anno II n. 5 - Maggio 2014 - Poste italiane s.p.a. sped in abb. postale D.L. 353/2003 (conv. in L. n. 46 del 27/02/2004) art. 1 comma 1 - DCB - Caserta
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Ricercando Primavera Amici di Backstage Press, eccoci al nuovo appuntamento con musica, cultura e curiosità varie del mondo dello spettacolo. Nella speranza che questa primavera decida di giungere a noi, senza affogarci nel caldo afoso estivo, un po’ di colore siamo andati a pescarlo noi per voi. Apriamo questo numero con l’intramontabile Sergio Caputo che ci presenta il suo progetto “Un sabato italiano 30”, rivisitazione dell’album originale a distanza di trent’anni, rielaborazione in chiave jazz di tutte storie di quegli anni, rimesse a lucido e accompagnate da un libro che racconta tutto ciò che i testi e la musica non possono raccontare. Continuiamo e sfogliare e ci ritroviamo a chiacchierare con Raiz ri-
guardo il nuovo progetto portato avanti insieme a Fausto Mesolella, un incontro casuale ma mai così armonico, Red Dogo e il loro nuovo album, un pot pourri di sonorità partenopee e internazionali, sapientemente mescolate e messe in equilibrio dalla sapiente professionalità dei due artisti campani. Passiamo adesso alla musica strumentale, quella che spesso non trova il giusto spazio nel panorama della musica italiana ma che merita di essere raccontata, Giulia Mazzoni e il suo pianoforte, la sua sensibilità messa al “servizio” della cultura italiana, i suoi giochi di bambina, i suoi giochi con i bottoni hanno dato vita al suo primo album “Giocando con i bottoni”. Seguono ancora le gesta di un nuovo gruppo da non perde-
re assolutamente di vista, una scoperta sorprendente nel panorama della nuova musica italiana, Les cirque des reves, un gruppo tutto da scoprire che passa dall’italiano al francese, passando dall’inglese per i testi, che per le sonorità attinge dal folk celtico, al pop il tutto condito con archi e la voce straordinaria della cantante Lisa Starnini. Sfogliando ancora le pagine del nuovo numero, oltre le rubriche che vi accompagneranno come sempre, vi lasciamo a leggere ancora un’intervista ad Alessandro Errico e il suo lavoro “il mio paese mi fa mobbing”. Sicuri di avervi tenuto compagnia con argomenti interessanti e nuovi spunti di ricerca vi salutiamo e vi diamo appuntamento a Giugno.
SERGIO CAPUTO Un sabato italiano 30 anni dopo
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RAIZ Dago Red
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16 TEMPO DI MUSICA TUTTI I DIRITTI SONO RISERVATI Backstage Press è edito dall’associazione culturale “Il Sogno è Sempre Onlus”. Tutti i diritti sono riservati. Manoscritti, dattiloscritti, articoli, disegni e fotografie non si restituiscono anche se non pubblicati. Nessuna parte di questa pubblicazione può essere riprodotta in alcun modo senza l’autorizzazione scritta preventiva da parte dell’editore. Gli autori e l’editore non potranno in alcun caso essere responsabili per incidenti o conseguenti danni che derivino o siano causati dall’uso improprio delle informazioni contenute. REDAZIONE Alfonso Morgillo, Wanda D’Amico, Alfonso Papa, Marica Crisci, Domenico Ruggiero, HANNO COLLABORATO: Michela Drago, Alessandro Tocco. REGISTRAZIONE n. 815 del 03.07.2013 presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere (CE). Comunicazione Editore: Il Sogno è Sempre Onlus Sede Legale: Via Botteghino, 92 – 81027 San Felice a Cancello (CE) Sede Operativa: Via Giacomo Matteotti, 20 – 81027 San Felice a Cancello (CE) – Fax. 0823.806289 – info@backstagepress. it – www.backstagepress.it Distribuzione: Gratuita Stampa: Pieffe Industria Grafica
19 GIULIA MAZZONI Giocando con i bottoni
21 ALESSANDRO ERRICO Il mio paese mi fa mobbing
24 JAN VERMEER Un soggetto da film
27 YLENIA LUCISANO
28 CONCERTI
32 TEATRO
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Sergio Caputo
Un sabato italiano 30 anni dopo tx Alfonso Papa
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ell’aprile del 1983 usciva “Un sabato italiano”, un album che ha fatto la storia della musica italiana, composto da brani che sembrano non invecchiare mai. Nel trentennale dell’uscita di questo album, Sergio Caputo, ha messo in atto una serie di eventi celebrativi. “Un sabato italiano” parla d’amore, di amicizia e di inquietudine. Com’è rivedere queste storie a distanza di trent’anni? Ma presso a poco uguale, perché comunque sono tre elementi che non cambiano mai, sono momenti della vita di tutti noi che o si verificano una sola volta o altre volte si ripetono di più. Quindi diciamo che l’essenza del libro, l’essenza dell’album non è cambiata come attualità proprio perché parlo di elementi e di sentimenti comuni a livello emozionale e di emozione umana.
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Oltre all’album rivisto in chiave più jazz hai aggiunto due brani inediti, ancora una storia d’amore ed un tuffo nel passato. Sono due brani nuovi, scritti di recente, che sentivo di dover dare al pubblico sia quello vecchio che quello nuovo rispetto ad un album che aveva delle canzoni che erano già conosciute. Due brani che stessero degnamente accanto a quelli che tutti conoscono, sono due standard, due classici. Uno un pochino più innovativo come “C’est moi l’amour” dove c’è proprio il passaggio dall’elettronica alla musica strumentale, all’interno del brano il cambiamento avviene più o meno a metà e “I love the sky in september” è uno standard di più basso respiro jazzistico dove mi sono divertito a parlare delle cose comuni, delle cose semplici e quindi la voglia di apprezzare un bel cielo azzurro o una storia d’amore senza problemi
una volta tanto, che ci renda la vita migliore invece di complicarcela. Come hai appena citato in “C’est moi l’amour” anche nella rivisitazione dell’album hai preferito ai sintetizzatori la musica vecchia maniera, quella in studio. E’ stata una scelta voluta? Diciamo perché l’album degli anni ottanta non lo potevo più toccare, era troppo ancorato agli anni ottanta dal punto di vista del sound, mentre le canzoni hanno continuato a vivere di vita propria e mi hanno accompagnato per trent’anni. In occasione, appunto, del trentennale dal punto di vista del sound mi sono posto il problema di cosa fare e la prima cosa da fare era rifare l’album in modo più classico, in questo caso con dei brani di natura jazzistica, con sviluppo armonico jazz. La cosa migliore da fare era proprio riportarli più vicini alla loro natura e
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quindi li ho ri-registrati e mi sono divertito a farlo in modo più tradizionale, io con tutta la band in studio suonando il brano fino a che non veniva bene e devo dire che in due giorni siamo riusciti a fare tutta la parte delle basi come si faceva una volta. Poi ho preso il mio tempo, per cantarlo e per mixarlo, con tranquillità però diciamo che il lavoro di base è stato fatto come si faceva nei dischi degli anni sessanta-settanta. Il progetto oltre al CD prevede anche un tour ed un libro. Il libro in particolare va ad arricchire il CD nel senso che svela aneddoti e retroscena che magari non sono entrati nelle canzoni. Ci racconti l’idea e se per te è più facile scrivere il testo di una canzone o quello di un libro?
Diciamo che in linea di massima preferisco scrivere prosa, perché non vincolate dalla metrica, dalle rime e dalla struttura di una canzone che oltretutto ha anche uno spazio molto ristretto quindi riesci a dire delle cose però non le puoi sviluppare più di tanto. Nella prosa questo non succede, hai tutto lo spazio che vuoi e malgrado io mi preoccupi molto, quanto scrivo anche in prosa, di conservare il ritmo, quindi non amo arenarmi, impantanarmi in considerazioni che sono talvolta troppo oziose cerco appunto di mantenere il ritmo che poi è una cosa che mi deriva anche dalla musica o anche dal fatto di essere un lettore io stesso. Riconosco le parti che si ripetono e tendo ad eliminarle. Il libro in realtà è una biografia che si legge
come un romanzo, le storie sono tutte storie vere. Sono le storie, i veri personaggi, i veri luoghi, i veri amori, tutto ciò che mi circondava quando stavo vivendo questo periodo che ha poi dato origine all’album “Un sabato italiano”. Quindi non è un semplice libro dove vengono spiegate le canzoni, alcune canzoni le vediamo nascere, altre no ma si deducono dalle storie che racconto. Per diversi anni sei vissuto negli Stati Uniti, in una realtà sostanzialmente diversa e con altri spunti musicali. Come hai trovato l’Italia al tuo rientro? Uguale a come l’avevo lasciata, con i suoi vizi e le sue virtù. Un’Italia che fa fatica ad entrare nell’era moderna e nel nuovo millennio, ma lo si poteva già intravedere negli anni novanta però è diventato ancora più evidente quando molti altri paesi intorno a noi hanno fatto questo passaggio e noi ancora aspettiamo, purtroppo.
Continua a leggere l’intervista sul sito www.backstagepress.it
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Raiz
Dago Red, il vino rosso del terrone
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a voce di Raiz e la chitarra di Mesolella, cosa vi accomuna e qual è l’origine di questa collaborazione?
Abbiamo cominciato a lavorare insieme sul palco di Rita Marco Tulli che è una jazzista molto famosa, non ha bisogno di presentazioni. Rita aveva organizzato una rilettura dei Pink Floyd in chiave jazz. Ci avevano chiamato per singole performance, io cantavo le canzoni e Fausto suonava la chitarra in un ensemble di diversi musicisti. Io e Fausto ci siamo ritrovati a fare una canzone voce e chitarra e siccome
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tx Alfonso Papa
ci siamo trovati molto bene; ci conosciamo da tanti anni ma era la prima volta che facevamo qualcosa di vero insieme sul palco, abbiamo pensato di fare delle cover ed abbiamo cominciato a farlo per concerti di beneficenza. E’ nato tutto da una cosa di divertimento, poi abbiamo avuto le richieste di concerti e da li abbiamo cominciato a suonare insieme ed è nato questo disco in mezzo ad una stagione durata trequattro anni in cui facciamo una specie di piano bar eclettico. Dago Red otto brani classici della canzone napoletana,
riletti e contaminati in un modo a dir poco particolare. Passiamo dalla canzone classica napoletana alla canzone latino americana, da Mario Merola al reggae tutto senza soluzione di continuità. L’idea è stabilire un contatto tra le diverse musiche che abbiamo ascoltato ed in qualche modo mettere insieme le due metà di quello che siamo noi, perché noi come musicisti italiani, napoletani, che siamo cresciuti da una parte ascoltando la musica tradizionale della nostra area geografica dall’altra parte chiaramente come tutti abbiamo ascoltato la mu-
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sica che viene dall’altra parte del mondo. Quindi appassionati di tutte e due le cose cerchiamo di mettere insieme le cose, anche perché siamo cittadini del mondo, crediamo che il futuro del mondo sia un futuro sicuramente dove la cittadinanza mondiale sia un valori da mettere al primo posto, visto come vanno le cose tra guerre, scontri etnici, religiosi, insomma siamo messi male. Noi cerchiamo di sottolineare le differenze che sono importanti, mantenere le differenze ma le differenze devono necessariamente dialogare e non essere usate come arma di scontro da buttarsi in faccia, da brandire contro il diverso. Tutte le diversità devono dialogare. Noi cerchiamo di far dialogare tante diversità partendo da otto canzoni napoletane che si diramano e diventano qualcos’altro o
“soldato ‘nnammurato” celebre inno del Napoli, del quale tra l’altro io sono tifoso diventa ad un certo punto una canzone di George Harrison perché c’è un gancio nel testo “peace and freedom “ di George Harrison che è una canzone di pace mentre o “soldato ‘nnammurato” parla di un soldato che va in guerra ma pensa alla sua fidanzata, quindi pace, amore. Ci è venuto abbastanza spontaneo mettere queste canzoni assieme. Abbiamo fatto un tipo di esperimento completamente eclettico. Perché Dago Red? E’ il titolo di un celebre racconto di John Fante uno scrittore italo-americano che è uno che non ha mai saputo dimenticare una delle sue patrie, ultimamente sto leggendo un
bellissimo libro di uno scrittore arabo sull’identità che dice “l’identità stessa è vista non come l’unione di diverse cose”, se sei napoletano devi essere napoletano, quindi vai alla festa di San Gennaro, devi mangiare determinate cose non ti puoi permettere di essere un napoletano così detto atipico con un altro tipo di identità in mezzo. Invece l’identità è costruire, oggi l’uomo costruisce la sua identità con tante cose. John Fante è nato e cresciuto negli Stati Uniti ma, essendo di origine molisana, non poteva liberarsi per così dire di questo fardello, la sua identità era un’identità americana-molisana. A me piaceva moltissimo questo scrittore proprio per questo. Il titolo del suo racconto vuol dire il vino del terrone, red inteso come vino rosso e dago uno dei nomi con cui gli americani chiamavano gli italoamericani quando arrivavano li. Noi abbiamo fatto una miscela che assomiglia un po’ al vino rosso, è un vino forte perché ha tantissimi ingredienti forse non raffinatissimo ma sicuramente ubriaca. Ci piaceva molto questa cosa tra il vino paesano e la musica che facciamo noi. Continua a leggere l’intervista sul sito www.backstagepress.it © Riproduzione riservata
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CIRQUE DES REVES tx Wanda D’Amico
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irco dei sogni è questa la traduzione del nome del vostro gruppo. Come mai questa scelta? Il nome deriva da tante cose, nel senso che come circo ci rifacciamo un po’ a quello degli anni venti-trenta, quello del cinema muto in bianco e nero. Il circo dei sogni dovrebbe essere un circo molto particolare, un circo
che arriva nelle città e cambia poi la vita dei suoi spettatori per sempre perché fa liberare i sogni dai cassetti impolverati. Questa è un po’ la storia che c’è dietro, che poi è una storia narrata nel primo brano dell’EP che è Magì che introduce e spiega appunto che cosa è il circo dei sogni. E’ un po’ il messaggio che noi cerchiamo di portare a tutti i nostri live, che è quello di inseguire i propri sogni a prescindere dall’età, dalla condizione sociale e anche dalla fattibilità poi del sogno stesso perché poi è il rincorrerlo che ci arricchisce la vita, non lo so, rende il mondo un po’ più colorato inseguire i propri sogni. Il vostro stile spazia tra pop e rock, passando per il canto in varie lingue. Cosa accomuna il tutto e come fate a conciliare tutto ciò?
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Sinceramente non lo sappiamo nemmeno noi, non ci siamo mai posti un genere da seguire. Un po’
perché siamo sei musicisti che vengono da sei generi musicali molto diversi tra loro e quindi imporsi un genere avrebbe significato distruggere la personalità dell’uno o dell’altro e quindi non sarebbe stato giusto. Il compromesso che abbiamo trovato, senza poi neanche metterlo a tavolino è stato il lasciar libera la personalità di ognuno di noi e quindi non c’è un limite di genere non c’è imporsi dei cliché o degli standard per cui lasciamo libera la musica e ognuno di noi porta il suo contributo ed alla fine sono tutti contributi legati a generi musicali diversi, però la musica è una alla fine siamo stati noi a racchiuderla in temi per semplificarla ma la musica è una soltanto, la sua magia è proprio quella. Invece la scelta di cantare in italiano, inglese e francese? Il pubblico come accoglie questa particolarità. Stessa cosa, nel senso che non ci siamo posti il limite neanche della lingua, il testo è l’ultima cosa che nasce.
Prima nasce la linea melodica della voce, nascono gli arrangiamenti fatti tutti insieme in studio, dopo di che ci lasciamo ispirare in base a quello che la musica ci suggerisce ed allora lavoriamo anche con il testo. Ci sono musiche che secondo me riportavano alla Francia, altri si ispiravano all’inglese ed altri all’italiano. E’ una scelta dettata dalla musica. Il vostro EP è molto ben curato, la scelta dei brani sembra incastrarsi come in un mosaico. Ci racconti come è nato, anche con l’armonia dei colori e l’ordine stesso dei
brani? E’ nato in pochissimo tempo, noi abbiamo provato insieme la prima volta a marzo del 2013 e dopo due mesi eravamo in studio a registrare questo EP. Quest’alchimia che c’è stata da subito tra noi sei, ha poi dato vita a tutti questi pezzi con una velocità impressionante ed oggi stiamo cominciando a registrare l’album con tutti pezzi nuovi, a distanza nuovamente di sei mesi siamo di nuovo in studio, questa è una cosa buffa no? Perché normalmente ci sono dei tempi molto lunghi durante la creazione di un al-
bum. Secondo me la musica è quella che unisce, crea è una cosa che va al di là della nostra volontà. Quali sono i vostri progetti futuri e se state lavorando ad un album completo? L’album c’è ed è in uscita per fine 2014, progetti futuri speriamo di iscriverci a Sanremo quest’anno, poi chissà magari passeremo le selezioni e poi tanti live varcando anche i confini dell’Italia.
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Il Signor G: la spavalda verità che fa carriera. tx Wanda D’Amico
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d eccoci al terzo appuntamento, siamo sempre negli anni sessanta, ormai il nella rivolta totale del concetto di musica italiana. Come detto per Jannacci, ricordato nell’articolo precedente, i testi sono cambiati profondamente. La musica diventa mezzo di espressione culturale, dura e spesso ironicamente tagliente. Rimaniamo nel milanese e doveroso è parlare del grande Giorgio Gaber, il filosofo ignorante.
menti socio culturali dell’epoca. Questo genere di successo però, non giova ad altri traguardi più “sofisticati”, infatti, dal ‘61 al ‘67 partecipa ininterrottamente al Festival di Sanremo ma presentando brani del tutto privi di significato, senza spessore come Mai, mai, mai, Valentina o ...E allora dai!, nel ‘66
partecipa anche al Festival di Napoli, piazzandosi al secondo posto con ‘A piazza. Lui stesso critica aspramente questo suo periodo nel brano Suona chitarra, scritta nel ‘70. A quel punto decide che le cose devono cambiare e nasce il Signor G che è il suo primo spettacolo teatrale,
Nei primi anni sessanta compone le sue prime ballate come Cerutti Gino e Porta Romana, capisaldi, ancora oggi, della sua carriera. Comincia ad apparire in televisione presentano Canzoniere minimo e Le nostre serate, per la maggior parte al fianco dell’allora compagna Maria Monti. Queste trasmissioni furono le prime ad occuparsi della musica popolare e della musica d’autore ed ebbero il merito di parlare per la prima volta di disagi, solitudine, alienazione, malinconia e della necessaria maturità che serviva per affrontare i cambia-
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un insieme di musica, teatro e cabaret tutto affidato a lui. Il personaggio Signor G è solo l’inizio di una pregevole carriera, per lo più solista. Poteva uno come Gaber restare indifferente di fronte a ciò che gli accadeva attorno? Poteva non aprire gli occhi di fronte ai falsi miti che aleggiavano intorno alla borghesia e dare la sua spalla ai giovani che “solo per il fatto che sono giovani hanno ragione per forza”. Comincia a trattare temi come il Vietnam, la Cambogia, la rivoluzione, questi sono temi su cui Gaber tornerà sempre nei suoi spettacoli. Spesso la delusione per ciò che gli accade intorno prevale, comincia a condannare aspramente la politica e
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nello specifico quella sinistra propensa a esaltare ogni tipo di devianza, droga compresa. Quella sinistra che lui deride in Al Bar Casablanca del 1972. Tutto lo scontro che Gaber cerca e crea, non scade mai nel qualunquismo, è un personaggio scomodo che nn si presta ad essere strumentalizzato, che dice le cose come le pensa dal basso del suo essere, come appunto si definisce, un filosofo ignorante. Lui non sa e proprio perché non sa, proprio perché non conosce, mette in discussione tutto, per primo se stesso. Riesce nella critica violenta, sparando a zero su tutto e tutti con Io se fossi Dio. Su questa scia ha navigato la barca della sua carriera, la
critica aspra, la verità nuda e cruda, auto ironica, spiazzante e che pone ancora oggi un sacco di domande, sempre attuale e mai scadente. Ancora oggi, a distanza di cinquant’anni, dall’inizio della sua carriera, è citato e attuale, specchio di rivoluzione e introspezione giovanile, oggetto di ricerca e di infinite cover. Torneremo a parlare di lui, della sua carriera, intanto vi lascio qualche spunto di ricerca dei brani che lo hanno fatto elevare come simbolo ideologico.
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Giulia Mazzoni
Giocando con i bottoni, tra magia e realtà Successivamente ho cominciato a studiare musica, prima alla scuola di musica Verdi di Prato la mia città e poi al conservatorio Verdi di Milano. E da li è cominciato il mio percorso artistico fino a quando non ho pubblicato il primo disco “Giocando con i bottoni” che è uscito a giugno. Giocando con i bottoni, il tuo album di esordio. Come prende forma e soprattutto il risultato è quello che immaginavi?
E’ un album caratterizzato da quattordici tracce per pianoforte e racconta diverse storie. Si è come lo immaginavo, nel senso che sono contenta per come è stato realizzato in quanto rappresenta quello che volevo raccontare. Da questo punto di vista sono molto soddisfatta, ovviamente è l’inizio di un percorso ma sono molto felice e rappresenterà sicuramente la spinta ed il punto di partenza per continuare a fare meglio.
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ome nasce Giulia Mazzoni pianista? Nasce per caso, molti anni fa. Per caso perché non provengo da una famiglia di musicisti, quindi non avevo neanche il pianoforte a casa. L’ho scoperto nelle aule delle scuole elementari. Durante una ricreazione avvertii un suono ed era il suono di un pianoforte. In quest’aula dove stavano provando poi ho trascorso la maggior parte del mio tempo.
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Il brano “Giocando con i bottoni” arriva dal ricordo di un gioco che facevi da bambina. Ci racconti la magia di quel gioco e riportandola ad oggi la magia nascosta dietro i tasti di un pianoforte? All’età di due anni amavo sedermi in questa cesta di vimini, a casa di mia nonna, e giocavo con questi bottoni colorati. Li raccoglievo, li univo per forma, per colore, inventavo delle storie. Mi divertivo moltissimo con questi oggetti semplici, mi emozionavo. Ho avuto poi la stessa emozione quando ho toccato i tasti del pianoforte ed oggi sono proprio questi tasti i miei bottoni. Il simbolo dei bottoni è un pò l’emozionarsi per le piccole cose che trovavamo da bambini e che spesso da adulti dimentichiamo, l’emozione per la semplicità. Oggi siamo spesso distratti dai problemi della crisi che ci distraggono dal vero senso delle cose. “Apri gli occhi” è un invito a non perdere la capacità di emozionarsi. Ce ne parli?
Questo brano nasce proprio dal periodo che stiamo vivendo, un periodo difficile che sicuramente lascia poco spazio al sogno, soprattutto per noi giovani. Però non dobbiamo smettere di aprire gli occhi verso la vita e verso la bellezza che ci circonda. Apri gli occhi è un invito a non tenere gli occhi chiusi ma a continuare a guardare oltre la finestra, sognare e sperare che le cose possano cambiare. Sei molto attenta anche al tema della violenza sulle donne, “Piccola luce” ne è un esempio, anche col video che lo accompagna.
pretato nel video una giovane ragazza che riesce a scappare da una situazione di violenza e sfruttamento raggiungendo la sua piccola luce riabbracciando la propria famiglia. Sono stata ovviamente felice di poter portare avanti questo progetto perché veniva affrontato un tema al quale sono sensibile come ragazza e donna. Bellissimo il video, al di la della musica, perché è stato realizzato con una tecnica molto particolare, la tecnica del cinemagraph che consiste in una serie di immagini con alcuni particolari in movimento. Questo video è bello dal punto di vista tecnico e dal punto di vista del contenuto. Cosa cambieresti del mondo musicale e discografico di oggi? Non è facile inserirsi nel mondo musicale ma, penso, come in ogni settore oggi. E’ difficile per chi prova a pubblicare un album di musica pop, un album di altro genere ed è ancora più difficile per qualcuno che prova a lavorare in un settore ancora più di nicchia come può essere la musica strumentale. Questo però per me non è mai stato un freno anzi le difficoltà mi hanno sempre dato maggior grinta e maggior voglia di fare.
E’ un brano che ho scritto appunto partendo dall’idea delle luci e delle ombre della vita. Tutti possiamo avere delle difficoltà, però c’è sempre una piccola luce in fondo a questo tunnel che ci da la speranza di ricominciare. E’ stato poi rea- Continua a leggere l’intervista lizzato, con il regista Federico sul sito www.backstagepress.it Monti, un videoclip partendo da questa idea e legandolo ad © Riproduzione riservata una sceneggiatura molto particolare che riguarda la violenza sulle donne. Ho inter-
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Alessandro Errico
Il mio paese mi fa mobbing, tra paura del futuro e la speranza di ricominciare tx Alfonso Papa
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hi è Alessandro Errico? Bella domanda, sono circa quarant’anni che me lo chiedo. Diciamo che più di chiedermi chi è, mi chiedo cosa posso diventare ed è questo che forse mi spinge ad andare avanti mi vedo più come qualcosa che si evolve. “Il mio paese mi fa mobbing”, come nasce e perché questo titolo?
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Nasce inevitabilmente da un fatto personale, c’è sicuramente un aspetto autobiografico. In questi quindici anni, dagli ultimi dischi che ho pubblicato negli anni novanta ad oggi chiaramente non ho campato d’aria ed ho sperimentato sulla mia pelle quella cosa che continuiamo ostinati a chiamare crisi, come se fosse una cosa passeggera. Ho sperimentato la precarietà, l’essere un ragaz-
zo, un giovane di questo paese che tenta di esprimersi e di fare quello in cui crede. Ho cercato di fare un’istantanea della condizione, in cui non è tanta la paura di costruire un futuro ma proprio l’immaginarlo. Accanto alla guerra che conosciamo tutti, quella con le armi oggi se ne combatte un’altra che è quella della disperazione del padre che
perde il posto di lavoro, della crisi. Secondo te cosa c’è dietro questo mondo precario? Sicuramente c’è una volontà, non sono affatto un fatalista, ho un approccio molto politico e terrestre alle cose. So che in fondo è un problema di interessi e di poteri in cui sicuramente se una parte larghissima della popolazione soffre ed una piccolissima parte gode evidentemente c’è un problema di distribuzione di risorse e di ricchezze. Oltre questo, poi c’è un problema soggettivo si sono persi una serie di riferimenti per cui ovviamente ci si ritrova da soli ad affrontare un problema gigantesco come una crisi devastante e questo non permette neanche di sognare, o provare ad immaginare una possibilità di risposta. Qualche anno fa ai partecipato al Festival di Sanremo come concorrente, quest’anno ci sei ritornato ma con
un’esperienza particolare “Sanremo per forza”, come è nata questa iniziativa? E’ nata un po’ per gioco ed un po’ per fare sul serio, dopo che è emerso che la scelta di quest’anno, da parte dei selezionatori, era di fare un festival solo ed esclusivamente con le canzoni d’amore o che parlavano d’amore, cercando di fare qualcosa chiaramente coerente con quello che dico ho presentato una canzone come “il mio paese mi fa mobbing” che, assolutamente in modo pacifico, non era stata presa però poi per il fatto che si fosse scelto di fare solo canzoni d’amore mi sembrava una cosa un po’ difficile da digerire sia come libero cittadino, nel senso che al festival di Sanremo si debba considerare come zona franca in cui la libertà deve entrare solo sotto forma di spettacolo ma sia anche come musicista, perché mi sembrava una forma di censura preventiva. Tutto ciò che parla del mon-
do e della realtà non va bene, solo amore e sentimento. Volevo replicare a questa cosa cercando di essere coerente un pò con lo spirito della canzone usando con ironia e non andare al muro contro muro facendo i soliti contro festival che tutti gli anni più o meno ci straziano. E’ nata Sanremo per forza che è stata un’operazione mediatica, ho cercato di creare un po’ un cortocircuito tra realtà e finzione, portando la realtà a Sanremo facendo in modo che alla fine una canzone dura e provocatoria come “il mio paese mi fa mobbing” arrivasse addirittura a vincere, così i giornali pubblicavano veramente questa notizia credendola vera ma in realtà erano dei finti scoop giornalistici che dei vostri colleghi hanno fatto partecipando a questo gioco. L’obiettivo era portare la realtà a Sanremo. Continua a leggere l’intervista sul sito www.backstagepress.it © Riproduzione riservata
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PH: DOMENICO RUGGIERO
tx Marica Crisci
Dall’ 8 febbraio al 25 maggio 2014 Bologna ospita una delle opere più importanti della Golden Age: La ragazza con l’orecchino di perla (Ragazza col turbante – 1666). Una delle opere più famose e discusse del pittore olandese Jan Vermeer (Delft,1632 – Delft, 15 dicembre 1675). Il dipinto ritrae una giovane donna di trequarti, posta davanti ad una finestra, con espressione languida. La luce naturale, che illumina il volto, ammorbidisce i tratti del viso, enfatizzando l’innocente ero-
Ragazza col turbante (1666)
tismo della ragazza, sottolineato ancora di più dalle labbra semichiuse. Fu proprio questa espressione della giovane a creare tanto scalpore. L’orecchino indossato dalla ragazza era all’epoca simbolo delle dame dell’alta borghesia, mentre la fanciulla sembra essere una persona semplice che conduce una vita modesta. La perla, con i suoi riflessi di luce, cattura l’attenzione dello spettatore e lo porta quasi a domandarsi come una ragazza così semplice possa indossare un
Locandina film (2003)
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Un soggetto da film
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orecchino così importate, che sembra non appartenerle. La notorietà di quest’opera si deve anche ad un romanzo ed un film uscito nel 2003, che non ha reso giustizia alla vita dell’artista della quale si conosce ben poco. Nel film, infatti, non viene raccontata la vita dell’artista, ma è stata immaginata una forte attrazione fisica tra il pittore e la ragazza che si presume sia una sua serva. © Riproduzione riservata
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YLENIA LUCISANO tx Wanda D’Amico
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’ da poco uscito il tuo album di esordio, ce ne parli?
“Piccolo universo” è appunto il mio primo album, un lavoro maturato negli ultimi cinque, sei anni da quando mi sono trasferita dalla Calabria, momento in cui ho cominciato a scrivere appunto delle canzoni. Il mio desiderio è sempre stato quello di racchiudere i brani più belli in un album. Piccolo universo è composto da dieci tracce, essendo un album pop va un pochettino a toccare vari temi, infatti si possono notare sonorità folk per i brani in dialetto calabrese, poi ci sono delle sonorità elettroniche ed ancora dei brani cantautorali.
Ci sono varie collaborazioni, tra cui quella più speciale con Pacifico, che ha scritto “Piccolo universo”, il brano che poi ha dato il titolo all’album. Come è stato collaborare con Pacifico che firma il brano che da il titolo all’album e quali sono le altre collaborazioni? Sicuramente la collaborazione con Pacifico è quella di maggior rilievo, collaborare con lui è stato intanto una bellissima esperienza perché è una persona che al di la del brano che ti scrive comunque ti da consigli a trecentosessanta gradi. Prima di scrivere “Piccolo universo” mi ha vo-
luto conoscere artisticamente, ha voluto capire il messaggio che volevo comunicare al pubblico e quindi ha cucito su di me “Piccolo universo” come se fosse stato veramente un abito, infatti risulta quasi come se l’avessi scritta io perché mi rappresenta al cento per cento. Poi da li sono nati gli altri brani e le altre collaborazioni, quella con Daniele Ronda e con Giulia Mazzoni che è anche una mia grande amica. Com’è per una giovane artista, ritrovarsi nel mondo della musica e dover lasciare la propria terra e confrontarsi con città quali Roma, Milano e realtà completamente diverse? Diciamo che ho abbandonato la Calabria, soltanto fisicamente ed un po’ prima che succedesse tutto questo. Per realizzare il mio sogno, mi sono trasferita a 19 anni, finita la scuola, prima a Roma dove ho cominciato a studiare ed ho fatto le mie prime esperienze con delle etichette discografiche indipendenti romane, avevo la mia band, ho cominciato a fare la così detta gavetta. Poi mi sono trasferita a Milano dove il mondo discografico da più opportunità ed ho cominciato a bussare alla porta delle case discografiche alla ricerca di un produttore che potesse credere in me e decidesse di
investire nel mio progetto. Ho anche provato la strada dei talent anche se sono sempre stata più convinta che la vera strada, quella più duratura è sicuramente quella antica in cui si fa prima la vera gavetta nei locali, si prova in sala di registrazione. Ho sempre desiderato intraprendere quest’altro tipo di strada. Nell’album, sono presenti anche tre brani in dialetto calabrese, come mai questa scelta? Semplicemente per rafforzare alcuni concetti che in dialetto rendono di più, il modo più naturale per esprimerli con spontaneità e sincerità. Diciamo che non è stata una scelta studiata, semplicemente il dialetto mi è servito per rafforzare alcuni messaggi che in italiano avrebbero avuto meno senso. Hai un artista di riferimento o semplicemente qualcuno a cui ti ispiri? Adoro i cantautori italiani, diciamo che tutto ciò che mi emoziona mi ispira, per cui dire chi è il mio cantante preferito sminuisce un pochettino la cosa, un po’ tutti i cantautori italiani. Continua a leggere l’intervista sul sito www.backstagepress.it © Riproduzione riservata
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Silvia ed i suoi colori tx Alfonso Papa
L
o spettacolo teatrale su Silvia Ruotolo debutta ad Officina Teatro di Caserta. “Silvia ed i suoi colori” è una risposta poetica contro la camorra. “Silvia ed i suoi colori” è uno spaccato vivo, fortemente
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cromatico, poetico, di una vicenda personale e sociale oltre che di un’epoca e di una generazione. E’ anche e soprattutto un atto di Amore e di Speranza. I due concetti sono strettamente legati perché l’unica
Speranza per superare il dolore è l’Amore che tiene in vita. Silvia Ruotolo è anche un simbolo. La storia di Silvia è un monito per tutti. L’illegalità oltre a spezzare la vita di un innocente apre una ferita profonda in tutte le persone legate affettivamente a lei. Dietro ad ogni persona c’è un mondo. “Silvia ed i suoi colori” è uno spettacolo teatrale per la legalità, con la regia di Agostino Chiummariello e interpretato da Francesca Stizzo e Aurelio De Matteis. L’opera andrà in scena in anteprima il 9-10-11 Maggio 2014 ad Officina Teatro di Caserta con la produzione di Gaetano Ippolito. Il progetto è finanziato attraverso il Bando della Microprogettazione sociale 2013 del CSV Asso. Vo.Ce. di Caserta ed è proposto dalla rete di associazioni di volontariato Koinè, Athena, Club degli Amici, in partenariato con Il Sogno è Sempre Onlus. Le scene e i costumi sono stati ideati da Teresa Papa e realizzati dai detenuti della Casa Circondariale di Arienzo(CE): Petrecca Salvatore, Fiorillo Ciro, La Rocca Salvatore, Carnevale Vincenzo, Guardascione Antonio, Miro Carlo, Cleter
Mario, Conte Agostino, Maisto Giancarlo, Esposito Antonio, Cappuccio Paolo , che con il loro lavoro diventano testimoni della legalità. L’attrice protagonista dello spettacolo, Francesca Stizzo, ha dichiarato a proposito del testo e del personaggio: “Trovo Silvia ed i suoi colori un testo profondo, lirico e avvolgente. Ci si ritrova in una realtà di gioco, amore e amicizia che si sviluppa con la grande forza della poesia. Di Silvia mi affascina il suo essere ragazzina, adolescente e donna che non si scoraggia mai. Non teme nulla, vive d’istinto e gioca a fare il maschio, cosa meravigliosa, con immensa consapevolezza
e maturità”. Il regista Agostino Chiummariello, lo descrive così: “Non è stato semplice mettere in scena questo lavoro, perchè parlare di una persona scomparsa è abbastanza difficile ed ancora di più se questa persona è il personaggio principale dello spettacolo. L’impianto dello spettacolo è molto semplice, una scena completamente nuda, dove gli attori rappresentano il fulcro principale e tutto è basato sulla recitazione e sulla rievocazione che fa il personaggio di Roberto di Silvia. Raccontando l’adolescenza, i momenti più belli della vita trascorsa insieme”.
“Quello che mi ha colpito del testo, è questa natura onirica – racconta Aurelio De Matteis attore dello spettacolo – quasi fantasmatica di questa speranza, non presente ma presente nel cuore di Roberto Russo – autore del testo – che la evoca continuamente e la fa rivivere attraverso i suoi ricordi. E’ uno spettacolo che parla di un fatto drammatico, anche se il male presente non si intravvede mai lasciando lo spazio alla gioia di vivere. Vivere con la piena consapevolezza di se, ogni attimo”. © Riproduzione riservata
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8/5 AUDITORIUM SANTA CHIARA - TRENTO 9/5 GRAN TEATRO PALABAM - MANTOVA 10/5 TEATRO REGIO - PARMA 12/5 TEATRO FILARMONICO - VERONA 23/5 TEATRO CONCILIAZIONE - ROMA
3/5 ARENA - VERONA 10/5 TEATRO ANTICO - TAORMINA 11/5 TEATRO ANTICO - TAORMINA 13/5 TEATRO ANTICO - TAORMINA 18/5 TEATRO ANTICO - TAORMINA
6/5 STADIUM 105 - RIMINI 7/5 PALADOZZA - BOLOGNA 10/5 MEDIOLANUM FORUM - ASSAGO 13/5 PALAOLIMPICO - TORINO 14/5 PALAROSSINI - ANCONA
8/5 TEATRO TONIOLO - MESTRE 10/5 PALAZZO CONGRESSI - LUGANO 13/5 TEATRO FRASCHINI - PAVIA 15/5 AUDITORIUM SANTA CHIARA - TRENTO 17/5 CARISPORT - CESENA
8/5 TEATRO COCCIA - NOVARA 12/5 POLITEAMA GENOVESE - GENOVA 13/5 TEATRO MARIO APOLLONIO - VARESE 15/5 TEATRO POLITEAMA GRECO - LECCE 17/5 BANCA MARCHESE POLAS - PESARO
7/5 PALASPORT - ROCCARASO 10/5 UNIPOL ARENA - CASALECCHIO RENO 17/5 PALAOLIMPICO - TORINO 24/5 PALALOTTOMATICA - ROMA 31/5 TEATRO ANTICO - TAORMINA
24/5 ARENA DELLA VITTORIA - BARI 31/5 STADIO SAN SIRO - MILANO
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JESUS CHRIST SUPERSTAR dal 6 maggio al 1 giugno 2014 TEATRO SISTINA ROMA biglietti a partire da € 36,65
GIULIETTA E ROMEO. AMA E CAMBIA IL MONDO dal 14 al 18 maggio 2014 MANDELA FORUM FIRENZE biglietti a partire da € 23,00 MADE IN SUD SHOW 16 maggio 2014
GRAN TEATRO LINEAR4CIACK MILANO
biglietti a partire da € 25,00