Quando faccio la minestra, tengo aperta la finestra e se in cielo c’è la luna, con un poco di fortuna e la brezza della notte, le verdure entrano a frotte.
Dal giardino dei vicini, cavolfiori e fagiolini, melanzane e pomodori,
rosmarino e altri odori, aglio, bietole e cipolle, tutti giù che l’acqua bolle, tutti dentro al pentolone… … ed è pronto il minestrone!
Ma se il vento spira forte, tengo aperte anche le porte
ed allora, per magia, vengon dentro casa mia
fate, gnomi e burattini, rane, rospi e pesciolini,
due somari, un gatto nero un bell’orco che par vero. Quattro giri sul soffitto e poi tutti a capofitto vanno dentro alle mie brocche, canticchiando filastrocche.
Pinocchiaecosisia
Di certo ve l’hanno raccontata la favola col grillo ed una fata del buon mastro Geppetto falegname che un figlio se lo fece col legname.
Perciò la storia io vi racconterò di quando un giorno, anziché un comò, mastro Geppetto, volendo far famiglia, con un bel ciocco si costruì una figlia.
Bella la fece e pure assai aggraziata, che somigliasse, più che a lui, alla fata.
Quando finì, che tutto era perfetto, “che nome le darò?” pensò Geppetto e non avendo una grande fantasia, lui la chiamò “Pinocchiaecosisia”.
“Di bella è bella!” -si disse il falegname-
Di certo la più bella del reame, ma la voglio composta ed educata, perciò l’affiderò alla cara fata sicché col grillo, dotto e saggio assai, la crescano ubbidiente più che mai
e poi, perché non resti inoperosa, a Mangiafuoco la darò per sposa.”
Ma il tempo passa anche per le storie e i personaggi diventan vecchie glorie:
così la fata che chiamavano Turchina era oramai tutta gialla paglierina, con il nasone e con due grandi orecchie, come tutte le fate che son vecchie.
“Stai composta, piccola sfacciata, mai punizione fu più meritata!” le gridava ad ogni pie’ sospinto quella megera col capello stinto.
Che dire poi del caro vecchio grillo, che più che saggio era sempre brillo?
Lui pensava che per quella bambina il posto giusto fosse la cucina.
“Basta giocare, piccola ribelle, lava quei piatti e tutte le padelle!
Fiore selvaggio diventerai una rosa, di te faremo una perfetta sposa.”
Ed insieme, come una voce sola: “Tu non sei fatta bimba per la scuola!
Devi imparare solo ad ubbidire, lavare, cucinare e ben servire.”
Di tutto questo il babbo che pensava? Era contento e tutto gongolava.
“Certo Pinocchio, col suo naso lungo, che cresceva di notte come un fungo, me ne ha date di preoccupazioni, ma i maschi, lo si sa, son birbaccioni.
Una femmina no, non lo sopporto che venga su con il cervello storto.”
Passano i giorni, i mesi e pure gli anni, Pinocchiaecosisia a lavare panni.
Stagioni belle e altre stagioni amare, Pinocchiaecosisia a ricamare.
Ma un giorno che era quasi primavera, appena calò il buio con la sera, con quattro stracci Pinocchiaecosisia saltò dalla finestra e scappò via.
Andò lontano con lo sguardo dritto nel buio della notte a capofitto,
coi denti stretti e la luna in fronte, finché fu solo un punto all’orizzonte.
Si dice abbia solcato i sette mari a dorso di balene e calamari, che sulla groppa di un’aquila reale, abbia inseguito il sole mentre sale.
Ma la notizia che fece parapiglia fu quando ebbe la sua prima figlia. Su chi ne fosse il padre ogni comare ebbe parecchio di cui spettegolare.
Però una cosa è a conoscenza mia: era felice Pinocchiaecosisia! Che nome diede alla sua bambina? Lei la chiamò “Liberapiccolina”.
Le mani dei marziani
C’è un pianeta dove vivono Marziani che hanno quattro piedi e sette mani. Due per mangiare, due solo per giocare e altre due pronte ad accarezzare.
Nell’altra mano hanno un enorme cuore che prova solo gioia e mai dolore.
Hanno una grande testa e un bel cervello e ciascun altro lo chiamano fratello.
Hanno sei occhi ma non vedono il colore. Nemmeno sanno cos’è un televisore!
Quando si stancano di essere felici, guardan la terra la sera con gli amici. Vedono guerre, stragi e altri guai, state tranquilli … non verranno mai!
I ricordi della terra
Se una zolla di terra avesse la memoria cosa racconterebbe in una storia?
Papaveri, ranuncoli, nontiscordardimè, noccioli, foglie e chicchi di caffè.
Lombrichi, grilli e tante cavallette, passi di scarpe rotte e scarpe strette.
Orme di lepri, di volpi e di fagiani, ed il lavoro di mille e mille mani.
Lacrime, sudore e tanta pioggia, graffette e monetine di ogni foggia.
Il sole caldo e il freddo della notte, plastica e vetro di bottiglie rotte.
Speriamo solo non sia dimenticato questo semino che oggi ci ho piantato.
La lampadina Dina
Questa è la storia di una certa Dina che per sua sorte era nata lampadina. Per anni e anni aveva funzionato come fosse un orologio ben tarato.
Al minimo comando del pulsante, rispondeva il suo filo illuminante.
Giorno e notte era pronta a funzionare, bastava solamente comandare.
Ma un giorno di novembre pensò “No, questa volta non mi accenderò!”
Stanca di funzionare a piacimento, non s’accese mai più da quel momento.
E se qualcuno ancora ci provava, chiudeva gli occhi e si concentrava: “Tu mi chiami e io non vengo, non mi accendo e non mi spengo, vincerò disubbidendo, non mi spengo e non m’accendo.”
Il suo padrone non ne fu contento e la scagliò lontano controvento. Questa però fu la sua fortuna, che dritta dritta arrivò sopra la luna.
La bella luna se ne innamorò:
“Come una figlia io la crescerò!” E un giorno, che la notte era finita, le raccontò tutta la sua vita.
“Anch’io piccola cara son bugia, la luce che tu vedi non è mia.
Serva sono al gran tiranno sole che m’accende e mi spegne come vuole.”
Io non so come e quando sia successo, o perlomeno non lo ricordo adesso, ma un giorno, chissà di quale mese, la lampadina tutta sola s’accese.
S’alzò nel cielo e volò lontano salutando la luna con la mano, poi si fermò tutta tranquilla e quieta e per incanto… divenne una cometa.