Cooperativa Migros Ticino
G.A.A. 6592 Sant’Antonino
Settimanale di informazione e cultura Anno LXXX 30 ottobre 2017
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Società e Territorio Le pubblicazioni di Susan Cain ci svelano i superpoteri degli introversi
Ambiente e Benessere I medici Candrian e Deabate ci parlano dell’evoluzione delle tecnologie in ambito ortopedico e della formazione degli specialisti
Politica e Economia Xi Jinping confermato grande timoniere ma le sfide al suo potere non cesseranno
Cultura e Spettacoli A Bologna una mostra permette di (ri)scoprire l’interessante figura dell’artista Luigi Crespi
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di Stefania Hubmann pagina 5
Marka
Il denaro spiegato ai bambini
Una sfida anche ideologica di Peter Schiesser Nel duello per la supremazia mondiale fra Stati Uniti e Cina, economica, tecnologica, culturale, lentamente anche militare, c’è una dimensione ulteriore: quella ideologica. Non nel senso di una eventuale vittoria di un camaleontico comunismo sul capitalismo, poiché la Cina deve la sua rinascita allo strumento chiave del capitalismo: il libero mercato. Per contro, del comunismo ha mantenuto la predilezione per un controllo autoritario. Ed è qui che si gioca la sfida più importante: il binomio liberalismo economico e liberalismo politico ha prevalso 25 anni fa sulle dittature che si reggevano su un’economia pianificata, un modello collassato in Unione Sovietica e quasi ovunque nel mondo. Ma oggi, che cosa potrebbe rivelarsi di maggiore successo, un capitalismo liberale o un capitalismo autoritario? In altre parole, la libertà, la democrazia, lo scambio e finanche lo scontro di idee, la faticosa ricerca di un consenso, ma anche un’educazione critica, sono la condizione perché possano affermarsi una società e un’economia innovatrici, produttive, tecnologicamente avanzate, socialmente in equilibrio? Oppure
società ed economia fioriscono al meglio se a dirigere, controllare, imporre, reprimere, definire il futuro del paese e dei cittadini, è un unico partito, una ristretta dirigenza o un’unica persona? In questo interrogativo sta il destino del modello occidentale (che pure in questi decenni, nella sua sfera di influenza al di fuori di Europa e Stati Uniti, è stato fatalmente minato da lotte di potere, corruzione, criminalità laddove le strutture statali sono fragili). Sta il destino di un concetto di libertà individuale come motore evolutivo della società, dello Stato e dell’economia. Se la Cina riuscisse davvero ad affermarsi come prima potenza mondiale fra due o tre decenni e ci fosse ancora un onnipotente partito comunista a guidarla, il liberalismo potrebbe diventare un semplice capitolo della storia. Il «sogno cinese» che Xi Jinping ha annunciato al mondo sarà però tutto da verificare. E prima ancora di poter capire se un controllo assoluto dello Stato sulla società possa prima o poi entrare in conflitto con la crescente libertà economica, occorrerà osservare molto attentamente come la dirigenza cinese affronterà i due grandi problemi che la rapida crescita economica ha provocato nel presente: un’enorme diseguaglianza nella distribuzione della ricchezza che destabiliz-
za il tessuto sociale e un alto indebitamento delle aziende statali che mette in pericolo la stabilità finanziaria e quindi economica della Cina. Secondo le stime dell’economista cinese Li Gan, il coefficiente di Gini è di 0,61, un livello al quale si rischia una rivoluzione, secondo uno studio dell’ONU («Tages Anzeiger» del 20.10.’17). La lotta alla corruzione ordinata da Xi Jinping è quindi da leggere anche come una risposta al malessere sociale di fronte ad un arricchimento senza scrupoli. Il secondo grosso problema, l’indebitamento delle aziende statali, è figlio di un condizionamento da economia pianificata: l’obiettivo di una crescita del 6,5% all’anno. Se la crescita non arriva per conto suo, si inietta denaro nel sistema, si crea sovraproduzione e ci si indebita mantenendo in vita aziende in perdita, perché il PIL nel 2020 deve raddoppiare rispetto al 2010 – così vuole Xi Jinping. Il debito pubblico risulta quindi oggi pari al 235% del PIL, se si va avanti a «pompare» l’economia statale, secondo l’analista Ruchir Sharma (NYT, 26 ottobre), si arriverebbe in pochi anni ad un «destabilizzante 280 per cento». Al di là dei proclami, il sogno cinese deve ancora dimostrare la sua solidità, e Xi Jinping la sua presa sul partito e sul paese (vedi anche Caracciolo a pagina 21).
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 30 ottobre 2017 • N. 44
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Attualità Migros
M Un’evoluzione colorata
Collaboratori D all’inizio di novembre un nuovo abbigliamento per il personale di vendita Migros Ticino
Le nuove divise sono state disegnate dalla creatrice di moda elvetica Ida Gut.
Con le loro camicie e camicette color paprika e le brillanti strisce arancioni sulle maniche, i collaboratori di Migros Ticino hanno fatto sfoggio per ben dodici anni di un look elegante e
sportivo in linea con la corporate identity aziendale. Giunge ora il momento di rinnovare l’abbigliamento da lavoro. Dato il successo dell’attuale collezione dal punto di vista dello stile e dell’ef-
ficacia comunicativa, il design e i materiali del nuovo abbigliamento non esprimeranno tanto un’innovazione quanto piuttosto un’evoluzione. Della realizzazione si è occupata Ida Gut, la
designer di moda svizzera che ha già firmato l’abbigliamento da lavoro finora utilizzato. I suoi modelli si sono dimostrati molto efficaci e hanno riscosso un grande apprezzamento.
colori di tendenza con una tonalità più scura dell’attuale.
SportXX, Do-it e melectronic: i loro abiti da lavoro per il momento rimangono invariati.
«La pratica e l’estetica a braccetto» Gianfranco Covino, Responsabile di vendita di zona di Migros Ticino, ha fatto parte del gruppo di lavoro nazionale che si è occupato dell’introduzione della nuova linea di abiti da lavoro. Signor Covino, per collaborare alla scelta del nuovo abbigliamento lei ha partecipato al gruppo di lavoro nazionale. Da chi era composto?
Il gruppo era composto da un rappresentante per ogni Cooperativa regionale: io rappresentavo Migros Ticino. Oltre a noi era presente il coordinamento della Federazione delle
cooperative e, naturalmente, Ida Gut, la designer dei capi d’abbigliamento.
Il lavoro della scelta richiede di pensare sia all’estetica che alla pratica: quale delle due prevale, alla fine?
Di base è un binomio che è andato a avanti a braccetto: per noi era molto importante che sia l’utilità e la praticità, sia l’estetica, contribuissero al confort dei nostri collaboratori.
Che tipo di tessuto è stato scelto e che colori?
Non abbiamo voluto stravolgere il tipo di tessuto: tutte la divise sono al 100 per cento di cotone e per il colore ci siamo orientati sul granata e sul nero,
I settori di lavoro aziendale sono molti: come si diversificano le nuove divise a seconda del ramo di impiego?
Per questa tornata siamo partiti con l’abbigliamento di chi lavora nei supermercati. Ci siamo occupati del restyling di tutte le divise dei collaboratori di questo ambito. Inoltre abbiamo puntato sul colore nero per tutti coloro che operano ai banchi a servizio e per la ristorazione: sicuramente stupiremo i nostri clienti. I settori non ancora toccati dalla modifica sono i nostri mercati specializzati, quindi Micasa,
Per quanto tempo si prevede che rimanga in uso il nuovo abbigliamento? È un fattore che viene considerato al momento della scelta?
Se penso che i capi di abbigliamento attuali sono stati in uso per più di 10 anni, si prevede che con quelli attuali copriremo un periodo almeno altrettanto lungo. È vero però che, vista la velocità con cui si delineano oggi le tendenze della moda e la sua evoluzione, non si può prevedere oggi una durata precisa.
Il cambiamento più evidente interessa la colorazione della divisa. Il granata, il nuovo colore fresco e cangiante dai riflessi rossi e arancioni tipici della melagrana, è una variazione delle tinte di base finora usate. Si procede ora al loro rinnovamento, con una diversa disposizione dello stesso filato nella struttura della stoffa. La striscia arancione Migros viene ora integrata da sfumature, che permettono di riproporre l’elemento già noto in un nuovo design. L’evoluzione del look interessa anche la gastronomia e in particolare i ristoranti e i take away Migros. Il colore dominante del settore è un antracite elegante, sempre con la striscia Migros sulla parte superiore della manica. Nelle panetterie della casa il personale vestirà di bianco con grembiule grigio. Complessivamente, la nuova collezione comprende trentun capi, tra cui anche cravatte, foulard, berretti da cuoco e da panettiere, t-shirt e grembiuli. Le camicie e le camicette sono al 100 per cento di cotone.
Un brindisi per chi va in pensione Migros Ticino Negli scorsi giorni il Comitato di Direzione della cooperativa ha dedicato un momento
di ringraziamento ai propri collaboratori che hanno tagliato il traguardo di fine carriera Un simpatico incontro conviviale ha segnato il momento dei saluti per una ventina di dipendenti di Migros Ticino che da quest’anno hanno raggiunto il pensionamento. Tra loro, alcuni curriculum degni di nota perché segnano oltre 40 anni di presenza nelle file dell’azienda. La «decana» è sicuramente Gabriella Maggetti (quinta da destra, in seconda fila), impiegata presso la sede centrale di S. Antonino quale ricezionista-centralinista di Migros Ticino. È entrata in azienda il 4 aprile del 1972 e lascerà l’azienda a fine anno dopo ben 45 anni e 9 mesi di onorato servizio. Nella speciale classifica la seguono Nives De Ritz (seconda da destra), colla-
boratrice di vendita di Giubiasco, che a fine di ottobre andrà in pensione dopo 40 anni e 4 mesi di altrettanto apprezzato lavoro. Da menzionare anche i 40 anni e un mese di servizio di Roberto Barbaro (non presente nella foto), ex gerente della filiale di Mendrisio Borgo, che ha lasciato l’azienda il 30 giugno 2017. Per tutti sono validi due versi della divertente poesia Trentun anni sotto la cupola composta per l’occasione da Vera Zanti Rigassi (nella foto prima da destra), collaboratrice di vendita di Bellinzona, che si ritira dopo oltre 30 anni di lavoro presso Migros Ticino: «Migliaia di clienti ho conosciuto/ servirli bene ho sempre voluto».
Da sin: V. Ciresa, I. Rochira, D. Culap, M.P. Spagnoli, M. Daveti, P.M. De Silvestri, V. Braga, B. Daniel, S. Blanco Blanco, G. Maggetti, E. Pignataro, R. Bellini, N. De Ritz, V. Zanti. (Assenti: N. Fanaro, R. Barbaro, G. Geraci, V. Leoni, R. Freitas, M. Bailao Nunes Barreiros).
Azione
Sede Via Pretorio 11 CH-6900 Lugano (TI) Tel 091 922 77 40 fax 091 923 18 89 info@azione.ch www.azione.ch
Editore e amministrazione Cooperativa Migros Ticino CP, 6592 S. Antonino Telefono 091 850 81 11
Settimanale edito da Migros Ticino Fondato nel 1938 Redazione Peter Schiesser (redattore responsabile), Barbara Manzoni, Manuela Mazzi, Monica Puffi Poma, Simona Sala, Alessandro Zanoli, Ivan Leoni
La corrispondenza va indirizzata impersonalmente a «Azione» CP 6315, CH-6901 Lugano oppure alle singole redazioni
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Società e Territorio I bambini e i soldi Pro Juventute ha presentato un libro illustrato destinato ai bambini e una Lettera per i genitori sull’educazione a un uso consapevole del denaro pagina 5
KEBAB+ arriva anche in Ticino Il progetto promosso dal Percento culturale Migros insegna a bambini e ragazzi ad assumersi la responsabilità del proprio benessere, attraverso l’alimentazione sana, il movimento e la socializzazione pagina 6
La forza degli introversi Pubblicazioni Vostro figlio socializza a
fatica e ama stare da solo? Non preoccupatevi ha dei superpoteri, parola di Susan Cain
Alessandra Ostini Sutto Viviamo in una società chiassosa, improntata alla socializzazione e al culto dell’esuberanza, nella quale l’introversione è una ricchezza che il più delle volte viene sottovalutata. «Questa tendenza che io chiamo l’“Ideale dell’estroversione” è radicata nella convinzione che dovremmo essere tutti individui carismatici e spavaldi, rapidi nel pensiero e con una preferenza per l’azione rispetto alla contemplazione», scrive l’autrice statunitense Susan Cain in Quiet power – I superpoteri degli introversi, una guida per bambini e adolescenti pubblicata in italiano da Bompiani lo scorso mese di giugno. Questo «ideale» porta chi non adempie ai suoi requisiti a pensare che vi sia qualcosa di sbagliato in lui. Ed è un vero peccato dal momento che è accertato che gli introversi hanno eccellenti capacità di osservazione e concentrazione, una preparazione spesso più approfondita e sanno gestire lo stress, essere indipendenti e trovare forza nella solitudine. Questi sono soltanto alcuni dei loro «superpoteri»: «L’introversione non è una zavorra di cui bisogna liberarsi crescendo, è una caratteristica da accettare e con la quale crescere, addirittura di cui gioire. Più ti rendi conto di quanto sono speciali i tuoi pregi da introverso più la tua sicurezza si fortificherà», scrive Susan Cain. Classe 1968, la Cain non è una psicologa, bensì un avvocato di Wall Street, laureata a Princeton e alla Harvard Law School. Sul tema nel 2012 ha scritto Quiet. Il potere degli introversi in un mondo che non sa smettere di parlare, che ha venduto oltre 2 milioni di copie ed è stato tradotto in 40 lingue, e ha tenuto un TED Talk in cui ha raccontato il suo percorso da una timidezza riluttante a una timidezza orgogliosa che ha conquistato il web diventando una delle conferenze TED più viste in assoluto. Spronata da questa esperienza, è stata tra le fondatrici di Quiet Revolution, un’azienda che sostiene e aiuta gli introversi di tutte le età a far capire loro che nulla gli è precluso. La sua ultima fatica letteraria contiene, oltre ad alcune divertenti illustrazioni, spunti chiari e semplici e testimonianze di numerosi ragazzi. «Questo libro non ti insegnerà a tra-
sformarti in qualcun altro ma a usare meravigliose doti e capacità che possiedi già», come documenta l’esperienza stessa dell’autrice. Quando era un’adolescente molti le chiedevano perché fosse così silenziosa. Per anni ha fatto del suo meglio per apparire «socievole», che a scuola sembrava il complimento migliore che si potesse ricevere. Si sforzava di parlare di più in classe e andava a feste piene di gente anche quando avrebbe preferito uscire con pochi amici. Solo con il tempo ha realizzato che il suo approccio pacato era sempre stato un pregio: gli altri la apprezzavano per la profondità delle sue riflessioni, la capacità di ascolto e la calma, mentre la sua capacità di elaborare gli avvenimenti e riflettere, crescendo, le sono tornate molto utili. Il suo è tutt’altro che un caso isolato. Gli introversi sono tra un terzo e metà della popolazione mondiale e tra di essi si contano molti personaggi celebri del passato e del presente, come racconta la Cain nel suo piacevolissimo libro. L’attrice Emma Watson, per esempio, si definisce «timida, impacciata nei rapporti sociali. Una frana nelle chiacchiere inutili, a disagio in pubblico e nelle feste rumorose», mentre la star della musica pop Beyoncé dice di essere stata una bambina introversa e, nonostante la sua attuale sicurezza in scena, di non aver modificato il proprio modo di essere, pacato e osservatore. Anche la Apple deve molto ad un introverso: se Steve Jobs è presto diventato il volto dell’azienda grazie al suo carisma, fu Stephen Wozniak a completare, in perfetta solitudine, il prototipo del primo computer. In questo caso i due formavano un team vincente perché erano complementari, ma gli introversi possono essere anche leader, come testimoniano le vicende di Rosa Parks o Gandhi. «La gente sentiva che questi leader erano al timone, non perché a loro piacesse controllare gli altri o per il piacere di essere in primo piano; erano lì perché erano spinti a fare quello che pensavano fosse giusto», scrive Susan Cain. Tra le caratteristiche che fanno degli introversi dei buoni leader figurano la capacità di ascoltare, osservare ed individuare le migliori qualità dei propri collaboratori. Come diceva Winston Churchill «Serve coraggio per alzarsi in piedi e
Susan Cain ha creato Quiet Revolution per sostenere gli introversi e far capire loro che nulla gli è precluso. (Marka)
parlare; ma serve coraggio anche per sedersi e ascoltare». Purtroppo questo «coraggio» non viene sempre riconosciuto. Oggi si comincia a far stare i bambini in gruppo quando hanno pochi mesi, per esempio al nido, e con la crescita la logica del branco può diventare opprimente per chi ha un intrinseco bisogno di stare da solo. È quindi importante che i genitori siano in grado di comprendere i figli. Se, per esempio, rientrati a casa si chiudono in camera, lasciamoli tranquilli: non è detto che ci sia un problema o che non si siano divertiti, piuttosto che hanno bisogno di tempo per «decomprimere». Il sistema nervoso degli introversi reagisce infatti più intensamente alle esperienze sensoriali. Ecco perché essi sono più a loro agio in situazioni tranquille, con un numero ristretto di amici o familiari, mentre gli estroversi necessitano di stimoli senso-
riali che li facciano sentire vivi. È come se le persone avessero una batteria per i rapporti sociali, che però si scarica e si ricarica in circostanze completamente diverse, scrive Susan Cain. Spesso gli introversi eleggono istintivamente una «nicchia rigenerante» – la propria camera, la terrazza, un campo da basket, come pure una passeggiata lungo il fiume o qualche minuto con gli occhi chiusi e la musica nelle cuffie – che diventa il proprio rifugio per rilassarsi e ricaricarsi. Secondo la «teoria dell’elastico» – di cui si parla a più riprese nel libro – però gli introversi hanno la capacità di «tendersi» quando ritengono ne valga la pena. Troppo tesi, tuttavia, possono spezzarsi; il trucco sta quindi nel conoscere i propri limiti e nel provare ad espanderli piano piano, seguendo il consiglio di Eleanor Roosevelt di fare «ogni giorno una cosa che ti spa-
venta», a cominciare da quelle piccole, come alzare la mano in classe. Un altro modo che essi hanno per fare qualcosa che non rientra nelle proprie corde è prepararsi. Quando Susan Cain fu invitata a tenere un TED Talk davanti a 1500 persone – tra cui personaggi del calibro di Bill Gates, Al Gore e Cameron Diaz – rimase terrorizzata; ma, dopo quasi un anno di allenamento per migliorare i discorsi in pubblico, il suo intervento fu un successo: «Ricevetti una standing ovation e nel giro di una settimana il mio discorso aveva avuto più di un milione di visualizzazioni in rete. La lezione è semplice, e vale tanto per le rappresentazioni teatrali, esposizioni orali in quinta elementare quanto per una conferenza: io non andai bene grazie a un talento naturale; andai bene perché ero preparata, ed ero preparata perché, da introversa dovevo esserlo».
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 30 ottobre 2017 • N. 44
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Società e Territorio
Parlare di soldi con i bambini Famiglia Pro Juventute ha realizzato un libro illustrato destinato ai bambini fra i 4 e gli 8 anni e una Lettera
per i genitori sul tema del denaro, lo scopo è quello di prevenire l’indebitamento precoce Stefania Hubmann Come si riceve il denaro? Cosa si può fare con esso? Perché è limitato? All’adulto sembrano interrogativi banali, ma in realtà sollevano temi che ci accompagnano tutta la vita. Affrontarli quando si è piccoli aiuta a crescere preparandosi progressivamente a una gestione consapevole dei soldi. Il ruolo della famiglia resta centrale anche per questo aspetto educativo sin dall’infanzia quando i «perché?» si susseguono a raffica. Per facilitare le risposte su un tema astratto e complesso con chi non ha ancora la capacità di astrazione, la Fondazione Pro Juventute ha realizzato un libro illustrato destinato ai bambini fra i 4 e gli 8 anni e alle loro famiglie.
Secondo Pro Juventute l’educazione a un uso responsabile del denaro è auspicabile sin dall’infanzia Soldi in vendita, edito nella versione italiana da Casagrande, ha quali protagonisti due piccoli amici, vivaci e intraprendenti, che nella loro avventura per costruire una casetta sull’albero sperimentano i molteplici significati legati al denaro: regalare, scambiare, lavorare, comprare, vendere, risparmiare. La storia è quindi ricca di spunti raffigurati attraverso illustrazioni dense di situazioni e oggetti. Un libro da leggere, osservare e riprendere in mano più volte per discutere di azioni e pensieri che ruotano attorno ai soldi. L’utilizzo del bancomat, il quotidiano finanziario sotto il braccio di un uomo e il mendicante sono esempi che convivono nella medesima scena, così come altre evocano gli sconti e il gioco d’azzardo. «Con questo libro – spiega Ilario Lodi, responsabile dell’Ufficio della Svizzera Italiana di Pro Juventute – completiamo i supporti sul tema della gestione del denaro per le diverse fasce d’età. La Fondazione offre già materiale didattico per le scuole medie e le medie superiori. “Tutto sui soldi” è il titolo del progetto destinato al secondo ciclo di scuola elementare e alle scuole medie, mentre nelle superiori siamo presenti con unità didattiche organizzate in collaborazione con Manuela Pagani, economista e consulente finanziaria, per discutere il rapporto dei giovani con il denaro nelle sue varie forme, analizzando concetti come il lavoro, i valori,
la ricchezza. Soldi in vendita, disponibile anche in francese e tedesco, vuole facilitare il compito soprattutto dei genitori al momento in cui i bambini iniziano l’iter scolastico». È quindi possibile e auspicabile affrontare le questioni legate al denaro anche con bambini molto piccoli? «Sì, certo, basta procedere per gradi e sfruttare gli aspetti concreti, l’esperienza. Le famiglie hanno infinite possibilità per trasmettere ai loro figli principi e valori in questo ambito, possibilità che sono offerte dalle occasioni di vita. Ad esempio, quando si va insieme al supermercato invece di acquistare le caramelle con il resto della spesa, si può dare loro cinque franchi e lasciare che compiano l’azione personalmente. L’esperienza è una componente fondamentale dell’apprendimento, anche in relazione all’uso del denaro». Alma e Milan, i protagonisti della storia di Lorenz Pauli illustrata da Claudia de Weck, godono infatti di una certa libertà per sperimentare soddisfazioni e delusioni quali conseguenze delle loro azioni. In loro compagnia bambini e adulti possono soffermarsi sul significato di questi comportamenti e di riflesso sulle questioni chiave per una gestione responsabile del denaro. L’obiettivo di Pro Juventute in questo settore, che è quello delle pratiche educative legate alla presa di coscienza dell’importanza del denaro, è di evitare l’indebitamento precoce, considerato che secondo i dati del 2013 quasi il 18 per cento della popolazione svizzera vive in un nucleo familiare in arretrato con i pagamenti. I crediti più frequenti riguardano il leasing dell’auto e beni di consumo. Pur non essendo l’indebitamento un problema esclusivamente giovanile, la Fondazione è consapevole che chi giunge all’età adulta già indebitato parte da una posizione svantaggiata. Denaro e consumi sono quindi temi da af-
I bambini imitano i comportamenti degli adulti anche per quanto riguarda l’uso del denaro. (Keystone)
frontare presto. Oltre al libro, di recente pubblicazione, Pro Juventute mette a disposizione una scelta di materiale per genitori, insegnanti e persone di lingua straniera che può essere scaricato gratuitamente all’indirizzo http://competenze-finanziarie.projuventute.ch. Da rilevare, che l’azione della Fondazione è inserita nel Piano cantonale pilota per la prevenzione all’indebitamento eccessivo denominato «Il franco in tasca» (www.ilfrancointasca.ch). Partito nel 2014 e concepito sull’arco di quattro anni, il Piano mira a coordinare le diverse iniziative presenti sul territorio. In concomitanza con il lancio del libro viene promossa da Pro Juventute anche la diffusione della «Lettera speciale» ai genitori su denaro e consumi nella vita quotidiana. Essa fa parte del progetto di sostegno educativo alle famiglie «Lettere ai genitori», di cui è responsabile per la Svizzera Italiana Valeria Schmassmann. «Le Lettere sono opuscoli informativi agili e facilmente accessibili dal punto di vista linguistico che accompagnano i genitori sin dalla nascita dei figli», spiega la
responsabile. «Durante il primo anno di vita hanno frequenza mensile, poi l’intervallo di tempo aumenta. Offrono consigli pratici per risolvere le difficoltà che accomunano i neogenitori, come pure indirizzi utili per problemi specifici». Per alcuni argomenti di particolare rilevanza, come appunto l’uso del denaro, sono state realizzate Lettere ad hoc. Quella dedicata al denaro e ai consumi parte proprio dagli anni che precedono l’inizio della scuola. Precisa Valeria Schmassmann: «Benché i bambini piccoli non abbiamo ancora un rapporto con i soldi, imparano dai genitori, imitando in maniera ludica il loro comportamento. Un tipico esempio è il gioco della bottega. Tutto quanto viene insegnato a questa età serve da guida per il futuro. Anche la capacità di saper rinunciare e aspettare, particolarmente importante in relazione al denaro, è una competenza che si esercita sin dall’infanzia». La lettera parte da questa fase della vita, che deve assicurare al bambino calore, ascolto e sicurezza, per poi af-
prospettive ma anche le aspettative, sia da parte delle aziende che assumono, sia da parte di chi è in cerca. Di recente, da una chiacchierata con la responsabile delle risorse umane di un’azienda ticinese con una popolazione lavorativa composta da diverse fasce d’età, è saltato fuori come per chi lavori in azienda da 50 anni sia sempre stato prioritario fare gli straordinari in modo da poter mettere da parte qualcosa. Per le nuove generazioni, invece, sono fondamentali il tempo libero, gli spazi e tempo per se stessi, le opportunità per poter viaggiare. Non solo, in generale sembra che i giovani arrivino in azienda con un bagaglio professionale e umano più ricco, anche più preparati dal punto di vista tecnologico ma siano anche molto più fragili e instabili dal punto di vista psicologico e
umano. Una tesi che trova riscontro già nelle Università, molto prima dunque dell’ambiente professionale. In particolare sulla piattaforma «Minding the Campus. Reforming our Universities» ho letto l’interessante articolo Perché i millenials sono così fragili nel quale, in sostanza, riportando le testimonianze di alcuni professori americani e inglesi, si dice che «gli studenti non siano più quelli di una volta». Neil Howe e William Strauss, nella ricerca I millenials vanno all’università raccontano come le nuove generazioni siano molto meno mature e resilienti di quelle precedenti e come per loro sia molto più difficile vivere la transizione, da una vita famigliare, all’autonomia e alla libertà dei campus universitari. Ci si potrebbe chiedere quale ruolo giochi la tecnologia in tutto questo, e in che misura,
frontare temi sempre più complessi, dalla paghetta alle esigenze degli adolescenti fino alla realtà dell’età adulta con il primo salario e le implicazioni della maggiore età. Le Lettere come il libro rappresentano anche un contributo all’integrazione essendo disponibili in diverse lingue straniere (per il libro solo il testo in versione pdf). Il messaggio di Pro Juventute ai genitori è chiaro: l’educazione a un utilizzo responsabile del denaro è possibile ed essenziale sin da quando i figli sono piccoli. In un mondo nel quale i soldi sono sempre meno visibili e le possibilità di acquisto estese 24 ore su 24 è necessario offrire ai più piccoli la possibilità di acquisire competenze che sono nel loro stesso interesse. I soldi in vendita di Alma e Milan insegnano anche questo e soprattutto che il denaro, benché importante, non è paragonabile al piacere di fare le cose insieme e al legame di amicizia. Informazioni
www.projuventute.ch
La società connessa di Natascha Fioretti Dimmi che curriculum hai... E ti dirò chi sei, o meglio, dove potrai lavorare. Valeva sicuramente un tempo, oggi è molto più in voga dire «Dimmi che profilo social hai e ti dirò...». Personalmente ho sempre odiato il CV, eccetto all’inizio, una volta uscita dall’Università quando riassumere il tuo percorso di studi, renderlo unico e interessante, equivaleva a tirare le somme di quanto compiuto fino a lì, proiettato, pieno di speranza, verso un mondo lavorativo appassionante in cui trovare la tua identità professionale e la tua indipendenza economica. Inizialmente ha funzionato, tutto sembrava piuttosto facile, bastava fare la scelta giusta, che in verità non è cosa di poco conto, tutt’altro. Poi le cose hanno preso un’altra piega, la mia generazione e quelle a seguire si sono presto rese
conto che il mondo del lavoro non era più quello stabile dei loro genitori, le regole ad un tratto sono cambiate, alcuni principi e valori pure. Ricordo le parole di mio padre quando andò in pensione «non invidio voi giovani di oggi, ai miei tempi inizialmente era più dura ma se avevi la stoffa e la voglia di fare riuscivi a perseguire i tuoi obiettivi e le persone avevano un codice d’onore, dei valori, oggi è tutto diverso». In effetti, negli ultimi dieci anni le cose sono cambiate rapidamente, alcuni settori sono stati completamente stravolti, e così ci siamo confrontati con un mercato del lavoro instabile, talvolta precario, talvolta stimolante, talvolta senza via d’uscita per cui parole come «ricerca» «mettersi in gioco», «aggiornarsi» sono diventate parte dell’identità di ciascuno di noi. Sono cambiate le
ma le righe stringono e dobbiamo rimandare. Tornando invece al mio incontro mi interessa mettere in luce un altro aspetto che ci riporta al discorso del curriculum. Mi diceva infatti la responsabile delle risorse umane che oggi per molte aziende la fonte primaria dalla quale attingere, scoprire, verificare e ricevere nuovi profili sono le piattaforme social. In particolare Linkedin consente di cercare il profilo giusto in un più ampio bacino che travalica confini geografici e linguistici, presupposto ideale quando si è in cerca di profili professionali altamente specializzati e plurilingue. I curriculum tradizionali, dunque, hanno fatto il loro tempo, se volete investire su voi stessi ed essere cercati-trovati sul mercato del lavoro aprite e aggiornate il vostro profilo su Linkedin.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 30 ottobre 2017 • N. 44
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Società e Territorio
di denti Mangia muoviti incontra Parliamo Pubblicato con il sostegno del Giovani e salute Il progetto KEBAB+ promosso dal Percento
culturale Migros insegna a bambini e ragazzi come la cucina sana, lo sport e la socializzazione siano essenziali per il proprio benessere
Yvonne Pesenti Salazar Il Kebab, si sa, è uno spiedino a base di carne, tipico della cucina turca, popolare in tutto il mondo. Alle nostre latitudini questo vocabolo è anche divenuto sinonimo di fast food e di abitudini alimentari generalmente poco salutari – purtroppo molto diffuse anche tra adolescenti e ragazzi. Ma KEBAB+ è anche il nome di un progetto per la promozione della salute, sviluppato dal Percento culturale Migros e realizzato in collaborazione con l’Associazione svizzera per l’animazione socioculturale dell’infanzia e della gioventù (AFAJ), con l’obiettivo di educare alla salute bambini e adolescenti, incoraggiandoli a confrontarsi in modo creativo e responsabile con temi quali l’alimentazione, la cucina, il movimento e il benessere psicofisico.
KEBAB+ è nato dieci anni fa e in numerosi centri giovanili della Svizzera sono stati realizzati più di 600 progetti, ora è attivo anche in Ticino Per mancanza di tempo, per pigrizia, ma anche per stare con gli amici, invece di consumare pasti completi e cibi sani non di rado ragazzi e adolescenti ricorrono a spuntini di vario tipo, solitamente poco equilibrati dal punto di vista nutrizionale: panini, snack e cibi pronti, che di regola vengono trangugiati in tutta fretta. Anche l’attività fisica viene spesso trascurata. Cattive abitudini che, oltre a influire negativamente sul benessere generale, possono favorire il manifestarsi di problematiche quali sovrappeso e obesità – un fenomeno che, come rilevano i dati di un’indagine pubblicata alcune settimane fa, in Svizzera concerne il 17% degli adolescenti –, o essere una causa di disturbi alimentari gravi, come anoressia e bulimia. Secondo il Professor Thomas Mattig, direttore di Promozione Salute Svizzera e curatore dello studio, queste percentuali evidenziano che «è a livello di scuola media e secondaria che c’è maggiore necessità d’in-
tervento in termini di prevenzione e informazione». Alla base di un rapporto disordinato con il cibo non ci sono solo comportamenti alimentari scorretti, ma anche fattori quali insicurezza, paura del giudizio dei coetanei e scarsa autostima. Per modificare i comportamenti alimentari e lo stile di vita dei più giovani tuttavia non sempre basta il supporto della famiglia. È soprattutto in seguito a queste constatazioni che è nato KEBAB+. L’acronimo KEBAB (dal tedesco Kochen, Essen, Begegnen, Ausspannen, Bewegen), rimanda ai principi cardine del progetto: cucinare, mangiare, incontrarsi, rilassarsi, fare movimento. KEBAB+ è stato lanciato una decina di anni fa con l’obiettivo di sensibilizzare i più giovani, attirando la loro attenzione sull’importanza della qualità dell’alimentazione e dell’attività fisica. Oltre a prevenire varie patologie, mangiare in modo sano ed equilibrato e fare regolarmente esercizio fisico alternato a momenti di relax, è infatti essenziale per sentirsi bene e in forma. Permette inoltre ai giovani di migliorare la consapevolezza del proprio corpo, agevolando la socializzazione e un inserimento meno problematico tra i coetanei. KEBAB+ stimola bambini e ragazzi a riflettere sui propri comportamenti alimentari e sui benefici del movimento, ma anche sul valore dei momenti di incontro e di condivisione, e aiutandoli così ad assumersi in prima persona la responsabilità per il proprio benessere psicofisico. Lo fa senza salire in cattedra e senza colpevolizzare, ma incoraggiando bambini e ragazzi a dar vita a iniziative che permettano a ognuno di imparare a cucinare, a mangiare in modo più sano e a praticare nuovi sport. I progetti devono consentire a ognuno di partecipare attivamente e di divertirsi, condividendo le proprie esperienze con i coetanei. Nell’arco di quasi 10 anni, sotto l’egida KEBAB+ e con il sostegno finanziario del Percento culturale Migros, in numerosissimi centri giovanili di tutta Svizzera sono stati realizzati oltre 600 progetti, dalle caratteristiche e contenuti più svariati. La lista pubblicata sul sito www.kebabplus.ch ne è la conferma. Si va dai workshop culinari e/o
gastronomici, come ColorfulCooking o Create Your Food, a progetti come La roulotte enchantée, che a Losanna propone momenti di svago e creatività in un parco cittadino, con aperitivi salutari e un «buffet canadese a lume di candela», cucinati e serviti dai ragazzi. Parecchi gruppi hanno creato ricettari multietnici, imparando dai compagni a cucinare piatti tradizionali dei rispettivi paesi di provenienza. C’è chi coltiva un orto cittadino e prepara manicaretti con i prodotti del raccolto. Numerose le iniziative che mettono lo sport al centro, senza dimenticare di ritemprare le energie con un pasto o uno spuntino tutta salute, cucinato e gustato in comune. Ma non mancano iniziative con titoli accattivanti come Superwomen Days o Boys Only, volte a dare a ragazze e ragazzi maggiore sicurezza e consapevolezza di sé e del proprio ruolo di genere. A marzo di quest’anno KEBAB+ è stato presentato anche in Ticino nell’ambito di un atelier riservato agli animatori, organizzato in collaborazione con Giovanianimazione. Finora tre centri giovanili hanno realizzato progetti nell’ambito di KEBAB+. Di certo anche a sud delle Alpi non mancheranno di fiorire nuove iniziative nell’ambito di questo stimolante contesto.
Condizioni di partecipazione Tutti i centri giovanili e le associazioni giovanili locali possono inoltrare la presentazione di un progetto con la relativa richiesta di finanziamento. Il progetto deve essere sviluppato insieme ai giovani, sotto la guida e la responsabilità di un animatore socioculturale. Il finanziamento non supera di norma i CHF 2000.– (comprese le spese per la documentazione di progetto) e si orienta in base al rendiconto dei costi sostenuti per la realizzazione del progetto. Informazioni: www.kebabplus.ch – www.giovanianimazione.ch – email: coordinatore@giovanianimazione.ch Recapito: Giovanianimazione, Piazza Grande 3, 6512 Giubiasco.
I progetti di KEBAB+ devono consentire a ognuno di partecipare attivamente e di divertirsi.
Le Voci
Percento culturale di Migros Ticino il nuovo estratto dal Vocabolario dei dialetti
Mademoiselle Silvia Rossi (la immaginiamo sofferente e preoccupata) decise di affidarsi alle cure del «MédicinDentiste» E. Winzeler, il cui studio si trovava al numero 364 di Via Nassa a Lugano. Era il 27 luglio del 1907. Il medico scoprì che aveva una grossa carie. Si possono immaginare le attrezzature di quell’ambulatorio d’inizio 900: trapani elettrici dalle lunghe braccia, i cui meccanismi erano azionati con cinghie di cuoio e rotelle cigolanti. La coraggiosa Mademoiselle Rossi si sottopose a un’otturazione, realizzata con «cimento e platino». Non sappiamo se la cura ebbe successo, ma speriamo proprio di sì. La relativa fattura, comunque, ammontava a fr. 8.– e fu saldata il 18 gennaio dell’anno seguente. Questo fa ben sperare sull’esito dell’intervento. La fonte, così precisa, di queste informazioni (che ci riportano alla «belle époque» ticinese, anche se vista magari da un’angolazione non molto consueta) si trova pagina 101 di un piacevole volumetto uscito di recente. Il libro fa parte della collana «Le Voci» e si tratta della 17esima pubblicazione di una serie iniziata nel 2000 dal Centro di Dialettologia e di Etnografia di Bellinzona. Il libretto si intitola, per l’appunto, Dente, e riporta in forma divulgativa e riccamente illustrata le informazioni storico-etnografiche relative alla parola dialettale «Dénc» così come registrata sul nostro Vocabolario dei dialetti della Svizzera Italiana. Forse non tutti sanno che le sue pagine sono compilate consultando un esteso schedario cartaceo, che è il patrimonio lessicografico del Vocabolario stesso. Attraverso milioni di minuscoli foglietti di carta sottile (un esempio è visibile alla p. 107, contenente la descrizione del toponimo «Dénc del Porc», una montagna della Bregaglia) i ricercatori del CDE stanno portando avanti la redazione. E in questi agili e piacevoli volumetti della collana «Le Voci» ci stanno offrendo di tanto in tanto assaggi, divertenti e curiosi, attorno vari temi della nostra vita sociale e culturale del passato e del presente. La particolarità di queste «Voci» sta nella scelta di affiancare alla descrizione linguistica una interessante e ampia documentazione iconografica. Moltissime sono quindi le immagini che si collegano alla parola scelta. Nel caso dei denti, sono proposte inserzioni pubblicitarie (sopra ne recuperiamo una da «Azione» del 1953), oggetti di uso quotidiano e dentistico, quadri con scenette popolari e molto altro. Per quel che riguarda il dialetto la parola «dente», come sappiamo, ha dato alla lingua e alla cultura popolare il pretesto per creare numerosissimi giochi di parole, analogie, proverbi, barzellette. Uno dei redattori del Vocabolario, Johannes Galfetti, ha ordinato l’ampio materiale in quindici capitoli di una trattazione dettagliata e capace di incuriosire, e che fornisce «pane per i loro denti» a tutti coloro che con-
dividono la curiosità sulle varie forme della nostra parlata. Scorrendo queste pagine scopriamo quindi come i denti abbiano fornito materia di discussione per gli argomenti legati all’alimentazione e alla masticazione. I denti sono però anche presi in considerazione per la loro funzione aggressiva. Accanto quindi ai modi di dire come «fà balà i dénc» e «fà lavurà i dinc» che stanno per «mangiare», si trova anche «Vignì ai dénc», che vale «litigare»; oppure «Végh i dénc da can», col senso di essere cattivo, litigioso. I denti sono comunque parti del corpo strettamente legate alle varie età dell’uomo e alla crescita. Quindi molti sono i modi di dire che descrivono l’infanzia, in cui sono presenti i «dénc da lacc», detti anche «dénc da téta» o «primm dénc». Gli adulti possono avere i denti «sèi cumè ciòld» (sani come chiodi, lo dicono a Chironico) oppure «guast, marsc» o «bös» come dicono ad esempio a Sementina. Gli anziani invece possono averli «a porteia» a cancello, cioè radi e malfermi, come dicono a Biasca. Oltre alle descrizioni concrete della forma della dentatura il volumetto ci offre poi una interessantissima documentazione legata all’argomento dolente per antonomasia, quello del mal di denti. Nelle epoche del passato, quando le conoscenze scientifiche erano di là da venire, le popolazioni rurali usavano affrontare il dolore con metodi che seguivano la logica della magia. Si pensava ad esempio che il male ai denti fosse procurato da piccoli vermi che vi si installavano dentro. I rimedi cercavano quindi di estrarre dalle carie questi intrusi e lo facevano ricorrendo a metodi curiosi e anche decisamente disgustosi. Oltre ai suffumigi con vari tipi di erbe, in alcune zone del cantone si usava applicare alle parti dolenti dei cataplasmi prodotti con poltiglie di lombrichi, lumache e altre sostanze non molto ortodosse. In alcuni casi si praticavano degli impacchi persino con lo sterco della mucca. Ma al di là da queste informazioni pittoresche, Dente, offre l’occasione per una lettura molto approfondita e curiosa, che ci mostra ancora una volta l’enorme ricchezza di ingegno e di creatività che sapevano utilizzare per descrivere la loro vita di ogni giorno i nostri antenati. Quando, per rendere meno crude e drammatiche certe difficoltà, le sdrammatizzavano attraverso la parola e il racconto condiviso. /AZ
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Un grande tormento per i piccoli: la pipì a letto
Svegliarsi la mattina in un letto bagnato è un peso per ogni bambino. E anche i genitori soffrono, sono stressati e spesso disorientati. Ma è possibile aiutarsi in modo rapido e ottenere il giusto sostegno. L’enuresi notturna è frequente. Un bimbo su cinque o sei in età prescolare e anche due o tre bambini in media per classe elementare si svegliano regolarmente in un letto bagnato. L’enuresi notturna è così, dopo le allergie, l’affezione cronica più frequente negli anni d’infanzia. L’enuresi notturna è un peso. Per i ragazzi alle soglie della scolarizzazione o persino già in età scolare o addirittura adolescenziale non ancora asciutti, il problema diventa un vero e proprio peso. Per vergogna, paura di essere derisi o emarginati, i piccoli non vogliono dormire da amici o si rifiutano di partecipare per es. a gite scolastiche di più giorni. Inoltre, spesso, chi è affetto da enuresi notturna dorme male e riscontra con maggior frequenza problemi a scuola. E anche i genitori soffrono. Si preoccupano per il figlio, si tormentano per la sensazione di aver sbagliato nel loro compito di educatori e l’estenuante cambio della biancheria, anche più volte a notte, può spingere l'intera famiglia in una crisi. La pipì a letto si può combattere. Nessuno è colpevole dell’enuresi notturna. La causa di un letto bagnato non è un errore educativo, né tantomeno una
reazione ostinata del bambino. L’enuresi notturna è quasi sempre legata a un ritardo nello sviluppo corporeo, che si può affrontare di regola rapidamente e con facilità con l’aiuto di un medico. Raramente è dovuta a un problema psichico, ma lo può invece diventare se non affrontata correttamente. Un ottimo sostegno è offerto anche dalla biancheria da notte assorbente, come le mutandine DryNites® da indossare sotto il pigiama, in vendita alla Migros. Dal design alla moda differenziato per maschietti e femminucce, le DryNites® sono prodotte in un materiale simile alla stoffa e sono comode proprio come le comuni mutandine, ma proteggono come un pannolino. Le DryNites® offrono così una protezione discreta e aiutano a rompere il circolo vizioso di insicurezza e mancanza di autostima causato dalla pipì a letto. I bambini vanno così a dormire con maggior fiducia in loro stessi e osano persino trascorrere la notte da amici, divertirsi a un pigiama party o seguire la classe per escursioni con pernottamento.
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Le storie della buona notte di DRYNITES®
Sabine Petzl, attrice e coautrice.
Per i bambini affetti da enuresi notturna i rituali prima di andare a coricarsi sono particolarmente importanti. Li aiutano infatti a combattere le loro paure e li rassicurano. A tale scopo, l’attrice austriaca Sabine Petzl (conosciuta per le sue interpretazioni nelle serie televisive Guardia costiera, Il commissario Rex e Medicopter) in collaborazione con DryNites® ha registrato diverse storie della buona notte in versione libro sonoro. Le avventure di Jamie, Ella, Sam e del piccolo elfo Buki sono disponibili gratuitamente sul sito drynites.ch.
Informazioni e suggerimenti: per informazioni e suggerimenti relativi all’enuresi notturna, servizi come la richiesta di campioni DryNites®, storie della buona notte gratuite in versione libro sonoro
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 30 ottobre 2017 • N. 44
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Società e Territorio Rubriche
Lo specchio dei tempi di Franco Zambelloni Bòtte e braccialetti Pochi giorni fa, nei quotidiani ticinesi, appariva una notizia: per proteggere le vittime di violenze domestiche la magistratura potrà imporre ai potenziali aggressori l’obbligo di indossare un braccialetto elettronico; ossia, la persona che ha commesso atti di violenza domestica ed è diffidata dall’avvicinarsi al coniuge potrà sempre essere localizzata, grazie al congegno elettronico, così che le forze dell’ordine possano intervenire tempestivamente quando si verifichi una trasgressione del divieto. Due cose mi vengono in mente: la prima è un curioso rovesciamento di significati simbolici. Il braccialetto, per secoli, è stato un simbolo d’unione che l’amante donava all’amata prima dell’anello di fidanzamento. Come la collana, anche il bracciale evoca l’idea di una catena, un legame simbolico che congiunge l’uno con l’altra. Adesso, il braccialetto diventa invece lo stru-
mento tecnologico che sancisce una separazione. La seconda riflessione riguarda invece il persistere – o addirittura la progressione – delle violenze domestiche. Sembra del tutto assurdo che comportamenti di aggressiva prepotenza, condannati dai codici morali e civili del nostro tempo, non solo non scompaiano, ma facciano anzi registrare una costante persistenza statistica. Nel maggio del 1997 i media ticinesi, dando ampio spazio al fenomeno della violenza sulle donne nel rapporto di coppia, riferivano che una donna su 5 ha subito violenza fisica; una su due, violenza psichica. Nel 2000, uno studio cantonale segnalava ancora, in Ticino, oltre duemila casi di violenza domestica registrati dalle varie associazioni e dai servizi specifici. È pur vero che di questi dati statistici sono possibili interpretazioni diverse. Può essere, ad esempio, che le violen-
ze in seno alla famiglia, verbali o di fatto, siano davvero cresciute; ma è anche possibile che sia cresciuto solo il numero delle denunce, perché donne, fanciulli, e anche uomini adulti, sono oggi più disposti a ricorrere a questo strumento di difesa giuridica. O ancora: è possibile che l’aumento dei casi sia dovuto all’aumento del numero di immigrati la cui cultura sancisce ancora il netto predominio del maschio sulla femmina, e che quindi non fanno che continuare ad applicare qui quello che hanno imparato altrove. È possibile, ma non è affatto detto: uno studio condotto sulla situazione europea nel 2004, poneva in cima alla graduatoria per atti di violenza sulle donne la Romania, ma subito dopo venivano Paesi in cui i diritti delle donne sono più ampiamente riconosciuti: la Finlandia, la Norvegia, il Lussemburgo, la Danimarca e la Svezia. È comunque difficile staccarsi da
costumi e da tradizioni millenarie. Da giovane, non di rado mi capitava di sentire il detto popolare «Chi dice donna, dice danno»: detto che riassumeva una misoginia antichissima, attestata con evidenza nell’Antico Testamento e poi riconfermata per secoli e secoli. Un solo esempio: nel Principe di Machiavelli si legge questo consiglio: «la fortuna è donna, ed è necessario, volendola tenere sotto, batterla e urtarla». Dunque: tipico del carattere femminile è l’insubordinazione, il capriccio (la fortuna, appunto, è detta «capricciosa»), difetti ai quali Machiavelli suggerisce di porre rimedio con un po’ di botte. È una conferma della tradizionale convinzione maschile che la donna debba essere sottomessa all’uomo – una sottomissione che è sancita anche dalla condanna divina nella Genesi (3, 16): «verso tuo marito ti spingerà il tuo desiderio, ed egli dominerà su di te». Questa volontà di dominio sulla donna
– profondamente radicata nella mentalità maschile – si è manifestata nel corso della storia e nelle varie culture in forme diverse – da quella della patria potestas e del matrimonio come contratto di compravendita, fino all’infibulazione (in uso già nell’antico Egitto) e ad altre menomazioni dei genitali femminili, così da garantirne al marito l’esclusiva proprietà. L’ostinata persistenza di questa volontà di dominio ha avuto interpretazioni e analisi disparate sfociate in centinaia, o forse migliaia, di studi e di teorie. Ne ho letti non pochi, e mi pare che non ci sia un’unica spiegazione certa, ma piuttosto un ampio ventaglio di spiegazioni tutte in vario modo plausibili. Certo è, invece, che il progresso morale – che pure indubbiamente è avvenuto – è lento e non è al riparo da ricadute; e il cammino per prendere le distanze dalle nostre lontane origini animali e da radici culturali millenarie è lungo e tortuoso.
autore di niente, capita qui diciottenne durante un viaggio di cinque mesi a piedi. Partito da Ginevra dov’è nato, passa prima da Nyon e Losanna, poi andrà a Friburgo e Neuchâtel. La cameriera portoghese mi porta il bicchiere di bianco brinato quanto basta. Brindo da solo, in silenzio, al titolo di un libro di Irène Némirovsky riaffiorato prima di colpo: Come le mosche d’autunno (1931). E sorseggio così a occhi chiusi quel paesaggio di vigneti mozzafiato intorno al paesino di St-Saphorin a pochi chilometri da qui, condensato in questo chasselas, al tavolo di Rousseau (82 m) a Vevey. Il tavolo in quercia è lucido, segnato dal tempo in una gradevole costellazione di graffietti marrone chiaro. Passo più volte il palmo sopra questa superficie vissuta. Dove c’è la targhetta parte una grande fessura fascinosa. Chissà quanti, penso, si sono seduti qui a bere e mangiare in duecentottantasette anni. Dall’altra parte della strada c’è un negozio di fiori. Lo sguardo poi si può spingere fino alle cime del Chablais
in Alta Savoia, sulla sponda opposta del Lemano. «Stabilì le mie pupille a Vevey» scrive Rousseau nel 1770 alla fine di un paragrafo un po’ prolisso, esaltato, patetico – del libro ottavo delle Confessioni (1782) pubblicate postume – che vi risparmio, a proposito della sua ricerca di un’ambientazione per i suoi personaggi futuri. In breve, arriva qui perché colpito dal lago e attratto ancora di più da Madame de Warens che chiama ridicolmente «Maman». Trentunenne donna di mondo nata qui a Vevey e morta in miseria a Chambéry. Una coppia di mezza età entra e riserva un tavolo per le sette meno un quarto. La specialità qui sono i filetti di pesce persico alla Rousseau. Usato in tutte le salse, è il caso di dirlo, il mieloso autore morto amareggiato. «Tredici!». Il vicino cruciverbista ha colpito ancora. Gli dico che la mia prozia Ilda le prendeva felinamente al volo, stringendole nel pugno, ma non fa una piega. Precisa però che non prende solo mosche ma anche cimici marmorate asiatiche.
Appare lo chef magrolino che beve un bianco veloce poi sparisce. Un signore si siede di fronte a me. È un antiquario di Corsier-sur-Vevey che viene qui ogni giorno, tranne il giovedì, alle sei in punto. Il giovedì cena sempre con sua sorella al Buffet de la Gare di Céligny, paesino lacustre del canton Ginevra al confine con il Vaud. Alle sette e mezza, al tavolino nell’angolo. E tutto fiero mi dice: «il tavolo di Richard Burton». Attore gallese indimenticabile in coppia con l’amata Liz Taylor in Chi ha paura di Virginia Woolf ? e che riposa nel cimitero di Céligny dall’agosto 1984. Forte bevitore nominato sette volte all’Oscar senza mai vincerlo, Burton pranzava ogni giorno lì a quel tavolino discreto del Buffet de la Gare. Non fanno il filetto à la Burton e non c’è elegantemente nessuna targhetta, ma a quanto pare, notizia dell’ultimo minuto, ci sarebbero le «pommes frites allumettes migliori del mondo e una tartare da sogno». Se mi sbrigo a prendere il prossimo treno, arrivo giusto in tempo per cena.
abitanti di centri minori, piccole città, persino villaggi, dove fervono le iniziative per colmare un vuoto notturno, relitto d’altri tempi, di cui quasi vergognarsi. Ma con quali esiti? In proposito, il Ticino si è rivelato, una volta ancora, luogo rappresentativo, quasi una sorta di laboratorio, da cui esce tutto e il contrario di tutto. Per smentire la fama di paese noioso, di città mortorio, di arretratezza provinciale, come denunciano i soliti scontenti citando insostenibili confronti con Parigi e Berlino, ci si è dati da fare. Cedendo alla tentazione dello strafare. Con l’intento di occupare le piazze e le notti, si moltiplicano, alla rinfusa, i cosiddetti eventi, in cui si affiancano il concerto del solista di fama mondiale, la sagra della castagna e, con insistenza, i «botellòn», bevute collettive in piazza, all’insegna di un ritrovato spirito comunitario. Tutto ciò, sia chiaro, con il consenso delle autorità che, anzi, per garantirsi popolarità, hanno sostenuto la causa della vitalità notturna illimita-
ta. Senza prevederne gli effetti collaterali che avrebbe comportato e che, non di rado, offrono materiale alle cronache nere. Sono episodi, come il recente accoltellamento con quattro feriti, nel centro di Lugano alle 3 e 40 di un sabato notte, che rischiano di alterare quell’immagine di sicurezza e tranquillità, apprezzato plusvalore del vivere «alla svizzera». Che, per forza di cose, ha subito i contraccolpi di fenomeni più grandi di noi, crisi economica, evoluzione dei costumi, mobilità, flussi migratori. Ma, in questo cambiamento, una parte l’ha avuta anche l’allungamento, persino esasperato, di una vita notturna, difficile da gestire. In cui, inevitabilmente, si fa capo a strutture, attività, personaggi non sempre al di sopra di ogni sospetto. In altre parole, prostituzione, spaccio di droga, abuso di alcool, che portano a risse, dove compare il coltello. Strumento insolito e sintomo di forme di violenza che ci erano estranee. E qui si apre un capitolo, del tutto
nuovo, nella storia del divertimento notturno, alle nostre latitudini. Ne sta facendo le spese la discoteca, inventata negli anni 60 e 70, come espressione di una moda musicale e generazionale di dimensioni globali. Strada facendo doveva diventare, suo malgrado, un punto di riferimento in episodi dai connotati a volte tragici. Forse a dimostrare che i luoghi troppo grandi, troppo affollati, in notti troppe lunghe, sono controproducenti. Superano le nostre capacità di resistenza e sopportazione, tanto da rimpiangere i «night» di antica memoria, preclusi ai minorenni, e tenuti a rispettare orari rigorosi, non oltre un paio d’ore, dopo mezzanotte. Tuttavia, non mancavano, anche allora, i nottambuli, ma erano una razza rara, personaggi da romanzo, non a caso rievocati da scrittori torinesi, come Arpino e Fruttero&Lucentini. Ne circolavano esemplari anche da noi, personaggi un po’ stravaganti che il vuoto delle città di notte sapevano riempirlo con la fantasia.
A due passi di Oliver Scharpf Il tavolo di Rousseau a Vevey Su un tavolo di legno della brasserie Landolt di Ginevra, tra il 1907 e il 1908, Lenin incide il suo nome. Questo tavolo, attorno al quale si riuniscono parecchi russi a bere birra e parlare fino a tardi, diventa poi lo Stammtisch dei zofingiani che a loro volta lasciano il proprio nome inciso. Nel 1987 la brasserie Landolt chiude e il mobilio si disperde fino alla notizia sulla «Tribune de Genève» nel febbraio del 1992: il tavolo di Lenin si troverebbe ancora nei paraggi, nella sede dell’associazione studentesca Zofingia. Ritrovamento presunto che si ripete ormai da diversi anni, spuntando periodicamente in un trafiletto sui quotidiani regionali: dal granaio di un rigattiere di Dardagny al ricco collezionista comunista di Zurigo. In realtà, il tavolo ginevrino di Lenin, risulta tuttora introvabile. Esistono però due altri tavoli di Lenin; uno alla famosa Closerie de Lilas di Parigi, l’altro al Juttutupa di Helsinki. Ad ogni modo, se v’interessano i tavoli illustri, in un vecchio bistrò di Vevey si trova il tavolo
di Rousseau. Alle spalle della place du Marché, la più grande piazza del mercato d’Europa impiegata la maggior parte del tempo come parcheggio triste a cielo aperto, prendete rue de Lausanne. A pochi passi, all’angolo con rue du Théâtre, c’è il restaurant La Clef dove entro una fine pomeriggio di fine ottobre. Basta un colpo d’occhio per notare un tavolo diverso, ben più antico degli altri, perdipiù vicino alla finestra. Mi siedo lì e infatti ecco al centro una targhetta in bronzo dove si legge il nome in maiuscolo di Jean-Jacques Rousseau. Sotto, in corsivo, un po’ cancellato dai polpastrelli, c’è scritto: «prit ses repas sur cette table lors de son sejour à l’Auberge de la Clef en juillet 1730». Al tavolo accanto, un signore ammazza il tempo con un cruciverba in compagnia di una birra da mezzo. Ordino «un ballon de St-Saph». «Dodici!» esclama il mio vicino di tavolo. Tiene il conto delle sue vittime, da casa si è portato due ammazzamosche di plastica. Jean-Jacques Rousseau (1712-1778), non ancora
Mode e modi di Luciana Caglio La notte: spazio conquistato? «La città non deve correre 24 ore di fila. Per me gli esercizi pubblici aperti giorno e notte sono un errore. Milano deve rallentare». Da Parigi, dove partecipava all’incontro con i sindaci di Los Angeles, Parigi, New York, Barcellona, metropoli impegnate nella difesa dell’ambiente, Beppe Sala ha lanciato quest’appello, inatteso, controcorrente rispetto alla milanesità, simbolo di dinamismo. Al quale il sindaco della capitale lombarda ha osato contrapporre una ricetta, che definisce «rivoluzionaria». Non si tratta, quindi, soltanto di limitare l’uso dell’auto e di abbassare il riscaldamento per migliorare la qualità dell’aria, bisogna ripensare i modi di vita per umanizzare «i tempi della città», conciliando attività e tregua. E così si mette in discussione un obiettivo, prioritario negli ultimi decenni, per urbanisti, sociologi, politici: quello della città sempre sveglia, destinata a cittadini che vogliono allargare i loro spazi di vita e di libertà. Tanto che questa notte godibile sino all’alba veniva promossa
a conquista sociale e culturale, a nuovo diritto democratico, concesso ormai a tutti. Infatti, non è più il privilegio delle metropoli, l’emblema esclusivo di Time Square nella New York che, come dice lo slogan, non dorme mai. Adesso, quest’insonnia volontaria è diventata un’opportunità che spetta anche agli
Il sindaco di Milano Beppe Sala. (Twitter)
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 30 ottobre 2017 • N. 44
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Ambiente e Benessere Pesce con ripieno alle erbe Come preparare un saporito salmerino avvolto in fette di pancetta e cotto in forno
«Turismo libertino» Clima sempre più favorevole a una libera espressione sessuale, nonostante i pregiudizi
Il bostrico era già qui La cronaca ripropone di anno in anno un falso allarme: il bostrico vive qui da millenni
pagina 15
Parlano tra loro, gli alberi? Molti gli insegnamenti racchiusi nel libro La vita segreta degli alberi: un viaggio nel bosco accompagnati da Peter Wohlleben pagina 19
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Ortopedia all’avanguardia Medicina La chirurgia ortopedica va di pari
passo con l’evoluzione di materiali e tecniche operatorie
Maria Grazia Buletti Paolo Giordano dice: «Le fratture peggiori sono quelle che ci si procura da fermi, quando il corpo decide di andare in pezzi…». A prescindere dalla lirica filosofica dello scrittore italiano, nella realtà può capitare di subire un trauma fisico e dover ricorrere al chirurgo ortopedico. Anche questa specialità medica può contare sull’evoluzione delle tecnologie, degli strumenti operatori e dei materiali. Un progresso continuo del quale i medici specialisti devono tenere il passo. «Parecchie le novità degli ultimi vent’anni, soprattutto per quanto attiene agli impianti usati in chirurgia ortopedica. Ma in ortopedia traumatologica, in cui prevale il mantenimento della giusta creatività del chirurgo, la robotica non trova molto spazio. Il fattore umano è imprescindibile e ciò vale ancor di più quando si parla di fratture», esordisce il chirurgo ortopedico Christian Candrian, viceprimario e responsabile dell’Unità di ortopedia traumatologica dell’Ospedale Regionale di Lugano. Parliamo di evoluzione delle nuove tecnologie in ambito ortopedico traumatologico e della relativa formazione degli ortopedici. Il suo capoclinica dottor Luca Deabate, a proposito dei nuovi materiali, porta ad esempio le protesi in titanio: «È un materiale più sofisticato dei precedenti: completamente inerte, non crea reazioni da parte del corpo né provoca rigetto e ha un effetto negativo sulle infezioni». Egli ci illustra questo progresso con placche e chiodi in mano: «Per i nostri interventi di osteosintesi (fissazione di una frattura con viti e placche) c’è stata un’importante evoluzione: oggi disponiamo di un nuovo sistema di ancoraggio delle viti nella placca per osteosintesi, dove la vite munita di un filetto va avvitata in un corrispondente filetto nella placca. Ciò dà maggior stabilità per la fissazione delle fratture». Il dottor Candrian ne svela i grandi vantaggi: «Le viti si bloccano all’interno della placca e ciò permette di fissare placche più semplici nell’ambito di fratture molto complesse, come quelle delle ossa osteoporotiche che hanno l’handicap di essere molto fragili». Queste innovazioni permettono una migliore prognosi anche nelle fratture
cui vanno incontro gli anziani, tenendo conto dell’incremento dell’età media della popolazione e il conseguente relativo aumento della casistica». Le innovazioni, le nuove tecnologie e i nuovi materiali devono essere acquisiti dai chirurghi ortopedici che dovranno applicarli con sicuri gesti operatori. A questo proposito, il dottor Candrian ci ricorda che l’Unità di ortopedia e traumatologia dell’ORL è oggi un centro di formazione riconosciuto SIWF – FMH (Schweizerisches Institut für ärtzliche Weiter-und Fortbildung), da cui ha ricevuto il premio come Unità fra le migliori dieci nella formazione: «La formazione specialistica del chirurgo ortopedico inizia con sei anni in cui è assistente medico e lavora all’interno di un’Unità come la nostra, assistendo in fase iniziale agli interventi senza eseguire personalmente dei gesti chirurgici. Nei primi anni egli segue corsi specifici (AO: Arbeitsgemeinschaft für Osteosynthesefragen) che gli insegnano i principi della traumatologia, studia tutti gli impianti, gli strumenti, la teoria della guarigione delle fratture, e impara a discernere quando è il caso di operare e quando non lo è. Assistito da un chirurgo ortopedico esperto, viene gradualmente messo in condizione di iniziare a operare». Il dottor Deabate conclude: «Durante la propria formazione specialistica, il chirurgo ortopedico viene condotto per mano fino alla completa autonomia, quando otterrà il riconoscimento FMH e avrà così anch’egli permesso e responsabilità di operare in autonomia». I progressi nell’ambito chirurgico ortopedico toccano pure chi già è formato e a sua volta insegna agli specializzandi, come i medici nostri interlocutori. In termini di formazione continua, ad esempio, a fine agosto si è tenuta una giornata di specializzazione durante la quale il mobile education centre (un camion con all’interno otto postazioni chirurgiche sulle quali fare pratica e acquisire familiarità con le nuove tecnologie) è sbarcato all’Ospedale Civico di Lugano. Gli specializzandi di tutto il cantone hanno potuto conoscere, fare pratica e testare tutta la nuova tecnologia in quella sorta di ospedale su ruote. Non si pensi però che i test siano effettuati sui pazienti,
Il Dr. Candrian (responsabile dell’ortopedia traumatologica all’ORL) e, a destra, il suo capoclinica Dr. Deabate. (V. Cammarata)
ci spiega Candrian: «Tutto ciò che utilizziamo è già stato testato e validato dalla ricerca attraverso specifici test biomeccanici e studi clinici. Noi abbiamo riscontro diretto attraverso la presa a carico dei nostri pazienti e il decorso positivo della loro convalescenza». Ciò avviene in un altissimo numero di interventi: «Siamo uno dei dodici centri in Svizzera (unico in Ticino) di medicina altamente specializzata, in cui si concentrano i pazienti politraumatizzati. Per questo motivo disponiamo della maggiore casistica cantonale di traumatologia, con circa 800-900 interventi chirurgici annui complessivi, e con la maggior casistica di fratture complesse dei quali una ventina sul bacino. Il grande flusso di pazienti permette una casistica sufficiente per assicurare una certa qualità, soprattutto per le fratture più complesse come quelle del bacino».
Un numero sufficiente di pazienti, la formazione diretta degli specialisti e la formazione continua, uniti alle nuove tecnologie, fanno della chirurgia ortopedica traumatologica una specialità in grande evoluzione, anche se Candrian riduce tutto questo alla sua giusta dimensione: «Oggi siamo giunti a uno standard qualitativo molto alto a cui sarà difficile apportare ulteriori miglioramenti a vero beneficio nostro e dei pazienti. Penso che in traumatologia ossea, almeno nei prossimi vent’anni, saranno la formazione dei medici e la casistica dei pazienti a fare la differenza». Oggi conta più che mai la formazione dei giovani medici e degli specializzati: «Abbiamo ancora molto da imparare, ad esempio, dal campo dell’aviazione, per applicarlo nel nostro ambito. Inoltre dobbiamo formare sempre meglio i nostri medici, avendo
cura di insistere su check list, protocolli, simulazioni di interventi e quant’altro». Tutto ciò sta a cuore al dottor Candrian, che ci ricorda ancora una volta l’importanza della relazione medico-paziente come condizione insindacabile, che potrà nutrirsi anche dei grossi progressi.
Video intervista Sul canale Youtube di «Azione» e su www.azione.ch la videointervista al Dr. Christian Candrian.
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Ambiente e Benessere
Salmerino alla pancetta
Migusto La ricetta della settimana
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1. Scaldate il forno a 200 °C. Dimezzate il limone. Sciacquate i salmerini con acqua fredda e asciugateli con carta da cucina. Infilate il dragoncello nelle cavità ventrali dei salmerini e condite con sale e pepe. Avvolgete 4 fette di pancetta intorno a ogni salmerino. Accomodate i salmerini e i mezzi limoni su una teglia foderata con carta da forno. Cuocete al centro del forno per circa 20 minuti. 2. Nel frattempo, scolate i ceci in un colino. Tritate la cipolla. Dimezzate il peperoncino per il lungo, privatelo dei semini e tagliatelo a striscioline. Fate caramellare lo zucchero in una padella. Unite la cipolla e il peperoncino e fateli caramellare brevemente. Aggiungete i ceci e il burro e fateli soffriggere. Unite gli spinaci grondanti d’acqua e cuoceteli finché s’afflosciano. Condite con sale e pepe. Servite i salmerini con gli spinaci e i ceci caramellati. Irrorate il tutto con il succo di limone. Preparazione: circa 20 minuti + cottura in forno di circa 20 minuti. Per porzione: circa 57 g di proteine, 20 g di grassi, 39 g di carboidrati,
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Ambiente e Benessere
Il mercato dei tabù
Luoghi anarchici
Viaggiatori d’Occidente Dal turismo libertino alla sensibilizzazione
Bussole I nviti a
contro la discriminazione delle coppie omosessuali
Claudio Visentin Il viaggiatore ha sempre attraversato i confini della morale al pari di quelli tra gli Stati, sia pure con maggior cautela e magari una certa dissimulazione. Sconosciuto tra sconosciuti, attratto da ciò che è diverso ed esotico, ha approfittato di tutti i piaceri che una terra straniera gli prometteva. Anche il turismo dei nostri giorni ha ereditato questa inclinazione alla libertà di costumi, almeno a giudicare dalla cronaca di questi giorni. Per esempio nel caso del «turismo libertino», così chiamato per non confonderlo col turismo sessuale (e le sue zone d’ombra): in questi viaggi si sperimentano diverse pratiche sessuali, più o meno audaci, ma sempre tra turisti e soprattutto tra adulti consenzienti. Alcuni villaggi vacanza o navi da crociera ne hanno fatto la loro principale attrattiva. Non pensate sia una nicchia per pochi trasgressivi, in Occidente e soprattutto negli Stati Uniti ha già dimensioni sorprendenti: secondo la rivista «Forbes» nel mondo ha mosso venti miliardi di dollari nel 2016. Tutte le fasce d’età sono rappresentate, dai trentenni a quelle persone di mezza età che, dopo aver cresciuto i figli, hanno
nostalgia dei tempi del campus universitario. La maggior parte di loro ha una buona capacità di spesa, dal momento che una stanza nei resort dedicati può costare sino a seicento dollari per notte, sino a quattromila dollari una cabina per una settimana in crociera. Oltre a divertirsi tra loro, questi turisti chiedono però anche altre attività: degustazione di vini, corsi di cucina o di lingue, eccetera.
Il «turismo libertino», secondo «Forbes», nel 2016 ha mosso venti miliardi di dollari con offerte in tutto il mondo Passare molto tempo nudi è parte dell’esperienza, naturalmente, ma non tutti i nudisti sono dei libertini e viceversa. Alcuni nudisti cercano soprattutto un rapporto più libero con il proprio corpo e la natura. Tra loro una coppia di blogger belgi sulla trentina, Nick e Lins: si definiscono «nudisti per caso», parafrasando un celebre film, ma le loro foto sui social media sono più divertenti che audaci (www.insta-
gram.com/nakedwanderings). Il loro progetto di far conoscere il nudismo alle nuove generazioni ha preso forma nel 2016 quando, durante un viaggio in Francia e in Italia, notarono che la maggior parte dei nudisti erano persone di una certa età. Lo scorso luglio Nick e Lins hanno cominciato un giro del mondo senza vestiti che li porterà in Europa, Asia, Australia, Nuova Zelanda e nelle Americhe. Fin qui restiamo nei confini delle scelte personali. Ha destato invece un certo scandalo la proposta di un’agenzia colombiana: su un’isola privata al largo di Cartagena si possono passare quattro giorni di sesso e droga con prostitute (sessanta donne per trenta uomini). YouTube ha rimosso in tempo reale il troppo esplicito video promozionale, anche se la prostituzione in Colombia è legale (ma non il suo sfruttamento). Naturalmente il turismo sessuale è più diffuso nei Paesi poveri. Un tempo il sud-est asiatico era la meta preferita, ma recentemente sempre più Paesi africani sono coinvolti. Questo cambiamento di orizzonti geografici è dovuto anche al coinvolgimento delle donne in pratiche un tempo riservate agli uomini. Le turiste però sono
La coppia di blogger belgi, Nick e Lins: si definiscono «nudisti per caso». (www. nakedwanderings. com )
letture per viaggiare
poco interessate agli asiatici e hanno invece favorito i Caraibi o i Paesi africani, a cominciare dal Senegal. Quello femminile è spesso ancora un turismo sessuale più discreto, nascosto dietro l’apparenza di una relazione con un giovane locale, ma c’è molta ipocrisia se pensiamo che in alcuni Paesi africani la disponibilità di denaro è di soli due euro al giorno. Il frequente coinvolgimento di minori cambia poi interamente la prospettiva, trasformando una questione di cattivo gusto in un grave reato giustamente punito anche nel Paese d’origine. Purtroppo molti genitori, spinti dal bisogno, incoraggiano i loro figli e solo alcune organizzazioni non governative cercano di fare argine. Nel Mediterraneo e in Africa vi sono poi mete tradizionali di turismo omosessuale – Taormina e Marrakech per esempio – ma sono l’eredità di epoche passate e di frequentazioni clandestine. Ora invece molti Paesi europei hanno cominciato a incoraggiare apertamente il turismo delle coppie omosessuali, spesso più inclini al viaggio e con una maggiore capacità di spesa rispetto alle famiglie tradizionali. Per esempio, grazie a una nuova legge votata a Malta, dove ha la sua sede, la compagnia Celebrity Cruise propone alle coppie arcobaleno di sposarsi a bordo delle sue navi da crociera. Nonostante il clima più favorevole e una maggiore apertura mentale, secondo una recente ricerca del tour operator britannico Virgin Holidays molti viaggiatori omosessuali subiscono forme di discriminazione. Per questo in viaggio solo il 5 per cento delle coppie gay è a proprio agio nel mostrare affetto verso il proprio partner (rispetto all’84 per cento delle coppie eterosessuali). Proprio per combattere i pregiudizi Virgin Holidays ha diffuso un divertente video (lo vedete qui: http://bit.ly/2zBXXZV) dove si immagina una coppia eterosessuale costretta a viaggiare in un mondo dove l’omosessualità è la norma. E così i due protagonisti si vedono offrire stanze singole o letti separati, destano disapprovazione quando si baciano o anche solo si spalmano a vicenda la crema solare, sono derisi dal personale degli alberghi quando raccontano di essere in viaggio di nozze…
«Mont Saint-Michel è un’isola o una penisola? In realtà questa montagnola fortificata sulla costa settentrionale francese, al confine tra la Normandia e la Bretagna, è entrambe le cose, dipende dalle circostanze e dai momenti (…) Il mondo è pieno di luoghi così (…) Spazi che cambiano come cambia il vento, la stagione o il punto di vista di chi li osserva…» Stefano Scanu è un libraio romano e il mestiere gli ha trasmesso l’istinto alla catalogazione, all’ordine. Forse per questo quando viaggia ricerca luoghi radicalmente diversi, anarchici, incapaci di stare al loro posto. Un ottimo esempio è Plockton, un piccolo villaggio delle Highlands, dove la banca non sta mai ferma perché è sopra un pulmino: compare una volta alla settimana e per servire i suoi clienti sosta in tre luoghi diversi del paese, mai in Bank Street però. Seguono molti altri: un gigantesco allevamento di pappagalli, un angolo d’Amazzonia nascosto in un seminterrato milanese; una casa romana della quale è rimasto solo un piccolo quadratino di marmo bianco con il numero civico 39; una grande nave ormeggiata nel porto di Amsterdam e trasformata in una residenza studentesca; una buca di strada nella guerra siriana che grazie a un tubo rotto diventa per un giorno la piscina dei ragazzini; un locale del proibizionismo nascosto dietro una porta in una minuscola caffetteria di New York; una cabina telefonica abbandonata, senza più telefono, che un ingegnoso venditore ambulante ha trasformato in un camerino di prova… Sono i luoghi raccontati in questo poetico libriccino, ben intonato con una collana («Piccola filosofia di viaggio») meritevole a sua volta di essere percorsa con attenzione; nella speranza che stia al suo posto e si faccia trovare. Bibliografia
Stefano Scanu, Il disordine del mondo. Piccolo atlante dei luoghi fuori posto, Ediciclo, 2016, pp. 96, € 8,50.
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Ovviamente, la maggior parte degli aggregati di lettere ricavabili in questo
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modo è composta da parole prive di senso compiuto. Inoltre, il loro numero effettivo si riduce sensibilmente, nel caso l’insieme di partenza contenga degli elementi doppioni. Ciò nonostante, avendo a disposizione una buona provvista di lettere, la quantità di anagrammi potenzialmente ricavabili è, comunque, sempre piuttosto alta e lascia ampi
spazi di libertà alla ricerca creativa. Un anagramma acquista maggior pregio se la parola o la frase di partenza presenta delle evidenti attinenze con la parola o la frase di arrivo, come nei seguenti esempi: cento mali = macilento; presto in mente = presentimento; tana per il moto = metropolitana; cartoni animati = amori incantati; scuola ele-
mentare = aule con le maestre; centrali eoliche = eliche con tre ali. Per i motivi sopra enunciati, non è facile conseguire dei risultati del genere, manipolando un insieme costituito da poche lettere. Devono, quindi, essere considerati piuttosto pregevoli i seguenti esempi, nei quali ogni breve frase esposta svolge il ruolo, al tempo stesso, di anagramma e di potenziale definizione di una determinata parola. Provate a trovarle tutte. 1. crea rito – 2. dice: «Sì... No...» – 3. i bagnetti – 4. il duo a tre – 5. in alte risa – 6. in amore – 7. l’alone – 8. là, t’amo – 9. meno Dio – 10. re in moda – 11. si rode – 12. stila regole – 13. tenta i colpi – 14. ti reca vita – 15. uno in troppo.
Soluzione
Come è noto, il gioco dell’anagramma consiste nel mescolare opportunamente le lettere di una parola (o di una frase), in modo da comporre un’altra parola (o un’altra frase), di senso compiuto. Alcuni esempi a riguardo possono essere i seguenti: crostacei = seccatori; calendario = locandiera; grattacielo = l’arte gotica; cinematografo = rima con fegato; cronistoria = tori in corsa; piatto caldo = atto placido; visione d’arte = rosa dei venti; l’asma bronchiale = ballo in maschera. Le notevoli potenzialità offerte dal meccanismo linguistico dell’anagramma hanno una giustificazione matematica. Bisogna considerare, infatti, che il numero totale delle diverse permutazioni, ottenibili mescolando un insieme di N lettere, è dato dal prodotto di tutti i numeri interi compresi tra 1 ed N. In matematica, questo particolare valore, detto fattoriale di N, viene indicato con la notazione sintetica: «N!».
Non è difficile rendersi conto che la quantità delle potenziali permutazioni cresce vertiginosamente con l’aumentare delle lettere di partenza. Per mettere in evidenza tale affermazione, qui di seguito, sono riportati i valori dei fattoriali dei primi numeri interi, da 1 a 12.
1. retorica – 2. indeciso – 3. gabinetti – 4. adulterio – 5. esilaranti – 6. armonie – 7. anello – 8. talamo – 9. demonio – 10. damerino – 11. deriso – 12. legislatore – 13. politicante – 14. creatività – 15. inopportuno.
Ennio Peres
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 30 ottobre 2017 • N. 44
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Ambiente e Benessere
Si torna a parlare del bostrico Biodiversità Nonostante i vari allarmismi, quello presente nei boschi di abete rosso è un insetto innocuo
e giunto in Ticino già da millenni Alessandro Focarile Con pervicace insistenza degna di una migliore causa, i media tornano periodicamente a insistere sul problema «bostrico» nei boschi ticinesi di abete rosso (Picea abies), senza una conoscenza reale e realistica dei fatti. Con tutta probabilità per l’assenza di un’informazione corretta da parte di chi di dovere. In tempi successivi si reiterava la novella. «Torna il bostrico» titolava un quotidiano ticinese nell’ormai lontano 2004. «Il bostrico torna a colpire» (22.09.2016), «Riecco il bostrico: si lotta per salvare il bosco» (22.8.2017). In realtà il coleottero in questione non si è mai allontanato, essendo un ospite stanziale della fauna ticinese ormai da diversi millenni, e la sua presenza è permanente, e tale sarà anche in futuro fintanto che l’abete rosso farà parte dei nostri boschi montani. Il bostrico (lo scolitide Ips typographus) sarà tale anche in futuro, seppure più o meno appariscente agli occhi di chi indaga il problema: entomologi e forestali. È giunto nelle Alpi quale elemento di spicco nel quadro faunistico della pecceta alcune migliaia di anni or sono dopo la ritirata dei grandi ghiacciai alpini, quando l’abete rosso (peccia) ha concluso in Savoia (Francia) la sua lunga migrazione verso ovest, partendo dalla patria d’origine: la taiga siberiana. Con l’insetto, in questa migrazione, anche l’orso bruno, l’ermellino, la ghiandaia e la nocciolaia, il picchio nero, il gufo reale, e tutta una estremamente ricca e variata legione di insetti: la formica rosso-nera, centinaia di coleotteri, di farfalle, vespe e tafani, di afidi (pidocchi delle piante). Per non parlare della fauna più minuta che popola la lettiera (insetti, acari, collemboli). Tutti animali la cui esistenza è condizionata direttamente e indirettamente dalla presenza dell’abete rosso, concorrendo alla formazione e al mantenimento del complesso e articolato ecosistema originato e condizionato dalla presenza di questa conifera di antica origine. Descritto da Linneo nel 1758, il bostrico tipografo è un insetto coleottero lungo circa 5 millimetri, appartenente alla famiglia degli scolitidi, rappresentata in Svizzera da circa un centinaio di specie, legate per la loro vista alle latifoglie e soprattutto alle conifere, principalmente alla peccia della quale si conoscono ben 39 specie popolanti quest’albero. Sono esseri specializzati per la loro vita e il loro nutrimento, nell’utilizzo della materia legnosa deperiente esistente in natura e impregnata da ife fungine. Quindi con esclusione del legno da opera. Sono insetti inconfondibili per le caratteristiche, e spesso singolari, gallerie scavate tra la corteccia e il legno (foto), e il cui schema generale e il disegno variano da specie a specie di bostrici che le ha prodotte. La vita degli adulti, fortemente condizionata dallo stato di salute dell’albero coinvolto, e da fattori climatici ben definiti, si richiama a
schemi ben precisi e altamente evoluti nel mondo dei coleotteri. La femmina scava la galleria materna dove deporrà le uova, ma è il maschio che si incarica di evacuare verso l’esterno il materiale risultante dallo scavo, e che si presenta sotto forma di minuta segatura, in quanto è il risultato della masticazione del materiale legnoso. Un significativo esempio di razionale coordinamento nell’esecuzione di un lavoro utile alla specie. Oltre il classico bostrico tipografo sono note altre 38 specie della stessa famiglia (gli scolitidi). Queste ultime non solo sono più sporadiche, ma hanno la particolarità di occupare le differenti parti dell’albero: dalle chiome (i Pityogenese), alla base del tronco (i Dendroctonus), escludendo reciprocamente ogni tipo di concorrenza per lo sfruttamento della materia legnosa. Del nostro bostrico conosciamo tutto. Nel corso del tempo sono state pubblicate migliaia di monografie che hanno documentato e illustrato ogni aspetto della vita di questo singolare insetto, e delle modalità e le entità dei danni da esso prodotti. Le ricerche più recenti e più critiche hanno rivelato una realtà ben differente! Come avviene in ogni comunità vivente, anche nel bosco vi sono gli individui vigorosi, i deboli, i malaticci, quelli che si adattano alle traversie della vita, e quelli che soccombono. Alle cause biologiche di tali situazioni si aggiungono gli eventi traumatici: fulmini, incendi, schianti e sradicamenti causati da frane valanghe e tempeste di vento. Sono tutte situazioni che esprimono un permanente dinamismo della compagine boschiva. Le conifere contengono resina, un composto chimico molto complesso e la cui funzione è tuttora poco chiara. L’albero in buone condizioni di salute produce considerevoli quantità di resina un tempo ampiamente raccolta e utilizzata dall’uomo. Queste si concentrano nei canali resiniferi. Il bostrico che tenti di iniziare lo scavo delle sue gallerie viene «inondato» dalla fuoriuscita della resina e ne resta inglobato. L’albero sano ha efficaci ed efficienti strategie di difesa. La celebre ambra, la resina fossile, è un grandioso fenomeno di conservazione di organismi animali e vegetali nel corso di milioni di anni.
Temperature registrate simultaneamente sulla lettiera di peccia al bosco «Gualdo Maggiore», Olivone, nel luglio 1981. A sinistra all’ombra, a destra al sole. (Alessandro Focarile)
Il bostrico tipografo non è causa della morte dell’albero, bensì l’effetto della devitalizzazione dell’albero stesso. (Willow)
Ma quando l’albero è devitalizzato, in avanzato stadio di deperienza, l’emissione di resina viene a mancare, e la resina stessa, subendo processi di ossidazione e di fermentazione, assume odori differenti. Il bostrico, che ha un olfatto altamente raffinato e sensibile, è richiamato da questi «odori» alterati che lo attirano e permettono la sua installazione. È questa l’origine che scatena le ben note pullulazioni dell’insetto nei boschi di abete rosso. Il bostrico tipografo non è la causa della morte dell’albero bensì l’effetto della devitalizzazione dell’albero stesso. Sono accelerati i processi di demolizione della materia legnosa, attraverso lo scollamento della corteccia dal legno, grazie al sistema di gallerie, ciò che prepara l’installazione di altri insetti coleotteri, come i cerambici (i capricorni) caratteristici per avere lunghe antenne con le quali esplorano l’ambiente boschivo circostante. Le loro larve scavano profonde e disordinate gallerie nel legno deprezzandone la qualità. Sono inoltre ricercate dai pescatori, quale esca prelibata per la cattura delle trote. Tra le cause che generano situazioni di stress fisiologico, in epoca attuale stanno assumendo un notevole peso i
cambiamenti climatici, che conducono a una progressiva perdita di competitività dell’abete rosso negli aggregati forestali di media quota. La peccia si sta rivelando un albero «fuori posto» in tante realtà forestali nelle Alpi. Conifera siberiana, è fisiologicamente malpreparata per sopportare aumenti di temperature oltre una certa soglia: colpi di calore che possono raggiungere 66 gradi nelle ore più calde di una giornata estiva (foto). Eccesso di traspirazione: la sua corteccia è molto più sottile di quella dei pini e dei larici. Dilavamento di sostanze nutritive a seguito di piogge intense e improvvise, acidificazione del suolo forestale con seguente impoverimento della mesofauna preposta alla produzione dell’humus. Piotta, nell’alta Leventina è circondata da boschi di abete rosso, inframmezzati in un dilagare di latifoglie, sempre più aggressive e che mostrano di trovarsi al loro posto (aceri, betulle, frassini e sorbi). Nel corso dell’ultimo ventennio, questa regione alpina sta conoscendo un costante e sensibile aumento delle temperature durante il trimestre estivo, il periodo cruciale per lo sviluppo vegetativo (diagramma).
Due bostrici dell’abete rosso: a sinistra Hylurgops, a destra il tipografo. (Alessandro Focarile)
Tra il 1990 (uragano Vivian), e il 1999 (uragano Lothar) si sono succeduti due eventi catastrofici che hanno causato l’abbattimento di 22 milioni di metri cubi di legname, con il conseguente crollo del mercato. Sono queste enormi quantità di alberi morti che hanno costituito l’origine di massicce invasioni del bostrico tipografo il cui compito naturale è quello di accelerare la trasformazione della materia legnosa. L’attento osservatore, che frequenta le peccete naturali della montagna ticinese, potrà rilevare che su molte ceppaie crescono giovani alberelli. Il nonno, ormai defunto, tramanda ai nipotini una preziosa scorta di humus che consentirà la loro crescita. E, grazie al bostrico, la vita continua. Bibliografia
Costante aumento delle temperature a Piotta (alta Leventina, 1007 metri slm) dal 1979 al 1993. (Alessandro Focarile)
Quel che resta delle gallerie. (Tõnu Pani)
Constantin Chararas. Ecophysiologie des insectes parasites des forêts, Edition de l’Auteur, Parigi 1979, 279 pp. Antonin Pfeffer, Zentral – und westpalàarktische Borken – und Kernkäfer, Entomologica Basilienis, Basel 1994, 310 pp. Helmut Schmidt-Vogt, Die Fichte, Band 1, Paul Parey, Hamburg-Berli 1977, 647 pp.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 30 ottobre 2017 • N. 44
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Ambiente e Benessere
L’intenso profumo degli osmanti Mondoverde In Cina e in Giappone i fiori dell’Osmanthus vengono raccolti per aromatizzare il tè
Anita Negretti Qualche anno fa, nel mese di ottobre, mi trovavo a passeggiare nei giardini pubblici di Varese quando, ricordo ancora, una folata di aria tiepida mi portò l’aroma di alcuni fiori dall’intenso profumo di tè verde. Cercai vicino a me tra le basse fioriture autunnali, ma non trovai nulla con quella fragranza.
Uscita dal parco (che, tra l’altro, vi consiglio di visitare per ammirare le aiuole tipiche dei giardini all’italiana) costeggiai le alte mura che lo dividono dalla città: l’aroma si percepiva in modo sempre più intenso. A un certo punto alzai la testa e vidi delle piante di osmanto alte quasi cinque metri che, cariche di piccoli fiorellini bianchi, profumavano l’aria diffondendo la fragranza molti metri intorno a loro. Non resistendo alla tentazione, dopo pochi giorni acquistai un bell’esemplare di Osmanthus fragrans, conosciuto anche come Olea fragrans, che ora regna nel mio giardino regalandomi non solo profumo, ma anche colore grazie alle sue foglie di un bel verde lucido. Il nome del genere, Osmanthus, deriva dal greco e significa fiore profu-
Osmanthus fragrans
Può essere coltivato sia in un vaso capiente, oppure per creare siepi fitte, impenetrabili e profumate
mato (osmèe, profumo; anthos, fiore) e la provenienza di queste belle e rustiche piante è il Giappone e la Cina, dove i fiori vengono raccolti e utilizzati per profumare il tè. Sempreverde, con lunghe foglie ovali e finemente dentellate, ha un accrescimento lento e gli esemplari adulti raggiungono i cinque metri con rami-
ficazioni importanti. Ama posizioni sia di pieno sole che mezz’ombra, terreni ben drenati e ha una particolare preferenza per le zone dove vi è una buona umidità atmosferica, come nelle nostre zone di lago. Non richiede potature, ma si può eseguire una leggera spuntata ai rami dopo la fioritura per mantenere la for-
ma rotonda della chioma. In realtà le fioriture sono due: la prima, quella primaverile, presenterà pochi fiorellini bianchi, mentre la seconda sarà molto abbondante tra le settimane di settembre e ottobre. Non vi sono malattie al quale è soggetto; può essere coltivato sia in un vaso capiente, sia in piena terra, a for-
ma libera o utilizzato per creare siepi fitte, impenetrabili e profumate. Il solo colore bianco vi sembra poco allegro? Allora orientatevi sulla varietà Aurantiacus dai fiori arancioni che crescono all’ascella delle foglie, in grado di regalare pennellate di colore. Parente molto stretto di O. fragrans, è Osmanthus heterophyllus che ha foglie più piccole, molto spinose e simili a quelle dell’agrifoglio nel primo metro da terra e poi lisce. Questa particolarità è legata a una tecnica di sopravvivenza della pianta: nel primo metro circa i predatori delle sue foglie vengono scoraggiati dal brucarle per via delle spine, mentre i rami alti porteranno solo foglie lisce con minor dispendio di energia da parte della pianta per crearle. Dall’incrocio di due specie, nasce Osmanthus x burkwoody, che raggiunge i due-tre metri, ha una forma tondeggiante, fiorellini piccoli a forma di trombetta, lunghi due-tre cm e gradevolmente profumati. Il periodo migliore per mettere a dimora un osmanto è l’autunno, nel mese di ottobre o la primavera con marzo. In entrambi i casi andranno bagnati abbondantemente al momento della piantagione, poi con una frequenza settimanale, specie per le piante coltivate in vaso. È inoltre consigliabile provvedere a una concimazione con un prodotto granulare a lenta cessione nei mesi di marzo e fine agosto, garantendo così un ottimo sviluppo sia all’apparato radicale sia all’apparato fogliare. Annuncio pubblicitario
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R A C O D E 19 O C O P I A Ambiente e Benessere 12 13 14 15 16 C U N E O A L B A 17 18 F E R I E F R A T E 19 20 E T T O P I N I R 21 22 23 Il seme nel cassetto S econdo Peter Wohlleben anche nel bosco si trovano T O sentimenti I F Ied Lemozioni I Scontrastanti E 24 O S T R U M E N T I Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 30 ottobre 2017 • N. 44 11
La natura «umana» degli alberi Laura Di Corcia Un pezzo di legno. Un pezzo di legno, oltre la cui crosta troviamo del verde, che ci racconta che quel pezzo di legno è ancora vivo: questa è la porta attraverso la quale accediamo a un viaggio di scoperta, mano nella mano con Peter Wohlleben, celebre guida forestale tedesca ed ecologista che grazie alla sua esperienza ci introduce alla vita nascosta degli alberi.
Un libro in cui il bosco diventa una grande scatola magica animata, dove gli alberi comunicano fra loro Un viaggio esaltante, in cui troviamo in realtà aspetti e questioni già affrontate nei libri di Stefano Mancuso, già recensito nell’ambito di questa rubrica, atti a chiarire che anche le piante posseggono un’intelligenza, a volte addirittura più visionaria e meno miope di quella animale e umana. Nella Vita segreta degli alberi (Macro Edizioni) il bosco diventa una grande scatola magica animata, dove gli alberi comunicano fra di loro per mezzo di odori, dove si stringono patti di mutua assistenza, dove si proteggono i più deboli e ci si mobilita insieme per resistere agli attacchi dei pericolosissimi insetti. È una giungla, sì, ma una giungla in cui gli alberi della stessa specie in fondo hanno coscienza di classe – per usare un’espressione ormai desueta – e, sapendo che può
capitare a tutti di trovarsi in una situazione di fragilità, esposti alla crudeltà (N. 42 - ...si aiutano, morì per le ferite riportate in battaglia) del destino, si compattano, non lasciano indietro chi non ce la fa. 1 2 3 4 5 6 Non che la legge darwiniana non ´ M O R A N D I´ sia scomparsa del tutto, ritorna a trat7 ti: a volte l’organismo più debole non O P E R E L ce la fa e lo si lascia morire. Ma la cor8 9 10 sa ad accaparrarsi le risorse, in questo T R E F R A caso la luce e l’acqua, non sempre è da 11 12 leggersi nei termini dell’autoaffermaT E S A A R zione e del tentativo di sopraffazione, 13 più14semplicemente 15 16 17 a volte si tratta di A D I T O M E S T I una questione di educazione. 18 «Agli alberelli – spiega la guida 19 I E R I P O R T A forestale – piacerebbe tanto crescere 20 21 22 in fretta, e una spinta verso l’alto di T E O D I N G O B mezzo metro ogni stagione non sa23 24 25 rebbe affatto un problema. Purtroppo A S T E N T I A U le madri hanno qualcosa in contrario: 26 27 con le loro enormi chiome tendono R A G L I O R M A una sorta di ombrello protettivo su tutta la prole e, insieme agli altri alberi adulti, creano un fitto tetto sopra il bosco che permette (N.solo 43al-treRaper cenesia, è il più grande al mondo ) to della luce solare di farsi largo fino al suolo alle foglie dei loro figli. Edu2 4 5 6 cazione? Sì, di 1si tratta di 3una misura R A F F I C A pedagogica esclusivamente in funzio7 8 2 6 1 7 4 ne del bene dei piccoli. Lo strumento A L A R E S educativo è la riduzione della luce, ma 8 9 2 6 a che cosa serve questa limitazione? ` F I L A E` S I genitori non desiderano forse che i La guida forestale, Peter Wohlleben, in uno scatto pubblicato nel suo ultimo libro Vita segreta degli alberi. (GruppoMacro) 10 loro figli diventino quanto prima indi-11 4 9 5 2 F AImpariamo O tanteI coseL daO pendenti? Perlomeno gli alberi rispon- soffrono anche quando i funghi si inquesto priamo che nel bosco coesistono odio 13 14 derebbero con 12 un no deciso, avvalensediano ai loro piedi. I funghi15funzio- viaggio nel bosco accompagnati da e amore, bellezza e bruttezza, egoismo I S P R 5E 1L 8I E V6 I dosi anche del recente supporto della nano un po’ come internet nel bosco, Wohlleben, dove molte cose avven- e generosità. Un po’ come dappertutto. 16 scienza, che ha constatato come` una precisa l’autore, creano una rete che O gono allaSluceU ma `del sole I 4 Ntante I sotto T 8 G 3 7dove 9le Bibliografia lenta crescita giovanile sia il presup- passa le informazioni alle piante e in terra, nel buio fitto del terreno, 17 18 19 posto per una lunga vecchiaia». questo modo le rendono vigili ai possi- radici per l’acqua e si trasmetVita segreta degli R lottano A N D A R Peter E Wohlleben, A4 LEdizioni, Gli alberi, poi, soffrono: soffrono bili attacchi, ma chiedono qualcosa in tono informazioni. Impariamo cose alberi, Macro 2017, 268 2 6 20 21 quando i picchi colpiscono il tronco cambio di questo servizio, ovvero car- M su O noi stessi, ci confrontiamo con dei pagine, 18.60 euro. N T E dai nostri, F sco-O R N O per cavarne fuori nutrimento, forse boidrati e zuccheri. modi simili ai e diversi 2 8 9 5
SUDOKU (nume
N. 37 FACILE Schema
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O Dper “Azione” I O - Ottobre C 2017 O M O D O Giochi 4 Stefania Sargentini Vinci una delle 3 carte regalo da 50 franchi7con il cruciverba (N. - ... un parco con e ori) e41una 2alberi carte daetto!”) 50 franchi 1 4con il sudoku2 (N. 44 - “Balle, io lo portodelle da mesi e nonregalo perdo un
Giochi
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Cruciverba
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«Dicono che il nero dimagrisce!» Trova la risposta dell’amica leggendo a soluzione ultimata le lettere evidenziate. (Frase: 5, 2, 2, 5, 2, 4, 1, 3, 5, 2, 4)
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ORIZZONTALI 1. Bugia, fandonia 5. Gas nobile inodore 9. Essenziali in erboristeria 10. Gara tra rioni 12. Viene in camera dopo me... 13. Due in vita 14. Abbattuta, sconfortata 15. Decametro in breve 16. Magazzini per cereali 17. Grosse ghiandole 18. Sciocco inglese 19. Ottima affumicata 21. Pallina di lana 23. Misura di peso 24. Riposano in pace 25. Pesci di mare 28. Ardito, temerario 29. Guadagni, profitti 30. Lettera dell’alfabeto greco 31. Articolo 32. Vi tramonta il sole 33. Una cifra vaga 34. Sono simili ai fiordi 35. Bulbo commestibile Regolamento per i concorsi a premi pubblicati su «Azione» e sul sito web www.azione.ch
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I premi, cinque carte regalo Migros del valore di 50 franchi, saranno sorteggiati tra i partecipanti che avranno fatto pervenire la soluzione corretta entro il venerdì seguente la pubblicazione del gioco.
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VERTICALI 1. Animale da fattoria 2. Arresta senza manette... 3. Città natale di Modigliani (Sigla) 4. Dio greco 5. Canta Bruciare per te 6. Nome femminile 7. Satellite di Giove 8. Ha corpo di serpente e volto di donna 11. Ha un foro in testa 12. Condizione sociale 14. Hanno un difetto alla vista 15. Ha una corona ma non è re 16. Altissimo 17. Sono in posizione verticale 18. Esprime dubbio 20. Verità tangibile 21. Il nome della Perego 22. Taccuino
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P U N G A V I Sudoku BR AA LC Soluzione: OO L iC3 IO Scoprire C corretti U N numeri V T F E I da inserireRnelle caselle colorate. EE T T SO T O I O F S OT
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E R E P A N L D AE O P IP 2A E O M E OF I P LI F I L O R U LM
M P O M MI O R E OO P U 7 T R E O V T E R T OI A M
N. E38LMEDIO I O A L I A L B A G R A IT A E N IS R O I6 S E E NAT R I N E O R8 A A N D I´ RT E I LL F R A E S T S A A 7R ESS T IA
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I E R I P O R T A T E O D I N G O 9 4 1B A S T E N T I A U SUDOKU PER AZIONE - OTTOBRE 2017 R A G L I O R M A adeguata ai cruciverba) Soluzione della settimana (numerazione precedente
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26. Un reparto dei Carabinieri (Sigla) 24 25 27. Un23goccetto soltanto! 26 27 29. Passa... in cucina 30. Pronome personale 32. Due del trenta verticale UNN.SINGOLARE 37 FACILEFIORE – La pianta si chiama: RAFFLESIA – particolarità del suo (N. 43 - Ra chimico esia, è ildel più grande al mondo ) È IL PIÙ 33. Simbolo tallio fiore: GRANDE AL MONDO. Schema Soluzione
N. 39 DIFFICILE
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11 14 Vincitori 13del concorso Cruciverba su «Azione 42», del 16.10.2017 16 `
M. Moretti, B. Nicoli, S.Trippi 17
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I C1 6 A7 R2 E 6 S A E5` S2 6 I L O P8 R E3 7 L `U4 I N I N9 D A 5 T E 49 F O 2C O
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Vincitori del concorso Sudoku 21 su «Azione 42», 16.10.2017 P. Rizzi, G. Capra23
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N. 38 MEDIO Partecipazione inserire luzione,un corredata (N. 44 - “Balle, io loonline: porto da mesi e la non perdo etto!”) da nome, cognome, è possibile un pagamento in contanti 7 partecipante soluzione del cruciverba o del sudoku 2indirizzo, email del saranno 2 1 I vincitori 9 4 86 7 6 avvertiti 5 3 85 3 deve3 dei9premi. 1 2 3 4 5 6 7 8 nell’apposito formulario pubblicato essere spedita a «Redazione Azione, per iscritto. Il nome dei vincitori 2 6 1 4 5 7 3 2 6 1 8 9 sarà 4 B A L L A E L I O L Concorsi, C.P. 6315, 6901 Lugano». pubblicato su «Azione». Partecipazione 9 sulla pagina del 10 sito. 11 12 6Osi Lintratterrà I Pcorrispondenza A L I O sui R riservata A 8 4 6esclusivamente 4 3 9 5a 1 2 che 7 Partecipazione postale: la lettera o Non lettori 13 14 15 V T Le O sono G 3Iescluse. A Non D A risiedono M 1 4in Svizzera. la cartolina postale che riporti la so- concorsi. 6 vieMlegali 2 6 7 8 5 3 9 16
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 30 ottobre 2017 • N. 44
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Politica e Economia Tour asiatico Sta per iniziare il lungo viaggio di Donald Trump in Asia con in mente la Corea del Nord e il commercio con la Cina pagina 22
Riconciliazione palestinese Hamas accetta l’intesa con al-Fatah: è un’apertura senza precedenti dopo 10 anni di assedio israeliano della Striscia di Gaza e una vittoria politica per il presidente palestinese Abu Mazen
Sion 2026, sogno o realtà? Il Consiglio federale concede 1 miliardo per le Olimpiadi invernali, ma il sì delle Camere federali e del popolo è incerto
La consulenza finanziaria Oggi esistono anche prodotti finanziari sostenibili, un marchio li contraddistingue
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Ombre cinesi Cina Xi Jinping esce trionfante dal XIX
Congresso del Partito comunista, ma le sfide di nemici vecchi e nuovi al suo potere e alla sua politica di risorgimento della Repubblica Popolare entro il 2050 non cesseranno
Lucio Caracciolo Le forme e le apparenze sono chiare: Xi Jinping esce trionfatore dal XIX Congresso del Partito Comunista Cinese. Ne esce come leader assoluto, avendo iscritto il suo pensiero nello statuto stesso del massimo organo politico e istituzionale dell’Impero del Centro, al medesimo livello del fondatore della Repubblica Popolare Cinese, Mao Zedong. Un tempo si agitava il libretto rosso di Mao, adesso ci si deve orientare sul cosiddetto «Pensiero di Xi Jinping sul Socialismo con Caratteristiche Cinesi per una Nuova Era». Vasto programma. Ma le cose stanno davvero così? Quanto comanda davvero Xi? Quanto fedele gli è il partito, quanti nemici vi si annidano dentro o operano in altre strutture dello Stato? Se osserviamo il profilo del vertice battezzato dal Congresso, notiamo che se Xi prima aveva nel Comitato Permanente dell’Ufficio Politico almeno tre personalità non allineate se non avverse, oggi tutti gli sono fedeli. O sono considerati tali. Quindi per i prossimi cinque anni – ma c’è chi pensa che il presidente e segretario del partito, contravvenendo alla prassi consolidata, voglia prolungare il suo potere per almeno un altro quinquennio, se non a vita – Xi non dovrebbe soffrire attacchi diretti alla sua leadership. Eppure proprio durante i lavori della massima assise del Paese lo stesso Xi ha lasciato che filtrasse ufficialmente la voce di un tentativo di colpo di Stato che sarebbe stato represso. Il riferimento è probabilmente agli amici di Bo Xilai, suo potente avversario politico da tempo messo fuori gioco, che avrebbero cospirato contro di lui. E il fatto che la conferma sia data dalla stessa leadership comunista rivela che qualcosa di molto concreto c’è stato, e forse potrebbe tornare a manifestarsi. La personali-
tà assertiva e ingombrante del presidente/segretario generale dà fastidio a molti. In ballo è soprattutto il controllo delle grandi aziende pubbliche di Stato, che tuttora rappresentano il cuore dell’economia nazionale. Tali aziende di Stato (Soe – State owned enterprises – nel gergo internazionale) sono dei colossi di fatto controllati dalla nomenklatura del partito, gestiti secondo criteri arbitrari, spesso antieconomici e sempre corruttivi. Xi si è fatto fama di campione della lotta alla corruzione, che in termini politici si traduce in battaglia per estirpare le radici dei gruppi avversari dal controllo delle aziende e delle istituzioni pubbliche, Forze armate incluse. Qui si gioca tutto. Ma non è ben chiaro quale sia il suo piano e quali possibilità di successo abbia. Una forma di autoprivatizzazione delle Soe di stile postsovietico finirebbe per riprodurre in Cina un’oligarchia del genere di quella che si è arricchita spaventosamente nella Russia della fine dello scorso secolo, profittando dello smantellamento dell’Urss e delle sue enormi aziende di Stato (di partito). Il rischio che tra questi oligarchi si formi un nuovo strato di oppositori a Xi, capaci di tramare nell’ombra contro di lui e dotati di formidabili patrimoni personali con cui comprare alleati e convertire avversari, è fin troppo evidente. Un’alternativa potrebbe consistere nell’affidare le Soe, almeno per un periodo transitorio, a una burocrazia di controllo, che metta in opera le privatizzazioni, naturalmente limitate e orientate. Con questo torneremmo al punto di partenza, solo aggiungendo un’altra burocrazia corrotta a quelle già esistenti. E potentissime. Xi non sembra ancora avere operato una scelta, né individuato una terza via, meno sgradevole, rispetto alle due alternative accennate. Nel frattempo, malgrado la sua elevazione al rango di grande timoniere, le sfide al suo potere
Xi Jinping durante i lavori del XIX Congresso a Pechino. (Keystone)
non cesseranno. Secondo alcune informazioni lasciate circolare a Pechino, Xi avrebbe già subìto diversi tentativi di attentato. Di qui anche la fretta di affermarsi come figura quasi sacrale al di sopra della massa degli altri dirigenti. Il contesto geopolitico internazionale non è peraltro tranquillizzante. La mina nordcoreana è tutt’altro che disinnescata. In caso di conflitto fra Stati Uniti e Corea del Nord la Cina sarebbe immediatamente toccata. Sia per le ondate di profughi coreani diretti verso le aree limitrofe cinesi, dove è insediata una notevole minoranza di connazionali, sia per il rischio, in caso di attacco atomico americano, di gravi conse-
guenze se non altro ambientali per il Nord della Cina, sia soprattutto per la probabilità di avere a che fare con i militari americani alla propria frontiera nazionale, se il regime di Pyongyang dovesse scomparire. Nella regione, poi, i nemici storici della Cina stanno riarmando. L’India, grazie anche a nuove forniture americane, potrebbe riaccendere antichi e recenti focolai bellici lungo le contestate frontiere di montagna. Il Giappone ha appena trionfalmente rieletto il nazionalista Abe alla carica di primo ministro. Garanzia di un ulteriore riarmo e forse di una reinterpretazione o riscrittura della Costituzione che possa favo-
rire l’impiego più disinvolto delle sue Forze armate, naturalmente in chiave anticinese, per esempio in risposta al lancio di un missile nordcoreano che colpisse il territorio nipponico. Insomma, Xi ha vinto il Congresso, senza dubbio. Ma sotto le foglie si agitano nemici nuovi e vecchi. Come il suo novantunenne predecessore Jiang Zemin, che durante il lungo discorso di Xi sbadigliava e guardava l’orologio, a ostentare il suo fastidio per il successore. Senilità o insofferenza? Più probabile la seconda ipotesi. E quel che il vecchio Jiang ostentava, altri dirigenti probabilmente condividevano. In silenzio.
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Politica e Economia
strategie Dodici giorni in Asia, Nuove per vecchi problemi molte le sfide di Trump Dal 3 al 14 novembre Toccherà Giappone, Sud Corea, Cina,
Vietnam e Filippine: un pezzo di mondo dal quale in campagna elettorale aveva ventilato l’ipotesi di volersi disimpegnare Con il leader cinese Xi, Donald Trump affronterà i temi della Corea del Nord e del commercio. (AFP)
Beniamino Natale Negli anni Settanta decine di cittadini giapponesi furono rapiti da agenti della Corea del Nord. Come in un film di James Bond, alcuni dei rapitori arrivavano sulle coste giapponesi sui sommergibili, drogavano gli ignari giapponesi e li portavano nel loro Paese, allora guidato dal nonno dell’attuale leader Kim Jong-un – il fondatore della monarchia comunista Kim Il-sung – dove erano costretti a insegnare la loro lingua alle future spie nordcoreane. È significativo il fatto che durante la sua prossima sosta in Giappone, parte di un viaggio di 12 giorni con visite in cinque paesi dell’Asia, il presidente americano Donald Trump abbia deciso di incontrarsi con i familiari degli «scomparsi». Il governo giapponese ha stilato una lista di diciannove nomi, quello nordcoreano ne ha confessati tredici e cinque sono rientrati in Giappone ma si ritiene che le vittime di questa singolare forma di guerra fredda siano state decine, forse centinaia. Trump sarà in Asia dal 3 al 14 novembre. Un viaggio insolitamente lungo per un presidente americano, concepito, forse, proprio per mostrare ad alleati e avversari che l’area dell’Asia-Pacifico rimane al centro delle preoccupazioni dell’inquilino della Casa Bianca. Il presidente visiterà nell’ordine Giappone, Corea del Sud, Cina, Vietnam e Filippine. In Vietnam parteciperà al vertice dell’organizzazione dei paesi dell’AsiaPacifico – o APEC –, nelle Filippine alle celebrazione del 50.mo anniversario della fondazione dell’ASEAN, l’associazione dei paesi del sudest asiatico, due organizzazioni multilaterali delle quali non è certo un acceso sostenitore. L’altro tema che corre in parallelo a quello della minaccia nordcoreana è quello del commercio. La volontà di uscire dagli accordi multilaterali e di favorire quelli bilaterali è stata uno dei cavalli di battaglia della campagna elettorale di Trump ed è solo parzialmente stata seguita dai fatti. Una delle prime iniziative del presidente, infatti, è stata l’abbandono della Trans Pacific Partnership (TPP), che era stata lanciata dal suo predecessore Barack Obama (quando segretario di Stato era Hillary Clinton) nel quadro di quello che fu chiamato il «pivot» (perno) sul Pacifico, vale a dire lo spostamento del centro degli interessi strategici americani dall’Europa e Medio Oriente all’Asia. L’uscita americana ha privato la regione di un blocco di alleanze in grado di contenere l’inevitabile espansionismo cinese. Si tratta di un tema che è stato spinto in secondo piano dalle continue provocazioni di Kim Jong-un e dalle diatri-
be con la Cina ma che è di importanza centrale per molti paesi asiatici, tra cui quelli che ospiteranno il presidente. Fino ad ora Trump e i suoi non hanno offerto alternative al TPP, né elaborato una visione complessiva dei rapporti tra gli Usa e gli altri paesi dell’area. Come ha notato Euan Graham sulla rivista «The Diplomat», «per l’Amministrazione Trump le cose in Asia potrebbero andare peggio». Infatti, «la sua rete di alleanze è rimasta sostanzialmente intatta e Trump è riuscito ad avere molti consensi nella sua battaglia per isolare la Corea del Nord». Probabilmente è per sfruttare l’onda lunga di questa situazione che gli impegni programmati per il presidente in Giappone e Corea del Sud hanno un prevalente tono militare e sono stati concepiti in modo da sottolineare l’aspetto difensivo delle alleanze degli Usa. In Giappone, il presidente avrà anche colloqui col premier Shinzo Abe, reduce da una importante vittoria elettorale che gli permetterà di portare avanti i suoi programmi di riarmo e, in prospettiva, di abbandono della Costituzione pacifista che il Giappone si è dato dopo la sconfitta nella Seconda Guerra Mondiale. Un portavoce della Casa Bianca ha definito «improbabile» che Trump si rechi nella zona smilitarizzata sul confine tra le due Coree, sul 38esimo parallelo. La fine della guerra di Corea, nel 1953, non è stata mai formalizzata in un trattato di pace. Da allora, le due parti sono formalmente in un regime di tregua e, a dispetto del suo nome, la frontiera è una delle più militarizzate del mondo. Il presidente ha accettato di visitare, su invito dei sudcoreani, Camp Humphreys, 65 chilometri a sud di Seul, che è la più grande installazione militare americana nel Paese. ll nuovo presidente sudcoreano Moon Jae-in è ritenuto un «moderato» per quanto riguarda le relazioni tra le due Coree ma finora ha evitato di criticare l’approccio «machista» di Trump. In realtà, responsabili americani tra cui il segretario di Stato Rex Tillerson, hanno rivelato che contatti tra le due parti esistono, attraverso i canali informali. Recentemente il primo ministro di Singapore Lee Hsien Loong – un amico sia degli USA che della Cina – ha approvato la tattica di Trump sostenendo che per tenere a bada Pyongyang sono necessari sia la «fermezza» che il «dialogo». Ed è sul dialogo che punterà le sue carte l’uomo forte cinese Xi Jinping, reduce da un Congresso del Partito Comunista – il diciannovesimo – che lo ha incoronato leader supremo per altri cinque anni e che ha gettato le basi per un suo dominio sulla vita politica cinese per un periodo molto più lungo. Trump
ha annunciato la sua volontà di discutere con Xi della questione nordcoreana. Rimane tutto da vedere se le discussioni sulla Corea del Nord lasceranno spazio a quelle sul commercio, un tema sul quale il presidente aveva fatto fuoco e fiamme durante la campagna elettorale. Quello della relazioni con la Cina è il tema sul quale l’ambiguità dell’Ammistrazione Trump ha raggiunto il punto più alto. Sembra sia radicata ai suoi massimi livelli la convinzione che la chiave per contenere Pyongyang sia nelle mani di Pechino. Una convinzione solo parzialmente giustificata dai fatti se si tiene conto di due circostanze: in primo luogo, Pechino ha un’alleanza militare con la Corea del Nord che ha una storia lunga e articolata – avrebbe mai Pyongyang avuto l’atomica senza la collaborazione di Pechino, e del suo altro alleato regionale, il Pakistan? – alla quale non intende rinunciare; inoltre, la Cina non è l’unico paese ad avere relazioni commerciali e storicamente salde con la Corea del Nord. L’altro è la Russia, che potrebbe approfittare di eventuali passi indietro di Pechino per inserirsi nel gioco, dando fastidio sia alla stessa Pechino che a Washington. Con Trump, Xi Jinping giocherà la carta del dialogo, tentando di rilanciare i cosiddetti «six party talks», cioè gli incontri tra diplomatici di Corea del Nord, Usa, Cina, Corea del Sud, Russia e Giappone che sono interrotti dal 2009 e che sono più che altro un «contesto» nel quale i due veri avversari – nordcoreani e americani – possono parlarsi apertamente. In Vietnam, dopo aver preso parte al vertice dell’APEC a Da Nang, Trump avrà colloqui ad Hanoi col presidente Tran Dai Quang che, con ogni probabilità, gli chiederà iniziative più decise sul Mar della Cina meridionale. In quest’area Pechino ha enormemente rafforzato la propria presenza negli ultimi anni, costruendo una serie di isole artificiali che ospitano basi militari. Per il presidente americano sarà una sfida anche l’ultima tappa, quella a Manila, dove si incontrerà con un uomo politico non molto diverso lui – l’anti-political correct per eccellenza Rodrigo Duterte. Il presidente filippino ha annunciato pochi mesi fa il suo «divorzio» dagli Usa e il suo nuovo «matrimonio» con Pechino. Nessuno infatti in Cina ha mai criticato la sua «guerra» contro i sospetti spacciatori di droga, che si è concretizzata in migliaia di esecuzioni extra-giudiziali. Ora pare che la vicenda di Marawi – la città del sud delle Filippine occupata per mesi da estremisti musulmani, che si è risolta solo grazie all’aiuto militare americano – gli abbia fatto almeno in parte cambiare idea.
Afghanistan Tour in South Asia del
segretario di Stato americano Tillerson Francesca Marino «Gli americani dovrebbero accettare la sconfitta, ammettere il fallimento in Afghanistan, e ripartire da qui per trovare una soluzione». Così parlò il ministro degli Esteri pakistano Khawaja Asif immediatamente dopo l’incontro, un breve incontro, con il segretario di Stato americano Rex Tillerson. Tillerson, il primo membro dell’amministrazione Trump a recarsi ufficialmente nella Terra dei Puri, si è fermato in Pakistan per sole quattro ore prima di procedere verso Delhi. E la visita non è stata delle più tranquille. A riceverlo all’aeroporto nessuna delegazione in pompa magna ma solo funzionari di rango medio-basso, a voler sottolineare l’aria che tira a Islamabad e dintorni. I pakistani sono furibondi, a voler essere minimalisti: giorni fa lo stesso Tillerson aveva pubblicamente incensato l’India reiterando la richiesta americana di un maggior coinvolgimento indiano in Afghanistan e sottolineando ancora una volta come New Delhi sia un «partner naturale» per gli interessi degli Stati Uniti nella regione. E poco prima di recarsi a Islamabad il segretario di Stato aveva dichiarato, nel corso di un incontro a Bagram con i vertici del governo afghano, che «gli Stati Uniti hanno inoltrato al Pakistan richieste molto specifiche» perché la smettano di proteggere i talebani e tutta la galassia di jihadi che si aggira libera per il Paese sotto la protettiva ala dell’esercito e dei servizi segreti. Donald Trump e i suoi, da quando sono state annunciate le nuove linee guida per l’Afghanistan e il South Asia, non adoperano eufemismi. Secondo C. Christine Fair, rispettata analista e docente alla Georgetown University e peraltro decisamente contraria a Donald Trump, «il Pakistan rappresenta per gli Stati Uniti un pericolo ancora maggiore dell’Iran: è stato il Pakistan a fornire materiale nucleare alla Libia e alla Corea del Nord, e i pakistani hanno ammazzato molti più soldati americani di quanto non abbiano fatto gli iraniani». Pochi giorni prima del viaggio di Tilllerson gli Usa hanno bombardato in lungo e in largo il confine tra Afghanistan e Pakistan, con diverse incursioni in territorio pakistano. In realtà, in tutta questa guerra di parole tra Washington e Islamabad, non c’è nulla di sostanzialmente nuovo: non è la prima volta che i due Paesi sono vocalmente ai ferri corti, le violazioni della sovranità territoriale pakistana sono da anni all’ordine del giorno, dei terroristi creati, allevati e cresciuti dal Pakistan, talebani e Haqqani per cominciare, sono piene le cronache.
Il segretario di Stato americano Rex Tillerson sul luogo dell’assassinio di Gandhi a New Delhi. (Keystone)
La «nuova» strategia di Trump per l’Afghanistan, a ben guardare, non è poi tanto nuova: a meno che dalle parole e dalle minacce non si passi ai fatti. E qui la questione si complica, e di molto. Perché gli americani, e questo Islamabad lo sa perfettamente, del Pakistan hanno bisogno: hanno bisogno anzitutto dell’accesso via terra all’Afghanistan, e l’unico è dal porto di Karachi attraverso il territorio pakistano. Hanno bisogno della collaborazione di Islamabad con i talebani: perché le truppe sul campo possono forse vincere una battaglia, ma non riescono poi a tenere il territorio conquistato o a prendere i jihadi, che in genere si rifugiano in Pakistan. E hanno bisogno di avere in mano un qualunque mezzo, economico o militare, che gli assicuri un qualche tipo di controllo sul nucleare pakistano: perché se la potenziale «Bomba Islamica» iraniana fa paura, la Bomba pakistana è reale e nessuno vuole che finisca tra le mani di integralisti e jihadi di ritorno. Così, per il momento, si continua a giocare al vecchio gioco del bastone e la carota: e il Dipartimento di Stato americano ha ufficialmente dichiarato che non ci saranno sanzioni automatiche se il Pakistan continua a rifiutare di ammettere l’esistenza sul suo territorio di paradisi per jihadi e di fare pulizia. In realtà, qualche giorno prima, l’ineffabile General Maggiore dell’Isi Asif Ghafoor aveva dichiarato, durante una conferenza stampa, parlando delle accuse di legami con i jihadi mosse da più parti all’esercito e all’Isi che: «avere legami è diverso dal sostenere», ammettendo implicitamente il fattaccio. Secondo molti membri dell’amministrazione Trump, la soluzione è abbastanza semplice: basta chiudere i rubinetti del costante flusso di denaro che da anni scorre da Washington verso Islamabad per costringere i pakistani a smettere di sostenere talebani e compagni. Perché se è vero che il Pakistan gode dell’appoggio cinese, è vero anche che dipende ancora in modo sostanziale dal denaro e dalle armi americani. Meno semplice è invece dosare la pressione e le modalità della suddetta ipotetica chiusura. Per il momento, continua la guerra dei nervi. Tillerson si è fermato a Delhi, dove è arrivato anche Ghani e dove sono stati reiterati i soliti impegni a combattere il terrorismo. Ma la strategia Usa di rilancio dell’India come potenza globale alternativa alla Cina e come partner regionale privilegiato potrebbe in questo caso rivelarsi un vero e proprio boomerang. Soprattutto se Washington continuerà a operare in Afghanistan come ha fatto fino a questo momento, inviando truppe e denaro senza una concreta strategia.
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Politica e Economia
Verso la riconciliazione della Palestina L’intesa Hamas ha annunciato di avere raggiunto un accordo con il gruppo rivale palestinese al Fatah
con il patrocinio egiziano Marcella Emiliani La notizia, il 17 settembre scorso, è passata un po’ sotto silenzio. Il giorno dopo a New York si sarebbe aperta l’Assemblea generale dell’Onu e tutta la stampa internazionale era in febbrile attesa dei «pronunciamenti» del presidente degli Stati Uniti Donald Trump in merito alle due minacce nucleari, quella coreana e la iraniana, che inquietano le sue notti e non solo le sue. Proprio alla vigilia di tanto evento, dal Cairo Hamas annunciava ufficialmente di essere disponibile a smantellare il Comitato amministrativo di Gaza, creato in marzo per gestire la grave crisi umanitaria nella Striscia, ad indire nuove elezioni generali e intavolare trattative dirette di riconciliazione con al-Fatah. Al-Fatah – ricordiamolo – è il partito che governa quel che resta dell’Autorità nazionale palestinese (Anp) in Cisgiordania e il perno sempre di quel che resta dell’Olp (Organizzazione per la liberazione della Palestina) che dovrebbe rappresentare l’istituzione-ombrello per tutte le formazioni che lottano, appunto, per la liberazione della Palestina. Al-Fatah, l’Autorità nazionale e l’Olp sono guidate dal presidente dell’Anp Mahmoud Abbas, nome di battaglia Abu Mazen.
Hamas non ha mai voluto far parte dell’Olp, non ha mai accettato i peraltro falliti Accordi di Oslo stipulati nel 1993 dall’ Olp e dallo Stato di Israele, non ha mai riconosciuto il diritto all’esistenza dello Stato ebraico ed esattamente dieci anni fa ha cacciato, armi alla mano, tutti i rappresentanti di al-Fatah dalla Striscia di Gaza. E dal 2007 ad oggi la frattura nel fronte palestinese non ha fatto altro che aggravarsi, fornendo ad Israele un argomento fin troppo facile per rifiutare qualsiasi tavolo di negoziato coi palestinesi medesimi. «Chi rappresenta cosa?» è l’ interrogativo ricorrente che si pongono da allora i premier israeliani di fronte ad uno schieramento palestinese così diviso e a nulla sono valse le pressioni di ben tre presidenti degli Stati Uniti, da George W. Bush a Barak Obama a Donald Trump per portare un capo del governo israeliano a trattare almeno con chi Israele lo ha riconosciuto, alias Mahmoud Abbas-Abu Mazen. Di Hamas in sede di trattative internazionali non si parla nemmeno perché è considerata un’organizzazione terroristica da Israele, dagli Usa e dall’Unione Europea, per il suo fine dichiarato di voler distruggere lo Stato ebraico e per i suoi legami storici con l’Iran, gli Hezbollah libanesi, il regime
I firmatari Al-Ahmad di al-Fatah (a destra) e Al-Arouri di Hamas al Cairo. (Keystone)
di Bashar al-Assad in Siria, suoi principali fornitori di armi e aiuti finanziari, perlomeno fino al 2011. Inutile poi ricordare che da Gaza negli ultimi dieci anni sono regolarmente partiti razzi sempre più potenti alla volta delle città israeliane che hanno provocato non solo il totale isolamento della Striscia da parte di Israele, ma nel 2014 anche una guerra vera e propria che ha semiraso al suolo tutte le infrastrutture della Striscia medesima. Questo breve résumé storico era necessario per dare la giusta prospettiva alla notizia della riappacificazione tra Hamas e al-Fatah che è poi ufficialmente avvenuta al Cairo il 12 ottobre scorso salutata con manifestazioni di gioia tanto a Gaza (l’Hamastan) quanto in Cisgiordania (la Fatahland). Il primo passo, insomma, è stato compiuto. Ma cosa significhi tutto questo è troppo presto per dirlo. I principali tentativi di riavvicinamento erano già avvenuti nel 2011 e nel 2014 ed erano miseramente falliti. La novella riappacificazione perciò dovrà essere «rodata» sul terreno attraverso un calendario di verifiche a breve scadenza per arrivare al 1. dicembre quando l’Autorità nazionale palestinese dovrebbe farsi totalmente carico dell’amministrazione di Gaza e dei suoi funzionari, del controllo del punto d’accesso più problematico alla Striscia dall’Egitto, Rafah, peraltro già monitorato dall’Eubam, (European Union Border Assistance Mission, la missione di assistenza della frontiera dell’Unione europea) e degli apparati di sicurezza. Già il 2 ottobre scorso il primo ministro dell’Anp, Rami Handallah, ha fatto ritorno a Gaza bene accolto dalla popolazione e persino dal Fronte popolare per la liberazione della Palestina (Fplp) che a Gaza ha affiancato nell’ultimo decennio Hamas nella sua opposizione ad al-Fatah, e nella lotta contro Israele a suon di lancio di razzi. A Gaza City il Fplp aveva addirittura allestito una tenda in stile primavere arabe per sostenere i negoziatori del Cairo. Negoziatori che il 21 novembre dovrebbero tornare ad incontrarsi per verificare non solo come affrontare i principali problemi di gestione amministrativa,
ma anche e soprattutto l’organizzazione di elezioni per l’Anp riunificata e quella che i consiglieri di Abu Mazen il 12 ottobre – nell’euforia del momento – chiamavano con pudore «la questione delle armi». Detto in parole chiare: la questione delle Brigate Ezzedine al-Qassam alias il braccio armato di Hamas che ormai domina l’organizzazione visto che il nuovo leader di Gaza, Yehiya Sinwar, eletto in carica il 13 febbraio scorso, e il suo vice Saleh al-Aruri (quello che ha negoziato l’accordo con Fatah al Cairo) provengono entrambi dai ranghi delle Brigate al-Qassam. Ismail Haniyeh, ex primo ministro cioè leader di Hamas nella Striscia, è invece diventato il supremo capo politico dell’organizzazione al posto di Khaled Meshal, già ospite fisso di Bashar al-Assad a Damasco, poi transitato a Doha in Qatar, ora defilato nelle nebbie, essendo comunque in cima alla lista dei most wanted dead or alive di Israele. Sono invece transitati per le galere israeliane Yehiya Sinwar e Saleh al-Aruri, liberati con altri 1000 prigionieri palestinesi nel 2011 in uno scambio che consentì di tornare a casa a Gilad Shalit, il giovane militare israeliano rapito sul confine con Gaza il 25 giugno 2006. Ebbene, se all’indomani dello scoppio della primavera araba in Siria Hamas ha preso le distanze da Damasco, appena entrato in carica Sinwar ha spedito una delegazione segreta a Teheran (alleato storico della Siria) per rianimare il legame con l’Iran e sollecitare aiuti, diventati ancora più urgenti dopo lo scorso giugno, quando il Qatar – che ha sempre sostenuto finanziariamente Hamas – è stato ostracizzato dall’Arabia Saudita e dagli altri Emirati del Golfo in quanto «sostenitore del terrorismo ed alleato dell’Iran». Detto in altre parole, a spingere Hamas di nuovo nelle braccia di alFatah sono stati un isolamento e una carenza di mezzi quali mai aveva sperimentato prima, complicati dal caos e dalle guerre seguite alle primavere del 2011. E sebbene affermi per bocca del suo lider maximo Hanyeh di essere «disposto a tutto» per salvaguardare l’accordo con l’Anp, in realtà non sembra affatto esserlo. Potrà pure fare
concessioni sulla sorte dell’elefantiaco apparato burocratico che ha gestito negli ultimi dieci anni la Striscia: 45’000 impiegati e funzionari che assorbono il 17% del magro bilancio dell’Anp, ma non intende smantellare le Brigate Ezzedine al-Qassam. E lo ha detto chiaro e tondo il 19 ottobre scorso il leader di Hamas a Gaza Sinwar, che ha escluso che la sua organizzazione possa riconoscere Israele, tagliare definitivamente i legami con Teheran e smantellate le Brigate al-Qassam come gli chiedono con sempre maggior insistenza al-Fatah, Israele e gli Usa. La patata bollente a questo punto è nelle mani del presidente dell’Anp Mahmoud Abbas. Anche lui ha contribuito a «convincere» Hamas ad andare a Canossa non pagando ad Israele le bollette della luce per la Striscia e diminuendo drasticamente da marzo lo stipendio dei 45’000 impiegati pubblici di Gaza. Ma ora farsi carico dei problemi della Striscia e dei niet di Hamas non sarà uno scherzo sotto gli occhi di Israele e degli Stati Uniti che hanno garantito all’operazione-riconciliazione un tacito consenso, ma ora esigono da Mahmoud Abbas quello che non hanno mai ottenuto da Hamas. Ma sta a guardare anche l’Egitto, che disinnescando la minaccia Hamas spera di spezzare il legame tra Gaza e il terrorismo nella penisola del Sinai che continua a falcidiare i suoi militari e le sue forze di sicurezza. E stanno a guardare anche gli Emirati arabi uniti e l’Arabia Saudita, che sono disponibili a subentrare al Qatar come fonte di aiuti, ma con una rottura evidente e conclamata tra Hamas e l’Iran per spezzare anche la contiguità territoriale del Crescente sciita che da Teheran via Iraq, Siria, Libano e Gaza raggiunge il Mediterraneo. Il fronte sunnita ha già pronto anche l’uomo che potrà farsi carico della gestione della Striscia una volta che Hamas abbia smantellato il suo braccio armato: Mohammed Dahlan, già leader di al-Fatah a Gaza dove è nato e dal 2007 gradito ospite di Abu Dhabi. Dietro la riconciliazione, insomma, i principali attori del Medio Oriente stanno tutelando una volta di più i propri interessi.
Argentina, si conferma la svolta a destra Elezione di metà mandato Rafforzato il corso di riforme liberali di Macri, con cui vuole
Angela Nocioni Si conferma la svolta a destra dell’Argentina, verso la «derecha liberal» di Mauricio Macri (foto). Perde quota il peronismo di sinistra della ex presidente Cristina Kirchner. Le elezioni di metà mandato sono state vinte dai candidati del governo guidato da Macri, con oltre il 40% dei voti. Gli argentini hanno votato per rinnovare un terzo del Senato (24 seggi) e la metà (127) della Camera dei deputati. Siamo a metà del mandato quadriennale del governo. Il voto di midterm è tradizionalmente nella politica argentina un test fondamentale per valutare la tenuta del presidente in carica. E gli ottimi risultati ottenuti dal partito di Macri, Cambiemos, e dai suoi alleati, rafforzano molto il governo nonostante numericamente nel Congresso, per un complesso sistema di trasformazione dei voti in seggi, Macri dovrà continuare a trattare su ogni provvedimento per ottenere la maggioranza di cui non dispone. Il macrismo ha vinto in 14 distretti elettorali, nelle principali province
(Buenos Aires, Cordoba, Santa Fe, Mendoza) oltre che nella città di Buenos Aires. La partita si è giocata come sempre nella gigantesca provincia di Buenos Aires, «el cordon obrero de la capital», il cordone operaio, dove risiede la maggioranza dell’elettorato e dove le formazioni peroniste hanno sempre fatto il pieno di consensi. Lì, a sorpresa, il candidato di Cambiemos, l’ex ministro Esteban Bullrich, ha ottenuto il 42% delle preferenze, a fronte del 36% di Cristina Kirchner. Uno schiaffo pesantissimo per l’ex presidente, che è riuscita comunque ad avere un seggio in Senato. Questo le permetterà sia di combattere più comodamente la sua battaglia per mantenere la leadership dell’opposizione, che ora i fratelli-coltelli dell’elefantiaca galassia peronista si apprestano a contenderle, sia di essere protetta dall’immunità rispetto alle infinite vicende giudiziarie per le accuse di corruzione che la coinvolgono. La clamorosa notizia politica che viene dalle elezioni è che il presidente taglia-sussidi invece di perdere voti li guadagna. Mauricio Macri, capo di un
governo apertamente liberista che ha bruscamente svegliato l’Argentina dal sonno illusorio del cambio fisso (cioè a valore irreale) tra moneta nazionale e dollaro, che ha abolito le sovvenzioni governative al consumo di gas ed elettricità e ha deciso licenziamenti in massa nell’ipertrofico impiego pubblico, ha fatto il pieno di voti nonostante l’inflazione sia schizzata ai valori più alti degli ultimi quindici anni e Buenos Aires sia diventata la città più cara dell’America del sud anche per chi ha dollari in tasca. Il costo sociale ed economico delle misure prese finora è stato molto alto per le fasce medie e medio basse della popolazione, ossia per la stragrande maggioranza del Paese. L’aumento improvviso del costo della vita non ha avuto alcuna compensazione salariale. Ai licenziamenti di massa nel pubblico sono seguiti quelli nel privato. La fine delle sovvenzioni pubbliche alle bollette ne ha fatto triplicare l’importo. Quando il costo della vita schizza in alto improvvisamente, senza un adeguamento dei salari, nell’Argentina iper-ideologizzata dove i sindacati (contro cui Macri è in guerra) hanno un capillare controllo
della mobilitazione sociale, di solito ci si aspetta una rivolta. Invece no. Le piazze in questi mesi si sono sì riempite di manifestazioni di protesta, ma arrivata l’ora di votare gli argentini non hanno punito il presidente in carica. Segno, secondo molti analisti, che la lunga fase del «peronismo revanchista» stile anni Sessanta è al momento davvero tramontata, che la maggioranza degli elettori preferisce scommettere sulla promessa di un modello politico nuovo, nonostante risulti caro da pagare, piuttosto che continuare a puntare sulle formule di ridistribuzione di denaro pubblico senza grandi investimenti economici che hanno caratterizzato il decennio scorso. L’Argentina resta però un Paese diviso a metà. I macristi contro gli antimacristi. I peronisti contro gli antiperonisti. La promessa di Macri di riuscire a ricomporre la frattura ideologica e culturale che squarcia la società rimane la sua meta più difficile. Raggiungerla con un 36% della popolazione che vive sotto la soglia di povertà, rimane il suo compito più ostico. I suoi critici prevedono che l’indebitamento potrà solo aumen-
Keystone
rilanciare la terza economia dell’America Latina. Perde quota il peronismo della Kirchner
tare e che il deficit e l’inflazione conseguenti spingeranno Buenos Aires nella spirale di una delle sue solite e drammatiche crisi. Osserva stupito l’analista Ernesto Tenenbaum: «L’Argentina ha vissuto negli ultimi mesi un esperimento politico sommamente esotico. Macri è un personaggio stranissimo nella storia politica argentina. È il primo presidente venuto da una delle famiglie più ricche del paese dai tempi di Marcelo Torcuato de Alvear, cioè dal 1922, quasi un secolo. Macri è il primo che è stato presidente di una squadra di calcio, il primo a non appartenere a un partito tradizionale, a non essere né radicale né peronista. Se tutto continua a filare come è filato fin qui, e non c’è motivo per affermare il contrario, sarà il primo presidente non peronista a portare a termine il mandato, il primo dal 1928!».
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PUNTI
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 30 ottobre 2017 • N. 44
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Politica e Economia
Un miliardo per le Olimpiadi Sion 2026 Il Consiglio federale concede un importante credito per riportare i Giochi invernali in Svizzera
dopo 70 anni. Ma sarà arduo superare lo scoglio del Parlamento federale e di un’eventuale votazione popolare
Marzio Rigonalli Il sogno dei promotori del progetto «Sion 2026» diventerà realtà? La Svizzera sarà il paese organizzatore delle Olimpiadi invernali del 2026? L’interrogativo è riemerso con forza dopo la decisione del Consiglio federale di stanziare un credito di quasi un miliardo di franchi per la realizzazione del progetto. La candidatura «Sion 2026» ha già superato alcuni ostacoli ed affronta ora la fase conclusiva, ricca d’importanti decisioni. Il progetto si fonda sull’uso delle infrastrutture esistenti e prevede il coinvolgimento di quattro cantoni, ossia Vallese, Vaud, Friburgo e Berna, chiamati ad ospitare, durante due settimane, le varie competizioni. Anche il canton Grigioni vien coinvolto per le gare di bob, grazie alla pista di St. Moritz, l’unica esistente in Svizzera. La decisione del Consiglio federale non è definitiva. Deve ancora essere approvata dalle Camere federali e potrebbe anche sfociare in una votazione popolare. Le prime reazioni tra i parlamentari non sono state incoraggianti. Due partiti, l’UDC ed i Verdi, si sono schierati subito contro il previsto finanziamento federale. I socialisti sono divisi. Tra di loro ci sono, per esempio, la consigliera nazionale Silva Semadeni, presidente di Pro Natura, l’organizzazione impegnata nella salvaguardia del patrimonio naturale, contraria al progetto, e Hans Stöckli, consigliere agli Stati bernese, vicepresidente del comitato promotore di «Sion 2026». I liberali radicali attendono ulteriori informazioni sul finanziamento, prima di prendere posizione. Soltanto il PPD si è subito espresso chiaramente in favore del progetto. A monte dello scetticismo degli uni e del quasi entusiasmo degli altri vi sono varie considerazioni. I contrari fanno leva sul costo del progetto. Sostengono che le finanze federali non attraversano un buon momento e che occorrerebbe procedere coi piedi di piombo. Non accettano che si proceda a risparmi in settori importanti come la difesa dello Stato, la formazione o l’aiuto allo sviluppo e che si spenda un miliardo per le Olimpiadi. Inoltre, aiutati
da esperienze passate, diffidano delle cifre proposte. Sostengono, con qualche buona ragione, che i costi finali delle Olimpiadi si sono sempre rivelati superiori a quanto era stato preventivato, e citano anche le grandi manifestazioni che in passato si sono svolte in Svizzera e che si sono rivelate più care del previsto, come per esempio Expo 02, la sesta esposizione nazionale. Infine, quando verranno chiusi i conti, temono che la Confederazione sia costretta a garantire la copertura del deficit e, quindi, a riportare sui cittadini una spesa supplementare non preventivata. I favorevoli al progetto, invece, evidenziano i vantaggi che la Svizzera potrebbe trarre dallo svolgimento delle Olimpiadi sul proprio territorio. Per un periodo non trascurabile, l’attenzione di tutti gli sportivi verrebbe focalizzata sul territorio elvetico, sulle sue bellezze naturali e sulla sua attrattiva. Sostengono che ne risulterebbero parecchi impulsi positivi per il turismo e l’economia in genere. Inoltre, vi vedono la possibilità di rafforzare l’immagine internazionale della Svizzera e di mostrare al mondo che la Confederazione sa organizzare un grande evento internazionale, mantenendolo entro una cornice ragionevole e non imitando progetti smisurati che si sono già visti in passato, come per esempio gli ultimi Giochi olimpici invernali di Sochi. Il dibattito sul finanziamento della Confederazione sarà molto agitato in seno alle Camere federali e l’esito, almeno per ora, sembra molto incerto. Un primo sondaggio, svolto dalla «Sonntagszeitung» tra i deputati, ha evidenziato che soltanto 23 parlamentari su 80 sono favorevoli al finanziamento federale, mentre 43 sono contrari. Un voto negativo del Parlamento affosserebbe la candidatura «Sion 2026». Il consigliere federale Guy Parmelin, responsabile del dossier, dovrà dunque svolgere un’intensa opera di convincimento, soprattutto tra i rappresentanti del suo partito, se vorrà garantire alla candidatura elvetica la possibilità di arrivare in fondo al lungo iter che ancora l’attende e di essere scelta dal Comitato Olimpico Internazionale (CIO).
Jean-Philippe Rochat, presidente del comitato promotore di Sion 2026, presenta il progetto alla stampa. (Keystone)
L’approvazione delle Camere federali non sarebbe però ancora sufficiente, perché molti parlamentari hanno già dichiarato di voler sottoporre la questione al voto popolare. Il referendum finanziario, facoltativo od obbligatorio, è previsto in molti comuni e cantoni, ma non è contemplato a livello federale. In passato, sono stati fatti diversi tentativi per introdurlo, ma tutti sono stati bocciati. Per consentire al popolo di votare sulla spesa di un miliardo di franchi, bisognerà indurre il Consiglio federale ad introdurre il credito in una legge federale sottoposta al referendum facoltativo. È un’ipotesi realizzabile, visto l’alto numero di parlamentari contrari al credito. Infine, la candidatura olimpica dovrà superare anche gli scogli che ancora esistono in seno ai quattro cantoni coinvolti nell’organizzazione. Il Vallese si pronuncerà in votazione popolare il 10 giugno 2018, sullo stanziamento di un credito di 61,8 milioni di franchi. Negli altri tre cantoni non sono ancora state previste consultazioni popolari, ma non sono nemmeno state escluse.
Un no vallesano al credito cantonale il prossimo 10 giugno affosserebbe la candidatura olimpica, mentre il rifiuto popolare in uno degli altri tre cantoni non avrebbe probabilmente conseguenze così gravi, ma creerebbe nuovi grossi problemi. Fin ora la Svizzera ha organizzato due volte le Olimpiadi invernali, nel 1928 a St. Moritz e nel 1948, sempre nella stazione grigionese. Da allora sono passati quasi 70 anni. Durante questo periodo, sono emerse ben nove candidature, di cui 2 per i Giochi olimpici estivi, voluti da Losanna, e 7 per quelli invernali. Una parte delle candidature invernali è stata bocciata dal popolo in votazione popolare. È stato così per le candidature Sion 1968, Berna 2010, Grigioni 2022 e Grigioni 2026, quest’ultima affossata lo scorso mese di febbraio, nonostante il voto favorevole del Gran Consiglio. Hanno avuto una vita un po’ più lunga, invece, ben tre candidature vallesane: Sion 1976, sconfitta da Denver, Sion 2002, battuta da Salt Lake City, e Sion 2006, sconfitta da Torino. In quest’ultimo caso, grande
fu la delusione vissuta nel cantone, che aveva approvato i Giochi con il 67 per cento dei votanti, e tra i fautori del progetto, tra i quali, in prima fila, c’erano l’allora consigliere federale Adolf Ogi, nella veste di presidente del comitato promotore, ed il governo cantonale. La travagliata storia delle candidature elvetiche e gli ostacoli che la candidatura «Sion 2026» deve ancora superare, rendono complicato qualsiasi pronostico. La prudenza sulla nuova candidatura è di rigore. Il problema principale rimane il finanziamento e la certezza sulla somma che la Confederazione dovrà sborsare. Una certezza che si può raggiungere soltanto ponendo un limite alla garanzia di deficit. Resta però da vedere se il Comitato Olimpico Internazionale accetterà che la Svizzera non si faccia carico di un eventuale superamento dei costi preventivati. La sua scelta per le Olimpiadi del 2026 avverrà soltanto fra due anni, nell’ottobre 2019. È un periodo abbastanza lungo, che non consente di escludere eventuali sorprese e possibili colpi di scena.
Investire nella casa il «Terzo pilastro»? Assicurazioni sociali La previdenza individuale offre vantaggi fiscali, ma nel caso di un investimento
di questo capitale nell’ammortamento della casa di proprietà non è sempre così, poiché con il tempo il debito ipotecario diminuisce mentre il cosiddetto «reddito locativo» pesa in modo crescente sul reddito del pensionato Ignazio Bonoli Il sistema svizzero di previdenza per la vecchiaia non sarebbe tale se non contemplasse anche una previdenza individuale. Non a caso, infatti, è noto anche al grande pubblico con l’appellativo di «Sistema dei tre pilastri». Dei primi due pilastri (AVS e Casse pensioni) abbiamo parlato in due precedenti puntate. Oggi vogliamo soffermarci sul terzo, considerando anche un aspetto particolare. Fin dai tempi antichi, lo svizzero è conosciuto per la sua parsimonia e per la sua previdenza, sostanziata nel risparmio individuale o di famiglia, nonché in una certa reticenza a indebitarsi, se non in caso di estrema necessità. Proprio per questo il sistema previdenziale in Svizzera, curato dallo Stato, non è tra i migliori nelle prestazioni, ma sicuramente tra i migliori nella salute delle proprie finanze. Ma, negli ultimi anni, la società è molto cambiata, le sue esigenze sono
aumentate e anche i sistemi di protezione sono messi a dura prova. Tuttavia la struttura di protezione della vecchiaia conserva il principio secondo cui ognuno deve dapprima pensare a se stesso e solo dopo chiedere l’aiuto di terzi. Lo si evidenzia anche quando – per esempio – non si ritiene buona cosa che le giovani generazioni paghino per mantenere un buon livello di vita a quelle anziane. Su questo principio si basa appunto il «Terzo pilastro» della previdenza, per il quale lo Stato offre dei vantaggi. Nel caso specifico sono deducibili dal reddito, nella dichiarazione delle imposte, Fr. 6768.– per salariati e indipendenti affiliati a un’istituzione di previdenza professionale (cioè che paga i contributi a una cassa pensione) e Fr. 33’840.– (al massimo fino al 20% del reddito) per chi non è affiliato. Al momento della riscossione di questi risparmi vincolati, lo Stato applica una tassazione di favore sul capitale riscosso. Un aspetto particolare di questa
forma di risparmio (oltre all’assicurazione vita e a varie forme di risparmio bancario o di investimento) vi è anche la possibilità di acquisire un’abitazione in proprio. Per queste operazioni vi è pure la possibilità di utilizzare parte del capitale della propria pensione, non dimenticando però che questo capitale mancherà poi nel calcolo della rendita di pensione. Attualmente i tassi ipotecari molto bassi potrebbero favorire questa forma di investimento previdenziale, tenendo però conto del fatto che è necessario investire anche un capitale proprio (in generale il 20% del costo totale). Lo Stato aveva favorito in passato questo investimento con particolari agevolazioni – accanto ai sussidi per le pigioni – contribuendo però a creare strette finanziarie al momento del pensionamento con ancora il debito da restituire. Totalmente in contraddizione con la politica di promozione dell’alloggio, lo Stato tassa però un reddito locativo, che in realtà non esiste. E, in ef-
fetti, il servizio degli interessi sul debito e i suoi ammortamenti riducono a ben poco, se non a zero, questo reddito. Tuttavia, man mano che il debito scende, il reddito imponibile aumenta e potrebbe raggiungere il livello massimo, proprio al momento del pensionamento, talvolta vanificando proprio l’aspetto di previdenza per la vecchiaia. Chi sceglie questa forma di investimento – sempre nell’ottica del «Terzo pilastro» – deve mettere in conto un eventuale aumento dei tassi di interesse e la necessità di un adeguato ammortamento del debito, per non giungere al pensionamento con un fardello che può essere difficile da sopportare. Deve inoltre tener conto delle varie imposte e tasse che colpiscono la proprietà, nonché del «valore locativo» a cui abbiamo accennato. Quest’ultimo fattore, che aumenta con il diminuire del debito, può essere di un certo peso, poiché legato sia al valore fiscale della casa, sia alla media degli affitti pagati nei dintorni. È una
particolarità svizzera, che si aggiunge alle imposte su reddito e sostanza e che solleva parecchie discussioni. Le associazioni di inquilini si oppongono alla soppressione del valore locativo, a meno che si introduca anche la deducibilità degli affitti nel calcolo del reddito disponibile. Dal canto loro i proprietari sostengono che si tratta di due cose diverse e non necessariamente paragonabili. Ultimamente si fa strada una soluzione che potrebbe accontentare soprattutto lo Stato: quella di sopprimere il valore locativo, ma anche la deducibilità del debito ipotecario e dei suoi interessi. È vero che così facendo si può influire sull’incentivo a indebitarsi, ma – aggiungono i critici – anche a mantenere il patrimonio immobiliare in buono stato. Infine, si punirebbe solo il risparmiatore che investe un capitale proprio. Contrasto risolvibile – anche secondo il Tribunale federale – con la soppressione tanto del valore locativo, quanto delle deduzioni sul debito ipotecario.
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Politica e Economia
Marchi per prodotti finanziari sostenibili: Quant’è «verde» il vostro fondo? La consulenza della Banca Migros
Benjamin Hampl è gestore di fondi e specialista in investimenti sostenibili presso la Banca Migros
Tutti conoscono i variopinti marchi di qualità di Max Havelaar, MSC e Heidi. Solo nel settore alimentare il sito Labelinfo.ch conta 64 marchi (o etichette) di qualità utilizzati in Svizzera. Per quanto appaiano diverse, tutte le etichette assolvono alle stesse funzioni di base. Caratteristica del prodotto. Con il marchio Max Havelaar, l’acquirente sa già a colpo d’occhio che per la realizzazione del prodotto i piccoli contadini e i lavoratori delle piantagioni nei paesi emergenti e in via di sviluppo hanno ricevuto un salario equo, con il quale possono dunque migliorare le proprie condizioni di vita a lungo termine. Standard. L’organizzazione che conferisce il marchio contribuisce allo sviluppo di uno standard o addirittura ne è l’ideatrice. Questo standard viene continuamente verificato e migliorato. Nel caso di Max Havelaar si tratta dell’organizzazione indipendente Fairtrade International. Controllo. Il marchio si fonda sulla trasparenza e svolge una funzione di controllo, anche in collaborazione con altri organismi di certificazione. Tuttavia, mentre in questo campo vi è un’ampia varietà di etichette, per gli investimenti sostenibili la scelta è piuttosto limitata. Esistono solo due organizzazioni indipendenti per i fondi d’investimento: Luxflag e Eurosif. La maggiore delle due, Eurosif, assie-
Marka
Benjamin Hampl
me all’organizzazione partner Forum Nachhaltige Geldanlagen (FNG) per i Paesi di lingua tedesca, definisce gli standard europei nel settore degli investimenti socialmente responsabili. Più di 700 fondi d’investimento sostenibili, tra cui anche quelli della Banca Migros, rispettano già il Codice Europeo per la Trasparenza e possono
esibire il logo corrispondente (vedi figura in alto a destra). Il logo di trasparenza contrassegna soltanto i fondi con un approccio d’investimento sostenibile. Considerata l’ampia varietà di strategie d’investimento applicabili e le diverse interpretazioni di sostenibilità, l’FNG rinuncia a definire criteri specifici per i fondi sostenibili.
L’organizzazione stabilisce piuttosto uno standard per la pubblicazione di tutti i dati rilevanti in merito alla sostenibilità dell’offerente del fondo. Nel cosiddetto rapporto sulla trasparenza, la società del fondo deve fornire informazioni in quattro settori: la strategia sostenibile applicata, la valutazione delle imprese, il processo di gestione del fondo e il sistema di controllo. L’FNG esamina le informazioni pubblicate nel rapporto sulla trasparenza e ne verifica completezza e disponibilità. Come implica il nome, il logo di trasparenza definisce solo uno standard per la pubblicazione di informazioni. Per sapere qual è l’approccio di un fondo alle questioni ecologiche, si deve quindi consultare il rapporto sulla trasparenza. Poiché gli offerenti non sono obbligati ad adattare il proprio concetto di sostenibilità a uno specifico standard, l’impegno necessario per conseguire l’etichetta è relativamente poco oneroso. Per questo motivo c’è da meravigliarsi se un offerente rinuncia a ottenere il logo di trasparenza. Annuncio pubblicitario
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Politica e Economia Rubriche
Il Mercato e la Piazza di Angelo Rossi Congiuntura: la ripresa è alle porte Torniamo a parlare di congiuntura ora che sono state pubblicate le nuove previsioni per quest’anno e per il prossimo. I lettori che seguono le cronache economiche si saranno accorti che, durante il 2017, le previsioni sulla congiuntura sono sempre state riviste verso il basso. Un anno fa esse erano molto positive. Si pensava che le conseguenze negative della rivalutazione del franco rispetto a euro e dollaro fossero finalmente state superate e che, di conseguenza, il tasso di crescita del Pil dell’economia svizzera
avrebbe potuto passare, quest’anno, il capo dell’1%. Si pensava allora che il tasso di crescita avrebbe addirittura potuto raggiungere un livello pari all’1,71,8%. Alla fine del 2016 gli istituti di previsione erano più incerti e si dividevano praticamente in due partiti. Quelli che mantenevano le loro previsioni di crescita del Pil su livelli superiori all’1,5% (pochi) e quelli che invece le correggevano verso il basso anticipando un tasso di crescita variante tra l’1,3 e l’1,5% (la maggioranza). In marzo le previsioni per
Tasso di crescita del Pil 2017: previsioni a diverse date
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Tasso di crescita del Pil 2017: previsioni a diverse date
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il 2017 erano di nuovo leggermente più ottimiste nel senso che un paio di istituti le avevano corrette verso l’alto dall’1,4 all’1,6-1,7%. La situazione non cambiava nel mese di giugno. A settembre, invece, il numero degli istituti ottimisti, che prevedevano una crescita superiore all’1,5%, si riduceva a tre (come in dicembre) mentre si allargava lo spettro delle possibilità verso il basso. C’erano addirittura tre istituti – il KOF, la Banca nazionale e il BAK-Basel – che stimavano che, nel 2017, la crescita del Pil non avrebbe superato l’1%. Le correzioni verso l’alto o verso il basso delle previsioni annuali, che si manifestano ogni trimestre, sono dovute al fatto che, di trimestre in trimestre, si rendono disponibili nuovi dati per stimare i parametri dei modelli di previsione. Talvolta questi dati sono in contraddizione con quelli che singoli istituti raccolgono per mezzo di sondaggi nelle aziende o con i valori di indici congiunturali che gli istituti sviluppano utilizzando variabili che, secondo l’esperienza degli specialisti, dovrebbero
anticipare l’evoluzione a breve termine della congiuntura. Succede così che nei quotidiani che pubblicano solo le notizie, e non si impegnano in un commento delle stesse, negli scorsi mesi si sia potuto leggere, un giorno, che la congiuntura era in netta ripresa, perché questo o quell’istituto pubblicava il risultato di un sondaggio, mentre il giorno appresso si annunciava l’imminenza della recessione, perché questo o quell’istituto rendeva noti i risultati della revisione delle sue previsioni. Date queste contraddizioni è certo che per il lettore non è facile raccapezzarsi. Insomma, come sta andando la congiuntura dell’economia elvetica? Sta andando abbastanza bene anche se, per quel che riguarda il tasso di crescita del Pil, quest’anno non si supererà né l’1,5, né, forse, l’1%. Il problema è che, lo scorso inverno, è stato un periodo particolarmente difficile per l’economia svizzera di cui, purtroppo, continuano a risentire, in modo negativo, le previsioni dei modelli macroeconomici. Tuttavia, specie nella seconda metà del 2017, si
sono manifestate tendenze alla ripresa che consentono agli istituti di previsione di anticipare un tasso di crescita del Pil tra l’1,5 e il 2% per il 2018, grazie, in particolare, a una robusta crescita delle esportazioni e degli investimenti. Gli altri risultati positivi sono che, per il 2018, si prevede un ristagno della disoccupazione su un tasso del 3,2% e un tasso di inflazione minimo pari allo 0,40,5%. Rispetto alle nazioni dell’Unione Europea la posizione della Svizzera non cambia. In termini di crescita continuerà a far parte, quest’anno e il prossimo, del gruppetto di coda delle economie europee in compagnia di Italia, Portogallo e, molto probabilmente, anche della Francia. Aggiungiamo che anche la Germania non andrà probabilmente molto più in là. L’accelerazione della crescita, che si manifesterà nel 2018, non sarà quindi tale da consentirci di riprendere delle posizioni nella classifica congiunturale europea. Ma, come si è visto, in fondo a questa classifica saremo in buona compagnia.
a me tocca perderla!». Badoglio si è appena sfogato con l’attendente: «Ce la siamo data a intendere gli uni con gli altri, e adesso è finita! Non c’è più nulla, neanche lo stellone!». Ma ora di fronte al comandante in capo che lo incalza – «e chiel? L’on ca fa chiel?», lei cosa fa? – ostenta tranquillità: «Mi? A mi ’n manca gnente. Mi manca solo un campo di prigionia per i nemici che cadranno nelle nostre mani». Cadorna gli mette una mano sulla spalla. Pochi giorni dopo, nelle mani nemiche cadranno 300 mila prigionieri italiani. Altrettanti, forse più, gli sbandati. Uno dei misteri di Caporetto è che Badoglio, anziché essere rimosso come Cadorna e Capello, sarà promosso sottocapo di Stato maggiore dell’esercito. Il bombardamento comincia alle 2 del mattino di martedì 24 ottobre. La terra trema. Tempeste di ferro e nubi di fuoco si abbattono sulle prime linee. Ma presto la battaglia si fa silenziosa. Gli italiani presidiano le cime; tedeschi e austriaci passano nel fondovalle.
Piccoli gruppi, armati di mitragliatrici leggere e mortai da assalto, fanno prigionieri interi reggimenti: si distingue un tenente di 26 anni, Erwin Rommel. Troppi soldati italiani in prima linea, spesso tagliati fuori dal combattimento; troppi pochi nella seconda linea, travolta in poche ore. A Nord, nella conca di Plezzo, il silenzio è assoluto. Nell’aria odore di mandorle amare. Per sapere se i tedeschi hanno usato il gas, il comando di divisione manda in prima linea un graduato, che informa: «I soldati sono tutti al loro posto, col fucile fra le mani e la maschera al volto». Annota l’aspirante ufficiale Giovanni Comisso: «Quei soldati erano impietriti dalla morte, che la piccola e miserabile maschera non aveva servito a impedire». Almeno 800 asfissiati. Il comandante tedesco, conte Otto von Below, annota compiaciuto: «L’effetto del gas è devastante». Ora la conca di Plezzo ospita un campo da golf. Come l’esercito italiano sia rinato sul Piave e sul Grappa, pochi giorni dopo,
è un altro mistero. Il nemico non si aspettava di avanzare tanto; ma non si attendeva neppure un riscatto così improvviso. Non c’è più da andare all’assalto di montagne che nessuno ha mai sentito nominare, da prendere città in cui nessuno è mai stato; c’è da difendere la famiglia, badare alla terra; cose che i fanti contadini conoscono bene. È un mistero anche come Badoglio – ribattezzato ironicamente «marchese di Caporetto» – si riveli l’organizzatore della resistenza. È la vera nascita dell’Italia: una babele di dialetti, un popolo giovane diventano nelle trincee una nazione. Resta il fatto, come ha scritto trent’anni fa Mario Silvestri, che «la vera Italia non è quella del Piave, ma quella di Caporetto. Caporetto viene da lontano e va lontano. L’Italia del Piave non è la regola ma l’eccezione». Quello che avvenne cent’anni fa «era già avvenuto prima, avvenne dopo, avviene sotto i nostri occhi; e ci sono tutte le premesse perché avvenga in futuro». Un monito sinistro; quasi una profezia.
stiche. Per certi versi tali propositi sono fisiologici, perché non si danno compagini nazionali etnicamente omogenee. Sta alla politica con i suoi ordinamenti governarli con equità e senso della misura, e se del caso ricondurli nell’alveo della carta costituzionale. A suo tempo anche l’equilibrata Confederazione dovette fare i conti con una crescente discordia interna, ossia il separatismo giurassiano. Una crisi in cui non mancarono violenze e provocazioni reciproche, sia da parte del Groupe Bélier (fondato nel 1962), sia da parte della polizia bernese. Alla fine il popolo svizzero, chiamato alle urne, diede il suo assenso alla creazione del canton Giura (1978). E poté farlo perché il sistema contemplava questa via d’uscita. Se invece il quadro istituzionale fosse stato rigido e impermeabile, la situazione sarebbe senza dubbio
sfuggita di mano, con conseguenze incalcolabili per la stabilità intercantonale. Lezione: il buon senso è condizione indispensabile per ricucire le lacerazioni del tessuto nazionale. Tuttavia non è sufficiente. Accanto alla moderazione e alla disponibilità al dialogo occorre disporre di un’architettura giuridica ordinatrice, riconosciuta superiore e imparziale da tutti i contendenti. Nei sistemi democratici il punto di riferimento è la Costituzione repubblicana. Purtroppo i referendum come quelli sopra descritti si sono tenuti non in un clima sereno, ma in atmosfere caliginose, trasudanti paure, sospetti, desideri inconfessati. La democrazia diretta è un bene prezioso ma delicato. Basta poco per trasformarla in un confuso e tumultuoso plebiscito, facile preda di forze occulte.
In&outlet di Aldo Cazzullo I 100 anni di Caporetto I cent’anni della rotta di Caporetto hanno acceso molta emozione in Italia. Gli italiani non hanno il senso dello Stato, ma sono più legati alla patria di quanto pensano di essere; soprattutto se la storia nazionale incrocia quella delle loro famiglie. La Seconda guerra mondiale, e la guerra civile che ne seguì, divide; la Grande Guerra unisce. Sono stato sui luoghi della grande battaglia combattuta tra la fine di ottobre e l’inizio di novembre del 1917, e mi sono reso conto che i fatti sono ancora avvolti nel mistero. Ad esempio, non si è mai capito bene perché i 400 cannoni di Badoglio abbiano taciuto, nell’alba nebbiosa del 24 ottobre. Ora dalla cima del Kolovrat ci si butta con il parapendio. Vista dall’alto, la vallata dove passarono i tedeschi sembra un bersaglio facile. Si è pensato che Badoglio volesse lasciar entrare il nemico nella trappola per colpirlo con comodo. In realtà, i tedeschi intercettavano le sue comunicazioni radio: ovunque il generale si spostasse, veniva indivi-
duato e bersagliato; distrutte le linee telefoniche, sovrastate dal fragore le «trombette bitonali», abbattuti pure i piccioni viaggiatori. La nebbia fece il resto. L’ordine di aprire il fuoco non arrivò mai. Eppure si sapeva tutto. Fin da sabato 20 ottobre, quando un disertore boemo, il tenente Maxim, si è consegnato con notizie dettagliate sull’attacco imminente. L’Isonzo restituisce un cadavere con la divisa dei tedeschi: ci sono anche loro. Lunedì 22 ottobre arriva il re, che viene avvisato: la situazione è drammatica. Vengono fatti saltare i ponti sul fiume. L’editoriale del «Corriere della Sera» annuncia un’offensiva nemica alle porte. Martedì 23 ottobre Cadorna tiene consiglio di guerra, sotto un ippocastano. I suoi generali sono quasi tutti piemontesi come lui: Capello, Badoglio, Bongiovanni, Cavaciocchi, Cavallero (che è ancora colonnello). Si parla dialetto; Caviglia, che è ligure di Finale, si arrangi. Cadorna è disperato: «Mio padre prese Roma,
Cantoni e spigoli di Orazio Martinetti Non si abusi della democrazia diretta Visitando il nostro paese, gli stranieri curiosi giungono spesso a questa conclusione: «voi state assieme perché tutti ricevono qualcosa. Le disparità regionali e sociali continuano a sussistere, ma la disuguaglianza reale, atavica, incancrenita è un’altra cosa». La riflessione non è sbagliata, ma è incompleta. La storia insegna che tale attenuazione delle disparità non è frutto del caso, ma il risultato di un disegno costantemente ritoccato nel corso dei secoli: il federalismo. Federalismo significa parziale autonomia delle singole parti, non sganciata però dalla responsabilità nella gestione dei bilanci. Chi non si attiene alle regole del gioco deve rispondere al potere centrale. Il quale soccorre e indirizza i cantoni economicamente zoppicanti solo se le insufficienze (ritardi, arretratezze, imprevisti) sono giustificate da
contingenze particolari. Il federalismo elvetico si fonda insomma sulla meritocrazia: chi si rifiuta di remare con gli altri finisce in acqua. Tutti gli Stati nazionali portano in corpo spinte centrifughe, veementi o deboli a dipendenza dell’evoluzione dei regimi e dei loro rapporti con le minoranze: gruppi e movimenti che vorrebbero staccarsi dal tronco principale per ragioni storiche, culturallinguistiche, religiose e naturalmente finanziarie e fiscali. Il caso della Catalogna rientra pienamente in questa casistica. Poi c’è la distinzione tra «autonomia» e «indipendenza», chiara nella teoria, volutamente ingarbugliata nella pratica. Il recente referendum consultivo svoltosi in Lombardia e nel Veneto può dirsi esemplare. La proposta in sé non intendeva insidiare il «quadro dell’unità nazionale»,
ma unicamente «richiedere allo Stato l’attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, con le relative risorse». Maggiore autonomia da Roma, dunque, e non indipendenza, come reclamava a suo tempo – anni ’80 del Novecento – la Lega di Umberto Bossi. In realtà le ambizioni sono altre e schiudono scenari imprecisati. Si parte con le risorse mal distribuite e mal utilizzate dall’amministrazione centrale per abbracciare ambiti ben più presenti nella tradizione popolare, temi come l’identità locale, il culto dei dialetti, gli usi e costumi, non importa se radicati nella storia o inventati di sana pianta. La macchina propagandistica attivata per l’occasione non lasciava dubbi, con tanto di enfatico richiamo ai personaggi dei Promessi sposi. Come detto, non c’è paese che sia immune da pulsioni secessioni-
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Cultura e Spettacoli Il caso Gurlitt Il Kunstmuseum di Berna è alle prese con una controversa eredità artistica
L’importanza di raccontare Pubblichiamo la seconda parte del discorso che Margaret Atwood ha recentemente tenuto a Francoforte, dove ha vinto il prestigioso premio della pace
Il ritorno di Caparezza È appena uscito Prisoner 709, album (giustamente) acclamato da pubblico e critica
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Lunga vita a Oscar Wilde All’Elfo Puccini di Milano è in scena fino al 12 novembre Atti osceni, ispirato al grande dandy della storia
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Ritratti di Cavaglieri e Damme Mostre Luigi Crespi al Museo Davia
Bargellini di Bologna Gianluigi Bellei
Il Settecento a Bologna è un periodo di stasi. Pochi gli avvenimenti degni di nota. Si vive più che altro sugli allori dei secoli precedenti. Eugenio Riccòmini nel saggio introduttivo al catalogo della decima Biennale d’arte antica dedicato alla pittura del periodo e all’Accademia Clementina scrive con la sua solita verve: «Non ci sono né grandi eroi, né spericolati esploratori; né sollevazioni di plebi, né azzardati speculatori; non ci sono illustri pensatori in catene; e neppure baldracche di qualche statura». Bologna è l’ultima città di peso nell’Europa continentale con un numero di abitanti che oscilla fra sessantacinquemila e settantamila. Insomma il punto di riferimento di una regione agricola che incontra contadini, artigiani e «dottori». Un intreccio di colto e popolare stigmatizzato dall’uso di intercalare il dialetto all’italiano. Tutto questo si riflette anche nella pittura. Un’unica nota, piccola, ma di grande enfasi. La diatriba sull’Accademia Clementina. O meglio, fra Giampietro Zanotti, autore fra l’altro della Storia dell’Accademia Clementina del 1739, e Giuseppe Maria Crespi, uno dei fondatori. L’Accademia Clementina vede la luce il 2 gennaio 1710 con l’ambizione di raccogliere l’eredità della grande pittura bolognese del Seicento e di elevare i pittori dal rango di artigiani meccanici a quello di intellettuali. Giuseppe Maria Crespi, il più importante artista del periodo, dopo qualche anno se ne va accusando l’Accademia di conservatorismo. Giuseppe Maria Crespi è un personaggio bizzarro, non a caso viene soprannominato lo Spagnolo per via dei suoi abiti, ma non ammette tra l’altro che all’Accademia vengano affiliati personaggi diversi dai «maestri professori» come in effetti avveniva. L’arte per gli accademici, come Zanotti, doveva seguire il «decoro», essere cioè appropriata e «non esibire soggetti o motivi di basso livello». Giuseppe Maria Crespi, al contrario, dipinge soggetti mitologici, pale d’altare, affreschi allegorici, ma anche scene di genere, popolari; mescola il dialetto all’italiano. «Un pensiero giusto da bestia», scrive Zanotti, che alla fine gli dà del matto. A Giuseppe Maria Crespi (16651747) è stata dedicata un’importante esposizione, a cura di Andrea Emiliani e August B. Rave, nel 1990-91 alla Pinacoteca nazionale di Bologna e poi alla Staatsgalerie di Stuttgart e al Puškin
Museum di Mosca. Fino al 3 dicembre la Galleria Davia Bargellini di Bologna affronta per la prima volta l’opera del secondogenito Luigi in una monografica che finalmente rende omaggio a questa figura un po’ bistrattata e dimenticata. Luigi Crespi (1708-1779) inizia la sua carriera nello studio del padre del quale segue le orme. Le prime opere sono eseguite a quattro mani, tanto che, a volte, ne risulta difficile l’attribuzione all’uno piuttosto che all’altro. È un personaggio poliedrico. Nel 1748 diventa canonico di Santa Maria Maggiore e nel 1750 è nominato cappellano segreto di Benedetto XIV – cioè papa Lambertini, lo stesso al quale Giuseppe Maria dedica un ritratto. Ma è famoso come letterato. Più precisamente per la continuazione della Felsina Pittrice di Carlo Cesare Malvasia del 1678, una sorta di Bibbia sugli artisti bolognesi, scritta sulla scia delle Vite del Vasari. Il terzo tomo della Felsina Pittrice intitolato Vite de’ Pittori bolognesi, di Luigi viene pubblicato a Roma da Marco Pagliarini nel 1769, e non a Bologna, per via degli attacchi all’Accademia Clementina e al suo segretario. Sempre lo Zanotti. Ma, come detto, Luigi è soprattutto un pittore. Marcello Oretti nelle Notizie dei Professori di disegno, cioè dei Pittori, scultori, ed Architetti bolognesi e dei forestieri di quella scuola del 1782 scrive: «Ebbe un particolare dono di ritrarre le fisionomie degli uomini, e ne fece una serie di Ritratti di Cavaglieri, e Damme, copiò assai bene le opere dei migliori Maestri e dei quadri del Padre… appari la sua maniera quali ornavano le prime Gallerie d’Italia e d’Europa». Di lui si conoscono tre autoritratti. Il primo giovanile del 1724-25 e gli altri due della maturità; nell’ultimo, datato 1776, donato all’Accademia di Venezia in occasione della nomina ad accademico onorario, si vedono chiaramente i volumi della sua Felsina, come in quello del 1772. Anche qui si presenta nella duplice veste di scrittore e pittore. Un viso sorridente, con gli occhi languidi e le lunghe mani affusolate. Con quella sinistra impugna la tavolozza e i pennelli e con quella destra una penna. In primo piano il volume delle Vite de’ Pittori bolognesi. Dopo la morte di Giuseppe Maria nel 1748, Luigi prende una strada propria e, come annota Silvia Evangelisti, descrive con «molta finezza e acutezza» la borghesia e la piccola nobiltà del tempo. Tipico esempio il bellissimo Ritratto di una giovane dama con cagnolino del 1755 che raffi-
Luigi Crespi, Ritratto di una giovane dama con cagnolino, 1755 ca. (Bologna, Museo Davia Bargellini)
gura una donna della famiglia Bargellini. Il dipinto, attribuito prima a Giuseppe Maria e in seguito a Luigi, mostra una leggerezza e una fine accuratezza dei particolari, tra fiori, pizzi e pellicce. Il cagnolino, poi, ha gli stessi occhi della dama. Dipinto a quattro mani con il padre è invece il Ritratto di un architetto, sicuramente Giuseppe Calzolari, còlto in un momento di meditazione con sul tavolo la riga e il compasso. Uno dei ritratti maggiormente intriganti è quello del conte Ferdinando Gini, giovanissimo, fresco di nobiltà. Il dipinto del 1759 è eseguito dopo l’ammissione del conte all’Accademia degli Argonauti. I suoi membri devono essere «i più abili, i più valenti, i più accreditati nelle Scienze, nelle Belle Lettere, nelle Arti cavalleresche, tra gli allievi del collegio dei nobili». Il quadro è pulito, accuratissimo e il giovane appare fiero e sicuro di sé con il suo fioretto affilato, il flauto e la marsina decorata. La mostra bolognese presenta una ventina di opere: dal Ritratto del cardinale Prospero Lambertini di Giuseppe
Maria fino alla Pietà, dipinta a quattro mani dal padre e dal figlio, passando per il Nudo maschile disteso di Ercole Lelli; una terracotta della fine degli anni venti del Settecento. Ma questa è un’altra storia. La mostra si dipana all’interno del museo fra ventagli, orologi, bauli, cassepanche, presepi, ex voto, piatti, bastoni, aratri, chiavi, selle, mantici, campanacci, serrature, biciclette, maniglie… I dipinti conservati nel museo si trovano al loro posto appesi al muro, mentre quelli provenienti da fuori su basamenti grigio chiaro. Bella, piccola esposizione, con un unico limite: la provenienza tutta bolognese delle opere dettata sicuramente dal budget ridottissimo a disposizione dei curatori. Tremila euro. Menzione particolare per il catalogo. Premesso che si tratta della prima pubblicazione dedicata interamente a Luigi Crespi, è da notare che, a mia memoria, è anche la prima nella quale si trova un saggio che stronca l’artista in oggetto. Giovanna Perini Folesani, che si prende tutta
la responsabilità, descrive Luigi come «un mercante disinvolto e spregiudicato», un «millantatore a tutto tondo». Comunque «pratica artistica, attività mercantile, abito talare, esibizione di onorificenze e diplomi veri o fasulli sono tutte manifestazioni di un’unica, prepotente ambizione, di un’inesausta volontà di autoaffermazione». In più è anche autore di una storiografia abborracciata e per finire un artista di mediocre talento. Quando si dice l’onestà intellettuale! Catalogo tutto da leggere; e da collezionare. Dove e quando
Luigi Crespi ritrattista nell’età di papa Lambertini. Bologna, Museo civico d’arte industriale e Galleria Davia Bargellini. A cura di Mark Gregory D’Apuzzo e Irene Graziani. Orari: ma-sa 9.00-14.00, do e festivi 9.0013.00, lunedì chiuso. Entrata libera. Catalogo Silvana editoriale, euro 20. Fino al 3 dicembre. www.museibologna.it/arteantica
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Cultura e Spettacoli
L’enigma della collezione Gurlitt Arte La collezione ha esteso la consapevolezza in Svizzera sull’arte trafugata
Emanuela Burgazzoli Un favoloso tesoro di capolavori: così era stata definita la collezione di oltre 1500 opere d’arte ritrovate in un appartamento a Monaco, nel febbraio 2012, e in parte in una successiva perquisizione di un appartamento a Salisburgo due anni dopo. Fra queste in effetti figuravano opere firmate da maestri dell’arte moderna come Chagall, Matisse, Kirchner, Kandinsky, Picasso, che Cornelius Gurlitt aveva ereditato nel 1956, dopo la morte del padre Hildebrand. Non un nome qualunque, ma quello di Hildebrand Gurlitt, noto anche come «il mercante d’arte di Hitler». Figura controversa, se si pensa che il suo ruolo di difensore e promotore dell’arte moderna in qualità di direttore di museo e di presidente dell’associazione delle belle arti gli era costato per ben due volte il posto di lavoro, dapprima a Zwickau e poi ad Amburgo; eppure a un certo punto lo si ritrova a collaborare per il regime nazionalsocialista: su incarico del ministro della propaganda Goebbels, Hildebrand Gurlitt fu autorizzato a vendere opere d’arte confiscate nei musei tedeschi all’estero, ma anche a comprarle sottocosto, dopo essere state sottratte a famiglie di ebrei. Una collezione di quadri, ma soprattutto di opere su carta, che il figlio Cornelius, di formazione restauratore, ha conservato nel suo appartamento per oltre mezzo secolo. Fino al giorno in cui è stato fermato su un treno e trovato in possesso di una elevata somma di denaro: a quel punto ulteriori verifiche da parte delle autorità portano alla clamorosa scoperta. Ma i colpi di scena non finiscono qui. Gurlitt si sente perseguitato e trattato ingiustamente dallo Stato tedesco; teme per la sua collezione e alla sua morte, nel maggio del 2014, il testamento rivela la volontà di lasciare in eredità l’intera collezione al Kunstmuseum di Berna. Ma perché Berna? Se lo sono chiesti in molti. A questa domanda ha tentato di fornire una risposta uno dei
Liegender weiblicher Akt di Otto Müller è stata la prima opera a giungere a Berna lo scorso luglio. (Keystone)
numerosi libri dedicati al «caso Gurlitt»: Der Gurlitt-Komplex, autori tre giornalisti, che hanno ricostruito una rete di relazioni fra il collezionista tedesco e la Svizzera, trovando le prove di una lunga relazione commerciale fra Cornelius Gurlitt e il gallerista e mercante d’arte bernese Eberhard Kornfeld (fitta corrispondenza), che per trent’anni ha venduto le sue opere per sopravvivere (ricavando 1,3 milioni di franchi sulla vendita di 19 opere), ma anche con il suo concorrente, il mercante d’arte Roman Norbert Ketterer, titolare di una galleria d’arte a Campione d’Italia per molti anni. Le uniche deviazioni del solitario e riservato Cornelius Gurlitt, che conduceva la sua vita facendo il pendolare fra Monaco e Salisburgo, erano i suoi viaggi in Svizzera, a Zurigo, ma soprattutto a Berna, dove uno zio era professore universitario di storia dell’arte. Ci sono tracce anche di una visita di
Kornfeld e Gurlitt al Kunstmuseum di Berna alla fine degli anni Ottanta. Tutti indizi che fanno apparire la capitale elvetica come la soluzione più ovvia per il collezionista tedesco. Sullo sfondo si delinea un mercato dell’arte improntato alla discrezione più assoluta e piuttosto disinvolto rispetto alla provenienza delle opere d’arte, almeno fino agli anni Novanta. Le volontà testamentarie di Gurlitt mettono il museo di Berna in una posizione non facile: non soltanto per la battaglia giuridica intentata al Kunstmuseum dai famigliari che contestano il testamento di Cornelius, ma anche perché su molte di queste opere pesano i sospetti di essere state rubate. Berna accetta la donazione, raggiungendo un accordo con le autorità tedesche e lo Stato della Baviera che potrebbe diventare un modello in futuro: una decisione salomonica, è stata definita, prevede che in Svizzera giungano
soltanto le opere non incriminate. Fra queste molte opere classificate all’epoca come «arte degenerata», sottratte ai musei tedeschi, in particolare a partire dal 1937, data della grande mostra di Monaco. Mentre in Germania resteranno tutte le altre opere, trafugate o sulle quali s’ipotizza la spoliazione. A cinque anni dal ritrovamento le ricerche sulla provenienza incontrano ancora difficoltà: solo per una decina di opere si è confermato il «bollino rosso», qualcuna è già stata restituita ai legittimi proprietari, come per esempio il dipinto Inneres einer gotischen Kirche di Adolph von Menzel o La femme assise di Henri Matisse, reso ai discendenti del mercante d’arte Paul Rosenberg. Ma dopo le battaglie nei tribunali, ora la parola va agli storici dell’arte. L’attenzione mediatica e le aspettative del pubblico sono altissime. Qual è il valore artistico di questa collezione? Il primo lotto di circa 220 opere arrivate
a Berna – per lo più su carta – conferma una collezione forse non di capolavori, ma certamente di grande qualità, ha spiegato la direttrice del museo Nina Zimmer. Da luglio l’équipe di restauratori, conservatori e ricercatori lavorano a stretto contatto e senza sosta per preparare la mostra che si inaugura il 2 novembre. Il tempo stringe e le informazioni da raccogliere sono molte. Senza contare i danni che hanno subito carte e dipinti rinchiusi per decenni in un appartamento: nelle sale espositive adibite eccezionalmente ad atelier di restauro, le opere d’arte dopo un periodo di quarantena passano sotto la lente dei restauratori, che lavorano dietro grandi vetrate. Sono state persino organizzate visite guidate per il pubblico nei laboratori. Si capisce subito che la parola d’ordine al Kunstmuseum di Berna è trasparenza: come ha assicurato la direttrice Nina Zimmer «non ci sono segreti, faremo le cose insieme al pubblico». Se nell’esposizione parallela allestita alla Bundeskunsthalle di Bonn (visibile a Berna in primavera), i curatori metteranno l’accento sulle opere che meglio raccontano i destini dei loro proprietari, perseguitati dallo Stato nazista, mentre a Berna si punterà sull’arte degenerata. Il caso Gurlitt, non c’è dubbio, ha portato il dibattito sull’etica dei musei a un livello superiore: non è più sufficiente dire che esistono delle lacune, ora è doveroso approfondirle e possibilmente colmarle. Nei musei svizzeri regna una nuova consapevolezza: molti, anche grazie agli aiuti stanziati dalla Confederazione, hanno promosso progetti di ricerca sulla provenienza, dal Museo Rietberg a Zurigo, passando da Kunstmuseum di Lucerna, a Losanna e Ginevra. Progetti che vertono sulle collezioni permanenti, in particolare sulle acquisizioni degli anni Trenta e Quaranta. Ma forse, in alcuni casi non sarà mai possibile avere tutte le risposte, una realtà con la quale ogni istituzione pubblica dovrà d’ora in poi fare i conti, in gioco ci sono reputazione e credibilità.
L’energia del metallo Mostre Al Ristorante Galleria Arté di Lugano le opere di Markus Graf Alessia Brughera «Tutti noi architetti, scultori, pittori dobbiamo rivolgerci al mestiere. L’arte non è una professione, non v’è differenza essenziale tra l’artista e l’artigiano. In rari momenti l’ispirazione e la grazia dal cielo, che sfuggono al controllo della volontà, possono far sì che il lavoro possa sbocciare nell’arte, ma la perfezione nel mestiere è sostanziale per ogni artista. Essa è una fonte di immaginazione creativa», così scriveva Walter Gropius nel manifesto programmatico del Bauhaus. Ci sono artisti per cui ancora oggi, nell’era ipertecnologica, la dimensione
artigianale è qualcosa di irrinunciabile. Markus Graf, nato a Winterthur nel 1962, è uno di questi. Ama definirsi fabbro, Graf, prima ancora che artista, proprio perché la sua è una pratica fondata sull’utilizzo di strumenti capaci di preservare l’impronta umana. L’incudine e gli utensili che lui stesso realizza, quelli che l’uomo forgia da centinaia e centinaia di anni, legano il suo operato alla tradizione, al mestiere vero e proprio inteso come attività manuale appresa con tenacia e quotidianamente migliorata con l’esercizio. La scuola della bottega, la conoscenza dei materiali e la perizia di metodo sono per Graf il fondamento su cui
Markus Graf, Gezeiten, acciaio.
costruire il proprio mondo espressivo e i mezzi necessari alla ricerca di un intimo linguaggio che possa rispecchiare la propria originale visione delle cose. I riverberi, i fumi e gli odori d’officina, la gestualità paziente e accurata sono entrati a configurare l’immaginario elementare ma potente dell’artista svizzero in cui convivono la forza dell’aver saputo custodire e sviluppare un’abilità artigiana dalle radici profonde e la sensibilità nel servirsi di quella tecnica per traslare nel metallo un pensiero attuale. Il dialogo tra l’idea che prende vita e il gesto sapiente che la concretizza è frutto di una creatività che sa trasferirsi con naturalezza dall’intuizione alla mano, sospinta dalla volontà di esplorare la relazione tra materia e spazio. L’essenzialità formale delle sculture di Graf nasce proprio dal bisogno di andare direttamente alla fonte di questo rapporto, come se la semplicità dei volumi possa racchiuderlo al meglio. Le opere di Graf raccolte nella mostra allestita al Ristorante Galleria Arté del Grand Hotel Villa Castagnola, a Lugano Cassarate, testimoniano uno stile elementare in cui si ritrovano, per morfologia e ispirazione, riferimenti a scultori che come lui hanno optato per un approccio solido e lineare alla lavorazione del materiale. Allo stesso
tempo, però, quella che documentano è anche una traiettoria autonoma, che bada poco alle tendenze e alle parole d’ordine e che sa rielaborare gli stimoli ricevuti per approdare a una sintesi personale. Graf mira alla riduzione delle forme, spogliate di ogni orpello, per giungere a un’austerità compositiva prodotta da superfici e masse geometriche primarie e dal semplice incontro di piani, eppure i suoi metalli flessi con estrema precisione appaiono dinamici, pieni di energia. Spesso non hanno fronte o lati e non prevedono alcun punto di vista privilegiato, realizzati come sono per interagire e fondersi con lo spazio circostante. I lavori di Graf partono da strutture piene, solitamente squadrate, per poi essere piegati in volumi curvi e attraversati da tagli e fenditure che conferiscono loro una tensione interna. Evidente è la volontà di rottura con la forma chiusa in se stessa a favore di una scultura che sa accogliere il movimento nella stabilità della materia. Sono minimi gli interventi che l’artista applica ai suoi acciai, poche e calibrate azioni che sanno creare libere torsioni dei corpi come superamento della stasi e nette aperture come varchi fisici e mentali. Le opere esposte a Lugano sono tutte di medio e piccolo formato, anche se
Graf lavora spesso con le grandi dimensioni, come documentano le sue sculture all’aperto presenti in diverse località della Germania e della Svizzera. Tra i pezzi luganesi troviamo lo slanciato Lose Verbindung animato dall’intersecarsi di più piani, alcuni esemplari della serie Faro in cui l’elegante verticalità viene acuita dall’alternarsi di pieni e vuoti, le fluide Barca che paiono fendere lo spazio, gli articolati e armoniosi Mäander, i fieri Portal percorsi da fessure e pertugi che sembrano un invito a penetrare la materia, fino ad arrivare ai vivaci Gezeiten, ai sinuosi e avvolgenti profili delle sculture intitolate Welle e alle lucide rotondità dei Drehscheibe. L’universo creativo di Graf si avvale così di un gamma formale semplice con cui però riesce ad approdare a una molteplicità di soluzioni originali, coniugando rigore e libertà con la forza di chi crede nei valori tradizionali della tecnica. Dove e quando
Markus Graf. Ristorante Galleria Arté al Lago del Grand Hotel Villa Castagnola, Lugano-Cassarate. Fino al 25 novembre 2017. Tel. 091 973 48 00. www.villacastagnola.com/galleria_arte
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Cultura e Spettacoli
In un mondo in cui si vede diversamente Incontri Lo scrittore tedesco Andreas Pflüger racconta
il suo Nero Assoluto
Blanche Greco «Un buon romanzo nasce dall’abilità di “mettere sulla carta” il film che hai in mente. Di mestiere faccio lo sceneggiatore: mi pagano per creare nella mia testa dei film che qualcun altro realizzerà. Questa volta col mio libro, ho fatto tutto io». E ne è uscito un successo editoriale che sta portando Andreas Pflüger, l’autore di Nero Assoluto, bestseller in Germania appena distribuito in Italia da Emons Edizioni, sino ad Hollywood. Infatti, quando lo abbiamo intervistato a Roma, Pflüger, ospite del Festival delle Letterature (e di KRIMI – Festival del Giallo Tedesco organizzato al cinema Nuovo Sacher di Nanni Moretti), stava valutando varie proposte per la trasposizione cinematografica del suo libro, in uscita a fine novembre in Inghilterra e all’inizio del 2018 negli USA, dove gli Studio si sono già fatti avanti. Tutto merito del film che aveva in mente: una protagonista cieca, che, come un antico samurai, segue le leggi del Bushidō, per non temere la morte e uccidere colui che l’ha accecata e che ora la cerca con ferocia per finirla. La giovane detective Jenny Aaron è al centro di una trama barocca che sembra uscita da un antico «manga» e che invece è ambientata al giorno d’oggi tra Barcellona, Berlino, Mosca e altre cento
città in cui prospera la criminalità internazionale. Una vicenda che si svolge in trentadue ore, una scarica di adrenalina pura: «Sono un appassionato di armi e di arti marziali». – ci ha confessato Andreas Pflüger – «amo quei film in cui mi sento sopraffatto dalla rapidità dei movimenti dei protagonisti e dalla scia di emozioni che sprizzano da un incontro, e ho voluto mettere queste sensazioni in una storia dove le arti marziali fanno parte dell’azione che sembra non fermarsi mai e trascina il lettore, senza che possa riprendere fiato, verso il finale». Pflüger, sessant’anni, uno degli sceneggiatori più richiesti del cinema tedesco, che ha lavorato con Volker Schlöndorff (Il nono giorno, Strajk – Die Heldin von Danzig), ed è l’autore di molti episodi della nota serie televisiva cult Tatort; per scrivere Nero Assoluto, si è impegnato in una lunga e complicata ricerca per rendere reale Jenny Aaron e autentica la sua cecità: «Prima d’iniziare a scrivere ho letto molti libri; incontrato medici e psichiatri; esperti dei vari tipi di cecità; “mobility coaches”, persone che insegnano ai non vedenti come sfruttare gli altri sensi per muoversi e camminare in sicurezza; o anche piccoli trucchi che li aiutino a “vedere gli ostacoli”, ma tutto questo sarebbe stato insufficiente senza le lunghe chiacchierate con persone non vedenti.
Da loro ho appreso emozioni, stati d’animo, paure e fantasie , e così ho potuto raccontare la storia dal punto di vista di Jenny, che non vede il mondo come noi, e per la quale ho dovuto elaborare una “descrizione del mondo”, per me completamente nuova. È stato un lungo viaggio in un “paese sconosciuto” e affascinante, scrivere il libro è stato indubbiamente più veloce», ci ha raccontato ridendo Andres Pflüger prima di una delle sue affollate presentazioni, «ma ne è valsa la pena, i miei lettori non vedenti sono moltissimi. A una conferenza una signora, cieca dalla nascita, mi ha fatto un grande complimento dicendomi di aver pensato che quel libro fosse stato scritto per lei, perché non c’erano descrizioni di paesaggi, di persone, o di appartamenti, bensì un altro modo di “vedere”, facile da capire per lei, poiché era simile al suo». Jenny Aaron ha ancora memoria dei luoghi e delle persone che ha conosciuto in passato, immagini che però a poco a poco sbiadiscono nella sua mente, sostituite da suoni, odori, riflessioni, che fanno parte della sua vita attuale e le permettono di condurre un’esistenza quasi normale, senza sentirsi «una vittima». Adesso non porta più scarpe basse, ha sostituito le ballerine con scarpe dai tacchi a stiletto, che grazie al loro rumore secco e all’eco che creano a ogni passo, le segnalano gli ostacoli e le
Sceneggiatore e scrittore di successo: Andreas Pflüger. (andreaspflueger.de)
persone sul suo cammino. Quante cose possono trapelare dalla voce di una persona? Jenny ha imparato ad ascoltare i suoi interlocutori, a concentrarsi su toni, inflessioni, esitazioni, sulle sfumature che fanno la differenza tra la menzogna e la verità, l’amore vero e l’illusione, la vita e la morte. Come ci svela Andreas Pflüger: «È una storia che parla di sensi di colpa, di vergogna, di amore e di amicizia, e avrebbe potuto anche essere una commedia sentimentale, o un romanzo storico, invece è un thriller, ma il genere è stata una scelta casuale, anche se è il primo che io abbia mai scritto e forse ciò lo rende speciale». La scrittura di Pflüger, è intrisa d’immagini cinematografiche che ne evocano altre, arricchendo ogni scena e ogni azione. Diventiamo così complici dell’autore nella creazione di un universo che noi stessi abitiamo, grazie ai tanti film e alle serie poliziesche della nostra vita. «È ciò che chiamo “cinema mentale”, un immaginario sterminato e condiviso, per cui basta creare un’atmosfera che questa si popola di elementi diversi, a seconda di
chi legge. Meraviglioso! Invece quando scrivi le scene d’azione, devi temere la sapienza di chi ti legge e devi studiare a lungo la sequenza dei movimenti dei tuoi protagonisti», ci spiega Andreas Pflüger, spettatore assiduo di saggi di ginnastica, di incontri di boxe, o di kick-boxing. «Descrivere una scena di lotta, dove i due contendenti alternano l’uso delle armi a quello delle arti marziali, richiede delle conoscenze specifiche, anche in medicina e anatomia, perché il lettore deve capire cosa sta succedendo, quale colpo è possibile ed efficace e perché, e quale non lo è. Ma la cosa più complicata di una scena d’azione, riguarda la velocità: chi è coinvolto in prima persona, ha la percezione che ciò che accade si stia svolgendo a rallentatore; chi guarda ha invece l’impressione che tutto sia successo in un attimo. Saper raccontare entrambe queste percezioni, e far sentire il lettore protagonista e spettatore insieme della scena d’azione, è la vera scommessa di un romanzo come questo». Scommessa vinta. Jenny Aaron sarà al centro di una trilogia e il secondo libro è già pronto. Annuncio pubblicitario
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Cultura e Spettacoli
I tre lati di una storia
Discorsi – 2a parte Pubblichiamo la seconda parte del discorso
pronunciato dalla scrittrice canadese Margaret Atwood in occasione del conferimento del Friedenspreis des Deutschen Buchhandels
Margaret Atwood Anche le storie possono avere un lato buono e uno cattivo, e un terzo che produce effetti inaspettati. In qualità di scrittrice di storie, ho la responsabilità di dire quanto le storie siano necessarie, quanto ci aiutino nella comprensione reciproca, come creino empatia. Ma dal momento che scrivo storie, sono anche consapevole della loro ambiguità e dei loro pericoli. Limitiamoci ad affermare che le storie sono potenti. Possono cambiare il pensiero e il sentimento della gente – in meglio o in peggio. Com’è dunque la storia che ci raccontiamo sul momento presente e le sue tribolazioni? Qualunque siano le cause del cambiamento che stiamo attraversando, siamo in uno di quei momenti in cui i conigli tendono le orecchie perché è entrato in scena un cacciatore. Arriverà un lupo travestito da agnello, oppure perfino un lupo travestito da lupo, e quel lupo dirà: conigli, avete bisogno di un leader forte, e io faccio al caso vostro. Come per magia farò apparire un mondo futuro perfetto, e i gelati cresceranno sugli alberi. Per prima cosa però dobbiamo abolire la società civile – è troppo molle e degenerata – e dovremo rinunciare alle norme comportamentali fin qui accettate, grazie alle quali possiamo camminare per strada senza accoltellarci di continuo. E poi dovremo eliminare tutta questa gente. Solo a quel punto apparirà una società perfetta! Il lupo dice: fate ciò che dico e tutto andrà bene. Se vi opponete ringhierò, vi papperò e finirete a pezzettini. I conigli si impietriscono perché sono confusi e terrorizzati, e quando infine capiscono che il lupo non vuole il loro bene, ma ha organizzato tutto a beneficio dei lupi, è troppo tardi. Sì, lo sappiamo, direte. Abbiamo letto le fiabe. Abbiamo letto la fantascienza. Siamo stati messi in guardia, spesso. Ma da qualche parte tutto questo non impedisce che la storia continui a ripetersi nella società degli uomini. A questo punto mi devo scusare con i lupi. Cari lupi, ho utilizzato il vostro nome solamente come metafora. Per favore, non aggreditemi sui social con messaggi del tipo: Essere umano privilegiato e idiota! Che ne sai tu della vita interiore dei lupi, sei mai finita con la zampa in una tagliola? Il punto è chiaro. Sono consapevole che voi lupi in fondo siete gentili, perlomeno con gli altri lupi, o perlomeno con quelli della vostra stirpe. Questa piccola fiaba proviene dal mio passato più profondo, da un’epoca in cui ero una bambina e crescevo nelle lande selvagge del nord del Canada, lontana dai villaggi, dalle cittadine e dalle città, ma assai vicina a conigli e lupi. Lassù, quando pioveva, c’erano tre forme di attività: scrivere, disegnare e
leggere. Tra i libri che leggevo vi era la raccolta delle Fiabe di Grimm, in versione integrale, con tanto di occhi cavati e fiammanti scarpette rosse. I miei genitori l’avevano ordinata per posta, e quando videro cosa conteneva, si preoccuparono che potesse rovinare i loro figli. E nel mio caso probabilmente è stato così. Il libro deve avermi traviato nel senso di avermi spinta a diventare una scrittrice, poiché senza le Fiabe dei Grimm – così intelligenti, complesse, spaventose, così stratificate, ma con una nota di speranza, tanto più struggente proprio perché improbabile – come avrei mai potuto scrivere Il racconto dell’ancella? Cominciai a scrivere il romanzo a Berlino Ovest nel 1984 – sì, George Orwell mi seguiva da sopra la spalla – su una macchina da scrivere tedesca presa a noleggio. Il Muro era tutt’intorno a noi. Dall’altra parte c’erano Berlino Est, ma anche la Cecoslovacchia e la Polonia, Paesi che allora visitai. Ricordo ancora ciò che diceva la gente e ciò che non diceva. Ricordo le pause piene di significato. Ricordo la sensazione di dovere fare attenzione io stessa a quello che dicevo, poiché potevo involontariamente mettere in pericolo qualcuno. Tutto ciò ha trovato posto nel mio libro. Il libro fu pubblicato nel 1985 in Canada, nel 1986 in Gran Bretagna e negli Stati Uniti. Sebbene come regola mi fossi imposta di non mettere nel libro neanche la minima cosa che gli esseri umani non avessero già fatto in qualche luogo in qualche momento, parte della critica accolse il libro con un certo scetticismo. Sì, era troppo femminista, con tutti quei discorsi del controllo sulle donne e dei loro corpi, ma anche troppo forzato. Negli Stati Uniti una cosa del genere era impensabile, in fondo durante la Guerra Fredda, gli USA non erano forse visti come una forza buona? Non rappresentavano democrazia e libertà, per quanto imperfette? Al contrario dei sistemi chiusi come quello dell’Unione Sovietica, l’America era aperta. Al contrario dei regimi tirannici, l’America prometteva opportunità infinite basate sulla meritocrazia. Sebbene l’America dovesse ancora elaborare alcuni capitoli oscuri della propria storia, quelli non erano forse ideali? Sì. Lo erano. Ma questo avveniva allora. Ora, più di trent’anni più tardi, il libro è ritornato di attualità, perché all’improvviso non sembra più una fantasia distopica tirata per i capelli. Ora è diventato fin troppo reale. In questi giorni nei parlamenti appaiono figure vestite di rosso, desiderose di protestare silenziosamente contro leggi create per lo più da uomini per controllare le donne. Apparentemente il loro scopo è quello di tirare indietro le lancette dell’orologio, riportandole all’Otto-
Margaret Atwood lo scorso 15 ottobre a Francoforte. (Keystone)
cento. In quale mondo vogliono vivere questi legislatori? In un mondo pieno di diseguaglianze, questo è chiaro. Un mondo pieno di diseguaglianze in cui loro saranno ancora più potenti e molta gente ancora meno. Ma non vi voglio deprimere troppo. C’è speranza, c’è speranza: menti brillanti sono già all’opera per risolvere questi problemi. Ma nel frattempo cosa deve fare l’artista? A che pro fare arte in un’epoca tanto tormentata? E poi, cosa è l’arte? Perché dovremmo occuparcene? A cosa serve? Non esiste una risposta generale. Per molti secoli l’arte fu al servizio dei governanti – re, imperatori, papi eccetera. Ma dall’epoca romantica e postromantica nei confronti dell’artista le aspettative sono cambiate. Di sicuro ci si aspetta che l’artista dica la verità davanti al potenti, che racconti le storie che sono state soppresse, che dia voce ai senza voce. E molti scrittori l’hanno fatto; spesso finendo nei guai e a volte pagando con la vita. Eppure sentivano il bisogno di creare. Hanno scritto in segreto, hanno contrabbandato i loro manoscritti mettendoli in salvo dai pericoli, rischiando la propria vita. Sono venuti da lontano, esausti come il messaggero del Libro di Giobbe, solamente per dire: Io solo sono potuto scampare per venirtelo a dire. Per venirtelo a dire. Per venirtelo a dire, Caro Lettore, singolarmente. Un libro è una voce nel tuo orecchio; il messaggio – mentre lo leggi – è solamente per te. La lettura di un libro è sicuramente l’esperienza più intima che possiamo avere nella testa di un altro essere umano. Scrittore, libro e lettore – in questo triangolo il libro è un messaggero. E tutti e tre sono parte di un unico atto creativo, come il compositore, il suonatore della sinfonia e l’ascoltatore partecipano tutti e tre. Il lettore è il musicista del libro. Per quanto riguarda lo scrittore, la sua parte è compiuta quando il libro esce verso il mondo; sarà poi il libro a vivere o a morire, quello che accade allo scrittore a quel punto è immateriale dal punto di vista del libro. Ogni vincitore nel mondo delle arti è il rappresentante provvisorio di tutti gli artigiani di quell’arte, e della comunità che permette all’arte di esistere – coloro che se ne sono andati prima, coloro da cui noi stessi abbiamo imparato, quelli che sono morti prima di venire riconosciuti, quelli che hanno dovuto lottare contro la discriminazione razziale per trovare la propria voce narrante, coloro che sono stati uccisi per le loro posizioni politiche, e coloro che sono riusciti a sopravvivere a periodi di oppressione e censura. E poi vi sono tutti quelli che non sono riusciti a diventare scrittori perché non ne hanno avuto la possibilità – come ad esempio i numerosi narratori e poeti appartenenti alle culture indigene passate e presenti del Nord America, dell’Australia e della Nuova Zelanda. Le porte per queste voci si stanno aprendo in tutto il mondo; ma altre porte vengono chiuse. Dobbiamo stare attenti. Non permettiamo che le porte vengano chiuse o le voci messe a tacere. Un giorno camminerò lungo una spiaggia, o entrerò in una libreria, e troverò una bottiglia, o un libro, li aprirò, e leggerò il messaggio che mi hai rivolto – sì, da parte tua, da te che sei là fuori, giovane scrittore magari appena pubblicato. E dirò: sì. Riesco a sentirti. Riesco a sentire la tua storia. Riesco a sentire la tua voce. Il testo (qui riportato in versione ridotta) è stato tradotto dall’inglese da Simona Sala).
Quei film che sono come autobus Letteratura e cinema Dal libro al cinema
il passo è breve, ma non sempre facile
Ian McEwan è un indiscusso maestro della letteratura contemporanea. (Keystone)
Mariarosa Mancuso I film tratti da Ian McEwan sono come gli autobus, scrive il «Times». Dieci anni senza vederne uno, poi ne arrivano tre insieme. In effetti, era da Espiazione di Joe Wright (con Keira Kightley in un abito da sera smeraldo mai più dimenticato) che le storie di Ian Macabre erano trascurate dai registi. Prima ci aveva provato Harold Pinter, il commediografo delle pause, sceneggiando Cortesie per gli ospiti: purtroppo al cinema i silenzi non hanno il valore aggiunto che il premio Nobel è convinto abbiano in teatro. E c’era stato Il giardino di cemento di Andrew Birkin, da uno dei racconti più cupi dello scrittore.
Oltre ad alcune trasposizioni delle opere di Ian McEwan, è ritornata anche Agatha Christie Non ci avevamo neanche fatto troppo caso, per nove anni almeno. Poi è arrivato il magnifico romanzo Nel guscio – un amletino ancora nella pancia della mamma che sa già parecchie cose sul mondo e sui tradimenti, e spiffera ogni cosa. Subito abbiamo pregato: speriamo che a nessun regista venga mai in mente di ricavarne un film, abbiamo già la serie Senti chi parla – con la voce americana di Bruce Willis e la voce italiana di Paolo Villaggio. Non serve una versione intellettuale del neonato parlante. I registi innamorati dello scrittore hanno scelto altri titoli, più saggiamente. Lo scorso settembre sulla BBC è andato in onda The Child in Time, ovvero Bambini nel tempo. Il prossimo anno nei cinema usciranno On Chesil Beach – titolo italiano Chesil Beach, Einaudi come tutti i romanzi dello scrittore. E The Children Act, titolo italiano La ballata di Adam Henry. Nel guscio dovrebbe starsene tranquillo sullo scaffale fino al prossimo gruppo di autobus. Per Bambini nel tempo – la tragica storia di un padre che perde di vista la figlia per un attimo al supermercato, e non la ritrova più – il regista Julian Farino ha scelto Benedict Cumberbatch e Kelly MacDonald. Lui è diventato famoso nei panni di un moderno Sherlock Holmes. Lei deve tutto a Trainspotting di Danny Boyle: trascorre una notte di sesso scatenato con Mark Renton, la mattina dopo esce di casa con la divisa scolastica, un saluto ai genitori
che fanno colazione e sembrano non aver notato nulla di strano. Come genitori straziati, rendono l’idea. «A lyrical and rapturous film», scrive «Variety» di Chesil Beach. Lo dirige Doug Biro (non abbiamo capito se lontano parente della penna a sfera, brevettata dall’inventore ungherese László Bíró). Racconta un infernale viaggio di nozze, la sposina è Saoirse Ronan, ora molto applaudita anche per il suo ruolo in Lady Bird di Greta Gerwig, reginetta del cinema indipendente USA. La sposina è imbranata, il marito peggio, siamo alla vigilia dell’annus mirabilis così immortalato nella poesia di Philip Larkin: «La vita sessuale è cominciata nel millenovecentosessantatré / (che era già piuttosto tardi per me) / tra la fine del bando a Lady Chatterley / e i Beatles con il primo trentatré». La generazione cresciuta con you porn stenterà a crederlo, ma Ian McEwan racconta un dramma vero. Accompagnato da un rimuginare difficilissimo da rendere sullo schermo. Stanley Tucci e Emma Thompson sono gli attori di La ballata di Adam Henry, scelti dal regista Richard Eyre, negli anni 90 direttore artistico del Royal National Theater. Al cinema ha diretto Iris: la vita e soprattutto l’Alzheimer della romanziera Iris Murdoch, con Judy Dench. E Diario di uno scandalo, tratto da un romanzo di Zoe Heller, con Cate Blanchett: la torbida vicenda di un’insegnante che va a letto con un suo studente, e la perfidia di una collega-amica che la rovinerà. Ottimi allenamenti per avventurarsi nel mondo di McEwan. Più stupore desta l’altra linea di autobus che non passava da un po’, e invece ora ne arrivano un paio. Due film tratti da romanzi di Agatha Christie, che credevamo spazzata via dalla moda dei serial killer. Vedere, per credere, su Netflix, la serie Mindhunter: ricostruisce i primi tentativi di profiling criminale, negli anni 70 (qualche episodio è diretto dallo specialista in materia David Fincher). Mistero a Crooked House, diretto da Gilles Paquet-Brenner, è esattamente come previsto. Ricco cast multigenerazionale – da Glenn Close a Gemma Arterton, da Christina Hendrick di Mad Men a Gillian Anderson di X-Files, da Gabriel Byrne a Terence Stamp – e una lentezza sparita da decenni. Speriamo faccia meglio Kenneth Branagh, con Assassinio sull’Orient Express. Servirà parecchia fantasia, oltre alla vagonata di bravi attori: Penelope Cruz, Johnny Depp, Michelle Pfeiffer. Sappiamo già tutti – o quasi – chi è l’assassino.
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Cultura e Spettacoli
Quando la canzone diventa arte
Musica È recentemente uscito il nuovo, entusiasmante lavoro di Michele Salvemini, in arte Caparezza
Zeno Gabaglio Il modello di cultura che ci trasciniamo dietro da poco più di un paio di secoli ci dice – in buona sostanza – che artista è colui che interpreta se stesso e il mondo che lo circonda, dandone rappresentazioni tangibili (ancorché potenzialmente soggettive, dialettiche, unilaterali ma pure universali) in manufatti oggettuali o ideali sempre nuovi per forma e poetica. Perché sempre nuova è la persona dell’artista e sempre nuovo è il mondo che lo circonda.
Il nuovo disco di Caparezza è il piccolo miracolo di un creatore che è riuscito a diventare artista L’originalità non è quindi un criterio necessario nel valutare la bellezza, ma lo è per riconoscere l’arte e la cultura. Se si pensa al mondo della canzone – della canzonetta, qualcuno avrebbe relativizzato fino a pochi anni fa – ogni tentativo di riconoscimento culturale non può quindi che partire da qui, cioè dalla ricerca di un meccanismo ermeneutico e bilaterale tra uomo e mondo. Così come del suo svolgimento progressivo e non ripetitivo nel corso del tempo. Nell’ambito del mainstream italiano ci sono attualmente – e soprattutto
da quando Franco Battiato sembra essersi ritirato in una fase più meditativa che produttiva – due musicisti perfettamente al centro di quella misteriosa dinamica che porta la canzone a diventar arte: Vinicio Capossela e Caparezza. E questo al netto degli inevitabili scivoloni che si può trovare a compiere chiunque sia professionista nel pop. Capossela e Caparezza, due autori e interpreti (l’inscindibile compenetrazione di entrambi i ruoli un tempo la si sarebbe chiamata cantautorato) che hanno dei ritmi produttivi più umani e organici di tanti loro colleghi – prosaicamente: fanno passare diverso tempo tra un disco e l’altro – ma che a ogni nuova opera spostano sempre un po’ oltre quelli che erano i confini conosciuti: del genere, dello stile, della loro poetica, dell’integrazione tra musica e società. Prova ne è Prisoner 709, il recente disco di Caparezza. Dietro a un titolo apparentemente criptico – con una forte valenza numerologica ma anche un diretto rimando alla condizione psicofisica di reclusione patita nel 2015 dopo il manifestarsi dell’acufene, persistente e incurabile disturbo dell’udito – si cela in realtà un puro disco di rap, come in Italia non se ne sentivano da un po’. Tanto per cominciare c’è un motivo, un’evidente ragione che porta un autore a creare: se nei dischi passati i temi attraversati da Caparezza abbracciavano l’estetico e il sociale qui si tratta di intimità, di uno sguardo introspettivo che riporta dubbi e tentennamenti
Un’immagine di Caparezza.
di un’esistenza contemporanea, fortemente consapevole ma intrinsecamente debole. E poi c’è anche il modo: se il rapporto tra parola e musica è da sempre stato spinoso rovello di dotti e teorici delle arti, Michele Salvemini da Molfetta (cioè Caparezza all’anagrafe) ha scandito con ogni nuovo disco ulteriori incarnazioni di tale creatura polimorfa. Certo, lontano anni luce da quanto avrebbero potuto pensare Monteverdi o Rousseau; ma se oggi ci si
chiede come la parola possa creare ritmo e come la musica riesca a legarsi al senso verbale, ecco Prisoner 709. E poi c’è ancora l’intelligenza che trasuda da ogni scelta verbale, senza farsi pedante e pure riuscendo a collegare mondi e livelli altrimenti irriducibilmente distanti. Come nell’assonanza Mia Wallace / Maria Callas contenuta in Forever Jung, titolo che è perfetta crasi di cultura alta e pop anni 80.
Al netto dei gusti soggettivi – che con l’idea di cultura fortunatamente nulla hanno a che vedere – si può qui parlare di riuscita, forse anche di miracolo. Quei miracoli che accadono quando i creatori riescono a diventare artisti, perché il tarlo ce l’hanno dentro: «Io vorrei che ogni album avesse un senso, non penso mai “questa canzone la canteranno oppure no”, ma solo “rispecchia quello che ho in testa?”». Annuncio pubblicitario
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Cultura e Spettacoli
Oscar Wilde, artista e capro espiatorio In scena Le vicende giudiziarie dello scrittore in un lavoro teatrale di Moises Kaufman
segni di carte da parati e di tessuti) che in prevalenza richiamano il movimento preraffaellita. Il pregio maggiore della messinscena, a mio parere, è nel ritmo serrato e fluido dell’azione. Qualche perplessità la suscitano invece l’impostazione e l’interpretazione di alcuni personaggi. A cominciare dall’Oscar Wilde di Giovanni Franzoni, che fa il suo ingresso mettendo un piede davanti all’altro alla maniera delle indossatrici in passerella (è una camminata dandistico-estetizzante come la immaginano Bruni e Frongia?). Più grave è che il suo abbigliamento e la sua interpretazione non diano la possibilità di farsi un’idea, sia pure approssimativa, dell’eleganza esteriore e dello straordinario fascino personale – che nel secondo e terzo processo venne riducendosi fino al balbettio – di un artista che era un idolo dei salotti londinesi e parigini. Altrettanto difficile, sempre a mio giudizio, è vedere un giovane di «venustà floreale» – sono parole di G.B. Shaw – nell’Alfred Douglas di Riccardo Buffonini, che del capriccioso aristocratico sa però restituirci, di quando in quando, i tratti isterici. Ed è un vero peccato che il bravo Ciro Masella sia stato forzato a dare un’interpretazione disonestamente caricaturale di Queensberry e dell’avvocato Carson, difensore del marchese. Disonesto, infine, mi è sembrato anche l’uso astutamente enfatizzante delle musiche.
Giovanni Fattorini Londra, 18 febbraio 1895. John Sholto Douglas, ottavo marchese di Queensberry, arriva all’Albemarle Club e chiede di Oscar Wilde. Vuole incontrarlo per intimargli – lo ha già fatto in altra occasione – di porre fine al chiacchierato sodalizio col suo terzogenito, il ventiquattrenne e bellissimo Alfred Bruce Douglas, a cui Wilde è legato da quasi quattro anni. Quando gli viene detto che lo scrittore non è presente, Queensberry scrive su un biglietto da visita «To Oscar Wilde posing as somdomite», «A Oscar Wilde che posa da somdomita» (l’errore ortografico è probabilmente dovuto al nervosismo) e lo consegna al portiere, il quale – dopo che altri ne hanno quasi certamente preso visione o avuto notizia – lo infila in una busta con sopra scritta l’ora in cui l’ha ricevuto: 16,30. Wilde lo leggerà dieci giorni dopo. Sordo alle parole di alcuni amici e conoscenti (fra cui il commediografo G.B. Shaw), che gli sconsigliano di imboccare la via giudiziaria, dà invece ascolto al giovane Alfred Douglas, smanioso di danneggiare l’odiato e odioso genitore, e querela il marchese per diffamazione.
Purtroppo, nonostante gli elementi positivi della pièce, alla figura di Wilde non è dato il risalto necessario
Concorso
Una decisione rovinosa. Conclusosi con l’assoluzione di Queensberry (che in sede dibattimentale dichiara di aver agito in nome del bene comune), il processo dà origine a un’azione della Corona contro Wilde, da cui scaturisce un ulteriore processo, che termina con una condanna per sodomia a due anni di carcere e ai lavori forzati. Nel giudizio dei posteri, la risonanza internazionale del caso e l’atteggiamento punitivo assunto da Queensberry, dai rappresentanti della Corona, dagli avvocati, dall’opinione pubblica, dalla stampa, e
Un momento della pièce Atti osceni. (elfo.org)
Raclette Rassegna musicale Studio Foce, Lugano Sabato 4 novembre, ore 21.30 Hundred Waters (Elettronica, Indie rock, Art rock)
Massimo due biglietti per economia domestica. La partecipazione è riservata a chi non ha beneficiato di vincite in occasione di analoghe promozioni nel corso degli scorsi mesi.
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C
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Y
La band è nata nel 2011 in Florida, dall’amicizia tra Nicole Miglis, TrayerCM Tryon e Zach Tetreault. Questo MY giovane trio sperimenta suoni e vibrazioni tra arrangiamenti classici e sintetizzatore in cui la voce avvolgen-CY te di Nicole Miglis si mescola a flauti CMY tastiere e campioni. Show Me Love (feat. Chance the Rapper, Moses Sumney & Robin Hanni- K bal) remixata da Skrillex è uno dei loro più importanti successi discografici.
www.azione.ch/concorsi Regolamento Migros Ticino offre ai lettori biglietti gratuiti per le manifestazioni sopra menzionate.
ri», che interverranno con tono di voce all’autore di Angels in America di averimpersonale nel corso dei dibattimenti. mi procurato due minuti di fou rire). Atti osceni è un abile montaggio di maDi grande sobrietà, la scenografia teriali diversi: verbali degli interrogato- dello spettacolo firmato da Ferdinando ri, frasi estrapolate dai giornali dell’e- Bruni e Francesco Frongia finge un’aula poca, citazioni da opere di Wilde e da di tribunale dove gli elementi di maglibri di memorie, tra cui quelli scritti da gior rilievo sono delle sbarre mobili, Lord Alfred Douglas molti anni dopo la frequentemente e agevolmente spostate morte dell’artista. (Quanto al giudizio dagli attori, e un pannello di fondo, alto Dove e quando espresso da Tony Kushner, secondo cui e stretto, su cui vengono proiettate delle Milano, Teatro Elfo Puccini, fino al Atti osceni raggiunge dimensione immagini (ritratti fotografici di Wilde, 12 novembre. HDuna ES7887 KW44 1-4P MIGROS MEN EXPERT_f-d-i.pdf 3 26/10/17 11:49 shakespeariana, sono veramente grato particolari di quadri e illustrazioni, di-
financo dalle prostitute londinesi, che nello scrittore e nei suoi prostituti vedevano dei concorrenti, hanno fatto e fanno di Oscar Wilde un illustre capro espiatorio, una vittima esemplare del puritanesimo e dell’ipocrisia vittoriana. Dalle vicende giudiziarie e dall’esperienza carceraria, che lo misero a durissima prova nel corpo e nello spirito, e dalle quali uscì socialmente ed economicamente distrutto, Wilde trasse la forza per scrivere – dopo la scarcerazione – una delle sue opere più belle: La ballata del carcere di Reading. Nel comporre un’opera teatrale dedicata ai tre processi, il drammaturgo statunitense di origine venezuelana Moises Kaufman dice di essersi ispirato alle tecniche usate da Piscator e dal giovane Brecht. «Gli attori», scrive in una nota premessa al testo, «dovrebbero interpretare i personaggi senza “sparire” nelle parti». Con la sola eccezione di quello a cui viene assegnato il ruolo di Oscar Wilde, gli attori avranno il compito di interpretare vari personaggi e dare corpo e voce a quattro «narrato-
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 30 ottobre 2017 • N. 44
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Cultura e Spettacoli Rubriche
In fin della fiera di Bruno Gambarotta Questione di ospitalità In giro per l’Italia nelle cittadine di provincia, una domanda ritorna: «È la prima volta che venite a …»? Se la risposta è sì ecco la replica: «Allora non potete andare via senza aver visitato …». È successo a Macerata al Museo delle Carrozze, a Vigevano al Museo della Calzatura, ad Anzio al Museo dello Sbarco degli Alleati. I nostri amici non si limitano a suggerire la visita ma si prodigano per organizzarla al massimo livello, scomodando chi la dirige a farci da guida. A Macerata il museo era chiuso e hanno trovato il modo di farcelo aprire. Esame di coscienza: sarei capace di fare altrettanto con un conoscente in visita a Torino? No, se devo essere sincero, sono disposto al massimo a segnare sulla sua cartina i siti da visitare. Se poi andiamo nelle regioni del Sud, l’ospitalità assume aspetti imbarazzanti per noi nordici. Nelle isole ci capita di sentirci ostaggi delle mani di coloro che ci hanno invitati e si prodigano per rendere indimenticabile il soggiorno. Siamo a Cagliari, la domenica sera, a cena in un ristorante. Domani pomeriggio pren-
deremo un aereo per tornare a casa, dopo una settimana trascorsa in giro per la Sardegna a presentare concerti di musica etnica. Il leader del gruppo annuncia: «Domattina vi veniamo a prendere in albergo e vi portiamo in giro per la città». Sapendo che i nostri amici musicisti insegnano al Conservatorio, dico che non è il caso, ci muoviamo da soli, non è la prima volta che veniamo a Cagliari. E qui commetto l’errore fatale: «Dateci piuttosto l’indicazione di una pasticceria dove comprare dolci di mandorle, è il compleanno di una figlia che ne va pazza». I quattro si consultano tra loro e il verdetto è: nessuno li fa buoni come le nostre mamme. Nonostante le nostre proteste, partono le telefonate e il pomeriggio del giorno dopo ci accompagneranno in aeroporto consegnandoci quattro grandi vassoi colmi di paste di mandorle. Abbiamo bagagli a mano, come faremo a portarli a bordo? Non c’è problema, giunti al varco, i nostri amici faranno un microscopico cenno d’intesa agli addetti e noi passeremo indenni reggendo in
trionfo la pila di vassoi. Altro esame di coscienza: se fosse successo a me, a ruoli invertiti? Non c’è dubbio, avrei dato agli amici l’indirizzo di una pasticceria di Torino e al massimo avrei telefonato al titolare raccomandandogli di trattarli bene. Dalla Sardegna passiamo in Sicilia, ad Agrigento per un calendario di presentazioni nei centri della provincia. È estate, fra due impegni serali c’è una domenica libera. L’albergo che ci ospita è fuori città, in riva al mare, potremmo sostare lì, fare i bagni. Per gli organizzatori è inaccettabile l’idea di lasciarci soli per 24 ore. L’assessore alla cultura verrà con la moglie a prenderci e ci porterà in un ristorante di Siculiana, località di mare a un centinaio di chilometri di distanza, dove prenderemo parte a un memorabile pranzo a base di pesce. Il tavolo è situato su una stupenda terrazza panoramica, da un lato si affaccia sul mare e dall’altro sulla piazza principale del paese. Al termine dei tanti assaggi del dessert, l’assessore propone: «Aspettiamo a ordinare il caffè». Indica una palazzina al fondo della piazza:
«Là abitano i miei parenti, se siamo fortunati li troviamo in casa, ci faremo offrire il caffè da loro». Non mi sembra il caso di disturbare la gente nell’ora del riposo pomeridiano, lo provano le persiane chiuse, ma è inutile opporsi. Lasciandoci seduti al tavolo in compagnia della moglie, il nostro ospite si alza, attraversa la piazza, lo vediamo mentre suona al citofono. Si volta verso di noi e ci fa segno di raggiungerlo, i parenti ci sono. Non solo ci sono ma sono preparati alla visita, lo provano gli abiti della domenica e un lungo tavolo allestito con ogni tipo di dolciume, liquori e bevande varie, caffettiere appena tolte dal fuoco. Immagino che ci spiassero fra le liste delle persiane per farsi trovare pronti dopo che il nostro amico li aveva mobilitati. Il giorno seguente, presentazione a Casteltermini. Prima dell’evento è prevista una visita al sindaco per la consegna di una targa ricordo. Segue una sosta in una pasticceria per prendere un caffè. Mentre ci avviamo un accompagnatore mi sussurra che il locale è della sorella
del sindaco il quale, appena entrati, m’interroga: «Ti piace?». Il locale è sontuoso, con una profusione di arredi barocchi. Manifesto la mia stupefatta meraviglia, elogiando soprattutto un vassoio situato in vetrina, colmo di dolci di ogni tipo. Errore, perché il giorno dopo troverò nella mia stanza d’albergo quel vassoio accompagnato a un biglietto del sindaco. Altra presentazione, questa volta a Racalmuto, paese natale di Leonardo Sciascia. C’è un intoppo: alle 21, in concomitanza con la mia, ne è prevista un’altra, organizzata da un circolo culturale, con una famosa e anziana poetessa. Accetto la proposta di spostare la mia alle 23, il ristorante resterà aperto apposta per noi. È inutile dire che rinuncerei volentieri alla cena. Finiremo di mangiare alle due di notte, con dei fichi buonissimi. Ne faccio l’elogio e chi mi ospita si stupisce: «Li trovi buoni? Dovresti assaggiare i miei». Si alza, sale in auto e va a casa a prendermene un cestino staccandoli dalla pianta. Questa è la Sicilia, signori miei, e questi sono i siciliani.
saggezza incapace di etica e di filosofia, si trovano risposte interessanti nel libro La via della bellezza. Per una storia della cultura estetica cinese di Li Zehou, filosofo vivente tra i più noti. È un testo simbolico, un segno della ripresa di una sensibilità confuciana all’interno del materialismo storico. Parlare di un’estetica indistinguibile dall’etica in vista del buon ordine e del buon governo è tornare a parlare cinese, se pur da parte di chi, come Li Zehou, è vissuto in Cina fino a pochi anni fa e usa concetti kantiani per spiegarsi meglio. Quella che abbiamo a disposizione è l’unica sua opera tradotta in lingua occidentale (1981), sebbene le sue pagine più speculative siano molte dato che da poco a Taiwan si è pubblicata una raccolta di dieci volumi. Li Zehou ha insegnato filosofia in Cina e durante il periodo della Banda dei Quattro fu inviato in un campo di rieducazione. Dopo i fatti di piazza Tian’anmen fu sottoposto a gravi accuse, e nel 1992 si
trasferì negli Stati Uniti. Sintetizza il suo pensiero, in cui convivono confucianesimo e modernizzazione, come una «filosofia del mangiare», che si preoccupa prima del cibo e poi delle questioni etiche. Secondo una lettura non ortodossa del marxismo, il benessere economico e lo sviluppo tecnologico porterebbero al progresso sociale. La vita materiale è il fondamento della civiltà umana e lo sono soprattutto gli strumenti produttivi: per illustrare il passaggio da questi alla formazione della coscienza sociale, dei principi etici, della sensibilità estetica, Li Zehou ricorre a Kant e ad altri filosofi occidentali, in unione o in disaccordo con Confucio, Mencio, Xunzi, Mao Zedong. Il libro di Li Zehou racconta la storia di tutti i cinesi che hanno adattato il loro senso della bellezza ai loro progressi tecnologici. Sembra di leggere una fiaba, sorta nel cuore del marxismo determinista: il passaggio dalle immagini realistiche all’astra-
zione, e poi alla ricerca della bellezza nelle arti, tutto sembra, di nuovo, così armonico. La dipendenza tra progresso economico e gusto estetico, ammette Li Zehou, non è così semplice: letteratura e pittura possono prosperare in momenti difficili, mentre architettura e scienze hanno bisogno di stabilità e prosperità economica. Ma si ritrova una certezza di fondo: senza influssi divini, né umani volontarismi, l’estetica è il segno di una natura umana che procede inarrestabile, sorgendo dagli individui che sovrasta e divora, che di armonico hanno solo il finale dove vince sempre chi doveva vincere. Che confusione: strumenti filosofici per spiegare le indicazioni di Confucio e Mao, che si sono sempre limitati a dire ai cinesi che cosa dovevano fare. Non credo sia utile continuare a cercare una filosofia cinese, africana, peruviana. Non ci devono assomigliare tutti, ognuno ha il suo modo di pensare e vivere.
grigia» degli eterni indifferenti, sicché ancora oggi a distanza di settant’anni sarebbe sbagliato confondere gli uni con gli altri e attribuirsi tutti il nome di Anna Frank immaginando o fingendo, da vivi, di essere morti in un campo di concentramento nazista. Che poi il presidente della Lazio, Claudio Lotito (1– o meglio –1), vada a deporre una corona di fiori bianchi in Sinagoga dopo aver detto al telefono «Famo ’sta sceneggiata» e prima di andare in tv per ricordare la sua visita in moschea (sic!), fa solo pena. La corona sarebbe poi stata gettata nel Tevere da un gruppo di giovani ebrei che merita un tondissimo 6. Stessa pena suscita il fatto che l’allenatore del Torino, il serbo Sinisa Mihajlovic (3), intervistato su questa baraonda, esclami: «Ma chi è Anna Frank?». E poi, per giustificare la propria ignoranza, chieda al giornalista: «Va bene, io non conosco Anna Frank ma lei conosce Ivo Andric?», facendone una pseudo questione di cultura letteraria.
È ipocrita dedicare un minuto, nello stadio, alla lettura del Diario di Anna Frank, un libro la cui lettura richiede silenzio, compassione, concentrazione. Il risultato è che quel minuto viene riempito dall’imbecillità delle braccia tese e dal diluvio dei cori antisemiti. È altrettanto inutile e ridicolo e grottesco e insensato che i calciatori scendano in campo con il volto di Anna Frank stampato sulle magliette a mo’ di Che Guevara. Non si diffida mai abbastanza del qualunquismo consumista di certe simbologie da centro commerciale (la maglietta aveva il marchio dello sponsor!). Matteo Renzi l’ha sparata grossa su Twitter: «Se io fossi il presidente di una squadra di calcio, domani scenderei in campo con la Stella di David al posto dello sponsor. E spiegherei ai ragazzi delle curve perché quando pronuncio il nome di Anna Frank mi vengono i brividi. Restiamo umani, amici». Per un giorno Anna Frank al posto dello sponsor? Lascio a voi giudicare la qualità della
trovata (intanto per me vale 1). Sarebbe meglio che l’ex premier italiano riflettesse sulla pessima qualità della Buona Scuola, una delle peggiori riforme degli ultimi decenni, la più aziendalista e la meno umanistica, tutta puntellata com’è di competenze, eccellenze, incentivi, meritocrazia, bonus, benefit, dirigenti (i presidi) e utenti (gli studenti). Bilancio tristissimo di una discussione pubblica che più inutile e ridicola non si può. Anzi nefasta, se si illudeva di sensibilizzare i giovani all’antisemitismo attraverso il pallone. Converrebbe piuttosto sfogliare e risfogliare, e leggere e macinare un libro appena uscito: Elogio del silenzio di John Biguenet (edito dal Saggiatore). Senza pretendere che vi si applichino gli ultrà e gli Irriducibili laziali, lo leggano almeno quelli che hanno la lodevole tentazione di aderire all’hashtag #siamotuttiannafrank. Prendano tra le mani il libro di Biguenet un attimo prima di fare qualunque dichiarazione.
Postille filosofiche di Maria Bettetini Una fragile armonia Vorrei dire qualcosa della filosofia cinese che accanto a Mao ora ha ripreso Confucio, l’uomo che nel V secolo a.C. insegnò ai cinesi a rispettare la legge. La Cina che compra, vende e cresce, non ha ripreso a pensare. Sta piuttosto continuando a pensare cinese, a dispetto dei nostri grossolani tentativi di confronto e definizione. Così da una parte si comincia a dubitare dell’armonia come unica chiave di lettura dei millenni di pensiero cinese, e dall’altra troviamo François Jullien che nell’affermare «Non è così facile uscire da Hegel» ha definito l’uomo occidentale ancora incompetente lettore dei classici cinesi. Hegel non esitò ad attribuire al confucianesimo «assenza di pensiero» e incapacità di elaborare un’autonomia morale. A Parigi nei recenti decenni François Cheng era accolto nei salotti come un grazioso vaso Ming, di cui si apprezzava la aimable sagesse e l’imperturbabile serenità su cui è così facile scherzare tanto
è lontana da noi. Pensiamo all’assistente di Nick Carter nei fumetti di Bonvi degli anni Settanta, che siglava con «Dice il saggio...». Se all’antitesi tra saggezza e filosofia si aggiunge il vuoto culturale che nel Novecento ha impedito ai cinesi l’eterodossia dalla religione marxista con ogni genere di sradicamento e violenza, si comprendono meglio le difficoltà delle due parti: dei cinesi a maneggiare la loro filosofia, dei non cinesi a riconoscerla. Il Trattato sui riti di Xunzi, è un buon passo verso l’eliminazione del pregiudizio del paradigma dell’armonia: questo testo confuciano del III secolo a.C. si apre con la tematizzazione della guerra di tutti contro tutti, una contesa che può essere dominata solo dalle antiche norme rituali, dal forte valore coercitivo. Sarà un suo allievo, Han Feizi, a inaugurare il dominio della spietata e violenta forza della legge, chiamata a sanare la violenza di natura. Questo per l’armonia. Quanto alla
Voti d’aria di Paolo Di Stefano Siamo tutti qualcosa… Succede che un gruppo di tifosi laziali distribuiscono adesivi con il ritratto di Anna Frank che indossa la maglia giallorossa. L’iniziativa idiota avrebbe un doppio obiettivo non dichiarato: dando ai romanisti il volto della ragazzina ebrea gli ultrà pensano di insultarli e vestendo Anna con la loro maglia ritengono di offendere la memoria della Shoah. In risposta, «La Repubblica» lancia l’hashtag #siamotuttiannafrank e molti, da ogni angolo d’Italia, mandano su Twitter la fotografia di Anna sorridente con la maglia della propria squadra. Il che è un modo discutibile (3–) per combattere l’antisemitismo e salvaguardare il ricordo delle persecuzioni naziste. Discutibile perché banalizzante e, come ha scritto Alessandro Piperno (5½) sul «Corriere della Sera», grottesco: un modo speculare e volgare di brandire il volto di Anna Frank con uno slogan di bassa retorica. Per nostra fortuna non siamo tutti Anna Frank e dichiarare con tanta leggerezza di esserlo, dal tepore delle nostre case, ci
espone al ridicolo, pur aiutando la nostra buona coscienza, oltre a macchiare la memoria di chi quella tragedia l’ha sofferta come vittima. «Siamo tutti qualcosa…», ormai. Quella frase fu lanciata il giorno dopo la strage delle Torri Gemelle: «Siamo tutti americani», era una manifestazione di solidarietà con il dolore di un intero popolo. Poi, con le successive stragi, siamo diventati tutti londinesi, parigini, nizzardi eccetera. Nessuno si sarebbe mai sognato di affermare: siamo tutti quei morti, perché i morti sono morti ed è un sacrilegio pensare, da vivi, di identificarsi con loro. Non ne avremmo affatto il diritto. Tanto più sarebbe una pretesa eccessiva, dal calduccio dei nostri appartamenti, affermare di essere anche noi vittime dell’Olocausto. Troppo comodo. Non siamo tutti Anna Frank, perché se tutti fossimo Anna Frank, la tragedia di Anna Frank diventerebbe una tragedia qualunque. Purtroppo ci sono i sommersi e ci sono i salvati, e c’è la «zona
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Idee e acquisti per la settimana
shopping Versatile zucca
Attualità Il variegato assortimento di zucche di Migros Ticino arricchisce la cucina autunnale
Grande varietà
La zucca fa parte della famiglia delle Cucurbitacee e conta oltre 800 varietà. Attualmente, nei maggiori supermercati Migros, sono disponibili diversi tipi di zucca da cucinare, con forme, colori e sapori differenti. Qualche esempio? La Potimarron è una zucca tonda di piccole dimensioni dalla polpa soda e gialla, che ben si presta ad essere usata per risotti, gnocchi e creme. Antica varietà dalla polpa arancione, la Delicata, è un ortaggio che si distingue per dolcezza e consistenza, con un sapore che ricorda le castagne. La zucca Moscata di Provenza ha un gusto nocciolato, per questo è perfetta per preparare minestre, vellutate, confetture, arrosti e dolci. È un ortaggio di grandi dimensioni, quindi viene venduta già tagliata. Considerata una delle migliori zucche commestibili per la sua delicatezza, la Butternut ha forma a campana, buccia beige e polpa giallo-arancione tenerissima. La si può mangiare arrostita, stufata oppure cruda. La Spaghetti, chiamata così per il fatto che in cottura la polpa si
disfa in lunghi filamenti, è ottima per zuppe e gratin. La notte di Halloween
La zucca, soprattutto nei paesi anglosassoni, è considerata l’icona della notte di Halloween, vigilia di Ognissanti. La festa ha origini celtiche e viene celebrata da oltre 2000 anni. A quei tempi il calendario celtico terminava il 31 ottobre e non il 31 dicembre. La leggenda narra che durante la notte del 31 ottobre i fantasmi dei morti facessero visita ai vivi. Per scacciarli era necessario travestirsi con costumi terrificanti e accendere dei fuochi. Con il tempo i falò furono sostituiti da zucche intagliate e illuminate dalla luce di una candela. Un’altra credenza racconta invece che la tradizione sia una digressione della leggenda di Jack o’ Lantern, un personaggio condannato a vagare in eterno nel buio tra l’inferno e il paradiso con una lanterna fatta di una rapa intagliata con un tizzone. Con il tempo la rapa venne sostituita da una zucca, dato che era più facile da intagliare e da reperire in autunno.
Torta di zucca e cioccolato Ingredienti per 10 pezzi (per 1 tortiera apribile di ca. 22 cm Ø) 4 uova 200 g di zucchero greggio 1 presa di sale ½ limone 100 g di cioccolato fondente, ad es. Crémant 1 cucchiaino di cannella 125 g di mandorle macinate 100 g di farina di spelta chiara 1 cucchiaino di lievito in polvere 300 g di zucca, pesata mondata, ad es. Moscata 4 cucchiai di gelatina di ribes 1 cucchiaio di zucchero a velo Preparazione Sbattete le uova, lo zucchero e il sale per ca. 5 minuti fino a ottenere una massa chiara. Grattugiate la scorza del limone e spremetene il succo. Aggiungete entrambi. Tritate il cioccolato e incorporatelo alla massa con la cannella, le mandorle, la farina e il lievito. Grattugiate la zucca con la grattugia per bircher e incorporate con cura alla massa. Scaldate il forno a 180°. Rivestite la teglia con carta da forno e versateci l’impasto. Cuocete al centro del forno per ca. 50 minuti. Fate raffreddare. Tagliate orizzontalmente la torta a metà, spalmate sulla metà inferiore uno strato di gelatina. Richiudete e spolverizzate di zucchero a velo.
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Idee e acquisti per la settimana
Ul Formagín Novità Dall’Alto Malcantone arriva il formaggino fresco del Monte Lema anche al libero
servizio. A produrlo è il casaro Marco Scoglio di Mugena che, insieme alla moglie Isabella, è titolare dell’omonima azienda agricola Come vengono preparati i nuovi formaggini?
Il latte crudo appena munto viene sottoposto a termizzazione a 65 gradi, procedimento che permette di ridurre la carica batterica ma che preserva le qualità organolettiche del latte. Dopodiché vengono aggiunti i fermenti e il caglio. Una volta coagulata, la cagliata viene messe nelle formine e lasciata qualche ora a riposare. A questo punto il prodotto è pronto per essere confezionato e fornito a Migros Ticino. Oltre ai formaggini, cosa fornite d’altro a Migros Ticino?
Isabella e Marco Scoglio, casari a Mugena.
Tre yogurt drink, gli «Yogúrt da bév», nelle varianti al naturale, fragola e mirtillo. È un prodotto innovativo e nutriente, pratico da portare in giro grazie al flacone richiudibile da 250 ml.
Signor Scoglio, ci parli della vostra azienda?
Il vostro è un mestiere impegnativo, ma anche affascinante…
L’azienda agricola è stata fondata nel 1998 e oggi la gestisco insieme a mia moglie. Possediamo 50 mucche da latte. I bovini possono pascolare liberi nei prati attorno alla fattoria e producono all’incirca 700 litri di latte al giorno, che trasformiamo in diversi formaggi, yogurt, yogurt drink e altri latticini freschi. Oltre a questo produciamo anche carne di vitello e uova. L’azienda si estende su una superficie di ca. 30 ettari.
Certamente. Le sfide da affrontare ogni giorno sono molte, ma il fatto di vivere in sintonia con la natura, seguire i suoi ritmi, stare a contatto con gli animali rispettandoli e apprezzandone i prodotti non ha eguali.
Formaggino fresco del Monte Lema 100 g Fr. 2.10 In vendita a libero servizio
Ecco le castagne ticinesi Castagne ticinesi 500 g Fr. 6.90 In vendita nelle maggiori filiali Migros
TiPress
In estate le mucche sono libere di pascolare e brucare l’erba fresca dei nostri prati, mentre in inverno sono foraggiate con fieno di nostra produzione e cereali misti che assicurano un adeguato apporto di sostanze nutritive.
Flavia Leuenberger Ceppi
Da cosa è composta l’alimentazione dei bovini?
Sono arrivate le castagne dei nostri boschi nei supermercati Migros Ticino. «Quest’anno la raccolta in generale è andata molto bene e il prodotto è di buona qualità. La popolazione ha risposto positivamente e prevediamo di raccoglierne almeno 20 tonnellate», spiega soddisfatto il responsabile della raccolta Paolo Bassetti. «Abbiamo anche ampliato i centri di raccolta: oltre a Cadenazzo, Muzzano e Stabio, ora le castagne si possono consegnare tutti i giorni anche a Biasca». Un risultato che fa ben sperare per la ripresa degli alberi dopo i danni causati dal cinipide. «La maggior parte dei frutti sono di piccola e media pezzatura e saranno destinati all’essicazione. Il consumatore potrà quindi
disporre, dopo il prodotto fresco, anche di farina di castagne nostrana praticamente durante tutto l’arco dell’anno». Vermicelles che bontà
Come preparare uno dei dessert più apprezzati della Svizzera? La ricetta dei vermicelles è tanto semplice quanto buona: dopo aver ridotto in purea delle castagne lessate e sbucciate aggiungere un po’ di zucchero, zucchero vanigliato, un goccio di latte e qualche fiocco di burro. Amalgamare bene. Inserire il composto in una «siringa» per dolci perforata e schiacciare. Un goccio di kirsch conferisce un tocco di gusto supplementare a questa irresistibile preparazione.
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Il mondo dello sci di SportXX
Attualità Dalle novità più in voga al servizio di noleggio, fino ai servizi di manutenzione nei nostri negozi
specializzati di S. Antonino e Serfontana trovate un’ampia offerta per un inverno ricco di emozioni e divertimento
Grazie alla nostra straordinaria selezione di attrezzatura e abbigliamento, e all’ottimo rapporto qualità/prezzo, potrete affrontare al meglio ogni pista da sci. Anche quest’anno non mancano le innovazioni che renderanno ancora più divertenti le giornate in quota. «Tra le novità più interessanti di quest’anno vi sono l’abbigliamento da snowboard da donna del noto marchio Roxy, l’attrezzatura per bambini ispirata al cartone animato Frozen e gli sci carving per sciatori esperti Head Supershape i.Speed, i.Magnum e i.Rally», illustra Nadia Caviglia, responsabile dello SportXX di Serfontana. «Inoltre una vera innovazione è costituita dalla borsa per sci del marchio norvegese Douchebags: una sacca ultraleggera e intelligente che rende i viaggi con l’equipaggiamento da sci o snowboard un’esperienza piacevole, sicura e comoda». Una possibilità per chi va a sciare sporadicamente o, semplicemente, vuole provare le ultimissime novità del settore
prima di decidere se acquistarle, è quella di noleggiare l’equipaggiamento preparato alla perfezione. Tutta la famiglia può approfittare di questo servizio allo SportXX di S. Antonino ad un prezzo molto interessante. Inoltre, presentando la carta Famigros, si approfitta di uno sconto del 10%. Coloro che invece desiderano mettere a punto la propria attrezzatura personale in vista della nuova stagione sciistica, hanno la possibilità di far controllare e regolare gli attacchi dai nostri tecnici, usufruendo altresì di uno sconto del 20 per cento su tutti i servizi, fino al 13 novembre. Non esitate a rivolgervi ai nostri collaboratori specializzati che potranno fornirvi personalmente dei consigli in modo competente e mirato. Per saperne di più visitate anche il sito www.sportxx.ch.
Nadia Caviglia, responsabile dello SportXX di Serfontana.
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M-Classic
Dolci e cioccolato – un connubio irrinunciabile!
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Il cioccolato da cucina è indispensabile quando si preparano biscotti.
Con un contenuto di cacao di almeno il 46%, il cioccolato da cucina MClassic è perfetto per cucinare e per preparare dolci. Bisogna tuttavia fare attenzione quando lo si fa sciogliere: il cioccolato non ama troppo calore – meglio farlo fondere a bagnomaria. Sul sito www.migusto.ch, nella rubrica «Tutorial», è disponibile un video sul tema. Pratico: nella parte interna dell’imballaggio è indicato quanto pesa una riga di cioccolato e quante righe sono necessarie per raggiungere i 100 grammi.
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M-Industria crea numerosi prodotti Migros, tra cui anche il cioccolato da cucina M-Classic.
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Anna’s Best
Tour de Suisse con la pasta Con la linea «Schweizer Triondo», al 100 percento a base di frumento svizzero e uova da allevamento all’aperto della regione, Anna’s Best propone quattro nuove varietà di pasta, ognuna delle quali è farcita con una specialità locale. Le rimanenti materie prime provengono per oltre il 90 percento dalla Svizzera. Chi ama le salsicce o la carne può scegliere il «Saucisson voudois» con porri e patate o la carne di manzo vallesana Hérens. Due le varianti senza carne che completano l’offerta, con formaggio Appenzeller, rispettivamente con i funghi di Wauwil.
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Anna’s Best Schweizer Triondo Saucisson vaudois e porro stagionale, 250 g Fr. 5.40
Anna’s Best Schweizer Triondo Funghi prataioli da Wauwil 250 g* Fr. 5.40
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Anna’s Best Schweizer Triondo Carne d’Hérens vallesana 250 g* Fr. 5.40
Saucisson vodese, porri e patate sono un trio molto popolare. La loro preparazione più conosciuta è il tradizionale piatto unico vodese Papet vaudois, che appartiene al patrimonio culturale immateriale del canton Vaud. Dal 2009, ogni primo venerdì di ottobre, i macellai del canton Vaud offrono ai loro clienti una porzione gratuita di questa specialità.
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Idee e acquisti per la settimana
La star della settimana
Il classico degli aperitivi Se ci fosse qualcosa di simile a una «Hall of Fame» dei prodotti gastronomici svizzeri, la tortina al formaggio della Migros vi figurerebbe sicuramente. Da generazioni l’azienda della Migros Jowa di Gränichen AG la produce sempre con gli stessi tipi di formaggio. Pietre miliari
In questa saporita torta ci sono esclusivamente formaggi svizzeri, per la precisione una miscela di Emmentaler, Appenzeller e Gruyère. Ogni anno sulle tavole degli svizzeri approdano 2,5 milioni di tortine al formaggio.
La tortina al formaggio al passo con i tempi Dal 2010 le tortine al formaggio della Jowa vestono i colori della gamma M-Classic. Prima di allora l’imballaggio di questo classico ha avuto molte varianti.
Fino al 2010 i clienti Migros potevano comprare le tortine in un pacco color bordeaux.
Noi firmiamo. Noi garantiamo.
Conta anche l’involucro Sin dagli anni Settanta l’azienda Migros Jowa produce a Gränichen (AG) le prelibate tortine al formaggio. Da una ventina d’anni, l’ingegner Christian Pfeiffer fa in modo che i clienti abbiano un imballaggio ottimale
Indovinello fotografico
Troverete l’indovinello riguardante la tortina al formaggio della Migros su www.noifirmiamonoigarantiamo.ch/star-dellasettimana Partecipate subito e vincete una carta regalo Migros. Saranno sorteggiate carte per un valore totale di 150 franchi.
Testo Angela Obrist; Foto Nick Hunger
Negli anni 90 l’imballaggio ha avuto design più sobri.
L’ingegnere Christian Pfeiffer è il re degli imballaggi di tutti i prodotti Jowa.
La tortina al formaggio in una pubblicità televisiva delle azioni settimanali Migros del 1976.
La Svizzera ama il suo formaggio in tutti i sensi: che si tratti di fondue e raclette o della torta al formaggio. Da decenni questo popolare classico è apprezzato come spuntino o aperitivo. La Jowa, un’industria della Migros, produce le tortine nella sua panetteria regionale di Gränichen, nel Canton Argovia. Per gustarsi queste croccanti specialità farcite di formaggio non bisogna far altro che riscaldare nel forno di casa le tortine congelate. «La nostra tortina al formaggio è uno di quei prodotti che resteranno alla Jowa molto più a lungo di me», dice ridendo Christian Pfeiffer. Il responsabile dello sviluppo degli imballaggi lavora dal 1999 nella sede principale di Volketswil (ZH): «Sono felice che questo classico abbia una comunità di sostenitori così fedeli. Assieme ai Gipfel al prosciutto le tortine al formaggio sono le star della nostra gamma di prodotti da aperitivo».
pochissimo la ricetta iniziale. L’imballaggio, però, è stato nel frattempo ottimizzato sotto molti aspetti. «Le esigenze riguardanti la confezione aumentano di continuo», dichiara Pfeiffer e aggiunge: «Nel mio lavoro sono sempre alla ricerca di buone idee per affrontare le nuove sfide». Con la sua equipe di cinque persone sviluppa l’involucro ideale per ogni singolo prodotto Jowa. Un imballaggio su misura deve soddisfare numerosi criteri: garantire la conservazione, soddisfare tutte le norme sui generi alimentari, contenere le informazioni più importanti e poter essere compatibile con i macchinari di produzione. Inoltre deve sapersi spiegare da sé ed essere comodo da maneggiare. «Senza dimenticare che le nostre confezioni sono decisive per la scelta del prodotto sugli scaffali», sottolinea Christian Pfeiffer.
Confezionate su misura
Oltre alle accattivanti rielaborazioni del design, negli ultimi decenni la con-
I panettieri della Jowa hanno variato
Cartone anziché alluminio
fezione di tortine al formaggio ha subito altri profondi mutamenti. «Oggi, ad esempio, si punta all’ottimizzazione della sostenibilità», afferma l’esperto. Così già oltre vent’anni fa, Jowa ha sostituito le forme di cottura d’alluminio con quelle di cartone. «Da allora siano riusciti a ridurre di un altro terzo il materiale utilizzato», dice Pfeiffer. Oggi, inoltre, si evita di rivestire di plastica il cartone e tutti i cartoni utilizzati sono certificati FSC, sono cioè prodotti con materia prima rinnovabile proveniente da selvicoltura sostenibile. Queste ottimizzazioni richiedono agli esperti dell’imballaggio molte competenze e idee, ma anche costanza. Precisa Pfeiffer: «L’attuazione di ogni adattamento passa attraverso svariati processi: dalle analisi prescritte per legge ai test di produzione fino alle degustazioni dei prodotti». In questo modo, si garantisce che anche le prossime generazioni possano godersi questo saporito classico.
M–Industria crea numerosi prodotti Migros, tra cui anche le tortine al formaggio M-Classic.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 30 ottobre 2017 • N. 44
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Idee e acquisti per la settimana
La star della settimana
Il classico degli aperitivi Se ci fosse qualcosa di simile a una «Hall of Fame» dei prodotti gastronomici svizzeri, la tortina al formaggio della Migros vi figurerebbe sicuramente. Da generazioni l’azienda della Migros Jowa di Gränichen AG la produce sempre con gli stessi tipi di formaggio. Pietre miliari
In questa saporita torta ci sono esclusivamente formaggi svizzeri, per la precisione una miscela di Emmentaler, Appenzeller e Gruyère. Ogni anno sulle tavole degli svizzeri approdano 2,5 milioni di tortine al formaggio.
La tortina al formaggio al passo con i tempi Dal 2010 le tortine al formaggio della Jowa vestono i colori della gamma M-Classic. Prima di allora l’imballaggio di questo classico ha avuto molte varianti.
Fino al 2010 i clienti Migros potevano comprare le tortine in un pacco color bordeaux.
Noi firmiamo. Noi garantiamo.
Conta anche l’involucro Sin dagli anni Settanta l’azienda Migros Jowa produce a Gränichen (AG) le prelibate tortine al formaggio. Da una ventina d’anni, l’ingegner Christian Pfeiffer fa in modo che i clienti abbiano un imballaggio ottimale
Indovinello fotografico
Troverete l’indovinello riguardante la tortina al formaggio della Migros su www.noifirmiamonoigarantiamo.ch/star-dellasettimana Partecipate subito e vincete una carta regalo Migros. Saranno sorteggiate carte per un valore totale di 150 franchi.
Testo Angela Obrist; Foto Nick Hunger
Negli anni 90 l’imballaggio ha avuto design più sobri.
L’ingegnere Christian Pfeiffer è il re degli imballaggi di tutti i prodotti Jowa.
La tortina al formaggio in una pubblicità televisiva delle azioni settimanali Migros del 1976.
La Svizzera ama il suo formaggio in tutti i sensi: che si tratti di fondue e raclette o della torta al formaggio. Da decenni questo popolare classico è apprezzato come spuntino o aperitivo. La Jowa, un’industria della Migros, produce le tortine nella sua panetteria regionale di Gränichen, nel Canton Argovia. Per gustarsi queste croccanti specialità farcite di formaggio non bisogna far altro che riscaldare nel forno di casa le tortine congelate. «La nostra tortina al formaggio è uno di quei prodotti che resteranno alla Jowa molto più a lungo di me», dice ridendo Christian Pfeiffer. Il responsabile dello sviluppo degli imballaggi lavora dal 1999 nella sede principale di Volketswil (ZH): «Sono felice che questo classico abbia una comunità di sostenitori così fedeli. Assieme ai Gipfel al prosciutto le tortine al formaggio sono le star della nostra gamma di prodotti da aperitivo».
pochissimo la ricetta iniziale. L’imballaggio, però, è stato nel frattempo ottimizzato sotto molti aspetti. «Le esigenze riguardanti la confezione aumentano di continuo», dichiara Pfeiffer e aggiunge: «Nel mio lavoro sono sempre alla ricerca di buone idee per affrontare le nuove sfide». Con la sua equipe di cinque persone sviluppa l’involucro ideale per ogni singolo prodotto Jowa. Un imballaggio su misura deve soddisfare numerosi criteri: garantire la conservazione, soddisfare tutte le norme sui generi alimentari, contenere le informazioni più importanti e poter essere compatibile con i macchinari di produzione. Inoltre deve sapersi spiegare da sé ed essere comodo da maneggiare. «Senza dimenticare che le nostre confezioni sono decisive per la scelta del prodotto sugli scaffali», sottolinea Christian Pfeiffer.
Confezionate su misura
Oltre alle accattivanti rielaborazioni del design, negli ultimi decenni la con-
I panettieri della Jowa hanno variato
Cartone anziché alluminio
fezione di tortine al formaggio ha subito altri profondi mutamenti. «Oggi, ad esempio, si punta all’ottimizzazione della sostenibilità», afferma l’esperto. Così già oltre vent’anni fa, Jowa ha sostituito le forme di cottura d’alluminio con quelle di cartone. «Da allora siano riusciti a ridurre di un altro terzo il materiale utilizzato», dice Pfeiffer. Oggi, inoltre, si evita di rivestire di plastica il cartone e tutti i cartoni utilizzati sono certificati FSC, sono cioè prodotti con materia prima rinnovabile proveniente da selvicoltura sostenibile. Queste ottimizzazioni richiedono agli esperti dell’imballaggio molte competenze e idee, ma anche costanza. Precisa Pfeiffer: «L’attuazione di ogni adattamento passa attraverso svariati processi: dalle analisi prescritte per legge ai test di produzione fino alle degustazioni dei prodotti». In questo modo, si garantisce che anche le prossime generazioni possano godersi questo saporito classico.
M–Industria crea numerosi prodotti Migros, tra cui anche le tortine al formaggio M-Classic.
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Idee e acquisti per la settimana
Azione 20X Punti Cumulus sugli skyr e gli skyr-drink fino al 6 novembre
You
Skyr è il nuovo quark Chi viaggia in Islanda si imbatte non solo nei geyser, bensì anche nello skyr. Si tratta di un prodotto caseario, che ricorda il quark magro o lo yogurt denso Testo Dora Horvath
Finalmente lo skyr e lo skyr-drink a marchio «You» possono essere acquistati anche alla Migros. Sono entrambi disponibili in tre differenti varietà. Il tradizionale latticino islandese è ricco di proteine, ma praticamente non contiene grassi. I suoi estimatori apprezzano lo skyr anche per la sua cremosità, la consistenza compatta e la leggera acidulità. La sua consistenza cremosa e il gusto sono da ricondurre alle particolarità del processo di lavorazione che, semplificando, combina le modalità di produzione di uno yogurt denso con quelle di un formaggio fresco o del quark. Ma a differenza del quark magro, lo skyr contiene anche i batteri dello yogurt. Di conseguenza lo skyr non ha un marchio di origine, ma è un prodotto caseario a sé elaborato secondo la ricetta islandese. Per questo motivo lo skyr e lo skyr-drink a marchio «You» possono essere prodotti anche con latte vaccino scremato svizzero. Da noi viene preferito lo skyr al gusto di vaniglia o di frutta. Particolarmente pratici da consumare fuori casa sono le varianti drink, che hanno un contenuto di proteine tra il sei e il sette percento. Lo skyr nella coppetta ha una naturale consistenza più concentrata e un contenuto di proteine tra il dieci e l’unici percento. Un valore leggermente più alto di quello contenuto in un quark magro e fino a tre volte in più di quello di uno yogurt convenzionale. Infine, ma non meno importante, i prodotti non contengono dolcificanti artificiali. iMpuls-suggerimenti di lettura
Perché le proteine sono importanti?
You Skyr Vaniglia 170 g Fr. 1.80
You Skyr Lampone 170 g Fr. 1.80
You Skyr Mango-Frutto della passione 170 g Fr. 1.80
You Skyr Drink Mango 250 ml Fr. 2.20
You Skyr Drink Lampone 250 ml Fr. 2.20
You Skyr Drink Nature 500 ml Fr. 3.60
Sono sempre di più gli alimenti ricchi di proteine presenti sul mercato. Cosa portano le proteine al corpo? Scoprilo su migros-impuls.ch
iMpuls è la nuova iniziativa della Migros in favore della salute.
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Idee e acquisti per la settimana
Azione 20X Punti Cumulus sugli skyr e gli skyr-drink fino al 6 novembre
You
Skyr è il nuovo quark Chi viaggia in Islanda si imbatte non solo nei geyser, bensì anche nello skyr. Si tratta di un prodotto caseario, che ricorda il quark magro o lo yogurt denso Testo Dora Horvath
Finalmente lo skyr e lo skyr-drink a marchio «You» possono essere acquistati anche alla Migros. Sono entrambi disponibili in tre differenti varietà. Il tradizionale latticino islandese è ricco di proteine, ma praticamente non contiene grassi. I suoi estimatori apprezzano lo skyr anche per la sua cremosità, la consistenza compatta e la leggera acidulità. La sua consistenza cremosa e il gusto sono da ricondurre alle particolarità del processo di lavorazione che, semplificando, combina le modalità di produzione di uno yogurt denso con quelle di un formaggio fresco o del quark. Ma a differenza del quark magro, lo skyr contiene anche i batteri dello yogurt. Di conseguenza lo skyr non ha un marchio di origine, ma è un prodotto caseario a sé elaborato secondo la ricetta islandese. Per questo motivo lo skyr e lo skyr-drink a marchio «You» possono essere prodotti anche con latte vaccino scremato svizzero. Da noi viene preferito lo skyr al gusto di vaniglia o di frutta. Particolarmente pratici da consumare fuori casa sono le varianti drink, che hanno un contenuto di proteine tra il sei e il sette percento. Lo skyr nella coppetta ha una naturale consistenza più concentrata e un contenuto di proteine tra il dieci e l’unici percento. Un valore leggermente più alto di quello contenuto in un quark magro e fino a tre volte in più di quello di uno yogurt convenzionale. Infine, ma non meno importante, i prodotti non contengono dolcificanti artificiali. iMpuls-suggerimenti di lettura
Perché le proteine sono importanti?
You Skyr Vaniglia 170 g Fr. 1.80
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You Skyr Drink Mango 250 ml Fr. 2.20
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Sono sempre di più gli alimenti ricchi di proteine presenti sul mercato. Cosa portano le proteine al corpo? Scoprilo su migros-impuls.ch
iMpuls è la nuova iniziativa della Migros in favore della salute.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 30 ottobre 2017 • N. 44
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Idee e acquisti per la settimana
Raccard
Varietà nei tegamini Fondere il formaggio direttamente alla fiamma del camino è ormai quasi solo un nostalgico ricordo. Con l’arrivo dei fornelli elettrici per raclette, il tegamino preparato secondo i gusti personali è diventato la norma per tutti. Questo vale anche per il formaggio da raclette, disponibile in differenti gusti: con pepe, affumicato e – nuovo e solo per breve tempo – con il timo limone. Tutti i tipi di formaggio possono essere personalizzati e fusi a piacimento.
Raccard al pepe Migros Bio 2 x 4 fette, 225 g* Fr. 6.10
Raccard Special Edition affumicato 2 x 4 fette, 225 g* Fr. 5.20
Pepato
Fruttato e raffinato
L’aroma agrodolce delle cipolline si combina alla perfezione con il gusto del Raccard al pepe.
Abbinata a fichi e prosciutto crudo, la raclette du Valais diventa un piacere fruttato.
Raclette Du Valais AOP 2 x 4 fette, 300 g* Fr. 8.80
Gusto di noci Nocciole, noci e funghi intensificano lo speciale aroma del Raccard affumicato.
Freschezza mediterranea La Special Edition con il timo limone sorprende già a partire dal suo fresco aroma.
Raccard Special Edition timo limone 2 x 4 fette, 225 g* Fr. 6.50 *Nelle maggiori filiali
M-Industria crea numerosi prodotti Migros, tra cui anche i formaggi Raccard.
Azione a partire da 2 pezzi
30%
50%
Bresaola della Valtellina IGP in conf. speciale e prosciutto crudo Emilia Romagna, affettato* per es. prosciutto crudo, affettato, Italia, per 100 g, 4.65 invece di 6.70
Tutti i detersivi Total a partire da 2 pezzi, 50% di riduzione
20x PUNTI
Tutti i prodotti Patissier per es. lievito secco in conf. da 3, 3 x 7 g, –.95
30%
2.90 invece di 4.20 Noci Grenoble Francia, imballate, 500 g
25%
5.70 invece di 7.60 Entrecôte di cervo Nuova Zelanda, imballato, per 100 g
Hit
5.50
20% Tutti i croccantini Frey, UTZ per es. al latte finissimo, 115 g, 3.– invece di 3.80
20% Tutte le palline di cioccolato Frey da 500 g, UTZ per es. Giandor al latte, 8.60 invece di 10.80
*In vendita nelle maggiori filiali Migros. Migros Ticino Da tutte le offerte sono esclusi gli articoli M-Budget e quelli già ridotti. OFFERTE VALIDE SOLO DAL 31.10 AL 6.11.2017, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK
Biglietti doppi e buste A6, FSC disponibili in diversi colori, 15 pezzi, offerta valida fino al 25.12.2017
. to a rc e m l a e m o c a z z e La fresch 50%
9.75 invece di 19.50
Consiglio
Pancetta affumicata da cuocere TerraSuisse in conf. speciale (ca. 900 g–1,1 kg), al kg
50%
50%
9.50 invece di 19.–
7.75 invece di 15.50 Prosciutto cotto 1956 Ferrarini Italia, affettato, in conf. da 2 x 120 g / 240 g
Carne macinata di manzo Svizzera/Germania, in conf. da 2 x 500 g / 1 kg
SAPORI MEDITERRANEI L’orata conquista il palato con la sua carne tenera e magra, che conserva intatto il sapore del mare. Cucinata alla mediterranea, con olive e rosmarino, rievoca subito l’atmosfera delle vacanze. Trovate la ricetta su migusto.ch e tutti gli ingredienti freschi alla vostra Migros.
30% Tutti i tipi di orata d’allevamento, Grecia/Croazia, per es. reale, per 100 g, 1.60 invece di 2.30
40% Salmì di capriolo, cotto, 350 g e 600 g Austria, per es. 600 g, 12.90 invece di 21.50
30%
1.40 invece di 2.– Fleischkäse TerraSuisse affettato finemente in conf. speciale per 100 g
30%
3.50 invece di 5.– Salame Strolghino Italia, pezzo da 250 g, per 100 g
Migros Ticino OFFERTE VALIDE SOLO DAL 31.10 AL 6.11.2017, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK
30% Cosce di pollo Optigal speziate e al naturale in conf. speciale Svizzera, per es. al naturale, al kg, 9.– invece di 13.–
40%
2.60 invece di 4.40 Vitello tonnato prodotto in Ticino, in vaschetta, per 100 g
30%
7.20 invece di 10.40 Fettine di pollo alla viennese prodotte in Svizzera con carne di pollo dall’America del Sud, in conf. da 2 x 160 g / 320 g
40%
1.90 invece di 3.20 Filetto di passera MSC Atlantico nord-orientale, per 100 g, fino al 4.11
30%
2.50 invece di 3.60 Ossibuchi di vitello TerraSuisse Svizzera, imballati, per 100 g
30%
4.70 invece di 6.80 Salmone selvatico affumicato Sockeye MSC Alaska, in conf. da 100 g
. to a rc e m l a e m o c a z z e La fresch 50%
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Consiglio
Pancetta affumicata da cuocere TerraSuisse in conf. speciale (ca. 900 g–1,1 kg), al kg
50%
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9.50 invece di 19.–
7.75 invece di 15.50 Prosciutto cotto 1956 Ferrarini Italia, affettato, in conf. da 2 x 120 g / 240 g
Carne macinata di manzo Svizzera/Germania, in conf. da 2 x 500 g / 1 kg
SAPORI MEDITERRANEI L’orata conquista il palato con la sua carne tenera e magra, che conserva intatto il sapore del mare. Cucinata alla mediterranea, con olive e rosmarino, rievoca subito l’atmosfera delle vacanze. Trovate la ricetta su migusto.ch e tutti gli ingredienti freschi alla vostra Migros.
30% Tutti i tipi di orata d’allevamento, Grecia/Croazia, per es. reale, per 100 g, 1.60 invece di 2.30
40% Salmì di capriolo, cotto, 350 g e 600 g Austria, per es. 600 g, 12.90 invece di 21.50
30%
1.40 invece di 2.– Fleischkäse TerraSuisse affettato finemente in conf. speciale per 100 g
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Migros Ticino OFFERTE VALIDE SOLO DAL 31.10 AL 6.11.2017, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK
30% Cosce di pollo Optigal speziate e al naturale in conf. speciale Svizzera, per es. al naturale, al kg, 9.– invece di 13.–
40%
2.60 invece di 4.40 Vitello tonnato prodotto in Ticino, in vaschetta, per 100 g
30%
7.20 invece di 10.40 Fettine di pollo alla viennese prodotte in Svizzera con carne di pollo dall’America del Sud, in conf. da 2 x 160 g / 320 g
40%
1.90 invece di 3.20 Filetto di passera MSC Atlantico nord-orientale, per 100 g, fino al 4.11
30%
2.50 invece di 3.60 Ossibuchi di vitello TerraSuisse Svizzera, imballati, per 100 g
30%
4.70 invece di 6.80 Salmone selvatico affumicato Sockeye MSC Alaska, in conf. da 100 g
33%
3.85 invece di 5.80 Büscion di capra prodotti in Ticino, in conf. da 150 g
20%
2.– invece di 2.50 Furmagèla (formaggella della Leventina) in self-service, per 100 g
35%
Hit
2.90 invece di 4.60
3.50
Pere Kaiser Alexander Svizzera, al kg
Cachi Italia, imballati, 700 g
conf. da 2
15%
3.90 invece di 4.60 Philadelphia in conf. da 2 al naturale, balance e alle erbe aromatiche, per es. al naturale, 2 x 200 g
40%
20%
1.30 invece di 1.65
4.60 invece di 7.80
Tilsiter surchoix per 100 g
conf. da 2
20%
3.90 invece di 4.90 Mezza panna UHT Valflora in conf. da 2 2 x 500 ml
Minestrone alla ticinese Svizzera, imballato, al kg
a partire da 2 pezzi
30%
Mango Spagna/Brasile, per es. a partire da 2 pezzi, 3.60 invece di 5.20, a partire da 2 pezzi, 30% di riduzione
conf. da 2
20%
2.55 invece di 3.20 Pane Passione rustico TerraSuisse 380 g
Migros Ticino OFFERTE VALIDE SOLO DAL 31.10 AL 6.11.2017, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK
20%
6.40 invece di 8.– Formentino Anna’s Best in conf. da 2 2 x 120 g
40%
2.30 invece di 3.90 Patate resistenti alla cottura Svizzera, in busta, 2,5 kg
35%
1.60 invece di 2.60 Peperoni misti Paesi Bassi, 500 g
30%
13.90 invece di 19.90 Minirose Fairtrade, mazzo da 30 disponibili in diversi colori, lunghezza dello stelo 40 cm, per es. gialle, arancioni e rosse
33%
3.85 invece di 5.80 Büscion di capra prodotti in Ticino, in conf. da 150 g
20%
2.– invece di 2.50 Furmagèla (formaggella della Leventina) in self-service, per 100 g
35%
Hit
2.90 invece di 4.60
3.50
Pere Kaiser Alexander Svizzera, al kg
Cachi Italia, imballati, 700 g
conf. da 2
15%
3.90 invece di 4.60 Philadelphia in conf. da 2 al naturale, balance e alle erbe aromatiche, per es. al naturale, 2 x 200 g
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4.60 invece di 7.80
Tilsiter surchoix per 100 g
conf. da 2
20%
3.90 invece di 4.90 Mezza panna UHT Valflora in conf. da 2 2 x 500 ml
Minestrone alla ticinese Svizzera, imballato, al kg
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conf. da 2
20%
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Migros Ticino OFFERTE VALIDE SOLO DAL 31.10 AL 6.11.2017, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK
20%
6.40 invece di 8.– Formentino Anna’s Best in conf. da 2 2 x 120 g
40%
2.30 invece di 3.90 Patate resistenti alla cottura Svizzera, in busta, 2,5 kg
35%
1.60 invece di 2.60 Peperoni misti Paesi Bassi, 500 g
30%
13.90 invece di 19.90 Minirose Fairtrade, mazzo da 30 disponibili in diversi colori, lunghezza dello stelo 40 cm, per es. gialle, arancioni e rosse
. io rm a p s ri i d à it il ib s s o Ancora più p conf. da 2
20%
Consiglio
Focaccia alsaziana originale in conf. da 2 per es. grande, 2 x 350 g, 7.80 invece di 9.80
Hit
3.90
Berliner 6 pezzi, 6 x 70 g
30% Tutti i caffè in chicchi e macinati per es. Boncampo Classico, UTZ, 500 g, 3.35 invece di 4.80
VIAGGIO CULINARIO IN GIAPPONE Il sushi è un invito a partire per un viaggio culinario in Estremo Oriente. E a fargli da preludio o da contorno, ecco gli edamame al sale marino, pronti in cinque minuti. Trovate la ricetta su migusto.ch e tutti gli ingredienti freschi alla vostra Migros.
20% Tutti i sushi e tutte le specialità giapponesi per es. Maki Mix, tonno: pesca, Filippine; salmone: d’allevamento, Norvegia, 200 g, 7.10 invece di 8.90
Hit
3.50
Zuppe Knorr in conf. da 3 per es. crema di funghi porcini, 3 x 56 g
conf. da 2
40% Tortellini M-Classic in conf. da 2 2 x 500 g, per es. Tre colori al basilico, 7.– invece di 11.80
conf. da 2
20% Fondue Swiss Style moitié-moitié e Tradition in conf. da 2 2 x 800 g, per es. moitié-moitié, 22.40 invece di 28.–
OFFERTE VALIDE SOLO DAL 31.10 AL 6.11.2017, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK
20% Tutto il pane Happy Bread, TerraSuisse per es. scuro, 350 g, 1.90 invece di 2.40
conf. da 3
33% Rocher e Carré ChocMidor in conf. da 3 per es. Carré, 3 x 100 g, 6.20 invece di 9.30
50%
2.85 invece di 5.70 Vittel in conf. da 6, 6 x 1,5 l
20% Tutti i prodotti di pasticceria nella varietà Foresta nera per es. torta Foresta nera, 2 pezzi, 2 x 122 g, 4.20 invece di 5.30
20% Tutti i caffè istantanei in bustina per es. Cafino Classic, UTZ, 550 g, 8.80 invece di 11.–
50% Tutti i tipi di Pepsi e Schwip Schwap in conf. da 6, 6 x 1,5 l per es. Pepsi Max, 5.50 invece di 11.–
. io rm a p s ri i d à it il ib s s o Ancora più p conf. da 2
20%
Consiglio
Focaccia alsaziana originale in conf. da 2 per es. grande, 2 x 350 g, 7.80 invece di 9.80
Hit
3.90
Berliner 6 pezzi, 6 x 70 g
30% Tutti i caffè in chicchi e macinati per es. Boncampo Classico, UTZ, 500 g, 3.35 invece di 4.80
VIAGGIO CULINARIO IN GIAPPONE Il sushi è un invito a partire per un viaggio culinario in Estremo Oriente. E a fargli da preludio o da contorno, ecco gli edamame al sale marino, pronti in cinque minuti. Trovate la ricetta su migusto.ch e tutti gli ingredienti freschi alla vostra Migros.
20% Tutti i sushi e tutte le specialità giapponesi per es. Maki Mix, tonno: pesca, Filippine; salmone: d’allevamento, Norvegia, 200 g, 7.10 invece di 8.90
Hit
3.50
Zuppe Knorr in conf. da 3 per es. crema di funghi porcini, 3 x 56 g
conf. da 2
40% Tortellini M-Classic in conf. da 2 2 x 500 g, per es. Tre colori al basilico, 7.– invece di 11.80
conf. da 2
20% Fondue Swiss Style moitié-moitié e Tradition in conf. da 2 2 x 800 g, per es. moitié-moitié, 22.40 invece di 28.–
OFFERTE VALIDE SOLO DAL 31.10 AL 6.11.2017, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK
20% Tutto il pane Happy Bread, TerraSuisse per es. scuro, 350 g, 1.90 invece di 2.40
conf. da 3
33% Rocher e Carré ChocMidor in conf. da 3 per es. Carré, 3 x 100 g, 6.20 invece di 9.30
50%
2.85 invece di 5.70 Vittel in conf. da 6, 6 x 1,5 l
20% Tutti i prodotti di pasticceria nella varietà Foresta nera per es. torta Foresta nera, 2 pezzi, 2 x 122 g, 4.20 invece di 5.30
20% Tutti i caffè istantanei in bustina per es. Cafino Classic, UTZ, 550 g, 8.80 invece di 11.–
50% Tutti i tipi di Pepsi e Schwip Schwap in conf. da 6, 6 x 1,5 l per es. Pepsi Max, 5.50 invece di 11.–
conf. da 3
30%
20%
Tutto l’assortimento Thai Kitchen, Saitaku Tutto l’assortimento di patate Delicious e Kikkoman prodotti surgelati, per es. Pommes Duchesse, 600 g, per es. salsa di soia Kikkoman, 500 ml, 4.45 invece di 3.20 invece di 4.60 5.60
conf. da 2
20% Chips Zweifel in conf. da 2 per es. Moutarde, 2 x 170 g, 6.30 invece di 7.90
20% Tutto l’assortimento Kellogg’s per es. Special K Classic, 500 g, 3.80 invece di 4.75
33% Gallette al granoturco Lilibiggs, gallette di riso allo yogurt e gallette di riso al cioccolato in conf. da 3 per es. gallette di riso al cioccolato, 3 x 100 g, 3.10 invece di 4.65
conf. da 3
25% Biscotti Walkers in conf. da 3 Shortbread Highlanders, Chocolate Chip Shortbread e Belgian Chocolate Chunk, per es. Chocolate Chip Shortbread, 3 x 175 g, 9.95 invece di 14.40
conf. da 3
30%
4.05 invece di 5.85 Rösti Original in conf. da 3 3 x 500 g
50%
8.10 invece di 16.20 Hamburger M-Classic surgelati, 12 x 90 g
conf. da 6
40%
3.60 invece di 6.– Pomodori tritati Longobardi in conf. da 6 6 x 280 g
conf. da 2 a partire da 2 confezioni
– .5 0
di riduzione l’una Tutto l’assortimento Salsa all’italiana a partire da 2 confezioni, –.50 di riduzione l’una, per es. alla napoletana, 250 ml, 1.10 invece di 1.60
a partire da 3 confezioni
50% Patate fritte e patate fritte al forno M-Classic in conf. speciale surgelate, 2 kg, per es. patate fritte, 3.90 invece di 7.85
OFFERTE VALIDE SOLO DAL 31.10 AL 6.11.2017, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK
50%
Tutti i tipi di zucchero fino cristallizzato da 1 kg a partire da 3 confezioni, 50% di riduzione
30%
10.20 invece di 14.60 Tortine al formaggio M-Classic in conf. da 2 surgelate, 2 x 12 pezzi
50% Tutto l’assortimento di padelle Greenpan in acciaio inox, indicate anche per i fornelli a induzione, per es. padella a bordo basso Miami Marathon, Ø 28 cm, il pezzo, 29.50 invece di 59.–, offerta valida fino al 13.11.2017
20%
10.40 invece di 13.– Exelia in conf. da 2 e in conf. speciale per es. Unicorn in conf. speciale, 3 l, offerta valida fino al 13.11.2017
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Altre offerte. Frutta e verdura
Fiori e piante
Sanbittèr San Pellegrino in conf. da 10, 10 x 10 cl, 5.90 invece di 7.40 20%
Dispenser per sapone ai fiori di mandorlo Kneipp, 250 ml, 4.50 Novità **
Near Food/Non Food Cavoletti di Bruxelles, Svizzera, in busta da 500 g, 2.20 invece di 3.30 33%
Pesce, carne e pollame
30%
Cosce di pollo speziate, Svizzera, cotte al grill, per 100 g, 1.60 invece di 2.– 20% Disponibile nelle filiali con grill Aletta di manzo, Svizzera, al banco a servizio, per 100 g, 2.20 invece di 2.80 20%
Carta igienica Hakle in conf. speciale per es. pulizia trattante, FSC, 24 rotoli, 15.85 invece di 22.65
Olio secco nutriente Kneipp, 100 ml, 12.80 Novità ** Lame di ricambio Wilkinson con rasoio in omaggio, Protector 3 o Hydro 5, 4 lame, per es. Hydro 5, 10.70 Hit ** Tutti i prodotti per la cura dei bebè e i detersivi Milette (confezioni multiple escluse), a partire da 2 pezzi 20% **
Risoletto e Mahony in confezioni multiple, UTZ, per es. mini Risoletto Classic, 840 g, 11.70 invece di 16.80 30% Mister Rice Basmati, bio, 1 kg + 30% gratis, 5.40 Hit Pizza Antipasti o Salame Calabrese Casa Giuliana in conf. da 2, surgelata, per es. Antipasti, 2 x 350 g, 5.90 invece di 11.80 50%
Pane e latticini
Crema per le mani all’albicocca ad efficacia immediata Kneipp, 75 ml, 5.90 Novità **
Phalaenopsis, 2 steli in conf. da 2, vaso da 12 cm, disponibile in diversi colori, per es. fucsia, 19.90 invece di 33.20 40%
Altri alimenti
Tutti gli alimenti secchi Vital Balance, a partire da 2 pezzi 20% Prodotti Axe in confezioni multiple, per es. deodorante aerosol Africa in conf. da 2, 2 x 150 ml, 7.40 invece di 9.30 20% **
20x PUNTI
Novità
M-Drink UHT in conf. da 4, bio, 4 x 1 l, 5.90 invece di 7.40 20% *
a partire da 2 pezzi
20%
Tutti i prodotti I am men, Nivea Men e L’Oréal Men Expert (prodotti per la doccia, deodoranti e shampoo esclusi), a partire da 2 pezzi, 20% di riduzione
conf. da 2
20%
Birchermüesli in conf. da 3, 3 x 200 g, per es. Classic, 4.20 invece di 5.25 20%
40%
Ravioli alla napoletana e alla bolognese M-Classic in conf. da 4, per es. alla napoletana, 4 x 870 g, 9.20 invece di 11.60 20% Tutti i succhi di mela da 1,5 l e da 6 x 1,5 l (Alnatura esclusi), per es. succo di mela diluito frizzante TerraSuisse, 1,5 l, 1.75 invece di 2.20 20%
Tutto l’assortimento di reggiseni, biancheria intima e per la notte da donna Prodotti Taft Styling in conf. da 2 per es. spray per capelli Ultra, 2 x 250 ml, 5.75 invece (articoli Mey esclusi), il pezzo, per es. slip maxi Ellen Amber, bianchi, tg. S, Bio Cotton, 5.85 invece di 9.80 di 7.20
Bagnoschiuma rilassante Kneipp, 400 ml, 5.90 Novità ** Bagnoschiuma bagno di coccole Kneipp, 400 ml, 5.90 Novità ** Essenza da bagno al bergamotto Kneipp, 100 ml, 7.90 Novità ** Essenza da bagno al pino Kneipp, 100 ml, 7.90 Novità ** Maschere all’argilla Zoé Cleansing, 20 ml, per es. maschera per affinare i pori, 4.90 Novità ** Yogurt bio more-vaniglia, Special Edition, 150 g, –.85 Novità ** Yogurt di stagione alla pera Williams, 180 g, –.70 Novità ** Hummus con barbabietole Anna’s Best Vegi, 175 g, 3.60 Novità **
Cioccolato da cucina M-Classic da 200 g in conf. da 3, UTZ, 3 x 200 g, 3.50 invece di 5.25 33% Confetture Extra in conf. da 2, alle arance amare, ai lamponi o alle fragole, per es. alle arance amare, 2 x 500 g, 2.90 invece di 4.20 30%
Sapone ai fiori di mandorlo Kneipp in conf. di ricarica, 400 ml, 5.50 Novità **
Stollen, disponibile in diverse varietà, per es. al sapore di mela al forno, 500 g, 4.50 Novità ** Detergente per stoviglie Migros Plus, Sensitive, aha!, 750 ml, 3.60 Novità ** Burt’s Bees flavor crystals lip balm tropical pineapple, 4,53 g, 5.90 Novità **
Attorcigliato d’autunno, 340 g, 3.60 Novità ** Petto di pollo mini Max, 80 g, 3.60 Novità ** Rotolini da masticare al pollo Max, 120 g, 4.70 Novità ** Ossi nodati da masticare con pollo Max, 60 g, 2.40 Novità ** Stick di rumine di manzo Max, 100 g, 4.80 Novità ** Asco Fit by Nature con manzo, alimento secco, 3 kg, 11.50 Novità *,**
*In vendita nelle maggiori filiali Migros. **Offerta valida fino al 13.11 Migros Ticino OFFERTE VALIDE SOLO DAL 31.10 AL 6.11.2017, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK
NOVITÀ
20%
Riduzione
100.–
50%
149.– invece di 298.– Piumino 4 stagioni Manu 50% piumino d’anatra, 50% piumette d’anatra, 2 x 160 x 210 cm
Con spazzola per pavimenti duri
20% Tutti gli Huggies DryNites e Little Swimmers per es. DryNites Girl, 4–7 anni, confezione, 10 pezzi, 10.20 invece di 12.80
Hit
14.90
Pigiama per bambini con motivo natalizio disponibile in diverse misure, per es. tg. 98/104
Prezzo di lancio
199.– Dopo 299.–
m
9c
| 13
Ora
1999.– Finora 2499.–
Aspirapolvere UltraSilencer EUS8X2DB
Televisore OLED 4K – UHD 55POS9002
Potenza motore 700 W, raggio d’azione di 12 m, solo 61 dB, bocchetta combinata 3 in 1 nell’impugnatura: bocchetta a lancia, per poltrone e pennello per polvere – 7171.718
Sintonizzatore DVB-T2/C/S2 CI+, Ultra HD Premium, High Dynamic Range Perfect, Smart TV, processore Quad-Core, WLAN integrato, 4 prese HDMI, 2 prese USB – 7703.402
Le offerte sono valide fino al 6.11.2017 e fino a esaurimento dello stock. Trovi questi e molti altri prodotti nei punti vendita melectronics e nelle maggiori filiali Migros. Con riserva di errori di stampa e di altro tipo.
OFFERTE VALIDE SOLO DAL 31.10 AL 13.11.2017, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK
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Altre offerte. Frutta e verdura
Fiori e piante
Sanbittèr San Pellegrino in conf. da 10, 10 x 10 cl, 5.90 invece di 7.40 20%
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Cosce di pollo speziate, Svizzera, cotte al grill, per 100 g, 1.60 invece di 2.– 20% Disponibile nelle filiali con grill Aletta di manzo, Svizzera, al banco a servizio, per 100 g, 2.20 invece di 2.80 20%
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Olio secco nutriente Kneipp, 100 ml, 12.80 Novità ** Lame di ricambio Wilkinson con rasoio in omaggio, Protector 3 o Hydro 5, 4 lame, per es. Hydro 5, 10.70 Hit ** Tutti i prodotti per la cura dei bebè e i detersivi Milette (confezioni multiple escluse), a partire da 2 pezzi 20% **
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Phalaenopsis, 2 steli in conf. da 2, vaso da 12 cm, disponibile in diversi colori, per es. fucsia, 19.90 invece di 33.20 40%
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Bagnoschiuma rilassante Kneipp, 400 ml, 5.90 Novità ** Bagnoschiuma bagno di coccole Kneipp, 400 ml, 5.90 Novità ** Essenza da bagno al bergamotto Kneipp, 100 ml, 7.90 Novità ** Essenza da bagno al pino Kneipp, 100 ml, 7.90 Novità ** Maschere all’argilla Zoé Cleansing, 20 ml, per es. maschera per affinare i pori, 4.90 Novità ** Yogurt bio more-vaniglia, Special Edition, 150 g, –.85 Novità ** Yogurt di stagione alla pera Williams, 180 g, –.70 Novità ** Hummus con barbabietole Anna’s Best Vegi, 175 g, 3.60 Novità **
Cioccolato da cucina M-Classic da 200 g in conf. da 3, UTZ, 3 x 200 g, 3.50 invece di 5.25 33% Confetture Extra in conf. da 2, alle arance amare, ai lamponi o alle fragole, per es. alle arance amare, 2 x 500 g, 2.90 invece di 4.20 30%
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Attorcigliato d’autunno, 340 g, 3.60 Novità ** Petto di pollo mini Max, 80 g, 3.60 Novità ** Rotolini da masticare al pollo Max, 120 g, 4.70 Novità ** Ossi nodati da masticare con pollo Max, 60 g, 2.40 Novità ** Stick di rumine di manzo Max, 100 g, 4.80 Novità ** Asco Fit by Nature con manzo, alimento secco, 3 kg, 11.50 Novità *,**
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Con spazzola per pavimenti duri
20% Tutti gli Huggies DryNites e Little Swimmers per es. DryNites Girl, 4–7 anni, confezione, 10 pezzi, 10.20 invece di 12.80
Hit
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Dal sapore fresco e speziato.
6.50 Raccard al timo limone Special Edition, 225 g
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4.90 Maccheroni dell’alpigiano* surgelati, 500 g
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Il classico greco.
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17.80 Siero Ultra Sensitive Anti-Age Zoé, aha! 30 ml
Riduce macchie e alterazioni cutanee.
18.80 Concentrato Zoé Revital antimacchie 30 ml
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13.90 Detersivo Elan Alpine Flowers 2l
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 30 ottobre 2017 • N. 44
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Idee e acquisti per la settimana
Mondo animale
Per saperne di più
Umido o secco?
I gatti e la loro alimentazione «Miaaoooo!» Quando chiedono cibo, i gatti miagolano a una frequenza compresa tra i 300 e i 600 hertz. Una intensità sonora quasi uguale a quella di un bambino appena nato che piange per la fame.
Per i gatti sono adatti i mangimi pronti. Alcuni tra loro preferiscono gli alimenti secchi, altri amano i cibi umidi, altri ancora mangiano entrambi con piacere. Tutti quelli che hanno un gatto da nutrire trovano qui indicazioni che aiutano nella scelta Testo Melanie Michael
I vantaggi degli alimenti umidi
1
L’elevato contenuto di acqua fornisce agli animali sufficiente idratazione.
2
La struttura morbida è particolarmente adatta per i gatti con problemi ai denti o alla mascella.
3
Molti gatti li preferiscono per il loro gusto più intenso.
4
Spesso la confezione contiene il giusto quantitativo per una porzione.
5
Le differenti composizioni dei bocconcini di cibo assicurano varietà nella ciotola.
Più cibo, per favore! I gatti sono diventati domestici poiché vicino agli esseri umani è sempre stato più facile trovare cibo.
I vantaggi degli alimenti secchi
1
Banchetto con topi Per coprire il proprio fabbisogno calorico con i topi, un gatto dovrebbe mangiarne tra gli 8 e i 15 al giorno. Un topo ha circa 30 chilocalorie. Fonte: Neon/Stern
La loro consistenza favorisce la pulizia dei denti.
2
Il mangime si conserva a lungo anche dopo l’apertura della confezione.
3
I gatti più sensibili agli odori gradiscono maggiormente i cibi secchi, dal momento che la loro fragranza è meno intensa.
4
Mangiando cibo secco si allena la muscolazione masticatoria.
5
È facile preparare quantità ridotte di croccantini, che possono essere distribuite in più ciotole.
Vital Balance Natural Selection Pollo cibo secco, 350 g Fr. 3.80
Vital Balance Sensitive tonno cibo umido, 4 x 85 g Fr. 3.90
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 30 ottobre 2017 • N. 44
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 30 ottobre 2017 • N. 44
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Idee e acquisti per la settimana
Le calze e le calzamaglie in lana di Ellen Amber e John Adams sono l’ideale per le giornate fredde e umide, dal momento che la lana non solo mantiene il calore, ma assorbe bene anche l’umidità. I prodotti «Keep Warm» sono invece realizzati sulla base di una speciale tecnologia di fibre con piccole camere d’aria, che trasportano l’umidità all’esterno.
Ellen Amber e John Adams
Per piedi piacevolmente caldi Con le pantofole imbottite, i calzini e le calze in materiali caldi di Ellen Amber e John Adams i piedi freddi non sono più un problema
Foto Juventino Mateo; Styling Mirjam Käser
I piedi freddi compromettono il benessere. Ma è bene sapere che a ciò si può rapidamente rimediare indossando delle calze, che devono essere spesse e vestire morbidamente. In caso contrario i vasi sanguigni si restringono, ciò che può impedire ai piedi di scaldarsi.
Ellen Amber Pantofole da donna ballerina taglie 36-41 Fr. 24.80
Ellen Amber Pantofole da donna stivaletto taglie 36-41 Fr. 29.80
John Adams Pantofole da uomo taglie 40-45 Fr. 24.80
John Adams Calze da uomo Cotton & Wool taglie 39-42, 43-46, diversi colori* Fr. 7.90
John Adams Calze da uomo Trekking taglie 39-40, 41-42, 43-44, 45-46, diversi colori Fr. 12.80
Ellen Amber Collant da donna Wool taglie S-XL, diversi colori* Fr. 14.80
Ellen Amber Keep Warm collant da donna taglie S-XL, diversi colori* Fr. 17.80
Ellen Amber Keep Warm Calze da donna Roll Up taglie 35-38 e 39-42, diversi colori* Fr. 9.80
*Nelle maggiori filiali
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 30 ottobre 2017 • N. 44
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Idee e acquisti per la settimana
Le calze e le calzamaglie in lana di Ellen Amber e John Adams sono l’ideale per le giornate fredde e umide, dal momento che la lana non solo mantiene il calore, ma assorbe bene anche l’umidità. I prodotti «Keep Warm» sono invece realizzati sulla base di una speciale tecnologia di fibre con piccole camere d’aria, che trasportano l’umidità all’esterno.
Ellen Amber e John Adams
Per piedi piacevolmente caldi Con le pantofole imbottite, i calzini e le calze in materiali caldi di Ellen Amber e John Adams i piedi freddi non sono più un problema
Foto Juventino Mateo; Styling Mirjam Käser
I piedi freddi compromettono il benessere. Ma è bene sapere che a ciò si può rapidamente rimediare indossando delle calze, che devono essere spesse e vestire morbidamente. In caso contrario i vasi sanguigni si restringono, ciò che può impedire ai piedi di scaldarsi.
Ellen Amber Pantofole da donna ballerina taglie 36-41 Fr. 24.80
Ellen Amber Pantofole da donna stivaletto taglie 36-41 Fr. 29.80
John Adams Pantofole da uomo taglie 40-45 Fr. 24.80
John Adams Calze da uomo Cotton & Wool taglie 39-42, 43-46, diversi colori* Fr. 7.90
John Adams Calze da uomo Trekking taglie 39-40, 41-42, 43-44, 45-46, diversi colori Fr. 12.80
Ellen Amber Collant da donna Wool taglie S-XL, diversi colori* Fr. 14.80
Ellen Amber Keep Warm collant da donna taglie S-XL, diversi colori* Fr. 17.80
Ellen Amber Keep Warm Calze da donna Roll Up taglie 35-38 e 39-42, diversi colori* Fr. 9.80
*Nelle maggiori filiali
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 30 ottobre 2017 • N. 44
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 30 ottobre 2017 • N. 44
67
Idee e acquisti per la settimana
Total
Pronti per il duello
Azione 50%
Ecco i vincitori del concorso fotografico Total! La giuria ha scelto le foto delle famiglie Good e Lanzrein. Ci congratuliamo con loro in attesa della Total-Battles 2018, dove si affronteranno in gare di lavaggio
di sconto su tutti i detersivi Total all’acquisto di due prodotti
Testo Heidi Bacchilega; Foto Paolo Dutto
dal 31.10 al 06.11
Total Express White 1,32 l Fr. 15.90
Total Aloe Vera 2 l Fr. 15.90
Total Color 2,475 kg Fr. 15.90
Famiglia Lanzrein
Famiglia Good
«Mio marito stira»
«Divertente e spontaneo»
La foto dei vincitori: Fabio, Olivia e Sophia Good su una montagna di biancheria.
Lunedì è giorno di bucato per la famiglia Good di Unterentfelden, in Argovia. È mamma Stephanie, di 41 anni, a occuparsi della biancheria da lavare. La sera papà Jürg, 46 anni, con i tre figli Fabio, Olivia e Sophia, di 9, 8 e 6 anni, sono incaricati di raccogliere la biancheria pulita. «Le nostre giornate sono spesso divertenti e spontanee, ma talvolta anche chiassose e caotiche», racconta mamma Stephanie, ingegnere alimentare, la quale ha fissato regole per ogni bambino, anche riguardo al tempo da trascorrere
davanti al televisore e ai giochi elettronici. Per una giornata senza intoppi ci vuole una puntuale pianificazione. Jürg lavora part-time come sviluppatore di software e può dedicare il venerdì ai figli e alla moglie. «Con la vincita acquisteremo una nuova lavatrice; la nostra ha ormai 23 anni», afferma Jürg. I Good non vedono l’ora di affrontare la «battaglia» con la famiglia Lanzrein. Naturalmente sperano di trionfare, anche se, conclude Stephanie: «La cosa più importante è divertirsi tutti quanti».
Susanne Lanzrein, 41 anni, di Aarbon nel canton Turgovia ha letto del concorso fotografico Total sulla stampa Migros. La sportiva mamma del piccolo Giulio di 2 anni è, come suo marito Adrian (53 anni), un appassionata velista e spesso tutta la famiglia naviga sul Lago di Costanza. A casa Lanzrein è Susanne che prepara la lavatrice per il bucato, lava e stende, mentre, spiega «mio marito si occupa di stirare le proprie camicie, compito che d’altronde ha sempre svolto». Che la stiratura possa essere anche una sfida in cui Adrian riesca a distinguersi? Fiducioso, termina dicendo: «Siamo assolutamente pronti e felici di confrontarci con la famiglia Good».
Total Multicaps 28 pezzi Fr. 15.90
La foto dei vincitori: il piccolo Giulio, con i genitori Adrian e Susanne, ha convinto la giuria con il suo bellissimo sorriso. M-Industria crea numerosi prodotti Migros, tra cui anche i detersivi Total.
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Ecco i vincitori del concorso fotografico Total! La giuria ha scelto le foto delle famiglie Good e Lanzrein. Ci congratuliamo con loro in attesa della Total-Battles 2018, dove si affronteranno in gare di lavaggio
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Testo Heidi Bacchilega; Foto Paolo Dutto
dal 31.10 al 06.11
Total Express White 1,32 l Fr. 15.90
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Famiglia Lanzrein
Famiglia Good
«Mio marito stira»
«Divertente e spontaneo»
La foto dei vincitori: Fabio, Olivia e Sophia Good su una montagna di biancheria.
Lunedì è giorno di bucato per la famiglia Good di Unterentfelden, in Argovia. È mamma Stephanie, di 41 anni, a occuparsi della biancheria da lavare. La sera papà Jürg, 46 anni, con i tre figli Fabio, Olivia e Sophia, di 9, 8 e 6 anni, sono incaricati di raccogliere la biancheria pulita. «Le nostre giornate sono spesso divertenti e spontanee, ma talvolta anche chiassose e caotiche», racconta mamma Stephanie, ingegnere alimentare, la quale ha fissato regole per ogni bambino, anche riguardo al tempo da trascorrere
davanti al televisore e ai giochi elettronici. Per una giornata senza intoppi ci vuole una puntuale pianificazione. Jürg lavora part-time come sviluppatore di software e può dedicare il venerdì ai figli e alla moglie. «Con la vincita acquisteremo una nuova lavatrice; la nostra ha ormai 23 anni», afferma Jürg. I Good non vedono l’ora di affrontare la «battaglia» con la famiglia Lanzrein. Naturalmente sperano di trionfare, anche se, conclude Stephanie: «La cosa più importante è divertirsi tutti quanti».
Susanne Lanzrein, 41 anni, di Aarbon nel canton Turgovia ha letto del concorso fotografico Total sulla stampa Migros. La sportiva mamma del piccolo Giulio di 2 anni è, come suo marito Adrian (53 anni), un appassionata velista e spesso tutta la famiglia naviga sul Lago di Costanza. A casa Lanzrein è Susanne che prepara la lavatrice per il bucato, lava e stende, mentre, spiega «mio marito si occupa di stirare le proprie camicie, compito che d’altronde ha sempre svolto». Che la stiratura possa essere anche una sfida in cui Adrian riesca a distinguersi? Fiducioso, termina dicendo: «Siamo assolutamente pronti e felici di confrontarci con la famiglia Good».
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Idee e acquisti per la settimana
Exelia
Oh, quant’è dolce! Nel mondo delle fiabe all’unicorno sono attribuite forze magiche. Nessuna magia per il nuovo ammorbidente Exelia, che in compenso ha poteri protettivi. È disponibile solo per un breve periodo e seduce con il suo gradevole profumo dolce e fruttato. Il balsamo ammorbidente protegge i tessuti dall’usura, lascia il bucato piacevolmente profumato e previene le cariche elettrostatiche. In qualche modo è comunque magico, non è vero?
*Azione 20% di sconto su Exelia in confezione doppia e Exelia Unicorn 3l dal 31.10 al 13.11 fino a esaurimento dello stock
L’unicorno scintillante con l’arcobaleno è un adesivo che può essere staccato dalla confezione e incollato altrove.
Exelia Ammorbidente Unicorn 3 l Fr. 10.40* invece di 13.–
M-Industria crea numerosi prodotti Migros, tra cui anche gli ammorbidenti Exelia.
LA STORYMANIA CONTINUA! Assicurati ancor più personaggi.
RACCOGLII ANCORA
I N I L L O B O AL 6.11 FIN
AUDIOSTORIE: ECCO COME FARE
Posiziona il personaggio sul box audio oppure scannerizzalo con lo smartphone o il tablet nell’app Migros Play e comincia! Basta seguire le istruzioni passo a passo su storymania.ch. La StoryMania viene prolungata di una settimana e con essa anche le tue possibilità di raccogliere altri fantastici audiopersonaggi. Assicurati quindi entro il 6.11.2017 un bollino ogni fr. 20.– spesi per portarti a casa entro il 13.11.2017 un audiopersonaggio consegnando la cartolina di raccolta completa. Maggiori informazioni su storymania.ch
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Idee e acquisti per la settimana
Passion
Con l’aroma della stagione Due volte l’anno, in primavera e in autunno, Passion Joghurt prepara dei prodotti di stagione. Con un nuovo attraente design del coperchio e del vasetto, nei banchi frigo di Migros, saranno disponibili due yogurt in edizione limitata ai gusti Caco-Mandarino e Mandorla-Caramello. Due irresistibili piaceri per il palato che oltre alla delicata cremosità, hanno un sapore tutto autunnale e contengono tantissimi pezzetti di frutta. Tutti gli yogurt della linea Passion Joghurt sono prodotti in Svizzera con latte vaccino svizzero.
M-Industria crea numerosi prodotti Migros, tra cui anche i Passion Joghurt.
Passion Joghurt Special Edition Mandorla-Caramello 180 g Fr. 1–
Passion Joghurt Special Edition Caco-Mandarino 180 g Fr. 1– Annuncio pubblicitario
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Il contenuto del calendario è adatto ai bambini a partire da 3 anni. Su famigros.ch/calendario-dell-avvento trovi tutte le informazioni in merito al concorso. Il termine di partecipazione è il 9 novembre 2017.