Green Graphic Design

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Grafica sociale e sostenibile

Stefano Renzetti



INDICE

Introduzione

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.1 Rivoluzione verde Il nostro ruolo Il mondo che viviamo Economia circolare - Ridurre, riusare, riciclare Rivoluzione verde Sostenibilità o normalità?

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.2 Comunicazione verde “Waste no food!” - posters tra le due guerre Grafica sociale Le immagini oggi

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.3 Green graphic design Transition design Il viaggio al contrario Target e feedback Packaging e distribuzione La stampa Inchiostro Carta Design activism No al lavaggio-verde Responsabilità sociale di impresa - CSR

83 84 88

. 4 Design for Good L’esempio di Aiga Cases history

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Glossario

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Bibliografia/Sitografia

57 58

100/101


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INTRODUZIONE

Lo scopo che questa tesi si pone è quello di effettuare un viaggio attraverso il mondo odierno, il suo modo di consumare e di comunicare. Cercherò di parlare, in modo schietto e diretto, a tutte le persone ma, come si evince dal titolo, prestando maggiore attenzione al mondo della comunicazione e della grafica. Il periodo che stiamo attraversando rappresenta a mio parere un momento di passaggio storico. La rivoluzione informatica ha cambiato i nostri stili di vita come alla fine del 1800 fece la rivoluzione industriale; una recente crisi economica, che ancora perdura, ha riassestato l’economia di grandi imprese e privati cittadini; in più il sentimento catastrofico e cospirazionista è sempre più forte. Spesso durante il mio percorso scolastico all’Accademia di Belle Arti di Bologna mi interrogavo se produrre pubblicità con l’esclusivo obiettivo del guadagno altrui (guadagnando anche io si intende) fosse veramente la mia vocazione e lo scopo finale dei miei studi. Questo era quello che pensavo quando ero un po’ più ignorante di adesso e non conoscevo bene un mondo che tutt’oggi continua a sorprendermi e piacermi. Il mondo di cui parlo è ovviamente quello del design grafico. Crescendo credo di aver capito che il nostro è probabilmente il miglior lavoro del mondo, o almeno del mio mondo. La grafica non è, o non dovrebbe essere, il computer ed io ma è comunicazione, scambio di idee e di emozioni. Abbiamo visto di recente, nel nostro paese anche a livello politico, come la comunicazione sia importante. La comunicazione è ciò su cui si basa il nostro mondo. Nel tempo in cui avete letto queste poche righe probabilmente avrete ricevuto una notifica sul vostro smartphone. Qualcuno sta cercando di comunicare con voi, emozioni, sentimenti, offerte di lavoro, domande, risposte insomma crea un contatto. Appena torniamo a casa dopo essere stati in mezzo ad altre persone per strada, controlliamo i nostri social networks e abbiamo voglia di comunicare. Non so dire perchè la comunicazione mi affascina, probabilmente perchè mi sembra che in questi tempi in cui tutti parlano sia più difficile sentire cose che veramente valgono o perchè non mi ritengo bravo a comunicare con le mie parole. Fortunatamente esistono molti altri modi e la grafica è uno dei più versatili e potenti. Perciò come si adatta questo al nuovo mondo che si sta creando? Un mondo che parla di sostenibilità ed ambiante su quotidiani e blog. Un mondo che ha capito che qualcuno cerca di fregare i più anche se non si è ben compreso chi e come. In questa tesi cerco di dare delle risposte ma spero sopratutto di suscitare domande ed interrogativi sulla nostra società attuale e sul ruolo che tutti noi possiamo rivestire. Stefano Renzetti

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.1 RIVOLUZIONE VERDE

Cosa rappresenta la mentalità “green”? Cos’è la green economy? Nuove realtà e nuovi consumatori.

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Il nostro ruolo

P

rima di parlare di cos’è il green graphic design e quali sono le opportunità che offre, è d’obbligo riflettere su quali siano i ruoli della nostra professione di grafici e come questi si relazionino con la società attuale. Il design, in qualunque delle sue sfaccettature, è progettazione, più oggettiva possibile, di tutto ciò che forma l’ambiente dove l’uomo vive. Il designer grafico si occupa dei vari aspetti della comunicazione visiva. Siamo manipolatori di immagini e il nostro lavoro è capire il materiale di cui stiamo trattando o ciò che dobbiamo comunicare e da questo ricavare un unico ed appropriato design che trasmetta determinati contenuti. Il graphic design oggi giorno è praticamente ovunque, nelle nostre case, nelle nostre strade, nelle stazioni, negli aeroporti, sui quotidiani, nel web, sui cellulari ecc... Essendo così vasto il campo è difficile dare un termine unico che possa descriverlo ma in generale potremmo dire che: Il graphic design è un processo creativo che combina arte e tecnologia per comunicare delle idee. I designers grafici lavorano con una varietà di strumenti di comunicazione per veicolare un messaggio ad un determinato pubblico o di un determinato cliente. Gli strumenti principali sono immagini e tipografia. Come è difficoltoso dare una definizione unica di grafica così lo è anche determinare un suo punto di inizio nella storia: per alcuni fu l’invenzione della stampa nel XV secolo, per altri iniziò con il lavoro degli artisti “commerciali” nella Francia del XIX secolo o con la pubblicità delle prime case farmaceutiche, altri ancora dicono con i manoscritti illuminati del medioevo in cui le lettere venivano fuse con decorazioni. Ad ogni modo il 95 percento dei designers che sono vissuti nella storia sono oggi in vita, sono in costante crescita di numero e hanno un ruolo nella società che assume sempre più rilevanza. Questa disciplina, già molto varia, cambia e si espande di continuo. Più tradizionalmente ancora legata alla stampa, con l’avanzare della tecnologia, nuovi media di comunicazione si sono aggiunti. Importante è il ruolo che ha ora il campo del digitale, del packaging, del branding (immagine coordinata) o dell’information design.

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95%

dei grafici esistiti sono oggi in vita

Il pubblico in generale sta iniziando a riconoscere l’importanza di un buon design e quanto sia essenziale per molti aspetti della vita quotidiana. Nel nostro lavoro di grafici siamo responsabili di quali immagini scegliamo per rappresentare qualunque cosa. Infatti creiamo la maggior parte di ciò che il mondo vede, che compra o che desidera e possiamo essere artefici di campagne di marketing che cambiano il modo con cui percepiamo il mondo. Abbiamo insomma una grande influenza. Il mondo è costantemente disegnato e ci comunica di continuo qualcosa. Ma dobbiamo chiederci, cosa comunichiamo? Come detto prima la nostra è una professione giovane e in espansione e sta quindi a noi decidere quale sarà il nostro ruolo nel futuro. Sarà solo vendere acqua zuccherata, macchine, sigarette o sarà aiutare le persone? Potrebbe essere l’opportunità per abbracciare un ruolo rispettabile ed onorevole nella società. Cosciente del fatto che il nostro pianeta funzionerebbe pressapoco uguale anche senza noi grafici, magari sarebbe un meno colorato o qualche compagnia venderebbe meno, ma è anche vero che ci sono state situazioni in cui un miglior design avrebbe addirittura potuto salvare delle vite, come ad esempio nell’incedio scatenatosi nell’aeroporto di Düsseldorf, in Germania, quando nel 1997, circa venti persone morirono soffocate perchè non riuscirono a trovare in tempo l’uscita di sicurezza anche a causa di una scorretta informazione visiva. Dobbiamo perciò domandarci: con il nostro lavoro abbiamo una buona o cattiva influenza? Quello che facciamo aiuta la vita delle altre persone e delle generazioni future? Se decidessimo di usare la nostra posizione da intermediari tra cliente e pubblico, e scegliere come utilizzare il nostro potere comunicativo? Il green design deve essere una naturale evoluzione del “buon design”, essere funzionale, risolvere problematiche in maniere innovative ed essere esteticamente valido. Il green aggiunge un nuovo passo al vecchio buon design e si circonda di una nuova bontà: ecologica e sociale. Prima di affrontare nello specifico come la grafica possa essere green e quali sono le possibilità. anche in senso economico, che questa offre, parlerò di argomenti generali per dipingere la situazione mondiale in cui si colloca questa evoluzione del design, che potrà interessare grafici e non.

“Da grandi poteri derivano grandi responsabilità” Ben Parker

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Il mondo in cui viviamo Quello del “villaggio globale” (1968) è un metaforico ossimoro adottato dal noto sociologo Herbert “Marshall” McLuhan (1911-1980) per indicare come, con l’evoluzione dei mezzi di comunicazione, tramite l’avvento del satellite che ha permesso comunicazioni in tempo reale a grande distanza, il mondo sia diventato piccolo e abbia assunto di conseguenza i comportamenti tipici di un villaggio. Nell’opera “Understanding Media”, McLuhan scrive: “Oggi, dopo più di un secolo di tecnologia elettrica, abbiamo esteso il nostro sistema nervoso centrale fino a farlo diventare un abbraccio globale, abolendo limiti di spazio e tempo per quanto concerne il nostro pianeta”1. Che ci piaccia o meno l’idea di globalizzazione, la specie umana sta indirizzando la sua evoluzione verso una singola, definita comunità umana, la più grande di sempre. E che sia bene o male i nostri destini si stanno fondendo in una sola civilizzazione. Perciò l’umanità insieme deve scegliere in modo saggio il proprio presente e futuro. E il nostro futuro comune è la nostra sfida comune nel design. Una caratteristica dei nostri ultimi anni è la sensazione che l’uomo stia tentando di autodistruggersi, distruggendo la Terra. Ma citando ancora McLuhan: “Non ci sono passeggeri sulla nave spaziale Terra. Siamo tutti parte dell’equipaggio.”2

Understanding Media - The Extensions of Man di Marshall McLuhan (1964)

Impatti ambientali Secondo i dati oggi al mondo siamo 7.205.690.650 persone. Nel 2050 saliremo a quota nove miliardi e mezzo, affrontando in quarant’anni un incremento del 40% dovuto all’esplosione demografica del cosi detto secondo e terzo mondo: dalla Cina all’India, dal Brasile all’Africa. Quindi tra pochi anni ci saranno due miliardi e più di nuove bocche da sfamare. Tante quante gli abitanti dell’intero pianeta nel 1950. Nel mondo attualmente circa due miliardi di persone hanno un buon tenore di vita; 4,5 miliardi di persone non vivono proprio bene e moltissime molto male, potendo disporre di meno di 300 dollari all’anno. L’incremento della popolazione farebbe pensare a nuove grandi opportunità di investimento: quasi dieci miliardi di persone dovranno mangiare, bere, vestirsi, viaggiare... ovvero consumare, consumare e consumare.

Crescita demografica mondiale dal 1dC fino al 2050 (previsione) 9 Miliardi 8 Miliardi 7 Miliardi 6 Miliardi 5 Miliardi 4 Miliardi 3 Miliardi 2 Miliardi

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dC

1 Miliardo

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Se da un lato questo è un fatto positivo per le multinazionali, al contrario questa crescita sta uccidendo e impoverendo il pianeta e se non cambiamo subito modo di agire e di fare economia il collasso sarà inevitabile e disastroso. Cibo, energia, territorio, risorse naturali, economia, acqua, popolazione, ambiente sono tutti fattori interconnessi che dobbiamo imparare a gestire in maniera nuova e consapevole, se vogliamo rimanere a bordo della nostra nave Terra, sani e salvi. E se vogliamo evitare che il nostro pianeta arrivi al collasso e con lui noi tutti, dobbiamo cambiare prima di tutto la nostra stessa mentalità, stili di vita, modalità di consumo, di comunicazione e riferimenti culturali. Perchè stiamo parlo di verde, internazionalmente di green? Il verde è il colore della natura, del mondo vegetale, simboleggia benessere e vita. Cosa cercano di combattere il riutilizzo e il riciclaggio dei materiali? Perchè si parla spesso di ecologia? Sono molte le fonti di inquinamento che secondo studi scientifici mettono a rischio l’ecosistema Terra. Vero è che nella storia dell’uomo si è sempre ciclicamente parlato di fine del mondo, non c’è quindi caso di allarmarsi, ma è anche vero che sono molti i danni che l’umanità sta infliggendo al globo dalla prima epoca industriale in poi. Esistono molte diverse aree di problematica ambientale che dipingo il periodo in cui stiamo vivendo e a quali rischi stiamo andando incontro. Vediamo brevemente quali sono queste aree problematiche , che potrebbero anche iniziare ad essere viste con l’ottica di nuovi settori di investimento.

Riscaldamento globale e cambiamento climatico - Come ampiamente documentato dagli studi climatici, nel corso dell’ultimo secolo il pianeta ha sperimentato un processo di riscaldamento globale, attribuito alle emissioni di gas serra di origine antropica. Questo riscaldamento ha avuto un tasso variabile nel corso dei decenni: la temperatura globale è aumentata molto tra il 1900 e il 1940, è rimasta costante o è diminuita leggermente nei tre decenni successivi, ed è tornata ad aumentare dal 1970 in poi. Uno studio in particolare ha consentito di trovare che le particelle di nerofumo, provenienti dai motori diesel, dai processi industriali e dagli incendi sono distribuite, in modo molto più uniforme di quanto precedentemente stimato, in tutta l’atmosfera terrestre. Tali particelle possono influenzare il clima in diversi modi, sia assorbendo direttamente la radiazione solare, sia influenzando la formazione di nubi e aumentando i tassi di fusione dei ghiacciai, una volta che si depositano su di essi. Il biossido di carbonio è responsabile al 70% di questa situazione e al giorno d’oggi l’aumento di CO2 in atmosfera è causato dall’utilizzo antropico dei combustili fossili, ossia le emissioni dovute ai nostri mezzi di trasporto, alle case, agli uffici, alle fabbriche. Tra gli altri gas una quota importante, sembra ridicolo ma è così, la producono le flatulenze dei bovini degli allevamenti intensivi. I danni causati da questi cambiamenti climatici sono molteplici: innalzamento del livello dei mari e scioglimento dei ghiacciai; tornado (come Katrina a New Orleans) più frequenti e devastanti; distruzione degli ecosistemi; ecc... Inoltre il disastro potrebbe essere anche economico, secondo l’economista britannico Nicholas Stern, tutto ciò potrebbe costare il 20% del PIL mondiale. La riduzione delle emissioni invece costerebbe soltanto l’1% del PIL annuo mondiale. Ma ridurre le emissioni comporta un cambiamento forte del nostro stile di vita.

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Acqua e pioggia acida - L’acqua è l’essenza della vita. Ma è limitata. Spesso sporca ed inquinata. Fiumi, laghi e mari sono contaminati dalle fognature e dai rifiuti industriali, scaricati rispettivamente per il 90% e per il 70% direttamente nei corsi d’acqua. In più sono circa due miliardi le persone che vivono in luoghi dove la disponibilità del fondamentale liquido è scarsa. L’acqua viene inquinata anche nella sua fase gassosa ovvero prima di trasformarsi in pioggia. Nel corso degli ultimi decenni si è registrato un vistoso aumento nel tenore di acidità delle precipitazioni attribuibile all’uso di combustibili fossili che emettono nell’aria ossidi di zolfo e d’azoto e raggiungo dei livelli così alti che rischiano di avvelenare piante ed animali. Inoltre queste sostanze contenute nelle pioggie cadono poi su tutti i terreni, che non sempre riescono a filtrare le impurità che si aggiungono alle falde acquifere alimentandone l’inquinamento. Le piogge acide sono persino in grado di erodere il cemento e minerali presenti nei nostri palazzi.

Eutrofizzazione dell’acqua - Il 54 per cento dei laghi asiatici, il 53 per cento di quelli europei e il 48 per cento di quelli nord-americani soffrono di eutrofizzazione da attività umane. Il termine eutrofizzazione, derivante dal greco eutrophia (eu = “buono”, trophòs = “nutrimento”), indica una condizione di ricchezza di sostanze nutritive in un dato ambiente, in particolare una sovrabbondanza di nitrati e fosfati. Oggi questo termine viene usato per indicare l’eccessivo accrescimento degli organismi vegetali che si ha per effetto della presenza nell’ecosistema acquatico di dosi troppo elevate di sostanze nutritive come azoto, fosforo o zolfo, provenienti da fonti naturali o antropiche (come i fertilizzanti, alcuni tipi di detersivo, gli scarichi civili o industriali), e il conseguente degrado dell’ambiente divenuto asfittico.

Biodiversità - Stanno scomparendo specie di animali e di piante. La biodiversità rappresenta la nostra catena alimentare e gli ecosistemi da cui dipende l’esistenza della vita sulla Terra. Il 30 per cento degli anfibi, il 21 per cento degli uccelli, il 25 per cento dei mammiferi: sono le percentuali di specie a rischio di estinzione secondo le stime dell’International Union for Conservation of Nature (IUCN). Si tratta di cifre che danno l’idea dello scarso effetto delle contromisure messe in campo per combattere la perdita di biodiversità del pianeta in questi anni. Il nostro pianeta ha già avuto cinque periodi di estinzione di specie ma il sesto è il primo causato da noi e dal nostro sviluppo che non rispetta le altre forme di vita. Gli habitat naturali degli animali subiscono continue mutazioni fisiche quando non vengono totalmente distrutti dall’azione diretta e indiretta dell’uomo (ad esempio la deforestazione).

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Rifiuti - Noi italiani siamo dei veri esperti in materia. Conosciamo il giro di affari “sporchi” che esiste intorno al trasporto, allo stoccaggio, al trattamento dei rifiuti. Ridurre, riutilizzare, riciclare sono le tre parole d’ordine per iniziare ad affrontare il problema. Se tutti mettessero in pratica queste semplici regole il mondo sarebbe più pulito. I rifiuti urbani, quelli delle case per intenderci, sono costituiti da carta, organico, vetro, ecc... ma tutti insieme rappresentano solo l’1% dei rifiuti di una nazione. Il resto sono rifiuti industriali (circa il 60%) e RCRA (Resource, Conservation & Recovery Act) ossia rifiuti medici, fosse biologiche, contenitori di pesticidi, scarti di macellazione e così via. Una scorretta gestione dei rifuiti (ogni giorno una famiglia italiana di 4 persone produce in media 4 kg di spazzatura al giorno) può impoverire ed avvelenare i terreni e le falde acquifere sotterranee nonchè inquinare l’aria che respiriamo.

Percentuale dei rifiuti prodotti nelle aree urbane (Europa)

57% - Rifiuti solidi industriali

1% - Rifiuti solidi municipali

2% - Rifiuti industriali pericolosi

35% - organico 24% - carta 10% - vetro

Totale rifiuti

9% - plastica 8% - raee 6% - rifiuti verdi 4% - metalli 3% - legno

39% - Rifiuti speciali non-solidi

Nella foto a destra: Chao in Paraguai, dove la foresta viene eliminate per dare spazio ad allevamenti di massa

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Deforestazione - In Brasile e in Indonesia la deforestazione (abbattimento di foreste che vengono rase al suole per produrre legna e creare nuovi terreni coltivabili) è responsabile del 20% delle emissioni di CO2 a livello mondiale. Ogni anno sulla Terra ci sono meno piante in grado di mantenere stabile la qualità di anidride carbonica nell’atmosfera. Supponiamo che con il legno sia prodotta la carta destinata a diventare la confezione di un prodotto, confezione che viene gettata subito dopo l’acquisto. Che senso ha tutto questo?


Continuando con questo modello di sviluppo porterebbe a una devastazione del pianeta – inondazioni, siccità, tempeste, carestie, guerre, migrazioni di massa, ecc. - o possiamo dar vita a un nuovo corso in grado di evitare la catastrofe. Lo sforzo è molto grande e sono molti gli studi che si occupano di cercare delle soluzioni. Due professori della Princeton University, Robert Socolow e Stephen Pacala, hanno pubblicato su Science nel 2004 un articolo contenente quindici soluzioni da loro studiate che permetterebbero di eliminare ciascuna una tonnellata di emissioni dannose di CO2. Per raggiungere l’obiettivo minimo dovremmo metterne in atto almeno sette, tra queste: • Migliorare l’efficienza energetica di due miliardi di auto (che saranno tre miliardi nel 2050 contro i 700 milioni attuali) da 30 miglia per gallone a 60 miglia, cioè fare con un litro di benzina il doppio dei chilometri. • Far percorrere alle auto 5 mila miglia al giorno al posto delle attuali 10 mila, ovvero dimezzare i nostri spostamenti in macchina. • Sostituire 1400 centrali elettriche a carbone con altrettante alimentate a gas naturale. • Migliorare le tecnologie per produrre energia solare e sostituzione di questa tecnologia con quelle antiquate. • Sviluppare tecnologie eoliche in grado di produrre idrogeno per auto pulite. • Porre fine alla deforestazione. Riuscire a raggiungere anche solo uno di questi obiettivi in breve tempo sarebbe un buon risultato. Secondo Pacala : “Non c’è mai stato un programma industriale grande come questo al mondo e mai come adesso abbiamo bisogno di pensare a livello mondiale”. La rivoluzione verde è cominciata. Un rivoluzione che parte dal basso per l’importanza che ognuno di noi può e deve avere in questa corsa verso la salvezza. Le piccole azioni dei consumatori, dei cittadini, sono determinanti per innescare un processo virtuoso. Se il mercato richiede prodotti green, le aziende punteranno su prodotti green. Il processo è già iniziato. Tocca noi. Per questo è importante quello che ci viene detto e come ci viene detto. La comunicazione riveste quindi un’importanza infinita. 13


Economia circolare – Ridurre, Riusare, Riciclare Il paradigma delle tre “R” ci suggerisce di ridurre, riusare e riciclare. Queste tre “R” sono lo slogan con cui si insegna a chiunque come poter condurre una vita più sostenibile. Possono essere valide anche per il design. Se per esempio prendiamo un packaging di un mouse, potremmo ridurre le parti in plastica; eliminare il libretto di istruzioni cartaceo in 14 lingue, magari rendendolo consultabile sul web (oltre ad essere molto facile da installare si presuppone che un mouse serva per un computer quindi internet); produrre la confezione, e magari anche lo stesso mouse, con prodotti riciclati o almeno riciclabili. Ma ancora meglio di questo sarebbe il riutilizzare un prodotto, dato che anche il riciclaggio prevede dei consumi energetici. A questo argomento si relaziona l’idea di economia circolare che cercherò brevemente di illustrare. La nostra è un’economia lineare. Si basa sul presupposto per il quale i beni dei quali usufruiamo debbano seguire un ciclo di vita finito e spesso breve. Il ciclo dei prodotti si apre con l’estrazione delle materie prime; prosegue con la loro trasformazione in semilavorati e prodotti finiti; questi vengono in seguito utilizzati dai consumatori (intermedi e finali); e concludono la loro vita con lo smaltimento e l’eliminazione dei prodotti stessi (ormai diventati “rifiuti”).

Economia Lineare

RISORSE NATURALI

PRENDI

LAVORA

Le motivazioni per tentare di superare il paradigma lineare sono molteplici, in un sistema che, proprio perchè ispirato alla linearità di produzione, consumo e smaltimento, per essere sostenibile dovrebbe disporre di risorse illimitate. Come sappiamo bene, le risorse sono invece scarse per definizione, mentre le attività antropiche, soprattutto quelle connesse con la produzione, provocano o stanno accelerando processi talvolta irreversibili di inquinamento, perdita di biodiversità e di interi ecosistemi. L’economia circolare punta a superare proprio questo limite. Si tratta di un nuovo paradigma produttivo dei beni di consumo. Ogni bene deve essere composto da pezzi standard facilmente smontabili e recuperabili al termine della vita utile. I prodotti, o gruppi di prodotti, dovrebbero essere composti sempre dalla stessa gamma di pezzi, permettendo la realizzazione di nuovi oggetti. È un po’ come se tutto fosse fatto di Lego. Facciamo una casa, quando la distruggiamo, i singoli mattoncini possono essere facilmente recuperati e ricomposti a formare un ponte oppure un aeroplano.

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USA

BUTTA BUTTA BUTTA


In Europa se si puntasse di più su un tipo circolare di economia, secondo lo studio della Ellen MacArthur Foundation3, il potenziale di risparmi potrebbe essere nell’ordine dei 700 miliardi di dollari all’anno.Questo è rafforzato anche dal contesto di mercato per i prossimi anni. I prezzi delle materie prime continuano a salire nonostante la crisi. Miliardi di nuovi consumatori stanno entrando nella classe medio/borghese in paesi asiatici, con la conseguente domanda di prodotti e beni di consumo. L’estrazione totale di risorse nel mondo è prevista raddoppiarsi dal 1980 al 2020. A scarsità data di materie prime in un mondo finito, questo non è sostenibile. Non è soprattutto sostenibile l’attuale modello di economia lineare: prendi, fai, butta. Un modello che ci porta a sprecare oltre il 60% delle materie prime (tra incenerimento e discarica).

UC D O

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Economia Circolare

D RO

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CO NS U M A

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Materiali Biologici

Materiali Tecnici

L’economia circolare si fonda su alcuni principi di base:

Reduce Reuse Recycle

• Lo scarto è nutrimento. Non esiste più il concetto di spazzatura. Ogni prodotto è composto da parti tecniche e biologiche. Le parti tecniche devono essere rimesse nel circolo produttivo per un nuovo assembramento con il minimo consumo possibile di energia. Le parti biologiche non danneggiano l’ambiente e sono destinate al compostaggio. • Basarsi su energia rinnovabile. Il concetto di circolarità dovrebbe guardare all’energia, producendola solo da fonti rinnovabili e consumandone il meno possibile • Pensare in termini di sistema. Capire le interdipendenze tra materiali, cose e processi e l’impatto che ogni decisione, produttiva e non, ha sul sistema nel suo complesso Come e quando un modello di economia circolare potrà mettersi in pratica non è dato sapersi. Lo stimolo potrebbe venire dai consumatori, dal prezzo delle materie prime, oppure da volontà politica. La difficoltà è data dal fatto che una sola azienda non può mettere in pratica un’economia circolare. È facile però intuire quali siano le responsabilità e le grandi opportunità di chi progetta i singoli prodotti. 15


I consumatori cambiano i loro stili di vita. In America il mondo delle aziende legate a l’onda green sono conosciute sotto la sigla LOHAS, acronimo di Lifestyle of Healt and Sustanibility. Ne fanno parte tutte quelle aziende che praticano un capitalismo responsabile e sostenibile e abbraccia un’area che comprende business diversi diversi fra loro come: la medicina alternativa, il mondo del wellness e del fitness, le energie rinnovabili, le nuove tecnologie, i prodotti verdi per la casa, vestiti in fibre naturali, l’eco-turismo, l’edilizia green, l’agricoltura, e molto altro ancora. È un mercato che secondo lohas.com può contare su 35 milioni di consumatori, il 16% della popolazione. Nel 2008 i consumatori la pensavano già così: • il 79% dei consumatori USA dichiara di che il comportamento di un’azienda nei confronti dell’ambiente influenza il loro giudizio verso i prodotti o i servizi che offre • i messaggi di comunicazione verde rimangono molto impressi nel 37% dei consumatori. Un altro 33% dichiara di ricordarli. • il 53% dei consumatori a livello globale preferisce acquistare prodotti di aziende con una forte reputazione green Basterebbero questi dati per pensare che il mondo intero è verde e si può salvare. Ma c’è un abisso tra essere preoccupati per l’ambiente ed essere consumatori green. Oltre ai soldi c’è una mancanza di fiducia nei confronti delle aziende e di conoscenza delle tematiche ambientali. C’è quindi un altro lato della medaglia: • sette americani su dieci e il 64% dei canadesi, ritengono che quando un’azienda definisce un prodotto green o migliore per l’ambiente in genere si tratta solo di un’operazione di marketing. • il 64% degli americani, incluso il 51% che si dichiara informato e responsabile nei confronti dell’ambiente, non è in grado di nominare nemmeno un marchio green. Insomma il quadro che si viene a creare è che molti vogliono vivere in modo più responsabile, certo non sono disposti a fare molti sacrifici, a stravolgere le loro abitudini e a sopportare costi aggiuntivi; si aspettano che siano le aziende ad andare loro incontro, aiutandoli a capire perchè un determinato prodotto è migliore per l’ambiente rispetto a un altro e che differenza possono fare comprandolo. Perciò i tempi non sono ancora maturi, ma il processo è in atto. In generale nelle abitudini della gente aumenta il valore della frugalità rispetto a quello dell’edonismo. Aumenta una tendenza a consumare in modo consapevole, siamo coscienti che le abitudini di noi ricchi del mondo gravano sulla maggioranza del globo (il secondo e terzo mondo). Se i Paesi sviluppati cambiassero il modo di consumare, il pianeta non rischierebbe il collasso. Per raggiungere molti obiettivi è necessario che anche il mercato cambi, diventi più tasparente, per far si che ogniuno sappia con certezza quali tra i suoi acquisti fanno bene al mondo e quali no. Informati saremmo in grado di prendere decisioni d’acquisto i cui effetti si potrebbero estendere a catena così da generare una pressione per ottenere Cosa succederebbe migliori condizioni ambientali, sanitarie e lavorative per gli abitanti della se ogni cittadino della parte povera del pianeta, la più grande. In altre parole la trasparenza Repubblica Popolare radicale fa si che ciò che viene venduto sia in linea con il bene comune.

Cinese volesse vivere con i nostri standard?

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Rivoluzione verde Abbiamo utilizzato più beni e servizi nella seconda metà del 20° secolo che tutte le generazioni passate messe insieme. Arrivando fino ad un sistema di consumi gonfiato da un consumismo malato. Per soddisfare le esigenze di questo sistema e far in modo che l’economia non si fermasse mai, siamo arrivati ad uno sfruttamento di risorse eccessivo, finalizzato alla continua produzione. Ma cosa succederebbe se ogni cittadino della Repubblica Popolare Cinese volesse vivere con il nostro tenore di vita occidentale? È una domanda che sempre più spesso ci si pone su riviste, giornali e blogs. È una domanda che rende a mio parere chiaro che molto probabilmente i 9 miliardi di persone che nel 2050 abiteranno la Terra non potranno vivere come vivono le opulente società occidentali o non ci sarà più aria respirabile a quel punto. La nostra società, figlia del mercato, ha creato un progresso materiale incredibile e mai visto prima, però ha creato società fondate solo sul mercato. Secondo il mio parere lo scopo dello sviluppo dovrebbe essere quello di portare l’umanità a godere di un bene comune, permettere a tutti di essere felici. Questo iperconsumismo invece non solo ci aliena in molti casi, ma sta pian piano impoverendo la Terra ed inquinando tutto poichè è un sistema che deve produrre oggetti che durino poco per continuare a vendere e produrre sempre di più. È un mercato che si autoalimenta anche grazie agli sprechi. La rivoluzione verde va di pari passo con la ricerca di un futuro sostenibile in cui lo sviluppo sia “Quando lottiamo per l’ambiente, tale da soddisfare le esigenze del presente senza compromettere la possibilità alle generazioni future il primo elemento dell’ambiente di soddisfare le loro. In modo che la natura venga si chiama: la felicità umana.” rispettata ed utilizzata come aiuto e non attaccata come fosse un nemico a noi contrapposto. Energia Conclusione del discorso tenuto e clima sono due problematiche interconnesse ed dal Presidente dell’Uruguay avranno un ruolo primario nel definire il mondo che Josè Mujica al G20 in Brasile verrà. Sta anche a noi trasformare le problematiche in Giugno 2012 opportunità di sviluppo. Molti hanno già preso consapevolezza della necessità di assumere comportamenti ed abitudini responsabili nei confronti dell’ambiente e di noi stessi. Questa è la rivoluzione verde che è iniziata. Parte dal basso proprio per come i singoli individui possono influenzare il mercato con i loro comportamenti. Le piccole azioni dei consumatori, dei cittadini, sono determinanti per innescare il processo virtuoso. Questo processo è partito dagli States e dall’Europa per coinvolgere tutto il mondo.

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A che punto è la Green Revolution? Nei paesi industrializzati – più negli Stati Uniti, meno in Europa, meno ancora in Italia – è appena finito il primo tempo. È una rivoluzione in corso quindi. La recente crisi non nasce solo dal crollo della finanza, del credito ma è anche frutto dell’evoluzione del consumatore, che ne è stato vittima e causa al tempo stesso. La crisi del 2008/09 ha accelerato molti aspetti di questa rivoluzione. Molti hanno capito che il consumismo sfrenato non portava a niente, se non al cimitero con il colesterolo e i trigliceridi alle stelle e si sono messi alla ricerca di nuovi valori. Questo argomento è fondamentale se si vuole parlare del futuro della comunicazione e della grafica. Stiamo vivendo una recessione strutturale che affonda le radici nella necessità e nella volontà di cambiare l’energia che muove il mondo, il petrolio ma non solo, una recessione che a sua volta ha reso possibile il dispiegarsi di forze rivoluzionarie come antidoto al disastro paventato.

Vi propongo qui di seguito un’intervista realizzata ad un mio amico: Gilberto di 23 anni. Gilberto rappresenta un nuovo consumatore con una scala di valori solidi che si è tradotta nella sua conversiona al veganesimo da circa due anni. Essere vegani non è una religione ma un modo di vivere e mangiare che rifiuta di consumare prodotti ed alimenti provenienti da fonti animali (pelle, carne, formaggio, latte, pesce ecc...).

Perchè sei diventato vegano? Sono vegano principalmente per un motivo etico, non mi piace incrementare un determinato tipo di mercato che a mio parere non è assolutamente giusto. In particolare, dopo aver letto e visto come vengono trattati gli animali negli allevamenti intensivi . 18

Ho letto e visto cose che subito mi hanno fatto riflettere sul mio stile di vita onnivoro e sono diventato prima vegetariano e dopo un po’ vegano. Diversamente da come si potrebbe pensare anche l’industria del latte e quella del pollame (tra cui anche le uova) sono altrettanto poco “cruelty free” come l’industria della carne . Mi è quindi sembrato giusto, dal un mio punto di vista, evitare di finanziare queste industrie. Inoltre gli allevamenti sono una delle più grandi fonti di inquinamento sulla terra

mucche sono serene”, ecc.. Ovviamente le industrie del latte non potrebbero esplicitamente farti vedere come fanno il latte sulle loro confezioni, se no perderebbero il mercato.

C’è informazione sull’argomento? Ma secondo me, ( almeno dove abito io in toscana nella zona di Pisa, Lucca ) hanno aperto una serie di fast food, paninoteche, ristoranti, negozi vegani / vegetariani e bio, dove si possono trovare un po’ di informazioni sul tema. In generale però penso che la gente sia ancora poco informata, riguardo gli Quindi hai iniziato a vedere il mer- allevamenti intensivi . Credo che non sia negli interessi delle grandi inducato con occhi nuovi. È ovvio che il mercato viene visto in strie che lavorano con prodotti animali modo nuovo! Vai al supermecato e le fornire informazioni sull’argomento. prime volte devi controllare tutti gli ingredienti di qualsiasi cosa (o quasi) Quali sono i pregiudizi che hanno le che tu voglia comprare, a meno che tu persone verso i vegani, cosa ti senti non vada in un negozio vegano, ma dire più spesso al riguardo? penso che ve ne siano pochissimi in Questa è bella (ride). italia, anche i negozi bio per esem- Quelle che più spesso mi sento ripepio hanno molti prodotti vegani ma tere sono: - tanto gli animali vengono anche li bisogna sempre controllare. Ti uccisi lo stesso anche se sei vegano cambia il modo di vestirti (o almeno i nooo, sei vegano ma come fai, io non ce materiali) niente più lana, pelle, ecc... la farei mai - dove le prendi le proteine poi è ovvio che è soggettiva la cosa, - a me piace mangiareee daii ma come dipende da quanto uno si impegna. fai - l’uomo è onnivoro - sei un estremista. Se tutti facessimo quel discorso Ti piacerebbe che i prodotti al super- “tanto anche se non la mangi te la mercato comunicassero in maniera carne la mangiano gli altri “ ovviapiù trasparente? mente non ci sarebbero ne vegetariani Si si mi piacerebbe molto che ci fosse ne vegani. Secondo me lentamente ci si più trasparenza nel espozione dei pro- sta muovendo verso nuove domande e dotti specialmente avrei piacere che richieste sul mercato, grazie alle scelte non usassero slogan come : “Le nostre di ogni singolo individuo.


Rivoluzione e nuovi valori Facciamo un attimo una riflessione “terminologica” di questo fenomeno che è in atto: oggi il green non si riferisce più solo all’ambiente. Certo è il punto di partenza ma la parola green indica ormai un sistema di valori e abitudini che vanno dall’attenzione alla salute, passando per fitness, mangiar sano, green buildings, natura, qualità della vita, ideali altruisti, fino alla tecnologia (e sotto sotto alla normalità). Il tutto accompagnato da un po’ di sano socialismo. Il cambiamento a cui stiamo assistendo (meno in Italia) è un movimento che nasce dal basso in una società in cui la comunicazione è ormai oligarchica, se non dittatoriale. Nasce dai comportamenti personali, dalle piccole azioni di tutti i giorni, dai mutamenti che ciascuno apporta al proprio stile di vita. È una questione di sopravvivenza. La gente comincia a pensare in modo autonomo, non crede più ciecamente alla pubblicità, non si fida del governo e delle istituzioni e cerca le risposte in rete dove trova informazione autonoma, blog e social networks per discutere e condividere le proprie opinioni. È un’onda che si sta diffondendo sempre di più. Nascono nuove mode e nuovi valori che si basano sopratutto su una migliore qualità di vita. E dell’ambiente che ci circonda. Non è solo causa della recente crisi che un colosso americano come la General Motors è fallito. È possibile che una multinazionale che dava lavoro ad un numero di persone uguale alla popolazione di Bologna, presente in 150 paesi, non avesse uno straccio di istituto di ricerca che la informasse sui danni imminenti? I dirigenti sapevano tutto, ma erano convinti che il momento della rivoluzione verde fosse ancora molto lontano. I consumatori non volevano più auto nuove ma un nuovo concetto di auto, alimentato da nuove energie. La recessione e l’impennata dei costi del petrolio hanno dato la scossa finale ad un colosso già minato dalla mentalità verde. Questa green wave è un fenomeno non solo collegato alla preservazione dell’ambiente (enti come WWF o Legambiente sono ormai realtà solide che lavorano in questo senso da anni), ma cerca soluzioni per il futuro. Comunica in modo forte e chiaro poichè ha la trasparenza e la “bontà” dalla sua. “We gotta make a change... Ma l’ambiente non è solo bello è anche un pozzo di It’s time for us as a people to buoni affari. Consumatori e investitori rivolgono le start makin’ some changes. Let’s loro preferenze verso tecnologie che contribuiscono change the way we eat, let’s alla riduzione delle emissioni, come pannelli solari, auto ibride, efficienza energetica, biocarburanti; change the way we live and let’s i media spostano le storie che hanno al centro change the way we treat each l’ambiente dalle ultime pagine alla copertina e le other. You see the old way wasn’t aziende competono nel mostrare al mondo il loro working so it’s on us to do what amore per i cieli blu e le foreste lussureggianti. In Italia we gotta do, to survive..” la situazione è un po’ più deludente. L’attenzione c’è, ma il livello di finzione è ancora alto, è il momento Tupac Amaru Shakur del greenwashing più che del green ma approfondirò l’argomento del lavaggio verde più avanti.

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L’italia e la green economy I nostri connazionali denunciano una situazione tipica del Belpaese: siamo arretrati sul piano ambientale come Stato, ma ci troviamo di fronte a un pubblico di consumatori-utenti più attenti e più consapevoli, che chiedono di saperne di più, di venire informati, di essere green. La solita situazione all’italiana dove lo Stato non ha fatto la sua parte e la gente, più al Nord che al Sud, è più avanti della politica. È un popolo che è a conoscenza dei rischi e dell’importanza dell’azione di tutti. Citano il miglioramento urbanistico, i trasporti pubblici, il sistema automobilistico tra le questioni più urgenti da affrontare. Aspetti più complessi della “semplice” raccolta differenziata. I dati raccolti nella ricerca qualiquantitativa condotta da GfK-Eurisko “Gli italiani, la Green Economy & Communication”4 sonda quali sono i settori verso cui gli italiani si sentono più critici; chi si dovrà occupare di affrontare seriamente i temi della sostenibilità; che ruolo deve svolgere la comunicazione e quali sono le prospettive future sull’argomento. Tra le grandi preoccupazioni degli italiani oggi la tutela dell’ambiente occupa il terzo posto, dopo la disoccupazione e la crisi economica. Maggiormente sensibili all’argomento è la fascia 30/50, in particolare donne che risiedono al Nord. I giovani sono meno coinvolti, sono più distanti e cinici. Il green non viene identificato con la qualità della vita, che è invece uno dei loro mantra. Il clima fa comunque paura e tutti sentono l’inquinamento sulla pelle e nei polmoni.

Le più consistenti preoccupazioni degli Italiani

61%

29%

La disoccupazione

53%

34%

La crisi economica

48%

42%

La tutela dell’ambiente

48%

33%

L’aumento delle malattie

47%

40%

La sicurezza nelle città

36%

34%

L’immigrazione

Molto

Abbastanza

Per riassumere i dati raccolti dalla ricerca la gente sembra dire: abbiamo capito, si può vivere bene anche con meno, senza dover tornare ai tempi delle nonne, ma comunque vivere in modo più frugale è possibile e giusto. La frugalità è una delle tendenze odierne. Sempre più persone al mondo hanno cominciato a capire che uno stile di vita più “sano” fa bene a loro e al pianeta. La recessione avrà aiutato questo processo di frugalità, meno consumi e maggiore attenzione all’ambiente sono abitudini penetrate nella coscienza dei cittadini più di quanto pensiamo. E sembra che l’era del consumismo sfrenato sia al tramonto. Diventiamo smart ma oculati, “antichi” ma postmoderni. 20


Le aree green di massimo coinvolgimento per gli italiani

Energia

Rifiuti/Riciclaggio

Abbigliamento

Detersivi

Alimentari

Trasporti

Gli attori green e la comunicazione Gli italiani hanno fiducia nelle aziende e nelle marche che mostrano sensibilità ambientale, anche se temono che molte di esse facciano operazioni di greenwashing (dicano il falso). La comunicazione è ritenuta un tema importante: ben il 70% si dichiara realmente interessato all’argomento. E l’interesse è focalizzato su alcune aree di efficacia mediatica: notizie e documentari in tv, pubblicità, internet e social media, informazioni sul punto vendita e sopratutto le etichette sui prodotti. Per riassumere... • chiedono la possibilità di agire concretamente, di applicare comportamenti che possano essere condivisi come la lotta agli sprechi, la raccolta differenziata, un minor utilizzo dell’acqua; • lamentano la mancanza di una maggiore fermezza e decisione a perseguire a livello istituzionale e legislativo scelte forti a favore dell’ambiente; • riconoscono la difficoltà di mettere in pratica alcuni accorgimenti specie quando si parla di rinunciare ad alcuni beni e comodità, come l’uso dell’auto; • rispetto al passato hanno comportamenti più oculati e cominciano a sentirsi in dovere di partecipare con le proprie azioni, per quanto piccole, a un movimento per la salvaguardia del pianeta; • sono consapevoli di vivere in un mondo improntato al ciclo del fast moving consumer (produzione – consumi – rifiuti) e si stanno piano piano rendendo conto di quello che possono fare per incidere il meno possibile sul già precario equilibrio ambientale; • esprimono un giudizio positivo nei confronti delle aziende attive in campo ambientale, a patto che non facciano pagare per un eccessivo premium price. • temono le operazioni di greenwashing e per questo vorrebbero da parte delle imprese maggiori informazioni sulla loro effettiva sostenibilità; anche i giovani, che sono i meno coinvolti, i più disillusi, chiedono un’informazione più credibile e trasparente su ciò che il mondo della produzione sta facendo per essere sostenibile.

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Sostenibilità o normalità? La sostenibilità è un concetto che è connesso con tutto quello che noi facciamo, consumiamo e produciamo. Attualmente nulla di quello che l’uomo produce è realmente sostenibile. Una prima definizione di sviluppo sostenibile è presente nel rapporto documento rilasciato nel 1987 dalla Commissione mondiale sull’ambiente e lo sviluppo: « Lo sviluppo sostenibile è uno sviluppo che soddisfi i bisogni del presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri » Sostenibilità è una parola che ha mio parere rispecchia si un modo di produrre e vivere in modo rispettoso ma è stata anche troppo utilizzata e in alcuni casi non vuol dire più nulla. In questo stesso libro verrà usato largamente questo aggettivo per permettere a tutti di capire in che termini si parla ma nonostante ciò, a mio parere parlare di “normalità” sarebbe più appropriato. Consumare in modo intelligente e sostenibile dovrebbe essere la normalità. Avere ciò che ci serve, non avere tutto. Molti paesi dell’unione europea hanno vissuto un periodo di crisi economica ed alcuni tutt’ora la vivono. Per questo il superfluo si è molto ridimensionato. Si sta iniziando a capire in vari settori che il capitalismo sfrenato non mantiene sempre quello che promette. Con la crisi ci siamo trovati davanti ad un capolinea degli eccessi (sempre per chi poteva permetterseli) e il consumatore inizia a controllare la spesa, è più scettico alle pubblicità, aderisce maggiormente ad un’etica ambientalista, puntando sul benessere e sull’utilità. Si cerca sempre di più una nuova normalità svincolata da un consumismo drogato ed esagerato: si ricerca il valore delle cose. Il green è collegato a ciò, a riscoprire cosa c’era di buono nella tradizione e cosa si può fare di nuovo nel futuro. Non è sensato consumare più risorse di quanto il nostro pianeta sia in grado di rigenerarne e non è normale che l’uomo stia ad esempio compromettendo la propria acqua. Per questi motivi la sostenibilità a mio parere dovrebbe essere la normalità.

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Circa dagli anni 70 si sente parlare di riciclo. Il problema di riciclare i nostri prodotti non si poneva in passato per vari motivi: la ricchezza non diffusa, prima del boom economico post- guerra, non permetteva di circondarsi di molti oggetti; avevamo l’essenziale ed in più molto poco si buttava, molto si riutilizzava o si aggiustava se si rompeva. Ora siamo circondati da qualunque tipo di oggetto, spesso cose che non ci lasceranno mai, saremo noi al massimo a lasciarli. Oggetti che nella maggior parte dei casi sono insignificanti, che donano solo un piacere nel momento dell’acquisto e che spesso non giudichiamo per la loro storia. Secondo Remo Bodei, filosofo che ha insegnato per lungo tempo alla Scuola Normale di Pisa, questa opulenza consumistica, questo circolo vizioso che si è creato tra consumo e ciclo economico, che ha portato alla necessità di non produrre più oggetti durevoli, ha respinto ai margini della consapevolezza la provenienza delle cose. “Salvare le cose dalla loro insignificanza o dal loro uso puramente strumentale vuol dire comprendere meglio noi stessi e le vicende in cui siamo inseriti” dice Bodei. Prendiamo ad esempio un oggetto a cui noi tutti ormai siamo legati, il telefonino (ormai evoluto in smartphone). Il nostro telefonino intelligente, così bello ed utile, è semplicemente un oggetto che usiamo, al quale non leghiamo un particolare significato. Ma il mio rapporto cambia se, per esempio, comincio a sapere che per fabbricarlo serve un metallo molto raro, il coltan, che si trova in Congo e che per il suo possesso muoiono migliaia di persone. Nella foto a sinistra: Impianto di riciclaggio della plastica in Canada. Sopra: iPhone 5 e morti in Congo a causa della guerra civile. Nei territori di estrazione del coltan le milizie lottano per il controllo di queste zone e schiavizzano la popolazione.

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Il valore delle cose non si riduce, dunque, solo a una prevenzione contro gli sprechi, a un uso più accorto degli oggetti, a consumi più responsabili, ma è una scoperta di senso. Legato a questo discorso è quello dell’homo faber. L’artigiano o colui che aggiustava le cose era destinato all’estinzione negli anni dell’epopea del consumismo sfrenato e compulsivo. La bulimia di consumi non lascia spazio alla manutenzione e l’homo faber che è padrone della sua manualità non ha spazio di vita. Ma dobbiamo ricordarci che nel 2009 la Grande Crisi, che ha fortemente colpito anche il nostro Paese, ha aiutato ad intaccare il paradigma “possedere a dismisura uguale a felicità”. Siti web come www.wikihow.com o www.ifixit.com sono diventati molto popolari e visitati negli ultimi anni; sono tipologie di siti in cui le informazioni possono essere modificate da ogni utente (come la celebre enciclopedia virtuale Wikipedia) ed insegnano come aggiustare o realizzare oggetti con il fai da te. Il percorso è ancora lungo ma qualcosa si sta muovendo nella direzione della nuova normalità.

Discorso di Josè Mujica, Presidente dell’Uruguay, en la Cumbre Río+20 Río de Janeiro, Brasile, Giovedì 21 Giugno 2012

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significa mirar por todo el planeta – y ¿estamos gobernando la globalización o la globalización nos gobierna a nosotros? ¿Es posible hablar de solidaridad y de que estamos todos juntos en una economía que está basada en la competencia despiadada? ¿Hasta dónde llega nuestra fraternidad?

pensadores definían – Epicuro, Sèneca, los Aimara – “pobre no es el que tiene poco, sino verdaderamente pobre es el que necesita infinitamente mucho y desea y desea y desea más y más“. ¡Esta es una clave de carácter cultural!

Entonces, voy a saludar el esfuerzo y los acuerdos que se hacen. Y los voy a acompañar como gobernante, porque Nada de esto lo digo para negar la sè que algunas cosas de las que estoy importancia de este evento. No. Es por diciendo rechinan. el contrario. El desafío que tenemos Pero tenemos que darnos cuenta. por delante es de una magnitud, de carácter colosal, y la gran crisis no es Que la crisis del agua, que la crisis de ecológica, ¡es política! la agresión al medio ambiente, no es una causa. El hombre no gobierna hoy las fuerzas que ha desatado, sino que las fuerzas La causa es el modelo de civilización que ha desatado lo gobiernan al hom- que hemos montado, y lo que tenemos bre. Y la vida. que revisar es nuestra forma de vivir.

Autoridades presentes de todas las latitudes y organismos, muchas gracias. Muchas gracias, nuestro agradecimiento al pueblo del Brasil y a su señora presidenta. Y muchas gracias a la buena fe que seguramente han Porque no venimos al planeta para manifestado todos los oradores que desarrollarnos en tèrminos generales. Venimos a la vida intentando ser me precedieron. felices. Porque la vida es corta y se nos Expresamos la íntima voluntad, va. Y ningún bien vale como la vida. como gobernantes, de acompañar Y esto es elemental, pero si la vida se todos los acuerdos que esta, nuestra me va a escapar trabajando y trabajando para consumir un plus, y la sociepobre humanidad, pueda suscribir. dad de consumo es el motor, porque en Sin embargo, permítasenos hacernos definitiva si se paraliza el consumo o si se detiene, se detiene la economía, y algunas preguntas en voz alta. si se detiene la economía es el fantaToda la tarde se ha estado hablando sma del estancamiento para cada uno del desarrollo sustentable y de sacar a de nosotros. inmensas masas de la pobreza. ¿Què es lo que aletea en nuestras Pero ese hiperconsumo a su vez es el que está agrediendo al planeta, y tiene cabezas? ¿El modelo de desarrollo y de con- que generar ese hiperconsumo cosas sumo, es el actual de las sociedades que duren poco porque hay que vender ricas? Me hago esta pregunta: ¿què le mucho. Y una lamparita elèctrica no pasaría a este planeta si los hindúes puede durar más de mil horas prentuvieran la misma proporción de dida. Pero hay lamparitas elèctricas autos por familia que tienen los ale- que pueden durar cien mil, doscienmanes? ¿Cuánto oxígeno nos que- tas mil horas, pero esas no se pueden hacer porque el problema es el merdaría para poder respirar? cado, porque tenemos trabajar y que Más claro: ¿el mundo tiene los ele- tenemos que tener una civilización mentos hoy, materiales, como para de use y tire, y estamos en un círculo hacer posible que 7 mil, 8 mil mil- vicioso. lones de personas puedan tener el mismo grado de consumo y de ¡Estos son problemas de carácter despilfarro que tienen las más opu- político! que nos están diciendo la necesidad de empezar a luchar por lentas sociedades occidentales? otra cultura. No se trata de plantear¿Será posible, o tendremos que dar- nos volver al hombre de las cavernas, nos algún día otro tipo de discusión? ni tener un monumento del atraso. Porque hemos creado una civiliza- Es que no podemos indefinidamente ción en la que estamos, hija del mer- continuar gobernados por el mercado, hija de la competencia, que cado, sino que tenemos que gobernar ha deparado un progreso material al mercado. portentoso y explosivo, pero lo que fue economía de mercado ha cre- Por eso digo que el problema es de ado sociedades de mercado y nos ha carácter político. En mi humilde deparado esta globalización – que manera de pensar. Porque los viejos

¿Por què? Pertenezco a un pequeño país muy bien dotado de recursos naturales para vivir. En mi país hay tres millones de habitantes, un poco más, tres millones doscientos. Pero hay unos trece millones de vacas de las mejores del mundo. Unos ocho o diez millones de ovejas estupendas. Mi país es exportador de comida, de lácteos, de carne. Es una penillanura[ii]. Casi el 90% de su territorio es aprovechable. Mis compañeros trabajadores lucharon mucho por las ocho horas de trabajo y ahora están consiguiendo seis horas. Pero el que consigue seis hora se consigue otro trabajo, por tanto trabaja más que antes. ¿Por què? Porque tiene que pagar una cantidad de cuotas: la motito que compró, el autito que compró. Y pague cuotas y pague cuotas. Y cuando quiere acordar es un viejo reumático como yo y se le fue la vida. Y uno se hace esta pregunta: ¿ese es el destino de la vida humana? Estas cosas son muy elementales. El desarrollo no puede ser en contra de la felicidad. Tiene que ser a favor de la felicidad humana, del amor, arriba de la tierra, de las relaciones humanas, de cuidar a los hijos, de tener amigos, de tener lo elemental! Precisamente, porque eso es el tesoro más importante que tiene. Cuando luchamos por el medio ambiente, el primer elemento del medio ambiente se llama la felicidad humana. Gracias. 25


.2 COMUNICAZIONE GREEN

Che ruolo ha la comunicazione e qual’è stata la sua evoluzione? Che rapporto abbiamo con le immagini che troviamo nella nostra società?

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“Waste no food!” - posters tra le due guerre

I

l periodo di recente crisi, come detto precedentemente, ci ha iniziato a far ragionare in modo diverso su ciò che abbiamo e consumiamo. Un periodo di grande instabilità economica e politica fu attraversato da tutto il mondo, in maniera ancora più incisiva e distruttiva, nel periodo della prima e seconda guerra mondiale. Durante quegli anni i governi comunicavano con i loro cittadini attraverso l’uso della propaganda che non si serviva ancora di mezzi come la tv (poichè la sua diffusione era assente nella prima e molto limitata nella seconda) ma con la carta stampata. Negli Stati Uniti, sul cui territorio non si combattè nessuna delle due guerre mondiali, ad esclusione di episodi come Pearl Harbour nel 7 dicembre 1941, era fondamentale creare un fronte unito in patria che sostenesse i militari americani impiegati sul fronte europeo. Il periodo delle due grandi guerre fu sicuramente un periodo di profonda crisi economica, molto più rispetto quello che viviamo ora ed è interessante vedere come il governo incitasse i cittadini a non sprecare o addirittura consigliasse un certo tipo di alimento rispetto ad un altro. Il tipo di grafica che si sviluppò nel periodo delle guerre spazzò via molte considerazioni di ordine estetico a vantaggio di una comunicazione semplice, immediata, spettacolare, capace di colpire l’immaginazione di ogni ceto sociale.

Le tipologie compositive si ridussero a formule, che vennero in molti casi ripetute, anche perchè i messaggi erano spesso dello stesso tipo (oltre al cibo avevamo arruolamento, prestito di guerra, fiducia nella vittoria). I poster, non solo decorativi, al tempo erano una forma primaria di comunicazione, soprattutto alla fine del 1800 ed inizio 1900, prima che la radio e la tv garantissero un contatto più regolare con la popolazione. Come per tv e radio, i poster contenevano un messaggio che doveva raggiungere un pubblico di massa ed erano disegnati per essere facili da interpretare ed attirare l’attenzione. La tipologia di poster che si sviluppò nel periodo delle guerre, a mio avviso, rappresentano una prima forma di green design poichè non solo comunicano con immagini forti che attirano e fanno subito intendere il messaggio che vogliono comunicare, ma anche perchè gli argomenti trattati sono quelli che riguardano la vita quotidiana delle persone e non solo le guidano verso un uso corretto ad esempio del cibo ma servono a creare un forte e compatto fronte che da casa sostiene gli uomini in Europa.

Le circostanze della guerra richiedono un cambiamento delle abitudini giornaliere rispetto ai tempi di pace e non erano cambiamenti facili da attuare nelle persone. I messaggi di questi poster variano da consigli sulla conservazione del cibo, al giardinaggio casalingo, dal razionare le scorte nel miglior modo alll’importanza di inscatolare i prodotti alimentari per la conservazione. Ai proprietari di fattorie, che ebbero un ruolo chiave nel cosi detto home-front statunitense, il governo indirizzò una comuniczioni che richiamava l’attenzione sul massimizzare la produzione e sul conservare maggiori quantità di prodotti nel caso si dovesse sopperire a periodi di scarsità di cibo. Come possiamo vedere particolare importanza aveva l’argomento del cibo, focalizzato sopratutto sul conservare e sul non sprecare, temi che a mio parere sono ancora attuali. Noi europei ed americani siamo ormai abituati ad una sovrabbondanza che ci permette di buttare giornalmente grandi quantità di cibo mentre e sono milioni le persone che ogni giorno vivono con scarse quantità di cibo.

“I had the conviction that the poster must play a great part in the fight for public opinion. The printed word might not be read, people might not choose to attend meetings or to watch motion pictures, but the billboard was something that caught even the most indifferent eye.”5 George Creel, Capo della Commissione per l’informazione pubblica, nel suo “World War I memoir, How We Advertised America”.

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WWI*

Outdoor Advertising Section, Public Information Division, U.S. Food Administration, 1917. Fonte: Special Collections, National Agricultural Library

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Prima Guerra Mondiale Il governo americano, anche se esitante in un primo momento, capì che per espandere il suo potere sul “controllo” delle scorte di cibo era necessario coinvolgere attivamente i cittadini. La miglior soluzione sembrò quella della razionalizzazione volontaria ed indipendente delle singole famiglie e venne così supportata dalla pubblicità. Lo stile comunicativo del “reason-why” (perchè farlo), utilizzava tesi convincenti sul perchè razionalizzare il cibo e questo metodo servì come modello per molti messaggi di guerra. Nelle sue memorie, George Creel, capo della Commissione sulla Pubblica Informazione, scrive queste parole che fanno intuire quale fosse il metodo prediletto per la propaganda: “Il nostro sforzo è stato sopratutto educativo ed informativo, perchè avevamo tanta fiducia nella nostra causa, tanto da credere che nessun altro argomento fosse necessario oltre che la semplice, diretta presentazione dei fatti.”6

Poster della “U.S. Food Administration” con esempi di pubblicità per esterni e cartellonistica.Il poster rappresenta l’importanza data al tempo alla diffusione dei messaggi sul cibo in luoghi pubblici nella prima guerra mondiale. Testo del poster: “All Public Spirited Outdoor Advertising Organizations are Operating in the Drive to Gain the Self-Sacrificing Loyalty of Our People to the U.S. Food Administration. The Campaign Has Resulted in Displays of Effective Design on Every Conceivable Location Favorable for This Use. A Few of the 550 Designs Completed Are Shown on This Page. The Campaign is Nationwide. 5000 Signs Are Needed— What Can You Do to Help It Along?”

Desideroso di apparire meno come un dittatore del cibo e più simile a un amministratore attento Herbert Hoover coscienziosamente diffuse informazioni della Food Administration per gli uffici e le agenzie regionali. “ Il problema del cibo riguarda una saggia amministrazione e non può essere espresso con le parole “dittatore” o “controllore”, ma solo come amministratore del cibo.” Dichiarò lo stesso Hoover dopo essere stato eletto “Food Administrator” (Amministratore del Cibo) il 20 maggio del 1917.7 Hoover ha incoraggiato la cooperazione dei cittadini a livello locale, arrivando a livelli più personali di quanto la neonata agenzia federale potesse raggiungere. La Education Division of the Food Administration forniva materiale educativo e messaggi chiave che gli uffici regionali poterono distribuire alle organizzazioni locali, scuole, biblioteche, uffici postali e chiese. Ogni stato interpretò i messaggi della Food Administration per produrre ogniuno differenti posters, spesso utilizzando anche formulazioni di messaggi che Hoover avrebbe evitato. Un poster dello stato dell’Arizona diceva ai propri cittadini: “Il governo tedesco ti lascerebbe nutrire da solo. Lo zio Sam vuole che tu nutri te stesso”, mentre un altro poster, questa volta del Kansas, spiega: “Il sacrificio personale deve sostituire la precedente sovrabbondanza. Lo spreco di cibo non è leale.”

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USDA, 1917. Source: Special Collections, National Agricultural Library

WWI* 30


YOU WILL NEED LESS MEAT

Una volta deciso che spiegare perchè seguire le linee guida del U.S. Food Administration sarebbe stato più efficace che imporre, l’agenzia consultò economisti dell’epoca che supportarono un approccio scientifico al cibo. Per giustificare i giorni “senza carne” e “senza frumento” si pensò che se gli Americani fossero messi a conoscenza dell’intercambio di proteine, grassi, e carboidrati, avrebbero potuto capire perchè adottare una politica di risparmi.

Allo stesso modo quando i poster della USDA (U.S. Department of Agriculture) suggerivano di consumare certi cibo rispetto ad altri, spesso usarono diagrammi ed illustrazioni per motivare razionalmente tale richiesta.

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USDA, 1917. Source: Special Collections, National Agricultural Library

“Eat More Corn” Questo poster descrive il granoturco come un appetitoso e valido, a livello nutrizionale, sostituto del frumento. Se appetitoso e nutriente non erano abbastanza per convincere, questo poster fa appiglio a sentimenti patriottici con il testo: “ Il granturco ha salvato i pellegrini e nutrito i nostri pionieri, il granturco ci aiuterà a nutrire il mondo” “Corn Saved the Pilgrims and Fed Our Pioneers, Corn Will Help Us Feed the World.”

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WWI*

“Food Poster” di Frederic G. Cooper ed una variazione del suo poster La seconda versione (a destra) del poster fu prodotta localmente dal comitato della sicurezza in Pennysylvania, riprendendo lo stile da un precedente poster della US food Administration realizzato dall’artista Frederic G. Cooper

c.1917. Source: Special Collections, National Agricultural Library

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“Here Sir at Your Service” In aggiunta alla patata che saluta, il poster propone una serie di ragioni per le quali bisognerebbe consumare più patate, includendo lealtà verso il Connetticut e la migliore salute fisica che ne deriva dal loro consumo.

W

Connecticut Committee of Food Supply, 1917. Fonte: Special Collections, National Agricultural Library

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WWI*

Waste No Food USDA poster, 1917. Fonti: Special Collections, National Agricultural LibraryÂ

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WWI* Beans Beans Beans “Do you know beans - Make an execellent substitute of meat?” (“Sapevate che i faggioli - Sono un eccelente sostituto della carne?”) non sembra un motto vegano odierno che potremmo vedere scritto su qualche muro?

Arizona Council of Defense, 1917. Source: Special Collections, National Agricultural Library

Grow a Garden A differenza dei manifesti prodotti nei singoli stati che diffondevano informazioni per lo più pratiche, i poster distribuiti a livello nazionale durante la Prima guerra mondiale erano spesso colorati e altamente illustrativo. È ancora utilizzato il testo per spiegare il conflitto all’estero e incoraggiare sacrifici a casa. Anche questo poster potrebbe rappresentare un consiglio buono anche per i giorni nostri.

Artist: Alva Edwards Louisiana Agricultural Extension Division, c.1917. Source: Special Collections, National Agricultural Library

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DON’T WASTE FOOD Arizona Council of Defense, 1917. Source: Special Collections, National Agricultural Library

Seconda Guerra Mondiale “Il poster dovrebbe essere un’immagine, non un design simbolico o un poster solo tipografico. Attraverso un’immagine il messaggio è un’autentica rappresentazione, con dettagli fotografici di persone ed oggetti per come sono, e così sono visti da milioni di persone che formano la massa della popolazione degli Stati Uniti”. Raccomandazioni basate su un’indagine sui posters di guerra condotta da Young & Rubicam, Inc., conclusasi nel 19428

Dal 1941, giornali, cinegiornali e riviste (in particolare LIFE) esposero regolarmente il pubblico americano a immagini fotografiche e ad un nuovo linguaggio visuale per comunicare eventi del tempo. Da questo si iniziò ad associare l’immagine documentaria fotografica con la realtà. “La seconda Guerra Mondiale giunse al momento giusto per costruire unità attraverso un codice visivo.”9 scrive George Roeder nel suo libro che racconta l’esperienza comunicativa degli anni della Seconda Guerra Mondiale. Le strategie di persuasione sviluppate per i beni di consumo influenzarono anche il design dei poster prodotti in tempo di guerra negli anni ‘40. In questo periodo, i pubblicitari iniziarono ad usare principalmente immagini per stuzzicare le emozioni piuttosto che testo che invece stuzzicasse la ragione. La strategia comunicativa variò dallo stile “reason-why” utilizzato nella Prima Guerra Mondiale. L’industria della pubblicità, che fu accusata negli anni ‘30 di manipolare i consumatori e promuovere un incontrollato consumismo, formò il Consiglio della Pubblicità (Advertising Council) nel giugno del 1942. Volontariamente iniziarono a dedicare tempo ed assistenza all’ufficio che gestiva le informazioni di guerra (Office of War Information) incrementando così la propaganda in tempo di guerra, ed anche per migliorare l’immagine della loro stessa industria verso il pubblico. Una comparazione dei poster delle due guerre mostra come il Consiglio, composto da pubblicitari ed agenzie pubblicitarie, divenne un “un veicolo privato per la pubblica informazione e persuasione.”

WWII*

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Confronto tra posters: Prima Guerra Mondiale Women of the Home/Know Foods and Food Values Il primo poster riguardo l’inscatolamento e la conservazione dei cibi (canning), usa una comunicazione che punta l’attenzione su temi come la guerra, l’alleanza, il dovere, il risparmio e la carestia. Spiega il perchè conservare il cibo ed addirittura il come farlo.

The Pennsylvania State College, c.1917 and OWI, c.1944. Source: Special Collections, National Agricultural Library

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Seconda Guerra Mondiale

con

“Of Course I Can! I’m patriotic as can be — and ration points won’t worry me!” In contrasto, il poster del periodo della Seconda Guerra Mondiale creato dall’Ad Council rappresenta una faccia sorridente e spensierata di una tipica casalinga dell’epoca, cosa molto caratteristica della pubblicità commerciale del tempo.

I CAN


Armour and Company, c.1943. Source: Special Collections, National Agricultural Library

“In my opinion those techniques have done more toward dimming perceptions, suspending critical values, and spreading the sticky syrup of complacency over the people more than any other factor in the complex pattern of our supercharged lives.” Francis Brennan 11

USDA, 1942. Fonte: Special Collections, National Agricultural Library

“Il business desidera creare un’atteggiamento, una reazione ai fatti, non comunicarli. Solo riguardo alcuni fatti... per dire lo stretto necessario nel modo più incisivo”. Commentò sulla sua professione un importante art director dell’epoca.12 L’ufficio che gestiva i prezzi dei prodotti (Office of Price Administration -OPA-), il cui lavoro era interpretare i bisogni dei civili, scelse la via della pianificazione delle risorse di cibo, includendo programmi di economica ed equa distribuzioni delle merci. Per proteggere i consumatori dell’homefront conclusero che la soluzione più saggia fosse razionare il cibo. Fu enfatizzato l’aspetto democratico di questa scelta

WWII*

poichè si sapeva che difficilmente il popolo avrebbe accettato certe condizioni e sacrifici. I poters dell’Ad Council avevano due obiettivi principali nella loro comunicazione 1- supportare le informazioni per i cittadini che l’Office of War Information’s forniva e 2- promuovere l’interesse dei pubblicitari al libero mercato che avrebbe potuto aver bisogno di loro una volta finita la guerra. Alcuni posters mostrano il desiderio di creare un messaggio che fosse allo stesso tempo di appoggio ai bisogni di guerra ed anche amichevole verso il commercio privato.

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Grafica sociale Così come la grafica istituzionale era interessante a mio parere per il suo aspetto puramente informativo e di incentivazione a seguire determinati stili di vita, così anche è da tenere in considerazione il forte potere comunicativo di grafiche che si attestano contro determinate situazioni politiche, sociali ed etiche. Il termine sociale, nella grafica, può comprendere anche quella parte della comunicazione visiva che spinge la popolazione verso una coscienza spesso contraria a quella imposta da un regime, un governo o una condizione sociale ed economica. Primissimi esempi furono le grafiche di Dimitri Moor che è considerato il padre del manifesto di propaganda. Lo stile allegorico ed illustrativo di Moor divenne popolare in tutta l’Unione Sovietica. Le sue opere continuarono a influenzare il movimento artistico anche dopo la sua morte nel 1946. I colori principalmente usati dall’artista erano il rosso, il nero e il bianco, colori poi rispresi dai costruttivisti suoi connazionali. Fra i seguaci di Moor c’è anche l’artista americano contemporaneo Shepard Fairey

“L’autunno” (1925)

“Tutto inizia con la G” (1941)

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“Russia Sovietica, accampamento assediato, tutti alle armi� (1919)

Dimitri Moor

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Molte campagne dedicate ai grandi temi sociali si avvalsero del manifesto per trasmettere messaggi di carattere educativo. Già nel 1949 artisti grafici svizzeri si erano mossi verso temi sociale come la difesa degli anzinani prodotto da Carlo Vivarelli. Altri posters furono prodotti anche da Josef Müller Brockmann, di cui uno dei più famosi “Weniger Lärm” del 1960, in cui si denuncia l’inquinamento acustico e, sempre realizzata dallo stesso artista grafico, una campagana per prevenire gli incidenti stradali ed incoraggiare gli automobilisti ad usare più attenzione a bordo dei veicoli a motore, prodotti per il Club Automobile Svizzero. Brockmann credeva nel ruolo sociale della grafica e lo esprime attraverso questi posters. L’immagine fotografica è sovrastata da una potente e diretta scritta in cui il messaggio viene comunicato con un carattere bastoni (Helvetica spesso) che arriva diretto all’attenzione di chi guarda il poster.

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Una delle protagoniste di questo genere di potenza visiva è sicuramente la fotografa americana Barbara Kruger. La sua tecnica è ormai un segno di fabbrica: utilizzando un supporto fotografico come sfondo ed un testo aggressivo che cattura chi lo vede, sia per il messaggio che per la realizzazione grafica.

Tipiche infatti le sue lettere bianche in Futura Bold posizionate su sfondo rosso che racchiudono un immediato messaggio. Tra i più conosciuti ci sono “I shop therefore i am” (I compro quindi io esisto, una sorta di agghiacciante postmoderno “Cogito ergo sum”) o “Your body is a battleground” (Il tuo corpo è un campo di battaglia) dove la sua critica è diretta al mondo del consumismo ed alla difesa delle donne che hanno visto sempre di più perdere il senso del proprio corpo, trasformato in strumento di vendita di massa dalla pubblicità. “Io lavoro con immagini e testo perchè essi hanno l’abilità di determinare chi siamo e chi non siamo.”, le parole e le immagini sono usate nel suo lavoro come elementi che possono comunicare la verità ma anche capaci di mentire come nella pubblicità.

Barbara Kruger

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Più significativa fu la produzione di manifesti dedicati ai problemi dell’intera umanità, come la pace, il disarmo atomico o l’inquinamento, nei quali l’equilibrio tra la drammaticità degli argomenti e l’essenzialità della struttura grafica arrivò a creare figurazioni di forte impatto emotivo ed estetico: il manifesto per la lotta alla fame nel mondo, prodotto nel 1962 dalla FAO, giocò sull’ambivalenza grafica della figura di un bambino scheletrico e di una spiga di grano. Il manifesto che denuncia l’inquinamento delle acque fu disegnato dall’artista elvetico Hans Erni. L’aver vissuto due guerre lo ha portato a sviluppare una notevole sensibilità per i temi della pace e dei diritti sociali. Oggi si batte anche per la difesa dell’ambiente. Impegno che gli è valso la Medaglia della Pace delle Nazioni Unite nel 1983, a New York. Altra sua opera fu il poster “Impediamolo!”, un manifesto disegnato nel 1964 da Hans Erni per il Movimento svizzero per la pace, sintetizzò la comunicazione su tre elementi di particolare espressività: l’immagine del fungo atomico, il teschio come simbolo di morte e del mondo, il colore nero rinvio ad un pericolo devastante.

In senso anti-orario: “Save our water” Hans Erni, 1961; “Stop Nuclear Suicide” Frederic Henri Kay Henrion, 1963; “Freedom from Hunger” Abram Games, 1962 United Nations

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I manifesti continuarono anche nel periodo della Guerra del Vietnam ed iniziarono a proporre linguaggi alternativi rispetto a quelli ormai egemoni nella comunicazione visiva di massa. Gli studenti francesi nel ‘68 iniziarono a scrivere messaggi sui muri della città che incitavano alla rivolta. Erano molto organizzati a livello di divulgazione ed erano numerosi i poster che circolavano per le strade di Parigi.

Sopra:“End Bad Breath” Seymore Chwast, 1967; Manifesti degli studenti francesi nel ‘68 A sinistra: ‘Think...Dow Shalt Not Kill...,’ Sture Johannesson,1967

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Tra le molte realtà sviluppatesi nella difesa della dignità del design e della sua potenza comunicativa, c’è la rivista Abdusters con base a Vancouver, in Canada. No-profit e supportata dai lettori, si occupa, citando il loro sito: “dell’erosione del nostro corpo e della nostra cultura dalle potenze commerciali”. Anti-capitalista di orientamento, offre articoli filosofici ed incisivi, e di commento a ciò che succede nel mondo dai cibi OGM alla diffusione dei media. È una rivista ecologica, che in generale si dedica ad esaminare la relazione tra umani e il loro inquinamento fisico e mentale; sognano un mondo in cui economia ed ecologia possano convivere in modo bilanciato, si autodefiniscono così: “Siamo un network globale di artisti, attivisti, scrittori, burloni, studenti, educatori ed imprenditori che vuole un avanzamento nel nuovo movimento sociale di attivisti dell’era informatica. Il nostro scopo è rovesciare le esistenti strutture di potere e creare un avanzamento dello stile di vita del 21° secolo”

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Sono anche promotori di diverse campagne per la sensibilizzazione della popolazione su temi riguardanti i loro principali argomenti; una campagna di particolare successo organizzata da Abduster è stata il “Buy nothing day” (il giorno del comprare niente). Criticando l’attuale sistema di consumi che non ci rende possibile riparare la grande crisi mentale-finanziaria-eco dei nostri giorni. Invitano a non acquistare nulla per tutta una giornata per sensibilizzare sull’importanza che ogni singolo consumatore ha sulle politiche finanziarie odierne. È anche una istigazione a cambiare concezione di vita facendoci riflettere su cosa è la vita al di fuori dei centri commerciali.


Adbusters

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Potete riconoscere i loghi qui sopra?

“I loghi sono diventati la cosa più vicina che abbiamo ad un linguaggio internazionale, riconosciuto e capito in molti più posti di quanto lo sia l’Inglese.” Naomi Klein autrice di “NO LOGO”

1 Barilla, 2 Amazon, 3 Esso, 4 Disney, 5 Forza Italia, 6 Playboy, 7 Ikea, 8 Mercede-Benz, 9 Nike

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Le immagini oggi La maggior parte delle persone che vivono nell’occidente industrializzato e digitalizzato sanno riconoscere in media 10 tipi di piante ma conoscono più di 1000 brands e relativi loghi. Un cittadino Americano si imbatte in media 3000 messaggi promozionali visuali ogni giorno.

L’immagine ed il consumo. L’inequità è in aumento. Parlando della giustizia sociale che la globalizzazione del commercio ha tolto a molte persone. Mai come ora la società è stata in grado di creare ricchezza ma mai il divario tra ricchi e poveri è stato così vasto e la disuguaglianza così diffusa. 200 multinazionali governano ¼ della ricchezza mondiale. Tiger Hoods, il golfista, guadagnava per sponsorizzare la Nike più di tutta la forza lavoro che fabbrica i prodotti Nike in Indonesia. L’idea di unificare la storia del nostra pianeta nella logica del capitalismo delle multinazionali è in pratica diventata una riduttiva standardizzazione. Questo ha intaccato anche il mondo “artistico” dando ai creatori di arte la sola funzione di intrattenitori e decoratori, mentre i tecnici o gli artigiani si occupano della produzione materiale.

La responsabilità sociale di un graphic designer è basata sul desiderio di prendere parte alla creazione di un mondo migliore. Sembra facile da dichiarare come principio, ma contrapposto alle contraddizioni della vita reale, il principio non si tramuta subito in regole pratiche. “Life will always be hard enough to prevent men from losing the desire for something better.” Maxim Gorky.

Ogni valutazione della dimensione sociale di un progetto grafico va sempre con una specifica e concreta situazione, questa è la parte più difficile. Viviamo tutti in una società ma non nella stessa. Al meno, fortunatamente, non ancora. Oggi, la produzione della comunicazione visiva consiste essenzialmente nella pubblicità. Questa produzione visuale nell’advertising è estremamente sofisticata ed articolata in Credo che la singola identità di un relazione con i giganti network dei artista e di un tecnico nella persona mass-media. Questi trascendono di un graphic designer forma le basi frontiere e differenze culturali. per la propria capacità di comprendere meglio il suo ruolo e prendere Esistono differenze tra pubblicità parte attiva nelle sue azioni speci- (advertising in inglese) e graphic fiche come individuo che è parte di design. La pubblicità è sempre più questa civiltà. centralizzata, internazionale, geneLa funzione sociale dei grafici passa ralizzata e standardizzata – come le attraverso un approccio più basato forze economiche che la producono su pensieri ed opinioni che attra- e i prodotti a cui si riferiscono. Il verso un processo logico. graphic design, d’altro canto, continua ad essere creato e strutturato in maniera autonoma e diversificata; in diretto contatto con la specifica trama sociale delle diverse società nel mondo. È questa diversità che offre possibilità di sviluppo alla comunicazione grafica nel mondo futuro.

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Il grafico ed il messaggio Attraverso il messaggio il grafico, come co-autore, si confronta finalmente con la propria conoscenza, cultura, ideali e sincerità. Il grafico deve definire una strategia ed essere a conoscenza delle altre strategie sociali già esistenti, includendo quelle che emergono dalle diverse situazioni culturali. A seconda del messaggio, il grafico applica determinati linguaggi e codici derivanti dalla cultura locale, nazionale o internazionale in conseguenza di ciò produrre emozioni e significati. Data questa sua capacità di poter trovare un sentiero nella selva oscura dei simboli e delle rappresentazioni il grafico può essere considerato un artista. Ogni lavoro è una commistione di tecnica ed arte ed implica perciò una vasta cultura oggettiva che superi il semplice livello di esecuzione. Andare oltre questo ci dice che non possiamo essere soddisfatti con le pratica di design effimero che non ha alcuna relazione (se non negativa) con la società globale. Diventa necessario creare messaggi articolati che non siano però elitari, populisti o riduttivi. In opposizione a quella che è la dilagante standardizzazione della pubblicità, dobbiamo lavorare partendo dalle singole situazioni sociali, dalle loro specifiche dinamiche e la loro dimensione umana. È per questo che le piccole unità di comunicazione avranno la possibilità di creare lavori che rigenereranno e svilupperanno la ricchezza visuale destinata alla società.

6. Wine, Women, and Water Global fantasy meets local reality on Hong Kong’s Nathan Street, 2006 PHOTO: DAVID BERMAN Il classico approccio che alcuni designer assumono per vendere maggiormente un prodotto è l’utilizzo di sexy modelli o il richiamo al mondo del sesso

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Se i valori morali che hanno fondato il graphic design sono ormai quasi scomparsi in favore di quelli del marketing, è buono continuare a sottolineare la capacità di leggere affondo le situazioni di molti altri grafici e studenti disseminati nel mondo. Ed è proprio questa coscienza che deve essere incoraggiata e coltivata. Possiamo solo sperare che sempre di più questi valori fluiscano apertamente con tutte le relative differenze sociali.


Consideriamo questa pubblicità che negli anni 50 in Life magazine occupava un intera pagina. Il “giocoso” design mostra cosa era accettabile nel 1952 negli USA. Oggi sembra impossibile che una grande compagnia produttrice di caffè possa utilizzare questa ad e che sia la rivista con maggior tiratura nel paese a pubblicarla. A più di qualcuno questa scena sorprenderà ma questa era un’attitudine accettabile in America in quegli anni nei confronti delle donne.

E quello che noi riteniamo accettabile adesso, potrà in futuro essere criticato e ritenuto superato da una futura società più “sviluppata”. Una sirena adolescente che seduce una bottiglia di acqua può convincere l’America a utilizzare il suo petrolio per trasportare via nave un acqua francese (fino al proprio continente che ha la più grande riserva di acqua potabile).

Bottled water, as sold in 1975

Bottled water, as sold in 1975

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Nel 1964 fu pubblicato il primo numero di “Sports Illustrated Swimsuit”, sancì l’utilizzo del bikini come pezzo di moda, questo cambiò la concezione di moda all’epoca. Oggi, donne estreme sono utilizzate dalla moda come veri e propri cartelloni pubblicitari. Un cliche visuale viene accettato nella società e ci dimentichiamo presto di come siamo arrivati ad accettare quell’immagine come normale. Un interessante esercizio potrebbe essere quello di riscoprire l’utilizzo di un certo oggetto o costume, andando a scavare nei vari livelli del suo passato. Perchè ad esempio, usare corpi femminili è una tecnica più che familiare: faremo una piccola esplorazione.

La bizzarra combinazione di potere non eguale, implicazione di violenza, e ridefinizione di “vero amore” hanno come risultato una modella che ha il sedere marchiato dal logo della compagnia. Avrebbero per lo meno riprodurre correttamente il proprio logo.

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Guess: dove sono i jeans?

Aggiungiamo un pizzico di calore e malizia ad una rivista di tecnoligia che potrebbere risultare troppo fredda per i suoi contnuti.

La soluzione non sembra neanche quella di dare uguale “dirittiâ€? agli uomini. Ăˆ veramente sicurezza quella che si sta vendendo con questo manifesto?

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Sicuramente ha senso mostrare una donna in bikini se sono bikini la merce da vendere. Ma questa pubblicità appare nella rivista Men’s Health. Gli uomini non comprano bikini; è una chiara scusa usare una donna per vendere la marca agli uomini. (Sono io ad essere malizioso o quell’ombra presaggisce qualcosa...).

La soluzione potrebbe essere quella di rispettare tutti. La soluzione è usare il nostro potere in maniera responsabile. Forse la soluzione e non fare dei messaggi più potenti e rumorosi solo un richiamo alla bellezza fisica. Qui abbiamo un esempio di una pubblicità in cui la nudità è usata come metafora per rinforzare il messaggio del prodotto in vendita. Un esempio in cui le persone sono nude ma in modo naturale e sincero.

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Esistono tre diversi modi in cui possiamo pensare il ruolo del grafico: come manipolatore di oggetti; come produttore di messaggi; e come portatore di un cambiamento. Ogni messaggio che comunichiamo o oggetto che produciamo ha un seme, un nucleo da cui nascono i modi di comunicare relativi e gli oggetti che comunicano il messaggio.

Le tre vie: 1 Il grafico è un manipolatore e creatore di oggetti. È ciò che si impara a scuola, quello che è connesso con carta, inchiostri, confezioni, loghi, immagini, tipografia. L’eredità di Guttemberg e del Bauhaus. In questa concezione di grafica, il green design è cercare ed utilizzare migliori materiali, che possono essere inchiostri non tossici, carta riciclata o progettazioni che evitino gli sprechi. 2 Il grafico è un creatore di messaggi. Aiutiamo i clienti a costruire un brand solido con relativi metodi di comunicazione appropriati per il target a cui si vuole comunicare. Il messaggio che produciamo, il brand che aiutiamo a costruire, e le cause che si promuovono, possono avere un impatto che viene prima della scelta di materiali da utilizzare. Oltre ad utilizzare materiali migliori i designer possono creare un messaggio che sia per primo positivo verso il mondo e quindi migliore. Il green design cerca di trovare la miglior soluzione per fare ciò in maniera intelligente ed evitare gli sprechi. 3 Il grafico come agente di un cambiamento. Chi non è soddisfatto di come vanno le cose, da qualche parte, investe nel design per migliorarle. Cerchiamo sempre di aiutare i clienti a cambiare il modo in cui le persone pensano. In questo senso abbiamo il potere non solo di cambiare il nostro modo di pensare ma possiamo cambiare anche quelli che entrano in contatto con il nostro lavoro (dal cliente al pubblico).

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.3 GREEN GRAPHIC DESIGN

Il design può essere un elemento per il cambiamento? Come può essere più sostenibile l’industria grafica? E come si evolve la comunicazione?

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Transition design

D

a sempre il design si evolve a secondo dei riferimenti culturali, economici e sociali in cui è inserito. Cambiare ed evolvere è proprio della natura di ogni tipo di design. Da sempre i designers ispirano soluzioni e risolvono problemi e l’obiettivo che si pone il transition design è quello di passare dalla attuale società ad una più sostenibile. Il termine stesso “transizione” esplica queste idee. È una branchia emergente che applica la conoscenza delle interconnessioni presenti nella nostra società, nell’economia, nella politica e nel mondo naturale, per indirizzare i problemi odierni verso una soluzione e così migliorare la qualità della vita. Per raggiungere cambiamenti di tale livello è necessaria una pianificazione che punti al lungo termine, che guardi al futuro e che capisca in che modo siamo arrivati fino a qui. Il design di transizione incoraggia la simbiosi che può esistere tra abitanti di una stessa comunità, coltiva l’esperienza quotidiana di vita in cui i bisogni fondamentali possano essere soddisfatti in modo integrativo e basati sul luogo in cui si vive. Una transizione verso una società nuova sembra sempre più impellente. Questo determinerà ripensare l’intero stile di vita su scala globale, basato sulle piccole comunità ma tra loro connesse globalmente, a livello tecnologico, di informazione e di cultura. È anche un modo per chiamare le comunità a vivere in modo simbiotico con il proprio ecosistema. Ovviamente questa visione futuristica di cambiamento richiede un nuovo modo di pensare (o almeno diverso da quello comune oggi) riguardo la società, la natura e il sistema di costruzione e progettazione. Deve essere un cambiamento dinamico che sappia utilizzare le buone idee provenienti da vari campi e settori dello sviluppo. Inevitabile è avere una mentalità aperta per arrivare a nuove teorie che poi diventeranno pratiche. Anche indispensabile è la voglia di collaborazione ed una visione ottimistica o come minimo di una piccola speranza nel futuro. Il cambiamento di mentalità e di stili di vita richiede nuove vie di comunicazione e sviluppo in cui si inserisce un nuovo modo di fare design. Nuove visioni nel design possono aiutare a realizzare i cambiamenti ed evolvere la visione del futuro. Sempre nuove vie verranno quindi create e si ritorna all’inizio del nostro discorso in cui le visioni per un futuro migliore si evolvono insieme al design. Anche queste idee ad un lettore italiano potrebbero sembrare utopiste ed irrealizzabili. La nostra classe politica che ci rappresenta non ha avuto in questi anni una vera e propria visione del futuro sociale, anzi a male pena del presente. Ma le speranze non devono morire e abbattersi prima di lottare o sarebbe come non essere mai vissuti. Perciò lasciamo per quanto possibile le lamentele a parte e pensiamo a cosa vogliamo, a cosa amiamo e così potremmo sapere per cosa vare la pena sperare.

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Il viaggio al contrario Un designer che vuole iniziare a lavorare in modo ecologico deve confrontarsi con la congettura che per i materiali alternativi e i metodi di fabbricazione siano troppo costosi. Ciò può venirci detto da un capo, un cliente o dalla nostra stessa coscienza. Abbiamo due problemi con questa supposizione. Primo, spesso è falsa. É spesso possibile utilizzare materiali alternativi ad un simile o minor costo degli altri. Potrebbe richiedere più tempo e più sforzi nelle ricerche ma non per forza un costo aggiuntivo. Secondo, non possiamo focalizzarci solo sul costo (apparente). Ovviamente è un fattore importante anche tenendo conto del periodo di crisi citato precedentemente. Generalmente se il costo di un oggetto supera il suo valore, decidiamo che quel oggetto è troppo costoso. Ma ciò non vuol dire che l’opzione più economica sia la migliore.

Target e Feedback Packaging e distribuzione

Stampa

Inchiostro

Carta

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Il valore supera il costo. Spesso il destino di una brochure o di una pubblicità che troviamo in buchetta è la spazzatura. Dopo essere stata disegnata, stampata e distribuita viene buttata spesso senza neanche essere vista e questo è uno spreco di risorse e di denaro. Eco-efficiente in design significa anche spostare l’investimento dallo spreco al design. Usare più creatività e meno materiale. Per una campagna pubblicitaria tramite mezzi postali si potrebbe ad esempio pensare ad una soluzione multimediale o ad esempio chiedere quanto sia indirizzata e mirata questa pubblicità, ad esempio quante persone hanno cambiato residenza? Quante sono i posti disabitati dove viene comunque recapitata questa posta? A quale fascia di età interessa di più? Sono solo degli esempi ma supponiamo di sviluppare una lista di 13000 indirizzi o addirittura 10000 ed avere lo stesso risultato di 15000 brochure che vengono spedite e stampate ma non tutte raggiungono qualcuno. Si otterebbe già un risparmio in costi di stampa e spedizione e quindi si potrebbe investire ad esempio i una carta rispettosa degli alberi. Ma non è qui che si fa veramente la differenza. Risulta che in media il 2,6 delle persone che ricevono una pubblicità risponda in modo positivo. Il tre per cento è considerato un responso molto buono. Su una lista di 15000 persone/lettere i possibili nuovi clienti potrebbero esse 390 e il totale di lettere buttate invece 14610. Il 97,4 percento di queste lettere è rifiuto. Quelle che finiscono nella spazzatura smettono di funzionare, ovvero non hanno più nessuno scopo. É materiale inutile. E c’è chi ha pagato per questo 97 percento che finisce nel cestino. E allora quale potrebbe essere una soluzione? Come si potrebbe rendere quella lettera interessante per il cliente? Potrebbe insegnargli qualcosa? Possiamo aggiungere più valore all’esperienza dell’utente in modo che meno persone buttino il nostro messaggio? Quindi dal costo dobbiamo iniziare a parlare di valore. Una volta che prendiamo in considerazione quel 97,4 percento di presunta spazzatura e alle strategie che possono incrementare il responso, l’idea che una carta riciclata sia più costosa di una non riciclata inizia a sembrare assurda.

Dobbiamo chiederci: Come posso incrementare l’efficienza del mio design di 10 volte? Aggiungere valore è per fortuna un processo creativo e per questo noi grafici siamo bravi ad aggiungere valore. Quando iniziamo a focalizzare la creatività sulla riduzione degli sprechi, troviamo nuovi modi di fare le cose. Progettare un metodo più rispettoso può far spendere di più nel momento di progettazione o realizzazione ma guadagna in valore e può diminuire gli sprechi quindi un buon design è già più green di uno cattivo.

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Nella foto a destra: la comunicazione porta a porta realizzata da Celery per la farmacia Elephant di San Francisco

Un esempio concreto è un progetto realizzato dallo studio Celery di San Francisco. Per una farmacia della zona focalizzata su rimedi naturali e benessere del corpo chiamata Elephant Pharmacy. La campagna consisteva in direct mail, ovvero posta rilasciata porta a porta. Lo scopo era ridurre i costi di produzioni ma dare all’utente un’esperienza unica. Il risultato è un mazzetto di volantini tenuti insieme da un elastico e ogni volantino ha una serie di consigli sul benessere fisico sul fronte e simpatici esercizi per il corpo sul retro. Un volantino spiega l’importanza dello yoga e dell’essere “flessibili”. Nella parte retrostante ci sono le istruzioni per fare “pilates” con le dita ovvero esercizi che si possono compiere utilizzando l’elastico che tiene insieme i volantini, rendendo così il packaging necessario per il trasporto anche un oggetto utilizzabile dalla persona che riceve il pacchetto. In un altro volantino altri modi ancora di utilizzare l’elastico. L’idea era di coinvolgere il cliente e trasformare il packaging in una parte essenziale dell’esperienza. Ogni oggetto che verrà da noi prodotto ha un utilizzatore (umano) finale. Perciò i nostri prodotti devono essere semplici ed ideali per lo scopo a cui serviranno, comunicando in modo chiaro con le persone. Lo ripeteremo anche più avanti, ma non esiste un unico modo di evitare gli sprechi poiché i prodotti che siamo in grado di progettare variano moltissimo per la loro natura e funzione. Teniamo anche sempre in mente l’esperienza. Un oggetto interessante sarà quasi sempre meglio di un oggetto economico. Un esempio di questo potrebbe essere un packaging realizzato dalla compagnia Pangea Organics per i propri saponi. Al posto di una normale scatola di cartone, le scatole Pangea sono costituite da una polpa rigida di carta al cui interno sono stati inseriti dei semi di fiori. Chi le acquista è invitato a bagnare la scatola in acqua ed ad inserirla in un terriccio o sotterrato in giardino. Con un po’di annaffiamento quel “rifiuto” diventerà un bel fiore. Il concept di questo design si focalizza molto sull’esperienza che si ha con il prodotto e con l’interazione umana dell’utente che avrà dato vita ad un fiore invece che creare un rifiuto.

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Target e feedback Importante è indirizzare un design ad un target. Sono sempre di più le ricerche di mercato che tengono conto degli elementi in comune tra gruppi di acquirenti. I designers e i copy writers possono usufruire di queste informazioni per comunicare in modo più specifico e diretto. Quando si giunge al fulcro di un gruppo si arriva alla personale relazione con il prodotto. Saper a chi si comunica può aiutare a fare ipotesi più sicura su quali saranno le reazioni. Se lo scopo sarà ad esempio pensare il target di un report di un azienda, si potrebbe pensare a chi sarà dirette e quali cose colpiranno ad ogni diverso segmento dell’audience che potremmo dividere in: • Gli scrematori che leggono i paragrafi di introduzione, le citazioni e le foto Loro guarderanno agli argomenti generali e l’insieme della strategia • Gli analisti saranno più interessati ai dati, alle statistiche e i grafici. • Gli interessati della materia vorranno una interessante narrazione circa uno specifico argomento. Progettando in principio tenendo in considerazione questo si può creare un unico pezzo di comunicazione che possa essere interessante sia per gli scrematori, per gli analisti e per gli entusiasti della materia. Un target vago e vasto come “gli impiegati” e “gli investitori” hanno meno influenza sull’effettiva realizzazione del design piuttosto che una chiara idea di chi userà il nostro prodotto. Calcolare l’effettivo responso è possibile solo dopo che un prodotto viene utilizzato. Non esistono dei buoni sistemi che permettano di conoscere il feedback dell’utenza da parte dei designers. Spesso questo anche con progetti singoli che non hanno una relazione duratura con un cliente, ma in ogni modo è veramente difficile che un grafico riesca a sapere i parare del pubblico che interaggisce con il suo lavoro. Per poter però rendere il nostro lavoro sempre più efficiente dobbiamo imparare dai nostri errori. Il responso (feedback) è molto importante in un efficace green graphic design. Apre la possibilità di megliorare e di capire dove avvengono gli sprechi. A molti livelli, eco-efficente vuol dire spostare gli investimenti dallo scarto al design. È usare più creatività e meno materiali.

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Packaging e distribuzione Definizione di packaging: insieme degli elementi e materiali usati per confezionare il prodotto (struttura, etichetta e imballaggio), al fine di renderlo più attraente, più riconoscibile, per protezione o per facilitarne il trasporto e l’utilizzazione. Un packaging ha più o meno 3 secondi per attirare l ‘attenzione di un cliente in un supermercato ed il 70% delle scelte che avviene sullo scaffale. I ruoli del packaging sono quindi: • di vendere il prodotto • di proteggerlo • e di facilitarne l’uso La grafica di un packaging deve essere non solo bella, deve attirare l’attenzione, sopratutto in situazioni, come i supermercati, in cui il rumore visivo di oggetti e marche è notevole. Una volta convinto il compratore il packaging non smette di lavorare. Infatti deve fornire informazioni riguardo il prodotto. Nel caso degli alimenti indica ingredienti, scadenze e valori nutrizionali, in altri prodotti eventuali tossicità (detersivi), i metodi di produzione, come e se possono essere riciclati. Il packaging inoltre è l’identità visiva di un brand e deve essere fortemente caratterizzante. Per realizzare una buona confezione esterna il grafico dovrebbe operare con il brand planner. Il colore è una delle parti fondamentali nella caratterizzazione degli oggetti e negli ultimi anni abbiamo visto aumentare a dismisura il colore verde che è il colore della natura, del mondo vegetale, della fertilità e del benessere. Il verde relativamente al packaging è per questi motivi sempre più associato a prodotti vegetariani, vegani, ecosostenibili, biologici o presunti tali. Non tutti i tipi di imballaggio sono funzionali anche dopo il trasporto dal luogo di vendita alla casa infatti si stima che solo in Italia ogni persona getta circa 156 kg di confezioni all’anno. Per sviare a questo dato non esiste una unica soluzione efficace per tutti i tipi di prodotto, ognuna deve essere studiata per il determinato caso.

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Tipologie di packaging Spesso i progettisti di packaging dividono in due il loro mondo: in packaging primario e secondario. Quello primario è quello che noi vediamo nei supermercati che identifica il prodotto, lo protegge da urti e danni; raggruppa più componenti di un prodotto insieme; attira il cliente e lo orienta sulla scelta. Per capirci, se il prodotto è una passata di pomodoro liquida, il packaging primario probabilmente sarà una bottiglia di vetro, con un adesivo ed un tappo di metallo stampato. Il packaging secondario sarà invece una scatola di cartone con stampe all’esterno e magari timbri di riconoscimento per le spedizioni. Quest ultimo include anche il sistema con cui le diverse casse vengono tenute insieme e trasportate sui pallet e nei container. Nel caso di una lettera il primario sarà la busta in cui sarà chiusa ed inviata e non ci sarà alcun packaging secondario in questo caso. Soluzioni sostenibili L’industria del packaging è stata calunniata per anni, non solo sull’argomento delle buste di plastica, ma per quanto riguarda gli sprechi in generale. Perciò da sempre i vari brands hanno cercato vie per ridurre i materiali o pensare vie alternative, sia per ragioni ambientali che finanziarie. I designer possono aiutare i produttori a ridurre l’impatto del packaging sull’ambiente: • Usando materiali sostenibili o bio degradabili. Ad esempio usare cartone FSC piuttosto che uno di provenienza sconosciuta. • Progettare senza combinazioni di materiali così che l’imballaggio possa essere facilmente riciclato. Ad esempio produrre i tappi delle bottiglie dello stesso materiale del corpo. • Cambiare il ruolo del packaging in modo che possa essere riutilizzato, che diminuisca di volume ecc... I packaging primari sostenibili possono essere o effimeri (con una vita di breve durata) o duraturi. Esempi dei due tipi di questi due metodi di confezionameto di uno stesso prodotto: il latte. Effimero è un prodotto leggero e biodegradabile. É disegnato per durare quanto basta e di solito non troppo. La GreenBottle è una compagnia inglese che ha progettato uno speciale tipo di bottiglia facilmente riciclabile e poco inquinante. La bottiglia è formata da due parti: un guscio esterno di poltiglia di carta riciclata che da la rigidità e la forma alla confezione ed un sacchetto flessibile all’interno costituito da un polimero a base di granturco che contiene il latte. Le due parti sono facilmente separabili e possono essere smaltite in maniera rispettosa dell’ambiente poiché sono materiali biodegradabili. Quindi il pack è prodotto con materiali riciclati e facilmente riciclabili nuovamente.

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Duraturo, per essere di successo deve avere un forte valore in modo che la gente sia invogliata a riutilizzarlo e che si fidi della sua funzionalità nel tempo. La Straus Creamery, nella California del nord,vende il latte in bottiglie di vetro con un deposito aggiunto (1,25 $). Le bottiglie possono essere riportate in negozio una volta svuotate dal latte e queste vengono riutilizzate per ben 8 volte dalla stessa ditta di latte che ne cura anche il recupero nei vari supermercati. La compagnia ha investito per costruire una bottiglia di alta qualità, ben disegnata e con un prezzo di deposito: sono questi tre fattori che incoraggiano il riutilizzo e creano fiducia nel prodotto aggiungendo un valore in più. E il loro investimento iniziale è stato sufficientemente coperto. Entrambi, effimero e duraturo, sono modelli che offrono interessanti opportunità ai designers. Se il prodotto è destinato ad una produzione di massa è necessario pensare anche a come questo verrà trasportato e come il packaging primario influenzerà il secondario. Si punta a minimizzare lo spazio inutile dall’imballaggio in cartoni fino alla sistemazione in pallet. Per grandi compagnie il risultato economico ed ambientale è sorprendentemente alto, la massimizzazione di questo concetto la possiamo vedere tutti nel modo di operare di Ikea che in questo campo insegna come ogni mobile di qualsiasi forma possa essere smontato e trasportato in un pacco dalla forma regolare.

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Chili di involucri gettati ogni anno (dati pro capite riferiti al 2005)13

Lussemburgo

Irlanda

Francia

Germania

Italia

Regno Unito

media europea

145 Kg

189 Kg

183 Kg

162 Kg

158 Kg

156 Kg

147 Kg

Molte grandi compagnie hanno ridisegnato materiali dei prodotti per una maggiore eco-sostenibilità ma anche il packaging ha subito dei cambiamenti. • Per il MacBook Pro 13” la Apple ha diminuito le dimensioni della confezione primaria del 41%. Significa che ogni container può contenere il doppio delle scatole diminuendo così l’impatto ambientale che l’azienda ha. Emettono infatti, consegnando i suoi prodotti in tutto il mondo, tra aerei e camion, 547000 tonnellate di CO2. • La Coca-Cola ha introdotto nel 2009 la “Sleek can”, la nuova lattina da 33cl che è 30 mm più alta e ha un diametro significativamente ridotto, l’alluminio è sempre più sottile e leggero: il suo spessore si è ridotto di un terzo. Altro caso famoso in cui il packaging primario influenza il secondario. Nel 2014 entrerà in vigore una nuova direttiva UE secondo la quale il produttore di packaging sarà responsabile affinché «l’imballaggio non sia eccessivo per lo scopo per cui è inteso e sia idoneo al riciclaggio, recupero di energia o compostaggio»

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Le bioplastiche italiane Le bioplastiche sono una “verde” e sostenibile alternativa alle plastiche tradizionali, e sono create utilizzando risorse rinnovabili come il mais, la tapioca, le patate, la canna da zucchero e le alghe. A differenza delle plastiche tradizionali, che sono realizzati con petrolio e altri combustibili fossili, le bioplastiche già nel momento della prodozione sono più eco-efficenti, non utilizzando combustibili fossili che provocano grandi immissioni di CO2 nell’atmosfera nel momento della produzione. Le bioplastiche sono 100% biodegradabili, compostabili, o riciclabili.

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Mater-Bi ®. È un’innovativa famiglia di bioplastiche che utilizza componenti vegetali, come l’amido di mais, e polimeri biodegradabili ottenuti sia da materie prime di origine rinnovabile, sia da materie prime di origine fossile. I Mater-Bi ® , prodotti nello stabilimento di Terni, si presentano in forma di granuli e possono essere lavorati secondo le più comuni tecnologie di trasformazione delle materie plastiche, per realizzare prodotti dalle caratteristiche analoghe o migliori rispetto alle plastiche tradizionali, ma perfettamente biodegradabili e compostabili. Tutti i Mater-Bi ® sono biodegradabili in compostaggio. Alcuni di essi compostano nelle più severe condizioni date dal compostaggio domestico; altri ancora biodegradano in suolo. Svariate sono le applicazioni e i settori d’impiego ed hanno un’estrema flessibilità produttiva permettono una produzione estremamente “customizzata” del materiale e un’efficace risposta alle esigenze più diverse: ne sono esempio le applicazioni nel settore agricolo (pacciamatura, legacci), nella ristorazione (piatti, posate, bicchieri, vassoi), nell’imballaggio (di frutta e verdura freschi, muesli, prodotti da forno), negli accessori, giocattoli, e biofiller per il settore auto. La progressiva sostituzione di prodotti a base di sostanze fossili (petrolio) con sostanze da fonti rinnovabili è una necessità a lungo termine per la nostra società. Il petrolio è una risorsa limitata, il cui costo è in aumento a causa dell’incremento della domanda a livello mondiale. I gradi Mater-Bi ® sono caratterizzati da: - completa biodegradabilità in diversi ambienti, come ad esempio in compostaggio e in suolo - lavorabilità con le stesse tecnologie delle plastiche tradizionali e con produttività simile; - stampabilità con normali inchiostri e tecnologie di stampa, senza bisogno di trattamenti; - colorabilità in massa con Master-batch biodegradabili; - sterilizzazione possibile con raggi gamma. Ceraplast. Un altra ditta italiana ha creato Cereplast, un altro tipo di plastica derivante da risorse rinnovabili. I ricercatori di Cereplast, sviluppano e testano continuamente nuovi materiali a base biologica che possono essere utilizzati come alternative al petrolio come componente principale delle plastiche. Una nuova categoria di materiali attualmente in fase di studio è quella delle coltivazioni non alimentari, che includono le alghe. Le resine Cereplast a base di alghe saranno progettate per sostituire fino al 50% o più dei contenuti derivati dal petrolio utilizzati nelle resine in plastica tradizionali. Le alghe provenienti da un foto-bioreattore tradizionale possono essere utilizzate come biocombustibili o come materiale grezzo di base per la materia prima dei biopolimeri. Sono in corso ricerche anche su altri potenziali biopolimeri futuri, come PHA, PHBV, PPC e acido succinico.

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Cambiare il modo in cui si distribuisce Una strategia che i grafici posso utilizzare è anche quella di cambiare il modo in cui un prodotto è consegnato all’utente. Nell’esempio di una brochure si potrebbe inserire la maggior parte delle informazioni su internet ed inviare solo una lettera che guidi il pubblico su un sito web. Porta a porta – Quello che è di solito il reame dei porta pizze, delle pizzerie e dei coupon politici può essere una valida alternativa per i green designer. È un processo manuale, che lascia spazio alla progettazione che non deve più rientrare nelle forme standard della posta. Inoltre apre la possibilitò anche all’utilizzo di involucri magari meno inquinanti delle bustine di plastiche in cui spesso sono avvolte le pubblicità di dimensioni un po’ più grandi di un foglio. Per piccole realtà che sono interessate a lavorare nel territorio la consegna a mano può essere una valida alternativa sostenibile ed anche economica. Un esempio di questo genere è già stato citato nel caso della farmacia Elephant di San Francisco. Oltre alla già citata evoluzione del packaging in elemento che crea un interazione positiva con il cliente, questa piccola farmacia aveva già sperimentato vie alternativa. Pensare la pubblicità come la possibilità di fare un regalo ha cambiato il modo di vedere l’intero progetto passando da una brochure, potenziale spazzatura a pacchetto regalo che possa interessare maggiormente chi ne viene a contatto e viene consegnata porta a porta. La consegna porta a porta ha dato la possibilità di aggiungere un fiore fresco alla scatola che conteneva dei campioni gratuiti. La gente odio la pubblicità ma ama i fiori.

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Rallentare – Sembra una contradizione nel mondo del lavoro di oggi che non rispecchia il nostro ideale di efficienza. Ma quello che può essere visto come un efficienza dal punto di vista del tempo non lo è per i costi e gli impatti ambientali. In via generale, il più velocemente qualcosa viene trasportato, più grande sarà la quantità di inquinamento creato. Unica eccezione di questo concetto è la e-mail, che consegna ovunque messaggi in modo istantaneo. Per lunghe distanze bisogna tenere conto che spostamenti aerei consumano circa 33 volte di più che quelli via nave. Stesso discorso per treni e perfino trasporto su strada. Perciò quando è possibile, creare un piano che permetta di consegnare un lavoro con calma attraverso il miglior mezzo di trasporto per l’occorrenza. Se il tempo stringe è possibile pensare che una consegna eletronica può essere una valida alternativa. Digitalizza, decentralizza, on demand - Un interessante concetto che si può sviluppare, sopratutto se si lavora con progetti che coinvolgono grandi spostamenti di merci, è quello di considerare, nel caso della stampa ad esempio, di dislocare la produzione e non centralizzarla in un unico luogo da cui poi partire per il mondo. Questo concetto ci porta all’estremo a quello che è chiamato on-demand printing ovvero stampare direttamente a casa. Il risultato potrebbe essere risparmio di denaro e diminuire l’impatto dei trasporti. Pubblicazione ibrida - Sappiamo che il web è molto più economico della stampa ma sappiamo anche che questa aggiunge un grande valore all’oggetto, in termine di esperienza e durabilità. Uno stampato è corporeo, stabile, persistente, perciò il pubblico percepisce una parola stampata più autoritaria che una sui media digitali. Ma la stampa non è solo quella delle tipografie infatti è sempre più comune avere stampati in casa che consumino energia e materiali in modo limitato (rispetto ai grandi macchinari). Una soluzione quindi sarebbe un ibrido. Un’esempio potrebbe essere quello del Global Citizenship Report (rapporto sulla cittadinanza globale) dell’azienda HP che ha subito diverse evoluzioni nelle varie edizioni fino al suo ultimo stadio in cui l’intero rapporto, che inizialmente era tutto cartaceo, è quasi interamente riportato sul web ed è facilmente stampabile. Se non si è interessati a stampare tutto il rapporto, attraverso un apposito strumento, è possibile selezionare le parti che si vogliono stampare. Solo un piccolo impaginato di 20 pagine con informazioni essenziali è stato stampato nelle diverse regioni in cui è poi stato consegnato ai clienti HP.

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foto : Anonima Impressori. Bologna

La stampa I principali sistemi di stampa si distinguono per la differenza delle matrici stampanti. Nella stampa offset la matrice è costituita da elementi piani riportati su di una lastra mentre nella stampa rotocalco gli elementi stampanti sono incisi in incavo su un cilindro. La stampa serigrafica si effettua mediante un telaio che porta una sottile seta, nelle parti stampanti trasparenti rispetto ad altre parti. La stampa digitale si basa su principi molto simili a quella offset. La stampa in generale produce molte emissioni ambientali in varie fasi: spreco di carta, materiali tossici, consumo di energia, inquinamento dell’aria e dell’acqua. In processi di stampa come in quadricromia molta carta viene buttata nel momento del settaggio dei macchinari, molti stampatori ammettono che il 10 % della carta utilizzata in un lavoro sarà buttata. Il momento del set-up di una macchina da stampa richiede tempo e più è grande la macchina (quindi la quantità di stampe) più questo tempo in genere è lungo. L’inquinamento della stampa non è solo dovuto alla carta e agli inchiostri ma anche dalla stampa, possiamo distinguere tre fasi chiave nel processo: set-up, in funzione, pulizia. Ogniuna di queste fasi ha dei diversi impatti ed offre nuove sfide all’industria della stampa. (grafico). • SET-UP - Grandi quantità di carta e inchiostro sono consumati durante il processo di preparazione delle macchine • IN FUNZIONE - Per la stampa off-set litografica comune sono impiegati

soluzioni a base di alcohol. Ci sono grandi emissioni nell’atmosfera di composti organici volatili (COVs o VOCs in inglese). In più l’utilizzo di grandi quantità di energia. • PULIZIA - Solventi tossici sono spesso usati per pulire la macchina

dall’inchiostro.

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CAR TA 31

IMPATTI AMBIENTALI DELLA STAMPA OFFSET14

%

O

% 17

STAMPA 52%

INC H I O ST R

PICCOLA

Per non parlare di alcuni procedimenti fotografici che utilizzano ancora più sostanze chimiche. Date queste complessità risulta difficile dire quale sia più efficace come metodo di stampa, è comunque possibile identificare le tecnologie preferite per piccole, medie e grandi tirature. Piccola - per piccole quantità (1- 1000 impressioni), la stampa digitale è leader nella “pulizia” ambientale. Il digital printing è un procedimento senza impatto che, non utilizzando una forma analogica, si serve di un documento digitale ripetuto per ogni copia stampata (computer to paper). Limita la velocità di tiratura ma consente tirature anche minime per esigenze immediate. Ha comunque raggiunto considerevoli livelli produttivi sia nella stampa a foglio sia a bobina. Il principio su cui si basa il funzionamento di una stampante digitale è il sistema elettrofotografico, non vengono quindi utilizzate lastre come invece si fa per la offset. Pro della stampa digitale: minime quantità di carta usata per i makeready, passaggio diretto alla stampa senza produrre pellicole, lastre, cilindri o telai; si possono stampare copie in quantità precisa e tutte di uguale qualità. Contro della stampa digitale: richiede determinati tipi di superfici per la stampa quindi la scelta della carta è limitata.

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MEDIA

Media- per le medie quantità (circa 1000 – 50000 impressioni), la stampa litografica offset offre spesso la migliore combinazione tra prezzo, qualità, flessibilità ed impatto ambientale. Esistono nuove tecnologie che posso aiutare a diminuire le emissioni della stampa offset: waterless printing (stampa senza acqua) e stampa UV. • Waterless printing: l’offset senza acqua esiste da 30 anni ma dopo un iniziale euforia ha poi condotto un’esistenza molto poco appariscente. Da molti stampatori veniva visto come ergoterapia per fricchettoni ecologici o tuttalpiù per visionari incorreggibili. Questo metodo elimina l’acqua dal procedimento di stampa utilizzando dei rulli in silicone. Una grande porzione del inquinamento emesso dalla stampa è dovuto, come detto, dall’utilizzo di solventi per pulire le presse dagli inchiostri. Stanno iniziando ad essere usati anche inchiostri lavabili con acqua. Questa combinazione di macchine che non utilizzano acqua nel processo di stampa ed inchiostri facilmente lavabili può diminuire sensibilmente l’inquinamento dovuto ai solventi normalmente utilizzati. Questo tipo di stampa offre una serie di vantaggi oltre a al dato ecologico: gli inchiostri sono molto densi e quindi il colore stampato e più consistente e i tempi per la preparazione alla stampa sono molto minori. • UV printing: per la stampa che utilizza questa tecnologia sono usati speciali inchiostri che contengono pigmenti che si induriscono appena entrano in contatto con una luce UV. Questi inchiostri non si asciugano sui rulli e possono essere lavati via facilmente. Questa stampa è più veloce di una normale offset e fa anche risparmiare energia. Ideale per stampare e verniciare qualsiasi materiale anche di spessore elevato, fino a 13.000 copie orarie. Infatti, attraverso l’UV, il processo di polimerizzazione avviene molto velocemente (anche su supporti dove non c’è assorbimento), permettendo così velocità di stampa ed evitando problemi di controstampa. Inoltre la stampa UV risulta più lucida e brillante, con qualità altamente superiore alla tradizionale.

GRANDE

Entrambi questi metodi involvono un grande investimento di denaro sia per l’acquisto di nuovi materiali sia per l’addestramento di operatori e per ciò non sono comuni sul mercato. Grande - se è necessario stampare grandi quantità (50000 o più impressioni) possono essere usate la roto-offset (chiamata anche weboffset) o la stampa rotocalco. Questi metodi utilizzano giganteschi rotoli di carta e queste grandi macchine spesso hanno anche una sezione che scalda i fogli stampati e velocizza il procedimento di asciugatura. Alcune di queste macchine da stampa in genere riutilizzano le loro emissioni per la combustione che produce il calore che viene utilizzato nei forni, tagliando così l’inquinamento atmosferico.

Rotoli di carta per la stampa roto-offset

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La stampa ha profondamente cambiato il mondo dai giorni di Johannes Guttember, ma adesso dato l’enorme volume di energie e materiali consumati e la montagna di rifiuti prodotti l’industria della stampa sfida se stessa per cambiare nel profondo. I sistemi correnti di stampa e media digitali sono entrambi insostenibili e deve essere riconfigurati nel sistema di produzione e di consumo per poter continuare a noi tutti di usufruire dei servizi e benefici che ci offrono. Carta o digitale? La semplice risposta sarebbe: nessuna delle due. La risposta comune sarebbe che la stampa uccide gli alberi e i computer no, per questo viene generalmente considerato un media più green. Ma esiste anche una risposta indignata da parte sopratutto dei produttori di carta che ribattono che la stampa sia invece più green poiché gli alberi possono essere ripiantati mentre i computer sono dei vampiri di energia tossica che non cresce sugli alberi. La vita segreta della stampa e dei media digitali Abbiamo mai veramente considerato qual’è l’impronta di carbonio (sarebbe la traduzione letterale del termine internazionale “carbon footprint”) della nostra mole di lavoro ed informazioni, o quali sia l’ammontare totale delle emissioni di una rivista o di un iPhone? Esistono dozzine di calcolatori di consumo del carbonio in rete, ma è importante capire che i risultati che avremmo potrebbero variare molto dalla realtà poichè gli standard per il calcolo dei carbon footprints sono ancora in evoluzione. L’ammontare di energia, materiali e sprechi associati al ciclo di vita di prodotti di stampa o media digitali sono spesso non tenuti in considerazione, non capiti o sottostimati. Sono miliardi i kilowatt ora di elettricità implicati nella carta, inchiostro e tecnologie digitali che usiamo ogni giorno, e fra le nostre sfide più grandi c’è quella di identificare, misurare e ridurre l’ammontare di energia, sprechi e le emissioni di gas serra associate ad ogni pagina o megabyte di informazioni con cui ci relazioniamo. Come detto entrambi i media consumano enormi quantità di elettricità. Secondo il Department of Energy, negli USA l’industria della carta utilizza più di 75 miliardi di kilowatt ora di elettricità nel 2006. È la quarta più grande industria consumatrice di elettricità nel paese. I dati riferiti agli USA e fungono da esempio in quanto grandi produttori di entrambi i media trattati. In ogni modo, i data center e servers in USA consumano più di 60 miliardi di kilowatt ora di elettricità nello stesso anno, e questo non include l’energia consumata dai singoli computer. L’energia utilizzata dai data center è come previdibile aumentata fino a raddoppiare nel 2010 ed oggi continuare a crescere.

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Carbon Labels - Carbon footprint La carbon footprint dei prodotti comprende l’assorbimento e l’emissione di gas climaalteranti nell’arco dell’intera vita di un prodotto o servizio, dall’estrazione delle materie prime e la loro lavorazione, al loro uso e al loro finale utilizzo, riciclaggio o smaltimento. In ciascuna delle suddette fasi, le emissioni di gas ad effetto serra possono derivare da sorgenti come: l’utilizzo di energia e di combustibili per trasporto, i rifiuti e le perdite di refrigeranti da sistemi di refrigerazione, mentre gli assorbimenti possono derivare dalla fissazione della CO2 atmosferica da parte delle piante o del suolo.

Le etichette sui prodotti alimentari rappresentano un’ancora di salvezza nel mare di merci che inonda, ogni giorno, gli scaffali dei supermercati. Accanto alle informazioni nutrizionali di un alimento si sta affermando anche la dicitura della quantità di anidride carbonica emessa per produrlo, mettendo in rapporto la valutazione degli effetti che i cibi hanno sulla salute e sul clima. Lo strumento utilizzato è la Carbon Footprint che possiede una grande facilità di comunicazione e di comprensione da parte del pubblico venendo direttamente collegata ad una delle priorità ambientali universalmente riconosciuta e affrontata dalle politiche ambientali globali.

Il calcolo dell’impronta di carbonio è particolarmente prezioso in quanto rileva,a livello aziendale, le fasi con i maggiori impatti in un processo produttivo permettendo ai produttori di individuare le azioni da intraprendere e comunicare poi sul prodotto l’impegno ambientale. Inoltre, la conoscenza del dato sull’impronta di carbonio può orientare il consumatore nella scelta dei prodotti più rispettosi dell’ambiente. Occorre rilevare che queste etichette possono essere al momento utilizzate dal consumatore solo per orientare i comportamenti verso stili di vita meno inquinanti, dal momento che la quantità di CO2 emessa è tuttora una misura non standardizzata.

Per la precisione, ogni kilowatt ora di energia rappresenta un emissione di approssimativamente 1 kg di CO2. Per metterlo in prospettiva, consideriamo che l’Empire State Building ha 1 milione di metri cubi di spazio. L’emissione combinata dell’industria americana di produzione di carta, datacenter e l’energia richiesta dagli utenti da soli riempirebbero 100 Empire State Building con CO2 solida ogni anno. L’impronta di un iPhone Non è facile calcolare l’impronta ambientale che i prodotti si lasciano alle spalle. In ogni modo accordando con le informazioni recentemente rilasciate da Apple, durante la sua vita un iPhone è responsabile di 59 kg di CO2 durante i suo tre anni di vita in media, che è l’equivalente delle emissioni di gas serra prodotti da 12 lampadine da 100 watt accese per 691 ore, o di una macchina che brucia 2.300 litri di benzina. Non è una comparazione reale ma è interessante notare che Discover magazine stima che le emissioni di ogni singola copia delle sue pubblicazioni è responsabile di 1 Kg di CO2, lo stesso ammontare di emissioni prodotto da 12 lampadine da 100 watt accese per un’ora o una macchina che brucia 0,5 litri di benzina. Le ricerche dicono che i consumatori preferiscono prodotti con una minore impatto ambientale. E se questo vale per tutti i prodotti perchè non dovrebbe per la stampa e i media tecnologici? Economia, governi e vita di tutti i giorni dipendono da entrambi i media. È più facile dire gli aspetti negativi della stampa che chiedersi in quale occasioni sia meglio un media rispetto all’altro. Abbiamo l’opportunità e l’obbligo di reinventare stampa e digital media. Dobbiamo anche essere realistici circa i limitati effetti delle singole azioni individuali, anche se sono un ottimo inizio. È tempo per consumatori e produttori di media di riconoscere che condividiamo un futuro comune che potrà essere solo sostenibile.

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Inchiostri Gli inchiostri sono composti principalmente da mezzo solvente e pigmento. Il mezzo solvente tiene sospesi i pigmenti mentre sono nella stampante e si asciuga dopo la stampa; è questo il momento in cui l’aria si inquina anche a rischio della salute dei dipendenti. Esistono inchiostri che producono una bassa quantità di COV, composti organici volatili che sono componenti fisiche e chimiche di diversa composizione e più o meno volatili. La stampa a UV eliminando il processo di asciugatura non emette COV e questi tipi di inchiostri iniziano ad essere usati anche in metodi di stampa manuali come la serigrafia. Nell’ultimo periodo sono entrati in commercio inchiostri a base di soia ma sono molte le voci contrastanti che riguardano l’industria che lavora queste vegetale, che non rendono il suo utilizzo completamente limpido. In più metalli pesanti, come il bario, rame e zinco sono contenuti in certi pigmenti e possono rappresentare una minaccia sia per l’ambiente che per la salute dei lavoratori. Generalmente, gli inchiostri metallizzati e fluorescenti sono i più tossici. In particolari quelli metallizzati si smaltiscono più difficilmente degli altri inchiostri e i componenti metallici causano problemi anche alle falde acquifere se smaltiti scorrettamente. Notevole quantità di COVs sono emessi dagli inchiostri a base mineraria (ovvero petrolio) nel momento dell’asciugatura, e danneggiano uomo e l’ambiente. Cosa possiamo fare? Usare meno inchiostro e ridurre la copertura di questo nei nostri design (ad esempio colori solidi o fotografie con nero marcato). Questo rende il prodotto anche più facile da riciclare. Cercare di non utilizzare colori fluorescenti i quali possono essere prodotti solo con base di petrolio. Per i colori metallizzati esistono già alcuni che non utilizzano più il petrolio ma vegetali. Non sono molto diffusi ma possiamo chiedere al nostro stampatore se li utilizza.

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Carta Può essere un mezzo ecologico. È fatta di risorse rinnovabili, è duratura e riciclabile. Purtroppo il mondo ha un grande appetito di carta e per sfamarlo molte foreste sono già state abbattute inoltre l’industria della carta è la 4° per produzione di diossido di carbonio. La fibra di legno può assumere tramite la sua lavorazione varie forme e, le sostanze chimiche, la quantità di energia utilizzata nel corso di essa, è molto varia e cambia anche dal tipo di prodotto che si ricava. Così anche è per i prodotti che utilizzano le così dette PCR che sono le fibre ricavate dal riciclaggio della carta. “L’industria cartaria e della pasta di cellulosa è il motore della bioenergia in Europa. Il 52% dell’energia utilizzata in questa industria proviene dalle biomasse e il settore contribuisce per il 27% alla produzione totale di energia a base di biomassa all’interno della UE.” CEPI Paperonline 201015 Cos’è l’energia da biomassa? L’energia da biomassa è prodotta dall’industria della carta e della cellulosa bruciando legno e materiali di scarto derivanti dalla produzione della carta e dal suo riciclo, per generare energia per il processo di lavorazione. Il completo riutilizzo di questi scarti in Italia porterebbe a un risparmio di 140.000 tonnellate di petrolio all’anno. Le fibre vergini sono indispensabili per avviare il ciclo della carta. Le fibre riciclate si deteriorano dopo ripetuti utilizzi, per questo occorrono sempre delle fibre nuove. La fibra di cellulosa e la carta da macero sono due materie prime fondamentali per produrre la carta e fanno parte dello stesso circolo virtuoso. Pare richieda molta meno acqua ritrasformare in polpa di cellulosa da carta già esistente piuttosto che “La superficie delle foreste creare polpa vergine dagli alberi. in Europa è cresciuta di quasi La carta già usata che viene indicata in inglese con 13 milioni di ettari (ovvero la sigla PCR (post-consumer recycled). un’area grande pressappoco Esistono anche produttori che utilizzano un quanto la Grecia) negli ultimi sistema di lavorazione che non contamina l’acqua 15 anni, soprattutto grazie alla di sorgenti o fiumi, è chiamata Totally Effluent piantumazione di nuove foreste Free (TEF), ed utilizza un circuito chiuso di acque e alla naturale espansione che non vengono immesse in acqua dolce se non di quelle esistenti fino a prima di effere filtrate.

comprendere quelli che una volta erano terreni agricoli.” MCPFE, Conferenza ministeriale sulla protezione delle foreste in Europa. 2007.

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Con il riciclo della carta, la vita della fibra cellulosica viene estesa chiudendo un intero ciclo che non può essere però ripetuto all’infinito: la fibra riciclata si può infatti riutilizzare in media 7 volte. La produzione della carta deve quindi prevedere una certa percentuale di fibra vergine poichè la fibra cellulosica si deteriora ad ogni processo di riciclo. Ottimizzare l’impiego di fibre di recupero, rispetto a quelle vergini, nella lavorazione di specifiche tipologie di carta e a determinate condizioni può risultare economicamente conveniente e contribuire a ridurre l’impatto ambientale. Al contrario, massimizzare i contenuti riciclati, a prescindere dalla tipologia di prodotto, dal rendimento e dall’ubicazione della cartiera, può generare ripercussioni ambientali - laddove involontarie - senza alcun ritorno economico. É possibile però dipingere un panorama generale di come l’industria della carta impatta nel nostro sistema naturale. Vengono utilizzate grandi quantità di energia, secondo il Worldwatch Institute la sua industria è la quinta più grande consumatrice di energia al mondo. Esistono però produttori che riutilizzano la polpa prodotta dalla cellulosa come bio-combustibile e limitano così le emissioni nocive. L’industria della carta utilizza più acqua che qualunque altra, ma in quantità minore nella produzione della carta riciclata poiché la fibra del legno è già stata lavorata. In generale sono molti i rifiuti e l’inquinamento causati da questa industria ed anche se ci sono dei progressi negli ultimi anni su questo fronte, sono ancora molte le produttrici di carta o derivati che rilasciano una varietà di scarti nell’aria e nell’acqua. Alcune di queste sono emissioni che contribuiscono ai cambiamenti climatici. Molte altre invece impattano subito con l’acqua dolce o gli ecosistemi marini.

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I principali tipi di fibre da cui si ricava tutta la carta e tutti i materiali a base cellulosica:

-Vergini (pre-consumed), la carta composta con queste fibre utilizza il 100% di nuova fibra. La provenienza e i metodi con cui è prodotta variano a seconda del produttore. -Post-consumer recycled (PCR) è carta che è già stata utilizzata. Usandola non impattiamo con l’ecosistema delle foreste perchè non utilizza la fibra vergine. Molte case editrici si sono mosse in questo senso per ridurre l’utilizzo di carta derivante da fibra vergine. -Sustainably harvested fiber è una fibra vergine ma prodotta con una gestione responsabile delle foreste. A questo proposito è importante avere un giudizio imparziale ed è stata fondata un organizzazione, il Forest Stewardship Council e è necessario un controllo di questa corporazione per ricevere l’autorizzazione ad apporre il logo FSC. Le linee guida dell’FSC sono 10tra cui: Rispetto delle regole sull’inquinamento e dei principi FSC, rispetto dei diritti delle popolazioni indigene, conservazione della biodiversità, delle risorse idriche e degli ecosistemi fragili, piani a lungo termine messi nero su bianco. Chiedendo questo tipo di certificazione ai produttori di carta i designers possono limitare la deforestazione incontrollata (l’industria della carta è responsabile del 40% della deforestazione a scopo industriale nel mondo.). -Fibre alternative derivano da fonti diverse da alberi. Il legno era economico ed abbondante risorsa quando l’industria occidentale della carta iniziò a svilupparsi. Ora esistono altre risorse, il bamboo ad esempio cresce più velocemente del legno ma viene spesso importato dall’Asia viaggiando per molti chilometri. I residui agricoli, sono forse una delle più promettenti fibre di nuova generazione. Derivano da scarti agricoli. Canna da zucchero, fibre di banana, pianta del riso sono quelle che più si stanno sviluppando. Non solo questa lavorazione fa evitare di eliminare questi scarti attraverso la combustione (che inquinerebbe) ma è basata sull’etica del riutilizzo e del evitare gli sprechi. Questo tipo di fibra può veramente essere un valido competitore con la fibra di legno

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-Fibra di kenaf: Pianta erbacea del genere della famiglia Malvacee, Le sue fibre sono molto simili a quelle delle conifere, e perciò adatte alla produzione di paste per carta, sia meccaniche che chimiche. Le piantagioni sperimentali hanno evidenziato una produzione di 15-20 t/ha, con un ciclo di 130 giorni (contro le 7,7 t/ha per il pino e le 6 t/ha per il pioppo). La fibra di kenaf può essere utilizzata, oltre che per la produzione di carta, anche dall’industria tessile per cordami e sacchi; i semi danno circa il 20% di olio, di composizione simile a quella del cotone, e perciò utilizzabile nell’industria alimentare. Tra le piante da fibra in grado di fornire materia prima alternativa al legno per la produzione della carta, il kenaf è quella più promettente. -Carta di canapa. Con la stoppa della canapa si può fabbricare una carta di alta qualità, sottile e resistente, che in passato sostituiva la moderna carta prodotta dal legno d’albero sminuzzato e sbiancato con processi chimici. Fabbricare carta dalla canapa comporta un vantaggio anzitutto per la sua enorme produttività di massa vegetale, e in secondo luogo perché la si può ottenere da un’unica coltivazione, insieme alla fibra tessile, ai semi, alle foglie e al legno del fusto. Un altro vantaggio è costituito dalla bassa percentuale di lignina rispetto al legno di albero, che ne contiene circa il 20%, oltre a un’analoga percentuale di sostanze leganti. Il processo per ottenere le microfibre pulite di cellulosa dal legno di alberi, e quindi la pasta per la carta, prevede l’uso di grandi quantità di acidi, impiegati per macerare il legno. Questa operazione, ad un tempo costosa ed inquinante e che si serve di derivati del petrolio, non è necessaria con la carta di canapa, ottenuta dalla sola fibra; mentre per ciò che riguarda il legno occorre meno della metà di acidi a base di cloro. Inoltre la fibra e il legno della canapa sono già di colore bianco, e la carta che se ne ottiene è dunque già stampabile. Per renderla completamente bianca ad ogni modo è sufficiente un trattamento al perossido di idrogeno (acqua ossigenata), invece dei composti a base di cloro necessari per la carta ricavata dal legno degli alberi, altamente inquinanti. Con le corte fibre cellulosiche del legno si può produrre la carta di uso più corrente, come quella di giornale, o il cartone. Grande pregio della carta di canapa è di non ingiallire con il passare del tempo, come accade invece alla carta da legno. Ciò è dovuto alla sua bassa concentrazione di lignina: nel processo di fabbricazione della carta dal legno di alberi invece il legno spappolato è trattato chimicamente

Foto sopra: fibre della Canapa al naturale

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per annullare le proprietà coloranti della lignina, ma con il tempo questo trattamento tende a degradare e la lignina, se esposta alla luce, torna a riflettere le lunghezze d’onda riconoscibili nella fascia del giallo dello spettro visibile. In sintesi, il vantaggio principale di una produzione di carta da piante di canapa piuttosto che dal legno degli alberi è in primo luogo che la canapa non necessita dell’impiego di acidi sbiancanti, che possono produrre diossina e inquinare i fiumi, e in secondo luogo fornisce in un anno una quantità di cellulosa sedici volte maggiore di quella ricavata dal legno d’albero. Prima dell’industrializzazione le fibre più comuni per la produzione di carta erano quelle riciclate dagli stracci, ovvero da tessuti e cordami già utilizzati: si usavano gli scarti delle vele e del cordame delle navi, venduto dagli armatori come cascame per essere riciclato. Il resto della materia proveniva dagli abiti smessi, dalle lenzuola, dai pannolini, dalle tende e dagli stracci, fatti prevalentemente di canapa e talvolta di lino, venduti agli straccivendoli. Le fibre di questi erano appunto per lo più di canapa, ma anche di lino e cotone. La carta di canapa era dalle 50 alle 100 volte più resistente del papiro, e assai più facile ed economica da produrre. Fino al 1883, il 75-90% della carta di tutto il mondo era prodotta dalla fibra della pianta di cannabis, compresa quella di libri, Bibbie, mappe, banconote, obbligazioni, titoli azionari, quotidiani, e via di seguito. Alcuni documenti notevoli realizzati in carta di canapa sono la Bibbia di Gutenberg, del 1450 circa, il Pantagruel e l’erba Pantagruelion di Rabelais, del 1532, la Bibbia di Re Giacomo (XVII secolo), la Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti d’America, i pamphlets di Thomas Paine (XVIII secolo), le opere di Mark Twain, Victor Hugo, Alexandre Dumas, Lewis Carroll (XIX secolo); insomma più o meno tutti libri prodotti dall’invenzione della stampa fino alla fine dell’Ottocento furono stampati su carta di canapa. Fino al 1883, il 75-90% della La carta di stracci, che contiene fibra di canapa, carta di tutto il mondo era è quella di migliore qualità e la più durevole mai prodotta dalla fibra della prodotta. In Italia la sua produzione terminò intorno agli anni cinquanta, progressivamente pianta di cannabis, compresa sostituita dalla carta prodotta dalle fibre del quella di libri, Bibbie, mappe, legname. Può essere strappata quando è umida, banconote, obbligazioni, titoli ma riacquista la sua completa resistenza una volta azionari, quotidiani, asciutta. Se non è sottoposta a condizioni estreme, la carta di stracci rimane stabile per secoli e non si consuma praticamente mai. Gli studiosi ritengono che l’antica tecnica – o arte – cinese della fabbricazione della carta di canapa risalga al I secolo, 800 anni prima che la scoprissero i paesi islamici, e da 1200 a 1400 anni prima che arrivasse in Europa. L’arte cartaria impiegata per la fabbricazione di questa carta resistentissima permise agli Orientali di lasciare in eredità ai posteri la loro conoscenza, così da poter essere accresciuta, investigata, raffinata, confutata e modificata, generazione dopo generazione.

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- Fibre sintetiche. La carta sintetiche è costituita da resine plastiche e sostanze inorganiche che possono essere riciclate facilmente attraverso i metodi convenzionali. Può essere usata, riciclata e riusata nuovamente senza comprometterne la qualità. È disegnata per essere repellente all’acqua e resistente allo sporco. La parte non conveniente di queste fibre è che provengono da materiali sintetici plastici a base di petrolio. Questo sicuramente non aiuta a distaccarci da questo inquinante elemento, ad ogni modo essendo inorganica può essere riciclata innumerevoli volte e non intacca le riserve di legno. Purtroppo non esiste ancora una carta che sia stata prodotta dalla plastica riciclata. Questo tipo di fibre non sono in realtà fibre. La carta sintetica è stata sviluppata negli ultimi decenni per determinate tipi di industria. In teoria, se ci fosse un sistema di infrastutture che si occupassero del riciclo di questo tipo di materiale, potrebbe essere riutilizzato e rimesso in circolazione innumerevoli volte. In pratica, non siamo neanche vicini a questa situazione, ma offre comunque opportunità ai designers. Come già detto l’industria della carta utilizza grandi quantità di energia ed è una delle industrie che emette maggiori quantità di CO2. Questo pone i designers in una posizione molto buona per poter fare qualcosa per abbassare il nostro livello di carbon footprint. Principalemnte i designers possono agire in due modi: • Usando fibre riciclate post-consumer (che richiedono molta meno energia nel momento della lavorazione) • Supportare le industrie che utilizzano fonti di energia rinnovabili. L’industria della stampa e della produzione di carta è molto sensibile ad argomenti ambientalisti e sono molte le vie in cui cercano di evolvere verso una maggiore sostenibilità. Sono molti gli aspetti che questa industria deve considerare ed indirizzare gli sforzi maggiormente verso i temi di qualità delle fibre, utilizzo di acqua ed energia. Fibre postconsumer e scarti agricoli potrebbere rappresentare un ruolo importante per quanto riguarda le fibre; l’acqua potrebbe essere utilizzata con sistemi a circolo chiuso; e le energie rinnovabili potrebbere dare nuova vita a questo processo produttivo. Anche la carta di origine sintetica potrebbe offrire grandi opportunità. I biopolimeri (come quelli di cui abbiamo parlato per le bioplastiche) hanno essenzialmente due grandi qualità che sono: possono essere facilmente riciclati o decomposti in natura; e se sono prodotti da scarti agricoli e con processi alimentati da energie sostenibili possono rappresentare una valida alternativa. Utilizzare carte “verdi” è la cosa più semplice che un grafico possa fare. Richiede conoscenza e la volontà di aiutare. Non cambia essenzialmente il metodo di progettazione e sopratutto può dare un segno significativo alla diminuzione dell’inquinamento.

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Design per il cambiamento Come è stato giĂ detto il grande impatto del design non alloggia nei materiali che usiamo. Sicuramente la carta, i metodi di stampa di cui abbiamo parlato e l’energia che utilizziamo aggiungono un significativo impatto al clima terrestre. Ma il vero impatto risiede nel nostra abilitĂ di comunicare, persuadere ed anche cambiare il modo in cui gli utenti agiscono.

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Design activism Il modo in cui possiamo determinare veramente il messaggio da veicolare sta nello scegliere i clienti. Spesso la comunicazione è già pre-decisa in base a strategie di marketing prima che i designer possano gestire il lavoro perciò il più ovvio modo in cui possiamo attivamente definire il messaggio su cui lavoreremo avviene attraverso la scelta del cliente. Possiamo aiutare coloro che vogliano promuovere pratiche o prodotti salutari, educando il pubblico circa problemi ambientali e sociali e possibili soluzioni. Dallo scambio con associazioni o business sociali di grandi e piccole grandezza si può imparare molto e la comunicazione ne può uscire arricchita nelle proprie fondamenta. In più lavorando con organizzazioni in cui crediamo anche lo scambio di valori ne risulta arricchito. Perciò c’è una differenza tra il tipico scambio basato solo sul valore monetario. Il green design permette di estendere anche i propri interessi ed accrescere la propria persona. Green Branding Attraverso un green branding il designer aiuta a definire il campo di valori in cui una organizzazione intende lavorare e questo aiuta a far relazionare un maggior numero di persone con questo o quel prodotto. Tracciare delle linee guida non solo aiuta le compagnie a costruire una relazione con il loro audience ma aiuta anche loro stesse a capire in quale modo poter agire. Sponsorizzare un brand riguarda essenzialmente la trasmissione, ovvero quali valori che si vogliono trasmettere all’esterno, ma il processo di sviluppo e di managing di un brand green riguarda anche una grande parte di riflessione. Guardando in modo critico verso la proprio compagnia si può capire come non cadere in contraddizione sopratutto in argomenti così delicati come il rispetto e promozioni di determinati valori. Dobbiamo tener conto che non stiamo parlando di una mera facciata di cartongesso ma di veri valori ed innovativi modi di pensare ed attuare la produzione, a maggior ragione questo dovrà essere constatato ed essere chiaro in primis alle persone che lavorano dentro una determinata organizzazione, è perciò importante essere chiari anche con i proprio dipendenti. Molto importante è l’autenticità di ciò che si proclama. Poniamo caso che una ditta che produce pannelli solari con tecniche e materiali innovativi abbia bisogno di una comunicazione generica del proprio brand. In questo caso sarà utile capire in quali campi della produzione la ditta ha sta già investendo per il sostegno dell’ambiente e in quali invece ancora è carente. Alcuni materiali utilizzati saranno a meno impatto di altri e i secondi non dovranno essere nascosti ma essere presentati per quello che sono e dare al cliente magari la possibilità di scelta. Stilando ad esempio uno schema che indichi i vari prodotti e le loro caratteristiche e quali siano i metodi di produzione mettendo in risalto che la ditta investe nell’innovazione ed è già capace di offrire metodi di produzione più green di altri. Non si può mentire e non converebbe. É inutile pensare che una ditta qualsiasi, per quanto impegnata, rispetti il mondo nella sua totalità, ma in questo modo si può indicare che l’intento sincero c’è e che la strada che si sta seguendo è quella dell’innovazione per quanto sia difficile e ripida.

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No al lavaggio verde Un brand che parla al mondo di quanto è eticamente corretto e rispettoso di tutti gli esseri viventi non può contraddirsi nella pratica, altrimenti lo stesso brand ne soffrirebbe. Meglio essere onesti se le intenzioni sono in ogni caso buone. Un ristorante a kilometro zero non dovrà farsi porta bandiera di una produzione esclusivamente casereccia se non è così nella realtà per questo o quel problema altrimenti darebbe un immagine di se falsa. La pubblicità non può in questo settore creare delle contraddizioni tra ciò che si proclama e ciò che si fa altrimenti ciò renderebbe una marca o prodotto vulnerabile a facili critiche. I grafici sono a metà strada tra il produttore e il consumatore, l’abbiamo già detto, perciò abbiamo la possibilità di prevenire il lavaggio verde. I brand che puntano al green possono seguire tre punti chiave: -Autenticità , ciò che rende un brand credibile, che allinea i valori di una compagnia alla realtà delle sue azioni. A conferma di questa autenticità i designer possono evitare superficiali, vaghe o false indicazioni di sostenibilità, nonché evitare prodotti non sostenibili. -Ritegno, evitare le esagerazioni inutili. Nessuna compagnia e probabilmente ogni azione umana è realmente sostenibile e pochi prodotti o metodi di produzione sono realmente “enviromental friendly”. Una scarsa conoscenza di tutti i modi in cui alteriamo l’ambiente spingono ad esaltare piccole azioni sostenibili, ma sono in generale i pochi aspetti positivi che vengono uniti insieme per rendere l’immagine di un brand più green di quanto realmente è. Chi veramente punta alla sostenibilità fonda il proprio brand su una visione forte, una comunicazione intelligente e progressi dimostrabili. Nel suo lavoro un grafico può evitare un eccessivo rumore di fondo causato da irrilevanti o esagerati affermazioni di sostenibilità ed amore della Terra. -Accompagnare, è una questione di articolare le promosse che un green brand fa. Aiutiamo a fare le promesse al pubblico e a mantenerle ovvero a sviluppare la comunicazione di brands che realmente puntano ad operare in maniera green aiutando anche la stessa compagnia ad operare per prima in questa direzione. Non è una cosa istantanea, ma seguendo un brand possiamo incoraggiare determinate azioni perfettamente in linea con le promesse fatte ed in linea con lo sviluppo di un azienda, anche incoraggiando prodotti, servizi e pratiche più green per dare ancora più forza alle parole.

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Sei segni di greenwashing (lavaggio verde). La parola greenwashing è stata coniata da Greenpeace nei primi anni novanta per descrivere il “cynical, superficial, public relations marketing” ovvero quando una società, un industria, un governo, o un ONG si appropriano ingiustamente di virtù ambientaliste.Quasi tutte le aziende possono essere accusate si operare iniziate a livello ambientale non realmente efficaci, sopratutto quando queste iniziative sono sponsorizzate da multinazionali. Dietro slogan e promesse green non sempre ci sono prodotti che rispettano quello che dicono. Non ci sono però parametri certi e condivisi e i governi ancora non legiferano sull’argomento. TerraChoice Enviromental Marketing16, una associazione che fa ricerche nel market sostenibile, ha studiato 1018 prodotti e le 1753 relative affermazioni eco-friendly per promuoverli e le informazioni fornite a supporto di tali affermazioni. La conclusione a cui sono giunti è che la maggior parte dei prodotti non erano sostenuti da tesi che avvalorassero l’affermazione green. Hanno in seguito compilato dei sei segni che possono aiutare a capire quando ci troviamo di fronte ad un tentativo di greenwashing. Questi sono definiti i sei peccati del lavaggio verde: 1 Peccato di trade-off nascosto: ovvero enfatizzare il bene nascondendo il male. Un brand può comunicare tutti gli aspetti positivi e sostenibili rimanendo muto su ciò che renderebbe discutibile il suo essere ecofriendly. Questa propaganda non è per forza falsa ma i consumatori potrebbero sentirsi traditi una volta scoperta la verità. Si tratta del “peccato” più popolare. 2 Peccato di assenza di prove: promuovere un brand green senza provvedere ad un chiaro accesso alle informazioni. “Credeteci” non è sufficiente, tanto meno per brands che devono durare nel tempo. 3 Peccato di vaghezza: fare un claim così vago da apparire senza significato. Quando non è possibile fornire prove concrete e tangibili si punta su concetti come “A noi importa” o “amico dell’ambiente” o “facciamo la nostra parte per proteggere la Terra”. Sono tutti claims che non aiutano a differenziare i brands. 4 Peccato di irrilevanza: produrre claims che suggeriscono benefici ambientali ma sono in realtà insufficienti che non sono importanti e non aiutano il consumatore a capire qualcosa di più del prodotto. Questo include anche il “prendersi il merito” di attributi che sono legalmente assegnati o sono in comune con una categoria di prodotti. 5 Peccato del minore dei due mali: promuovere i benefici di un determinato prodotto di una certa categoria evitando di parlare delle debolezze e danni provocati della categoria intera. Un esempio di claim che ricade in questo peccato potrebbe essere “insetticida verde”. 6 Peccato di falsità: produrre claims che sono semplicemente falsi. É il meno comune forse tra questi elencati ma può far correre il rischio anche di interventi legali nei confronti delle compagnie.

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Prendendo un ruolo attivo nel creare il messaggio, i grafici, possono evitare questo greenwashing. Non vorremo mica diventare complici di un crimine. Il fenomeno del lavaggio verde sta avvenendo in molti settori ed attraverso molti media ed anche questo è simbolo di come cambiano i valori dei consumatori. Secondo alcuni il greenwashing è un bene. Mettiamola così: l’ipocrisia è il primo passo per un vero cambiamento e se una compagnia si fa pubblicità per qualcosa, inizieranno a fare piccoli passi per portare le loro prestazioni in linea con il loro marketing, cercando di evitare una risposta negativa che può essere causata del greenwashing. Potranno anche vedere i risultati di questa scelta di produzione che potrebbe essere realmente integrata nel loro business. Non bisogna dimenticare che una delle armi della “rivoluzione verde” è il web che permette a consumatori attenti di far sentire la propria voce. Diventa sempre più rischioso perciò attuale processi di green wahing per le aziende. I blog, i social network, sono armi potentissime e mentire al consumatore è ormai controproducente.

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Trasparenza e trasformative communication Il miglior antidoto per il lavaggio verde è la trasparenza. Parliamo allora di Corporate Social Responsibility, il management è sempre più focalizzato sulla propria responsabilità sociale. La maggior parte delle multinazionali ha abbandonato l’ideale economico laissez-faire portato avanti dalla scuola di Chicago secondo il quale “the only business of business is to make profits for shareholders”. Ma le cose sono e stanno ancora cambiando (parliamo sempre a livello mondiale) e nessuna attività dannosa per la società e l’ambiente passerà inosservata: migliaglia di associazioni quali Corpwatch.org, Global Exchange, World Social Forum, oltre a tutte quelle focalizzate su singole tematiche, dagli OGM al cambiamento climatico, già monitorano costantemente il loro operato. Inoltre è stato già detto che internet è un arma a favore dei consumatori. La vecchia comunicazione di impresa (in inglese corporate communication), che costruisce una facciata delle aziende controllando attentamente quali informazioni far trapelare, non funziona molto bene in un mondo di bloggers e surfer di Google. Una qualsiasi critica, con un po’ di pertinenza dei fatti, può ricevere una visibilità simile a quella che può raggiungere una comunicazione di impresa formulata da un PR. Alcune compagnie che puntano ad una vera sostenibilità come naturale evoluzione, stanno abbracciando un differente modello di comunicazione basato sull’apertura e il libero flusso di informazioni. É risultato che il mondo non si spacca se le compagnie parlano apertamente ed affrontano la sfida sociale in modo sincero. Se queste si confrontano con temi difficili come la sostenibilità ed colgono le critiche anche i più scettici finiscono per essere convinti. La trasparenza aiuta i designer grafici nel momento della realizzazione di oggetti di comunicazione. Il designer passa dal ruolo di “truccatore” a quello di reale agente di cambiamento. Possiamo aiutare a semplificare, chiarire argomenti difficili ed educare il pubblico su quale strada le compagnie seguono.

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Responsabilità sociale di impresa Nota in inglese come Corporate Social Responsibility (CSR) si è molto evoluta negli ultimi decenni e assume sempre più importanza nella comunicazione di impresa e per la trasparenza etica e ambientale. CSR è lo strumento attraverso il quale le imprese guadagnano fiducia, rispetto e solidificano il loro mercato. Spostando l’accento dagli investimenti sul profitto a quelli sui valori, le imprese non solo sono in grado di rispondere alle nuove richieste ed attese di tutti gli stakeholder (compartecipanti), amplificate anche dai media, ma, al tempo stesso, di migliorare le performance aziendali, tenere alta la propria reputazione, vedere crescere la fiducia e il consenso verso di esse da parte della società, e acquisire i clienti “verdi”, sempre più numerosi. Alcuni lezioni per improntare una buona CSR possono essere: 1-Racconta una storia interessante. La prima regola di un buon design è che deve essere efficace. Se l’audience non legge una certa comunicazione allora tutta la comunicazione ne risente. I designer posso aggiungere valore a questi rapporti aziendali attraverso lo sviluppo narrativo visuale che guida chi legge attraverso le informazioni. Un concept coerente o una storia interessante può aiutare a trasformare una asciutta serie di dati in un interessante pezzo di comunicazione e una chiara e semplice gerarchia visuale può rendere tutto più accessibile. 2-Integra ed estendi il brand. I CSR comunicano i valori di un brand, una delle sfide di un designer è creare un ponte tra le principali promesse di un brand e le priorità contenute nel CSR. Un rapporto CSR può aggiungere molto ad un brand e anche aiutarlo a costruire fiducia nel pubblico. Se non progettato bene può invece apparire come un greenwash o sembrare scollegato dal vero business di un azienda. 3-Fai il punto. Nei CSR vengono trattate spesso grandi quantità di dati senza far addormentare il lettore. I designer possono rendere accessibili e piacevoli da vedere, dati ed informazioni. Così come la tipografia racchiude qualche messaggio. Un buon design può informare le persone e che rendere interpretabili e condivisibili i dati.

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In sostanza i rapporti CSR, schede descrittive delle imprese o come li volete chiamare sono un mezzo molto utilizzato nonché un buon campo in cui i designers possono aiutare. Questa capacità di raccontare dati è ovviamente applicabile non solo all’ambito strettamente legato alle imprese di un certo livello con una fama da difendere ma anzi applicabile a chiunque voglia comunicare notizie e fatti. I CSR possono anche essere uno strumento per il cambiamento. Un prodotto green anche è uno strumento per il cambiamento. Un esempio pratico di come i designer possano aiutare a creare oggetti per il cambiamento è il Seafood Watch un pieghevole della grandezza di un biglietto da visita, che si trova nei ristoranti, o mercati di Monterey Bay diffuso dal locale acquario acquario. Il semplice libretto, è un funzionale strumento per facilitare scelte intelligenti al ristorante o al supermercato riguardo la scelta del pesce da mangiare. Il piccolo manuale pieghevoli ha 4 facciate per lato e su tre di queste si trovano delle chiare colonne: Miglior scelte (Best choices), Buone alternative (Good Alternatives) e Evitare (Avoid). La prima colonna è una lista dei pesci allevati in modo sostenibile. La terza la lista con quelli più in pericolo. E nella colonna di mezzo che si trovano a metà tra i due estremi. Questo può essere un esempio di attivismo da parte di un designer, è una semplice soluzione che rende un argomento complicato semplice e facile da capire con l’obiettivo di un cambiamento positivo.

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.4 DESIGN FOR GOOD

L’associazione che raggruppa il numero piÚ grande al mondo di professionisti e studenti di design offre ottimi esempi di come con il nostro lavoro possiamo aiutare la nostra comunità o le persone bisognose. 90


L’esempio di AIGA

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ondata nel 1914 il suo acronimo sta per American Institute of Graphic Art, é la più importatne è longeva associazione di membri professionisti del sottore del design ed è semplicemente conosciuta come “AIGA, l’associazione professionale per il design.”

e tutte le loro risorse sono facilmente accessibili. Si occupano quindi di creare una coscienza comune sensibilizzando sui temi di un design più intelligente e sostenibile. Oltre ad essere promotori di moltissime conferenze ed incontri hanno anche una vasta e sempre in aggiornamento galleria AIGA porta il design al mondo e il di progetti che meritano di essere mondo ai designers. Essendo la più citati e presi ad esempio per i loro grande associazione esistente per metodi di progettazione. numero di membri e di porfessionisti, proprongono che il design sia Secondo il loro punto di vista il riconosciuto come un mestiere di design sta affrontato varie sfide in tutto rispetto, un vantaggio strate- questi anni, spesso contrastanti, gico e una vitale forza culturale. Si come: l’essere sensibili verso l’amoccupano di organizzare incontri biente, essere economico e rendere ed eventi che possano connettere più vicino alle comunità il design. e catalizzare gli sforzi dei designer, Dicono anche: “Un buon design lavorano per ampliare la scala di rispetta il pianeta, i profitti e le pervalori ed approfondire l’impatto del sone; sono benvenuti i clienti che design sul business, sulla società e voglio avere a che fare con quesul nostro comune futuro. ste sfide. La sostenibilità si occupa di più cose oltre che all’ambiente; La missione di AIGA lo scopo del designer è quello di È la più grande comunita globale di migliorare l’esperienza umana e i professionisti e studenti di design bisogni dei clienti senza provocare che lavorano connessi per amplifi- danni alla civilizzazione.” care il ruolo che il design ha nella società e come questo ruolo possa “Design for Good” è la sintesi di aiutare nel futuro. Hanno redatto questa sfida di AIGA di capire qual’è più di un manifesto in cui defini- il ruolo che i grafici e designers posscono le pratiche etiche, guidano sono avere nella comunità e nella l’educazione al design, sono per lo comunicazione tra tutte le parti sviluppo della professionalità, met- che la compongono. Siamo sempre tono a disposizioni molti strumenti creatori di soluzioni e il design è la utili per muoversi in questo mondo manifestazione di una mente cre-

ativa, possiamo rendere cose difficili più leggibili ed approcciabili. La creatività è inoltre essenziale per risolvere problemi che prima non esistevano, quindi anche problemi legati all’ambiente e alla globalizzazione. Essendo anche moltissimi gli iscritti che aderiscono al più grande gruppo al mondo di professionisti e studenti di design se una comunità ha un particolare bisogno riescono a creare delle soluzione insieme alle amministrazioni locali, riuscendo in varie situazioni a sensibilizzare clienti e comunità. Tutto dovrebbe essere accessibile e noi dovremmo dare delle soluzioni ed evolvere la concezione degli oggetti. C’è da aggiungere che comprendendo un aspetto sociale anche nell’insegnamento si da anche una speranza futura ai ragazzi che iniziano ad approcciarsi al design. Sensibilizzando sul rendere visibile ciò che non si vede si da un grandissimo valore aggiunto ai loro studi. Dal confronto con problematiche vere e reali se ne esce arricchiti sia come grafici che come persone. Più di 200 sono le organizzazioni di studenti che sono iscritte ad AIGA.

Design for Good 91


CLIENTE Rule29 Creative e Life In Abundance

Strumento per la comunicazione sanitaria: Informare la popolazione di Kibera attraverso il design e la collaborazione

Essenzialmente la comunicazione è destinata a due gruppi di persone che abitano Kiberia: bambini ed adulti. I bambini rappresentano il futuro perciò insegnare a loro le TEAM basi sulla malattia aiuterà a creare Kent State University School of una genereazione adulta cosciente Visual Communication Design del problema. Gli adulti, inclusi i leaders della comunità, devono BRIEF DEL PROGETTO essere educati riguardo le basi della Kiberia, la seconda più grande malattia anche attraverso esempi. baraccopoli al mondo, situata in Kenya. È casa di circa un milione Raffigurati i sontomi della maladi persone. Le infrastrutture nel ria che spesso non sono capiti, luogo sono molto carenti che spesso infatti la malaria è ricononon fanno altro che peggiorare sciuta troppo tardi. Quando i sindi giorno in giorno. Le situazioni tomi sono presenti è essenziale che sanitare ed igenica del luogo sono il malato si rechi nelle appropriate molto scarse ed è facile il crearsi strutture mediche. Le raffiguradi grandi pozze ed acquitrini ogni zioni dei sintomi sono anche un volta che piove. La zanzara della modo per comunicare i propri sinmalaria infesta queste zone. Esi- tomi ad ogni medico. Una grande ste anche poca informazione su sfida di questo progetto era quella quale sia il miglior modo di curarsi di comunicare oltre tutte le barriere una volta che si è stati punti dalla culturali che esistono tra la popoznzara della malaria. lazione. I simboli sono facilmente apprendibili ed interpretabili. Lo scopo del progetto è quello di fornire uno strumento di comuni- Grazie all’azione sul luogo delle cazione visuale che aiuti la cono- associazioni nonprofit si è potuto scenza della malattia e le migliori avere un riscontro su questo pezzo vie di cure da intraprendere per i di comunicazione inserito nella residenti nella zona di Kiberia. I popolazione. Il feedback più posiprecedenti sistemi di comunica- tivo è arrivato dai medici che conzione sono falliti anche a causa cordano nel dire che le persone della differente origine culturale adesso sono più sicure dei sintomi degli abitanti e lo scarso livello di e delle cause della malaria e molti alfabetizzazione. riescono a prendere delle precauzioni in tempo. BUDGET Il progetto è realizzato in collaborazione con l’associazione nonprofit Life In Abundance e lo studio Rule29 Creative. Il supporto grafico e la gestione del progetto sono gratuite e la distribuzione alla popolazione avviene attraverso Life In Abundance. La comunicazione scelta è stata frutto di molti studi. Medici del 92

AIGA

luogo sono stati contattati nel periodo di progettazione per verificare la veridicità delle informazioni. Le informazioni del luogo TITOLO PROGETTO sono arrivate fino in Kent attraHealthcare Communication Tools: verso un ampio reportage fotograEmpowering the People of Kibera fico che illustrava le condizioni di Through Design and Collaboration vita della città baraccopoli.


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BUDGET Il progetto è stato finanziato dallo studente che ha realizzato il progetto per la realizzazione delle brochure informative. Costo per la serigrafia: 100 $ Carta e stampa: 25 $ Cartone: Gratuito (di recupero) 94

AIGA

CLIENTE McCreesh Place e Supportive Hou- Questo progetto nasce dal contatto sing Communities (associazione diretto del designer con la propria nonprofit che aiuta i senzatetto) comunità, avendo potuto incontrare direttamente le persone che TITOLO PROGETTO facevano riferimento alle associaLike This Box zioni come McCreesh Place. Inoltre la zona del Nord Carolina interesTEAM sata è una di quelle con il magProgetto scolastico personale di: gior numero di persone che non Trey Bates. I volontari della Comu- riescono a affrontare il costo per nità per il supporto alla casa. una abitazione nonostante alcune di esse lavorino (anche se a salario BRIEF DEL PROGETTO minimo). Aumentare la consapevolezza che sono molte le persone che vivono Uno dei punti su cui verte la senza fissa dimora, utilizzando car- comunicazione è che la comunità toni, macchine o balazzi abbando- potrebbe agire e risolvere questo nati per costruire la loro abitazione. problema se solo fosse riconosciuto Offrire informazioni riguardo le pos- come tale. Nonsapendo inizialsibili soluzioni a questo problema, for- mente se lo scopo fosse inspirare nendo informazioni su associazioni all’azione o svegliare le coscienze, nonprofit e le assegnazioni possibile attraverso lo studio sul campo e gli di casa ai senzatetto granzie anche alla incontri con i senzatetto, Trey capì collaborazione di associazioni come che l’azione delle persone sarebbe Supportive Housing Communities in potuta arrivare solo dopo che l’arCharlotte, nel Nord Carolina. gomento fosse chiaro e lampante a tutti. Perciò si scelse la vie da Lo scopo del progetto è sopra- seguire, quella dell’informazione. tutto quello di far nascere una consapevolezza in coloro che non Il primo pezzo della comuniconoscono il probelma, perciò il cazione è stata la realizzazione progetto si sviluppa attraverso l’u- del cartellone pubblicitario e dei tilizzo di cartelloni, manifesti e poster in modo da informare tutti brochure sparsi per la comunità di quando fosse diffuso il problema ambiente della città di Charlotte. Lo della casa. scopo del progetto è anche quello di eliminare le differenze e i pre- La scelta del cartone per la realizgiudizi riguardo gli “homeless”. A zazione dei poster è stata guidata questo scopo è stato anche realiz- dal costo zero dei cartoni di recuzato un libricino che riporta i pen- pero ed offriva anche una parte di sieri e le idee di alcuni senzatetto comunicazione relativa all’espedella comunità sui temi del barbo- rienza di avere un cartone come naggio e sulla struttura McCreesh propria abitazione. Place che offre rifugio ai meno fortunati della zona. Ci sono stati molti riscontri positivi Inoltre una sezione del progetto riguardo questo lavoro poichè la riguarda la pubblicizazione del comunicazione è semplice, pulita, lavoro che queste associazioni onesta e cerca di abbattere i costi. nonprofit offrono e chiedere, dove possibile, una donazione.


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CLIENTE Global Health Corps

pareri riguardanti la GHC e tutti coloro ne fossero venuti a contatto. Quello che hanno scoperto TITOLO PROGETTO è che l’obiettivo principale di tale Global Health Corps—Rebranding a organizzazione è quello di coinNonprofit volgere persone e professionisti anche di campi esterni a quello TEAM della sanità ed incoraggiare l’inClient manager: Andrew McDonald tervento locale. Mantenedo sempre Designer: Lady Tanmantiong un tono positivo e vibrante la GHC Client director: Danielle Prevete crea comunità che possono scamSenior implementation manager: biare informazioni tramite una rete Annie Bassin di network, nonchè guida le perWeb designer: Travis McKinney sone ad agire insieme per una seria Designer: Erin Collis causa. Global director, CSR: Scott Osman Si è scelto di abbracciare la via delle BRIEF DEL PROGETTO infografiche e delle illustrazioni Global Health Corps (GHC) è un’as- per condividere i dati riguardanti sociazione nonprofit che promuove tale associazione nonprofit e cerequità tra la sanità mondiale con- cando di mantenere un tono legnettendo vari leaders in giro per il gero ed allegro. Le icone utilizzate mondo con organizazioni che lavo- hanno uno stile semplice e facilrano in questo campo. mente intrerpretabile. Icolori sono vivaci e rappresentano la passione e la varietà dell’organizzazione e dei suoi partecipanti. L’organizzazione vuole apparire giovane e vivace ma professionale. Così anche la tipografia è utilizzata in questo senso.

Scopo del progetto è stato anche capire perchè questa determinata associazione fosse più meritevole di altre. Attraverso una attiva ricerca di informazioni e di

Questo rebranding ha espanso il potere comunicativo della GHC che registra un numero maggiore di donatori ed di nuovi volontari.

Per il materiale informativo si è adottato uno strumento di storytelIl sistema di comunicazione dell’as- ling che faccia capire qual’è la stosociazione necessitava una serie di ria e gli scopi della GHC. Attraverso strumenti diversi: le infografiche le informazioni sono velocemnte consultabili e confron• Biglietti da visita tabili. Per le foto si è scelto di uti• PowerPoint e documenti Word lizzare quelle fatte dai partecipanti stessi dell’organizzazione dando • Lettere di ringraziamento così un aspetto vero e di partecipa• Nuovi posters e flyers zione attiva di tutti i componenti. • Nonchè curare la parte del web e dei social media Il sito è stato completamente ristrotturato ed è stata aperta una sezione in cui è possibile condiviBUDGET Tutto il lavoro è stato realizzato pro dere le proprie esperienze tramite bono. Il progetto ha permesso di un blog in modo da poter anche ampliare le proprie passione per la informare i visitatori della strutricerca di soluzioni innovative che tura nonprofit. La navigazione deve possano aiutare associazioni che rimanere facile ed accessibile ad ogni tipo di utente. lavorano per il bene comune.

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AIGA

Creare una nuova identità che potesse comunicare in modo chiaro come l’associazione GHC intervenga ed operi sul campo. È stato realizzato un nuovo sistema visivo per tutta l’organizzazione, comprendente un logo, una palette colori, la tipografia, lo stile fotografico e delle infografiche.


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GLOSSARIO

Biopolimeri

Carbon sink (sink biosferico)

Un gruppo di materiali che condividono molte delle caratteristiche fisiche della plastica sintetica, ma derivano da piante o batteri. Questi materiali sono solitamente prodotti dallo zucchero, amino acidi, e necleotidi, e sono spesso biodegradabili Spesso facendo riferimento a “bio-polimeri” si considerano tanto polimeri provenienti da fonti rinnovabili indipendentemente dalla loro biodegradabilità e compostabilità, quanto polimeri biodegradabili e compostabili sebbene di origine non rinnovabile. L’alternativa concreta ai “bio-polimeri” sono i polimeri da riciclo.

Si intende la riserva di anidride carbonica assorbita e immagazzinata dal terreno e dagli oceani con la normale attività connessa sia alla fotosintesi che ad attività di altro tipo. COVs - La dicitura composti organici volatili (COV) o VOC (quest’ultima sigla dall’inglese Volatile Organic Compounds) comprende composti chimici caratterizzati da molecole con gruppi funzionali diversi, con comportamenti fisici e chimici differenti, ma caratterizzati da un certo intervallo di volatilità, a livello grossolano caratteristica, ad esempio, dei comuni solventi organici aprotici apolari, come diluenti per vernici e benzine. Si classificano come VOC, infatti, sia gli idrocarburi contenenti carbonio e idrogeno come unici elementi (suddivisi in alifatici e aromatici) sia composti contenenti ossigeno, cloro o altri elementi tra il carbonio e l’idrogeno, come gli aldeidi, eteri, alcool, esteri, clorofluorocarburi (CFC) ed idroclorofluorocarburi (HCFC).

Carbon Footprint La Carbon footprint (letteralmente, “impronta di carbonio”) è l’ammontare dell’emissione di CO2 attribuibile ad un prodotto, un’organizzazione o un individuo. Viene così misurato l’impatto che tali emissioni di origine antropica hanno sui cambiamenti climatici. La carbon footprint è espressa in termini di kg di CO2e (CO2 equivalente). Il calcolo della Carbon footprint di prodotto comprende la quantificazione di tutte le emissioni di gas ad effetto serra lungo tutto il ciclo di vita del prodotto, dall’estrazione delle materie prime allo smaltimento finale del prodotto. L’intero ciclo di vita del prodotto è anche definito “dalla culla alla tomba”. 98

DIY In origine abbreviato D.I.Y., significa do it yourself frase, o per meglio dire slogan punk, inglese che si potrebbe in primo luogo tradurre rozzamente come “fallo da te”. In realtà in Italia si usano due termini che rendono molto più efficacemente l’idea di quello che questo slogan vuole esprimere: “autoproduzione” e, per estensione, “autogestione”.

FSC Il Forest Stewardship Council (o brevemente FSC) è un’ONG internazionale senza scopo di lucro. FSC rappresenta un sistema di certificazione forestale riconosciuto a livello internazionale. La certificazione ha come scopo la corretta gestione forestale e la tracciabilità dei prodotti derivati. Il logo di FSC garantisce che il prodotto è stato realizzato con materie prime derivanti da foreste correttamente gestite secondo i principi dei due principali standard: gestione forestale e catena di custodia.

ET (Emission Trading) È il meccanismo che consente a chi non è in regola con i proprio obiettivi di riduzione dei gas serra di acquistare sul mercato quote di CO2 tagliata da chi è stato invece particolarmente virtuoso oppure da chi ha ottenuto un pacchetto di crediti per ragioni politiche (molti stati dell’ Est Europa).


Greenhouse gas emissions (emissioni di gas serra) Sono chiamati gas serra quei gas presenti in atmosfera, che sono trasparenti alla radiazione solare in entrata sulla Terra ma riescono a trattenere, in maniera consistente, la radiazione infrarossa emessa dalla superficie terrestre, dall’atmosfera e dalle nuvole. I gas serra possono essere di origine sia naturale che antropica, e assorbono ed emettono a specifiche lunghezze d’onda nello spettro della radiazione infrarossa. Questa loro proprietà causa il fenomeno noto come effetto serra. Il vapore acqueo (H2O), il biossido di carbonio (CO2), il diossido di azoto (N2O) e il metano (CH4) sono i gas serra principali nell’atmosfera terrestre. Oltre a questi gas di origine sia naturale che antropica.

Greenwashing È un neologismo indicante l’ingiustificata appropriazione di virtù ambientaliste da parte di aziende, industrie, entità politiche o organizzazioni finalizzata alla creazione di un’immagine positiva di proprie attività (o prodotti) o di un’immagine mistificatoria per distogliere l’attenzione da proprie responsabilità nei confronti di impatti ambientali negativi. Il termine è una sincrasi delle parole inglesi green (verde, colore dell’ambientalismo) e washing (lavare) e potrebbe essere tradotto con “lavare col verde” o, più ironicamente, con “il verde lava più bianco”.

Raee

PCR (post-cosnumer recycled) Fibre della carta, plastiche e metalli che derivano dalla raccolta dei rifiuti, che sono stati precedentemente utilizzati (ovvero riciclati).

Protocollo di Kyoto È il trattato internazionale per la lotta ai cambiamenti climatici sottoscritto nell città giapponese l’ 11 Dicembre 1997. Le nazioni industrializzate si impegnano a ragliare le emissioni di gas serra, i paesi in via di sviluppo come India e Cina sono esentati. La quota di riduzione nelle emissioni fissate per l’ Unione Europea è del 8% nel 2012 rispetto ai valori del 1990, per il Giappone è del 6%. Per gli Stati Uniti era stabilito un taglio del 7%, ma Washington dopo l’adesione dell’amministrazione Clinton non ha sottoscritto il trattato.

I rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche o semplicemente rifiuti elettronici (talvolta citati anche semplicemente con l’acronimo RAEE, in lingua inglese: Waste of electric and electronic equipment (WEEE) o e-waste), sono rifiuti di tipo particolare che consistono in qualunque apparecchiatura elettrica o elettronica di cui il possessore intenda disfarsi in quanto guasta, inutilizzata, o obsoleta e dunque destinata all’abbandono. I principali problemi derivanti da questo tipo di rifiuti sono la presenza di sostanze considerate tossiche per l’ambiente e la non biodegradabilità di tali apparecchi. Slow Food – Fondata in Italia si contrappone alla cultura del “fast food”. si pone l’obbiettivo di promuovere nel mondo il cibo buono, pulito e giusto. Buono da mangiare, per le sue qualità organolettiche e sostiene l’agricoltura sana (sostenibile)

VOCs Volatile Organic Compounds. Vedi COVs.

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FONTI

NOTE H. McLuhan, Understanding Media, Gingko Press, New York, 1964. 1

William Golden quoted by Cipe Pineles Golden, Kurt Weihs, and Robert Strunsky, eds., The Visual Craft of William Golden (New York: George Braziller, 1962), 61. 10

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2

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William Golden quoted by Cipe Pineles Golden, Kurt Weihs, and Robert Strunsky, eds., The Visual Craft of William Golden (New York: George Braziller, 1962), 61. 12

4

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George Creel, How We Advertised America (1920; reprint, New York: Arno Press, 1972), 133. 6

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Roland Marchand, Advertising the American Dream: Making Way for Modernity 1920-1940 (Berkeley: UC Press, 1985), 152-3. 9

100

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SITOGRAFIA

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