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Cooperativa Migros Ticino
G.A.A. 6592 Sant’Antonino
Settimanale di informazione e cultura Anno LXXX 22 maggio 2017
Azione 21 M sho p alle pa ping gine 4 9-56 / 69-73
Società e Territorio Dal 25 al 28 maggio si terrà per la prima volta in Ticino il «Festival svizzero dei cori giovanili»
Ambiente e Benessere Nel libro Filosofia dell’animalità le ultime ricerche di Felice Cimatti che affronta il tema del linguaggio come una specie di virus che ci ha parassitato
Politica e Economia L’Italia, fra immigrazione e crisi demografica: come cambia l’identità del Belpaese?
Cultura e Spettacoli Chi scopre le nuvole scopre un mondo dal fascino insospettato, ora con un Atlante online
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Una repubblica Un premio nazionale a Trickster P, in marcia verso l’ignoto compagnia teatrale ticinese di Peter Schiesser
di Giorgio Thoeni
pagina 45
Il sollievo è grande. Ma potrebbe essere di corta durata. Oppure potremmo davvero essere all’inizio di una nuova epoca. Eleggendo alla presidenza della repubblica il giovane e sorprendente Emmanuel Macron, la Francia si lancia in un esperimento politico che può sfociare in un rinnovamento radicale o in una grande delusione. Macron non ha un partito dietro di sé, solo un movimento nato un anno fa (En marche!), e deve costruirselo il più rapidamente possibile. Il suo primo banco di prova saranno le elezioni del parlamento in giugno, il fatto che per i 577 seggi della Camera bassa sia riuscito a presentare solo 428 candidati, raccolti fra la cosiddetta società civile, ci indica due cose: che non ha voluto accogliere transfughi da altri partiti, ma anche che il suo movimento non presenta ancora sufficienti personalità da poter schierare, con cui tradurre in decisioni concrete la tuttora poco identificabile visione politica di Macron. Per contro, i Républicains non staranno a guardare, tanto meno la sinistra di Mélenchon e i resti dell’ala sinistra del Partito socialista: impedire una maggioranza a Macron significherebbe imbrigliarlo in laboriose trattative e faticosi compromessi. Significherebbe asfissiare la neo-battezzata République en Marche! e ricondurre il processo politico sui binari dei partiti storici. La Francia invece ha bisogno di recuperare uno slancio economico e al contempo di ricucire le sue profonde ferite: il voto e le condizioni di vita degli esclusi, dei perdenti della globalizzazione, non possono essere ignorati. Macron ha il difficile compito di riformare in senso più liberale l’economia e l’apparato statale del Paese e al contempo di trovare le misure per risollevare le regioni che hanno visto un declino dell’apparato industriale (nel nord e nord-ovest) e quelle in cui l’economia non è mai andata molto bene (nel sud). Le regole dell’Unione europea non gli permettono mano libera, le leggi del mercato neppure, lo stato delle finanze pubbliche tanto meno. Non può quindi esimersi dal riformare il diritto sul lavoro (in senso meno garantista per i dipendenti) e dal ridurre il debito pubblico. Inoltre deve riuscire a colmare il vuoto lasciato dai partiti storici, quello socialista e quello neo-gollista che dal dopoguerra si sono alternati al potere, cercando al contempo di contrastare il Front National di Marine Le Pen, che da parte sua vuole creare una nuova forza politica (anch’essa con un nuovo nome) per raccogliere i consensi della destra borghese. E Macron non potrà dimenticare la lotta al terrorismo islamico, strettamente connessa all’immigrazione dal Maghreb e da altri Paesi con popolazione musulmana. Macron stesso solleva molte aspettative (come a suo tempo Barack Obama), nei francesi ma anche in Europa. Si è presentato orgogliosamente come un fervente europeista, con una fitta agenda di riforme da portare avanti in seno all’UE: intende ridare slancio al motore franco-tedesco dell’Unione, crede nell’Eurozona e in un suo risanamento, per essa vorrebbe un bilancio comune, un parlamento e un ministro delle finanze unico, ma anche più in generale mira a un rafforzamento dell’UE; inoltre intende convincere la Germania a scostarsi dalla via dell’austerità (ci provarono già, senza esito, il suo predecessore Hollande e il primo ministro italiano Renzi). In questo momento storico, in cui l’Unione europea ha estremo bisogno di un nuovo slancio e di capire quale direzione imboccare per superare gli strascichi della crisi economico-finanziaria mondiale del 2008 e l’addio della Gran Bretagna, sono necessarie figure dinamiche, come Macron segnala di essere. La realtà politica dirà poi se l’UE è davvero riformabile o se è avviata verso un declino. Se vogliamo concludere con una punta di ottimismo: a volte possono essere determinanti le circostanze in cui delle figure politiche emergono: nessuno avrebbe scommesso su Macron un anno fa (ma neppure su Trump…); e se in Germania in settembre vincesse la SPD con Martin Schulz, il presidente francese potrebbe trovare un alleato importante per la sua agenda europea.
VOTAZIONE GENERALE 2017
SABATO 3 giugno 2017
Ti-Press
Rinnoviamo a tutti i soci l’invito a partecipare alla votazione generale Migros. Ultimo termine per la spedizione o consegna della scheda
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 22 maggio 2017 • N. 21
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Attualità Migros
M «Bisognerebbe evitare di seguire le mode»
Intervista In tema di viaggi, Kurt Eberhard, CEO di Hotelplan Suisse, raccomanda sempre di scegliere le mete meno
gettonate – un suggerimento che permette vantaggi anche considerevoli sul piano economico
soprattutto quando bisogna reagire subito e manca il tempo. Si possono modificare le destinazioni degli aerei ma, purtroppo, non si possono spostare gli alberghi.
Kian Ramezani Kurt Eberhard, il turismo in questo periodo sembra dover far fronte ogni giorno a importanti avvenimenti. Anche in ciò che riguarda le prenotazioni ha avuto modo di notare «cambiamenti di rotta» radicali?
In questo momento i clienti svizzeri stanno effettuando le prenotazioni per l’estate. Quali consigli si sente di dar loro?
Hotelplan Suisse consente ai propri clienti di viaggiare in tutto il mondo. È quindi scontato che crisi politiche, scioperi o fenomeni naturali possano accadere di tanto in tanto. Detto questo, una serie di atti terroristici e disordini come si registrano in questi tempi non ricordo siano mai avvenuti nei decenni precedenti.
Forse varrebbe la pena di assumere un atteggiamento anticiclico. Se nessuno vuole più andare in Turchia o in Tunisia perché non scegliere queste mete? Gli alberghi non saranno sicuramente affollati, il servizio sarà quindi di qualità e anche i prezzi sono vantaggiosi. Direi che, in generale, seguire mode e tendenze non è una buona idea. Ma, evidentemente, bisogna scegliere una meta in base ai propri gusti, dove si pensa di star bene. Per coloro che amano le vacanze attive la Scandinavia è un’ottima alternativa. C’è buona disponibilità, anche se si tratta di una destinazione sicuramente più cara.
Questo genere di eventi modifica l’attitudine dei turisti, ad esempio in rapporto agli attentati?
Prendiamo ad esempio il massacro a Luxor del 1997, che è costato la vita a numerosi svizzeri. Qualche anno dopo, questo tragico attacco è stato dimenticato e i turisti sono tornati in Egitto. Oggi, siamo tutti testimoni di un’incredibile serie di drammi che avvengono principalmente in alcuni paesi musulmani. Tenuto conto della frequenza con la quale questi eventi accadono, il tempo non basta più a cancellare dalla memoria queste tragedie.
Cosa prova quando vede che spiagge magnifiche come quelle di Antalya e di Sharm el-Sheikh sono praticamente deserte?
Mi rattrista molto. I nostri partner locali hanno numerosi collaboratori che devono poter sostenere economicamente le loro famiglie. Il destino di numerose persone dipende dal turismo. Per quanto ci è possibile noi cerchiamo di aiutarli continuando a proporre queste destinazioni. Ma non possiamo costringere
Kurt Eberhard, a capo di Hotelplan dal 2014.
i nostri clienti a prenotare le vacanze in quelle mete.
Ma alcuni turisti invece continuano a ritornarci. Qual è il profilo di questi clienti?
Queste mete hanno dei vantaggi innegabili. In inverno, il Mar Rosso vanta un clima temperato e c’è il sole. E inoltre, la meta dista poche ore di volo dalla Svizzera e il rapporto qualità/prezzo è imbattibile. Difficile trovare un’altra destinazione che racchiuda in sé così tanti vantaggi.
I turisti abbandonano l’Egitto e la Turchia. Ma allora quali mete scelgono?
Le alternative sono Spagna e Grecia ma anche Cipro e Portogallo. E al di fuori del Mediterraneo?
Alcune persone non esitano a far fronte
a viaggi più lunghi e scelgono vacanze al mare a Cuba o alle Maldive. Altri, per contro, abbandonano l’idea del classico soggiorno e optano per vacanze più «attive». In questo contesto, il flusso dei turisti tende a riversarsi verso il nord o verso l’ovest. Scandinavia, USA, Canada hanno attualmente il «vento in poppa». Ma anche l’Oriente non è da meno.
Se ascoltiamo quanto dice il Ministro del Turismo egiziano, Sharm el-Sheikh dovrebbe essere «meno a rischio» di Nizza.
E probabilmente non ha tutti i torti. Penso che ognuno di noi sia cosciente del fatto che eventi tragici possano accadere ovunque. Statisticamente parlando, si potrebbe arrivare a dire che le mete «più sicure» sono quelle dove è già avvenuto
un attentato ed effettivamente è poco probabile che una destinazione venga colpita due volte di seguito. Questo modo di pensare, che può apparire cinico, è un’ulteriore riprova di quanto possa essere soggettiva una discussione sulla sicurezza.
A quali sfide siete confrontati quando i clienti abbandonano una destinazione e ne scelgono un’altra?
Quando comperiamo posti volo o camere d’albergo per una determinata destinazione abitualmente molto richiesta e, improvvisamente, i clienti scelgono di non prenotarla più, la situazione diventa problematica. Cerchiamo ovviamente di compensare la mancata richiesta andando ad acquistare altre destinazioni, ma questo non è sempre così semplice,
Il 2017 sarà un buon anno per Hotelplan Suisse?
I risultati dell’inverno sono stati buoni, anzi, molto buoni. Siamo anche molto ottimisti per l’estate. Le filiali di nostra proprietà hanno già raggiunto i tre quarti della cifra d’affari che ci ponevamo come obiettivo. Si, penso che il 2017 sarà un buon anno. Il 2016 è stato difficile, i nostri clienti sono stati influenzati dagli attentati e, giustamente, si sono dimostrati molto incerti. Sembra quasi che in questo momento desiderino recuperare il tempo perduto. Sul sito web www.azione.ch/concorsi » continua il «Quiz Hotelplan gio viag ni buo io In pal da 100.– franchi. Buona fortuna!
La storia come ricchezza
Eventi Inaugurato lo scorso finesettimana il nuovo museo del Monte Verità, nella Casa Anatta,
stabile d’epoca al cui restauro ha contribuito il fondo di sostegno Engagement Migros Engagement Migros è un fondo di sostegno a progetti innovativi. Istituendolo, l’azienda svizzera intende contribuire alla creazione di nuove idee e concetti che abbiano un impatto concreto sulla nostra società e si pongano come modelli da imitare, generando a cascata pratiche operative positive e utili per la vita quotidiana. Il desiderio è offrire a idee scelte la possibilità di diventare precorritrici di tendenze, o, come recita il motto dell’istituzione, «progetti pionieri», in grado di influenzare e diffondere il loro stimolo a tutta la comunità. I campi in cui l’Engagement Migros si sta attivando sono attualmente: «Innovazione collaborativa», cioè le strategie multidisciplinari che vedono il coinvolgimento di specialisti in vari settori alla realizzazione concrete delle idee; «Alimentazione&produzione alimentare», per la ricerca legata a nuove modalità produzione, con-
Azione
Settimanale edito da Migros Ticino Fondato nel 1938 Redazione Peter Schiesser (redattore responsabile), Barbara Manzoni, Manuela Mazzi, Monica Puffi Poma, Simona Sala, Alessandro Zanoli, Ivan Leoni
Uno degli spazi della casa, oggi monumento protetto. (monteverita.org)
servazione e diffusione del cibo; «Creazione&mercato», ambito invece in cui si sviluppano nuovi concetti che attivano i processi di elaborazione dei nuovi prodotti e della loro diffusione;
«Mobilità», in cui si studiano le possibilità di generare nuove forme di trasporto con un minore impatto sull’ambiente; «Musei&Pubblico», che intende studiare e promuovere nuove modalità
Sede Via Pretorio 11 CH-6900 Lugano (TI) Tel 091 922 77 40 fax 091 923 18 89 info@azione.ch www.azione.ch
Editore e amministrazione Cooperativa Migros Ticino CP, 6592 S. Antonino Telefono 091 850 81 11
La corrispondenza va indirizzata impersonalmente a «Azione» CP 6315, CH-6901 Lugano oppure alle singole redazioni
Stampa Centro Stampa Ticino SA Via Industria 6933 Muzzano Telefono 091 960 31 31
di gestione dell’attività museale e culturale, in modo da permetterne una maggiore fruibilità e apprezzamento da parte del pubblico. Proprio in quest’ultimo settore di intervento è stato sostenuto in Ticino un progetto della Fondazione Monte Verità di Ascona: quello del restauro della Casa Anatta, trasformata in un museo. Il progetto è stato denominato «Monte Visione». Casa Anatta è una costruzione in legno compresa all’interno dello spazio dell’area di Monte Verità. Monumento storico protetto a livello cantonale, è stato nel corso degli anni utilizzata per ospitare l’importante mostra ideata da Harald Szeemann, Le mammelle della Verità. Si tratta di un percorso espositivo in cui lo storico dell’arte svizzero ricostruiva la nascita e lo sviluppo della comunità di Monte Verità, dai suoi primordi antroposofici fino alla fisionomia alberghiera degli anni 30 e 40.
Grazie all’intervento di ristrutturazione e restauro, affidato agli architetti ticinesi Bruno Reichlin, Gabriele Geronzi e Carlo Zanetti (con il sostegno e la consulenza dell’Ufficio cantonale dei beni culturali) questa costruzione della fine degli anni 20 ha assunto oggi un ruolo museale che si inserisce perfettamente nella fisionomia di luogo di cultura che Monte Verità rivendica per sé. Oltre a una rinnovata versione dello storico percorso concepito da Szeeman (che era stato allestito ad Ascona nel 1978 e poi collocato proprio a casa Anatta a partire dal 1981), la costruzione ospita una ulteriore mostra, Le verità di una montagna, curata dallo storico Andreas Schwab. La nuova Casa Anatta è stata inaugurata lo scorso fine settimana. Per informazioni sugli orari di apertura e sulle attività che ospiterà in futuro è possibile consultare il sito web della Fondazione: www.monteverita.org.
Tiratura 101’614 copie
Abbonamenti e cambio indirizzi Telefono 091 850 82 31 dalle 9.00 alle 11.00 e dalle 14.00 alle 16.00 dal lunedì al venerdì fax 091 850 83 75 registro.soci@migrosticino.ch
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Costi di abbonamento annuo Svizzera: Fr. 48.– Estero: a partire da Fr. 70.–
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 22 maggio 2017 • N. 21
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Società e Territorio Ai margini Continua in questo numero la serie di articoli dedicati alle persone che nel nostro cantone vivono una situazione di precarietà
Le Alpi raccontate da un canadese È un omaggio alle nostre montagne il libro-reportage da poco pubblicato dal giornalista e scrittore Stephen O’Shea
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In media una persona possiede una superficie di pelle di circa due metri quadrati. (Marka)
I graffiti sulla pelle
Tempi moderni Da tempo assistiamo alla diffusione del tatuaggio, un vero e proprio «impazzimento collettivo» Massimo Negrotti La crescente diffusione dei tatuaggi nella nostra società, soprattutto fra i giovani, solleva spesso discussioni e giudizi di ordine essenzialmente estetico in rapporto al buon gusto. Tuttavia, un tatuaggio non è un vestito o un foulard che si possano valutare, indossare e poi, magari, abbandonare, bensì una vera e propria modificazione corporea piuttosto definitiva. Una modificazione che, a differenza di altre, come i vari tipi di protesi, non si rende però necessaria per ragioni di recupero fisiologico ma viene effettuata solo per ragioni, diciamo così, decorative. Questa moda piuttosto recente, anche se le sue radici sono antiche, si presenta con i caratteri diffusivi tipici di quello che i sociologi anglosassoni chiamano un craze, cioé una sorta di impazzimento collettivo che, in questo caso, investe un organo, la pelle, che si pensa possa essere ri-modellata a piacimento. Ciò sembra reso possibile dal fatto che la pelle, anche se custodisce preziose funzioni vitali, non gode della stessa reputazione, per così dire, degli altri organi di senso. Nessuno, infatti, oserebbe pensare alla modificazione, per ragioni che non
siano di ordine sanitario, degli organi che presiedono alla vista o all’udito, all’olfatto o al gusto. La pelle ricopre tutto il nostro organismo e la sua attività ci appare talmente ovvia, silenziosa e soprattutto abbondante, da spingerci a pensare che sia meno strategica rispetto agli altri organi di senso. In realtà la pelle, nell’essere umano ma anche in tutte le specie viventi che ne siano dotate, è un organo fondamentale poiché, fra l’altro, contrassegna sensibilmente il confine fra noi e il mondo esterno. Lo stesso sviluppo delle nostre relazioni sociali ha inizio nei primi anni di vita, attraverso un ampio impiego della pelle come fonte di informazione e di contatto concreto con i genitori. Il buon funzionamento della pelle è un prerequisito non solo per altre funzioni sensoriali ma anche, e forse soprattutto, per ogni nostra azione o comportamento in rapporto all’ambiente. Le stesse relazioni sociali sono fortemente caratterizzate dal tatto, ossia da una delle funzioni basilari della pelle. La cosa non riguarda solo le popolazioni primitive le quali, spesso dotate di scarso abbigliamento, non potevano che assegnare alla pelle numerose funzioni di comunicazione o simboliche, fra cui il tatuaggio, ma anche la società
attuale. Stringersi la mano, baciarsi, anche col naso come fanno gli eschimesi, accarezzare, sono alcune delle abitudini che designano aspetti rilevanti di una relazione, come la confidenza, l’intimità, l’affetto. Per queste ragioni, di norma i tatuaggi vengono realizzati in parti del corpo che non vengono toccate dalla persona con cui intratteniamo una relazione ordinaria, anche se, con motivazioni chiaramente trasgressive e provocatorie, non mancano esempi di tatuaggi collocati persino sulle mani. Una persona media possiede una superficie di pelle di circa due metri quadrati e, su questa, sono collocati circa due milioni e mezzo di recettori di contatto, temperatura e pressione che operano in permanenza. A differenza della vista, che possiamo volontariamente inibire chiudendo gli occhi; dell’udito, che possiamo escludere provvisoriamente coprendoci le orecchie con le mani, e persino dell’olfatto, che possiamo bloccare «turandoci il naso», il tatto, così come il meno strategico organo del gusto, non può essere inibito su base volontaria. Tutto questo rende facilmente comprensibile come la pelle non sia un banale rivestimento dell’organismo ma un delicato e complesso sistema biologi-
co che non andrebbe trattato come una semplice parete da riempire di graffiti. Nella letteratura dermatologica cominciano ad essere denunciati casi di patologia della pelle, a causa dei tatuaggi, per nulla trascurabili, riferibili agli inchiostri impiegati, che di norma possono contenere rame, piombo, mercurio e litio a seconda del colore progettato, e alla stessa reazione che gli strati della pelle oppongono alla violenza meccanica. Allergie, infezioni e altre severe patologie degenerative sono fra le più frequenti conseguenze. Rimane dunque il quesito di fondo: perché, nonostante il fatto che la rischiosità del tatuaggio sia sempre più dichiarata, il fenomeno non tende a smorzarsi ma, al contrario, ad accrescersi? Alla base c’è sicuramente, per quanto riguarda i giovani, il classico effetto di imitazione-omologazione del peer group ben noto ai sociologi, ossia la pressione , un vero e proprio imperativo, avvertita da un ragazzo o una ragazza, proveniente dal gruppo di cui fanno parte ed al quale solo pochi riescono ad opporsi. Poi, per i più adulti, c’è l’ambizione a distinguersi presentandosi in pubblico con qualcosa che gli altri non hanno. Si tratta di un paradosso per il quale si aderisce ad una moda – che, per
definizione, è tutto fuorché originalità – ma poi la si «personalizza», poiché i disegni dei tatuaggi sono per loro natura irripetibili anche se, aumentando la massa di coloro che se ne corredano, i disegni tendono inesorabilmente ad omogeneizzarsi, fra fiori e volti, pretenziose volute barocche e magari nomi o date. Altrettanto vale per i cosiddetti text tattoo, vere e proprie citazioni letterarie, con tanto di virgolette, filosofiche o politiche messe in mostra sulla pelle di chi, evidentemente, non ritiene possibile cambiare opinione in futuro. Già, quella del futuro è forse la trappola più ironica dei tatuaggi: essi, infatti, essendo stati concepiti e realizzati oggi sulla base del gusto e degli stili di oggi, domani denunceranno chiaramente l’appartenenza del portatore ad una generazione ormai superata, inducendo atteggiamenti di compassionevole ilarità da parte di chi, peraltro, si sarà già adeguato alle mode successive. Dopo l’ondata attuale può darsi che, per i tatuaggi, inizi la curva discendente e, allora, potrebbero avere successo non coloro che li realizzano bensì coloro che li eliminano. E la pelle dovrà così sopportare ulteriori violenze alle quali, ancora una volta, si opporrà con tutte le sue forze.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 22 maggio 2017 • N. 21
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Società e Territorio
La fame oltre la burocrazia
Ai margini – 2 Continua la serie dedicata alle persone che nel nostro cantone vivono in una situazione di precarietà.
Le testimonianze sono state raccolte al Centro Bethlehem
Laura Di Corcia
Nella casetta gialla vicino alla Resega nel corso del 2016 sono stati registrati più di diecimila coperti Queste cose me le racconta al Centro Bethlehem, la mensa sociale delle ACLI a Lugano, una casetta gialla dietro la Resega aperta nel gennaio del 2010, un guscio che accoglie chi non ha un posto dove stare sette giorni su sette dalle 8.30 alle 14.30. Chiunque arrivi può mangiare un pasto completo preparato dalle sapienti mani di un cuoco professionista aiutato da tre aiuti cuochi (persone in assistenza, rifugiati) per 5 franchi, se ce li ha; altrimenti, basta dare una mano, svolgere delle mansioni, e il pasto è servito. «Fra Martino? Mi viene da piangere solo a nominarlo. È una persona splendida, accoglie tutti» – continua Roberto. In effetti è Fra Martino Dotta l’angelo custode della casetta; passato prima per l’esperienza del Tavolino Magico, il frate media fra il mondo come dovrebbe essere e il mondo come è. «Non possiamo fare i miracoli – dice –
Stefano Spinelli
Camminano incessantemente. Il loro pungolo è la speranza, l’obiettivo è raggiungere la «terra promessa». Sono creature divise fra due luoghi e cercano radici. Fanno parte di un mondo che sta ai margini, alcuni per nascita, altri per vocazione, altri ancora per scelta. Come Roberto Albin, di origine grigionese ma nato e cresciuto a Napoli, rimpatriato in Svizzera dopo che un muro gli è crollato davanti al naso: la sua scelta è stata quella di seguire il suo cuore. «Io sono un pazzo – dice – un pazzo che vuole vivere di sogni». Roberto è attore e musicista. Ha recitato con grandi nomi, come i registi Gabriele Lavia e Mario Martone, non disdegnando il cinema più commerciale, per esempio i Vanzina. Lo snobismo se lo possono permettere in pochi, e Roberto voleva realizzare i suoi sogni, ma quando ha fiutato che iniziava a mettersi male ha cominciato a cercare altro: il famoso, forse un po’ più prosaico ma sicuramente rassicurante «posto fisso». Insegnare, perché no? Ma anche per quello la città partenopea non ha concesso spazi, nonostante le due lauree in Conservatorio.
ma offriamo a queste persone un pasto e anche la possibilità di lavarsi, lavare i propri panni, fare colazione, cambiarsi, sostare, riposare». C’è chi, però, ha creduto nella sua verità interiore e continua a farlo. A dispetto delle croste di formaggio mangiate nei momenti peggiori, delle notti passate in una topaia prima a Monza e poi a Campione di Italia, della fatica nel trovare un alloggio qui, in Ticino, come persona in assistenza. Questa è la via crucis di Roberto, che a un certo punto, quando era ancora a Napoli, capisce che non può passare la vita ad aspettare la famosa telefonata per fare un film o uno spettacolo teatrale. Decide di spostarsi al nord, passa per l’appunto da Monza e da Campione, arriva a Lugano. Ora vive in un appartamento e cerca di fare il suo lavoro: come attore, è stato ingaggiato alla radio, ma niente di continuativo. Anche Renato (nome di fantasia) si trova in un limbo: nato e cresciuto a Roma, faceva il montatore di gru, ma poi il lavoro è finito. Adesso vive in bilico fra Italia e Svizzera tedesca, dove
il lavoro c’è, ma non sempre dura nel tempo. «Ho una figlia di 18 anni a cui devo passare gli alimenti – spiega – e per questo cerco ogni tanto di tornare a Roma, ma quando perdo il posto di lavoro l’INPS (l’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, ndr) non interviene subito con la disoccupazione, passano mesi». Così uno si ritrova a mangiare pane e niente, vivendo al confine fra Italia e Svizzera, attendendo un nuovo incarico Oltralpe. E si appoggia alla casetta gialla dietro la Resega, un luogo che pur nella gravità della situazione non ha nulla di tetro, un nido offerto a chi transita e non ha un luogo fisso, come gli ecuadoregni o i rom, che stanno in gruppo, mangiano, ma preferiscono non parlare. Parla molto, e piange, invece, Andrei (nome di fantasia), che racconta dei suoi quattro figli in Romania – il più grande ha 14 anni, vivono dalla nonna e lui non li vede da due anni. «Che cosa posso fare lì, cosa sto lì a fare?», mi dice, raccontando una realtà dura, soffocante, dove gli stipendi
– per chi ce l’ha, un lavoro – ruotano attorno ai 250 euro, 270 se va bene, e l’affitto costa almeno 150 euro. «Un chilo di olio di girasole all’Iper, in Italia, lo paghi 1.25 euro, da noi costa 1.70; non è possibile vivere così». Piange quando racconta ciò che è avvenuto tanti anni fa, la molla che spinse lui e sua moglie a tentare la fortuna a Ovest: la sua bambina, rincasando dall’asilo, aveva raccontato fra le lacrime che la sua compagna aveva un’arancia, lei no, e che l’altra non aveva voluto offrirgliene nemmeno uno spicchio, nonostante la sincera richiesta. «Abbiamo capito che dovevamo partire – dice – e siamo arrivati in Italia». Lì è iniziato un altro calvario: lavorare per meno di 1000 euro al mese al Carrefour, perché metà degli introiti se li mangiava l’agenzia che intermediava fra il supermercato e i lavoratori. A un certo punto hanno iniziato anche a non retribuirgli tutte le ore svolte, costringendolo a lasciare tutto. «Mia moglie è ancora in Italia, lavora come badante, io spero di poter fare qualcosa qui, in
Svizzera; sono piastrellista di professione, vorrei solo dare la possibilità ai miei figli di studiare, e poi magari raggiungerci». Dice che l’Unione europea è un fallimento, Andrei, e mastica rabbia e fede, insieme; ringrazia Fra Martino e Don Feliciani, che dà a lui e altri un posto dove dormire a Chiasso. La mensa dei poveri, per esplicita volontà di Fra Martino, non riceve sovvenzioni pubbliche e non le sollecita nemmeno; questo perché vuole poter offrire un conforto a tutti, eliminando le discriminazioni legate al permesso di soggiorno. Una bocca è una bocca, ha fame al di là della burocrazia. Nel 2016 sono stati registrati più di diecimila coperti (più o meno 29 al giorno), sono state distribuite 3600 colazioni, fatti 1200 bucati. Dopo il pasto dei poveri, a me e a Stefano (che si occupa delle fotografie) viene offerta una fetta di torta fresca, alla frutta: una signora la compra tutti i giorni alla Migros e la porta lì. I miracoli non si possono fare, è vero: ma quello che avviene qui, dentro la casa gialla, ci si avvicina molto. Annuncio pubblicitario
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 22 maggio 2017 • N. 21
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Società e Territorio
Alla scoperta delle Alpi Editoria È un omaggio alle montagne svizzere il libro The Alps
di Stephen O’Shea, giornalista e scrittore di origine canadese
«Se non sei svizzero non puoi capire. Noi svizzeri non potremmo vivere senza le nostre montagne». Così si sente rispondere Stephen O’Shea, all’inizio del suo viaggio tra le Alpi, mentre osserva le vette da lontano, con un misto di ammirazione, curiosità e terrore, e chiede a un’abitante del posto se l’imponenza delle montagne non la stanchi mai. Lo scrittore e giornalista di origine canadese ha appena pubblicato The Alps, A Human History from Hannibal to Heidi and Beyond (Le Alpi, una storia umana da Annibale a Heidi e oltre), un lungo reportage, per ora solo in inglese, sulla storia, la cultura, la geografia e l’amore degli abitanti per le montagne tra le più belle del mondo. Partendo da Ginevra a bordo di un’auto a noleggio, O’Shea ci accompagna alla scoperta delle Alpi della Svizzera francese, per passare in Francia, ai piede del Monte Bianco, con tappa in Italia, e tornare quindi in Svizzera, nel canton Ticino e in quelli tedeschi. Ci ricorda, nel suo percorso tra paesi patrimonio dell’Unesco, valli, cime, laghi, stradine impervie, rösti, birra e frotte di turisti provenienti da ogni parte del mondo, il ruolo che le Alpi hanno avuto nella letteratura, nel cinema, nella filosofia. Fu sul lago di Ginevra che nel 1816 la diciannovenne Mary Shelley ebbe l’idea per Frankenstein, o Il moderno Prometeo. Si trovava a Villa Diodati, con il futuro marito Percy Bysshe Shelley e l’amico scrittore Lord Byron, costretti a stare in casa a causa del maltempo, conseguenza dell’esplosione del vulcano indonesiano Tambora (raccontata anche nel recente Into The Inferno di Werner Herzog), trascorrevano le serate raccontandosi storie di fantasmi e mostri. Poco distante, a Clarens, vicino a Vevey, è stata invece ambientata Giulia o La nuova Eloisa, dello scrittore e filosofo Jean-Jacques Rousseau, tra i primi a proporre l’immagine idilliaca e romantica della Svizzera, capace di attrarre i primi turisti dell’epoca, nobili e intellettuali. E a Montreux visse per diversi anni il cantante Freddie Mercury, che lì incise il suo ultimo album, Made in Heaven. Le Alpi, ricorda O’Shea, sono state narrate dallo scrittore Mark Twain nel libro di viaggio Un vagabondo all’estero. Tra le mete il famoso hotel Rigi Kulm, sulla cima del Rigi, «la regina delle montagne», dove il romanziere americano alloggiò. Furono fonte di ispirazione, anche se in maniera diver-
Eventi Dal 25 al 28 maggio si terrà
per la prima volta in Ticino il «Festival svizzero dei cori giovanili» Wikipedia/Fiesch
Stefania Prandi
sa, per il filosofo Friedrich Nietzsche che soggiornò sulle rive del lago di Silvaplana. «Ho deciso di dedicare un libro alle Alpi perché ho vissuto in Francia per vent’anni e spesso sono passato attraverso queste montagne sorprendenti. Mi hanno sempre affascinato. Come scrittore, sono attratto dai confini, presenti e passati. Le Alpi sono una fonte di confini linguistici, culturali, religiosi, culinari. Cambi paesi, arte e architettura, vai dalla tradizione latina a quella tedesca. Le Alpi sono un zigzagare tra i confini umani invisibili», spiega ad Azione O’Shea. «Penso alla Svizzera, alle culture che la abitano, così diverse tra loro in apparenza, ma capaci di formare un’identità nazionale basata sull’amore per queste montagne. In passato le Alpi erano ostili, separavano, si pensava fossero abitate dai dragoni, ma poi dal diciannovesimo secolo, con la costruzione dei tunnel, delle strade, delle meravigliose opere ingegneristiche, la situazione ha cominciato a cambiare e ha portato la Svizzera a diventare una nazione prospera e ricca». Scorrendo le pagine si incontrano i riferimenti ricorrenti alle tante bellezze naturali come, ovviamente, il Monte Bianco, e un dettagliato resoconto di una visita al ghiacciaio dell’Aletsch. La distesa di ghiaccio, lunga 23 Km, con una profondità che raggiunge i 900
Giovani voci svizzere a Lugano
metri, è patrimonio dell’Unesco ed è affollata di escursionisti provenienti da tutto il mondo. A restare nella memoria dello scrittore non solo la maestosità del paesaggio, e i segni del cambiamento climatico, ma anche la funivia che collega alla strada, che terrorizza per l’altezza. Un leitmotiv, l’amore-odio per le grandi altezze alle quali costringono le Alpi, che ritorna varie volte nel corso della narrazione. Non manca, inoltre, una parte dedicata al Ticino. «Ci sono così tante cose che amo del Ticino che è difficile elencarle», spiega O’Shea. «La città di Bellinzona, ad esempio, è stata una rivelazione. Avevo visitato in precedenza Lugano e Locarno, per il festival, e non ero a conoscenza della bellezza singolare di Bellinzona, delle mura curate, delle merlature, un testamento del tempo in cui questo era un luogo turbolento, teatro della lotta tra svizzeri e lombardi. Un altro aspetto strabiliante del territorio ticinese sono i segni visibili della Linea Insubrica, la striscia tettonica che segna il confine sotterraneo tra le placche continentali di Europa e Africa. Questa collisione ha dato origine alle Alpi. Nella valle Morobbia, in un canale appena a sud del paese di Pianezzo, si vede bene il cataclisma geologico, con i due lati definiti. Un luogo speciale: il Ticino ospita la lezione di un passato incomprensibilmente distante».
«Uno specchio della ricchezza musicale e della varietà di cori nelle regioni del nostro Paese»: così Fulvio Caccia, presidente del comitato organizzatore, definisce il «6° Festival svizzero di cori giovanili», che si terrà a Lugano dal 25 al 28 maggio. La manifestazione è promossa dall’associazione SKJF (Schweizer Kinder – und Jugendchorfestival, www.skjf. ch), un sodalizio creato nel 2006 con lo scopo di costruire un collegamento nazionale tra le realtà musicali attive in questo particolare settore. Organizzato con una scadenza biennale, si può sicuramente affermare che il festival sia la massima manifestazione a livello nazionale per cori giovanili e di bambini. Ha il sostegno della Confederazione, del Canton Ticino, della Città di Lugano e del Percento culturale di Migros Ticino. Come ci spiega Fulvio Caccia: «A questa edizione partecipano 44 cori provenienti da tutta la Svizzera, per un totale di 1’526 iscritti: trentadue gruppi provengono dalla Svizzera Tedesca, cinque dalla Svizzera Romanda, quattro dal Ticino, due dalla Svizzera Romancia. A questi si aggiunge il CSG (Coro Svizzero della Gioventù – www. schweizerjugendchor.ch). Si tratta di una formazione i cui membri hanno fra i 16 e i 25 anni, provengono da varie regioni della Svizzera e si ritrovano alcune volte l’anno per mettere a punto il repertorio di un concerto e poi eseguirlo in alcune località». A rappresentare il nostro cantone saranno presenti quattro conosciute formazioni musicali che hanno raccolto nel corso degli anni numerose attestazioni
di stima, anche all’estero: il Coro Calicantus, il Coro Clairière, i Cantori della Turrita e il Piccolo Coro Santa Teresa. Sarà un’importante occasione per mostrare le loro doti in un contesto ampio e prestigioso, in cui, oltretutto, potranno «giocare in casa». Da notare che questa è la prima volta in cui il festival viene organizzato nel nostro cantone, a cura della Federazione Ticinese delle Società di Canto (FTSC). Importante è il supporto dato dalla Protezione Civile, che, in vari comuni, mette a disposizione una serie di impianti. «Il festival sarà seguito poi dalla SRG SSR, raggiungendo le quattro regioni linguistiche», precisa Fulvio Caccia. Per ciò che riguarda il programma musicale (consultabile all’indirizzo web www.skjf.ch/fileupload/SKJF_17_Programma_Uebersicht.pdf) al Centro Esposizioni di Lugano è allestita una sala con oltre 400 posti. Vi si terranno concerti a pagamento il giovedì pomeriggio e nelle mattine di venerdì, sabato e domenica. Entrata libera invece venerdì e sabato pomeriggio, quando i cori canteranno in vari luoghi e chiese della città. Al Palazzo dei Congressi, sabato dalle 22 alle 23, è previsto anche il Concerto del Coro Svizzero della Gioventù. «Proprio questo sarà uno dei momenti più importanti di tutto il festival. Ma particolarmente interessante sarà anche la prima esecuzione di una composizione del musicista ticinese Ivo Antognini, che verrà eseguita dall’insieme dei cori romandi la domenica mattina» conclude il presidente del comitato organizzatore. /Red.
La musica corale come momento di contatto tra le regioni svizzere. (skjf.ch)
Viale dei ciliegi di Letizia Bolzani Susanna Mattiangeli, Chiara Carrer, Avete visto Anna?, Il Castoro. Da 4 anni La piccola Anna si è persa al mercato, la mamma la cerca, i passanti si attivano ad aiutarla. Alla fine viene ritrovata, probabilmente era solo finita dietro una bancarella. Questa è la storia, ma non è questo che conta. Quello che conta, in questo bell’albo illustrato, sono le domande dei passanti e le risposte della mamma. Soprattutto le risposte, che ci portano dritte al concetto di identità e di unicità di ogni essere umano. E dell’irriducibilità di ogni creatura entro categorie predefinite. E dell’amore assoluto nello sguardo di ogni madre. Com’è Anna? È diversa da tutti gli altri bambini. Come lei, c’è solo lei. La sua pelle è rosa, ma d’estate è più scura, e invece quando sta male può essere un po’ verde o tutta a puntini. Che tipo è? Può essere molto morbida, risponde la mamma, ma «se s’indurisce, cammina dritta, si sposta di scatto, urta gli
oggetti, è tutta compatta». È calma, è tranquilla? «Anna a volte si scatena. Si agita, si incendia. Si accende e fa la fiamma (...) Se però osserva le formiche, sta ferma per un pezzo (...)». Fondamentale, in questo libro, è il rapporto tra testo e immagini, nell’armonia tra le parole di Mattiangeli e le illustrazioni di Carrer, sia per quanto riguarda il ritmo, sia per quanto riguarda l’alternanza tra registro letterale e registro metaforico. Anna che «ti viene a cercare», che vuole le coccole, è rappresentata con tante figurette di bimba attaccata alla mamma, ma Anna «ruvida» o con «le spine», è un’immagine che sprigiona in modo
simbolico tutta la sua espressività. Efficacissimi il tratto deciso e l’uso forte del colore per raccontare simbolicamente uno stato d’animo, un modo di essere; così come efficace è lo stile più realistico, ispirato proprio al tratto infantile, per disegnare la bimba e le altre persone. Anche il testo, che comunque parte da una bella idea, ne risulta valorizzato. Susanna Mattiangeli e Chiara Carrer confermano la qualità di un lavoro d’insieme già apprezzato nel loro precedente albo, Come funziona la maestra. Anche questo Avete visto Anna? può essere letto sin dalla prima infanzia, ma può continuare a costituire un ottimo spunto di riflessione anche per lettori della scuola elementare. Perché ognuno di noi è straordinario. Matteo De Benedittis, Dinotrappole, San Paolo. Da 6 anni I dinosauri sono un evergreen della letteratura per l’infanzia, capaci di catalizzare tanti motivi di fascinazione. Il
fascino per ciò che sta agli albori della vita sulla Terra (così come ogni bambino è una nuova alba della vita). Inoltre il fascino per l’immensamente grande, sia se si pensa al dinosauro come a un amico immaginario (potente immenso protettivo) sia come a un nemico che con la fantasia si è in grado di fronteggiare (e abbiamo tutti bisogno di mostri contro cui misurarci). E non ultimo il fascino prettamente linguistico-fonico per tutti quei nomi stravaganti e belli da ricordare e pronunciare, Velociraptor, Triceratopo, Stegosauro... Sulla passione per i dinosauri fa leva il breve e frizzante romanzo del giovane Matteo De Benedittis, il cui protagonista è un bambino, Davide detto (ovviamente!) Dino, che da grande non vuole fare il pilota o il calciatore, ma il dinosauro. Proprio così. Dino da grande vuole fare il dinosauro, ma il problema – gli fa notare la maestra – è che non troverà mai un dinosauro che possa insegnargli il mestiere. Siamo pro-
prio sicuri? La nonna di Dino, prima di «partire per la sua ultima missione», gli aveva accennato alla possibilità di trovarne ancora in giro qualcuno e Dino è determinato a scovarli. Ecco quindi le «dinotrappole» del titolo, costruite e poste in giardino con l’aiuto dell’amica Sara. Forse le cose non andranno proprio come sperato, ma in compenso molte altre saranno le belle scoperte: l’importanza di un’amicizia vera, superare insieme le proprie paure, saper entrare in mondi fantastici... Ma siamo sicuri che sia solo fantasia? L’esilarante finale ci coglie di sorpresa!
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Foto: Alexandra Wey
Protezione particolare per i bambini profughi Negli ultimi anni sono giunti in Svizzera e hanno chiesto asilo sempre più bambini profughi non accompagnati. I Paesi di origine più importanti sono l’Eritrea, l’Afghanistan, la Somalia e la Siria. Gli adolescenti sono abbandonati a se stessi, in una società con una cultura a loro estranea e una lingua che non conoscono. E poi, molti sono traumatizzati. La Convenzione dell’Onu sui diritti dell’infanzia chiede agli Stati firmatari di offrire assistenza e una rappresentanza legale nella procedura d’asilo nonché la sistemazione in un alloggio adeguato all’età dei bam bini. Nei Cantoni, però, i bambini profughi non accompagnati trovano condizioni molto diverse.
Sayed (13 anni) è arrivato nel «Paese verde»: gli manca la famiglia A causa di tragiche circostanze, il tredicenne Sayed, originario dell’Afghanistan, è stato separato dalla sua famiglia durante la fuga. Il ragazzo non è un caso isolato. Sempre più bambini si trovano abbandonati a se stessi nei percorsi di fuga pericolosi perché durante il viaggio perdono i familiari o perché i loro genitori li mandano avanti verso il presunto paradiso. Alla domanda come si è sentito quando finalmente è arrivato in Svizzera, il tredicenne sorride tor mentato: «Solo stanco» risponde. Fuga dall’Afghanistan Un anno e mezzo fa, la famiglia di Sayed fugge dai talebani. Dall’Af ghanistan si recano dapprima in Pakistan, poi in Iran e in Turchia, da dove vogliono proseguire via mare per la Grecia. Ma lì le strade di Sayed e della sua famiglia si dividono e si perdono; nella confusione del porto vengono separati. Sayed ce la fa ad attra versare il mare e continua la sua odissea assieme a un altro ragaz zo afghano. Viaggiano giorno e notte. Vanno a piedi, si stipano in macchine strapiene, viaggia no in treno. Per riposare non c’è tempo. «Abbiamo dormito una volta mezz’ora, un’altra un quarto d’ora, poi abbiamo continuato.» I due ragazzi se la cavano sul percorso dei Balcani e si curano l’uno dell’altro. «Abbiamo detto che siamo fratelli» spiega Sayed.
E come fratelli sono arrivati assie me anche in Svizzera e da agosto 2016 condividono una stanza nella Casa della gioventù diretta da Caritas Svizzera su incarico del Canton Svitto. «Siamo ottimi amici» dice Sayed. I due compagni di viaggio vivono insieme a 33 ragazzi e quattro ragazze originari di Eritrea, Afgha nistan, Somalia, Mali, Guinea e Siria che hanno tra i 13 e i 18 anni. In gergo specialistico ven gono chiamati MNA, richiedenti l’asilo minori non accompagnati. Sono bambini profughi che da soli hanno percorso migliaia di chilometri nella speranza di trova re una vita senza guerra e senza povertà. Una vita quasi normale Alle sei suona la sveglia. Alzar si, fare colazione, riordinare la stanza, andare a scuola, fare i compiti, allenamento di calcio. Il tredicenne ha un struttura giorna liera ben precisa e viene assistito
Per saperne di più su Sayed: farelacosagiusta.caritas.ch
sette giorni su sette da un team di Caritas. Oltre a ricevere soste gno socialpedagogico, di Sayed si occupano anche un’assistente e una persona di riferimento. Sono a disposizione del giovane afghano se ha problemi o do mande, per quanto sia possibile. «Fanno bene il loro lavoro. Però nessuno può sostituire l’amo re di un padre e di una madre» dice il ragazzo. Eleonora Meier, l’assistente, regala uno sguardo di conforto a Sayed e dice: «Non dobbiamo perdere la speranza.» E un motivo per sperare c’è. Il servizio di ricerca della Croce Rossa sta aiutando Sayed e sta tentando di rintracciare i suoi genitori e i suoi fratelli.
Caritas aiuta i bambini profughi: procura una sistemazione all’interno di una famiglia e fa da mediatrice per i padrinati. Si impegna nella consulenza e rappresentanza legali e nell’orga nizzazione del tempo libero. Inoltre promuove l’integrazione sociale e professionale dei bambini profughi e si impegna per una sistemazione adeguata alla loro età.
Con forza, energia e costanza La preoccupazione per la famiglia non si cancella con le chiacchie re. Ciononostante Sayed si sente accolto in «Paese verde». A questa condizione ha contribu ito anche il suo status. Possiede il permesso B e sa che può rima nere perché è riconosciuto come rifugiato. Questo crea a volte invi dia nei suoi coinquilini che stanno ancora affrontando la procedura d’asilo o che sono accolti provvi soriamente. L’attesa preoccupata della decisione, l’incertezza e la paura di essere espulsi verso un futuro ancora più incerto, tutto ciò è logorante. Il tredicenne guarda avanti. Lui ha raggiunto il mondo che sognava. Deve però ancora trovare il suo posto in questo mondo. Bisogna imparare nuove regole, nuove leggi e una lingua straniera. Ma Sayed è un ragazzo sveglio e in traprendente. In brevissimo tem po ha fatto il salto dalla classe di integrazione a quella regolare. Oggi frequenta la scuola di Küss nacht assieme ai bambini sviz zeri. La sua materia preferita è la matematica. Sayed vuole fare il bancario e dice fiducioso: «Sono giovane, studio molto e ho buoni voti. Devo farcela per forza.»
Conto donazioni: 60-7000-4 Per donazioni online: caritas.ch/bambini-donare
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 22 maggio 2017 • N. 21
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Società e Territorio Rubriche
L’altropologo di Cesare Poppi Formaggio coi buchi Fra i punti salienti della visita in Giappone che ha nutrito le pagine di questa rubrica nelle ultime settimane vi è certamente la già menzionata visita all’allevamento di vacche nei pressi di Kobe. Le vacche di Kobe sono famose per la carne ricca di grassi distribuiti finemente nei tessuti che la rendono particolarmente saporita ed incredibilmente costosa, dal momento che la qualità migliore è ottenuta massaggiando le aree cruciali del quadrupede al fine di far penetrare i grassi nel tessuto muscolare. Si tratta di vacche da carne, di razze autoctone giapponesi che, fino alla fine della Seconda Guerra, erano confinate in aree marginali ed isolate dell’arcipelago ed allevate in numeri esigui. Si sa che in Giappone le vacche erano presenti sin dal II secolo dopo Cristo, ma la loro diffusione era ostacolata da ragioni economiche: l’ammontare di terreno coltivabile in Giappone è estremamente scarso, e la scelta strategica era tra coltivare il riso o allevare vacche, che – come è noto – hanno bisogno di vaste aree da pascolo per nutrirsi. E così quel materiale che fu
cruciale fino ai temi moderni in tutto il mondo in tutti i campi della manifattura – intendo ovviamente il cuoio – risultava estremamente raro e prezioso. Funi, armature, calzature e quant’altro erano fatti di materie vegetali – e di mangiare carne se ne parlava ogni morte di Papa – cioè praticamente mai dal momento che il Papa in Giappone non c’è. A Kobe, peraltro, si cominciò a sviluppare la produzione di latticini con razze importate dall’Europa per supplire alle esigenze della popolazione europea che venne a stanziarsi nei pressi del porto con l’apertura del Giappone al commercio estero nella seconda metà dell’Ottocento. Oggi la produzione di latte e derivati è per lo più una sorta di curiosità. Ricordo gli ospiti del ristorante annesso ad un allevamento di vacche da latte Holstein fare assaggi di formaggini e ricottine in quantità microscopiche dal momento che i Giapponesi, come peraltro tutti i ceppi di popolazioni di origine asiatica non riescono a digerire latte e derivati. Quello della lattasi è un mistero dell’evoluzione ancora da chiarire. Laddove fra
i cosiddetti caucasici (e ci siamo dentro anche noi europei) l’incidenza dell’intolleranza ai latticini – pur peraltro presente – è contenuta in percentuali minime, raggiunge cifre molto alte fra le popolazioni asiatiche ed africane. Provate ad immaginare: la progressiva impossibilità a digerire il latte – la scomparsa ovvero della lattasi, enzima che ne permette la digestione, sarebbe una strategia dell’evoluzione per permettere gravidanze ravvicinate e dunque la crescita demografica: la progressiva incapacità a digerire il latte farebbe ovvero spazio – per così dire – ad una nuova gestazione ed al nutrimento dei neonati. Questo si applica a tutti i mammiferi: i bovini dal canto loro, producono addirittura ghiandole specializzate nella digestione del latte (le cosiddette «animelle», delizioso piatto scomparso con la crisi della Mucca Pazza) che si atrofizzano per poi sparire con l’età. Perché gli Europei non si siano adeguati a questa strategia evolutiva resta un mistero. Sta di fatto che la persistenza della lattasi ha favorito non da poco la storia evolutiva dell’Occi-
dente. Il latte è una riserva ricchissima di proteine animali. È «portatile» – nel senso che uno si porta dietro chi lo produce e ne utilizza i prodotti alla bisogna – ed è, soprattutto, compattabile e conservabile per lungo tempo. Non solo lo si può rendere ancora più digeribile nella forma fermentata (ovvero già mezza digerita) come è lo yoghurt, ma lo si tesaurizza come formaggio in quelle che sono vere e proprie bombe caloriche: le orde che dal Caucaso ed oltre migravano verso l’Europa cavalcando giorno e notte senza sosta avevano nel formaggio una sorta di arma strategica che permetteva loro di muoversi in continuazione senza dover fermarsi per buttare la pasta – mettiamola così. Che la permanenza della lattasi abbia costituito una mutazione genetica in ultima analisi vincente lo dimostra anche il fatto che presso le popolazioni pastorali africane – che dovrebbero per definizione non essere in grado di digerire il latte – l’intolleranza al lattosio riguarda percentuali minoritarie della popolazione. Significativamente sono proprio le popolazioni pa-
storali nomadi più antiche ad avere le più basse percentuali di intolleranza: solo il 16% fra i Tutsi dell’Uganda ed il 20% fra i Fulani del Sahel che verosimilmente cominciarono ad allevare bestiame attorno al 10’000 a.C., laddove fra i Masai del Kenya che sembra abbiano adottato un’economia pastorale cinquemila anni più tardi la percentuale di malassorbimento di lattosio nei bambini post-svezzamento sale al 62%. Se, come diceva Churchill, in politica una settimana è un lungo periodo, dal punto di vista evolutivo cinquemila anni sono nulla. A meno che non si vada per altre soluzioni al problema. In uno dei rari, rarissimi casi di humour riscontrati nelle terre del Tenno, durante l’assaggio di formaggi a Kobe, uno dei miei studenti mi chiedeva se fosse o meno vero che in Europa si produce il formaggio con i buchi. «Certo – e ce n’è più di una varietà» confermava l’Altropologo. Si mise a ridacchiare imbarazzato coprendosi la bocca e gli occhi come si fa solo da quelle parti: «Peccato che non lo producano anche qui: almeno potremmo mangiare i buchi».
tare nessuna imperfezione. Preferiscono isolarsi piuttosto che guardarsi con gli occhi degli altri, non sempre benevoli. Intorno ai sedici anni, subentra poi, come non cesso di sottolineare, la logica del corteggiamento che scombussola l’ordinamento morale precedente. Se per le bambine valevano i valori della famiglia e della scuola, che richiedono di essere obbedienti, serie e diligenti, per le adolescenti diventa decisivo essere belle, allegre, sicure di sé, amabili e desiderabili. Per alcune è un dato di fatto, per altre una difficile conquista o una rinuncia. Va detto che negli anni successivi subentrano altre doti quali la sensibilità, la generosità, l’affidabilità, la capacità di ascoltare e di vivere insieme ma più tardi, non nell’adolescenza. A quell’età una delusione amorosa, anche se più immaginaria che reale, può costituire una ferita profonda. Poiché, come sempre, prima si interviene meglio è, vi consiglio di rivolgervi per una prima
indicazione al medico di famiglia e/o allo sportello psicologico della Scuola. Nel frattempo fate bene a non concentrarvi sul cibo e sul peso e a non insistere perché Lorena mangi. Il blocco dell’appetito è un sintomo, non una causa. Come dicevo, i motivi sono molteplici e sicuramente aggravati dal compito che l’età evolutiva pone all’adolescente. Così come, nell’infanzia, vi è stato il periodo dei «no» per sottrarsi alla dipendenza totale dalla mamma, con la pubertà subentra l’esigenza di rispondere in modo autonomo alla domanda «chi sono io?» allo scopo di sfuggire alla definizione ricevuta dagli altri e sentita ora come inappropriata. Lorena sta cercando di cancellare l’immagine, per quanto positiva, che l’aveva rinchiusa nella cornice della famiglia e della scuola, per divenire sé stessa, magari diversa da come l’avevate sognata ed educata. È anche per questo che considero particolarmente adeguate le terapie dei
disturbi alimentari che si fondano sul dialogo d’ispirazione psicoanalitica, anche senza negare, ove fosse necessario, il supporto medico e farmacologico. Spesso la domanda di cura non proviene dal soggetto sofferente ma dalla famiglia, dagli insegnanti, dagli amici, talvolta dall’anoressica stessa all’insaputa dei genitori. Non per questo la cura risulta impossibile perché il desiderio di vivere e di guarire viene sollecitato dall’accoglimento competente e sensibile dello psicoterapeuta. In questi casi risulta particolarmente favorevole la terapia di gruppo che consente all’egocentrismo dell’adolescente di sciogliersi nel «noi» del dolore condiviso.
e, dall’ambito economico, aziendale, sindacale, si sposta su quello umano, in senso lato, con implicazioni d’ordine morale e psicologico, per collocarsi, infine, su quello storico. Il fatto che, oggi, coppie, in cui entrambi i partner svolgono un’attività professionale soddisfacente e ben retribuita, optino per il part-time, accettando le limitazioni che comporta, delinea una svolta, per certi versi rivoluzionaria, nel costume contemporaneo. Se può sembrare una moda di tipo alternativo, un po’ snob, in realtà, supera le barriere dei ceti e degli ambienti, sollecita tutti attraverso il contagio tipico della società di massa. Riassumendo, il lavoro ha perso la centralità che aveva persino creato una particolare tipologia umana. Che fine ha fatto lo «Yuppie» (young, urban, professional)? S’impose, agli inizi degli anni 80. Da Wall Street e dalla City londinese, approdò sulle rive del Ceresio, trovando imitatori nella Lugano, terza piazza
finanziaria elvetica, che si popolò di improvvisati finanzieri, broker o affini: non sempre di successo. Anzi, si parlò di «Work alcoholism», la dipendenza patologica dal lavoro, che provocò suicidi, nel mondo finanziario anglosassone. È una stagione esaurita, priva ormai dei suoi riferimenti ideologici – carrierismo di marca capitalista, da un lato, e stakanovismo sovietico, dall’altro – alla quale ne sta subentrando un’altra, di cui il part-time è un’anticipazione promettente. Grazie alla flessibilità aziendale, nell’ambito pubblico e privato, aumenta la schiera dei lavoratori al 70, 50, 30 per cento, che diventa maggioritaria. Nelle scuole, gli insegnanti a orario pieno sono già una minoranza esigua. Ma anche nelle redazioni, e in generale negli uffici, nei negozi, nei bar prevale la scelta di un’attività ridotta, a cui, ovviamente, corrisponde un salario decurtato. Qualcosa che, un tempo, significava una sconfitta, una perdita di prestigio
e prospettive: lavori meno, guadagni meno, conti meno, vivi peggio. Oggi, vale il contrario. Ma qui, a separare mentalità e comportamenti, interviene il gap generazionale. Per effetto dell’età, c’è chi stenta a dare al tempo libero lo stesso valore che spetta al tempo di lavoro, accettando, senza eccepire, lo sdoganamento dell’ozio, momento creativo. Superando queste perplessità senili, c’è da augurarsi che del part-time si sappia fare il miglior uso, in una quotidianità liberata dalla fretta e dallo strafare e consegnata ai piaceri dei weekend e delle ferie prolungate. Sempre che non ci si debba trovare alle prese con un nuovo stress: quello da tempo libero, provocato dalle attività destinate a riempire il vuoto lasciato dal lavoro. Si leggono, infatti, programmi da capogiro. Insomma, sfacchinate, sia pure volontarie. E viene il sospetto che faticare, in una forma o nell’altra, appartenga alla condizione umana.
La stanza del dialogo di Silvia Vegetti Finzi «Mia figlia ha smesso di mangiare» Gentile Silvia, mia figlia Lorena è stata sino a poco tempo fa una ragazza meravigliosa: buona, brava, bella, sensibile e intelligente. Dagli insegnanti (ora fa la seconda Liceo) non abbiamo ascoltato altro che lodi. Era, è vero, leggermente sovrappeso ma non ne abbiamo mai fatto un problema. Credo che ultimamente abbia ricevuto qualche critica, forse qualche sarcasmo via Internet, fatto sta che ha reagito smettendo quasi completamente di mangiare. Un po’ di frutta è tutto quello che accetta di inghiottire. Inutile dire che il rendimento scolastico è calato drasticamente e che in classe ha qualche momento di assenza mentale. Ora è decisamente magra, il viso pallido, gli occhi circondati da profonde occhiaie. Frequenta la scuola ma ha rotto tutti i rapporti col suo gruppo di amici. Anche con noi (genitori e una figlia minore) parla pochissimo e cerca ogni pretesto per non venire a tavola. Abbiamo tentato in ogni modo di convincerla a nutrirsi
senza opprimerla, colpevolizzarla o minacciarla. Ma, a questo punto, ci sentiamo impotenti. Che cosa possiamo fare? / Genitori preoccupati Mi scuserete se, per motivi di spazio, userò subito una parola che avrei preferito evitare: anoressia, il più serio dei disturbi alimentari che, in questi anni, esprimono il disagio di vivere, soprattutto femminile. Sembra una diagnosi semplice ma in realtà si rivela sempre più complessa e problematica implicando cause epocali, ambientali, fisiche, psichiche e, soprattutto relazionali. È vero che la moda e il costume propongono ideali di bellezza femminile eterea, incorporea e disincarnata. Ma è anche vero che lo sport, lo spettacolo, la moda stessa offrono anche modelli alternativi. Spesso le ragazze che incorrono in disturbi alimentari sono state, come Lorena, figlie perfette e allieve di successo. In questi casi sono divenute così esigenti con sé stesse da non accet-
Informazioni
Inviate le vostre domande o riflessioni a Silvia Vegetti Finzi, scrivendo a: La Stanza del dialogo, Azione, Via Pretorio 11, 6900 Lugano; oppure a lastanzadeldialogo@azione.ch
Mode e modi di Luciana Caglio Lavorare meno per vivere meglio Il nuovo, come sempre, disorienta. È, adesso, la volta dei «sottoccupati», che rappresentano una recente categoria di lavoratori che cresce, a gran ritmo, anche da noi, suscitando giudizi imbarazzanti. Sono le vittime di tempi difficili o i protagonisti di scelte, rese possibili da questi stessi tempi, sono profittatori, sospettabili di pigrizia, o anticipatori di altri, e sollecitanti, stili di vita? Secondo i dati dell’Ufficio di statistica, nel giro di un decennio, in Ticino, i sottoccupati sono raddoppiati, passando da 8’400, nel 2004, a 17’400, nel 2015, cioè un lavoratore su dieci. Si parla, quindi, di fenomeno: da mettere in conto alla crisi, spauracchio, che, nel Cantone, alimenta timori ingigantiti dalle speculazioni politiche. Sia chiaro, in questo caso, i frontalieri, gran tormentone locale, non c’entrano. I sottoccupati sono, in maggioranza, cittadini svizzeri o residenti, che, spesso, hanno alle spalle una buona formazione professionale e culturale,
magari la laurea. E, com’era prevedibile, a infoltire la categoria sono soprattutto le donne. Particolare, quest’ultimo, che attribuisce alla sottoccupazione una ben altra fisionomia: non più quella di un ripiego, in mancanza di meglio, bensì di una conquista meritata, di cui a ragione approfittare. Tanto che la denominazione stessa è cambiata: non si parla più di sottoccupazione come ripiego, ma di part-time come scelta volontaria. Il discorso, a questo punto, si allarga
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 22 maggio 2017 • N. 21
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Ambiente e Benessere Quando la natura fa per sé Chi forma davvero un bosco naturale sono molti alati e altrettanti terrestri
Una festa antica in Camargue A Saintes-Maries-de-la-Mer, il popolo dei Romaní si unirà il 24 e 25 maggio per il grande abbraccio con Sara-la-kali, la nera, una santa non santa
Tra Rolls Royce e Delage Dal 26 al 28 maggio andrà in scena il Concorso d’Eleganza di Villa d’Este a Cernobbio pagina 19
Protezione animali La densità normativa della legislazione svizzera pare aver raggiunto i suoi limiti
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Alla ricerca dell’animalità umana Scienza e filosofia L’umanesimo
ci ha collocati fuori dal mondo animale
Lorenzo De Carli Felice Cimatti è un filosofo italiano che da anni sta riflettendo su come pensano gli animali non umani. A questo tema specifico aveva dedicato un libro intitolato La mente silenziosa. La convinzione di Cimatti è che mente e linguaggio non sono una prerogativa della specie homo sapiens, ma sono presenti in forme e gradi diversi in molte altre specie di animali, dalle api agli scimpanzé. Scienza che studia i segni, la semiotica prevede che dietro ogni segno ci sia un’intesa tra chi ne fa uso, una comune consapevolezza che quel segno «significa» qualcosa, vale a dire che «sta per» qualcos’altro. I segnali che gli animali usano per la comunicazione intraspecifica e interspecifica sono già espressione per così dire di «alto livello» dell’uso dei segni per comunicare perché la comunicazione per mezzo dei segni è già una caratteristica della vita stessa. Cimatti l’ha osservato studiando a fondo l’opera di un oncologo che fu anche grande studioso di semiotica: Giorgio Prodi, prematuramente scomparso nel 1987. Per Prodi, c’è una continuità accertata tra come comunicano le cellule e come comunicano gli organismi che esse formano. Lo sforzo di cercare gli elementi comuni tra le forme di comunicazione che contraddistinguono gli organismi non ha impedito a Cimatti di sottolineare anche le forti differenze. Proprio nelle pagine del suo studio dedicato a come pensano gli animali non umani, Cimatti ha sottolineato con forza la loro radicale differenza da noi: «può sembrare paradossale, ma credere che gli animali non umani abbiano pensieri in qualche modo simili ai nostri – come vogliono gli animalisti, per esempio – significa non rispettare la loro diversità. Significa, in sostanza, continuare a credere che l’essere umano rappresenti il vertice del mondo naturale». La nuova tappa della ricerca di Felice Cimatti sul nostro rapporto con gli
animali è il saggio intitolato Filosofia dell’animalità. Per Cimatti è innanzitutto una nuova occasione per dichiarare chi siamo noi: «una scimmia che si parla». Noi siamo quella specie di ominide che, a un certo punto della sua evoluzione, è stata per così dire infestata dal linguaggio. Adattamento che ci ha permesso di sviluppare abilità che ci hanno reso la specie dominatrice del pianeta, il linguaggio ci ha parassitati. Il risultato è stato che il linguaggio è diventato il nostro ambiente naturale, come l’aria per gli uccelli e l’acqua per i pesci. Il vantaggio evolutivo che ci ha conferito il linguaggio è senza paragoni. Esso non consiste solo nella possibilità di trasmettere informazioni o di tramare inganni (ciò che fanno bene anche alcune specie di scimmie), ma anche nella possibilità di dar forma a una sorta di mondo parallelo, nel quale il mondo reale si specchia e dove noi possiamo applicarci in attività predittive. Il linguaggio, cioè, è quel dominio virtuale dove ciascuno di noi, sulla base dell’esperienza personale, può fare ipotesi in ordine a che cosa accadrebbe se facesse questa o quella azione. È un potentissimo strumento di prefigurazione del futuro. Filosofo che riflette sul comportamento degli animali, Cimatti ci fa osservare che l’effetto prodotto in noi dal linguaggio è stato anche quello d’indebolire la nostra relazione con la realtà che ci circonda, ponendoci pressoché costantemente in una condizione tale, da distrarci dal «qui e ora» – adesione al quale, viceversa, caratterizza proprio la vita animale. Non c’è animale che non viva nel presente, scevro dalle preoccupazioni che porta con sé la capacità di fare ipotesi su quello che, nel futuro, potrebbe accadere perché non c’è altro animale, fuorché homo sapiens, che, abitato dal linguaggio, vive sempre in un altrove che è l’altrove del suo universo linguistico. La tradizione filosofica, cui si oppone Cimatti, ha sempre visto l’animale come un essere da meno rispetto noi
Il filosofo del linguaggio, Felice Cimatti, studia come pensano gli «animali non umani». (Felice 59)
umani. Un essere, per così dire, intontito, stordito perché sopraffatto dalle cose che lo attorniano e che non può immaginare diverse da quelle che sono. Viceversa, secondo Cimatti, l’animale gode della pienezza del vivere in totale adesione al presente, del tutto privo della perturbazione del futuro, senza aspettare nulla. L’animale umano, invece, non appena comincia a prendere dimestichezza con il linguaggio, vive in una seconda natura fatta di segni linguistici, una seconda natura dove si trasferisce quando deve comunicare non solo con gli altri ma anche con sé stesso. E il sentimento d’insufficienza e d’inadeguatezza prodotto dalla vita nel linguaggio è tanto più inquietante, in quanto il transito che facciamo nel dominio del linguaggio è irreversibile: appreso a vedere il mondo attraverso la descrizione fattane con il linguaggio, non potremo più vederlo in altro modo, non avremo
più esperienza dell’«animalità». D’altronde, in assenza di linguaggio non ci sarebbe neppure un soggetto che possa dire «io» e, in tal modo, sentire d’essere un soggetto che abbia qualcosa da dire a proposito della sua esperienza di vita. Proprio perché studioso di come gli animali comunicano tra loro e tra specie diverse, Cimatti si chiede se potremmo mai liberarci degli effetti trascendentali del linguaggio, vale a dire di quella sua caratteristica di portarci sempre altrove rispetto al «qui e ora», e nella sua riflessione filosofica avanza l’ipotesi che l’arte, o la poesia, così come l’estasi contemplativa possano essere strumenti per spogliarci del linguaggio, mettendoci a contatto di una animalità umana costantemente emarginata perché inquietante. Cimatti cita due racconti di Franz Kafka: Una relazione per un’Accademia e Desiderio di diventare un indiano. Nel primo una scimmia fatta prigioniera
apprende il linguaggio umano e in questo processo rinuncia alla propria animalità; nel secondo il narratore invidia l’indissolubile connubio tra l’indiano e il cavallo che cavalca in una simbiosi così stretta da annullare la differenza tra umano e animale. I due racconti servono per additare due condizioni opposte: la perdita dell’animalità nel linguaggio e l’esperienza dell’animalità in un’azione a stretto contatto con l’animale. Proprio riflettendo su questo secondo racconto, in Filosofia dell’animalità Cimatti suggerisce che una relazione con gli animali scevra della volontà di usarli, potrebbe essere il primo passo per riscoprire la nostra animalità. Ma se avesse fatto riferimento al più famoso dei racconti di Kafka, La metamorfosi, forse l’autore avrebbe convenuto che, se mai dovessimo tornare a fare esperienza dell’animalità sarebbe un viaggio senza ritorno, un’esperienza inaccessibile al linguaggio.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 22 maggio 2017 • N. 21
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Ambiente e Benessere
Chi ha smarrito una ghianda?
Alberi Quando lo sviluppo del bosco è favorito da molti animali veicolatori dei semi
Alessandro Focarile Ai primi accenni della primavera e fino a una certa altitudine, le pendici dei monti mostrano precoci apparenze di colori, che si stagliano isolate sullo sfondo ancora grigio e invernale. Sono i tenui gialli dei noccioli (alcuni già fioriti nel tardo dicembre!), e poi dei salici. Essi inaugurano la sinfonia cromatica, con le infinite tonalità del verde, che si ripete ogni anno nell’esprimere il rinnovarsi della vita. Nel tempo, seguono gli avori rosati dei ciliegi, e dopo alcune settimane i bianchi amenti dei castagni.
Esiste un bosco mai piantato dall’uomo e la cui origine è facilitata da molti abitatori delle selve Esiste un bosco mai piantato dall’uomo e la cui origine è facilitata da molti protagonisti abitatori delle selve. Ma per parlare di uomini e boschi è inevitabile ricordare l’epopea di Elzéard Bouffier (del racconto L’uomo che piantava gli alberi), magistralmente narrata dal famoso scrittore francese Jean Giono. L’avventura umana di un oscuro contadino-pastore del Midi. Il quale, con un lavoro durato un trentennio (19001930 circa) aveva avuto il coraggio e la costanza, sorretti da una profonda consapevolezza del lavoro intrapreso, di trasformare una desolata landa dell’alta Provenza battuta da un vento incessante, in un bosco! E lo fece piantando centinaia di migliaia di alberi, sperimentando innumerevoli insuccessi, ma vedendo infine coronare i suoi sogni, quando riuscì a dare nuova vita a un territorio abbandonato dall’uomo durante molti secoli: «Ma se metto in conto quanto c’è voluto di costanza nella grandezza d’animo e di accanimento, nella generosità per ottenere questo risultato, l’animo si riempie di un enorme rispetto per quel vecchio: contadino senza cultura, che ha saputo portare a buon fine un’opera degna di Dio.» (Giono 2011). A livello europeo è stato certamente un caso isolato. Ma i veri protagonisti nella formazione di un bosco naturale sono molti alati e terrestri: ghiandaie, corvi e cornacchie, cince e lucherini, fringuelli, merli e tordi, nocciolaie d’alta quota, topolini e scoiattoli, i quali
In alto: Semi di faggio (faggiole); accanto, una Ghiandaia (Garrulus glandarius). (Keystone)
con la loro fame e il loro bisogno ancestrale di perpetuarsi, sono spesso all’origine della nascita dei tanti alberi che formano un bosco. Talvolta, osserviamo come taluni di essi sono visibilmente «fuori posto». Sono immersi, più o meno isolati, in una compagine arborea la quale, con le sue dominanze, mostra di essere per contro «al suo posto» trovando le condizioni ecologiche ottimali di impianto: per la posizione geografica, l’altitudine, l’esposizione (e quindi l’insolazione), la natura del suolo, l’apporto di acqua, di calore, e per il sufficiente nutrimento organico e minerale, grazie alla vitalità dell’humus. Parliamo di salici, pioppi, ontani, aggregati misti di latifoglie, castagni (che hanno quasi sempre soppiantato i querceti con roveri e farnie per l’opera dell’uomo). Una pineta, una faggeta, un’abetaia, una rossa fiammata di sorbi e, infine, un lariceto accompagnato magari dal pino cembro. Ciascuna di queste formazioni arboree registra nel tempo e nello spazio la vocazione naturale di un territorio. Vocazione che è lo specchio delle differenti esigenze ecologiche, che giustificano la loro esistenza, sempre
dinamica. Seguendo questo profilo dal piano ai monti, che si sviluppa dai 200 metri delle rive dei laghi e della piana di Bellinzona fino ai 2000 metri delle Alpi ticinesi. Durante i loro incessanti spostamenti via aria e via terra, uccelli e altri animaletti silvestri possono smarrire o dimenticare i semi raccolti. Per tale ragione possiamo spesso osservare l’insediamento di alberi che vengono a trovarsi in ambienti a loro estranei. Come qualche castagno isolato in alta Leventina (Giof, di fronte a Madrano / Airolo). Oppure aceri e sorbi nelle peccete (Picea abies) della Valle Bedretto fino a 1800 metri di quota. O ancora, insoliti e cospicui aggregati arborei dominati dai sorbi che, qua e là rosseggiano vistosamente con le loro bacche laccate nell’autunno, al limite superiore del bosco. Chi ha creato questi boschi di sorbi? Gli uccelli, ghiotti delle bacche. La betulla, un albero gentile e all’apparenza delicato, è stato un robusto pioniere, insieme con il pino silvestre, nella formazione dei primi boschi che andavano popolando le nuove terre dopo il ritiro delle ultime retroguardie glaciali nei fondivalle, diecimila anni or sono. Nel tardo autunno, quando i Scoiattolo (Sciurus vulgaris). (Alessandro Focarile)
frutti delle betulle sono maturi, cince, fringuelli e lucherini si danno da fare per disperderne i semi. Gli scoiattoli, comodamente seduti su una vecchia ceppaia, durante i loro banchetti possono dimenticare qualche seme, e l’humus del legno marcescente favorirà la germinazione di un nuovo abete. Arvicole e topolini creano talvolta magazzini di semi di faggio (le faggiole, vedi foto in alto) tra i sassi nel bosco. Qualcuno, dimenticato, germinerà, e un nuovo faggio arricchirà la selva. I semi contengono l’embrione di una nuova pianta. Diffondere i semi lontano dalla pianta madre, impedisce che essa debba dividere le risorse alimentari presenti in un territorio, talvolta molto limitato. Questo può diventare insufficiente, e quindi carente per garantire la «sopravvivenza di una nuova generazione» (Mancuso, 2015). La diffusione dei semi può avvenire in virtù di differenti fattori fisici (acqua, vento) e biologici. Conosciamo i semi leggeri e fluttuanti paracadutati dal vento, come quelli del soffione (Taraxacum officinale), dei pioppi e dei salici, che provocano le primaverili allergie. Semi trasportati all’interno di «ali», come in certe conifere (abeti,
pini, larici – ma non nel pino cembro – aceri e tigli). Conosciamo, inoltre, alcune specie di formiche (dette «mietitrici»), che immagazzinano semi nelle loro dimore: micro-ambienti ideali per la germinazione a prova di acido formico. E, infine, la diffusione dei semi può avvenire perché trasportati da animali pennuti o pelosi. Gli uccelli sono ghiotti di bacche e quindi di semi. Per fare qualche esempio: dell’edera, i frutti maturano durante l’inverno (quando c’è scarsezza di cibo) e sono il cibo preferito dei tordi e dei merli. Le ghiandaie, durante i loro voli dimenticano o smarriscono qualche castagna, nocciola o ghianda. E la nocciolaia (Nucifraga caryocatastes – v. «Azione» del 21.03.2016, n° 12) ha accumulato troppi semi di pino cembro per potersene interamente nutrire, rendendo possibile la germinazione e la nascita di nuovi alberi. Le ciliegie selvatiche (Prunus avium), oltreché dagli uccelli, sono appetite dal topo quercino (Eliomys quercinus, foto). Il rosso delle ciliegie mature attira tutti questi esseri, che si nutrono del frutto e diffondono i semi insieme con le loro feci, un ottimo fertilizzante. È un sistema molto efficiente e prezioso per le piante, che siano alberi o arbusti. La maturazione dei frutti è un fattore rilevante in quanto il frutto acerbo contiene anche sostanze tossiche sgradevoli per l’alimentazione e il seme non è ancora maturo. Grazie a questo meccanismo, la pianta si difende dalla precoce predazione animale prima che i semi siano maturi (Mancuso, 2015). In taluni casi, il passaggio nello stomaco (produttore di enzimi) facilita la distruzione della parte legnosa del seme stesso, favorendone la germinazione. Semi, alberi, boschi. L’uomo. Una lunga avventura insieme. Bibliografia
Topo quercino (Eliomys quercinus). (Luciano Santini)
Jean Giono, L’uomo che piantava gli alberi, Salani Editore (Milano), V ristampa 2011, (300mila copie vendute), 51 pp. Luciano Santini, I roditori italiani di interesse agrario e forestale, Consiglio nazionale delle ricerche (Roma), 1983, 168 pp.
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Ambiente e Benessere
Sara la Nera, la santa non santa dei Gitani Reportage Un viaggio nella Camargue più antica, quasi esoterica, vista attraverso la festa
di una divinità tzigana che ha luogo alla fine di maggio a Saintes-Maries-de-la-Mer
Amanda Ronzoni, testo e foto Non è mai stata proclamata santa dalla Chiesa. Eppure il suo popolo, quello dei Romaní, per lei torna qui ogni anno, il 24 e 25 maggio, per un rito collettivo dal sapore antico. Di strada, ne fanno tanta, da ogni dove. Con ogni mezzo. Una festa di colori, canti e suoni. Rom, Manouche, Gitani, Sinti. Con carri tradizionali, roulotte moderne, camper super attrezzati. Tutti in Camargue, a Saintes-Maries-de-la-Mer, per il grande abbraccio con Sara-la-kali, la nera. Portano a far battezzare i nuovi nati, tornano per incontrare vecchi amici, per cantare e ballare, e per pregare. La Camargue è una terra fertile. In tutti i sensi. Ricca di biodiversità, come una regione umida sa essere. È il più grande delta fluviale dell’Europa occidentale. Già nel 1928 venne creata una riserva zoologica e botanica; nel 1970 fu creato il Parco Naturale Nazionale della Camargue; dal 1997, con successiva modifica del 2006, l’area rientra nel programma MAB (Man And Biosphere) e quindi nella rete di riserve della biosfera UNESCO. Plasmata di continuo dalle piene del Rodano, la regione è in continua espansione sul mare e i suoi confini fluidi. Ricca e fertile da secoli gli uomini
cercano di domarla con argini e coltivazioni, ma non sarà un caso se i suoi animali-simbolo, il cavallo Camargue e il toro, vengono allevati in branchi lasciati allo stato brado. È una terra di contaminazioni: acqua dolce che si mischia a quella salata. Le piante tipiche sono le tamerici, la salicornia e la lavanda di mare, adattatesi perfettamente a questo ambiente misto. Ma proliferano anche salici e canneti. Questi ultimi, a ridosso degli stagni di acqua salata, sono rifugio ideale per i tanti uccelli che popolano o transitano da queste parti. In Camargue si trovano ben 400 specie diverse, tra cui il fenicottero rosa, che qui tornano ogni anno a celebrare il ciclo della natura. In questo trionfo, Saintes-Mariesde-la-Mer, cuore della regione, ospita nella chiesa di Notre-Dame-de-la-Mer le statue di Sara e delle due Marie, Salomé e Jacobé, che in fuga dalla Palestina dopo la morte di Cristo, insieme a Maria Maddalena, approdarono alle coste francesi sospinte dalla provvidenza. Secondo alcune versioni, Sara, ancella delle due sante, di origine egiziana, fece il miracolo stendendo il proprio mantello, permettendo così al gruppo in fuga di raggiungere la salvezza. Altre vulgate la vogliono una giovane e ricca donna pagana del posto che accolse le
due sante e si convertì al culto cristiano. C’è poi chi, alla Dan Brown, le accredita come illustri genitori nientemeno che Gesù di Nazareth e Maria Maddalena. In questo caos di storie e leggende, l’unico dato certo resta la devozione del popolo Romaní per Sara, santa non santa. Nei giorni di festa, che cadono appunto il 24 e 25 maggio di ogni anno, le statue di Sara e delle due Marie vengono fatte uscire dalla chiesa per un abbraccio collettivo, una sorta di battesimo di massa in mare che rievoca le antiche vicende e purifica. Una processione colorata e festante scorta le vesti-
gia fino alla spiaggia, tra ali di gardien della Camargue sui cavalli bianchi e arlesienne nei loro abiti eleganti. La festa qui è di tutti e per tutti. Complice anche la filantropia del marchese Folco de Baroncelli-Javon, nobile di origine toscana, che si prese a cuore il rilancio delle tradizioni della Camargue. Il marchese incoraggiò il culto gitano e nel 1935 ottenne dalle gerarchie ecclesiastiche locali che i devoti potessero portare la statua di Sara in processione. Di lì, l’evento prese ad avere un richiamo sempre più ampio e il culto di Sara sopravanzò quello delle due Marie.
Gitani, turisti, fotografi, vecchi e bambini, cavalli, cani, tutti in acqua per ricevere la benedizione. Il movimento della folla è corale e inarrestabile. Le chitarre gitane risuonano insieme agli applausi e alle grida «Vive les Saintes Maries, Vive Sainte Sarah». I bambini in spalla o in braccio vengono elevati e avvicinati il più possibile alle statue, mentre il vescovo li benedice. Canti, balli, pianti di gioia. La bella chiesa di Notre-Dame-dela-Mer, edificata tra il IX e l’XI secolo, ha una struttura fortificata. Sorta in epoca in cui i pirati saraceni usavano comparire all’improvviso dal mare, ha una passatoia sul tetto per le ronde di guardia. Oggi è un punto privilegiato da cui osservare la gente che viene e che va tra le strette vie del paese inseguendo la processione. All’interno della chiesa c’è anche un pozzo dell’acqua, provvidenziale in tempi d’assedio. Nel 1448 nel corso di alcuni scavi, vennero rinvenuti i resti delle due sante. Venerate per secoli, le reliquie, riconosciute con tanto di bolla papale, furono distrutte durante la rivoluzione francese. Una teca di legno con dipinta la loro storia ospita due statue che le raffigurano a bordo di una piccola barca. Custodita in una nicchia sopra l’altare, ogni anno in occasione delle celebrazioni, la teca viene fatta scendere con delle carrucole e le Marie tornano al loro bagno di folla. La cripta, invece, è riservata alla statua di Sara, vestita con mantelli sfarzosi. I devoti le portano gioielli e regali per invocarne la protezione. Il caldo è soffocante, per le candele e la quantità di persone che si accalcano, in fila, per un abbraccio con la santa. Si dice che la statua assorba così le energie negative, che verranno lavate via durante il bagno purificatore in mare. Sara non sarà mai entrata nel novero dei santi del calendario, ma alle migliaia di persone che accorrono da ogni dove, considerata la quantità di iscrizioni di ringraziamento e gli ex-voto che appaiono tutt’intorno alla sua statua, la mancanza di un imprimatur ufficiale non sembra importante affatto.
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Ambiente e Benessere
Una sfilata di Miss a quattro ruote Motori Dal 1929 si tiene a Cernobbio il premio dedicato alle auto più belle, ma oggi i collezionisti
si interessano anche dei modelli ecologici
Mario Alberto Cucchi Tra gli eventi nel mondo che celebrano l’auto è probabilmente quello con la maggior tradizione. La prima edizione del Concorso d’Eleganza Villa d’Este si è, infatti, tenuta nel 1929. Quell’anno a Cernobbio, in provincia di Como, è stata organizzata una mostra dedicata alle novità del settore automobilistico: la Coppa d’Oro Villa d’Este. La tradizione continua e anche quest’anno dal 26 al 28 maggio, a pochi chilometri dal confine svizzero, si danno appuntamento i più importanti collezionisti di auto d’epoca.
L’appuntamento con il Concorso d’Eleganza è per fine maggio, dal 26 al 28 alla Villa d’Este, sul lago di Como Provengono da 16 Paesi diversi i proprietari delle 51 vetture costruite tra gli anni Venti e gli anni Ottanta che suddivise in diverse categorie sfileranno a Villa d’Este e a Villa Erba. Il motto per il 2017 è: Il giro del mondo in 80 giorni – Viaggio attraverso un’era di primati. «Si ispira all’epoca del 19° secolo, quando il mondo stava diventando sempre più dinamico», spiegano gli organizzatori della kermesse. «Prima che fosse inventata l’automobile, i primi avventurieri avevano già concluso con successo il
Una delle auto d’epoca esposte nel 2016.
giro del mondo con altri mezzi di trasporto, come il treno e la nave a vapore». I modelli in gara sono davvero molto diversi l’uno dall’altro. Motori da uno, fino a dodici cilindri con potenze da 1,5 a 450 cavalli. Il propulsore con la cilindrata maggiore è quello di una Rolls-Royce Phantom I con i suoi 7668
cc mentre quello più piccolo di soli 493 cc è nel cofano di una rara Intermeccanica. Pezzi da museo? Senz’altro lo sono per rarità ed eleganza ma in questo concorso le automobili sono tutte marcianti e funzionanti e spesso i conducenti indossano abiti dell’epoca. Il risultato
è affascinante: sembra proprio di trovarsi proiettati indietro nel tempo. Al Concorso d’Eleganza la natura con i suoi verdi alberi lussureggianti e le acque blu del lago di Como non è solo uno sfondo. Negli ultimi anni a Cernobbio non vengono esibiti solo veicoli d’epoca ma
anche prototipi avveniristici e rispettosi dell’ambiente. Ad esempio nel 2016 il pubblico è stato conquistato dalla stupenda Pininfarina H2 Speed. Una sportiva disegnata in Italia, alimentata a idrogeno e dotata di monoscocca in carbonio. A chi toccherà quest’anno? Di sicuro si sa che molti tra i collezionisti di auto presenti hanno in garage almeno un’auto elettrica o ibrida. Quindi al Concorso d’Eleganza si parla anche di ecologia. Non se ne può fare a meno. Basti pensare che proprio in questi giorni in occasione della Confederation of Indian Industry Annual Session di New Delhi, le autorità locali hanno avanzato l’ambizioso progetto di veder circolare sulle strade soltanto auto elettriche, ibride e ibride plug-in entro il 2030. Il piano rientra nella visione del Premier, Narendra Modi, che prevede la graduale eliminazione di modelli a benzina e a gasolio per ridurre praticamente a zero l’inquinamento provocato dalle automobili nelle metropoli indiane. L’Europa non è da meno. In base a un report diffuso da Bloomberg, le vendite continentali dei veicoli a zero emissioni sono infatti cresciute del 38 per cento nel primo trimestre del 2017 per un totale di 32’627 unità. A trainare l’incremento delle elettriche è soprattutto la bestseller Renault Zoe che ha recentemente beneficiato di un aumento dell’autonomia. La Zoe va meglio di Nissan Leaf, BMW i3, Tesla Model S, Peugeot iOn, Citroën C-Zero e Mitsubishi i-MiEV. Annuncio pubblicitario
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 22 maggio 2017 • N. 21
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Ambiente e Benessere
Il timballo dolce-salato
Gastronomia Piatto ricco e sontuoso, è adatto da portare in tavola quando si hanno molti invitati
Prende il nome dalla parola timpano ed è una preparazione antica, arabo-andalusa medievale Si noti che all’inizio ho parlato di «frolla o brisée». La brisée non dovrebbe destare nessuna sorpresa, la frolla invece sì, dato che è dolce. Quindi involucro dolce e contenuto salato? Esattamente. Ed è proprio questo retaggio del Medioevo – quando il dolce più il salato imperavano alla grande – che me lo rende così caro. Poi, a essere pignoli fino in fondo, io utilizzo non una frolla classica ma una sua variante, detta pasta sablé, fatta con poco zucchero ma unendo anche mandorle. Onestamente devo però dire che credo di essere l’unico, in Italia, a fare il timballo con la sablé… Diciamo che è un mio piccolo snobismo mentale. Comunque ecco la ricetta della pasta sablé. Setacciate 250 g di farina con un pizzico di sale, disponetela a fontana e mettete al centro 2 tuorli, 75 g di zucchero e 150 g di burro tiepido tagliato a dadini. Aggiungete 40 g di mandorle dolci spellate e tritate, quindi amalgamate il composto prima con una forchetta, poi con la punta delle dita. Non lavorate la pasta a lungo per non scaldarla, se necessario aggiungete uno o due cucchiai di acqua fredda. Avvolgete la pasta sablé in pellicola per alimenti e fatela riposare al fresco per 30’.
Marka
Qualche anno fa condivisi con voi, in un Come si Fa, la ricetta del timballo, ma dato lo spazio ridotto la affrontai un po’ sbrigativamente. Dato che è una meraviglia della cucina, vale certamente la pena di riproporvela in modo più approfondito. Il timballo è l’essenza della cucina della festa, ricco e sontuoso come in tutte le ricorrenze dovrebbe essere. È un piatto unico, ricchissimo e bellissimo, che seduce il palato ma anche la vista (e nondimeno gli altri sensi). Più che un piatto è un modo di presentare una preparazione. È uno sformato di pasta condito con un ricco sugo, racchiuso in un involucro di pasta frolla o brisée e cotto in forno. Questa è la versione di base. Poi a volte la pasta viene sostituita da riso o anche da patate e i sughi possono essere di qualsiasi tipo. E poi si chiama timballo qualunque preparazione inserita in un involucro. Però, almeno per me, il timballo è una «cosa» ripiena di maccheroni conditi con un ricco ragù al pomodoro. Ove per maccheroni si intende, come si usa al Sud, qualsiasi tipo di pasta, lunga o corta, liscia o rigata. È una preparazione antica, araboandalusa-medievale; l’etimo è arabo e fa riferimento al timpano, inteso come strumento musicale: che in effetti assomiglia molto a questa preparazione. È diffuso un po’ in tutta l’Italia, ma il suo luogo di elezione è Napoli. I sinonimi sono tanti, fra i più diffusi, il pasticcio: che però dà un’idea di disordine che non è per niente consona a questo piatto così importante. Il timballo l’ho scoperto tardi: in casa non se ne era mai, non dico fatto, ma neanche parlato. L’ho scoperto, come molti, leggendo Il gattopardo di Tomasi da Lampedusa e poi vedendo il film. Tomasi, come dire, sapeva scrivere e la sua evocazione del timballo offerto dai principi nel Palazzo di Donnafugata è meravigliosa: è diventata un canone letterario – e poi cinematografico.
Lo preparo abbastanza spesso. Quando ho tanti ospiti, ovviamente, ma questa è cosa che non amo: trovo dispersivo avere oltre le sei persone a tavola. Comunque si può fare senza problemi anche per sole sei persone. Lo faccio soprattutto perché è «comodo», nel senso che tutta la preparazione è fatta prima, alla fine basta passarlo in forno; e poi è praticamente un piatto unico, bastano antipasti e dolci per nutrire gli amici alla grande.
CSF (come si fa)
Kagor
Allan Bay
E vediamo come si fa uno dei timballi che io amo preparare, e che chiamo «matto» perché lo sembra… Sostanzialmente, è un’evoluzione di un mio amato ragù, fatto con lumache precotte, che essendo callose poi le senti comunque sotto il dente, una salsiccia grassa che dona, appunto il suo grasso, e le amatissime rigaglie di pollo che io metterei e metto ovunque o quasi. Per il ragù necessario per sei persone:
tagliate a dadini 1 cipolla, 1 carota e 1 gambo di sedano, stufateli con poca acqua per 30’, mescolando. Private 200 g di salsiccia del budello, spezzettatela, mettetela in un tegame e unite 200 g di lumache precotte e divise a metà, 200 g fegatini e cuori di pollo spezzettati e 2 spicchi di aglio pelati e leggermente schiacciati. Cuocete per 10’ mescolando, poi sfumate con 1 bicchiere di vino bianco sobbollito per 3’, unite le verdure stufate e 1 cucchiaino di concentrato di pomodoro stemperato in poca acqua e cuocete per 10’, mescolando e unendo poca acqua bollente se necessario. Levate l’aglio, profumate con abbondante basilico spezzettato a mano o prezzemolo e regolate di sale. Tagliate a dadi 200 g di mozzarella e fateli scolare per 30’ in un colino. Cuocete 3 uova in acqua bollente per 6’,
scolatele in acqua e ghiaccio, tenetele in questa acqua fredda per 10’ poi sgusciatele. Lessate 600 g di pasta a piacere (io utilizzo i calamari, che sono grossi rigatoni spessi e rugosi divisi a metà; a volte uso le candele spezzate) in abbondante acqua salata al bollore e scolateli a metà cottura, versateli in una grossa ciotola, conditeli con il ragù, abbondante grana grattugiato e la mozzarella. Regolate di sale e di spezie a piacere: meglio se abbondate con le spezie. Mescolate il tutto e versate in un tegame largo foderato di pasta frolla o sablé; mettete sopra le uova tagliate a fettine poi coprite con un altro disco di pasta. Infornate a 180° per circa 30’, finché la superficie non sarà di un bel biondo carico.
Ballando coi gusti Oggi, che siamo in tema di timballi, vi propongo due sformati, ovvero i «cugini poveri» dei timballi, molto classici.
Sformato di melanzane e patate
Sformato di carciofi e sedano rapa
Ingredienti per 4 persone: 4 melanzane · 2 patate · 1 porro · 200 g di polpapronta
Ingredienti per 4 persone: 4 carciofi · 300 g di sedano rapa · besciamella · 4 uova
Tagliate a fettine la mozzarella e fatela scolare in un colino per 30’. Fate soffriggere il porro mondato e tagliato ad anelli in poco olio per 10’. Unite la polpapronta e cuocete per 10’. Regolate di sale e di pepe. Cuocete a vapore per 30’ le patate, scolatele, pelatele e tagliatele a fette. Sciacquate e tagliate a fette le melanzane, friggetele in olio bollente e poi passatele su carta assorbente da cucina per perdere l’unto in eccesso. Distribuite uno strato di melanzane in una pirofila, coprite con fette di patate, poi il sugo di pomodoro, poco grana, la mozzarella tagliata a fette sottili, qualche foglia di basilico e regolate di sale e di pepe. Ripetete gli strati fino a esaurimento degli ingredienti, terminando con il sugo, la mozzarella e abbondante grana. Cuocete il tortino in forno a 180° per 30’. Servite subito.
Mondate il sedano rapa, tagliatele a fettine e sbollentatele per 2’, poi scolatele in acqua e ghiaccio. Mondate i carciofi, tagliateli a spicchi e immergeteli in acqua acidulata con il succo di limone in modo che non anneriscano. Poi sbollentateli per 4’ e scolateli in acqua e ghiaccio. Fate scaldare poco olio in una padella, quindi aggiungete i carciofi sgocciolati e il sedano rapa; fate cuocere per circa 10’, bagnando con un po’ di acqua calda. Quando saranno asciutti, trasferiteli in una tortiera a bordo alto foderata con carta da forno. Emulsionate la besciamella con le uova e il grana, versatela sul composto e cuocete al forno a 200° per circa 20’. Servite subito.
di pomodoro · grana grattugiato · 2 mozzarelle · basilico · olio per friggere · sale e pepe
· grana grattugiato · succo di limone · olio di oliva · sale e pepe
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 22 maggio 2017 • N. 21
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Ambiente e Benessere
I vini del Sol Levante
Bacco giramondo La prima azienda vinicola commerciale in Giappone fu fondata nel 1875
Davide Comoli Benché in piccole quantità, le prime barbatelle furono introdotte nel Paese del Sol Levante nel 718 da alcuni monaci buddisti, che per scopi medicinali le piantarono nella zona di Katsunuma. Il vino – così menzionato per la prima volta secondo fonti sicure – fu offerto a dei missionari portoghesi nel XVI sec. Era un vino rosso che i missionari chiamarono: Tintashu, l’insieme della parola portoghese «tinto» e del termine giapponese «shu», che significa saké. Nel XVII sec. sotto l’assolutista potere dello shogun Tokugawa, l’espulsione dei missionari cattolici provocò, non solo l’interdizione di produrre e bere vino, ma anche la condanna di tutto ciò che veniva percepito come cristiano od occidentale. Solo dopo che, Yoshinobu, l’ultimo shogun, nel 1867 riportò il potere politico e militare nelle mani dell’imperatore, si ripresentarono le condizioni per ricostruire l’industria del vino giapponese. Nel 1875 fu fondata la prima azienda vinicola commerciale a ovest di Tokyo, nella zona di Yamanashi, che ancora oggi ospita il 40 per cento delle vigne del Paese. Fu, infatti, in questa zona che si provò per la prima volta a produrre del vino con ceppi indigeni che crescevano in Giappone da secoli. La produzione di questo vino fu un completo insuccesso, ma spinse le autorità ad autorizzare l’importazione di ceppi europei di Vitis vinifera e ibridi americani.
Kofu nella prefettura di Yamanashi è la regione più celebre, ma anche Nagano e Yamagata a nord di Tokyo sono zone vitivinicole importanti. Il clima giapponese non è l’ideale per la viticoltura anche se l’arcipelago della principale isola, Honshu, è situata sulla stessa latitudine del Mediterraneo. Le condizioni climatiche sono estreme, con venti freddi che arrivano dalla Siberia in inverno e piogge torrenziali che arrivano dal Pacifico in estate. Al fine di limitare i danni causati dalle abbondanti precipitazioni e l’elevata umidità, le vigne sono palizzate con strutture metalliche: i grappoli maturano sotto le foglie dove si ha una migliore ventilazione che evita pericolose muffe. Questo metodo è chiamato tanazukuri, ma qualcuno incomincia a usare metodi europei. Nel centro d’Hokkaido, isola settentrionale e la più fredda del Giappone, i tralci vengono legati orizzontalmente su delle armature metalliche. Il Delaware e il Kyoho sono i vitigni più coltivati, in effetti, la maggioranza dei ceppi coltivati in Giappone sono degli ibridi derivati dalla Vitis labrusca americana che hanno un’ottima resistenza al clima del Paese. Ma il vitigno più conosciuto nel Paese del Sol Levante è il Koshu appartenente alla Vitis vinifera, si tratta infatti di un vitigno che produce sia un vino rosé sia un’ottima uva da tavola. I vitigni Neo-Muscat e Ryugan apparentati al Koshu sono vinificati e pro-
Tobosaku, Miura Daisuke Yoshiaki e il figlio Urashima Taro bevono vino. (Tsukioka Yoshitoshi, 1873)
ducono essenzialmente vini dolciastri e pressoché incolori. Sull’isola di Hokkaido, precisamente a Ikeda, si produce un vino rosso da un vitigno autoctono chiamato Yama Budo (uva di montagna), il quale appartiene alla famiglia dei ceppi asia-
tici Vitis amurensis, particolarmente resistente al freddo. Il Kiyomi è invece un vitigno ottenuto dall’incrocio tra il Yama Budo e l’ibrido Seibel e da un vino che ricorda un po’ certi Spätburgunder. Negli ultimi anni sono stati messi a dimora i vari Cabernet Sauvignon, Caber-
net Franc a Yamanashi, il Chardonnay e il Merlot a Nagano, così come il Müller Thurgau e lo Zweigelt a maturazione precoce sempre sull’isola di Hokkaido. Il Giappone è uno dei fanalini di coda per la produzione di vino, infatti, produce circa un milione di ettolitri, la maggior parte bianco. La birra è la bevanda più consumata. Oggi le aziende attive nel campo vitivinicolo sono circa 250 e molte di queste hanno raggiunto un buon livello qualitativo grazie alla partnership con aziende francesi, californiane e australiane. Nel 2002 un progetto della Yamanashi Prefecture iniziò a valorizzare dei vini prodotti solo con uve coltivate in Giappone e produrre i Kokunai san, vini elaborati con uve giapponesi. Non si può lasciare il Giappone, dove il vino rappresenta una nicchia assoluta di mercato con tantissimi estimatori, senza parlar di cibo. Indimenticabile il ricordo di una serata a Tokyo con gli amici Pier e Paola, dove i nostri sushi e sashimi vennero annaffiati con un Riesling prodotto ad Hokkaido, e allo shabu shabu, vitello e maiale lessati al tavolo in un brodo leggero, abbinammo un rosso Black Queen prodotto nello Yamanashi. Ad onor del vero, le note speziate e agrodolci di questa cucina minimalista possono creare qualche imbarazzo in un corretto abbinamento cibo-vino. Soprattutto se accompagnati con la sapida salsa di soia o peggio ancora da un piccante assaggio di wasabi (rafano). Annuncio pubblicitario
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Animali ben tutelati in Svizzera 3
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Mondoanimale Incoraggianti le informazioni dell’Usav circa la situazione nel nostro 3Paese 4
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Maria Grazia Buletti Lo scorso febbraio il popolo ticinese è stato chiamato alle urne per esprimersi sull’iniziativa promossa dalla deputata leghista Sabrina Aldi che chiedeva di inserire il principio di protezione giuridica agli animali nella Costituzione cantonale. Approvata dal Parlamento cantonale nell’ottobre del 2016, l’iniziativa non era passata per un minimo scarto di 35 schede di differenza fra i votanti favorevoli e quelli contrari. Cosa che a marzo ha convinto la deputata dei Verdi Tamara Merlo a richiedere il riconteggio delle schede. Il tiepido entusiasmo della popolazione su un tema così sensibile non è da imputare a uno scarso interesse verso le condizioni degli animali, bensì a riflessioni più specifiche legate alla necessità di una maggiore protezione giuridica degli animali rispetto alle condizioni legali attuali. Ad esempio, interpellato dai media prima delle votazioni cantonali, l’ex consigliere agli Stati Dick Marty ha affermato che «se si vogliono tutelare gli animali, gli strumenti ci sono già». Chi con gli animali ci lavora è di avviso analogo, come il segretario dell’Unione dei contadini ticinesi (Uct) Sem Genini che, con il proprio sodalizio, si è dissociato dall’iniziativa: «Riteniamo che le leggi a livello svizzero siano già molto ferree». Sulla stessa linea, anche se possibilista, il presidente della Società protezione animali di Bellinzona (Spab), Emanuele Besomi: «Come Protezione animali non abbiamo nulla in contrario perché tutto ciò che va a favore degli animali è positivo. E lo è na-
turalmente anche rimarcare nella Costituzione una maggior sensibilità degli animali. Però, ritengo che la nostra Legge federale sia estremamente completa: parla già di dignità, specificando cosa si intende (ad esempio, l’animale non deve essere sottoposto a umiliazione o a sofferenza psicologica)». Quello che invece, secondo Besomi, manca in Svizzera sono più strutture per controllare e gestire gli abusi.
Giochi Cruciverba Forse non tutti sanno che cos’è il «favonio». Scoprilo leggendo, a soluzione ultimata, le lettere evidenziate. (Frase: 5, 5, 1, 5, 5, 5, 6)
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dall’Usav e fra tutte spicca la strategia che regolamentazione nella quale, spiega Jörger: «Si mira a motivare i detentori di animali ad acquisire e ampliare le conoscenze sulle esigenze degli animali e sui loro comportamenti caratteristici di ogni 6 specie, nonché a far sì che essi siano in grado di offrire loro, spinti sempre dal 1 9 condizione di senso di responsabilità, detenzione ottimali». L’Usav 3 è2cosciente del fatto 8 che trasmettere le informazioni in modo tempestivo e corretto al grande pubblico (e in particolare ai detentori di animali) rappresenta sempre una 7 6 3 grande sfida nell’ambito della protezione degli animali. A questo pro3 posito: «Il contributo della divisione Comunicazione del nostro ufficio federale della sicurezza alimentare 8 2 1e veterinaria illustra quanto e in che modo sosteniamo la campagna 5 Più informazione che regolamentazione». Fino ad oggi, l’Usav ha riconosciuto 14 piani di formazione per la detenzione e l’accudimento di diverse specie animali e a sette anni dall’entrata in vigore delle disposizioni 9 4 relative alla formazione, si è commissionata una valutazione di efficacia, utilità e qualità 3 formazione per l’ottenimento dedella gli attestati di competenza, con focus 6per detentori di cani: «I risulsui corsi tati della valutazione sono contenuti nel Rapporto 1 dell’Usav sulla 5 protezione degli animali 2016». E sono risultati incoraggianti, in ragione del fatto che 2 fare leva sul senso di responsabilità dei proprietari di animali pone per davve9 1 buona 7 costruro le fondamenta di una zione del rapporto uomo-animale.
Più informazione N. 14 MEDIO
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Nella situazione ideale spetta al detentore di animali mostrare di possedere le competenze per accudire un animale In perfetta linea con la percezione ticinese dei differenti interlocutori sollecitati è l’Ufficio federale sicurezza alimentare e veterinaria (Usav) nella pubblicazione del suo Rapporto sulla protezione degli animali 2016. Fascicolo nella cui prefazione Kaspar Jörgen spiega che «l’attuale legislazione sulla protezione degli animali definisce che essi possono provare paura e dolore, proprio come gli esseri umani. Essa non tutela soltanto il benessere dell’animale, bensì anche la sua dignità, quindi il suo valore intrinseco». Secondo Jörger, le diverse aspettative della società, della politica, dei detentori di animali, delle organizzazioni per la protezione degli animali, nonché le nuove conoscenze e i risultati ottenuti dalla ricerca, portano a richieste di divieti e inasprimenti o
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L’attuale legge tutela sia benessere sia dignità degli animali. (pexel)
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N. 15 DIFFICILE
alleggerimenti di testi di ordinanze, installazioni per tenere e accudire in in parte con interessi discordanti fra modo adeguato, trattandoli in modo di loro. Sta di fatto che, dice, «la den- rispettoso». sità normativa della legislazione svizLa giusta base giuridica e 8 pragmazera sulla protezione degli animali tica di una buona protezione degli aniraggiunge tuttavia a poco a poco i suoi mali deve essere dettata senza ombra 4 limiti». di dubbio senso di responsabilità Giochi per “Azione”dal - Maggio 2017 L’Usav pone un importante punto Stefania del detentore piuttosto che dall’inaSargentini fermo nella valutazione di nuove ne- sprimento di regole e divieti. Senso 2 di (N. 17 - Impacchi con acqua fredda aceto)responsabilità le cui fondamenta sono cessità legali e inasprimenti delleere«Nella situa- state gettate nel 2008, 4 dalla revisione 1 golamentazioni 2 3 4 5vigenti: 6 M Pdella A Tlegislazione T O zione ideale non deve essere l’autorità a I totale sulla prote7 8 I degli C animali, R I Cnella quale è stacomprovare che un animale sia tratta- Mzione 9 10 11 5 to male o tenuto in modo non confor- Bta Eattribuita importanza alla H Igrande C 12 13 14 me alle prescrizioni minime legali, ma Aformazione dei L I T eOal perfezionamento S 15spetta al detentore 16 di animali 17 18 19 mostrare detentori di animali. Parecchie, da alN E R E A C Q U E O di possedere le competenze e le lora, le campagne informative lanciate 20 21 22 giuste D E R A R I 3 O 1F R 23 24 25 26 I M E D E N D O C 27 28 29 30 T A S S A SUDOKU T E TPER I7 6R AZIONE - MAGGIO 2017 3 31 32 A R C A R E S T I O N. 13 FACILE 9 Schema Soluzione (N. 18 - Il sole, il debito, la neve)
Giochi per “Azione” - Giugno 2017 Stefania Sargentini
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Vinci una delle 3 carte regalo da 50 franchi con il cruciverba (N. 21 - Vento caldo secco2 detto anche da ze 50 ro)franchi con il sudoku e unaedelle carte regalo 1
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Regolamento per i concorsi a premi pubblicati su «Azione» e sul sito web www.azione.ch
I premi, cinque carte regalo Migros del valore32di 50 franchi, saranno sor33 teggiati tra i partecipanti che avranno fatto pervenire la soluzione corretta 37 entro il venerdì seguente la pubblicazione del gioco.
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30. Nota città turca 32. Ghiandola alla base del collo VERTICALI 1. Vecchia, inattuale 2. Gemelle 1 in gonnella 2 3 4 3. È ripetitivo 4. Brillanti in testa... 8 7 9 6. Le iniziali del giornalista Giannino 7. Uno spicciolo a Londra 11 8. Mitica10 isola del Mediterraneo 9. Piceno in Italia 11. Il ragno 13 ne ha otto 14 14. Dieci inglesi 16. È stupida ma15 ha fegato 16 19. Le iniziali della campionessa Compagnoni 21 pubblico 22 23 21. Il tesoro 25. Lette senza consonanti
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ORIZZONTALI 1. Possono essere impetuosi 5. Sotto il naso di tutti! 10. Bagnato dal mare 12. Dipartimento francese, fu territorio della Guascogna 13. Congiunzione latina 15. Abita a Praga 17. Né in latino 18. Il diminutivo di Edward 20. Fuorché, tranne 22. Sporge dal fianco 23. Un guaio a Londra 24. Interpretava La signora in giallo (iniz.) 25. Pronome poetico 26. Poli alfabetici 28. Libero in Inghilterra
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Vincitori del concorso Sudoku su «Azione 19»,34 del 8.5.201735 33 30
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Partecipazione online: inserire la
soluzione del 35 cruciverba o 36 del sudoku 34 nell’apposito formulario pubblicato sulla pagina del sito. 38 Partecipazione postale: la lettera o la cartolina postale che riporti la so-
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R2 O M A7 P I6 3 2 9 8 7 5 1 6 25 U´ S O7 T A3 Z ´27. Da soli non valgono nulla 5 2 7 4 1 3 8 26 27 28. Dispari nel femore N O Q U I8 Z 2 1 3 4 9 5 6 8 7 28 29. La fine degli inglesi settimana precedente ASoluzione L1 T6 E della R N A5 8 1 6 2 7 9 5 30. Nota musicale UNA SINGOLARE DIETA – Tra amiche: «Sto facendo la dieta del religioso: 31. La coppia nella rete MANGIO OGNI BEN DI DIO E POI SPERO IN UN MIRACOLO!». 5 6 (N. 20 - Mangio ogni ben di Dio e poi speroN. in15 un DIFFICILE miracolo) 24
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A 2 5 8 6 7 9 S 8 9 1 3 4 45 C 7 2 6 5 8 7 O 9 1 2 4L 6 33 I
(N. 22 - La medusa immortale, ringiovanisce sempre)
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L A M E D I N O G 7 8 5 1 2 9 4 3 6 9 I4 O R G I A G N I L B E N I U 3S A S I M1 4 6 3 5 8 9 2 7 L E U 9 3 2 4 6 7 8 1 5 2 B O 6 L D I C A S TN M MO LO1I DRE A 4 7 8 6 1 3 2 5 9 5 D E R A P O T I 5 9 1 7 8 2 6 4 3 L AEF EO SL9E 2I P1 IT E 6 2 3 5 9 4 1 7 8 7 R O C O L L I E R 6 5 8 4 4 O AC UDN E O LR A O N3 1T9 2A 7 N E 2 6 7 8 4 5 3 9 1 7S O B G3 O 1 A M I 1 7 S 6 2 RA 9N C I I O NL2 A O SO S8 5E4 9 3 G N.16 GENI luzione, corredata A I da nome, Ocognome, V è possibile A4 9Nun1 pagamento D 6 in8 contanti I3 2 7 5saranno 8 indirizzo, email del6 partecipante deve dei premi. I vincitori avvertiti essere spedita 2a «Redazione 3 5 SIl 6 nome 8E 2deiU 1vincitori 7 L 9 sarà 4 1 S C O R 4Azione, I E per iscritto. Concorsi, C.P. 6315, 6901 Lugano». pubblicato su «Azione». Partecipazione 2 8 7 3 9 4 5 6 1 7 5 Non si intratterrà corrispondenza sui riservata esclusivamente a lettori che 8 9A 6 R 7 2 E 5 3 1concorsi. 3S I Le9M PsonoAescluse. O1 4in Svizzera. vie legali Non T risiedono M 8A O 4D D I A P 4 E 5 S E B 3 N 1E N 6A A R
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 22 maggio 2017 • N. 21
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Politica e Economia Russiagate Affidate all’ex capo Fbi Robert Mueller le indagini sulle connessioni Trump-Putin
Pirateria informatica Shock nel mondo digitale e reale dopo l’attacco senza precedenti denominato Wannacry che ha infettato tramite un virus centinaia di migliaia di computer in tutto il mondo
Lula davanti al giudice L’ex presidente brasiliano è stato interrogato per ore, ma intanto prepara la candidatura del 2018
Finanze cantonali positive Il 2016 è stato un anno favorevole, in cui i consuntivi si sono rivelati migliori dei preventivi: ma durerà? pagina 33
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AFP
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L’Italia fra migrazioni e crisi demografica La tratta dei migranti Dopo la chiusura della rotta balcanica la via decisiva è quella che collega la Libia
con il Belpaese
Lucio Caracciolo Il futuro delle migrazioni verso l’Europa si decide in Italia. Dopo la chiusura pressoché totale della rotta balcanica – quella che porta dalla Turchia all’Europa centrale via Grecia e Balcani – ed essendo quasi inesistente il flusso lungo il percorso occidentale dal Marocco alla Spagna, resta la decisiva via centrale, dalla Libia all’Italia. Oggi circa il 90% dei migranti e degli aspiranti rifugiati diretti verso i principali paesi europei si muove lungo questo percorso. La ragione è molto semplice: a differenza della Turchia e del Marocco, che fungono da freno naturalmente non gratuito dei traffici di esseri umani dal Sud al Nord del pianeta, la Libia non esiste più. E molto probabilmente non sarà ricostituita nel futuro prevedibile. Gheddafi è stato liquidato e al suo posto vi sono centinaia di milizie, ciascuna con i suoi interessi e la sua mancanza di scrupoli, tutte decise a lucrare sui migranti per conto proprio. Manca dunque un interlocutore con cui trattare le partite di scambio che invece limitano i flussi transmediterranei da est e da ovest.
Di qui la disperata ricerca da parte italiana, come anche francese, tedesca e di altri partner comunitari, di un referente sahariano o saheliano in grado di filtrare almeno parte delle persone in fuga dal loro ambiente di origine. Nella consapevolezza che dislivello socio-economico, conflitti endemici, demografia – tassi di fecondità quadrupli rispetto a quelli europei, età mediana dimezzata, se non più – e mutamento climatico ci assicurano della durata pluridecennale di tali flussi, destinati anzi ad ingrossarsi. Per impedire che i migranti si affaccino in numeri sempre meno gestibili sulle coste mediterranee, il governo di Roma aveva immaginato, nel dicembre scorso, di offrire alla Tunisia forti incentivi economici e di status perché ne trattenesse almeno una quota, assorbendo in parte la via libica. La freddezza tunisina e la debolezza della posizione italiana hanno reso vano questo programma. Recentemente, l’Italia si è rivolta al Niger, dal cui hub di Agadez, che raccoglie i migranti e i profughi confluenti sia dall’Africa occidentale che dal Corno d’Africa, trascorrono ogni anno centinaia di
migliaia di uomini, donne e bambini diretti a nord. Fino al punto che le Forze armate italiane hanno messo a punto un piano, battezzato Deserto Rosso, che implica lo schieramento di almeno 500 soldati in Niger, a supporto delle autorità locali – le quali sono peraltro implicate fino al collo nella gestione dei traffici di esseri umani. Sperando nel supporto tedesco e francese (quest’ultimo piuttosto improbabile, dato che il Niger è centrale nella geostrategia francese in Nord Africa, di fatto ancora imperiale). Infine, Roma ha cercato di spingere alcuni esponenti di tribù del Fezzan – il Sud della Libia – ad assumersi la responsabilità di fare i guardiani del deserto, dietro compenso monetario. Con dubbi risultati, visto che quelle stesse tribù vivono in buona misura dei traffici che dovrebbero impedire. Risultato: dal 1. gennaio a oggi i flussi transmediterranei verso l’Italia sono aumentati del 40% rispetto allo stesso periodo del 2016. Di questo passo, la soglia dei 181 mila arrivi, toccata lo scorso anno, verrà largamente superata. Il governo italiano considera quota 200 mila la linea rossa oltre la quale
scatta l’allarme per la pace sociale e l’ordine nel territorio nazionale. Di più: a causa dei più rigidi controlli sui migranti allo sbarco che francesi, svizzeri, austriaci e sloveni – con alle spalle la Germania – hanno imposto agli italiani, i quattro quinti dei migranti restano in Italia. Finendo nei circuiti del lavoro nero e del caporalato, gestiti dalle mafie. O trovandosi allo sbando nelle città e nelle campagne della Penisola. Si capisce perché, vista dal Nord, l’Italia sia considerata una pericolosa pentola a pressione che rischia di implodere. Mentre prima era un collo di bottiglia attraverso il quale filtravano le persone che puntavano verso Svizzera, Francia, Austria, Germania o Scandinavia, oggi l’Italia è un paese obiettivo. Non per scelta di chi vi arriva, essendo sopravvissuto alla traversata del Mediterraneo, ma per l’estrema difficoltà di proseguire nel cammino prefissato. È come se sotto il profilo dei flussi Sud-Nord l’Italia fosse oggi quello che la Libia di Gheddafi era ieri. Alle preoccupazioni degli altri europei si aggiungono quelle degli italiani, i quali non dispongono di strategie
di integrazione degne di questo nome. Sicché l’accoglienza e la gestione dei migranti, richiedenti asilo compresi, è di fatto affidata a volontari, a strutture locali o alla Chiesa cattolica. In una prospettiva di medio periodo, se l’Italia dovesse essere investita annualmente da flussi superiori alle 200 mila persone, questo provocherebbe un formidabile vantaggio politico per quelle formazioni xenofobe che guardano ai migranti come alla più seria minaccia all’identità nazionale. Tanto più considerando il declino della popolazione italiana, avviato dal 2015, che potrebbe significare una decrescita di circa 7 milioni di abitanti di qui al 2065. È evidente che senza correttivi questo metterebbe a rischio anche la sostenibilità del residuo sistema di welfare e provocherebbe una generale depressione economica, al netto delle conseguenze politiche e istituzionali. Sotto questo profilo, l’Italia ha una grave responsabilità anzitutto verso se stessa, ma anche verso i partner europei. La destabilizzazione dello Stivale significherebbe spostare le frontiere del caos dal Canale di Sicilia alle Alpi. O forse oltre.
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Politica e Economia
La bomba del Russiagate
Crisi istituzionale Il Dipartimento di Giustizia ha affidato all’ex capo Fbi Robert Mueller l’indagine
sulle connessioni tra l’entourage del presidente Trump e il governo di Putin
Federico Rampini Dieci giorni di fuoco hanno fatto precipitare Donald Trump in una crisi istituzionale senza precedenti. Martedì 9 maggio è la data d’inizio di questa bufera: il giorno del controverso licenziamento in tronco per James Comey capo dell’Fbi, sgradito per come gestiva l’indagine sul Russia-gate e in particolare sull’ex consigliere militare di Trump, Michael Flynn. Appena l’indomani, mercoledì 10, su insistenza personale di Vladimir Putin il presidente riceve nello Studio Ovale della Casa Bianca il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov e il suo ambasciatore. Lunedì 15, scoop del «Washington Post»: Trump in quell’incontro ha rivelato notizie top secret sull’Isis, fornite dall’intelligence israeliana e senza il suo permesso. Prima la Casa Bianca smentisce poi Trump ammette e rivendica: è un mio diritto. Martedì 16 il «New York Times» rivela le pressioni fatte a febbraio da Trump su Comey per abbandonare l’inchiesta su Russiagate e Flynn. La Casa Bianca nega ma l’ex capo dell’Fbi può esibire meticolosi memorandum, appunti e trascrizioni. Mercoledì 17 in un discorso all’accademia navale della Coast Guard Trump lamenta: «Nessun presidente nella storia è stato trattato male come me». Ma aggiunge: «Continuerò a lottare, non mollo». La sera stessa di quel giorno arriva l’annuncio della nomina di uno «special counsel» che prende in mano l’indagine sul Russiagate. La prima reazione di Trump è composta ma non dura molto: l’indomani torna a inveire contro l’indagine definendola «caccia alle streghe». Anche perché le rivelazioni si susseguono, compresa un’accusa di provenienza repubblicana. Un mese prima che Trump vincesse la nomination del suo partito, Kevin McCarthy, leader della maggioranza e (oggi) uno dei suoi alleati al Congresso, fece un’affermazione politicamente esplosiva in una conversazione privata a Capitol Hill con alcuni parlamentari repubblicani e di cui esisterebbe una registrazione ascoltata e verificata dal «Washington Post»: «Penso che Putin paghi Trump». McCarthy pronunciò la frase lo scorso 15 giugno, in piena campagna elettorale e quindi in una fase in cui si moltiplicavano i colpi bassi tra questo o quel candidato alla nomination repubblicana. Ma da mercoledì scorso tutti gli occhi sono puntati su colui che fu capo dell’Fbi sotto George W. Bush, Robert Mueller, e che ora ha in mano l’indagine sul Russiagate. È lui che il Dipartimento di Giustizia ha nominato nel ruolo di «special counsel», una sorta di super-procuratore indipendente, per portare avanti l’indagine sulle connessioni tra l’entourage del presidente e il governo di Putin. Formalmente la nomina dello «special counsel» può essere un passaggio preliminare che sfocia nella procedura dell’impeachment. Ma nei rari casi in cui l’impeachment è stato tentato (solo due nella storia), è dalla Camera che parte la richiesta al Dipartimento di Giustizia di nominare lo «special counsel». Inoltre nel caso della nomina di Mueller non è sotto inchiesta il presidente stesso, almeno per ora. Si tratta invece di dare un marchio di credibilità e di indipendenza alla gestione di un’inchiesta che è stata destabilizzata e politicizzata dalle ultime polemiche. Va sottolineato anche il fatto che la sera del 17 maggio Trump è stato informato di questa nomina dopo che era stata decisa, e solo un’oretta prima che la notizia diventasse di dominio pubblico; la paternità della decisione è del vice-ministro della Giustizia Rod Rosenstein poiché il ministro Jeff Sessions
Müller si è guadagnato ampio rispetto bipartisan quando guidava l’Fbi durante l’attacco dell’11 Settembre 2001. (AFP)
è sfiorato anche lui dai sospetti sul Russia-gate e si è dovuto ricusare da tutta la vicenda. Dunque è stato il Dipartimento di Giustizia a firmare questo atto molto impegnativo, senza direttive dalla Casa Bianca.
Per il momento questa nomina dovrebbe placare le polemiche e consentire a Trump di tornare ad occuparsi della sua agenda politica sconvolta dagli scandali La scelta di Mueller è politicamente abile: lui si guadagnò un ampio rispetto bipartisan quando guidava l’Fbi durante l’attacco dell’11 settembre 2001 alle Torri Gemelle. Al punto che alla scadenza del suo mandato decennale, Barack Obama fece la mossa inusuale di chiedergli un prolungamento di altri due anni. Così Mueller, che oggi ha 72 anni, divenne il capo della Cia più longevo dopo il mitico Edgar Hoover. Per un capo dell’Fbi fu anche insolitamente garantista: Mueller ebbe un memorabile scontro con la Casa Bianca di Bush perché si opponeva alle intercettazioni effettuate senza un mandato dei giudici. La decisione di nominarlo a questo punto sembra orientata a rintuzzare gli attacchi concentrici su Trump che vengono su due fronti: da un lato le accuse sul licenziamento di Comey, dall’altro gli appelli dei democratici per l’avvio di un impeachment vero e proprio. Di certo serve a guadagnare tempo: ora l’indagine sul Russiagate ha un supervisore di alta competenza e credibi-
lità; e l’esistenza stessa dello «special counsel» lascia qualche speranza a tutti coloro che al termine di questo percorso vorrebbero che l’indagato fosse il presidente in persona. Su una cosa non ci si deve illudere, però: i tempi di lavoro di uno «special counsel» sono lunghi, questa vicenda si dipanerà per molti mesi, forse potrebbe arrivare fino alle elezioni di mid-term del 2018. Un altro aspetto che dovrebbe piacere a Trump: Mueller ha fama di essere molto intransigente contro le fughe di notizie e le «gole profonde». Forse smetteranno gli scoop sui giornali provenienti dall’interno della Casa Bianca, che tanto hanno esasperato il presidente? Lo «special counsel», anche se è previsto come attore iniziale nella procedura che sfocia nell’impeachment, può essere nominato d’iniziativa del governo stesso come in questo caso: ma accadde una volta sola nella storia, quando il Dipartimento di Giustizia di Bill Clinton (ministra Janet Reno) nominò uno «special counsel» per indagare se il governo avesse commesso reati durante l’assalto dell’Fbi al fortino di Waco (Texas) occupato da una milizia dell’estrema destra. L’indagine si concluse assolvendo il governo di allora da ogni colpa. È una figura solo parzialmente indipendente dall’esecutivo. Lo stesso presidente potrebbe revocare l’incarico allo «special counsel», anche se un gesto simile ricorderebbe in modo sinistro ciò che fece Richard Nixon con gli inquirenti del Watergate. Interessante il ruolo del vice-ministro della Giustizia. Già sotto accusa per essere colui che firmò formalmente il licenziamento di Comey dall’Fbi, secondo alcuni Rosenstein stavolta avrebbe voluto rifarsi una verginità po-
litica in una fase di incertezza sul futuro di Trump. Tutti d’accordo nell’elogiare Robert Mueller… o quasi. Arrivò alla guida dell’Fbi solo pochi giorni prima dell’11 settembre. L’attentato alle Torri Gemelle provocò tali critiche all’operato della polizia federale e dell’intelligence, che molti volevano smembrare l’Fbi. Lui la salvò dalla rovina. È repubblicano ma molti democratici (con qualche eccezione di rilievo: Nancy Pelosi capogruppo alla Camera) hanno approvato la sua nomina. Il mandato di Mueller: inizialmente si tratta di riprendere in mano l’indagine sulle interferenze russe nella campagna elettorale, deragliata dal licenziamento di Comey. Però Mueller avrà facoltà di estendere l’indagine ad eventuali rapporti tra la Russia e gli uomini di Trump anche dopo le elezioni. Dunque perfino includendo il controverso licenziamento di Comey, le pressioni per insabbiare l’indagine ecc. Per il momento questa nomina dovrebbe placare la tempesta politica e consente a Trump di tornare ad occuparsi della sua agenda politica che è stata sconvolta e oscurata dagli scandali. Però sul Russiagate continuano a indagare le due commissioni parlamentari di Camera e Senato, resta fissata l’audizione di Comey il 24, proprio nel giorno in cui Trump incontra papa Francesco in Vaticano. Inoltre l’esistenza di un procuratore con ampi poteri d’indagine può diventare una spina nel fianco permanente per questa amministrazione. All’interno del governo molti vivranno nell’attesa che Mueller chieda carte, documenti, testimonianze relative all’indagine. E nonostante il filo diretto che lega l’Amministrazione Trump a Mueller, l’autonomia di quest’ultimo non preclude l’ipotesi che
la conclusione della sua inchiesta possa inguaiare lo stesso presidente. È in secondo piano rispetto alle notizie-shock che vengono dalla politica, ma la settimana degli scandali preoccupa Wall Street: in calo indici azionari e dollaro. Coincide inoltre con segnali di crisi nell’industria dell’auto: calo delle vendite, 4.000 licenziamenti alla General Motors, 1.400 licenziamenti alla Ford. È un problema per Trump, sceso al 38% dei consensi (un minimo per un presidente al quarto mese), perché i voti dei metalmeccanici di Detroit furono decisivi l’8 novembre per spalancargli le porte della Casa Bianca. Più in generale la crisi istituzionale sta rinviando quei cantieri di riforme su cui Trump puntava per consolidare l’alleanza con l’establishment economico, rilanciare la crescita e l’occupazione. La riforma fiscale per ridurre le tasse, quella sanitaria, i ri-negoziati dei trattati commerciali, tutto è in stand-by, in attesa che il presidente superi questa tempesta. Va ricordato infine che di tutta questa tempesta esiste una «versione alternativa» sui media di destra. In quel mondo è ben diversa la narrazione che domina in questi giorni. Trump è vittima di congiure che nascono dentro il «Deep State»: così il suo consigliere estremista Stephen Bannon definì i poteri occulti annidati dentro il governo federale, dall’intelligence ai vertici ministeriali, ovviamente tutti sospettati di essere obamiani. I social media dell’estrema destra hanno anche costruito un teorema complottista sulla morte di un oscuro attivista democratico, che avrebbe contattato WikiLeaks poco prima di essere assassinato: secondo loro era una gola profonda che stava per rivelare nuove infamie del suo partito.
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Politica e Economia
Caos digitale
Cyber attack L’aggressione informatica in grande stile e senza precedenti denominata Wannacry agisce attraverso
un malware che ha iniziato a infettare centinaia di migliaia di dispositivi in tutto il mondo
Secondo Brad Smith, presidente di Microsoft, è come se avessero sottratto agli arsenali militari un po’ di missili Tomahawk. Stavolta il furto è avvenuto nell’arsenale informatico della National Security Agency, il bottino è uno strumento denominato Eternalblue che fu escogitato per mettere sotto controllo, ai fini appunto della sicurezza nazionale, i computer di privati o di organizzazioni sospette. Proprio con questo programma nato per lo spionaggio digitale un misterioso pirata, o più probabilmente un gruppo di pirati, ha gettato nel caos un’incredibile quantità di computer in duecento paesi sparsi sull’intero pianeta. L’attacco denominato WannaCry ha colpito nel Regno Unito come in Spagna, in Australia e in Indonesia, in Russia, in Germania, in Giappone. Si basa su un subdolo meccanismo che s’insinua nelle memorie digitali e divora i files criptandone il linguaggio. A un certo punto compare una schermata che rivela la natura dell’operazione: è un ransomware, un programma destinato a far soldi attraverso la richiesta di un riscatto. Proprio così, come per una presa di ostaggi.
Sul banco degli accusati, accanto agli sconosciuti pirati, le agenzie governative che non sanno custodire i propri segreti La minaccia non potrebbe essere più esplicita: attenzione, i vostri files sono stati criptati e soltanto noi (noi chi?) conosciamo la chiave. Dunque tutto quello che avete in memoria è diventato illeggibile. Volete risolvere la questione? Semplice, sborsate trecento dollari usando i bitcoins, la moneta digitale: ecco qui le istruzioni per il pagamento. Passano tre giorni senza che abbiate pagato? Bene, la tariffa raddoppia: seicento dollari. Se poi lasciate scorrere una settimana, i vostri files saranno cancellati per sempre. C’è anche un orologio che avvia sullo schermo ormai inservibile un beffardo countdown: il tempo scorre e la pressione aumenta. Ma i più non ci cascano: secondo i calcoli di un esperto interpellato dalla BBC un paio di giorni dopo l’incursione di WannaCry, scattata venerdì 12 maggio, i pirati digitali avevano incassato non più di trentottomila dollari. Nel frattempo un giovane esperto inglese di virus informatici, Marcus Hutchins meglio noto in rete come MalwareTech, è riuscito per caso a rallentare l’offensiva acquistando per pochi dollari un dominio verso il quale aveva notato che si indirizzavano i pirati. Quel dominio non ancora registrato era una sorta d’interruttore d’emergenza studiato per assicurare la possibilità di bloccare l’attacco: sarebbe bastato attivarlo, cosa che invece ha imprevedibilmente e prematuramente fatto, al posto degli hackers, il giovane inglese. Ma non vi illudete, dice MalwareTech: il fenomeno al momento è solamente arginato, gli hackers ci sanno fare, basterà che cambino qualche codice e l’incursione potrà riprendere. Sul banco degli accusati, accanto agli sconosciuti pirati, le agenzie governative che non sanno custodire i propri segreti e dunque rendono la vita facile ai malintenzionati. Era già accaduto con la CIA, che si era lasciata sfuggire preziosi dati ai tempi di Wikileaks, e ora tocca alla NSA, che dovrebbe essere una fortezza inespugnabile, rivelare tutta la sua vulnerabilità. È emerso fra l’altro
ria di rispetto della verità e di fair play. Molto spesso si gioca sporco: il fenomeno delle fake news, le false notizie che trovano nella rete un ramificato canale di diffusione, è entrato a far parte delle variabili di ogni competizione politica. Le cronache ci raccontano di interferenze elettorali fondate su furti di files o di posta elettronica, sulla rivelazione online di segreti, confidenze, programmi. Non ci sono regole e da sempre la mancanza di regole apre la porta alle ambiguità e agli abusi. E così la difesa dagli attacchi informatici è ormai fra i temi all’ordine del giorno della diplomazia internazionale. Alcuni giorni fa se ne sono occupati i ministri degli esteri del G7 e il tema sarà ripreso dai capi di stato e di governo all’imminente vertice di Taormina. I ministri hanno firmato una dichiarazione con l’impegno di «mantenere il cyberspazio sicuro, aperto, accessibile, affidabile e interoperabile». Si prende atto dell’enorme importanza dell’universo digitale per lo sviluppo economico e sociale, al tempo stesso si riconosce agli stati il diritto alla «difesa individuale o collettiva» dalle insidie elettroniche attraverso contromisure «che prevedano anche l’uso di strumenti informatici». Ancor prima dell’attacco WannaCry sono bastati i numerosi precedenti a far scattare l’allarme. Cioè i reiterati attacchi alle banche, ai sistemi di trasporto e alle infrastrutture energetiche, per non parlare
Keystone
Alfredo Venturi
che la NSA aveva perduto il controllo di Eternalblue fin dalla scorsa estate. Matthew Hickey, un esperto americano, si dice sorpreso che il caso sia esploso con tanto ritardo. Quanto a Smith, l’uomo di Microsoft, chiama in causa anche la negligenza di chi non tiene aggiornati i sistemi di sicurezza. Ricorda che la Microsoft fin dallo scorso marzo ha messo a disposizione degli utenti un aggiornamento che li avrebbe tutelati da questa e da altre insidie. Ma non tutti ne hanno saputo o potuto approfittare. Per esempio il governo britannico viene accusato di non fornire fondi sufficienti al sistema sanitario, con il risultato che numerosi ospedali, dai sistemi informatici poco aggiornati, sono precipitati nel marasma. In alcuni casi i servizi sono stati provvisoriamente limitati alle emergenze, dopo che l’attacco aveva sconvolto le attività radiografiche e le memorie degli esami patologici. L’aggressione digitale ha colpito anche la Deutsche Bahn, l’ente ferroviario della Germania, l’operatore spagnolo di telecomunicazioni Telefónica, la FedEx americana che occupa un posto di primissimo piano nelle attività logistiche, la compagnia automobilistica francese Renault che ha dovuto sospendere alcune linee di produzione. Colpito il Ministero dell’interno della Federazione russa, il che non ha frenato la voce che attribuiva proprio agli hackers russi la responsabilità del disastro. Altri puntano il dito sulla Corea del Nord. Anche se i suoi effetti più significativi si sono registrati in Europa, l’offensiva ha preso di mira il mondo intero, colpendo per esempio alcune piccole e medie imprese in Australia, una catena di sale cinematografiche nella Corea del Sud, un ospedale indonesiano, diverse imprese e università cinesi, due grandi imprese giapponesi come Hitachi e Nissan. Mentre si scatena la caccia ai pirati, l’Europol segnala che nessuno può farcela da solo: la natura e la portata dell’attacco richiedono una risposta internazionale. Per ora un doppio invito è rivolto agli utenti: aggiornare i sistemi di sicurezza, in particolare gli antivirus, e non cedere alla ricattatoria minaccia. Non pagare insomma, anche perché secondo la polizia britannica non è affatto sicuro che una volta versato il riscatto il ransomware venga effettivamente rimosso. WannaCry mostra una volta ancora quanto sia fragile il mondo digitale nel quale siamo immersi. Ormai non possiamo farne a meno, non a caso i colossi della Silicon Valley occupano i primi posti nella graduatoria delle imprese per valore azionario (nell’ordine Apple, Google, Microsoft, Amazon, Facebook). Ma l’assoluta libertà che il
cyberspazio sembra garantire nasconde insidie inquietanti, non soltanto di carattere criminale. Il caso Eternalblue non è certo isolato: per i servizi di sicurezza di tutti i paesi l’arma digitale è ormai un elemento di routine. Inoltre internet è diventato uno strumento di potere, la sua capacità di orientare l’opinione pubblica e di spostare consensi lo colloca al centro dell’attenzione. E non si guarda tanto per il sottile in mate-
del sabotaggio elettorale che a quanto pare si è verificato negli Stati Uniti per il voto presidenziale e che si teme possa ripetersi alle elezioni parlamentari di settembre in Germania. Il disordine informatico ha ormai diritto di cittadinanza fra i fattori destabilizzanti, ora si tratta di reagire a livello mondiale cercando di conciliare il diritto-dovere di difendersi con il rispetto delle libertà individuali. L’azione per la trasparenza informatica dovrà fare i conti con certe persistenti resistenze governative. Come quella che si registra a Washington, dove l’amministrazione rifiuta di collaborare con le commissioni del Congresso che indagano sulle intrusioni russe nell’ultima campagna elettorale e sulla posizione personale dell’ex consigliere per la sicurezza, il generale Michael Flynn, che aveva nascosto certi suoi legami anche finanziari con Mosca connessi con la campagna di Donald Trump. Mentre la Casa Bianca fa muro contro l’indagine parlamentare e arriva a premere sull’FBI perché archivi il caso, sul nuovo controverso presidente si proietta l’ombra del lontano predecessore Richard Nixon, che cercò vanamente di fermare l’inchiesta sullo scandalo Watergate e fu costretto all’impeachement. Può sembrare paradossale che Trump, così a suo agio fra tweets e likes, si ostini a oscurare una vicenda tipicamente digitale come le ingerenze russe nella sua avventura politica. Annuncio pubblicitario
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 22 maggio 2017 • N. 21
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Politica e Economia
Per Lula candidatura in salita
Brasile L’ex presidente Luis Ignacio Lula da Silva è comparso per la prima volta di fronte al giudice Sergio Moro
che dovrà decidere nel caso che lo vede accusato di corruzione. La sua sopravvivenza politica è appesa a un filo del petrolio Petrobras) ha annunciato di aver firmato il contratto di delazione premiata con gli inquirenti. La delazione premiata è una norma recente, la cui legittimità è molto discussa tra giuristi in Brasile. Consiste in un vero e proprio contratto che l’imputato firma con i magistrati. Si impegna a collaborare facendo nomi e cognomi di terze persone che indica come rei e riceve in cambio uno sconto di pena. Buona parte dell’avvocatura brasiliana considera la norma pericolosa per l’accertamento della giustizia. Allo scopo di mettere fine alla propria carcerazione preventiva o per garantirsi uno sconto di pena – è il timore di molti giuristi – un imputato finisce per dire al magistrato inquirente quello che pensa il magistrato voglia sentirsi dire, mentendo anche. Tanto è contestata la norma che il prestigioso studio legale che ha difeso finora Paolocci, l’Escritório José Roberto Batochio Advogados Associados, ha mollato il suo cliente e diffuso una nota in cui spiega: «il nostro studio si rifiuta di difendere persone che abbiano iniziato trattative per la celebrazione del patto della delação premiada, una strategia difensiva che gli avvocati di questo studio non accettano». Palocci ha fatto sapere di avere «molto da raccontare agli inquirenti, abbastanza da fornir loro materiale per almeno un anno intero di lavoro». Il nome di Lula non è uscito ufficialmente, ma l’opinione pubblica brasiliana si aspetta la notizia come si aspetta un
Angela Nocioni Una bomba è scoppiata sulla già accidentata strada del ritorno di Lula da Silva alla presidenza del Brasile. L’ormai settantaduenne fondatore del Partito dei lavoratori (Pt), che lasciò il Planalto nel 2010 dopo due mandati consecutivi con un indice di popolarità record dell’80%, è dato come candidato favorito da tutti i sondaggi per le presidenziali del 2018. L’ultima inchiesta di Datafolha sulle intenzioni di voto lo dà al 30% al primo turno, nonostante i vertici del suo partito siano stati decimati da inchieste su sistemi di finanziamento illeciti e nonostante il suo nome campeggi su tutti i titoli dei tg riguardanti i principali filoni della Mani pulite brasiliana. Finora non una prova è stata portata contro di lui. È dal 2005, due anni dopo l’inizio del suo primo mandato, che varie inchieste della magistratura ipotizzano una sua responsabilità in sistemi di corruzione, ma mai una prova concreta a suo carico è finora apparsa. Ora però il futuro per lui minaccia di farsi cupo perché l’ex ministro delle Finanze del suo primo governo, Antonio Palocci, l’uomo che gli curò i rapporti con la borghesia degli affari e con i poteri finanziari di San Paolo al debutto presidenziale nel 2003, in carcere preventivo da otto mesi perché coinvolto nella inchiesta Lavajato (che sta svelando un sistema di tangenti del 3% pagato da ogni impresa che volesse lavorare in appalto con l’industria statale
Lula da Sila si rivolge ai suoi sostenitori dopo l’interrogatorio. (AFP)
avvenimento tanto annunciato come probabile e imminente da essere considerato ormai scontato. Solo due giorni prima della dichiarazione di Palocci la voragine sotto i piedi di Lula l’aveva già aperta il giudice del Tribunale supremo Edson Fachin, con l’improvvisa decisione di togliere il segreto alla deposizione dei due pubblicitari Mônica Moura e João Santana, quest’ultimo considerato il guru del marketing elettorale in America Latina. I due hanno detto agli inquirenti di essere stati pagati in nero all’estero tramite un sistema di fondi occulti garantiti da grandi imprese legate politicamente al Pt. E che ciò sarebbe avvenuto con il
consenso degli ex presidenti Lula e Dilma. Prove, anche in questo caso non ce ne sono. Ma la domanda che rimbalza ossessivamente a ogni apertura di telegiornale è: come poteva Lula non sapere? Tutto ciò accade quando Lula aveva appena portato a casa un grande trionfo dopo esser riuscito ad ottenere un faccia a faccia con il suo grande accusatore, il giudice di prima istanza Sergio Moro. La settimana scorsa era fissata la prima udienza di Lula di fronte a Sergio Moro. Dopo lunga battaglia gli avvocati dell’ex presidente avevano ottenuto che la registrazione video dell’interrogatorio fosse trasmessa. Lula ha tolto la parola ai suoi difensori durante l’udien-
za, ha stracciato dialetticamente il suo grande accusatore e l’ha fatto di fronte a un pubblico di milioni di persone che, per la prima volta, hanno potuto valutare direttamente un confronto tra accusa e difesa. Nel processo in questione, l’ex presidente è accusato di aver ricevuto un appartamento in una località balneare a 60 chilometri da San Paolo, secondo i pm regalatogli dalla società di costruzioni Oas in cambio di favori. Lula nega di aver mai comprato quell’appartamento, dice che sua moglie era interessata a farlo ma che l’affare non si è mai concluso. Prove a suo carico non ce ne sono. Nelle cinque ore e dieci minuti di interrogatorio Lula, sguardo furente e voce baritonale, ha usato tutta la sua abilità per fare un comizio politico in difesa del suo governo e per convincere il pubblico della fumosità delle accuse brandite da Moro. Alcuni passaggi sono autentici pezzi di teatro. Per esempio quello in cui Moro tira fuori un foglio e dice: «Qui ho un documento che parla dell’appartamento…». Lula: «È firmato da chi?». Moro: «Mmm, lo spazio della firma è in bianco». Lula: «Quindi lo può rimettere a posto, per gentilezza!». Nonostante il knock out inflitto al suo accusatore, incalzato più volte con l’esortazione: «Presenti una prova signor Moro, una prova soltanto!», Lula è nei guai fino al collo. Basta che emerga un solo elemento in grado di giustificare un suo arresto a bloccargli la candidatura alle presidenziali. Annuncio pubblicitario
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 22 maggio 2017 • N. 21
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Politica e Economia
Il 2016 è buono, previsioni meno ottimiste per il futuro
Finanze cantonali Sono 15 i cantoni con risultati positivi, ma grazie al contenimento di spese e investimenti,
nonché al gettito dell’amnistia fiscale e all’utile della Banca Nazionale Ignazio Bonoli A media-lunga scadenza, i cantoni svizzeri si troveranno confrontati con problemi che metteranno a dura prova le loro finanze. Il professor Schaltegger, dell’Università di Lucerna (vedi «Azione» del 2.5.17), ne ha recentemente ricordati due: le sensibili riduzioni di imposte per attirare nuovi contribuenti e l’aumento di spese per finanziare grandi opere di investimento e far fronte a costi crescenti dovuti all’invecchiamento della popolazione. Se queste sono le previsioni, la presentazione dei bilanci positivi per il 2016 potrebbe essere l’ultima con un risultato globale di questa portata. Infatti, lo scorso anno si è chiuso con un risultato complessivo di 1,2 miliardi di avanzo d’esercizio, con undici cantoni che presentano però bilanci negativi. Tutti insieme realizzano comunque un avanzo d’esercizio, grazie ai 15 cantoni che chiudono i conti con saldi positivi. Per il secondo anno consecutivo questo bilancio è positivo, ma segue quattro anni di chiusura dei conti negativa. Tutto sommato si può dire che oggi i conti dei cantoni hanno trovato un buon equilibrio. Ma questo proprio grazie alle misure di stabilizzazione attuate negli ultimi anni.
Il miglior risultato in assoluto è realizzato dal semicantone di Basilea-Città, con un avanzo d’esercizio di 562 milioni, seguito da Zurigo, Berna e Vaud. Sul fronte opposto, il risultato peggiore è da attribuire al canton Argovia, con un deficit di 166 milioni. Questi dati sono considerati al netto di misure di abbellimento adottate dai singoli cantoni, come ad esempio i cantoni di Argovia e San Gallo che hanno operato riduzioni del capitale proprio. Altri cantoni, come ad esempio Friburgo, hanno effettuato cospicui versamenti su fondi particolari. Altri infine hanno approfittato della buona situazione finanziaria per effettuare importanti versamenti alle rispettive casse pensioni dei dipendenti (i due Basilea e Soletta). Basilea-Città ha perfino potuto addebitare un miliardo di franchi al conto ordinario per questa operazione. Sono comunque parecchi i cantoni che sono dovuti intervenire a sostegno delle loro casse pensioni che, in generale, soffrono dello scarso rendimento dei loro investimenti. In generale, rispetto al risultato finale, i preventivi cantonali si sono dimostrati molto prudenti. Infatti, il miglioramento rispetto al risultato previsto è di 1,4 miliardi di franchi. Persino il consuntivo del canton Ticino, pur con un disavanzo di quasi 50 milioni, fa meglio del preventivo. I motivi del mi-
Christoph Schaltegger è docente di Economia politica all’Università di Lucerna. (Keystone)
glioramento vanno attribuiti in parte a eventi straordinari (gettito inaspettato della mini-amnistia fiscale e utili della Banca Nazionale), in parte a un’effettiva volontà di contenere le spese. Infatti, sommando i conti di tutti i cantoni, si vede che l’aumento delle spese è stato perlomeno rallentato. Comunque anche lo scorso anno le spese hanno superato di circa 300 milioni di
franchi quelle dell’anno precedente. Sul totale delle spese di 88,3 miliardi, soltanto dieci cantoni sono riusciti a ridurne il volume rispetto al 2015. Anche l’esame sull’arco dei cinque anni mostra un aumento globale delle spese del 3,2%, e questo nonostante il forte incremento delle spese per la salute, l’assistenza sociale e la formazione. Anche in questo caso, il contenimento è dovuto
ai programmi di stabilizzazione e a una diversa ripartizione dei costi. D’altro canto anche il gettito delle imposte in diversi cantoni, complici appunto gli effetti dell’amnistia fiscale, è aumentato più del previsto. La situazione si presenta però in modo molto differenziato nei vari cantoni. Non tutti hanno potuto contare sulla ripresa dell’economia e quindi, in particolare, sui gettiti delle persone giuridiche. Una parte del contenimento delle spese è però dovuta anche a una diminuzione degli investimenti rispetto all’anno precedente, nonché a una diminuzione dell’autofinanziamento. Gli investimenti netti dei cantoni sono stati di 4,2 miliardi di franchi, inferiori di 700 milioni a quelli del 2015. Solo il 79% degli investimenti previsti è stato realizzato, ciò che significa il livello più basso da sette anni. Nonostante il buon risultato globale, soltanto nove cantoni (SH, ZH, VD, GL, VS, SZ, FR, BE e GE) hanno potuto contare su un grado di autofinanziamento (contabilmente dato dall’utile d’esercizio più gli ammortamenti) superiore al 100%. D’altro canto soltanto tre cantoni (ZG, AR e NE) hanno avuto un autofinanziamento negativo. Il Ticino si trova leggermente sotto la media, ma con oltre l’80% di autofinanziamento. Annuncio pubblicitario
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Politica e Economia Rubriche
Il Mercato e la Piazza di Angelo Rossi Un grande grazie ai frontalieri! Dapprima la notizia: Stando all’Istituto Créa dell’Università di Losanna, nei quindici anni tra il 2000 e il 2015, il Ticino si piazzerebbe al quarto posto tra le regioni Svizzere per quel che riguarda il tasso di crescita della loro economia. Siccome, per questo studio, la Svizzera è stata divisa in 7 regioni, occupare il quarto posto potrebbe anche sembrare una prestazione da poco. Più significativa diventa la stessa quando si apprende che l’aumento del Pil ticinese in questo periodo, pari al 30.4%, è superiore alla media nazionale (29.5%). Da quasi non credere è poi venire a conoscere che, in questa classifica, il Ticino si trova davanti a Zurigo, alla Svizzera orientale e a Berna-Soletta che, in materia di potenziale economico, in particolare per quel che riguarda la base industriale, sono da considerare come dei giganti. A dire il vero per chi scrive questi dati non sono sorprendenti. Avevo già segnalato ai lettori (vedi «Azione» 3.4.2017) che l’economia ticinese era cresciuta con
tassi superiori alla media nazionale tra il 2009 e il 2014, ossia nel periodo per i quali si dispone di stime ufficiali del Pil a livello dei Cantoni. La stima del Créa, ora, consente di estendere questa valutazione positiva a tutto il periodo che va dal 2000 al 2015, ossia al periodo della libera circolazione della manodopera. Qualcuno che conosce l’evoluzione di lungo termine dell’economia ticinese potrebbe obiettare. Ma non è poi un risultato così eccezionale. È vero. In tutto il periodo che ha seguito la seconda guerra mondiale l’economia ticinese ha conosciuto un tasso medio di crescita prossimo alla media nazionale. Ma fino agli anni Novanta dello scorso secolo questo risultato si otteneva grazie alla rilevante crescita della produttività per lavoratore, consentita dall’espansione del settore finanziario. La crescita del Pil ticinese, tra il 2000 e il 2015, è invece eccezionale perché ottenuta in un periodo nel quale la produttività dei lavoratori – per la ristrutturazione
proprio del settore finanziario – non è aumentata o quasi. Il tasso di crescita del Pil di una determinata economia può essere considerato, in prima approssimazione, come la somma del tasso di crescita della produttività per lavoratore e del tasso di crescita dell’effettivo di occupati. Se accettiamo questa definizione, è evidente che quando la produttività per lavoratore ristagna, come è capitato nell’economia ticinese a partire dagli anni Novanta dello scorso secolo, il Pil può crescere solo in funzione del tasso di crescita dell’effettivo di occupati. A questo punto, siccome le statistiche sull’evoluzione dell’occupazione in Svizzera sono quel che sono, le conclusioni basate sul confronto tra i tassi di crescita del Pil e quelli dell’occupazione possono essere tratte solo con grande cautela. Per il nostro confronto abbiamo utilizzato la statistica delle persone occupate che pubblica dati per trimestre. Dalla stessa rileviamo che in Ticino, tra il 2000 e il 2015, il numero
delle persone occupate è aumentato del 28.3%. Questo significherebbe che più del 90% della crescita percentuale realizzata dall’economia ticinese in questo periodo sarebbe da attribuire alla crescita dell’occupazione. Tra il 2000 e il 2015 l’effettivo di occupati nell’economia ticinese è aumentato di 51’500 unità. Di queste 33’200 sono frontalieri. In altre parole quasi i due terzi dell’aumento dell’occupazione (64.5%) nel periodo considerato è da attribuire all’incremento conosciuto dall’effettivo dei frontalieri. Ma c’è di più: se i frontalieri avessero la medesima produttività dei lavoratori residenti si potrebbe addirittura concludere che il 60% della crescita del Pil ticinese, tra il 2000 e il 2015, lo si è conseguito per merito dei frontalieri. Scusate se è poco! Questo risultato non diminuisce che di poco se invece di supporre che i frontalieri abbiano la medesima produttività dei lavoratori residenti attribuiamo loro una produttività inferiore, partendo dall’idea che la
quota dei frontalieri è particolarmente elevata nei rami di produzione a bassa produttività. Per cercare di ridurre la quota da attribuire ai frontalieri nell’aumento del valore aggiunto dell’economia ticinese, durante il periodo nel quale si è applicata la libera circolazione della manodopera, si possono fare le congetture che si vogliono. È difficile che si arrivi a ottenere che questa quota diminuisca sotto il 50%. I ticinesi devono dunque più della metà della crescita realizzata dalla loro economia negli ultimi quindici anni all’aumento dell’effettivo di lavoratori frontalieri nella loro economia. Con questo non vogliamo negare che l’aumento del contingente di frontalieri non abbia creato problemi, in particolare per quel che riguarda la flessibilizzazione del mercato del lavoro e il freno all’evoluzione dei salari. Non ci fosse però stato questo aumento a questi problemi avremmo dovuto aggiungere quelli di un’economia stagnante se non addirittura in perdita di velocità.
calcolo strettamente politico però conta che Philippe è di destra e che di destra è anche il neoministro dell’Economia, Bruno Le Maire, che è un po’ meno liberale rispetto al suo premier, ma è uno molto preciso e molto filotedesco. Se si aggiunge che anche ai Conti pubblici è stato messo uno dei Républicains, la manovra d’accerchiamento diventa esplicita: Macron vuole consolidare la sua capacità di attrazione a destra. Di più: vuole gettare nel panico i Républicains, che avendo subìto l’onta dell’esclusione al ballottaggio presidenziale, ripongono speranze nella possibilità di riscatto alle legislative. Si tratta anche di un partito ben distribuito sul territorio, e pur essendo in crisi d’identità e di posizionamento – che si fa con Macron, si combatte, ci si allea? – sta comunque molto meglio rispetto ai socialisti. L’altro capo dell’operazione di governo di Macron riguarda appunto la sinistra tradizionale, uscita quasi morta dalle presidenziali. Quel 6 e rotti per cento
racimolato al primo turno pesa come un macigno, e la possibilità di vedere annullato qualsiasi vantaggio territoriale alle legislative è molto grande. Ma trovare una strategia di rinascita in poche settimane è molto difficile, con quel che pesa per di più l’eredità hollandiana non proprio brillante. Pesano anche le molte defezioni: la presenza di Jean-Yves Le Drian al Ministero degli Esteri è un messaggio chiaro per i socialisti. Salite sul carro macroniano, vi conviene. Le Drian, hollandiano molto riverito dentro al Ps, è stato il primo tra i ministri (era alla Difesa) a dare sostegno esplicito a Macron in campagna elettorale, e la sua conferma al governo (in realtà spezza una promessa di Macron il quale aveva detto che nessun ex ministro sarebbe entrato nel suo eventuale governo) serve a continuare l’offensiva nei confronti del già debolissimo Ps. L’ultimo calcolo politico è quello che riguarda François Bayrou, leader centrista nominato ministro della Giu-
stizia, ma più che di politica si tratta di riconoscimento: Bayrou è stato il primo a schierarsi con Macron, quando ancora non lo faceva nessuno, rinunciando alla propria candidatura alle presidenziali per non rosicchiare voti moderati (non molti, va detto) all’avventura di Macron. Per questa fedeltà Bayrou è stato ricompensato con un ministero di peso, e con un coinvolgimento nella gestione delle attività di governo. Lo stesso discorso di ricompensa vale per il neoministro all’Interno, Gérard Collomb, simpaticissimo e istrionico sindaco di Lione, che è stato un macroniano della prima ora, tirandosi addosso le ire dei socialisti per quel primo, visionario tradimento. Ora per le legislative Macron conta su altri tradimenti, il sistema tradizionale è stato ferito alle presidenziali e non deve risorgere in Parlamento, altrimenti la strada del presidente sarebbe più complicata. Il seduttore in chief per ora sta facendo i calcoli tutti giusti.
ma (e anche tutti gli anni precedenti, si è portati a credere) figuravano a carico di Rete Due i contributi alla Fondazione dell’Osi, ai Barocchisti e al Coro RSI, uscite estinte 2016 con un’operazione che, è stato precisato, «chiarisce la cifre effettivamente a disposizione della rete culturale per i suoi programmi». Intervento sicuramente legittimo, tanto da non preoccuparsi nemmeno di indicare dove siano ora finiti quei 7 milioni di «anomalia contabile». Non che si voglia saperlo per polemizzare. Ma sparata così, l’«anomalia» lascia planare qualche perplessità, non tanto sulla liceità dell’operazione contabile quanto su futuri interrogativi e sul tempismo della manovra (dettata dal nuovo accordo Ssr - Osi?). I dubbi si consolidano se solo si tiene conto che le cifre dell’«anomalia» modificano il peso specifico della cultura alla Rsi, etichettata come pozzo senza fondo da chi sposa il tremontiano «con la cultura non si mangia», e in particolare quello della seconda rete radiofonica, citata
come la più seria candidata a sparire se dovessero mutare (diminuire) gettito e ripartizione del canone per la Svizzera italiana. In simili scenari l’«anomalia» suona quasi come un richiamo a Ssr e Rsi affinché adottino una trasparenza diversa, in grado di garantire l’equilibrio tra una reale sostenibilità dei costi e le esigenze politiche e del servizio pubblico. Operazione impossibile? Una soluzione potrebbe essere quella di pubblicare, oltre alle cifre dei costi, anche dati relativi all’audience, cioè al seguito di telespettatori di ogni trasmissione. Occorre insomma un altro passo verso una trasparenza autentica, allineata con quelle in vigore in tanti paesi, e soprattutto aperta a verifiche come quella degli altri media obbligati a confrontarsi con i numeri relativi ad abbonati e lettori dei giornali o ai clic dei siti web. Ma c’è da scommettere che Giacomettistrasse e Comano preferiranno sempre oscillare tra legge di Murphy e il bikini di Parkinson.
Affari Esteri di Paola Peduzzi I giusti calcoli di Macron Emmanuel Macron, neopresidente di Francia, consolida la sua fama di seduttore della politica, è andato in visita a Berlino ed è stato accolto con onori e affetto dalla cancelliera, Angela Merkel, poi si è occupato di Africa e di altri partner europei, sempre ripetendo il suo messaggio d’ottimismo: porterò la Francia fuori dal declino, e anche tutti voi. Il mondo vuole credere a questa promessa, l’Ue arriva addirittura a spezzare un tabù che pareva inossidabile e apre all’eventuale modifica dei Trattati che darebbe il via a una nuova stagione di riforme. Ma intanto Macron deve costruire la sua marcia anche al Parlamento, perché la nuova Francia si fonda su equilibri istituzionali che ancora devono essere costruiti. Il primo appuntamento, decisivo, è quello delle legislative, l’11 e il 18 giugno, il momento in cui la trasformazione prospettata dal presidente avrà la chance di diventare realtà. Per arrivare forte a questo appuntamen-
to, Macron ha designato un premier e un governo che sembrano fatti apposta per ottenere un buon risultato alle legislative – il suo movimento ora è diventato la République en marche. Il premier, Edouard Philippe, viene dal mondo della destra, nell’ala che fa capo ad Alain Juppé, il più sinistrorso dei gollisti Républicains, o così amano pensare molti anche a sinistra. Philippe è un liberale, in economia e nella società, un po’ ruvido a volte, ma deciso: ama anche scrivere romanzi, e per questa sua passione è stato criticato da alcune femministe che sostengono che il neopremier abbia un approccio sessista ai suoi personaggi femminili – ergo è sessista anche lui. Sulla distinzione tra l’autore e i suoi libri ci si potrebbe dilungare molto, ed è chiaro che c’è una distinzione, ma anche le frasi incriminate non sono poi così eccessive – Trump con i suoi commenti «da spogliatoio» suona molto peggio, per dire, e non era nemmeno fiction. Dal punto di vista del
Zig-Zag di Ovidio Biffi Numeri indossati un po’ come bikini Lo scorso mese di marzo c’è stato al Nazionale il dibattito su un’iniziativa che perorava il passaggio del controllo delle concessioni radiotelevisive dal Consiglio federale al Parlamento. L’ho seguito praticamente in diretta, non alla radio o in tv, ma sul sito online del «Tages Anzeiger», grazie al «liveticker», vale a dire la cronaca via web in tempo quasi reale. A ricordarmi quel dibattito è giunta ora la pubblicazione di dati sui costi delle trasmissioni della nostra Rsi nel 2016. Non che io voglia rivangare tutta la seduta parlamentare, mi limito a citare quanto espresso a fine dibattito dalla consigliera federale Doris Leuthard, cioè alla sua sorpresa («erstaunt mich schon sehr») per il fatto che la discussione dei parlamentari avesse ignorato i contenuti politici dell’iniziativa. La meraviglia della signora consigliera federale mi era sembrata subito un po’ strana, poiché è noto che le Camere presto dovranno chinarsi su altri due temi radiotelevisivi prettamente politici: il servizio pubblico della Ssr e
la legittimità del canone obbligatorio sempre della Ssr. Davanti a un simile «cahier de charge» se i deputati hanno voluto ballare con i numeri, e non con i contenuti politici, è stato perlomeno per «dovuta coerenza». Inoltre devono ormai aver capito che occorre insistere sulla numerologia (quella legata ai costi, ai milioni del canone radiotelevisivo e alla chiave di ripartizione che salva il federalismo), diventata lo strumento prediletto della Ssr e dei suoi dirigenti regionali quando si rivolgono al pubblico e cercano di convincerlo. Il citato annuncio primaverile dei «costi unitari» (reperibile all’indirizzo http://www. rsi.ch/costi) è un ulteriore esempio di questa prevalenza dei numeri. Offerti all’utente solo dall’anno scorso con l’etichetta «operazione trasparenza» i dati sui costi non possono certo offrire confronti indicativi o stravolgenti. Leggendoli si avverte comunque la positiva conferma della tendenza al risparmio, inaugurata con l’obiettivo di combattere i deficit (e di rendere accettabile il
canone obbligatorio). Ma le minime differenze nei costi medi e unitari – i 2000 fr. risparmiati qui, i 4000 fr. in più o in meno per quella trasmissione – in pratica confermano solo che revisori e responsabili hanno lavorato, come dovevano. Insomma: un risultato che premia l’efficienza del «controlling» più che nuovi o crescenti «good spending habits», cioè un’auspicata attitudine alla parsimonia. Anche se, come già detto, non c’è intenzione alcuna di fare le pulci a reti, settori o trasmissioni, una sottolineatura è possibile: a Comano i conti si fanno oscillando tra la legge di Murphy («Le spese aumentano sino a raggiungere le entrate») e il mirabile detto di Cyril N. Parkinson («I bilanci sono come i bikini: le parti più interessanti restano nascoste»). Questa mescolanza è confermata dalla decisione di apportare un «taglio» di 7,2 milioni di franchi alle uscite di Rete Due, una quisquilia subito spiegata ai media (vedi CdT) dal capo dipartimento Cultura Diana Segantini: l’anno pri-
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 22 maggio 2017 • N. 21
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Cultura e Spettacoli Giorni angolani Nella Teoria generale dell’oblio lo scrittore angolano José Eduardo Agualusa racconta una storia di isolamento e ricerca
Un artista ironico e originale Al Torchio delle noci di Sonvico un’esposizione dedicata a François Bonjour, tra scultura pittura e scrittura
Prime voci da Cannes Netflix scombina il protocollo, mentre delude Les fantômes d’Ismael e convince Loveless
Elettronica e mainstream Silver Eye del duo inglese di elettronica Goldfrapp non entusiasma appieno
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Suggestivo mare di nuvole sulla tratta Lugano-Berna in un’immagine scattata nel luglio del 2016. (Keystone)
Messico e nuvole
Pubblicazioni L’affascinante Atlante Internazionale delle Nubi (pubblicato per la prima volta nel 1896)
è ora disponibile anche online Emanuela Burgazzoli Erano osservate e studiate già nell’antichità; ne parlano Talete e Lucrezio, e già Aristotele le inserisce nel suo trattato di meteorologia per il ruolo che rivestono nel ciclo dell’acqua. Nel ’500 Leonardo da Vinci nel suo Trattato sulla pittura è interessato a come la loro posizione possa determinare luci e ombre, ma da scienziato non rinuncia a formulare anche delle ipotesi sulla loro formazione: «Le nuvole – si legge – sono nebbie tirate in alto dal caldo del sole, e la loro elevazione dove il loro acquistato peso si fa di potenza eguale al suo motore». Ipotesi che precedono nel XVII secolo quelle di Cartesio nel suo Trattato sulle meteore, prima di arrivare a una vera e propria scienza delle nuvole con la pubblicazione nel 1803 di un trattato delle nuvole (Essay on the Modification of Clouds) del meteorologo britannico Luke Howard, il primo che le classificò in quattro tipologie, in base alla forma, distinguendo fra cirri, cumuli, nembi e strati: un sistema in-
ternazionale fondato su termini latini utilizzato ancora oggi. Il sistema si è perfezionato, includendo definizioni dettagliate che descrivono le nuvole in base alla loro struttura interna, alla posizione, all’apparenza e alla trasparenza. Come per piante e animali si suddividono in generi, specie e varietà, fino a un centinaio di combinazioni possibili. E proprio in Gran Bretagna ha sede l’associazione degli amatori delle nuvole, The Cloud Appreciation Society, che conta oltre 43mila membri, poco più di 300 in Svizzera, nata – come si legge nel manifesto – per combattere la banalità del «pensiero del cielo azzurro» («the blue-sky thinking»). Sono stati proprio alcuni appassionati «cloudspotter» ad aver osservato nello Iowa alle Cedar Rapids nel 2006 una nuvola spettacolare, descritta come un tappeto di onde, anzi «un mare in tempesta visto dal basso» e inserita nel nuovo atlante con il nome di Asperitas. L’Atlante, di cui la prima versione risale al 1896, è tuttora l’opera di riferimento per l’identificazione del-
le nuvole, sia per gli amatori, sia per i meteorologi. Quella appena pubblicata rappresenta uno strumento rivoluzionario: rispetto all’ultimo aggiornamento del 1987 ancora cartaceo, è completamente digitale; un portale web che contiene fotografie, definizioni, spiegazioni facilmente accessibili e leggibili, anche ai non professionisti che potranno attingere per la prima volta a tutte le tipologie di misurazioni, da terra e nello spazio. Uno strumento indispensabile insomma per capire le nuvole, che come è stato sottolineato in un recente convegno, restano fondamentali non soltanto per sviluppare le previsioni meteo, ma anche per capire le sorti del nostro pianeta, dallo stato delle risorse idriche al clima «e soprattutto ci aiuteranno a salvarlo». Un segno dei tempi e dei grandi mutamenti in atto provocati dall’attività umana è l’inserimento di nuove nuvole speciali, classificate in base ai fattori che le generano: fra queste le «homomutatus» e le «homogenitus», come quelle che si formano dalle cimi-
niere o dalla scia degli aerei, o le «falmmagenitus», le nuvole generate da incendi o eruzioni vulcaniche. Fra le aggiunte più importanti figura il volutus, una nuova specie che indica quelle nubi basse e orizzontali a forma di tubo o rotolo staccate da altre. Poi ci sono le nuove caratteristiche aggiuntive; oltre all’asperitas, il fluctus, altrettanto spettacolare perché conferisce alla nuvola la forma esatta di un’onda, di cavalloni marini che si rincorrono in cielo. Ma poco importa imparare a memoria la classificazione, le dimensioni e i nomi delle famiglie di nuvole per percepirne la bellezza, che è la più cangiante e poetica espressione della natura, in grado di farci sentire parte integrante del cielo, secondo le parole dell’intraprendente fondatore della Cloud Appreciation Society, che ritiene l’osservazione delle nuvole un vero e proprio balsamo per l’anima. Se la loro evanescente e cangiante bellezza ha attratto molti pittori, da Turner a Monet, la loro conformazione induce a descrizioni più letterarie che scien-
tifiche anche i ricercatori; le nuvole insomma stimolano l’immaginazione oltre la piatta definizione meteorologica che parla di «idrometeora composta di minuscole particelle d’acqua o di ghiaccio sospese nell’atmosfera», fino ai 7mila metri di altitudine. I cirri – si legge nell’atlante – hanno un’apparenza fibrosa come capelli o possiedono la lucentezza della seta o entrambi. I cumuli si sviluppano in verticale formando ammassi, cupole o torri che spesso finiscono nella parte più alta in un rigonfiamento a forma di cavolfiore. Ci sono poi gli spessi nembostrati, nuvole portatrici di pioggia o neve, capaci di oscurare il sole. Perché come ha scritto Fabrizio De André, le nuvole «vengono, vanno, ritornano e magari si fermano tanti giorni che non vedi più il sole e le stelle e ti sembra di non conoscere più il posto dove stai». Link utili
www.cloudappreciationsociety.org www.wmocloudatlas.org/home.html
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Cultura e Spettacoli
Dimenticarsi per vivere di nuovo
Narrativa Nel suo romanzo Teoria generale dell’oblio (Neri Pozza) lo scrittore angolano José Eduardo Agualusa
mescola sapientemente i fatti storici con la ricerca del proprio io
Blanche Greco «Il cielo d’Africa è molto più grande del nostro... ci schiaccia», dice Ludo, che forse ricorda ancora l’azzurro del cielo portoghese, intenso e ingenuo come gli occhi dei santi di legno delle chiese di Aveiro, la sua città. A Luanda, all’ultimo piano dell’elegante Palazzo degli Invidiati, nell’enorme appartamento che diventa la sua torre d’avorio, la fragile protagonista di Teoria generale dell’oblio, il romanzo di José Eduardo Agualusa, osserva con timore il cielo di notte, buia voragine piena di stelle, e di giorno, un poco per volta, si lascia accarezzare dalla luce del sole. Sulla grande terrazza trasformata in giardino pensile, poi in un orto e in un cimitero, Ludo non si nasconde, non si sente più come «una tartaruga alla quale avessero strappato il carapace», e anche il pensiero dell’incidente non la tormenta più, è come se quel muro che ha costruito sul pianerottolo del Palazzo, e che occulta la porta del suo appartamento e la sua stessa esistenza al mondo intero, invece d’imprigionarla, la liberasse dalla paura della violenza del Paese in tumulto; dai suoi vecchi pensieri e da ciò che potrebbe accadere a lei, che non ha mai saputo badare a sé stessa. La «rivoluzione dei garofani», il 25 aprile 1974, seppellendo definitivamente il regime di Antonio de Oliveira Salazar ha aperto la porta del futuro al Portogallo, ma soprattutto alle colonie.
L’Angola da quel momento attende di celebrare la propria indipendenza, ma siamo nel 1975 e le varie fazioni si combattono accanitamente. Nel Palazzo degli Invidiati svuotato dei suoi originari ricchi abitanti, fuggiti a Lisbona o in Brasile, resta solo Ludo, che sente alla radio gli echi della rivoluzione, i discorsi infiammati, «il lutto che continua»; le tante misteriose lingue africane; mentre il vento le porta il suono degli spari, il clamore e le urla delle manifestazioni, degli scontri e delle battaglie. L’Angola «che si scuote da cinquecento anni di oppressione coloniale», è come inebriata, frastornata, confusa, e si perde nei meandri della guerra civile tra ideali, orrori, ingordigie e paura. Quasi come un naufrago, spiaggiato all’undicesimo piano, Ludo combatte per anni, ogni giorno, per sopravvivere, contro la fame, la sete, la solitudine, mentre le figure che intravede dalla finestra; la gente che a poco a poco ripopola il Palazzo a sua insaputa, intrecciano le loro vicende con la sua in un affresco eccitato ed eccessivo di avventure, di fatti meravigliosi e terribili che ricostruiscono e ci trasmettono notizie, sentimenti e sensazioni della realtà dell’Angola di quegli anni. La storia che racconta José Eduardo Agualusa, prende spunto da un fatto reale: una signora portoghese prima dell’Indipendenza dell’Angola, terrorizzata dall’esplosione di odio e di violenza, si murò nel suo lussuoso
Lo scrittore angolano in un’immagine del 2011. (Keystone)
appartamento di Luanda, vivendo esiliata e dimenticata per quasi trent’anni. Il romanzo Teoria generale dell’oblio comunque è pura fantasia, una vicenda di finzione affascinante e profonda, che s’inserisce in un contesto storico reale che José Eduardo Agualusa, scrittore angolano di famiglia portoghese, ben conosce, come ricordava tempo
fa, in una intervista: «Angola in quegli anni era un turbine. In quell’epoca di transizione c’erano i portoghesi che fuggivano, i mercenari americani, inglesi e portoghesi, insieme a militari sud-africani, che combattevano le truppe cubane e angolane. Tutto sembrava possibile, tutti i sogni, ma intanto si fucilavano le persone nel-
la pubblica piazza, come se fosse uno spettacolo». I protagonisti della storia di Agualusa sono bianchi, neri, mulatti, ma lo scrittore non accenna mai al colore della pelle, perché è la loro storia, il segreto che ognuno di loro si porta dietro, ciò che gli interessa, salvo nel caso dello scrittore francese Simon-Pierre Mulamba, «un mulatto alto, distinto, di bell’aspetto» che invitato a Luanda, per la prima volta scopre l’Africa dei suoi padri, e vi si perde per sempre. Il libro, che ha il tono ironico e melanconico di una canzone di Vinìcius de Moraes e lo stile di una favola magica, non è la storia di una reclusa, anzi è un romanzo pieno di aria e di sole e di gente, ma, allo stesso tempo racconta come l’oblio, e il dimenticarsi di sé stessi, possa essere un esercizio che permette di riprendere a vivere; di rinnovarsi e di cambiare. Cosa che, in un modo o nell’altro, accade ai vari personaggi della storia, la vita dei quali è solo in parte frutto del destino, perché sono tutti, compresa Ludo, inesplicabilmente legati ad altri esseri umani, altrettanto complicati e misteriosi. Appena pubblicato in Italia da Neri Pozza, Teoria generale dell’oblio, nato in un primo momento come trattamento cinematografico, è stato negli anni trasformato da José Eduardo Agualusa, in un romanzo che ha avuto numerosi premi e riconoscimenti, oltre ad essere tra i sei finalisti del prestigioso Man Booker International Prize 2016. Annuncio pubblicitario
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Cultura e Spettacoli
Il potere narrativo della materia
Un occhio interno con cui guardare Mostre 2 Alla Must Gallery di Lugano
dedicata a François Bonjour
la mostra Occhichiusi presenta i più recenti lavori di Matteo Emery
Alessia Brughera
Isabella Steiger Felder
Non è facile etichettare i lavori di François Bonjour: vi si possono trovare rimandi al Surrealismo, richiami dadaisti, suggestioni legate all’Informale, riferimenti all’Arte Povera e assonanze con la poesia visiva, ma la verità è che sfuggono a ogni tentativo di ricondurli a un contesto artistico specifico, essendo prima di tutto manifestazione della volontà di sperimentazione e della piena libertà espressiva del loro autore. A testimoniare la capacità dell’artista, ticinese d’adozione, di elaborare una peculiare cifra stilistica da sempre affrancata da vincoli o convenzioni è una mostra allestita in questi giorni nei caratteristici spazi del Torchio delle noci di Sonvico, una rassegna che si pone come una piccola retrospettiva mossa dall’intento di presentare le tappe salienti della pluridecennale attività di Bonjour.
La mostra Occhichiusi dell’artista Matteo Emery (classe 1955, studi di grafica allo CSIA di Lugano e arti visive all’ESAV di Ginevra) può essere letta anche come un vezzo poetico, un’alliterazione. Oltre ad essere una piattaforma di scambio con il pubblico, rappresenta infatti per l’artista anche un modo di guardarsi dentro. Occhichiusi è un lavoro di introspezione realizzato con i mezzi dell’arte, in quello che vuole forse essere un rimando shakespeariano, come affermava infatti Prospero nel dramma La Tempesta, «Siamo fatti anche noi della materia di cui son fatti i sogni». Emery stesso afferma di usare un occhio interno, attraverso cui osserva e sviluppa il proprio lavoro per compiere un’indagine delle vite altrui, realizzata andando a scovare vecchie radiografie di corpi umani e animali, nel tentativo di ricostruire il teatro del mondo che si svolge dentro le mura di uno studio medico. Ne risulta una sorta di resoconto della vita altrui, diverso da sé, eppure per molti versi somigliante. Grazie alla natura di questa indagine Emery riesce a inserire in una condizione spazio-temporale il concetto del doppio, peraltro già presente nella precedente mostra sui ferormoni, Love Pressure, anche se allora le due entità del doppio erano rappresentate dalla sfera maschile e da quella femminile. Se in Love Pressure la contrapposizione avveniva tra umano e animale, per asserire che i generi si trovano sullo stesso piano, Occhichiusi vuole invece ricordarci che anche noi facciamo parte del mondo animale. Emery nel suo lavoro combina sagome di animali composte da pezzi di radiografie umane e animali, immagini di cellule e virus per creare un unico essere: una volta ne risulta un ragno, un’altra un maiale (vedi foto). Oppure due farfalle… e proprio la farfalla con la sua natura effimera, che sin dall’antichità ha rappresentato sia il mistero della metamorfosi fisica sia le trasfigu-
Mostre 1 Al Torchio delle noci di Sonvico un’esposizione
La coerenza è uno dei punti di forza della ricerca artistica di François Bonjour, attivo dagli Anni 70 Le opere raccolte in questa esposizione intessono una trama in cui si fanno evidenti le dinamiche e gli sviluppi di una ricerca artistica che ha fatto della coerenza il suo punto di forza. Una ricerca che procede fin dagli anni Settanta, caratterizzata da un continuo approfondimento del proprio linguaggio e da un avanzare risoluto che ha saputo rinnovarsi traendo linfa vitale dal confronto e dalla riflessione. Bonjour lavora attraverso la materia per giungere a una naturale fusione tra pittura, scrittura e scultura caricando le sue creazioni di una valenza universale e coinvolgendo chi le guarda in una narrazione densa di significati, la cui comprensione permette di addentrarsi in un mondo sublimato ma al contempo fortemente ancorato al reale. Nelle sue opere la parola incontra l’immagine, l’oggetto incontra la superficie generando spazi da esplorare con lo sguardo e con la mente, territori popolati da un intrico di colori, di materiali e di tracce che si fanno frammenti di esistenza e meditazioni sul tempo. L’artista li organizza con perizia, scandendone il ritmo, calibrandone le parti e soppesandone le proporzioni affinché ogni dettaglio abbia un ruolo specifico nello svolgimento della storia. Ne nascono piccoli palcoscenici in cui la vicenda umana viene narrata non da un singolo oggetto ma dallo stratificarsi di più elementi, sempre scelti accuratamente, che instaurano
François Bonjour, Hot dog, 2016, Tecnica mista.
rapporti di tensioni e di corrispondenze l’un con l’altro. Narratore raffinato e arguto, Bonjour ci sprona così ad andare dietro le apparenze, a introdurci nei recessi degli agglomerati materici e cromatici, a oltrepassare la congerie di impronte per giungere a una realtà che racchiude in sé verità e visione. Non ci sono preziosismi nei lavori di Bonjour: gli strumenti con cui dà vita al suo linguaggio appartengono alla vita di tutti i giorni, sono reliquie del quotidiano che vengono investite di valori inediti. Carte, cartoni, legni, plexiglas, vetri e corde vengono combinati tra loro, aggregati, amalgamati con il colore e spesso accostati alla scrittura, parte integrante delle opere dell’artista ormai da molti anni. Una scrittura che sa insinuarsi silenziosa ad arricchire la composizione sotto forma di calligrafie flessuose, di ritagli di giornale e di pagine di libro, delineando un microcosmo segnico sciolto ed elegante in cui la parola, sia essa vocabolo vissuto o tratto puramente estetico, si presenta come un’esortazione alla libera lettura del dipinto. Tra gli esiti più recenti troviamo in mostra alcuni lavori realizzati nel 2017
che hanno il sapore di un ritorno alle origini. Si tratta di opere che richiamano concettualmente le creazioni degli anni Settanta, animate come sono dal medesimo spirito ludico e dalla stessa volontà di pungolare sottilmente il nostro pensiero attraverso allusioni che diventano giocose metafore della nostra epoca. Di particolare interesse, poi, sono i lavori in cui è protagonista la cera rossa, elemento molto caro a Bonjour, capace con la sua presenza vivida di mescolarsi con gli altri materiali sollecitando il fervore combinatorio della composizione. Con il suo linguaggio evocativo e misterioso, genuino e ironico, Bonjour appronta universi poetici di segni e di sostanze, di memorie e di sentimenti. Le sue opere si fanno contenuto e contenitore, quasi a dire che c’è ancora un posto sicuro, un luogo adatto, per raccogliere, riflettere e soprattutto raccontare.
Dove e quando
Dove e quando
François Bonjour. Torchio delle noci, Sonvico. Fino al 27 maggio 2017. Orari: sa, do e festività 15.00-18.00, me 18.00-20.00.
razioni dell’anima, attestando l’origine e la fine della vita, è un simbolo di rinascita. Tra i lavori esposti troviamo anche Gatto 1 («ron/ron1»), in omaggio a un animale che ha ispirato profonde proiezioni umane, sia positive che negative e il cui ron ron ricorda piacevoli fusa. Nel caso di Granchio («liberatemi»), il doppio è rappresentato dalla facoltà dell’animale di andare sia a destra sia a sinistra. Una serie di domande, di possibilità, che riflettono anche le considerazioni dell’artista di fronte ai misteri della vita: dove nasce e in che direzione va? Per quanto la scienza possa avanzare ipotesi, di fronte a certe domande restiamo interdetti. Il lavoro di Emery è un tentativo di dare risposte creando delle possibili rappresentazioni, che in questo lavoro si traducono in cuciture e assemblaggi di immagini umane e animali. I suoi progetti non sono però innocenti, poiché in filigrana rivelano la sua disillusione nei confronti della società, accompagnata dal desiderio di portare un po’ di luce in un universo di disparità. Ed è proprio la luce ad evidenziarsi fuori dalle sagome grafiche ben definite degli animali: tre dei lavori in mostra, tra cui Lupo («fagir/janavur, povero/ lupo»), sono montati su dei light box (scatole di luce, NdT) che ricordano le scatole luminose utilizzate dai medici per mostrare le radiografie ai pazienti. Il titolo di quest’opera (povero/lupo) riesce ad evocare anche quelle paure con cui vita ed arte da sempre ci confrontano, come il tempo che passa, o la fine. A questo proposito la prima opera della serie – l’effige del cane dell’artista, morto tempo fa – ci ricorda proprio il mistero irrisolto del destino delle nostre vite e dei nostri corpi, sul quale Emery ha deciso di «chiudere gli occhi», come egli stesso afferma. I lavori esposti alla Must Gallery di Lugano sono bidimensionali, figli dell’apprendimento grafico e artistico di Emery: troviamo il fotomontaggio, il primo piano, il piano totale. Vi è un «dentro la figura», realizzato con la cucitura di immagini in bicromia e qualche accenno ad altri colori contrastanti, e un «fuori la figura», dato dalla freddezza del plexiglass su cui l’artista monta i suoi animali. Nel cucito questi simulacri ricordano i lavori di artiste come la poverista Marisa Merz o come Maria Lai, forse in un tentativo inconscio, da parte di un artista sensibile come Emery, di evocare le donne cui più o meno volutamente si riferisce, usando però nuovi codici e nuovi materiali.
Particolare di una delle opere esposte.
Matteo Emery. Occhichiusi. Lugano, Must Gallery (Via del Canvetto). Orari: ma e gio 14.00-18.00, o su appuntamento. Fino a domenica 18 giugno 2017. info@mustgallery.ch. Annuncio pubblicitario
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Cultura e Spettacoli
I primi giorni di Cannes
Festival 2017 D all’intrusione del fenomeno Netflix nella distribuzione, al passo falso del film di apertura
Fabio Fumagalli Chi ha frequentato un festival di cinema lo sa da sempre: è nella prima metà dei dieci giorni di durata canonica, e in particolare nel corso del primo weekend, che vengono sparate gran parte delle cartucce migliori (e che gli alberghi triplicano le loro tariffe). Cannes non contraddice la regola. Ma, sarà forse per una assuefazione alla tradizionale presenza del gotha del mestiere, oppure per il compiacimento di un Settantesimo anniversario che ha ulteriormente moltiplicato le presenze e gli avvenimenti, l’impressione è che le prime ore della manifestazione si siano spese per parlare, più che di arte, di Macron e Netflix. Di politica, insomma, soprattutto di affari; e non a caso.
Delusione per Les Fantômes d’Ismael, film d’apertura, mentre convince Loveless, di Andrei Zvyagintsev Non contenta di evidenziarsi ormai come regina incontrastata della distribuzione alternativa di pellicole su Internet, Netflix ha infatti annunciato da tempo di voler produrre in proprio un numero di titoli dall’assoluto prestigio: ma per immetterli nel mercato mondiale nel modo che più le aggrada. Una tegola micidiale, per il sistema distributivo, già alle prese con la crisi di sale e DVD, il pirataggio e sempre più affrettati consumi. Uno sberleffo clamoroso, nei confronti di una regola da sempre imperante: la cosiddetta cronologia dei media, il cartello che impone la diffusione dei film prima nelle sale, quindi per quattro mesi tramite VOD e i DVD, poi nelle televisioni a pagamento, infine in quelle gratuite. Prima di giungere, dopo ben 36 mesi, sulla Rete: un’aberrazione, nella superficiale velocizzazione dei tempi che viviamo. Cosa c’entra Cannes in tutto ciò? Senza troppo riflettere, due opere prodotte da Netflix sono state selezionate fra la ventina del Concorso, in quanto
Una scena da The Meyerowitz Stories, di Noah Baumbach, prodotta da Netflix. (comingsoon.it)
ritenute meritevoli; Okya, del sudcoreano Bong Joon Ho e The Meyerowitz Stories dell’americano Noah Baumbach. Cosa potrebbe accadere? Che in caso di vittoria di uno dei due, per la prima volta nella storia della Palma d’Oro questa non potrebbe essere mai vista nella sua sede naturale, la sala cinematografica. Netflix li ha prodotti, ed è liberissimo di proclamare: «Tre anni di attesa prima di mostrarle altrove? I nostri membri le hanno finanziate; devono quindi anche essere i primi a poterle vedere…». Una scorciatoia che ha già sedotto 100 milioni di abbonati nel mondo. Atteso come una consacrazione, Les fantômes d’Ismael ha mostrato i limiti di una presunta egemonia autoriale del cineasta all’interno de cinema francese. In una storia che inizia come un frenetico film di spionaggio per trasformarsi, nell’ambizione del riferimento esplicito alla «donna che visse
due volte» dell’incomparabile Vertigo, in una melanconica ballata amorosa. Dal capolavoro hitchcockiano Desplechin ha estratto anche il nome della protagonista, Carlotta, per affidarla a una Marion Cotillard, qui meno a suo agio del solito. È lei la moglie scomparsa (deceduta?) che riappare dopo 20 anni a risollevare sentimenti e libido di Mathieu Amalric, regista che ora convive con una Charlotte Gainsbourg (al meglio delle sue prestazioni), sopravvivendo alle angosce di probabile vedovo a colpi tradizionali whisky e sigarette. Lo strano, più che veramente metafisico ménage a tre vive a Noirmoutier: il che permette all’autore di omaggiare un’altra isola, la Farö di Ingmar Bergman. Carlotta danza su musica e parole di Bob Dylan; ma è ormai tempo di cambiare (qualcuno dice genialmente) di genere e ambiente. Il regista ritorna agli appelli di uno suocero scampato alla Shoah e chiamato Blo-
om, come il protagonista dell’Ulysse di Joyce. La spia dal doppio gioco iniziale interpretata da Louis Garrel si accoppia con Alba Rohrwacher, per ricordarci che pure di un thriller si trattava. Il regista spara su un produttore ferendolo per davvero con una pistola posticcia; mentre, accarezzando un grande dipinto di Pollock, si disserta nel frattempo di prospettive, accostando i Coniugi Arnolfini di Van Eick all’Annunciazione del Beato Angelico. Labirinto esistenziale anche sofferto, Trois souvenirs de ma jeunesse merita meglio di un’analisi spietata delle proprie ambizioni; senza dimenticare che la versione presentata a Cannes è stata decurtata di 20 minuti rispetto a quella voluta dall’autore. Desplechin rimane maestro nel cogliere certi istanti folgoranti delle atmosfere come dell’intimo dei suoi attori-complici. Ma, se alimenta la propria ispirazione nel disordinato intrigo esisten-
ziale dei suoi personaggi, finisce per risultarne forzatamente vittima. Un film solido come una roccia, significativo come il proprio monito, commovente e implacabile ha invece aperto il Concorso. Andrei Zvyagintsev, autore di uno splendido Il ritorno nel 2003, già raccontava di un padre, assente da dieci anni, che ricompariva per condurre i figlioli in un viaggio realistico e astratto verso il lago Ladoga. Itinerario misterioso, lirico, malinconico, immerso nella natura, nella fatica del diventare ineluttabilmente adulti. Tutti temi che l’autore riprende in questo Loveless, ma volgendoli ora mirabilmente in un contesto urbano di straordinaria, universale urgenza. Genia e Boris si odiano. Si tradiscono a vicenda e vorrebbero lasciarsi, avendo risolto dapprima alcuni problemi. Come disfarsi dall’appartamento; e soprattutto di Aliocha, il delicato figliolo dodicenne, che nessuno avrebbe mai voluto fra i piedi. Di Aliocha non vedremo più che le poche lacrime furtive fra una furibonda aggressione a l’altra dei genitori. All’indomani, i due non si accorgeranno nemmeno della sua scomparsa. Prima di quella scoperta sconciamente tardiva, Zvyagintsev si prende tutto il tempo necessario per mostrarci la banalità dell’indifferenza; e di quanto essa faccia parte di un rituale al quale tutti noi fatichiamo a sfuggire. Magnificamente calibrato negli ambienti, il quotidiano (professionale, sessuale) degli ancora inconsapevoli, indegni genitori viene descritto con una cura tutta dovuta allo sguardo del cineasta. Nei tempi cosi prolungati, gli spazi accuratamente indagati di quell’ipocrita «normalità» di comportamento, allo spettatore quasi viene imposto l’interrogativo. Precipitandolo nel dramma vieppiù coinvolgente: degli interrogativi, delle inchieste, infine delle ricerche e delle scoperte. Di una presa di coscienza, che da paradossale e privata che potesse apparire si fa collettiva. Una mostruosa noncuranza che dall’infernale triangolo privato iniziale si è ormai allargata all’eco delle tragedie pubbliche che giungono dalle guerre in Ucraina.
Non c’è scampo per nessuno
Teatro Impressionante, eloquente monologo da L’uomo nell’olocene di Max Frisch Marinella Polli «Ho l’impressione di essermi persa», questa la frase spesso ripetuta da Auguste D., la paziente che permise al dott. Alois Alzheimer di compiere le sue ricerche su una malattia allora ancora sconosciuta e per lo più fatta rientrare nella casistica delle demenze senili. Ce la ricordiamo perché proprio di lì muoveva un lavoro teatrale andato in scena parecchi anni fa al Neumarkt Theater di Zurigo. Anche Max Frisch, nella sua novella o racconto lungo L’Uomo nell’Olocene (Der Mensch erscheint im Holozän), racconta con una scrittura pura e precisa, ma intensissima, della disgregazione della mente umana – qui probabilmente dovuta ad un ictus – che è poi l’apocalittica, estrema disgregazione. È a questo capolavoro di Frisch che si ispira il monologo portato in scena al Luzerner Theater dal regista Felix Rothenhäusler (luci e scene di Matthias Singer) e su brani della Decima di Mahler. Monologo costituito da una serie di riflessioni del signor Geiser, un anziano vedovo che si trova bloccato, senza elettricità e completamente isolato in uno sperduto villaggio del
Adrian Furrer è un intenso Geiser. (Ingo Hoehn, www.luzernertheater.ch)
Canton Ticino (Frisch aveva vissuto a Berzona, ricordiamocelo, in Vall’Onsernone) a causa di piogge alluvionali e frane. L’uomo pensa intensamente alla vecchiaia ormai imminente, alla morte ma, soprattutto, alla possibile perdita del controllo e della memoria
e al conseguente decadimento intellettivo, iniziando dunque a scrivere su foglietti che appende ovunque gli capiti, e con parole semplici o di difficile significato, pensieri e considerazioni di vario genere: sull’origine dell’uomo avvenuta nell’Olocene, sulla conserva-
zione della specie umana, sulla natura, sugli innumerevoli tipi di tuono che riecheggiano nelle montagne ticinesi, sull’estinzione di dinosauri e brontosauri cui farà seguito la sua più o meno prossima personale estinzione. È come se Geiser, con questo suo meticolosissimo tentativo di aggrapparsi a cultura e a conoscenze acquisite onde tracciare un quadro completo del mondo, intendesse contrastare l’avanzare dell’incapacità di servirsi del linguaggio, e con esso il disorientamento, la confusione, la dissoluzione dei territori cerebrali, la cui conseguenza non può che essere la totale inconsapevolezza di sé. Il soliloquio viene come detto sottolineato dalla musica di Mahler, dapprima solo qualche accordo, poi accenni sempre più eloquenti, fino ad arrivare alle note esplosioni della Decima, incompiuta, ma in parte ricostruita sulla base degli appunti di Mahler; inoltre, in quanto opera tarda nella vita dell’artista, così come il capolavoro di Frisch, altra fonte di possibili sinergie. Una galassia di forze che si scontrano, questa musica eseguita dalla Luzerner Sinfonieorchester per la direzione musicale di Yoel Gamzou (che, insieme al
regista, è ideatore della produzione) e Winston Dan Vogel. Una performance dura ma emozionante, terribile ma avvincente dall’inizio alla fine, non da ultimo perché tratta un tema che riguarda tutti. Molto è dovuto alla prestazione di Adrian Furrer nei panni di Geiser: dapprima determinato e sicuro di sé, poi delirante, ossessivo come il crescendo della musica, che è monito costante di un pericolo imminente da cui non c’è salvezza per nessuno. E sarà proprio questo crescendo terribile come un diluvio universale ad averla vinta, persino oltre il suo spegnersi in un altrettanto terribile silenzio, quando il protagonista, il corpo tenacemente presente, ma lo sguardo ormai perso nel vuoto, non potrà più parlare, né formulare, né scrivere. Mentre la natura, violenta e, soprattutto, ignara, indifferente e insensibile, continuerà anche senza le analisi, le ricerche e le definizioni di Geiser, perché lei, a differenza di lui, per sopravvivere non ha bisogno di nomi né di denominazioni. Dove e quando
Fino al 9 giugno al Luzerner Theater.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 22 maggio 2017 • N. 21
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Cultura e Spettacoli
Il meglio del teatro svizzero e un premio per Trickster P
In scena Un’importante rassegna dedicata alla produzione elvetica si terrà a Lugano: intervista alla regista
e attrice Cristina Galbiati che ha ricevuto un riconoscimento per la sua attività
Un rapporto di amore e odio che però ci fa progredire.
Giorgio Thoeni Dopo Winterthur e Ginevra, l’Incontro del Teatro svizzero (rencontre-theatre-suisse.ch/it/) arriva per la prima volta nella nostra regione. Dal 24 al 28 maggio la manifestazione va in scena sui palchi del LAC e del Teatro Foce di Lugano, del Teatro Sociale di Bellinzona e del Cinema Teatro di Chiasso. Otto gli spettacoli scelti per una rassegna creata quattro anni fa con l’intento di rappresentare tutta la ricchezza e la diversità del nostro teatro, dando la possibilità al pubblico di assistere a spettacoli provenienti sia dal teatro indipendente sia da quello istituzionale e nelle diverse lingue nazionali.
Galbiati e Luginbühl a Novazzano hanno un laboratorio in cui sperimentano nuove formule di spettacolo Tra i 220 spettacoli visionati da una commissione la scelta è caduta anche su due produzioni ticinesi: Purgatorio di LuganolnScena per la regia di Carmelo Rifici e Twilight di Trickster P, realizzato da Cristina Galbiati e Ilija Luginbühl, tra i vincitori dei prestigiosi Premi svizzeri di teatro 2017. L’idea di istituire dei premi nazionali per la letteratura, l’arte e il design, il cinema, la musica, la danza e il teatro, lo ricordiamo, si è sviluppata a partire dal 2012 sulla scia della nuova legge per la promozione della cultura. Distinzioni con le quali la Confederazione intende onorare l’eccellenza svizzera e farla conoscere a un pubblico più ampio. Trickster P: dal teatro assente al nuovo spettatore
Sono ormai in tanti a dichiarare che il teatro è morto. Come se la sua storia avesse compiuto il suo lungo ciclo esaurendo la forza della creatività. Assistiamo a tante, spesso troppe soluzioni alternative per entrare nel limbo del futuribile, dell’originalità a tutti i costi, dell’uscita dai paradigmi tradizionali. La formula adottata dalla compagnia Trickster-p di Cristina Galbiati e Ilija Lungibühl è nata anticipando altre formule, coscienti del fatto che il nostro teatro indipendente, in un certo senso è prigioniero della lingua italiana e, di conseguenza, non riesce a valicare le Alpi. Questo non ha impedito alla compagnia Trickster di individuare la propria via. Come ci racconta Cristina Galbiati: «Io e Ilija ci siamo conosciuti alla Scuola di Verscio che ho finito due anni prima di lui. Eravamo già
Il vostro prossimo progetto, Nettels, vuole riportare la vostra poetica a significati più profondi e diffusi. A differenza di Twilight che ha diviso il pubblico.
Era l’obiettivo di quello spettacolo, un lavoro nato per essere più radicale e creare una relazione di rigidità o rifiuto. Con Nettels vogliamo tornare al lavoro sul singolo spettatore. Cerchiamo risposte su come possiamo proseguire la nostra ricerca su uno spazio evocativo in un rapporto con la sensorialità. In H.&G. c’era una voce che guidava. In B. c’era il suono di un campanello che invitava a proseguire. Ora ci stiamo chiedendo che cosa vuol dire «guidare» lo spettatore. L’idea è quella di esplorare. Vincere un premio è un momento importante, corrisponde a un punto d’arrivo ma anche a un momento di rilancio…
Da Twilight. Coreografia per la luce che muore. (© Studio CCRZ )
una coppia nella vita ma si trattava di capire se continuare insieme anche a livello professionale. Avevo già l’idea di creare un mio progetto ma la vera scelta l’ha dovuta fare Ilija. Io ho avuto due anni di vantaggio per capirlo. Nel frattempo sono stata in India e a Bruxelles per approfondire la conoscenza del teatro di gruppo, del teatro antropologico, del Katakali. Al ritorno avevo creato Cipollino, il mio primo spettacolo, una narrazione seduta su una sedia: il tentativo di trovare un linguaggio che mi appartenesse. Quando Ilija ha concluso la scuola abbiamo deciso di lanciarci nei primi progetti. Vi siete ispirati al «terzo teatro», all’animazione di piazza, poi siete tornati in sala. Quando avete deciso di voler creare qualcosa di diverso?
Ci sono stati due momenti chiave. Il primo ha coinciso con l’acquisto di una casa a Novazzano, uno spazio tutto nostro che ha stimolato il pensiero verso il futuro. Il secondo è stato la creazione di H.G. con la decisione di rinunciare agli attori. Una scelta quasi obbligata: eravamo in due per fare tutto e un giorno Ilija ha detto: «È troppo, dobbiamo rinunciare a qualcosa. Rinunciamo agli attori!» Per me è stato come tagliarmi una mano! Ma la sfida era troppo interessante e così è nato H.G. (Hänsel e Gretel), un lavoro che ha girato molto. È stato un azzardo perché a quel tempo non sapevamo quanto poteva funzionare l’idea. Ma ci occorreva una soluzione che ci facesse uscire dallo stretto ambito ticinese con una struttura che permettesse di girare con una certa facilità. L’esperienza fatta con Rapsodia per i giganti, dove recitavamo sui trampoli, era quella di uno spettacolo molto agile grazie al quale siamo stati in Asia, in America Latina… e per noi viaggio è sempre stato il compromesso – abbiamo una base qui ma non rinunciamo a una visione più ampia.
Non ci chiediamo mai se ciò che facciamo è originale, se è teatro o altro, ma se riesce a comunicare.
Non vi siete mai posti la domanda se quanto proponete possa avere dei limiti?
Sì. E sono molto reali e legati alla praticità dei progetti. Mi piacerebbe realizzarli più in grande ma non è possibile, per mezzi e contesti. Ma è questo limite che ci permette di trovare soluzioni creative diverse.
Ilija lo vive come una sorta di coronamento. Io lo percepisco in un modo più conflittuale: da un lato con la grande soddisfazione di veder riconosciuti i nostri sforzi. D’altro canto mi chiedo quale sarà il prossimo passo. Spero di poter continuare nella ricerca cercando di non perdere ciò che è diventato parte della nostra identità artistica. Annuncio pubblicitario
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Oggi si riflette molto sul concetto che il teatro abbia concluso il suo ciclo. Pare che con il vostro modo di far spettacolo anticipiate la fine della scena tradizionale: è un caso?
Da: H.&G. (© Studio CCRZ )
Dapprima sul teatro: è un momento in cui dare una definizione è molto difficile. Qualcuno ha detto che ormai la parola «teatro» dovrebbe essere usata solo in relazione all’edificio perché non corrisponde più a una disciplina, oggi troppo variegata e spuria. Per noi è sempre stato più importante parlare col pubblico che rientrare in una categoria.
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Cultura e Spettacoli
Seduzione elettronica
Musica L a classe non è acqua: nonostante qualche ammiccamento al sound commerciale, l’abituale raffinatezza
stilistica del duo elettronico dei Goldfrapp permane anche nel nuovo album Benedicta Froelich Fin dalla sua ascesa all’interno del panorama della musica leggera internazionale, quel particolare genere di pop-rock definito come «elettronica» (o, in alcuni casi, «elettropop»), ha conosciuto fasi alterne di popolarità e qualità intrinseca, alternandosi tra i fasti rappresentati dalla ricerca stilistica di artisti raffinati e innovativi e le più bieche operazioni commerciali di largo consumo. Se, infatti, è anche troppo facile scambiare questo specifico genere per semplice musica dance, o confonderlo con la ben più datata (e assai meno ricercata) discomusic, è altrettanto vero che non capita spesso di incontrare, in tale ambito, performer della raffinatezza e versatilità stilistica dei Goldfrapp, l’intrigante duo britannico composto dalla vocalist Alison Goldfrapp e dal musicista Will Gregory; ed è proprio questa forte personalità ad aver permesso alla formazione di rimanere un nome di riferimento nell’ambito «elettronico» fin dai tempi dell’eccellente esordio Felt Mountain (2000). Infatti, il background musicale di Alison (che spazia dal rock d’autore al surrealismo della musica da cabaret e delle ballate nordeuropee alla Serge Gainsbourg) permette alle melodie del duo, eseguite quasi esclusivamente con l’ausilio dei sintetizzatori, di toccare perfino la musica ambient e il synthpop anni ’80 – come dimostrato anche da quest’ultimo sforzo, Silver
Eye, ricco di suggestioni che richiamano la chill-out music. Sfortunatamente, però, come spesso accade di questi tempi, i brani destinati ai passaggi radiofonici promozionali tendono ad andare «sul sicuro», evitando di offrire all’ascoltatore sensazioni troppo dissimili da ciò che questi potrebbe aspettarsi: tale è anche il caso di Anymore, singolo di lancio di Silver Eye – il quale, sebbene tutt’altro che disprezzabile, rappresenta un esempio non particolarmente sorprendente di «tormentone» synthpop dal ritornello orecchiabile e vagamente ossessivo; cosa che, pur non togliendo nulla alla qualità intrinseca del pezzo, probabilmente farà sì che questo primo assaggio dell’album stenti a entusiasmare i fan più smaliziati del duo. Altrettanto poco convincente risulta Everything Is Never Enough, sorta di ibrido tra il pop radiofonico di largo consumo e la disco-dance più ballabile: una strizzata d’occhio al sound commerciale che ben poco si addice allo stile dei Goldfrapp, come dimostrato anche da Systemagic, altra traccia che, in maniera ben poco sottile, ammicca ad atmosfere di tipo mainstream. Di conseguenza, non è probabilmente un caso se, una volta lasciati da parte i brani prescelti per la promozione su larga scala di Silver Eye, ritroviamo finalmente delle sonorità e una profondità compositiva molto più vicine a ciò a cui i Goldfrapp ci hanno abituato: così, pezzi suggestivi e vibranti come
HIT
Silver Eye, recente lavoro dei Goldfrapp, non convince fino in fondo.
Tigerman e, soprattutto, Moon in Your Mouth, ci riportano a quella sottile inquietudine che il repertorio della formazione raramente manca di trasmettere, grazie soprattutto alle atmosfere vagamente oniriche e «otherworldly» tipiche del synth di Gregory (qui ulteriormente favorite da una linea melodica in qualche modo reminiscente di hit pop quali il tormentone White Flag di
e n o i g a t s i d
Dido). Ma la traccia più d’effetto è forse Zodiac Black, vera e propria epopea di ritmi inquietanti e sotterranei, dalle tinte oscure e quasi gotiche; mentre l’intensa ballata Beast That Never Was, che richiama lontanamente i Radiohead prima maniera, riporta il mood della tracklist su suggestioni di stampo più cantautorale e vicine alla forma canzone tradizionale – come accade anche
con il lento, piccolo capolavoro di dolente intimismo e languida introspezione. Purtroppo, però, il CD non è esente dalla presenza di qualche brano definibile come «riempitivo», quale ad esempio il francamente ridondante Become the One; ma fortunatamente, l’ultima impressione è quella data dall’ipnotico Ocean, pezzo cantilenante e un po’ ossessivo che chiude in bellezza l’album. Certo, si potrebbe dire che anche stavolta, come accade del resto con la maggior parte dei dischi pubblicati nell’ambito della scena pop-rock angloamericana degli ultimi anni, Silver Eye offra ben poco di nuovo o inaspettato all’ascoltatore; e con questo non si intende affatto sminuire la qualità artistica dell’album – che, con l’eccezione di qualche scivolata «commerciale», rimane in ogni caso piuttosto elevata – ma semplicemente constatare come questo lavoro, per i Goldfrapp, rappresenti poco più che una conferma: una dimostrazione di come, dopo la virata folk-sinfonica dell’album Tales of Us (2013), la formazione sia ancora in grado di sedurre gli appassionati dell’elettronica pura, grazie alla sua innata abilità nell’intessere atmosfere inquietanti e cariche di conturbante, seppur dolorosa, introspezione. Anche per questo, tuttavia, i fan del duo rimarranno certo più che soddisfatti della nuova fatica discografica, senz’altro foriera di buoni auspici per il futuro di uno tra i nomi più intriganti dell’attuale scena britannica. Annuncio pubblicitario
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Idee e acquisti per la settimana
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Conosciuta come bistecca o costata alla fiorentina (anche se in Toscana è chiamata semplicemente «bistecca»), la TBone Steak è un taglio pregiato di carne ottenuto dalla parte centrale della lombata di manzo, che comprende al centro l’osso forma a T (da cui prende il nome), la fetta di filetto sottostante e l’entrecôte (controfiletto) sull’altro lato. Il taglio pregiato spicca per il suo sapore deciso, la tenerezza unica e l’eccezionale succosità. Queste qualità sono dovute anche alla frollatura all’osso da 3 fino a 7 settimane in un ambiente ottimale e al leggero strato di grasso sul bordo che, sciogliendosi durante la cottura, conferisce alla carne la sua caratteristica nota aromatica nocciolata. Nei paesi anglosassoni, oltre alla T-Bone, è nota anche la Porterhouse. Anch’essa ha il tipico osso a forma di T, ma si ricava dall’estremità
posteriore della lombata: ciò significa una maggiore porzione di filetto. Consigli per la preparazione
Per gustare appieno il sapore naturale della T-Bone steak è bene non eccedere con i condimenti. Anche solo un poco di sale grosso, pepe macinato fresco (o peperoncino) e qualche goccia di olio d’oliva possono bastare. Togliere la carne dal frigorifero almeno un’ora prima della cottura. Inizialmente scottare la carne sulla griglia da entrambi i lati a fuoco vivo per qualche minuto. Successivamente proseguire la cottura a bassa temperatura per ca. 15 minuti girandola di tanto in tanto fino al raggiungimento della temperatura ideale di 52°C (molto al sangue) nel cuore della bistecca. È importante girare la costata con una pinza da grill e non con un for-
chettone per non perdere i preziosi succhi. Una volta pronta, prima di servire, lasciarla riposare una decina di minuti avvolta in un foglio di alluminio affinché i succhi si possano ripartire in modo uniforme e le fibre si rilassino. La costata può essere preparata anche in una bistecchiera.
Nelle fattorie IP-Suisse gli animali con il marchio TerraSuisse sono allevati nel rispetto della specie, in gruppo ed hanno la possibilità di uscire all’aperto.
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Idee e acquisti per la settimana
Efficace contro le macchie… anche in vacanza Attualità Total offre la soluzione ideale per il bucato in ogni occasione
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Ti piace il sushi? Bello da vedere e buonissimo da mangiare. Il sushi è la specialità di origine giapponese a base di pesce crudo, riso e verdure che unisce i sapori all’estetica. Questi bocconcini da mangiare accompagnati da salsa di soia e wasabi, sono un piacere per occhi e palato, e sono ricchi di nutrienti benefici per la salute: contengono sostanze utili al corpo, sono leggeri e poveri di grassi. I supermercati di Migros Ticino propongono ormai da diversi anni una variegata scelta di sushi fresco, preparato accuratamente da un’azienda svizzera con pluriennale esperienza nel settore, che utilizza solo ingredienti di prima qualità e pesce proveniente rigorosamente da fonti sostenibili. Accanto alle specialità tradizionali, sempre presenti nell’assortimento, da qualche settimana sono entrate due novità dedicate ai vegani: il sushi California con tofu e carote e il Green Maki Mix a base di riso, cetrioli, carote, ravanelli marinati e peperoni rossi. Inoltre, presso i banchi del pesce e nelle macellerie, si possono ordinare dei vassoi di sushi secondo i propri gusti e ritirarli dopo qualche giorno. A proposito, per farsi un’idea dell’ottima qualità del nostro sushi, sono
previsti tre giorni di degustazione, dal 1. al 3 giugno, presso il supermercato Migros di S. Antonino. Per l’occasione tutto l’assortimento sarà proposto con il 20% di riduzione (solo a S. Antonino).
Piccolo glossario sul sushi Sashimi: fette sottilissime di pesce crudo come tonno o salmone. Futomaki: grandi involtini di riso farciti di diversi ingredienti e avvolti da un foglio di alga nori. Hosomaki: piccolo rotolo di alga nori, riso e un solo ingrediente all’interno. Nigiri: fette di pesce crudo o gamberi appoggiati su polpettine di riso aromatizzato all’aceto. Wasabi: rafano giapponese dalla nota piccante. Comunemente si serve sotto forma di pasta per accompagnare il sushi. Zenzero: si usa servirlo marinato insieme al sushi. Serve a neutralizzare il sapore in bocca tra un boccone a l’altro.
Macchie indesiderate sui vostri capi più belli mentre siete in villeggiatura? Nessun problema. Total, la marca di detersivi più venduti in Svizzera, propone oltre al suo vasto e completo assortimento di prodotti per un bucato pulito e splendente, anche l’efficace Total Minil Rapide-Gel. Pratico da portare in viaggio grazie alla confezione in piccolo formato da 250 ml, è indicato per tutti i tessuti, per tutti i gradi di durezza dell’acqua e agisce contro le macchie già a basse temperature. È un detersivo dal profumo gradevole, che essendo ideato per il lavaggio a mano, se ne prende cura delicatamente così come cura i tessuti sfruttando le proteine trattanti estratte dal grano. Per un risultato ottimale sciogliere 10 cm di Total Minil Rapide-Gel in 5 litri d’acqua. Aggiungere la biancheria sporca e lasciare in ammollo per qualche minuto, quindi strofinare laddove sono le macchie più difficili. Sciacquare bene la biancheria e stenderla ad asciugare. Le macchie più tenaci possono essere trattate versando qualche goccia di prodotto direttamente sulla zona critica 10 minuti prima del lavaggio usuale. Il prodotto è ben biodegradabile. Anche Rapide-Gel, come tutti i detersivi Total, è sviluppato in Svizzera dall’azienda del gruppo Migros Mibelle.
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Idee e acquisti per la settimana
LEGO in mostra
Eventi Lo Shopping Center Serfontana
ospita fino al 27 maggio un’esposizione sui mitici mattoncini colorati
Una mostra con spettacolari costruzioni in LEGO, una libreria a tema con la possibilità di sfogliare e acquistare pubblicazioni rare e uno spazio speciale LEGO dove i bambini possono realizzare costruzioni a loro piacimento. Questa settimana all’interno della Mall dello Shopping Center Serfontana, vi aspetta l’evento «Block Mania», organizzato in collaborazione con lo Swiss Italian LEGO Users Group (SILUG). Ma non finisce qui: grazie alla presenza dei membri dell’associazione, si possono ottenere informazioni e curiosi-
tà a tutto tondo sul fantastico mondo LEGO, mentre nei pomeriggi di mercoledì 24, venerdì 26 e sabato 27 sono in programma delle gare di velocità di costruzione per bambini con allettanti premi LEGO in palio. Infine, tra le diverse e originali costruzioni in mostra, si può ammirare anche il modellino in scala 1:150 del Serfontana composto da ben 15’000 mattoncini LEGO. Per realizzarlo gli appassionati dell’associazione SILUG hanno impiegato oltre 1000 ore di lavoro. Impossibile mancare a questo appuntamento!
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Idee e acquisti per la settimana
You
Semplicemente e naturalmente trendy
Con la nuova marca propria You, la Migros si rivolge a tutti i suoi clienti particolarmente attenti alla propria alimentazione e alle nuove tendenze. Che si tratti di uno yogurt con meno zucchero o di uno snack «Superfood»: i prodotti You si caratterizzano per la naturale semplicità degli ingredienti
YOU 100 CAL Mango Passion 150 g* Fr. –.85
Prodotti You
Sapore e benessere
YOU 100 CAL Pesche-Melagrana 150 g* Fr. –.85
YOU Joghurt & Chia Dark Berries 170 g* Fr. 1.55
YOU 100 CAL Lamponi-Acerola 150 g* Fr. –.85
YOU Joghurt & Chia Red Berries 170 g* Fr. 1.55
YOU Chia-Cookie Spelta 40 g* Fr. 1.95
Un sempre maggior numero di consumatori sono alla ricerca di alimenti che promettano al contempo valore aggiunto, piacere e benessere. Alimenti che, per esempio, siano particolarmente ricchi di proteine o fibre, contengano dei cosiddetti «Superfood» oppure pochi zuccheri e grassi, che possibilmente siano fatti con ingredienti semplici e naturali e che abbiano ovviamente un buon sapore. Con You, Migros ha sviluppato una nuova marca che soddisfa questi bisogni. Affinché questi alimenti siano facilmente riconoscibili il fronte dell’imballaggio presenta delle caratteristiche ben definite. Come primi prodotti You segnaliamo sei varietà di yogurt. Tre di questi hanno solo 100 calorie per vasetto. Contengono il 30% in meno di zucchero rispetto ad uno yogurt convenzionale, sono poveri di grassi e ricchi di proteine. I prodotti You sono disponibili anche nel settore degli snack: i Chia-Cookies con grassi insaturi, Omega 3 e semi di chia e i CocoCookies con semi di amaranto. Altri prodotti You verranno regolarmente introdotti sugli scaffali in tutto l’assortimento alimentare.
Suggerimento Impuls
Addolcite la vostra vita Ci sono molte possibilità per ridurre l’assunzione di zuccheri. Scoprite come fare su Impuls. migros-impuls.ch
Illustrazioni Corina Vögele
YOU Joghurt & Chia Exotic 170 g* Fr. 1.55
YOU Coco-Cookie Spelta 40 g* Fr. 1.95
* Nelle maggiori filiali
IMpuls è la nuova iniziativa della Migros in favore della salute.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 22 maggio 2017 • N. 21
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 22 maggio 2017 • N. 21
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Idee e acquisti per la settimana
You
Semplicemente e naturalmente trendy
Con la nuova marca propria You, la Migros si rivolge a tutti i suoi clienti particolarmente attenti alla propria alimentazione e alle nuove tendenze. Che si tratti di uno yogurt con meno zucchero o di uno snack «Superfood»: i prodotti You si caratterizzano per la naturale semplicità degli ingredienti
YOU 100 CAL Mango Passion 150 g* Fr. –.85
Prodotti You
Sapore e benessere
YOU 100 CAL Pesche-Melagrana 150 g* Fr. –.85
YOU Joghurt & Chia Dark Berries 170 g* Fr. 1.55
YOU 100 CAL Lamponi-Acerola 150 g* Fr. –.85
YOU Joghurt & Chia Red Berries 170 g* Fr. 1.55
YOU Chia-Cookie Spelta 40 g* Fr. 1.95
Un sempre maggior numero di consumatori sono alla ricerca di alimenti che promettano al contempo valore aggiunto, piacere e benessere. Alimenti che, per esempio, siano particolarmente ricchi di proteine o fibre, contengano dei cosiddetti «Superfood» oppure pochi zuccheri e grassi, che possibilmente siano fatti con ingredienti semplici e naturali e che abbiano ovviamente un buon sapore. Con You, Migros ha sviluppato una nuova marca che soddisfa questi bisogni. Affinché questi alimenti siano facilmente riconoscibili il fronte dell’imballaggio presenta delle caratteristiche ben definite. Come primi prodotti You segnaliamo sei varietà di yogurt. Tre di questi hanno solo 100 calorie per vasetto. Contengono il 30% in meno di zucchero rispetto ad uno yogurt convenzionale, sono poveri di grassi e ricchi di proteine. I prodotti You sono disponibili anche nel settore degli snack: i Chia-Cookies con grassi insaturi, Omega 3 e semi di chia e i CocoCookies con semi di amaranto. Altri prodotti You verranno regolarmente introdotti sugli scaffali in tutto l’assortimento alimentare.
Suggerimento Impuls
Addolcite la vostra vita Ci sono molte possibilità per ridurre l’assunzione di zuccheri. Scoprite come fare su Impuls. migros-impuls.ch
Illustrazioni Corina Vögele
YOU Joghurt & Chia Exotic 170 g* Fr. 1.55
YOU Coco-Cookie Spelta 40 g* Fr. 1.95
* Nelle maggiori filiali
IMpuls è la nuova iniziativa della Migros in favore della salute.
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Idee e acquisti per la settimana
Aproz
Dissetarsi all’insegna del sapore Due nuove originali combinazioni di gusti rendono le acque minerali Aproz O2 e Aproz Plus sorprendenti: la prima «esotica» all’ananas e yuzu, agrume di origine giapponese, e la seconda alla mela con menta e la nota rinfrescante del cetriolo. Per gli amanti delle bevande con acqua minerale Aproz leggermente aromatizzate, il gusto alle erbe fresche Mint-Lime, nuovo nella linea, è un’ottima scelta rinfrescante. Anche i fan dello Schorle non resteranno a mani vuote, Mela-Lampone-Rabarbaro sono le nuove varianti alla frutta, gustose e dissetanti.
Aproz Schorle Mela-Lampone-Rabarbaro 50 cl Fr. 1.40
Aproz O2 Ananas-Yuzu 50 cl* Fr. 1.40 Nelle maggiori filiali
Aproz Menta-Lime 1 l Fr. 1.20 Nelle maggiori filiali
Aproz Plus Mela-Menta-Cetriolo 1 l* Fr. 1.30 Nelle maggiori filiali *Azione 20x Punti Cumulus dal 16 al 29 maggio
L’acqua ricca di calcio e magnesio delle bevande aromatizzate Aproz proviene dalla Alpi vallesane.
M-Industria crea numerosi prodotti Migros, tra cui anche le bevande Aproz.
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Idee e acquisti per la settimana
Gelato
Una varietà da brividi Gustarsi un buon gelato è un dolce sfizio che non cambia. Persino quando si cambiano lo stile di vita e alimentazione, è difficile rinunciare a un dessert così fresco e cremoso. Per questo motivo Migros sviluppa continuamente nuove varietà di gelato in grado di soddisfare tutte le esigenze. L’ultima novità è Frozen Yo High Protein, un gelato allo yogurt con un tenore proteico del 20% e meno del 3% di grassi. Una vera delizia particolarmente consigliata a coloro che seguono una dieta ricca di proteine. L’assortimento presta attenzione alle tendenze proponendo anche le varianti vegane Fruit Ice Fruit & Vegetable, e senza lattosio Coco Ice-Land e Fruit Ice Sorbet. Proprio per tutti i gusti!
Azione 20X Punti Cumulus su tutti i gelati fino al 29 maggio
Frozen Yo High Protein Cioccolato 120 ml Fr. 2.50 Fruit Ice Fragola o Limone* 100 ml Fr. 2.40
Coco Ice-Land Coco & Cioccolato 6 x 76 ml Fr. 5.80
Fruit Ice Fruit & Vegetable 6 x 48 ml Fr. 5.50
*Nelle maggiori filiali
Frozen Yo High Protein Banana* 120 ml Fr. 2.50 Accanto alle varietà tradizionali, alla Migros si trovano anche gelati a base di frutta, senza lattosio e vegani, come pure quelli ricchi di proteine.
M-Industria crea numerosi prodotti Migros, tra cui anche i gelati.
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Idee e acquisti per la settimana
Cult Ice Tea
Frizzante refrigerio Da oggi il tè freddo Cult Ice Tea di Migros è disponibile anche nella versione addizionata di acido carbonico. Le bollicine dal fine perlage aggiungono al tè una nota di freschezza molto particolare. Da gustare ben freddo: il tè frizzante è preparato in Svizzera con la ricetta tradizionale del celebre Cult Ice Tea. Si utilizza quindi il tè nero certificato UTZ che viene in seguito accuratamente lavorato.
Cult Ice Tea Frizzante al limone 330 ml Fr. –.75 Nelle maggiori filiali
M-industra crea molti prodotti Migros. Tra questi c’è anche il Cult Ice Tea.
UTZ garantisce la coltivazione sostenibile di caffè, cacao, tè e nocciole, ma ma anche per migliori prospettive per il futuro dei contadini, delle loro famiglie e del nostro ambiente nel suo complesso.
Parte di
Il celebre Cult Ice Tea nella versione frizzante viene offerto nella lattina in alluminio alla moda da 330 ml.
Con il suo impegno per l’ambiente Migros è da generazioni in anticipo sui tempi.
Azione 20%
20%
2.90 invece di 3.65
1.60 invece di 2.–
Mini filetti di pollo Optigal in conf. speciale Svizzera, per 100 g
Gruyère surchoix per 100 g
35%
2.95 invece di 4.70 Lamponi Spagna, vaschetta da 250 g
20%
2.50 invece di 3.20 Patate novelle Israele, imballate, 1,5 kg
30% Tutto l’assortimento di formaggi Auricchio per es. dolce a fette, conf. da 100 g, 1.55 invece di 2.25
a partire da 2 pezzi
35%
2.50 invece di 3.90 Pere Abate Fetel Sudafrica/Cile, al kg
a partire da 2 confezioni
– .3 0
di riduzione l’una Tutta la pasta M-Classic a partire da 2 confezioni, –.30 di riduzione l’una, per es. pipe, 500 g, 1.20 invece di 1.50
Migros Ticino Da tutte le offerte sono esclusi gli articoli M-Budget e quelli già ridotti. OFFERTE VALIDE SOLO DAL 23.5 AL 29.5.2017, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK
50%
Tutto l’assortimento Migros Topline e Sistema Microwave a partire da 2 pezzi, 50% di riduzione, offerta valida fino al 5.6.2017
. a z z e h c s e fr lo o s e e Sempr conf. da 3
40%
6.95 invece di 11.60
Consiglio
Salsiccia ticinese per il grill Rapelli in conf. da 3 Svizzera, 3 x 180 g
50%
33%
4.25 invece di 6.40
1.10 invece di 2.20 Pizzoccheri prodotti in Ticino, in conf. take away, per 100 g
Costata di manzo TerraSuisse Svizzera, imballata, per 100 g
PER CORONARE L’INSALATA Un nome così richiede un condimento altrettanto regale. Per questo una salsa ai semi di papavero fatta in casa e arricchita con yogurt al naturale è il degno accompagnamento per l’insalata del re Anna’s Best. Trovate la ricetta su migusto.ch e tutti gli ingredienti freschi alla vostra Migros.
conf. da 2
20%
6.20 invece di 7.80 Insalata del re Anna’s Best in conf. da 2 2 x 150 g
30%
1.40 invece di 2.– Fleischkäse TerraSuisse affettato finemente in conf. speciale per 100 g
40%
9.50 invece di 16.– Cosce inferiori di pollo Optigal speziate in conf. speciale in vaschetta d’alluminio, Svizzera, al kg
Migros Ticino OFFERTE VALIDE SOLO DAL 23.5 AL 29.5.2017, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK
40%
2.45 invece di 4.10 Bistecca di lonza di maiale TerraSuisse, marinata, in conf. speciale per 100 g
30%
2.10 invece di 3.05 Prosciutto cotto Vivaldi prodotto in Ticino, affettato in vaschetta, per 100 g
20%
3.40 invece di 4.25 Arrosto di vitello cotto Svizzera, affettato in vaschetta, per 100 g
30%
3.90 invece di 5.60 Filetto di maiale TerraSuisse Svizzera, imballato, per 100 g
20%
2.60 invece di 3.30 Spiedini misti TerraSuisse Svizzera, imballati, per 100 g
20%
2.90 invece di 3.65 Spezzatino di vitello TerraSuisse Svizzera, imballato, per 100 g
. a z z e h c s e fr lo o s e e Sempr conf. da 3
40%
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Consiglio
Salsiccia ticinese per il grill Rapelli in conf. da 3 Svizzera, 3 x 180 g
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PER CORONARE L’INSALATA Un nome così richiede un condimento altrettanto regale. Per questo una salsa ai semi di papavero fatta in casa e arricchita con yogurt al naturale è il degno accompagnamento per l’insalata del re Anna’s Best. Trovate la ricetta su migusto.ch e tutti gli ingredienti freschi alla vostra Migros.
conf. da 2
20%
6.20 invece di 7.80 Insalata del re Anna’s Best in conf. da 2 2 x 150 g
30%
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Migros Ticino OFFERTE VALIDE SOLO DAL 23.5 AL 29.5.2017, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK
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30%
3.90 invece di 5.60 Filetto di maiale TerraSuisse Svizzera, imballato, per 100 g
20%
2.60 invece di 3.30 Spiedini misti TerraSuisse Svizzera, imballati, per 100 g
20%
2.90 invece di 3.65 Spezzatino di vitello TerraSuisse Svizzera, imballato, per 100 g
conf. da 3
20%
3.45 invece di 4.35 Mozzarella Alfredo in conf. da 3 3 x 150 g
30% Phalaenopsis, 2 steli, in vaso per idrocoltura da 12 cm disponibile in diversi colori, per es. rosa, la pianta, 11.80 invece di 16.90
15.80 invece di 23.10 Salmone affumicato bio in conf. speciale d’allevamento, Irlanda/Norvegia, 260 g
20%
2.85 invece di 3.60 Jogurtpur in conf. da 4 4 x 150 g, per es. alla fragola
20%
1.55 invece di 1.95 Formaggella ticinese 1/4 grassa prodotta in Ticino, a libero servizio, per 100 g
30%
4.80 invece di 6.90 Albicocche Spagna, al kg
30%
2.50 invece di 3.60 Meloni retati Italia, al pezzo
conf. da 2
20%
4.50 invece di 5.65 Caprice des Dieux 330 g
30%
conf. da 4
20%
11.80 invece di 14.80 Asiago DOP a libero servizio, al kg
Migros Ticino OFFERTE VALIDE SOLO DAL 23.5 AL 29.5.2017, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK
20%
3.65 invece di 4.60 Le Gruyère grattugiato in conf. da 2 2 x 120 g
30% Tutto l’assortimento di piadine e cascioni Artigianpiada per es. piadina classica, conf. da 600 g, 3.80 invece di 5.50
20%
25%
2.40 invece di 3.–
21.– invece di 28.10 Caseificio Canaria prodotto in Ticino, a libero servizio, al kg
20% Cornetto al burro, di Sils e rustico per es. cornetto al burro, 45 g, –.65 invece di –.85
Pomodori datterini Italia, conf. da 250 g
30%
1.30 invece di 1.90 Lattuga rossa e verde per es. rossa, Ticino, il pezzo
conf. da 3
20%
3.45 invece di 4.35 Mozzarella Alfredo in conf. da 3 3 x 150 g
30% Phalaenopsis, 2 steli, in vaso per idrocoltura da 12 cm disponibile in diversi colori, per es. rosa, la pianta, 11.80 invece di 16.90
15.80 invece di 23.10 Salmone affumicato bio in conf. speciale d’allevamento, Irlanda/Norvegia, 260 g
20%
2.85 invece di 3.60 Jogurtpur in conf. da 4 4 x 150 g, per es. alla fragola
20%
1.55 invece di 1.95 Formaggella ticinese 1/4 grassa prodotta in Ticino, a libero servizio, per 100 g
30%
4.80 invece di 6.90 Albicocche Spagna, al kg
30%
2.50 invece di 3.60 Meloni retati Italia, al pezzo
conf. da 2
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4.50 invece di 5.65 Caprice des Dieux 330 g
30%
conf. da 4
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11.80 invece di 14.80 Asiago DOP a libero servizio, al kg
Migros Ticino OFFERTE VALIDE SOLO DAL 23.5 AL 29.5.2017, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK
20%
3.65 invece di 4.60 Le Gruyère grattugiato in conf. da 2 2 x 120 g
30% Tutto l’assortimento di piadine e cascioni Artigianpiada per es. piadina classica, conf. da 600 g, 3.80 invece di 5.50
20%
25%
2.40 invece di 3.–
21.– invece di 28.10 Caseificio Canaria prodotto in Ticino, a libero servizio, al kg
20% Cornetto al burro, di Sils e rustico per es. cornetto al burro, 45 g, –.65 invece di –.85
Pomodori datterini Italia, conf. da 250 g
30%
1.30 invece di 1.90 Lattuga rossa e verde per es. rossa, Ticino, il pezzo
. io rm a p s ri i d à it il ib s s o p Ancora più conf. da 3
20% Tutti i prodotti di pasticceria alle fragole per es. trancio alle fragole, 2 pezzi, 2 x 190 g, 5.50 invece di 6.90
30%
20%
Bouquet di rose Fairtrade, mazzo da 30 lunghezza dello stelo 40 cm, in diversi colori, per es. giallo, arancione, rosso e rosa, il mazzo
5.– invece di 6.30 Panna intera UHT Valflora in conf. da 2 2 x 500 ml
40% Pizza M-Classic in conf. da 4 per es. pizza del padrone, 4 x 370 g, 11.50 invece di 19.20
Tutto l’assortimento Starbucks per es. Cappuccino Fairtrade, 220 ml, 1.65 invece di 2.10
33% Caffè Exquisito in chicchi e macinato in conf. da 3, UTZ per es. in chicchi, 3 x 500 g, 14.40 invece di 21.60
conf. da 2
13.90 invece di 19.90
conf. da 4
20%
Mezzelune doppio gusto Anna’s Best in confezioni multiple per es. pesto e Grana Padano in conf. da 3, 3 x 250 g, 10.80 invece di 13.50
OFFERTE VALIDE SOLO DAL 23.5 AL 29.5.2017, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK
Prodotti a base di patate Denny’s e patate fritte M-Classic prodotti surgelati, per es. patate fritte al forno M-Classic, 500 g, 2.05 invece di 2.60
– .4 0
di riduzione Tutte le corone di pane per es. corona del sole bio, 360 g, 2.50 invece di 2.90
30%
20%
Tutto l’assortimento Happy Hour prodotti surgelati, a partire da 2 pezzi, 20% di riduzione
50%
Vittel in conf. da 6, 6 x 1,5 l per es. 2 confezioni a fr. 5.70 invece di 11.40, a partire da 2 confezioni, 50% di riduzione
Tutto l’assortimento Mister Rice per es. Wild Rice Mix, 1 kg, 3.60 invece di 4.50
conf. da 2
a partire da 2 pezzi
a partire da 2 confezioni
conf. da 3
20%
20%
20%
Sofficini al formaggio e agli spinaci M-Classic in conf. da 2 surgelati, per es. sofficini agli spinaci, 2 x 10 pezzi, 1200 g, 10.05 invece di 14.40
50%
6.15 invece di 12.30 Orangina in conf. da 6, 6 x 1,5 l regular e zero, per es. regular
. io rm a p s ri i d à it il ib s s o p Ancora più conf. da 3
20% Tutti i prodotti di pasticceria alle fragole per es. trancio alle fragole, 2 pezzi, 2 x 190 g, 5.50 invece di 6.90
30%
20%
Bouquet di rose Fairtrade, mazzo da 30 lunghezza dello stelo 40 cm, in diversi colori, per es. giallo, arancione, rosso e rosa, il mazzo
5.– invece di 6.30 Panna intera UHT Valflora in conf. da 2 2 x 500 ml
40% Pizza M-Classic in conf. da 4 per es. pizza del padrone, 4 x 370 g, 11.50 invece di 19.20
Tutto l’assortimento Starbucks per es. Cappuccino Fairtrade, 220 ml, 1.65 invece di 2.10
33% Caffè Exquisito in chicchi e macinato in conf. da 3, UTZ per es. in chicchi, 3 x 500 g, 14.40 invece di 21.60
conf. da 2
13.90 invece di 19.90
conf. da 4
20%
Mezzelune doppio gusto Anna’s Best in confezioni multiple per es. pesto e Grana Padano in conf. da 3, 3 x 250 g, 10.80 invece di 13.50
OFFERTE VALIDE SOLO DAL 23.5 AL 29.5.2017, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK
Prodotti a base di patate Denny’s e patate fritte M-Classic prodotti surgelati, per es. patate fritte al forno M-Classic, 500 g, 2.05 invece di 2.60
– .4 0
di riduzione Tutte le corone di pane per es. corona del sole bio, 360 g, 2.50 invece di 2.90
30%
20%
Tutto l’assortimento Happy Hour prodotti surgelati, a partire da 2 pezzi, 20% di riduzione
50%
Vittel in conf. da 6, 6 x 1,5 l per es. 2 confezioni a fr. 5.70 invece di 11.40, a partire da 2 confezioni, 50% di riduzione
Tutto l’assortimento Mister Rice per es. Wild Rice Mix, 1 kg, 3.60 invece di 4.50
conf. da 2
a partire da 2 pezzi
a partire da 2 confezioni
conf. da 3
20%
20%
20%
Sofficini al formaggio e agli spinaci M-Classic in conf. da 2 surgelati, per es. sofficini agli spinaci, 2 x 10 pezzi, 1200 g, 10.05 invece di 14.40
50%
6.15 invece di 12.30 Orangina in conf. da 6, 6 x 1,5 l regular e zero, per es. regular
conf. da 4
40%
6.– invece di 10.– Petit Beurre con cioccolato al latte in conf. da 4 4 x 150 g
40%
11.– invece di 18.60 Palline di cioccolato Frey in busta da 750 g, UTZ cioccolato al latte finissimo, Giandor e assortite, per es. assortite
conf. da 10
40%
Tavolette di cioccolato Frey da 100 g in confezioni multiple, UTZ al latte finissimo, al latte e alle nocciole, Noir 72% e Les Délices Blanc, per es. al latte finissimo in conf. da 10, 10 x 100 g, 12.– invece di 20.–
30%
15%
Tutte le miscele per dolci e i dessert in polvere (Alnatura esclusi), per es. miscela per brownies, 490 g, 4.25 invece di 6.10
Prodotti Always in confezioni multiple per es. assorbenti Ultra Normal Plus, 38 pezzi, 5.05 invece di 5.95, offerta valida fino al 5.6.2017
conf. da 2
20%
7.– invece di 8.80 Barrette di cereali Farmer in conf. da 2 per es. Soft alla mela e alle more, 2 x 234 g
a partire da 2 pezzi
20%
Tutti i prodotti in tubetto e la senape e la maionese in vasetto Thomy a partire da 2 pezzi, 20% di riduzione
conf. da 4
20% Tutti i gelati da passeggio alla panna in conf. da 12 e i gelati in blocchetto in conf. da 6 per es. gelato da passeggio alla panna al gusto di vaniglia, 12 x 57 ml, 5.75 invece di 7.20
OFFERTE VALIDE SOLO DAL 23.5 AL 29.5.2017, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK
20%
5.75 invece di 7.20 Gelato in coppetta monoporzione in conf. da 4 Ice Coffee, Japonais o banana split, per es. banana split, 4 x 150 ml
20% Tutto l’assortimento Exelcat per es. Snackies al pollo, 60 g, 1.85 invece di 2.35
50%
19.75 invece di 39.50 Detersivi Total in flacone da 5 l per es. Liquid, offerta valida fino al 5.6.2017
50%
24.10 invece di 48.20 Detersivi Total in conf. speciale Color e Classic, 7,5 kg, per es. Color, offerta valida fino al 5.6.2017
a partire da 2 pezzi
50%
Tutti gli ammorbidenti Exelia a partire da 2 pezzi, 50% di riduzione
Hit
2.50
Nastro adesivo decorativo a quadretti, offerta valida fino al 5.6.2017
conf. da 4
40%
6.– invece di 10.– Petit Beurre con cioccolato al latte in conf. da 4 4 x 150 g
40%
11.– invece di 18.60 Palline di cioccolato Frey in busta da 750 g, UTZ cioccolato al latte finissimo, Giandor e assortite, per es. assortite
conf. da 10
40%
Tavolette di cioccolato Frey da 100 g in confezioni multiple, UTZ al latte finissimo, al latte e alle nocciole, Noir 72% e Les Délices Blanc, per es. al latte finissimo in conf. da 10, 10 x 100 g, 12.– invece di 20.–
30%
15%
Tutte le miscele per dolci e i dessert in polvere (Alnatura esclusi), per es. miscela per brownies, 490 g, 4.25 invece di 6.10
Prodotti Always in confezioni multiple per es. assorbenti Ultra Normal Plus, 38 pezzi, 5.05 invece di 5.95, offerta valida fino al 5.6.2017
conf. da 2
20%
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a partire da 2 pezzi
20%
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 22 maggio 2017 • N. 21
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Idee e acquisti per la settimana
Il piacere del gusto
Esperimento riuscito 500 clienti Migros si sono iscritti sul sito «Il piacere del gusto» a un corso di cucina* gratuito che si è svolto in varie città svizzere. Per l’occasione, hanno imparato a combinare in modo originale alcuni prodotti freschi. Alla fine, i partecipanti al corso di Olten erano entusiasti
Maggiori informazioni sul gusto: www.piacere-delgusto.ch
Nove cuochi per passione si sono ritrovati alla Scuola Club Migros di Olten per un corso di cucina del tutto speciale, dove si metteva alla prova il proprio gusto. Tra gli esperimenti gastronomici: gamberetti marinati con cannella, vaniglia e peperoncino o cavolfiore condito con polvere di cacao. I partecipanti al corso hanno imparato come si affetta correttamente lo scamone di manzo per poi preparare una bistecca con salsa di caramello. E la mozzarella non si abbinava ai pomodori, ma a mango fresco, germogli e coriandolo. Mentre diligentemente i suoi alunni tagliavano, cuocevano e assaggiavano, il docente del corso Michael Erler li incoraggiava di continuo a sperimentare qualcosa di un po’ più creativo. Infatti, i cuochi professionisti sanno bene come completare gli ingredienti con gli aromi freschi. Alla fine della serata culinaria erano tutti d’accordo: con un po’ di coraggio si possono scoprire gusti completamente nuovi. * Ci si può iscrivere regolarmente ai corsi anche alla Scuola Club Migros.
Nicole Hüsler (50 anni), partecipante
«Sono venuta al corso spinta dalla curiosità, sperando di poter assaggiare qualcosa di nuovo. Ne è valsa la pena. Il mio piatto preferito della serata è stata la bistecca di manzo con salsa di caramello e quark alle erbette. Ne sono rimasta entusiasta, non avrei mai detto che avesse un sapore così raffinato. Un’altra combinazione originale è il cavolfiore al cacao. Ci è venuto bene. Naturalmente proverò a rifare i piatti a casa».
L’aspirante cuoca Gabriela Megert (50 anni) assaggia un frullato di mela e cetrioli appena fatto. E alla fine esclama con sollievo: «Esperimento riuscito!».
Sigi Hendel (72 anni), partecipante
«Volevo provare nuovi sapori, fare esperienza e conoscere combinazioni insolite. Le mie aspettative sono state superate. La mousse au chocolat con cipolle è stata una grande sorpresa. Naturalmente mi hanno stupito anche i gamberetti con vaniglia e cannella. Una combinazione di gusti che sembrerebbero in contrasto tra loro, ma che è stata la vera sorpresa della serata e mi spinge ad essere più audace in cucina».
Naturalmente deliziose: le nuove varietà di Blévita.
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Idee e acquisti per la settimana
Kneipp
Cura del corpo con garanzia di benessere Vent’anni fa i prodotti Kneipp facevano la loro apparizione sugli scaffali della Migros. Tre clienti raccontano qual è il loro prodotto preferito e perché lo apprezzano
Per questo giubileo Kneipp ha approntato un set di prova di prodotti da doccia. Kneipp Set da doccia del giubileo Fr. 5.50
Partecipate al concorso: www.kneipp.swiss
Foto Paulo Dutto; Yves Roth
Silvia Mettler (51 anni) di Interlaken faceva parte dell’Associazione Kneipp dell’Oberland Bernese. Perciò conosce la filosofia e i prodotti Kneipp ormai da moltissimi anni. «Il mio prodotto preferito è l’olio di vinaccioli: rassoda e leviga la pelle e mi fa semplicemente star bene nella mia pelle!».
Angelina Chieffo (35 anni) di Zurigo ha quattro figli piccoli e quindi il lavoro non le manca. E ha pochissimo tempo a disposizione per la cura del proprio corpo. «Sono felice di aver scoperto la lozione per il corpo a effetto immediato di Kneipp. Agisce in un attimo, idrata a fondo e ha un profumo meraviglioso».
Brigitte Köppel (71 anni) di St. Margrethen usa i prodotti Kneipp da un sacco di tempo. Si trova bene soprattutto con gli oli e i cristalli da bagno. «Adoro fare il bagno. Solo così riesco a staccare la spina e a rilassarmi davvero. Il mio prodotto preferito è l’olio da bagno ai fiori di mandorlo. Rende la mia pelle incredibilmente morbida».
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 22 maggio 2017 • N. 21
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 22 maggio 2017 • N. 21
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Idee e acquisti per la settimana
Migros Mania
Mattoncino dopo mattoncino Il 1° jocker in evidenza
Portacarte
Giochi di costruzione
Imparare giocando
Grazie alla collezione Migros Mania, da subito giovani e adulti possono costruire un negozio Migros personalizzato. Lena e Malik mostrano come si fa Testo Ralph Hofbauer; Foto Roger Hofstetter; Styling Mirjam Käser Patrick Warnking Direttore Google Svizzera
Migros collabora con Google La Migros Mania può essere vissuta in una nuova dimensione grazie alla realtà virtuale (VR, virtual reality). Le modalità di utilizzo VR sono state sviluppate in collaborazione con Google Expeditions (edu.google.com/ expeditions).
Il portacarte della Migros Mania è disponibile gratuitamente il 24.05. La collezione Migros Mania comprende 46 elementi: 21 prodotti Migros in miniatura, 20 componenti d’arredo della filiale, quattro personaggi pixtoys, così come singoli mattoni. La collezione prende avvio il 23.05.* Le bustine con i prodotti Migros e i personaggi pixtoys contengono carte da collezionare, che possono essere custodite in un apposito portacarte (disponibile gratuitamente il 24.05 per ogni acquisto, massimo 1 pezzo).
«Grazie alla Migros Mania ora chiunque può sperimentare la realtà virtuale», dice Patrick Warnking, direttore di Google Svizzera. «Mettiamo a disposizione contenuti a 360 gradi in un modo completamente inedito e innovativo, ciò che permette di scoprire il mondo in un’ottica affascinante».
* Dal 23.05 al 10.07.2017 per ogni 20 franchi di acquisto si riceve una bustina contenente uno degli elementi della collezione. Massimo 15 bustine per acquisto (pari a 300 franchi di spesa). Sono disponibili in tutte le filiali Migros, Do it + Garden Migros, melectronics, Micasa, SportXX incl. Outdoor, Ristoranti Migros, take away e Le-Shop, fino a esaurimento scorte. Tour virtuale Le carte della collezione Migros Mania aprono la porta alla realtà virtuale. Chi scansiona le carte con l’app Migros Play (download gratuito da Apple App Store e da Google Play Store), riceve l’accesso a un negozio Migros virtuale. Gli appositi occhiali Migros VR (Virtual Reality) ne permettono un’esplorazione a tutto effetto (vedi pagina 73, colonna a destra). www.migrosmania.ch
Lena e Malik non ce la fanno praticamente più ad aspettare di costruire il loro negozio Migros. Con impazienza Malik apre il pacchetto dello starter kit, che contiene la facciata frontale e la base su cui realizzare la filiale. In un’altra scatola Lena trova invece 50 mattoncini per le pareti della mini Migros. Nelle bustine colorate i bambini scoprono i diversi elementi della collezione Migros Mania: prodotti in miniatura, scaffali di vendita in scala ridotta e divertenti personaggi per il gioco. Lo starter kit (fr. 9.80) e la confezione con il set di mattoncini per le pareti (fr. 4.90) forniscono la base su cui progettare e costruire il proprio negozio Migros. Un’ulteriore base di costruzione (fr. 4.90) permette di ampliarne la superficie. Non c’è limite al divertimento, dal momento che tutti gli elementi sono compatibili con i Lego.
Con l’acquisizione di maggiori competenze verbali, è il gioco di ruolo ad assumere importanza: i bambini vestono i panni dei supereroi o dei genitori. E solo più tardi nasce infine l’interesse per le attività con regole ben definite, come lo sono i giochi da tavolo o i videogame.
I giochi di costruzione come i Lego promuovono le capacità motorie e cognitive.
Lena (6): «Non vedo l’ora di giocare con il negozio».
Malik (7): «Costruisco una gigantesca filiale Migros in tempo record».
Le componenti per realizzare una filiale Migros personalizzata: scansie, prodotti e altri elementi della collezione Migros Mania.
30% di sconto per tutti i membri Famigros Presentando la carta Famigros o Cumulus, dal 23.05 al 05.06 tutti i membri Famigros ricevono lo starter kit con il 30% di sconto e una bustina supplementare della collezione.
Online tutte le informazioni sulla Migros Mania Il sito internet www.migrosmania.ch raccoglie tutte le informazioni più importanti: dalla visione di insieme degli elementi che compongono la collezione, passando da spunti e suggerimenti per edificare la propria filiale, fino alle indicazioni per scaricare l’app Migros Play.
Il gioco prepara i bambini agli aspetti più seri della vita. Durante le attività ludiche il mondo dei grandi viene sperimentato nel piccolo. «Giocare è una prima forma di apprendimento», spiega Moritz Daum, professore di psicologia dello sviluppo presso l’Università di Zurigo. I bambini più piccoli imparano osservando e ancor più tramite il gioco. Battono gli oggetti uno contro l’altro e grazie alle attività sensomotoriche scoprono il proprio corpo, i sensi e la voce. Nel corso del secondo anno di vita danno poi avvio alla fase dei giochi simbolici o di finzione e interpretano gli oggetti che hanno attorno a sé: un pezzo di legno diventa un telefono, un mattoncino Duplo un’automobile.
Con il gioco divertimento a più livelli
Moritz Daum Professore di psicologia evolutiva all’Università di Zurigo
Le attività di costruzione con i Lego uniscono elementi dei diversi tipi di gioco, che il bambino ha scoperto nel corso del suo sviluppo: «I Lego promuovono un comportamento di gioco attivo a tutti i livelli. Ed è questo aspetto che ne spiega il grande successo», osserva Daum. Lo psicologo dello sviluppo è egli stesso un appassionato di Lego, attività che svolge sia in compagnia dei figli che da solo. Il suo attuale progetto consiste nella costruzione di
Alla ricerca di menti creative
Il 31.05 bustine doppie
Per partecipare al concorso Migros Mania è richiesta creatività: chi costruisce il negozio Migros più originale? In palio premi per un valore totale di oltre 5 000 franchi. Partecipa subito su www.migrosmania.ch
Il 31.05 tutti i clienti Migros ricevono un numero doppio di bustine. In questa data per ogni acquisto di 20 franchi anziché uno si ricevono due elementi della collezione, fino al massimo di 30 bustine.
un bus della Volkswagen composto da 1322 pezzi. Chi gioca con i Lego o con i mattoncini compatibili della Migros Mania, impara per la vita, come sottolinea Moritz Daum: «I Lego affinano abilità fondamentali per il successo scolastico e professionale». Oltre alle capacità motorie, promuove numerose competenze cognitive: i bambini imparano a focalizzare l’attenzione, apprendono le leggi della statica e sviluppano la capacità di trovare soluzioni creative ai problemi. Inoltre, i Lego favoriscono il pensiero astratto, dal momento che ogni progetto deve essere trasformato in realtà. In tal modo il gioco promuove capacità pratiche, aspetto che, sulla base delle conoscenze della psicologia evolutiva, contribuisce a determinare le abilità con cui i bambini riescono a cavarsela nel loro ambiente.
Gli occhiali VR della Migros sono il secondo e imperdibile Jocker, disponibile il 03.06 (per acquisti di fr. 60.–, massimo 3 pezzi). Gli occhiali in cartone arancione prendono spunto dal modello Google Cardboard, il cui utilizzo è estremamente semplice: assemblare, inserire lo Smartphone e gli occhiali VR della Migros sono pronti.
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Idee e acquisti per la settimana
Migros Mania
Mattoncino dopo mattoncino Il 1° jocker in evidenza
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Giochi di costruzione
Imparare giocando
Grazie alla collezione Migros Mania, da subito giovani e adulti possono costruire un negozio Migros personalizzato. Lena e Malik mostrano come si fa Testo Ralph Hofbauer; Foto Roger Hofstetter; Styling Mirjam Käser Patrick Warnking Direttore Google Svizzera
Migros collabora con Google La Migros Mania può essere vissuta in una nuova dimensione grazie alla realtà virtuale (VR, virtual reality). Le modalità di utilizzo VR sono state sviluppate in collaborazione con Google Expeditions (edu.google.com/ expeditions).
Il portacarte della Migros Mania è disponibile gratuitamente il 24.05. La collezione Migros Mania comprende 46 elementi: 21 prodotti Migros in miniatura, 20 componenti d’arredo della filiale, quattro personaggi pixtoys, così come singoli mattoni. La collezione prende avvio il 23.05.* Le bustine con i prodotti Migros e i personaggi pixtoys contengono carte da collezionare, che possono essere custodite in un apposito portacarte (disponibile gratuitamente il 24.05 per ogni acquisto, massimo 1 pezzo).
«Grazie alla Migros Mania ora chiunque può sperimentare la realtà virtuale», dice Patrick Warnking, direttore di Google Svizzera. «Mettiamo a disposizione contenuti a 360 gradi in un modo completamente inedito e innovativo, ciò che permette di scoprire il mondo in un’ottica affascinante».
* Dal 23.05 al 10.07.2017 per ogni 20 franchi di acquisto si riceve una bustina contenente uno degli elementi della collezione. Massimo 15 bustine per acquisto (pari a 300 franchi di spesa). Sono disponibili in tutte le filiali Migros, Do it + Garden Migros, melectronics, Micasa, SportXX incl. Outdoor, Ristoranti Migros, take away e Le-Shop, fino a esaurimento scorte. Tour virtuale Le carte della collezione Migros Mania aprono la porta alla realtà virtuale. Chi scansiona le carte con l’app Migros Play (download gratuito da Apple App Store e da Google Play Store), riceve l’accesso a un negozio Migros virtuale. Gli appositi occhiali Migros VR (Virtual Reality) ne permettono un’esplorazione a tutto effetto (vedi pagina 73, colonna a destra). www.migrosmania.ch
Lena e Malik non ce la fanno praticamente più ad aspettare di costruire il loro negozio Migros. Con impazienza Malik apre il pacchetto dello starter kit, che contiene la facciata frontale e la base su cui realizzare la filiale. In un’altra scatola Lena trova invece 50 mattoncini per le pareti della mini Migros. Nelle bustine colorate i bambini scoprono i diversi elementi della collezione Migros Mania: prodotti in miniatura, scaffali di vendita in scala ridotta e divertenti personaggi per il gioco. Lo starter kit (fr. 9.80) e la confezione con il set di mattoncini per le pareti (fr. 4.90) forniscono la base su cui progettare e costruire il proprio negozio Migros. Un’ulteriore base di costruzione (fr. 4.90) permette di ampliarne la superficie. Non c’è limite al divertimento, dal momento che tutti gli elementi sono compatibili con i Lego.
Con l’acquisizione di maggiori competenze verbali, è il gioco di ruolo ad assumere importanza: i bambini vestono i panni dei supereroi o dei genitori. E solo più tardi nasce infine l’interesse per le attività con regole ben definite, come lo sono i giochi da tavolo o i videogame.
I giochi di costruzione come i Lego promuovono le capacità motorie e cognitive.
Lena (6): «Non vedo l’ora di giocare con il negozio».
Malik (7): «Costruisco una gigantesca filiale Migros in tempo record».
Le componenti per realizzare una filiale Migros personalizzata: scansie, prodotti e altri elementi della collezione Migros Mania.
30% di sconto per tutti i membri Famigros Presentando la carta Famigros o Cumulus, dal 23.05 al 05.06 tutti i membri Famigros ricevono lo starter kit con il 30% di sconto e una bustina supplementare della collezione.
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Il gioco prepara i bambini agli aspetti più seri della vita. Durante le attività ludiche il mondo dei grandi viene sperimentato nel piccolo. «Giocare è una prima forma di apprendimento», spiega Moritz Daum, professore di psicologia dello sviluppo presso l’Università di Zurigo. I bambini più piccoli imparano osservando e ancor più tramite il gioco. Battono gli oggetti uno contro l’altro e grazie alle attività sensomotoriche scoprono il proprio corpo, i sensi e la voce. Nel corso del secondo anno di vita danno poi avvio alla fase dei giochi simbolici o di finzione e interpretano gli oggetti che hanno attorno a sé: un pezzo di legno diventa un telefono, un mattoncino Duplo un’automobile.
Con il gioco divertimento a più livelli
Moritz Daum Professore di psicologia evolutiva all’Università di Zurigo
Le attività di costruzione con i Lego uniscono elementi dei diversi tipi di gioco, che il bambino ha scoperto nel corso del suo sviluppo: «I Lego promuovono un comportamento di gioco attivo a tutti i livelli. Ed è questo aspetto che ne spiega il grande successo», osserva Daum. Lo psicologo dello sviluppo è egli stesso un appassionato di Lego, attività che svolge sia in compagnia dei figli che da solo. Il suo attuale progetto consiste nella costruzione di
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La filiale virtuale Migros da scoprire Immergiti virtualmente nella filiale Migros scansionando le carte della collezione. Storie appassionanti e affascinanti mondi all’insegna del gioco aspettano di essere scoperti da te e dai tuoi bambini.
Il videogame MigrosMania: fare la spesa diventa un vero piacere! Nel gioco VR devi raccogliere il più velocemente possibile un gran numero di prodotti. Oltre alla tua destrezza ti saranno d’aiuto anche le carte Pixtoys con i loro fantastici bonus.
Le innumerevoli possibilità della realtà virtuale L’app «Migros Play» permette di assistere virtualmente ai momenti culminanti della MigrosMania. Ad esempio al grande evento della costruzione di una M di Migros alta 4,5 metri al centro commerciale Glatt dal 31.5 all’8.7.2017.
Per utilizzare gli occhiali VR Migros sono necessari uno smartphone e la relativa app.
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E segnati già il sabato 3.6.2017. Ad attenderti ci saranno gli incredibili occhiali VR Migros, con i quali potrai dare vita nella realtà virtuale alle fantastiche carte della collezione e immergerti così nell’affascinante mondo della Migros. Ogni fr. 60.– di spesa ricevi un paio di occhiali VR Migros. Al massimo 3 per acquisto. Disponibile in tutte le filiali Migros, Do it + Garden Migros, melectronics, Micasa, SportXX incluso Outdoor, nei ristoranti e nei take away Migros e su LeShop fino a esaurimento dello stock. Al massimo 1 portacarte per acquisto.
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