AZIONEPUNTOZERO Bollettino attività mese: Settembre 2014
115 anni dalla nascita di Corneliu Zelea Codreanu – Seguire gli esempi per essere esempio (13-IX-2014) Oggi celebriamo i 115 anni dalla nascita di Corneliu Zelea Codreanu, una guida, punto di riferimento ed esempio da seguire, per tutti coloro che hanno deciso di reagire di fronte alla decadenza democratica che sta assalendo l’Europa. Nonostante non manchino persone che ancora vedono nel Capitano solamente un personaggio storico sopra cui speculare con sterili dibattiti da salotto, noi insistiamo nel ricordare l’Esempio di un Uomo che ha donato la propria vita per affermare, non solo nel proprio popolo, la supremazia dei principi spirituali contro il materialismo dilagante, collettivista o liberale. Nei suoi scritti, in cui sono raccolte le memorie per la trasmissione e la testimonianza di conoscenze dottrinarie e operative, Corneliu Zelea Codreanu insegna come la più grande forma di eroismo sia la costanza nella lotta, indicando come criterio di differenziazione degli uomini: l’agire sacro, in altre parole, il sacrificio. I suoi libri, tra cui il “Capo di Cuib” che è quello più immediato per quel che riguarda la militanza in senso stretto, mettono in guardia contro lo sguazzare dei democratici in formule giuridiche e programmi partitici che perdono di vista innanzitutto Dio e poi l’uomo, vero perno di un reale cambiamento. Solo ritornando da una condizione subumana, in cui ci troviamo attualmente, a quella di uomo, mediante un continuo lavoro su di sé volto al rispetto e alla costanza, verso le cose semplici come la puntualità e il dominio della materia per mezzo dello spirito, si può aspirare a diventare degli uomini nuovi. Uomini rinnovati spiritualmente, come condizione imprescindibile per essere argine nel processo di decadenza europea. Azione Punto Zero
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Dopo l’8 Settembre, non ci siamo mai fermati... In questo 8 settembre, data fatale, ricordiamo amaramente il meschino tradimento del 1943 che si profilava in Italia già da molto tempo, ad opera di individui che subdolamente trattavano nell’ombra, “cucinando” l’armistizio. Nell’analisi dei fatti accaduti, ci si vuole concentrare sull’essenziale: “Se il soggetto della storia è l’uomo, non si può scrivere la storia se non prendendo le mosse da una concezione reale ed oggettiva dell’uomo stesso.”[1] Va ricercata quindi in primis negli Italiani e nel loro modo d’essere la spaccatura interna che divise il Paese che per vent’anni risultò esempio in un mondo disastrato dalla crisi economico-finanziaria.. Il popolo italiano, come delinea perfettamente Evola, è sempre stato diviso, una divisione da intendersi non tanto in termini antropologici, o geografici quanto più in termini di differenze di stile: composto da gente storicamente capace di atti d’eroismo estremo, come da gente capace delle vigliaccherie e delle furberie più indegne. Troviamo quindi in esso la componente solare, virile e ario-romana e la controparte lunare, tellurica e mediterranea. Lo stile ario-romano è riscontrabile in coloro i quali, nobili d’animo, riconoscono che la componente fisico-animica può essere “guidata” e domata dallo spirito, il quale a sua volta, è solo la propaggine di un’ordine universale ed eterno. L’uomo in questione si dà una forma, e trova nell’agire quotidiano pienezza e compiutezza. In questo senso, chi per stile è romano agisce in modo sicuro, sereno e distaccato sapendo che quell’azione è retta perché di per sé sacra e giusta, riconoscendo perché ne ha la sensibilità, il modo giusto d’agire, e si dà conseguentemente un limite. Uomo è chi non si piega dunque, ad abbandonarsi a determinati atteggiamenti per non disonorarsi, rifiuta le bassezze, i furti, le furberie e tiene “botta”, sempre. La controparte mediterranea e lunare vede invece nello stile una priorità di tutto ciò che è l’esaltazione dell’esteriorità del gesto, che acquista importanza solamente se visto e apprezzato da altre persone. Diretta conseguenza di ciò, è un individualismo sfrenato e un voler a tutti i costi primeggiare essendo protagonisti: da questi atteggiamenti emerge la vittoria del “diavolo” (dualità, divisione, sfaldamento) interno e nuoce all’unità e alla coesione di una comunità, portando discordia e disarmonia, nonché insofferenza per la gerarchia. In questi termini chiarisce sempre Evola, la creatività e l’energia viene dissipata in un “fuoco d’artificio” che, privo di una regola e senza seguire le leggi di un ordine superiore, si perde in uno scomposto egoismo. Durante il ventennio Evola ben definì come queste seconde caratteristiche presenti nel nostro popolo, andassero corrette sempre più, per avvicinarsi il più possibile all’esempio della Roma Imperiale. Indicò precisamente la necessità di differenziare la razza dall’antirazza, non in senso biologico ma in termini di modo d’essere e di stile, e traccio una linea di confine che divideva da una parte chi veramente era quello che diceva di essere e dall’altra chi invece, bravo a parole, non era alle prove dei fatti coerente con sé stesso. “Le “razze” in senso tecnico e antropologico vengono dopo. Vengono anche le nazioni, i popoli, le unità sociali. Nelle razze antropologiche, nelle nazioni, nei popoli, nelle unità sociali sono presenti esponenti sia dell’una che dell’altra “razza”, cioè sia degli uomini della razza, sia degli uomini dell’antirazza. Ciò si verifica dappertutto. Quindi anche da noi, anche in Italia. Non illudiamoci. L’unità generica del nostro popolo nasconde questi due fronti. Mai se ne ha un così netto senso come in questi giorni di prova e di decisione. Ciò che è latente oggi si fa manifesto. I miti si scompongono. Ed è bene che il processo si porti sempre più oltre, che circostanze precise lo esasperino, sì che gli schieramenti siano chiari, e si sappia esattamente “chi è dei nostri”, chi è “della nostra razza”. Che significato deve dunque avere questa espressione? Vi è un luogo in cui Seneca dice che, oltre ai colpi che non vi toccano nemmeno, altri spezzano la vostra armatura e altri vi raggiungono al petto, ma “anche nel punto di sentirvi sopraffatti dovete pensare, che è ignobile abbandonare le posizioni. Bisogna tenere il posto che la natura vi ha assegnato. Quale posto? Quello di uomo.” [2] Era dunque già evidente nel 1941 (anno nel quale Evola pubblica gli articoli che troviamo in Carattere, apparsi in origine su “Lavoro Fascista”, in merito al confronto tra le due popolazioni di Italia e Germania) come al nostro interno ci fossero sfaldature profonde, che ci allontanavano dalla compattezza degli altri due componenti dell’Asse, Germania e Giappone. E’ il processo di sfaldamento, come anticipato dallo stesso autore, si portò sempre più oltre, fino al giorno fatidico dell’armistizio. Impietoso in merito, il confronto del nostro cedimento senza combattere delle basi di Pantelleria, ad esempio, rispetto al sacrificio fino all’ultimo uomo dei tedeschi (e non solo!) a Berlino, o dei disperati assalti dei kamikaze giapponesi. Quella parte del nostro popolo con
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tendenze individualistiche e utilitaristiche, già agiva da tempo in combutta col proprio alleato naturale, il mondo liberal-democratico, nel quale il (mezz’)uomo egoista e materialista sguazza a proprio piacimento. Mano a mano che le difficoltà aumentavano per Mussolini e per il partito fascista, alcuni esponenti al governo anziché compattarsi e fare quadrato per restare uniti cominciarono a mostrare diffidenza, per mancanza di quella sensibilità interiore che è propria degli uomini che mantengono sempre e comunque le posizioni anche nei periodi critici, in nome non solo della Patria, ma prima ancora di qualcosa di superiore, che è la coerenza verso sé stessi, per non tradire sé stessi. Emerse così il lato vile, debole e condizionabile dell’Italia, riassumibile nel nome che più di altri spicca in tutta la vicenda: Pietro Badoglio. In merito a ciò, era già evidente nei nostri fallimenti bellici in Grecia e in Africa, (dovute non tanto a fattori di impreparazione e mancanza di mezzi, quanto a mancanza di prese di posizioni da parte delle maggiori cariche militari nei momenti cruciali) come il tarlo del tradimento si fosse già insinuato da tempo ai vertici di marina e aereonautica, che garantì grazie ad atteggiamenti attendisti e ambigui, le vittorie alle forze nemiche. Rutilio Sermonti, afferma in merito: “Impreparazione? Certo: l’Italia giunse impreparata alla guerra. Ma ciò che di tale impreparazione può essere addebitato a Mussolini fu soltanto di non aver ripulito il paese dal putridume che, forte delle protezioni dinastiche e delle solidarietà massoniche, si annidava, mellifluo ed ipocrita, nelle più alte gerarchie militari. La stessa infame genia che, dopo essersi adoperata in ogni modo per la sconfitta, ebbe l’imprudenza di accusare Mussolini di… impreparazione.”[3] Il tradimento Italiano ha fatto così precipitare definitivamente una situazione già difficile per le potenze dell’asse, e quello che inizialmente poteva essere, all’interno del partito, un insetto che poteva nuocere relativamente poco, esso ha tessuto la propria tela lavorando attraverso ignobili patteggiamenti con la monarchia e la massoneria alle spalle del Duce il quale, pur sicuramente notando tali atteggiamenti ambigui, non ha mai sradicato, probabilmente per troppa bontà, il tumore interno. Naturale che esso si sia via via ingigantito fino ad esplodere in tutta la sua sfacciata ignobiltà, quell’infausto giorno dell’8 settembre. Ancora in merito, illuminante Sermonti sulle conseguenti rese senza combattere degli avamposti in Sicilia “Ma non era lo stesso materiale umano che si era battuto con onore e con furore in Etiopia, in Libia, in Russia? I cuori erano forse cambiati? Non i cuori: i comandanti. Il soldato, anche bravo, combatte se il comandante si mostra risoluto e si pone alla testa, ma se il comandante fugge, il soldato si fa prendere dallo sconforto e dal panico.”[4] E l’ignobile governo della resa comincia l’ imbarazzante opera di demolizione dell’immagine di un’Italia fino a quel momento ammirata in tutto il mondo. Gli scellerati stavano ponendo la firma di un trattato di pace con coloro i quali, nel contempo, continuavano (e continuarono in seguito) a bombardare e saccheggiare indiscriminatamente le nostre città, sterminando le nostre famiglie, donne e bambini; gli stessi fautori del trattato continuarono l’opera pugnalando alle spalle i propri compagni d’arme offrendo informazioni preziose agli angloamericani. Ovviamente ci fu nell’Italia spiazzata da quegli stravolgimenti, una buona parte che non accettò tale vergognosa situazione e si impose di salvare l’onore della nazione. La R.S.I. nacque infatti spontaneamente già il giorno dopo la resa, formata da tutti coloro i quali si rifiutarono di deporre le armi e compatti, continuarono la lotta al nemico di sempre, fino alla fine. Triste constatare come oggigiorno le successive stragi ad opera della Resistenza siano considerati come atti eroici, e i loro fautori i protagonisti di una liberazione che ha portato l’Italia alla salvezza dall’eventuale “tremenda” ipotesi di un ritorno dell’”oppressore” e “violento” partito fascista. Ora il disastroso risultato della suddetta liberazione è sotto gli occhi di tutti. Il dilagare del capitalismo e del consumismo hanno fatto esplodere tutti i peggiori aspetti dell’Italia. Egoismo esponenziale, furberia, menefreghismo e sciatteria oramai dominano incontrastati in una Nazione allo sbando. In questa disastrosa situazione, fortunatamente, ci sono ancora moltissime persone, volenterose e caparbie, che non accettano di rimaner fermi e vedere il proprio Paese andare a rotoli. Facendo tesoro di ciò che ci è stato tramandato da chi dall’epoca dell’R.S.I. a oggi non ha arretrato di un millimetro garantendo la continuità ideale, (e in questo caso forse, siamo paradossalmente più fortunati di Giappone e Germania) c’è chi ancora lotta, consapevole che niente verrà mai regalato e che la strada sarà sempre più in salita e sempre più piena di pericoli. Sapendo anche che, in ogni caso, solamente attraverso il lavoro continuo prima di tutto su noi stessi, per limare progressivamente la parte insofferente, individualista, manchevole e mediterranea che c’è in noi, si può sperare di agire in modo concreto ed efficace nel mondo che ci circonda, trovando quella compatta unità interiore che come un buon mattone fa si che il muro formato da tanti altri mattoni e unito da buona calce, sia forte, così l’individuo consapevole di sè fa si che l’unità complessiva, saldata dalla fedele all’Idea, sia indistruttibile. Azionepuntozero
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Civitavecchia – Rimosso il “Bacio del Mare”, una notizia con lo spirito del 9 Settembre! (9-IX-2014) [comunicato] Azione Punto Zero dal 2011, ininterrottamente, si è sempre battuta per la rimozione di quella buffonata del secolo “resa incondizionata” o “Bacio del Mare”, dell’artista – si fa per ridere – Seward Johnson. Il mucchio di plastica yankee che riaffermava la subalternità ai bombardieri angloamericani e che hanno ridotto Civitavecchia un cumulo di macerie, occupava il piazzale degli eventi ed è stata oggi rimossa. Il bello è che a difenderla, sul posto e su internet, c’erano esponenti di un fantacomunismo d’antan e consiglieri di centrodestra che, in camera caritatis, si definiscono addirittura camerati e fascisti. Siamo contenti di sentire nelle parole del Sindaco Cozzolino che si trattasse di “una icona americana di un paese che ha raso al suolo Civitavecchia con i bombardamenti” e che non potesse rappresentare la civitavecchiesità”. Cionondimeno siamo lieti che il Sindaco, intende utilizzare quello spazio per dare visibilità a vere ed autentiche “opere d’arte” che rappresentino l’identità di Civitavecchia. Il fragore di latta di quell’obbrobrio farà ridere a crepapelle qualche altro vero europeo in qualche città della Francia.Per ora nessuna resa, miglior notizia in questo 9 di Settembre non poteva esserci, la guerra del sangue contro l’oro, continua! AZIONE DIRETTA > AZIONE PUNTO ZERO
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