Azione 31 del 31 luglio 2017

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Cooperativa Migros Ticino

Società e Territorio L’archivio della Fondazione Marthe Gosteli custodisce la storia dei movimenti femminili svizzeri: oggi il suo futuro è incerto

Ambiente e Benessere Un evento raro ma naturale: il recente distacco di un iceberg gigantesco dall’Antardide non sembra legato al cambiamento climatico

G.A.A. 6592 Sant’Antonino

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXX 31 luglio 2017

Azione 31 Politica e Economia Non si placa la tensione innescata dall’attentato del 14 luglio a Gerusalemme

Cultura e Spettacoli Simboli e segni dei grandi USA in un’avvincente mostra di Robert Indiana a Locarno

pagina 10

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di Nicola Falcinella pagina 28

Stefano Spinelli

Il Palacinema del nuovo Pardo

La poesia come risorsa turistica di Alessandro Zanoli Vacanze sulla riviera Romagnola: ne abbiamo tutti un’idea abbastanza chiara. Una cosa è sicura: quelli ci sanno fare. Sei in pensione con altri 120 sconosciuti e a mezzogiorno riescono a farti trovare il piatto che ti piace, cotto come vuoi tu, e, magari, si ricordano dell’anno scorso, quando gliel’avevi chiesto. Come fai a non ritornare? Sono veramente contenti di vederti, e sembra proprio che si interessino a te. O almeno: l’apparenza delle cose è questa, ma perché star lì a fare questioni? Anche se non fosse, va bene lo stesso. Ti organizzano uno spazio protetto attorno, in modo che tu debba solo occuparti di ciabattare fino in spiaggia e spaparanzarti sotto l’ombrellone. Persino i giornali li comprano loro e te li mettono lì gratis, all’entrata dello stabilimento. Parli di calcio? Si ricordano per quale squadra tifi. Parli di politica? Rimangono sul vago, senza volere mai urtare le suscettibilità. Vieni dalla Svizzera? Hanno lavorato a San Moritz per qualche stagione, da giovani, negli anni 70. Gli piaceva molto. Ma adesso sono qui. Il loro lavoro è farti fare vacanza e ci si mettono d’impegno. Oltre a questo sono molto precisi, meticolosi. Il che ti fa sentire

subito tranquillo. Il punto è che queste persone sembrano davvero voler bene alla vita che li circonda. Se ti indicano un buon ristorante, è perché ci sono andati loro, prima. Se ti suggeriscono un itinerario sulle colline è perché l’hanno fatto. Visto che sei lì, lo condividono volentieri con te. Questo spirito di generosa voglia di convivenza è alla base anche di un’esperienza artistica stupendamente romagnola: il museo a cielo aperto ideato da Tonino Guerra nella valle del Marecchia. Il poeta di Sant’Arcangelo, celebre soprattutto per le sue sceneggiature cinematografiche, nel corso degli anni ha ideato un percorso poetico-artistico che anima questa piccola porzione di mondo, tra Rimini e l’entroterra. In una decina di paesi, con la collaborazione e il concorso delle autorità locali, ha disseminato il territorio di opere d’arte legate alla sua particolare vena poetica, allo stesso tempo semplice e visionaria. Dal tappeto volante fermo nell’aria a Cervia, fino alla fontana della lumaca di Sant’Agata Feltria («La chiocciola che racconta con parole d’acqua e suggerisce lentezza») decine di spazi, oggetti, fontane, piastrelle di maiolica, raccolgono spunti sospesi tra realtà e fantasia, tra presente e passato, collocati su una grande geografia immaginaria dal poeta santarcangiolese. Così le vie di nuclei come Badia

Tedalda, Saiano, Perticara, Pietracuta, si sono animate di interventi artistici intessuti nel grande disegno ideale di Guerra. Naturalmente è proprio a Sant’Arcangelo che se ne trovano i frutti più numerosi, come le splendide formelle di ceramica agli angoli delle strade che, diversamente dalle lapidi di marmo, non ricordano i grandi personaggi della storia ma gli umili abitanti dei quartieri («Cristina, noi ti ricordiamo sempre perché hai guardato con amore i muri e la gente del tuo paese»). Un vero museo all’aperto è poi il paese di Pennabilli, in cui si possono trovare altre «Parole sui muri» («In questa casa visse Bettina Bocchi che per tanti anni, con la neve e col sole, tutti i giorni alle 11.30 regalava una fetta di pane a chi aveva fame»): a Pennabilli si trovano anche i Totem, l’Orto dei frutti dimenticati, la Meridiana dell’incontro, l’Arco delle favole e tanti altri frammenti di poesia applicata. Pensava ai turisti, Tonino Guerra, ideando questo originale percorso? Forse sì, forse no. Pensava certamente alle persone: all’importanza di stare insieme e godere dei racconti, applicando la fantasia alla realtà, per scoprire la bellezza delle cose del mondo. Ai turisti, comunque, ha dato un bel pretesto per visitare la regione in cui era nato e per condividere il suo amore per quel territorio.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 31 luglio 2017 • N. 31

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Attualità Migros

M Un investimento per l’ambiente

Sostenibilità Dall’autunno scorso i sacchetti di plastica alle casse di Migros non sono più gratuiti: il ricavato

dalla vendita è utilizzato per finanziare quattro progetti ecologici

particolare la conoscenza del bosco. Lo fa attraverso giornate di perfezionamento dedicate agli insegnanti e attraverso pubblicazioni speciali quali schede tecniche, «kit d’esperienza» e libri (per ora solo in francese e in tedesco, ma sono previste delle edizioni in italiano). Il volume più recente si intitola Naturerlebnis Wald: spielen - entdecken – geniessen (Avventure nel bosco: giochi, scoperte, sapori).

Andreas Dürrenberger Dallo scorso mese di novembre i sacchetti in plastica che venivano messi a disposizione dei clienti alle casse dei supermercati Migros sono venduti a 5 centesimi l’uno. Il loro uso, dopo l’introduzione di questa misura, si è ridotto di oltre l’80 per cento. L’incasso che deriva dalla vendita dei sacchetti è stato interamente usato dalla nostra azienda per il finanziamento di progetti destinati alla tutela dell’ambiente. Si tratta di quattro iniziative rivolte a temi specifici, dedicate a operatori della formazione e a gruppi. Sono incentrate sulla sensibilizzazione ai problemi ambientali in vari settori, tra cui la protezione della natura, la raccolta dei rifiuti e il loro riciclaggio. Tali progetti sono gestiti da istituzioni no-profit riconosciute, che sono attive su vari fronti nella lotta comune al degrado ambientale. Vi presentiamo qui i progetti scelti per essere sussidiati.

Progetto 3 Bildungswerkstatt Bergwald – Organizzazione di campi scolastici

1. La raganella comune, una delle specie minacciate.

2. Giocare per imparare a conoscere il bosco.

Progetto 1 Pro Natura – Più stagni per gli anfibi

www.pronatura.ch/attualita Salamandre, rane e rospi sono specie di anfibi estremamente minacciate in Svizzera. La causa del fenomeno è la sparizione di molti ambienti umidi e specchi d’acqua che sono il loro habitat naturale. Pro Natura si impegna dunque per proteggere e ristabilire stagni e pozze d’acqua. Oltre a questo Pro Natura organizza anche attività all’aperto per vivere esperienze concrete legate alla conoscenza dell’ambiente.

Progetto 4 IGSU - Sponsorizzazione di luoghi

Progetto 2 Silviva – Scoprire il bosco

www.silviva-it.ch/ La Fondazione Silviva si impegna per diffondere una conoscenza approfondita dei temi ambientali e in

www.bergwald.ch La gestione delle équipe di cucina durante le settimane di attività all’esterno è un impegno importante: gli organizzatori si confrontano con la necessità di garantire un trattamento corretto e efficace delle preparazioni e di proporre piani di menu sostenibili e sani. La Fondazione Bergwald gestisce settimane verdi per la gioventù e in questo contesto, tramite il suo «Progetto Regi&Na», aiuta i suoi utenti a riflettere sul tema della regionalità alimentare e della sostenibilità.

3. Alimentazione sana durante la «settimana verde».

4. Gli ambasciatori IGSU si occupano dell’ambiente urbano.

www.igsu.ch/it/novit/progetto-sponsorizzazione-di-luoghi Il Gruppo d’interesse per un ambiente pulito (IGSU) vuole diffondere in tutta la Svizzera il concetto di «sponsorizzazione di luoghi»: persone singole e gruppi si impegnano volontariamente ad assumersi la responsabilità di alcuni luoghi particolari e ne curano la regolare pulizia dai rifiuti. In questo modo agiscono attivamente, coinvolgendo il pubblico, nel contrastare il fenomeno del littering. IGSU organizzerà tra l’altro in Ticino il «Clean Up Day», che si terrà l’8 e 9 settembre.

Luglio 2017 Fine tirocinio: premiazione

Migros Ticino Nelle scorse settimane si sono

conclusi gli esami per gli apprendisti della nostra Cooperativa con esito molto positivo

Nella foto di gruppo, scattata davanti alla filiale di S. Antonino, sette degli otto tirocinanti promossi quest’ anno. Da sinistra: Klaudjia Lujic (alimentari, Arbedo), Paola Barbaric (alimentari, Locarno), Clelia Salerno (mobili, Micasa S. Antonino), Natalia Sobol (econ. della carne, Serfontana, medaglia d’argento), Cristina Mussinelli (tessili, Agno), Dario Giangreco (alimentari, Taverne), Didier Pigoni (commercio, centrale S. Antonino), as-

sente: Alan Gashi, (S.Antonino, economia della carne, medaglia di bronzo). Anche quest’anno, malgrado la difficile situazione economica del settore, Migros Ticino si impegnerà a offrire un posto di lavoro ai neo diplomati, permettendo loro di continuare un processo di crescita iniziato nel settembre 2014. A cinque giovani è già stato proposto un contratto di lavoro, mentre per gli altri tre si valuteranno le opportunità nel corso dell’estate.

Azione

Sede Via Pretorio 11 CH-6900 Lugano (TI) Tel 091 922 77 40 fax 091 923 18 89 info@azione.ch www.azione.ch

Settimanale edito da Migros Ticino Fondato nel 1938 Redazione Peter Schiesser (redattore responsabile), Barbara Manzoni, Manuela Mazzi, Monica Puffi Poma, Simona Sala, Alessandro Zanoli, Ivan Leoni

La corrispondenza va indirizzata impersonalmente a «Azione» CP 6315, CH-6901 Lugano oppure alle singole redazioni

Editore e amministrazione Cooperativa Migros Ticino CP, 6592 S. Antonino Telefono 091 850 81 11 Stampa Centro Stampa Ticino SA Via Industria 6933 Muzzano Telefono 091 960 31 31

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 31 luglio 2017 • N. 31

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Società e Territorio Nuovi paesaggi urbani L’architetto paesaggista Federico de Molfetta spiega come stia cambiando la nostra relazione con le aree di svago cittadine pagina 6

Ai margini Continua in questo numero la serie di articoli dedicati alle persone che nel nostro cantone vivono in una situazione di precarietà pagina 8

Marthe Gosteli nel 1991 all’interno dell’archivio interamente finanziato dalla fondazione da lei stessa ideata. (Keystone)

Il futuro incerto dell’archivio Gosteli Storia Creato nel 1982 da Marthe Gosteli conserva i documenti di tutti i movimenti femminili svizzeri

Roberto Porta Questa è la settimana del primo agosto e in molti discorsi ufficiali ci sarà come sempre un forte riferimento alla storia della Svizzera e alla necessità di saper guardare al passato per poter cesellare il futuro del nostro Paese. Propositi nobili e più volte ribaditi, non solo nel giorno del Natale della Patria. La realtà dei fatti è però ben diversa, la storia svizzera viene spesso confinata in una zona d’ombra, lontana dalle priorità più immediate del nostro Paese. Ne è un esempio il destino della Fondazione Marthe Gosteli, con sede a Worblaufen nel canton Berna. Forse poco conosciuta al grande pubblico, non solo a sud delle Alpi, questa fondazione gestisce e finanzia con fondi propri un archivio interamente dedicato alla storia dei movimenti femminili del nostro Paese. Conserva ad esempio i documenti delle oltre duecento organizzazioni che già a partire dal diciannovesimo secolo si sono impegnate per difendere le rivendicazioni e i diritti delle donne. Ora dopo 35 anni di esistenza questa istituzione privata vede la propria esistenza compromessa per mancanza di finanziamenti. «Sarebbe una perdita gra-

vissima», ci dice Doris Fiala una delle cinque consigliere nazionali all’origine di un postulato, presentato la scorsa primavera, in cui si chiede al Consiglio federale di intervenire finanziariamente per garantire un futuro a questa fondazione. «Questo archivio conserva i documenti fondamentali di tutti i movimenti femminili svizzeri – ricorda la deputata liberale-radicale – Si tratta di una pagina molto importante della storia del nostro Paese. Solo salvando il lavoro di questa fondazione riusciremo a preservare la memoria del grande impegno delle donne teso a garantire la parità dei diritti, obiettivo del resto non ancora raggiunto oggi». Un archivio creato nel 1982 da Marthe Gosteli, l’inesauribile combattente per i diritti della donna, deceduta all’età di 99 anni lo scorso 7 aprile. Gosteli fece della battaglia per la parità il centro della sua esistenza e per questo motivo decise di non sposarsi e di non avere figli. «Se lo avessi fatto – disse più volte – non avrei avuto il tempo necessario per sostenere le rivendicazioni femminili nel nostro Paese». Figlia di contadini e per decenni impiegata presso l’ambasciata statunitense a Berna, la signora Gosteli aprì questo archivio

nella sua casa natale una volta raggiunta l’età del pensionamento e continuò a lavorarvi fino alla sua scomparsa. Un impegno che non si esaurì il 7 febbraio del 1971, giorno in cui in votazione popolare – si espressero allora unicamente gli uomini – venne finalmente garantito il diritto di voto e di eleggibilità anche alle donne. Dopo anni di rivendicazioni e di proteste popolari, la Svizzera fu così uno degli ultimi Paesi occidentali a compiere questo passo fondamentale per la parità dei diritti tra i sessi. L’azione di Marthe Gosteli continuò anche dopo quella vittoria epocale e si concretizzò proprio nella creazione dell’archivio storico. «È il solo archivio completo che racconta la storia del movimento femminile svizzero – aggiunge ancora Doris Fiala – Adesso che Marthe Gosteli è scomparsa il nostro Paese rischia di perdere questa importante memoria storica. Sono una politica fedele ai valori liberali e in attesa della risposta del Consiglio federale ai nostri postulati mi sono impegnata a trovare questi soldi nell’economia privata, magari attraverso l’intervento di una fondazione. Finora non ho avuto molto successo. Ho ricevuto per il momento alcune risposte negative, anche

se tutte le persone con cui ho parlato si sono dette convinte dell’importanza dell’archivio Gosteli. Continuerò ad impegnarmi in questo senso ma se non dovessi riuscire a concretizzare il mio obiettivo penso proprio che toccherà alla Stato dover intervenire». In altre parole alle casse pubbliche. Finora sono due le istituzioni chiamate in causa per dare un futuro alla fondazione, la Confederazione e il canton Berna, dove ha sede l’archivio Gosteli. Entrambi hanno ribadito a parole l’importanza della fondazione e la necessità di trovare una soluzione al problema del suo finanziamento, ma per il momento non hanno ancora compiuto alcun passo tangibile in questo senso. Tra gli obiettivi da concretizzare – e anche ben inteso da finanziare – c’è quello della digitalizzazione dell’archivio, per renderlo accessibile a tutti attraverso i canali delle nuove tecnologie. «Se riuscissimo a farlo, sarebbe una vera e propria rivoluzione – sottolinea la consigliera nazionale Doris Fiala – perché questa digitalizzazione aprirebbe virtualmente le porte dell’archivio a qualsiasi persona interessata. Penso in particolare alle giovani generazioni, che non hanno conosciuto direttamente la Svizzera di

quegli anni e che oggi si meravigliano quando scoprono quale è stato il tipo di vita condotto in passato dalle donne del nostro Paese». Tra chi ha consultato l’archivio di recente c’è anche la regista Petra Volpe. L’autrice del film Die göttliche Ordnung – L’ordine divino, in italiano – ha dato vita ad uno dei principali personaggi della pellicola dopo aver trovato alcuni documenti proprio presso l’archivio Gosteli. Il suo film è uscito quest’anno ed è il primo lungometraggio che racconta la storia dei movimenti femminili svizzeri, concentrandosi in particolare sulla lotta per l’introduzione del diritto di voto e di eleggibilità. «Quando sono nata e ancora per i decenni successivi l’uomo si occupava della cosa pubblica, la donna della famiglia – amava ricordare Marthe Gosteli – era un ordine prestabilito e c’è voluta tanta forza e determinazione per cambiarlo». Capacità ancora oggi necessarie per garantire in primo luogo la parità tra i sessi e anche per dare un futuro all’archivio Gosteli. Affinché la necessità di preservare la nostra memoria collettiva non sia soltanto un tema che ascoltiamo ogni anno nei discorsi del primo di agosto.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 31 luglio 2017 • N. 31

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Società e Territorio

Più liberi nella rete ambientale

Nuovi paesaggi urbani L’architetto paesaggista Federico de Molfetta spiega come sta cambiando la nostra relazione

con le aree di svago cittadine che in futuro saranno più dinamiche, sostenibili e stimolanti Stefania Hubmann Il futuro degli spazi verdi cittadini passa dalla rete. Non tanto in senso virtuale, ma piuttosto applicando il medesimo principio all’ambiente. Collegare le zone di svago pubbliche significa assicurare continuità dal punto di vista ecologico e della loro fruizione. Il primo è basilare per la loro stessa esistenza, la seconda in radicale trasformazione con un uso che varia sull’arco temporale anche di una singola giornata. Verde e acqua sono gli elementi principali della natura assimilata alla realtà urbana con l’obiettivo di assicurare benessere alla comunità. Non si tratta di puntare su grandi progetti ma di intervenire in modo mirato secondo una visione integrata a lungo termine. Con quali mezzi? Secondo quali strategie? Ce lo spiega Federico de Molfetta, giovane architetto paesaggista con studio a Lugano, ospite lo scorso maggio di un incontro a più voci nell’ambito dei «Dialoghi sulla mutazione del territorio», appuntamenti organizzati dall’istituto internazionale di architettura i2a nella sua sede luganese.

«La cultura contemporanea esige spazi liberi e flessibili, solo in parte organizzati» Una nuova generazione di professionisti del paesaggio con esperienza internazionale guarda al futuro con slancio e competenza. Purtroppo sovente il loro campo d’azione viene ancora identificato con la realizzazione di parchi e giardini. In realtà il complesso sviluppo dell’attività umana in relazione al paesaggio li chiama oggi a pianificare e progettare su scala più ampia, all’interno delle aree urbane, lungo le vie di comunicazione, nelle zone industriali. L’architetto paesaggista valuta la situazione nel suo insieme, dalla pianificazione del territorio alle questioni tecniche, dagli aspetti ecologici a quelli socio-culturali, coordinando l’apporto di specialisti di diverse discipline. In Ticino gli studi membri della Federazione Svizzera degli Architetti Paesaggisti (FSAP) sono meno di una decina. La loro visione inizia ad emergere, come testimonia a Lugano la rinaturazione della foce del fiume Cassarate, progetto firmato da Sophie Agata Ambroise.

Sechseläutenplatz a Zurigo un esempio di spazio pubblico cittadino adeguato alle esigenze contemporanee. (Keystone)

«Per la città di Lugano – destinata ad assumere un ruolo guida a livello cantonale anche in questo ambito, viste le dimensioni e la densità demografica – la Foce rappresenta un progetto centrale. Al suo recupero è legato quello dell’intero asse del fiume, che diventerà uno degli elementi strutturanti del paesaggio cittadino». Così si esprime Federico de Molfetta, per il quale la nuova foce del Cassarate rappresenta l’inizio di una profonda trasformazione dell’insieme degli spazi verdi della Città. Spiega l’architetto paesaggista: «Oggi siamo ancora condizionati da una cultura del giardino che ci porta a identificare la presenza della natura in città in luoghi delimitati come il Parco Ciani. Anche la fruizione del lago è legata al passato: da ammirare come fosse una cartolina. La cultura contemporanea esige invece spazi liberi e flessibili, solo in parte organizzati. Spazi da mettere in rete a beneficio del rispetto ecologico e del loro uso. Ai nostri giorni natura non significa aiuole colorate tutto l’anno. Lo scorrere del tempo, il ciclo di vita, le trasformazioni, sono parte integrante della natura e non vanno nascosti. Gli elementi naturali sono dinamici e come tali vanno mostrati, ad esempio lasciando che il fiume sposti i

ciottoli e che le erbe abbiano visibilità. Un parco monumentale come il Ciani va conservato quale esempio della sua epoca, ma in altri ambiti bisogna osare e rinnovare secondo i criteri e le esigenze del nostro tempo». La Città di Lugano ha compiuto qualche tentativo in questa direzione, tentativo non proprio accolto a braccia aperte. «Esatto», constata Federico de Molfetta. «Le nuove idee non mancano e le autorità iniziano a dimostrare consapevolezza e coraggio, ma il territorio non sembra ancora pronto per questo tipo di rinnovamento. Prevale un atteggiamento di chiusura. È una questione culturale e quindi i tempi di elaborazione sono lunghi. Le nuove generazioni spingono però in questa direzione, ricercando una nuova relazione con il paesaggio. D’altronde non vi sono alternative. Per preservare l’ambiente nel quale vive, la società urbanizzata contemporanea deve necessariamente attuare questi cambiamenti». L’architetto paesaggista ribadisce come non si tratti di stravolgere l’esistente. Gli spazi liberi per progetti grandiosi non esistono più e i mezzi finanziari sono limitati ovunque, a Lugano, nella «Città Ticino», come pure nella altre realtà urbane svizzere ed estere. Si

tratta di intervenire con piccole trasformazioni sostenibili, il cui valore cresce per il fatto di essere messe in rete. Precisa l’intervistato: «La frammentazione alla quale assistiamo nel fondovalle ticinese è un retaggio dell’epoca moderna. Dopo quarant’anni è necessario cambiare modello di intervento sul territorio, considerando quest’ultimo nel suo insieme. Una necessità determinata anche dagli importanti mutamenti in atto, legati soprattutto allo sviluppo tecnologico». Il ruolo dell’architetto paesaggista diventa a questo punto centrale, perché basato su un approccio globale e multidisciplinare. Gli esempi virtuosi di spazi riconcepiti e rivitalizzati ad opera degli architetti paesaggisti non mancano. L’esperienza internazionale di Federico de Molfetta lo porta a citare innanzitutto modelli americani. Dopo l’Accademia di Architettura di Mendrisio egli si è infatti specializzato alla Harvard Graduate School of Design (USA), collaborando in seguito con studi di architettura del paesaggio a Lisbona e Berlino. «Negli Stati Uniti e in Canada già da diversi anni si promuovono interventi di questo tipo secondo il concetto del rewilding (riportare a uno stato selvatico). Penso ad esempio al Brooklyn

solo (e sarà la sua fortuna) a fare il servo di Magnifico, quando per lui sarà il momento di partire per un’eroica avventura. L’avventura inizia, le pagine si avvicendano coinvolgendo il lettore: ci saranno foreste misteriose, castelli con principesse addormentate, orchi, troll e animali vari. Ci saranno antagonisti malvagi e aiutanti buoni, come in ogni fiaba. E come in ogni fiaba, la generosità, l’amore, il coraggio e la nobiltà d’animo avranno la meglio su chi cerca di imporsi con vile arroganza. In più, in questa fiaba (ben tradotta da Alice Pascutti), si ride anche un bel po’.

questo: senza effetti speciali, senza velleità a tutti i costi innovative, ma con alcune idee intelligenti e certamente efficaci nella lettura intima, condivisa, che precede il passaggio al sonno. È un libro per piccolissimi, quindi pagine in robusto cartone con angoli stondati. Le pagine si girano per il lato lungo, in orizzontale. Lo sfondo è sempre blu scuro, o meglio blu notte, perché protagonista è la luna, che dà la buonanotte agli animaletti del mondo. Una sorta di pacificante fusione con la natura, tra il cielo, da dove veglia mamma Luna, e la terra, su cui scorrazzano i cuccioli: l’orsetto dà un bacino alla Luna dalla cima della montagna, il coniglietto le parla mentre corre su un sentiero, il delfino la guarda dal mare, e così via. Ogni pagina un animale, ogni pagina una buonanotte, e ad ogni pagina l’intaglio del libro fa sì che i lettini che prima erano vuoti, uno dopo l’altro ospitano i cuccioli che sono andati a nanna. Sette lettini vuoti alla prima pagina, sette lettini con i cuccioli ad-

Bridge Park, il parco realizzato a New York lungo il fiume rivitalizzando un’area post-industriale. Anche il Waterfront Toronto è un progetto articolato che recupera l’accesso al lago Ontario per favorire nuove attività di svago basate sulla scoperta e l’esplorazione. Benché riferiti a scale più vaste, questi esempi sono validi anche per la nostra regione, perché lo stile di vita e i problemi da risolvere nei centri urbani sono i medesimi». Per Federico de Molfetta uno dei casi esemplari più vicino a noi è la Sechseläutenplatz a Zurigo che viene oggi vissuta e sfruttata in molteplici modi grazie alla sua trasformazione, caratterizzata in primo luogo dallo spostamento del parcheggio nel sottosuolo. In essa sono presenti elementi essenziali dello svago frutto di una visione progettuale articolata ma semplice nella sua realizzazione. Scaturita da un concorso internazionale, la nuova piazza offre diversi ambienti, dagli angoli alberati ai giochi d’acqua, dal fondo soffice per i bambini alle zone di sosta, senza dimenticare la possibilità di organizzare manifestazioni, prima fra tutte lo storico Sechseläuten da cui prende il nome. Questa concezione risponde inoltre alle esigenze che si vanno delineando a seguito del riscaldamento globale. Le ondate di calura nella stagione estiva diventeranno più frequenti e i centri urbani dovranno poter offrire ai loro residenti (sempre più anziani a causa dell’invecchiamento della popolazione) spazi ricchi di verde e acqua per garantire ombra e refrigerio. La rete ambientale si trasformerà a sua volta in rete sociale. Di fronte a questa evoluzione della società e dell’ambiente l’architetto paesaggista si pone con un’attitudine resiliente, ossia favorendo la capacità di adattamento. I nuovi paesaggi urbani devono essere dinamici, sostenibili e promuovere l’esperienza attiva dei loro fruitori. Per raggiungere l’obiettivo è necessaria una stretta collaborazione fra i professionisti e un dialogo continuo e costruttivo con le autorità. In ambito privato resta invece determinante la sensibilità del committente, soprattutto per i progetti con un forte impatto sullo spazio esistente. «Anche gli spazi un po’ negletti – conclude l’intervistato – possono trovare una nuova identità e far parte di un percorso che attraversa espressioni diverse della stessa natura, dal bosco al vigneto, dal lungofiume alla riva del lago. C’è bisogno di continuità e diversità».

Viale dei ciliegi di Letizia Bolzani Vivian French, Le avventure di Otto Cipolla, illustrazioni di Marta Kissi, Il Castoro. Da 8 anni. La giovane Agata era un’appassionata di fiabe e aveva ben chiaro il suo progetto di vita: sposare un principe e vivere per sempre felice e contenta. I principi scarseggiano nel suo piccolo villaggio ma Agata non si perde d’animo: la sua competenza in materia di fiabe le insegna che in mancanza di principi si può sempre ricorrere a un eroe, e per andare sul sicuro meglio orientarsi, come i libri insegnano, sul settimo figlio di un settimo figlio. Non le resta che trovare un settimo figlio sposabile, candidandosi a diventare, da improbabile moglie di principe, orgogliosa madre di eroe. Garf Cipolla, settimo figlio di un allevatore di maiali, fa al caso suo. Detto fatto: lo sposa e dopo pochi anni eccola madre di sette bambini. Il settimo, a cui per non lasciare nulla al caso viene dato il nome di «Magnifico», riceve ogni amorevole

cura materna, perché è in lui che sono riposte le speranze di farli diventare tutti «Per Sempre Felici e Contenti e Ricchi Sfondati». Il protagonista di questa deliziosa storia però non è Agata, né Magnifico, né tanto meno Garf Cipolla. Il protagonista (stavo per dire l’eroe...) è l’ottavo figlio, l’«Otto Cipolla» del titolo, appunto, accolto con leggero fastidio e allevato di malagrazia da Agata, in quanto figlio inutile, eccedente, buono

Alex Sanders, L’ora della luna, Babalibri. Da 18 mesi. Di libri della buonanotte ce ne sono tanti, a maggior ragione quindi va sottolineato il valore peculiare di questo semplicissimo libro, che con dignità si ritaglia una sua specifica ragion d’essere in un panorama già frequentato. È davvero un bel libro della buonanotte,

dormentati all’ultima. Piacerà perché rassicura; perché la luna se protegge gli animaletti proteggerà anche te; perché ci si identifica con il cucciolo che vuole ancora un bacino o che vuole fare ancora una capriola; perché si può leggere a dialogo luna-cuccioli; perché è una storia a progressione-ripetizione, perfetta per fare ipotesi pertinenti sul prosieguo della narrazione; perché si possono nominare tutti gli animali; perché si possono anche contare, da 1 a 7; perché si può far scorrere il dito su tutti i lettini. E per molte altre ragioni, che ogni cucciolo umano saprà certo scoprire.


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1 Adelboden 2 Aletsch Arena 3 Flumserberg

8 Pfingstegg-Grindelwald 9 Rigi 10 Ritom-Piora

4 Glacier 3000

11 Sattel-Hochstuckli

5 Hasliberg

12 Schilthorn – Piz Gloria

6 Monte Generoso

13 Stanserhorn

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 31 luglio 2017 • N. 31

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Società e Territorio

Liberarsi dalla droga

Ai margini – 4 Continua la serie dedicata alle persone che nel nostro cantone vivono in una situazione di precarietà.

Le testimonianze sono state raccolte al centro di accoglienza diurno di Viganello che fa capo a Ingrado

Laura Di Corcia «Tu lo sai. Sai benissimo che stai cadendo in un tunnel. È pazzesco quante storie ti racconti, in certi momenti. Dicevo a mia madre che potevo smettere quando volevo, lo dicevo soprattutto a me stessa. Ma continuavo a farmi». Ilaria (nome di fantasia) ancora oggi, di fronte a noi, nuota in una nuvola bianca, una nebbia che non permette alla ragione di discernere fra bene e male. «È iniziato tutto con la meningite. Fino a 15 anni la mia vita era bella. Avevo una splendida famiglia, frequentavo la propedeutica e sognavo di fare l’educatrice». Ilaria adesso ha trent’anni e poche speranze. Coltiva un terreno arido frutto di scelte sbagliate. Ride spesso, è a disagio e mostra una certa timidezza. «La meningite ha lasciato un segno, ero sempre stanca, avevo sempre sonno. A sedici anni sono uscita con un ragazzo che mi ha offerto la coca, ho provato ed è iniziato l’inferno». L’«educazione» tossica di Ilaria è iniziata e proseguita sotto il segno dell’amore. Dopo quella storia, ne è arrivata un’altra, la posta in gioco si è alzata: dalla cocaina all’eroina. «Nel frattempo i miei mi avevano sbattuta fuori di casa e io stavo da lui. Per un anno abbiamo abitato insieme in un appartamento, vivevamo in condizioni pietose. Io nemmeno me ne accorgevo. Non mi interessava chi fosse al mio fianco, mi bastava che avesse la droga». I suoi genitori, che l’avevano riaccolta in casa col fidanzato, a un certo punto capiscono di non poter sostenere una situazione diventata ormai ingestibile, le chiedono di nuovo di andarsene. «Hanno fatto bene» – commenta lei. «Un tossico deve capire che deve smettere, altrimenti muore. Da quel momento ho iniziato con le comunità». Fra un ricovero e l’altro, Ilaria conosce una nuova persona,: non più eroina sniffata, ma in vena. «Non posso dire che sia stata colpa sua, è sbagliato: io l’ho fatto, io l’ho voluto. Da quel momento sono caduta davvero in basso e pur di potermi comprare la droga ho iniziato a prostituirmi». Giornate buie, una più cupa dell’altra, poi la decisione: ritirarsi

La sfida è immaginare un progetto di vita. (Stefano Spinelli)

in una comunità in provincia di Savona, in un posto sperduto, lontana da tutti, da tutto. «Lì ho smesso con la cocaina e con l’eroina. È stata dura, ma ora sono quattro anni che non tocco nessuna droga, eccezion fatta per qualche canna. Non faccio nemmeno uso di farmaci, ne sono uscita». A Viganello, nel centro di accoglienza diurno che fa capo a Ingrado (associazione specializzata nei problemi di dipendenza), passa le giornate insieme ad altri che come lei hanno questi problemi, aspetta che arrivi sera e che il suo compagno («questo è pulito», dice) finisca il lavoro. La sua vita, però, non ha trovato ancora la giusta direzione. «A causa della meningite non riesco a fare niente, quando mi sveglio al mattino spero che arrivi presto la notte». Gli happy end sono rari quando si finisce nel tunnel della droga, eppure c’è

chi ci crede, come Francesco Buloncelli, operatore di prossimità che avvicina le persone con problemi di tossicodipendenza nei luoghi di ritrovo di Lugano, chiedendo loro di fidarsi di lui, in modo da immaginare insieme un progetto di vita, l’unico vero ed efficace antidoto all’autodistruzione. «Bisogna leggere fra le maglie della motivazione – aggiunge Marcello Cartolano, responsabile del Settore delle sostanze illegali di Ingrado – trovare, sotto la crosta della disperazione quotidiana, la scintilla del desiderio, che apparentemente sembra spenta ma non lo è mai del tutto». Un percorso difficile, irto di ostacoli, causati in primis dalla propria mente. «Il fatto è che se non sei abituato a stare bene hai paura di questa condizione, la rifiuti». Michela (nome di fantasia) ha 47 anni ed in alcuni momenti è lucidissima. «Sono nata in una famiglia di-

sfunzionale. Così chiamano le famiglie come la mia. I miei facevano parte di un movimento religioso e mio padre, in special modo, era un fanatico estremista. Da piccola non potevo festeggiare un compleanno e nemmeno partecipare a quelli delle mie amiche di scuola, non potevo disegnare un albero di Natale, altrimenti veniva a prelevarmi a scuola ed erano guai». Una figura genitoriale maschile violenta, sia a parole che a fatti. «Fino a 26 anni non ho mai toccato nemmeno una sigaretta. Mi capitava a volte di passare per il Parco Ciani, vedevo i drogati e mi sembravano felici. Volevo essere libera come loro». Alle botte del padre, che arrivavano senza nessun motivo si aggiungevano le miopie di tutta la famiglia allargata, costituita dal gruppo di fedeli che Michela ha frequentato assiduamente durante la sua infanzia e adolescenza. «Passavamo

tutto il tempo libero insieme, persino le vacanze. Quando a vent’anni sono scappata di casa con un uomo che è diventato mio marito e il padre dei miei figli, non mi hanno più rivolto la parola non solo i miei genitori, ma anche tutte le mie amiche. È stato come perdere tutta la famiglia, non avere più nessuno al mondo». Il matrimonio naufraga, Michela si trova da sola. Conosce un uomo che è gentile con lei, che la considera. Lo segue; lui la inizia alla droga. «Mi sentivo accettata. Cercavo una terapia e devo ammettere che l’eroina inizialmente mi ha curata: era l’unica cosa in grado di lenire la sofferenza che portavo dentro di me. Solo che poi mi ha fatto un danno ancora maggiore». Per uscire dal tunnel anche Michela, costretta a dare in affidamento i suoi figli, va in comunità. Oggi porta ancora i segni della sua dipendenza: l’epatite C e un enfisema polmonare. «Io nell’affetto sto male. Faccio fatica. Sono borderline. È normale, da una famiglia così si esce a pezzi. Ho ripreso a vedere mia madre, a volte sento una rabbia verso di lei, ma la trattengo, perché è debole di cuore. Sono fuori dalla droga? Da due anni non tocco più niente. Ma quando si è stati tossicodipendenti non si può mai dire. Potresti ricaderci da un momento all’altro». Michela ci saluta. Ha consumato cocaina ed eroina per vent’anni, perché non sapeva come sciogliere quel dolore sordo in mezzo al petto. Ingrado è un posto dove la sofferenza è qualcosa di materico. Qui c’è chi, come Filippo, a 19 anni ha già le spalle due anni di tossicodipendenza e due mesi di detenzione per spaccio. «Ma io voglio aiutare gli altri, un domani, trovare un lavoro in una casa anziani perché credo in Dio, sono cristiano». Al collo porta un crocifisso e nasconde un’espressione dolente sotto la visiera del cappellino. Il giorno prima la stessa visiera è salita, con altri ragazzi del centro diurno, fino al Monte Generoso; li ha guidati Francesco, l’operatore di prossimità che tende una mano a tutti. Insieme hanno raggiunto il Fiore di pietra di Mario Botta, in vetta. Da lì si può solo scendere.

Tra terme e cioccolato

Alta Valle di Blenio Da Acquarossa a Olivone lungo uno dei percorsi storici proposti da Blenio Turismo Elia Stampanoni Da Acquarossa a Olivone, il senso di marcia proposto da Blenio Turismo, promotore e realizzatore del progetto dei sentieri storici, è da sud a nord, quindi salendo la valle per circa 11 chilometri. Il tempo di percorrenza stimato è di quasi quattro ore, ma si può logicamente affrontare anche in discesa, beneficiando in ogni caso delle tap-

pe proposte lungo il tracciato, in gran parte disegnato lungo i sentieri o le vie secondarie già esistenti. La partenza è presso la vecchia stazione ferroviaria di Acquarossa, a 550 metri di altitudine, e a pochi passi dal primo punto d’interesse, le vecchie Terme. Il complesso è citato per la prima volta nel 1577 e già nel 1600 si praticavano delle cure termali. Gli studi geologici effettuati nel 1945 evidenziarono che

La tavola esplicativa alle Vecchie Terme di Acquarossa. (Stampanoni)

l’acqua, proveniente dalla regione del Pizzo Molare, si arricchisce di minerali attraversando vari strati sedimentari e poi, al contatto con l’aria, si formano depositi rossi e gelatinosi tipici del fango di Acquarossa. I fanghi erano utilizzati per bagni e applicazioni in caso di malattie reumatiche, infiammazioni muscolari, malattie della pelle o disturbi ginecologici. Le terme prevedevano pure cure inalatorie oppure acqua da bere in caso di disturbi circolatori o anemie. Nel 1887 furono aperte le nuove terme che cessarono l’attività 84 anni più tardi, nel 1971, quando nel complesso si contavano ancora oltre 4mila pernottamenti l’anno. Da tempo varie idee e progetti vorrebbero rilanciare lo stabilimento termale, ma per ora bisogna accontentarsi di immaginare come fossero un tempo e come potrebbero diventare. Da un piccolo tubo dopo il ponte, sotto la strada, esce l’acqua rossa, la sorgente, invece, in quanto collocata nei confini della proprietà privata, non è accessibile. Il percorso segue la strada cantonale fino a Lottigna, sede del Museo della Valle di Blenio, collocato tra le mura la pittoresca Casa dei Landfogti, «il monumento araldicamente più

ricco del cantone», come leggiamo sull’opuscolo informativo. Il museo vi si è installato nel 1979 e ospita una ricca esposizione che tratta temi come la storia della valle, allevamento e lavorazione del latte sulle alpi, ambiente e lavori agricoli, arte sacra, emigrazione, alimentazione o economia rurale e di sussistenza. Aperto da fine marzo a inizio novembre, attualmente ospita una mostra temporanea dedicata al fotografo lucernese Peter Ammon intitolata Vivere la montagna. La camminata può proseguire verso Olivone (890 metri), la meta del tragitto. Grumo, frazione del quartiere di Torre, si raggiunge in meno di un’ora da Acquarossa, ed è un piccolo nucleo di case che fu autonomo fino al 1928. È ricordato anche per la fabbrica di rastrelli fondata verso il 1850 da Francesco Protti, un’attività che permise alla famiglia di non dover abbandonare la valle. Grumo è pure il paese natale del celebre cuoco Martino de’ Rossi (de Rubeis), noto anche con il soprannome «principe dei cuochi», autore di Arte Coquinaria, un raffinato trattato di cucina. La chiesa e l’oratorio di Torre sono le tappe di avvicinamento all’ex fabbrica di cioccolato Cima Norma, fondata

dai fratelli Cima di Dangio nel 1903. Oggi, dell’attività che arrivò ad occupare fino a 300 operai, rimangono solamente molti ricordi e l’edificio, 12mila metri quadrati ora rivalorizzati con l’allestimento di spazi dedicati all’accoglienza dei turisti, sale espositive, appartamenti e atelier. Il tragitto continua a salire e, dopo l’oratorio di Sant’Ambrogio di Dangio e la chiesa di Aquila (sede anche delle milizia storica), si arriva a quella dedicata a San Martino a Olivone, che dà pure il nome al Museo collocato presso la Cà di Rivöi. Si tratta di una tipica casa bleniese edificata prima del 1400 e ampliata nel 1658. Il museo è stato inaugurato nel 1969 e contiene una raccolta etnografica. L’ultima tappa del percorso ricorda l’emigrazione dei borghesi che qui, in cima alla valle di Blenio, edificarono le loro residenze secondarie. Erano soprattutto i cioccolatieri a potersi permettere di realizzare queste ville: il Centralone fu fatto erigere dall’avvocato Carlo Poglia, mentre Villa Giovanni Piazza e Villa Vincenzo Piazza, furono costruite, nel 1913 e nel 1868, da due tra i più noti industriali milanesi, che in quel periodo si dedicarono all’industria del cioccolato.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 31 luglio 2017 • N. 31

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Società e Territorio Rubriche

L’altropologo di Cesare Poppi Squalificati Verrebbe da scrivere «ci risiamo» non fosse che ormai le «notizie» – chiamiamole ancora così – sugli squali e le loro res gestae abbondano sui media di ogni razza e condizione al punto da essere diventati appuntamento quotidiano al pari dei valori di Borsa o delle previsioni del tempo. Fare un giro in web per credere. E se gli squali fossero confinati nelle acque più inquinate dell’universo, se mi si passa la metafora, potrebbe anche andare. Il problema è che, da quegli infidi predoni che sono i selachimorfi (così il nome scientifico dei Nostri), si insinuano nelle acque considerate più sicure e colpiscono ohibò laddove uno meno se lo aspetta. Per esempio nelle pagine virtuali del quotidiano cadetto in termini di diffusione della Repubblica d’Oltralpe – dal punto di vista Confederato, s’intende, che resterà comprenderete

innominato. Pagine che navigando nel mare magnum del web e forse nelle acque basse di un’utenza in bisogno di emozioni forti sono anche le più frequentate da chi non sa ben nuotare. Così, in sostanza, tiene cassetta di cliccate da alcuni giorni la notizia secondo la quale in Sud Africa – nella Jeffreys Bay, per chi voglia andarci in ferie – un candidato al podio della famosa, unica ed imperdibile «World Surf League» è stato attaccato da uno Squalo (bianco? Rosso? Boh…) come già era stato nel 2015 durante la stessa gara. Mick Fanning – questo il nome del campione da surf appetito dal Nostro, destinato lui invece ahimè a restare anonimo – si presenta come il classico bisteccone anglosassone supermuscolevole, e come fa un povero selachimorfo a resistere alla tentazione? Il fenomeno è molto interessante dal

un amico pescatore professionista (ma di sardine), peraltro di ottima indole – «impara a finire sui giornali ogni tre per quattro. Morirà di sovraesposizione mediatica – si dice così?!». E difatti non se ne può più. Titolo «Squalo morde bagnante» (fosse stato un cane – McLuhan insegnava – non sarebbe stata notizia: lo squalo sì); «Squalo quasi morde bagnante» (e dai!); «Squalo prova a mordere bagnante ma scivola e si fa male» – e poi, quando notizie sugli squali proprio non ce ne sono, la Grande Notizia perché più incredibile: «Squalo non attacca nessuno». Insomma: dagli squali, cari miei, non si scappa. Una novelletta in sostanza copiona di Hemingway ispirò per infezione mediatica Steven Spielberg col suo famoso Jaws (italice: Lo Squalo) del 1975. Paura e voglia di paura universale, urbi

et orbi, tanto che il film fu superato negli incassi solo da Guerre Stellari di George Lucas nel 1977. Cosa hanno in comune i due successi mediatici, antropologicamente parlando? «Voglia di paura» – già se ne è parlato su questa rubrica qualche tempo fa, e da un punto di vista Altropologico. Si vive – ci tocca vivere – nella società liquida delle assicurazioni, tratto distintivo di quelle che il Conte Leopardi descriveva come le «magnifiche sorti, e progressive» dell’Occidentale Civiltà. Da che e da cosa siamo assicurati lo sappiamo tutti al momento di firmare il contratto – cioè ovvero: e i predoni in agguato nel profondo?! E lo Squalo!? Dal suo galattico Sponsor che è – per risultati in incassi – la minaccia dell’Impero del Male e per altre nuove (e già esauste) vie Il Trono di Spade, chi ci salverà dalla Paura che tanto ci piace?

Proprio perché si svolgono nello spazio ristretto e affollato della casa è improbabile che nessuno se ne accorga, che non abbia per lo meno dei sospetti, ma il silenzio sembra troppe volte la soluzione migliore per salvaguardare il buon nome della famiglia e la dignità dei suoi componenti. La vittima, quasi sempre una bambina o un bambino, viene così lasciata sola, incapace di comprendere, nella confusione tra amore e violenza, che cosa stia succedendo. Non mi soffermo sulle conseguenze perché lei le descrive così bene ( basta la metafora del «guscio vuoto»!) che sarebbe superfluo aggiungervi dell’altro. L’importante è riflettere su quanto sia importante trovare una persona, almeno una, che sia capace di offrire a chi soffre un ascolto consapevole e partecipe. In questo caso è stato un medico, ma potrebbe essere un parente, un insegnante, un allenatore, un amico. Il blocco di pietra che racchiudeva il corpo violato di Vera si scioglie quando lei trova le parole per dire ciò che era stato condannato al silenzio. Ma solo la «parola vera», capace di esprimere le emozioni e di condividerle, sa realizza-

re questo portento. Nelle psicoterapie il passato non viene cancellato ma messo in prospettiva, posto sullo sfondo in modo che non invada il presente e obnubili il futuro. Nella lenta tessitura del dialogo, Vera si è ricomposta ritrovando l’unità corpo-mente infranta dalla più subdola delle aggressioni. La sua esistenza le è stata riconsegnata perché possa viverla all’insegna della libertà e dell’autenticità. Ma, come sempre, vorrei riservare un momento alla prevenzione, tentare di comprendere che cosa possiamo fare perché comportamenti così perversi non accadano più. Per prima cosa vorrei distinguere tra l’amore-passione e l’amore-tenerezza: il primo deve essere riservato agli adulti mentre il secondo, che è proprio della madre, deve contraddistinguere le relazioni tra grandi e piccoli. La tenerezza richiede che l’affetto sia depurato dalle componenti sessuali, che sia discreto, delicato, mai intrusivo e prevaricante. Dovremmo inoltre affinare la sensibilità per cogliere il malessere dei bambini anche quando non viene esplicitamente dichiarato. In ogni caso, mai far finta di

niente, volgere la testa dall’altra parte pensando che i bambini sono fantasiosi e che certe cose se le inventano. Noi adulti siamo responsabili, tutti, della loro integrità e del loro benessere. Sarebbe poi opportuno che, fin dalla più tenera età, venisse insegnato il senso e il valore del pudore. Alcune parti di noi, del nostro corpo e delle nostre sensazioni, debbono restare riservate, non per moralismo ma perché simbolizzano il fatto che non tutto è a disposizione di tutti. Esistono esperienze che saranno condivise, a tempo debito, con le persone con cui costruiremo una relazione amorosa reciproca e responsabile. Poiché il fragile corpo dei bambini custodisce il futuro, cerchiamo di considerarlo come le risorse naturali e le realizzazioni culturali: Patrimonio dell’umanità.

cambiare domicilio per affrontare un’attività professionale, più promettente, ma altrove, sia pure su suolo svizzero. Ne deriva uno svantaggio che non incide soltanto su un destino individuale, limitandone ambizioni e sbocchi futuri, ma si ripercuote sull’efficienza di interi settori produttivi, che stentano a trovare nuovi collaboratori. Svizzeri, spesso colti e altamente qualificati, ma bloccati dall’inscindibile legame con il loro luogo. Ci si trova alle prese con motivazioni che non sorprendono nemmeno più e non rappresentano neppure una prerogativa elvetica. Secondo il «Global Entrepreneurship Monitor», la tendenza si registra nei paesi più sviluppati, USA compresi. In Svizzera, la sedentarietà esprime, innanzi tutto, un attaccamento, in fondo logico. Perché spostarmi? Io qui sto bene, godo le comodità di un ambiente ben noto : la famiglia, gli amici, i compagni di scuola, il bar dell’angolo,

la squadra di calcio, il club del tennis, e via dicendo. Attraverso queste dichiarazioni di affetto, stima, fedeltà nei confronti della città, del villaggio, della valle , cioè del proprio luogo di origine e di vita, si configura una particolare forma di patriottismo: oggi persino contagioso. Ed è quello che si riferisce alle piccole patrie, o patrie locali, o localismo, o campanilismo o, addirittura, «patriottismo d’anticamera», per dirla con un termine ottocentesco. Si sprecano, insomma, le definizioni, e non tutte esaltanti, per un sentimento che fa tendenza, in un mondo che stenta ad accettare la globalizzazione. Nel nostro Paese, per sua natura frammentato, se il Cantone ha assunto, dal profilo costituzionale, i connotati di piccola patria, a suo modo autonoma, la Confederazione è stata in grado di gestire le diversità, proponendo un equilibrio giustamente invidiato dagli osservatori stranieri. Esposto,

negli ultimi tempi, alla rinascita del cosiddetto «Kantönligeist», sinonimo di ripiegamento e isolazionismo, come rilevava il giornalista inglese Diccon Bewes, in Swiss Watching, guida divertente, ma non irriverente, per scoprire la sfaccettata realtà elvetica, con gli occhi bene aperti su aspetti inquietanti. Fra cui, evidentemente, l’attrazione strisciante delle piccole patrie che, secondo l’economista americano Tyler Cowen, «conducono alla segregazione, a una forma di tribalismo». Sono parole grosse che sembrano definire minacce lontane dalla nostra realtà. Ma fino a un certo punto. Anche la definizione di piccola patria, in apparenza amabile, che sa di genuino, si presta a interpretazioni insidiose. Piccolo non vuole sempre dire bello. Significa anche meschinità, autocompiacimento, stizzoso rifiuto di ogni diversità, considerata a priori pericolosa. Intanto, chiusi nel nostro orticello, fiorisce la litigiosità.

punto di vista antropologico – e del tutto appetibile, potete immaginare, da quello altropologico. Forse cominciò, nei termini di un fenomeno della modernità con quella novella che tutti conoscono anche senza averla letta che è Il Vecchio e il Mare di quell’altro bisteccone letterario che fu Ernest Hemingway. Metafora del sogno di una vita finalmente realizzato a caro prezzo e poi azzerato dal cattivone di turno, il pesce di Hemingway è il pesce vela (Marlin) – ovvero l’innocuo, elegantissimo, regale re dei mari ormai sulla lista delle specie minacciate di estinzione per la caccia spietata della quale è oggetto. Per ironia della sorte, lo squalo bianco, vorace dunque perché no antropofago predone del mare, è oggi ormai sulla lista delle specie a rischio. «Così impara», commentava l’altro giorno

La stanza del dialogo di Silvia Vegetti Finzi Le relazioni incestuose Cara Silvia, da anni la seguo entrando in punta di piedi nella «Stanza del dialogo». Le scrivo perché mi pare giunto il momento di affidarle la mia voce. Sono una donna quarantenne che, come molte e molti, ha alle spalle un’infanzia caratterizzata da un rapporto incestuoso in una famiglia in apparenza normalissima. La mia prima presa di coscienza, la mia adolescenza, è stata un deserto senza fine: comportamenti autodistruttivi e terrore. Terrore costante. Passano poi gli anni e, con un pizzico di fortuna e grazie all’istinto e a una volontà ferrea riesco comunque a prendere decisioni forti: mi realizzo professionalmente, creo legami affettivi esercitando sempre un grande controllo su me stessa e sugli altri… Impiego anni ed energie anche solo per riconoscere cosa m’imprigiona: non abito il mio corpo, la mia mente, i miei sentimenti, le mie parole. Vivo in un guscio vuoto. Finalmente, dopo essermi affidata alla religione, all’omeopatia, all’alcol, alla meditazione, al sesso, alle lacrime, al controllo del cibo, al fascino del suicidio

e delle droghe, dopo aver somatizzato tutto, mi confido col mio medico. Lui – letteralmente – mi prende la mano e ascolta il mio pianto. Un pianto silenzioso, composto, di pietra che si scioglie piano piano. Inizio così un lungo viaggio. Entro in analisi con un bravissimo psicologo e, col suo aiuto, con fatica e con dolore, mi riapproprio di quello che sono. Scopro la meravigliosa sensazione di abitare me stessa, di essere protagonista della mia vita, di avere voce, PAROLA in capitolo. Apparentemente cambia poco. In realtà cambia tutto… Ora ho una famiglia, dei figli meravigliosi, un lavoro che mi appassiona, un nuovo sorriso. E un futuro… La saluto con gratitudine e affetto. / Vera Cara Vera, la ringrazio per aver condiviso con noi un percorso esistenziale difficile e doloroso ma carico di speranza per tutti coloro che hanno affrontato o stanno vivendo esperienze così distruttive. Sulle relazioni incestuose nella famiglia c’è ancora molta omertà ma, se conoscessimo i danni che provocano, saremmo meno distratti e indulgenti.

Informazioni

Inviate le vostre domande o riflessioni a Silvia Vegetti Finzi, scrivendo a: La Stanza del dialogo, Azione, Via Pretorio 11, 6900 Lugano; oppure a lastanzadeldialogo@azione.ch

Mode e modi di Luciana Caglio Il patriottismo mette alla prova Stiamo diventando sempre più sedentari, a nostro rischio e pericolo. L’allarme, lanciato recentemente dagli ambienti dell’economia e della finanza, può sembrare, a prima vista, irrealistico, smentito dai fatti. Guardandosi attorno, si percepisce proprio l’opposto: l’immagine di un paese all’insegna della mobilità, dove i cittadini, fra weekend, ponti, vacanze, continuano a spostarsi, sia dentro che fuori le frontiere. E, addirittura, figurano in testa alle classifiche mondiali come i più forti consumatori di viaggi. Gli svizzeri, insomma, convivono ragionevolmente fra mobilità e sedentarietà, secondo le situazioni e i loro rispettivi valori. Un conto è il tempo libero da dedicare al bisogno di cambiamento, all’imprevisto, alla novità anche culturale. Un conto è la quotidianità, destinata al lavoro, alla sicurezza, alla continuità, all’abitudine, cioè alla normalità. Ed è qui, in questo terreno casalingo, che nasce e si sviluppa, allargando sempre

più le sue radici, la nostra sedentarietà. Circolo vizioso o virtuoso? Il dibattito è in corso. Sta di fatto che i timori di economisti e imprenditori, questa volta, si giustificano. Un dato statistico è rivelatore: negli ultimi vent’anni, è scesa dal 6 al 5 per cento, la quota dei nostri concittadini, oltretutto giovani, disposti a

A ognuno la sua bandiera.


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Ambiente e Benessere Family Global Pass In giro per l’Europa, passando dalla Danimarca e poi Berlino, Praga, Linz e Innsbruck, sul treno con il pacchetto famiglia

Il viaggio del vino Grazie all’agile flotta mercantile, gli olandesi ampliarono il mercato

Una Micra tecnologica Nissan propone molte ricche novità nella dotazione ma che saranno alla portata di tutti

Colonie di randagi Anche in Ticino, molti gatti senza casa sono curati dagli Angels 4 Animals

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Interrail formato famiglia

Viaggiatori d’Occidente Partire in carrozza verso mete europee in ricordo dei tempi in cui si pensava solo ad andare

Paolo Merlini, testo e foto

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L’iceberg da primato

Climatologia Cambiamenti meteorologici

e campanelli d’allarme, le dispute del mondo scientifico

Loris Fedele Immaginatevi di avere davanti la cartina della Svizzera, con la sua forma e i suoi confini. Guardate la parte sud e immaginatevi il Canton Vallese, tutto intero, che improvvisamente si stacchi dal resto della nazione e si allontani. Credo che questa immagine possa rendere l’idea delle dimensioni di ciò che è capitato in Antartide meno di tre settimane fa. Una cospicua parte di un’enorme calotta di ghiaccio, grande quanto l’intera Svizzera, che attaccata alla terraferma galleggiava sull’acqua del mare, si è spezzata lungo un fronte di oltre 100 km andando a formare un iceberg gigantesco con una superficie di 5800 kmq (il Vallese ne conta 5200 circa). La zona interessata è la penisola posta nell’estremo nord-ovest dell’Antartide, sul Mare di Weddel. Lungo le coste antartiche vi sono diverse importanti piattaforme ghiacciate fluttuanti, spesse centinaia di metri. Si formano quando i ghiacciai della terraferma premono sulle coste e invadono il mare. Basta che il clima sia abbastanza freddo per mantenere il ghiaccio a galleggiare sull’acqua. Sono tenute sotto costante osservazione dagli studiosi e portano un nome che le contraddistingue. La piattaforma che si è frantumata in luglio perdendo il pezzo di cui abbiamo parlato in apertura si chiama Larsen C. Sono esistite pure una Larsen A, una B, e poi c’è anche una Larsen D. Tutte portano il nome di Carl Anton Larsen, l’esploratore norvegese che le scoprì nel 1890. La Larsen A, che era sulla parte più settentrionale e quindi potenzialmente più calda della penisola, si disintegrò nel 1995. Invece la Larsen B collassò in parte nel 2002 e si ruppe formando un iceberg di 3200 kmq, alto 200 metri. Uno studio del 2015 ne prevede la completa frantumazione entro il 2020. Da quando possiamo valerci dell’aiuto preziosissimo dei satelliti di osservazione terrestre gli studi sono stati facilitati. Sulla zona operano sia quelli della NASA americana sia quelli dell’A-

genzia Spaziale Europea. Va da sé che la rottura della Larsen C, la quarta per dimensioni in Antartide, non sia stata una sorpresa. I radar altimetrici dei satelliti avevano misurato lo spessore del suo ghiaccio che, dal 1992 al 2004, era cresciuto o diminuito di circa dieci centimetri all’anno, per poi stabilizzarsi recentemente. Fin dagli anni Ottanta i satelliti avevano anche già visto il formarsi della crepa, ma solo nel 2014 una foto satellite dell’Agenzia Spaziale Europea l’aveva mostrata chiaramente, allarmando gli scienziati. Dal 2016 il processo di allargamento della fenditura era divenuto evidente. Nel novembre 2016 la misura dava 100 km di lunghezza, 91 metri di larghezza e una profondità di circa 500 metri. Gli studiosi avevano predetto una rottura con distacco totale per il luglio 2017, cosa puntualmente avvenuta. Il nuovo iceberg è stato chiamato (dal progetto britannico MIDAS – Melt on Ice Shelf Dinamics and Stability – che segue questi fenomeni in Antartide) con la sigla A68: pesa mille miliardi di tonnellate e ha un volume, secondo gli scienziati, pari al doppio del lago Erie, uno dei Grandi Laghi del Nord America. L’avvenimento della rottura è stato subito molto mediatizzato, tanto più che è capitato un mese dopo che il presidente Trump aveva sancito l’uscita degli USA dall’accordo sul clima di Parigi. Tuttavia gli stessi ricercatori gallesi del MIDAS gettano acqua sul fuoco delle speculazioni: «Questo evento, anche se raro, è un fatto che è sempre capitato, perché fa parte del naturale ciclo della vita delle piattaforme ghiacciate ai poli. Un poco semplicisticamente lo si è subito imputato ai cambiamenti climatici. Non sorprende, perché i notevoli cambiamenti riscontrati sui ghiacciai terrestri sono normalmente associati con l’aumento della temperatura dell’aria. Però con i ghiacci delle piattaforme polari è diverso. Nel caso di Larsen C ogni legame con i cambiamenti climatici in atto è lungi dall’essere diretto. Tanto più che buona parte del ghiaccio della piattaforma Larsen C recente-

C’è stato un tempo nel quale se avevi pochi soldi e tanta voglia di viaggiare l’Interrail rappresentava l’unica alternativa all’autostop. Il tappeto volante era un biglietto di seconda classe a prezzo fisso, introdotto nel 1972, che consentiva ai giovani di viaggiare per un mese senza limiti sui treni europei. Negli anni Ottanta io, l’Europa, l’ho vista così, dal finestrino del treno, quasi senza uscire dalle stazioni per l’impazienza di ripartire, felice solo di andare, mangiando scatolette e dormendo negli ostelli. Ho sempre pensato che quell’esperienza abbia unito noi giovani europei più della moneta unica, dell’Erasmus, della Champions League e dell’Eurovisione. Poi sono venuti la famiglia, i figli, vacanze inevitabilmente più sedentarie. Sino a quando mi è sorta la strana idea di un «Interrail formato famiglia».

«I miei figli hanno visto Roma, Venezia, Firenze, Vienna, Londra e tanti altri posti, ma Praga è la madre delle città, troppo diversa da tutto quello che conoscono»

Vista aerea dell’area interessata della Penisola antartica . (NASA)

mente era aumentata di spessore. Le piattaforme come questa sono molto interessanti da studiare proprio perché, in un mondo che si riscalda, sono sensibili sia sopra, alla temperatura dell’aria, sia sotto, alla temperatura delle acque dell’Oceano. Per questo abbiamo fatto partire il nostro progetto di ricerca MIDAS, per studiare il ruolo dello scioglimento superficiale sulla stabilità della piattaforma stessa. Il collasso delle piattaforme è anche dovuto al formarsi di laghetti e pozze d’acqua che penetrando in profondità spaccano il ghiaccio. La scorsa estate (che corrisponde al nostro inverno) diverse grosse pozze hanno cambiato la struttura del ghiaccio. L’effetto di ciò sul futuro della piattaforma è ancora sconosciuto. Quindi proseguiamo con studi sul campo, osservazioni satellitari e simulazioni al

computer sullo stato dei ghiacci e sul clima locale». Tornando al gigantesco iceberg che si è staccato da Larsen C, dove andrà a finire? Forse si frammenterà e resterà attorno alla Penisola Antartica, ma qualche pezzo potrebbe dirigersi a nord. Una simulazione appena realizzata prevede la possibilità che arrivi fino alle isole Falkland/Malvine, a 1000 km di distanza. Se un iceberg andasse a finire là, troverebbe acque più calde e si scioglierebbe. In questo caso la paura di un innalzamento dei mari, cavalcata strumentalmente dagli ambientalisti americani, secondo gli esperti britannici non ha fondamento: «La piattaforma già galleggiava prima del distacco. Se in futuro, tra molti anni, anche la restante parte di Larsen C dovesse collassare, dai nostri calcoli l’innalzamento

del mare sarà probabilmente meno di un centimetro». La cosa non è sorprendente. La piattaforma di ghiaccio è, come hanno detto gli studiosi, già dentro l’acqua: occupa lo stesso volume che verrà riempito dall’acqua disciolta. È come il ghiaccio dentro una bibita, che sciogliendosi non fa traboccare il bicchiere. Però è anche vero che se sparissero le piattaforme ghiacciate sul mare, i ghiacciai terrestri a monte, che le alimentano, si scioglierebbero più in fretta e questo sì che può innalzare i mari. Quindi quanto accaduto non va sottovalutato. Sono parecchi gli scienziati che interpretano l’accresciuta frequenza di questi fenomeni come un campanello d’allarme. Larsen A aveva 4mila anni, Larsen B almeno 12mila. Nel giro degli ultimi 20 anni se ne sono andate.

Ho curiosato in rete scoprendo un sacco di novità. Con un Global Pass i Paesi visitabili ora sono trenta (invece di ventisei) e si posso scegliere diverse durate. Ma soprattutto ci sono tariffe molto vantaggiose per i bambini: dai quattro agli undici anni viaggiano gratis, dopo i dodici hanno una tariffa agevolata. E così il nostro Global Pass per viaggiare tutti e quattro liberamente per sette giorni, nell’arco di un mese di validità, è venuto via per una cifra abbordabilissima. Pronti, via. Mia moglie e io, vecchi interrailer, morivamo dalla voglia di tornare a spasso per i binari d’Europa, con in più la curiosità di riscoprire il mondo con gli occhi dei nostri figli, di tredici e otto anni. Un volo low cost ci ha portato in poche ore da Pescara a Copenaghen, dove è iniziato il viaggio vero e proprio: dapprima una settimana in giro per la Danimarca e poi, cammin facendo, Berlino, Praga, Linz e Innsbruck. Dopo i primi entusiasmi però siamo dovuti scendere a patti con la realtà. La prole non ha letto Paul Theroux ed è abituata a viaggiare facilmente per pochi euro, con Rya-

Alla stazione di Linz.

nair o Flixbus; pertanto il treno esercita un certo fascino su di loro solo se ad alta velocità e dotato di Wi-Fi. Da trent’anni non mettevo piede nelle grandi stazioni del nostro itinerario e ho sofferto un poco nel trovarle trasformate in «non luoghi», omologati seppur funzionali. I nativi digitali al contrario non hanno tradito alcuna emozione, rassicurati dalle insegne di Starbucks e McDonald’s. Muoversi nelle città è stato facilissimo. Molte offrono delle Card scontate – Berlin Welcome Card, City Pass di Copenhagen, ecc. – per utilizzare i mezzi pubblici. Ma soprattutto nessuna fila all’ufficio informazioni, nessun passante fermato in strada per elemosinare indicazioni, come ai miei tempi. Smartphone alla mano, i figli mi hanno sempre guidato, districandosi con disinvoltura nei meandri del trasporto pubblico di città mai viste prima. Anche i loro gusti alimentari sono ormai internazionali: il mio primogenito, nato e cresciuto in una cittadina delle Marche di cinquantamila abitanti, anziché mangiare danese o al limite italiano, con l’ausilio

L’autore dell’articolo, Paolo Merlini, con i suoi due figli.

di Tripadvisor andava alla ricerca di un ristorante asiatico di catena dove gustare Chicken salma curry e Short rib ramen. La modernità è riuscita nell’impresa di sprovincializzare il provinciale… Lasciata Copenaghen, ho letto finalmente lo stupore nei loro occhi. Il Mar Baltico ha fatto il miracolo! Per fargli distogliere lo sguardo da

telefonino e iPad c’è voluto lo Storebæltsforbindelsen, il «collegamento fisso del Grande Belt», imponente opera di ingegneria inaugurata nel 1998. L’Intercity diretto a Odense sull’isola di Fionia, dopo la cittadina di Halsskov, ha lasciato la Selandia e si è inabissato superando lo stretto del Grande Belt grazie al tunnel ferroviario sottomarino fino all’isola di

Il Ponte Carlo a Praga.

Ingresso del Tivoli, famoso parco di divertimenti di Copenhagen.

Sprogø, dove è riemerso per continuare poi sul ponte sospeso. A Berlino, sotto la torre della televisione ad Alexander Platz, ho raccontato loro del Muro, di Berlino Est e di quella volta che attraversai il Checkpoint Charlie per ammirare la porta di Ishtar dell’antica Babilonia al Pergamonmuseum. Forse intimiditi anche dagli imponenti palazzi in stile gotico staliniano della Karl-Marx-Allee li ho visti vacillare appena un po’, per poi chiedermi incuriositi: «Ma chi è questo Karl Marx?». I miei figli hanno visto Roma, Venezia, Firenze, Vienna, Londra e tanti altri posti, ma Praga è «la madre delle città», troppo diversa da tutto quello che conoscono. Staré Město, Malá Strana, Nové Město e finalmente, sul tram della linea 22, alla fermata di I. P. Pavlova, ho letto nei loro occhi lo spaesamento. Nessuno stupore ha invece riservato loro l’attraversamento della Sassonia e poi l’ingresso in Boemia, con i binari che lungamente costeggiano la valle incantata del fiume Elba, con Dresda sullo sfondo: la raffinata delicatezza di un paesaggio fluviale non è roba da ragazzini. Quando però sul treno mi hanno sentito conversare con una cameriera ucraina grazie alle mie rudimentali nozioni di russo, apprese in gioventù, hanno capito che il mondo non sta tutto su Facebook, Instagram o YouTube. Tornati a casa, ho pensato questo. Noi provinciali avidi di conoscenza e di incontri partivamo sempre con la segreta speranza di non tornare più, perché la nostra città ci stava stretta. Poi era sufficiente che la mamma al telefono alzasse di un’ottava il tono della voce e facevamo immediatamente dietro front. Questi no. I nativi digitali si comportano da cittadini del mondo: ignorano chi era Honecker ma girano per Berlino come a casa loro, purché siano connessi. Casa è dove c’è il Wi-Fi…


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 31 luglio 2017 • N. 31

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 31 luglio 2017 • N. 31

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Ambiente e Benessere Family Global Pass In giro per l’Europa, passando dalla Danimarca e poi Berlino, Praga, Linz e Innsbruck, sul treno con il pacchetto famiglia

Il viaggio del vino Grazie all’agile flotta mercantile, gli olandesi ampliarono il mercato

Una Micra tecnologica Nissan propone molte ricche novità nella dotazione ma che saranno alla portata di tutti

Colonie di randagi Anche in Ticino, molti gatti senza casa sono curati dagli Angels 4 Animals

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Interrail formato famiglia

Viaggiatori d’Occidente Partire in carrozza verso mete europee in ricordo dei tempi in cui si pensava solo ad andare

Paolo Merlini, testo e foto

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L’iceberg da primato

Climatologia Cambiamenti meteorologici

e campanelli d’allarme, le dispute del mondo scientifico

Loris Fedele Immaginatevi di avere davanti la cartina della Svizzera, con la sua forma e i suoi confini. Guardate la parte sud e immaginatevi il Canton Vallese, tutto intero, che improvvisamente si stacchi dal resto della nazione e si allontani. Credo che questa immagine possa rendere l’idea delle dimensioni di ciò che è capitato in Antartide meno di tre settimane fa. Una cospicua parte di un’enorme calotta di ghiaccio, grande quanto l’intera Svizzera, che attaccata alla terraferma galleggiava sull’acqua del mare, si è spezzata lungo un fronte di oltre 100 km andando a formare un iceberg gigantesco con una superficie di 5800 kmq (il Vallese ne conta 5200 circa). La zona interessata è la penisola posta nell’estremo nord-ovest dell’Antartide, sul Mare di Weddel. Lungo le coste antartiche vi sono diverse importanti piattaforme ghiacciate fluttuanti, spesse centinaia di metri. Si formano quando i ghiacciai della terraferma premono sulle coste e invadono il mare. Basta che il clima sia abbastanza freddo per mantenere il ghiaccio a galleggiare sull’acqua. Sono tenute sotto costante osservazione dagli studiosi e portano un nome che le contraddistingue. La piattaforma che si è frantumata in luglio perdendo il pezzo di cui abbiamo parlato in apertura si chiama Larsen C. Sono esistite pure una Larsen A, una B, e poi c’è anche una Larsen D. Tutte portano il nome di Carl Anton Larsen, l’esploratore norvegese che le scoprì nel 1890. La Larsen A, che era sulla parte più settentrionale e quindi potenzialmente più calda della penisola, si disintegrò nel 1995. Invece la Larsen B collassò in parte nel 2002 e si ruppe formando un iceberg di 3200 kmq, alto 200 metri. Uno studio del 2015 ne prevede la completa frantumazione entro il 2020. Da quando possiamo valerci dell’aiuto preziosissimo dei satelliti di osservazione terrestre gli studi sono stati facilitati. Sulla zona operano sia quelli della NASA americana sia quelli dell’A-

genzia Spaziale Europea. Va da sé che la rottura della Larsen C, la quarta per dimensioni in Antartide, non sia stata una sorpresa. I radar altimetrici dei satelliti avevano misurato lo spessore del suo ghiaccio che, dal 1992 al 2004, era cresciuto o diminuito di circa dieci centimetri all’anno, per poi stabilizzarsi recentemente. Fin dagli anni Ottanta i satelliti avevano anche già visto il formarsi della crepa, ma solo nel 2014 una foto satellite dell’Agenzia Spaziale Europea l’aveva mostrata chiaramente, allarmando gli scienziati. Dal 2016 il processo di allargamento della fenditura era divenuto evidente. Nel novembre 2016 la misura dava 100 km di lunghezza, 91 metri di larghezza e una profondità di circa 500 metri. Gli studiosi avevano predetto una rottura con distacco totale per il luglio 2017, cosa puntualmente avvenuta. Il nuovo iceberg è stato chiamato (dal progetto britannico MIDAS – Melt on Ice Shelf Dinamics and Stability – che segue questi fenomeni in Antartide) con la sigla A68: pesa mille miliardi di tonnellate e ha un volume, secondo gli scienziati, pari al doppio del lago Erie, uno dei Grandi Laghi del Nord America. L’avvenimento della rottura è stato subito molto mediatizzato, tanto più che è capitato un mese dopo che il presidente Trump aveva sancito l’uscita degli USA dall’accordo sul clima di Parigi. Tuttavia gli stessi ricercatori gallesi del MIDAS gettano acqua sul fuoco delle speculazioni: «Questo evento, anche se raro, è un fatto che è sempre capitato, perché fa parte del naturale ciclo della vita delle piattaforme ghiacciate ai poli. Un poco semplicisticamente lo si è subito imputato ai cambiamenti climatici. Non sorprende, perché i notevoli cambiamenti riscontrati sui ghiacciai terrestri sono normalmente associati con l’aumento della temperatura dell’aria. Però con i ghiacci delle piattaforme polari è diverso. Nel caso di Larsen C ogni legame con i cambiamenti climatici in atto è lungi dall’essere diretto. Tanto più che buona parte del ghiaccio della piattaforma Larsen C recente-

C’è stato un tempo nel quale se avevi pochi soldi e tanta voglia di viaggiare l’Interrail rappresentava l’unica alternativa all’autostop. Il tappeto volante era un biglietto di seconda classe a prezzo fisso, introdotto nel 1972, che consentiva ai giovani di viaggiare per un mese senza limiti sui treni europei. Negli anni Ottanta io, l’Europa, l’ho vista così, dal finestrino del treno, quasi senza uscire dalle stazioni per l’impazienza di ripartire, felice solo di andare, mangiando scatolette e dormendo negli ostelli. Ho sempre pensato che quell’esperienza abbia unito noi giovani europei più della moneta unica, dell’Erasmus, della Champions League e dell’Eurovisione. Poi sono venuti la famiglia, i figli, vacanze inevitabilmente più sedentarie. Sino a quando mi è sorta la strana idea di un «Interrail formato famiglia».

«I miei figli hanno visto Roma, Venezia, Firenze, Vienna, Londra e tanti altri posti, ma Praga è la madre delle città, troppo diversa da tutto quello che conoscono»

Vista aerea dell’area interessata della Penisola antartica . (NASA)

mente era aumentata di spessore. Le piattaforme come questa sono molto interessanti da studiare proprio perché, in un mondo che si riscalda, sono sensibili sia sopra, alla temperatura dell’aria, sia sotto, alla temperatura delle acque dell’Oceano. Per questo abbiamo fatto partire il nostro progetto di ricerca MIDAS, per studiare il ruolo dello scioglimento superficiale sulla stabilità della piattaforma stessa. Il collasso delle piattaforme è anche dovuto al formarsi di laghetti e pozze d’acqua che penetrando in profondità spaccano il ghiaccio. La scorsa estate (che corrisponde al nostro inverno) diverse grosse pozze hanno cambiato la struttura del ghiaccio. L’effetto di ciò sul futuro della piattaforma è ancora sconosciuto. Quindi proseguiamo con studi sul campo, osservazioni satellitari e simulazioni al

computer sullo stato dei ghiacci e sul clima locale». Tornando al gigantesco iceberg che si è staccato da Larsen C, dove andrà a finire? Forse si frammenterà e resterà attorno alla Penisola Antartica, ma qualche pezzo potrebbe dirigersi a nord. Una simulazione appena realizzata prevede la possibilità che arrivi fino alle isole Falkland/Malvine, a 1000 km di distanza. Se un iceberg andasse a finire là, troverebbe acque più calde e si scioglierebbe. In questo caso la paura di un innalzamento dei mari, cavalcata strumentalmente dagli ambientalisti americani, secondo gli esperti britannici non ha fondamento: «La piattaforma già galleggiava prima del distacco. Se in futuro, tra molti anni, anche la restante parte di Larsen C dovesse collassare, dai nostri calcoli l’innalzamento

del mare sarà probabilmente meno di un centimetro». La cosa non è sorprendente. La piattaforma di ghiaccio è, come hanno detto gli studiosi, già dentro l’acqua: occupa lo stesso volume che verrà riempito dall’acqua disciolta. È come il ghiaccio dentro una bibita, che sciogliendosi non fa traboccare il bicchiere. Però è anche vero che se sparissero le piattaforme ghiacciate sul mare, i ghiacciai terrestri a monte, che le alimentano, si scioglierebbero più in fretta e questo sì che può innalzare i mari. Quindi quanto accaduto non va sottovalutato. Sono parecchi gli scienziati che interpretano l’accresciuta frequenza di questi fenomeni come un campanello d’allarme. Larsen A aveva 4mila anni, Larsen B almeno 12mila. Nel giro degli ultimi 20 anni se ne sono andate.

Ho curiosato in rete scoprendo un sacco di novità. Con un Global Pass i Paesi visitabili ora sono trenta (invece di ventisei) e si posso scegliere diverse durate. Ma soprattutto ci sono tariffe molto vantaggiose per i bambini: dai quattro agli undici anni viaggiano gratis, dopo i dodici hanno una tariffa agevolata. E così il nostro Global Pass per viaggiare tutti e quattro liberamente per sette giorni, nell’arco di un mese di validità, è venuto via per una cifra abbordabilissima. Pronti, via. Mia moglie e io, vecchi interrailer, morivamo dalla voglia di tornare a spasso per i binari d’Europa, con in più la curiosità di riscoprire il mondo con gli occhi dei nostri figli, di tredici e otto anni. Un volo low cost ci ha portato in poche ore da Pescara a Copenaghen, dove è iniziato il viaggio vero e proprio: dapprima una settimana in giro per la Danimarca e poi, cammin facendo, Berlino, Praga, Linz e Innsbruck. Dopo i primi entusiasmi però siamo dovuti scendere a patti con la realtà. La prole non ha letto Paul Theroux ed è abituata a viaggiare facilmente per pochi euro, con Rya-

Alla stazione di Linz.

nair o Flixbus; pertanto il treno esercita un certo fascino su di loro solo se ad alta velocità e dotato di Wi-Fi. Da trent’anni non mettevo piede nelle grandi stazioni del nostro itinerario e ho sofferto un poco nel trovarle trasformate in «non luoghi», omologati seppur funzionali. I nativi digitali al contrario non hanno tradito alcuna emozione, rassicurati dalle insegne di Starbucks e McDonald’s. Muoversi nelle città è stato facilissimo. Molte offrono delle Card scontate – Berlin Welcome Card, City Pass di Copenhagen, ecc. – per utilizzare i mezzi pubblici. Ma soprattutto nessuna fila all’ufficio informazioni, nessun passante fermato in strada per elemosinare indicazioni, come ai miei tempi. Smartphone alla mano, i figli mi hanno sempre guidato, districandosi con disinvoltura nei meandri del trasporto pubblico di città mai viste prima. Anche i loro gusti alimentari sono ormai internazionali: il mio primogenito, nato e cresciuto in una cittadina delle Marche di cinquantamila abitanti, anziché mangiare danese o al limite italiano, con l’ausilio

L’autore dell’articolo, Paolo Merlini, con i suoi due figli.

di Tripadvisor andava alla ricerca di un ristorante asiatico di catena dove gustare Chicken salma curry e Short rib ramen. La modernità è riuscita nell’impresa di sprovincializzare il provinciale… Lasciata Copenaghen, ho letto finalmente lo stupore nei loro occhi. Il Mar Baltico ha fatto il miracolo! Per fargli distogliere lo sguardo da

telefonino e iPad c’è voluto lo Storebæltsforbindelsen, il «collegamento fisso del Grande Belt», imponente opera di ingegneria inaugurata nel 1998. L’Intercity diretto a Odense sull’isola di Fionia, dopo la cittadina di Halsskov, ha lasciato la Selandia e si è inabissato superando lo stretto del Grande Belt grazie al tunnel ferroviario sottomarino fino all’isola di

Il Ponte Carlo a Praga.

Ingresso del Tivoli, famoso parco di divertimenti di Copenhagen.

Sprogø, dove è riemerso per continuare poi sul ponte sospeso. A Berlino, sotto la torre della televisione ad Alexander Platz, ho raccontato loro del Muro, di Berlino Est e di quella volta che attraversai il Checkpoint Charlie per ammirare la porta di Ishtar dell’antica Babilonia al Pergamonmuseum. Forse intimiditi anche dagli imponenti palazzi in stile gotico staliniano della Karl-Marx-Allee li ho visti vacillare appena un po’, per poi chiedermi incuriositi: «Ma chi è questo Karl Marx?». I miei figli hanno visto Roma, Venezia, Firenze, Vienna, Londra e tanti altri posti, ma Praga è «la madre delle città», troppo diversa da tutto quello che conoscono. Staré Město, Malá Strana, Nové Město e finalmente, sul tram della linea 22, alla fermata di I. P. Pavlova, ho letto nei loro occhi lo spaesamento. Nessuno stupore ha invece riservato loro l’attraversamento della Sassonia e poi l’ingresso in Boemia, con i binari che lungamente costeggiano la valle incantata del fiume Elba, con Dresda sullo sfondo: la raffinata delicatezza di un paesaggio fluviale non è roba da ragazzini. Quando però sul treno mi hanno sentito conversare con una cameriera ucraina grazie alle mie rudimentali nozioni di russo, apprese in gioventù, hanno capito che il mondo non sta tutto su Facebook, Instagram o YouTube. Tornati a casa, ho pensato questo. Noi provinciali avidi di conoscenza e di incontri partivamo sempre con la segreta speranza di non tornare più, perché la nostra città ci stava stretta. Poi era sufficiente che la mamma al telefono alzasse di un’ottava il tono della voce e facevamo immediatamente dietro front. Questi no. I nativi digitali si comportano da cittadini del mondo: ignorano chi era Honecker ma girano per Berlino come a casa loro, purché siano connessi. Casa è dove c’è il Wi-Fi…


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 31 luglio 2017 • N. 31

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Ambiente e Benessere

Alla scoperta di nuovi mondi viticoli Il vino nella storia Dall’Olanda alla Spagna, dal Nord America alla Tasmania, dal Giappone al Sud Africa Davide Comoli Nel 1609 gli olandesi possedevano la più grande flotta mercantile che si fosse mai vista: circa diecimila navi. Si servivano di legname proveniente dal Baltico, per costruire scafi leggeri con varie parti tutte standardizzate. Li chiamavano i flauti, pesavano circa 200 tonnellate, erano molto maneggevoli e avevano un equipaggio di dieci uomini. Nel 1639 la Spagna allestì un’imponente flotta per dare una lezione agli olandesi durante la guerra degli ottant’anni (1568-1648). Le veloci e piccole navi olandesi, al comando dell’ammiraglio Troup inflissero una sonora sconfitta alla flotta dei pesanti galeoni spagnoli, diventando così i padroni del commercio marittimo; per cui se c’era una possibilità di fare soldi non se la lasciavano sfuggire. Crearono così colonie nelle Indie occidentali, nel Nord America, dove nel 1624 fondarono New Amsterdam (New York), a Ceylon, a Capo di Buona Speranza arrivando fino in Tasmania e Giappone. Il vizio del bere era comune nell’Olanda del Seicento: amavano i vini dolci, e anche le donne bevevano quasi come gli uomini, ma amavano soprattutto la birra. Esistevano taverne un po’ dappertutto e per poterle rifornire, gli olandesi non esitavano a comprare da tutti. Importavano vini dalla nemica Spagna e la dolce Malvasia da Creta dai turchi: l’importante era guadagnare. Da notare che è in questo periodo che i furbi mercanti importarono i primi bulbi di tulipano, fiore di cui l’Olanda va fiera.

Per accontentare l’assetato mercato vinicolo inglese non esitarono a stabilire vincoli matrimoniali con famiglie residenti lungo le coste atlantiche francesi (in quel periodo Bordeaux era ancora inglese) per aggirare tutte le leggi inerenti al vino. Il Claret che aveva dato reputazione ai vini bordolesi oltre Manica, era un po’ passato di moda. Il nuovo gusto inglese si era orientato verso i vini dolci e non più verso vini secchi come quelli prodotti nelle vigne francesi. Gli olandesi concentrarono dunque i loro sforzi nella zona della Dordogna, dove compravano vini (più dolci possibili) e vini ordinari da mandare alla distillazione. Data la loro antichissima esperienza nel bonificare regioni paludose, furono accolti a braccia aperte nell’odierno Médoc. Piantando vitigni provenienti da Cahors, forse il Malbec, nei terreni appena bonificati, ottennero in alcuni anni, dei vini rossi molto scuri e ricchi di alcol, proprio l’antitesi del Claret, che si era dimostrato un vino fragile e deperibile. Fu facile convincere i contadini del Bergerac, del Sauternes e di Monbazillac, a passare alle uve bianche dalle quali ricavavano un buon profitto. Gli olandesi, popolo di grandi commercianti, non esitarono ad aprire delle rivendite, fondando così prestigiose maisons a Bordeaux, nel Cognac e nell’Armagnac. Per gli olandesi il vino distillato possedeva numerose qualità. Se ne servivano per disinfettare l’acqua degli equipaggi durante le lunghe traversate marittime, limitando così diverse malattie, e so-

Olio di Reinier Nooms intitolato Before the Battle of the Downs (circa 1639).

prattutto i barili di acquavite tenevano molto meno posto nelle stive e si conservavano meglio. Per impedire ai vini dolci di continuare la fermentazione durante i viaggi in mare, dato l’alto contenuto di zuccheri residui, usavano uno stratagemma forse imparato dai tedeschi. Si trattava di uno stoppino immerso nello zolfo e bruciato nel barile prima di essere riempito. Questo stratagemma fu presto adottato anche dai francesi con il nome di allumettes holandaise. Ancora a quell’epoca non si parlava di Botrytis cinerea in quanto la scoperta di questo fungo avvenne verso la metà del 700, ma gli olandesi riuscirono a identificare i terreni e le zone clima-

tiche dove gli autunni caldi potevano ritardare le vendemmie, ottenendo così dei vini dolci naturali come ad esempio lungo la Loira, dove si coltivava il Pineau de la Loire noto ai giorni nostri come Chenin blanc. Fra il 1640 ed il 1650 la Compagnia Olandese delle Indie orientali (la prima fra quelle che sarebbero nate, imitandola), cercò di creare una base di rifornimento per i vascelli diretti in Oriente. Un piccolo gruppo di uomini al comando di Jan Van Riëbeek fu mandato a occupare la Baia della Tavola in quella che oggi è chiamato Sud Africa, era l’aprile del 1652. Dopo aver adattato la zona come base per l’approvvigionamento del-

le navi che facevano scalo al Capo Van Riëbeek, pensò di impiantare delle vigne. Non è chiaro, se ciò fosse dovuto all’alto prezzo del vino che arrivava sino a lì per via mare o se invece, essendo lui stesso medico, avesse capito come il vino fosse un valido aiuto a proteggere i marinai dallo scorbuto. Dall’Europa arrivarono un carico di vitigni tra i quali l’Hanepoot (Moscato d’Alessandria) e lo Steen (Chenin blanc), che si sarebbero rivelati negli anni seguenti i due vitigni vincenti. Correva l’anno 1659 e nel diario di Van Riëbeek troviamo scritto: «Dio sia lodato, per la prima volta oggi il vino è stato fatto con le uve del Capo». I danni provocati dagli animali selvatici che vivevano in quella zona, creavano molte difficoltà ai coloni olandesi, i quali non avvezzi alla viticoltura erano un po’ restii a dedicarsi a questa attività. Lo dimostra il fatto che i primi vini prodotti fossero dolci, molto alcolici e di scarsa qualità. Si trovò subito il modo si sopperire alla qualità distillando il vino, l’idea venne a un cuoco di una nave che nel 1672 creò il primo brandy del Sud Africa. Dopo l’editto promulgato da Luigi XIV nel 1685, molti degli Ugonotti, fuorusciti dalla Francia, trovarono rifugio nei Paesi Bassi. Nel 1698 molti di questi (esperti vignerons) si trasferirono nella nuova colonia sudafricana, mettendo il loro sapere in materia vitivinicola a disposizione di quel paese, dando una grossa mano alla crescita di quelle che sarebbero diventate le zone viticole di Paarl, Franschhoek e Stellenbosch. Annuncio pubblicitario

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Ambiente e Benessere

Il filetto alla Wellington, da prima classe Nel 2007 vi ho dato una ricetta che adoro: il filetto alla Wellington. È una delle più sontuose preparazioni della cucina classica. Ovviamente, la versione di allora era una versione casalinga, alla portata di tutti. Ma ogni tanto fa piacere anche leggere ricette mitiche e complesse, non allo scopo di rifarle ma per goderne con la lettura. Per cui oggi vi do una versione attualizzata ma rispettosa della storia della variante alla Wellington. Se poi volete provare a rifarla… Sarebbe un’ottima cosa: in fondo è costosa e lunga da preparare ma non troppo complessa. È stato un piatto amato da molti cuochi grandi o meno grandi, soprattutto perché straordinariamente comodo da gestire nel ristorante, data la doppia cottura della carne: una cosa fondamentale nel successo del piatto, perché se il filetto fosse messo a crudo nella pasta sfoglia la infradicerebbe troppo con i suoi succhi emessi in cottura, distruggendo la crosta, succhi che invece si recuperano (però qualcuno li getta… Anatema!) grazie al lento raffreddamento. Soprattutto perché è dannatamente buono. Filetto di bue alla Wellington. Ingredienti per 6 persone:1,2 kg di filetto di scottona fassone, solo la parte centrale senza testa e coda, 5 dl di salsa périgueux, 200 g di duxelles, 150 g di crema di foie gras d’anatra tartufata, 8/10 fette sottili di prosciutto crudo di Parma, 500 g di pasta sfoglia leggermente scarsa di burro, 3 tuorli, 30 g di burro od olio, sale e pepe. Mondate, salate e pepate il filetto. Sciogliete il burro in una padella e rosolatelo a fiamma alta da tutti i lati. Lasciatelo riposare su una griglia permettendo così il rilascio dei succhi che

dovranno essere conservati per essere in seguito incorporati alla duxelles. Pennellate il filetto con la crema di foie gras d’anatra quindi spatolatelo con la duxelles. Stendete le fette di prosciutto crudo sul tagliere e appoggiateci al centro il filetto approntato. Arrotolate il tutto compattando il prosciutto sul filetto, eventualmente aiutandovi con una pellicola alimentare, stringendolo al meglio; lasciatelo riposare per 20 minuti in frigorifero. Stendete la pasta sfoglia, posizionate al centro il filetto tolto dal frigorifero e arrotolatelo, spennellando i bordi della sfoglia con tuorlo d’uovo affinché risultino più appiccicosi e si possano così meglio saldare una volta avvolto il filetto. Decorate la parte superiore del filetto nella sfoglia con piccole strisce della stessa pasta, formando una griglia romboidale, e lasciatelo raffreddare in frigorifero per altri 10 minuti. Infine spennellate tutta la sfoglia con il tuorlo d’uovo. Cuocetelo in forno alla temperatura di 190/200° per circa 30’: ma se avete un termometro a sonda cuocete fino ad avere una temperatura di 38° al cuore. Lasciatelo quindi riposare per 10’. Tagliatelo a fette spesse di 3 cm e servitelo con la salsa périgueux. Per la duxelles. Rosolate 30 g di scalogno tritato con 50 g di burro e aggiungete 100 g di funghi porcini freschi e altrettanti funghi champignon, mondati e tagliati finemente. Lasciate cuocere fino a totale evaporazione dell’acqua rilasciata dai funghi. Alla fine mescolate i succhi della carne e regolate di sale e di pepe. Per la salsa périgueux. Portare all’ebollizione 4 dl di demi-glace con 1 dl scarso di riduzione di vino Madera, poi lasciatela raffreddare. Emulsionate con 40 g di burro freddo e 30 g di tartufo nero tagliato a dadini.

CSF (come si fa)

pixnio com

Allan Bay

Marka

Gastronomia Una ricetta costosa e lunga da fare ma non troppo complessa

Il condiggion, detto anche condion o condijun ma anche insalata composta, è una gloria della tradizione ligure. Si tratta di un’insalata di pomodori, peperoni, cetrioli, aglio, basilico e bottarga, alternate a gallette inumidite. Ovviamente le varianti sono infinite. Vediamo come si fa una versione base con gli ingredienti per 4 persone. Cuocete a vapore 4 patate medie per 40’, sbucciatele e tagliatele a fette. Mettete

a bagno 4 gallette in acqua aromatizzata con poco aceto per qualche minuto, fino a quando saranno tenere ma non spappolate, poi scolatele e spezzettatele. Tagliate a fettine 3 pomodori e fateli scolare in un colino per 20’. Mondate un peperone rosso, ben privandolo di semi e parti bianche, quindi tagliatelo a listarelle. Spezzettate qualche foglia di basilico. Sciacquate una grossa manciata di olive nere, meglio se taggiasche, denocciolate. Dissalate una manciatina di capperi sotto sale oppure sciacquate bene una manciatina di capperi sott’aceto. Spurgate, lavate, pelate e tagliate a fettine un cetriolo. Mondate un cipollotto e tagliatelo a fettine sottili. Tagliate a fettine sottili o grattugiate 40 g di bottarga. Scolate bene una scatoletta di tonno sott’olio e spezzettatelo. Sco-

late e spezzettate 4 filetti di acciuga sott’olio. Unite tutti questi ingredienti in un’insalatiera, mescolate bene. In una ciotola emulsionate 8 cucchiai di olio extravergine di oliva ligure con un grosso cucchiaio di aceto a piacere e con un pizzicone di sale. Condite l’insalata con questa emulsione, profumate con abbondante ottimo pepe, mescolate ancora e servite. Indicare delle varianti non è facile: sono troppe! Aggiungere una manciata di gamberi o scampi privati di carapace e budellino nero e sbollentati per 30 secondi va benissimo. Come pure aggiungere delle patate tipo ratte, nere, sempre cotte a vapore ma non sbucciate e comunque tagliate a fette, delle cimette di cavolfiore sbollentate per 5’, della carote tagliate a julienne e sbollentate per 2’, e altro.

Ballando coi gusti Oggi due ricette a base degli onnipresenti gamberetti: a onta del fatto che siano così diffusi, non ci si stufa mai.

Sfogliatine ai gamberetti

Spaghettini freddi con gamberetti

Ingredienti per 4 persone: 500 g di pasta sfoglia · 24 code di gamberetti mondate

Ingredienti per 4 persone: 300 g di spaghettini meglio se integrali · 4 zucchine ·

Stendete la pasta in una sfoglia sottile e ricavatene 8 dischetti. Trasferiteli in altrettanti stampini imburrati e infarinati, riempiteli di fagioli secchi. Cuocete in forno a 190° per 15’, quindi sfornate, eliminate i fagioli e lasciate raffreddare. Sbollentate le code per 30 secondi, scolatele, tenete da parte le 8 più belle e tritate le altre. Sformate le sfogliatine e distribuite su ognuna uno strato di maionese; coprite con i gamberetti tritati e terminate con un gamberetto intero. Spolverizzate di paprica e servite.

Cuocete gli spaghettini in abbondante acqua salata al bollore, scolateli al dente e raffreddateli passandoli rapidamente nel colapasta sotto acqua corrente. Mondate le zucchine e tagliatele a julienne. Fate saltare le zucchine per 3’ in una padella antiaderente, con qualche cucchiaio di olio. Aggiungete i gamberetti e rosolate per 1’. Spegnete e fate intiepidire. Mettete la pasta in una ciotola, mescolatela con l’aceto balsamico, unite gamberetti, zucchine e prezzemolo, mescolate ancora e servite.

del budellino nero · farina · maionese · paprica · burro · sale

300 g di code di gamberetti sgusciate · 2 cucchiai di aceto balsamico · prezzemolo · olio di oliva · sale


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 31 luglio 2017 • N. 31

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Ambiente e Benessere

La Micra diventa un’utilitaria di classe Motori Nissan sdogana per la massa tecnologie fino a ieri riservate alle auto più costose

Mario Alberto Cucchi Basta dire Micra per far pensare all’utilitaria della Nissan. Adesso cambia tutta tranne il nome: dimensioni, interni, soprattutto tecnologia. Dotazioni all’avanguardia le hanno permesso di ottenere il massimo voto per la sicurezza attiva e passiva: 5 stelle Euro NCAP nel nuovo sistema di valutazione 2017.

Nuovi gli strumenti per la sicurezza, la prevenzione, la guida autonoma ma anche le tecnologie dedicate al comfort di guida e alla dinamica di marcia Henry Ford diceva: «C’è vero progresso solo quando i vantaggi di una nuova tecnologia diventano per tutti». I giapponesi con questa utilitaria rendono di massa tecnologie sino a ieri riservate ad auto più grandi e costose. Sistemi che rendono la guida autonoma più vicina. Ecco allora l’avviso e prevenzione di cambio di corsia involontario, con segnalatore acustico, vibrazione del volante e un sistema che se necessario agisce sui freni per riportare la vettura in carreggiata. Poi c’è il dispositivo di frenata d’emergenza con riconoscimento dei pedoni. Quest’ultimo in Europa non si era mai visto su una vettura del

La nuova Nissan Micra Power Blue.

costruttore giapponese. Non manca il monitor a visione panoramica abbinato al sistema di copertura degli angoli ciechi in modo da garantire cambi di corsia più sicuri e manovre più precise. Stupisce il sistema automatico di riconoscimento dei cartelli stradali che permette grazie ad avvisi dedicati

di avere sempre sotto controllo i limiti di velocità anche in caso di segnaletica temporanea. Ci sono anche tecnologie dedicate al comfort di guida e alla dinamica di marcia. Tra queste l’intelligent ride control che riduce i movimenti di beccheggio della vettura quando si affron-

tano dossi o strade con delle buche e l’intelligent trace control che facilita il mantenimento delle traiettorie quando si affrontano le curve. Le partenze in salita non sono più un problema grazie al hill start assist che trattiene ferma la vettura giusto il tempo di permetterci una partenza senza strappi od odore di

frizione bruciata. Non si tratta certo di una novità mondiale, ma tutte queste dotazioni erano riservate in alcuni casi a vetture sportive, in altri a fuoristrada, quasi sempre, come detto, ad automobili più grandi e costose. Nissan proporrà su Micra diversi motori a seconda dei Paesi. Si va da un tre cilindri benzina da 900 cc turbo IG-T da 90 cavalli a un tre cilindri benzina da 1000 cc aspirato in grado di erogare 71 cavalli. Il 4 cilindri diesel da 1500 cc dCi ha invece una potenza massima di 90 cavalli. La lunghezza massima della nuova Micra resta da utilitaria, entro i quattro metri, ma la silenziosità di marcia è qualcosa di mai visto tra le citycar. Un risultato ottenuto grazie a parabrezza acustico, vetri antirumore e nuovo isolamento del cofano motore e parafanghi. A ciò si aggiungono portiere con doppie guarnizioni, isolamento del bagagliaio e isolamento del montante. Tutto utile per chi deciderà di installare il sistema audio Bose personal che prevede addirittura due altoparlanti Bose Ultranearfield integrati nel poggiatesta del guidatore. Insomma tecnologia e sicurezza di assoluto livello che sposteranno più in su l’asticella anche per i concorrenti. I prezzi partono da 13’890 franchi. Ma l’ecologia? Certo: i motori Nissan consumano poco e tutti i processi produttivi sono impostati a salvaguardare l’ambiente. Ma i motori elettrici? Gli ibridi? Che fine hanno fatto? Per ora non se ne parla, ma potrebbero arrivare presto. Annuncio pubblicitario

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Giochi per “Azione” - Luglio BIS 201 15 Stefania Sargentini

Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 31 luglio 2017 • N. 31

Ambiente e Benessere

(N. 29 - ... Tisana di galega e nocchio)

Gatti randagi 1

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S T I A S A P O N I 9 10 Mondoanimale Piccole «tigri» non addomesticate che vivono in colonie e necessitano di controllo e cure A I A D A R I O G 11 12 13 R A L E N principalmente T O attraversoG L si nascondono e scappano), non esiste gli accoppiaMaria Grazia Buletti 14 15 16 che arrivino a fare le fusa». e i litigi dei gatti in amore. Se un A R G E N T menti Orandagio F FELVI si procede O Alessandra ribadisce un concetgatto risulta «Il fenomeno del randagismo felino esiste anche nel nostro Cantone ed è to che spesso ci è difficile acquisire, con l’eutanasia». Le colonie feline di gat17 18 pressoché impossibile stabilire l’at- perché tendiamo a pensare al micio catturati,N testati,O castratiN o sterilizzati, A R A T O tinutriti O tuale numero di gatti randagi: sicu- domestico che è ben diverso dai gate rilasciati in libertà non arre19 20 21 ramente ben oltre i 200 esemplari, ma ti randagi: «Un randagio si nasconde, cheranno alcun disturbo e non prolifeC A C E H attraverso nuove nascite. ogni anno aumentano e perciò non si rampa, graffia e morde. In genere, oltre reranno mesi e mezzo d’età, è difficilmente può stilare una statistica», così si espri- i tre La nostra interlocutrice non si esi22 23 24 me dal parlare dei costi che tutto queme Alessandra Francescato, una delle addomesticabile, se non impossibile, L O I R A stoO quattro volontarie dell’Associazione ed è altrettanto improbabile fare un riimpegno di volontariato comunque 25 26 Anche i cuccioli no profit Angels 4 Animals (www.an- addomesticamento». comporta: «Ci affidiamo alle donazioni A T E I S M e andremo O avanti finché avremo fongels4animals.ch) attiva dal 2012 nella non sono facili da gestire: «Una volta quelli sotto i tre cattura, castrazione e sterilizzazione catturati, di, perché testare, vaccinare, castrare e 27 28 mesi vanno di gatti randagi in Ticino e nel Grigioni presi in mano ogni mezz’ora, tenuti N O L O R quant’altro D ha comunque un costo vetein braccio costantemente e, forse, con italiano. rinario che, per i mici cuccioli che diamo Perché sterilizzare i gatti? Basta considerare che due gatte selvatiche avranno otto cuccioli ciascuna, per volta… «I gatti randagi vivono in colonie che possono raggiungere i venti esemplari e oltre, sono ottimi cacciatori e aiutano a tenere sotto controllo i topi e i ratti sul territorio» precisa. E allora ci facciamo spiegare perché è necessario catturarli. Per comprendere la necessità dell’operato di queste volontarie gattare, bisogna fare un passo indietro: «Innanzitutto dobbiamo chiarire bene che i gatti randagi sono comunque felini che crescono nel contesto esterno alle famiglie, talvolta figli di gatti abbandonati o semplicemente nati in libertà». Per questo, ci viene spiegato che «non sono per niente simpatici, non amano affatto il contatto umano (anzi:

Giochi Cruciverba Lo sapevi che il succo di limone è… Trova il resto della frase, risolvendo il cruciverba e leggendo le lettere evidenziate. (Frase: 2, 6, 10, 8)

questo grande impegno senza sosta si riesce, nell’arco di un paio di settimane, a farli diventare adottabili, in quanto si abituano subito alla presenza umana potendo diventare gatti domestici e coccoloni». 1 2 Ad ogni modo, se consideriamo che due gatte selvatiche avranno otto 7 cuccioli ciascuna per volta, possiamo comprendere come queste colonie feline siano in men che non si dica 9 fuori di ogni controllo: «La sovrappopolazione comporta l’insorgere di malattie gravi come la FIV (Aids felina), e la FELV (Leucemia felina). Sono malattie non trasmissibili all’uomo, ma ai feli12 13 14 15 ni stessi come ai nostri gatti domestici che possono contrarle se nelle loro scorribande frequentano quelli 17 18 randagi delle colonie feline, soprattutto se i gatti domestici non sono sterilizzati e 19 20 vaccinati come purtroppo spesso accade ancora oggi». Le volontarie dell’associazione 22 Angels 4 animals si occupano dunque della cattura dei gatti randagi che ven24 poi testati FIV e FELV, castrati o gono

(N. 30 - Se toccata, le sue foglie si ritraggono) Alessandra Francescato mentre cura 3 4 5 6 un gattino. (MG Buletti)

sterilizzati, marcati all’orecchio (segno 8 che indica l’avvenuta sterilizzazione), rilasciati sul territorio se adulti o riaddomesticati10e ricollocati in una famiglia se cuccioli sotto i tre mesi e mezzo: «In questo modo non si riprodurranno più11 e la colonia degli esemplari che rimangono sarà stata controllata anche a livello sanitario». La cattura avviene, 16 previa autorizzazione del Municipio cui spetta la proprietà dei randagi sul territorio, attraverso delle gabbie–trappola posate appositamente. «Di solito i nostri interventi sono 21 sollecitati da abitanti che segnalano l’aumento di gatti, il disturbo causato da schiamazzi notturni di mici in ca23 lore, gli spruzzi di urina su muri, porte e vetri; ricordiamo che le segnalazioni 25 fatte tempestivamente evitano l’au-

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(N. 29 - ... Tisana di galega e nocchio) 1 9 11

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P U N T I D 2 Scoprire i 3 I corretti D E A M O numeri da inserire nelle 3 caselle V colorate. I I D E S 6 1 O Giochi T per “Azione” D- Luglio E BISN 2017 S 8 9 Stefania Sargentini T O R 5O N T O S T I A S A P OT N IO 1 7 A I A D A R I O G R A L E N T3 O 6 IG L P A R G E N T O F I O A R A T O 8 N OC N 7 OA 5 R C A C E H L O I R A O I L E Soluzione:

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Regolamento per i concorsi a premi pubblicati su «Azione» e sul sito web www.azione.ch

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O R E SUDOKU C A T E S A A P N I A I R A D G N U N 6D A

Vinci una delle 3 carte regalo da 50 franchi6con il cruciverba 3 e una delle 2 carte regalo da 50 franchi con il sudoku (N. 31 - ... Un ottimo deodorante naturale) 8 6 1 2 3 4 5 6 7 8 9 Sudoku N. 26 MEDIO

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ORIZZONTALI 1. Servono per suturare 5. Colte, erudite 10. Balena … in testa 11. Noto compositore che morì a 35 anni 12. Sette romani 13. Il desiderio del poeta 14. Le carote meno care 15. Consistente, concentrato 16. Le iniziali del noto Arbore 17. Città a Sud-Est del Canada 18. A volte si trova davanti a Giove... 19. Nelle torte e nel timballo 20. Venuto alla luce 21. Sono senza peccato 22. Perni nei telai degli infissi

S E T T I N.C25 R FACILE OSchema A L T S O L E A F O I S T E S T O R R E G O L I A O 3 N1 E4 O O 2

mento incontrollato degli elementi di una colonia». Con questo modo di agire, le volontarie contribuiscono a evitare la proliferazione di malattie infettive e nuove nascite: «Sappiamo che per la FIV non esiste cura, perciò ai gatti randagi catturati affetti da FIV viene prati9 cata l’eutanasia, in modo da evitare loro una morte lenta e dolorosa al momento in cui la malattia si conclama.8Questo ci permette altresì di non mettere a rischio gli altri componenti sani della 3 colonia e di tutelare pure tutti gli altri gatti che la frequentano». Per la FELV esiste invece4un vaccino cui dovrebbero venire sottoposti tutti i gatti domestici: «Il modo per contenere questa malattia per i gatti di proprietà è la sterilizzazione/castrazio7 9 ne, in quanto la trasmissione avviene

A G I L I

in adozione, ammonta a circa 180 franchi (comunque molto meno di quanto un privato spenderebbe)». Per quelli che riacquistano la libertà si può fare solo capo alla bontà dei donatori per una buona causa per la quale le volontarie non lesinano tempo e impegno: «Anche chi ha locali vuoti e voglia di tenervi, accudendoli, alcuni gatti in stallo ci darebbe un grande aiuto e può fare capo alla nostra collega Raphaela Vassalli telefonando al numero 079 363 50 32». Infine, le volontarie di Angels 4 animals sono molto accorte anche 7 di adozioni 3 dei5cucquando2si tratta cioli: «Facciamo sempre una visita pre affido e una dopo 3 l’adozione, 4 2 anche se le persone talvolta non vedono di buon occhio 9 che ritorniamo, 8 ma lo facciamo per il bene del gattino e vogliamo essere certe che sarà in buone mani». Un 5 atto d’amore e di responsabili8 grande tà, anche verso i gatti domestici che in 1 modo rischiano 9 meno di contrarre 7 tal malattie anche letali: «Un atto d’amore, una 2 seconda chance 4 per i randagi, 5 perché anche loro ne hanno bisogno».

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O T T E Z A R T 8 4 I O T O R A 7 P E R 2 1 N A T4 O U R I D I N I O9 A8 2E

A T E I S M O 25. Un tratto dell’intestino 18. Divisibili per due PER AZIONE - LUGLIO BIS 2017 Soluzione della precedente N O L Osettimana R D SUDOKU 26. Le iniziali del fisico della relatività 20. Un Walter attore TIMIDA N. 25PIANTA FACILE– La «Mimosa Pudica» si chiama così perché: 1SI RITRAGGONO. Soluzione 3 7 5 VERTICALI 21.30 Prefisso che indicaleanteriorità nelsitempo SE TOCCATA, LE SUE FOGLIE (N. - Se6 toccata, sue foglie ritraggono) Schema 1 2 4 5 7 8 1. Un giocatore di3pallacanestro 23. Le iniziali di Lincoln 1 2 3 4 5 6 9 2S 7E T 3T 5O R E 4 6 9 8 1 2 7 1 3 5 2. Lo perdono i nonni 7 5 7 8 3. Preposizione articolata 9 10 8 3 4 2 5 8 7 6 1 3 4 2 9 C R I C A T 4. Metà della metà 9 10 I vincitori 3 9O A 8 6 1 2 3 4 8 9 5 8 7 6 L E S A 5. Piccola altura 11 12 14 1113 4 5 2 4 1 5 7 6 9 8 3 T S 8O A P 6. Un vizio 2 12 13 14 15 Vincitori del concorso Cruciverba 16 7. Essenza cosmica nella filosofia cinese 1 9 7 6 3 5 1 8 9 2 4 7 A U L E A F O N I A 15cuore del contrito 16 17del 17.7.2017 su «Azione 29», 8. Il 17 18 7G 9L I 2 4 5 S T E S 4I R 3 7 79 85 2 3 4 6 5 1 9. Misura di superficie agraria B. Carpani, B. Sulmoni, A. Crivelli 19 20 21 3 1 4 2 6 3 1 4 9 5 2 7 6 8 I A T O R R E A D Vincitori 11. Lo ha doppio chi 18 è sovrappeso 19del concorso Sudoku 22 23 13. Pesci marini su «Azione 29», del 17.7.2017 6G O L I 33 L A G N7 U 4 9 5 68 7 4 8 3 1 2 15. Venne sostituito ad «ut» A. Pingitore, P. Bäni 25 24 8 I D O N 6E O 8 7 2 3 6 1 5 9 4 O N D A 21da coni e bastoncelli 22 16.20 Formata 1 2 9 N. 26 MEDIO I premi, cinque carte regalo Migros Partecipazione online: inserire la luzione,2corredata da nome, cognome, è possibile un pagamento in contanti 31 - ... Un ottimo deodorante 23 24 (N. 25 naturale) 1 64 24 9 5 7 88 3 6 del valore di 50 franchi, saranno sor- 1 soluzione del cruciverba o del sudoku indirizzo, email del partecipante deve dei premi. I vincitori saranno avvertiti 2 3 4 5 6 7 8 9 8 D O Azione, 6 9 Il 5 nome 2 3dei8vincitori 7 1 sarà 4 P U spedita N T 3 T4 T E per iscritto. teggiati tra i partecipanti che avranno nell’apposito formulario pubblicato essere aI «Redazione 26 27 28 11 fatto pervenire la soluzione corretta 10 sulla pagina del sito. Concorsi, C.P. 6315, 6901 Lugano». pubblicato su «Azione». Partecipazione 4 7 3 8 6 1 4 9 2 5 I D E 6 A 1 M O Z A R T 13 entro il venerdì seguente la pubblica- 12 Partecipazione postale: la lettera o Non si intratterrà corrispondenza sui riservata esclusivamente a lettori che 8 9 7 2 8 4 1 9 6 5 7 3 V I I Le vie legali D E sono S escluse. I O NonT risiedono 29 30 che riporti 16la sozione del gioco. la cartolina postale concorsi. in Svizzera. 14 15 5 2 S O 1 R A 5 7 3 4 8 2 6 9 1 O T D E N

N. 27 DIFFICILE

(N. 32 - “Cara sono una o due parole?) 27

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P A N O R A M A

A R C O F M E N S A O I N O T S L O L A D U N E P I C E F A R A R A P E G A M P MN.28 U GENI S E

A R I R A A U P O N O M A L O M O E I N O

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 31 luglio 2017 • N. 31

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 31 luglio 2017 • N. 31

21

Politica e Economia Un luglio non troppo caldo Alla Dogana di Chiasso il flusso di profughi non è molto più intenso dell’anno scorso

Emigrazione svizzera all’estero La comunità elvetica che vive fuori dal nostro paese conta oltre 760’000 persone: ciò la renderebbe il quarto cantone per numero di abitanti

pagina 23

pagina 24

Rapporti Francia Germania Nonostante il buon feeling apparente, la Merkel e Macron stanno ancora misurando i reciproci ruoli pagina 25

La questione del gasdotto

Russia-USA Al di là dell’apparente sintonia tra presidenti, la Camera americana ha deciso sanzioni che colpiscono

in particolare il progetto di collegamento per rifornire di idrocarburi l’Europa

Federico Rampini

In Europa, ma a modo loro

Pronti al gioco di squadra: (da sin.) i ministri degli Affari esteri di Slovacchia, Ungheria, Polonia e della Repubblica Ceca si sono incontrati a Budapest lo scorso 10 luglio (il loro nome è sulla rispettiva maglietta). (Keystone)

Gruppo di Visegrád Le hanno soprannominate «V4»: sono quattro nazioni che mettono in discussione le modalità

della loro appartenenza alla UE, non accettando le regole dettate da Bruxelles su alcuni dossier

Alfredo Venturi Uno spettro si aggira fra i palazzi di Bruxelles: il Gruppo di Visegrád, un blocco di quattro paesi, Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia, V4 nello sbrigativo linguaggio diplomatico, che dà parecchio filo da torcere alle istituzioni europee. Uniti dalla comune esperienza storica al di là della cortina di ferro, strinsero il patto nel 1991, con un incontro dei capi di governo nella cittadina ungherese di Visegrád, allo scopo di bussare insieme alla porta dell’Unione Europea e insieme affrontare la procedura di adesione. Al momento della fondazione erano soltanto tre, infatti cechi e slovacchi facevano ancora parte di un unico stato. Il primo maggio del 2004 i quattro raggiunsero il loro obiettivo entrando a far parte dell’Unione, cinque anni più tardi uno solo di essi, la Slovacchia, compirà un passo ulteriore entrando in Eurolandia. Se fosse un unico paese questo raggruppamento avrebbe, con i suoi 64 milioni di abitanti, dimensioni simili a quelle della Francia o dell’Italia. È proprio questo peso virtuale che i quattro

intendono gettare sulla bilancia di ogni negoziato, mostrandosi compatti agli appuntamenti istituzionali dell’Unione. Dal resto dei Ventisette li dividono alcuni punti fondamentali. Prima di tutto una inquietante deriva autoritaria che riguarda due paesi, Ungheria e Polonia. Il successo di Viktor Orban a Budapest, e del suo partito Fidesz (Unione civica), hanno portato a una stretta sulla stampa e limitazioni ai controlli costituzionali sul governo. Analogamente in Polonia, dopo l’affermazione del partito nazionalista e conservatore PiS (Diritto e Giustizia), il rapporto fra esecutivo e legislativo è stato alterato a svantaggio di quest’ultimo. Inoltre certi interventi sulla stampa e sui servizi di sicurezza hanno richiamato l’attenzione di Bruxelles, che non transige sul primato della legge e sul rispetto della democrazia come valori fondanti dell’Unione. Slovacchia e Repubblica Ceca appaiono democrazie solide, al riparo da simili evoluzioni, ma si trovano perfettamente in linea con polacchi e ungheresi su due altre questioni che contrappongono i V4 al resto dell’Unione Europea. La prima è la politica

energetica con le sue ricadute sulle strategie di controllo del clima. Il Gruppo di Visegrád è a favore della produzione di energia attraverso centrali nucleari, quelle stesse che gli altri paesi dell’Unione intendono abbandonare gradualmente. Inoltre resistono alle pressioni internazionali sulla rinuncia ai combustibili fossili per limitare le emissioni nocive nell’atmosfera: qui gioca un ruolo, evidentemente, il fatto che la Polonia è un forte produttore di carbone. Sintonia sul clima e sullo stile di governo: non è certo casuale la scelta del presidente Donald Trump, che ha cominciato proprio a Varsavia il suo recente viaggio in Europa. L’altra grande questione che accomuna i V4 è quella cruciale delle migrazioni. Il magiaro Orban è fra i più accaniti avversari della politica di accoglienza caldeggiata da Bruxelles, per quanto timida e prudente. Dopo avere blindato i suoi confini verso la Romania, la Serbia e la Croazia, cosa che gli ha assicurato un facile successo elettorale sull’ultra-destra del Jobbik (Movimento per un’Ungheria migliore), fa ora la voce grossa con l’Italia, che riceve nei suoi porti migliaia di profughi pro-

venienti dalla Libia. Orban chiede che i porti italiani respingano senz’altro le navi dei migranti. In questa crociata è appoggiato, sia pure con un susseguirsi di ripensamenti e smentite, da un paese esterno al Gruppo di Visegrád come l’Austria, che trovandosi in clima elettorale è fortemente tentato di giocare questa carta di sicuro richiamo. Anche la prima ministra polacca, Beata Szydlo, sensibile a un’opinione pubblica spaventata dall’incubo dell’«invasione», insiste sulla difesa delle frontiere dall’ondata dei profughi. Quanto ai due membri più moderati del V4, il loro atteggiamento è formalmente meno ostile ma nella sostanza assai simile a quello di Budapest e Varsavia. Parlando delle scelte di Bruxelles in materia di accoglienza il primo ministro slovacco, Robert Fico, è arrivato a definirle un «suicidio rituale». Fico ha elaborato questa posizione nel fuoco della campagna elettorale dello scorso anno, e dopo il successo di misura non l’ha mutata di una virgola. Quanto a Bohuslaw Sobotka, primo ministro a Praga, non arriva ai toni del presidente Milos Zeman, che dichiara «praticamente impossibile»

l’integrazione nella Repubblica Ceca dei migranti musulmani, ma anche lui avversa la formula europea: quote da ricollocare fra tutti i paesi membri in rapporto alle rispettive popolazioni e alle risorse disponibili. È stato proprio il rifiuto di accettare lo schema europeo di redistribuzione, varato nel 2015, a portare al calor bianco l’attrito fra Commissione europea e Gruppo di Visegrád. Si trattava di sistemare 160 mila profughi, in modo da alleggerire la pressione su Italia e Grecia. Di questi 160 mila, il V4 dovrebbe accoglierne complessivamente poco più di undicimila, ma finora non ne ha accolti che una piccolissima parte. Al monito proveniente da Bruxelles e da Berlino, secondo cui questo atteggiamento potrebbe pregiudicare il meccanismo degli aiuti finanziari europei, essenziali per i quattro paesi, la risposta è stata la comune denuncia di un inaccettabile ricatto. Insomma la partita è davvero ardua, fra l’altro è forte il timore che la rigida visione del V4 possa contagiare due altri paesi dell’Europa orientale finora soltanto marginalmente coinvolti nel fenomeno migratorio: la Bulgaria e la Romania.

Il caos della presidenza Trump sta spostando il baricentro del potere americano verso un altro quartiere di Washington. Dalla Casa Bianca al Campidoglio, sede del potere legislativo. Almeno per quanto riguarda la politica estera. Donald Trump twitta le sue esternazioni, ma il Congresso compie atti concreti. È il caso delle nuove sanzioni contro la Russia. In termini diplomatici è una mossa anti-Putin. Ha però un altro risvolto economico: apre uno scenario energetico in cui l’America condiziona l’Eurasia, interviene nei rapporti fra Russia e Unione europea. Le cronache di ordinario caos nella capitale americana offrono i seguenti titoli di cronaca, negli ultimi giorni: Donald Trump attacca ripetutamente il proprio ministro della Giustizia Jeff Sessions; anche il segretario di Stato (cioè il ministro degli Esteri) Rex Tillerson entra nel frullatore del toto-dimissioni; il potentissimo Primo Genero Jared Kushner è costretto a consegnare 11 pagine di un dossier di difesa per discolparsi dall’accusa di collusioni col governo russo; per finire la Camera approva e manda al Senato una legge che rende più dure e permanenti le sanzioni economiche che puniscono la Russia per la violazione della sovranità ucraina; la Casa Bianca prima condanna il gesto del Congresso poi fa sapere che si adeguerà. La parola caos è un understatement: sottovaluta l’impressione di una nave senza timoniere. Non una nave qualsiasi, questa è la portaerei ammiraglia, la superpotenza leader, un’America che sembra procedere senza bussola. C’è però una logica stringente, almeno nella decisione della Camera: risponde a un interesse chiaro del business energetico americano, e si ispira anche ad una visione dello scontro strategico Usa-Russia su chi eserciterà l’influenza decisiva sull’Europa. Se il microcosmo politico-mediatico di Washington si appassiona soprattutto degli scandali, delle nuove teste che potrebbero saltare dopo quella del portavoce di Trump, per il resto del mondo forse la notizia più gravida di conseguenze quella delle sanzioni, inasprite e rese più difficili da revocare nel momento in cui il Congresso si appropria della materia. È il paradosso creato dal Russiagate, cioè tutta la vicenda delle ingerenze russe nella campagna elettorale, incursioni di hacker pilotate da Mosca per danneggiare Hillary Clinton e favorire l’elezione del suo avversario. Ricapitolando: ancora manca la prova provata che ci fu collusione, cioè che Trump e i suoi complottarono attivamente con Putin, anche se le indagini sono appena all’inizio e chissà cos’altro può tirar fuori la comunità dell’intelligence che con Trump ha diversi conti in sospeso. Parlare di impeachment è prematuro, però il Russiagate già estrae un costo politico da questa Amministrazione, lega le mani a Trump. Sospettato di torbido inciucio col capo di una potenza straniera (e tuttora percepita come nemica dall’establishment, Pentagono e Cia, Fbi e Dipartimento di Stato, stampa e ceto politico), Trump è un vigilato speciale quando si tratta delle sue relazioni con Putin. Non lo aiutano i retroscena usciti dall’ultimo G20, gli incontri recidivi e semi-clandestini in cui il presidente americano e quello russo hanno dato

Una stretta di mano senza reali risvolti nei rapporti tra le due potenze. (Keystone)

prova di una «alchimia» personale eccessivamente amichevole. Il Congresso, repubblicani inclusi, diffida a tal punto del presidente da legargli le mani sulle sanzioni. La Casa Bianca deve subire una disfatta importante, con il passaggio di una legge che non solo aggrava le sanzioni contro la Russia ma soprattutto le toglie dalla discrezionalità dell’esecutivo. E così mentre Trump e Putin hanno stabilito un evidente rapporto di amicizia – anzi proprio a causa di quello – il gelo nelle relazioni bilaterali si cristallizza con le sanzioni che vengono scolpite nella legge. Questo rende più precari gli scenari di graduale normalizzazione dei rapporti con la Russia, su cui diversi paesi europei avevano puntato. A prescindere da quel che pensano di Putin la cancelliera Merkel o Emmanuel Macron, Theresa May o Gentiloni, c’è in Europa un coagulo d’interessi materiali che spingono verso un disgelo con la Russia. Le relazioni economiche tra i vari paesi europei e Mosca sono più intense di quelle tra la Russia e gli Stati Uniti. Si era creata un’attesa-speranza, soprattutto negli ambienti confindustriali, che la presidenza Trump potesse sbloccare il muro contro muro dell’era Oba-

ma-Putin. Ma la politica estera americana in questa fase sembra un’auto con due guidatori, uno dei quali spinge sul pedale dell’acceleratore mentre l’altro tira il freno a mano con tutte le forze. Si dice che il segretario di Stato Tillerson, abituato a comandare quando faceva il chief executive di Exxon, e grande amico di Putin, sia stufo di fare la figura dell’utile idiota.

Sul piano politico Washington condanna l’atteggiamento di Mosca verso l’Ucraina ma di fatto sostiene la propria strategia di esportazione del gas Ma il danno più concreto lo subisce l’Europa, colpita nel suo approvvigionamento energetico. Le nuove sanzioni alla Russia votate dalla Camera di Washington prendono di mira in particolare il progetto chiamato Nord Stream 2, il gasdotto che dalla Russia dovrebbe rifornire direttamente la

Germania passando per il Mar Baltico. Tra le aziende sotto rischio sanzioni ci sono di sicuro Shell, Engie, Uniper, Omv, Wintershall: un consorzio che investe la metà dei dieci miliardi di euro necessari per la costruzione del nuovo gasdotto lungo 1.200 km. Il testo di legge che è passato alla Camera – con una schiacciante maggioranza bipartisan – parla chiaro: vuole proprio intralciare Nord Stream 2, un’infrastruttura energetica che la Germania considera di vitale importanza. Di qui la dura reazione del governo di Berlino ed anche della Commissione europea che da Bruxelles minaccia rappresaglie. Tutto si ricollega naturalmente al Russiagate, e al clima di pesanti sospetti che aleggiano su Trump. Se il presidente degli Stati Uniti sia arrivato alla Casa Bianca grazie a Putin, forse non sarà mai dimostrato con certezza. Però il Congresso non vuole correre rischi. Repubblicani e democratici concordano nel considerare Putin un pericoloso avversario. Dunque, se mai Trump gli avesse promesso la levata delle sanzioni il Congresso non ci sta e lo blocca preventivamente. Non solo. La legge appena votata inasprisce il regime di sanzioni già in vigore contro

aziende e cittadini russi. Rende più difficile per la Casa Bianca allentare quelle sanzioni, se mai volesse farlo: una limitazione del potere presidenziale che costituisce un affronto a Trump. L’unica opzione che la legge lascia al presidente è quella opposta: è libero, se vuole, di aggravare ulteriormente le misure anti-Russia. In particolare il Congresso ce l’ha coi progetti nel settore dell’energia. Il testo di legge passato alla Camera – e che dovrebbe ricevere un’altrettanto facile approvazione al Senato – dichiara in modo esplicito che «la Russia usa l’energia per ricattare i paesi vicini». C’è un riferimento chiaro al gasdotto Nord Stream 2, progetto guidato dalla capofila Gazprom, che viene definito «nefasto per la sicurezza energetica dei paesi europei». Con un simile linguaggio, il Congresso presenta questo inasprimento delle sanzioni anche come una difesa degli interessi europei. Berlino, Bruxelles e altre capitali europee non la pensano affatto così. Nord Stream 2 è sempre stato un progetto ad alta valenza geopolitica, quindi controverso. Attualmente il gas naturale estratto in Russia arriva nei vari mercati di consumo europei attraverso strade alternative, passando dall’Ucraina, dalla Bielorussia e dalla Germania. L’ente di Stato Gazprom, sotto lo stretto controllo di Putin, va sostenendo da anni che l’Europa ha bisogno di nuovi oleodotti perché altre fonti di approvigionamento più vicine (dai giacimenti dell’Olanda a quelli del Mare del Nord) stanno declinando. Nord Stream 2 però non aumenta l’offerta di gas: il suo maggiore vantaggio – nell’ottica di Mosca – consiste nell’aggirare l’Ucraina. Fa parte quindi di un piano russo per sottrarre all’Ucraina e ad altri paesi dell’Est una preziosa fonte di valuta, le tasse percepite sul passaggio di gas russo nei loro territori (una sorta di «pedaggio autostradale»). Inoltre questo mette la pressione su Kiev, e inserisce un cuneo nell’alleanza tra l’Unione europea e l’Ucraina, visto che crea un canale diretto di fornitura di energia dalla Russia alla Germania aggirando l’Europa centrale. A questo si aggiunge il fatto che Gazprom ha coinvolto una miriade di aziende europee come partner, e queste sarebbero esposte alle nuove sanzioni americane. La mossa del Congresso Usa, pur dettata da una logica geostrategica, ha un’altra dimensione tutta economica. S’inserisce in un contesto nuovo in cui l’America stessa fa la sua apparizione come nuova protagonista nel mercato energetico mondiale. In una veste inedita: come potenza esportatrice. La rivoluzione tecnologica dello shale gas, del fracking e delle trivellazioni orizzontali, ha permesso agli Stati Uniti di superare la Russia come produttore di gas. Già Barack Obama volle autorizzare le prime esportazioni di energia verso l’Europa, voltando pagina dopo quasi mezzo secolo in cui Washington si vietava di vendere all’estero petrolio o gas. Lo stesso Obama presentò quella decisione in chiave anti-russa. E nel Golfo del Messico cominciarono i lavori per i nuovi terminali di liquefazione del gas orientato all’export su nave. Direzione: i porti dell’Europa occidentale. Con Trump che cavalca il revival dell’energia fossile, la nuova guerra energetica sta cominciando.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 31 luglio 2017 • N. 31

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 31 luglio 2017 • N. 31

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Politica e Economia Un luglio non troppo caldo Alla Dogana di Chiasso il flusso di profughi non è molto più intenso dell’anno scorso

Emigrazione svizzera all’estero La comunità elvetica che vive fuori dal nostro paese conta oltre 760’000 persone: ciò la renderebbe il quarto cantone per numero di abitanti

pagina 23

pagina 24

Rapporti Francia Germania Nonostante il buon feeling apparente, la Merkel e Macron stanno ancora misurando i reciproci ruoli pagina 25

La questione del gasdotto

Russia-USA Al di là dell’apparente sintonia tra presidenti, la Camera americana ha deciso sanzioni che colpiscono

in particolare il progetto di collegamento per rifornire di idrocarburi l’Europa

Federico Rampini

In Europa, ma a modo loro

Pronti al gioco di squadra: (da sin.) i ministri degli Affari esteri di Slovacchia, Ungheria, Polonia e della Repubblica Ceca si sono incontrati a Budapest lo scorso 10 luglio (il loro nome è sulla rispettiva maglietta). (Keystone)

Gruppo di Visegrád Le hanno soprannominate «V4»: sono quattro nazioni che mettono in discussione le modalità

della loro appartenenza alla UE, non accettando le regole dettate da Bruxelles su alcuni dossier

Alfredo Venturi Uno spettro si aggira fra i palazzi di Bruxelles: il Gruppo di Visegrád, un blocco di quattro paesi, Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia, V4 nello sbrigativo linguaggio diplomatico, che dà parecchio filo da torcere alle istituzioni europee. Uniti dalla comune esperienza storica al di là della cortina di ferro, strinsero il patto nel 1991, con un incontro dei capi di governo nella cittadina ungherese di Visegrád, allo scopo di bussare insieme alla porta dell’Unione Europea e insieme affrontare la procedura di adesione. Al momento della fondazione erano soltanto tre, infatti cechi e slovacchi facevano ancora parte di un unico stato. Il primo maggio del 2004 i quattro raggiunsero il loro obiettivo entrando a far parte dell’Unione, cinque anni più tardi uno solo di essi, la Slovacchia, compirà un passo ulteriore entrando in Eurolandia. Se fosse un unico paese questo raggruppamento avrebbe, con i suoi 64 milioni di abitanti, dimensioni simili a quelle della Francia o dell’Italia. È proprio questo peso virtuale che i quattro

intendono gettare sulla bilancia di ogni negoziato, mostrandosi compatti agli appuntamenti istituzionali dell’Unione. Dal resto dei Ventisette li dividono alcuni punti fondamentali. Prima di tutto una inquietante deriva autoritaria che riguarda due paesi, Ungheria e Polonia. Il successo di Viktor Orban a Budapest, e del suo partito Fidesz (Unione civica), hanno portato a una stretta sulla stampa e limitazioni ai controlli costituzionali sul governo. Analogamente in Polonia, dopo l’affermazione del partito nazionalista e conservatore PiS (Diritto e Giustizia), il rapporto fra esecutivo e legislativo è stato alterato a svantaggio di quest’ultimo. Inoltre certi interventi sulla stampa e sui servizi di sicurezza hanno richiamato l’attenzione di Bruxelles, che non transige sul primato della legge e sul rispetto della democrazia come valori fondanti dell’Unione. Slovacchia e Repubblica Ceca appaiono democrazie solide, al riparo da simili evoluzioni, ma si trovano perfettamente in linea con polacchi e ungheresi su due altre questioni che contrappongono i V4 al resto dell’Unione Europea. La prima è la politica

energetica con le sue ricadute sulle strategie di controllo del clima. Il Gruppo di Visegrád è a favore della produzione di energia attraverso centrali nucleari, quelle stesse che gli altri paesi dell’Unione intendono abbandonare gradualmente. Inoltre resistono alle pressioni internazionali sulla rinuncia ai combustibili fossili per limitare le emissioni nocive nell’atmosfera: qui gioca un ruolo, evidentemente, il fatto che la Polonia è un forte produttore di carbone. Sintonia sul clima e sullo stile di governo: non è certo casuale la scelta del presidente Donald Trump, che ha cominciato proprio a Varsavia il suo recente viaggio in Europa. L’altra grande questione che accomuna i V4 è quella cruciale delle migrazioni. Il magiaro Orban è fra i più accaniti avversari della politica di accoglienza caldeggiata da Bruxelles, per quanto timida e prudente. Dopo avere blindato i suoi confini verso la Romania, la Serbia e la Croazia, cosa che gli ha assicurato un facile successo elettorale sull’ultra-destra del Jobbik (Movimento per un’Ungheria migliore), fa ora la voce grossa con l’Italia, che riceve nei suoi porti migliaia di profughi pro-

venienti dalla Libia. Orban chiede che i porti italiani respingano senz’altro le navi dei migranti. In questa crociata è appoggiato, sia pure con un susseguirsi di ripensamenti e smentite, da un paese esterno al Gruppo di Visegrád come l’Austria, che trovandosi in clima elettorale è fortemente tentato di giocare questa carta di sicuro richiamo. Anche la prima ministra polacca, Beata Szydlo, sensibile a un’opinione pubblica spaventata dall’incubo dell’«invasione», insiste sulla difesa delle frontiere dall’ondata dei profughi. Quanto ai due membri più moderati del V4, il loro atteggiamento è formalmente meno ostile ma nella sostanza assai simile a quello di Budapest e Varsavia. Parlando delle scelte di Bruxelles in materia di accoglienza il primo ministro slovacco, Robert Fico, è arrivato a definirle un «suicidio rituale». Fico ha elaborato questa posizione nel fuoco della campagna elettorale dello scorso anno, e dopo il successo di misura non l’ha mutata di una virgola. Quanto a Bohuslaw Sobotka, primo ministro a Praga, non arriva ai toni del presidente Milos Zeman, che dichiara «praticamente impossibile»

l’integrazione nella Repubblica Ceca dei migranti musulmani, ma anche lui avversa la formula europea: quote da ricollocare fra tutti i paesi membri in rapporto alle rispettive popolazioni e alle risorse disponibili. È stato proprio il rifiuto di accettare lo schema europeo di redistribuzione, varato nel 2015, a portare al calor bianco l’attrito fra Commissione europea e Gruppo di Visegrád. Si trattava di sistemare 160 mila profughi, in modo da alleggerire la pressione su Italia e Grecia. Di questi 160 mila, il V4 dovrebbe accoglierne complessivamente poco più di undicimila, ma finora non ne ha accolti che una piccolissima parte. Al monito proveniente da Bruxelles e da Berlino, secondo cui questo atteggiamento potrebbe pregiudicare il meccanismo degli aiuti finanziari europei, essenziali per i quattro paesi, la risposta è stata la comune denuncia di un inaccettabile ricatto. Insomma la partita è davvero ardua, fra l’altro è forte il timore che la rigida visione del V4 possa contagiare due altri paesi dell’Europa orientale finora soltanto marginalmente coinvolti nel fenomeno migratorio: la Bulgaria e la Romania.

Il caos della presidenza Trump sta spostando il baricentro del potere americano verso un altro quartiere di Washington. Dalla Casa Bianca al Campidoglio, sede del potere legislativo. Almeno per quanto riguarda la politica estera. Donald Trump twitta le sue esternazioni, ma il Congresso compie atti concreti. È il caso delle nuove sanzioni contro la Russia. In termini diplomatici è una mossa anti-Putin. Ha però un altro risvolto economico: apre uno scenario energetico in cui l’America condiziona l’Eurasia, interviene nei rapporti fra Russia e Unione europea. Le cronache di ordinario caos nella capitale americana offrono i seguenti titoli di cronaca, negli ultimi giorni: Donald Trump attacca ripetutamente il proprio ministro della Giustizia Jeff Sessions; anche il segretario di Stato (cioè il ministro degli Esteri) Rex Tillerson entra nel frullatore del toto-dimissioni; il potentissimo Primo Genero Jared Kushner è costretto a consegnare 11 pagine di un dossier di difesa per discolparsi dall’accusa di collusioni col governo russo; per finire la Camera approva e manda al Senato una legge che rende più dure e permanenti le sanzioni economiche che puniscono la Russia per la violazione della sovranità ucraina; la Casa Bianca prima condanna il gesto del Congresso poi fa sapere che si adeguerà. La parola caos è un understatement: sottovaluta l’impressione di una nave senza timoniere. Non una nave qualsiasi, questa è la portaerei ammiraglia, la superpotenza leader, un’America che sembra procedere senza bussola. C’è però una logica stringente, almeno nella decisione della Camera: risponde a un interesse chiaro del business energetico americano, e si ispira anche ad una visione dello scontro strategico Usa-Russia su chi eserciterà l’influenza decisiva sull’Europa. Se il microcosmo politico-mediatico di Washington si appassiona soprattutto degli scandali, delle nuove teste che potrebbero saltare dopo quella del portavoce di Trump, per il resto del mondo forse la notizia più gravida di conseguenze quella delle sanzioni, inasprite e rese più difficili da revocare nel momento in cui il Congresso si appropria della materia. È il paradosso creato dal Russiagate, cioè tutta la vicenda delle ingerenze russe nella campagna elettorale, incursioni di hacker pilotate da Mosca per danneggiare Hillary Clinton e favorire l’elezione del suo avversario. Ricapitolando: ancora manca la prova provata che ci fu collusione, cioè che Trump e i suoi complottarono attivamente con Putin, anche se le indagini sono appena all’inizio e chissà cos’altro può tirar fuori la comunità dell’intelligence che con Trump ha diversi conti in sospeso. Parlare di impeachment è prematuro, però il Russiagate già estrae un costo politico da questa Amministrazione, lega le mani a Trump. Sospettato di torbido inciucio col capo di una potenza straniera (e tuttora percepita come nemica dall’establishment, Pentagono e Cia, Fbi e Dipartimento di Stato, stampa e ceto politico), Trump è un vigilato speciale quando si tratta delle sue relazioni con Putin. Non lo aiutano i retroscena usciti dall’ultimo G20, gli incontri recidivi e semi-clandestini in cui il presidente americano e quello russo hanno dato

Una stretta di mano senza reali risvolti nei rapporti tra le due potenze. (Keystone)

prova di una «alchimia» personale eccessivamente amichevole. Il Congresso, repubblicani inclusi, diffida a tal punto del presidente da legargli le mani sulle sanzioni. La Casa Bianca deve subire una disfatta importante, con il passaggio di una legge che non solo aggrava le sanzioni contro la Russia ma soprattutto le toglie dalla discrezionalità dell’esecutivo. E così mentre Trump e Putin hanno stabilito un evidente rapporto di amicizia – anzi proprio a causa di quello – il gelo nelle relazioni bilaterali si cristallizza con le sanzioni che vengono scolpite nella legge. Questo rende più precari gli scenari di graduale normalizzazione dei rapporti con la Russia, su cui diversi paesi europei avevano puntato. A prescindere da quel che pensano di Putin la cancelliera Merkel o Emmanuel Macron, Theresa May o Gentiloni, c’è in Europa un coagulo d’interessi materiali che spingono verso un disgelo con la Russia. Le relazioni economiche tra i vari paesi europei e Mosca sono più intense di quelle tra la Russia e gli Stati Uniti. Si era creata un’attesa-speranza, soprattutto negli ambienti confindustriali, che la presidenza Trump potesse sbloccare il muro contro muro dell’era Oba-

ma-Putin. Ma la politica estera americana in questa fase sembra un’auto con due guidatori, uno dei quali spinge sul pedale dell’acceleratore mentre l’altro tira il freno a mano con tutte le forze. Si dice che il segretario di Stato Tillerson, abituato a comandare quando faceva il chief executive di Exxon, e grande amico di Putin, sia stufo di fare la figura dell’utile idiota.

Sul piano politico Washington condanna l’atteggiamento di Mosca verso l’Ucraina ma di fatto sostiene la propria strategia di esportazione del gas Ma il danno più concreto lo subisce l’Europa, colpita nel suo approvvigionamento energetico. Le nuove sanzioni alla Russia votate dalla Camera di Washington prendono di mira in particolare il progetto chiamato Nord Stream 2, il gasdotto che dalla Russia dovrebbe rifornire direttamente la

Germania passando per il Mar Baltico. Tra le aziende sotto rischio sanzioni ci sono di sicuro Shell, Engie, Uniper, Omv, Wintershall: un consorzio che investe la metà dei dieci miliardi di euro necessari per la costruzione del nuovo gasdotto lungo 1.200 km. Il testo di legge che è passato alla Camera – con una schiacciante maggioranza bipartisan – parla chiaro: vuole proprio intralciare Nord Stream 2, un’infrastruttura energetica che la Germania considera di vitale importanza. Di qui la dura reazione del governo di Berlino ed anche della Commissione europea che da Bruxelles minaccia rappresaglie. Tutto si ricollega naturalmente al Russiagate, e al clima di pesanti sospetti che aleggiano su Trump. Se il presidente degli Stati Uniti sia arrivato alla Casa Bianca grazie a Putin, forse non sarà mai dimostrato con certezza. Però il Congresso non vuole correre rischi. Repubblicani e democratici concordano nel considerare Putin un pericoloso avversario. Dunque, se mai Trump gli avesse promesso la levata delle sanzioni il Congresso non ci sta e lo blocca preventivamente. Non solo. La legge appena votata inasprisce il regime di sanzioni già in vigore contro

aziende e cittadini russi. Rende più difficile per la Casa Bianca allentare quelle sanzioni, se mai volesse farlo: una limitazione del potere presidenziale che costituisce un affronto a Trump. L’unica opzione che la legge lascia al presidente è quella opposta: è libero, se vuole, di aggravare ulteriormente le misure anti-Russia. In particolare il Congresso ce l’ha coi progetti nel settore dell’energia. Il testo di legge passato alla Camera – e che dovrebbe ricevere un’altrettanto facile approvazione al Senato – dichiara in modo esplicito che «la Russia usa l’energia per ricattare i paesi vicini». C’è un riferimento chiaro al gasdotto Nord Stream 2, progetto guidato dalla capofila Gazprom, che viene definito «nefasto per la sicurezza energetica dei paesi europei». Con un simile linguaggio, il Congresso presenta questo inasprimento delle sanzioni anche come una difesa degli interessi europei. Berlino, Bruxelles e altre capitali europee non la pensano affatto così. Nord Stream 2 è sempre stato un progetto ad alta valenza geopolitica, quindi controverso. Attualmente il gas naturale estratto in Russia arriva nei vari mercati di consumo europei attraverso strade alternative, passando dall’Ucraina, dalla Bielorussia e dalla Germania. L’ente di Stato Gazprom, sotto lo stretto controllo di Putin, va sostenendo da anni che l’Europa ha bisogno di nuovi oleodotti perché altre fonti di approvigionamento più vicine (dai giacimenti dell’Olanda a quelli del Mare del Nord) stanno declinando. Nord Stream 2 però non aumenta l’offerta di gas: il suo maggiore vantaggio – nell’ottica di Mosca – consiste nell’aggirare l’Ucraina. Fa parte quindi di un piano russo per sottrarre all’Ucraina e ad altri paesi dell’Est una preziosa fonte di valuta, le tasse percepite sul passaggio di gas russo nei loro territori (una sorta di «pedaggio autostradale»). Inoltre questo mette la pressione su Kiev, e inserisce un cuneo nell’alleanza tra l’Unione europea e l’Ucraina, visto che crea un canale diretto di fornitura di energia dalla Russia alla Germania aggirando l’Europa centrale. A questo si aggiunge il fatto che Gazprom ha coinvolto una miriade di aziende europee come partner, e queste sarebbero esposte alle nuove sanzioni americane. La mossa del Congresso Usa, pur dettata da una logica geostrategica, ha un’altra dimensione tutta economica. S’inserisce in un contesto nuovo in cui l’America stessa fa la sua apparizione come nuova protagonista nel mercato energetico mondiale. In una veste inedita: come potenza esportatrice. La rivoluzione tecnologica dello shale gas, del fracking e delle trivellazioni orizzontali, ha permesso agli Stati Uniti di superare la Russia come produttore di gas. Già Barack Obama volle autorizzare le prime esportazioni di energia verso l’Europa, voltando pagina dopo quasi mezzo secolo in cui Washington si vietava di vendere all’estero petrolio o gas. Lo stesso Obama presentò quella decisione in chiave anti-russa. E nel Golfo del Messico cominciarono i lavori per i nuovi terminali di liquefazione del gas orientato all’export su nave. Direzione: i porti dell’Europa occidentale. Con Trump che cavalca il revival dell’energia fossile, la nuova guerra energetica sta cominciando.


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Politica e Economia

La febbre di Gerusalemme

Medio Oriente Riprende il conflitto israelo-palestinese in un progressivo accumularsi di violenze, scaturito

dall’attentato del 14 luglio e dalla conseguente decisione di installare metal detector sulla Spianata delle moschee Marcella Emiliani Questa volta lo scontro israelo-palestinese ha investito il cuore di Gerusalemme e proprio per questo sarà difficile spegnere l’incendio che è stato appiccato. All’alba del 14 luglio scorso tre giovani palestinesi hanno aperto il fuoco contro i poliziotti israeliani che pattugliavano la Porta dei Leoni, una delle entrate nella Città vecchia. Nello scontro gli attentatori si davano alla fuga e sono stati freddati nella Spianata delle moschee (l’Haram al-Sharif), mentre tre agenti israeliani rimanevano feriti. Due sarebbero morti di lì a poco in ospedale. Tutte le vittime avevano la cittadinanza israeliana, ma non erano ebrei. I poliziotti, infatti, appartenevano alla minoranza etno-religiosa drusa, che pratica un monoteismo esoterico di derivazione mussulmana, e i terroristi erano sì palestinesi, ma arabi-israeliani, come vengono chiamati i discendenti dei palestinesi che nel 1948, al momento della creazione dello Stato di Israele, invece di fuggire accettarono la cittadinanza israeliana e oggi costituiscono il 17,5% della popolazione. Per la cronaca, i tre venivano da Umm al-Fahm vicino ad Haifa. La minoranza drusa concentrata in Galilea e sulle Alture del Golan non ha mai avanzato rivendicazioni nazionaliste con lo Stato israeliano, tant’è che i suoi membri vengono regolarmente arruolati nella polizia e nell’esercito. Agli arabi-israeliani, invece, il

servizio militare e l’uso professionale delle armi è precluso. Nella dinamica dell’attentato terroristico del 14 luglio, perciò, c’erano già elementi di scontro inter-comunitario multiplo (ebrei-arabi israeliani-drusi) che potevano minare la stabilità del paese. Il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, ha pertanto ritenuto opportuno chiudere tutti gli accessi all’Haram al-Sharif «per motivi di sicurezza» e annullare la rituale preghiera del venerdì nella Spianata delle moschee (il 14 luglio era, appunto, un venerdì). E proprio questo provvedimento ha messo in moto un’«ondata di collera» (la definizione è di Hamas) che di giorno in giorno ha assunto caratteri sempre più aspri e ha finito per far passare in secondo piano il fatto che nell’Haram al-Sharif fosse stato compiuto l’ennesimo attacco terroristico. Il primo a protestare è stato il Muftì di Gerusalemme Mohammed Hussein che è stato arrestato e subito scarcerato dalla polizia, mentre masse di fedeli occupavano tutta l’area circostante la Spianata per pregare. Più discretamente, il presidente dell’Autorità nazionale palestinese, Abu Mazen alias Mahmoud Abbas, si metteva in contatto con Netanyahu per decidere il da farsi (proprio loro che dal 2014 non riescono a sedersi al tavolo di uno straccio di negoziato, soprattutto per l’intransigenza del primo ministro israeliano). Naturalmente non poteva mancare

I dispositivi sono stati rimossi ma le proteste non si sono calmate. (Keystone)

l’intervento della Giordania che attraverso il suo ministero dei Beni Religiosi (Waqf) è ancora custode dei luoghi santi dell’islam nell’Haram al Sharif, come lo era prima della conquista di Gerusalemme Est da parte di Israele nella Guerra dei sei giorni del 1967.

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Netanyahu, e siamo ancora al 14 luglio, continuava a ripetere che «lo status quo» nella Spianata delle moschee sarebbe stato ripristinato, intendendo con questo che il provvedimento di chiusura sarebbe stato revocato, una volta fatti tutti i debiti controlli di sicurezza. D’altronde, solo il 16 giugno precedente, tre palestinesi avevano compiuto due attacchi simultanei nella Città vecchia ed era morta una giovane poliziotta israeliana. Inquietante il fatto che l’attacco fosse stato rivendicato sia da Hamas che dall’Isis. Con questi chiari di luna, tutelare la sicurezza per il premier, come per tutti i politici israeliani di qualsiasi partito in qualsiasi momento storico di Israele, era un imperativo, ma Netanyahu forse credeva che appellarsi allo status quo ante sarebbe bastato a calmare gli animi. In base al suddetto status quo tutti i mussulmani hanno libero accesso alla fatidica Spianata , ma anche gli ebrei purché non ci vadano a pregare (visto che il Muro del Pianto è a due passi). Ma ormai la tensione stava raggiungendo livelli davvero allarmanti perché nello stesso giorno, nel corso di un raid nel campo profughi di Dheisheh a sud di Betlemme nella Cisgiordania occupata, militari israeliani avevano ucciso un diciottenne palestinese. Quando il 16 luglio gli accessi alla Spianata delle moschee sono stati muniti di metal detector, i palestinesi hanno alzato il tiro. Mentre le autorità israeliane giustificavano il provvedimento affermando che le armi con cui erano stati uccisi i due poliziotti erano state nascoste nell’Haram al Sharif e da lì le avrebbero prelevate gli attentatori prima di cominciare a sparare alla Porta dei Leoni, i palestinesi vedevano invece in quei metal detector la volontà di Israele di assumere il controllo esclusivo e definitivo della Spianata. Il problema per loro non era più una questione di sicurezza, ma in toto l’occupazione israeliana dei Territori da cinquant’anni a questa parte, con Gerusalemme in testa. In pratica il nocciolo duro dello scontro israelo-palestinese. Ad urlare in prima linea c’era il portavoce di Hamas, Sami Abou Zohri, che giustificava l’attacco del 14 luglio come «una risposta naturale al terrorismo sionista e alla profanazione della moschea di alAqsa» (che nessun israeliano, peraltro, ha mai profanato). Di quale miccia possa diventare Gerusalemme, se ne è avuta prova nei giorni successivi. Tutta la stampa araba ha condannato i metal detector installati alle soglie dell’Haram al Sharif con

toni religiosamente o politicamente scandalizzati. L’unico a congratularsi con Israele per il provvedimento è stato il presidente americano Trump. Intanto l’Autonomia nazionale palestinese ha proclamato lo sciopero di tutti gli esercizi commerciali in Cisgiordania, mentre il suo presidente Abu Mazen ha chiuso lo stesso 16 luglio tutti i canali di comunicazione con Netanyahu. Dal canto loro le autorità islamiche hanno suggerito ai palestinesi di andare a pregare ogni giorno nei pressi delle entrate della Spianata, su marciapiedi, piazzole, ogni centimetro di strada disponibile, per denunciare in questo modo l’uso dei metal detector. Invano la stampa israeliana filo-governativa ha fatto notare che ormai i metal detector circondano i luoghi santi di qualsiasi religione, San Pietro in testa. Fatalmente tra una preghiera e l’altra e l’abnorme affluenza di persone verso la Spianata delle moschee si sono moltiplicate le zuffe e i tafferugli tra polizia e palestinesi e ci è scappato il morto. Anzi tra il 16 e il 25 luglio i morti sono stati 5, tutti palestinesi, colpiti direttamente o indirettamente dalle pallottole di gomma dei militari israeliani. E l’escalation ha travalicato la stessa Gerusalemme. Il 21 luglio tre israeliani sono stati accoltellati nella colonia ebraica di Halamish detta anche Neveh Tzuf in Cisgiordania. Il giovane palestinese attentatore è stato ferito prima di essere arrestato ed è risultato essere un militante di Hamas. Nei giorni seguenti l’esercito israeliano ha compiuto vari raid in Cisgiordania e ha arrestato 29 esponenti di Hamas, tra cui funzionari e politici di spicco del Movimento nella Striscia di Gaza. Striscia di Gaza da cui il 23 luglio è partito addirittura un razzo verso Israele, senza provocare morti o feriti. Sempre il 23 luglio, infine, in un edificio adiacente all’ambasciata israeliana ad Amman, capitale della Giordania, un agente di sicurezza dell’ambasciata medesima è stato colpito alla schiena con un cacciavite da un arabo ma è comunque riuscito ad uccidere il suo aggressore. Si è temuta la rottura delle relazioni diplomatiche tra Israele e uno dei due paesi, la Giordania, con cui ha stipulato un trattato di pace (l’altro è l’Egitto), ma la situazione è tornata alla normalità. Per ora. Svezia, Francia e Egitto hanno comunque chiesto una riunione d’urgenza del Consiglio di sicurezza dell’Onu, e il 26 luglio Netanyahu ha fatto smantellare i metal detector. La cosa gli è costata un grave calo di popolarità. Secondo un sondaggio del canale televisivo israeliano Channel 2 ben il 77% degli intervistati ha considerato lo smantellamento «una capitolazione» nei confronti dei palestinesi. Al posto dei metal detector verranno comunque installate telecamere capaci di identificazioni biometriche, ma Abu Mazen lo stesso 25 luglio ha affermato che i palestinesi non accetteranno nemmeno quelle. Nonostante la protesta per la chiusura dell’Haram al-Sharif abbia unito i palestinesi, sia Abu Mazen che Hamas colgono l’occasione per disputarsi la guida della protesta medesima, sperando che questo giocare col fuoco si traduca in un guadagno politico. E visto che sfruttando il momento tutti cercano di trarre profitto dalla manipolazione dei siti religiosi, sempre il 25 scorso un centinaio di coloni ebraici duri e puri ha occupato un edificio adiacente alla Tomba dei Patriarchi a Hebron, una città che per gli ebrei è seconda solo a Gerusalemme, ma è abitata da 200.000 palestinesi. Detto in altre parole, a cerchi concentrici, la «febbre di Gerusalemme» sta infettando israeliani e palestinesi e questo non prelude a niente di buono.


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Politica e Economia

Quasi niente di nuovo sulla frontiera meridionale

Emergenza profughi La situazione registra un calo nelle richieste di asilo in Svizzera, mentre rimane sempre aperto

il problema dei minorenni non accompagnati. Chiusa la via dei Balcani, il movimento di persone verso nord utilizza ora in prevalenza il tragitto attraverso l’Italia

Luca Beti «Negli scorsi mesi diversi migranti, certamente meno dell’anno scorso, mi hanno detto di essere stati respinti dalle guardie di confine nonostante avessero espresso il desiderio di chiedere asilo o protezione alla Svizzera. È una chiara violazione del diritto internazionale». È l’ultima denuncia di Denise Graf, esperta in materia di asilo presso Amnesty International. La giurista si reca una volta al mese in Ticino e a Como per incontrare i migranti e le ONG presenti sul posto. «Nella prima settimana di luglio di quest’anno ho parlato con un uomo, proveniente direttamente da Milano, che mi ha raccontato che gli è stata vietata l’entrata in Svizzera anche se aveva fatto regolare richiesta di protezione internazionale», ci racconta ancora Graf. «Sono convinta della sincerità dei profughi. C’è chi mi dice di aver domandato il permesso di attraversare la Svizzera per raggiungere i parenti in Germania. Ma c’è anche chi mi spiega di aver chiesto asilo».

Amnesty International deplora respingimenti in violazione del diritto, le Guardie di Confine declinano le accuse Già l’anno scorso, Amnesty International con altre ONG aveva denunciato il mancato rispetto dei diritti dei profughi da parte delle guardie di confine. Le recenti accuse di Denise Graf vengono respinte con fermezza sia dal Corpo delle guardie di confine sia dalla Segreteria di Stato della migrazione (SEM). «Le persone che chiedono asilo o protezione secondo l’articolo 18 della Legge sull’asilo vengono assegnate alla SEM, rispettivamente a un centro di registrazione e di procedura», ci scrive David Marquis, vicedirettore della comunicazione dell’Amministrazione federale delle dogane. «Chi ha fatto richiesta di asilo in Svizzera non viene respinto alla frontiera», sottolinea dal canto suo Lukas Rieder, portavoce della SEM. A chi credere allora? Ai migranti o alle autorità? Se in passato un problema relativo alle richieste d’asilo al confine a sud c’è stato, il Corpo delle guardie di confine (Cgcf) lo ha riconosciuto. Grazie anche ai suggerimenti di varie ONG ha migliorato i processi volti a esaminare la situazione dei migranti. «I nostri specialisti di interrogatori nell’ambito della migrazione hanno seguito una formazione interna organizzata con varie associazioni del settore», indica Marquis. Inoltre, il Cgcf ha apportato alcune modifiche alle strutture alla dogana di Chiasso. Da una parte sono in funzione tre schermi che in 25 lingue informano i migranti sui loro diritti e sulle procedure al confine. «Dall’altra parte – continua Marquis – sono stati allestiti nuovi locali affinché i colloqui si svolgano nel rispetto della privacy». Per il momento non è ancora possibile indicare quale impatto hanno avuto questi adeguamenti. «I colloqui dovrebbero svolgersi in maniera diversa rispetto all’anno scorso. Inoltre, i migranti hanno anche la possibilità di chiedere l’intervento di un interprete tramite telefono», ci dice Denise Graf. Il Cgcf è quindi pronto ad affrontare un possibile aumento del flusso

migratorio alla frontiera meridionale della Svizzera. L’anno scorso, nel corso dei mesi estivi si era registrata un’impennata di passaggi, un’ondata che per il momento non si è ancora fatta sentire. «Nella prima settimana di luglio, la situazione era molto tranquilla calma se paragonata a quella vissuta nello stesso periodo del 2016», ci indica ancora Denise Graf. La sua è una valutazione condivisa anche dalla Segreteria di Stato della migrazione (SEM). «Al momento, la situazione è piuttosto tranquilla», ci scrive Lukas Rieder. Anche i dati forniti dal Corpo delle guardie di confine non indicano invece un aumento importante di clandestini al confine sud nei primi cinque mesi dell’anno: alla fine di maggio si sono registrati già 6726 soggiorni illegali, contro i 3548 dello stesso periodo nel 2016 un aumento di soggiorni illegali in Svizzera nei primi cinque mesi di questo anno rispetto al 2016. Nel 2017 sarà quindi ancora la frontiera meridionale a essere particolarmente sotto pressione. Alla luce di quanto avviene attorno alla Svizzera ciò non sorprende. La rotta dei Balcani è chiusa dal marzo 2016 e l’unica via per raggiungere l’Europa rimane quella che passa attraverso il Mediterraneo e l’Italia, Paese che si trova solo ad affrontare l’emergenza. Dal 1° gennaio al 10 luglio 2017, il ministero dell’interno italiano ha registrato 85’200 immigranti sbarcati, pari a quasi un 10 per cento in più rispetto allo stesso periodo del 2016. E così stando a organi di stampa lariani, in provincia di Como le strutture di accoglienza sarebbero già al completo. E allora è giusto respingere i migranti alla frontiera, sapendo che difficilmente troveranno una collocazione dignitosa oltre confine? «L’Italia non può fare tutto da sola. Serve la solidarietà dei Paesi vicini. Ci sono molte persone vulnerabili che chiedono aiuto», sostiene Graf di AI. «La Svizzera non è per niente solidale. Non può respingere donne vittime di tratta, persone traumatizzate, minorenni non accompagnati». E la questione dell’elevato numero di respingimenti alla frontiera da parte della Svizzera è stata discussa anche sotto la Cupola di Palazzo federale durante la sessione primaverile. Nell’ora delle domande, la parlamentare socialista Valérie Piller Carrad si è detta preoccupata della situazione alla frontiera meridionale, poiché degli oltre 2100 profughi respinti nel dicembre 2016, un terzo erano minorenni non accompagnati. «L’accordo di riammissione tra la Svizzera e l’Italia non fa differenza tra persone maggiorenni e minorenni. Il Corpo delle guardie di confine consegna i minorenni […] direttamente alla responsabilità delle autorità italiane e collabora con i partner italiani», così la risposta del Dipartimento federale delle finanze. Con un’interpellanza anche la parlamentare democristiana Barbara Schmid-Federer ha chiesto al Consiglio federale che cosa intendesse fare per permettere ai richiedenti l’asilo minorenni non accompagnati di ricongiungersi con i loro familiari in altri Stati dell’UE senza dover continuare a tentare di entrare illegalmente in Svizzera. «Il regolamento Dublino III impone già oggi agli Stati membri l’obbligo di svolgere attivamente ricerche identificative sulla possibile presenza di familiari nello spazio di Dublino», risponde il Con-

Alcune modifiche alle strutture della Dogana di Chiasso permetteranno nuove modalità di accoglienza e di ascolto delle richieste. (Ti-Press)

siglio federale. «Il presupposto per eseguire tale chiarimento è però l’effettiva presentazione di una domanda d’asilo da parte del minorenne. Negli ultimi mesi è stato osservato che molti minorenni non presentano domanda d’asilo né in uno Stato Dublino né in Svizzera.

Se una persona non presenta una domanda d’asilo, le disposizioni dell’accordo di Dublino non sono applicabili». Colpa dei minorenni dunque se rimbalzano come palle da ping-pong tra i Paesi e poi a un certo punto spariscono nel nulla. In Svizzera, l’anno

scorso sono scomparsi 484 minorenni non accompagnati, pari a uno su quattro di quelli registrati nel 2016. Una cifra sei volte maggiore rispetto al 2015. «Ho seguito le vicende di un ragazzino. Dopo essere stato respinto più volte alla frontiera ha raggiunto la Germania affidandosi ai passatori», ci racconta ancora Denise Graf che ci spiega quali novità apporterà la nuova legge sui minori, entrata in vigore in Italia lo scorso maggio. «I minori non accompagnati possono ora chiedere asilo subito. Prima dovevano attendere di essere affidati a un tutore, un’attesa che poteva durare mesi. Ecco il perché non inoltravano una domanda». Se l’Italia ha approvato una legge volta a proteggere i minori stranieri non accompagnati e a impedirne il rimpatrio, la Svizzera dal canto suo è diventata sempre meno attrattiva per i profughi. Sono le cifre della Segreteria di Stato della migrazione a dircelo. Nel 2016, il numero di richieste d’asilo è diminuito del 31 per cento rispetto al 2015, cifra passata da 39’523 a 27’207 domande, e ancora di più quest’anno, con solo 7489 richieste d’asilo a fine maggio 2017. Annuncio pubblicitario

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Politica e Economia

Dall’emigrazione all’immigrazione

Svizzeri all’estero Il nostro paese, per secoli un paese da cui si emigrava, solo dal 1900 è diventato una meta

di arrivo. Ma proprio l’emigrazione è stata storicamente una delle basi del nostro sviluppo economico e culturale

Ignazio Bonoli Ogni anno, verso metà agosto, ha luogo in una città svizzera (quest’anno sarà Basilea), il Congresso degli Svizzeri all’estero. Un’organizzazione che è andata sviluppandosi nel tempo e che è strutturata oggi in una specie di Parlamento delle Quinta Svizzera, composto da delegati provenienti da ogni parte del mondo, completato anche da personalità politiche residenti in Svizzera. Un tempo fiorente un po’ in tutta la Svizzera, l’emigrazione ha subito rallentamenti dovuti a circostanze particolari, come guerre o profonde crisi economiche. Nel secondo dopoguerra e fino ai giorni nostri l’emigrazione (che non è più quella di regioni povere in cerca di lavoro generalmente umile) continua al punto di contare nel 2015 ben 762’000 persone all’estero che, di per sé, potrebbero costituire un cantone, perfino fra i più popolosi (il quarto). Il saldo migratorio (immigrati meno emigrati) è oggi di 75’400, composto da 192’700 arrivi (in aumento del 2,2% rispetto a un anno prima) e di 117’700 partenze (aumento dello 0,5%). I rientri di cittadini svizzeri dall’estero sono stati 24’000. In passato la Svizzera, in rapporto alla popolazione residente, ha prodotto un’emigrazione molto più elevata di quella di altre nazioni di dimensioni comparabili, come ad esempio il Belgio o l’Olanda. All’inizio del 19° secolo la forma principale di questa emigra-

zione era ancora il servizio militare all’estero. Si calcola che nel 18° secolo da 350’000 a 500’000 svizzeri erano al servizio di eserciti stranieri per periodi più o meno lunghi. Circa i due terzi di questi mercenari non sono più tornati in Svizzera, perché caduti in battaglia, o per aver trovato una sistemazione nel mondo del lavoro e magari essersi sposati all’estero. Oltre ai militari si contavano comunque anche 50’000 civili emigrati. Nel periodo di più forte emigrazione, tra il 1816 e il 1913, oltre 400’000 svizzeri emigrarono oltre oceano, la maggior parte negli Stati Uniti. Di pari entità fu però anche l’emigrazione verso paesi europei. La loro cifra è difficilmente calcolabile, poiché si trattava spesso di emigrazione stagionale o limitata negli anni. Nel 1910, quando la Svizzera contava 3,75 milioni di abitanti, 370’000 persone di origine svizzera vivevano all’estero. Tra queste 132’000 negli Stati Uniti, 45’000 in America del Sud e alcune migliaia in Africa e in Asia. La metà del totale di emigranti si trovava comunque in Europa, soprattutto in Francia (83’000), Germania (57’000), Gran Bretagna (12’000) e Italia (9’000). In parte si trattava di emigrazione definitiva, con intere famiglie trasferitesi in America, ma in parte anche di mobilità geografica, dovuta a professionisti ricercati in tutta Europa. Tipica l’emigrazione di architetti e costruttori dal Ticino, di pasticcieri

I voti degli svizzeri all’estero vengono vagliati in un seggio speciale: in futuro si prevede l’uso del voto elettronico via web. (Keystone)

dai Grigioni o formaggiai dall’Oberland bernese. Dalla Russia agli Stati Uniti si offrivano molte possibilità anche a contadini, artigiani, operai industriali e persone di servizio. Molti industriali svizzeri, ma anche banchieri, albergatori e «manager» operavano in Italia. Di numero limitato, ma di grande importanza per l’economia svizzera furono i commercianti attivi nell’import-export.

Buona parte dell’emigrazione fu dovuta alla povertà della Svizzera rurale di allora. Il canton Ticino sussidiava persino partenze definitive oltre oceano. Il giudizio che gli storici si fanno di questo periodo è piuttosto complesso. Da un lato c’è chi giudica fondamentale la ricerca di nuove terre. Dall’altro si considera che la nostra emigrazione non è mai stata «di massa», anche se le crisi agricole degli anni

1816/17, 1851/55 e 1880/84 provocarono veri e propri esodi dall’Europa verso l’America. Paradossalmente l’Europa si trovò confrontata con l’importazione meno cara di prodotti dal Nuovo Mondo, che a sua volta provocò nuova emigrazione dal vecchio continente. L’avvento dell’industrializzazione provocò poi il fenomeno della migrazione interna, e anche quello dell’immigrazione. Negli anni 80 del 19° secolo, quando l’emigrazione dalla Svizzera toccò punte massime, l’immigrazione la superò per la prima volta. Nel 1910 si contavano in Svizzera 550’000 stranieri. Generalmente si può considerare che l’emigrazione fu un’ancora di salvezza per molte regioni povere anche in Svizzera. Essa provocò un aumento di conoscenze ed esperienze da parte di coloro che tornarono, nonché di capitali per investimenti anche in regioni povere. Al punto di far dire a qualche storico che proprio l’emigrazione fu una premessa essenziale per la posizione di cui gode oggi la Svizzera nel mondo globalizzato. Ma una premessa altrettanto essenziale fu l’apertura con la quale molti paesi d’immigrazione accolsero emigranti e professionisti di ogni tipo. Oggi assistiamo invece a movimenti di chiusura e autodifesa, che però non fermeranno i movimenti migratori dettati sia da necessità impellenti, sia dalla ricerca di aperture ed esperienze in un mondo sempre in evoluzione. Annuncio pubblicitario

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Politica e Economia Rubriche

Il Mercato e la Piazza di Angelo Rossi Il nome del prossimo consigliere federale è scritto nelle nuvole Siamo in estate, periodo di distensione. E per distenderci possiamo partecipare anche noi, per una volta, al gioco estivo preferito di quest’anno: le previsioni sulla prossima elezione in Consiglio federale. La situazione di partenza non potrebbe essere più semplice: i candidati devono essere eleggibili in Svizzera e membri del partito liberale-radicale. La loro designazione ufficiale sarà fatta dalla frazione alle Camere federali di questo partito. Per essere candidati occorre dunque ottenere la benedizione di questa frazione. Tutto qui! Adesso però cominciano le difficoltà. Il nuovo consigliere federale – che potrebbe essere anche una donna – andrà a sostituire nel nostro governo un consigliere federale romando. C’è una forte probabilità quindi che il seggio di governo che diventa vacante venga assegnato a un rappresentante delle minoranze latine. Il nuovo consigliere federale potrebbe quindi essere romando o ticinese (o retoromancio). Ma non è detto che gli svizzeri tedeschi, che trovano che alle

minoranze latine non spettino più di due seggi in consiglio federale, non rivendichino ora il seggio che diventa libero. C’è poi la questione del sesso. In molti si sono pronunciati, nel corso delle ultime settimane, in favore di candidature femminili perché trovano che sia arrivato il momento per il PLR di far eleggere una donna in consiglio federale. Questa donna – a meno di nuove decisioni da parte del partito liberale-radicale ticinese – non sarà una ticinese. Ci sono invece molte probabilità che possa essere romanda. Anzi è molto probabile che dalla Romandia venga più di una proposta di candidature femminili per la sostituzione del ministro Burkhalter. La terza difficoltà è rappresentata dalla personalità e dalla linea politica dei candidati. Per essere eletto dalla frazione PLR del parlamento federale basta essere membri di questo partito. Per convincere invece la maggioranza degli elettori dell’Assemblea federale – che è l’organo deputato all’elezione del Consiglio federale – occorrerà anche possedere doti di carattere

e seguire una linea politica che piacciano a questa maggioranza. Il modo nel quale questa maggioranza potrebbe costituirsi potrebbe avere quindi riflessi importanti nella scelta dei candidati da parte della frazione PLR. Attualmente le possibili combinazioni sono due: una maggioranza di destra con UDC, PLR, BDP e PPD, e una di centro-sinistra con PLR, PPD , PS e Verdi con eventualmente i Verdi liberali. È molto probabile che il candidato che verrà scelto dalla frazione del PLR alle Camere federali riceva senza troppe complicazioni il sostegno dei parlamentari del PPD. Molto più ostico sarà però ricevere l’appoggio dei parlamentari dell’UDC e del PS. Questi partiti hanno infatti già annunciato che daranno il loro appoggio solo a un candidato che sostenga in Consiglio federale i principi delle loro politiche. Ridotti all’osso questi sono protezionismo e anti-europeismo per l’UDC, difesa senza cedimenti delle assicurazioni sociali per il PS. La scelta di dar il proprio assenso a uno o a più candidati

presentati dalla frazione parlamentare del PLR si farà la settimana prima della votazione nell’assemblea federale dopo che i partiti avranno sentito i candidati in questione. Teoricamente il PLR, per assicurarsi un’elezione facile, potrebbe proporre un candidato per la destra e uno per il centro-sinistra. Solo che questi candidati non ci sono o, se ci sono, sono, per ragioni diverse, molto lontani dal diventare papabili. Di conseguenza il PLR sceglierà i candidati che piaceranno di più ai membri della sua frazione mandandoli poi allo sbaraglio negli hearings con gli altri partiti presenti nell’assemblea federale. A questo punto sono molti i fattori che potrebbero intervenire nella scelta del candidato o della candidata da eleggere. Quel che è sicuro è che in questo processo di selezione né la provenienza dal Ticino o dalla Svizzera romanda, né il fatto di essere donna, giocheranno un ruolo decisivo. Né giocheranno un grande ruolo le convinzioni politiche o i principi etici dei candidati. Molto più importante, anzi

decisiva, sarà la prestazione del candidato o della candidata davanti alle frazioni dei diversi partiti. La loro eleggibilità la si misurerà in relazione a quello che saprà dire e a come risponderà alle domande che gli verranno poste. Dovranno essere convincenti senza lasciarsi naturalmente coinvolgere in promesse di appoggio alle rivendicazioni che verranno loro presentate dalle singole frazioni. A meno che le stesse non siano patrimonio comune del PLR. Dovranno quindi anche saper tacere. Si dice che, nel passato, molti consiglieri federali siano stati eletti perché hanno convinto i parlamentari con il loro portamento distinto e perché parlavano poco. Oggi, dopo che ciascun candidato sarà stato passato e ripassato sotto il microscopio dei media è difficile che il portamento distinto basti. Ma parlare poco può ancora essere una buona ricetta. Ancora più efficace sarebbe far leggere tra le righe di quello che non si dice. Questa però è un’arte che, nel nostro parlamento federale, è riservata a pochissimi geni.

posto, quello al centro. È qui che si ritrovano i due leader, muovendosi in sincrono, ammirandosi e sorridendosi. Ma al di là della chimica personale – che è comunque importante, quando manca è un disastro, basti pensare agli sguardi gelidi e pesantissimi di altri leader e alle conseguenze per il resto del mondo – quanto è solido oggi il motore franco-tedesco? E soprattutto: reggerà nel tempo? Da un punto di vista geostrategico, la Merkel sta lasciando a Macron il ruolo di mediatore. Lei ha detto all’Europa: rimbocchiamoci le maniche e assumiamoci le nostre responsabilità, non stiamo ad aspettare l’aiuto – che non arriverà – del mondo anglosassone, Donald Trump non è affidabile e la Brexit allontana il Regno Unito. Macron al contrario lancia ponti: è freddino con Londra, perché vuole accaparrarsi il business in fuga dalla City, e la competizione è altissima. Ma ha invitato Trump

alla parata del 14 luglio, per ricordare un’alleanza storica e per creare un’alternativa all’isolamento cui pare destinata l’America. Allo stesso modo, Macron ha invitato a Parigi Vladimir Putin: è stato durissimo, con lui al fianco, sulla questione della propaganda antioccidentale dei media russi, ma sui dossier importanti, Siria e Ucraina in testa, Macron è stato molto conciliante e aperturista. C’è chi sostiene che quest’attivismo non sia in realtà coordinato con Berlino e che anzi crei un po’ di fastidio: Macron fa ombra alla Merkel era il titolo di un articolo molto citato pubblicato la scorsa settimana. Ma più che la postura internazionale, contano gli ambiti di collaborazione o scontro effettivi: il surplus tedesco che fa dannare Trump risulta indigesto anche per la Francia, che vorrebbe maggiori investimenti nel sud dell’Europa; l’integrazione monetaria e finanziaria implica una rinuncia alla sovranità che per Macron

– e per i francesi tutti – è inalienabile; i progetti comuni nella difesa procedono con il «jet franco-tedesco», ma sulla creazione di un esercito comune ci sono pochi movimenti collegati (vale per tutti i paesi dell’Ue, va detto). Al fondo poi c’è la volontà concreta di Macron di fare riforme: Merkel ha dimostrato sul campo quello di cui è capace; per ovvi motivi di tempo il presidente francese sta passando dalla fase degli annunci a quella dei fatti, e la transizione è tutt’altro che tranquilla. Merkel si fida dell’enfant prodige, ma i commentatori tedeschi stanno diventando sempre più gelidi e sospettosi. L’unico a non demordere è Martin Schulz, candidato dell’Spd alla cancelleria, che viaggia molto in basso nei sondaggi ma aspira a scalzare la Merkel: per Schulz la luna di miele con Macron non è nemmeno cominciata, e così ancora può dire al presidente francese: guardami, il tuo alleato a Berlino sono io.

di un autoveicolo. In giornata un agente di polizia la contatterà per la notifica ufficiale di questo avviso e per il ritiro della sua patente di guida. Inoltre lei dovrà presentarsi venerdì 30 giugno p. v. alle ore 11 presso la sede della polizia cantonale di Lugano. Data la gravità delle infrazioni le consigliamo di farsi accompagnare da un avvocato». Ipotesi sicuramente fantascientifica, che nondimeno sembra suggerire l’opportunità, se non l’esigenza, di far presente all’autorità federale, già in sede di consultazione, che i controlli di cui saranno sgravati i corpi di polizia potranno riguardare unicamente il corretto utilizzo del contrassegno e non altro. Aggiungerei, pensando al futuro, anche in caso di veicoli con sistema di guida automatica.

ruoli e pulsazioni da quello e da quelli che vedi in quel luogo: chi la dirige, chi la visita, chi la vive, chi la gode... L’arrivo dei prosecchi mi suggerisce una parafrasi un po’ blasfema di un famoso detto... parigino: «un aperitivo val bene una messa». A farla scattare è quel sanguigno prete che in Italia ha riempito di nuovo la sua chiesa annunciando un «dopo messa» con prosecco e stuzzichini, iniziativa tanto diabolica da essere subito fulminata dai vertici della sua diocesi. Mi guardo in giro, politici in vista, e ricado nel peccato. Visto dove mi trovo, cioè sotto i piani nobili dell’esecutivo luganese, cronaca e circostanze forse si alleano per inventare quest’altra stortura: «un aperitivo val bene un concorso». Fossi il sindaco, sfidando il diabolico, un tentativo lo farei: pur di impedire il sorgere di dispute e pasticci infiniti, nomine e appalti municipali dovranno concludersi sempre con dei «dopo concorso», cioè aperitivi e stuzzichini, offerti ai vinti ovviamente dai vincitori...

Affari Esteri di Paola Peduzzi I due centristi radicali Quattro presidenti francesi, una sola cancelliera tedesca, sempre lei, Angela Merkel, regista e custode dei destini europei degli anni Duemila. Elle et nous – Merkel, un OVNI politique, un saggio che uscirà in Francia a fine agosto di cui «Vanity Fair» ha pubblicato un’anticipazione, racconta il motore franco-tedesco attraverso i rapporti personali tra la Merkel e i presidenti francesi che ha incontrato sulla sua strada, Jacques Chirac, Nicolas Sarkozy, François Hollande e il più amato, per ora: Emmanuel Macron. L’autrice è un’ex reporter del «Monde», Marine Van Renterghem, e molti incontri li ha raccontati in presa diretta, con i dettagli dei preparativi, le ricerche nella borsetta che sono ormai diventate un dettaglio-simbolo della cancelliera, e l’atteggiamento dei francesi, sempre pronti a rivendicare un’autonomia poco concreta, salvo poi lasciarsi ammaliare dall’ironia merkeliana, e dalla

sua leggendaria determinazione. Ora il sodalizio dei «centristi radicali», come li chiama la Van Renterghem, quello tra Merkel e Macron, sembra proiettato verso un futuro radioso. Tutto è cominciato con la giacca rosa che la cancelliera ha scelto per il suo primo incontro con l’allora candidato presidente francese, a marzo, diventata un meme sui social, come se fosse una dichiarazione d’amore. Il fatto che la moglie di Macron, Brigitte, abbia la stessa età della Merkel poi ha fatto degenerare l’interpretazione della liaison tra i due leader politici in ambiti che è saggio non approfondire troppo. Merkel, che governa in grande coalizione con i socialdemocratici, artista del compromesso, ha sempre ammirato quel ragazzo che andava ripetendo di non essere «né di destra né di sinistra», un modo alternativo al negoziato, l’esatto opposto anzi, che poi però precipita nello stesso identico

Zig-Zag di Ovidio Biffi Cartoni animati, vignette e aperitivi L’apoteosi di Federer era ancora lontana. Era solo un ottavo di finale del torneo tennistico di Wimbledon. Sul campo (e in tv) c’erano Gilles Muller e Rafa Nadal. Per questo non mi era dispiaciuto interrompere la visione per la cena. Eppure la mente continuava a correre veloce al tempio tennistico londinese di Kingston upon Thames. Il richiamo non riguardava l’esito di una partita equilibrata: oltre quattro ore di gioco, due set per Gilles, due per Rafa, e poi il quinto con la serie di games a oltranza... E nemmeno il gioco, pur se contrassegnato dalla focosità di Nadal e dall’imperturbabile calma di Muller... Pensavo al loro duello, ma soprattutto al tennista lussemburghese e continuavo a dirmi: mi ricorda qualcuno, qualcosa. Una vaga somiglianza, nel viso e nello sguardo, con il Celentano giovane, mi suggeriva di cercare centrando l’attenzione sul tennista rivale di Nadal. Ma la partita si allungava e con essa anche la mia ricerca. Tutto mi si è chiarito

solo quando il campione spagnolo ha smesso di inanellare rincorse e ha lasciato la vittoria al lussemburghese. Avrei dovuto partire dall’erba e dal recinto per arrivare a capire che Wimbledon aveva vissuto un nuovissimo episodio di due noti personaggi dei cartoni animati: Gilles era Sam, Rafa era Ralph! Il canepastore Sam / Gilles aveva difeso le sue pecore dagli estenuanti assalti del lupo Ralph / Rafa. Terminato il loro lavoro, scambiato un saluto al volo («Hello Ralph», «Hello Sam»), assieme, i due si erano avviati a timbrare il cartellino allo stesso orologio. Per la serie Looney Tunes... *** A fine giugno dando notizia di una vignetta autostradale elettronica, annunciata dal Consiglio federale per un prossimo futuro, i media hanno riferito che un simile contrassegno, «secondo l’esecutivo, potrà sgravare i corpi di polizia cantonali dai controlli». Ottimo! Vien però da chiedersi se,

mancando precisazioni e limiti sui «controlli», sia del tutto campata in aria l’ipotesi di ricevere fra qualche anno, sul cellulare, sul pc a casa e sul terminale dell’auto, un avviso elettronico della polizia di questo tenore: «Camorino, ore 06.01 del 27.6.23 – Stando ai nostri rilevamenti ieri, lunedì 26 giugno 2023, lei a bordo della sua vettura EuroTesla GT, recante il contrassegno autostradale TI 5588az23, ha iniziato a percorrere la A2 a Lugano sud alle 16.53, ed è uscito dalla medesima A2 a Bellinzona ovest (nuovo semisvincolo) alle ore 17.08. Quindi lei ha percorso i 33,222 km del citato tratto autostradale in 15 minuti e 22 secondi, ciò che attesta una velocità media non inferiore ai 129,7 km / h. Pertanto lei viene aperta un’inchiesta per superamento dei limiti di velocità. In attesa che i vari rilevamenti elettronici situati lungo il percorso confermino l’esatta velocità massima raggiunta nei diversi segmenti autostradali, a partire da subito lei non può più mettersi alla guida

*** Rito domenicale in Piazza della Riforma. Aperitivo con vista. Sulla piazza? Di più: sul termometro della città. Non ci vuol poi molto a captare


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 31 luglio 2017 • N. 31

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Cultura e Spettacoli Blondie la bionda è tornata Uno dei più importanti gruppi della scena New Wave propone un nuovo disco, Pollinator

Noi e loro, gli animali Guido Guerzoni ha pubblicato un saggio sul cambiamento della relazione tra esseri umani e animali

A Losanna è troppo Una mostra interattiva si china sul nostro complesso rapporto con il superfluo

pagina 29

La musica degli Stern A colloquio con il grande chitarrista statunitense Mike Stern, uno dei protagonisti di Estival Jazz pagina 31

Il Pardo, sempre sorprendente Locarno Festival In programma i tanti diversi cinema di oggi e quelli di ieri: da scoprire, rivedere, rivalutare

o che hanno ancora qualcosa da dire sull’attualità. Nicola Falcinella La missione di Locarno Festival non cambia, ma si aggiorna, nell’aspetto e negli strumenti. Una trasformazione nella continuità per celebrare al meglio il traguardo delle 70 edizioni. Confermate le sezioni consolidatesi negli anni, con la trasformazione in competitiva anche di Signs of Life dedicata a un cinema più di ricerca e «spirituale», lo spettatore non ha che l’imbarazzo della scelta, tra oltre 200 titoli: film di intrattenimento, pellicole del passato e lavori completamente da scoprire, di autori mai sentiti o esordienti. Una possibilità per muoversi nella vastità delle proposte è crearsi percorsi lasciandosi guidare dalle suggestioni e dall’ignoto.

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Robert Indiana e l’America Mostre A Locarno la mostra personale

del maestro della Pop Art

L’apertura del nuovo PalaCinema giunge a coronamento di un progetto atteso da tempo

Alessia Brughera All’inizio degli anni Sessanta il clima americano è caratterizzato dall’invasione nella vita di tutti i giorni di un massiccio quantitativo di prodotti di consumo e delle relative immagini pubblicitarie. È in questo momento di particolare opulenza per il paese che nasce la Pop Art, senza dubbio il movimento più autenticamente rappresentativo dell’America in tutti i suoi aspetti, culturali e popolari. Costretti a vivere in una realtà conquistata dall’oggetto e dalla propaganda, gli artisti prelevano i materiali, concettuali o concreti, da un magazzino di merci, di figure e di sensazioni che passano attraverso la produzione industriale e i media. Interessati a tutto ciò che li circonda, si aprono a varie forme di comunicazione quali i fumetti, la pubblicità e i rotocalchi, consapevoli del fatto che l’arte debba adesso farsi portavoce di una nuova visione incarnata dall’affollata quotidianità. Gli artisti della Pop Art non giudicano: tutte le immagini possono partecipare al farsi dell’opera. Non c’è più alcuna distinzione tra bello e brutto, tra bene e male. La realtà entra con prepotenza nel processo estetico, dove ogni elemento viene messo sullo stesso piano come in uno sterminato supermercato che seduce senza sosta con la sua variegata mercanzia. Cartelloni pubblicitari, insegne e prodotti industriali di ogni tipo diventano il contenuto delle opere, eseguite con tecniche che rispecchiano le moderne procedure utilizzate dai media tecnologici. Tra coloro che intercettano e sfruttano le enormi potenzialità della società consumistica per creare un’arte aperta a un pubblico vasto c’è Robert Indiana, al secolo Robert Clark. Classe 1928, Indiana è fra i protagonisti della Pop Art e colui che tra gli esponenti del movimento sa farsi più

di ogni altro lucido interprete di un periodo storico carico di promesse, cogliendone le aspettative così come le contraddizioni. Un’esposizione allestita nelle sale della Pinacoteca Comunale Casa Rusca a Locarno, curata da Rudy Chiappini, ci racconta il percorso creativo del maestro statunitense attraverso una ricca selezione di opere realizzate a partire dalla fine degli anni Cinquanta, momento in cui l’artista si trasferisce nella Grande Mela e avvia una nuova stagione di sperimentazioni. È proprio nella fervida realtà newyorchese di metà Novecento che Indiana approda – complice la frequentazione del pittore minimalista Ellsworth Kelly, suo vicino di loft nella zona portuale di Coenties Slip – a uno stile basato sulla geometrizzazione e sull’essenzialità compositiva che risulterà fondamentale per lo sviluppo negli anni successivi del suo tipico linguaggio iconico e immediato, sintesi perfetta tra semplificazione formale e complessità di significato. «Pittore dei segni» si è autodefinito Indiana, la cui arte mescola parole e immagini imbevute di richiami storici e culturali, e non da ultimo di riferimenti alle proprie esperienze di vita. L’artista non ha mancato anche di definire i suoi lavori, servendosi di tre aggettivi che ne racchiudono le peculiarità estetiche e le intenzioni: colorati, celebrativi e commemorativi. I simboli, i loghi e i numeri del variegato mondo dei consumi popolano le sue opere, rielaborati con ironia e provocazione. Le scritte e i marchi tratti dai cartelloni della pubblicità e dai segnali stradali, visti migliaia di volte durante i suoi numerosi viaggi, costituiscono l’ampio panorama figurativo attraverso cui Indiana dà espressione al proprio sentire. «Sono legato a un proposito all’antica» confessa l’artista: «non ho mai

Robert Indiana, Ms America, 2007, serigrafia. (©Robert Indiana -­ProLitteris Zurigo)

creato un dipinto che non contenesse un messaggio». I suoi sono messaggi istantanei, affidati a frasi a effetto che sanno imporsi con efficacia. Parole comuni dette e sentite infinite volte a cui l’artista sa infondere un’energia nuova che ne rafforza il senso. «Love» è indubbiamente la più celebre di quelle da lui utilizzate, un termine universale che Indiana ha voluto indagare nella sua essenza per farne «lo scheletro di tutto ciò che tale parola ha significato in tutte le varianti erotiche e religiose del tema». Partita come immagine di una cartolina natalizia del Museum of Modern Art di New York, nel 1966 Love diventa una scultura in alluminio policromo e per la sua forza visiva si trasforma in icona inequivocabile della Pop Art regalando al suo creatore gloria e fama. Non per niente l’opera LOVE Red ci accoglie anche nel cortile di Casa Rusca come emblema del linguaggio dell’artista statunitense:

seppur riprodotta e abusata all’inverosimile è un’immagine che ancora oggi rappresenta in maniera genuina non soltanto tutto ciò che fa parte della cultura di Indiana ma soprattutto il suo atteggiamento nei confronti dell’opera d’arte stessa, intesa come reale esperienza condivisa. Nella rassegna locarnese sono ben documentate le varie fasi del percorso dell’artista, dai primi dipinti astratti e dagli assemblaggi realizzati con materiale usurato fino agli esiti più recenti, dove campeggiano i simboli intramontabili dell’America, su tutti la divina Marilyn, così come nuovi segni ispirati alla tradizione orientale. Queste opere ci rivelano le tematiche care a Indiana, dalle utopie della sua patria alle cause per i diritti civili (ne è un esempio la tela dal titolo The Rebecca, del 1962) nonché gli imprescindibili riferimenti dell’artista ai più importanti poeti e scrittori americani (Crane, Melville, Whitman, solo per

citarne alcuni), ai pittori che hanno contribuito a creare la cultura visiva del paese all’inizio del Novecento e alla storia stessa dell’America, anche con le sue pagine buie e i suoi fallimenti, guardata ora con solennità ora con cinismo. Nei lavori dell’artista le vicende di una nazione intera si fondono con le vicende personali, il persistente richiamo alla civiltà a stelle e strisce si fonde con il pensiero più intimo. Le opere di Indiana riescono così a farsi espressione della sua profonda volontà di essere «un pittore americano di segni che tracciano la rotta, un pittore per la gente e un pittore per i pittori». Dove e quando

Robert Indiana. Pinacoteca Comunale Casa Rusca, Locarno. Fino al 13 agosto 2017. Orari: da ma a do 10.0012.00/14.00-17.00, lunedì chiuso. www.museocasarusca.ch

Stasera si può già vivere la magia della Piazza Grande: ingresso gratuito con il Prefestival e la proiezione di Due soldati di Marco Tullio Giordana. Da mercoledì via alla kermesse che, nonostante la crescita di dimensioni e il tappeto rosso, resta a misura umana, luogo di incontri quanto di visioni. In Piazza Grande inaugurerà Demain et tous les autre jours di Noemie Lvovski con Mathieu Amalric. Sullo schermo all’aperto passeranno anche la commedia Amori che non sanno stare al mondo di Francesca Comencini con Lucia Mascino, Chien di Samuel Benchetrit (noto per il bel Il condominio dei cuori infranti), Atomic Blonde con Charlize Theron, il pugilistico Sparring con Mathieu Kassovitz che ritirerà l’Excellence Award, l’azione Good Time di Ben e Joshua Safdie con Robert Pattinson già in concorso a Cannes. In chiusura ci sarà l’atteso film musicale svizzero Gotthard – One Life, One Soul di Kevin Merz. Tra i 18 titoli in gara per il Pardo d’oro Asteroidi dell’esordiente italiano Germano Maccioni, Lucky con Harry Dean Stanton e David Lynch e La telenovela errante del visionario cileno Raoul Ruiz (Pardo d’oro per Tres tristes tigres) ritrovato e concluso dopo la sua morte dalla compagna Valeria Sarmiento. Tra i favoriti ci sono Mrs. Fang del cinese Wang Bing e Good Luck di Ben Russel, ancora Madame Hyde di Serge Bozon con Isabelle Huppert tra thriller e commedia, El septimo dia di Jim MacKay, Charleston del romeno Andrei Cretulescu, Gemini di Aaron Katz e Wajib della palestinese Annemarie Jacir. Fuori concorso il cinema ticinese è rappresentato dal documentario Choisir à vingt ans di Villi Hermann sui disertori francesi della guerra d’Algeria. Un film che completa una lunga ricerca su un tema ancora scomodo e che fa parte della sezione Locarno 70 insieme ad altri dieci cineasti lanciati dal festival locarnese: Hermann vinse il Pardo nel ’77 con San Gottardo. Tra questi anche l’americano Todd Haynes (Carol) che riceverà il Pardo d’onore (mentre un altro andrà a Jean-Marie Straub). La truccatrice Esmé Sciaroni riceverà invece il Premio Cinema Ticino. Saranno parecchi gli ospiti, da Adrien Brody (premiato con il Leopard Club Award) a Nastassja Kinski, oltre a registi e interpreti dei film in gara. Tutte le informazioni su www.pardo.ch.

La conferenza stampa di presentazione: da sinistra, Mario Timbal Direttore operativo, Marco Solari Presidente, Carlo Chatrian Direttore artistico e Nadia Dresdi, Vicedirettrice artistica. (Stefano Spinelli)

Intervista a Carlo Chatrian Cambia nome, apre nuove sale, rinnova l’aspetto ma mantiene il suo animo cinefilo, libero e curioso: il 70° Locarno Festival si presenta da dopodomani al 12 agosto con un programma, al solito, ricco di proposte variegate. Abbiamo parlato dell’anniversario e delle proposte con il direttore artistico Carlo Chatrian. Settant’anni sono un traguardo importante e lo celebrate con nuovi spazi e una nuova immagine.

È un’identità che si rimodella nel solco di una linea tracciata nel corso del tempo. Il PalaCinema è la conclusione di un lungo percorso, se ne parla da una ventina d’anni, ed è una coincidenza fortunata che arrivi per il 70°. Per il festival è importante e utile avere tre sale nuove per ampliare l’offerta. Il rinnovo del GranRex, che ospiterà la retrospettiva «Tourneur», è un’ottima notizia che apre nuove prospettive. Una sala gestita direttamente da noi è un passo avanti e permetterà, come ho cercato di fare fin da inizio mandato, iniziative anche al di fuori dei dieci giorni di agosto. I Pardi d’onore andranno a JeanMarie Straub e Todd Haynes.

Straub e Haynes sono grandi cineasti e sono legati alla storia del Festival, per questo sono particolarmente felice di poterli premiare. Il primo film di Haynes, Poison, lasciò nel 1991 un’impronta forte in coloro che lo videro. Dire che oggi è uno dei più influenti

è quasi scontato. Presenteremo il suo ultimo film, Wonderstruck che è stato in concorso a Cannes, purtroppo non in Piazza Grande perché non c’erano i tempi necessari per programmarlo ma con una replica al Fevi che darà modo a tutti di vederlo. Straub, con la sua compagna Danielle Huillet, ha segnato la storia di Locarno: una ventina di suoi film è stata presentata qui, Sicilia!, che riproporremo, e Antigone, addirittura in piazza. Il suo rigore e i suoi lavori fuori formato parlano molto ai giovani cineasti. L’idea del 70° è che sia un omaggio alla storia ribaltandola verso il futuro. Se si può parlare in termini di cinema del passato, ci sono due proposte come La telenovela errante di Raoul Ruiz, girato nel ’90 che è in concorso, e Grandeur et décadence d’un petit commerce de cinéma di Jean-Luc Godard del 1986.

L’età anagrafica di un film conta poco, contano qualità, linguaggio e forza della comunicazione. Questi film sono due casi diversi. Il film di Ruiz non è mai stato finito, è un vero inedito. Sembrava perso ma è stato ritrovato e la sua compagna Valeria Sarmiento l’ha terminato. È di un’attualità assoluta, parla del Cile di Pinochet come se fosse una telenovela, ma racconta dell’oggi e della smaterializzazione in cui viviamo. Un tema presente anche nel cinese Dragonfly Eyes che è in concorso. Quello di Godard è sempre stato visto in video e in tv, ora è stato

trasferito su dcp per una circuitazione in sala e avrà una nuova vita. Ha forza linguistica e di sperimentazione. La retrospettiva è uno dei punti di forza tradizionali del Festival ed è dedicata a Jacques Tourneur, regista che ha realizzato film importanti e visti come Il bacio della pantera, ma il cui nome forse non è molto noto al grande pubblico.

Tourneur è insieme riconosciuto e da scoprire. Alcuni film, come anche Le catene della colpa o Ho camminato con uno zombi, sono molto visti. Buona parte della sua carriera è invece da scoprire: sono da vedere anche i suoi cortometraggi, molto efficaci. La sua riflessione sulla paura è molto attuale, soprattutto rispetto al diverso, che spesso è dentro di noi. È importante per me che sia un regista che ha lavorato su diversi generi, perché negli ultimi anni i cineasti indipendenti sono tornati a usare il genere. La retrospettiva da un lato serve a riscoprire, dall’altro a dialogare con il presente. Passiamo al cinema prodotto oggi. In conferenza stampa ha sottolineato le presenze francesi e americane.

Sì, in piazza abbiamo quattro film di produzione francese, molto diversi tra loro, e ne siamo contenti. In concorso abbiamo quattro americani e questo è più inusuale, ma sono opere che ci hanno colpito per i personaggi, come Lucky, le atmosfere, penso a Gemini,

la forza del racconto, è il caso di Did You Wonder Who Fired The Gun?, o per una commedia particolare come En el septimo dia, tra i messicani di New York, legati dalla passione per il calcio. È un film carico di umanità, una caratteristica che torna in diverse sezioni. Per me il cinema è l’arte che racconta l’uomo e questo aspetto è presente in modo più forte rispetto all’anno passato. Il cinema svizzero è ben rappresentato ma non in maniera massiccia.

Cinema svizzero a Locarno significa qualità e non quantità. Non abbiamo dei numeri minimi da rispettare, cerchiamo i film giusti, quelli che ne rappresentano la varietà e lo sforzo di rinnovarsi ed essere competitivo. In apertura abbiamo un’opera forte come il documentario di Sabine Gisiger. Ci sono due film in piazza, Goliath in concorso è molto atteso. Sono felice per la presenza in Cineasti del presente di Dene wos guet geit di Cyril Schäublin, che ha seguito la nostra Filmmakers Academy. Quale sarà la sorpresa del festival?

È un programma generoso, per pubblici diversi, con tanti ospiti: Fanny Ardant, Nastassja Kinski, Vanessa Paradis, Irrfan Khan e altri. Spero ci saranno diversi film che arriveranno in modo sorprendente, citarne uno solo farebbe torto agli altri. Sorprese ce ne saranno molte.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 31 luglio 2017 • N. 31

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Cultura e Spettacoli Blondie la bionda è tornata Uno dei più importanti gruppi della scena New Wave propone un nuovo disco, Pollinator

Noi e loro, gli animali Guido Guerzoni ha pubblicato un saggio sul cambiamento della relazione tra esseri umani e animali

A Losanna è troppo Una mostra interattiva si china sul nostro complesso rapporto con il superfluo

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La musica degli Stern A colloquio con il grande chitarrista statunitense Mike Stern, uno dei protagonisti di Estival Jazz pagina 31

Il Pardo, sempre sorprendente Locarno Festival In programma i tanti diversi cinema di oggi e quelli di ieri: da scoprire, rivedere, rivalutare

o che hanno ancora qualcosa da dire sull’attualità. Nicola Falcinella La missione di Locarno Festival non cambia, ma si aggiorna, nell’aspetto e negli strumenti. Una trasformazione nella continuità per celebrare al meglio il traguardo delle 70 edizioni. Confermate le sezioni consolidatesi negli anni, con la trasformazione in competitiva anche di Signs of Life dedicata a un cinema più di ricerca e «spirituale», lo spettatore non ha che l’imbarazzo della scelta, tra oltre 200 titoli: film di intrattenimento, pellicole del passato e lavori completamente da scoprire, di autori mai sentiti o esordienti. Una possibilità per muoversi nella vastità delle proposte è crearsi percorsi lasciandosi guidare dalle suggestioni e dall’ignoto.

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Robert Indiana e l’America Mostre A Locarno la mostra personale

del maestro della Pop Art

L’apertura del nuovo PalaCinema giunge a coronamento di un progetto atteso da tempo

Alessia Brughera All’inizio degli anni Sessanta il clima americano è caratterizzato dall’invasione nella vita di tutti i giorni di un massiccio quantitativo di prodotti di consumo e delle relative immagini pubblicitarie. È in questo momento di particolare opulenza per il paese che nasce la Pop Art, senza dubbio il movimento più autenticamente rappresentativo dell’America in tutti i suoi aspetti, culturali e popolari. Costretti a vivere in una realtà conquistata dall’oggetto e dalla propaganda, gli artisti prelevano i materiali, concettuali o concreti, da un magazzino di merci, di figure e di sensazioni che passano attraverso la produzione industriale e i media. Interessati a tutto ciò che li circonda, si aprono a varie forme di comunicazione quali i fumetti, la pubblicità e i rotocalchi, consapevoli del fatto che l’arte debba adesso farsi portavoce di una nuova visione incarnata dall’affollata quotidianità. Gli artisti della Pop Art non giudicano: tutte le immagini possono partecipare al farsi dell’opera. Non c’è più alcuna distinzione tra bello e brutto, tra bene e male. La realtà entra con prepotenza nel processo estetico, dove ogni elemento viene messo sullo stesso piano come in uno sterminato supermercato che seduce senza sosta con la sua variegata mercanzia. Cartelloni pubblicitari, insegne e prodotti industriali di ogni tipo diventano il contenuto delle opere, eseguite con tecniche che rispecchiano le moderne procedure utilizzate dai media tecnologici. Tra coloro che intercettano e sfruttano le enormi potenzialità della società consumistica per creare un’arte aperta a un pubblico vasto c’è Robert Indiana, al secolo Robert Clark. Classe 1928, Indiana è fra i protagonisti della Pop Art e colui che tra gli esponenti del movimento sa farsi più

di ogni altro lucido interprete di un periodo storico carico di promesse, cogliendone le aspettative così come le contraddizioni. Un’esposizione allestita nelle sale della Pinacoteca Comunale Casa Rusca a Locarno, curata da Rudy Chiappini, ci racconta il percorso creativo del maestro statunitense attraverso una ricca selezione di opere realizzate a partire dalla fine degli anni Cinquanta, momento in cui l’artista si trasferisce nella Grande Mela e avvia una nuova stagione di sperimentazioni. È proprio nella fervida realtà newyorchese di metà Novecento che Indiana approda – complice la frequentazione del pittore minimalista Ellsworth Kelly, suo vicino di loft nella zona portuale di Coenties Slip – a uno stile basato sulla geometrizzazione e sull’essenzialità compositiva che risulterà fondamentale per lo sviluppo negli anni successivi del suo tipico linguaggio iconico e immediato, sintesi perfetta tra semplificazione formale e complessità di significato. «Pittore dei segni» si è autodefinito Indiana, la cui arte mescola parole e immagini imbevute di richiami storici e culturali, e non da ultimo di riferimenti alle proprie esperienze di vita. L’artista non ha mancato anche di definire i suoi lavori, servendosi di tre aggettivi che ne racchiudono le peculiarità estetiche e le intenzioni: colorati, celebrativi e commemorativi. I simboli, i loghi e i numeri del variegato mondo dei consumi popolano le sue opere, rielaborati con ironia e provocazione. Le scritte e i marchi tratti dai cartelloni della pubblicità e dai segnali stradali, visti migliaia di volte durante i suoi numerosi viaggi, costituiscono l’ampio panorama figurativo attraverso cui Indiana dà espressione al proprio sentire. «Sono legato a un proposito all’antica» confessa l’artista: «non ho mai

Robert Indiana, Ms America, 2007, serigrafia. (©Robert Indiana -­ProLitteris Zurigo)

creato un dipinto che non contenesse un messaggio». I suoi sono messaggi istantanei, affidati a frasi a effetto che sanno imporsi con efficacia. Parole comuni dette e sentite infinite volte a cui l’artista sa infondere un’energia nuova che ne rafforza il senso. «Love» è indubbiamente la più celebre di quelle da lui utilizzate, un termine universale che Indiana ha voluto indagare nella sua essenza per farne «lo scheletro di tutto ciò che tale parola ha significato in tutte le varianti erotiche e religiose del tema». Partita come immagine di una cartolina natalizia del Museum of Modern Art di New York, nel 1966 Love diventa una scultura in alluminio policromo e per la sua forza visiva si trasforma in icona inequivocabile della Pop Art regalando al suo creatore gloria e fama. Non per niente l’opera LOVE Red ci accoglie anche nel cortile di Casa Rusca come emblema del linguaggio dell’artista statunitense:

seppur riprodotta e abusata all’inverosimile è un’immagine che ancora oggi rappresenta in maniera genuina non soltanto tutto ciò che fa parte della cultura di Indiana ma soprattutto il suo atteggiamento nei confronti dell’opera d’arte stessa, intesa come reale esperienza condivisa. Nella rassegna locarnese sono ben documentate le varie fasi del percorso dell’artista, dai primi dipinti astratti e dagli assemblaggi realizzati con materiale usurato fino agli esiti più recenti, dove campeggiano i simboli intramontabili dell’America, su tutti la divina Marilyn, così come nuovi segni ispirati alla tradizione orientale. Queste opere ci rivelano le tematiche care a Indiana, dalle utopie della sua patria alle cause per i diritti civili (ne è un esempio la tela dal titolo The Rebecca, del 1962) nonché gli imprescindibili riferimenti dell’artista ai più importanti poeti e scrittori americani (Crane, Melville, Whitman, solo per

citarne alcuni), ai pittori che hanno contribuito a creare la cultura visiva del paese all’inizio del Novecento e alla storia stessa dell’America, anche con le sue pagine buie e i suoi fallimenti, guardata ora con solennità ora con cinismo. Nei lavori dell’artista le vicende di una nazione intera si fondono con le vicende personali, il persistente richiamo alla civiltà a stelle e strisce si fonde con il pensiero più intimo. Le opere di Indiana riescono così a farsi espressione della sua profonda volontà di essere «un pittore americano di segni che tracciano la rotta, un pittore per la gente e un pittore per i pittori». Dove e quando

Robert Indiana. Pinacoteca Comunale Casa Rusca, Locarno. Fino al 13 agosto 2017. Orari: da ma a do 10.0012.00/14.00-17.00, lunedì chiuso. www.museocasarusca.ch

Stasera si può già vivere la magia della Piazza Grande: ingresso gratuito con il Prefestival e la proiezione di Due soldati di Marco Tullio Giordana. Da mercoledì via alla kermesse che, nonostante la crescita di dimensioni e il tappeto rosso, resta a misura umana, luogo di incontri quanto di visioni. In Piazza Grande inaugurerà Demain et tous les autre jours di Noemie Lvovski con Mathieu Amalric. Sullo schermo all’aperto passeranno anche la commedia Amori che non sanno stare al mondo di Francesca Comencini con Lucia Mascino, Chien di Samuel Benchetrit (noto per il bel Il condominio dei cuori infranti), Atomic Blonde con Charlize Theron, il pugilistico Sparring con Mathieu Kassovitz che ritirerà l’Excellence Award, l’azione Good Time di Ben e Joshua Safdie con Robert Pattinson già in concorso a Cannes. In chiusura ci sarà l’atteso film musicale svizzero Gotthard – One Life, One Soul di Kevin Merz. Tra i 18 titoli in gara per il Pardo d’oro Asteroidi dell’esordiente italiano Germano Maccioni, Lucky con Harry Dean Stanton e David Lynch e La telenovela errante del visionario cileno Raoul Ruiz (Pardo d’oro per Tres tristes tigres) ritrovato e concluso dopo la sua morte dalla compagna Valeria Sarmiento. Tra i favoriti ci sono Mrs. Fang del cinese Wang Bing e Good Luck di Ben Russel, ancora Madame Hyde di Serge Bozon con Isabelle Huppert tra thriller e commedia, El septimo dia di Jim MacKay, Charleston del romeno Andrei Cretulescu, Gemini di Aaron Katz e Wajib della palestinese Annemarie Jacir. Fuori concorso il cinema ticinese è rappresentato dal documentario Choisir à vingt ans di Villi Hermann sui disertori francesi della guerra d’Algeria. Un film che completa una lunga ricerca su un tema ancora scomodo e che fa parte della sezione Locarno 70 insieme ad altri dieci cineasti lanciati dal festival locarnese: Hermann vinse il Pardo nel ’77 con San Gottardo. Tra questi anche l’americano Todd Haynes (Carol) che riceverà il Pardo d’onore (mentre un altro andrà a Jean-Marie Straub). La truccatrice Esmé Sciaroni riceverà invece il Premio Cinema Ticino. Saranno parecchi gli ospiti, da Adrien Brody (premiato con il Leopard Club Award) a Nastassja Kinski, oltre a registi e interpreti dei film in gara. Tutte le informazioni su www.pardo.ch.

La conferenza stampa di presentazione: da sinistra, Mario Timbal Direttore operativo, Marco Solari Presidente, Carlo Chatrian Direttore artistico e Nadia Dresdi, Vicedirettrice artistica. (Stefano Spinelli)

Intervista a Carlo Chatrian Cambia nome, apre nuove sale, rinnova l’aspetto ma mantiene il suo animo cinefilo, libero e curioso: il 70° Locarno Festival si presenta da dopodomani al 12 agosto con un programma, al solito, ricco di proposte variegate. Abbiamo parlato dell’anniversario e delle proposte con il direttore artistico Carlo Chatrian. Settant’anni sono un traguardo importante e lo celebrate con nuovi spazi e una nuova immagine.

È un’identità che si rimodella nel solco di una linea tracciata nel corso del tempo. Il PalaCinema è la conclusione di un lungo percorso, se ne parla da una ventina d’anni, ed è una coincidenza fortunata che arrivi per il 70°. Per il festival è importante e utile avere tre sale nuove per ampliare l’offerta. Il rinnovo del GranRex, che ospiterà la retrospettiva «Tourneur», è un’ottima notizia che apre nuove prospettive. Una sala gestita direttamente da noi è un passo avanti e permetterà, come ho cercato di fare fin da inizio mandato, iniziative anche al di fuori dei dieci giorni di agosto. I Pardi d’onore andranno a JeanMarie Straub e Todd Haynes.

Straub e Haynes sono grandi cineasti e sono legati alla storia del Festival, per questo sono particolarmente felice di poterli premiare. Il primo film di Haynes, Poison, lasciò nel 1991 un’impronta forte in coloro che lo videro. Dire che oggi è uno dei più influenti

è quasi scontato. Presenteremo il suo ultimo film, Wonderstruck che è stato in concorso a Cannes, purtroppo non in Piazza Grande perché non c’erano i tempi necessari per programmarlo ma con una replica al Fevi che darà modo a tutti di vederlo. Straub, con la sua compagna Danielle Huillet, ha segnato la storia di Locarno: una ventina di suoi film è stata presentata qui, Sicilia!, che riproporremo, e Antigone, addirittura in piazza. Il suo rigore e i suoi lavori fuori formato parlano molto ai giovani cineasti. L’idea del 70° è che sia un omaggio alla storia ribaltandola verso il futuro. Se si può parlare in termini di cinema del passato, ci sono due proposte come La telenovela errante di Raoul Ruiz, girato nel ’90 che è in concorso, e Grandeur et décadence d’un petit commerce de cinéma di Jean-Luc Godard del 1986.

L’età anagrafica di un film conta poco, contano qualità, linguaggio e forza della comunicazione. Questi film sono due casi diversi. Il film di Ruiz non è mai stato finito, è un vero inedito. Sembrava perso ma è stato ritrovato e la sua compagna Valeria Sarmiento l’ha terminato. È di un’attualità assoluta, parla del Cile di Pinochet come se fosse una telenovela, ma racconta dell’oggi e della smaterializzazione in cui viviamo. Un tema presente anche nel cinese Dragonfly Eyes che è in concorso. Quello di Godard è sempre stato visto in video e in tv, ora è stato

trasferito su dcp per una circuitazione in sala e avrà una nuova vita. Ha forza linguistica e di sperimentazione. La retrospettiva è uno dei punti di forza tradizionali del Festival ed è dedicata a Jacques Tourneur, regista che ha realizzato film importanti e visti come Il bacio della pantera, ma il cui nome forse non è molto noto al grande pubblico.

Tourneur è insieme riconosciuto e da scoprire. Alcuni film, come anche Le catene della colpa o Ho camminato con uno zombi, sono molto visti. Buona parte della sua carriera è invece da scoprire: sono da vedere anche i suoi cortometraggi, molto efficaci. La sua riflessione sulla paura è molto attuale, soprattutto rispetto al diverso, che spesso è dentro di noi. È importante per me che sia un regista che ha lavorato su diversi generi, perché negli ultimi anni i cineasti indipendenti sono tornati a usare il genere. La retrospettiva da un lato serve a riscoprire, dall’altro a dialogare con il presente. Passiamo al cinema prodotto oggi. In conferenza stampa ha sottolineato le presenze francesi e americane.

Sì, in piazza abbiamo quattro film di produzione francese, molto diversi tra loro, e ne siamo contenti. In concorso abbiamo quattro americani e questo è più inusuale, ma sono opere che ci hanno colpito per i personaggi, come Lucky, le atmosfere, penso a Gemini,

la forza del racconto, è il caso di Did You Wonder Who Fired The Gun?, o per una commedia particolare come En el septimo dia, tra i messicani di New York, legati dalla passione per il calcio. È un film carico di umanità, una caratteristica che torna in diverse sezioni. Per me il cinema è l’arte che racconta l’uomo e questo aspetto è presente in modo più forte rispetto all’anno passato. Il cinema svizzero è ben rappresentato ma non in maniera massiccia.

Cinema svizzero a Locarno significa qualità e non quantità. Non abbiamo dei numeri minimi da rispettare, cerchiamo i film giusti, quelli che ne rappresentano la varietà e lo sforzo di rinnovarsi ed essere competitivo. In apertura abbiamo un’opera forte come il documentario di Sabine Gisiger. Ci sono due film in piazza, Goliath in concorso è molto atteso. Sono felice per la presenza in Cineasti del presente di Dene wos guet geit di Cyril Schäublin, che ha seguito la nostra Filmmakers Academy. Quale sarà la sorpresa del festival?

È un programma generoso, per pubblici diversi, con tanti ospiti: Fanny Ardant, Nastassja Kinski, Vanessa Paradis, Irrfan Khan e altri. Spero ci saranno diversi film che arriveranno in modo sorprendente, citarne uno solo farebbe torto agli altri. Sorprese ce ne saranno molte.


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Cultura e Spettacoli

La bella Deborah è tornata

CD Il nuovo disco della storica formazione americana conferma come l’attuale revival dell’elettro-pop

anni 80-90 sia ormai un fenomeno internazionale

Benedicta Froelich Per quanto non tutti forse apprezzino il profondo alone nostalgico che in questi ultimi tempi ha pervaso il ricordo della musica e cultura popolare degli anni 80, non si può tuttavia negare come la patinata ma, tutto sommato, sincera innocenza degli artisti di allora sembri oggi lontanissima – e, forse per questo, ben più desiderabile. È quindi con una curiosità soffusa della malinconia di ricordi ormai lontani che chi scrive si è predisposto all’ascolto del nuovo, attesissimo album della formazione statunitense dei Blondie, storico gruppo capitanato dalla diafana «post-punk girl» Debbie Harris e responsabile, tra il 1978 e il 1982, di innumerevoli hit da classifica: e dopo un silenzio di ormai tre anni, le aspettative non sono state deluse, poiché questo Pollinator è a tutti gli effetti un vero e proprio «viaggio nel tempo», al punto da risultare quasi anacronistico nel suo proporre sonorità assolutamente datate e reminiscenti del miglior elettro-pop dei tempi andati. L’esempio forse più calzante di ciò è proprio la traccia d’apertura, Doom or Destiny, che, pur non distinguendosi certo per originalità, offre agli appassionati del gruppo un rock carico e suggestivo, aggressivo al punto giusto e talmente fresco da poter apparire come il lavoro di una band emergente di imberbi ventenni; mentre, da parte sua, la traccia successiva, Long Time,

costituisce una non troppo velata rievocazione di classici intramontabili dei Blondie quali Heart of Glass. Il rischio insito in una simile «operazione nostalgia» è, purtroppo, evidente per chiunque sia uso masticare musica dal sapore revival: risulta infatti difficile sfuggire a una certa sensazione di noia, almeno nella prima parte del CD, composta quasi esclusivamente da brani fortemente uptempo e trascinanti come Already Naked e Fun, i quali, per quanto più che gradevoli, alla lunga tendono a confondersi un po’ tra loro. Detto questo, è comunque probabile che i fan più sfegatati della formazione non avranno troppo di che lamentarsi al riguardo, data la semplice e innegabile gioia di aver ritrovato la propria band preferita in perfetta forma: Pollinator è infatti, per molti versi, un CD elettrizzante e molto meno smaliziato di quel che ci si sarebbe potuti aspettare da un gruppo con oltre quarant’anni di storia alle spalle – e che, non a caso, stavolta ha deciso di avvalersi di diversi songwriter esterni. Ecco quindi che le cose cambiano in meglio con pezzi immaginifici e carichi di tensione narrativa quali My Monster – non a caso composto da Johnny Marr, l’uomo che, insieme all’iroso Morrissey, ha costituito la mente creativa della compianta formazione britannica degli Smiths – e l’intrigante Best Day Ever (cofirmato da Sia), che sembra abbandonare per

Qualche novità, ma il sound originale è ancora perfettamente riconoscibile.

un attimo i ritmi frenetici delle tracce precedenti per offrire suggestioni più introspettive («se continuiamo a fissarci negli occhi, proveremo meno dolore»). Ma i brani migliori dell’album, in grado di distinguersi marcatamente dal resto della tracklist, sono senz’altro le ballate amare When I Gave Up on You – in bilico tra l’umorismo graffiante a cui la Harris ci ha abituati e la sottile frustrazione di matrice amoro-

sa – e l’ancor più nichilista e dolente Fragments, cover di un pezzo dell’artista indie canadese Adam Johnston, conosciuto con il nome d’arte di «an Unkindness»: una traccia di grande efficacia, che stupisce l’ascoltatore con un attacco lento e riflessivo per poi lasciare spazio a un’esplosione di irresistibile energia. Torniamo invece a una certa, più uniforme convenzionalità con pez-

zi quali Gravity e Too Much, troppo affini ai classici prodotti costruiti a tavolino per compiacere il pubblico dell’easy listening radiofonico – come si evince dal fatto che, al pari della maggior parte della tracklist, anche questi brani sono afflitti da un eccessivo impiego di campionamenti elettronici, filtri vocali e auto-tune. Una nota a parte merita però l’esuberante Love Level, perfetto esempio di hit radiofonica di richiamo, nonché uno dei brani di Pollinator etichettati con la famigerata definizione di «explicit», ormai da anni impiegata per bollare qualsiasi canzone rea di contenere liriche ritenute volgari od offensive. In questo caso, tuttavia, l’unica colpa del pezzo in questione è quella di contenere qualche blando riferimento sessuale; ma ciò che davvero lo distingue dal resto della tracklist è piuttosto il fatto di essere frutto di una collaborazione con il comico e attore John Roberts, i cui scoppiettanti inserti vocali dal sapore vagamente hip hop rendono Love Level uno degli sforzi migliori presenti nel CD. Tutte ragioni per le quali Pollinator può infine definirsi una prova di rinnovato successo per i Blondie, in grado di competere con molto dell’odierno pop-rock di matrice elettronica: una soddisfazione non solo per i fan di vecchia data, ma anche per il pubblico giovanile, che ben farebbe a chiedersi da dove derivino le sonorità tipiche di certe band attualmente sulla cresta dell’onda. Annuncio pubblicitario

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Cultura e Spettacoli Un dettaglio della simpatica copertina del libro di Guido Guerzoni.

L’alfa e la beta

Pubblicazioni Disegni, colori, la creatività

delle lettere dell’alfabeto in un libro di Lino Di Lallo

Stefano Vassere «La A sta tenacemente all’inizio dei nomi dei continenti – Asia, Africa, America, Australia – sebbene tali denominazioni appartengano a lingue diverse. Forse al di là dell’oggi, in queste parole resuscita la A, sillaba che nella prelingua significava la terraferma».

Lino di Lallo, architetto, scrittore e artista, ha realizzato un libro curioso da regalare, da sfogliare con gli amici, su cui ritornare

Figli quadrupedi di genitori bipedi Saggi Un coinvolgente libro di Guido Guerzoni sull’evoluzione

del rapporto tra umani e animali

Giovanni Fattorini Pet è un vocabolo anglosassone di uso internazionale che designa in modo generico un animale domestico (l’equivalente italiano è animale da compagnia, d’affezione, di diletto), e in un’accezione più articolata e personale: «un animale domestico trattato con inusuale considerazione come un bambino coccolato e di solito viziato». È la definizione proposta da Guido Guerzoni in un libro edito da Feltrinelli che s’intitola Pets. Come gli animali domestici hanno invaso le nostre case e i nostri cuori. Un libro, scrive Guerzoni, che è «frutto delle mie vicende biografiche e specchio delle incredibili trasformazioni che il nostro rapporto con gli animali, non solo quelli domestici, ha registrato nel corso degli ultimi cinquant’anni, di cui sono stato un modestissimo osservatore». «Umanizzazione» e «parentizzazione» sono i processi che a partire dagli anni Novanta del secolo scorso sempre più vistosamente si accompagnano all’aumento globale degli animali domestici. All’origine del primo processo, in Occidente, Guerzoni addita «i pronunciamenti a favore di un’etica filo-animalista espressi da Leibniz, Voltaire e Bentham». Fondamentali tappe successive: le teorie darwiniane; gli studi scientifici che hanno dimostrato come molti animali provano sensazioni ed emozioni simili alle nostre, e sono in grado di comunicare attraverso linguaggi specie-specifici; il libro di Peter Singer Animal Liberation. A New Ethics for Our Treatment of Animals (1975), considerato il manifesto dell’antispecismo, in quanto contesta la superiorità dell’homo sapiens sulle altre specie animali; il riconoscimento giuridico che gli animali sono esseri senzienti, e conseguentemente soggetto di diritto.

«Dall’umanizzazione alla parentizzazione il passo è stato breve»: cani e gatti (ma ci sono pet lovers – sia pure in numero decisamente inferiore – che prediligono pesci e tartarughe, uccelli, conigli, criceti, o animali esotici di varia specie), da una ventina d’anni almeno non sono più considerati dei generici membri di un nucleo familiare, ma vengono trattati come figli, sicché «la nuova condizione di ‘genitori’ è oggi felicemente e orgogliosamente rivendicata dal 70-80% degli ex proprietari occidentali con minime variazioni su scala nazionale». Tant’è vero che non di rado sono oggetto di contesa per l’affidamento in cause di divorzio, o beneficiari di lasciti testamentari anche cospicui. Sul piano sociodemografico, nella vastissima e variegata popolazione odierna dei pets lovers Guerzoni segnala tre segmenti emergenti. Il primo è rappresentato dai single (uomini e donne). Il secondo dagli over 65 («la letteratura clinica ha evidenziato gli innumerevoli benefici psicologici e fisiologici correlati alla cura dei pets, soprattutto tra le persone sole»). Il terzo è costituito dai cosiddetti DINKies (Double income no kids, coppie con doppio reddito/pensione senza/senza più figli), in così rapida ascesa «da essersi conquistati l’acronimo di DIPPies (Double income pampered pets, coppie con doppio reddito e pets coccolatissimi). Ironico e puntuale, Guerzoni illustra con dovizia di dati gli eccessi (esilaranti per alcuni, scandalosi o sgomentevoli per altri) a cui è giunto un «processo di umanizzazione progressiva o animalizzazione regressiva» che è strettamente legato, come quello di parentizzazione, a ragioni di business (ma non solo). Ecco dunque – mi limito a trascegliere da un vasto campionario – i siti e le app di incontri sessuali per animali che non hanno subito inter-

venti di sterilizzazione e castrazione. Ecco i pet hotels solo per loro. Ecco le innumerevoli e dispendiose creazioni della pet fashion. Ecco le lettiere, i passeggini e i trolley «firmati» (il trasportino-bauletto per cani di piccola taglia disegnato da Marc Jacobs per Vuitton costa 58.000 dollari). Ecco i sex shop con bambole per pets in grado di copulare. Ecco le palestre, le piscine, le polisportive con programmi specifici e macchine all’avanguardia. Ecco il fiorire di centri estetici, la moda del pet tattoing & piercing, gli interventi di chirurgia plastica. Ecco i ristoranti per pets only, un crescente numero dei quali con menu vegetariani o vegani, anche per ovviare all’aumento di allergie e intolleranze alimentari, nonché a quello dell’obesità, combattuta altresì con diete ipocaloriche e soggiorni in comunità terapeutiche. Alimentazione e medicinali sono «il grande business dell’animal care». La vita dei «figli pelosi» si è allungata, al pari di quella dei loro «genitori». «Così, poiché invecchiano come noi, oggi i pets patiscono gli stessi malanni», anche di natura psichica (stati ansiosi cronici, depressione). Curarli costa caro, a volte carissimo. «Sebbene le opinioni siano controverse», scrive Guerzoni «io sono personalmente favorevole a questa evoluzione dei rapporti tra umani e animali. La considero una prova di amore, un atto di generosità, un segno di civiltà, il riconoscimento di diritti – alla salute e al riposo – negati per secoli a chi non aveva scelta tra lavorare “come una bestia” o essere mangiato, sovente dopo un’esistenza di violenze, sofferenze e privazioni.»

Parlare degli alfabeti, delle singole lettere, ma anche del loro strutturarsi in un sistema che le accomuni, significa percorrere territori che solo in parte possono chiamarsi con i nomi della linguistica e della teoria dei linguaggi. La famiglia è piuttosto articolata, perché il concetto un po’ scappa via: dai pittogrammi, agli ideogrammi, dalla scrittura sillabica a quella strettamente alfabetica, un alfabeto può avere un aspetto iconico che ricordi nei segni i concetti espressi, oppure un approdo semplicemente simbolico, dove il simbolo non c’entra nulla con il contenuto espresso, figuriamoci con un suono. In un paesaggio concettuale così ricco e complesso era chiaro che la letteratura e anche la grafica e la pittura nuotassero con agio e profitto e fa un bel colpo Lino Di Lallo, con questo suo Alphabeto dell’editore Il Formichiere di Foligno, a raccogliere con entusiasmo di colore, forme e testi una sorta di antologia alfabetica in forma di libro. Il libro di Lino Di Lallo presenta le lettere, i loro colori e le loro forme: l’alfabeto è presentato nelle sue possibili espressioni linguistiche, ma anche in quelle grafiche. La serie si apre appropriatamente con le parole di Roland Barthes: «La scrittura è fatta di lettere, e sia. Ma di che cosa sono fatte le lettere?». E poi Di Lallo, qualche pagina più in là: «se è dunque vero che i conati imitativi sono improduttivi e che l’anima, come afferma Gadda, si governa per alfabeti, pare più che opportuna

Bibliografia

Guido Guerzoni, Pets. Come gli animali domestici hanno invaso le nostre case e i nostri cuori, Feltrinelli, pp. 248, € 17

Un percorso di lettura originale, tutto da inventare.

una rielaborazione creativa delle lettere dell’alfabeto». E allora via con la A torre Eiffel, «tenda da campo dell’alfabeto» (gli autori, alcuni classici e altri no, li trovi direttamente il lettore), «l’abbraccio di due amici che si stringono la mano». E la B? La «B è la balia dell’alfabeto», «non smette mai di scoccare la sua freccia». «D è il dorso; B è la D sulla D, il dorso sul dorso, cioè la gobba». «Soltanto la b della effe può farsi beffe». La sequenza alfabetica orizzontale ha, a pagina 161, un tonfo improvviso dopo la m, siamo «sull’orlo del nabisso». La O, dell’alfabeto, è lo sbadiglio. «E la S? Ss! può sentirti. E la S e la T? St! possono sentirti». «O – Che sorpresa! che meraviglia! Ma che sorpresa grata! Che schiettezza rozza, ma maschia in quella lettera!». E la Z? «Si può spaziare da A a Z. Ma dopo?». Già, e dopo? Dopo è finito il libro. I libri strani e particolari come questo pongono subito, nella vertigine data da un quasi allucinato piacere di lettura, un problema fondamentale: come si legge, proprio fisicamente, un libro di questo tipo? C’è una mappa, un percorso dato dal succedersi alfabetico delle lettere: si comincia con la a, si procede con b e una via – per carità! – alla fine la si trova. Poi però il lettore riemerso da un disorientamento iniziale si scoprirà a compulsare pagine avanti e indietro, dapprima bramoso di trovare un indice-logica che gli dica «sì, parto da qui arrivo lì passando per là», poi costretto a fermarsi da sirene grafiche e contenutistiche di vario tipo. Ha note a piè di pagina che lo riportano con i piedi per terra, ha il conforto di qualche autore caro, magari anche di brani e testi che riconosce. Ma il pregio di un libro come questo è dato anche dalla ginnastica cognitiva cui il lettore, anche il più smaliziato ed esperto, è costretto a praticare. Non ha un principio e una fine, come i libri fantastici di taluna grande letteratura classica; non è lettura da caminetto o da comodino; induce a volerci tornare, ad aprire pagine in faccia ad amici, a maneggiare, a puntarne passi con le dita, a consumare margini, a regalarlo. Bibliografia

Lino Di Lallo, Alphabeto, Foligno, Il Formichiere, 2015.


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Cultura e Spettacoli

Quando il troppo stroppia Mostre Un’originale esposizione al Museo romano di Losanna-Vidy invita il visitatore a riflettere Marco Horat Dovete decidere se andare a fare la spesa o visitare una bella mostra? Ebbene il museo romano di Losanna-Vidy concilia i termini del problema proponendovi una provocatoria esposizione intitolata Trop c’est trop, mythes et limites. «L’idea – spiega Sophie Weber, curatrice della mostra – è di partire dalla mitologia e di metterla in relazione con il comportamento umano contemporaneo. E il luogo ideale per mettere in scena questo confronto mi è sembrato il supermercato, il tempio moderno dedicato al consumo. Così ne abbiamo creato uno all’interno del museo». Si entra infatti nella mostra proprio come in un moderno centro commerciale con tanto di scaffali, vetrine, video e jingle pubblicitari che invitano all’acquisto dei prodotti in esposizione. Si chiama Hubris, dal greco Hybris che significa eccesso, superamento dei limiti. Ci si rifà al principio, presente in tutte le cosmogonie, secondo il quale gli dèi hanno stabilito per l’uomo confini oltre i quali non andare, pena il ritorno al caos iniziale. Per i greci era Giove che castigava i trasgressori, nella religione cristiana è lo stesso Dio che scaccia Adamo ed Eva dal paradiso. «Partiamo da lontano per arrivare ai nostri giorni – continua Sophie Weber – documentando ricerche scientifiche in corso attraverso dei video; poi, calcando un po’ la mano, vediamo gli eccessi della nostra società e su questi vogliamo far riflettere il visitatore in modo paradossale, con una vena di fan-

tasia e umorismo. Ma l’umanità deve davvero cambiare strada». Sei grandi sezioni con al centro un reperto archeologico proveniente da scavi nella regione, ognuna legata con un mito emblematico della Grecia classica. Un’ascia di ferro di epoca romana introduce la figura di Erisittone, spudorato re della Tessaglia che non esitò ad abbattere una foresta sacra a Demetra; sarà punito con una fame insaziabile che lo porterà a mangiarsi perfino le interiora. È il simbolo del non rispetto della natura, valore al quale siamo oggi sensibili, almeno a parole. Sugli scaffali di Hubris potete acquistare, in barba all’ecologia e alle specie animali protette: portafogli in pelle di Okapi, poggiatesta per la vostra auto in pelliccia di tigre siberiana, pâté di gorilla, suprême di orso polare con fegato di albatros e altre preziose leccornie espressamente create per l’occasione. Nella sezione dedicata a Prometeo, colui che trasgredì l’ordine celeste portando il fuoco della conoscenza all’uomo e quindi togliendolo dalla condizione animale, si parla invece di genetica e di tutto ciò che concerne la modifica di organismi naturali. Ci sono carciofi al cuore di cioccolato da preparare nel microonde, patate che si sbucciano da sole, uova con cinque tuorli, banane che durano un anno, aragoste incrociate con tonno a basso prezzo, latte di mucca arricchito con geni umani. (Questo prodotto lo potreste forse trovare presto in commercio, se è vero che in Argentina sono in corso esperimenti per rendere il latte

Gamma «Fleur du mâle»: la scelta migliore per un neonato perfetto!

digeribile anche per i neonati umani più sensibili). Modificando geneticamente gli animali domestici potremo ottenere piccoli mostriciattoli tra loro incrociati che deporranno escrementi profumati alla fragola; in mostra è possibile virtualmente crearne uno utilizzando una macchina chiamata Multipet. Dedalo è presente con un bronzetto da Vallon e un medaglione romano. Fu colui che fabbricò ali di cera per il figlio Icaro, il quale volando troppo vicino al sole, cadde nel Po e vi morì, lasciando il padre inconsolabile. Il tema affrontato è quello della deriva tecnologica dei nostri giorni: braccia meccaniche supplementari per le donne che lavorano in casa, ma anche memorie artificiali nelle quali stivare i ricordi di tutta una vita, direttamente collegabili al cervello e trasmissibili. Così al super-

mercato di Vidy si possono acquistare quelli di varie personalità – astronauti, archeologi, sportivi, genitori, ecc. – e incamerare intere enciclopedie. Con la figura di Esculapio entriamo nel campo della medicina. Il grande medico che cercava di far resuscitare i morti fu per questo punito dagli dèi, ma oggi la ricerca e le applicazioni della scienza si muovono nella sua stessa direzione. L’eterna gioventù è il mito efficientista dei nostri giorni, si lavora sulle cellule per ottenere tessuti rigenerabili quando non organi interi con i quali sostituire quelli avariati; cambiare un cuore come si cambia uno pneumatico. Ma nel nostro negozio virtuale nella sezione Les fleurs du mâle potete fare di più: scegliere tra un’infinità di provette garantite lo sperma che più vi aggrada per concepire un bambino che sarà

sportivo, intellettuale, asiatico, rockstar e via dicendo. Dei miti di Narciso e l’amore, di re Mida e la ricchezza lascio a voi il piacere della scoperta. All’uscita dovrete passare alla cassa che vi fornirà non il conto ma i dati ambientali del pianeta terra. A questo punto un muro vi impedisce però di uscire dalle follie di Hubris, costringendovi a cercare una via di soccorso, per voi e per tutta l’umanità... dove vi aspetta una sorpresa. «Vogliamo sottolineare come il progresso della società e della scienza – conclude Sophie Weber – non sempre coincidano con un progresso etico e con un concetto di sostenibilità dal profilo umano e ambientale. Bisogna fare qualcosa per invertire questo trend. Non si può pensare che la felicità consista solo nel possedere oggetti sempre più tecnologicamente avanzati, gadget costosi quanto inutili, simboli di ricchezza fini a sé stessi per essere alla moda. Per questo il percorso si conclude con la figura di Ulisse, il quale rifiutando l’eterna gioventù e le ricchezze che Calipso gli offriva in cambio dei suoi favori, preferì saggiamente tornare alla sua casa, da sua moglie e nella sua patria». Insomma: cosa è che rende davvero felice un uomo a questo mondo? Dove e quando

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 31 luglio 2017 • N. 31

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Cultura e Spettacoli

A colazione con la famiglia Stern

Intervista Incontro con il chitarrista americano che è stato uno dei mattatori dell’edizione 2017 di Estival Jazz

Alessandro Zanoli Avrebbe dovuto partecipare ad Estival già nell’edizione 2016, ma un brutto incidente (una caduta per strada) gli aveva procurato una frattura al braccio. Il chitarrista newyorkese per un anno ha lottato con le difficoltà del suo recupero. Raggiunto un livello soddisfacente di padronanza tecnica (tanto da aver registrato un nuovo album), quest’anno Mike Stern è felicemente ritornato a Lugano. C’era grande attesa nel pubblico che ama la sua musica: persino il suo sound check, il pomeriggio sotto il sole che arroventava Piazza Riforma, era discretamente gremito. Mike Stern è, come direbbe Jacky Marti, un vero «amico di Estival». Sono innumerevoli le sue apparizioni a cui abbiamo assistito, nel corso degli ultimi 30 anni, con le formazioni più varie, ma sempre con l’incredibile grinta che caratterizza il suo approccio roccheggiante al jazz. Mike è infatti celebre per essere stato scelto da Miles Davis agli inizi degli anni 80, per far parte di un gruppo di jazz elettrico che ha cambiato la storia di questa musica. Da allora in poi il suo robusto sound ha influenzato migliaia di musicisti e ha segnato un punto fermo, stilistico e compositivo. Una cosa che non si conosce molto di Stern è, in realtà, la sua fortunata situazione famigliare. Mike è in effetti sposato da decenni con una bellissima e bravissima chitarrista, Leni Stern. I due si erano conosciuti negli anni 80 a Berkeley, la celebre scuola jazz di Boston. Da allora hanno vissuto due carriere indipendenti, ognuno con il proprio stile e la propria personalità, ma sempre pronti a collaborare nei reciproci progetti. Più interessata alla musica etnica, Leni Stern ha realizzato nel corso degli anni dischi molto interessanti con strumentisti africani, tra cui il bassista Richard Bona.

Il suo nuovo disco Trip, uscirà in settembre. (Sandrine Lee)

Anche sull’ultimo album di Mike Stern, Trip, il chitarrista ha sollecitato la collaborazione della moglie Leni. Gli abbiamo chiesto di parlarcene. «Molto volentieri!» ha risposto il chitarrista che è sicuramente uno dei principali estimatori del lavoro di sua moglie. «Leni aveva già collaborato con me nei miei due dischi precedenti. Va detto che ho scelto dare all’album il titolo di Trip, riferendomi esplicitamente alla mia brutta esperienza, il mio bad trip, che vorrei

però trasformare in un bel viaggio, un good trip. In due pezzi dell’album Leni suona lo n’goni, uno strumento africano. Lei predilige la world music. È una strumentista eccellente, davvero brava. A casa suoniamo moltissimo insieme, anche pezzi di John Coltrane, brani complicati, e lei li suona molto bene. Anzi: spesso, come si dice, “mi dà proprio la birra”...». Certo pensando alla situazione di due chitarristi in casa, viene da chiedersi di cosa parlino i coniugi

Stern a colazione al mattino: di chitarre? di corde, accordature, amplificatori? «(Ride, molto contento, NdR) Leni prima di tutto prepara una colazione stupenda e poi parliamo di tutto, di ciò che succede in giro: ma poi suoniamo! Normalmente suoniamo tutte le mattine». Ci immaginiamo quindi una «casa Stern» piena di chitarre... «Beh, abbastanza» risponde Mike Stern. «Ma la cosa che ci piace di più sono i gatti. Non abbiamo potuto avere figli, anche

se li volevamo. Leni ha avuto un tumore al seno, trent’anni fa... In effetti la sua esperienza difficile è stata una delle spinte che mi hanno aiutato a riprendermi. La sua tenacia mi ha ispirato, perché quando si era ammalata era partita in tournée a suonare, anche se stava subendo la chemioterapia. In quel periodo suonava con Don Alias, musicista che era stato con Miles. Leni ha avuto sempre gruppi con musicisti eccezionali, ha avuto Dennis Chambers come batterista. Ancora oggi suona con i migliori, ma lo faceva anche allora, nonostante la malattia. Così, quando hai una moglie tanto tosta, finisce che lei ti motiva anche a costo di usare la frusta, questo è sicuro... (ride di nuovo)». Visto quanto sono agonistici i chitarristi tra loro, viene da chiedersi se c’è competizione anche tra marito e moglie... «Certo che sì (ride). Oggi Leni suona in un gruppo che sta sperimentando nuove direzioni musicali. Ne fanno parte un percussionista del Senegal, e un bassista. Lei è più addentro nella musica africana di me, ma mi piace molto quello che fa, comunque. Si interessa molto anche di musica indiana, di tutti i tipi di musica, anche se quest’ultimo progetto lo porta avanti ormai da due anni». Leni Stern è dunque stata coinvolta dal marito anche nella nuova avventura discografica, messa in cantiere pochi mesi dopo l’incidente. «Su Trip Leni suona lo n’goni, una specie di arpa africana, e mi accompagna in due pezzi particolarmente delicati. Il primo si chiama Amelia, è un brano melodico “africano”, con un bel contrasto tra linee melodiche e accompagnamento di n’goni e di basso elettrico. Su questo pezzo io stesso ho cantato la melodia, doppiando il suono della mia chitarra. L’altro si chiama I believe in you». Si tratta di una ballad molto dolce, una specie di dichiarazione d’amore: un brano che infonde coraggio.

La bacchetta di Lorenzo

Incontri A colloquio con la giovane promessa della musica, il losannese con radici italiane Lorenzo Viotti Enrico Parola Lorenzo Viotti. Forse, anzi probabilmente sarà il nome di questo ragazzo nato 27 anni fa a Losanna, di origini italiane ma che l’italiano sta iniziando a parlarlo bene solo ora, ad aggiornare e allungare l’elenco dei grandi direttori d’orchestra svizzeri. Una sequenza nobile in cui si annoverano Ansermet e gli Andreae, Dutoit, Nussio, due pianisti mitici prestati anche al podio come Cortot e Fischer; ultimo dei grandi, ma solo in ordine di tempo, è stato Marcello Viotti, nato a Gressy nel 1954 e morto il 16 febbraio 2005, colpito da un ictus mentre dirigeva a Monaco, dove era stato guida stabile alla Staatsoper e della gloriosa Bayerisches Rundfunfks Orchester, dopo esserlo stato anche a Lu-

cerna, Vienna e alla Fenice di Venezia. A prenderne l’eredità potrebbe essere il figlio: nel 2015 ha vinto il concorso Nestlé del più importante e ricco festival musicale al mondo, quello di Salisburgo; poche settimane fa è stato incoronato miglior direttore emergente agli International Opera Awards. È già salito sui podi di alcune delle più importanti orchestre europee, dalla National de France alla Gwandhaus di Lipsia, dalla Staatskapelle di Dresda alla londinese Royal Philharmonic; ma a differenza di tanti suoi colleghi è sì allettato ma non accecato dalle luci della ribalta: ha rifiutato ingaggi dai Wiener Symphoniker o dalla Scala perché non si sentiva pronto. Ora, dopo aver portato in tournée l’orchestra dell’Accademia scaligera, debutterà nella prossima stagione con

Un’immagine del giovane Lorenzo Viotti. (youtube)

la Filarmonica e l’anno seguente sarà al Piermarini con l’opera, il Roméo et Juliette di Gounod. «Un titolo mai rappresentato alla Scala, sarà un doppio esordio». Un privilegio capitato a pochi eletti o fortunati, ma Viotti non tradisce una particolare emozione: «Certo, la Scala è leggendaria, è il tempio della lirica mondiale e non posso non considerarlo un onore; ma il punto non è il nome del teatro, conta innanzitutto il modo di lavorare e questo deve essere il medesimo alla Scala come in qualsiasi altro teatro». Davanti a tanta serietà e maturità le ipotesi sono due: o è sincero o già conosce le frasi di circostanza che fanno parte di un profilo da sdoganare all’esterno. Pensando alle rinunce fatte, gli inviti dai Wiener e fino ad ora dalla Scala («cercavo anche il programma giusto, vorrei dirigere tutta la vita e vorrei evitare che ci si stanchi di me già quando avrò 40 anni» dettaglia), vien da propendere per la prima ipotesi. Anche perché non è banale il suo modo di intendere il rapporto con gli orchestrali: «Il punto è stabilire un’intesa immediata, credo che il lato umano conti molto in un mestiere come quello del direttore; a volta scatta subito, a volte ci vuole un po’ di tempo, a volte non succede e bisogna tirare avanti in qualche modo. È un po’ come il primo appuntamento con una ragazza: magari ti prepari il discorsetto, ma non puoi prevedere come andrà, come ti comporterai, soprattutto come reagirà lei e come poi tu reagirai alle sue parole. E qui stiamo

parlando non di una donna sola ma di ottanta persone!» Prima di raccontare della sua storia, Viotti tiene a sottolineare un ultimo concetto: «Non è più il tempo dei direttori autoritari alla Toscanini o alla Karajan, anche se per l’orchestra non sarà mai il tempo della democrazia: la responsabilità del concerto è del direttore, sue sono le scelte e quindi sua anche la colpa se qualcosa non funziona». Concetti che ha imparato guardando, ascoltando e vivendo col padre: «Ovviamente mi piacerebbe pensare di essere nato direttore, di aver ereditato tutto per via cromosomica, ma non è così. Ci sono stati tanti passaggi, tante svolte che mi hanno portato sul podio». A sei anni ascolta il Pelléas et Mélisande di Debussy, opera morbosa e tortuosa, non certo Pierino e il lupo di Prokof’ev: «Ma me ne innamorai per le atmosfere sonore e i colori che sprigionava; lì decisi che avrei fatto il direttore per poter ricreare quella magia». La famiglia lo assecondò: «Devo ringraziare anche mia madre: rinunciò alla carriera di violinista per far crescere me e i miei tre fratelli, siamo diventati tutti musicisti: chi cornista, chi fagottista, chi con la bacchetta». Sentendolo parlare del padre, si intuisce il perché della sua visione del mestiere di direttore: non parla di Marcello dal punto di vista artistico o tecnico, ma umano: «Aveva una generosità straordinaria, trattava con eleganza e rispetto tutti, dalla diva, la cantante che s’atteggiava a primadonna, ai tecnici

di scena. E fuori dal teatro era una persona eccezionale perché rimaneva normale: non aveva nessun atteggiamento divistico; io mi auguro di mantenere sempre la sua semplicità e la sua umiltà». Purtroppo più che impararle a lungo è costretto a ricordarle già da lontano: «È morto quando avevo 14 anni, ovviamente non ero pronto come non lo era nessuno in famiglia; ma lo ha fatto con la bacchetta in mano, mentre provava un concerto a Monaco: nella tragedia c’è comunque un seme di bellezza, quella che stava cercando anche in quel momento». Non si nasce direttore e anche per Lorenzo i primi passi sono stati come strumentista: «Ho studiato percussioni a Lione e ho collaborato come percussionista con tante orchestre, anche con i Wiener Philharmoniker. È stata un’esperienza molto formativa non solo perché ho potuto vedere in faccia tanti grandi direttori, ma perché stare in fondo al palco, essere dietro a tutti gli altri musicisti mi ha permesso di capire la psicologia dell’orchestra, come le varie sezioni reagiscono alle indicazioni che vengono dal podio». Se dal padre ha imparato lo spirito del mestiere, ha foggiato la tecnica facendo l’assistente a giganti come Prêtre, Jansons e Haitink. Altro indubbio privilegio, «ma io so che il cognome non basta e che devo dimostrare tutto. E giù dal podio sono un normale ragazzo di 27 anni: amo la boxe, fare surf e il mare, soprattutto quello della Sardegna».


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Idee e acquisti per la settimana

shopping Un olio tutto ticinese

Novità Una filiera produttiva che coinvolge quattro attori della nostra regione

per un risultato d’eccellenza: l’Òli De Girassuu. Incontro con Mattia Cattori, ideatore insieme alla Fela Ticino SA di questo innovativo prodotto dei Nostrani del Ticino

Pamela Beltrametti, dietista ASDD Il parere dell’esperta

L’olio di semi girasole

Mattia Cattori coltiva girasoli a Giubiasco. (Giovanni Barberis) Mattia Cattori, com’è nata l’idea di coltivare girasoli e produrre olio dai suoi semi?

Quali sono le varie fasi di lavorazione e le aziende coinvolte nella produzione?

È difficile coltivare girasoli?

Come si può utilizzare l’olio di girasole in cucina?

Un po’ per caso, anche se la coltivazione di questa pianta si è diffusa in Ticino agli inizi del Duemila per motivi di «rotazione delle colture». Io personalmente ho cominciato solo qualche anno fa su una superficie di ca. 3 ettari. Inizialmente pensavo di coltivare la colza, ma il clima ticinese si è rilevato poco favorevole a questa coltura. Poi l’anno scorso, parlando con il direttore della Fela Ticino SA, Luigi Meier, ci è venuta l’idea di provare a produrre dell’olio di semi di girarole, grazie anche all’interessamento di alcune aziende locali e al contributo di altri produttori di girasoli. Non direi. A parte qualche lieve trattamento contro le erbacce, questo grosso fiore non richiede particolari cure. La semina viene fatta verso la seconda metà del mese di aprile e il raccolto avviene a fine agosto-inizio settembre, quando la pianta è completamente secca.

Le prime fasi, ovvero la separazione dei semi dai fiori e l’essiccazione, vengono effettuate nella mia azienda. I semi essiccati sono quindi trasportati alla Fela Ticino SA di Cadenazzo, la quale effettua un ulteriore cernita per escludere qualsiasi corpo estraneo. Dopo un breve periodo di stoccaggio, i semi passano all’azienda Globofood SA di Agno, dove avviene il delicato processo di spremitura dei semi. Infine, dopo la fase di decantazione naturale e filtraggio, entra in gioco la Sicas SA di Chiasso, la quale si occupa dell’imbottigliamento e dell’etichettatura del prodotto finito. Per arrostire e friggere, vista la sua buona resistenza alle alte temperature. Tuttavia, grazie al suo sapore delicato, lo trovo ottimo anche per condire croccanti insalate oppure si sposa a meraviglia con i formaggini ticinesi.

L’olio di semi girasole si situa nella famiglia degli acidi grassi polinsaturi e, più precisamente, è fonte di acidi grassi «omega-6». Questo tipo particolare di acidi grassi (insieme agli omega-3) sono i soli acidi grassi essenziali, ovvero quelli che devono essere apportati all’organismo tramite l’alimentazione, poiché il corpo non può sintetizzarli. Le raccomandazioni attuali propongono di abbinare più tipi di olio, in funzione del loro contenuto di vari tipi di acidi grassi, e di scegliere sempre prodotti di buona qualità. Accanto a questi aspetti legati all’equilibrio alimentare, anche il gusto gioca un ruolo nella scelta dell’olio. L’olio di girasole ha un gusto delicato, leggermente nocciolato, che si presta per diversi usi: per arrostire, per insaporire piatti freddi e caldi oppure per condire le insalate.

Òli de Girassuu Olio di semi di girasole 75 cl Fr. 12.– In vendita nelle maggiori filiali Migros


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Idee e acquisti per la settimana

Il brunch «local» è presto fatto! Attualità Per la festa nazionale svizzera del 1° agosto perché non servire un ricco buffet

a base di prodotti di casa nostra? 6

La ricotta 300 g Fr. 5.90

1 3

5

Lâcc da chióura 5 dl Fr. 2.50

2 4 Flavia Leuenberger

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Verosimilmente la parola brunch nasce in Inghilterra verso la fine del 1800, quando lo scrittore Guy Beringer menziona il termine in un articolo. Il nome deriva dalla fusione di «breakfast» (colazione) e «lunch» (pranzo). Il brunch è poi diventato molto popolare negli Stati Uniti negli anni Trenta. Si usa servire questo pasto festivo tra le 10.00 e le 12.00 con la «funzione» di prima colazione ritardata dalla pigrizia domenicale o di pranzo anticipato per dedicarsi ad attività di svago

nel pomeriggio. Originariamente era costituito da elementi dolci e salati tipici della colazione all’inglese a cui si aggiungevano salumi, formaggi, torte salate, uova, frutta e altre pietanze fredde, il tutto accompagnato da caffè con latte o tè. Noi in questa pagina vi invitiamo a preparare e gustare un ottimo brunch a km zero con tutta la tipicità ticinese, fatto esclusivamente con ingredienti genuini del nostro territorio. Buon appetito!

Nostrani del Ticino in degustazione Fino al 16 settembre 2017 ogni giovedì, venerdì e sabato vi aspettano golose degustazioni di prodotti Nostrani del Ticino per tutti i gusti, nelle filiali di Agno, Locarno, Serfontana, Grancia, S. Antonino e Lugano. Non perdetevi questo appuntamento con la bontà!

1 Pane Passione Nostrano 420 g Fr. 3.80

5 Öv nostrán bio 6 pezzi Fr. 5.20

2 Iogurt di montagna div. gusti, 180 g, da Fr. –.90 a 1.05

6 Lacc ticinés senza lattosio 1 l Fr. 1.90

3 Confitüra da üga americana 350 g Fr. 7.90 Fino ad esaurimento

7 Lacc frésch ticinés intero 1 l Fr. 1.50

4 Confitüra da cachi e zénzor 330 g Fr. 7.80 Fino ad esaurimento

Flavia Leuenberger

Nuovi formati per il Lacc frésch ticinés bio Dopo il lancio lo scorso mese di giugno del latte biologico ticinese nella variante Drink da 1 litro, arrivano anche le varianti Drink da 5 dl e Intero da 1 litro e 5 dl, disponibili nei frigo dei supermercati di Migros Ticino. Il Lacc frésch ticinés bio proviene dalla Masseria Ramello di Cadenazzo, che arrivata alla terza generazione è gestita dal giovane Adrian Feitknecht. Qui vengono allevate 85 mucche da latte nel pieno rispetto della specie, con la possibilità di uscire all’aperto e pascolare liberamente quando lo desiderano. Il foraggio è composto da fieno, erba e mais prodotti integralmente in azienda senza l’uso di pesticidi sintetici e concimi minerali. Il latte appena munto viene consegnato alla LATI di

S. Antonino che provvede a lavorarlo e confezionarlo, così in brevissimo tempo viene fornito alla Migros. Nuovo Lacc frésch ticinés bio Intero 3,8% grasso, 1 l Fr. 1.90 Nuovo Lacc frésch ticinés bio Intero 3,8% grasso, 5 dl Fr. 1.10 Nuovo Lacc frésch ticinés bio Drink 2,5% grasso, 5 dl Fr. 1.10 Lacc frésch ticinés bio Drink 2,5% grasso, 1 l Fr. 1.90


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Idee e acquisti per la settimana

Rassegna artigianato «di nos 2017» Eventi Dal 31 luglio al 12 agosto il Centro S. Antonino ospita un’imperdibile mostra dedicata all’artigianato

del Ticino

Migros Ticino, in collaborazione con l’Associazione Artigiani del Ticino e con l’aiuto dell’Ente Regionale del Bellinzonese e Valli, da oggi propongono presso la mall del Centro S. Antonino una manifestazione di richiamo per i molti visitatori e curiosi. Durante due settimane oltre 18

artigiani ticinesi si presenteranno al pubblico con dimostrazioni pratiche della loro attività. Impagliatura sedie ticinesi e viennesi, lavori creativi con carta e feltro, creazioni con foglie di mais, pittura su seta, patchwork, bigiotteria in filo e perle, filati di lana, tessitura al telaio, tornitura del legno,

saponi artigianali, lavori in ceramica… Queste sono solo alcune delle attività presentate in un suggestivo mercatino creato appositamente per l’occasione. Inoltre, sabato 12 agosto verrà proposto un workshop esterno sulla tornitura e la lavorazione del legno. L’intento di questa rassegna è

quello di portare «l’artigiano tra la gente», affinché ognuno possa riscoprire che la buona cultura del fatto a mano può produrre oggetti di ottima qualità e utilità. Per maggiori informazioni sull’artigianato ticinese potete visitare il sito: www.ar-ti.ch

Sono arrivati i fagiolini verdi svizzeri Questa settimana alla Migros i fagiolini verdi svizzeri ad un prezzo vantaggioso

Sono sani, aromatici, teneri come il burro e possono essere cucinati in tantissimi modi. I fagiolini di produzione svizzera sono sugli scaffali Migros. È importante sapere che questi legumi devono sempre essere consumati cotti: contengono infatti una sostanza tossica che può provocare disturbi gastrointestinali, la fasina, la quale viene però eliminata in fase di cottura. Sono ricchi di fibre ali-

mentari e soprattutto di proteine vegetali, caratteristica molto apprezzata da vegetariani e vegani. Un grande classico è l’abbinamento dei fagiolini verdi con la pancetta, ma sono ottimi anche semplicemente saltati nel burro con un po’ di cipolla, o aggiunti in fresche insalate estive, oppure stufati con salsa al pomodoro. Speziare questo legume con santoreggia, cumino oppure semi di finocchio ne favorisce la digestione.


Molti altri bellissimi premi su www.swissmilk.ch

I punti fedeltà si tramutano in ricchi premi. Con la panna svizzera. Premi esclusivi attendono chi raccoglie i punti fedeltà «Swiss milk inside». I punti si troveranno su numerose confezioni di panna svizzera. Grazie di cuore a chi resta fedele ai latticini svizzeri. Lista dei premi, tessera punti e informazioni chiamando lo 031 359 57 28 oppure su www.swissmilk.ch Durata dell’azione promozionale: da metà giugno a circa fine settembre 2017


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Idee e acquisti per la settimana

You

Delizie al passo coi tempi

Azione 20X Punti Cumulus sulle Power Salad a marchio You

Con i prodotti a marchio proprio You, Migros si rivolge ai clienti più attenti alla nutrizione e alle tendenze alimentari. Tre nuove gustose insalate ampliano l’assortimento. Forchetta e condimento compresi, per ghiottonerie che possono essere consumate ovunque

You, il nuovo marchio proprio Migros, propone le nuove «Power Salad», tre pasti a base di insalata e ricchi di proteine. Queste insalate sono l’ideale per gli sportivi, che si nutrono volentieri con alimenti ricchi di proteine ma poveri di grassi. Le tre varietà hanno un contenuto minimo di verdure del 25 percento. Estremamente attuale è l’insalata frekeeh, una combinazione di zucchine, edamame e pomodori. Il frekeeh è un tipo di frumento raccolto precocemente e tostato, che sorprende per il suo aroma di noce. Questo grano verde è ricco di fibre alimentari, contiene numerose e preziose sostanze nutritive, come le proteine e si prepara come il riso. Nella cucina orientale il grano frekeeh è conosciuto e apprezzato già dal tredicesimo secolo; oggi i food blogger gli hanno attribuito lo status di superfood. Il frekeeh non deve esse-

fino al 7 agosto

re confuso con il farro verde, il chicco del cereale, anch’esso raccolto precocemente. Anche l’insalata di lenticchie rappresenta una moderna combinazione di gusti, ispirata alla cucina orientale, con l’accostamento di lenticchie, dolci bocconcini di dattero, pomodori cherry, edamame, zucchine e un rinfrescante condimento a base di menta. Entrambe le insalate sono vegane. La terza pietanza è un’insalata di tonno: unito a pasta, cetriolo, pomodori cherry e uova si ispira ai sapori estivi mediterranei. Tutti i prodotti You si contraddistinguono per una composizione il più possibile semplice e naturale. Ognuno offre specifiche proprietà alimentari, indicate sulla confezione. Nel caso delle insalate si tratta del contenuto proteico, della percentuale di verdure e del basso tenore di grassi.

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Da sapere

Migros Bio

Svizzero a tutto tondo I prodotti bio della Migros a base di materie prime svizzere sono ora contraddistinte dal Logo Migros Bio Svizzera. Grazie alla collaborazione di lunga data con gli agricoltori bio, nel 2015 è stato per la prima volta possibile offrire un pane biologico prodotto con cereali svizzeri Testo Heidi Bacchilega; Foto Claudia Linsi Migros Bio Corona del sole 360 g* Fr. 3.50

Migros ha messo in vendita i primi prodotti bio negli anni Sessanta. Nel 1995 l’oggi conosciuto marchio Migros Bio comprendeva solo l’assortimento dei settori frutta e verdura. Oggi propone oltre 1300 prodotti. Bio Suisse è l’associazione che raggruppa gli oltre 6000 agricoltori che lavorano sulla base delle linee guida di Bio Suisse, garantendo così standard di produzione molto alti. Dal 1981 Bio Suisse si impegna a favore di una maggiore sostenibilità nel mondo agricolo. Le materie prime destinate ai prodotti Migros Bio vengono coltivate secondo le direttive di Bio Suisse. I contadini bio lavorano in armonia con la natura. Promuovono i processi naturali della natura e una produzione in gran parte a ciclo chiuso. Il benessere delle persone e degli animali sta loro a cuore, così come la fertilità dei terreni, la salute delle piante, una naturale biodiversità e un utilizzo responsabile delle risorse idriche.

Migros Bio forno di pietra Twister chiaro, 360 g* Fr. 3.30 *Nelle maggiori filiali

Impegno

Jowa, una delle imprese Migros, promuove l’agricoltura bio in Svizzera. Già alcuni anni fa Jowa si è messa alla ricerca di aziende agricole interessate a una collaborazione. Oggi sono oltre 60 i contadini che hanno deciso di convertire la loro azienda al bio. La conversione non avviene da un momento all’altro, ma necessita di alcuni anni e comporta dei rischi. Grazie alla pluriennale collaborazione, nel 2015 Jowa ha potuto per la prima volta commercializzare delle varietà di pane bio prodotte con cereali svizzeri. Per la coltivazione dei cereali bio valgono le direttive di Bio Suisse. Si tratta di un una modalità di coltivazione impegnativa. Per tale motivo vengono utilizzate solo alcune varietà di cereali, quelle che si adattano più facilmente e che sono particolarmente resistenti alle malattie, garantendo nel contempo un’alta qualità, idonea per la panificazione.

Gastronomia

Corona del sole e Twister sono varietà di pane ideali per preparare aperitivi e spuntini. Tagliare il pane per il lungo, spalmare burro, olio d’oliva o senape e farcire con carne secca, formaggi, cetrioli o uova. Tre le varianti da assaggiare. Iniziamo con un panino esotico a base di petto di pollo? Farcire la Corona del sole con il petto di pollo tagliato fine e fette di avocado. Aggiungere un po’ di formaggio fresco e una composta di mirtilli rossi ed ecco fatto, questo nutriente panino è pronto. I vegetariani apprezzeranno la combinazione delle melanzane con il pane attorcigliato. Soffriggere le melanzane in olio di oliva e farcire il pane aggiungendo mozzarella, basilico e parmigiano. Servire caldo. Cultori della carne attenzione, lo steak sandwich è dedicato a voi. Rosolare la cipolla e sottili fette di bistecca di manzo in olio d’oliva. Adagiare sul pane e guarnire con crescione e pomodoro, aggiungere senape a piacere e gustare tiepido.

Degusta i prodotti bio svizzeri! Dal 31.7 al 12.08.2017 Ulteriori informazioni: www.migros.ch/bio

Concorso Partecipa e vinci premi per un valore totale di 11’000 franchi. Per esempio un fine settimana presso l’albergo castello bio Wartegg, sul lago di Costanza (cena inclusa). Ulteriori informazioni: www.migros.ch/bio

Migros contrassegna con il logo Migros Bio Svizzera tutti i prodotti bio freschi e lavorati, i cui ingredienti sono per almeno per il 90% di provenienza svizzera. Tutte le materie prime naturali utilizzate sono prodotte secondo le direttive Bio Suisse. Parte di

L’impegno Migros a favore della sostenibilità è da generazioni in anticipo sui tempi.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 31 luglio 2017 • N. 31

40

Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 31 luglio 2017 • N. 31

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Idee e acquisti per la settimana

Da sapere

Migros Bio

Svizzero a tutto tondo I prodotti bio della Migros a base di materie prime svizzere sono ora contraddistinte dal Logo Migros Bio Svizzera. Grazie alla collaborazione di lunga data con gli agricoltori bio, nel 2015 è stato per la prima volta possibile offrire un pane biologico prodotto con cereali svizzeri Testo Heidi Bacchilega; Foto Claudia Linsi Migros Bio Corona del sole 360 g* Fr. 3.50

Migros ha messo in vendita i primi prodotti bio negli anni Sessanta. Nel 1995 l’oggi conosciuto marchio Migros Bio comprendeva solo l’assortimento dei settori frutta e verdura. Oggi propone oltre 1300 prodotti. Bio Suisse è l’associazione che raggruppa gli oltre 6000 agricoltori che lavorano sulla base delle linee guida di Bio Suisse, garantendo così standard di produzione molto alti. Dal 1981 Bio Suisse si impegna a favore di una maggiore sostenibilità nel mondo agricolo. Le materie prime destinate ai prodotti Migros Bio vengono coltivate secondo le direttive di Bio Suisse. I contadini bio lavorano in armonia con la natura. Promuovono i processi naturali della natura e una produzione in gran parte a ciclo chiuso. Il benessere delle persone e degli animali sta loro a cuore, così come la fertilità dei terreni, la salute delle piante, una naturale biodiversità e un utilizzo responsabile delle risorse idriche.

Migros Bio forno di pietra Twister chiaro, 360 g* Fr. 3.30 *Nelle maggiori filiali

Impegno

Jowa, una delle imprese Migros, promuove l’agricoltura bio in Svizzera. Già alcuni anni fa Jowa si è messa alla ricerca di aziende agricole interessate a una collaborazione. Oggi sono oltre 60 i contadini che hanno deciso di convertire la loro azienda al bio. La conversione non avviene da un momento all’altro, ma necessita di alcuni anni e comporta dei rischi. Grazie alla pluriennale collaborazione, nel 2015 Jowa ha potuto per la prima volta commercializzare delle varietà di pane bio prodotte con cereali svizzeri. Per la coltivazione dei cereali bio valgono le direttive di Bio Suisse. Si tratta di un una modalità di coltivazione impegnativa. Per tale motivo vengono utilizzate solo alcune varietà di cereali, quelle che si adattano più facilmente e che sono particolarmente resistenti alle malattie, garantendo nel contempo un’alta qualità, idonea per la panificazione.

Gastronomia

Corona del sole e Twister sono varietà di pane ideali per preparare aperitivi e spuntini. Tagliare il pane per il lungo, spalmare burro, olio d’oliva o senape e farcire con carne secca, formaggi, cetrioli o uova. Tre le varianti da assaggiare. Iniziamo con un panino esotico a base di petto di pollo? Farcire la Corona del sole con il petto di pollo tagliato fine e fette di avocado. Aggiungere un po’ di formaggio fresco e una composta di mirtilli rossi ed ecco fatto, questo nutriente panino è pronto. I vegetariani apprezzeranno la combinazione delle melanzane con il pane attorcigliato. Soffriggere le melanzane in olio di oliva e farcire il pane aggiungendo mozzarella, basilico e parmigiano. Servire caldo. Cultori della carne attenzione, lo steak sandwich è dedicato a voi. Rosolare la cipolla e sottili fette di bistecca di manzo in olio d’oliva. Adagiare sul pane e guarnire con crescione e pomodoro, aggiungere senape a piacere e gustare tiepido.

Degusta i prodotti bio svizzeri! Dal 31.7 al 12.08.2017 Ulteriori informazioni: www.migros.ch/bio

Concorso Partecipa e vinci premi per un valore totale di 11’000 franchi. Per esempio un fine settimana presso l’albergo castello bio Wartegg, sul lago di Costanza (cena inclusa). Ulteriori informazioni: www.migros.ch/bio

Migros contrassegna con il logo Migros Bio Svizzera tutti i prodotti bio freschi e lavorati, i cui ingredienti sono per almeno per il 90% di provenienza svizzera. Tutte le materie prime naturali utilizzate sono prodotte secondo le direttive Bio Suisse. Parte di

L’impegno Migros a favore della sostenibilità è da generazioni in anticipo sui tempi.


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Espresso Decaffeinato 12 capsule

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Uva Vittoria Italia, al kg

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Roastbeef cotto Svizzera/Germania, affettato in vaschetta, per 100 g

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Tutti i tovaglioli, le tovagliette e le tovaglie di carta Cucina & Tavola e Duni, FSC a partire da 2 confezioni, 50% di riduzione, offerta valida fino al 14.8.2017

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3.45 invece di 5.75

Consiglio

Filetto di maiale al naturale M-Classic Svizzera, per 100 g

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9.30 invece di 18.50

3.80 invece di 7.60

Costolette di maiale Svizzera, conf. da 4 pezzi, al kg

Prosciutto crudo grigionese ideale per melone Svizzera, affettato in vaschetta da 149 g

TUTTO IL GUSTO DELLA GRIGLIATA Altro che i soliti spiedini! Gli spiedini di pollo Optigal, succosi e marinati a puntino, saranno il cavallo di battaglia della vostra grigliata! Tanto più se accompagnati da una tartare di cetrioli alla feta. Trovate la ricetta su migusto.ch e tutti gli ingredienti freschi alla vostra Migros.

30% Spiedini di pollo marinati e minifiletti Optigal* per es. spiedini marinati, Svizzera, per 100 g, 2.45 invece di 3.55

30%

10.90 invece di 15.60 Filetti di trota affumicata bio Danimarca, conf. da 3 x 100 g / 300 g

20%

6.90 invece di 8.65 Carne secca affettata in conf. speciale Svizzera, 125 g

20%

3.– invece di 3.75 Cervelas bio Svizzera, 2 pezzi, 200 g

*In vendita nelle maggiori filiali Migros. Migros Ticino OFFERTE VALIDE SOLO DALL’1.8 AL 7.8.2017, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK

30%

1.60 invece di 2.30 Branzino 300–600 g Grecia, per 100 g (fino al 5.8)

35%

9.40 invece di 14.50 Galletto speziato Optigal Svizzera, conf. da 2 pezzi, al kg

40%

5.50 invece di 9.25 Luganighetta Svizzera, confezioni da 2 x 250 g / 500 g

30% Filetto di salmone bio, fresco per es. con pelle, d’allevamento, Norvegia/Irlanda, per 100 g, 3.60 invece di 5.20

20%

5.50 invece di 6.90 Gamberetti tail-on cotti, bio, in conf. speciale d’allevamento, Ecuador, per 100 g


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Hit

3.40

25%

4.95 invece di 6.90

Fagiolini verdi Svizzera, imballati, 500 g

Lamponi extra Svizzera, conf. da 250 g

25%

25%

40%

1.60 invece di 2.70 Mozzarella artigianale prodotta in Ticino, conf. da 110 g

20%

19.20 invece di 24.– Formaggella Blenio «Ra Crénga dra Vâll da Brégn» a libero servizio, al kg

conf. da 2

Hit

9.90

Rose in vaso da 12 cm, in conf. da 2 disponibili in diversi colori, per es. rosa

1.25 invece di 1.70 Lattuga iceberg Svizzera, il pezzo

25%

14.90 invece di 19.90 Tutte le rose Fairtrade disponibili in diversi colori, lunghezza dello stelo 60 cm, il mazzo, 7 pezzi, per es. rosse

40%

2.70 invece di 4.60 Patate resistenti alla cottura Svizzera, busta da 2,5 kg

Migros Ticino OFFERTE VALIDE SOLO DALL’1.8 AL 7.8.2017, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK

3.15 invece di 4.20 Pomodori Intense Ticino, imballati, 700 g

20%

4.70 invece di 5.90 Albicocche Francia, al kg

conf. da 2

20% Gnocchi Anna’s Best in conf. da 2 per es. alla caprese, 2 x 400 g, 7.80 invece di 9.80

35%

2.40 invece di 3.90 Pesche noci bio Spagna, vaschetta da 500 g

conf. da 2

25% La Pizza in conf. da 2 per es. 4 stagioni, 2 x 420 g, 11.20 invece di 15.–

40%

2.30 invece di 3.90 Susine rosse extra Italia, al kg

40%

7.– invece di 11.80 Tortelloni con ripieno di carne M-Classic conf. da 2 x 500 g


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! à it c li p m e s a tt tu in Risparmiare conf. da 2

33%

4.35 invece di 6.50

Consiglio

Bastoncini alle nocciole in conf. da 2 2 x 4 pezzi, 2 x 220 g

20% Tutti i succhi freschi bio per es. succo d’arancia, 750 ml, 2.70 invece di 3.40

a partire da 2 confezioni

25%

Tutto l’assortimento di barrette ai cereali Farmer a partire da 2 confezioni, 25% di riduzione

DOLCE RISVEGLIO Un tocco di dolcezza mette di buon umore anche i meno mattinieri: pane wellness bio a base di frumento, crusca d’avena e soia, leggero e croccante, con confettura di bacche fatta in casa. Trovate la ricetta su migusto.ch e tutti gli ingredienti freschi alla vostra Migros.

– .4 0

di riduzione

2.60 invece di 3.– Pane Wellness bio 310 g

conf. da 4

20%

2.85 invece di 3.60 Jogurtpur in conf. da 4 4 x 150 g, per es. alla fragola

20%

1.85 invece di 2.35 Appenzeller surchoix bio per 100 g

25%

6.15 invece di 8.25 Mini Babybel in retina, 18 x 22 g

Migros Ticino OFFERTE VALIDE SOLO DALL’1.8 AL 7.8.2017, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK

20%

4.20 invece di 5.25 Camembert Suisse crémeux 300 g

a partire da 2 confezioni

20% Tutti i gelati in coppette e in bustine morbide per es. Vanille Bourbon Crème d’or, 200 ml, 2.60 invece di 3.30

20%

–.60

di riduzione l’una Tutti i biscotti Tradition a partire da 2 confezioni, –.60 di riduzione l’una, per es. cuoricini al limone, 200 g, 2.60 invece di 3.20

20%

Tutti i caffè istantanei in bustina per es. Cafino Classic, UTZ, in busta da 550 g, 8.80 Tutti i tipi di zucchero fino cristallizzato 1 kg e 10 x 1 kg, per es. cristal, 1 kg, –.80 invece di 1.– invece di 11.–

33% Tutti i tipi di caffè in chicchi da 1 kg, UTZ per es. Boncampo Classico, 5.95 invece di 8.90


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DOLCE RISVEGLIO Un tocco di dolcezza mette di buon umore anche i meno mattinieri: pane wellness bio a base di frumento, crusca d’avena e soia, leggero e croccante, con confettura di bacche fatta in casa. Trovate la ricetta su migusto.ch e tutti gli ingredienti freschi alla vostra Migros.

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20% Tutti i ketchup e tutte le salse per grigliate Heinz per es. salsa al curry e al mango, 220 ml, 2.35 invece di 2.95

20%

2.65 invece di 3.35 Olio di colza TerraSuisse 50 cl

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5.20 invece di 10.40 Lasagne verdi o alla bolognese Buon Gusto in conf. da 2 surgelate, per es. alla bolognese, 2 x 600 g

conf. da 2

30%

10.20 invece di 14.60 Tortine al formaggio M-Classic in conf. da 2 surgelate, 2 x 12 pezzi, 2 x 840 g

20% Tutte le noci Party per es. pistacchi, 250 g, 3.35 invece di 4.20

40% Tutto l’assortimento di calzetteria da uomo e da donna per es. collant Vitale Ellen Amber, color ostrica, tg. M, il pezzo, 7.20 invece di 12.–

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Ravioli M-Classic, in conf. da 6 alla napoletana e alla bolognese, per es. alla napoletana, 6 x 870 g, 8.70 invece di 17.40

a partire da 2 pezzi

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20% Tutto l'assortimento Mifloc per es. purea di patate, 4 x 95 g, 3.60 invece di 4.55

Tutti i detersivi Elan a partire da 2 pezzi, 50% di riduzione

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Slip a vita bassa Ellen Amber in conf. da 3 disponibili in nero o bianco, taglie S–XL, per es. bianchi, tg. M, offerta valida fino al 14.8.2017

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20% Tutte le bevande bio (Alnatura escluse), per es. tè freddo alle erbe delle Alpi svizzere, 1 l, 1.25 invece di 1.60

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Pane leopardo TerraSuisse, 350 g, 1.65 invece di 2.10 20% Luganighetta cotta al grill, cotta in filiale, Svizzera, per 100 g, 2.10 invece di 2.85 25% Azione solo per filiali con grill

Gourmet Gold e Perle in confezioni multiple, per es. Gold, 8 x 85 g, 6.– invece di 8.– 25%

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Tutto l’assortimento Bullyland, per es. mini set Frozen, 2 pezzi, 7.40 invece di 14.80 50% **

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 31 luglio 2017 • N. 31

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 31 luglio 2017 • N. 31

57

Idee e acquisti per la settimana

Il piacere del gusto

Un pacchettino ricco di sapore

Maggiori informazioni sul gusto: www.piacere-delgusto.ch

Le panetterie della casa di Migros presentano un nuovo pane del mese: una specialità deliziosa da aggiungere al menù delle grigliate. Le olive verdi che si nascondono sotto la soffice mollica danno al pane un intenso sapore mediterraneo

Silvio Vezzaro è panettiere al supermercato Migros di Serfontana. È uno dei circa 900 professionisti che ogni giorno sfornano pane fresco nelle 130 panetterie della casa. In questo modo il pane è disponibile ancora caldo fino alla chiusura dei negozi.

Testo Jacqueline Vinzelberg

Si chiama «pacchettino alle olive» e, con la sua crosta dorata e fragrante, cattura immediatamente l’attenzione. La sua soffice croccantezza si fonde armoniosamente con una forma del tutto particolare. La vera sorpresa si nasconde però all’interno, sotto la crosta: succose olive verdi donano a questo pane vaporoso un sapore speciale e un carattere equilibrato. Gustato così, da solo, il pacchettino alle olive è un vero piacere! Naturalmente si abbina a meraviglia con insalate estive e pietanze grigliate. È l’accompagnamento ideale per un aperitivo amaro con erbette fresche, perché le olive si sposano bene con questo tipo di aromi.

Silvio Vezzaro

«Amo questo lavoro» Cosa apprezza di questo lavoro? Mi piace la professione di panettiere perché apprezzo il fatto di lavorare con degli ingredienti freschi. Quale pane gusta volentieri? Mi piace molto la corona croccante, perché possiede un bel colore dorato e una fantastica crosta. Inoltre è incredibilmente fragrante e gustosa.

Consiglio di servizio

Gli esperti del gusto di Migusto hanno assaggiato il pacchettino alle olive. Il loro consiglio è di servirlo con l’aperitivo Crodino. Mettere in un bicchiere con del ghiaccio un rametto di rosmarino, uno di timo e un pezzo di scorza d’arancia. Aggiungere 1 dl di aperitivo Crodino e servire con il pane.

Serie Il sapore del pane del mese D’attualità in agosto: Pacchettino alle olive

Veronika Studer (Food)/ Flavia Leuenberger (ritratto); Consiglio di servizio Regula Brodbeck

Quale pane le piace produrre? Sicuramente la treccia, poiché per prepararla entra in gioco ancora molta manualità, visto che non esiste una macchina in grado di intrecciare questo tipo di pane. Ma anche la lavorazione dell’impasto ricco di burro richiede molta attenzione ed esperienza. Un aneddoto divertente legato al pane? Una volta dovetti produrre diverse torte dei re magi. Innanzitutto preparai i pezzi contenenti la figurina del re magio, che successivamente sarebbero dovuti essere uniti agli altri senza statuetta. In un momento di stress invertii tuttavia il procedimento. Così facendo mi ritrovai con una torta contenente una figurina del re magio in ogni pezzo, e diverse torte senza nulla.

Pacchettino alle olive 360 g Fr. 3.40 Disponibile in tutte le filiali Migros con panetteria della casa


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 31 luglio 2017 • N. 31

56

Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 31 luglio 2017 • N. 31

57

Idee e acquisti per la settimana

Il piacere del gusto

Un pacchettino ricco di sapore

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Silvio Vezzaro è panettiere al supermercato Migros di Serfontana. È uno dei circa 900 professionisti che ogni giorno sfornano pane fresco nelle 130 panetterie della casa. In questo modo il pane è disponibile ancora caldo fino alla chiusura dei negozi.

Testo Jacqueline Vinzelberg

Si chiama «pacchettino alle olive» e, con la sua crosta dorata e fragrante, cattura immediatamente l’attenzione. La sua soffice croccantezza si fonde armoniosamente con una forma del tutto particolare. La vera sorpresa si nasconde però all’interno, sotto la crosta: succose olive verdi donano a questo pane vaporoso un sapore speciale e un carattere equilibrato. Gustato così, da solo, il pacchettino alle olive è un vero piacere! Naturalmente si abbina a meraviglia con insalate estive e pietanze grigliate. È l’accompagnamento ideale per un aperitivo amaro con erbette fresche, perché le olive si sposano bene con questo tipo di aromi.

Silvio Vezzaro

«Amo questo lavoro» Cosa apprezza di questo lavoro? Mi piace la professione di panettiere perché apprezzo il fatto di lavorare con degli ingredienti freschi. Quale pane gusta volentieri? Mi piace molto la corona croccante, perché possiede un bel colore dorato e una fantastica crosta. Inoltre è incredibilmente fragrante e gustosa.

Consiglio di servizio

Gli esperti del gusto di Migusto hanno assaggiato il pacchettino alle olive. Il loro consiglio è di servirlo con l’aperitivo Crodino. Mettere in un bicchiere con del ghiaccio un rametto di rosmarino, uno di timo e un pezzo di scorza d’arancia. Aggiungere 1 dl di aperitivo Crodino e servire con il pane.

Serie Il sapore del pane del mese D’attualità in agosto: Pacchettino alle olive

Veronika Studer (Food)/ Flavia Leuenberger (ritratto); Consiglio di servizio Regula Brodbeck

Quale pane le piace produrre? Sicuramente la treccia, poiché per prepararla entra in gioco ancora molta manualità, visto che non esiste una macchina in grado di intrecciare questo tipo di pane. Ma anche la lavorazione dell’impasto ricco di burro richiede molta attenzione ed esperienza. Un aneddoto divertente legato al pane? Una volta dovetti produrre diverse torte dei re magi. Innanzitutto preparai i pezzi contenenti la figurina del re magio, che successivamente sarebbero dovuti essere uniti agli altri senza statuetta. In un momento di stress invertii tuttavia il procedimento. Così facendo mi ritrovai con una torta contenente una figurina del re magio in ogni pezzo, e diverse torte senza nulla.

Pacchettino alle olive 360 g Fr. 3.40 Disponibile in tutte le filiali Migros con panetteria della casa


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Idee e acquisti per la settimana

Elco Notes

Digitalizzare gli appunti è facile

Cartoleria

Pratici compagni di studio

Papeteria calamite colori assortiti, 4 pezzi Fr. 3.90

L’assortimento Papeteria offre tutto quanto serve per la scuola e per la vita quotidiana degli studenti. Multiuso e insostituibile il blocco per appunti per i raccoglitori ad anelli. Durante le lezioni è l’ideale per prendere annotazioni sulle informazioni più importanti, da evidenziare poi con i colori. I fogli, già perforati, possono essere immediatamente riposti. Anche nell’era digitale il blocco rimane un compagno di studio perfetto: grazie allo Smartphone e alle apposite App, le note scritte a mano possono essere facilmente digitalizzate.

La pratica App Elco Notes permette di digitalizzare gli appunti presi a mano, in modo semplice con lo Smartphone. Con pochi clic l’app genera un PDF, anche con più pagine di note. Il file può essere spedito, archiviato sul computer o condiviso con il gruppo di studio. Suggerimento

Per verificare l’apprendimento durante lo studio si possono annotare le domande e le rispose su schede. È utile appendere in bagno o sullo sportello del frigorifero su foglietti attacca e stacca i concetti che più si ha difficoltà a memorizzare.

Papeteria Schedario A7 bianco ghiaccio Fr. 14.80

Papeteria set di foglietti autoadesivi staccabili neon, 13 pezzi Fr. 7.90

Suggerimento

Pause regolari aiutano a imprimere nella memoria ciò che si studia. Anche cambiare il posto in cui si lavora porta nuovo slancio. Perché non provare durante una passeggiata? Grazie ai riassunti il materie di studio può essere portato ovunque.

Papeteria raccoglitore in diversi colori Fr. 6.70

Papeteria mini aggraffatrice colori assortiti Fr. 2.50

Papeteria blocco per appunti 2 x 100 fogli Fr. 4.65

Papeteria rubrica 12 pezzi Fr. 4.50 Papeteria schede 100 pezzi Fr. 1.60

Grazie alla collaborazione con il produttore Elco, l’app si adatta perfettamente ai blocchi di fogli per appunti a marchio Papeteria. La piccola lettera L presente sulle pagine permette, dopo la scansione del documento, di schiarire progressivamente le linee, o addirittura di eliminarle, così che rimangono solo gli appunti presi a mano. Elco Notes per Android e Apple è disponibile sui rispettivi App-Store e può essere scaricato gratuitamente.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 31 luglio 2017 • N. 31

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Idee e acquisti per la settimana

Elco Notes

Digitalizzare gli appunti è facile

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La natura sa cosa fa bene.

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3.– invece di 3.80 Succo di frutta mista bio 750 ml


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 31 luglio 2017 • N. 31

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Idee e acquisti per la settimana

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Praticità per la cucina quotidiana

*Azione 20% su tutte le conserve bio e i piatti pronti fino al 7 agosto

Chi in cucina ama l’improvvisazione, può trovare gli ingredienti ideali già pronti nelle conserve M-Classic. Oggi sono disponibili nella confezione duopack, e nella versione bio. Sono fantastiche per insalate, piatti a base di riso, salse per pasta o ripieni per omelette. Particolarmente pratici sono i fagioli kidney e i ceci che oltre ad essere ricchi di pregiate sostanze nutritive, permettono di evitare i lunghi tempi di ammollo e cottura. Combinati con dei carboidrati, il loro contenuto di proteine è paragonabile a quelle delle fonti di origine animale.

I contadini bio lavorano in armonia con la natura. Trattano con cura animali, piante, suolo e acqua. Parte di

M-Classic Red Kidney Beans Bio 2 x 150 g Fr. 2.–* invece di 2.50

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Nel suo impegno a favore delle sostenibilità, Migros è da generazioni in anticipo sui tempi.


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