privi di colesterolo, hanno proprietà diuretiche e depurative. Inoltre contengono diverse vitamine quali B1, B2 e C, fibre alimentari, nonché sostanze minerali come magnesio, fosforo, calcio e potassio.
Foto Flavia Leuenberger
Il sapore pronunciato degli asparagi verdi è dovuto all’alto contenuto di clorofilla, che alla luce del sole si tinge appunto di verde. Con temperature miti, gli asparagi possono crescere anche fino a 10 cm al giorno. Dal momento della messa a dimora delle radici al primo raccolto bisogna aspettare ca. tre anni affinché le radici possano rafforzarsi e assorbire le sostanze nutritive presenti nel terreno.
Una salsa versatile
Salsa scura vegana 250 g Fr. 9.90 In vendita nelle maggiori filiali Migros
Flavia Leuenberger
Ideale per conferire un delicato tocco di gusto in più ai piatti di tutti i giorni, la salsa scura vegana bio è un prodotto che non può mancare nella dispensa di casa. Sviluppata dalla Tigusto SA di Gerra Piano, non contiene prodotti o sottoprodotti di origine animale, né additivi, grassi o glutammati. È prodotta a crudo con salse di soia biologiche fermentate naturalmente e tradizionalmente, nonché lievito di melassa. L’aggiunta di un po’ di farina di castagne addolcisce leggermente ed equilibra il sapore. La salsa è perfetta per condire, marinare e finire di gusto non solo pietanze amate da vegani e vegetariani, ma anche carne, pesce, formaggi, fagioli, tofu e molto altro. La speciale bottiglia di vetro scuro protegge il prodotto dalla luce che potrebbe denaturarne le qualità. Agitare bene la salsa prima dell’uso e, una volta aperta, conservarla in frigorifero e consumarla il prima possibile.
Fiori in Festa al Serfontana fino al 22 aprile
Ancora per tutta la settimana, lo Shopping Center Serfontana ospita la 36esima edizione della mostra primaverile dedicata ai fiori. Un’occasione imperdibile per ammirare decine e decine di variopinte e profumate composizioni floreali ed entrare di fatto nella vivace atmosfera delle bella stagione. Quest’anno gli ospiti speciali della ras-
segna sono gli Scout del Mendrisiotto, i quali hanno realizzato una riproduzione di un campo scout e un ponte di corda. Nelle giornate del 18 e 22 aprile, dalle 13.30 alle 17.00, di fronte all’entrata del supermercato Migros, i giovani esploratori coinvolgeranno tutti i bambini in divertenti attività tipiche degli scout. Non mancate all’appuntamento!
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Idee e acquisti per la settimana
Biscotteria senza glutine
Degustazione di prodotti Dolcerial il 22 aprile a Migros Serfontana
Intolleranze Spuntini sfiziosi per tutti i palati grazie a Dolcerial
Il gusto è di casa con i prodotti firmati Dolcerial. Quest’azienda italiana specializzata in biscotteria per intolleranze alimentari offre un ampio ventaglio di specialità tradizionali di elevata qualità, capaci di soddisfare ogni palato. Tutti i prodotti Dolcerial si caratterizzano per l’assoluta assenza di glutine, garantita dall’accurata selezione di materie prime, nonché dalla loro particolare bontà e fragranza artigianale, tanto da renderli appetitosi anche per chi non è celiaco. Le specialità sono preparate in un laboratorio dove si producono solo prodotti con farine senza glutine. La gamma Dolcerial disponibile da Migros Ticino, ampia e variata, va dalle torte di frolla all’albicocca, ciliegia o cioccolato alle crostatine, passando per diverse tipologie di biscotto fino ad alcuni prodotti privi, oltre che di glutine, anche di zuccheri aggiunti e lattosio. Con Dolcerial la vita è più dolce per tutti!
Flavia Leuenberger
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Idee e acquisti per la settimana
Pain Création
Tanto tempo per tanto sapore Ingredienti di elevata qualità e lavoro artigianale sono gli elementi alla base del successo degli apprezzati pani Pain Création. In aggiunta, ogni panettiere dedica a questi saporiti pani speciali del tempo supplementare, poiché proprio il tempo è importante, tanto quanto gli ingredienti e il «saper fare», nella qualità del risultato finale. L’impasto di questi pani si caratterizza quindi proprio per la sua lunga lavorazione e per la maturazione della pasta. Questa particolarità influisce non solo sul tipico aroma, bensì anche sulla mollica, che risulta particolarmente ariosa. Inoltre i pani restano freschi a lungo. La forma rustica e irregolare delle pagnotte è un altro segnale di lavoro manuale tradizionale. Ulteriori informazioni sui differenti sapori dei pani nel sito: www.piacere-del-gusto.ch
*Azione Fr. –.50 di riduzione Su tutti i pani Création dal 18.04 all’01.05
Il rustico «Pane d’altri tempi» sorprende per la sua crosta croccante. È perfetto per preparare bruschette e crostini.
Con un contenuto di oltre il 20 per cento di olive Hojiblanca, l’aromatica Baguette alle olive è l’accompagnamento ideale delle insalate mediterranee.
Pain Création Rustico 400 g Fr. 3.30* invece di 3.80
Dentro morbido, fuori croccante – così si presenta la Ciabatta croccante. Come tutti i Pain Création anche la ciabatta è fatta con ingredienti pregiati.
Pain Création Baguette con olive 380 g Fr. 3.40* invece di 3.90 Solo nelle panetterie della casa di S. Antonino e Serfontana
Pain Création Pane d’altri tempi 500 g Fr. 3.10* invece di 3.60
I pani della linea Pain Création sono prodotti eccelsi panificati artigianalmente come da tradizione.
Segale, frumento, semi di girasole e semi di lino conferiscono al pane Rustico il suo sapore pronunciato. Pain Création Ciabatta croccante 400 g Fr. 3.30* invece di 3.80
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Idee e acquisti per la settimana
Pain Création
Tanto tempo per tanto sapore Ingredienti di elevata qualità e lavoro artigianale sono gli elementi alla base del successo degli apprezzati pani Pain Création. In aggiunta, ogni panettiere dedica a questi saporiti pani speciali del tempo supplementare, poiché proprio il tempo è importante, tanto quanto gli ingredienti e il «saper fare», nella qualità del risultato finale. L’impasto di questi pani si caratterizza quindi proprio per la sua lunga lavorazione e per la maturazione della pasta. Questa particolarità influisce non solo sul tipico aroma, bensì anche sulla mollica, che risulta particolarmente ariosa. Inoltre i pani restano freschi a lungo. La forma rustica e irregolare delle pagnotte è un altro segnale di lavoro manuale tradizionale. Ulteriori informazioni sui differenti sapori dei pani nel sito: www.piacere-del-gusto.ch
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Idee e acquisti per la settimana
Il piacere del gusto
Due ingredienti che ben si abbinano
Prosciutto crudo e salmone sono prelibatezze ottime da consumare anche al naturale. Se accompagnati con gli asparagi verdi il gusto di entrambi è ancora più speciale. Squisiti suggerimenti per un aperitivo raffinato e ricercato Testo Sonja Leissing, Foto Veronika Studer, Ricetta Katrin Klaus
Suggerimenti di presentazione
Asparagi verdi con prosciutto crudo Sbollentare gli asparagi e avvolgerli con fette di prosciutto crudo o salmone, condire con un filo d’olio d’oliva e un pizzico di sale marino, quindi servire come aperitivo. La tartare di asparagi (ricetta a destra) può essere accompagnata con prosciutto crudo anziché con salmone.
Tartare d’asparagi con salmone e prosciutto crudo Aperitivo per 6 persone Ingredienti 10 asparagi verdi ½ limone 4 cucchiai d’olio d’oliva 1 cucchiaino di senape al miele sale e pepe ½ mazzetto di basilico 12 fette di pane di ca. 20 g, ad es. Baguette 6 fette di prosciutto crudo 6 fette di salmone affumicato Preparazione Pelate il terzo inferiore del gambo degli asparagi e spuntate i gambi. Tagliate le punte agli asparagi e riducete a dadini i gambi. Spremete il limone, emulsionate il succo con l’olio e la senape. Condite con sale e pepe. Mettete da parte alcune foglie di basilico, sminuzzate finemente quelle rimanenti e unitele alla salsa assieme ai dadini d’asparagi. Tostate le fette di pane nel tostapane. Guarnite il pane con la tartare e con le punte d’asparagi. Arrotolate le fette di prosciutto crudo e salmone affumicato e adagiatele sul pane. Guarnite con il basilico messo da parte e servite. Tempo di preparazione ca. 25 minuti
La combinazione di asparagi croccanti con un prosciutto aromatico tagliato a fette sottili è una delicata squisitezza. Il particolare bouquet degli asparagi esalta il gusto del prosciutto crudo, maturato durante una lunga stagionatura. Servito con gli asparagi, il suo sapore viene ancor più valorizzato. Lo stesso vale per il salmone affumicato. L’aroma dell’affumicatura e la tenerezza della carne è imbattibile come accompagnamento a una tartare di asparagi. Maggiori informazioni: www.piacere-del-gusto.ch
*Nelle maggiori filiali
Gusto del sol Jamón Serrano Spagna*, per 100 g Fr. 3.85 invece di 4.85 20% di sconto dal 18 al 24 aprile
Prosciutto crudo dei Grigioni tagliato sottile, Svizzera*, 97 g Fr. 4.90
Migros-Bio Prosciutto crudo del Vallese IGP Svizzera*, per 100 g Fr. 9.–
Rapelli Prosciutto crudo San Pietro Svizzera, per 100 g Fr. 7.45
Salmone atlantico affumicato da allevamento scozzese*, 100 g Fr. 6.50
MSC salmone selvatico Sockeye dell’Alaska da pesca sostenibile, 100 g Fr. 6.80
MSC Sélection Salmone selvatico Graved dell’Alaska da pesca sostenibile*, 100 g Fr. 9.90
Migros Bio Salmone affumicato da allevamento norvegese, 100 g Fr. 8.90
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Idee e acquisti per la settimana
Il piacere del gusto
Due ingredienti che ben si abbinano
Prosciutto crudo e salmone sono prelibatezze ottime da consumare anche al naturale. Se accompagnati con gli asparagi verdi il gusto di entrambi è ancora più speciale. Squisiti suggerimenti per un aperitivo raffinato e ricercato Testo Sonja Leissing, Foto Veronika Studer, Ricetta Katrin Klaus
Suggerimenti di presentazione
Asparagi verdi con prosciutto crudo Sbollentare gli asparagi e avvolgerli con fette di prosciutto crudo o salmone, condire con un filo d’olio d’oliva e un pizzico di sale marino, quindi servire come aperitivo. La tartare di asparagi (ricetta a destra) può essere accompagnata con prosciutto crudo anziché con salmone.
Tartare d’asparagi con salmone e prosciutto crudo Aperitivo per 6 persone Ingredienti 10 asparagi verdi ½ limone 4 cucchiai d’olio d’oliva 1 cucchiaino di senape al miele sale e pepe ½ mazzetto di basilico 12 fette di pane di ca. 20 g, ad es. Baguette 6 fette di prosciutto crudo 6 fette di salmone affumicato Preparazione Pelate il terzo inferiore del gambo degli asparagi e spuntate i gambi. Tagliate le punte agli asparagi e riducete a dadini i gambi. Spremete il limone, emulsionate il succo con l’olio e la senape. Condite con sale e pepe. Mettete da parte alcune foglie di basilico, sminuzzate finemente quelle rimanenti e unitele alla salsa assieme ai dadini d’asparagi. Tostate le fette di pane nel tostapane. Guarnite il pane con la tartare e con le punte d’asparagi. Arrotolate le fette di prosciutto crudo e salmone affumicato e adagiatele sul pane. Guarnite con il basilico messo da parte e servite. Tempo di preparazione ca. 25 minuti
La combinazione di asparagi croccanti con un prosciutto aromatico tagliato a fette sottili è una delicata squisitezza. Il particolare bouquet degli asparagi esalta il gusto del prosciutto crudo, maturato durante una lunga stagionatura. Servito con gli asparagi, il suo sapore viene ancor più valorizzato. Lo stesso vale per il salmone affumicato. L’aroma dell’affumicatura e la tenerezza della carne è imbattibile come accompagnamento a una tartare di asparagi. Maggiori informazioni: www.piacere-del-gusto.ch
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2.50 invece di 3.15 Ossibuchi di vitello TerraSuisse Svizzera, imballati, per 100 g
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 18 aprile 2017 • N. 16
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Idee e acquisti per la settimana
Star della settimana
Il fruttato in confezione intelligente Nel 1945 la Migros acquisì l’industria alimentare Bischofszell AG (Bina). Da allora vi produce le sue marmellate. Dopo il succo di mele, la confettura di albicocche fu il secondo articolo prodotto in proprio dalla Migros. Oggi la «Star della settimana», la confettura di albicocche Favorit, è una delle specialità più popolari del Paese. Nel corso degli anni, l’imballaggio delle marmellate della Migros si è costantemente evoluto. Anche grazie alle indicazioni dei clienti. Siccome spesso i bambini e gli anziani non hanno abbastanza forza per aprire facilmente il vasetto di marmellata, la Migros ha introdotto un coperchio con il sistema di chiusura easy-open. Grazie alla rotazione in due scatti, il vaso si apre senza l’ausilio di utensili, dimezzando lo sforzo necessario. Ulteriori informazioni sulla confettura di albicocche Favorit: www.noifirmiamonoigarantiamo.ch
Noi firmiamo. Noi garantiamo.
La favorita
Dal 2011 la marmellata di albicocche della linea Favorit viene prodotta dall’azienda industriale Bina della Migros. Secondo una ricetta tradizionale e con albicocche vallesane
L’indovinello della star
Da quale cantone provengono le albicocche della confettura Favorit? Rispondete alla domanda della «Star della settimana» su www.noifirmiamo-noigarantiamo. ch/favoritconfetturaalbicocche e vincete una carta regalo Migros. Saranno estratte a sorte carte regalo per un valore totale di 150 franchi.
M-Industria crea numerosi prodotti Migros, tra cui anche la confettura di albicocche Favorit.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 18 aprile 2017 • N. 16
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 18 aprile 2017 • N. 16
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Idee e acquisti per la settimana
Sarah Berkinshaw è sviluppatrice di prodotti nel reparto confetture della Bischofszell Industrie alimentari AG (Bina).
Sarah Berkinshaw
«Le marmellate di frutta svizzera sono molto richieste»
Albicocche
L’oro dei pendii vallesani
Ogni giorno Lei degusta ed esamina una gran quantità di marmellate. Quale le piace di più?
Le albicocche sono la grande passione di Christian Studer. Il titolare della Pitteloud Fruits SA di Sion si occupa personalmente della produzione di questi frutti. Da decenni la ditta vallesana rifornisce di albicocche l’industria alimentare Bina della Migros, che le usa per preparare marmellate
Mi piacciono un sacco le marmellate, ma la mia preferita è quella di sambuco e prugne. Perché?
Risveglia i ricordi. Da bambini facevamo sempre la confettura di sambuco con la nonna. Potevano staccare le bacche dagli arbusti, farle bollire nella cucina della nonna e poi ovviamente mangiarle. Facevamo sempre così tanta marmellata che bastava per tutta la parentela (ride).
Testo Estelle Dorsaz, Foto Jeremy Bierer; Paolo Dutto
Dal centro di distribuzione della Pitteloud Fruits SA a Sion (VS), in mezzo alla valle del Rodano, si possono vedere bene gli alberi di Christian Studer: sono completamente ricoperti di fiorellini bianchi e s’inerpicano sul pendio come scie luminose. «Qui produciamo soprattutto albicocche di montagna», spiega il patron dell’azienda. La coltura dell’albicocca è la sua passione, i frutti dal color del Sole non hanno segreti per Christian Studer. Non si fa pregare molto, quindi, prima di svelarci tutto quel che sa su questo frutto: come si coltiva, quali sono i suoi nemici, come si raccoglie e la travagliata storia dell’albicocca vallesana. Si sa che l’albicocca è
originaria della Cina e che 2000 anni si diffuse nel bacino mediterraneo attraverso la Via del sale. In Vallese, il «prunus armeniaca» fu introdotto alla fine del 19° secolo. Un terreno sabbioso, un clima piuttosto secco e soleggiato, nonché l’accoglienza entusiastica del nuovo frutto da parte della popolazione contadina, formarono le condizioni quadro favorevoli per la coltivazione degli albicocchi. Ci vogliono le mani
Nonostante le condizioni ideali, coltivare albicocche in Vallese è abbastanza problematico, perché molto dipende da fattori atmosferici, come la pioggia, il
gelo o la grandine. «L’umidità è il grande nemico di questi frutti delicati», precisa Studer, «perché favorisce i batteri, i funghi e i parassiti». Perciò dal periodo della fioritura a quello della raccolta, gli alberi vanno sorvegliati con molta attenzione. La raccolta inizia verso la metà di giugno, culmina verso il 10 luglio e, per le varietà tardive, si protrae sino alla fine di settembre. Dalla potatura alla raccolta tutti i lavori vengono eseguiti a mano. Durante la raccolta il frutto viene tastato con le dita per determinarne la qualità. «Per la raccolta sono decisivi due criteri: la compattezza e il colore del frutto, benché al momento della maturazione ogni varie-
tà presenti tonalità differenti». In totale, ci vogliono da cinque a sette passaggi sull’albero per una raccolta della migliore qualità. Lunga collaborazione
La Pitteloud Fruits SA collabora con la Migros dal 1970. Christian Studer è arrivato una ventina d’anni fa. Contabile di formazione, nel tempo è diventato un imprenditore a tutto tondo. Frutticultore per hobby – come si descrive lui stesso – ha professionalizzato la sua attività ormai da tanti anni e ha trasformato i terreni ereditati dai nonni in una distesa di albicocche. Oggi la superficie coltivata è grande 50 volte il pezzo di terra ricevuto
dai nonni. Comprende 50 ettari coltivati in proprio, mentre la produzione occupa una ventina di persone a tempo pieno. Nella stagione della raccolta il numero di collaboratori sale fino a 80 persone, che raccolgono circa 1000 tonnellate di albicocche di una trentina di varietà diverse, che vanno a rifornire anche l’azienda della Migros Bina. E se si chiede a Christian Studer in che modo preferisce mangiare la sua marmellata di albicocca, lui sprigiona tutto il suo entusiasmo: «In tutti i modi possibili. La confettura di albicocche è un prodotto semplice e sperimentato. Di mattina a colazione spalmata sul pane è la tradizione più deliziosa che esiste».
Nel frattempo si è messa a lavorare con la marmellata a livello professionale. È richiesto il lavoro manuale anche nella produzione della confettura?
Oggi produciamo quantità assolutamente incompatibili con una produzione manuale. In concreto, si tratta di 30 tonnellate di marmellata per ogni turno di lavoro. E ogni turno dura circa otto ore. Il procedimento, però, è tuttora lo stesso di una volta nella cucina della nonna. Vale a dire?
Per restare alla marmellata di albicocche: i frutti arrivano alla ricezione merci, dove vengono controllati e poi avviati nel reparto di cottura. Qui sono tagliati a fette e messi in una grossa caldaia chiusa. Viene aggiunto lo zucchero e preparata la soluzione di pectina.
La pectina è la sostanza gelificante nella confettura?
Esattamente. La soluzione di pectina viene aggiunta dopo che le albicocche sono state cotte al vapore sotto vuoto per 10 o 15 minuti. Questo procedimento preserva il gusto e le sostanze contenute nei frutti. Infine, si aggiungono ancora degli acidi per compensare gli zuccheri. Se la qualità è giusta, la marmellata viene immessa nei vasetti. Ci sono differenze nella produzione della varie marmellate?
Il procedimento è sempre il medesimo. Tuttavia, a seconda del tipo di confettura, oltre al contenuto di zucchero, varia anche il tipo di pectina. La compattezza della marmellata deve essere ottimale e, a seconda della frutta, una pectina è più adatta di un’altra. Quella di albicocche è la marmellata della Migros più richiesta. Quali altre varietà le contendono il primato?
La marmellata è un cosiddetto prodotto conservativo. Penso quindi che le albicocche non verranno scalzate tanto presto dal primo posto. Comunque, sono sempre più richieste le confetture fatte con frutta nazionale. La confettura di albicocche della Favorit è il migliore esempio di questa tendenza. Di conseguenza, alla Bina stiamo provando a produrre più marmellata possibile da frutta svizzera.
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Idee e acquisti per la settimana
Sarah Berkinshaw è sviluppatrice di prodotti nel reparto confetture della Bischofszell Industrie alimentari AG (Bina).
Sarah Berkinshaw
«Le marmellate di frutta svizzera sono molto richieste»
Albicocche
L’oro dei pendii vallesani
Ogni giorno Lei degusta ed esamina una gran quantità di marmellate. Quale le piace di più?
Le albicocche sono la grande passione di Christian Studer. Il titolare della Pitteloud Fruits SA di Sion si occupa personalmente della produzione di questi frutti. Da decenni la ditta vallesana rifornisce di albicocche l’industria alimentare Bina della Migros, che le usa per preparare marmellate
Mi piacciono un sacco le marmellate, ma la mia preferita è quella di sambuco e prugne. Perché?
Risveglia i ricordi. Da bambini facevamo sempre la confettura di sambuco con la nonna. Potevano staccare le bacche dagli arbusti, farle bollire nella cucina della nonna e poi ovviamente mangiarle. Facevamo sempre così tanta marmellata che bastava per tutta la parentela (ride).
Testo Estelle Dorsaz, Foto Jeremy Bierer; Paolo Dutto
Dal centro di distribuzione della Pitteloud Fruits SA a Sion (VS), in mezzo alla valle del Rodano, si possono vedere bene gli alberi di Christian Studer: sono completamente ricoperti di fiorellini bianchi e s’inerpicano sul pendio come scie luminose. «Qui produciamo soprattutto albicocche di montagna», spiega il patron dell’azienda. La coltura dell’albicocca è la sua passione, i frutti dal color del Sole non hanno segreti per Christian Studer. Non si fa pregare molto, quindi, prima di svelarci tutto quel che sa su questo frutto: come si coltiva, quali sono i suoi nemici, come si raccoglie e la travagliata storia dell’albicocca vallesana. Si sa che l’albicocca è
originaria della Cina e che 2000 anni si diffuse nel bacino mediterraneo attraverso la Via del sale. In Vallese, il «prunus armeniaca» fu introdotto alla fine del 19° secolo. Un terreno sabbioso, un clima piuttosto secco e soleggiato, nonché l’accoglienza entusiastica del nuovo frutto da parte della popolazione contadina, formarono le condizioni quadro favorevoli per la coltivazione degli albicocchi. Ci vogliono le mani
Nonostante le condizioni ideali, coltivare albicocche in Vallese è abbastanza problematico, perché molto dipende da fattori atmosferici, come la pioggia, il
gelo o la grandine. «L’umidità è il grande nemico di questi frutti delicati», precisa Studer, «perché favorisce i batteri, i funghi e i parassiti». Perciò dal periodo della fioritura a quello della raccolta, gli alberi vanno sorvegliati con molta attenzione. La raccolta inizia verso la metà di giugno, culmina verso il 10 luglio e, per le varietà tardive, si protrae sino alla fine di settembre. Dalla potatura alla raccolta tutti i lavori vengono eseguiti a mano. Durante la raccolta il frutto viene tastato con le dita per determinarne la qualità. «Per la raccolta sono decisivi due criteri: la compattezza e il colore del frutto, benché al momento della maturazione ogni varie-
tà presenti tonalità differenti». In totale, ci vogliono da cinque a sette passaggi sull’albero per una raccolta della migliore qualità. Lunga collaborazione
La Pitteloud Fruits SA collabora con la Migros dal 1970. Christian Studer è arrivato una ventina d’anni fa. Contabile di formazione, nel tempo è diventato un imprenditore a tutto tondo. Frutticultore per hobby – come si descrive lui stesso – ha professionalizzato la sua attività ormai da tanti anni e ha trasformato i terreni ereditati dai nonni in una distesa di albicocche. Oggi la superficie coltivata è grande 50 volte il pezzo di terra ricevuto
dai nonni. Comprende 50 ettari coltivati in proprio, mentre la produzione occupa una ventina di persone a tempo pieno. Nella stagione della raccolta il numero di collaboratori sale fino a 80 persone, che raccolgono circa 1000 tonnellate di albicocche di una trentina di varietà diverse, che vanno a rifornire anche l’azienda della Migros Bina. E se si chiede a Christian Studer in che modo preferisce mangiare la sua marmellata di albicocca, lui sprigiona tutto il suo entusiasmo: «In tutti i modi possibili. La confettura di albicocche è un prodotto semplice e sperimentato. Di mattina a colazione spalmata sul pane è la tradizione più deliziosa che esiste».
Nel frattempo si è messa a lavorare con la marmellata a livello professionale. È richiesto il lavoro manuale anche nella produzione della confettura?
Oggi produciamo quantità assolutamente incompatibili con una produzione manuale. In concreto, si tratta di 30 tonnellate di marmellata per ogni turno di lavoro. E ogni turno dura circa otto ore. Il procedimento, però, è tuttora lo stesso di una volta nella cucina della nonna. Vale a dire?
Per restare alla marmellata di albicocche: i frutti arrivano alla ricezione merci, dove vengono controllati e poi avviati nel reparto di cottura. Qui sono tagliati a fette e messi in una grossa caldaia chiusa. Viene aggiunto lo zucchero e preparata la soluzione di pectina.
La pectina è la sostanza gelificante nella confettura?
Esattamente. La soluzione di pectina viene aggiunta dopo che le albicocche sono state cotte al vapore sotto vuoto per 10 o 15 minuti. Questo procedimento preserva il gusto e le sostanze contenute nei frutti. Infine, si aggiungono ancora degli acidi per compensare gli zuccheri. Se la qualità è giusta, la marmellata viene immessa nei vasetti. Ci sono differenze nella produzione della varie marmellate?
Il procedimento è sempre il medesimo. Tuttavia, a seconda del tipo di confettura, oltre al contenuto di zucchero, varia anche il tipo di pectina. La compattezza della marmellata deve essere ottimale e, a seconda della frutta, una pectina è più adatta di un’altra. Quella di albicocche è la marmellata della Migros più richiesta. Quali altre varietà le contendono il primato?
La marmellata è un cosiddetto prodotto conservativo. Penso quindi che le albicocche non verranno scalzate tanto presto dal primo posto. Comunque, sono sempre più richieste le confetture fatte con frutta nazionale. La confettura di albicocche della Favorit è il migliore esempio di questa tendenza. Di conseguenza, alla Bina stiamo provando a produrre più marmellata possibile da frutta svizzera.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 18 aprile 2017 • N. 16
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Idee e acquisti per la settimana
Noi Firmiamo. Noi Garantiamo
Stelle prodotte in Svizzera Questa settimana sotto i riflettori c’è la confettura di albicocche Favorit. Assieme a lei brillano tanti altri prodotti dell’Industria Migros
Azione 20% di sconto su tutti gli sciroppi Sirup in bottiglie di PET da 75 cl e 1,5 litri, per es. Sciroppo al lampone 75 cl Fr. 1.75 invece di 2.20
Azione 30% di sconto sugli Original Rösti in pacco triplo, 3 x 500 g Fr. 4.05 invece di 5.85
Azione 40% di sconto sui dadini di pancetta affumicata TerraSuisse in pacco doppio, 4 x 68 g Fr. 3.90 invece di 6.55
Azione 50% di sconto su tutti gli articoli Handymatic Supreme (eccetto il sale rigenerante) a partire da due confezioni, per es. Handymatic Supeme All in 1 44 pastiglie Fr. 7.40 invece di 14.80
Azione Tutte le confetture Favorit ribassate di Fr. –.60, a partire dall’acquisto di due confezioini, per es. Favorit Albicocche del Vallese 350 g Fr. 3.35 invece di 3.95
Azione 20% di sconto su tutta la pasta M-Classic, per es. Pipe grandi 500 g Fr. 1.20 invece di 1.50
Azione 50% di sconto sui gelati Mega Star in confezione speciale, ai gusti di Mandorla, Vaniglia e Cappuccino, per es. Mega Star Almond 12 x 120 ml Fr. 9.– invece di 18.–
Azione Tutti i Blévita (eccetto le Beef Chips) ribassate di Fr. –.60 a partire dall’acquisto di due confezioni, per es. Blévita biscotti ai 5 cereali con sesamo 295 g Fr. 2.70 invece di 3.30
Hit Berliner 6 al prezzo di 4 confezione 6 x 70 g Fr. 3.90
*Azioni valide dal 18 al 24 aprile
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 18 aprile 2017 • N. 16
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Idee e acquisti per la settimana
M-Classic
Tutto ben imballato
*Azione 20% su tutta la pasta M-Classic dal 18 al 24 aprile
Gli spaghetti e gli spaghettini di MClassic figurano per molte famiglie tra le scorte di base. L’imballaggio con cui erano confezionate finora, una volta aperto, non permetteva di richiudere adeguatamente la pasta rimasta nella confezione. Affinché questo non avvenga più, il foglio di plastica è ora munito di una speciale linguetta richiudibile. La qualità della pasta è rimasta naturalmente quella apprezzata da sempre: come fino ad oggi questa pasta all’uovo a base di semola di grano duro viene prodotta in Svizzera con l’utilizzo di uova da allevamento all’aperto.
M-Classic Spaghetti 750 g Fr. 1.70* invece di 2.15
M-Classic Spaghettini 750 g Fr. 1.70* invece di 2.15
M-Industria crea numerosi prodotti Migros, tra cui anche la pasta di M-Classic.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 18 aprile 2017 • N. 16
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 18 aprile 2017 • N. 16
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Idee e acquisti per la settimana
1
Caffè
Un caffè preparato con maestria
Kevin Mohler
Con la French press
«Bisogna sempre fare una prova»
Mettere nella caraffa il caffè (6 grammi per decilitro) con un grado di macinazione medio. Aggiungere l’acqua riscaldata a 94 gradi e lasciar riposare per tre minuti. Mescolare e attendere un minuto. Apporre il coperchio e aspettare ancora un minuto, quindi spingere lo stantuffo verso il basso.
Kevin Mohler (25) di Möhlin, nel Canton Argovia, è un cuoco diplomato che ha scoperto una passione per il caffè. Ha frequentato l’Accademia di scienze applicate di Zurigo ottenendo una licenza in tecniche sensoriali. Presso Delica, l’azienda Migros di torrefazione del caffè, lavora nel reparto che si occupa dello sviluppo delle capsule e dei suoi contenuti.
Kevin Mohler, collaboratore Delica, ha vinto lo Swiss-SCAE Cup Tasters Championship 2016. Un evento nel corso del quale gli esperti del settore dimostrano con quanta facilità e velocità riescono a riconoscere le sottili sfumature dell’aroma dei differenti caffè. Nell’articolo il campione offre consigli pratici per i diversi sistemi di preparazione del caffè
Chi ama il caffè deve adeguarsi, acquistando oltre a macinacaffè e bollitore anche la speciale bilancia per pesare il caffè da filtrare. Ma è proprio necessario? Se si vuol preparare un buon caffè, è utile disporre di una bilancia. I bollitori più moderni permettono di regolare con precisione la temperatura. L’acqua infatti non sempre deve essere portata a ebollizione. E ciò per una questione di gusto. Se si rispettano le quantità e le regole di preparazione, di norma si ottiene un miglior caffè. Io non solo peso la polvere per il caffè, bensì anche l’acqua.
Testo Claudia Schmidt, Foto Christian Schnur
*Azione 30% di sconto su tutti i caffè in grani e macinati dal 18.4 al 1.5
Caffè filtro
Mettere nel filtro la polvere di caffè (6 grammi per decilitro) con un grado medio di macinazione. Scottare la polvere di caffè irrorandola uniformemente con acqua riscaldata a 94 gradi. Attendere circa mezzo minuto, quindi versare la rimanente acqua. Il caffè dovrebbe essere filtrato in un tempo massimo di tre minuti.
2
Quale caffè si adatta all’utilizzo con le macchine automatiche, che macinano i grani e dosano tutto secondo dati preimpostati? Caruso Oro è una torrefazione svizzera. Si tratta di una miscela dal gusto rotondo idonea per le macchine automatiche. Quindi l’Espresso Classico è invece piuttosto italiano… Sì, con questa miscela si ottiene un tipico espresso italiano. È adatto da usare con le macchine automatiche che richiedono caffè macinato, oppure nella preparazione con la caffettiera Bialetti. A proposito: nel corso di questa e della prossima settimana, in diverse filiali Migros è possibile degustare diverse varietà di caffè italiani.
Espresso Classico in grani, 500 g Fr. 5.85* invece di 8.40 Nelle maggiori filiali
L’espresso con la macchina da caffè
M-Industria crea numerosi prodotti Migros, tra cui anche i caffè di Delica.
Caruso Oro macinato, 500 g Fr. 6.65* invece di 9.50 Nelle maggiori filiali
3
Il caffè (9-10 grammi per 25 g di acqua) deve essere macinato finemente. Una buona macina assicura che le particelle di caffè abbiano una dimensione omogenea. Per l’espresso si utilizza una quantità maggiore di caffè perché la polvere ha un contatto breve con l’acqua. Affinché l’acqua scorra in modo uniforme attraverso il caffè macinato è importante che quest’ultimo venga pigiato esercitando una certa pressione.
Gli standard italiani indicano che nella preparazione dell’espresso l’acqua dovrebbe passare attraverso la miscela di caffè in un tempo compreso tra i 25 e i 30 secondi. È una regola irrinunciabile? Si tratta di una raccomandazione. Bisogna sempre fare una prova. Se un caffè già dopo 23 secondi ha un buon aroma eviterei di impiegare più tempo per la sua erogazione.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 18 aprile 2017 • N. 16
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Caffè
Un caffè preparato con maestria
Kevin Mohler
Con la French press
«Bisogna sempre fare una prova»
Mettere nella caraffa il caffè (6 grammi per decilitro) con un grado di macinazione medio. Aggiungere l’acqua riscaldata a 94 gradi e lasciar riposare per tre minuti. Mescolare e attendere un minuto. Apporre il coperchio e aspettare ancora un minuto, quindi spingere lo stantuffo verso il basso.
Kevin Mohler (25) di Möhlin, nel Canton Argovia, è un cuoco diplomato che ha scoperto una passione per il caffè. Ha frequentato l’Accademia di scienze applicate di Zurigo ottenendo una licenza in tecniche sensoriali. Presso Delica, l’azienda Migros di torrefazione del caffè, lavora nel reparto che si occupa dello sviluppo delle capsule e dei suoi contenuti.
Kevin Mohler, collaboratore Delica, ha vinto lo Swiss-SCAE Cup Tasters Championship 2016. Un evento nel corso del quale gli esperti del settore dimostrano con quanta facilità e velocità riescono a riconoscere le sottili sfumature dell’aroma dei differenti caffè. Nell’articolo il campione offre consigli pratici per i diversi sistemi di preparazione del caffè
Chi ama il caffè deve adeguarsi, acquistando oltre a macinacaffè e bollitore anche la speciale bilancia per pesare il caffè da filtrare. Ma è proprio necessario? Se si vuol preparare un buon caffè, è utile disporre di una bilancia. I bollitori più moderni permettono di regolare con precisione la temperatura. L’acqua infatti non sempre deve essere portata a ebollizione. E ciò per una questione di gusto. Se si rispettano le quantità e le regole di preparazione, di norma si ottiene un miglior caffè. Io non solo peso la polvere per il caffè, bensì anche l’acqua.
Testo Claudia Schmidt, Foto Christian Schnur
*Azione 30% di sconto su tutti i caffè in grani e macinati dal 18.4 al 1.5
Caffè filtro
Mettere nel filtro la polvere di caffè (6 grammi per decilitro) con un grado medio di macinazione. Scottare la polvere di caffè irrorandola uniformemente con acqua riscaldata a 94 gradi. Attendere circa mezzo minuto, quindi versare la rimanente acqua. Il caffè dovrebbe essere filtrato in un tempo massimo di tre minuti.
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Quale caffè si adatta all’utilizzo con le macchine automatiche, che macinano i grani e dosano tutto secondo dati preimpostati? Caruso Oro è una torrefazione svizzera. Si tratta di una miscela dal gusto rotondo idonea per le macchine automatiche. Quindi l’Espresso Classico è invece piuttosto italiano… Sì, con questa miscela si ottiene un tipico espresso italiano. È adatto da usare con le macchine automatiche che richiedono caffè macinato, oppure nella preparazione con la caffettiera Bialetti. A proposito: nel corso di questa e della prossima settimana, in diverse filiali Migros è possibile degustare diverse varietà di caffè italiani.
Espresso Classico in grani, 500 g Fr. 5.85* invece di 8.40 Nelle maggiori filiali
L’espresso con la macchina da caffè
M-Industria crea numerosi prodotti Migros, tra cui anche i caffè di Delica.
Caruso Oro macinato, 500 g Fr. 6.65* invece di 9.50 Nelle maggiori filiali
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Il caffè (9-10 grammi per 25 g di acqua) deve essere macinato finemente. Una buona macina assicura che le particelle di caffè abbiano una dimensione omogenea. Per l’espresso si utilizza una quantità maggiore di caffè perché la polvere ha un contatto breve con l’acqua. Affinché l’acqua scorra in modo uniforme attraverso il caffè macinato è importante che quest’ultimo venga pigiato esercitando una certa pressione.
Gli standard italiani indicano che nella preparazione dell’espresso l’acqua dovrebbe passare attraverso la miscela di caffè in un tempo compreso tra i 25 e i 30 secondi. È una regola irrinunciabile? Si tratta di una raccomandazione. Bisogna sempre fare una prova. Se un caffè già dopo 23 secondi ha un buon aroma eviterei di impiegare più tempo per la sua erogazione.
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