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Settimanale di informazione e cultura Anno LXXX 24 aprile 2017
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di Lucio Caracciolo pagina 21
AFP
Erdogan, presidente assoluto
L’ultimo nemico del sultano di Peter Schiesser Ora Recep Tayyip Erdogan è anche formalmente, e non solo di fatto, il nuovo sultano della Turchia. Sebbene con una maggioranza risicata, con una votazione che non può dirsi davvero democratica, ha ottenuto pieni poteri fino ad almeno il 2029, se consideriamo che non esiste politico che possa sfidarlo nelle prossime due elezioni presidenziali. Schiacciati o messi a tacere quasi tutti gli avversari interni, si prepara a imprimere il suo stampo sul paese per almeno un altro decennio, e in modo ancora più radicale che in passato. Ma quali sono le ambizioni del nuovo sultano? Quale ruolo sogna di ricoprire nella storia della Turchia? Alcune visite altamente simboliche compiute ad Istanbul dopo la vittoria, prima di tornare ad Ankara, sono rivelatrici: Erdogan si è recato alla tomba del presidente Adnan Menderes, giustiziato dai militari nel 1961, poi alla tomba del suo padre putativo Necmettin Erbakan, primo capo di governo islamico, quindi ai sepolcri dei sultani Mehmet II (Maometto II) e Selim I. L’omaggio al presidente Menderes è un messaggio all’esercito: ormai piegato dopo il fallito del golpe del luglio scorso, non
rappresenta più (per il momento) una minaccia al suo potere. Quello a Erbakan è un omaggio all’islamizzazione della società, che questi aveva iniziato e che Erdogan intende portare a termine. Le visite ai sepolcri dei due sultani hanno un respiro storico più ampio e portano un messaggio all’Europa e al mondo islamico sunnita: nel 1453 Mehmet I è stato, a soli 21 anni, il conquistatore di Costantinopoli, che ribattezzò Istanbul, e quindi dell’impero bizantino, che allargò all’Anatolia. Ambiva a conquistare anche Roma e per questo avanzò nei Balcani, ma venne fermato dai serbi alle porte di Belgrado (1456), tentò la via del mare occupando Otranto (1480), che poi riperse. Morì a 49 anni senza aver realizzato il sogno di conquistare la Mecca e Medina e diventare califfo. Questo sogno lo concretizzò Selim I, che nei suoi otto anni di regno (1512-1520) oltre ad espandere ulteriormente l’impero ottomano incluse anche le città sacre dell’Islam, diventando il primo califfo turco e quindi regnante di tutti i sunniti. Sono messaggi diretti ai propri concittadini, all’Europa, al mondo musulmano. E danno la misura della megalomania del novello sultano. Senz’altro, il suo impatto sullo scacchiere arabo è sia culturale sia geopolitico: Erdogan ha dimostrato che il suo tentativo
di coniugare democrazia e islamismo moderato è fallito e che la Turchia intende imporsi nella regione in virtù della propria forza militare. Non sappiamo dove vuole arrivare né se ci arriverà, ma possiamo supporre che vorrà proseguire sulla via del conflitto con l’Europa (un’adesione all’Ue, a questo punto, è morta e sepolta - vedi Caracciolo a pagina 21) e dell’ingerenza negli affari mediorientali, percorsa negli ultimi anni con toni bellicosi. A questo punto, l’unico nemico che resta al sultano è Erdogan stesso. La sua sete di potere, il controllo quasi totale dei mezzi di comunicazione e della giustizia, la repressione con ogni mezzo degli avversari, gli hanno dato la vittoria nel referendum (questo è il vero aspetto illiberale, non democratico della votazione), ma hanno spaccato il paese. Se agirà da dittatore, e i segnali ci sono (il primo annuncio fatto dopo la vittoria è stato di voler reintrodurre la pena di morte), minaccerà la coesione politica e sociale della Turchia, con tutto ciò che comporterebbe per l’economia. Erdogan è giunto al potere assoluto grazie ad una stabilità, un’apertura e a una crescita economica che lui ha grandemente favorito, la sua involuzione a presidente assoluto con la scimitarra sguainata può diventare anche la sua rovina.