Babel#014

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MAGGIo 2009 www.bab3l.splinder.com

c o n t e n t s 014 2 0 0 9 PROGETTO EDiTORiALE federico res COPERTiNA tommaso “gatsu” de benetti GRAFiCA E iMPAGiNAZiONE federico res gianluca girelli EDiTiNG DEi TESTi giovanni “giocattolamer” donda SiTO wEB http://bab3l.splinder.com BABEL è OSPiTATO DA www.qb3project.net www.issuu.com

COVER STORY The Path 003

015 SAiNTS ROw 2 SChERZA COi FANTi

REDAZiONE alvise “kintor” salice cristiano “amano76” ghigi emanuele “emalord” bresciani ferruccio cinquemani federico res giovanni “giocattolamer” donda gianluca “sator” belvisi gianluca “unnamed” girelli marco “il pupazzo gnawd” barbero michele “guren no kishi” zanetti michele “macca” iurlaro simone “karat45” tagliaferri tommaso “gatsu” de benetti vincenzo “vitoiuvara” aversa hA COLLABORATO Alessando “Neon” Mazzega

FRAME Meteore: che fine hanno fatto i film interattivi? 3a parte 008 REViEw Saints Row 2 015 Ar Tonelico 2 016 Cryostasis 018 Afro Samurai 020 The Path 021 Flower 022 NOSTRADAMUS Dante’s inferno 011 UNDERRATED Conflict: Desert Storm 023

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ODiO Di GOMiTO il popolo ha paura del cambiamento 005 ESCO Di RADO Sulle salme fresche 004

CRYOSTASiS ACQUA PASSATA

ARS LUDiCA La sessualità negata dei personaggi videoludici (parte seconda) 007 COPYLEFT 2007/2008/2009 Babel Edizioni

LAMER ROTANTi wii console inutile 006

Babel è rilasciato sotto la licenza Creative Commons Attribuzione-Non commerciale-Non opere derivate 3.0 Unported. Per leggere una copia della licenza visita il sito web http://creativecommons.org/licenses/by-ncnd/3.0/ o spedisci una lettera a Creative Commons, 171 Second Street, Suite 300, San Francisco, California, 94105, USA.

LA TV ChE ViDEOGiOCA La TV dà i numeri 026

BABEL 002

GiOChi Di MERDA Kakuto Chojin 010

023 CONFLiCT: DESERT STORM 6 GiORNi DiMENTiCATi

TiME wAiTS FOR NOBODY Episodio 5 024 NEXT MONTh Zeno Clash 027


014 C O V E R

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STORY

appuccetto Rosso lo sa. Puoi arrivare dalla vecchia in pochi minuti, tirando dritto sul sentiero stabilito come se dietro di te il mondo si stesse sgretolando. È una strada veloce, sicura e impossibile da perdere di vista. Ma cappuccetto Rosso sa anche che ci sono altre strade per arrivare dalla nonna, strade nascoste dall'erba alta, percorsi che spesso non portano da nessuna parte, ma che di tanto in tanto rivelano parti del bosco difficili da immaginare altrimenti. Posti bui, forse meno rassicuranti delle zone più in vista, ma allo stesso tempo luoghi in cui si verificano fenomeni ed eventi molto diversi da quelli a cui siamo tutti abituati. Mai come in questi mesi l'indie gaming ci ha mostrato spunti difficili da liquidare con una scrollata di spalle. Molto più spesso ci ha sbattuto in faccia meccaniche e tematiche che giochi con budget molto più alti non si

ThE PATh permetterebbero mai di sfiorare. A partire dal devastante Braid (miglior gioco di questa generazione, per chi scrive), passando per le minimali distese di Flower, per i fogli stropicciati di crayon Physics Deluxe o per i metafisici pixel di Don’t Look Back, arrivando alle principesse obese prossime venture: l'indie gaming è "la strada nuova" dell'adagio "chi lascia la strada vecchia per quella nuova, sa quel che lascia ma non sa quel che trova." Babel, di fronte al coraggio a cui stiamo assistendo, finalmente forte di un modello distributivo sostenibile, vi offre gli stivali da funghi e una spintarella amichevole. Muovete i primi passi lì dove non siete mai andati, vuoi per mancanza di tempo, per supponenza o per paura del lupo: potreste scoprire che arrivare dalla nonna non è mai stato meno importante di adesso. Tommaso De Benetti

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Vincenzo Aversa Professore Nerd

Ritenendosi da sempre uno dei cinque migliori giocatori al mondo di Tetris, il Dr. Vitoiuvara ha deciso di condividere con il mondo le sue conoscenze e abilità portando avanti su youtube quel “Corso per Videogiocatori Professionisti” che oltre a renderlo famoso, lo ha definitivamente consacrato al ruolo di pagliaccio. Vive

solo e abbandonato in compagnia del suo fidato quaranta pollici ma, come ama ripetere, risparmia un sacco sui preservativi. Nonostante attualmente passi tutto il suo tempo libero a videogiocare, è fermamente convinto che, nell’arco di massimo cinque anni, sarà fuori da questo ambiente di sfigati.

ESCO DI RADO (ma gioco pure TROPPO) sulle salme fresche

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La vignetta incriminata di Vauro. Potente, senza dubbio, ma opportuna?

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n Italia, vera palestra del mondo per quanto riguarda la censura preventiva, si è fatto un gran parlare negli ultimi giorni di buon gusto e appropriatezza. Per tutti quelli che giocano troppo, scopano poco e non guardano la tV (quindi la maggior parte di voi che leggete) riassumo in breve. Vauro, da qualcuno definito il miglior vignettista italiano, è stato bannato a tempo determinato dalla Rai per la vignetta che trovate da qualche parte in questa pagina. scandaloso, a detta del silvione nazionale e di una lunga schiera di politici, fare umorismo su un argomento tanto delicato. ora, tralasciando per un momento che la vignetta si bullava della politica edilizia e non certo dei morti, possiamo discutere a lungo sulla presunta inadeguatezza della stessa. sono troppo amante della satira per fermare una vignetta e non trovo giustizia nel condannare Vauro lasciando Michele cucuzza a piede libero, ma è quantomeno lecito domandarsi se sia opportuno sorridere sulle bare a pochi giorni di un disastro. Perché di ridere si tratta, perché bare si vedono e magari non ha importanza solo il destinatario del messaggio. Magari, eh. Il perché di questo mastodontico preambolo è presto detto. se siete tra quelli che scopano poco, lo avrete anche già capito. six Days in Fallujah, videogioco solo annunciato e già al centro di polemiche a non finire, sta letteralmente spaccando l’opinione pubblica di tutto il mondo. Qualcuno vota per la libertà a tutti i costi, qualcuno censura prima così non si sbaglia mai e qualcun’altro gioca a Wii sports, che i videogiochi sono un’altra cosa. Prendere una posizione a prescindere, però, mai come in questo caso è un passo da imbecille. Perché six Days in Fallujah andrà giudicato non per quello che rappresenta, ma per quello che avrà da dire.

non è l’idea stessa di un’opera che racconta un fatto storico di pochi anni fa ad essere discutibile, ma lo è la sensazione che si voglia associare il divertimento spensierato alla morte di più di 1500 uomini. Può andare bene con la seconda guerra mondiale, i nazisti hanno raggiunto col tempo una dimensione più epica che reale. Loro sono il male, qualcosa da combattere, ma nell’immaginario collettivo non esistono più di quanto non esista il diavolo in persona. non sto dicendo che sia un modo giusto di intendere la realtà, sto dicendo che fa meno male. se prendi una guerra in corso, americani ed iracheni, invece, non funziona allo stesso modo. Perché la linea di demarcazione tra buoni e cattivi non è ancora abbastanza chiara e perché alle bare di quei giorni se ne aggiungono altre ogni giorno che passa. Quindi no, se six Days in Fallujah deve essere un call of Duty in salsa arabeggiante, io dico decisamente no, non s’ha da fare. Ma in tutto questo chiacchiericcio da bar c’è solo un punto decisamente importante. son davvero pochi quelli che credono che six Days in Fallujah possa essere molto di più di un videogioco for fun. se domani annunciassero un film o un libro sull’argomento, ci si aspetterebbe un’opera con un approccio accurato e rispettoso. Perché il videogioco non merita la stessa attenzione? Perché persino i videogiocatori temono i quindici colpi in testa per sbloccare un achievement? Perché, oggi rispondo, un videogioco del tipo B non l’abbiamo ancora mai visto. seppure mi sembra tutt’altro che un’operazione semplice, però, non riesco a vederci dietro una missione impossibile. non è nella logica delle uccisioni che si può trovare il responsabile unico di tanta diffidenza. sarebbe come dire che Salvate il Soldato Ryan non è rispettoso perché al suo interno ci

sono delle grandi scene d’azione o che Full Metal Jacket ridicolizza il Vietnam perché la prima mezz’ora è al tempo stesso comica e drammatica. La differenza tra un Medal of Honour e Apocalypse Now, invece, sta piuttosto nella diversa rappresentazione della morte di un soldato: insapore e inodore nel primo, tragica e sofferta nel secondo. È il dramma a mancare nei videogiochi, sia questo un essere umano da 28kg o una mamma che ha smesso di piangere suo figlio. solo con la voglia di dipingere un quadro che non sia monco, si potrà rendere possibile e accettabile un six Days in Fallujah che non venga spolverato da critiche, censura e insulti. Quel giorno, se mai arriverà, sarà il funerale di ogni altra forma di intrattenimento.


Giovanni Donda Un uomo per due stagioni

Giovanni Donda, in arte Giocattolamer, è italiano di nascita e inglese d’adozione. “Scozzese, prego” aggiungerebbe lui. È entrato a far parte dell'industria dei videogiochi dalla porta di servizio, e lì è rimasto. Oggi è a capo di una piccola azienda indipendente di Quality Assurance e localizzazione, il cui nome e/o prodotti qui non verranno mai men-

zionati. Questo ci ha costretti a scriverlo lui. Va da sé che le sue opinioni siano appunto tali. Pure questo. La moglie, invece, gradirebbe che simili premure le riservasse a lei, e alla figlia, non a quella ditta del... Ma lo ama tanto. Fortuna che non capisce l'italiano e crede ancora che “Odio di Gomito” sia solo il romanzo che gli pagherà il mutuo.

ODIO DI GOMITO Il popolo ha paura del cambiamento

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l mese scorso edge ha raggiunto i duecento numeri. nessuno ha cantato la solita canzoncina perché è coperta da copyright, e poi non è un vero e proprio compleanno, ma hanno saputo festeggiare lo stesso. e perché stiamo parlando di edge, lo hanno fatto in un modo del tutto sborone. Di nuovo. non mi riferisco infatti alle duecento diverse copertine in cui il suddetto numero è stato stampato, ma della domanda che si sono posti all’interno. La stessa, appunto, che si posero con l’uscita del centesimo numero: come saranno i nostri cari videogiochi fra altri cento di questi numeri? Io, sul di finire di leggere la domanda, me ne stavo inevitabilmente porgendo un’altra: ma ci saranno davvero altri cento di questi numeri? Ma mi sono “pitturato in un angolo”, come dicono da queste parti. Lo spunto di questo mese, infatti, lo troviamo facendo un passo indietro. Più precisamente, in una delle risposte alla domanda posta da edge di cui sopra, nonché l’unica cosa intelligente venuta fuori da un’intervista con calibri riveriti quali Peter Molineux ed esponenti del collettivo Media Molecule. ovvero, il gaming on-demand. e neanche su piattaforma unica, piuttosto su piattaforma inesistente. tempo qualche ora, giorno o settimana, a seconda se dalle vostre parti il servizio abbonati di edge è peggio di quello del fu super console, e tutti hanno potuto vedere con il proprio streaming di cosa si stesse effettivamente parlando. Facciamo entrare onLive sul palco del GDc, allora, è scap-

pato di casa da sette anni, ha messo incinta le mucche più grasse dell’industria, ed adesso la Maria de Filippi di turno si chiede se si prenderà le responsabilità delle proprie azioni. e noi se sia o meno tutto preparato. Ma sempre con “se” i nostri interrogativi iniziano. Se funzionasse, se potesse, se fosse. eppure lo sappiamo già, e lo sapevamo dal primo istante in cui il nostro cervello ha registrato dove onLive volesse andare a parare. non è una questione di “se”, è una questione di “quando”. e non sto parlando di onLive. onLive fallirà miseramente, come Phantom prima di lei. Ma soprattutto come 3Do. Perché questo il fato riserva a chi per primo cerca di fare qualcosa di rivoluzionario. e lo so che state pensando al Wii di nintendo, ma se ci anche solo provate io vi faccio uno specchio riflesso grosso quando un Virtual Boy. Ma sto tergiversando. È una questione di “quando”, dicevamo, e non me la pongo perché voglia fare il nostradamus dei poveri (quello è a pagina 11), ma per capire quando mi dovrò cercare un altro lavoro. Perché ognuno ci vede quello che vuole in questa rivoluzione on-demand, chi la morte della pirateria, chi la morte della console war. Io, che non ci vedo particolarmente bene, ci vedo solo la morte del porting. e oggi il porting multi-piattaforma (quello stesso decantato dal nostro Federico Res su Babel 006) mi dà il pane, a me e a tutta la mia ditta. Vi ho mentito poc’anzi, chiedersi se edge vedrà mai le tre-

cento uscite c’entra eccome con questa discussione. Perché la carta stampata morirà davvero a favore del digitale, come la radio morirà definitivamente a favore del video. eppure, uno potrebbe ribattere, esiste ancora chi preferisce leggersi la rivista sulla tazza del cesso. come esiste ancora chi vuole giocarsi i propri giochi sul proprio maxischermo, sulla propria console, quando vuole, senza che nessuno gli rompa la palle. sì, ma per quante generazioni ancora? e non mi riferisco alle generazioni di console. Io stesso, se me lo aveste chiesto anche solo cinque anni fa, vi avrei detto che mai e poi mai avrei comprato nulla online. oggi, invece, non mi azzarderei mai e poi mai a comprare qualcosa da quei morti di fame di high-street retailers. La gente cambia, punto. Prima o poi. Parafrasando un massimo esponente della letteratura contemporanea (quello stesso che, per pura testardaggine o forse solo pazzia, si è recentemente privato la gioia di godersi sul grande schermo il suo miglior tributo cinematografico): il popolo ha paura del cambiamento, ma è il cambiamento a dover temere il popolo ancora di più. temerlo perché non è mai una questione di “se”, ma di “quando”. temerlo perché il cambiamento avverrà sempre e comunque, che il popolo lo voglia o meno, ma se almeno tutti lo volessero, ci metterebbe molto meno ad avverarsi. e vivremmo tutti felici e disoccupati, probabilmente, ma con meno onLive nell’armadio.

Vedere il futuro deve fare piuttosto male. Non si spiega altrimenti questo ottuso diniego. Piaccia o meno, il gaming on-demand è ka, e noi tutti siamo katet, come direbbe Roland Deschain di Gilead. Ma questa è un’altra storia

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Alessandro Mazzega

Siamo diventando dei vecchi baroni bavosi, e come si dice in questi casi dobbiamo dare spazio ai giovani, ai belli, ai capaci, e a tutte quelle che ce la danno. Babel e quindi lieta di presentarvi Lamer Rotanti, l’unica rubrica a conduzione alternata che avrà lo scopo di farvi leggere opinioni one-shot provenienti sia da col-

laboratori interni che da quelli esterni. Se credete di avere qualcosa di non troppo noioso da gridare al mondo, fatecelo sapere attraverso la nostra casella email (bab3lmagazine@gmail.com); il nostro servitore Grimo Vermilinguo attende fremente i vostri contributi.

LAMER ROTANTI Wii console inutile

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Da quando Reggie è al timone di NOA la società va a gonfie vele. O meglio: è dal lancio del Wii che Reggie siede su un trono dorato. Speriamo che alla conferenza di Nintendo del prossimo E3, tra una mezz'ora di Iwata con i dati di vendita e la presenza della Dunaway, questa volta ci siano anche i giochi. E di prim'ordine

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ii console inutile, anzi no, viva il WiiWii. È la console del momento, questo è indubbio. se ne può parlare bene, male, analizzandone il successo con curiosità o invidia, basandosi sulle dichiarazioni degli ormai celebri analisti di settore o ragionando semplicemente sui dati di vendita. Vorrei però proporre alcuni punti di vista differenti dai soliti, basati sempre e comunque sulla diffusione, sugli eventuali tagli al prezzo di vendita e sulla diatriba casual gaming vs. the world che tanto tiene banco in questi ultimi mesi. Pronti? Partiamo. È da alcune generazioni che acquisto le console casalinghe di nintendo solo in versione ntsc UsA. I vantaggi sono sempre stati indubbi e anche con Wii mi sono mosso con la stessa modalità, procurandomi una console americana pochi giorni dopo il lancio statunitense. In principio la scelta si rivelò nuovamente vincente: edizioni occidentali dei giochi in uscita molti mesi prima rispetto alle controparti europee, prezzo degli import basso a causa della debolezza del dollaro rispetto all’euro, possibilità di accedere ai servizi Virtual console e WiiWare con contenuti resi disponibili in ritardo - o semplicemente mai - sui canali del vecchio continente. col passare del tempo, però, la situazione iniziò timidamente a cambiare: uscite occidentali quasi in contemporanea, prezzi allineati e semplice disponibilità hanno fatto il miracolo; ciò che square-enix non raggiungerà mai: il mercato europeo sullo stesso livello di quello americano, almeno dal punto di vista dell’utente. nell’ultimo periodo, poi, si è arrivati al paradosso, con titoli arrivati in europa ma mai oltre oceano. come non citare Disaster: Day of crisis, bocciato dal grande (letteralmente) Reggie in quanto poco soddisfacente dal punto di vista audio (?) o Fatal Frame IV, la cui pubblicazione è in mano a nintendo ed è quindi ap-

pesa ad un filo. ecco quindi la prima domanda: quali sono le politiche di nintendo a riguardo? Ha senso non far uscire un gioco come Disaster, di matrice nipponica ma con larga possibilità di venir apprezzato anche in America, alla luce del successo dei molti disaster movie provenienti dagli states? oltretutto la localizzazione esiste già e la versione distribuita in Inghilterra non avrebbe bisogno di alcuna modifica in termini di doppiaggio e sottotitoli. Discorso analogo per Fatal Frame: nintendo vuole davvero negare l’uscita di giochi adulti sulla propria console? Perché Mad World sì e l’horror di tecmo no? Il possesso di una console di importazione, di conseguenza, mi ha costretto ad andare a documentarmi in quegli oscuri sobborghi in cui si mischiano pirateria e superamento del territorial lockout, in modo da poter giocare a qualunque titolo senza più la restrizione regionale. A ridosso dell’annuncio del nuovo firmware avvenuto durante il keynote di nintendo alla GDc 2009 ho quindi iniziato a crearmi un’idea in merito. come è noto la comunità di hacker e modder per Wii è decisamente attiva, seconda forse solo a quella che si è creata attorno a PsP, quindi non è stato difficile reperire le informazioni necessarie a bypassare il blocco regionale. ovviamente, come ho già sottolineato e come è da tradizione, il superamento di tale ostacolo va decisamente a sfumare verso la pirateria in quanto una console che legge gli import molto spesso non si fa problemi se il disco che viene inserito non è stato regolarmente acquistato. con mia somma sorpresa, il rilascio della versione 4.0 del software di sistema, che ricordiamo abilita l’uso delle schede di memoria sD ovviando in parte ai cronici problemi di archiviazione che affliggono il Wii sin dal lancio, non va ad intaccare in alcun modo qualunque modifica software sia stata appli-

cata alla console. certo: ne inibisce l’installazione in un secondo tempo, ma non ne rimuove alcun componente né cerca in alcun modo di bloccarne il funzionamento. seconda domanda: qual è a questo punto la politica di nintendo nei confronti della pirateria? Perché su piattaforma Ds viene fatta una guerra su più fronti alla diffusione di R4 ed affini, mentre su Wii non si tenta di limitare il fenomeno con l’arma più ovvia: l’aggiornamento del firmware della console? La navigazione in wiki e forum sull’argomento è stata illuminante anche per quanto riguarda l’approccio della comunità underground verso la console nintendo. In media sono moltissimi gli utenti che ne denigrano la natura, sottolineando le solite motivazioni: è solo per i casual gamer, non ci sono giochi meritevoli, graficamente fa pietà e così via. ovviamente tali loschi figuri sono però impegnatissimi a scaricare Gigabyte e Gigabyte di software illegale, sprecando decine e decine di supporti in modo da provare ogni titolo uscito, rimanendo soddisfatti solo se la console è in grado di eseguirli tutti, ma non giocandone mai nessuno. In fin dei conti, il collezionismo pirata è una malattia di vecchia data e a quanto pare il passare degli anni non ha cambiato questo tipo di comportamento. tornando quindi al titolo: Wii console inutile, certo. terza domanda: perché all’uscita di Mad World tutti si sono affrettati a domandare se il firmware era aggiornabile senza pericolo, in modo da poter continuare a giocare alla propria copia contraffatta del titolo di Platinum Games? Basta un gioco intriso di ultra violenza praticamente gratuita per far cambiare diametralmente opinione sulla qualità dell’offerta di una console? Basta un DVD masterizzato ad arte per passare da “Wii console inutile” a “Viva il Wii”?


Simone Tagliaferri Si perde troppo spesso per mondi virtuali

Simone Tagliaferri nacque e sta ancora cercando di recuperare da quella faticaccia immane. Nel frattempo ha scritto articoli per molte testate, tra le quali Gameoff, Xoff, PSW, PC Games World e altre di cui non ricorda molto (sapete... la senilità). Attualmente scrive articoli su multiplayer.it, cura la sezione videogiochi

del Mediaworld Magazine e scrive assiduamente su Ars Ludica, progetto nato nel lontano 2005 che si occupa di spammare un po' di cultura videoludica in giro per il web. Tra le sue altre attività, oltre allo spaccio internazionale di pannolini usati, traduzione di guide ufficiali e di videogiochi.

ARS LUDICA

www.arsludica.org

La sessualità negata dei personaggi videoludici (parte seconda) nello scorso numero avevo preso in considerazione the Witcher e Mass effect, proponendoli come esempi di videogiochi che contengono scene di sesso esplicito piuttosto dozzinali, quando non legate a un immaginario pornografico. In quel caso ho voluto sottolineare l’incapacità degli scrittori di videogiochi di pensare scene di sesso senza dargli connotazioni pruriginose o ammiccanti, in un certo senso morbose, pur in titoli tematicamente più complessi della media. In questo numero vorrei proporre due opere in cui il sesso viene rappresentato in un contesto più normale, ovvero viene inserito nella narrazione senza forzature o stonature e, soprattutto, senza trasformarlo in una specie di Achievement da raggiungere. In entrambi i casi non darò giudizi qualitativi complessivi, ma mi limiterò a esaminare come il sesso sia stato inserito nel contesto videoludico. nella nona scena di Fahrenheit (Quantic Dream, 2005) Lucas Kane, il protagonista, braccato dalla polizia, oppresso da visioni da incubo e alla ricerca della verità su ciò che gli sta succedendo, riceve la visita di tiffany, la sua ex-fidanzata ed ex-convivente. La donna vuole semplicemente recuperare le sue cose, tenute dentro delle scatole di cartone. Una serie di azioni piuttosto spontanee, come offrirle da bere e aiutarla a trasportare la sua roba, faranno partire un dialogo con cui, toccando le giuste note, si potrà creare un ultimo momento di tenerezza tra i due, che sfocerà in una scena di sesso. Due ex-fidanzati che fanno sesso, tutto qui. La sequenza è interattiva, ma non è fatta vivere al giocatore come una conquista virile, ovvero come un: “ma quanto sono macho e potente” urlato implicitamente dallo schermo; è più una richiesta d’affetto del protagonista che sta attraversando un periodo difficile. sempre in Fahrenheit, nella trentaseiesima scena, poco prima del fi-

nale, Lucas fa l’amore con carla, l’investigatore della polizia che ha indagato sulla sua storia. Anche questa scena di sesso è costruita in senso narrativo e non arriva per caso. carla indaga su Lucas, rimane coinvolta dalla sua storia comprendendo che il ragazzo non ha colpe e che ci sono forze più grandi che lo stanno manipolando. Decide quindi di proteggerlo facendolo andare a vivere a casa sua. Lucas passa quindici giorni a casa di carla, dormendo sul suo divano. Il freddo attanaglia la città. tiffany, l’ex-ragazza di Lucas, è morta venti giorni prima in un incidente causato dall’oracolo, il deuteragonista principale, mentre tyler, il collega con cui carla ha seguito le indagini, è fuggito da new York a causa del gelo. I due sono soli, new York sembra una scultura di ghiaccio, immobile e morta. Dopo una sequenza d’azione, Lucas e carla vengono aiutati da un gruppo di ribelli che combatte in segreto contro l’oracolo e si ritrovano a dormire insieme in un vagone della metropolitana dismesso, dove consumano l’atto sessuale. Anche in questo caso il sesso nasce da premesse narrative e assume senso e importanza all’interno della storia dei due personaggi, producendo effetti che si espliciteranno nei tre finali. In Prince of Persia: Le sabbie del tempo (Ubisoft, 2003) c’è una scena di sesso che dà il la al finale. Il principe e Farah hanno ‘danzato’ insieme per tutta l’avventura, si sono conosciuti in modo conflittuale, si sono aiutati tra dubbi e diffidenze e, infine, sono arrivati a fidarsi reciprocamente innamorandosi. La scena di sesso in sé è costruita in modo da ricordare quelle dei blockbuster americani, con inquadrature di dettagli montate in modo serrato. In realtà non ha nulla di particolarmente originale, se non che si trova in un videogioco pensato per il grande pubblico e che, soprattutto, non è gratuita e

forzata, ma è ben armonizzata con il contesto di gioco. I personaggi non arrivano a fare sesso spinti da chissà quale forza invisibile (solitamente il voyeurismo dello sceneggiatore, che poi riflette quella del sistema produttivo e dei fruitori), ma dalla conoscenza reciproca che si è trasformata in amore. soprattutto il principe è un personaggio diverso da quello che era all’inizio, diversità che diverrà esplicita nella scelta finale e che verrà rovinata dai due episodi successivi della trilogia. Insomma, la scena di sesso arriva a corollario di tutte le volte che i due si sono stretti la mano per superare un ostacolo, a tutte le volte che hanno combattuto insieme e a tutti i piccoli momenti chiarificatori sparsi per il gioco. Anche in questo caso la sceneggiatura è scritta per cercare di evitare di far vivere l’amplesso come una semplice conquista virile, rendendola parte naturale di quanto “giocato” fino a quel momento, un passaggio naturale che il fruitore vive come tale. scrivendo questo articolo mi sono reso conto di non potermi limitare a parlare solo dei momenti sessualmente espliciti visibili nei videogiochi. Per una questione di completezza, nel prossimo numero parlerò di alcuni titoli in cui la sessualità è presente, ma mascherata, ovvero è parte del contesto, è movente dei personaggi, ma non viene mai resa esplicita. In questa descrizione rientrano in realtà moltissimi titoli, ma cercherò di porre dei limiti precisi, prima di dedicarmi alle conclusioni finali (che credo richiede-

Fahrenheit e forse il videogioco in cui il sesso viene meglio armonizzato con il contesto di gioco, senza scadere nel volgare o nel gratuito

ranno un quarto numero).

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di Gianluca Girelli

METEORE: che fine hanno fatto

i film interattivi?

parte terza

erza parte del viaggio attraverso il filone dei film interattivi, questa volta incentrato sulle proposte in ambito cinematografico. I primi esperimenti nell’ambito del cosiddetto “cinema interattivo” risalgono agli anni ’50, anche se per il primo film bisognerà aspettare la fine della decade successiva. sebbene concettualmente simile alla controparte videoludica, il cinema interattivo è stato fin dall’inizio molto più legato alla struttura dei libri game rispetto ad essi. Il principale problema era quello di dover girare numerose sequenze parallele relative a bivi narrativi diversi, aumen-

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tando così non solo le ore di girato, ma anche tempi e costi. se nei film interattivi era prassi che bivi narrativi confluissero in un unico filone, nel cinema interattivo era preferibile che i bivi restassero slegati, in modo da avere una trama il più diversificata possibile nel limitato tempo concesso dalla pellicola. Altra limitazione fu l’impossibilità di troncare l'esperienza in caso di scelta sbagliata, la narrazione in ogni caso doveva essere portata alla fine pena la visione di un film monco. Mancando le comodità dei sistemi multimediali moderni, la difficoltà fu quella di dover gestire le proiezioni in modo che le procedure di cambio

delle pellicole-bivio fossero per lo spettatore le più rapide e meno indolore possibili. Più tardi, grazie a mezzi più sofisticati, fu possibile girare, montare, e distribuire i film su supporti in grado di rendere più semplice questo lavoro. solo una cosa non fu mai risolta: i costi di gestione. Benché esistesse una sorta di sfida implicita tra videogioco e cinema su chi dei due sarebbe riuscito a proporre per primo un prodotto interessante, ben pochi prodotti cinematografici verranno distribuiti a cavallo tra gli anni ‘80 e ’90, e quasi tutti molto distanti da essere prodotti considerabili validi commercialmente. Le

poche sale adatte al film e gli enormi costi di produzione delle pellicole furono le cause del mancato interesse da parte delle major cinematografiche. se ancora oggi i problemi nella realizzazione di sale per la proiezione 3D non sono stati del tutto risolti nonostante la tecnologia stia prendendo piede (le sale sono ancora la metà di quelle preventivate), potete capire quali dovessero essere ai tempi i problemi da affrontare per dare visibilità a questi “esperimenti”. con l'avvento del DVD, il filone sembrò aver qualche possibilità di rinascere, ma ben presto si ritrovò ad affrontare molti dei pro-

In Mr. Payback: An Interactive Movie del 1995, lo spettatore munito di una sorta di pulsantiera alla Chi vuol essere Milionario, decideva la direzione della trama in anticipo di qualche secondo rispetto agli eventi per evitare che il film non perdesse di continuità; il maggior numero di voti determinava come la storia sarebbe proseguita. Il risultato non fu troppo appagante, però, la maggior parte della gente in prossimità dello "scambio" perdeva tempo a rumoreggiare con il vicino di sedia deconcentrandosi sulla visione del film, a quanto pare piuttosto bruttarello già di suo. Le sale adibite inoltre non superavano il centinaio di persone, troppo poche per pensare di poterci ricavare grandi somme. Altri produzioni come “Cause and Effect” si basavano su altri tipi di interazione, ma non ebbero esiti diversi


Nel 1967, il primo esperimento di cinema interattivo: il cecoslovacco Kinoautomat, commedia nera diretta da Raduz Cinera. Seppur con mezzi ben lontani da quelli usati oggi, la filosofia non era troppo dissimile. Nel mezzo del film, un moderatore appariva al centro dello stage per offrire due scelte narrative. Per non dover bloccare e sostituire ogni volta la bonina, i proiettori erano due, e lo spostamento di una lente determinava lo scambio. Nonostante gli otto punti di scelta, i bivi erano sostanzialmente due in modo tale che si intrecciassero tra loro, mentre il finale era unico in tutti i casi. Il film venne successivamente mandato in onda sulla tv pubblica contemporaneamente su due reti diverse, lo spettatore si limitava a cambiare canale in base alle scelte sulla trama. Il film ricevette buoni consensi di pubblico e critica, ma più per l’effetto novità che per le effettive qualità. Kinoautomat non venne mai distribuito sui canali ufficiali poiché adattare i cinema alla proiezione sarebbe stato difficile e costoso, e si limitò dunque a comparire in soli altri quattro eventi dedicati

blemi dei prodotti cinematografici usciti qualche anno prima. I'm Your Man, the Misadventures of James spawn, Point of View, stab in the Dark! ebbero un limitatissimo successo, tant’è che molte delle successive produzioni furono

realizzate con un budget limitato e indirizzate principalmente ad un pubblico infantile. La multimedialità concessa dai DVD venne perlopiù utilizzata nella registrazione di concerti per la visione da angolazioni diverse. Da notare che se i film interattivi – quasi - sparirono per tramutarsi in qualcosa di molto diverso, il cinema interattivo se ne porta dietro strascichi ancora oggi. tecniche e principi di funzionamento utilizzati nella realizzazione di film interattivi vengono tutt’oggi riproposti nella gestione delle sequenze video in contesti multimediali per il web. La diffusione della banda larga unitamente all’utilizzo di piattaforme come shockwave/Flash ha reso più facile la realizzazione di prodotti multimediali assimilabili alle vecchie produzioni. si pensi, ad esempio, a quei banner che utilizzano in maniera massiccia sequenze video in streaming. Da qualche anno, inoltre, vengono realizzati veri e propri film, come ad esempio the outbreak, Hypnosis, Lost cause o 17LifeFable che sfruttano le nuove potenzialità del web per riproporre gli stessi concepì. Per iPhone, in-

tanto, è prevista l’uscita del videogioco-film interattivo Hysteria a breve. L’ultima delle forme in cui si sarebbe evoluto il cinema interattivo fu quello del Mutable cinema, concettualmente simile ai film interattivi, ma con un’interfaccia giocatore tale da permettere una diversa, e per certi versi migliore, gestione delle sequenze. A differenza di altre proposte, il Mc non seguiva necessariamente una trama definita, piuttosto era il giocatore che modificando e ribaltando spezzoni o generando bivi diversi creava la sua personale trama. Per questo motivo l’ “artisticità” del prodotto finale non dipendeva più solo dalla direzione dell’autore, che non poteva più controllare la validità di spezzoni disposti in maniera diversa, ma anche dalle scelte del giocatore. In pratica è come se in un film la validità di questo venisse compromessa da chi si occupa del montaggio. sebbene l’autore potesse considerare le sequenze del film facenti sempre parte di un’opera, chi ne usufruisce avrebbe potuto percepire il Mc come un normale videogioco, dando poco peso agli elementi che lo compongono (sceneggiatura, fotografia, regia, etc.). Appuntamento con l’ultima parte dell’articolo relativa all’evoluzione finale del cinema interattivo sul prossimo numero di Babel!

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giochi di merda giochi di merda giochi di merda giochi di merda giochi di merda giochi di merda giochi di merda giochi di merda giochi di merda giochi di merda giochi di merda giochi di merda giochi di merda giochi di merda giochi di merda giochi di merda

GIOCHI DI

MERDA!

Dreamfactory Microsoft Game Tudios Xbox 2002

Kakuto Chojin : Back Alley Brutal

di gianluca “unnamed” girelli

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e sei bello ti tirano le pietre. se sei brutto invece no. La canzone mentiva, il brutto non se l’è mai filato nessuno. A volte capita però che per un motivo o per un altro, anche a qualche “brutto” venga concessa una certa visibilità. Kizuna encounter per neoGeo, ad esempio, è famoso per la sua rarità; della sua versione PAL, infatti, dovrebbero esistere qualcosa come una decina di esemplari, a causa - così dice la leggenda - di un incendio che ha distrutto le poche copie importate ufficialmente. non scomodatevi a giocarlo sul MAMe, è un picchiaduro piuttosto squallido, se non fosse raro non meriterebbe alcuna attenzione. carmageddon è un racing game (?) da martellate sui coglioni, ma il clamore mediatico lo ha reso uno dei giochi più popolari su Pc. Kakuto chojin, invece, è un prodotto strano. È salito alla ribalta per la polemica legata ad uno dei brani della soundtrack che riprendeva dei versi del corano, ed è per questo stato ritirato in America e Giappone, mentre in europa non fu mai commercializzato. Raro e polemizzato, l’accoppiata migliore si direbbe. eppure nessuno se lo caga. L’ultima valutazione su eBay lo ha visto venduto per meno di un dollaro, deprimente anche per un picchiaduro non particolarmente originale, ma in fondo nemmeno tanto bruttarello. si dice che Kc sia frutto del lavoro di ex dipendenti di namco che in precedenza avevano lavorato a tekken, e le somiglianze si vedono tutte. Purtroppo verrebbe da dire. Il sistema di combattimento ricorda molto tekken 2,

non male ma nemmeno sufficiente quando i tuoi avversari si chiamano soul calibur e Virtua Fighter. eppure Dream Factory vantava nel suo repertorio picchiaduro indubbiamente interessanti come tobal 2 e ehrgeiz e Ultimate Fighting championship: tapout. Persino the Bouncer, al di là della sua ripetitività, non era certo così deprecabile. Kakuto chojin, invece, è un prodotto mediocre che sa di vecchio e stravecchio. Una tech demo, questa la prima impressione di chi lo vide mostrare la capacità del nuovo mostro Microsoft. Questa anche l’ultima impressione, una volta messo a terra il pad, dopo poche ore di gioco. I personaggi sono stati realizzati con un gran numero di poligoni, decorati da texture e normal mapping a profusione e con tessuti che si muovono in maniera realistica, ma il loro aspetto è un po’ troppo plasticoso e lucido, ricorda molto i pupazz… ehm, i combattenti di Virtua Fighter 5. Il look invece tende al tamarro, ma non posso non amare quel character che assomiglia alla mia amata Jessica stam. I fondali

però sono da dimenticare, nella maggior parte dei casi sono formati da gabbie realizzate con quattro poligoni, (bumpmappati anche loro) con la buona vecchia bitmap circolare come ai tempi di… tekken, appunto. solo che non siamo nel 1996, e Dead or Alive proponeva stage almeno 4 volte più grandi. su Dreamcast. Poco divertente in multi per via del limitato parco di mosse, ancora meno in single per colpa di una cPU che fa ben poco all’inizio e bara pure troppo alla fine. Ma è un mondo difficile, anche per i videogiochi in fondo. Dream Factory si sarebbe dedicata in seguito ad altri prodotti, di fattura un poco migliore, ma ugualmente trash. In noi, invece, rimane il ricordo di quel titolo giapponese per i giapponesi (quei pochi che hanno comprato l’Xbox), che fin dalla nascita aveva osato puntare alto. Ma anche no.

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NOSTRADAMUS! previsioni videoludiche di Michele “Macca” iurlaro

DANTE’S INFERNO Dante la trottola piattaforma 360 ps3 sviluppatore studios ea redwoods shores produttore ea provenienza usa

a cura di Giovanni “Giocattolamer” Donda Grosso è bello. È una verità che ci portiamo dietro da quando abbiamo calpestato l’ombra della giostra più grande della fiera. Quel sense of wonder che ci pervade e ci fa rispondere con una mascella spalancata al passaggio della prima carrozza. troppo grandi per farsi fotografare con topolino, oggi quella sensazione la ritroviamo a teatro, al cinema, nei videogiochi. Più grande è il baraccone, più grande è il divertimento. Questo il mantra, questi i suoi più assidui seguaci: God of War e Devil May cry. L’apparenza potrà ingannare, ma Dante’s Inferno si presenta con il moccolo in mano, perché il mondo non è abbastanza grande per due Disneyland, e di certo non è abbastanza grande per tre Danti. certe volte, però, le apparenze non ingannano. e le apparenze buttavano davvero male per Dante’s Inferno già da anni, più precisamente da quando il regista Jonathan Knight decise di rispondere alle domande degli utenti di eurogamer. La sviolinata presentò infatti due stonature da ortaggi sul palco: il team dietro a Dante’s Inferno non era lo stesso dietro a Dead space e c’era uno smoderato amore nei confronti dei Quick time events. Da interpretarsi, rispettivamente, con: il gioco lo sta sviluppando il team B e sarà pieno zeppo di sequenze coreografate dal cugino di John Woo, tutte neanche per sbaglio controllabili dal giocatore. salvo un certo “ma”, Dante’s Inferno fa proprio quello che c’è scritto sulla scatola, ovvero fa tutto lui. era dai tempi dei Metal Gear solid di Hideo Kojima, che un gioco non tradiva in modo così recidivo il primordiale patto che ogni buon designer dovrebbe stringere con la propria clientela. se succede in una cut-scene, deve poter succedere anche in gioco. Dante’s Inferno non se ne cura e passa, non curante anche del fatto che i Qte avevano già rotto il cazzo nel 2007 di God of War 2, figurarsi nel 2010. Il sopracitato “ma”, però, arriva con le

sequenze in sella a belve di varia natura e soprattutto dimensione, che collegheranno i vari gironi dell’inferno. A gran sorpresa, infatti, sono le più riuscite e interattive dell’intero pacchetto ludico. così abili a pompare adrenalina da ribaltare ogni pronostico pre-release, facendo sembrare il resto dell’esperienza tattile una mera aggiunta dell’ultimo minuto. se la demo rilasciata il mese scorso si fosse concentrata su queste fasi, anziché l’aleatorio boss-fight contro il conte Ugolino (e figli), la zappa sarebbe cascata ben lontano dai piedi. Ma anche pericolosamente vicino alle sportellate già viste eoni fa nel bistrattato Wheelman, da cui Dante’s Inferno attinge bellamente a piene mani. Riuscendo comunque a sciupare il tutto, aggiungendo di suo vari one-liners da parte del narratore Virgilio, a commento della propria prestazione. Preparatevi all’atroce: “Lasciate ogni speranza, voi che ci incontrate!”. Ironicamente, più facciamo scendere questo irriconoscibile Dante nelle profondità dell’Inferno, più la retta via si smarrisce del tutto. L’interattiva narrazione con Virgilio si farà dimenticare giusto il tempo di averla richiamata a schermo e i combattimenti si tramuteranno sempre più in una partita a simon. La versione Junior. Un po’ come l’ultimo, abominevole Prince of Persia, del resto, ma con più tette (Paolo Malatesta non aveva tutti i torti, in effetti). Il finale, non leggete se non volete rovinarvi la magra sorpresa, è un chiaro omaggio a un altro massimo esponente culturale italiano, l’idraulico Mario. La bionda e bisbetica Beatrice sarà infatti in un altro castello, parrebbe voler suggerire l’esplosiva sequenza finale. Forse in cima ad un certo monte? Forse in un inevitabile seguito? chissenefrega, noi intanto usciamo a rivedere le stelle. e possibilmente del vero gameplay. 6

Con l'esoso Caronte (qui barca e traghettatore tutt’uno), si chiude il tutorial del gioco. Insegnato infatti al giocatore come collezionare abbastanza anime dei dannati per passare l’Acheronte, il viaggio proseguirà senza sorprese in fatto di meccaniche di gioco. Peccato che se si muore durante la traversata, si debba rifare tutto da capo. “Un fiorino”, anyone?

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360 ps3 pc

SAINTS ROW 2 A volto coperto piattaforma 360 ps3 pc sviluppatore volition inc. produttore thq versione pal provenienza usa

a cura di Vincenzo “Vitoiuvara” Aversa

i vorrebbe una metafora per descrivere questo gioco, una bella metafora che comprendesse prostitute, droghe pesanti e bollini delle banane, ma ho fatto voto di non abusarne. come un gentiluomo che vende Corna Vissute ai minorenni, però, la mia moralità vale meno di 2500 lire, 4000 se compravi il pacco da tre. ecco allora che saints Row 2 è come una chiquita notturna che spaccia coca nelle scuole, non c’è nessuno porca mignotta. non sforzatevi, non ha senso. Almeno credo… e pure saints Row 2 sembra non averlo un senso, soprattutto se non lo guardi a testa in giù. Dal verso giusto si presenta come un pessimo seguito di se stesso, miracolosamente peggiorato nell’aspetto dopo anni di evoluzione tecnologica e tristemente a secco di buone idee. Perché, per chi non lo sapesse, il primo saints Row non era solo la copia denunciabile di un Grand theft Auto qualsiasi, ma pure la smussatura evolutiva della saga Rockstar prima maniera. È nel titolo Volition che, dopo i giri della montagna di san Andreas, nasce il tom tom a striscia verde. È nello stesso titolo che si fa strada un modo nuovo di intendere il free roaming: meno cazzeggiare, più giocare. saints Row era GtA senza la noia, senza realismo e credibilità in molte situazioni, ma estremamente più divertente da giocare. La formula ludica di questo seguito è rimasta invariata, ma la mancanza di una forte spinta creativa si sente eccome. Piuttosto che rinnovare, saints Row 2 si limita ad esasperare la sua eccentrica visione del mondo. stilwater è più putrida di una fogna a cielo aperto, la sua melmosa corruzione si è infiltrata in ogni possibile commercio clandestino e le povere bande criminali sono costrette a dividersi la torta con gentaccia in giacca e cravatta. Uhm, a raccontarla non

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pare tanto eccentrica. Quello che colpisce subito in saints Row 2, dopo aver sventrato almeno una quarantina di poliziotti nel solo tutorial, è la sua assoluta mancanza di etica. I demoni della distruzione, della volgarità, della violenza gratuita e dei parcheggiatori abusivi sembrano essersi uniti per dare vita al gioco più discutibile che la storia ricordi. non è solo questione di merda da buttare sui palazzi, non è nemmeno la gente nuda da picchiare per le telecamere di Cops, è proprio la sua totale incuranza per la buona educazione a sorprendere. Laddove GtA è spesso vittima di clamori indesiderati, Volition sembra volerli chiamare a sé con un videogioco talmente scorretto da sembrare parodia. nelle missioni principali uccidi tutti, in quelle secondarie uccidi tutti e spacchi tutto. Una città per spaccarli e basta, né più né meno. carica omicida ampliata dalla possibilità di giocare l’intera avventura in compagnia di un amico. Perché non c’è niente di meglio della violenza se non la violenza fatta per bullarsi con gli amici. saints Row 2 è l’equivalente ludico di una sega solitaria: c’è sicuramente di meglio nel mondo, ma perché smettere? ora dopo ora si rafforza la sensazione di trovarsi di fronte ad un gioco brutto più che bello, superficiale più che satirico, paraculo più che ingenuo, eppure il divertimento non scade mai. che si voglia spaccare la testa a fan esuberanti o dare fuoco a qualche palazzo, è lo spensierato gusto amaro della violenza fine a se stessa a vincere sempre. Ma un gioco brutto resta un gioco brutto, pure sa a sua madre piacciono gli scarafaggi. sì? no? Forse? Magari quando lo trovo a 17 sterline, che la sterlina vale quanto un granturchese ormai? Quello che volete, ma su uno scaffale, pronto a tappare i buchi di una brutta giornata, male non ci sta.

Fate attenzione, la pistola che vedete nella fantastica limited edition è di carta, pessima carta. Non sia mai che qualche sprovveduto la scambi per una vera riproduzione

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playstation2

AR TONELICO 2: MELODY OF METAFALICA Detekoidetekoilallalallalaa,detekitedetekitelallalallalaaaaa... console ps2 sviluppatore gust. produttore nis america. versione ntsc/us provenienza giappone

a cura di Michele “Guren no kishi” Zanetti

o ancora la canzoncina della magia sunsun summon nella testa, nonostante non la usi da una cinquantina d’ore. Grandioso. A parte questo, Ar tonelico II: Melody of Metafalica arriva finalmente in Usa e vista la bontà del primo episodio, le aspettative per questo seguito erano alte. non sono state tradite in sé, ma da altri. La spiegazione del voto sta nella seconda didascalia. L’originale Ar tonelico nasceva da una costola della più famosa serie “Atelier” di Gust, ponendo maggior enfasi sulla parte musicale, fondendo un JRPG con una sorta di simulazione d’appuntamento volta a potenziare parte del cast femminile. Melody of Metafalica migliora tutto. Visivamente Gust raggiunge nuove vette, tra cui degli scenari che potrebbero passare per 2D se non si rivelassero in 3D completo al primo spostamento. A livello più tecnico, però, il titolo presenta la solita miriade di micro rallentamenti sempre dietro l’angolo: quando vi spostate negli scenari, nei dungeon, durante i dialoghi, nelle animazioni di vari attacchi e - addirittura - quando aprite le casse del tesoro. Pare che tutti questi scatti si manifestino solo sulle Playstation 2 con ottica più datata. Pare, appunto, io non ci metterei la mano sul fuoco. Musicalmente parlando, invece, ritorna una buona colonna sonora, potenziata a dismisura nella parte delle canzoni e degli Inni, ancora eseguiti in una lingua immaginaria molto d’atmosfera, caratteristica distintiva della serie. ovviamente canzoni e Inni sono direttamente collegati alla buona trama del gioco. non potevano così non tornare le Reyvateil dalle sembianze femminili: Luca e cloche sono le due Reyvateil principali nonché eroine di AtII (insieme ad un altro paio). ovvero, sono delle comuni ragazze in cui si manifesta un caratteristico potere giunte ad una certa età. Da quel momento in poi, infatti, cantando potranno accedere a vari tipi di magie e saranno obbligate per tutta la loro esistenza ad assumere ogni tot mesi delle sostanze che ne allun-

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ghino la vita. Pena la loro morte in breve tempo. A causa di una strana “malattia”, però, alcune R vanno in berserk e attaccano gli esseri umani causandone la morte. Le R infette dalla sindrome, dette I.P.D., sono direttamente collegate sia alla trama del gioco che a parte delle sue meccaniche. Mentre vi aggirate nei dungeon è ancora presente un indicatore che segnala quanto manca al prossimo scontro casuale e che si svuota pian piano. svuotato completamente non sarete più assaliti dai nemici. Un nuovo indicatore, invece, è dato dal radar per l’individuazione delle I.P.D., che ne segnalerà la presenza o meno nelle vicinanze o in altre zone del mondo (qui funziona maluccio, indicandovi alle volte degli obiettivi presenti in determinati livelli in momenti della storia in cui non potete proprio recarvici e dimenticandosi totalmente delle I.P.D. di ottavo e nono livello). sconfitta un’I.P.D. potrete immergervi nella sua coscienza con l’equipaggiamento adatto e nell’apposito negozio, cercando di curarla tramite un mini game (una variazione della vecchia meccanica di gioco chiamata cosmosphere). Alcune, appena curate, si aggiungeranno subito al fanclub di cloche, altre, invece, si uniranno solo dopo che saranno state soddisfatte determinate condizioni. Alla fine, comunque, dovrete recarvi nel luogo dove risiedono per reclutarle effettivamente. Potrete poi assegnarle ai vostri combattenti e farle aumentare di qualche livello, sbloccandone così abilità di supporto di cui godrete in battaglia. L‘abilità Instant Kill, per esempio, vi aiuterà immensamente. tutta la parte delle I.P.D. è come una side quest gigantesca, ma va ad influire enormemente sulla “magia” Replakia di cloche: ogni Reyvatei reclutata, infatti, darà un po’ della sua forza per aumentarne l’efficacia, un boost immenso di cui si può godere durante gli scontri. L’unico modo per potenziare Luca e cloche procurando loro nuove magie, evolvendo quelle vecchie e ottenendo nuovi costumi in grado di influen-

zare le statistiche base, sarà quello di addentrarsi nei meandri delle loro cosmosphere. Qui si segue fondamentalmente una storia cercando di risolvere i problemi della R di turno, conoscendola più a fondo e formando un legame di fiducia reciproca. Poche volte vi verrà chiesto di prendere delle decisioni. In pratica una simulazione d’appuntamento già scritta e pronta. Potrete anche decidere se formare un legame più serio con la R, scegliendola come partner, influenzando così parzialmente la parte della storia che andrete a seguire nel gioco principale e il finale a cui avrete accesso.

Metti una vasca da bagno nipponica bella grande e piena di acqua calda, prendi da uno a nove cristalli e buttaceli dentro. Aggiungici una tsundere, una dojikko, una hinnyu e stai a guardare che succede: magari una chiacchierata tra ragazze, magari no. Alla fine il processo di Dualstall sarà completo e le Reyvateil avranno guadagnato esperienza e altro (“il contenuto dei cristalli si scioglie nell'acqua ed entra nel corpo caldo e umido...”). Chissà che si inventeranno al prossimo giro


nuove canzoni/magie guadagnate vi assicureranno una marcia in più negli scontri, veloci, adrenalinici, strategici e divertenti: un enorme passo avanti rispetto alla lentezza di quelli di At. All’inizio dello scontro potrete scegliere quale incantesimo cantare con le due R nelle retrovie. I Magic Point inizieranno a scendere e la canzone comincerà ad acquisire potenza. Potrete lanciarla in qualsiasi istante. nel frattempo, i pochi secondi a disposizione per il turno di attacco

inizieranno a scarseggiare, con voi che dovrete decidere come far proseguire il combattimento usando i due combattenti in prima linea, portando a segno colpi diversi che influenzeranno l’umore delle R. Dopo un certo punto dell’avventura, acquisiranno maggior peso gli attacchi per aumentare le armoniche e lo stato psicologico delle R: le prime daranno accesso a Replakia, mentre il secondo vi metterà a disposizione le magie combinate. Preparatevi ad una magia di livello 4 + Replakia a 2.500.000% di potenza: roba con cui annientare qualsiasi cosa. AtII purtroppo non offre un grande livello di sfida. Molta enfasi viene posta sul risolvere gli scontri il più in fretta possibile, cercando di ottenere un’ottima valutazione. Più è alta, infatti, e più rari saranno gli oggetti ottenuti a fine scontro da

usare negli appositi workshop per sintetizzare armi, armature e quanto altro poteva essere preso dalla serie “Atelier”. tutto l’ambaradan di cui sopra tra vari tipi di attacchi, evoluzioni magiche, etc. lo si sfrutta appieno solo contro i boss. La vera sfida sta nel difendere le R nella fase d’attacco nemica, schiacciando i tasti al momento giusto, così da annullare totalmente o parzialmente i danni subiti dai colpi avversari. cosa non sempre facile, grazie alla pletora di effetti speciali che intralciano la vista e al fatto che molti attacchi nemici causino lo scuotimento totale dello schermo, deconcentrandovi parecchio. considerando che le R sfruttano un sistema totalmente diverso di level up, molto più semplice e veloce, diventeranno presto dei mostri di forza. Quasi quasi potrebbero essere loro a proteggere i compagni in battaglia... se nel prossimo episodio riuscissero a riproporre tutto, ma bilanciando meglio l’avventura, gli scontri e la forte componente testuale, forse questa volta non avremo solo un titolo discreto, ma un ottimo prodotto. certo, dovrebbero anche pagare il reparto QA. 7

Il reparto QA di NISA colpisce ancora. Il numero di refusi è imbarazzante: dalla mancanza di articoli determinativi e indeterminativi alla confusione di vari nomi (Sanri-Sanli, LucaLuka, Viola-Vior-Viole, Despedia-Deathpedia e altro), a vari “your” al posto di “you're”, testo che sborda, nuovi glitch fatali per il gioco assenti dalla versione nipponica (ai limiti dell'assurdo), alcuni dialoghi che non si capisce chi stia dicendo cosa a chi, consigli su dove andare come prossima destinazione nel gioco che non stanno né in cielo né in terra, etc. Se questi sono i risultati a 14 mesi dalla release nipponica...

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pc

CRYOSTASIS: IL SONNO DELLA RAGIONE Il sonno della ragione genera videogiochi console pc sviluppatore action forms ltd produttore 1c company/505 games versione pal provenienza ucraina

a cura di Gialuca “Unnamed” Girelli

’è qualcuno, là fuori, che si chiede se il solito vecchio metro di giudizio utilizzato nelle recensioni da venti anni a questa parte non abbia fatto il suo tempo. Gioco a cryostasis e qualche dubbio viene pure a me. c’è qualcosa di sfuggente in un prodotto di questo tipo, la sensazione è che qualcosa di più poteva essere fatto, ma la direzione su cui porre i miglioramenti non mi è del tutto chiara. Anche a volerli criticare, non si poteva chiedere molto agli elementi che compongono il gioco, poiché sufficienti allo scopo che si prefiggono. Il sistema di combattimento è funzionale, in fondo si impersona un povero esploratore alla continua caccia di zone di calore con cui riscaldarsi, nonché unica fonte di energia. La lentezza nei movimenti (soprattutto nella ricarica delle armi), una non perfetta mira e una certa latenza nei combattimenti sono quindi giustificati dal realismo e dalla notevole sensazione di stanchezza/pesantezza con cui vengono scagliati i colpi. Una trama che poggia su continue metafore e che segue un’iter evolutivo alla Memento, facendo rivivere parti della storia sia attraverso cut-scene parzialmente interagibili, sia attraverso una sorta di “trasmutazione dell’anima” capace di alterare il corso degli eventi. Questa è anche associata ad una serie di enigmi non particolarmente brillanti, anche forse un po’ ripetitivi, ma tutto sommato efficaci. e per quanto riguarda la varietà di ambientazioni, non si può pretendere chissà che da una nave rompighiaccio. eppure un po’ di amaro in bocca rimane. si potrebbe recensire cryostasis evitando la solita analisi grafica-giocabilitàlongevità, puntando invece sui molteplici altri aspetti, come l’atmosfera o l’apporto del gameplay al coinvolgimento della trama. Perché, almeno a livello emozionale, cryostasis non colpisce distante dall’obbiettivo. Le peregrinazioni attraverso la nave offrono un alto senso di inquietudine, il gelo virtuale attanaglia come se fosse reale, gli scontri, al-

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Il doppiaggio di Cryostasis è eccellente, tra l’altro le voci sono molto simili a quelle della versione originale

meno quelli iniziali, sono capaci di offrire il senso di precarietà. Una tensione dettata anche da un comparto sonoro completamente assente, basato completamente su rumori che tengono in costante allerta il giocatore. e quando quelle rare volte, nel più completo silenzio, parte quella musichina russa stile anni ’50, il brivido nella schiena è di quelli potenti. Ma se cryostasis mi ha lasciato con l’amaro in bocca, ci dovrà essere pure un motivo, e non possono essere solo un comparto tecnico non all’altezza e altri vari altri problemucci di carattere tecnico ad azzopparlo. Mi chiedo se il videogioco non debba esimersi dal saper

offrire intrattenimento, il che non significa necessariamente “divertimento”, e soprattutto in che modo. Le pecche di cryostasis minano non solo la capacità di intrattenimento, ma - a volte - persino quell’atmosfera che ha cercato di costruire con altri mezzi. ci si rende conto che le pecche del motore grafico pesano, perché non è possibile che un numero irrisorio di poligoni metta quasi in ginocchio un Pc tanto quanto il più famigerato crysis. Il timore nell’affrontare nemici funziona fino a che non ci si rende conto che è tale in relazione al rischio di essere accoppati, perchè se la tensione si basasse sulla sola I.A. dei nemici ci sarebbe solo da ridere.


e poi una struttura di gioco che presta il fianco alla monotonia, visto che principalmente si risolve in accendi l’interruttore, vai da A al punto B, segui la lucina, schiaccia un altro interruttore. e certi bug inaccettabili risvegliano dal sonno della ragione in maniera fin troppo brusca. sebbene mi renda conto di non essere sfuggito all’analisi critica degli aspetti più comunemente citati, è anche vero che se non fosse stato sorretto da una narrazione così atipica, cryostasis sarebbe crollato come un castello di carte. Altri titoli, che pur funzionavano narrativamente, non peccavano nelle altre componenti. si veda Penumbra, il più simile come meccaniche e ambientazione, oppure il primo silent Hill per PsX, afflitto da problemi tecnici e di controllo la cui atmosfera però non era limitata alla sola trama, ma supportata da un sistema ludico complessivamente migliore e soprattutto da enigmi molto validi. cryostasis, invece, fa il suo “gioco”:

punta molto su una trama particolare, cercando di supportarla tramite soluzioni audio-visive e di gameplay, con quest’ultime che però hanno un apporto marginale. non è incapace di creare atmosfera, ma da poco sostegno a causa di un comparto grafico altalenante e nemici un po’ troppo assenti. si era detto che gli elementi che compongono cryostasis sono funzionali all’opera, ritengo però che debba essere il gameplay a supportare la narrazione e non viceversa. Perché quando si capisce che si sta andando avanti non tanto per le qualità intrinseche del gioco, ma solo per scoprire solo cosa c’è dopo, allora c’è da riflettere su quali debbano essere i componenti che fanno “funzionare” questo gioco. A questo punto il vecchio metodo di valutazione, tutto sommato, può ancora tornare utile. 6

Vi ricordate la splendida tech demo basata su Physx di nVidia che mostrava la notevole interazione dell’acqua basata sulla fisica? Ecco, non cercatela nel gioco finito, non ce n’è traccia. Gli sviluppatori confidano di poterla ripristinare per l’uscita americana prevista a fine aprile. Il motore grafico, già pesante di suo, non ringrazia

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AFRO SAMURAI La lama negra! formato 360 ps3 sviluppatore namco bandai games produttore namco bandai games versione pal provenienza giappone

a cura di Vincenzo “Vitoiuvara” Aversa

giochi come Afro samurai li odio. tutti, indiscriminatamente, da onimusha a ninja Gaiden, da God of War a Devil May cry. troppo pigro per approfondire tattiche e movimenti di battaglia, mi rimangono tra le mani solo le ondate dei nemici, protagonisti che risucchiano i morti e vesciche sulle dita. colpa mia, muoia chi legge se non è vero, ma non puoi cambiarmi, non prima di avermela data gratis. eppure a tranciare pupazzi a ripetizione non mi sono annoiato stavolta. non abbastanza da abbandonare il gioco, almeno. nemici sacrificali hanno provato a bloccarmi la strada in più e più occasioni, a volte persino con un barlume di intelligenza, ma io ho risposto con durezza, con velocità, con sanguinolenta ferocia. Io ho tranciato teste e gambe mentre le mani si inzuppavano di sangue e fango, ho sbaragliato gruppi di nemici con generosi poteri cheateroni, e ho superato barriere inesistenti con lo scalpo dell’ultimo nemico sconfitto. Ho fatto tutto questo premendo tasti a caso, godendo dello spettacolo acrobatico prodotto e persino applaudendo le mie doti da macellaio e giocoliere. niente è mai stato troppo facile, ma era indubbio che la consistenza della melma avversaria fosse discutibile, velenosa a tratti, quasi mai mortale. e dopo la morte, richiamato alla vita da un urlo che ancora mi ronza nelle orecchie, era la benedizione dei comodi checkpoint a spingermi di nuovo sul campo di battaglia. Afro samurai, il gioco, lo odio lo stesso. Qualche ora di spensierato pigiamento casuale non può mutare i miei sentimenti per il genere. È il mondo surreale e volgare che gli ruota intorno ad avvinghiarmi con prepotenza. A partire dal carisma a quattro

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palle dei suoi protagonisti, pesci sguazzanti in un mare che non gli appartiene; passando poi per un’ambientazione povera tecnicamente quanto appropriata nei suoi scopi: un feudalesimo giapponese raccontato con lo stereo a palla e una musica da ghetto americano; finendo con una qualità dei dialoghi superba, quasi sprecata per un videogioco, sicuramente insolita. tutti insieme appassionatamente per raccontare una storia semplice, non banale, liberata nell’aria a piccole dosi disordinate. Una storia di vendetta già vista resa poetica da una sceneggiatura leggera e minimalista. se la colpa è dell’anime che ha partorito questo videogioco non so dirlo, non ancora, ma prendo quello che legge il mio 360 e me lo faccio bastare. sono a 1100 caratteri dal limite minimo e ho finito le parole per raccontare questo gioco dimenticato da Dio. Perché a misurarlo col metro dei giusti ci metti poco più di

nulla: lineare all’inverosimile, poca varietà di nemici, discreto ritmo, bella trama e caratterizzazione fantastica (rubata ai disegni animati). In mezzo non c’è niente oltre ad un macabro gioco di poker in battaglia che, dopo ore di gioco, non son neanche riuscito a capire. Una sola arma, nessun upgrade, zero enigmi, niente scie o vasi luminosi lungo il cammino. troppo poco se non vi basta. I giochi come Afro samurai li odio ancora. Meglio un puzzle game con pinguini e merendine di questi insulti alla mia pigrizia manuale. Ma Afro samurai è la storia che racconta, come la racconta, prima ancora di vendersi come videogioco. Una vita disperata e sofferente raccontata attraverso le macchie di sangue sulla camicia, l’unico segnale a video tra la vita e la morte. calcolatrice in mano, ci sono periodici motivi per non amare questo gioiellino, ma nessuno è quello giusto. 7

Dal primo giugno saranno disponibili nel Regno Unito i blu-ray della prima e seconda stagione cartonesca dell’africano. Potrebbero essere un acquisto migliore del gioco stesso


pc mac

THE PATH Attardarsi nel bosco piattaforma pc mac sviluppatore tale of tales produttore tale of tales versione digital delivery provenienza belgio

a cura di Simone “Karat45” Tagliaferri

he Path è il gioco che ti aspetti dopo averne seguito lo sviluppo con interesse crescente e con una grande fiducia. Dopo the endless Forest e the Graveyard, due titoli fortemente sperimentali, i tale of tales si sono dedicati con grande passione nel realizzare quello che forse è il videogioco più visionario di sempre. sei ragazze, tutte vestite di rosso e di nero e tutte con lo stesso compito: percorrere un sentiero che attraversa un bosco per arrivare alla casa della nonna. Le ragazze vengono dalla città, presenza lontana appena visibile all’inizio di ogni capitolo (uno per ogni ragazza). non sappiamo il nome della città e non sappiamo perché tutte e sei debbano percorrere la stessa via. La strada asfaltata termina nel sentiero, ai lati c’è un bosco oscuro e minaccioso, un messaggio ci dice di seguirlo e di non entrare nel bosco. ovviamente seguendo il sentiero si perde. seguire le regole significa starsene al sicuro, in un mondo pieno di colore e senza nessuna vera minaccia. seguire il sentiero significa rinunciare alla conoscenza di sé, ovvero alla possibilità di esplorare il bosco, allegoria della perdita dei punti di riferimento, di ogni certezza creata dalla linearità di poter seguire una strada tracciata da altri. Penetrare il bosco non è un obbligo, ma una possibilità. non farlo sarebbe rifiutare il gioco, con tutto ciò che implica. entriamo. Il bosco è un grande contenitore, una sfera in cui si gira senza sapere bene dove andare. soprattutto durante le prime esplorazioni, nelle quali si riesce a trarre il massimo da the Path, i segni del bosco sono poco chiari. ci sono dei fiori. Raccogliendone uno appare un conteggio. Una specie di sottogioco? Il viaggio continua. Una poltrona? La ragazzina con il cappuccio rosso ci si siede sopra. Dopo un po’ si alza e l’esplorazione prosegue. c’è una luce in lontananza. che altro fare se non seguirla? ci troviamo in un parco giochi... nel bosco? Un parco giochi, un prato fiorito con uno spaventapasseri, un lago, un teatro, un cimitero e così via. Il bosco è pieno di non-luoghi. spazi men-

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tali in cui s’intrecciano i ricordi delle bambine generando una rete di significati e stati emotivi difficilmente descrivibili. non c’è nulla che narri le loro storie, nulla che permetta di capire quello che si sta facendo. Il giocatore è come una delle ragazze, perso nel bosco e lasciato privo di punti di riferimento. I luoghi permettono delle interazioni, spesso minime, in altri casi più corpose, ma non ci sono enigmi da risolvere o nemici da eliminare. c’è solo il nebuloso rapporto che lega le fanciulle a questi spazi che sembrano ritagliati nel mezzo del nulla. the Path sembra un sogno con spazi condivisi, una lotta contro il rimosso. In uno dei luoghi del bosco le ragazze troveranno il loro lupo. Dopo l’incontro si ritroveranno spossate davanti alla casa della nonna, sotto una pioggia battente. Una volta all’interno percorreranno i corridoi di un luogo ameno e senza alcun contatto con la realtà. Un albero piantato in un letto, una testa di cervo, una stanza dei giochi gigantesca, dei palloncini legati a delle sedie, un corridoio infuocato... arrivati alle fine del loro percorso, rigorosamente lineare e in prima persona in questa fase, delle immagini montate molto velocemente porranno termine al capitolo in atto,

lasciando sullo schermo una schermata di riepilogo che sembra uscita da un vecchio First Person shooter. Una chiara dichiarazione metalinguistica che afferma con forza la natura videoludica di the Path, andando contro tutti quelli che, per nobilitarlo, vorrebbero evitare di chiamarlo “videogioco”.

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La direzione artistica del gioco è curatissima e non lascia nulla al caso

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ps3

FLOWER Perdition City console ps3 sviluppatore thatgamecompany produttore scee versione pal provenienza usa

a cura di Tommaso “Gatsu” De Benetti

ove Flower voglia andare a parare lo si intuisce subito. Lo spoiler arriva immediatamente, ancora prima di caricare il primo livello. non è che thatGamecompany ce lo dica esplicitamente, ma per non capirlo ci vuole un certo impegno: il messaggio che Flower ci sbatte in faccia non è che i fiori sono belli, né che se vuoi fare il fioraio non puoi entrare nell’esercito, ma che le città sono opache e brutte. se fossimo dei cinici stronzi potremmo irridere la paraculaggine di un tema del genere, che si svende come il più insicuro degli artisti. Quelli, per capirci, che artisti si autoproclamano. come se, di fronte ad un prodotto di un certo livello, non potessimo tirare delle conclusioni senza che qualcuno ci gridi nelle orecchie “capolavoro”. A Flower gli dice culo che forse siamo stronzi, ma non cinici, e che indipendentemente dalle paranoie di ipotetici calcoli soggiacenti, il titolo è uno di quelli che rafforzano l’immagine di un Playstation network votato a splendidi esperimenti indie. ci sono due cose fantastiche in Flower: la prima è il menu iniziale, grazie ad un’interfaccia minimale ed innovativa. La seconda sono i titoli di coda, che, caso più unico che raro, non si fanno guardare e basta. tutto quello che c’è in mezzo è in balia del vento della qualità, a volte diretto verso altezze notevoli, altre volte costretto ad incanalarsi in meccanismi di gameplay contraddittori. La non ovvietà di alcune scelte stilistiche, la narrazione muta, flebile ed elegante di una storia genuina e semplice - concediamogli il beneficio del dubbio viaggiano sulle ali di correnti

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ascendenti, mentre l’obbligatorietà di affrontare gli sterminati paesaggi in un ordine preciso, negando il libero librarsi ludico, restituisce un certo olezzo di Ungaretti al fronte. Anche se afflitto da un tenue alone da demo tecnica, bisogna riconoscere a Flower le qualità di un prodotto in piena fioritura. I controlli rispondono puntuali e mostrano la rilevazione di movimento in stato di grazia, tanto che, assieme ad un comparto tecnico stilisticamente pregevole, potrebbero senza dubbio funzionare come originale biglietto da visita per chi non capisce cosa offra Ps3 più della concorrenza. La durata, poco più di una novantina di minuti, è allineata al prezzo del download e non diminuisce in alcun modo il valore dell’esperienza, che anzi ne guadagna in intensità. Vagamente deludente la colonna sonora dinamica, il cui mestiere accompagna l’azione dei petali con dignità senza però restituire la carica emotiva di titoli concettualmente affini (penso al metafisico Riff: everyday shooter). Alcuni l’hanno definito un’esperienza spirituale, rilassante, addirittura rivelatrice. se dovessimo giudicare un software in quest’ottica, sarebbe complesso giustificare l’inopportuna presenza di trucchetti come i trofei. nonostante uno straordinario ultimo stage, Flower va preso per quel che è, un gioco con grosse pretese artistiche, che è probabilmente legittimo assecondare, ma che non possono e non devono mascherare i petali appassiti. Buon per sony che nei verdi pascoli del Psn cresca, fra le poche erbacce, un mare di splendidi fiori. 7

I colori in Flower sono importanti. I petali sono infatti strutturati secondo un preciso ordine gerarchico. Per esempio, far sbocciare i fiori gialli è conditio sine qua non affinché i fiori rossi crescano. Sfortunatamente non è possibile volteggiare liberamente per l'aere: è necessario far schiudere un certo numero di fiori prima di poter passare alla zona successiva


playstation2

CONFLICT: DESERT STORM Quando la guerra era divertente console ps2 sviluppatore pivotal games produttore sci versione pal provenienza uk anno 2002

i fu un tempo in cui la guerra era noiosa. Localizza i terroristi, studia la strategia di ingaggio migliore, disponi i commilitoni, fai scattare l’attacco chirurgico e fulmineo. La routine lavorativa è una brutta bestia che logora anche arcobaleni e fantasmi più duri, oggigiorno impegnati in battaglie più caciarone, in quel di Las Vegas o in moderne metropoli futuribili. Un genere, quello degli FPs tattici, nato per soddisfare le voglie dei Pc gamer che, persi tra configurazioni e palle varie, hanno un modo tutto loro di concepire il “divertimento”. ci volle parecchio per far digerire il genere al mercato delle console, eppure, quando fu mostrata la via, in molti la rinnegarono. La stessa via che, per ironia della sorte, oggi percorrono in molti. Poveri Bradley, Foley, connors e Jones, compagni di sventura che professarono il nuovo gameplay e per questo furono derisi dalle testate del tempo, affibbiando loro giudizi molto poco lusinghieri. e il mio fu tra quelli. ero giovine, non sapevo quel che scrivevo. Una Realtà Alternativa mi proponeva di recensire giochini con la promessa che li avrei tenuti. Un giudizio forse influenzato dalla necessità di fare bella figura e da un background filo Pc-ista. eppure, con il senno di poi, non posso fare a meno di apprezzare quel modo divertente di “giocare alla guerra”, lontano dall’eccessiva complessità delle produzioni Pc, ma nemmeno limitato come le prime conversioni di queste. Il genere (ri)nasceva su console, socoM sarebbe arrivato da li a poco, Full spectrum Warrior qualche anno più tardi. tedioso il primo e troppo complicato il secondo. conflict, invece, offriva un gameplay vivace ma allo stesso tempo relativamente elaborato, basato sull’intelligente uso della croce direzionale nel comandare i 3 commilitoni, con i restanti lasciati al giocatore per

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controllarne il controllabile. 4 direzioni corrispondenti a 4 diverse azioni: semplice, rapido, funzionale. oggi, invece, mi ritrovo a giocare un Brothers in Arms con i tasti disposti a casaccio e mi viene da piangere. Lo stesso sistema sarebbe potuto essere ottimamente implementato in molti altri FPs, pensate ad esempio ad un Halo (in cui la croce serve fondamentalmente a nulla) dove i commilitoni vengano controllati dalla croce direzionale: niente più massacri ingiustificati dettati da fallaci algoritmi dell’Intelligenza Artificiale, e allo tempo stesso una velocità d’azione quasi inalterata. A volerlo rigiocare oggi, bisognerebbe passare oltre un comparto grafico che ha fatto il suo tempo, ma a ripensarci faceva già abbastanza schifo pure all’epoca. conflict, però, era precursore anche nell’offrire il gioco in cooperativa, dove due giocatori si dividono il controllo dei commilitoni. solo offline, sia chiaro, ma è colpa delle sparate di Kutaragi, non di Pivotal Games. La serie purtroppo non riuscirà mai a decollare, forse anche a causa di un comparto tecnico non all’altezza e qualche problemuccio mai completamente risolto: tra tutti un’I.A. altalenante che vedeva i nostri lanciarsi a viso aperto contro i fucili spianati del nemico o qualche incastramento di troppo. È giunto dunque il momento di fare del revisionismo storico, dando a conflict ciò che gli spetta, cioè il merito di essere un prodotto seminale nel suo genere. Molti FPs odierni che si definiscono tattici devono in realtà molto alla serie, la prima capace di dosare strategia ed azione nella maniera più adatta al mondo delle console. ed ora non mi resta che tornare a giocare a Brothers in Arms, chissà che magari un giorno non mi venga di chiederne il revisioni-

undErrA tEd

a cura di Gianluca “Unnamed” Girelli

Aahh, quanto tempo è passato… e quanta fatica per dare alla recensione una parvenza di italiano, il Giannone si sarà messo le mani nei capelli nel correggerla. Ora, invece, scrivo molto megl... ehm... vabbe’

smo anche per lui.

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#5 #4 a cura di michele “guren no kishi” zanetti

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isto che Babel lo stampate in ufficio e a star dietro a tutti i titoli da me giocati, in termini di numero di pagine, farebbe girare troppe teste, è nato Time waits for Nobody. Una serie di uscite colme di ogni ben di dio Made in Japan, in un’orgia cromatica pensata per rovinarvi la vista prima ancora di iniziare a giocare!

ETErnal poison

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onosciuti più per la serie Summon Night che per gli altri titoli sviluppati dal ‘95 ad oggi, e depositari del prossimo episodio della serie Shining Force per conto di SEGA, FlightPlan insiste su PlayStation 2. Atlus passa da quelle parti, schiva Dragon Shadow Spell e ci porta Eternal Poison (PS2, ntsc/uc, Flight-Plan, Atlus Co., Poison Pink in Giappone), uno strategico interessante, ma con non pochi difetti. Le linee base di questo titolo, però, ricompenseranno chi andrà oltre i difetti, in primis il comparto tecnico da passaggio di generazione tra PS1 e PS2. Le uniche cose in 3D realizzate davvero bene, sono la micro città-hub del gioco e qualche campo di battaglia. Animazioni imbarazzanti per mostri e personaggi, entrambi con pochi dettagli, fanno il resto. Ancora peggio l’impressione che si ha sfogliando il mini artbook in allegato con i primi preorder del gioco, guardando le illustrazioni nella galleria (sbloccabili risolvendo un piccolo puzzle game davvero divertente), o semplicemente ammirando i disegni dei personaggi durante i dialoghi. Al titolo hanno partecipato non pochi designer - e si vede - ci ha poi pensato l’inesperienza di questa software house su console più performanti di un DS ad affossare tutti i modelli in battaglia. Shirogumi, del resto, con le sue sequenze in CG ha trasformato i personaggi in dei bambolotti plasticosi. Thage, una dei protagonisti, è a dir poco inquietante nei filmati. Con un comparto tecnico che pesa poco “computazionalmente” parlando, in battaglia sarebbe lecito attendersi caricamenti brevi. Tutto nella norma per quelli classici, ma visto le prodezze di cui è capace, Flight-Plan ha pensato - con un colpo di genio - di aggiungere delle scenette per rappresentare ogni attacco andato a segno o subito. Ognuna di queste impiega una vita a caricarsi, spezzando in maniera

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barbara il ritmo degli scontri e facendo sbadigliare possentemente il videogiocatore che correrà subito nella schermata delle opzioni a disattivarle. in questo modo EP diventa uno strategico finalmente giocabile, anche se un’opzione di zoom sul campo di battaglia sarebbe stata gradita. Ancora, se invece di dover schiacciare il tasto triangolo sopra ogni mostro (per vedere a quali elementi e tipi di armi è debole o resistente), si fosse pensato ad elencare tutte le informazioni non appena evidenziato l’avversario, il ritmo ne avrebbe giovato. Tutti i mostri nel gioco (Majin) e i personaggi hanno un certo livello di resistenza o debolezza ad otto elementi magici e a tre tipi di armi. Sapere con cosa è meglio colpire chi, porta enormi vantaggi, soprattutto se state mirando ad un Overkill. Ogni Majin ha, oltre alla barra degli hit Point, una barra Overkill hP. Dare il colpo di grazia che tolga sia gli hP rimanenti, che quelli richiesti per la Overkill, incatenerà a terra il Majin rendendolo imprigionabile nel proprio libro magico. A patto, certo, che non venga prima ucciso da un suo compagno o liberato. i Majin catturati possono essere usati in vari modi visitando l’apposito negozio. Possono essere venduti per soldi e per sbloccare nuovi oggetti negli inventari del mercante, oppure possono essere sottoposti ad estrazione per guadagnare skill peculiari, oggetti di ricarica o punti da usare per poi evocare gli stessi mostri in combattimento. Lo scopo del gioco è quello di sbloccare tutte le storie a disposizione e di completare la catalogazione dei Majin nel libro. Non è obbligatorio catturarli, basta incontrarli. Nel gioco sono presenti vari bivi e battaglie opzionali. Per ottenere i finali positivi (o accedere a battaglie extra) è bene fare estrema attenzione ai dialoghi dei personaggi, sia durante le cut scene che direttamente in battaglia. Ad esempio, ogni boss e mid-boss è cir-

condato da una barriera distruttibile solo tramite un particolare attacco che vi verrà indicato in qualche dialogo. Se non avete l’occorrente per infrangere la barriera, il boss scapperà dopo che gli avrete sterminato tutti i compagni. il gioco prevede un’opzione di New Game+ in cui solo i personaggi relativi alla storia mantengono i livelli raggiunti e gli oggetti; quelli extra reclutati per pareggiare le forze in campo verranno resettati, con vostro grandissimo dispiacere per le ore perse a farli progredire. in compenso i personaggi relativi alla storia in un New Game+ saranno talmente forti da arrivare a più di 2/3 dell’avventura in un soffio e senza problemi, al contrario delle ore impiegate alla prima tornata. Facendo in fretta e sapendo dove andare e cosa fare, vi andranno via tra le cinquanta e le sessanta ore per completare tutte le storie e vedere il vero finale. Alla fine, le vostre orecchie sanguineranno per il doppiaggio mediocre, ma almeno vi sentirete liberati di tutte quelle fastidiose costrizioni legate al game design, come il controllo delle skill e il settaggio dei Majin solo in determinate locazioni. Maggiore flessibilità e minore ripetitività avrebbero giovato non poco a Eternal Poison.


5 4 astonisha story 2 / Crimson gem saga / Garnet Chronicle

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apevate che è uscito Astonishia Story 2 in Corea? Se avete cancellato il primo episodio dalla vostra testa avete fatto solo bene, tanto che in Giappone il seguito è stato chiamato Garnet Chronicle e nell’area asiatica Crimsongem Saga (PlayStation Portable, Asia, iron Nos, SK telecom). Gioco con un potenziale più che buono, ma reso appena sufficiente a causa di un numero di difetti notevoli che in parte ne pregiudicano l’esperienza. Personaggi bidimensionali si muovono su sfondi disegnati a mano solleticando le vostre pupille. Nei dungeon, però, preparatevi a vedere varie scie comparire nel momento in cui la telecamera si sposta per seguirvi, lasciando indietro i contorni che delimitano le varie strutture. il medesimo problema del remake di Star Ocean. Ancora prima, però, sarete venuti a botte con la pessima traduzione. Tutti i testi sono pieni di errori di spelling, sintassi, grammatica, traslitterazione e typo come se piovesse. Personaggi che cambiano nome nel giro di due righe, nomi di luoghi diversi che contrastano con quanto scritto a caratteri cubitali sulla mappa. E se la storia è comunque comprensibile, lo stesso non si può dire per le descrizioni di magie, abilità e oggetti: alcune talmente astruse che farete prima a provarle sulla vostra pelle, piuttosto che capire cosa vogliano dire. Certe frasi sembrano tradotte con Babel Fish. Caldamente consigliata l’attesa della versione americana ad opera di Atlus Co., in uscita questo mese, che verrà ovviamente localizzata da zero e guadagnerà anche un intero doppiaggio (se me l’avessero detto a gennaio, col cavolo che avrei recensito la versione Asia). Problemi più gravi sono dati da vari fattori di game design. in battaglia potete portare quattro personaggi. Su sei. L’esperienza viene divisa tra tutti, rendendo troppo lenta l’evoluzione del party. i due in panchina non guadagneranno nulla, se non gli Skill Point in comune a tutti. Ogni guerriero ha uno Skill Tree dove spendere gli SP per conoscere le tecniche e poi, se vi aggradano, comprarle. Bella stronzata, soprattutto considerando che i nemici lasciano molti soldi (gli equipaggiamenti costano uno sproposito) ma pochi SP. Tanto che in un particolare livello del gioco la proporzione tra soldi e SP guadagnati è drasticamente invertita, forse come ammissione di colpa da parte degli sviluppatori. è bello notare che in un New Game+ le abilità imparate vengono tenute, ma tanto a Crimsongem Saga non ci rigiocherete, e questo nonostante duri solo una quarantina d’ore. Molte skill possono essere aumentate di rango

con l’uso di particolari medaglioni. Neanche a dirlo quelli per ottenere i ranghi 4 e 5 sono molto rari. La stessa distribuzione delle abilità è pensata piuttosto male, ancora di più considerando gli eventi finali del gioco. Alcuni personaggi ne hanno tantissime, altri molte meno. Esistono abilità in comune a più personaggi che se imparate possono essere usate come combo in battaglia, a patto che le icone nella barra dei turni di chi sfrutterà la combo siano vicine, vera e propria cazzata. Ci sarà quasi sempre l’icona di un nemico in mezzo alle scatole e dovrete sfruttare come degli strateghi il comando di guardia per far passare il turno e trovarvi così in qualche modo accanto al personaggio con cui volete usare la combo. Troppo macchinoso. il sistema di battaglia di CS è semplice, veloce e letale, sia nei vostri confronti che riguardo i nemici. Negli scenari vedrete scorrazzare sempre il solito sprite ad indicare un possibile scontro. Nel caso veniate avvistati avrete pochi istanti per schiantarvici contro e iniziare il combattimento, con i turni dei personaggi distribuiti secondo i loro valori di velocità. Aspettare che sia il nemico a venirvi addosso vi farà subire un attacco preventivo che nelle fasi finali del gioco sarà in grado di mandarvi direttamente in Game Over una volta sì e l‘altra pure. è almeno possibile salvare ovunque: ecco, salvate spesso, che è meglio. Notare anche come i nemici abbiano un campo visivo piuttosto esteso e, non appena vi vedono, questi mettano il turbo. Così, a meno che non vi troviate vicini al passaggio tra una schermata e l’altra di uno scenario, potrete anche consideratevi spacciati. La difficoltà del gioco è a dir poco sbilanciata. Anche con gli equipaggiamenti più forti subirete danni imbarazzanti. Ecco perché toccare i nemici quando sono girati di spalle si rivela fondamentale per garantirvi un attacco preventivo in grado quasi sempre di fare piazza pulita degli avversari. Ahimé, ci penserà l’algoritmo di calcolo dei danni a funzionare come bastone tra le ruote. Di tanto in tanto sembra che i danni siano calcolati a casaccio. Mi ricordo di un boss opzionale (mica tanto, però) che mi ha asfaltato al primo tentativo, ma dopo aver ricaricato il salvataggio mi causava danni microscopici. E la cosa vale, ovvio, anche per i danni che voi infliggete. Tutti i difetti elencati fanno di quello che sarebbe potuto essere un gioco molto godibile un’avventura consigliata con molta, molta riserva. Peccato per gli eventi lasciati a metà che fanno presumere un futuro seguito… in caso che chi di dovere riesca a trovare qualcuno che sganci.

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BABEL COVER STORY the Path ODIO DI GOMITO il popolo ha paura del cambiamento ESCO DI RADO sulle salme fresche ARS LUDICA la sessualita’ negata ai personaggi videoludici parte seconda LAMER ROTANTI wii console inutile FRAME meteore parte terza GIOCHI DI MERDA kakuto chojin back alley brutal REVIEW saints row 2 / ar tonelico 2 melody of metafalica / cryostasis il sonno della ragione / afro samurai / the path / flower NOSTRADAMUS dante’s inferno UNDERRATED conflict desert storm TIME WAITS FOR NOBODY eternal poison / crimson gem saga LA TV CHE VIDEOGIOCA quando al tv dà i numeri NEXT MONTH zeno clash

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