Azione 44 del 30 ottobre 2017

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Cooperativa Migros Ticino

G.A.A. 6592 Sant’Antonino

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXX 30 ottobre 2017

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Società e Territorio Le pubblicazioni di Susan Cain ci svelano i superpoteri degli introversi

Ambiente e Benessere I medici Candrian e Deabate ci parlano dell’evoluzione delle tecnologie in ambito ortopedico e della formazione degli specialisti

Politica e Economia Xi Jinping confermato grande timoniere ma le sfide al suo potere non cesseranno

Cultura e Spettacoli A Bologna una mostra permette di (ri)scoprire l’interessante figura dell’artista Luigi Crespi

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Marka

Il denaro spiegato ai bambini

Una sfida anche ideologica di Peter Schiesser Nel duello per la supremazia mondiale fra Stati Uniti e Cina, economica, tecnologica, culturale, lentamente anche militare, c’è una dimensione ulteriore: quella ideologica. Non nel senso di una eventuale vittoria di un camaleontico comunismo sul capitalismo, poiché la Cina deve la sua rinascita allo strumento chiave del capitalismo: il libero mercato. Per contro, del comunismo ha mantenuto la predilezione per un controllo autoritario. Ed è qui che si gioca la sfida più importante: il binomio liberalismo economico e liberalismo politico ha prevalso 25 anni fa sulle dittature che si reggevano su un’economia pianificata, un modello collassato in Unione Sovietica e quasi ovunque nel mondo. Ma oggi, che cosa potrebbe rivelarsi di maggiore successo, un capitalismo liberale o un capitalismo autoritario? In altre parole, la libertà, la democrazia, lo scambio e finanche lo scontro di idee, la faticosa ricerca di un consenso, ma anche un’educazione critica, sono la condizione perché possano affermarsi una società e un’economia innovatrici, produttive, tecnologicamente avanzate, socialmente in equilibrio? Oppure

società ed economia fioriscono al meglio se a dirigere, controllare, imporre, reprimere, definire il futuro del paese e dei cittadini, è un unico partito, una ristretta dirigenza o un’unica persona? In questo interrogativo sta il destino del modello occidentale (che pure in questi decenni, nella sua sfera di influenza al di fuori di Europa e Stati Uniti, è stato fatalmente minato da lotte di potere, corruzione, criminalità laddove le strutture statali sono fragili). Sta il destino di un concetto di libertà individuale come motore evolutivo della società, dello Stato e dell’economia. Se la Cina riuscisse davvero ad affermarsi come prima potenza mondiale fra due o tre decenni e ci fosse ancora un onnipotente partito comunista a guidarla, il liberalismo potrebbe diventare un semplice capitolo della storia. Il «sogno cinese» che Xi Jinping ha annunciato al mondo sarà però tutto da verificare. E prima ancora di poter capire se un controllo assoluto dello Stato sulla società possa prima o poi entrare in conflitto con la crescente libertà economica, occorrerà osservare molto attentamente come la dirigenza cinese affronterà i due grandi problemi che la rapida crescita economica ha provocato nel presente: un’enorme diseguaglianza nella distribuzione della ricchezza che destabiliz-

za il tessuto sociale e un alto indebitamento delle aziende statali che mette in pericolo la stabilità finanziaria e quindi economica della Cina. Secondo le stime dell’economista cinese Li Gan, il coefficiente di Gini è di 0,61, un livello al quale si rischia una rivoluzione, secondo uno studio dell’ONU («Tages Anzeiger» del 20.10.’17). La lotta alla corruzione ordinata da Xi Jinping è quindi da leggere anche come una risposta al malessere sociale di fronte ad un arricchimento senza scrupoli. Il secondo grosso problema, l’indebitamento delle aziende statali, è figlio di un condizionamento da economia pianificata: l’obiettivo di una crescita del 6,5% all’anno. Se la crescita non arriva per conto suo, si inietta denaro nel sistema, si crea sovraproduzione e ci si indebita mantenendo in vita aziende in perdita, perché il PIL nel 2020 deve raddoppiare rispetto al 2010 – così vuole Xi Jinping. Il debito pubblico risulta quindi oggi pari al 235% del PIL, se si va avanti a «pompare» l’economia statale, secondo l’analista Ruchir Sharma (NYT, 26 ottobre), si arriverebbe in pochi anni ad un «destabilizzante 280 per cento». Al di là dei proclami, il sogno cinese deve ancora dimostrare la sua solidità, e Xi Jinping la sua presa sul partito e sul paese (vedi anche Caracciolo a pagina 21).


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