Traccia della storia dei missionari comboniani (di p tarcisio agostoni)

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P. TARCISIO AGOSTONI MCCJ

TRACCIA DELLA STORIA DEI

MISSIONARI COMBONIANI 1867-2003

Missionari Comboniani - Roma



INDICE PREFAZIONE .......................................................................................................................................... 1 Note introduttive all’edizione finale........................................................................................................... 3 PARTE PRIMA PORTARE IL VANGELO NELLA VALLE DEL NILO Capitolo Primo LA CRISTIANITÀ IN AFRICA ................................................................................... 5 [p. 5] I primi anni - L’era Musulmana [p. 6] - Evangelizzazione 15° e 16° secolo [8] - Il l periodo di evangelizzazione moderno - Un nuovo periodo – [9] STATISTICHE: Situazione attuale in Africa (2001) - Maggiori religioni africane - [10] Regioni Ecclesiastiche in Africa - Regioni ecclesiastiche in Asia - Regioni ecclesiastiche in Europa - [11] Religioni nel Mondo - Statistiche della Chiesa cattolica Capitolo Secondo CRISTINIALITÀ NELLA VALLE DEL NILO .................................................. 13 p. 13] Il primo millennio – Gli Esploratori europei alla ricerca delle Montagne della Luna [14] Il Vicariato dell’Africa Centrale – Vescovo A. Casolari - P. M. Ryllo – P. I. Knoblecher – [17] Nuove Missioni nel Sudan Meridionale – Mons. Kirchner - [19] Il tentativo Francescano – La missione chiude Capitolo Terzo COMMENTI SUL PERIODO 1847-62 – I PRIMI 15 ANNI IN RETROSPEZIONE ..... 20 [p. 20] L’aspetto geografico - Aspetto tecnico – Le lingue – L’aspetto Sperimentale – [21] Preparazione - I Missionari e gli Africani – Salvezza Integrale – [22] Testimoni – Una contro testimonianza - [23] Ulteriori Difficoltà - Coraggio, speranza nella Provvidenza Capitolo Quarto GLI ISTITUTI PER L’EVANGELIZZAZIONE DELL’AFRICA ....................... 25 p. 25] I pionieri del lavoro missionario in Africa - I primi Secoli - Il Medioevo (600-1400) Istituti Pionieri di Sacerdoti e Frati che lavorano in Africa.- [28] Istituti Pionieri di Religiose – [29] Organizzazioni strettamente legate a Comboni – P. Nicola Olivieri - P. Biasio Verri – P. Nicola Mazza – Beato Ludovico di Casoria – Mitteruzner – Bricolo PARTE SECONDA GLI EVENTI PIÙ SIGNIFICATIVI DELLA VITA DI COMBONI Capitolo Primo COMBONI dal 1831 al 1872 ..................................................................................... 33 [p. 33] Dal 1831 al 1859 – [34] Dal 1860 al 1864 - Dal 1864 al 1872 – [35] IL PIANO / Il Piano Originale – [36] I punti salienti del Piano – [39] La “Novità” del Piano – [40] Il “Postulato “ Inviato al Concilio Vaticano I – [41] Conclusione Capitolo Secondo LA FONDAZIONE DEGLI ISTITUTI .................................................................. 42 [p. 42] L’Associazione del “Buon Pastore” – [43] Sospensione dell’Associazione L’istituto del Cairo – La restaurazione dell’Associazione e dell’Istituto - Le regole – [46] Gli sviluppi dell’istituto – [47] Padre Giuseppe Sembianti – Statistiche - L’ISTITUTO DELLE PIE MADRI DELLA NIGRIZIA

Capitolo Terzo COMBONI DAL 1872 AL 1881 .................................................................................. 49 [p. 49] Date importanti - Le scelte delle priorità – [50] Scelta del campo di apostolato – [52] Metodologia – Hadrian Sorur - [54] Evangelizzazione e Sviluppo – [56] Inculturazione - I PADRI DI SAN CAMILLO: Introduzione - I Camilliani e Comboni – [57] La Controversia Camilliana

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Capitolo Quarto LE PESANTI CROCI DEGLI ULTIMI ANNI DELLA VITA DI COMBONI ... 59 [p. 59] La prima croce – La seconda croce - [60] La terza croce – [62] La quarta croce Capitolo Quinto IL CARISMA DI COMBONI .................................................................................... 63 [p. 63] Introduzione – [67] Il carisma di Comboni – [69] Il carisma dell’Istituto Capitolo Sesto LA SPIRITUALITÀ DI COMBONI ............................................................................ 71 [p. 71] IMPERNIATA SU CRISTO - La spiritualità del Cuore di Gesù – [72] La spiritualità di Gesù crocefisso – [77] IMPERNIATA SULLA CHIESA - La Chiesa di Comboni è una chiesa missionaria - La Chiesa sgorga dall’amore di Cristo – La Chiesa e la Croce - Obbedienza alla gerarchia PARTE TERZA GLI ISTITUTI DAL 1881 AL 1997 Capitolo Primo DAL 1881 al 1898 ........................................................................................................ 79 [p. 79] LE VICISSITUDINI DELL’ISTITUTO: [80] La reazione degli istituti alla morte di Comboni - La Reazione delle autorità ecclesiastiche alla morte di Comboni - [81] Mons. Sogaro nominato Pro Vicario Apostolico – [82] I Gesuiti - LANCIO DELL’ISTITUTO RELIGIOSO: Gli inizi dell’istituto religioso - La data del 28 ottobre 1885 - [83] Prima partenza per il Cairo - Il nome” Figli del Sacro Cuore” - Le regole - [84] LE PRIME DIFFICOLTÀ DELL’ISTITUTO RELIGIOSO: difficoltà con Mons. Sogaro – [85] Interferenze del governo austriaco – [86] L’istituto religioso acquisiste un proprio stato giuridico – [87] L’eredità di Comboni – [89] Il vescovo Rioveggio - [90] LE SUORE COMBONIANE - Primo Capitolo Generale – IL SUCCESSO DELLE MISSIONI NEL SUDAN RIDOTTE A ZERO: “LA RIBELLIONE MAHDI” / Introduzione - [91] Le stazioni missionarie Comboniane: Delen – [93] El Obeid – [97] Alcuni commenti Capitolo Secondo L’ISTITUTO DAL 1889 al 1909 .............................................................................. 99 [p. 99] Introduzione Storica – [100] II° CAPITOLO GENERALE tenutosi a Verona nel 1899 – P. Angelo Colombaroli - [101] Sviluppi interni - Sviluppi nelle missioni – [105] LE SUORE COMBONIANE NEL SUDAN [96] Capitolo generale 1904 Capitolo Terzo DAL 1909 al 1919 ....................................................................................................... 106 [p. 106] Introduzione storica – [107] II° CAPITOLO GENERALE – P. F. Vianello - [108] Sviluppi nell’Istituto - SVILUPPI NELLE MISSIONI: Apertura in Uganda – [114] Ulteriori sviluppi nelle missioni - Un ostacolo – Mons. Antonio Stoppani – [115] LE SUORE COMBONIANE in Eritrea e n Uganda Capitolo Quarto NUOVA ENFASI NEL LAVORO MISSIONARIO E LA RISPOSTA DEI NOSTRI .. 117 [p. 117] Nuova Enfasi nei documenti della Chiesa 1919-1995 – [122] LA RESPOSTA DEI MISSIONARI COMBONIANI: Formazione dei Catechisti – [123] Formazione dei sacerdoti – [124] La Fondazione di Istituti religiosi ed altri istituti – [130] INCULTRURAZIONE: P. Pasquale Crazzolara – P. Filiberto Giorgetti – P. Stefano Santandrea - Mons. Armido Gasparini Capitolo Quinto DAL 1919 AL 1931 ................................................................................................... 134 [p. 134] III° CAPITOLO GENERALE - P. Paolo Meroni – [135] IV° CAPITOLO GENERALE - Avvenimenti di importanza rilevante fra il 1919 ed il 1931: La separazione dei nostri Confratelli austriaci da quelli italiani - P. Johannes Dichtl – [137] Il Capitolo del 1919 – Il Vescovo Geyer - [139] Sviluppi in Europa - Sviluppi nelle missioni – [140] TESTIMONI: P. Giuseppe Amilcare Beduschi – Mons. Paolo Tranquillo Silvestri - Mons. Francesco Saverio Bini – [142] LE SUORE COMBONIANE: Quinto Capitolo Generale 1925

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Capitolo Sesto IL NUOVO ISTITUTO DEI “MISSIONARII FILII SACRI CORDIS” – MFSC ..... 143 [p. 143] L’EREZIONE DEL NUOVO ISTITUTO – P. Jakob Lehr - [144] La Reazione dei missionari austriaci e tedeschi - La situazione il giorno della separazione – [145] Nuovo campo di apostolato – [146] SVILUPPI IN PATRIA - La nomina di P. J. Lehr – La prima “ Konsulta” - Ulteriori importanti sviluppi - [147] SVILUPPI NELLE MISSIONI – Le dimissioni di mons. Kauczor - [148] I PIÙ SIGNIFICATIVI SVILUPPI (IN BREVE): Superiori Generali (MFSC) - Dove e quando ebbero luogo i Capitoli Generali – [149] Apertura della Missione in Sud Africa nel 1924 - Impegno in Perù 1938 - Riunione 1979 - IL I° CAPITOLO GENERALE - Il periodo 1926-1932 – [150] II° CAPITOLO GENERALE 1932 - P. Joseph Musar - IL periodo 1932-1938 - [152] IL III° CAPITOLO GENERALE - p. Johann Deisenbeck - Il periodo 1938-1949 – [155] IV° CAPITOLO GENERALE 1949 – Il periodo 1949- 1955 – V° CAPITOLO GENERALE 1955 - P. Richard Lechner – [158] Sviluppi in questo periodo - Vescovo Johann Riegler - Mons. Anton Reiterer - [160] VI° CAPITOLO GENERALE 1961 - [161] Sviluppi nel periodo 1955-1961 - [164] VII° CAPITOLO GENERALE 1967 - p. GĦnter Brosig - [165] Il periodo 1967-1973 - Mons. Anton KĦhner [168] VIII° CAPITOLO GENERALE 1973 - p. Geog Klose - Temi e decisioni: la Riunione – [171] SECONDA SESSIONE DEL CAPITOLO 1973 E CAPITOLO SPECIALE 1975 - [172] Sviluppi durante il periodo 1973-1979 – [177] Mons. Lorenzo Unfried Capitolo Settimo DAL 1931 AL 1937 .................................................................................................. 178 [p. 178] V° CAPITOLO GENERALE 1931 – p. Pietro Simoncelli - Sviluppi nell’Istituto [180] TESTIMONI: Fratello Giosuè Dei Cas – Mons. Rodolfo Orler - Mons. Angelo Negri – [182] LE SUORE COMBONIANE / Sesto Capitolo Generale 1931 - Capitolo Straordinario Capitolo Ottavo DAL 1937 AL 1947 ................................................................................................... 183 [p. 183] Note Storiche – [184] IL VI° CAPITOLO GENERALE 1937 - P. Antonio Vignato [185] SVILUPPI NELL’ISTITUTO DAL 1937 al 1947: Sviluppi interni - Verso l’internazionalità - Apertura in Gran Bretagna - Negli Stati Uniti – In Portogallo – [186] FONDATORI: Gran Bretagna: P. Renato Bresciani - [187] USA: P. Amleto Accorsi – [188] Portogallo P. Giovanni Cotta - [189] SVILUPPI NELLE MISSIONI: Apertura nel Mozambico - Particolari difficoltà nel Sudan ed in Uganda – Ritiro dall’Etiopia - [190] I NOSTRI PRIMI MARTIRI: P. Alfredo Deali - P. Angelo Arpe - TESTIMONI / P. Giuseppe Zambonardi – Fr. Clement SchrĘer - [192] LE SUORE COMBONIANE: Settimo Capitolo generale 1937 – Ottavo Capitolo generale 1946 Capitolo Nono DAL 1947 AL 1959 ..................................................................................................... 193 [p. 193] Note Storiche/ Apertura in America Latina – [194] VII° CAPITOLO GENERALE 1947 – p. Antonio Todesco - [195] VIII° CAPITOLO GENERALE 1953 – [196] Lo sviluppo dell’istituto e le sue missioni / L’Istituto ed il suo viaggio verso l’internazionalità – [198] Lo sviluppo dell’Istituto in America - Apertura in Messico - Nella missione indiana degli USA – In Brasile ed Ecuador – [202] FONDATORI: Messico, P. Elio Sassella - Nord Brasile, Mons. Diego Parodi – Ecuador, Mons. Angelo Barbisotti - Sud Brasile, Mons Giuseppe Dalvit - Spagna, P. Andreas Riedl e P. Enrico Farè – [207] Sviluppi dell’Istituto in Africa: Prefettura Apostolica di Mupoi - Bahr-el Gebel - Vicariato di Khartoum – Diocesi di Arua e Gulu - Il Mozambico – [210] VESCOVI: Mons. Domenico Ferrara – Mons., Angelo Tarantino - Mons. Giovanni Battista Cesana – Mons. Sisto Mazzoldi - Mons. Edoardo Mason - [214] TESTIMONE: Fr. Guglielmo Richly - [215] LE SUORE COMBONIANE: Nono Capitolo generale 1953 - Apertura negli USA nello Zaire e Ecuador Decimo capitolo Generale 1958 Capitolo Decimo IL IX° CAPITOLO GENERALE 1959 ................................................................. 217 [p. 217] Il IX° CAPITOLO GENERALE: P Gaetano Briani - [218] Assemblee Precapitolari [219] Il PERIODO DAL 1959 al 1969/ Sviluppi e aperture di Nuove Istituzioni - [220] Il Congresso dei Superiori e dei Formatori - [221] Primi contatti fra MFSC e FSCJ - Sviluppi

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nelle missioni: apertura nei territori francofoni – [222] MARTIRIO DI QUATTRO CONFRATELLI NELLO ZAIRE: P. Remo Armani - P. Lorenzo Piazza - P. Evaristo Migotti P. Antonio Zuccali - [224] Espulsione in massa di missionari dal Sud Sudan - [225] Espulsione dall’Uganda - ALTRI MARTIRI: Fratello Barnabas Deng - P. Luigi Corsini - P. Marco Vedovato – [226] TESTIMONI: Mons. Pietro Villa – P. Ernesto Firisin – P. Franco Sirigatti - [229] LE SUORE COMBONIANE in Spagna 1963 - Undicesimo Capitolo generale 1964 – In Kenya 1965 Capitolo Undicesimo L’ERA DELL’INDIPENDENZA IN AFRICA (1959-1975) ........................ 230 [p. 230] In generale: Politiche coloniali: Gran Bretagna – Francia – Portogallo – Belgio – [231] In particolare: Il Sudan - L’Uganda – Il Mozambico – Sud Africa, Burundi – Kenya – [236] La Chiesa e l’indipendenza delle nazioni africane Capitolo Dodicesimo LA CRISI NELLA CHIESA ........................................................................... 237 [p. 237] INTRODUZIONE – STATISTICHE: Religiosi e Religiose nel mondo - Statistiche dei più numerosi istituti - Le nazioni con il maggior numero di Religiosi – [239] TENTATATIVO DI ANALISI DELLA CRISI: Cambiamenti nella società – [240] Cambiamenti nella Chiesa – [245] La crisi nel nostro Istituto Capitolo Tredic. SVILUPPI NELLA CHIESA CHE HANNO INFLUITO SUL NOSTRO ISTITUTO .. 247 [p. 247] Il Concilio Vaticano II – [248] “Populorum Progressio" – [249] Conferenza generale dei Vescovi Latino–americani di Medellin 1968 – [250] Prima riunione del Simposio della Conferenza Episcopale dell’Africa e del Madagascar 1969 – Sinodo dei vescovi sulla giustizia nel mondo 1971 - [251] Sinodo sull’evangelizzazione 1974 Capitolo quattordicesimo IL X° CAPITOLO GENERALE ............................................................... 254 [p. 254] Un Capitolo “Ordinario” e “speciale” – [255] PRINCIPALI CAMBIAMENTI E INNOVAZIONI DEL CAPITOLO: Composizione del capitolo – La personalità e il carisma di Comboni, l’identità del frate missionario Comboniano - La vita comunitaria - La preghiera, i voti, l’attività missionaria - [257] La formazione missionaria Comboniana, Fasi e strutture della formazione – [259] Il Governo - La Pianificazione Capitolo quindicesimo DAL 1969 AL 1979 .......................................................................................... 261 [p. 261] I CAPITOLI del 1969 e del 1975: P. Tarcisio Agostoni – [262] La Riunione con MFCS – [264] Il Capitolo del 1979 - Un nuovo stile di vita e di governo - [266] Revisione della formazione - Affrontare la continuazione della crisi nell’Istituto - [268] Sviluppi nelle missioni: Uganda – [269] MARTIRI: P. Giuseppe Santi, P. Silvio Dal Maso e P. Antonio Fiorante, P. Graziano Panza, P. Silvio Serri, P. Paolo Ponzi e P. Mario Pozza – [270] Il Mozambico - Il Burundi – [271] Nuove aperture: Kenya e Malawi - Rondonia, Indios del Messico, Costa Rica, Sud Sudan – [272] Erezione di nuove province: Zaire. Togo, DCA, Rtiopia - Capitolo del 1975: metodologia ed identità missionaria – [273] Impegno in Asia [274] Conferenza generale dei Vescovi latino-americani, Puebla 1979 – [277] TESTIMONI: Mons. Rino Carlesi – Mons. Enrico Bartolucci – Fr. August Cagol - [279] LE SUORE COMBONIANE: Capitolo Generale ordinario e speciale 1970 - Statistiche Tredicesimo capitolo 1976 Capitolo sedicesimo XII° CAPITOLO GENERALE 1979 - PERIODO DAL 1979 AL 1985 ...... 281 [p. 281] XII° CAPITOLO GENERALE - P. Salvatore Calvia - [282] ATTIVITÀ E COMMENTI DEL PERIODO 1979-1985 - [283] Formazione di base e permanente - La continuazione della crisi - [284] L’animazione missionaria - Particolari situazioni sociopolitiche in Africa - [285] L’era post-indipendentista in Africa e Assemblea Generale SECAM - [287] NUOVI MARTIRI: Suor Liliana Rivetta - P. Osmondo Bolbao - P. Ezechiele Ramin - Suor Teresa Dalle Pezze - P. Egidio Ferracin - P. Egidio Biscaro - P. William Nyadru - Fr. Alfredo Fiorini - [288] TESTIMONI: Fr. Giuseppe Farina - P. Bernardo Sartori - [291] LE SUORE COMBONIANE: Quattordicesimo Capitolo Generale 1980

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Capitolo diciassettesimo XIII° CAPITOLO GENERALE 1985 - PERIODO DAL 1985 AL 1991 292 [p. 292] XIII° CAPITOLO GENERALE - P. Francesco Pierli - Atti del Capitolo: Asia, Segretariati, Missionari Laici - Missionari associati, Catechisti itineranti - [293] Priorità: Revisione degli impegni attuali - La Vita Comunitaria - I Valori del Regno - [295] PRINCIPALI ATTIVITÀ DELL’ISTITUTO 1985-1991 - Revisione della regola di Vita, “Ratio Fundamentalis Istitutionis et Studiorum” – Specializzazioni - [297] Crisi generale e defezioni - [298] L’Assemblea Intercapitolare 1988 - [299] I PRINCIPALI SVILUPPI NELLE MISSIONI - Erezione del Ciad a regione, il “ Nuovo Sudan”, Apertura nelle Filippine [300] TESTIMONI: P. Giuseppe Ambrosoli, Fratello Matthias Oberparleiter - [302] LE SUORE COMBONIANE: Quindicesimo Capitolo generale 1986 Capitolo Diciottesimo XIV° CAPITOLO GENERALE 1991 ........................................................... 304 [p. 304] XIV° CAPITOLO GENERALE - p. David Kinnear Glenday – RELAZIONE del Consiglio Generale – [309] RELAZIONI CONTINENTALI: Africa – [311] America – [312] Europa – [313] ATTI CAPITOLARI - LINEE DI AZIONE: Formazione, Campi di lavoro, La “Nuova era missionaria” - [314] LE SUORE COMBONIANE: Sedicesimo Capitolo generale 1992 Capitolo Diciannovesimo ATTIVITÀ NEL PERIODO 1991-1997 ................................................... 315 [p. 315] La Beatificazione del nostro Fondatore – IL GRANDE AVVENIMENTO - La preparazione - [317] Le celebrazioni - [322] IL DIFFICILE CAMMINO VERSO LA BEATIFICAZIONE - P. Agostino Capovilla – [329] CANONIZZAZIONE - [334] I PRINCIPALI SVILUPPI NELL’ISTITUTO: La formazione - [339] L’animazione Missionaria – [340] Principali sviluppi nelle missioni: Beatificazione di Comboni - Santo Domingo - “ Ecclesia in Africa” Capitolo Ventesimo XV° CAPITOLO GENERALE 1997 ............................................................... 347 [p. 347] XV° CAPITOLO GENERALE - p. Manuel Augusto Lopez Ferreira - [348] RELAZIONE del Consiglio generale - [356] Relazione del Nuovo Sudan - [358] ATTI CAPITOLARI: Inculturazione e Dialogo - Comunità Interculturali - Giustizia e pace - [365] TESTIMONE: P. Adolf Alois Sailer – [366] LE SUORE COMBONIANE Capitolo Ventunesimo DAL 1997 AL 2003 ......................................................................................... 368 [p. 368] FATTI SALIENTI ALL’INTERNO DELL’ISTITUTO - L’interculturalità nella Comunità Comboniana - [369] La Giustizia come la relazione che genera la vita - [371] Assemblea intercapitolare 2000 - [373] Uscite dall’Istituto - [378] Attenzione alla persona [381] Canonizzazione Daniele Comboni - [392] FATTI SALIENTI CONNESSI CON L’ISTITUTO COMLA-CAM – [393] V° Congresso Missionario Latino-americano - [395] Beatificazione di Daudi Okelo e Jildo Irwa e Veglia di preghiera – [402] TESTIMONIANZE: Mons. Agostino Baroni - Mons. Anton Reiterer - Fr. Giovanni Motter - Fr. Mario Adani - P. Raffaele Di Bari – P. Aldo Gilli Capitolo Ventiduesimo XVI° CAPITOLO GENERALE ................................................................... 406 [p. 406] RELAZIONE DEL CONSIGLIO GENERALE – Situazione numerica – Relazione del CG - [407] L’attuazione del XV° Capitolo Generale - [408] L’oggi dell’Istituto - [409] Prospettive per il futuro - [410] ATTIVITÀ DEI SEGRETARIATI E DEGLI UFFICI GENERALI: Segretariati generali [410] Formazione di base - [411] Formazione permanente - [414] Evangelizzazione - [416] Animazione missionaria - [417] Economia - Uffici Generali [420] Archivio Storico - [423] Procura generale - [425] Postulazione - [427] RELAZIONI DELLE PROVINCE: Ripartire dalla Missione - Problemi particolari - [433] Relazioni delle singole province - [437] ATTI DEL CAPITOLO: Realtà globale - [438] La missione comboniana oggi - [441] La formazione permanente – La comunità comboniana: dono e cammino - [442] Metodologia missionaria - [446] Altri elementi di programmazione

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Capitolo Ventitreesimo EVANGELIZZAZIONE E PROMOZIONE INTEGRALE ...................... 448 [p. 448] La Teologia della Missione - [449] Una testimonianza personale L’EVANGELIZZAZIONE COME PROCLAMAZIONE: La salvezza delle anime: il primo approccio - [450] “Plantatio Ecclesiae “ - [451] Lo sviluppo delle organizzazioni Laiche [453] La metodologia di servizio alla Chiesa Locale – [455] La Evangelizzazione oggi [457] L’emergenza di nuovi approcci - [462] L’EVANGELIZZAZIONE COME PROMOZIONE DEI VALORI UMANI: Le Scuole - [463] L’assistenza medica - [464] Progetti di sviluppo: in passato - [465] Oggi: Ecuador – Brasile - [466] Sudan – Fr. Michele Sergi – Congo - [467] Uganda - [468] Egitto – Italia - [470] Kenya - [473] Sudafrica, Perù [476] Ghana - Commenti generali sui progetti di sviluppo Appendice - INCUTURAZIONE: alcune esperienze personali ...................................................... 479 Bibliografia .......................................................................................................................................... 488

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PREFAZIONE

Namugongo, 17 marzo 1996 Beatificazione di Daniele Comboni Cari confratelli, la pace e la gioia del Cuore trafitto di Gesù sia sempre con voi. Sono felice di offrire questa Traccia Storica a chiunque tra voi sia interessato a conoscere gli eventi principali della vita del Comboni e del nostro Istituto. Ho scelto il termine Traccia (in inglese “Outlines”), perché non sono uno storico, dunque non posso dire di aver scritto un vero e proprio libro di storia. Ciò avrebbe richiesto un lavoro di ricerca più approfondito, che io non ho la possibilità di fare in Uganda. Non intendo, inoltre, dedicarmi a tempo pieno alla ricerca, come alcuni nostri confratelli. So che non soddisferò i desideri di tutte le provincie e di tutti i confratelli. Una buona parte di questo testo è basata su appunti che ho usato per insegnare la nostra storia ai Novizi del Noviziato di Namugongo. 1. Gli scopi principali di questo libro sono due.

Primo, offrire un testo alle nostre Case di Formazione a norma della “Ratio Studiorum” NN. 275 e 276. In particolare, ho cercato di tenere in considerazione il N. 276, che chiede una prospettiva storica dell’Istituto. Questa Traccia è soprattutto una risposta a questa richiesta. Un altro scopo è quello di dare una prospettiva degli eventi in modo che si possano collocare nel loro contesto storico gli altri scritti, come le biografie dei nostri missionari, le monografie riguardanti la linguistica, l’etnografia, la storia delle provincie, delle missioni e così via. 2. Un altro punto che mi interessa è l’itinerario spirituale dell’Istituto. Posso tuttavia anticipare che, oltre all’insistenza sulla pratica dei voti, tre punti sono stati sottolineati: la Carità, lo Spirito di Fede e lo Spirito di Sacrificio come appare dalle Lettere Circolari dei Superiori Generali, soprattutto quelle di padre Federico Vianello. In special modo, la carità è stata il tema comune, al punto che un capitolo speciale le era stato dedicato nel nostro Direttorio. Il Sacro Cuore non è stato solo oggetto di devozione e di preghiera, ma un modello e un’ispirazione alla carità, alla spiritualità, ad uno stile di vita. Nel periodo in cui ero Superiore Generale, molti tra i sacerdoti che visitarono alcune nostre comunità in terra di missione rimasero impressionati dalla nostra pratica della virtù della carità. Penso che, se la spiritualità del Sacro Cuore come simbolo dell’amore divino e umano fosse stata intesa come “spiritualità”, molte crisi nella sfera emozionale sarebbero state evitate. L’amore umano e gli altri valori umani sono stati sottolineati dal Concilio Vaticano II, dovuto alla grande attenzione che questo Concilio ha rivolto verso l’aspetto umano della persona, l’aspetto antropologico. Questo accento nuovo è stato da molti male interpretato, al punto da divenire prevalente. In questo modo, l’attenzione al soprannaturale è lentamente diminuita. Si è così perso di vista la realtà della vita divina presente in noi, che è la fonte della nostra nuova umanità, che non è null’altro se non l’umanità di Gesù. 3. Un libro di storia può seguire diversi metodi: suddividere per argomenti e persone o per periodi storici. Nella prima e nella seconda parte, ho seguito soprattutto il metodo della suddivisione per argomenti e persone. Nella terza parte, propria all’Istituto, ho proceduto soprattutto per periodi storici, anche se a volte ho usato la suddivisione per argomenti. Entrambi gli approcci hanno vantaggi e svantaggi: nel caso del nostro Istituto, ho proceduto per periodi in modo da mostrare il suo sviluppo attraverso i nostri Capitoli Generali. È vero che i primi Capitoli furono piuttosto corti e molto fu lasciato ai Concili Generali, perfino i verbali dei Capitoli erano molto sommari, così era del libro della Consulta. Quando iniziò la pubblicazione del Bollettino Ufficiale, molto materiale e molte decisioni furono pubblicate su questo Bollettino.

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Il Capitolo del 1947 fu tenuto, in un certo senso, in modo moderno, perché furono create delle Commissioni preparatorie. Il “Capitolo Rivoluzionario” fu quello del 1969 e nessuno può ignorare il suo profondo impatto sulla vita dell’Istituto. Soprattutto per quanto riguarda i Capitoli fino al 1953, non ho riportato tutte le decisioni, ma solo quelle significative per lo sviluppo della vita dell’Istituto e per la sua continuità nella storia della Chiesa e delle missioni. 4. La vita del Comboni: non era mia intenzione scrivere una biografia del Comboni, ma so-

lo di fornire informazioni supplementari con gli avvenimenti principali della sua vita. È chiaro che i nostri candidati devono avere in mano una biografia completa del Comboni. Tutti gli altri libri scritti su di lui, comprese le lettere, devono essere a loro disposizione. I formatori, tuttavia, devono conoscere Comboni molto meglio dei candidati. Vorrei che il libro di P. Fidel Gonzales “Comboni en el corazón de la misión africana” fosse tradotto in altre lingue. 5. Tra i punti che necessitano di maggiori ricerche, ci sono quelli relativi ai nostri rapporti con diversi Governi coloniali ed indipendenti, con altri Istituti missionari, con altre denominazioni e religioni, con gli intellettuali, i politici, gli operatori sociali, i vescovi locali e la Santa Sede. Una tale ricerca sarebbe di grande aiuto per l’identità del nostro Istituto. Questo compito può essere facile per qualche paese, ma estremamente difficile per tutti i Paesi nei quali siamo presenti, a meno che in ognuno di essi qualcuno prenda la responsabilità’ di un tale lavoro. 6. Ho detto nella pagina di copertina che questa Traccia appare ora nella forma di bozza. Riconosco i limiti e le pecche di questo lavoro. Sono pronto ad accettare suggerimenti e raccomandazioni in merito; il lavoro è memorizzato nel computer ed è facile apportare modifiche, correzioni e cambiamenti. Preferisco, tuttavia, che i suggerimenti, le aggiunte e le correzioni siano accompagnate dal testo alternativo. Se alcuni punti, eventi e problemi non sono trattati, vi prego di non attribuire ciò a cattiva volontà o negligenza. Tali omissioni sono dovute soprattutto al desiderio d’essere breve o alla poca rilevanza del punto o dell’evento nella storia generale dell’Istituto. 7. Ho aggiunto delle “Introduzioni storiche” quando l’ho ritenuto necessario. I nostri giovani, soprattutto i non-europei, non hanno una conoscenza approfondita degli eventi principali della storia mondiale e, tra qualche decennio, tale conoscenza sarà’ ancora minore. Come potete vedere in questa Traccia molti eventi politici e religiosi hanno avuto gravi ripercussioni sul nostro Istituto, le sue missioni e i suoi missionari. È necessario, perciò, collocare questi eventi nel loro contesto geo-politico, in modo tale da permettere ai giovani di memorizzare agevolmente gli eventi del nostro Istituto. 8. In modo particolare dal 1969, la storia del nostro Istituto parte da un’analisi personale, sebbene mi sia sforzato d’essere il più’ obiettivo possibile. È molto probabile che non abbia sottolineato i miei limiti. Tuttavia, come potete notare dalla brevi biografie dei precedenti Superiori Generali, ho fatto lo stesso per loro, eccetto un breve accenno a P. P. Meroni, riguardante la separazione del 1923. È un’attitudine del mio inconscio. Posso sottolineare errori di gruppi, ma non di individui particolari, soprattutto quelli in posti di alta responsabilità. Questo non significa che io sia acritico nelle conversazioni private. Prima di lasciare questa vita, è utile per me condividere ciò che ho con quanti leggeranno questa Traccia. Ringrazio P. M. Marchetti, P. M. Devenish, P. Patrick Stevenson e la segreteria di CL (Comunione e Liberazione), soprattutto P. Edo Morlin per il suo prezioso aiuto. Possa ricompensarli il Signore. Nel Cuore di Cristo. P. Tarcisio Agostoni, Mccj

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NOTE INTRODUTTIVE ALL’EDIZIONE FINALE

Kampala – Claver House,8 giugno 2002, Solennità del Sacro Cuore di Gesù’ Questa edizione definitiva è sempre una “Traccia” della storia dell’Istituto realizzata attraverso una vasta ricerca per mezzo di una serie di libri e documenti. Tuttavia, non è solo cronaca, perché i fatti sono corredati da riflessioni e suggerimenti pertinenti. Non e’ una storia; la vera storia di qualsivoglia missione deve indicare le differenze nella metodologia d’evangelizzazione in ogni territorio geografico. Ciò richiederebbe la consultazione di una serie di libri. Ho lasciato questo compito a storici e scrittori delle diverse missioni. Ho accettato volentieri alcuni suggerimenti sul come migliorare i contenuti di questa edizione stampata. 1. Ho sviluppato la storia dei nostri confratelli della Provincia Tedesca prima della riunificazione del 1979. Quando preparai il manoscritto, contattai il Provinciale d’allora, ma egli non poté’ aiutarmi. Questa volta, sono stato per una settimana nella Casa Provinciale di Bamberga. Grazie all’aiuto del Provinciale e dei padri Engl Silvester, Klose Georg ed Ellinger Anton, ho potuto consultare libri e apprendere molte cose viva voce. 2. Saggi sui nostri predecessori. Il buon esempio dei nostri predecessori deve avere un impatto su di noi. È vero che pochissima gente impara dalla storia, ma alcuni lo fanno. I nostri predecessori ci hanno dato solide fondamenta. È necessario conoscere la loro spiritualità’, il loro coraggio e il loro spirito di fede e di sacrificio. In questo modo, potremo continuare a far crescere il nostro Istituto. Ognuno di noi, naturalmente, deve esercitare la sua capacita’ di discernimento, prendendo il meglio e lasciando ciò che non è chiaro. Non bisogna, tuttavia, buttare via il bambino con l’acqua sporca. Per le nostre considerazioni, ho scelto pochi predecessori tra Vescovi, Fondatori e testimoni. Nessuno può’ pianificare il futuro, a meno che conosca il passato e cominci il viaggio nel presente; altrimenti si rischia spesso di cominciare da zero. Un viaggio spirituale richiede continuità. Ma se si interrompe il viaggio, saltando da una spiritualità all’altra, da un’ideologia all’altra, allora si perde tempo. Quelli tra noi che pensano di essere progressisti, devono sapere molto bene quale è il loro punto di partenza, altrimenti si rischia di tornare indietro fino ad Adamo ed Eva. Nella Bibbia, al momento della creazione Adamo ed Eva si ritennero capaci di giudicare ciò che è bene e ciò che è male. L’umanità’ è ancora li. Molti progressi tecnici e materiali sono stati raggiunti, ma, per quanto riguarda il peccato, possiamo dire che è commesso non solo dagli individui, ma anche dalle società’. Molti Parlamenti si sono auto-costituiti giudici di ciò che è bene e di ciò che è male per tutti. Dopo la scelta di Adamo ed Eva, Caino uccise Abele. Ciò accadde ed accade quando l’umanità prende nelle proprie mani le leggi di Dio. Oggi il pericolo è il conformismo e l’accettazione dei modelli della società, secondo l’assunto che bisogna seguire i segni dei tempi senza discernimento comunitario. Ciò è contrario all’avvertimento di S. Paolo: “Non conformatevi alla mentalità di questo mondo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, cosi da poter discernere la volontà’ di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto” (Rom 12, 1-2).

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Questo è il programma generale per ognuno di noi e per lo stesso Istituto. Se non guardiamo al passato, non avremo neppure un modello per oggi e per domani. Il confronto col passato ci aiuta a discernere e a verificare oggi le nostre posizioni. Ringrazio tutti quelli che mi hanno aiutato nella ricerca e nella logistica. Il mio grazie profondo soprattutto a P. Milani Venanzio, allora Vicario Generale, che ha autorizzato e seguito la stampa, e a P. Piergiorgio Prandina che ha curato con amore e dedizione la presentazione e la stampa. Mi auguro che questo libro sia utile a coloro che guarderanno al suo contenuto senza pregiudizio e con sguardo limpido. P. Tarcisio Agostoni, Mccj

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PARTE PRIMA

PORTARE IL VANGELO NELLA VALLE DEL NILO

Capitolo Primo LA CRISTIANITÀ IN AFRICA

1. I primi anni Il continente africano non fu l’ultimo a ricevere il messaggio di Cristo. Lo stesso Gesù andò in Africa, in Egitto da bambino (vedi Matteo 2:13-14) La Buona Novella fu portata in Africa prima di ogni altra nazione al di fuori della Palestina. Atti 8:16-40 descrivono come Filippo il Diacono incontrò l’eunuco etiope, un convertito al giudaismo il quale si era recato a Gerusalemme a pregare. Che un etiope possa essere ebreo è possibile, in quanto su un’isola chiamata Elephantine, sul Nilo, vicino ad Assouan esisteva una grande comunità ebraica dedicata al commercio fra l’Egitto e la Nubia (vedi “Cristianità nel Sudan “Giovanni Vantini pag. 333). “Etiope “all’epoca significava nero, ed il territorio allora chiamato Etiopia si estendeva a sud delle prime Cataratte del Nilo, dove oggi si trova la Diga di Assouan ed il lago Nasser. L’eunuco era un funzionario del “Kandake” che è la traduzione greca di “Katoki” il nome dato a diverse regine di Meroe, un regno che si trovava fra le attuali Atbara e Khartoum. Dopo il suo battesimo “andò per la sua strada pieno di gioia”, presumibilmente portando ad altri il messaggio. Comunità cristiane si stabilirono nell’Africa Settentrionale all'epoca dell’Impero Romano . Sappiamo di sei martiri uccisi nell’anno 180 nel villaggio di Scala, Numidia (Algeria del Nord), e delle Sante Perpetua e Felicita , divenute martiri nell’anno 203 Entro il Terzo secolo erano state istituite delle diocesi: quando S. Cipriano, Vescovo di Cartagine divenne martire nell’anno 258. Sappiamo che grandi folle dei suoi seguaci erano presenti. Entro l’anno 400 DC, il Nord Africa era predominantemente Cristiano e centro teologico della Chiesa. Da quei luoghi emersero Vescovi come Atanasio, Agostino di Hippona, un berbero nato da madre cristiana di Thagaste. Dal Nord Africa i missionari si sparsero ovunque: Verona, una chiesa che più avanti avrebbe mandato centinaia di missionari in Africa, fu convertita da un nero , San Zeno, un compagno di classe di Sant’Agostino (morto nel 371). Era una Chiesa missionaria vibrante! Anche la vita monastica, fiorì in Egitto, prima come vita eremitica (Sant’Antonio Abate, 251-356, la cui festa cade il 17 gennaio) e poi come vita cenobitica (S. Pacomio). Entro il 430 DC c’erano quasi 600 Vescovadi in Nord Africa. 2. L’era Musulmana Poi, in ondate successive, l’eresia Donatista, i Vandali e soprattutto i Musulmani presero possesso di tutta l’area. Ai tempi di Papa Gregorio VII (1073-1085) rimanevano solo tre Vescovadi Cristiani e nel tredicesimo secolo erano spariti anche quelli. Solo l’Etiopia Monofisita (dove conversioni su larga scala erano avvenute ai tempi di S. Frumenzio nel 4° secolo) ed una minoranza Copta in Egitto sopravvissero a questa avanzata.

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Declino e valutazione È stato osservato che la Chiesa Nord Africana non tradusse né la Bibbia né la liturgia in lingua berbera e non fece uso della cultura indigena per creare una Chiesa Nord Africana, che avrebbe potuto quindi sopravvivere alla dominazione dell’Islam… Sembra piuttosto che all’apice della espansione cristiana, la cultura provinciale latina fosse ansiosamente ricercata dagli abitanti assieme al Cristianesimo. La Chiesa in Nord Africa fu una Chiesa che usava esclusivamente il latino. Mentre il latino più tardi scomparve in Nord Africa , la lingua berbera sopravvisse. è qui che si può vedere una differenza fondamentale fra la Chiesa Nord Africana e la Chiesa Egiziana. In Egitto ed Etiopia la Fede Cristiana (La Bibbia, Liturgia ecc.) fu subito espressa nelle lingue Copte ed Etiopi, ed anche nelle lingue delle minoranze. Se la Bibbia e la Liturgia fossero state tradotte nella lingua berbera, è possibile che la Cristianità fosse sopravvissuta nonostante l’invasione islamica, come fu il caso in Egitto ed il Medio Oriente. Le cause immediate per il declino della Chiesa cattolica in Nord Africa sembrano essere le seguenti: L’invasione e la dominazione arabo-musulmana portò ad un considerevole declino della popolazione Cristiana. Tale declino fu causato dalla fuga di molti Cristiani in Italia e Francia, come pure dalla morte di molti abitanti durante le furiose battaglie per il possesso delle città , la maggior parte delle quali erano Cristiane. Un’altra causa è la pressione fatta sui Cristiani e pagani a convertirsi all’Islam. Nell’Africa del Nord, a seguito dell’invasione arabo-musulmana, i Cristiani che rimanevano furono dapprima trattati secondo le normali pratiche dei conquistatori, cioè, fu loro permesso di praticare la loro religione pagando una tassa e a patto che rinunciassero a far propaganda della loro fede. Ma, dal 720, sotto il Califfo Omar II, grande pressione fu fatta su quei berberi che rimanevano Cristiani a convertirsi all’Islam, e molti capitolarono. Con una rapida conversione dei Mori, seguita da un graduale calo di resistenza, l’Islam poté indebolire la Chiesa Nord Africana, la quale gradualmente sparì del tutto (Sinodo per l’Africa : Lineamenta 1994). Nota Bene : Il Donatismo è eresia a causa dei seguenti errori: – Se il ministro di un sacramento è in peccato mortale, il sacramento si ritiene non valido. – Cristiani battezzati che abbandonano la Chiesa, al loro ritorno devono essere ribattezzati – I Cristiani che cambino una sillaba della Bibbia o una lettera o brucino il libro si meritano una grande punizione. 3. Evangelizzazione 15° e 16° secolo L’esplorazione della costa africana nel 15° secolo portata avanti dai portoghesi fu presto accompagnata dallo sforzo di evangelizzazione. Sin dal 1462 Papa Pio II affidò l’evangelizzazione della costa della Guinea ai Francescani guidati da Alfonso Da Bolano. Entro il 1486, sia i Domenicani che altri erano attivi nell’Africa Occidentale , principalmente fra i Wolof in Senegambia. La missione della Guinea dipendeva da quella di Capo Verde dove fu successivamente creato un Vescovado nel 1553. Su richiesta del re del Benin, il quale aveva avuto contatti con i portoghesi nel 1485, la Chiesa si stabilì in quel regno, servita solo saltuariamente da São Tomé che diventò vescovado nel 1534 sotto Papa Paolo II. Essa però rimase quasi inattiva. Nel Congo (ex Zaire), l’evangelizzazione sistematica ebbe inizio nel 1490, guidata da Francescani, Canonici Secolari di San Giovanni l’Evangelista, con preti e laici, e sin dall’inizio il suo successo fu strepitoso. Nzinga fu battezzato con il nome di Dom Jodo (1491). Una Chiesa fu costruita nella sua capitale, chiamata São Salvador. Un vero regno Cristiano, modellato su quello portoghese, crebbe sulla riva sinistra del fiume. Durante il regno di Re Alfonso (1506-1543) la Cristianità si espanse notevolmente. Missionari arrivavano regolarmente

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dal Portogallo, e giovani congolesi venivano mandati in Portogallo per essere istruiti. Dom Henrique, figlio del Re, fu eletto (1518) e consacrato (1521) Vescovo titolare di Utica. Tornò presto nel Congo ma morì nel 1530. Domenicani, Carmelitani Scalzi, e Gesuiti inviarono missionari. São Salvador, divenne Sede Episcopale nel 1597. In Angola l’evangelizzazione ebbe inizio nella seconda metà del 16° secolo. Padre Francis Borgia il Superiore Generale si era prefisso di istituire una missione per la Società di Gesù. La missione angolana, non ebbe, inizialmente, lo stesso successo di quella congolese. Fu istituita soltanto quando i Vescovi di São Salvador fissarono la loro residenza a Luanda nel 1626. Bisogna dare credito ai primi missionari portoghesi nel Congo e in Angola in quanto mostrarono una notevole lungimiranza missionaria nell’istituire un seminario per la formazione di preti indigeni. Sulla costa orientale dell’Africa, in particolare nel Mozambico, l’evangelizzazione iniziò durante la prima metà del 16° secolo. San Francesco Saverio, si fermò in Mozambico durante il suo viaggio verso est. Nel 1561 l’Imperatore di Monomatapa fu battezzato, e fu così che ci fu un forte movimento verso la Chiesa Cattolica. Queste speranze sarebbero state distrutte a causa di influenze ed intrighi musulmani. Entro il 1591 la missione nel Mozambico contava 20.000 Cattolici. Durante il 17° secolo, nuovi sforzi evangelici si ebbero in Monomatapa da parte dei Domenicani. Furono costruiti un collegio ed un seminario. è opportuno sottolineare che un gruppo di 300 portoghesi e Cristiani africani furono uccisi per la loro fede a Mombasa nel 1631 durante una persecuzione che fu iniziata da un Re locale Jeronimo Chagulia che si era convertito all’Islam. Fu un vero martirio che unì in una sola fede europei, africani, e coloro che avevano sangue misto. Preti e laici, tutti offrirono le loro vite. Nel corso del 18° secolo. Però, declino e decadenza si insinuarono fra le comunità Cristiane e fra i missionari, e per la metà del 19° secolo, le missioni portoghesi Cristiane nell’Africa orientale erano praticamente estinte. Possibili ragioni per il fallimento Nonostante gli eroici sforzi evangelici dei secoli 15° e del 16°, la Cristianità nell’Africa sub Sahariana, all’inizio del 19° secolo non ne rimaneva più niente. Fra molte delle ragioni per tale estinzione le seguenti sono degne di menzione. Le missioni nell’Africa Sub Sahariana esigevano il privilegio di patronato (patroado) , già loro accordato dai Papi. L’insistenza da parte del Portogallo sui suoi privilegi “Patroado” praticamente annullava gli sforzi della Sacra Congregazione di Propaganda Fide di esercitare un controllo concreto e di indirizzare l’evangelizzazione verso quei territori. Mentre insisteva sui suoi privilegi di patronato, che permettevano di escludere dall’Africa Sub Sahariana i missionari provenienti da altre nazioni, il Portogallo si trovava in difficoltà a fornire un numero sufficiente di missionari alla regione. Questo stato di cose portò anche a prolungate assenze di Vescovi dai vescovadi africani, che a loro volta portarono al declino e disfacimento di quanto era stato laboriosamente costruito in precedenza. Ad eccezione dei Cappuccini italiani nel Congo ed in Angola, le prime missioni portoghesi, non si posero il problema della necessità di conoscere le lingue africane o capire le usanze , costumi e mentalità della gente. Fu fatto un grossolano errore. Il clima tropicale spesso uccideva i missionari entro poco tempo dal loro arrivo. Questa è una delle ragioni per cui la missione nei regni di Loango e Kakongo dovettero essere abbandonate.

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4. Il periodo di evangelizzazione moderna Verso la metà del 19° secolo l’evangelizzazione dell’Africa fu ripresa, grazie alla eroica dedizione di molti uomini e donne degli Istituti Missionari. Durante il 19° secolo l’influenza spagnola e portoghese era scemata e il sistema di “patroado” si era indebolito e declinava, lasciando spazio alla Sacra Congregazione di Propaganda Fide di prendere fermo possesso della politica e strategia in Africa. Oggi, la Chiesa Cattolica è presente ovunque in Africa; il risultato di un solo secolo di attività apostolica. Quando l’evangelizzazione dell’Africa fu ripresa nel 19° secolo, la Sacra Congregazione di Propaganda Fide seguì la prassi secondo la quale ogni missione di nuova creazione sarebbe stata affidata ad un Istituto missionario specifico. Questa era il così detto “Ius commissionis”. Durante il secolo scorso è stato riconfermato da una Istruzione della stessa Sacra Congregazione di Propaganda Fide, emanata l’8 dicembre 1929. Il 24 febbraio 1969 la Sacra Congregazione di Propaganda Fide emanò una nuova istruzione, “Relationes in Territoriis”, che armonizza molto di più con le nuove situazioni nella maggior parte dei territori missionari, una situazione caratterizzata dalla creazione di gerarchie locali, e sempre più diocesi affidate al clero secolare ecc. La nuova istruzione armonizza anche con i principi dottrinali evidenziati dal Vaticano II concernenti il ruolo del Vescovo diocesano nella Chiesa e nella sua diocesi. 5. Un nuovo periodo La crescita di vocazioni da parte di indigeni africani al sacerdozio ed alla vita religiosa giustifica anche il concetto di un nuovo periodo di evangelizzazione in Africa. Quando Papa Giovanni Paolo II nel 1980 parlò a sacerdoti , religiosi e seminaristi a Kinshasa, Congo, nell’occasione del centenario di evangelizzazione della nazione, disse inter alias: “Avete vissuto il primo grande periodo, un periodo irreversibile. Una nuova fase si apre adesso per voi, non meno esaltante, anche se implica nuove difficoltà, e forse tentazioni di scoraggiamento. è la fase di perseveranza, nella quale è necessario rafforzare la fede, la conversione profonda delle anime, e il modo di vivere, così che sempre più corrisponderanno alla vostra sublime vocazione Cristiana. In più dovete voi stessi proseguire lo sforzo della prima evangelizzazione in aree o ambienti dove il Vangelo è ancora sconosciuto. “ Questa nuova fase è la fase in cui gli africani diventano missionari di loro stessi. La fase di una nuova evangelizzazione, nuova non nel contenuto che è Cristo ed il Suo messaggio, ma “nuova nel suo ardore, nuova nel metodo e modo di esprimersi” (Assemblea Speciale del Sinodo per l’Africa 1944.)

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STATISTICHE 1. Situazione attuale in Africa (2001) Cardinali Diocesi Arcivescovi Vescovi (inclusi pensionati e titolari) Sacerdoti diocesani Religiosi e Missionari Fratelli Monache Seminari importanti Missionari laici Catechisti Ospedali Dispensari Campi lebbrosi Orfanotrofi Istituti per handicappati o anziani Scuole materne Scuole elementari Scuole secondarie

14 479 155 601 18.135 10.176 7.299 51.617 816 1.248 356.259 977 4.701 339 797 532 11.672 30.245 7.297

2. Maggiori religioni africane 1980 Cristiani 203.490.710 Cattolici 66.207.840 Protestanti 37.981.610 Evangelisti 29.527.660 Ortodossi 23.166.700 Anglicani 10.674.585 Evangelisti Anglicani 7.183.100 Chiese Indipendenti 24.457.970 Musulmani 189.728.390 Religioni tradizionali 63.872.800

2000 393.326.210 131.531.540 74.466.310 59.980.200 37.355.900 20.833.460 15.173.500 54.355.960 338.565.460 72.351.470

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3. Regioni Ecclesiastiche A. Regioni Ecclesiastiche in Africa SECAM: Symposium of Episcopal Conferences of Africa and Madagascar (French: SCEAM). Simposio delle Conferenze Episcopali dell’Africa e del Madagascar (Francese: SCEAM) AMECEA: Association of members of Episcopal conferences of East Africa (Malawi, Zambia, Kenya, Tanzania, Uganda, Ethiopia, Sudan). Associazione dei Membri delle Conferenze Episcopali dell’Africa Orientale. (Malawi, Zambia, Kenya, Tanzania, Uganda, Etiopia, Sudan). CERNA: Conferences Episcopal de la Region de l’Afrique du Nord (Algeria, Marocco, Tunisia, Libia). Conferenze Episcopali della Regione dell’Africa Settentrionale (Algeria, Marocco, Tunisia, Libia). AECAWA: Association of Episcopal Conferences of Anglo phone West Africa. (Nigeria, Ghana, Sierra Leone, Liberia, Gambia). Associazione delle Conferenze Episcopali dell’Africa Occidentale Anglofona (Nigeria, Ghana, Sierra Leone, Liberia, Gambia). ACERAC: Association des Conferences Episcopales de la Region de l’Afrique (Congo Braza, Central African Republic, Chad, Cameroon, Gabon, Equatorial Guinea). Associazione delle Conferenze Episcopali della regione dell’Africa Centrale (Congo, Central African Republic, Chad, Cameroon, Gabon, Equatorial Guinea). ACEAC: Association des Conferences Episcopales de l’Afrique Central (Congo, Ruanda, Burundi). Associazione delle Conferenze Episcopali dell’Africa Centrale (Congo, Ruanda, Burundi). CERAO: Conference Episcopal Regional de l’Ouest Francophone (Benin, Burkina Faso, Costa D’Avorio, Guinea, Guinea-Bissau, Mali, Mauritania, Niger, Senegal. Togo). Conferenza Episcopale Regionale dell’Africa occidentale Francese.(Benin, Burkina Faso, Costa D’Avorio, Guinea, Guinea-Bissau, Mali, Mauritania, Niger, Senegal Togo). IMBISA: Inter-regional Meeting of Bishops of Southern Africa (Angola, Botswana, Lesotho, Mozambique, Namibia, São Tome y Principe, South Africa, Swaziland, Zimbabwe). Meeting Inter- Regionale dei Vescovi del Sud Africa (Angola, Botswana, Lesotho, Mozambique, Namibia, São Tome y Principe, South Africa, Swaziland, Zimbabwe. RMI: Region of Madagascar and Islands (Madagascar, Seychelles, Mauritius, Reunion, Comoros). Regione del Madagascar ed Isole (Madagascar, Seychelles, Mauritius, Reunion, Comoros). ACHE: Assembly of the Catholic Hierarchy of Egypt. Assemblea delle Gerarchie Cattoliche d’Egitto. B. Regioni Ecclesiastiche in America Latina C.E.L.A.M: Consejo Episcopal Latino Americano. S.E.D.A.C: Secretariado Episcopal de America Central y Panama. C. Regione Ecclesiastica in Asia F.A.B.C: Federation of Asian Bishops Conferences D. Regione Ecclesiastica in Europa C.C.E.E: Concilium Conferentiarum Episcoparum Europae.

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4. Religioni nel mondo 1990 5,266,442,000 1,747,462,000 962,356,000 685,999,000 323,107,000 145,719,000 707,118,000 92,396,000 200,035,000 19,332,000 14,189,000 3,518,980,000

Popolazione Mondiale Cristiani (tutti) Musulmani Induisti Buddisti Atei Nessuna Religione Nuove religioni Religioni Tribali Sikh Ebrei Non Cristiani (tutti)

2000 6,055,049,000 1,999,566,000 1,188,240,000 811,337,000 359,982,000 150,090,000 768,159,000 102,356,000 228,367,000 23,258,000 14,434,000 4,055,483,000

2025 7,823,703,000 2,616,670,000 1,784,876,000 1,049,231000 418,345,000 159,544,000 875,121,000 114,720,000 277,247,000 31,378,000 16,053,000 5,207,033,000

5. Statistiche della Chiesa Cattolica Continenti MONDO

Africa

America

Asia

Europa

Oceania

Popolazione 1997 1998 1999 1997 1998 1999 1997 1998 1999 1997 1998 1999 1997 1998 1999 1997 1998 1999

5,820,767,000 5,855,623,000 5,936,398,000 756,896,000 748,612,000 768,999,000 788,153,000 799,804,000 810,521,000 3,562,142,000 3,592,965,000 3,641,696,000 684,421,000 684,384,000 684,909,000 29,155,000 29,858,000 30,273,000

Variazioni +80,677,000 +34,856,000 +80,775,000 +14,978,000 -8,284,000 +20,387,000 +7,006,000 +11,651,000 +10,717,000 +59,241,000 +30,823,000 +49,530,000 -874,000 -37,000 +525,000 +326,000 +703,000 +415,000

Cattolici 1,005,254,000 1,018,257,000 1,033,129,000 112,871,000 116,664,000 124,270,000 495,756,000 504,787,000 512,153,000 105,294,000 105,742,000 107,044,000 283,313,000 283,023,000 281,704,000 8,020,000 8,041,000 7,958,000

Variazioni +10,126,000 +13,003,000 +14,872,000 +3,600,000 +3,793,000 +7,606,000 +4,591,000 +9,031,000 +7,366,000 +2,064,000 +448,000 +1,302,000 -102,000 -29,000 -1,319,000 -27,000 -21,000 -83,000

Alla fine del 1999, la popolazione mondiale era di 5,936,398,000 individui con un aumento di 80,775,000 unità in confronto all’anno precedente.

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L’aumento globale di 80,7 75,000 è distribuito nei continenti nel seguente modo: 49,530,000 in Asia, 20,387,000 in Africa, 10,171,000 in America, 525,000 in Europa e 415,000 in Oceania. Alla Stessa data, il numero di Cattolici era 1,033,129,000 con un aumento di 14,872,000 in confronto al 1998: distribuito come segue per continente: aumento di 7,366,000 in America, 7,606,000 in Africa, 1,302,000 in Asia; una diminuzione di 1,319,000 in Europa una diminuzione di 83,000 in Oceania. Nota. Il numero di Cattolici non include Cattolici in quei paesi dove non è possibile fare un censimento.

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Capitolo Secondo CRISTIANITÀ NELLA VALLE DEL NILO

1. Il Primo Millennio Durante le persecuzioni del Terzo Secolo (Decio 250, Diocleziano 289-305) molti Cristiani si rifugiarono nell’Egitto Meridionale. Per loro deve essere stato facile prendere contatti con gli abitanti della Nubia che vivevano fra Assouan e Khartoum. Atanasio, Vescovo di Alessandria dal 328 al 372, creò un vescovado a File a Sud di Assouan: conosciamo i nomi di sei Vescovi i quali occuparono la Sede fra il 325 ed il 543. La crescita della Cristianità nella Nubia è dovuta all’influenza di Costantinopoli: nell’anno 529 l’imperatore romano Giustiniano, voleva mandarvi missionari. Sua moglie, Teodora, seguace dell’eresia Monofisita, lo anticipò e mandò il suo sacerdote, Giuliano, con un messaggio per il Governatore dell’Egitto Superiore. In questo messaggio lo minacciò di morte qualora permettesse il messaggero dell’imperatore di arrivare per primo nella Nubia (Regno di Nobatia). Nel 580 DC l’intera Nubia era apparentemente Cristiana: il Re di Soba (Khartoum) scrisse in quell’anno al Re di Dongola: “Cristo è con noi”. Non è chiaro come ebbe luogo una così massiccia conversione, ma scavi archeologici effettuati nel 1960 nel deserto della Nubia suggeriscono che i Re di Nobatia (Nord), Makuria (Centro) e Alodia (Khartoum e le terre a sud di essa) furono convertiti per primi, poi seguiti dalla loro popolazione. Le stesse scoperte archeologiche indicano una presenza Cristiana che durò un millennio fra il sesto ed il sedicesimo secolo. Furono trovate chiese costruite in uno stile tipico. Degna di nota fra queste chiese è la Cattedrale di Faras che si trovava a circa 300 km a sud di Assouan, con conventi, tombe con simboli Cristiani, 160 affreschi, 800 iscrizioni in lingue differenti (greco, copto, nubiano, arabo). Nella Cattedrale di Faras fu trovata una lista con i nomi di 27 Vescovi. Quando questi Cristiani nubiani vennero in contatto con i musulmani provenienti da Nord, furono gradatamente assorbiti dalla loro religione, come accadde in Nord Africa, come abbiamo già avuto modo di vedere. Una delle ragioni di questo dissolvimento è anche dovuta al fatto che i sacerdoti erano forniti dall’Egitto e non fu fatto nessuno sforzo di preparare gli indigeni al sacerdozio. La cultura locale, comunque mantiene alcuni usi e costumi che derivano dalla passata storia Cristiana (vedere Vantini, “Christianity in the Sudan”, pagine 206-208). 2. Gli Esploratori europei alla ricerca delle Montagne della Luna Claudius Ptolemy, un geografo del Secondo Secolo di Alessandria d’Egitto, era convinto che esistessero le “Montagne della Luna” le cui nevi nutrivano il lago dal quale sorgeva il Nilo. Non esiste nessun riscontro storico, tuttavia, che altri, a parte gli abitanti locali, abbia visto questa favolosa montagna e le sorgenti del Nilo fino al secolo diciannovesimo. Alcuni ritenevano che le sorgenti del Nilo si trovassero sul Lago No nel Chad o nell’Etiopia Sud Ovest. Verso la fine del 18° secolo, il desiderio di esplorare l’interno dell’Africa divenne impellente per svariate ragioni: il commercio, la politica, curiosità, o soltanto spirito d’avventura. Possiamo suddividere questo periodo in tre fasi: Ø 1788-1848 . Un certo numero di associazioni furono formate, come quella di Sir Joseph Banks “per promuovere la scoperta delle parti interne dell’Africa”; o Società geografiche come quella di Parigi (1821), Berlino (1828), di Francoforte 1836) Pietroburgo (1845), Vienna(1856). Circa 500 esploratori persero la vita cercando di portare a termine queste esplorazioni, e per di più con scarsi risultati.

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Ø 1848-1880. La maggior parte delle esplorazioni che ebbero successo furono portate a termine da gente come Livingstone, Stanley, Grant, Speke, ed altri inclusi i nostri stessi missionari fra i quali P. AngeloVinco e P. Ignatius Knoblecher. Ø 1880. Le potenze Coloniali europee fanno di tutto per potere controllare il continente. Nel 1884 le più potenti nazioni europee ad una conferenza che ebbe luogo a Berlino divisero l’Africa in sfere d’interesse che ognuna avrebbe controllato. Uno degli obiettivi più ambiti erano le sorgenti del Nilo. 3. Il Vicariato dell’Africa Centrale a. Il tentativo di raggiungere l’Africa Centrale In seguito a queste ricerche, anche all’interno della Chiesa cattolica si cominciò a parlare della necessità di portare il messaggio liberatore del Vangelo nel cuore dell’Africa. Vi abitavano 100 milioni di persone, si diceva, sfruttate da schiavisti e mercanti d’avorio Nel 1844 un prete maltese si interessò alla regione: Annetto Casolani era Canonico della Cattedrale della Valletta che aveva viaggiato molto nei paesi arabi e si teneva informato su tutto quello che riguardava le esplorazioni, grazie alla sua conoscenza della lingua araba ed i contatti che aveva con le varie Associazioni britanniche . Dopo aver letto il libro scritto da I. Pallme “Viaggi nel Kordofan”, impressionato dalla crescita dell’influenza islamica fra i neri del Sudan occidentale, egli scrisse alla Congregazione di Propaganda Fide suggerendo di mandare una missione nell’Africa Centrale per contrastare l’avanzata islamica e con essa la schiavitù. Korfodan e Sennaar erano giù perduti, ma non era troppo tardi per i Nubani, il Kodoro e gli Shilluk, sempre ché ci si muovesse con tempestività. Casolani aveva solo vaghe nozioni sull’ assetto del territorio ma suggerì di partire da Tripoli procedendo poi per Ghadames, il Lago Chad e Timbuktu. Chiunque sarebbe stato a capo di questa spedizione avrebbe dovuto “indossare abiti poco appariscenti, non portare simboli religiosi e far in modo che nessuno indovinasse quale era il suo vero scopo” (Questi suggerimenti si basavano sulle indicazioni che I. Pallme aveva dato agli austriaci.) Il Cardinale Prefetto di Propaganda si interessò alla cosa, ed avendo richiesto dal Canonico Casolani ulteriori informazioni sulla missione, chiese al Prefetto Apostolico di Tripoli, in Lybia, che cosa ne pensasse della proposta. Il Prefetto Apostolico approvò il piano e suggerì Timbuktu come base della missione. Avendo sentito dire che anche l’arcivescovo Anglicano di Gibilterra si apprestava a mandare una missione da Tripoli nell’Africa Centrale, Propaganda Fide, il 26 gennaio 1846, istituì, senza ulteriori indugi, il Vicariato dell’Africa Centrale. Confinava con i territori ecclesiastici di Tripoli ed Egitto a Nord, la Prefettura d’Abissinia ad est, si arrampicava su per le Montagne della Luna a Sud e arrivava fino al regno della Guinea ad Ovest. La frase “Il deserto e la così detta Africa Centrale “alla quale si fa riferimento si trovavano grosso modo fra i paralleli 8 e 16 ed i meridiani 4 e 15 ed includevano quelle che oggi sono Sudan, Uganda, Kenya, Tanzania, Burundi, Ruanda, la Repubblica Centro Africana, Nigeria e parti del Congo, Lybia , Algeria, e Cameroon. b. Il Vescovo A. Casolani Il Canonico Casolani fu la scelta ovvia per Propaganda Fide come responsabile della missione. Quando ne fu informato, la sua prima reazione fu di dire che lui non era l’uomo adatto a questo lavoro. A seguito di ulteriori pressioni, accettò, ma aggiunse che se doveva guidare la spedizione voleva essere assistito da Gesuiti.

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IL Superiore Generale dei Gesuiti, però declinò l’invito a partecipare al progetto dicendo di non avere né mezzi né uomini sufficienti, e soprattutto perché credeva che una Missione nell’Africa Centrale non avesse nessuna possibilità di successo. Ad ogni modo, disse, prima di prendere una decisione in merito, si doveva prima mandare una spedizione per vedere se la cosa fosse fattibile. Solo per quest’ultimo scopo era pronto ad offrire P. Maximillian Ryllo, a quel tempo Rettore del Collegio di Propaganda Fide. Il 30 marzo 1846 Propaganda Fide elesse il Canonico Casolani a capo del nuovo Vicariato, contrariamente a quanto era di solito fare – e cioè affidare un territorio ad un Prefetto Apostolico, e, solo in un secondo temo quando la comunità Cattolica era già di una certa consistenza, ad un Vicario Apostolico, Vescovo. – fu immediatamente consacrato Vescovo, di modo che potesse avere ampi poteri decisionali senza dover continuamente far riferimento a Propaganda Fide. Il 24 maggio 1846 Casolani fu consacrato vescovo, gli fu chiesto di reclutare volontari da portare con se nella sua missione e di partire entro la prima settimana di gennaio 1847. A marzo del 1847 Casolani si trovava ancora a Malta (nonostante le continue pressioni da Propaganda Fide di mettersi in viaggio per Khartoum), cercando di fondare a Malta un seminario per la missione, mentre aspettava le lettere di raccomandazione per le autorità egiziane e via discorrendo. Si risentì della continua pressione esercitata su di lui e fece notare che il suo piano originale era stato stravolto. Infatti Il territorio affidatogli, adesso includeva (probabilmente su richiesta di P. Ryllo) Kordofan, Darfur e Sennar – che Casolani aveva esplicitamente escluso dal suo Piano. Considerando i nuovi confini e nuove informazioni ottenute sul territorio, era stato deciso che Khartoum sarebbe stata la base; e per arrivarci sarebbero passati dalla Valle del Nilo. Il 25 marzo 1847 dette le sue dimissioni come capo della missione, disposto, però, a prenderne parte come semplice membro del gruppo (ci andò più tardi, e in effetti, per le autorità, era lui il Superiore della Missione fu a lui che fecero tutti gli onori dati normalmente ad un Patriarca, titolo che egli aveva appositamente scelto). b. P. Massimiliano Ryllo Propaganda Fide accettò le dimissioni del Vescovo Casolani ed il 27 aprile 1847 nominò P. Ryllo capo della Missione con titolo di Pro Vicario. P. Ryllo era un sacerdote Gesuita Lituano che aveva già portato a termine missioni diplomatiche per conto della Santa Sede in Russia ed in Medio Oriente (dove le autorità egiziane avevano una volta messo una taglia sulla sua testa per aver aiutato gli abitanti del luogo a resistere all’occupazione egiziana), parlava diverse lingue incluso l’arabo. Il Superiore Generale dei Gesuiti, P. J. P. Rootmann, lo descrisse come uomo robusto, grande pensatore, pieno di coraggio e zelo, sempre pronto a buttarsi nelle imprese più pericolose e difficili per la gloria di Dio. Avuto notizia della nomina di P. Ryllo come Pro Vicario, il generale dei Gesuiti scrisse a Casolani dicendogli che a P. Ryllo non doveva essere data nessuna responsabilità per tutto quello che concerneva il danaro. “Egli eminentemente odia tutte le cose terrene, ed il suo comportamento lo porta ad estremi che potrebbero avere delle conseguenze terribili .. cioè debiti e bancarotta”: Gli dette quindi un “angelo custode” per quanto riguardava il danaro in modo specifico, un suo confratello P. Pedemonte (i padri Pedemonte e Knoblecker erano stati mandati in Libano a studiare l’arabo). Padre Ryllo si mise in viaggio per Alessandria con P. Pedemonte. Fu raggiunto là da due ex alunni del Collegio di Propaganda Fide anch’essi volontari per questo nuovo Vicariato, e che erano già stati nel Libano a studiare l’arabo: lo sloveno Ignazio Knoblecher e l’italiano Angelo Vinco. Quest’ultimo era un prete proveniente dal Collegio di Don Mazza di Verona. Poco tempo dopo arrivò anche Casolani. Siccome Muhammad Ali Pasha riteneva la presenza di missionari nell’Egitto Superiore cosa buona e si teneva in contatto epistolare con papa Gregorio XVI, egli non ostacolò in nessun modo l’avanzamento del gruppo lungo il Nilo (vedere Mc Ewan “A Catholic Sudan Dream “, P. 16). Dopo alcuni mesi trascorsi in Egitto, il gruppo salpa da il Cairo il

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28 settembre 1847, e ritardati da Ryllo che era già molto malato di dissenteria, arrivarono a Khartoum l’11 febbraio 1848 (vedere Hill, “The Opening of the Nile Basin”, pagine 31-44). Non furono I primi sacerdoti a mettere piede in Khartoum. Nel maggio 1842, un italiano, Luigi Montuori nato in Italia, ma proveniente dalla Francia, della Società di San Vincenzo de Paoli, fuggendo da persecuzioni in Etiopia, aveva aperto una chiesa ed una scuola cattolica nella città, ed aveva anche acquistato un piccolo appezzamento di terreno per un cimitero. Un confratello, P. G. Serao, lo aveva presto raggiunto dall’Italia. Nel 1844, però P. Montuori era ritornato in Etiopia, e poco dopo anche il suo confratello partì. P. Ryllo immediatamente comprò una grande casa con giardino (il rappresentante del governo francese a Khartoum aveva venduto la vecchia casa di P. Montuori. Quest’ultimo, appartenendo ad una Società di origine francese non l’aveva resa disponibile al nuovo arrivato “austriaco”) – e costruì una chiesa. Aprì una scuola per orfani ed ex schiavi, dando loro vitto, alloggio, e di cui vestirsi. Raccolse informazioni circa le prospettive apostoliche a sud di Khartoum (dette un resoconto molto ottimistico) –e così facendo usò tutto il danaro a sua disposizione! Morì di dissenteria a Khartoum il 17 giugno 1848 lasciando P. Knoblecher come suo Vicario Generale. d. P. Ignazio Knoblecher La Santa Sede nominò Knoblecher, allora ventottenne, come successore di P. Ryllo. a) P. Ryllo aveva chiesto al Vescovo Casolani di tornare a Roma con le notizie circa il progresso fatto e per recuperare la salute, e a P. Vinco fu dato il compito di reperire danaro. Fu in questa occasione che P. Vinco visitò l’Istituto di Don Mazza e tanto impressionò il giovane Comboni. La partenza di Casolani e Vinco lasciò la Missione con solo due sacerdoti, i Padri Knoblecher e Pedemonte. Per salvare la Missione il Superiore Generale dei Gesuiti mandò soccorsi – due preti, Padri Repetti e Zara e Fratello Olivio che arrivarono a Khartoum nel marzo del 1949 b) Quando nel 1949 P. Vinco, tornò Knoblecher lo prese con se e con P. Pedemonte si misero in viaggio verso sud su di una barca presa a nolo, aggregandosi ad un gruppo di mercanti di avorio, alla ricerca di altri luoghi dove far sorgere missioni. Arrivò fino il villaggio Bari di Logwek, nelle vicinanze di Gondokoro, a circa 1000 miglia a sud di Khartoum e meno di 200 miglia dai confini dell’Uganda sul 4° parallelo Latitudine Nord. Nessun europeo era arrivato così lontano. Inizialmente furono ricevuti dal Capo del villaggio, ma alla fine, a causa di stratagemmi adottati dai mercanti, perpetrati su istigazione delle autorità di Khartoum, non fu loro permesso restare e dovettero tornare a Khartoum. Il viaggio convinse P. Vinco che le prospettive di evangelizzazione fra i Bari erano buone, ma sarebbe stato molto costoso e i missionari avrebbero dovuto recarsi là indipendentemente da mercanti e funzionari governativi. c) Cercando appoggio in Europa, nel 1859 P. Knoblecher vi torno per una raccolta di fondi. Trovò gli Stati Papali nel bel mezzo di sommosse politiche e lo stesso Papa in esilio a Gaeta (nov. 1848- aprile 1850) .Non essendo in grado di dare aiuti finanziari, Propaganda Fide suggerì di chiudere la Missione, almeno per il momento. Il pensiero generale a Roma era che la Missione di Khartoum era troppo costosa da mantenere e che nulla di buono ne sarebbe venuto fuori. Knoblecher, comunque trovò aiuti in Austria. Chiese all’Imperatore di porre la Missione sotto la protezione del governo austriaco, come appendice della Missione egiziana. Per protezione s’intende che il governo austriaco di norma chiedeva ai governi locali di garantire ai suoi protetti un passaggio senza incidenti e di sorvegliare sulla sicurezza personale dei missionari, controllare che non fossero molestati nel loro ministero e che i loro seguaci non fos-

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sero perseguitati per la loro fede. Faceva in modo inoltre, di non dover pagare dazi per quanto importato. I funzionari austriaci avrebbero curato gli interessi dei missionari nel paese dove soggiornavano, e avrebbe inoltrato danaro, corrispondenza e quant’altro, ricevuto per loro conto. Il cardinale Massaia , forse a causa della influenza francese chiamò questa protezione la “austrificazione” della missione. Il console britannico a Khartoum, il sig. Petherick, si unì alla protesta asserendo che l’Austria usava i missionari per convertire il Nilo Bianco e farne una colonia Austriaca (vedere Smith, “Le Origini della Missione dell’Africa Centrale “, P. 139 – Idem. Mc Ewan , P. 44.). La Protezione si manifestò inoltre attraverso l’Associazione Mariana, (“Marien Verein”) fondata da Knoblecher per il reclutamento di missionari e la raccolta di denaro. è ovvio, comunque che da quel momento le opinioni austriache dovevano essere prese in seria considerazione nella scelta del Superiore, e preferibilmente la maggior parte dei missionari avrebbero dovuto essere di provenienza austro – tedesca. Il Comitato centrale dell’Associazione, inoltre, doveva essere tenuto continuamente aggiornato su tutto quanto succedeva. Alcuni osservatori credettero di vedere in questa Protezione un’alleanza dissacrante fra la Chiesa ed il governo austriaco; però l’Austria non ebbe mai ambizioni coloniali sul Sudan, ed i missionari furono sinceramente grati per l’aiuto dato loro. d) Alla Missione fu accordata la Protezione austriaca il 17 marzo 1851. Il Console austriaco in Khartoum, il barone Muller, il quale aveva messo in grave imbarazzo la Missione fu sostituito. La somma di 1.000 fiorini fu donata per liberare gli schiavi ed i Vescovi di tutte le province austriache furono invitati dall’Imperatore ad organizzare collette di danaro per la Missione. L’associazione Mariana (“Marien Verein“), fu costituita lo stesso anno a Vienna provocando grande interesse da parte dei missionari. Aveva sedi nelle maggior parte delle province dell’Impero e pubblicava relazioni provenienti dalla Missione per i suoi “Annali”. I suoi membri erano fra i cinque ed i seimila, e durante i primi dieci anni della sua esistenza raccolse 387.432 Fiorini ma dopo questo periodo languì e declinò a causa delle molte morti tra i missionari e le poche conversioni. Nel 1872 Comboni cercò di ridarle vita e ricevette molti aiuti, ma dopo la Prima Guerra Mondiale, nel 1920/1921 l’Associazione scomparse in quanto l’Austria aveva perso il suo impero ed era diventata una piccola Repubblica impoverita. e. Nuove Missioni nel Sudan Meridionale a) La chiusura della Missione dovuta a mancanza di fondi e personale fu quindi evitata, e Roma nominò Knoblecher Pro Vicario il 13 agosto 1851. Ritornò a Khartoum nello stesso mese, accompagnato da cinque sacerdoti sloveni e diversi artigiani laici. Al loro arrivo tutti i Gesuiti furono richiamati dal loro Superiore Generale, e così ebbe fine l’intervento della compagnia di Gesù nel Sudan fino a non molto tempo fa. Con il danaro raccolto in Austria Monsignore Knoblecher fu in grado di acquistare del terreno a Khartoum (parte del quale appartiene alla Chiesa Cattolica tuttora), la nuova nave “Stella Matutina, e più avanti il terreno per la Missione di Gondokoro (1853) e Santa Croce (1854). Liberò anche un certo numero di schiavi. L’Associazione Mariana avrebbe anche pagato per il viaggio di andata e ritorno dall’Africa sia dei missionari che degli africani, elargendo anche sussidi alle famiglie dei missionari che ne avevano bisogno. Con l’aiuto delle nuove reclute alla fine del 1852 Knoblecher si recò a sud e si unì a P. Vinco il quale nel gennaio1851 era tornato fra i Bari e si stava, proprio in quale momento, preparando a partire per andare ancora più a sud alla ricerca delle sorgenti del Nilo. Padre Vinco, però. si ammalò mentre Knoblecher si trovava ancora là e morì fra le sue braccia il 22 gennaio 1853. (vedere Hill pagine 74-105). Knoblecher tornò a Khartoum e nel 1858 fece un altro viaggio in Europa alla ricerca di fondi e personale, ma morì durante il viaggio a Napoli all'età di 39 anni (vedere Hill pagine 47-73).

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Possiamo affermare che Knoblecher aveva anticipato il Piano di Comboni. Aveva intatti in animo di fondare una scuola per l’istruzione di catechisti a Khartoum, ed in Europa per i sacerdoti del luogo. In ognuna delle stazioni missionarie, i missionari dovevano istruire quei bravi giovani che erano disposti a cooperare con loro. Pensò di chiamare delle Suore per l’istruzione delle ragazze, ma non ebbe successo (vedere Mc Ewan pag. 34). b) La Spedizione Don Nicola Mazza. Durante il suo viaggio verso l’Italia Mons. Knoblecher incontrò ad Assouan un gruppo di cinque sacerdoti ed un fratello provenienti dal Collegio di Don Mazza in Verona che stavano andando verso Khartoum. Fra di loro si trovava Daniele Comboni, allora un giovane sacerdote di 26 anni. Don Nicola Mazza aveva fondato due collegi a Verona per l’educazione di ragazze povere (1828) e giovani intelligenti (1833) che non avevano mezzi per pagare la loro istruzione. Aveva già dato ospitalità a degli africani nel suo collegio per ragazze a Verona e voleva aprire un collegio per ragazzi da qualche parte nel Sudan. P. Mazza era convinto, come altri suoi contemporanei, come P. M. P. Libermann e Beata Suor M. Javouhey che “Stava all’Africa salvare l’Africa” in quanto missionari europei non avrebbero mai potuto portare il Vangelo all’immenso territorio africano da soli. Avrebbero dovuto essere aiutati da giovani uomini e donne africani istruiti, la cui istruzione sarebbe avvenuta sulle coste del continente dove sia gli africani che i missionari si sarebbero sentiti a loro agio. I migliori di essi sarebbero stati mandati in Europa per ricevere un’istruzione superiore, specialmente quelli che desideravano diventare sacerdoti. Questi africani istruiti, a loro volta sarebbero andati all’interno, avrebbero istruito i loro fratelli e sorelle, aperte delle scuole e fondato nuove colonie Cristiane. Dei due preti che si erano recati nel Vicariato dell’Africa Centrale nel 1853 a scegliere un posto idoneo, il primo, P. Antonio Castegnaro morì quasi subito dopo essere arrivato a Khartoum (6 febbraio 1854) e l’altro, P. G. Beltrame aveva ispezionato il territorio, era tornato a Verona a fare rapporto e stava tornando con un piccolo gruppo di sostegno. Con P. Giovanni Beltrame c’erano i Padri Francesco Oliboni, Angelo Melotto, Daniele Comboni, Alessandro Dal Bosco, e un laico Fratello Isidoro Zilli. Uno del gruppo, P. Beltrame stesso rimase come Procuratore a Khartoum, mentre gli altri furono portati da P. M. Kirchner alla Missione della Santa Croce dove P. Joseph Lans era sopravvissuto a P. Bart Mozgan (+ 23 gennaio 1858). Non riuscirono, però a mantenerla. Il capo del gruppo, P. Oliboni morì entro 40 giorni dal suo arrivo; P. Melotto morì l’anno seguente ed anche fr. Zilli morì a Khartoum (11 giugno 1858) . La salute di P. Comboni cedette e dovette essere rimpatriato in Europa alla fine del 1859. I due rimanenti, i padri Beltrame e Dal Bosco partirono nel 1862 quando arrivarono i Francescani. Questi eventi segnarono la fine del coinvolgimento di Don Mazza nel Vicariato dell’Africa Centrale, ad eccezione di un alunno del Collegio, Daniele Comboni. f. Mons. Matteo Kirchner Propaganda Fide nominò successore di Knoblecher con il titolo di Pro Vicario P. Matteo Kirchner, un sacerdote tedesco. Quando Kirchner arrivò, più della metà dei missionari reclutati da Knoblecher erano già deceduti, e rimase con solo cinque uomini. Le prospettive di nuove vocazioni, inoltre erano ovviamente, molto poche ; pochi volontari si facevano avanti data l’alta mortalità fra i missionari. L’istruzione degli africani in Europa segnò il passo con l’abolizione della tratta degli schiavi nel 1854 in quanto diventò molto difficile far uscire i bambini dall’Africa attraverso l’Egitto. Nel Sudan, al contrario, lo schiavismo stava aumentando e gli africani non volevano mandare i loro figli alla missione temendo che sarebbero stati venduti come schiavi. Il clima e l’ambiente europeo, specialmente nel nord, a Verona, erano insopportabili per diversi africani che non sopravvissero, d’altro canto , coloro che si ambientarono bene non si sentivano più a loro agio in Africa. Mons. Kirchner prese una drastica decisione per salvaguardare la salute dei suoi missionari: rimosse tutti i missionari dal Sudan e aprì una nuova casa per loro a Shellal, appena oltre il confine nel Sud dell’Egitto. Shellal era un luogo molto più salubre di Khartoum, e sarebbe diventata

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la nuova sede dove istruire gli africani, e dove i missionari in arrivo avrebbero potuto abituarsi al clima. Da Shellal nei mesi fra settembre e maggio, quando il clima era più sopportabile, i missionari si recavano in missione verso sud a visitare quelle missioni che avevano temporaneamente abbandonato. Ma il piano non funzionò. Senza missionari, la stazione delle Missioni di Gondonkoro era stata sequestrata dai mercanti, quella della Sacra Croce era andata distrutta, mentre quella di Khartoum era in grave necessità di riparazioni. Per le ragioni esposte sopra, alla fine solo uno sparuto gruppo di giovani arrivò fino a Shellal. Nel frattempo, ad ottobre 1860 il numero dei missionari era ridotto a cinque. Con rammarico fu constatato che il sistema seguito fino ad allora per il reclutamento di volontari per il Vicariato non aveva funzionato e se la Missione doveva assicurarsi un regolare afflusso di personale essa doveva essere affidata ad un Istituto. g. Il tentativo Francescano Siccome i Francescani già operavano in Egitto, ed il Francescano P. Ludovico di Casoria si occupava dell’istruzione di giovani provenienti dal Vicariato dell’Africa Centrale a Napoli, la Provincia di Styria dell’ordine Francescano in Austria fu interpellata da Kirchner ed essa accettò la responsabilità della Missione. Mons. Kirchner ritornò alla sua diocesi in Germania ma si tenne in contatto con la missione fino alla sua morte, e , alla morte di Comboni gli fu anche offerto di diventarne responsabile, ma egli rifiutò. Fra il 1861 ed il 1863 i Francescani mandarono alla missione 51 missionari: otto sacerdoti, due seminaristi, nove fratelli, e 32 laici appartenenti al Terzo ordine. Senza tenere conto delle proposte fatte da Kirchner di restare in Shellal, il Superiore e Pro Vicario P. Giovanni Reinthaler, lasciò un prete e tre laici a Shellal a custodire la casa e si mise subito in viaggio per Khartoum e per Santa Croce aprendo anche 2 nuove stazioni missionarie. Entro cinque mesi dal loro arrivo nel Sudan 22 membri erano deceduti, incluso il loro leader P. Reinthaler, molti erano malati, e la maggior parte erano, naturalmente, scoraggiati. Nessun volontario voleva venire dall’Egitto o dall’Europa a prendere il posto di coloro che erano deceduti. Il Pro Vicario fu accusato di essere troppo esigente. C’era inoltre frizione fra i membri italiani e quelli austriaci della spedizione, riflettendo così le frizioni politiche fra Germania Austria ed Italia (Verona che era stata nell’impero Austriaco fino ad allora passò all’Italia nel 1866 alla fine della “Guerra dei Sette giorni”). Inoltre due terzi del gruppo erano laici poco preparati ad affrontare le terribili privazioni che la missione richiedeva. Erano preoccupati per le loro famiglie a casa, e poco uniti fra loro per essere un drappello di battaglia. h. La missione chiude La Santa Sede concluse che il Vicariato dell’Africa Centrale era un territorio impossibile da mantenere e la chiuse come Missione indipendente. Coloro che erano rimasti o volevano restare, potevano farlo e sarebbero dipesi dal Vicario Apostolico d’Egitto che avrebbe preso cura del territorio dalla sua sede al Cairo. Fra il 1848 ed il 1863, 46 missionari erano morti nel Sudan, 24 fra il 1848 ed il 1860, 22 fra il 1861 ed il 1863, senza, per altro, essere riusciti a stabilire una struttura permanente, a dimostrare che la Missione aveva preso l'avvio. Dai racconti dello steso Vescovo Comboni, essi avevano fondato quattro stazioni missionarie e battezzato circa cento pagani, inclusi bambini. Nel 1867 gli unici missionari rimanenti erano un sacerdote e due laici a Khartoum e a Scellal. Gondokoro fra i Bari come pure Santa Croce fra i Dinka furono chiuse.

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Capitolo Terzo COMMENTI SUL PERIODO 1847 – 1862 I PRIMI 15 ANNI IN RETROSPEZIONE

1. L’aspetto geografico Nella loro ricerca per un luogo idoneo alla fondazione di stazioni permanenti, i missionari si spostavano continuamente da un posto all’altro: si spostavano in aree lontane, rimanevano più a lungo e di conseguenza conoscevano i popoli che abitavano quelle terre meglio della maggior parte dei non indigeni. Il loro obiettivo era, ovviamente, non l’esplorazione come fine a se stessa, né avevano gli strumenti o i finanziamenti degli altri esploratori, tuttavia erano consci di essere dei pionieri. Osservavano metodicamente il clima, la vegetazione, e gli aspetti delle varie etnie, generosamente condividendo le informazioni raccolte con altri. Questo è un significativo aspetto collaterale della evangelizzazione sebbene non sia stata mai molto pubblicizzata. “Alla fine della nostra inchiesta ci parve ormai impossibile valutare i risultati delle esplorazioni sul Nilo senza far riferimento al ruolo svolto dai Missionari” (vedere Hill pag. 18) 2. L’aspetto culturale - Le Lingue I missionari che si recarono nel Sudan furono i primi a mettere per iscritto le lingue che vi si parlavano. I Missionari che andavano alla Santa Croce, come Comboni, avevano preparato nel giro di due anni una grammatica Dinka corredata da un dizionario di circa 2000 parole, una grammatica Bari, ed un testo di religione elementare di circa 300 pagine. Furono anche i primi a stampare libri nelle lingue indigene del posto di modo che gli stessi indigeni potessero trarne profitto e saper leggere e scrivere. Fecero grandi sforzi per aprire scuole e dare un’istruzione tecnica: ovunque si fermassero essi insegnavano agli indigeni nuovi metodi nelle costruzioni, nell’agricoltura, falegnameria, ed anche la semplice cura della vita di famiglia. Con il passare degli anni i Missionari hanno speso enormi somme nel Sudan proprio a questo scopo. A differenza degli esploratori, i quali si rivolgevano ad un pubblico europeo come le Società geografiche o i loro governi, lo scopo dei missionari era lo sviluppo delle popolazioni locali. è giusto quindi ricordare che la maggior parte di loro morì e fu sepolto là, nelle tombe della missione, come segno della loro dedizione agli Africani, molte di esse sono ormai perdute. 3. L’aspetto esistenziale I missionari erano spesso mal equipaggiati per affrontare L’Africa. All’inizio non avevano l’esperienza necessaria, e molti non vissero sufficientemente a lungo per averla. Inoltre, alcuni missionari (specie I Francescani austriaci) non tennero in nessun conto le esperienze dei loro predecessori. Benché i loro leader fossero a conoscenza della necessità di istruire i missionari e di condurli nel Sud del Sudan a tappe per abituarli al clima, il numero delle morti era talmente alto che ambedue i suggerimenti venivano spesso ignorati. Dal momento che desideravano stare vicino alla gente, si stabilivano in luoghi insalubri dove avevano poche probabilità di sopravvivenza. Ad ogni buon conto, la scienza medica allora aveva pochi rimedi efficaci contro le malattie che causavano la morte dei missionari.

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4. Preparazione I Volontari (spesso laici) venivano accettati con il minimo di discernimento e addestramento e così venivano mandati velocemente alle missioni. Questo era in parte dovuto al fatto che c’era un disperato bisogno di sostituire i morti nelle varie missioni. L’ambiente missionario richiedeva una vasta gamma di conoscenze e capacità che nessun corso poteva mai dargli: i missionari speravano di avere uomini adattabili piuttosto che altamente qualificati, e quindi facevano a meno di qualsiasi corso preparatorio. Infine i missionari erano sovente delle persone che vivevano alla giornata, intrepidi pionieri che si affidavano alla provvidenza: davano la possibilità di lavorare in Africa a chiunque avesse abbastanza coraggio di accettare la sfida. Conoscevano comunque le avversità che avrebbero dovuto affrontare (con le loro stesse mani seppellivano i loro amici uno dopo l’altro!) e perseverarono perché credevano di compiere il lavoro di Dio, e che un giorno un’Africa libera e una fiorente Chiesa sarebbe cresciuta dal seme che essi stavano piantando. Erano radicati nella speranza Cristiana e, nonostante il loro ridottissimo successo, guardavano speranzosi verso il futuro. 5. I missionari e gli Africani I missionari rispettavano gli africani e qualsiasi cosa essi scrissero degli africani – possiamo forse trovare alcune loro espressioni scioccanti - deve essere soppesato tenendo conto di quanto essi fecero per gli indigeni se vogliamo capire appieno la misura di questi uomini e donne. I missionari credevano nella dignità delle popolazioni e attendevano pazientemente che si decidessero ad abbracciare la fede con pieno convincimento. I missionari trovarono i locali intelligenti, abili nell’ottenere il massimo rendimento dal loro habitat, molto cortesi, e rendevano omaggio alla loro forza e salute. Capivano il loro modo di vestire e di lavorare, anche se molto differenti da quello dei missionari. La maggior parte di essi, scrisse P. Vinco nel 1851, erano ben disposti e ricevevano affabilmente i missionari i quali, senza pensare al pericolo o alla sicurezza personale, erano disposti a recarsi presso di loro per istruirli. Un esempio di educazione superiore data abbastanza rapidamente agli africani è P. Pio Hadrian, il primo sacerdote sudanese: fu battezzato nel 1863, ordinato prete nel 1872 morì nello stesso anno ad El Obeid (vedere Hill pagine 64-66; 88-89). 6. Salvezza integrale I missionari credevano e tenacemente lavoravano per la salvezza degli africani. Che cosa significava la salvezza per loro? Il Vescovo Comboni stesso fece notare che dopo 15 anni di lavoro avevano battezzato solo circa cento adulti e bambini. Molti missionari non ebbero mai l’opportunità di battezzare per niente, altri si astennero dal battezzare del tutto. Ma nessuno mai ebbe il minimo dubbio di continuare ad attendere la conversione. Non si arresero mai a quelli (inclusa Roma) che dicevano che il gioco non valeva la candela: Qual era questo gioco per il quale giocavano anche la loro vita? Possiamo prendere Comboni stesso come loro portavoce; la sua visione crebbe sin dalla prima esperienza che ebbe in quelle terre: gradatamente chiarì a se stesso e più tardi lucidamente lo sillabò in migliaia di lettere che cosa significava la salvezza per lui. L’ora dell’Africa (Nigrizia) è arrivata, dice Comboni. Cristo è in procinto di dissipare le tenebre che hanno avvolto il continente. Il cuore di Gesù vuole essere circondato dalla gente africana; i missionari sono i suoi apostoli che portano questo messaggio all’interno del continente, i suoi testimoni che Lo rendono presente fra la gente dimenticata dell’interno africano facendo e dicendo fra di loro ciò che Cristo fece e disse in Galilea.

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7. Testimoni È in questo contesto che Comboni spicca fra altri missionari fondatori suoi contemporanei, e riflette la necessità dei suoi predecessori nella Missione dell’Africa centrale: essi scelsero di vivere con gli africani. Non solo scrivendo di loro o far loro da insegnanti, ma diventando uno con loro, condividendone la sorte adattandosi ai loro usi e costumi per quanto possibile e andando oltre ciò che la prudenza suggeriva. Questo è ciò che per loro significava essere testimoni di Cristo Un viaggiatore scrisse nel 1857: “Sia fra i turchi che fra gli arabi, Abuna Suleiman, come viene chiamati il Dottor Knoblecher, è tenuto nella più grande considerazione; ovunque ho sentito parlare di lui con rispetto. Questo è di per sé un grande successo, in quanto aiuta a infrangere i pregiudizi di colore e religione. Coloro che sono stati abbastanza a lungo nel paese da farsi conoscere hanno lasciato dietro di loro un ricordo venerato da tutti, anche i pagani, ed il canto funebre di uno di loro che morì l’anno scorso nella sua missione a monte del fiume, (Don A. Vinco, un gentiluomo da Verona), viene ancora cantato nelle assemblee: fu composto dagli stessi africani”. Un altro diplomatico e viaggiatore scrisse nel 1854 di Knoblecher ed i suoi amici: “Quegli uomini che immolano se stessi si sono spontaneamente sacrificati ad una vita – se ciò si può chiamare, perché è poco meglio di una morte vivente – nel cuore più remoto dell’Africa. … Sono uomini dalla condotta la più pura ed animati dalle migliori intenzioni. Abuna Suleiman, come viene chiamato Dr. Knoblecher, e già conosciuto da molti e stimato in tutto il Sudan”(vedere Hill, pagine 12-13). Quella gente che non aveva ancora avuto niente a che fare con i trafficanti e mercanti divenne ben presto amica dei missionari; P. Vinco scrisse dei Bari: “Iniziavo ad essere tenuto in grande considerazione; parlavano bene di me in tutte le occasioni mi trattavano con il più grande rispetto e mi consultavano riguardo ai loro affari, sia pubblici che privati. Arrivarono sino a chiamarmi Jouc, il nome di uno dei loro dei”. A loro annunciò tutto il Vangelo, così che il viaggiatore francese Lejean scrisse di lui nel 1860: “P. Vinco era il tipo perfetto di missionario nel Sudan… era avventuroso, impavido, sereno, ed un eccellete tiratore; era tenuto in grande considerazione dai Bari la di cui lingua parlava correntemente. (vedere Hill, P.7). Per Comboni, la Croce, soprattutto, è la garanzia di vera testimonianza, il contrassegno del vero apostolo: quando i missionari lavorano per gli africani, e sono perseguitati per averli difesi -–allora sono come Cristo. Nel mentre soffrono e muoiono, essi rendono Cristo eminentemente presente e portano la salvezza, rendendo accettabili tutte le traversie che devono essere sopportate da Cristo per il Suo Corpo , la Chiesa (Col 1: 24). è un onore essere stati prescelti per essere apostoli fra questo popolo, il più derelitto della terra. L’ora della sua salvezza è finalmente giunta; è un privilegio morire nel portare a termine questa missione. 8. Una contro-testimonianza Ed in quanto missione significa essenzialmente testimonianza, una delle grandi problematiche che i missionari nel Sudan dovettero combattere fu la contro testimonianza di una presenza sfruttatrice di esteri, presenza totalmente diversa da quella dei missionari con la quale però i missionari venivano associati, I mercanti d’avorio, con i quali i missionari dovevano viaggiare, i trafficanti di schiavi che avevano preceduti i missionari e che avevano rivoltato le popolazioni locali contro tutti gli stranieri. Interi territori furono del tutto abbandonati dai primi missionari perché tali individui li avevano preceduti. Essere scambiati per agenti governativi, o emissari di qualche potenza straniera, o trafficanti, era una maledizione costantemente in agguato per i missionari (vedere Hill, pagine 81-82, 74-75).

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I missionari fecero fatica a convincere la gente che non erano come i mercanti che mettevano a fuoco e fiamme le loro terre in cerca di avorio e schiavi. I mercanti non amavano i missionari, li tenevano costantemente sotto sorveglianza e a volte li insultavano brutalmente. I missionari non erano ben accetti e si cercava di mettere gli indigeni contro di loro. Vico raccontò di un turco che aveva fatto visita ad un capo locale di notte dicendogli che i missionari “erano dei maghi che avrebbero fatto sì che la pioggia non cadesse sulle loro terre, privandoli dei loro raccolti e pascoli, e quando fossero rimasti a corto di cibo gli uomini bianchi si sarebbero cibati dei loro figli” (vedere Hill 73, 88-89). 9. Ulteriori difficoltà Le condizioni erano terribili, specialmente quando i missionari si inoltravano in terre dove non erano conosciuti, o dove si combattevano guerre intestine. Essi dipendevano essenzialmente dai loro ospiti per cibo e se c’erano carestie anch’essi pativano la fame (vedere Hill, pagine 8889). “Avevo già fatto un po’ di strada quando vidi delle donne che prendevano acqua da un pozzo. Siccome avevo una tremenda sete, mi avvicinai a loro, e nelle loro lingua chiesi di darmi da bere in scambio di qualche perlina. Non avevo neanche pronunciato queste parole che mi fissarono e velocemente si incamminarono verso le loro capanne. I miei compagni ed io gridammo, ma inutilmente, e l’unico risultato delle nostre urla fu che avevamo ancora più sete. Tormentato dalla sete, mi riposavo ogni tanto all’ombra degli alberi, e continuammo il nostro viaggio in questo modo” (Diario di P. A. Vinco , vedere Hill, pag. 81). Oltre alla vita austera che avevano scelto, essi si ammalavano a causa dell’acqua sporca che bevevano e delle punture delle zanzare. Il chinino che prendevano regolarmente fluidificava il loro sangue. Dal punto di vista religioso, le popolazioni locali in particolare non gradivano una religione che insegnava il perdono e la monogamia . Knoblecher si era reso conto che la gente andava alla missione più per ottenere aiuti materiali immediati che per motivi religiosi o il desiderio di imparare. Nonostante tutto, i missionari fondarono quattro missioni, battezzarono circa 100 persone (sia adulti che bambini), tradussero nella lingua locale alcuni brani della Bibbia e prepararono dei semplici catechismi. 10. Coraggio e speranza nella Provvidenza I missionari comunque non si dettero per vinti e rimasero. Avevano in animo di istruire alcuni sacerdoti locali in Europa ed educare molti più laici nei Collegi del Cairo. Poco tempo dopo cercarono di far arrivare delle suore per istruire le donne. Una delle ragioni principali per cui non ebbero migliori risultati era dovuta alla loro poca preparazione; veniva loro insegnano l’arabo, ma poco altro a parte la lingua. I missionari avevano anche idee ambivalenti circa il loro scopo principale: dovevano dare priorità allo sviluppo o alla evangelizzazione? Fino a che punto era corretto adottare la cultura locale? Molti dei missionari nel loro entusiasmo corsero troppi rischi: ma solo un tale entusiasmo poteva aprire le porte di una nazione. Si rende necessario leggere una pagina del diario di P. A. Vinco per percepire lo stile delle loro prediche. “Al termine di una cerimonia, dei buoi furono uccisi come sacrificio per ottenere la pioggia. P. Vinco parlò loro così: “Bari, siccome siete stati tanto buoni da ricevermi fa di voi, e mi avete onorato invitandomi a presenziare ad una delle vostre cerimonie più sacre, datemi l’opportunità di parlarvi liberamente. Non intendo offendere nessuno, ma

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semplicemente di dirvi la semplice verità: è proprio per questa ragione che sono stato inviato fra di voi dal Cielo. Quel Dio che ha creato sia me che voi, creò anche il sole, la luna, le stelle, il vostro bestiame, gli alberi ed i fiumi. Lo stesso Dio fa sì che l’erba ed i semi crescano – è lo stesso Dio che dal niente creò tutto in cielo ed in terra. Benché questo Dio vi sia ancora sconosciuto, e quindi non onorato e servito dalla vostra gente, Egli, nonostante ciò vi ama e vi aiuta in migliaia di modi differenti. Questo è il Dio che fa cadere la pioggia, che evita che i vostri campi diventino aridi; vi tiene in buona salute, moltiplica il vostro bestiame, Vi da la forza di vincere i vostri nemici; in poche parole, il Suo amore per voi è più grande di quello di qualsiasi padre o madre per il più dolce e più amato dei figli. Allora, se desiderate che la pioggia cada sui vostri campi, dovete desistere dai litigi e guerre che continuamente fate fra di voi, dovete smettere di uccidere i vostri simili. Non dovete rubare e non dovete soccombere alla lussuria; in altre parole non dovete fare agli altri ciò che non vorreste essere fatto a voi” . La popolazione rimase stupita dell’inaspettato tenore del sermone, non avendo mai sentito niente di simile prima di allora. Nonostante ciò, tutti, inclusi i capi, la gente e lo stesso Jubek, mi applaudirono calorosamente, dicendo che il mio ragionamento era logico e di conseguenza doveva esser per forza vero. Il mio discorso fu particolarmente ben accetto dalla popolazione, la quale mi ammirò per aver parlato in quel modo al cospetto di Kubek stesso, perché ogni anno dovevano dare molti buoi a lui che faceva piovere.” (Vedere Hill, pagine 82-83). Padre Vinco era talmente ben voluto che anche molti anni dopo la sua morte i Bari continuarono a cantare una canzone in suo onore. Ecco una traduzione dei primi versi. Angelo Angelo, Vai a Belania Qui ci sono troppe malattie “No, No, qui sto bene.” Vai a Belania Non ci sono zanzare là “No, no, sto bene qui” Viva, Viva Angelo. Nonostante tutto i missionari aprirono una cammino segnato, una dopo l’altra, dalle loro tombe. Lungo questo cammino gli africani si recarono nei collegi di Malta, Napoli, Verona e Vienna. I missionari continuarono ad arrivare e Comboni fu colui che riaprì il percorso promettendo di mai farlo chiudere di nuovo: “Nigrizia o morte!”

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Capitolo Quarto GLI ISTITUTI PER L’EVANGELIZZAZIONE DELL’AFRICA

1. I pionieri del lavoro missionario in Africa a. I primi Secoli Durante i primi secoli della Chiesa, sacerdoti diocesani e singoli religiosi venivano mandati o andavano di loro spontanea volontà ad evangelizzare paesi stranieri. Così fecero gli Apostoli ed i loro discepoli. Seguiti più avanti dai loro successori: Papa Celestino I (432) mandò il Vescovo Palladio in Irlanda come primo Vescovo, seguito da S. Patrizio che andò in Irlanda volontario dalla Gran Bretagna. Papa Gregorio I il Grande (596) mandò Sant’Agostino a Canterbury in Inghilterra con 40 frati. Papa Gregorio II mandò S. Bonifacio (672-755) in Germania e divenne “L’apostolo della Germania” . A Verona troviamo S. Zeno, un africano nero della Numidia come apostolo nel quarto secolo (l’8° Vescovo di Verona): probabilmente mandato dal Papa per convertire gli invasori provenienti da Nord. b. Il Medioevo (600 – 1400) Quando furono fondati gli ordini religiosi, erano i gruppi carismatici che aprivano la strada alle missioni estere. I francescani, Domenicani, e soprattutto i Gesuiti andavano in massa nei territori di missione. Al momento della loro soppressione nel 1773, i Gesuiti avevano circa 3.000 missionari, i quali poi lasciarono le missioni. Ebbero anche un buon numero di martiri. Furono reintegrati nel 1814 da Pio VII (il secondo Superiore Generale dopo la reintegrazione fu P. Fortis, 1820-1828). Oggi i Gesuiti sono circa 20.000 in tutto il mondo, e circa 1.100 in Africa. Sono impegnati in diverse missioni: Istruzione, ministeri spirituali e sviluppo culturale, sevizi per i rifugiati, mezzi di comunicazione, e pubblicazioni .. per menzionarne solo alcune. c. Tempi Moderni (1700 – Giorni Nostri): vedi quanto segue 2. Istituti Pionieri di Sacerdoti e Fratelli che lavorano in Africa. a. I padri dello Spirito Santo (C.S.S.P. religiosi) Fondati nel 1703 in Francia, nel 1841 furono amalgamati nella società Missionaria del Cuore Immacolato di Maria iniziato da Francis Libermann (1802 – 1852) il figlio convertito di un rabbino. Oggi egli è considerato come uno dei maestri della vita spirituale che si basa sulla via interiore come anima dell’Apostolato. I Padri dello Spirito Santo andarono per la prima volta in Africa nel 1778 e iniziarono il loro lavoro nel Senegal, In Africa occidentale, più tardi in Sierra Leone, ma la malaria e la febbre nera li uccise tutti in pochi anni. Imperterriti, essi continuarono ad arrivare, e si recarono in Nigeria, Gambia, e Ghana, dove la febbre ne annientò la maggior parte. La Costa occidentale venne chiamata “la tomba dell’uomo bianco”. Nell’Africa Orientale incominciarono nello Zanzibar e Bagamoyo, e lentamente si allargarono verso le Mauritius, Kenya, Zambia, Congo, Malawi, ed

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Etiopia. Già nel 1839 tre seminaristi africani venivano preparati al sacerdozio nella casa madre a Parigi. Nell’Africa orientale, la prefettura di Zanzibar ebbe inizio nel 1860 e si estendeva lungo 200 miglia di costa e all’interno di essa senza limiti. Attualmente sono 3.006 di cui 2.261 sono sacerdoti. (Le statistiche si riferiscono all’anno 2000.) b. La Società delle Missioni Africane (S.M.A. una società di vita apostolica) Fondata a Lione, in Francia dal vescovo Melchior di Marion Bresillac per la conversione dell’Africa e neri di origine africana. Nel 1858, come loro prima missione, fu affidato alla società il Vicariato Apostolico della Sierra Leone, dove, l’anno successivo Bresillac e la maggior parte dei suoi seguaci perirono durante una epidemia di febbre. La leadership del gruppo passò allora a P. Augustine Planque, confermato da Papa Pio IX come primo Superiore Generale della Società. Nel 1861 un gruppo di missionari partì per il nuovo Vicariato di Dahomey, dove missioni furono fondate a Ouidah, Porto Novo e Lagos. I missionari organizzarono stazioni lungo la costa Occidentale africana dalla Liberia al fiume Niger, Nel 1875 Plaque fondò la Congregazione di Santa Maria degli Apostoli per preparare Suore che aiutassero a fondare scuole, orfanotrofi, dispensari, fattorie modello, e officine per poter migliorare le condizioni di vita, e allo stesso tempo attirarli alla religione Cattolica. Attualmente sono 1.023, 874 dei quali sacerdoti. c. Missionari d’Africa (M. Afr. Padri Bianchi, una Società di vita apostolica) Fondati nel 1868 dal Cardinale J. Lavigerie quando divenne Vescovo di Algeri, (1867). Il loro scopo primario era di lavorare fra i musulmani. Per questa ragione fu data loro una veste bianca. I primi due gruppi di missionari che mandò ad attraversare il deserto del Sahara non raggiunsero mai la loro destinazione – furono trucidati. La terza penetrò nell’interno dell’Africa dalla costa orientale. Due di essi, P. Simon Lourdel – Mapera (da Mon Pére) – e Fratel Amans, attraversarono il Lago Vittoria da Mwanza e arrivarono ad Entebbe il 17 febbraio 1879. Oggi opera in 21 paesi dell’Africa e Medio Oriente. La loro missione è la medesima: portare il Vangelo alle popolazioni dell’Africa e del mondo mussulmano. Attualmente sono 2.115, dei quali 1.787 sacerdoti. d. Società Missionaria di San Giuseppe di Mill Hill (M.H.M. una società di vita apostolica) Fu fondata nel 1866 dal Cardinale Vaughan, Arcivescovo di Westminster. Doveva essere l’espressione della missionarietà della Inghilterra cattolica. Dapprima operarono in Uganda (1894) e Kenya. Oggi sono sparsi in Africa, Asia ed America. Sono 651.485 dei quali sono sacerdoti. e. Oblati di Maria Immacolata (O.M.I. religiosi) Voluta da S. Joseph Eugene di Mazenod nel 1816. I primi membri trovarono delle resistenze in quanto si opponevano al Giansenismo. Per sicurezza, il Fondatore chiese l’approvazione della Santa Sede nel 1826. IL loro scopo era predicare la missione ai poveri: ma presto si dedicarono anche all’educazione di seminaristi. Già nel 1831, il Capitolo Generale decise di intraprendere l’apostolato nelle missioni estere. Fu nel 1850 che andarono in Africa. Dapprima al Nord, Est e Sud. Nel Lesotho fondarono una Università Cattolica che più avanti cedettero allo Stato. Nel 1963 i suoi membri erano più di 7.000, di cui 5.00 sacerdoti e 1.227 scolastici. Attualmente sono 4.831 di cui 3.508 sacerdoti. f. Missionari della Consolata (I.M.C. religiosi) Fondati dal beato Giuseppe Alamanno nel 1901 per la prima Evangelizzazione dei Popoli.

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La loro vita spirituale si basa sulla devozione della Madonna e dell’Eucarestia. Il loro primo viaggio fu nel Kenya nel 1902. Visitavano villaggi distribuendo medicine gratis e fondando scuole. Attualmente sono presenti in Tanzania, Congo, Uganda, e America Latina. Sono 1.004 di cui 771 sacerdoti. g. Congregazione del Cuore Immacolato di Maria (C.I.C.M. o Missionari di Scheut, religiosi) La società fu costituita nel 1862 dal Theophile Verbist a Scheut (vicino a Bruxelles, Belgio). La loro prima missione fu in Cina dove lo stesso fondatore morì nel 1868. Il loro operato missionario ebbe inizio nel Congo nel 1885 dove nel 1961 avevano 730 missionari. Attualmente sono 1259, di cui 975 sono sacerdoti. h. Società del Verbo Divino (S.V.D. religiosi) I Missionari del Verbo Divino furono fondati nel 1875 a Steye in Olanda da Arnold Jansenn per le missioni all’estero. All’inizio i membri prendevano Voti privati e seguivano la regola dei terziari Domenicani. Divennero un Istituto religioso nel 1889. La loro prima missione fu in Argentina (1884) e la seconda nell’Africa Occidentale partendo dal Togo (1892). Le loro specializzazioni sono l’apostolato della stampa e l’antropologia. Si dedicano anche alla cura pastorale degli afro-americani . Diversi anni fa avevano circa 100 sacerdoti afro-americani . Attualmente sono 5.962 di cui 3769 sono sacerdoti. I fratelli hanno trovato il loro carisma nell’Apostolato della stampa e mass –media. i. Società per le Missioni Estere degli Stati Uniti D’America (M.M. o Mary Knoll, una società di vita apostolica) I Cattolici americani ritenevano di aver ricevuto così tanto dall’Europa che essi stessi dovevano collaborare per la diffusione del vangelo nel mondo. Questa società fu fondata dai sacerdoti americani nel 1911. Le loro prime missioni furono in Cina e Giappone. Arrivarono nell’Africa Orientale nel 1954. Sono 610 in tutto di cui 506 sacerdoti. l. Società di S. Francesco Saverio per le Missioni all’Estero (S.X. o Saveriani, religiosi) Fondati nel 1898 dal Vescovo Conforti di Parma (Italia settentrionale) per la prima evangelizzazione. Iniziarono il loro operato in Asia e dopo loro espulsione dalla Cina lavorano in Africa Occidentale, Centrale e Burundi. Attualmente sono 879 di cui 676 preti. m. Missionari del Sacro Cuore (M.S.C. religiosi) Fondati in Francia nel 1869 dal rev. Jules Chevalier per il rinnovo della fede in Francia tramite la devozione al Sacro Cuore. Benché il loro scopo originario non fossero le missioni all’estero, la società considerò questo lavoro molto appropriato all’adempimento de loro motto “Possa il Sacro Cuore di Gesù essere amato ovunque”. All’inizio del secolo si recarono nel Congo. Attualmente sono 2.188 di cui 1.481 sacerdoti. n. Sacerdoti del Sacro Cuore di Gesù (S.C.J. i Dehoniani, religiosi) Il Rev. Leon Dehon dette vita all’Istituto nel 1878 in Francia. La loro distintiva spiritualità è la devozione e riparazione al Sacro Cuore tramite l’apostolato attivo. Negli Stati Uniti hanno dei nubiani che lavorano con gli afro- americani. In Africa operano principalmente nel Congo, Sud Africa, Mozambico. Oggi sono 2.389, di cui 1.684 sacerdoti.

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3. Istituti pionieri di Suore a. Suore di S. Giuseppe di Cluny Fondate nel 1807 dalla Beata Anne Marie Javouhey (1779- 1851) con lo scopo di allestire scuole, orfanotrofi e aiutare i malati ed anziani. L’istituto, però presto si espanse anche nei territori di missione. Nel 1817, 4 suore andarono all’isola Reunion. La Beata Anne stessa andò in Senegal dove iniziò un progetto, più tardi abbandonato, di mandare ragazzi in Francia per la preparazione al sacerdozio. Aveva in mente “Dobbiamo salvare l’Africa con gli africani”. Alla sua morte, l’Istituto aveva 118 Case per 700 suore in Francia, e 300 nei territori russi. Al momento i membri sono 3.130. b. Suore di S. Giuseppe dell’Apparizione Fondate in Francia nel 1832, da Suor Emile di Vialar (1797 – 1851) arrivarono presto nei territori di missione dell’Africa e dell’Asia. Esse furono le prime a cooperare con Comboni dal 1867 al 1879; prima al Cairo nel 1867 e poi in Africa Centrale dal 1873 al 1879. Attualmente sono 1.017 in 165 case. c. Suore Francescane Missionarie del Cuore Immacolato di Maria (dette d’Egitto) Fondate al Cairo, Egitto, il 17 settembre 1859, da Madre Caterina di Santa Rosa (Costanza Troiani 1813– 1877). Fu il primo Istituto Missionario Italiano. Il loro primo scopo è l’attività missionaria: Madre Caterina iniziò il suo apostolato al Cairo nel 1859 occupandosi principalmente con la conversione ed educazione di bambine negre e orfani. Le suore lavorano anche al di fuori dell’Africa. Attualmente sono 835 in 98 case. d. Suore Missionarie di Nostra Signora dell’Africa (Suore Bianche) Fondate nel 1869 dal Cardinale Lavigerie. Iniziarono il loro Apostolato nell’Africa Settentrionale. Si occupano di svariate attività in circa 19 nazioni africane. Le prime suore ad arrivare in Africa a sud del Sahara furono quelle che andarono in Uganda nel 1899. Attualmente sono 1.168 in 164 case. e. Suore Missionarie di Nostra Signora della Consolata Fondate dal Beato Giuseppe Alamanno a Torino nel 1910, dopo l’istituzione dei Padri della Consolata. Il loro primo apostolato fu in Kenya nel 1912. La loro caratteristica è la devozione alla Madonna della Consolata. Oggi sono 923 sparse per il mondo in 135 case. f. Missionarie Francescane di Maria Sorsero in India ad opera di una signora francese, Heleine di Chappotin di Nenville (Madre Maria della Passione), specialmente per lavorare nelle missioni estere. Portarono il loro Generalato a Roma nel 1882. Esse lavorano nell’educazione, e servizi sociali, infermiere e catechiste. Otto di loro sono state dichiarate Beate, sei di loro divennero martiri nella nuova Cina Maoista. Lavorano anche in Africa in particolare nel Congo. Sono 7.778 divise in 873 comunità. g. Suore della Carità di Santa Giovanna Antida Fondate nel 1799 in Francia aperte ad ogni tipo di lavoro caritatevole, educativo e missionario con missioni all’estero. Lavorano In Africa Centrale e Meridionale, ma solo dal 1934. Sono 4123 in 512 case.

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h. Società del Sacro Cuore di Gesù La fondatrice fu Madeleine Sophie Barat (1779 – 1865), francese. Si dedicano all’istruzione, e basano la loro vita spirituale sulla preghiera e unione interiore con il Cuore di Gesù, le cui virtù sono da praticare nell’apostolato. In Africa lavorano nel Congo Brazzaville e Congo Kinshasa. Adesso sono 3.532 in 524 comunità. 4. Organizzazioni e personalità strettamente legate a Comboni Oltre a “Marien Verein,” e alle Suore di San Giuseppe dell’Apparizione (alle quali abbiamo già fatto riferimento) elenchiamo le più importanti. a. Società per la Propagazione della Fede La signorina Pauline Jaricot (1799 – 1832) fondò la Società a Lione, Francia. Il giorno di Natale 1816 fece voto perpetuo di verginità. All’età di 17 anni fondò l’Unione delle Preghiere in Riparazione al Sacro Cuore, una organizzazione di ragazze operaie. Fu fra di loro che iniziò a sollecitare contributi per le missioni estere. Nel 1820 fondò una Associazione per l’aiuto alla Società delle Missioni Estere di Parigi. Promosse l’Associazione della Santa Infanzia, e si adoperò per altri lavori apostolici per donne di tutti i ceti sociali. La sua maggiore preoccupazione, comunque, era quella di dar aiuto alle Missioni tramite contributi finanziari e la preghiera dei fedeli. Nel 1822, il Vicario Generale di New Orleans, andò a Lione per raccogliere fondi per la sua missione. Aveva infatti un gruppo di 12 laici in una Associazione, Visto il buon lavoro svolto da Pauline Jaricot in tale opera, questa associazione si unì con il gruppo della Jaricot a formare la Società per la Propagazione della Fede (3 maggio 1822). Pauline Marie Jaricot ne venne riconosciuta la fondatrice. A quel tempo era anche conosciuta come la Società Missionaria di Lione o la Società di S. Francesco Saverio. Ci furono molte discussioni sui metodi usati da Pauline per raccogliere fondi. Era un semplice sistema: Ogni membro dell’Associazione doveva trovare un gruppo di 10 persone che contribuissero un centesimo alla settimana. Ogni membro di questo gruppo doveva trovare altre 10 persone per lo stesso scopo e così via. La Società presto si sparse in tutto il mondo, ma le offerte venivano gestite e distribuite da Lione e Parigi. I Vescovi delle altre nazioni, però vollero trasferire la sede amministrativa a Roma. Questo fu fatto nel 1922 da Papa Pio XI, il quale dette anche direttive per la sua amministrazione. Attualmente è un Dipartimento della Sacra Congregazione per la Evangelizzazione dei Popoli (SCEP), che nomina i Direttori nazionali in tutto il mondo cattolico. b. Pia Associazione per la Liberazione delle Ragazze Schiave PADRE NICOLA OLIVIERI (Genova 1792 – 1864) Cugino di P. Giovanni Battista De Rossi era solito incontrare i mercanti e marinai sulle banchine del porto di Genova, ed un giorno conobbe un giovane africano dal quale venne a sapere che la tratta degli schiavi era ancora praticata. Decise di liberare i giovani schiavi, portarli in Europa nelle istituzioni fondate proprio a questo scopo, o affidarli a quelle che già esistevano, e prepararli al battesimo. Vendette tutte le sue proprietà inclusi suppellettili e libri. Si recò in Egitto sette volte per liberare gli schiavi. I Trinitari, Ordine fondato per la liberazione degli schiavi, aiutarono Olivieri fino al 1857. Il loro posto fu preso da Padre Biasio Verri. P. BIASIO VERRI (nato a Barni, Valsassina, Italia Settentrionale, morì a Torino in una delle case di S, Giuseppe Cottolengo nel 1884). P. Biasio seguì P. Olivieri nel suo ultimo viaggio in Egitto. Mentre P. Olivieri stava cercando danaro in Europa, P. Biasio in dieci mesi fece 9 viaggi in Egitto. Si rese presto conto delle debolezze del sistema adottato da P. Olivieri e aprì una casa in Egitto affidandola alle Suore Missionarie Francescani d’Egitto. L’iniziativa portò alla liberazione di 810 schiavi dei quali 300 morirono in Italia a causa di siccità che li

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aveva fatti ammalare. I contatti avuti in Germania da parte di P. Verri dettero origine alla Società di Colonia.

c. La Società per gli Africani di Colonia (Kolner Neger Verein) Un certo Siegwart Miller incontrò P. Olivieri e volle aiutarlo. Ricevette l’approvazione del Cardinale J. Von Geise di Colonia nel 1859. Inizialmente aveva le stesse finalità, ma più avanti cominciò ad aiutare tutte le iniziative che contribuivano alla conversione dell’Africa e alla preparazione degli stessi africani affinché diventassero evangelizzatori essi stessi. I benefattori venivano aggiornati tramite il Bollettinodella Società. Il Comboni, già in contatto con loro in quanto Direttore del Collegio di Don Mazza, era in perfetta armonia con gli scopi della Società contribuendo anche degli articoli per il Bollettino. La Società fu di aiuto a Comboni e ai missionari Comboniani finché chiuse nel 1939 assorbita dalla Associazione di S. Francesco Saverio, precursore della MISSIO, Aachen. d. Padre Nicola Mazza (1890-1865) Un Gesuita, Andres Avogadro (1735 – 1815), Vescovo di Verona dal 1790 al 1814 impresse uno spirito missionario sul clero e trovò una particolare risposta da parte di un sacerdote, P. Gaspare Bertoni, il quale, a sua volta , trasmise lo stesso spirito ad un gruppo di sacerdoti fra i quali P. Nicola Mazza. Quest’ultimo fu chiamato ‘Don Congo’ a causa dei suoi interessamenti per le missioni. Nel 1828, P. Mazza fondò un Istituto per l’educazione di bambini bisognosi , principalmente orfani e poveri. Nel 1848 vi erano 300 bambine. P. Olivieri gli chiese che fossero accolti anche i suoi giovani africani e Don Mazza lo fece volentieri. Egli ebbe l’idea di rimandare questi giovani in Africa come testimoni della Fede Cristiana. A questo scopo P. Mazza mise insieme un gruppo stabile di sacerdoti fra i quali troviamo P. Angelo Vinco ordinato sacerdote nel 1844 e mandato al Collegio di Propaganda Fide a Roma. Nel 1847 questi prese parte alla prima spedizione nell’Africa Centrale. Don Mazza gli diede il compito di comprare giovinette, presumibilmente schiave, per poi mandarle a Verona. Quando P. Vinco tornò, Don Mazza progettò l’apertura di una Missione nell’Africa Centrale consultandosi con Mons. Knoblecher (1851), Propaganda Fide (1852), e Marien Verein (1853). A tale scopo mandò due suoi preti a Khartoum per una diretta conoscenza della situazione, Don Giovanni Beltrame e Don Antonio Castegnaro che morì dopo solo alcuni mesi. Avendone ricevuto il permesso nel 1857, mandò il primo gruppo di sei fra i quali Daniele Comboni. Nel 1862, Mazza Inviò Comboni a Roma per chiedere un proprio territorio di missione, come parte del Vicariato dell’Africa Centrale per il suo Istituto; petizione formulata di nuovo nel 1865 su insistenza di Comboni. Padre Mazza morì l’8 febbraio 1865 ed il suo successore Don Tomba, nel maggio del 1866, non volle prendersi tale responsabilità. Fu così che l’Istituto di Don Mazza non ebbe più a che fare con il Vicariato dell’Africa Centrale. e. Beato Ludovico da Casoria (Vicino a Napoli) Nato nel 1814, morì nel 1885, appartenente all’Ordine Francescano dei Frati Minori (OFM). fu beatificato il 18 aprile 1993 P. Ludovico fondò due Istituti nel 1852, I Fratelli Grigi e le Suore Grigie, il nome viene dal colore dei loro abiti. Seguendo l’esempio di P. Olivieri fondò due collegi , uno per giovani maschi e l’altro per giovani femmine africane a Palma, vicino a Napoli. Napoli era un luogo più ameno per gli africani in quanto il suo clima è mite in inverno. Lo scopo del collegio era di accogliere e convertire giovani africani, dar loro un’istruzione Cristiana, una professione, e poi mandarli di nuovo a condividere la loro fede e professione con la loro gente.

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Il loro tirocinio sarebbe durato circa 18 mesi, dopo di che avrebbero dovuto decidere se diventare Padri o Fratelli Francescani, o rimanere laici, ma membri del Terzo Ordine Francescano. Una volta raggiunto il loro traguardo finale, sarebbero ritornati in Africa in gruppi di tre incluso un sacerdote. Quando Mons. Knoblecher volle avviare un Seminario in Europa per la preparazione di giovani africani, Propaganda Fide suggerì di utilizzare il Collegio di P. Ludovico piuttosto che dar inizio ad un nuovo progetto: Marien Verein avrebbe pagato le spese di viaggio, e per il resto avrebbero avuto aiuto da Napoli ed dal suo re Ferdinando II. Nel 1860 c’erano già cinquanta ragazzi africani e sei preti; alcuni dei quali si aggregarono alla spedizione Francescana del 1861 – 1962. Quando il Vicariato fu chiuso, il Ministro Generale dei Francescani nel 1865 chiese a Propaganda Fide di nominare P. Ludovico Provicario Apostolico con sede a Scellal. Propaganda inviò Comboni e Casoria a Scellal. Dopo una breve visita, Casoria vi lasciò 2 sacerdoti e 14 fratelli, ma non accettò la divisione del Vicariato proposta da Daniele Comboni. Nel 1867 Casoria chiuse tutto e non ne restò più niente. Come tutti i santi, Comboni era molto umano. Questa sua dote la manifestò altamente nella lotta per i diritti degli Africani, specialmente in relazione alla schiavitù. Però la manifestò pure nell’amicizia verso persone con le quali fu in contatto sia per la sua missione come per i suoi problemi personali. f. Il sacerdote Giovanni Crisostomo Mitteruzner Era membro dell’Ordine dei Canonici Regolari di S. Agostino dell’abbazia di Nova Celle nella Diocesi di Bressanone. Insigne orientalista, pubblicò nel 1866 la grammatica e il vocabolario dei Bari, onde fu nominato Presidente onorario dell’Institute d’Afrique di Parigi. Fu anche molto competente in teologia e con il permesso di Pio IX fu segretario personale di Mons. Fessler, segretario generale del Concilio Vaticano. Si interessò della Missione e, quando il Knoblecher fondò la “Marien Verein”, ne fu tra i membri più attivi. È tutto suo il merito di aver persuaso il card. Barnabò a mutar consiglio, che nel settembre ’58, preoccupato delle troppe vittime dell’Africa centrale, aveva già pronto il decreto per sopprimere la Missione: a lui venne offerta la carica di Provicario, successore di Knoblecher, ricusata per obbedienza al suo vescovo Mons. Gasser. Conobbe a Verona il Comboni, quando condusse alcuni moretti al Collegio Mazza, e da allora gli fu sempre amico, non a parole, ma a fatti; gli prestò valido aiuto per il Postulatum ai Padri del Concilio, lo soccorse di denaro, gliene procurò da altri e tenne con lui assidua corrispondenza. E il Comboni, che mai gli si rivolse invano, (chiedesse denari o…poesie in lingua barica e denka) lo chiama con tutta ragione “Il più strenuo collaboratore dell’apostolato dei negri, la più ferma colonna dell’Africa Centrale” e nelle sue lettere (da quella del 23 settembre ’67 in poi), ben 14 volte, lo dice “Dulcissime rerum”, è un modo di dire per esprimere quanto gradevole fosse trattare con lui. Un particolare interessante si trova nella lettera del 4-6-1881 al Mitteruzner stesso. In questa lettera Comboni gli confida che intende riaprire le missioni sul Nilo Bianco in posti migliori di S. Croce o Gondokoro, così avrebbe potuto usare anche i suoi libri sulla lingua Denka e Barica: “Così con le tre nuove lingue Nubana, Denka e Barica possiamo bene stendere la nostra azione apostolica molto lontano” (Lett. N. 1083, Daniele Comboni, gli Scritti, EMI 1991). Il Comboni poi raccomanda al suo amico di non pubblicare queste notizie (cfr. Grancelli Msg. D. Comboni pag. 442, Istituto Miss. Africane-Verona).

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N.B. I Canonici Regolari che vivono secondo la cosiddetta regola di S. Agostino hanno vita comune, con l’obbligo della recita corale dell’Ufficio delle Ore. g. Don Francesco Professor Bricolo “Mio carissimo don Francesco, non mi può rimproverare di silenzio, perché siamo pari: nemmeno di mancanza di affetto”. “Quando penso a don Bricolo, vado in giuggiole” così scrive il Comboni in data 9-7-1876 (Scritti n. 659). (L’espressione completa è “andare in brodo di giuggiole”; è famigliare e vuol dire gongolarsi, bearsi: si dice anche “mandare in brodo di giuggiole”.) “Don Bricolo, eccellente pedagogista, per molti anni fu Rettore nel Collegio Mazza, finchè per una serie di dolorose vicende e uno scambio di lettere fra il Superiore e lui, dovette lasciare l’ufficio nel 1865, recandosi a Vicenza, ove assunse la direzione del Collegio Cordellina. Come qui, profuse anche tra quei giovani per educarli al bene, tesori di mente e di cuore; e, dopo un ventennio, tornò a meritato riposo a Verona, ove morì d’anni 82 il 7 marzo 1905. Bisogna ricordare che egli fu rettore dell’Istituto Mazza negli anni più difficili per il Comboni e della parte che ebbe nello spianargli la via dagli ostacoli. Più di una volta, don Bricolo era il solo che comprendesse gli slanci arditi del giovane missionario, il solo che lo difendesse; e forse, senza questa vigile sentinella, il nostro sarebbe dovuto cedere, tanto era il vento che gli soffiava contrario. Il Comboni non si dimenticò mai del suo fedele protettore e gli fu avvinto da schietta e indissolubile amicizia, anche quando il Bricolo passò da verona a Vivenza; egli ne parlava sempre, commosso della più viva riconoscenza”(Mons. Granelli pag. 432-433). Come si vede da questa lettera del 1976, Comboni conservò sempre la sua amicizia e ambedue continuarono ad essere in contatto, anzi, nella stessa lettera (n. 4300) scrive: “Ma io voglio che mi diate vostre notizie, almeno in un foglio intero”

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PARTE SECONDA

GLI EVENTI PIÙ SIGNIFICATIVI DELLA VITA DI COMBONI

Capitolo Primo COMBONI DAL 1831 AL 1872 Dal 1831 al 1859 Daniele Comboni nacque il 15 marzo 1831 a Limone sul Garda, Italia settentrionale. Il giorno seguente fu battezzato con il nome Antonio Daniele, ma preferiva essere chiamato Daniele soltanto. Suo padre, Luigi e sua madre Domenica ebbero otto figli; solo Daniele visse tanto a lungo da arrivare alla età di 50 anni. Il 20 febbraio 1843 fu ricevuto a Verona dal servo di Dio P. Nicola Mazza il quale avviò Daniele al sacerdozio e alla vita missionaria nel suo stesso Istituto. All’età di 17 anni, benché sicuro della sua vocazione al sacerdozio, desiderava ardentemente dedicarsi alle missioni nell’Africa Centrale. Il suo primo contatto con il lavoro missionario della Chiesa fu la lettura della vita dei martiri giapponesi scritta da S. Alfonso Liguori. Egli stesso raccontò questo fatto l’anno successivo: “Fu nel gennaio 1849 che studente in filosofia, nell’età di 17 anni io giurai ai piedi del mio venerato Superiore D. Mazza di consacrare tutta la mia vita all’apostolato dell’Africa Centrale, né mai venni meno colla grazia di Dio per variar di circostanze al mio voto; e da quel punto non ad altro intesi che ad apparecchiarmi a così santa impresa” (Daniele Comboni, Scritti n. 4083) Di conseguenza si orientò verso il suo futuro apostolato. Fra le altre cose studiò l’arabo, l’ebraico, lo spagnolo, il francese e l’inglese. Fu ordinato sacerdote il 31 novembre 1854 e si dedicò alla cura di coloro che erano malati di colera, ottenendo per questo, pubblico encomio dalle autorità civili. L’anno decisivo per la sua vita missionaria fu il 1857, tre anni dopo la sua ordinazione. Al termine di un ritiro (9 agosto) P. Giovanni Marani degli Stimmatini lo rassicurò dicendogli che aveva certamente una vocazione missionaria per l’Africa. Con apostolico coraggio si accinse alla dolorosa separazione dai suoi genitori i quali sarebbero rimasti a casa, poveri e soli. Partì per l’Africa il 6 settembre come membro della spedizione dell’Istituto Mazza. La spedizione si fermò per lungo tempo in Egitto e Comboni ne approfittò per fare un pellegrinaggio in Terra Santa (29 settembre – 16 ottobre) dove visitò i luoghi dove Cristo era vissuto e morto. Fu questo contatto con l’umanità di Cristo che ingrandì e rivelò il Suo amore umano e lo rese ulteriormente consapevole delle necessità umane dei popoli dell’Africa Centrale. La spedizione partì dal Cairo agli inizi del 1858. Incontrarono Mons. Knoblecher ad Assouan che disse a P. Beltrame : “Vi raccomando la Missione veronese, della quale sei responsabile. Vi sono già state date le vostre destinazioni, Voi e i vostri compagni sarete i ben venuti alla Santa Croce. Rimarrete là per un po’ di tempo per esplorare il territorio, prendere nota delle usanze e degli

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abitanti, e studierete la loro lingua. Sceglierete quindi un luogo idoneo alla fondazione della Vostra missione… non so se ci rivedremo mai più. Sono sfinito. Sento che morirò presto.” (mons. M. Grancelli, D. Comboni, pagine 31-32) Il suo presentimento si avverò. Stremato ed ammalato Knoblecher morì a Napoli il 13 aprile 1858 , aveva solo 38 anni. Come abbiamo già visto, dopo un interminabile viaggio lungo il Nilo, Comboni raggiunse la Missione di Santa Croce nel cuore dell’Africa il 14 febbraio. In questo luogo, con tutta l’intensità del suo fervore apostolico ebbe il primo incontro con il mondo africano. Non molto tempo dopo iniziò a soffrire di forti attacchi di febbre i quali spesso lo portavano vicino alla morte e dovette quindi tornare a Verona nel giugno del 1859. Dal 1860 al 1864 Questo periodo fu di riflessione e analisi, di pensieri ricorrenti della sua esperienza missionaria e delle molte morti che avvenivano, dell’apparente impossibilità per gli europei di vivere e lavorare nell’Africa Centrale. Fu a causa della sua disponibilità alle missioni che Don Mazza dette a Comboni il compito (26 settembre 1860) di andare ad Aden a riscattare alcuni schiavi neri per portarli poi a Verona dove sarebbero stati accolti nei Collegi Africani che facevano parte dell’istituto. Passando da Roma (20 dicembre 1860) ebbe la sua prima udienza con Papa Pio IX. Il colloquio fu molto breve e Comboni gli chiese di benedire gli Istituti di Verona e naturalmente quelli africani. Lasciò il Papa con grande pace nel cuore. Arrivò ad Aden (12 gennaio 1861) e dopo molte tediose formalità poté finalmente partire il 2 febbraio con sette bambini africani. Ebbe molte difficoltà in Egitto per il loro imbarco verso l’Europa, ma alla fine ce la fece. Queste difficoltà erano dovute al fatto che la schiavitù era stata di recente abolita: perciò Comboni dovette provare che non portava quei ragazzi verso la schiavitù. Arrivò a Verona il 18 marzo dove fece tutto il possibile per ché i ragazzi fossero accolti nel migliore dei modi. Fu nominato Vice Rettore dei Collegi Africani appartenenti all’Istituto Mazza (18 marzo). E lavorò nell’istruzione degli africani per tre anni. Data la sua posizione, ebbe occasione di recarsi in Germania dove prese contatti con la “Società di Colonia” istituita per il riscatto e cura dei bambini africani schiavi. Tutti i contatti avuti e riflessioni fatte durante quel periodo maturarono la sua vocazione all’Apostolato africano. Fu infatti, nel 1864, mentre pregava sulla tomba di S. Pietro a Roma (15 settembre) all’inizio del Triduum in preparazione alla beatificazione di Santa Maria Margherita Alacoque, che concepì il suo “Piano per la Rigenerazione dell’Africa” che immediatamente presentò al Prefetto di Propaganda, Cardinale Alessandro Barnabò il 18 settembre, il giorno della beatificazione di Santa Maria Margherita, d a Pio IX il giorno successivo. Su suggerimento del Cardinale Barnabò, intraprese un viaggio attraverso l’Europa (Ottobre) per promuovere le missioni. Passando da Torino pubblicò (dicembre) la prima edizione italiana del “Piano”. Dal 1864 al 1872 Dopo l’ispirata concezione del Piano, Comboni ritenne di aver ricevuto da Dio la responsabilità delle missioni africane. Si recò in tutta Europa , Francia, Germania, Inghilterra, per promuovere ila sua opera e chiedere assistenza finanziaria. Questo periodo di grandi successi ebbe anche il suo lato oscuro. Mentre era all’estero c’era stato il tentativo di espellerlo dall’Istituto Mazza. Con il cuore pesante Comboni si affrettò a tornare a Verona

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(giugno 1865) dove si ritrovò con P. Mazza il quale lo accolse come un figlio e lo mandò a Roma (25 giugno). Là, a nome dell’Istituto doveva chiedere una missione in Africa. Nella ricerca di una missione per l’Istituto, Comboni tenne presente che il Vicariato dell’Africa Centrale era stato affidato ai Francescani responsabili del Vicariato d’Egitto. Si mise in contatto con il Superiore Generale dei Francescani il quale gli suggerì di parlare con P. Ludovico di Casoria. Comboni e P. Ludovico andarono a Roma presso Propaganda Fide per discutere il problema. Furono fatti i seguenti suggerimenti - Il territori ad est del Nilo dall’Egitto all’Equatore confinando con l’Etiopia all’Istituto di Don Mazza; - Il territori a ovest del Nilo fino all’equatore e senza limiti ad ovest, ai Francescani. Sembra che a P. Ludovico la divisione non andasse a genio, ed il viaggio fino a Scellal di Comboni e il Padre non approdò a nulla. Nel 1866, inoltre, Padre Tomba, successore di P. Mazza, ufficialmente declinò di prendere alcuna responsabilità per la parte a loro assegnata. Si rese comunque disponibile a mettere a disposizione di Comboni alcune ragazze educate a Verona. Comboni, non si disperò: si ricordò delle parole di P. Oliboni sul suo letto di morte: “Se solo uno di voi restasse, esso continuerà la missione”. Comboni fu incoraggiato a continuare nel suo lavoro da una richiesta del Cardinale Barnabò di fargli avere un resoconto del viaggio in Egitto e a Scellal ed esprimere la sua opinione circa altri passi da intraprendere a favore del Vicariato. Il suggerimento di Comboni fu di chiedere ai Francescani in Egitto di prendersi responsabilità per i territori della Nubia, per il resto, egli propose il suo piano. Con l’avvallo del Cardinale Pietro Castellaci, Comboni decise di fondare la propria Società Missionaria con il patronato di Cardinale Ludovico da Canossa , Vescovo di Verona (come avremo modo di vedere più avanti). Nota : J.H. Speke identificò le sorgenti del Nilo nel 1862. IL PIANO 1 1. Il Piano originale Esso è contenuto nel “Riassunto del Nuovo Progetto dell’Associazione dei Sacri Cuori di Gesù e Maria per la Conversione dell’Africa presentato alla Sacra Congregazione di Propaganda Fide da Padre Daniele Comboni dell’Istituto Mazza “(Roma 18 settembre 1864). Non troviamo l’approvazione formale del Piano: infatti Cardinale Barnabò non presentò il Piano alla Sacra Congregazione di Propaganda Fide , ma lo tenne a mente quando pensava all’Africa. Papa Pio IX in una delle udienze fatte a Comboni precisamente quella del 28 ottobre 1865, disse a Comboni “Sono contento del Vostro interesse per la causa dell’Africa. Vai adesso a Parigi e introduci il Piano all’Opera Pontificia per la Propagazione della Fede. Poi il Cardinale Barnabò informerà tutti gli ordinari dell’Africa e firmerà il decreto di approvazione. Vi chiedo anche di pensare a come il Piano possa essere messo in pratica con la collaborazione di altre associazioni Missionarie”.(Sembra che in quell’occasione Comboni riuscì a mettere il Papa con le spalle al muro).

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Citazioni e pagine che non recano altre indicazioni provengono da “Scritti per l’Evangelizzazione dell’Africa di Padre Pietro Chiocchetta MCCJ – EMI Bologna 1982

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Il manoscritto di questo Piano è in possesso del nostro Istituto, come pure molti altri come il memorandum mandato alla Sacra Congregazione per L’Evangelizzazione dei Popoli (SCEP) il 24 ottobre1864, e le edizioni stampate come quelle del 1865. Degno di nota è il “Piano per la rigenerazione dell’Africa proposto da Padre Daniele Comboni Missionario Apostolico dell’Africa Centrale” stampato a Roma dalla casa editrice di Propaganda Fide nel 1867. Qui non ha incluso il fatto di essere membro dell’Istituto Mazza : era un missionario Apostolico direttamente al servizio della Santa Sede. Rimarchevole è la “Lettera e Postulato agli Eminenti Reverendi Padri del Sacro Concilio Ecumenico Vaticano per conto dei Popoli neri dell’Africa Centrale” (Festa del Sacro Cuore 24 giugno 1870) . Fu presentato ai Padri del Concilio perché lo firmassero. Settantuno Padri del Concilio lo firmarono (pagine 131-134). I documenti non poterono essere discussi a causa della guerra d’indipendenza in Italia. L’esercito Italiano occupò Roma il 24 ottobre 1870. 2. I punti salienti del Piano (dall’edizione di Venezia 1865) La Sacra Congregazione di Propaganda Fide, molto preoccupata ,dovette arrendersi alla realtà dei fatti, e cioè la necessità di abbandonare l’importante missione dell’Africa Centrale, se non si fosse trovato un modo più efficace per convertire gli africani. “Il cuore di ogni buono e fedele Cattolico, infiammato com’è dallo spirito dell’amore di Gesù Cristo, sarà sicuramente duramente colpito dall’idea abominevole di vedere la Chiesa sospendere, forse per molti secoli, il suo lavoro per le milioni di anime che languiscono nell’ombra della morte. Dunque la via seguita fino ad ora deve essere cambiata, il vecchio sistema deve essere rivisto ed un nuovo piano deve essere approntato che porterà più efficacemente alla meta desiderata. Questo servirà a rafforzare la virtù sovrumana dell’amore Cristiano, ed espellerà per sempre dalle menti dei filantropi cattolici il pensiero doloroso di lasciare quelle vaste e popolose regioni miscredenti, quando sono chiaramente le più bisognose e abbandonate del mondo” (P. 220) a. Centro Operativo “Su questo importante argomento diciamo a noi stessi: “Non sarebbe la conquista delle tribù della triste Africa meglio raggiunta stabilendo il nostro centro operativo in un luogo dove l’africano vive e non si muta e l’europeo opera e non soccombe? “Il nostro pensiero si è fissato su questa magnifica idea; e la rigenerazione dell’Africa da parte dell’Africa ci sembra essere l’unica via da seguire per portare a compimento tale abbagliante conquista. Questa è la ragione per cui, nella nostra debolezza, ci siamo umilmente permessi di suggerire la strada lungo la quale l’alta meta possa più probabilmente essere raggiunta. Su questa meta sarà accentrato ogni pensiero della nostra vita e per questo saremmo felici di spargere fino all’ultima goccia del nostro sangue. Non osiamo quasi, rispettosamente alzarci, umili quali siamo, per intraprendere una discussione di un problema così Cattolico, che ha, forse tormentato la mente dei migliori pensatori. Nondimeno, saremo perdonati se l’impulso del nostro cuore, dove sentiamo più profondamente il grido di misericordia diretto a tutti noi da quei poveri figli d’Adamo che sono nostri fratelli, dovesse distogliere la nostra mente dalla via della verità e della certezza. Forse il Piano, che splendé davanti a noi mentre piangevamo ardentemente per quelle povere regioni, quando implementato, non avrebbe il vantaggio di arrivare allo scopo più velocemente, mentre in altre missioni i lavoratori apostolici raccolgono i frutti del loro lavoro. Nonostante ciò, però, è verso questa meta che esso va senza tentennamenti, ad essere interamente seguito, necessita unicamente di aver meno giorni di quelli che Dio, seduto sul suo eterno trono, ha decretato per portare a compimento.” (P. 220 –221)

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b. L’intera Africa “Questo nuovo piano quindi, non riguarderebbe unicamente i vecchi confini della missione dell’Africa Centrale, ma piuttosto, includerebbe tutte le razze africane; di conseguenza estenderebbe e svilupperebbe la sua attività su la maggior parte delle nazione dell’Africa nera. Ora, benché la Santa Sede non abbia mai potuto impiantare la fede in modo permanente fra le grandi tribù dell’Africa Centrale, essa ha, comunque, profuso nella sua amorevole preoccupazione per le isole e le località costiere che circondano la grande penisola africana, e vi ha fondato dodici Vicariati Apostolici, nove Prefetture Apostoliche e dieci Diocesi che fioriscono più o meno splendidamente.” (P. 221) c. Gli Istituti da istituire “Il piano, quindi, che osiamo sottoporre e proponiamo alla Sacra Congregazione di Propaganda Fide, sarebbe la creazione di innumerevoli istituti per ambi i sessi che circondano l’intera Africa . Questi sarebbero attentamente collocato alla minima distanza possibile dall’interno del continente, in luoghi sicuri ed abbastanza civilizzati, dove sia gli africani che gli europei potrebbero vivere e lavorare. Questi Istituti per uomini e donne, ognuno situato e approntato secondo i regolamenti delle norme canoniche, ammetterebbero giovani uomini e donne africani allo scopo di educarli nella religione Cattolica e la civilizzazione Cristiana, creando in tal modo un gruppo per gli uomini ed uno per le donne, destinati, ognuno per proprio conto, ad avanzare gradatamente e spargersi nell’interno africano, e la piantare la fede e la civilizzazione che hanno ricevuto. A dirigere questi istituti sarebbero chiamati gli Ordini Religiosi e Istituto Cattolici per uomini e donne, come approvato dalla Chiesa o riconosciuto o permesso dalla Sacra Congregazione di Propaganda. Il personale dirigente di questi istituti istruirebbe gli studenti africani secondo le regole e lo spirito delle loro Società, appositamente adattati ai requisiti dell’interno dell’Africa. Piccoli seminari per le missioni africane sarebbero fondati in Europa con queste finalità: addestrare gruppi di missionari europei per dirigere gli istituti africani come sopra descritto, incominciare nuove missioni fra i popoli africani, ed aprire la strada all’Apostolato africano per tutti i preti laici delle nazioni Cattoliche che potrebbero essere Chiamati da Dio a tale sublime ed importante missione.” (P. 223-224) d. Formazione adatta alla vocazione missionaria “La formazione data ai giovani africani deve essere in armonia con le loro stesse idee e deve essere caratterizzata dalle seguenti mete: imprimere e piantare nella loro anima lo spirito di Gesù Cristo, l’integrità dei costumi, fede salda, i principi della morale Cristiana, conoscenza del catechismo Cattolico e gli elementi basilari dello scibile umano. Oltre a questo, a tutti gli uomini verrà insegnata l’agricoltura e una o più professione di primaria importanza; a ogni donna sarà ugualmente istruita nelle più necessarie delle attività femminili. In tal modo i primi diventeranno uomini onesti, virtuosi, ed attivi e le donne saranno madri e spose virtuose. Crediamo che questa applicazione attiva al lavoro, nella quale vogliamo che tutti gli istituti africani siano coinvolti, avrà una potente influenza per il bene morale e spirituale dei singoli africani” (P. 224-225) “Da ognuno di questi Istituti che circondano la penisola africana, gruppi di uomini e donne verranno formati che a poco a poco si trasferiscono nell’Africa Centrale allo scopo di iniziare e consolidarvi il lavoro redentore del Cattolicesimo, e fondare stazioni missionarie dalle quali brillerà la luce della religione e la civiltà”(p- 225)

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e. Formazione differenziata per gli uomini “Il gruppo di giovani uomini africani, composto da coloro che sono stati giudicati più idonei per questa grande impresa sarà composto da: 1. Catechisti ai quali verrà impartita una conoscenza generale delle sacre scienze: 2. Insegnanti che saranno istruiti molto bene sulle più importanti scienze adattabili alle nazioni interne 3. Artigiani, ai quali verranno date conoscenze pratiche delle abilità più utili nelle regioni centrali, renderli contadini virtuosi e capaci, dottori, flebotomi, infermieri, farmacisti, carpentieri, sarti, conciatori di pelli, maniscalchi, muratori, ciabattini, e quant’altro. Questo gruppo di artigiani diventeranno anche i buoni ed onesti commercianti che promuoveranno e parteciperanno alla vendita dei prodotti da loro fabbricati o coltivati e all’importazione di merci. Questo commercio gradualmente creerà ed introdurrà quella prosperità che innalzerà i neri dalla loro abbietta povertà ed impotenza alle condizioni delle nazioni civilizzate. Da tutti questi elementi della industria indigena saranno prodotti i mezzi materiali per mantenere e sviluppare le missioni Cattoliche nell’interno dell’Africa.” (P.225-226) f. Formazione differenziata per le donne “Il gruppo di giovani africane, similmente formate fra quelle che sono più idonee al grande scopo sarà composto da: 1. Istitutrici, alle quali verrà data la più completa istruzione sulla religione e morale Cattoliche. 2. Insegnanti e casalinghe che promuoveranno l’educazione femminile nella lettura, scrittura, contabilità, filatura, cucito, tessitura, la cura dei malati, e la pratica di tutte le abilità riguardanti l’economia domestica più utili nei paesi dell’Africa Centrale” (P. 221) g. I sacerdoti “Dalla classe dei catechisti formata da giovani africani, un gruppo sarà scelto composto da coloro che più si distinguono per la loro santità e conoscenza e nei quali sembra esserci la disposizione a diventare sacerdote. Essi saranno diretti verso il sacerdozio. Nell’istruire questo gruppo speciale, la grande mole di materie che obbligatoriamente vengono studiate in Europa verranno evitate. L’insegnamento si limiterà a quelle materie teologiche e scientifiche che sono di primaria importanza, tali da essere sufficienti per i requisiti e necessità di quei paesi.. Inoltre, data la veloce crescita fisica ed intellettuale degli africani, non vorremmo che questo addestramento si prolungasse ai 12 o più anni che sono normali in Europa. Consideriamo sei, otto anni sufficienti, secondo i casi” (P. 226-227) h. Vergini della Carità “Fra le giovani donne africane coloro che non sono attratte al matrimonio sarà similmente scelto il gruppo delle Vergini della Carità, formato da quelle che si sono distinte per la loro santità e nell’insegnamento pratico del catechismo, lingue ed attività domestiche. i. Università “Per poter sviluppare i doni dei più dotati membri del clero indigeno, e per poterli addestrare come leader abili e illuminati delle comunità Cristiane dell’interno dell’Africa, l’Associazione a capo del nuovo Piano, man mano che il suo grande lavoro progredisce, fonderà quattro grandi università teologico-scientifiche nei luoghi africani più importanti. In questi centri universitari, come pure in altri luoghi importanti nelle isole e lungo la costa africana, potrebbero essere approntati dei piccoli centri di specializzazione per l’artigianato. Questi sarebbero per i giovani artigiani africani più idonei all’istruzione avanzata. Così introdu-

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cendo queste attività artigianali che migliorerebbero le condizioni materiali delle immense tribù africane, i missionari avrebbero meno difficoltà ad introdurre la fede in modo più profondo e duraturo.” (P. 224) 3. La “Novità” del Piano Il “Progetto per la conversione dell’Africa “è presentato come “nuovo”. Questa caratteristica di “novità” appare molto chiaramente nel brano che segue . “L’esperienza ha quindi chiaramente dimostrato che il sistema adottato sino ad ora, mentre si è dimostrato utile per la conversione degli atei in altre parti del mondo, è tuttavia improponibile per la rigenerazione dell’interno africano”, e Comboni parla delle sua personale esperienza. L’originalità del progetto di Comboni è nell’urgenza e risoluzione con cui affronta un dilemma, la profondità del quale è illustrata dalle sue conseguenze: “La terribile idea di vedere la Chiesa sospendere , forse per molti secoli, il suo lavoro per così tanti milioni di anime che ancora languiscono nelle tenebre e l’ombra della morte”. La novità è anche il fatto che il Piano “Mi è apparso nella mente come un fulmine” Questo ci lascia sorpresi per la sua sovrannaturale originalità. Una lettera che scrisse da Roma al suo Superiore P. Nicola Mazza datata 20 ottobre 1864, eloquentemente rivela l’eccitazione dal quale nacque il “Nuovo Piano: “Io credo che questo Piano sia opera di Dio, perché è sgorgato tutto d’un tratto il 15 settembre mentre stavo facendo il triduum alla Beata Margherita Maria Alacoque; e così il 18 settembre, il giorno in cui questa serva di Dio fu beatificata, il Cardinale Barnabò finì di leggere il mio Piano. Ci lavorai sopra per 60 ore consecutive”. “Fu la provvidenza a guidare la mia mente ed il mio cuore “. L’altro aspetto dell’originalità del Progetto consiste nel fatto che dall’ora in poi, la via che Comboni era chiamato a seguire era chiaramente segnata davanti a lui, la via per la quale sarebbe vissuto e morto donando tutto se stesso: “Nigrizia o morte!”. La rigenerazione dell’Africa non si raggiunge unicamente tramite l’istruzione del clero locale e con l’istituire strutture ecclesiastiche come Chiese, Parrocchie o Diocesi. Il punto d'arrivo è la radicale trasformazione dei valori culturali che non sono in contraddizione con il Vangelo. In questo Comboni condivide i punti di vista di altri missionari ma è molto più pratico avendo un chiaro progetto dell’integra promozione della persona umana. (vedi Gonzalez, Comboni: “En el Corazón de la Mission Africana” pagine 291-292) Indicativo è quanto Mazza scrisse al Cardinale Barnabò da Verona, 3 febbraio 1865 (vedi Mons. Grancelli, pagina 83): “A livello teologico, come dico, il progetto (il Piano di Comboni) mi piace, ma prevedo molte difficoltà ancora nel cercare di eseguirlo. Sentivo ed ancora sento di non esser assolutamente in grado di sconfiggerle e conquistare. Questa è la ragione per cui dissi a Padre Comboni che , da parte mia , non avrei osato promuovere tale impresa, ma che non avrei fermato lui dal farlo, in quanto non volevo oppormi a qualcosa per il quale lui si sentiva capace e entusiasta. Gli dissi di non agire come se avesse il mio incoraggiamento, ma piuttosto come se fosse separato ed indipendente da me. Se quest’opera dovesse iniziare, per grazia di Dio, io assieme al mio Istituto saremmo sempre pronti ad aiutare fin dove possibile...Tutto è possibile per Dio.. Questa è la ragione per cui Comboni non è più considerato membro del nostro Istituto” Il Piano, inoltre non si riferisce soltanto all’Africa Centrale, ma a tutto il continente; include un richiamo a tutta la Chiesa di sentire le sue responsabilità per la conversione degli africani “I più poveri e più abbandonati” e per il loro sviluppo integrale.

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4. Il “Postulato” inviato al Concilio Vaticano I Con una lettera di accompagnamento Comboni spedì il documento che doveva essere discusso e avvallato dal primo Concilio Vaticano. Fu firmato da 71 vescovi, ma non poté essere discusso in quanto il Concilio fu interrotto. Riportiamo qui il “Postulato” stesso. Le ragioni date e l’entusiasmo nella presentazione che scaturisce dalla lettera di copertura si comprendono dal testo del Piano . “Postulato “al Sacro Concilio Ecumenico Vaticano per i Popoli dell’Africa Centrale: “I Padri sottoscritti, con grande umiltà e fervide suppliche, implorano il Sacro Concilio Ecumenico Vaticano che, mentre guarda con attenzione a tutto il mondo, impietosito dalle necessità di tutti, si degni di rivolgere almeno uno sguardo di compassione all’Africa Centrale. Essa infatti è oppressa da mali gravissimi, supera in estensione più di due volte la superficie di tutta l’Europa e abbraccia cento milioni e più di figli di Cam, cioè, la decima parte di tutta l’umanità”. “L’Apostolato cattolico ha fatto ripetutamente in ogni tempo degli sforzi grandissimi per far entrare l’Africa nella vera Chiesa di Gesù Cristo. Infatti gran parte delle sue coste fu occupata da molti Vicariati e Prefetture Apostoliche e da alcune Diocesi. Ma il Centro dell’Africa è ancora quasi del tutto inesplorato e sconosciuto e, benché la Sacra Congregazione di Propaganda Fide, specialmente nei tempi più recenti abbia ravvivato la sua sollecitudine per tale causa, tuttavia queste regioni dell’Africa Centrale languiscono ancora quasi abbandonate nella loro miseria, senza Pastore, senza Apostoli, senza Chiesa e senza Fede.” “Di fronte a questa realtà, i Padri sottoscritti pregano con grande insistenza il Sacro concilio Ecumenico che si degni di persuadere i Vescovi, con una cortese esortazione e con un accordo, a procurare degni operai del Vangelo o qualunque altro aiuto a questa vigna abbandonata del Signore. E, se lo giudicherà opportuno, inviti con la sua solenne autorità tutto il mondo cattolico a soccorrerla, raccomandando la celeste e santa impresa e domandando l’aiuto efficace di tutto il popolo cristiano perché possa rifiorire” È di grande interesse notare con quanta passione Comboni scrive al Cardinale di Canossa su questo punto: “Spero di partire da Alessandria il 1° di marzo, ed all’8 sarò a Roma. Ora che si sta discutendo sugli Affari del Rito Orientale e quindi delle Missioni Cattoliche, non sarebbe la circostanza opportuna perché ella si mettesse d’accordo col Card. Barnabò e con Mons. Delegato per alzare la voce in Concilio in favore dell’Africa Centrale, di 100 milioni di Negri che giacciono sepolti nelle ombre della morte? Non sarebbe un affare di grande rilevanza il proporre e discutere sul modo di conquistare alla Chiesa la decima parte dell’Umanità, che tanti sforzi di 18 secoli non hanno potuto guadagnare a Cristo? Non sarebbe questo il momento di fare un colpo di stato, e d’invocare i lumi della Chiesa, e l’appoggio di tutti i cattolici del mondo rappresentati dai Vescovi del Concilio, per avere in poco tempo uomini e denaro da stringere d’assedio la Nigrizia? Ah! Monsignore e Padre mio! Mi sembra che sarebbe questo un argomento degno del Concilio. L’E. V. alzi la Voce e dica a Pio Nono: “Emitte, Beatissime Pater, vocem tuam, et renovabitur facies Africae”.(Parlate Beatissimo Padre, e il volto dell’Africa sarà rinnovato.) Una parola del Santo Padre in Concilio, un’adesione dei Vescovi, sì, tutti i cattolici del mondo presterebbero attenzione, e butterebbero quattrini per l’Africa, e sorgerebbero Apostoli per la Nigrizia. Si degni, Monsignore, di riflettere su questo pensiero, e abbia il coraggio di insistere, di pregare, di seccare tutti i R.mi Padri, e soprattutto il Cardinale Nostro Prefetto, e non li lasci fino a che non ha attenuto l’intento. La Sacra Famiglia, spero, farà questa grazia a me, ai miei compagni, ai nostri Istituti, che pregano per questo scopo quotidianamente.” (messaggio di Daniele Comboni n. 57)

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5. Conclusione Fu così quindi che Comboni realizzò la preghiera del moribondo P. Francesco Oliboni alla missione nella Santa Croce (26 marzo 1858) “Fratelli, io muoio, e sono felice di morire, perché questo è il volere di Dio; ma non dovete perdervi d’animo per questo; non lasciate che le vostre risoluzioni si offuschino, continuate il lavoro che avete cominciato anche se rimanesse solo uno di voi, non deve darsi per vinto e capitolare. Dio vuole la conversione degli africani Io muoio con questa certezza nel cuore”. (Mons. Grancelli ib. p. 37). Alla celebrazione del centenario della morte del Cardinale Lavigerie , fondatore dei Missionari dell’Africa, (Padri Bianchi) nel 1992, P. François Renault (MA) scrisse nel suo libro che il Piano di Comboni probabilmente ebbe una decisiva influenza sulle imprese Missionarie del Cardinale Lavigerie. (1825-1892) Dopo aver spiegato il piano di Comboni e spiegato la ragione del suo motto “Salvare l’Africa con gli Africani”, l’autore fa riferimento all’incontro di Cardinale Lavigerie con Comboni a Parigi nel 1865. Poi scrive: “Il piano di Comboni fu approvato dalla Santa Sede ed egli visitò un certo numero di nazioni europee alla ricerca di comunità religiose disposte ad eseguirlo. Fu durante una di queste visite che incontrò Lavigerie a Parigi nel 1865. Come Vescovo di Nancy, Lavigerie non era direttamente toccato dal piano di Comboni . Sembra, tuttavia, che questo ed altri incontri con Comboni , fecero una grande impressione su di lui. La sua idea dell’Algeria come “Il Portale dell’Africa” echeggia il piano: Istituti sulla costa africana da accogliere giovani provenienti dall’interno da poi rimandare a casa come evangelisti e civilizzatori. Anche Comboni stesso aveva suggerito Algeri come luogo idoneo per gli Istituti che aveva in mente. Una volta istallatosi in Algeri, Lavigerie non perse tempo nel far sua l’idea della “Rigenerazione dell’Africa da Africani.” Benché egli non abbia mai menzionato il suo incontro con Comboni, deve aver avuto grande interesse nel grandioso eppur realistico progetto che corrispondeva così bene alla sua stessa visione. “Interesse” è in effetti una parola troppo blanda. Il sogno fatto a Tours di un uomo dalla pelle scura che gli si avvicina per chiedere aiuto lo stimolò a prendere un impegno pratico.” Più avanti nello steso testo l’autore accenna al principio del Cardinale Lavigerie , e cioè: “I missionari, quindi, devono soprattutto essere degli iniziatori, pionieri , ma il lavoro duraturo può solo essere portato avanti dagli africani stessi, essendo essi diventati Cristiani e apostoli a loro volta. Ecco un’applicazione della formula che abbiamo già incontrato: la rigenerazione dell’Africa da parte degli africani. Comboni ne aveva parlato nel suo Piano per la Rigenerazione dell’Africa, un’opera che aiutò Lavigerie prendere coscienza della sua vocazione missionaria.” (pp. 175-176) Inoltre. “il resoconto del Vicariato nel Sudan del sud di Comboni illustrava la tragica situazione molto chiaramente.” (P. 226) Questa affermazione indica che l’interesse di Lavigerie nel commercio degli schiavi non ignorava gli appelli fatti da Comboni e la sua campagna contro lo schiavismo.

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Capitolo Secondo LA FONDAZIONE DEGLI ISTITUTI

Gli Istituti Comboniani sono il più grande frutto del Piano del Comboni, furono “concepiti” il 15 settembre 1864. Comboni arrivò alla loro fondazione per gradi: 1. L’Associazione del “Buon Pastore” per la Rigenerazione dell’Africa (Opera del Buon Pastore) A quei tempi quando il governo italiano era contro gli Istituti religiosi e aveva confiscato le loro proprietà, Comboni fondò una associazione che non era né di per se, né nella composizione del Consiglio d’Amministrazione una Istituzione religiosa. Egli, d’altronde, aveva bisogno del riconoscimento del governo per una associazione che sarebbe stata un ente con il diritto di possedere beni. L‘associazione fu canonicamente approvata il 1 giugno 1867 dal Cardinale di Canossa, con il decreto “Magnum sane perfundimur gaudio (È con nostra grande gioia che...”) Più avanti, il 6 marzo 1868, il Cardinale mandò una lettera circolare a tutti i Vescovi italiani invitandoli a istituite l’Associazione nelle loro diocesi. Lo scopo dell’Associazione era la Rigenerazione dell’Africa usando i seguenti metodi: Ø Animazione Missionaria Ø L’istituzione di diversi Istituti Missionari in tutta Europa Ø Supporto finanziario da parte dei seminari e le missioni. Un seminario fu fondato la cui responsabilità era dell’associazione Comboni scrisse al Cardinale Barnabò l’11 giugno 1867: “Ho il piacere di informarLa che Sua Eminenza Vescovo Canossa ha appena aperto un Seminario a Verona per le nostre care Missioni africane. Nel futuro ci si augura che questo Seminario sarà chiamato con il nome di “L’Istituto del Buon Pastore per la Rigenerazione dell’Africa.” L’Istituto fu quindi fondato: Ø Ø Ø Ø Ø

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per la rigenerazione dell’Africa tramite l’Africa; con un profondo senso della Chiesa; a Verona, ma nato (con le sue radici) nelle Missioni africane; tipicamente ed essenzialmente missionario; Sovranazionale e Cattolico, aperto alla cooperazione dell’Europa intera. Il Decreto di fondazione diceva: “L’opera di rigenerazione deve essere Cattolica, non spagnola, francese, tedesca o italiana”; sotto la protezione di Sua Eminenza Cardinale Canossa, espressione ecclesiale del patronato della Madonna dei Sette Dolori e San Paolo, Apostolo dei Gentili; con il Seminario di Verona vicino alla Chiesa di S. Pietro Incarnario con P. Alessandro Dal Bosco come Rettore; con i suoi primi membri aggregati, cioè i quattro Camilliani; con il Comitato o Consiglio di Amministrazione istituito il 23 gennaio 1868 a Verona sotto la Presidenza di Cardinale Canossa con Comboni come Direttore. I membri erano rappresentanti scelti dal clero e laici di Verona.

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2. Sospensione dell’Associazione (Opera) Nel 1868 Comboni si accinse ad aprire un Istituto a Parigi, un centro religioso e politico importante. A questo fine pubblicò a Parigi una edizione in francese del Piano e vi costituì un Comitato della Associazione del Buon Pastore (come aveva già fatto in Spagna e Germania). Ma su richiesta del Segretario della Associazione della Propagazione della Fede di Lione , (il quale, a torto, temeva che l’Associazione di Comboni avrebbe intralciato la loro raccolta di fondi,) Roma ordinò al Comboni di cessare le sue attività sia in Francia che in Italia tramite l’Associazione del Buon Pastore. Comboni obbedì e bloccò tutti gli accordi per un Istituto a Parigi nonché la raccolta di offerte. Cardinale Barnabò scrisse a tutti i Vescovi in Italia proibendo ogni tipo di raccolta di offerte per le missioni nelle loro Diocesi escluse quelle in favore della associazione di Lione. Canossa, a seguito della decisione di Propaganda Fide (la Sacra Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli) sospese tutte le attività dell’Istituto, tranne che chiuderlo del tutto, di conseguenza l’attività del Seminario si bloccò. La situazione peggiorò con la morte di P. Alessandro Dal Bosco il 15 dicembre 1867: il suo posto fu preso da P. Tommaso Tofffanelli che funse da facente funzione. 3. L’Istituto del Cairo Verso la fine del 1867, Comboni si trovava a Marsiglia (sud della Francia) e qui incontrò la signorina Maria Deluil Martiny che era zelante apostolo del Sacro Cuore, nonché devota delle “Guardie d’Onore “. Più avanti , il 20 giugno 1873, fondò l’Istituto delle figlie del Sacro Cuore di Gesù. Siamo in possesso di molte lettere che Comboni le scrisse principalmente riguardanti le “Guardie d’Onore”. Da Marsiglia, Comboni si recò in Egitto per aprire due istituti per ragazzi e ragazze africani. Portò appresso tre padri Camilliani, Stanislao Carcereri, Giuseppe Franceschini, e G. B. Zanoni. Assieme a lui c’erano 12 ragazze africane riscattate dall’Arcivescovo Castellacci, ed un gruppo di Suore di San Giuseppe dell’Apparizione. Gli obiettivi dei due Istituti erano molteplici; erano l’avanguardia dei vari Istituti che sarebbero stati costruiti attorno all’Africa: scuole, catecumenati, dispensari, per i giovani africani poveri o orfani, per alloggiare missionari per una migliore preparazione per l’Africa Centrale. Le 12 ragazze del Mazza che aveva salvato Castellacci dovevano diventare insegnanti e catechiste. Le suore Camilliane sarebbero state responsabili dei due Istituti. 4. La restaurazione della Associazione e dell’Istituto. Dopo la sospensione dell’Istituto sole due persone si erano aggregate a Comboni,: P. Bortolo Rolleri e il laico Giacomo Rossi. Comboni ritorno al Cairo con loro il 15 gennaio 1869. Doveva trovare, però, un modo di uscire dall’impasse in cui si trovava l’Istituto. Colse l’occasione del Concilio Vaticano I che aprì l’otto dicembre1869 e sospeso il 20 ottobre 1870: Comboni scrisse il suo ”Postulato” e dopo che Canossa lo ebbe nominato suo teologo, dandogli così la possibilità di partecipare al Concilio, Comboni andò a Roma il 15 marzo 1870. Fece una relazione a Propaganda Fide e presentò il suo Postulato. Nel frattempo, Cardinale Barnabò era arrivato alla conclusione che il futuro dell’Africa Centrale restava unicamente con Comboni ed il suo Istituto. A Comboni fu detto : “Date al Vostro Istituto a Verona una solida base e Vi darò una missione nell’Africa Centrale “. Siccome c’erano diversi candidati che facevano la stessa richiesta, il cardinale di Propaganda Fide insistette affinché le Regole dell’Istituto fossero scritte di urgenza. Nel frattempo Comboni cercava personale per le missioni, incluso Don Bosco, ma sempre con esiti negativi. A seguito dell’atmosfera positiva creatasi a Roma e a Verona Comboni fece i seguenti passi:

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fornì una nuova residenza a Verona vicino al Seminario Diocesano. lo acquistò con le offerte della moglie dell’Imperatore d’Austria. Iniziò a fare viaggi di animazione Missionaria in Europa; Nominò P. Antonio Squaranti Superiore dell’Istituto; restaurò l’Associazione del Buon Pastore con tutte le sue attività e questo fu fatto il 21 novembre 1871 con il nuovo Rettore P. Antonio Squaranti presente. Gli “Annali dell’Associazione del Buon pastore” ebbero inizio nel gennaio 1872. Mons. Luigi, Cardinale di Canossa dopo l’approvazione delle Regole fondamentali firmò Il Decreto che formalmente e canonicamente istituì l’istituto l’8 dicembre 1871 (vedere Regole 1971 e Regola di Vita dei Missionari Comboniani). a. Regole di base : punti strutturali. Nome: Istituto per le Missioni Africane Natura: Una unione di clero e fratelli senza voti. Causale: La rigenerazione dell’Africa Consacrata: al Santissimo Cuore di Gesù (vedere Regole del 1871). Autorità: Propaganda Fide, Vescovo di Verona. I membri devono professare perfetta ubbidienza ai propri legittimi superiori. Alla conclusione della loro formazione spirituale i membri si sarebbero votati totalmente alla causa dell’Africa. b. Regole principali: formazione dei candidati

Comboni aveva urgente bisogno di missionari; il problema era come dare una formazione unica in vari periodi: a sacerdoti, studenti di teologia e fratelli. Periodi di addestramento: Ø uno screening totale prima dell’accettazione (vedere Regole 1871); Ø almeno un anno a Verona, come una specie di noviziato, Comboni insisté su questo prima di partire per il Cairo; Ø Un periodo al Cairo, per abituarsi al clima africano e per ricevere immediatamente il necessario addestramento pastorale a completamento della loro formazione. Contenuti dell’addestramento Ø amore per la sofferenza e martirio Ø dedizione totale Ø osservanza delle Regole Ø la qualità prima della quantità Ø dotati ed autenticamente santi: altrimenti i candidati non servono a nulla; Ø anche l’amore è indispensabile Comboni non prevedeva le solite strutture della vita religiosa: la sua spiritualità includeva ed andava oltre le suddette strutture. Nelle Regole del 1871 Comboni fra le altre regole incluse le seguenti: “Nell’Istituto dei Missionari si inculca profondamente e si cerca di imprimere e di ben radicare nell’anima dei candidati, il vero preciso carattere del missionario della Nigrizia, il quale deve essere una perpetua vittima di sacrificio, destinata a lavorare, sudare, morire senza forse vedere alcun frutto delle sue fatiche…

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I candidati si formeranno questa disposizione essenziale col tener sempre gli occhi fissi in Gesù Cristo, amandolo teneramente, e procurando di intendere ognora meglio cosa vuol dire u Dio morto in croce per la salvezza delle anime… rinnoveranno spesso l’offerta di se medesimi a Dio, della loro salute, ed anche della vita. Per eccitare lo Spirito a queste sane disposizioni, in certe circostanze di maggior fervore faranno tutti insieme una formale ed esplicita dedica a Dio di se stessi, esibendosi ciascuno con umiltà e confidenza nella sua grazia anche al martirio”. (Capitolo 10) A questo punto possiamo asserire che la restaurazione dell’Associazione che seguì la sospensione dette più stabilità all’Istituto, provvedendo a dare una migliore preparazione per l’opera missionaria, creando condizioni di amore fraterno e mutuo scambio di esperienze e solidarietà: lo Spirito Santo operò egregiamente tramite le imperfezioni umane. Approvazione da Roma: tenendo conto del progresso fatto dall’Istituto e considerando il Piano del Comboni e la sua determinazione, Propaganda Fide approvò l’Istituto a tutti gli effetti, benché rimandassero indietro le Regole del 1871 per alcuni emendamenti . Di conseguenza, il 21 maggio 1872. Propaganda Fide affidò il Vicariato dell’Africa Centrale all’Istituto del Comboni, e lo nominò capo della Missione con il titolo di Pro Vicario Apostolico (Decreto del 26 maggio 1872). L’11 giugno 1872 Papa Pio IX scrisse “Affidiamo il suddetto Vicariato ai nostri ben amati figli e sacerdoti dell’istituto per le Missioni Africane di Verona”. Tale affermazione può essere considerata l’equivalente di una approvazione Pontificia, anche se normalmente un Istituto non è considerato di Diritto Pontificio sino a che le sue Regole siano state approvate dalla Santa Sede . La storia dell’Istituto iniziò veramente soltanto quando il primo gruppo dei Missionari di Comboni partirono alla volta dell’Africa nel settembre 1872: quattro sacerdoti, un seminarista, tre fratelli e quattro ragazze africane. In effetti, senza i suoi membri attivi nelle missioni, esso non sarebbe stato un Istituto Comboniano. c. Le Regole – Commenti storici Nessun Istituto può esser approvato o operare in modo conforme senza Regole. Quindi, nel Rinnovamento dell’Istituto, Comboni dovette preparare delle Regole. Regole del 1871: Comboni le preparò consultando le Regole di altri istituti principalmente quelle dell’Istituto Pontificio per le Missioni Estere fondato a Milano da Mons. Marinoni nel 1850. Comboni le presentò al Cardinale di Canossa al quale non piacquero alcuni punti e chiese a Comboni di riscriverle. Non sappiamo esattamente quali fossero le Obiezioni del Cardinale di Canossa, ma considerando come erano state compilate le regole del 1872, possiamo dedurre che il cardinale le voleva più giuridiche e più brevi. Comboni le rielaborò e nel febbraio 1872 le presentò a Propaganda Fide. Quando nel 1874, P. Carcereri si recò a Roma ,Comboni gli chiese di seguire il loro progresso presso Propaganda. Quello che doveva fare era di inserire nel testo le osservazioni del Consigliere di Propaganda o cambiare le Regole secondo quanto richiesto. Carcereri, invece, inserì diversi cambiamenti suoi personali che dettero l’impressione che fosse un testo totalmente nuovo. Propaganda consegnò le Regole ad un altro Consigliere, per ulteriore considerazione e questo ritardò la loro approvazione, tanto che Comboni morì senza che esse fossero ancora state approvate. Sembra che P. S. Carcereri , di riconosciuta mentalità completamente differente da quella di Comboni, volesse che le Missioni avessero legami molto più tenui con l’Istituto, secondo lo schema originario del Seminario per le missioni.

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Queste differenze che si fecero notare anche in altre situazioni, dettero vita alla “Controversia Camilliana “che ebbe effetti negativi sull’operato missionario del Vicariato e su Comboni stesso. 5. Gli sviluppi dell’Istituto Quando Comboni partì alla volta dell’Africa (17 settembre 1872), l’Istituto aveva: Ø un eccellente Rettore, P. Antonio Squaranti il quale aveva ricevuto direttive ben precise per lo svolgimento del suo lavoro; Ø Regole ispirate; Ø Sufficienti fondi per operare; Ø il Consiglio permanente dell’Associazione del buon Pastore; Ø 5 missionari a Verona, 6 al Cairo 4 nel territorio; Ø Promozione delle vocazioni e internazionalità Anche dal territorio missionario Comboni continuò i suoi sforzi di animazione e quando tornò in Italia partecipò a celebrazioni caratteristiche e a pellegrinaggi, come quello del Crocefisso di Como e Piacenza dove presenziarono 14 Vescovi. Scrisse articoli per la stampa a Torino. Tenne una grande quantità di corrispondenza. Nel 1879 scrisse 700 lettere (solo 80 delle quali sono arrivate a noi) , nel 1871 da gennaio a maggio soltanto, scrisse circa 1347 lettere Viaggiava per incontrare gente e si mise in contatto con altri Istituti anche all’estero: P. Jansens dell’Istituto del Verbo Divino in Belgio, personalità in Gran Bretagna ed America. Dal 15 maggio 1879 al 10 ottobre 1881 reclutò 40 candidati: 23 italiani, 17 di altre nazioni. a. Nuove case degli Istituti A Verona si potevano ospitare soltanto 20 persone e nel 1879 Comboni ne accettò 23. Prese in considerazione la possibilità aprire altre case in Austria, Francia e Siria, ma era troppo a corto di fondi per portare a termine simili progetti. La donazione di una casa a Sestri, Italia occidentale, andò a finire in niente. Contattò l’Ordine delle Stigmate ed anche i Gesuiti della Università del Libano, che accettarono candidati per studiare l’arabo. Alla fine, comunque, solo Daniele Sorur vi andò Nessun progresso in questo senso fu fatto data la mancanza di fondi e la morte di Comboni. b. Ulteriori difficoltà nell’Istituto PADRE ANTONIO SQUARANTI, sacerdote della Diocesi di Verona era un buon Rettore. Nel 1877 chiese di raggiungere Comboni in Africa (dove morì nel novembre del 1878). La responsabilità dell’Istituto fu data a P. Paolo Rossi delle Diocesi di Verona: era stato nelle missioni e era stato suo segretario dal 1874 al 1876. Comboni lo nominò Rettore provvisorio il 13 dicembre 1877. P. Rossi aveva solo 28 anni e non era all’altezza del compito specialmente per quanto concerneva l’aspetto finanziario. Sembra che per mandare avanti l’Istituito di Verona egli usasse le offerte per le missioni. Inoltre le accuse dei Camilliani nei confronti del Comboni cominciavano a circolare e a Verona. Dopo l’arrivo del Comboni in città (15 maggio 1879), in preda ad una grande depressione e temendo di aver perso la sua fiducia, P. Rossi si dimise (agosto-settembre 1879) senza avvisare Comboni, e tornò alla Diocesi di Verona.

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Alla ricerca di un nuovo Superiore, Comboni si mise in contatto con il Superiore Generale dei Gesuiti, il quale rispose che, benché fosse disposto ad aiutarlo non lo poteva fare in quel momento. Il Superiore Generale dell’ordine delle Stigmate inviò P. Sembianti, come incaricato provvisorio fino all’arrivo della persona designata dai Gesuiti e con l’intesa che avrebbe anche dato una mano anche per le Suore. PADRE GIUSEPPE SEMBIANTI (1880-1885) fu apprezzato dal Comboni come uomo pio e capace e lo invitò a tenersi in contatto con tutti i missionari scrivendo loro, ogni tanto, delle lettere. Lo descrisse come alquanto caparbio, pessimista e scrupoloso. Ciò non dimeno, si fidava di lui e gli scrisse molte lettere confidenziali e sincere; la sua amicizia fu di grande conforto per Comboni. P. Sembianti fu rettore fino a quando non subentrarono i Gesuiti nel 1885 dopo di che divenne responsabile per le finanze e l’economia dell’Istituto Religioso fino al 1896, quando ne diventò membro. Morì nel 1914 all’età di 78 anni nella nostra casa di Brescia dove era direttore spirituale.

STATISTICHE Dal 1867 al 1881, 126 candidati si unirono all’Istituto: 73 sacerdoti, 53 laici, dei quali 90 italiani e 36 di altre nazionalità. Alla morte di Comboni 30 erano morti e 60 se ne erano andati. Alla data del 10 ottobre 1881 , l’Istituto contava 35 membri dei quali 21 erano in missione e 14 a Verona. L’ISTITUTO DELLE PIE MADRI DELLA NIGRIZIA In seguito alla sua esperienza in Africa Comboni ritenne necessaria la presenza di Suore nelle missioni. Scrisse alla Società di Colonia che la loro presenza era “essenziale ed indispensabile”. Produsse un articolo e lo pubblicò nel 1878: “Sono stato nelle missioni con molti sacerdoti italiani e tedeschi, ma non avremmo ottenuto nessun risultato senza le Suore, e senza la grazia del Signore saremmo stati i pericolo noi stessi”. A completamento del suo Piano Comboni desiderava che il suo Istituto fosse affiancato da un altro per le donne. Ne aveva fatto menzione per iscritto nel 1867 al Cardinale Barnabò. “Assieme ad un Istituto per uomini, il Cardinale di Canossa ne ha avviato uno per donne”. Con questo Comboni faceva riferimento ad un piano del Vescovo Castellacci. Secondo le Visioni di Suor Teresa de Angelis, l’Istituto per Suore esposto da Comboni doveva essere fondato da Mons. Castellacci e Suor Teresa stessa, e avrebbe seguito le Regole dell’Ordine del Buon Pastore, del quale il Vescovo Castellaci e Suor Teresa sarebbero stati riconosciuti come Fondatori. A questo fine, il Vescovo Castellacci aveva accettato 12 ragazze africane istruite presso l’Istituto Mazza di Verona . Le istruiva con l’intenzione di dare avvio all’Istituto di Suore. Questo era un chiaro segno che Castellacci voleva prendere il posto di Comboni nel progetto delle Suore. Comboni però, non credeva nella Suora visionaria e lo zelo per l’Africa dimostrato dal prelato, per cui non riconobbe tale Istituto e reclamò le 12 ragazze africane. Il prelato creò molte difficoltà e rifiutò di cedere le ragazze le quali, provenivano dall’Istituto di Don Mazza. Intervenne i l Cardinale Barnabò e riuscì a disimpegnare nove ragazze; per le altre tre fu necessario l’intervento dello stesso Papa dato che Castellacci era Vicario generale del Papa per la Diocesi di Roma. Come risultato della riunione dell’Associazione del Buon Pastore tenuta il 21 novembre 1871, il 1 gennaio 1872 Comboni fondò l’Istituto Religioso delle “Pie Madri della Nigrizia”. Il 12 gennaio 1872 Cardinale Canossa dette la sua approvazione ufficiale. La prima postulante accettata fu Maria Caspi e la seconda Maria Scandola.

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Inizialmente, una brava signora, Luigia Zago offrì una casa vicino a Verona, a Montorio come sede per la formazione delle suore. Lei stesa divenne formatrice delle postulanti. Dopo alcuni mesi, a settembre, un’altra casa fu fondata nella stessa Verona in quanto una residenza in città era più adatta. Vicino alla Chiesa di santa Maria In Organo, un vecchio convento proprietà di un Istituto di Suore che seguivano la Regola di S, Benedetto, divenne disponibile. L’Istituto risentiva della mancanza di vocazioni a causa del Decreto passato dal nuovo governo italiano che sopprimeva gli Istituto Religiosi .Ciò nonostante un gruppo di Suore rimase fino all’estinzione dello stesso. L’ultima di loro morì nel 1906. Naturalmente la Superiora del convento Suor Giovanna Spiazzi (52 anni) diventò la formatrice delle postulanti dal 1872 al 1873. Il problema era che lei le stava istruendo come se dovessero diventare Benedettine e non missionarie. Inoltre, le postulanti erano obbligate ad occuparsi della grande casa che le Suore Comboniane occupano a tutt’oggi. Madre Pia Galli subentrò a Suor Giovanna. Proveniva da un convento di Suore di clausura, ma padre Squaranti non aveva alternative. Essa prese le redini dell’Istituto nel 1873 e se ne andò nel giugno del 1874 perché i suoi metodi didattici erano troppo severi e più appropriati a religiose adulte, essendo basate su una rigorosa disciplina, digiuni e penitenze. Padre Carcereri nel 1874 fece visita alle Suore che si trovavano in quella incresciosa situazione, e propose che si unissero con le Suore di San Giuseppe dell’Apparizione, ma la loro Superiora Generale, Madre Emilie Julien, non accettò. Padre Carcereri costrinse Madre Pia Galli a dare le dimissioni e si mise in contatto con Maria Bollezzoli la quale non aveva accettato l’incarico quando le era stato chiesto da Comboni. Maria Bollezoli che allora aveva 45 anni dopo aver valutato l’impegno per molto tempo, accettò l’offerta. Maestra elementare e un apostolo attivo fra le insegnanti ed i giovani , aveva sufficiente esperienza della vita Cristiana; era anche abbastanza saggia da imparare ad essere una novizia, ed allo stesso tempo Maestra delle Novizie. Iniziò il noviziato il 6 settembre 1874 assieme a Teresa Grigolini, Marietta Scandola ed altre quattro ragazze. Comboni accettò i suoi tre voti e quelli di Suor Teresa Grigolini il 15 ottobre 1876. Le prime cinque Suore a partire per l’Africa il 15 dicembre 1877 furono Suor Teresa Grigolini, Suor Marietta Caspi, Suor Maria Giuseppe Scandola, Suor Vittoria Paganini e Suor Concetta Corsi. Partirono col Comboni il quale stava tornando in Africa con tre sacerdoti e sei laici. Con loro c’era anche P. Squaranti. Alla morte di Comboni c’erano 22 Suore professe, 17 delle quali nelle missioni, 5 postulanti e 14 novizie; Madre Bollezzoli era la loro Superiora. Padre A. Squaranti, il Rettore dell’Istituto per uomini, rappresentava Comboni e aiutò le Suore a redigere le loro regole. Suor Fortunata Quascè: fu la prima suora Comboniana africana , dai Monti Nubani, prigioniera dei Mahdi. Morì al Cairo ne 1899. Domitilla, una Dinka l’aveva raggiunta, ma più tardi se ne andò.

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Capitolo Terzo COMBONI DAL 1872 AL 1881

Date importanti: Settembre 1872: Marzo 1876: 11 luglio 1877: 12 agosto 1877: 3 dicembre 1877: Marzo 1879: Novembre 1880: 10 ottobre 1881:

Comboni parte per Khartoum (dal Cairo nel gennaio 73) Comboni torna in Europa Comboni viene nominato vescovo Comboni è consacrato Vescovo, e poi va in viaggio per l’Europa. Torna in Africa Comboni torna in Italia a visitare gli Istituti Torna in Africa Muore a Khartoum

Comboni è responsabile del grande Vicariato dell’Africa Centrale Per poter sostenere il peso delle sue responsabilità fece le seguenti scelte: 1. Le scelte delle priorità a. Una attitudine di servizio Dopo la sua nomina a Pro Vicario Comboni arrivò al Cairo il 26 settembre 1872 con 3 sacerdoti, 3 fratelli, 3 Suore, 14 insegnanti africane. Dopo 3 mesi nel deserto arrivarono a Khartoum il 4 maggio 1873. Nel suo primo discorso dichiarò: “Io ritorno fra voi per non mai più cessare di essere vostro, e tutto per sempre consacrato al vostro maggior bene. Il giorno e la notte, il sole e la pioggia, mi troveranno egualmente e sempre pronto ai vostri spirituali bisogni: il ricco e il povero, il sano e l’infermo, il giovane e il vecchio, il padrone e il servo avranno sempre uguale accesso al mio cuore. Il vostro bene sarà il mio, e le vostre pene saranno pure le mie. Io prendo a far causa comune con ognuno di voi, e il più felice dei miei giorni sarà quello, in cui potrò dare la vita per voi.” (Messaggio di Daniele Comboni n. 18) b. Un servizio altruista fino al martirio Egli scrisse al Cardinale di Canossa che stava recandosi al primo Concilio Vaticano: “Per carità promuova in Concilio la questione, e parli sulla Nigrizia, e sulla maniera di guadagnare a Cristo cento milioni di anime Negre; dica che non mancano mai nella Chiesa gli operai evangelici che sospirano al martirio come la più cara e soave ricompensa delle più ardue fatiche; e tutti noi quattro siamo tutti disposti di sostenere a piè fermo la morte col più atroce dei martirj anche per salvare un’anima sola della nigrizia: per noi i calori dell’Africa sono come uno zeffiro in Italia al più buon Parroco veronese. Se poi il S. Padre, o il Concilio avessero ad alzare la voce in favore della Nigrizia, ed a rivolgersi ai cattolici ecc…noi moriamo dalla consolazione.” (Messaggio di Daniele Comboni n. 58)

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c. Un atteggiamento di completa fiducia in Dio “Oppresso da queste acerbissime angustie e colpito da così grandi calamità, non mi sono mai scoraggiato, anzi sono lieto che per la redenzione degli infedeli sia stato fatto partecipe della Passione di Gesù Cristo, che è vita e resurrezione. Ripongo tutta la mia speranza nel Signore e nella santità della causa nobilissima, alla quale assieme ai miei zelanti collaboratori mi sono interamente consacrato fino alla morte, e che riguarda la gloria di Dio e la salvezza di tutta l'Africa centrale. Perciò ho deciso di rifugiarmi presso il Padre delle misericordie e Dio di ogni consolazione, e di affidarmi alla cristiana carità.” (Daniele Comboni Messaggi, n° 19) …in Maria Nostra Signora… “O Maria rifugio dei poveri peccatori, mostratevi anche Regina e Madre dei poveri Negri, perché anch’essi sono vostro popolo. Io insegnerò loro questo grande annuncio, che Voi avete proclamato dall’alto di questa Montagna. Sì, buona Madre di misericordia, Voi siete la Madre dei Negri: in questo momento, io, loro padre e missionario, li metto tutti ai vostri piedi, affinché Voi li poniate nel vostro cuore: monstra Te esse Matrem!…O mia divina Madre, Voi sapete quante belle anime e quanti cuori generosi, ho trovato, grazie a Voi tra quelle barbare tribù dell’Africa…Sì, vi è fra queste primizie della mia missione, che metto nuovamente sotto il vostro patrocinio, la certezza che è venuto il tempo in cui l’umanità tutta intera, che è popolo di Dio e vostro, formi un solo ovile sotto la guida di un solo Buon Pastore.” (Daniele Comboni Messaggi, n° 200) ...in San Giuseppe… “Il Vicariato dell’Africa Centrale, grazie alla poderosa assistenza dell’inclito Patriarca S. Giuseppe, che dell’Africa Centrale divenne il vero Economo, dopo che il Santo Padre lo proclamò Protettore della Chiesa Cattolica, non mancherà mai di sufficienti risorse.” (Daniele Comboni Messaggi, n° 207) ...e nella preghiera genuina… “Essendo la preghiera il mezzo più sicuro ed infallibile per riuscire nelle Opere di Dio anche le più difficili e scabrose, ho sollecitato a calde istanze da un gran numero di Vescovi e dai più rispettabili Istituti delle cinque parti del mondo, quotidiane e fervidissime orazioni ai SS. Cuori di Gesù e di Maria ed all’inclito Patrono della Chiesa Universale per la conversione della Nigrizia. Siccome in questo rilevante affare abbiamo a trattare con un vero galantuomo, Iddio, che mantiene la sua parola e l’adempirà in eterno;” (Daniele Comboni Messaggi, n° 184) 2. Scelta del campo di apostolato a. La scelta di Khartoum La scelta di Khartoum come centro del Vicariato era scontata. Ma Comboni non seguì il Nilo Banco, dove visse la sua prima esperienza pastorale, e dove le tombe dei missionari ricordavano la loro presenza. Scelse la regione di Kordofan. Ci sono diverse ragioni per questa scelta: Ø Il desiderio di portare il Vangelo alle popolazioni delle Montagne Nuba. Dal 1848 Comboni era stato vicino ad un certo Bachit Kaenda, uno schiavo liberato proveniente da Jebel Nuba, che viveva a Verona: Apprezzava molto la sua profonda religiosità, la sua fede costante ed il suo magnifico carattere. Comboni gli promise che avrebbe fatto tutto il possibile per portare la fede Cristiana agli Nuba così egregiamente rappresentati da lui.

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Ø Il commercio degli schiavi: mentre i mercanti di avorio infestavano la via del Nilo Bianco, gli schiavisti devastavano soprattutto la regione a Sud Ovest di Khartoum e quest’ultima assieme ad El-Obeid era il centro di questo crudele commercio. Ø La ragione per cui Comboni abbandonò il Nilo Bianco a favore del Kordofan è la seguente: “Durante il primo periodo del Vicariato, ci accorgemmo che gli africani del Nilo bianco erano stati corrotti dai mercanti… pensai quindi fosse più opportuno di avvalermi delle vie dell’entroterra e stabilire una missione fra il Nilo Bianco ed il Niger. Mi sembrava che queste regioni interne erano in meno pericolo di essere corrotte.” (vedi Hill, pag. 20) Quando P. Carcereri fu pronto ad esplorare il Kordofan, Comboni lo autorizzò senza problemi a fondare El-Obeid come prima missione (13 gennaio 1872), più tardi seguita da Delen (31 marzo 1875) e Malbes (dicembre 1876). L’opinione che Comboni si era fatto dei Nuba fu confermata quando visitò El-Obeid (giugno 1873) e consacrò il Vicariato al Sacro Cuore di Gesù(14 settembre 1873). Infatti un capo Nuba, un certo Said-Aga e più avanti il Capo dei Capi Congiur Cacum visitarono Comboni e lo invitarono a istituire una scuola ed una Chiesa. L’ammirazione di Comboni per i Nuba aumentò quando venne a sapere che avevano respinto molti attacchi da parte dei crudeli mercanti di schiavi e non erano interessati all’Islam. Ad ogni modo Comboni non si limitò unicamente alla zona di Kordofan, e nel 1874 istituì una missione a Berber a nord di Khartoum presso un’altra tribù. In meno di tre anni Comboni fondò tre missioni; ciò fu un vero miracolo considerando le distanze da coprire sul dorso di un cammello e le difficoltà finanziarie. All’inizio del 1876 Comboni si recò in Europa dove la Controversia Camilliana e la sua consacrazione a Vescovo ritardarono il suo ritorno a Khartoum per più di due anni (12 aprile 1978). b. Più ampi orizzonti Al suo ritorno a Khartoum Comboni aveva in programma di arrivare fino al Sudan occidentale, la regione dei Grandi Laghi e all’interno delle Montagne Nuba dove una nuova fondazione era già programmata entro marzo 1881 e con l’intenzione di aprire una via di comunicazione a sud verso i Grandi Laghi. Per queste missioni Comboni aveva già contattato Propaganda a Roma, Henry Morton Stanley, l’esploratore e il Generale Gordon Governatore del Sudan. Gordon aveva una volta mandato il suo collega Romolo Gessi al Vicariato Apostolico con un messaggio: “Dite a Mons. Comboni che la sua spedizione ai Laghi Equatoriali sarà fatta a spese del governo, deve solo fornire provvigioni.” La spedizione avrebbe dovuto partire nell’autunno di quell’anno. Gordon aveva chiesto a Comboni di mandare le Suore a lavorare nell’ospedale governativo di Fashoda, ma non solo; disse che se ci fosse stato personale disponibile, ne avrebbero avuto bisogno anche nell’ospedale del conclave di Lado vicino a GondoKoro e presso un altro sul lago Nyanza Albert , vicino all’equatore. Comboni sperava che i suoi missionari si stabilissero vicino all’equatore entro il 1879. P. Antonio Dobale, un Galla dell’Etiopia, nato nel 1851, era uno di quei giovani liberato dal Comboni in Aden, portato in Italia e accolto nel Collegio Mazza . Più avanti studiò teologia al Collegio di Propaganda Fide a Roma e fu ordinato prete il 1 novembre 1877. Si unì all’Istituto di Comboni e morì a El-Obeid il 16 settembre 1881. Ma come si poteva fare? Padre Martini ci dice che 10 missionari erano morti di recente nella sola Khartoum. L’anno 1878 fu un anno di morte a causa di inondazioni e carestia. Comboni scrisse: Abbiamo consumato tutte le provvigioni che avevamo e speso tutto il nostro danaro per dar da mangiare alle numerosi Istituzioni che abbiamo a Berber, Khartoum, el Obeid , Jebel Nu-

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ba…. Abbiamo anche aiutato i Musulmani che ne avevano estremo bisogno ... ma siamo adesso costretti a chiudere le porte a tanti poveri sfortunati che sono venuti a chiedere pane” (vedere Hill P. 24) Fisicamente esausto, ritornò in Italia nel maggio del 1879 con l’intenzione di ottenere altri aiuti finanziari. Alcuni mesi dopo il suo ritorno dall’Europa, il 28 gennaio 1881 avendo messo in ordine i suoi Istituti, seppe che i Grandi Laghi erano stati tolti dalla sua giurisdizione e dati ai Padri Bianchi (o Missionari d’Africa). 3. Metodologia Oltre alla fondazione di Istituti come “Cenacoli di Apostoli ”, possiamo elencare i seguenti aspetti della metodologia Comboniana appartenente ad un pioniere che non poteva perdersi in dettagli o seguire direttive particolari. a. Salvare l’Africa con l’Africa In concordanza con il suo piano, Comboni si accinse a reclutare africani per lavorare con lui. PADRE PIO GIUSEPPE HADRIAN O.S.B. Pio era un sudanese nato nella regione del Sennar; all’età di quattro anni egli fu reso schiavo e venduto più volte nella Nubia. Fu riscattato da P. Nicola Olivieri al Cairo. Ricevette la sua istruzione al Convento Benedettino di Subiaco nei pressi di Roma. Egli purtroppo soffriva di tubercolosi e gli fu consigliato do tornare a casa con Comboni. Comboni lo accolse nel 1872 e lo portò al suo Vicariato e nel giugno 1873 il primo sacerdote provenitene dall’Africa Centrale morì. PADRE DANIELE SORUR. Un Dinka proveniente da Bahr-el Ghazal, fu portato come schiavo a El Obeid ad un padrone che aveva già comprato sua madre. Imparò diversi mestieri. Fu picchiato due volte e così decise di scappare. La missione non era molto distante. All’inizio credette quello che dicevano gli arabi per far sì che gli indigeni avessero paura degli europei, e cioè che gli europei erano cannibali. Prevalse tuttavia la disperazione e saltò dentro i cortile della missione. Comboni gli chiese “Chi ti ha mandato qui?” Il ragazzo rispose “Dio.” Il suo padrone venne presto a sapere dove si trovava il ragazzo. Dopo aver provato di riprenderlo invano, andò da lui con sua madre. Lei fece di tutto per convincerlo arrivando anche a giurare che se non tornava da suo padrone no lo avrebbe più rivisto. Daniele frequentò la scuola ed il catecumenato della missione. Era molto intelligente, tanto che nel 1975 Comboni lo portò al Collegio di Propaganda a Roma a frequentare l’anno accademico 1877. Sfortunatamente si ammalò gravemente e nel 1883 fu riportato al Cairo e mandato dal lì a Beirut per frequentare l’Università Cattolica di S. Giuseppe. L’8 maggio 1887, fu ordinato al Cairo dal successore del Comboni, Mons. Sogaro . Si recò in Italia due volte alla ricerca di fondi per la costruzione di due chiese, a Swakim e Helouan , e per acquistare Ghezira l’isola sul Nilo. Dal 1891 al 1895 insegnò a Beirut nel Libano, ma nel 1895 dovette tornare al Cairo a causa di una malattia e si stabilì alla Ghezira dove morì nell’ospedale locale l’11 settembre 1900. Scrisse su un certo numero di argomenti, i più importanti dei quali sono “Chi sono i negri” e “Il mio paese natio”. Il più significativo di questi scritti fu “Chi sono i negri”. Lo scopo di questa dissertazione era di dimostrare che i negri hanno le stesse capacità intellettuali dei bianchi. La loro ignoranza è dovuta alla mancanza di istruzione sia materiale che morale. Queste difficoltà saranno superate dalla Cristianità e dalla sconfitta dell’Islam.

b. Salvezza Integrale La Missione di Malbes

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Come possiamo vedere dal suo Piano, Comboni era convinto che l’evangelizzazione e lo sviluppo umano debbano andare di pari passo. A questo scopo fondò nel 1870 la stazione Missionaria di Malbes che si trova a 18 chilometri sud ovest di El Obeid. Il territorio era vasto, circa 30.000 chilometri quadrati. C’era già un cappella e circa 50 famiglie di Cristiani praticanti. Era una stupenda piccola comunità Cristiana che si incontrava regolarmente mattino e sera per le preghiere comunitarie, guidate da un catechista e per un certo periodo da un sacerdote del luogo P. Antonio Dobale. Questo villaggio era costruito come quelli dei Gesuiti nel Paraguay, ma Comboni aveva loro concesso più libertà ed iniziativa personale nell’uso della terra a loro disposizione. I Mahdi distrussero questa straordinaria iniziativa che mirava a costruire una comunità cristiana nel cuore dell’Africa. Schiavismo Parte di questo programma integrale di salvezza era anche l’interesse di Comboni a combattere lo schiavismo. Come Vicario Apostolico continuò l’iniziativa dei padri Olivieri, Verri e Mazza di comprare schiavi, dar loro istruzione, e farli Cristiani nonché portarli verso il sacerdozio come fu il caso di P. Daniele Sorur. Durante il primo viaggio intrapreso fra marzo e maggio del 1873 Comboni vide una lunga fila di schiavi di tutte le età che camminavano a gruppi attraverso il deserto diretti al Cairo. Essi venivano anche torturati. Nonostante il fatto che la schiavitù fosse stata abolita nel 18° secolo, nel Medio Oriente era ancora fiorente e praticata nell’intero continente africano. Ancora prima di arrivare a Khartoum nel l’aprile del 1873, Comboni, aveva denunciato la tratta degli schiavi a Propaganda Fide. A giugno scrisse sullo stesso argomento ad un amico e la lettera fu pubblicata su un giornale italiano. Di nuovo a luglio ed in agosto denunciò appassionatamente l’ipocrisia delle autorità locali e governative del Sudan e dell’Egitto le quali ufficialmente avevano sottoscritto l’abolizione della schiavitù, ma allo stesso tempo ne traevano grandi profitti. Nella sua lettera Comboni rimarcò che a El Obeid quasi tre quarti degli abitanti erano schiavi, mentre a Khartoum metà della popolazione, 50.000 persone erano parimenti schiavi. Protezione Siccome le autorità politiche sia dell’Egitto che del Sudan erano coinvolte nel commercio degli schiavi, Comboni chiese un “gran firmano” , una specie di forte raccomandazione dall’allora potente Imperatore austriaco , Franz Joseph. Con tale documento Comboni aveva una garanzia a protezione della Missione e delle sue attività. In Egitto Comboni ricevette dal Khedivè Ismail Pashà, il permesso di combattere la schiavitù, tanto che il Pashà scrisse al governatore del Sudan introducendolo come il “nemico mortale” del commercio degli schiavi. Sia a Khartoum che El Obeid, Comboni era autorizzato a liberare qualsiasi schiavo che entrasse nel cortile della missione, come nel caso di Daniele Sorur. In questo modo in poche settimane poté liberare 500 schiavi. Malbes fu istituita per aiutare gli ex schiavi a guadagnarsi da vivere. Siccome però alcuni Cristiani europei erano anch’essi immischiati nel commercio degli schiavi, li denunciò in una lettera pastorale (agosto 1873) e tutti, inclusi i non cattolici, si impaurirono. Più avanti nel 1878, lavorò con efficienza assieme al generale C. Gordon ed il suo assistente Romolo Gessi, per combattere il commercio degli schiavi non solo a Khartoum ed El Obeid , ma negli stessi territori degli schiavisti nel Bahr-el Ghazal e Nuba. Qui egli denunciò la tribù dei Bagarra come responsabili di aver, tramite il commercio degli schiavi, decimato la popolazione dei Nuba portandola da 500.000 che erano a soli 50.000. Siccome erano coinvolti anche leader nazionali, Comboni affrontò il problema a livello internazionale, mettendosi direttamente in contatto con potenze europee come l’Inghilterra la Francia e l’Austria, denunciando il coinvolgimento dei loro rappresentanti in Egitto.

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Poco prima della sua morte, Comboni aveva presentato un piano per la completa abolizione del commercio degli schiavi nella regione Nuba (vedere Positio . pagine 738-773). A proposito di Gordon, Governatore Generale del Sudan, Comboni scrisse: “Io sostengo che è un vero prodigio, che il solo Gordon, colla forza pertinace della sua volontà, sia riuscito oggi a dare un colpo alla tratta degli schiavi. È un fatto innegabile che oggi sulla via del Kordofan, di Fascioda, di Dongola e lungo il Nilo non si veggano più quelle immense turbe di schiavi che io ho vedute da 20 anni….ed è follia la leggenda sparsa in molti luoghi che il governo, consenziente Gordon, abbia spedito al Bahr el Ghazal gente per catturarvi diecimila schiavi. Queste sono invenzioni di coloro che non potendo lucrare impunemente dal governo, e non potendo guadagnare come prima sulle teste degli schiavi, cercano di screditare Gordon; ma la verità deve trionfare. Gordon pascià è un acerrimo nemico della schiavitù.” (Daniele Comboni Scritti, n° 513536) Mons. Grancelli, primo biografo di Comboni scrisse di lui. “Forte impavido e bravo, in tutte gli impegni, non si tirò mai indietro dall’affrontare ostacoli che altri avrebbero pensato insormontabili … Comboni sempre ed ovunque si sfiancò e operò con gioia per la gente del Sudan con coraggio e spirito altruista.” (p. 404). Citiamo questo apprezzamento dal testo del Conte Pennazzi , “dal Po ai due Nili” (1882): “La missione di Khartoum ha avuto ed ha ancora fra i suoi membri 5 grandi uomini che hanno contribuito al progresso della scienza . Oggi.. Comboni non è da meno dei suoi predecessori, i cui nomi ricordo con piacere in quanto essi hanno rimosso, come meglio potevano, il disonore nel quale una meschina masnada ha trascinato l’Europa. Sarà sufficiente nominare Knoblecher, Kirchner, Dovjak, Morlang, Kaufmann, Beltrame e Dal Bosco, i quali hanno tutti contribuito a combattere un commercio che era quello di vendere l’onore e l’umanità.” Alla morte di Comboni, la sera del 10 ottobre 1881, gli abitanti di Khartoum di tutte le etnie piansero il Vescovo scomparso, ma il dolore più grande fu tra gli schiavi ed i poveri. La voce di Comboni aveva ovunque denunciato la miseria fisica e morale degli schiavi. Ebbe il coraggio di scrivere: “A tutto il mondo è stato detto che la schiavitù è stata soppressa. Quello è falso… l’abolizione del commercio degli schiavi nell’Africa centrale è una illusione perché gli schiavi costituiscono gli introiti principali del governo del Sudan e dei mercanti.” (Vedi Hill p. 25) 3. Evangelizzazione e Sviluppo È chiaro da tutte le lettere che lo scopo delle attività di Comboni era l’evangelizzazione per la conversione dell’Africa Centrale. Non si chiese mai se venisse prima l’evangelizzazione o lo sviluppo, ma voleva essere sicuro che ambedue potessero procedere di pari passo. Per questo, prima di tutto il resto, voleva avere la cooperazione degli istituti per fornire sia personale che le strutture necessarie, di modo che, una volta iniziata la campagna per le conversioni di massa non avrebbe potuto fermarsi. La sua prima preoccupazione nella missione era la Chiesa e poi tutte le altre strutture come scuole, asili, ospedali e così via . Interessanti sono alcune righe della sua prima relazione a Propaganda Fide il 2 giugno 1874.

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“Tanto in Khartoum che in El-Obeid non ho ancora aperte le pubbliche scuole maschili, né ho finora creduto prudente di cedere alle istanze di molti anche fra gli acattolici, per mancanza di sufficiente personale docente. La scuola femminile a Khartoum è aperta; ma dovetti limitare l’accettazione delle alunne, per non aver ancor pronti i locali. Ad El-Obeid si è pure aperta una piccola scuola pubblica dalle Suore: ma ho ordinato di procedere con lentezza anche in questo caso, per essere ancora scarso il numero delle Suore ed istitutrici negre, che bramo ora meglio occupare nello insegnare il catechismo alle 17 catecumene che ora colà vi sono..” (Daniele Comboni Scritti, n° 3614) L’interesse mostrato nell’educare le donne fa di Comboni un vero pioniere ed innovatore nel campo dell’istruzione femminile. Riportiamo la testimonianza di Licurgo Santoni, un ufficiale postale italiano al servizio degli egiziani che nel corso di una ispezione in Sudan nel 1877-1878, visitò la missione di Khartoum. Egli scrisse: “Quando io arrivai a Khartoum nel gennaio del 1878 i missionari erano impegnati nell’educare molti ragazzi Africani…le scienze domestiche venivano insegnate alle ragazze Se considerate che in questi paesi le donne sono ritenute oggetti senza valore, utili solo per fare figli, è facile immaginare come fossero felici i genitori quando vedevano le loro figlie imparare a cucinare, ricamare, cucire. I ragazzi venivano addestrati, secondo le loro attitudini, per diventare falegnami, fabbri, sarti, calzolai, da persone esperte arrivati in prevalenza dall’Italia…..200 ragazze e quasi 300 ragazzi frequentano giornalmente la scuola. Oltre a ciò, circa 80 ragazze e 100 ragazzi Neri venivano nutriti, vestiti, educati sino alla maggiore età interamente a spese della missione…Il sovrintendente dell’arsenale governativo, un ingegnare, Lorenzo Spada, insegnò meccanica a coloro che avevano abilità, ed alla fine poterono trovare impiego nel cantiere navale governativo.” (vedi Hill, page 23 e il rapporto di Comboni a Propaganda del 15 Aprile 1876 in Scritti, n° 4077-4153) 4. Inculturazione Quello che fece presso la Missione della Santa Croce, Comboni fece anche come Vicario, confermò la necessità di imparare le lingue locali ed insisté sulla conoscenza dell’arabo. Per favorire queste sue convinzioni egli dovette confrontarsi con difficoltà e resistenze simili al caso di Suor Virginia Mansur. La conoscenza della lingua era l’unico modo di aprire le porte alla vera inculturazione. Nella sua relazione a Propaganda (2 giugno 1874) egli stesso scrisse che aveva iniziato a raccogliere tante parole nella lingua dei Nuba per compilare un dizionario ed una grammatica. Siamo anche a conoscenza dei suoi interessi, assieme a tutti i pionieri del Vicariato della descrizione e studio comparato delle tradizioni ed usi locali. La sua disponibilità al dialogo, come abbiamo avuto modo di vedere nel caso del Capo dei Nuba Cogiur Cacum, il quale stette con lui per quattro giorno aprì la mente di Comboni a differenti tipi di inculturazione anche se l’uso del latino, per esempio, durante la Messa e per l’amministrazione dei Sacramenti fosse ancora obbligatorio. Le fondazioni che si trovavano al Cairo furono un modo di introdurre i suoi missionari alla scoperta di altre culture, una specie di noviziato per aiutarli a capirle e conoscerle. La frase di Comboni “Salvare l’Africa con gli africani” è un segno del suo desiderio di vedere il Vangelo praticato dagli africani nel modo più rispondente alla loro cultura.

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I PADRI DI SAN CAMILLO Introduzione Ai Camilliani spetta una menzione particolare dato il loro ruolo nella Vita di Comboni. “Camilliani” è il nome che viene dato all’Ordine di San Camillo il titolo ufficiale dell’Ordine è “Ordine di Clerici Regolari, Servi dei Malati”. L’ordine fu fondato a Roma nel 1582 da San Camillo di Lellis (1550-1614) un Italiano proveniente dall’Abruzzo, Italia Centrale. Ai soliti tre voti che fanno i religiosi ne viene aggiunto un altro, quello di soccorrere i malati, in modo particolare in tempi di epidemie. Solitamente sono proprietari ed amministratori dei loro stessi ospedali, cliniche, e case di cura, ma sono anche cappellani di altri ospedali e istituzioni caritatevoli. Nel 1964 erano 1350. Adesso sono 1035, di quali 640 sono sacerdoti. Vediamo adesso di riassumere la relazione fra Comboni ed i Camilliani. 1. I Camilliani e Comboni Quando notizia della fondazione del Seminario Comboniano per l’Africa Centrale si sparse per Verona, quattro Sacerdoti Camilliani chiesero di farne parte. Padri Stanisalo Carcereri, Giovan Battista Zanoni, Luigi Tezza e Giuseppe Franceschini. Furono aggregati al seminario per cinque anni grazie al supporto dato dal Cardinale di Canossa, e al Decreto di Papa Pio IX. Difatti, il loro Superiore Generale non aveva dato la sua approvazione, ed avevano anche ritenuta la scelta dei sacerdoti una specie di apostasia dall’Ordine. Comboni , comunque mediò e tutti accettarono la seguente soluzione: come religiosi avrebbero continuato ad appartenere all’Ordine do San Camillo, ma avrebbero dovuto rispondere al Vescovo di Verona e a Comboni come Superiore degli istituto del Cairo. Benché fossero preti zelanti, sembrerebbe che il loro motivo per unirsi a Comboni era quello di preparasi un futuro in vista della soppressione dell’Ordine da parte del nuovo Governo italiano. AL CAIRO

Nell’ottobre del 1867 tre di loro (tutti eccetto P. Tezza) seguirono Comboni assieme a 16 ragazze africane e tre suore di San Giuseppe dell’Apparizione. Le suore ed i Padri si occuparono degli Istituto del Cairo, e per un anno la loro amministrazione non incontrò problemi. Ma nel mese di giugno 1868. Padre Zanoni, il più anziano di loro, commise un grosso errore durante una visita medica nell’Istituto delle ragazze. Sentendosi umiliato, il sacerdote lasciò il Cairo e per giustificare la sua partenza, cercò di incolpare l’amministrazione degli Istituti, inventando un’accusa di promiscuità preesistente fra ragazzi e ragazze. Ci volle un anno e mezzo per chiarire l’equivoco con il Cardinale Barnabò a Roma (vedere Gilli, P. 47 e Grancelli, mons. Daniele Comboni P. 145). NELLE MISSIONI

Una volta nominato un nuovo direttore degli Istituti al Cairo, P. Pasquale Fiore, i Padri Carcereri e Franceschini con due fratelli furono autorizzati dal Comboni ad esplorare il Kordofan , con l’intenzione di aprirvi una missione. Questo fu fatto nel gennaio del 1872, dagli stesi due sacerdoti con due fratelli, Polinari e Bertoli (quest’ultimo fu il primo missionario Comboniano a morire a El Obeid il 26 dicembre 1872). PADRE STANISLAO CARCERERI

Dal Cairo Comboni chiese a padre Carcereri di lasciare la missione di El Obeid e lo nominò Vicario Generale e Superiore della Missione di Khartoum (10 febbraio 1873). Alla fine di quell’anno Comboni lo mandò in Europa per promuovere ed animare la missione, per visitare

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l’Istituto delle Suore e controllarne il progresso e curare l’approvazione delle regole, come abbiamo già visto. Carcereri si fece carico di portare avanti un altro compito, quello di promuovere Comboni alla dignità vescovile. Pensava che questo avrebbe portato lustro alla missione, avrebbe attratto più vocazioni e dato coraggio ai missionari. IL suo approccio, però fu troppo aggressivo. Propaganda era propensa a promuovere Comboni, ma voleva aspettare un po’ più di tempo per vedere se fossero nati dei frutti sia dal suo impegno che da quello dei suoi missionari. Carcereri decise che era ormai tempo di divulgare le notizie della promozione come fatto compiuto e recò più danni che altro alla causa del Vicariato. Padre Carcereri, riuscì a convincere l’Ordine di san Camillo ad acconsentire ufficialmente a un impegno nel Vicariato. Riuscì poi a reclutare dei Camilliani assicurandoli che avrebbero ricevuto da Comboni una residenza confortevole a Berber. Un accordo fu firmato il 2 agosto 1874 fra il Cardinale di Canossa e il Superiore Generale dei Camilliani, Padre C. Guardi, che determinava reciproci debiti e crediti per il personale e le finanze. (vedere “Le lettere di Comboni” P. 1092). 2. La controversia Camilliana Durante il suo viaggio di ritorno nel Sudan, all’inizio del 1875 Padre Carcereri seguì un nuovo itinerario e giunti ad una cataratta una delle barche affondò. Il viaggio durò 103 giorni invece dei soliti 90. Molti suppellettili furono rovinati, arrecando un danno che ammontava ad una grossa somma di danaro. Quando Comboni esternò la sua costernazione a P. Carcereri, quest’ultimo la prese così male che inasprì la sua opposizione a Comboni e persuase altri a fare altrettanto. C’erano già state varie divergenze di opinioni fra i due come quando P. Carcereri voleva eliminare le Suore di San Giuseppe dell’Apparizione dagli Istituti del Cairo e chiuderli. In quell’occasione egli minacciò di dimettersi dalla carica di Vicario Generale e di non tenere conto degli interessi del Vicariato. D’altro canto sembra che la nomina di un Camilliano a Berber facesse parte di un piano di sostituire Comboni con l’ordine di San Camillo. Se questo fosse successo, gli altri missionari avrebbero potuto lavorare con i Camilliani. Questo potrebbe spiegare la ragione per cui P. Carcereri voleva che le regole di Comboni non avessero legami troppo stretti con il Vicariato, ma che fossero simili a quelli del Seminario fin dal suo inizio. Il 1 aprile 1875 Comboni affidò la residenza di Berber ai Camilliani, nominò P. Carcereri Superiore e lo rimosse dalla sua carica di Vicario Generale. La distanza fisica dei due personaggi e l’acredine di P. Carcereri nei confronti di Comboni deteriorarono il loro rapporto. I Camilliani si schierano attorno al loro confratello, ma i loro sforzi di portare altri missionari dalla loro parte non ebbe esiti positivi. Al contrario, costoro scrissero una lettera di solidarietà al Comboni, come pure fece il Cardinale Canossa scrivendo a propaganda Fide. Il Superiore Generale dei Camilliani (gennaio 1876), portò la controversia alla santa Sede, in difesa dei suoi stessi membri. Comboni nella sua relazione annuale non fece menzione delle accuse. Ne parlò solo quando gli fu chiesto di farlo e fece cadere tutte le accuse mossegli. Le accuse Le accuse riportate in una relazione fatta da P. Giacomo Franceschini a propaganda Fide erano le seguenti: Ø Comboni firma accordi ma non li mantiene; Ø sperpera il danaro mandato da benefattori e di conseguenza alle missioni mancano le provvigioni necessarie; Ø cambia idea con facilità;

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Ø I suoi missionari deplorano la mancanza di direttive; Ø tratta male i missionari; Ø la sua vita personale no è un buon esempio. A causa di tutte queste diatribe i Camilliani erano frustrati e altri missionari, incluse le suore, se ne andarono. Come rimedio p. Franceschini suggerì di affidare ad altri sia le finanze che la direzione delle stazioni missionarie mentre Comboni avrebbe mantenuto la direzione generale e i rapporti con l’Europa e agenzie donatrici. I Camilliani inoltre chiesero che fosse loro concesso un territorio missionario indipendente tutto loro. Dopo una minuziosa investigazione da parte di Propaganda, Comboni fu non solo completamente scagionato dalle accuse mossegli (17 novembre 1876), ma fu anche nominato Vicario Apostolico e Vescovo. (11 luglio 1877). Propaganda, inoltre. Chiese al superiore generale dei Camilliani di richiamare in patria i due sacerdoti, Carcereri e Franceschini. Così finì una cooperazione molto fruttuosa, durata per 10 anni (vedere Positio, pagine 647-693). I Santi spesso si santificano a vicenda.

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Capitolo Quarto LE PESANTI CROCI DEGLI ULTIMI ANNI DELLA VITA DI COMBONI

1. Prima Croce Carestie, inondazioni e pestilenze: “Il Vescovo Comboni tornò nel Sudan con un gruppo di quattordici missionari – sacerdoti, fratelli e le prime suore provenienti dal suo Istituto di Verona. Arrivarono a Khartoum il 1 aprile 1878 in viaggio verso Assouan. Comboni ebbe i primi indizi che un disastro si era abbattuto sul Sudan. Il Colonnello Gordon, che incontrò a Khartoum, espresse i suoi timori. L’anno precedente c’era stata una disastrosa carestia dovuta alla mancanza di pioggia, le stazioni missionarie erano affollate con gente affamata e assetata” (vedere Hill, p 23) Il 1878 fu un anno di terribile carestia “Vidi con i miei stessi occhi” scrisse Comboni “l’estrema miseria di tutti quei luoghi. Interi villaggi sono quasi completamente distrutti. I pochi abitanti rimasti, vivevano mangiando erba, semi di piante e gli escrementi di animali”. È impossibile descrivere le grandi privazioni alla quali erano sottoposti i missionari, incluse le suore. Comboni non fece altro che aiutare gli altri. A peggiorare le cose le piogge abbondanti che arrivarono verso luglio del 1878 furono di proporzioni escatologiche e portarono grandissimi danni alle capanne, ai campi e alle case. Una epidemia di violenti febbri si abbatté sulla popolazione, la gente si ammalava e moriva entro un’ora. 2. Seconda Croce Gli stessi missionari furono coinvolti da tale tragedia. L’anno 1878 fu chiamato “l’anno della morte”. In meno di 6 mesi morirono 8 missionari, incluse due delle Suore arrivate da poco, anche quelli che sopravvissero, incluso Comboni erano stati infettati. Comboni fu colpito non tanto dalla febbre quanto dalla morte dei suoi diletti missionari. Continuare il viaggio verso sud era fuori questione, anche se Comboni aveva ricevuto il benestare da Gordon, Governatore, per il proseguimento assieme a indicazioni su come arrivare al lago Albert e da lì al Lago Victoria. Una settimana prima della sua morte, Comboni scrisse una relazione al Cardinale Prefetto di Propaganda, nel quale descrisse come la missione si stava trasformando in un cimitero per la morte dei missionari. Fu comunque in grado di vedere tutto alla luce della Croce, segno d’amore e di redenzione. “A ragione io ho ordinato di lasciare intatto il catafalco quando si son celebrati gli Uffici e Messa da Requiem dei tre defunti accennati nell’ultima mia. Stamane soccombeva per febbre tifoidea, con una morte edificantissima ed invidiabile, il fratello laico Paolo Scandi …All’ora in cui scrivo mi ha chiesto gli ultimi Sacramenti D. Francesco Pimazzoni, che per pietà e santità vera è senza dubbio il primo soggetto della missione, e vi congiunge un criterio e talento ammirabili….Perciò abbiamo messo in croce S. Giuseppe, e lo supplichiamo ardentemente che non muoia. Ah! non deve morire. Perciò appena compiuto il funerale di Paolo Scandi, ho fatto subito togliere il catafalco, perché il Pimazzoni per ora non vi deve andar sopra. Il mio ottimo D. Battista Fraccaro, mio futuro Vicario G.le, appena finite le esequie del defunto, che aveva assistito per tutta la notte, essendo anche suo confessore, dovette coricarsi perché assalito dalla febbre. Mio Dio! Sempre Croci! Ma Gesù dandoci la croce, ci ama; tutte queste croci pesano terribilmente sul mio cuore; ma ne accrescono la forza ed il coraggio nel combattere le battaglie del Signore, perché le Opere di Dio nacquero e crebbero sempre così; la Chiesa fu fondata nel sangue dell’Uomo-Dio, degli Apostoli, e dei Martiri; tutte le Missioni

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cattoliche dell’universo che han dato frutti crebbero così ad immagine della Chiesa, così prosperarono, così si consolidarono, e proseguirono in mezzo alle morti, al sacrificio, ed all’ombra del salutifero albero della Croce.” (Daniele Comboni Scritti, n° 722325) 3. Terza Croce I Confini del Vicariato vengono ridefiniti. L’appello lanciato da Stanley per l’invio di missionari Cristiani nell’Uganda (1875) aveva suscitato interesse nel mondo Cristiano: Il Vescovo Charles Lavigerie di Algeri che aveva fondato la Società dei Missionari per l’Africa (Padri Bianchi) nel 1868, era un assiduo lettore di tutte quelle pubblicazioni che parlavano di coloro che avevano portato a termine spedizioni in Africa. Nell’anno 1878, Lavigerie, il quale aveva intrapreso l’evangelizzazione delle regioni Islamiche nel Nord Africa sottopose al Papa Pio IX un piano per la creazione di quattro Vicariati per l’evangelizzazione delle regioni centro africane: due da affidare al Vicario Apostolico di Khartoum, due da affidare al Vescovo Comboni e i suoi missionari e gli altri due, a sud del Lago Nyanza, da affidare ai Padri Bianchi. Durante uno dei suoi viaggi di animazione missionaria, Comboni incontrò il Vescovo Lavigerie e gli spiegò il suo piano. Molto probabilmente quel seme piantato nel fondatore del Missionari per l’Africa ebbe un ruolo fondamentale nella vocazione africana di Cardinale Lavigerie. Leggiamo infatti, in un libro scritto da P. Aylward Shorter (Mis. D’Africa o Padri Bianchi), Christianity and African Imagination (La Cristianità e l’immaginazione Africana) Palines Pubblications, Africa 1996: “Menzione è già stata fatta della strategia di evangelizzazione adottata da Lavigerie , l’idea era che gli africani diventassero apostoli e che loro stessi rigenerassero le loro stesse nazioni. L’idea non fu di Lavigerie, ma la fece sua e le dette applicazioni che ebbero forti risonanze. L’idea venne da Daniele Comboni, il primo Vescovo cattolico dell’Africa Centrale. Il Piano di Comboni per la Rigenerazione dell’Africa sembra aver contribuito alla vocazione missionaria di Lavigerie negli anni immediatamente precedenti alla sua nomina alla Sede di Algeri.” In quell’occasione Comboni cominciò a capire le ragioni dietro una lettera datata 14/8/1878, che Cardinale Simeoni. Prefetto di Propaganda Fide gli aveva scritto chiedendogli di sospendere i preparativi per recarsi a stabilire una missione nelle regioni dei Grandi Laghi. Il Piano fu successivamente accettato, ma più tardi, nel definire le aree, il Vicariato di Nyanza ,affidato ai Padri Bianchi, incluse non soltanto i grandi laghi e le montagne della Luna, ma anche la provincia settentrionale dell’Uganda e quasi tutto il Sudan Meridionale fino ai fiumi Bhar-el Arab e Sobat. Comboni fu colto di sorpresa in quanto non fu consultato circa i nuovi confini. Accadde che il territorio dove erano state istituite le prime due missioni fondate dai missionari di Verona, nel Sudan meridionale, gli furono tolte e con esso, anche un certo numero di tombe dei missionari. Il vescovo Comboni ringraziò Dio per avere mandato nuova linfa nei grandi territori dell’Africa centrale e fu contento che la regione attorno ai grandi laghi fosse affidata ai Padri Bianchi. Era, comunque molto rammaricato che i nuovi confini includessero l’intera area meridionale del Sudan, lasciando a lui soltanto la regione abitata principalmente da mussulmani, e togliendogli quei luoghi dove si trovavano le tombe dei missionari pionieri, incluso P. Oliboni. Nonostante questo “mal di denti” accettò appieno la decisione presa dalla Santa Sede e scrisse a Propaganda il 22 maggio 1881: “Ben intesi però che questo (interpellare) non è un dovere della S.C., ma un prudentissimo uso; perché la Propaganda è assolutamente padrone di dare, e togliere, e fare quello che vuole, senza sentire e consultare nessuno. Ora se V.E. o la S. Cong.ne mi fa-

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cessero intendere che io sbaglio in questo mio giudizio, e che io non ho giudicato rettamente che Vostra Em.za e la ProP.da ha fatto bene e giudiziosamente a fare quel che ha fatto sui quattro Pro-Vicariati suddetti, io suono subito la ritirata, esclamo di cuore: “asinus ego “e penso e giudico ben fatto, sapientissimo, e prudentissimo, ciò che ha fatto V. E. e la S. Cong.ne.” (Daniele Comboni Scritti, n° 6760-61) Comboni, fra l’altro raccomandò caldamente i missionari di Algeri al suo buon amico Emin Bey, il Governatore di Equatoria, la parte più meridionale del Sudan. Benché Comboni non fosse per niente contento di cedere la parte meridionale del Vicariato, acconsentì di buon grado a disegnare i confini dei quattro Vicariati per Propaganda. Siccome Comboni era ancora il Vicario Apostolico di tutti i Vicariati dell’Africa centrale, i Padri Banchi dovevano fargli pervenire tutte le relazioni riguardanti i due Vicariati a loro assegnati. Comboni avrebbe pio inoltrato le informazioni a Propaganda Fide, corredate dai suoi commenti: a volte dava ulteriori informazioni sul comportamento di Mutesa, Re dei Baganda, (I Baganda la più numerosa etnia Bantu dell’Uganda retta da un monarca, chiamato Kabaka) ed in particolare a proposito del suo desiderio smodato di doni. Il 15 febbraio 1881 Comboni trasmise a Propaganda Fide delle notizie alquanto allarmanti circa crescenti difficoltà : “Mutesa vuole doni…” benché Comboni aggiunga “Ma queste (difficoltà) non allontanano la speranza di successo di quella impresa divina.” Comboni trasmise anche informazioni circa gli ordini dati dal Kabaka che proibivano ai sudditi di abbracciare nuove religioni…, a dispetto delle sue stesse contraddizioni.” Allo steso tempo, mandò del buoni consigli e incoraggiamenti al Superiore di Rubaga, “ricordandogli che il Sacro Cuore di Gesù batte anche per i popoli dell’Africa Equatoriale (scritti n. 6496) Il 20 maggio 1881 Comboni informò Cardinale Simeoni da El –Obeid che la barca Lado che a volte andava fino a Rejaf, fra la gente Bari , aveva portato notizie poco rassicuranti a proposito della missione a Rubaga, aggiungendo : “P. Livinhac, Superiore della missione è sicuramente un suddito coraggioso …; ha capito che non si può correre come si pensava di fare…” E di nuovo, un paio di giorni più tardi (El Obeid 22 maggio 1881), Comboni apertamente ma rispettosamente disse a Propaganda Fide che l’aver ceduto immediatamente i quattro Vicariati ai missionari di Algeri, invece dei due previsti nel 1878, era stato un errore. Papa Leone XIII, firmò il Decreto per la creazione del Vicariato di Nyanza e lo affidò ai Padri Bianchi, chiedendo loro di iniziare dai distretti che potevano essere raggiunti dalla costa Orientale. La decisione allora ebbe dei vantaggi in quanto i missionari provenienti dal nord morivano strada facendo e anche il Vescovo Comboni stesso era morto nel 1881. Inoltre l’armata di Mohammed Ahmed Ibn Abdallah, chiamato Mahdi, che sosteneva essere il successore del Profeta Maometto, si era impossessata di tutto il Sudan. Le missioni fondate da Comboni nel Sudan e Korfodan, cioè Khartoum, El Obeid, Malbes e Delen a sud di El Obeid e Berber furono distrutte. Mentre i missionari provenienti da Khartoum e Berber ebbero il tempo di lasciare le missioni, quelli di Korfodan furono fatti prigionieri dalle forze del Mahdi, alcuni morirono in prigione, altri riuscirono a scappare. L’ultimo a riuscire a fuggire fu P. Paolo Rossignoli il quale arrivò ad Assouan il 20 novembre 1894 dopo aver passato 12 anni in schiavitù. (Vedi terza parte, Capitolo primo). Siccome i Padri Bianchi non avevano mandato personale nel Nord Uganda entro il 1894, Papa Leone XIII° decise lo stesso anno di rendere l’Uganda del Nord e il Sudan del Sud ai Figli di Comboni, i quali si erano riorganizzati nell’Istituto religioso dei Figli del Sacro Cuore di Gesù. Altre ragioni (politiche?) furono pure prese in considerazione. (Vedi terza parte, Capitolo primo).

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4. Quarta Croce Questa croce riguardava Suor Virginia Mansur e Madre Bollezzoli. Virginia Mansur, una siriana era una suora di San Giuseppe dell’Apparizione che lavorava in Egitto con il Vescovo Comboni. Quando il suo istituto, nel 1879 decise di porre fine alla collaborazione con Comboni, Suor Virginia volle restare. Chiese di diventare una Suora Pia Madre inizialmente fu accettata. Comboni pure approvò in quanto aveva bisogno di una insegnante di lingua araba. Virginia portò con se a Verona un fratello ed una sorella, ma non fu accettata come postulante a causa del suo carattere e inosservanza delle Regole (25 agosto 1881). Comboni rimproverò le suore in quanto non avevano valutato le manchevolezze di Virginia contro il grande vantaggio di avere un’insegnante d’arabo nell’Istituto. L’interesse mostrato da Comboni fu mal interpretato come interesse personale per Virginia Mansur. Queste accuse furono formulate da parte di un certo signor Alessandro che la voleva sposare anche se lei aveva già rifiutato la sua offerta. (cfr. E Pezzi, pagine 176-177; 215-218; 252 ff, 270 ff. Le lettere di Comboni, pagina 1930, la `Positio' pagina 895). Tale maligna interpretazione delle motivazioni del Vescovo Comboni arrivarono alle orecchie del Cardinale di Canossa che collegò l’apertura della casa a Sestri Levante con questa faccenda. La casa di Sestri era stata offerta a Comboni da un sacerdote, Angelo Tagliaferro, per qualsiasi attività le suore volessero svolgervi e Comboni l’accettò con entusiasmo per due ragioni: per espandersi in Italia ad di fuori della città di Verona e procurare alle suore un posto con clima ameno dove avrebbero potuto riposarsi. Siccome Comboni non aveva richiesto il previo consenso del Cardinale, questi se ne ebbe a male insinuando che Comboni avrebbe sperperato danaro per motivi noti solo a lui (una residenza per la famiglia di Virginia Mansur!) Madre Bollezzoli scrisse al padre di Comboni che Virginia, che egli conosceva, era stata la causa di grandi sofferenze per Comboni. Questo fu la causa dell’angoscia della quale Comboni parla nella sua lettera del 24 giugno 1881 a padre Sembianti: “L’altro giorno ricevetti la posta, che mi apportò il più grande affanno e dolore, che superò di gran lunga tutte le afflizioni che Dio mi ha mandato dal 1878 in poi, e che mi gettò a letto per ben tre giorni, e che chi sa quando potrò respirare. I Missionari credono che sia mal di schiena, perché realmente sono un po’ stanco dalle esplorazioni che ho fatto a cavallo; ma la vera causa nota solo a Dio e a me, è una profonda e tremenda afflizione; che supera tutte le umiliazioni e afflizioni subite per tante ingiustizie e dispiaceri sofferti….Ma io sono troppo infelice. Gesù mi aiuterà certo, la Vergine Immacolata e S. Giuseppe mi aiuteranno: ringrazio Gesù delle croci, ma la mia vita è un oceano di affanni procuratimi da chi è buono e mi ama. Mio Dio! Caro paradiso, dice Suor Vittoria n’ha ragione. Ma io ho il cuore impietrito. Ma l’Africa sarà convertita, e Gesù mi aiuterà a portare la croce.” (Daniele Comboni Scritti, n° 6790;6795-96) Comboni dall’Africa decise di chiudere la casa anche se con grande sofferenza: “Quello che più mi ha addolorato è quel che segue; ecco parole testuali del nostro caro E.mo: “Chi ha spinto Lei per secondi fini a fare cotesto infelice affare di Sestri?….Io non so più in qual modo oggi si vive. Io sono qui esposto alla morte a servire il mio Gesù fra le pene e le croci contento di morire per salvare i poveri neri, e per essere fedele alla mia vocazione ardua, difficile e santa; e poi mi lascerò guidare da bassi fini indegni di un apostolo della Nigrizia etc. Io non ho più fiato di scrivere, né lena; io sono stupito nel vedermi trattato così, nel sentire che a Verona si ha questa stima di me dal mio primo benefattore. No, non è Gesù Cristo che insinua al’E.mo questi sentimenti verso di me, non è Sua Eminenza ora, come è sempre stato.” (Daniele Comboni Scritti, n° 6812-14) Come Missionari Comboniani non possiamo ignorare le lezioni che il nostro fondatore ci ha impartito su come far fronte a grandi sacrifici e sopportare croci nel corso del nostro cammino con Gesù.

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Capitolo Quinto IL CARISMA DI COMBONI

1. Introduzione a. Il Carisma La Parola carisma dal greco “charis”, dono o grazia, significa “dono gratuito”. San Paolo: “Aemulamini autem charismata maiora” (Prima Cor. 12:31) Passati i primi secoli la parola carisma fu scarsamente usata nella storia della Chiesa fino a dopo il Concilio Vaticano Secondo. Lo stesso Concilio non ne fa uso. L’indice alla voce carisma ci rimanda a “Spirito” Il primo ad adoperare la parola “carisma” è Papa Paolo VI nella sua esortazione apostolica “Evangelica Testificatio” (1971), parlando del carisma dei Fondatorie della vita religiosa. b. Doni nel nuovo Testamento Atti degli Apostoli Ø Ø Ø Ø

Lo Spirito Santo si rivela con la Pentecoste come dispensatore di doni: il dono delle lingue per annunciare le grandi opere del Signore (24:8-11) in conformità con le Sacre Scritture (2:15-21), Doni ai Profeti (11:27, 15:32, 2:10),Insegnanti (13:1) Predicatori (6:8 ff); doni di miracoli e visioni. San Paolo

Ø Le sue prediche sono accompagnate dallo Spirito e da mirabili imprese.(1 Thess. 1: 5; 1 Cor. 2:4). Ø Egli parla le lingue (1 Cor. 14:18) ed ha visioni (2 Cor. 12:1-4). Ø San Paolo descrive differenti tipi di carisma, o doni in 1 Cor. 12:4-11; 28-30 Ø E la gerarchia del carisma , in Rom 12:6-8. Ø Dobbiamo riconoscerli: “Non cercare mai di sopprimere lo Spirito o trattare il dono della profezia con disprezzo: Pensa prima di fare qualsiasi cosa – tieni ben stretto ciò che è buono ed evita ogni forma di male.” (1 Thess. 5:19-22). Ø La capacità di discernere è anch’essa un dono del Santo Spirito. (1 Cor. 12:10-11) essa è “il dono di riconoscere spiriti”. I Vangeli Ø Gesù stesso è un carisma - Luca 4:14-21; Ø “Lo Spirito del Signore mi è stato dato”. Ø “Gesù è la completezza di Grazia e Verità”- Giovanni 1:16-17. c. Da un punto di vista teologico Ø Tutto ciò che è buono nel mondo è un dono di Dio “Che non ci siano fraintendimenti su questo: tutto ciò che è buono, tutto ciò che è perfetto e che è dato dal cielo, proviene dal Padre di tutta la luce”. (Giacomo 1:17) Ø Anche la Salvezza: “Questo è l’amore che io intendo Non il nostro amore per Dio, ma l’amore di Dio per noi.”. (1 Giovanni 4,10).

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d. Differenti tipi di doni Doni naturali La vita e le sue facoltà, la natura ed i suoi frutti, e tutte le cose belle Doni preternaturali: Sono doni di carattere naturale ma di per sé non dovuti alle persone per la natura di queste come l’immortalità, doni ad Adamo come la scienza infusa, l’esenzione dal dolore ecc. Doni sovrannaturali Ordinari : Comuni a tutti i Cristiani: la Grazia Santificante, la base e la chiave di tutti i doni che riceviamo con il battesimo. La Grazia santificante ci dona: – Una condivisione nella Natura Divina (2 Pietro 1:4) – Dimora dello Spirito Santo (Giovanni 14:23; 15:4) – Le virtù Teologiche: Fede, Speranza, Carità (Cor. 13:13) – I doni dello Spirito Santo (Giovanni 14:16-17; 26). – Una condivisione nel ruolo regale, profetico e sacerdotale di Cristo (1 Pietro 2:9; vedere; “Lumen Gentium” del Concilio Vaticano II). Questi doni ordinari sono dati direttamente per la santificazione dei fedeli: “Gratia gratum faciens” (Concilio di Trento, secondo St. Thomas). Straordinari : Dati ad alcuni fedeli come visioni, miracoli, estasi, stato mistico della preghiera ed altro. – –

Speciali : dati a certi ceti di persone. Essi hanno due aspetti: Cristologici : una particolare condivisione in un aspetto della vita di Cristo. Ecclesiali: dati direttamente per particolari ministeri e servizi nell’Unico Corpo o famiglia, la Chiesa (1 Cor. 12; Eph. 4; Rom. 12:). “gratia gratis data” di nuovo secondo S. Tommaso. I doni straordinari e speciali sono propriamente chiamati “carismi”.

2. Carismi speciali Nella sua Esortazione Apostolica “Evangelica Testificatio” 1971, Papa Paolo parla di : Ø Carisma della vita consacrata Ø Carisma dei fondatori Ø Carisma degli Istituti a. Lo speciale carisma della vita consacrata (carisma personale) 1. Il carisma speciale o dono ad una persona consacrata è la vocazione stessa , fonte degli altri doni e soprattutto della condivisione di una delle qualità di Cristo impressa ma celata al momento della concezione: ce ne rendiamo conto a poco a poco nel corso della nostra vita per mezzo di una esperienza dello Spirito Santo. Lo si esprime nel nostro stile di vita (Spiritualità), coerente con esso e con la missione della Chiesa, per la quale ci è stato fatto il dono: La missione non può essere scissa da un carisma speciale. Siccome siamo nati segnati dal nostro carisma, l’essere umano può essere considerato come una “Vocazione”: una vocazione è il fulcro attorno al quale si forma la personalità” (Lozano, La spiritualità di Comboni, P. 25). 2. Il fatto che il carisma personale è impresso in noi alla concezione (cf. Jer. 1:3-4; Eph. 1:4-6) ci da più luce e guida. Le qualità naturali e caratteristiche che riceviamo alla nascita, secondo il piano divino sono atte a ricevere ed a gestire quelle qualità sovrannaturali proprie

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dell’innato carisma personale. In questo modo la vita di coloro che sono stati veramente chiamati viene vissuta in modo armonioso e piacevole. I doni dello Spirito non sono mai in contraddizione con i valori umani. Se una persona consacrata sente un continuo conflitto o attrito fra i suoi valori naturali e le esigenze del carisma, lui o lei potrebbe dubitare delle sua vocazione, anche se ciò accadesse in età avanzata, in quanto ambedue i valori provengono da un unico Donatore che ci ha detto: “Io sono la Via, La Verità e la Vita”. Ad ogni modo un intervento straordinario dello Spirito Santo potrebbe conciliare le due cose. Siccome il Carisma è un dono gratuito (1 Cor. 12), e non è scelto da noi (Giovanni 15;10) noi non ne siamo i proprietari; non possiamo presumerne la presenza (Heb. 5:5), non possiamo lasciarlo a oziare (Mt 25:15 - 28); noi ne siamo responsabili verso il Donatore, il proprietario: non possiamo disfarcene, scrollarcelo di dosso quando vogliamo (cf. Legge Canonica 691), non è” semplicemente un progetto personale” (“Pastores Dabo Vobis”, 36); fa parte della missione della comunità, è un atto d’amore di ognuno come membro di una comunità (vedere Regola della Vita , 56) Alcune presone consacrate si rifanno alla loro coscienza nel disporre dei loro doni. Questo va bene, ma dobbiamo tenere presente due fattori: a) È molto semplice scambiare le richieste della coscienza con un’opinione strettamente personale. b) È vero che la coscienza è incline ad un giudizio soggettivo che parte dalle profondità dell’essere umano, ma non è e non può essere indipendente, come non è la nostra intera realtà. Il giudizio della coscienza non è un monologo, ma il risultato di un dialogo con Dio, l’unica sorgente di ciò che è bene e di ciò che è male. Tale giudizio può essere aiutato da un sincero dialogo con i rappresentanti di Dio sia nel foro interno (confessore, direttore spirituale) come nel foro esterno (superiori). b. La risposta e l’accettazione della chiamata o dono Deve essere libera. Gesù disse al giovane: “Se vuoi essere perfetto vai e vendi… poi vieni e seguimi” (Matteo 19:21-22). Libera da pressioni esterne: genitori, parenti, sacerdoti, e chiunque altro.. Libera da coercizioni interne, senso di insicurezza, evasioni dal mondo, o dagli obblighi della vita coniugale, da conflitti amorosi, stupro, paura di andare all’inferno, di riadattarsi alla vita quotidiana nel mondo, e così via. Liberi da se stessi: distacco totale. Ben motivata. I religiosi accettano la consacrazione per l’amore di Dio e del prossimo al quale lui o lei danno un servizio. Per alcune persone la motivazione iniziale potrebbe essere sbagliata o poco chiara. Potrebbe, comunque, essere purificata durante gli anni di formazione di base principalmente durante il postulato così da entrare nel Noviziato di sposti a conoscere e mettere in pratica gli obblighi della vita religiosa. Scoprire le motivazioni è la parte più difficile della formazione. Illuminata. Prima di impegnarsi i candidati devono conoscere la realtà della vita che li attende e il tipo di persone con le quali devono convivere. Per questa ragione durante il postulato, i candidati al Noviziato passano del tempo in comunità ordinarie di religiosi dello stesso Istituto. Durante il periodo di professione temporanea è auspicabile passare un certo periodo di tempo in un territorio di missione.

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c. Segni della vocazione La libera, motivata, rettamente intenzionata, illuminata scelta personale del candidato: le buone qualità sono condizione “sine qua non” per essere giudicati dai Superiori. Il “Sì “alla chiamata è responsabilità personale del candidato: nessun altro può prendere tale decisione per lui o per lei, anche se in passato ciò succedeva e potrebbe ancora succedere, ed è causa di serie conseguenze sia per l’individuo che per l’Istituto. Il “No” può venire dalle autorità competenti, a causa della mancanza di uno dei segni o qualità sopra elencati d. La condivisione La vocazione è conferita da Gesù alla persona chiamata attraverso la condivisione di un aspetto della Sua vita. “L’identità carismatica della vita religiosa nelle sue molteplici forme può essere rintracciate fino a Gesù stesso: le sue azioni, i suoi insegnamenti, o aspetti del suo mistero e la missione della Chiesa” (IL 39) I carismi classici nella Storia della vita religiosa .chiaramente indicano qualità particolari di Gesù: Ø “Ora et labora” dei Benedettini Ø la povertà dei Francescani Ø le predicazione dei Domenicani Ø l’obbedienza dei Gesuiti Ø l’amore Divino (Santa Teresa) e così via È questa “Condivisione” che distingue i vari istituti religiosi e nello stesso tempo li identifica. (Mutuae Relationes No.11) e. Una particolare spiritualità “L’identità di un Istituto Religioso esige uno stile particolare del modo di vivere la propria consacrazione e di fare dell’Apostolato mantenendo e trasmettendo la propria tradizione. È assolutamente necessario che ogni Istituto mantenga la sua identità in modo da inserirsi nella vita della Chiesa in modo specifico e caratteristico, evitando una presenza ambigua e vaga.” (Mutuae Relationes No. 11) È questa spiritualità particolare che distingue un Istituto da un altro che rendono lo stesso servizio alla Chiesa, come gli Istituti Missionari. È vero che tutta la Chiesa è missionaria. Questo però non vuol dire che ogni Istituto deve abbracciare tutta la missionarità della Chiesa; ogni Istituto deve fare delle scelte dei campi di lavoro o di una particolare necessità della Chiesa: Quo major fit extensio eo minor fit intentio: quante più sono le attività o campi di lavoro, tanto meno è intensa l’attenzione a ciascuna in particolare. f. Servizio alla comunità, la Chiesa Chiamato ad essere discepolo di Cristo, arricchito di un particolare stile di vita (Spiritualità), il religioso dà un Servizio speciale alla Chiesa secondo il “carisma del Fondatore che deve essere adattato ai cambiamenti dei tempi”. Il carisma non è statico ma dinamico, senza mai dimenticare la "inspiratio primigenia”, l’ispirazione originale del Fondatore o della Fondatrice.

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Gesù

Dono

Gesù

Carisma

Spiritualità

Servizio alla Chiesa

3. Il Carisma personale del Comboni a. Il nucleo del carisma del Comboni Il nucleo del carisma del Comboni può essere descritto nel seguente modo. Primo: attraverso lo Spirito santo, Comboni ricevette da Dio un dono speciale in virtù del quale egli condivise, intensamente e profondamente, l’amore di Cristo (la dimensione Cristologia) per i popoli dell’Africa Centrale. Il dono lo impegnò per il resto della sua vita a cercare appassionatamente modi con cui condividere il suo amore con gli africani, i più poveri e derelitti del suo tempo (dono per gli altri, la dimensione Ecclesiale). Questa esperienza originale e personale dello Spirito arrivò al suo culmine il 15 settembre 1864 quando, nella basilica di San Pietro, Comboni ebbe una improvvisa intuizione mistica che è all’origine del suo Piano per la Rigenerazione dell’Africa. Questo è il punto di partenza carismatico-mistico della sua vita missionaria. “Il cattolico, avvezzo a giudicare delle cose col lume che gli piove dall’alto, guardò l’Africa non a traverso il miserabile prisma degli umani interessi, ma al puro raggio della Fede; e scorse colà una miriade infinita di fratelli appartenenti alla sua stessa famiglia, aventi un comun Padre su in cielo, incurvati e gementi sotto il giogo di Satana, posti nell’ordinaria economia della divina Sapienza in sull’orlo del più orrendo precipizio. Allora, trasportato egli dall’impeto di quella carità accesa con divina vampa sulla pendice del Golgota, ed uscita dal costato di un Crocefisso, per abbracciare tutta l’umana famiglia, sentì battere più frequenti i palpiti del suo cuore; e una virtù divina parve che lo spingesse a quelle barbare terre, per istringere tra le braccia a dare un bacio di pace e di amore a quegl’infelici suoi fratelli, sovra cui par che ancora pesi tremendo l’anatema di Canaan.” (Daniele Comboni Messaggi, n° 50) Fino a questo momento, potremmo pensare a Comboni come un individuo privato, un missionario ordinario guidato dalla normale Grazia divina di Dio. Dopo di questo Comboni è un missionario straordinario: carismatico. ”L’amore di Cristo per le anime s’impossessò di lui con forza. Fu un’esperienza pentecostale. Sarebbe, altrimenti, impossibile spiegare come l’Africa divenne la sua unica passione nella vita come egli stesso dice. Perché avrebbe vissuto e sarebbe morto pensando solo a questo. Qui abbiamo il frutto di qualcosa molto più profondo di una semplice decisone personale a livello ascetico. Questa è chiaramente un’esperienza mistica, un effetto del dono dello Spirito Santo” (Lozano, pagina 35). Secondo: la certezza della vocazione del Comboni, era fondata inizialmente sulle parole di Padre Marani.

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Questa volta, invece ricevette il suo dono attraverso un’esperienza profondamente carismatico-mistica; sentì allora, che non era stato lui a decidere di dare la sua vita per l’Africa .Era invece uno strumento; aveva accettato passivamente una decisione presa per lui. Il Comboni si sentì cambiato da questa esperienza e spinto ad essere il fondatore della Chiesa nell’Africa Centrale, e come se ne fosse il primo responsabile a portare l’amore di Cristo ed il suo messaggio all’Africa. Un potere straordinario e divino scese su di lui. L’esperienza fu talmente impellente e forte da indurlo a dare inizio immediatamente al suo compito perché sentiva nel suo profondo che l’ora della salvezza dell’Africa era giunta. Espresse in modo sorprendente l’amore che aveva ricevuto dal Cuore di Gesù nel suo primo discorso a Khartoum al suo arrivo come Vicario Apostolico. Tutti i suoi contatti e viaggi dopo quell’esperienza, rivelano che sentiva profondamente la responsabilità che aveva per l’evangelizzazione dell’Africa Centrale (vedere MDC n. 18). Questa invasione carismatica non distrusse la necessità della sua forza umana. L’entusiasmo del Comboni è il risultato di due forze: la sua umana conoscenza dei problemi dell’Africa e la forza che ricevette da questa invasione carismatica. La forza di mettere in pratica il suo Piano aveva una sorgente divino-umana. b. Modo e maniere usati dal Comboni per attuare il suo carisma Comboni allora cercò modi e maniere diverse con cui attuare il suo carisma e metterlo al servizio della Chiesa . La sua spiritualità – –

Comboni fa questo innanzi tutto con la sua spiritualità che è: Incentrata su Cristo: riceve il dono da Cristo, e va a Lui attraverso il Suo Cuore ed il Mistero della Croce; Incentrata sulla Chiesa: riceve dalla Chiesa la missione di mettersi al servizio di Dio tramite la stessa Chiesa.

Il suo stile di vita – – –

Dalla sua spiritualità Comboni trae il suo stile di vita: Dedizione totale; Amore incondizionato (vedere MCD n. 18); Una perseveranza fino alla Morte “O Nigrizia o morte”.

Il suo servizio Acceso da questa spiritualità e stile di vita, Comboni si dedica al servizio che è un apostolato: – Esclusivamente orientato ala missione; – Ad gentes – Per i popoli più poveri ed abbandonati Comboni sentì che la chiamata a questo servizio era della massima urgenza: “l’ora di Dio per l’Africa’ era giunta. “la novità e originalità del Progetto Comboniano sono nell’urgenza e determinazione con i quali affrontò il dilemma: la profondità di esse sono illustrate dalle loro conseguenze: e cioè l’idea abominevole di vedere la Chiesa sospendere, forse per secoli, il suo lavoro per così tanti milioni di anime che languivano nelle tenebre e nell’ombra della morte .” (P. Chiocchetta . “Carte per l’Evangelizzazione dell’Africa “P. 22) La sua metodologia Comboni propone una metodologia per eseguire il suo servizio:

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– –

“Salvare l’Africa con l’Africa “: cioè educare gli africani in Africa, dove l’uomo bianco può sopravvivere e gli africani non muoiano, e mandare all’interno coloro che sono stati addestrati a evangelizzare gli altri; Fondare Istituti come “Cenacoli di Apostoli”: Accettando piena responsabilità per il Vicariato dell’Africa Centrale.

c. Il Carisma di Comboni come Fondatore “I carismi dei vari Fondatori sono e si rivelano un’esperienza dello Spirito da trasmettere ai loro discepoli per essere vissuto, preservato, approfondito e costantemente sviluppato da loro in armonia con il Corpo di Cristo nel suo continuo processo di crescita” (Mutuae Relationes, n. 11) 1. Comboni non poteva trasmettere ai suoi seguaci il suo carisma personale , la sua personale condivisione dell’amore di Cristo per i popoli dell’Africa Centrale, poveri ed abbandonati. 2. Lo Spirito Santo dà a tutti i futuri autentici membri degli Istituti comboniani una condivisione in quell’amore di Cristo sul modello Comboniano, essendo lo Spirito Santo la sua “Causa efficiente”, e Comboni la “causa esemplare immediata”. Comboni è quindi coinvolto nella nostra stessa chiamata, anche se non ne siamo coscienti; è una conseguenza della Comunione dei Santi: Comboni è un anello che lega il Comboniano a Cristo, modello fondamentale. 3. Siamo stati chiamati dalla nascita. L’azione di Dio è una: ci chiama ad esistere, ci consacra a lui, ci guida a liberamente unirci all’Istituto Comboniano. Una vocazione Comboniana deve sostanzialmente dare anche una personalità Comboniana. Un candidato, il quale gradatamente non imita la personalità di Comboni come modello mediato, non può dirsi di avere un’identità Comboniana. 3. Il Carisma dell’Istituto 1. Il carisma dell’istituto fiorisce quando le sue Costituzioni esplicitamente racchiudono la spiritualità ed il servizio dato alla Chiesa (inspiratio primigenia) percepiti dal Fondatore e quando il Superiore generale ed il suo Consiglio “pro tempore” riconoscono la speciale grazia. (grazia di stato) che viene loro data dallo Spirito Santo per capire appieno ed apprezzare l”inspiratio” e di animare tutti i membri così che essi possano coltivarlo e viverlo appieno. 2. Il carisma dell’Istituto è anche una condivisione collettiva, la somma di tutti i carismi personali dei membri dati dallo Spirito Santo tramite la mediazione di Comboni, come modello per i suoi membri. 3. È inoltre l’abilità dell’Istituto a modellare le personalità individuali in modo tale che Comboni possa trasmette il suo esempio e messaggio a noi, la sua spiritualità, il suo stile di vita, il suo servizio specifico al Regno di Cristo tramite la Chiesa, e fare in modo che la sua metodologia si sviluppi secondo i “Segni del nostro tempo” 4. Attraverso le sue strutture, le sue regole, il suo campo di lavoro specifico, i suoi Superiori ed altri membri, l’Istituto deve essere in grado di aiutare i suoi nuovi membri ad accogliere lo Spirito Santo che crea in loro l’identità missionaria di Comboni. La spiritualità di Comboni non si riceve il giorno in cui si viene ufficialmente accettati nell’Istituto. L’istituto possiede l’esperienza spirituale del carisma di Comboni tramite l’esperienza spirituale dei suoi membri, sia individualmente che collettivamente. Questo accade nella comunione ordinaria a livelli differenti in tutte le nostre comunità, nella comunità del Superiore Generale ed il suo consiglio e nella comunione straordinaria dei Capitoli. Il carisma dell’Istituto viene proporzionatamente vissuto nella misura in cui i suoi membri attuano il loro carisma personale religioso, missionario e considerano la comunità come un “Cenacolo di Apostoli.” Se per esempio, solo il 50% dei

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Comboniani dovesse vivere il carisma personale mediato dal Comboni, l’Istituto è a rischio di perdere la sua identità Comboniana. 5. L’Istituto, attraverso i membri dei Capitoli che lo rappresentano possono sviluppare, interpretare, arricchire, rinnovare ed estendere il carisma di Comboni, - ma non possono impoverirlo – fintanto che la “Inspiratio primigenia” viene fedelmente presentata. Il carisma non è statico, non invecchia, viene rinnovato attraverso tutti i nuovi membri a cui viene dato lo Spirito; uno spirito che è sempre vitale, nuovo, creativo, imprevedibile. Questo sviluppo deve essere come lo sviluppo di un bambino che diventa adulto: la persona, la “Inspiratio primigenia” rimane sempre la stessa, benché la crescita avvenga a poco a poco. 6. L’Istituto attraverso i suoi membri, individualmente e collettivamente, è la memoria vivente del suo Fondatore, in quanto essi vivono e ripetono le attività di Cristo vissute nella vita di Comboni. In questo modo, e solo in questo, salvaguardiamo, approfondiamo e costantemente sviluppiamo il carisma e gli impegni del nostro Fondatore in armonia con il Corpo di Cristo che cresce costantemente (Mutuae Relationes n. 11). 4. Commenti sui servizi della comunità come scopo del carisma Facciamo qui dei commenti sulle direttive pratiche seguite da Comboni nella evangelizzazione. Ø L’evangelizzazione dell’Africa non è opera di individui ma il lavoro della Chiesa intera, ed in modo particolare dei Cristiani Africani che giungeranno in futuro. Ø Avviene quando la Cristianità, le culture e tradizioni locali s’incontrano Ø La comunità è importante all’interno della Chiesa locale: non è il singolo missionario l’unico che evangelizza, ma la comunità apostolica. Ø Lo scopo deve essere quello di evangelizzare gli elementi influenti della società: i suoi leader e la sua cultura in modo da avere comunità Cristiane e leader nelle sfere religiose , sociali e economiche, leader Cristiani che sono impegnati in politica e tendono a creare una cultura Cristiana che ha le sue radici nella cultura africana. Ø Collaborazione genuina e rispettosa con chiunque voglia cooperare a questo scopo. Ø Dall’esperienza fatta a Malbes si possono trarre altri utili suggerimenti: – Stare attenti a quelle persone che possono distruggere tutto quanto si è costruito – Una volta che le persone sono state educate devono trovare strutture dove operare in loco; – I leader emergono si dal gruppo ma devono tenersi in costante e assiduo contatto con esso, se vogliono influenzarlo. Ø L’Evangelizzazione, nei suoi vari stadi, richiede che chiunque evangelizzi debba conoscere a fondo a sua gente, in quanto deve essere la Chiesa locale che deve aiutare l’evangelizzazione a crescere, non una brutta copia della società europea. – Per Comboni, evangelizzazione significa lo sviluppo dell’intera persona: evangelizzazione e promozione umana sono inseparabili. Il tipo di promozione umana che cerca è tale da creare un modo di vivere e lavorare armoniosamente da Cristiano. – Siccome dobbiamo influenzare i punti strategici della società, dobbiamo occuparci non solo dei giovani, ma anche degli adulti in quanto essi sono quelli che possono capire il messaggio Cristiano e ciò che esso implica. Dobbiamo inoltre occuparci particolarmente della famiglia perché essa garantisce la sopravvivenza e lo sviluppo della fede.

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Capitolo Sesto LA SPIRITUALITÀ DI COMBONI

La spiritualità dei Cristiani è semplicemente il modo in cui essi fanno esperienza di Dio tramite Gesù Cristo e la Sua Sposa la Chiesa, in un dato momento ed in un dato ambiente sociale: è uno stile di vita del tutto consistente. Comboni ricevette molto dalla spiritualità del clero veronese, che aveva i Gesuiti ed i loro discepoli come direttori spirituali. Siccome, però, la spiritualità di un individuo dipende prima di tutto dalla sua vocazione, Comboni ha la sua spiritualità che lo distingue da altri santi. Tale spiritualità è stata ispirata e modellata dallo Spirito Santo attraverso il suo carisma, sul quale la sua vocazione è basata, vissuta e messa in pratica. La spiritualità di Comboni è l’insieme di dimensioni spirituali, mistiche, e morali attraverso i quali arriva all’obiettivo del dono, vocazione La sua Spiritualità è principalmente incentrata su Cristo e sulla Chiesa. A. IMPERNIATA SU CRISTO IN GENERALE Ø Parlando dei missionari Comboni descrive la loro vita come “un modello di vita simile a quello di Cristo e dei suoi Apostoli “. Ø La vita dei suoi seguaci (i missionari) implica “seguire Gesù nelle responsabilità della vita apostolica”. Ø Il suo Istituto Missionario è “un piccolo Cenacolo di Apostoli per l’Africa”. Ø I suoi missionari devono consacrare la loro vita e le loro opere a Gesù l’Apostolo . Ø Evangelizzare è “infondere lo spirito di Cristo nella mente così che si radichi nel cuore dei popoli “(Il Piano). Ø Come Paolo, conoscere Dio sopra tutto (cfr. 1° Cor. 2:2). Ø Comunione con Cristo. Ai suoi missionari dice: “Che i loro occhi siano sempre fissati su Gesù Cristo, amandolo teneramente, e cercando di capire più chiaramente il significato di un Dio che muore sulla Croce per la salvezza delle anime” (Regole 1871, capitolo 10, n. 3 parlando dello spirito di sacrificio.) IN PARTICOLARE 1. Spiritualità del Cuore di Gesù La spiritualità del Comboni lentamente si concentrò si di un simbolo, quello del Cuore di Cristo. È impossibile capire l’ esperienza religiosa di Comboni se non prendiamo in considerazione questa spiritualità. Per Comboni il Cuore di Cristo è : Ø La fenditura nella roccia dove possiamo nasconderci (la ferita aperta dalla lancia) come lo era per i Cistercensi ; Ø Un lato aperto dal quale sgorgano miele, vino e latte;

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Ø Il Cuore di Cristo come sperimentato da Santa Geltrude (1256-1301) cioè parte di una intensa vita interiore e mistica; Ø Oggetto di contemplazione o comunione come vissuto da S. Giovanni Eudes (1601-1680). Ø Il simbolo dell’amore da consolare e che necessita riparazione, come fu per S. Margherita Maria Alacoque, che influenzò molto la spiritualità di Comboni. Egli fu ispirato da parole come “Il mio Cuore divino è così appassionatamente innamorato con gli esseri umani che non può contenere dentro di se le fiamme della sua ardente carità”. Ø Un mezzo per l’Apostolato della Preghiera come in Ramiere (“ex corde Christi in universum mundum”). Per Comboni - e questo è il suo particolare contributo – il Cuore di Cristo è innanzi tutto: Ø Il mezzo per ottenere che il Suo Amore per gli esseri umani possa quanto prima essere esteso alla redenzione e salvezza degli africani (i popoli dell’Africa centrale): “Il Sacro Cuore di Gesù darà il suo raddoppiato amore a coloro che sono seduti nelle tenebre e nell’ombra della morte “. (Lozano, p. 62). Per questo egli consacra il suo Vicariato al Cuore di Gesù: “Il Sacro Cuore di Gesù al quale questo mio Vicariato è consacrato , batte anche per i poveri neri che non hanno ancora il dono della fede “. INOLTRE PER COMBONI IL CUORE DI CRISTO È: Ø Ø Ø Ø

Simbolo di puro e pietoso amore per tutti gli esseri umani Segno e centro di completo affidamento Sorgente di forza e coraggio Centro di comunicazione fra le persone amate.

COMBONI È UN APOSTOLo Ø dell’Apostolato della Preghiera Ø della Guardia d’Onore (da osservare i Primi Venerdì di ogni mese). IL PIANO viene presentato come il Piano della Società dei Sacri Cuori di Gesù e di Maria per la conversione dell’Africa . L’Istituto del Cairo per ragazzi e uomini era dedicato al Sacro Cuore di Gesù mentre quello per ragazze e donne era dedicato al Sacro Cuore di Maria. FESTIVITÀ DEL SACRO CUORE: Comboni è così affezionato a questa festività che chiede alla Santa Sede di farla diventare Festa di Precetto nel suo Vicariato. IL CUORE DI MARIA: Dal Cuore Trafitto di Gesù Comboni passa al Cuore Trafitto di Maria che è connesso con l’opera di rigenerazione del continente africano: “Possiamo dire che lo Spirito Santo ha comunicato l’amore di Cristo per l’Africa al Comboni attraverso la meditazione del Cuore del Buon Pastore, trafitto per i più poveri e più abbandonati. È alla luce di questa speciale rivelazione e comunicazione che Comboni organizzò in modo definitivo l’intera sua vita, il suo tempo e le sue energie e fu in grado di immaginare un certo tipo di Istituto missionario.” (Pierli, Il Sacro Cuore di Cristo, pagine 13-14) 2. La spiritualità di Gesù crocefisso “Sono pronto a soffrire e con gioia per Cristo e per le anime più abbandonate dell’universo” (MDC n. 52).

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La Croce di Cristo appare nelle esperienze spirituali di tutti i discepoli del Signore. Tuttavia è principalmente verso la fine della sua vita, che Comboni rivelò una dimensione mistica dell’amore per la Croce (vedere Regole del 1871, pagina 195). a. Amore per la Croce Dalla sua amorevole contemplazione del Cuore trafitto di Gesù Crocefisso, Comboni guidato dallo Spirito Santo, passò facilmente all’amore della Croce. La Croce fu trasformata in gioia: “Io stesso, i miei missionari, siamo le persone più felici del mondo… soffriamo per Dio. Per Gesù, per le anime: Com’è dolce soffrire con Gesù, per Gesù e per le anime che dobbiamo vincere per Gesù… La prima caratteristica di un missionario dell’Africa Centrale è l’amore per la sofferenza. (MDC n. 104). Le opere di Dio nascono e crescono ai piedi della Croce.”(MDC n. 198,226,231,234,237,238,241,245,256). b. La croce del distacco Progresso spirituale attraverso il distacco: Dai suoi genitori “Oh quanto mi affligge il sacrificio che questi due poveretti (i genitori) fanno per separarsi da me! A quali sacrifici assoggetta il Signore questa vocazione! Ma fummi assicurato che Dio mi chiama, ed io vò sicuro.” (Daniele Comboni Messaggi, n° 24) Nell’occasione della morte di sua madre egli scrive a suo cugino Eustacchio : “Eustacchio mio! Sono senza madre!… Una volta l’aveva; ma ora non l’ho più… Benedetto sia il Dio delle misericordie a cui piacque di ricordarsi di me!… Quantunque con piè risoluto io abbia volte le spalle al mondo affine di assicurare la salvezza dell’anima mia consacrandomi ad uno stato di vita affatto simile a quella di Cristo e degli Apostoli, quantunque colla grazia divina abbia vinto la natura separandomi da quanto avea di più caro al mondo per servire più liberamente al Signore, nulladimeno sentii vivamente i latrati della fragile natura, e piansi amaramente la gran perdita. Ma sia benedetto in eterno il Signore! Egli ha voluto così: io adoro umilmente i suoi divini decreti. A lui piacque di chiamare a sé la mia povera genitrice, della quale ricordo l’affetto che mi portò, e le pene e i sacrifici che, poveretta, ha fatto per me: a lui piacque di lasciare in un doloroso isolamento il mio caro Padre, il quale benché rassegnato al divin beneplacito pure la sua grande sensibilità lo porta e trascina in profonda malinconia. Ma Dio vuole cosi; sia benedetto: questo mi conturba assai: la perdita della madre, l’isolamento del padre. Ma, scuotiti anima mia dal tuo letargo: solleva in alto lo sguardo ché l’uomo non è fatto per questa terra. Oh! Questo dolce pensiero, Eustacchio mio carissimo, è quello che non solamente dilegua dal mio spirito ogni nebbia di turbamento; ma vi colma l’anima mia d’ineffabile letizia.” (Daniele Comboni Messaggi, n° 35) Dalle realtà che gli stanno a cuore per l’amore dell’Africa “Il primo amore della mia giovinezza fu per l’infelice Nigrizia, e, lasciando quanto per me v’era di più caro al mondo, venni , or sono sedici anni, in queste contrade per offrire al sollievo delle sue secolari sventure l’opera mia. Appresso, l’obbedienza mi ritornava in patria, data la cagionevole salute… Partii per obbedire: ma tra voi lasciai il mio cuore.” (Daniele Comboni Messaggi, n° 18) Dalla missione se richiesto dall’obbedienza. Scrisse al Cardinale Simeoni:

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“Ho ricevuto il venerato suo Foglio del 3 corrente, del quale avendo bene compreso tutta la portata ed il significato, mi sono concentrato a ponderare seriamente se, attesa la mia nullità e debolezza, io possa essere ancora utile all’apostolato africano, che è senza dubbio il più arduo e spinoso della terra, o se invece gli torni dannoso; tanto più adesso, a causa di tante fatiche, privazioni, malattie, febbri, crepacuore, lotte e contraddizioni sostenute per molti anni, specialmente nell’ultimo terribile periodo della carestia e pestilenza. (Daniele Comboni Messaggi, n° 241) Dalle insicurezze ed incertezze, la croce del salto nel buio Le prime lettere di Daniele Comboni alla sua famiglia rivelano un altro fatto che rese la sua separazione dalla sua patria e i suoi cari ancora più dura; le naturali incertezze che aveva al pensiero che stava per entrare in un mondo sconosciuto e pieno di sorprese – il mondo della popolazione nera dell’Africa. Rimase sconcertato nel vederli andare in giro nudi, armati di lance, archi e frecce, sembravano abbastanza feroci da eliminarlo con un singolo affondo della loro lancia. (Lozano, p. 81). c. La croce dei malintesi Con i suoi superiori - Per esempio, Don Mazza. Quando Comboni ebbe sentore delle dicerie che sarebbe stato espulso dall’Istituto egli scrisse: “Confesso che non ne capisco nulla: la tranquillità della mia conoscenza, e Dio che compie sull’uomo i disegni della sua misericordia, mi danno una forza da benedire la Provvidenza di tutto cuore per quest’avvenimento. Benché la mia mente non possa nulla penetrare nel buio dell’avvenire, tuttavia mi cimento con serena fronte e sicurezza, senza far calcolo delle illazioni che il mondo potrà dedurne; ringrazio con tutta l’anima i Sacri Cuori di Gesù e di Maria che mi hanno sollevato all’onore e fortuna di essere ammesso a bere un amaro calice, fermo nella speranza che gioverà alla mia salute; benedico mille volte coloro che avessero contribuito a farmi portare queste tribolazione, e sempre pregherò per loro; venero e rispetto quel santo vecchio, che mi ha fatto tanto bene per lo spazio di 23 anni, e lo amerò fino alla morte.” (Daniele Comboni Messaggi, n° 221; Scritti, n° 1049) Con i suoi missionari “Grazie al Dio delle misericordie, il mio Vicariato e le sue Opere camminano secondo lo spirito di Gesù Cristo, , e si riesce a fare non poco bene, ma molto, malgrado enormi difficoltà, e croci che mi vengono da chi dovrebbe cagionarmi invece consolazioni. Ma le opere di Dio sono sempre state così. Confidato in Dio, io vo’ innanzi nella mia via, contento di morire per Gesù e per la Nigrizia.” (Daniele Comboni Messaggi, n° 72; Scritti, n° 6956) Questa conversazione fra Comboni e Padre Losi è caratteristica: “Mio figlio, scrivi quello che vuoi contro di me a Sua Eminenza; scrivi a Roma, a Propaganda, ed al Papa , che sono un furfante meritevole del patibolo ecc. Ma ti perdonerò sempre e ti amerò sempre. Se rimani nella missione e converti e salvi i miei diletti Nuba per me, sarai sempre il mio caro figlio, e ti benedirò fino a quando morirò.” Famoso per le sofferenze che dovette sopportare con i Camilliani e principalmente con padre Carcereri il quale chiese ai suoi Superiori di denunciarlo a Propaganda Fide ; Comboni non si difese fin quando non fu convocato dalla stessa. Il fatto che fu completamente scagionato di tutto quanto era stato accusato è evidenziato dal fatto di essere stato nominato Vescovo da Propaganda Fide non molto tempo dopo.

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d. Matrimonio mistico Il seguente brano è talmente caratteristico che può essere considerato un matrimonio mistico di Comboni con Croci che dovette portare nel corso della Sua vita: “Vedrà l’Eminenza Vostra che anche in questa nuova burrasca, il nemico dell’umana salute cercò d farmi del male; e comprenderà che sono tante le tempeste che mi opprimono, e che è un miracolo se potrò resistere al peso di tante croci. Ma io mi sento talmente pieno di forza e di coraggio e di confidenza in Dio e nella B. Vergine Maria, che sono sicuro di superar tutto, e di prepararmi ad altre croci più grandi per l’avvenire. Già vedo e comprendo che la “Croce” mi è talmente amica, e mi è sempre sì vicina, che l’ho eletta da qualche tempo per mia Sposa indivisibile ed eterna. E colla Croce per “isposa” diletta e maestra sapientissima di prudenza e sagacità, con Maria mia “Madre” carissima, e con Gesù mio “tutto”, non temo, o Eminentissimo Principe, né le procelle di Roma, né le tempeste di Egitto, né i torbidi di Verona, né le nuvole di Lione e Parigi; e certo a passo lento e sicuro camminando sulle spine arriverò ad iniziare stabilmente e piantare l’Opera ideata della rigenerazione della Nigrizia centrale, che tutti hanno abbandonata e che è l’opera più difficile e scabrosa dell’apostolato cattolico.” (Daniele Comboni Messaggi, n° 224; Scritti, n° 1709-10) e. Desiderio per le Croci Comboni non solo accetta e accoglie le croci ma le desidera: “Frattanto avendo io sempre bramato le croci, come salutari e necessarie per l’incremento delle opere sante, ed il buon Gesù essendomi stato largo di queste malgrado la mia indegnità, sono lieto di adorare con piena rassegnazione le disposizioni della Provvidenza, che ha permesso l’ossequiato nostro Eminentissimo Card. Prefetto nella sua limpidezza recasse non lieve nocumento alle mie risorse.” (Daniele Comboni Messaggi, n° 225; Scritti, n° 1941) f. Desiderio di martirio Comboni desidera il martirio. Così scrive al Cardinale di Canossa: “Per carità promuova in Concilio la questione, e parli della Nigrizia, e della maniera di guadagnare a Cristo cento milioni di anime Negre; dica che non mancano mai nella Chiesa gli operai evangelici che sospirano al martirio come la più cara e soave ricompensa delle più ardue fatiche; e tutti noi quattro siamo tutti disposti di sostenere a piè fermo la morte col più atroce dei martiri anche per salvare un’anima sola della Nigrizia: per noi i calori dell’Africa sono come uno zeffiro in Italia al più buon Parroco veronese. Se poi il S. Padre, o il Concilio avessero ad alzare la voce in favore della Nigrizia, ed a rivolgersi ai cattolici etc…noi moriamo dalla consolazione.” (Daniele Comboni Messaggi, n°58; Scritti, n° 2194) Alla fine di un periodo della sua vita particolarmente doloroso , Comboni scrisse quest’inno alla Croce, quella Croce “che ha la forza di trasformare l’Africa Centrale in una terra di benedizione e salvezza”: “Il Salvatore del mondo compì le sue meravigliose conquiste d’anime con la forza di questa Croce, che atterrò il paganesimo, rovesciò i templi profani, sconvolse le potenze dell’inferno, e divenne altare non di un unico tempio,

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ma altare di tutto il mondo. Questa Croce che prese il suo volo dall’alto del Golgota e che riempì l’universo della sua potenza, nei templi le fu prestata adorazione, nelle città regali la più grande venerazione; viene rispettata come distintivo sulle bandiere ed invocata sugli alberi maestri delle navi. Essa diede alla fronte sacerdotale la consacrazione, e a quella dei monarchi una sacra incoronazione. Sul petto degli eroi comunicò entusiasmo. Terra, mare e cielo riconoscono la Croce e dovunque le si rende onore. Fra i dolori e le spine è sorta e cresciuta l’opera della redenzione e per questa essa mostra uno sviluppo mirabile e un futuro consolante e felice. La Croce ha la forza di trasformare l’Africa Centrale in terra di benedizione e di salute. Da essa scaturisce una virtù, che è dolce e non uccide, che rinnova e discende sulle anime come una rugiada ristoratrice; da essa scaturisce una grande potenza, perché il Nazzareno sollevato sull’albero della Croce, tese una mano all’Oriente e l’altra all’Occidente, raccolse i suoi eletti da tutto il mondo nel seno della Chiesa; e con le mani perforate, come un altro Sansone, scosse le colonne del tempio, dove da tanti secoli si prestava adorazione al potere del male. Su queste rovine egli inalberò la Croce, operatrice di meraviglie, che tutto attrasse a sé: “Si exaltatus fuero a terra, omnia traham ad meipsum” (Daniele Comboni Messaggi, n° 233) Possiamo quindi concludere con la seguente dichiarazione di Comboni: “Noi siamo fatti per salvare le anime, che si dica quel che si vuole. Dio me ne renderà la mercede, perché Deus charitas est. Disprezzo me stesso quando si tratta di carità; non tengo conto di quello che dicono gli altri perché l’opinione che hanno di me non ha fondamento nei fatti, ascolto solo la mia coscienza quando si tratta del pericolo che un’anima si perda; per grazia di Dio ed in tutta verità, in ciò non ho nulla da rimproverarmi: “ama nesciri, et pro nihilo reputari”. Al mondo le ho sperimentate tutte; ed ho imparato per esperienza, che prima di tutto si deve avere un grande amore di Dio, che genera l’amore del prossimo,” quod universa lex est”; poi ho imparato e conosciuto quanto sia sapiente la verità predicata dall’Apostolo:” cupio anathema esse pro fratribus meis”. (Daniele Comboni Messaggi, n° 70; Scritti, n° 6846-47)

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B. ACCENTRATA SULLA CHIESA L’aderenza alla Chiesa è una delle attitudini più chiare e costantemente spirituali di Comboni: Ø Come ad una Madre , cioè la sorgente di vita e nutrimento: Ø Come una Signora, cioè colei che ha potere su di lui. “Sarei più contento di essere condannato a perpetuo imprigionamento e alla morte, rimanendo in comunione con il Papa e la Chiesa, mia Signora e Madre, piuttosto che essere re e vivere nella gloria e onore del mondo” (MDC n. 78) “Dalla città capitale del mondo Cattolico, vi invio un messaggio di amore e devozione verso la Chiesa e il Suo Capo” (alla Società di Colonia MDC n.78). Nonostante le difficoltà con il Cardinale di Canossa e Propaganda Fide, egli parla di obbedienza e fedeltà alla Gerarchia : “Se il Papa , Propaganda Fide e tutti i Vescovi del mondo fossero contro di me, terrei la testa bassa per un anno, poi presenterei un nuovo piano, ma smettere di pensare all’Africa, mai!” (MDC, n. 76-78). Che tipo di Chiesa, una semplice entità giuridica? Una istituzione che ha bisogno di difendersi dal liberalismo? 1. La Chiesa di Comboni è una Chiesa missionaria È primariamente una Chiesa al servizio dell’umanità, benché la gerarchia ne sia un elemento importante. È un’istituzione fondata da Cristo il Redentore , e mandata da Lui a portare la sua redenzione a tutti i popoli. La missione è la vera ragione dell’esistenza della Chiesa. Il Primo Concilio Vaticano fu per Comboni una magnifica occasione per introdurre un decisivo appello per L’Evangelizzazione dell’Africa Nera (MDC n. 56-57). La Chiesa e le sue origini sono descritte come un “Cenacolo di Apostoli “ Il Piano ed i suoi obiettivi sono tutti grandi eventi della Chiesa (MDC n. 73-74). 2. La Chiesa scaturisce dall’amore di Cristo. Portare il Vangelo non è soltanto un dovere (‘Euntes’), è una necessità che nasce dall’amore. Cristo ama tutti, e la Chiesa condivide l’amore di Cristo per l’umanità. Dal Cuore aperto di Cristo sgorgano i sacramenti che formano la Chiesa (MDC n. 50), nata dall’amore di Cristo il Redentore. È un amore che si sviluppa e, come per dire, infiamma la Chiesa. Il Cuore di Cristo, in questo modo, diventa il simbolo per eccellenza della missione di evangelizzazione (Postulato , Scritti , 241). 3. La Chiesa e la Croce La Chiesa nasce e si sviluppa per l’amore del Figlio di Dio crocefisso: Comboni vide sempre una relazione molto forte fra il martirio nella Chiesa e la Croce (MDC n. 166,167, 215). “Fu con il sudore ed il martirio che si formò la Chiesa”. Fece questa connessione in seguito alle sue esperienze personali. 4. Obbedienza alla gerarchia Obbedienza alla Chiesa come alla sua “Signora.” La Chiesa di Comboni ha il Papa ed i Vescovi alla sua testa .

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Roma ha sempre sostenuto la voglia di evangelizzazione e la fondazione di nuove Chiese Cristiane, oltre a presiedere su di loro in fede e carità. Egli andò quindi dal Papa, da Propaganda Fide, e dai Vescovi del Primo Concilio Vaticano. Fu in San Pietro che ricevette l’ispirazione fondamentale. Ø Obbedienza già all’inizio della sua opera: (MDC n. 83). “Non voglio iniziare niente senza il placet della Chiesa e tutto ciò che alla Chiesa non piace, non piace neanche a me. Se il Papa non guarda favorevolmente nella mia direzione straccerò il mio Piano” (Lozano p. 163) Ø Obbedienza nell’eseguire piani “In tutto prometto a Sua Eminenza, perfetta obbedienza, anche se dovessi morire con il cuore infranto” (MDC n. 81). Ø Obbedienza responsabile. Dopo la citazione sopra riportata Comboni scrisse: “Se Sua Eminenza non approva il mio Piano, ne stilerò un altro. Se non accetta neanche il secondo, ne stilerò un terzo, e così via fino alla morte”. Ciò detto, continuò a spingere perché fossero fatti dei passi: L’ora per l’Africa decisa da Dio è giunta, disse, dobbiamo togliere ogni indugio (MDC n. 84). Non fu d’accordo con Propaganda Fide sulla questione della divisione del Vicariato (MDC n. 87); reclamò in una lettera privata, ma accettò la decisione con rispetto e spirito di obbedienza, e offri anche la sua collaborazione.

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PARTE TERZA

GLI ISTITUTI DAL 1881 AL 1997

Capitolo Primo DAL 1881 AL 1898

A. LE VICISSITUDINI DELL’ISTITUTO 1. Le Reazioni all’interno dell’Istituto alla morte di Comboni. La morte repentina del Fondatore degli Istituti per le Missioni Africane, Mons. Daniele Comboni, afflisse e portò sconforto a tutti. Rimanevano due iniziative ancora problematiche – gli Istituti a Verona e al Cairo e il Vicariato dell’Africa Centrale. Per continuare, gli Istituti di Verona avevano personale sul luogo, Madre Maria Bollezzoli per le Suore e Padre Giuseppe Sembiante per i Padri e Fratelli. La prima reazione degli Istituti fu una ferma determinazione di continuare. P. Sembiante scrisse a Roma in questi termini: “È desiderio di molti qui a Verona che le Missioni ed i nostri Istituti, che devono la loro esistenza al vescovo Comboni, la cui morte non può essere sufficientemente rimpianta, siano preservati come monumento a quel distinto scomparso”.1 Madre Bollezzoli scrisse alle Sorelle che si trovavano nelle Missioni: “Siate forti e non scoraggiatevi. Non perdetevi d’animo, ma mantenete il vostro coraggio e continuate senza timore nel campo che la Divina Provvidenza vi ha affidato. Non guardate indietro ma andate avanti con passo sicuro sulle orme del vostro magnifico Padre. Ascoltate le sue grida dalla cima della montagna che egli ha già raggiunto: Avanti! Avanti! “(lettere circolare 18 ottobre 1881) 2 Dello stesso tono erano i sentimenti espressi dai Missionari in Africa. P. Bonomi, Vicario Generale, scrisse a p. Sembiante dal Delen il 7 novembre : “La notizia è giunta a noi solo ieri. Più che impauriti ci ha lasciato sbigottiti, Non possiamo credere che sia successo , e non abbiamo idea di quello che potrà succedere alla nostra sfortunata missione. La notizia ci ha trovati totalmente impreparati. Ma tutti noi in Khartoum, El – Obeid, e fra i Nubiani, benché tutti noi ne abbiamo sentito la perdita, siamo fermamente determinati di continuare con la nostra santa impresa con la forza che Dio voglia darci e con la Sua Grazia. Saremmo forse indegni di produrre magnifici

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Aldo Gilli Storia dell’Istituto missionario Comboniano 1881-1885, p. 10. Suor Elisa Pezzi, L’Istituto Pie Marie della Nigrizia 1881-1901, p. 6

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frutti, ma siamo sempre disposti a soffrire per Gesù Cristo e la sua gloria. Sono certo che questi sono i sentimenti di tutti come dissero nelle loro lettere”.3 “Il Vicariato Apostolico dell’Africa Centrale è stato saggiamente affidato all’Istituto di Verona, ed è da là che assistenza, conforto, e supporto ci giungerà di modo che l’opera che Comboni , si potrebbe dire, ha fondato e alla quale ha dato inizio, possa continuare. … Chiedo gentilmente di esprimere questi nostri sentimenti a Sua Eminenza, Cardinale di Canossa, di modo che egli non fraintenda il silenzio che abbiamo tenuto fino ad ora significhi che siamo scoraggiati, o anche peggio che siamo inclini a abbandonare tutto. Stiamo tranquillamente aspettando che colui che sarà il responsabile, ci dica cosa ci sia da fare per questa sfortunata Africa, affidandoci alla Divina Provvidenza che ci ha sempre sostenuto nelle circostanze pericolose che abbiamo già passato”. 4 2. La Reazione delle autorità Ecclesiastiche alla morte di Comboni. Il Cardinale di Canossa, Protettore dell’Istituto, rimase profondamente scosso dalla notizia della morte di Comboni. Pensava che senza Comboni, l’Istituto non avrebbe potuto andare avanti, e propose, di conseguenza, “di passare l’intera missione al prodigioso don Giovanni Bosco”, Fondatore dei Salesiani.5 I sentimenti del Prefetto di Propaganda Fide non erano più incoraggianti. Il Prefetto infatti, Cardinale Simeoni, rispose alla lettera di p. Sembiante: “Ho ricevuto la Vostra lettera del 4 novembre 1881, nella quale suggerite che il Rev. P. Francesco Sogaro come successore al defunto Vescovo Comboni nel Vicariato dell’Africa Centrale. In risposta devo informarvi… che, siccome ho scritto al Superiore Generale dei Gesuiti invitandolo a prendere le redini di quella missione, è necessario attendere la sua risposta prima di intraprendere ulteriori consultazioni sulla faccenda”.6 Quando ricevette questa lettera, p. Sembiante si sovvenne di un nome. Si ricordò che Comboni aveva descritto p. Joseph Ohrwalder, come ottimo missionario, in possesso delle qualità necessarie per l’opera missionaria. Un uomo di preghiera ed azione, pronta a dare la sua vita per il Signore. Perciò p. Sembiante l’8 novembre 1881 rispose a Propaganda Fide menzionando il nome di p. Ohrwalder, ma aggiunse “forse altri missionari potrebbero non essere d’accordo perché è stato ordinato prete dal Vescovo Comboni soltanto l’8 dicembre 1880, 11 mesi prima “(Comboni Archivio , Roma 17/17/64). Il Ministero degli Affari Esteri austriaco suggerì lo stesso Ohrwalder come successore di Mons. Roveggio (id A/3/5/293). Avendo ricevuto una riposta negativa dal Superiore generale dei Gesuiti7, Roma cercò qualcuno al di fuori dell'Istituto, mentre pensava anche di dividere il Vicariato e darne una parte alle Missioni Africane di Lione. Anche il nome di Mons., Mathew Kirchner, che era stato responsabile del Vicariato del 1859 al 1861, fu fatto da diverse persone, specialmente dal Console Austriaco di Khartoum; ma il monsignore non accettò per motivi personali. La prossima scelta cadde su p. Francesco Sogaro, che era già vicino all’Istituto come confessore dei candidati non italiani nei due collegi di Verona. Era parroco della parrocchia S. Giorgio in Braida di Verona. A 17 anni, nel 1956, entrò tra gli Stimmatini, però nutriva il desi-

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derio di andare nelle Missioni. Per questo uscì dall’Istituto nel 1974 (Mons. Grancelli, pag. 449). 3. Mons. Sogaro viene nominato pro Vicario Apostolico Mons. Sogaro fu nominato Pro Vicario Apostolico il 21 settembre 1882, ma non fu consacrato vescovo subito a causa della sua cattiva salute. Tuttavia affrontò la responsabilità con grande zelo, lavorando senza sosta per la liberazione dei missionari che erano stati fatti prigionieri del Mahdi. Dopo un periodo in cui erano state sospese tutte le attività, le Suore ricominciarono a prendere i voti, e candidati vennero di nuovo accettati sia come sacerdoti che come fratelli laici. Il primo obiettivo di mons. Sogaro fu quello di organizzare e guidare personalmente una nuova missione in Africa. La spedizione giunse al Cairo il 18 gennaio 1883, e a Khartoum il 6 marzo dello steso anno. Una volta a Khartoum si preoccupò eccessivamente: troppo presto si mise in testa che i missionari di Khartoum erano diventati troppo permissivi . Decise di mettere in pratica un piano che aveva già concepito nei primi giorni della sua nomina. Nel luglio 1883, al suo ritorno al Cairo dopo aver visitato Khartoum, che lo aveva lasciato particolarmente scoraggiato, scrisse a Propaganda Fide manifestando il suo piano di trasformare l’Istituto in una Congregazione Religiosa. “Oltre alla sua lodevole preoccupazione di assicurare una buona formazione ai missionari, sembra che la ragione principale per il suo nuovo piano era la consapevolezza che una certa familiarità fra i missionari non religiosi e le Suore religiose nella missione fosse controproducente ed anche pericolosa per il loro ministero pastorale”. 8 Aveva inoltre la sensazione che, una formazione religiosa più profonda avrebbe garantito un migliore risultato apostolico nelle missioni. Una congregazione religiosa avrebbe rafforzato l’impegno richiesto da quel vasto e difficile territorio. Infine, dal momento che le Suore erano religiose, Mons. Sogaro riteneva che i sacerdoti che non erano essi stessi religiosi non avrebbero potuto dare assistenza spirituale, in special modo per quanto riguardava i voti e la vita comunitaria. In una lettera da Suez del 18 dicembre 1887, espresse l’opinione che tale cambiamento a lungo termine avrebbe dato più stabilità all’Istituto, indi più unità, continuità efficienza (Vedere Nigrizia, gennaio 1888). Mons. Sogaro riprese il piano nel 1884 e l’anno successivo, presentandolo sempre come il suo piano. In tutto questo tempo egli prese in considerazione di imitare i Salesiani, o i Missionari di Lione, o gli Stigmatini di Verona, per aiutarlo a metterlo in pratica; non fece mai menzione dei Gesuiti. Essendo stato uno Stigmatino egli stesso, fino al 1874, personalmente favoriva questo Istituto fondato a Verona dal Beato G. Bertoni.(1777-1853).Anche p. Sembiante apparteneva a quell’Istituto , così pure p. Domenico Vicentini, che era stato proposto dall’Istituto per aiutarlo. Sembra che fin dall’inizio Mons. Sogaro pensasse che l’unico modo di risolvere il problema dell'Istituto del Comboni una volta per tutte, era di amalgamarlo con l’Istituto della “Sacre Stigmate”. Nel giugno del 1884, con l’appoggio del Cardinale di Canossa, Mons. Sogaro fece formale richiesta all’Istituto degli Stigmatini perché ciò avvenisse. La richiesta fu formalmente respinta da un Capitolo speciale chiamato solo per discutere la faccenda il giorno che si celebrano le Stigmate di S. Francesco d’Assisi, il 17 settembre 1884.Il Capitolo dette due ragioni principali per il rifiuto: primo, tale opera potrebbe assorbire tutte le energie e le finanze dell’Istituto, e, secondo, avrebbe distolto l’Istituto dal suo scopo primario, e cioè l’istruzione dei giovani nelle scuole collegi e seminari. 9 8 9

A. Gilli, ib. P. 57 A. Gilli, ib. P.83

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Nel 1885 Mons., Sogaro ottenne il permesso dal papa Leone XIII di trasformare l’Istituto, con l’aiuto dei Gesuiti, in una Congregazione religiosa di voti semplici e perpetui. A luglio dello stesso anno fu nominato Vescovo , e fu consacrato a Roma il 2 agosto. Sperava che come Vescovo, la sua precedente richiesta all’Istituto delle Stigmate avrebbe avuto più peso. Invitò, quindi p. Pietro Vignola, il loro Superiore generale alla sua consacrazione. Questo gli dette l’opportunità di fare pressione di nuovo e far sì che il suo piano di amalgamazione fosse accettato. La richiesta fu di nuovo respinta. 4. I Gesuiti Essendo stata la sua proposta ripetutamente rigettata, il Mons. Sogaro dovette, con riluttanza, rivolgersi al gesuiti. Quello che voleva per le missioni era giusto, e pensava che queste sarebbero state servite meglio se si fosse assicurato che i candidati dell’Istituto fondato da Comboni avessero ricevuto una buona preparazione e che fossero formati nelle virtù religiose ed apostoliche. 10 I Gesuiti accettarono. Nel settembre del 1885 Mons. Sogaro iniziò le consultazioni con il Superiore della provincia Lombardo- Veneta e presto ebbe due gesuiti per dirigere e formare i Missionari. Il pericolo dell’amalgamazione, quindi passò, e l’Istituto fondato da Comboni continuò a vivere la sua vita in modo autonomo. Infatti i Gesuiti avevano accettato solo a condizione che se ne sarebbero andati una volta che l’Istituto fosse stato in grado di stare in piedi da solo. La formazione impartita dai Gesuiti, in un certo senso smorzò la forte spiritualità missionaria del Comboni, tuttavia preservò l’ispirazione missionaria originale e mantenne le missioni dell’ istituto nelle nuove Costituzioni. La nuova Congregazione dei “Figli de Sacro Cuore” in questo modo preservò tutto il potenziale per una futura riscoperta del carisma originale di Comboni. 11 B. IL LANCIO DELL’ISTITUTO RELIGIOSO 12 1. L’inizio dell’istituto religioso Il 28 ottobre 1885 due Gesuiti, p. Pietro Frigerio , Rettore e p. Samuele Asperti, Direttore spirituale e Maestro dei Novizi presero possesso della Casa Madre a Verona. P. Sembianti ex Superiore dell’Istituto di Verona mantenne la direzione della Casa delle Suore Comboniane di Verona, come pure l’amministrazione finanziaria delle Missioni, sempre a Verona. Prese poi i voti nel nuovo Istituto nel 1896 e morì a Brescia il 24 giugno 1914. 2. Il 28 ottobre 1885 Questa data è comunemente accettata come la data di inizio della Congregazione Religiosa dei “Figli del Sacro Cuore di Gesù”, benché il nome apparì ufficialmente solo dopo molto tempo. Il Noviziato ebbe inizio il 1 novembre 1885. Iniziò nello stile rigoroso dei Gesuiti, con 12 novizi: un sacerdote, p. A. Roveggio, sei studenti e cinque fratelli. Due di essi, Pietro Baldo e Angelo Prada, erano stati nelle missioni per un breve periodo. Due del gruppo se ne andarono nel novembre 1886. Dieci di loro presero i Voti il 28 ottobre 1887: A. Roveggio, Angelo Colombaroli, Giovanni Bendinelli, Franz Heiman (olandese), Francesco Sinner (che lasciò 10

A. Gilli, ib. P. 87 A. Gilli ib. p. 172. Per quanto concerne tutto questo capitolo vedere anche il testo recente ( Comboni en el Corazon del la Misson Africana .- 1993 di p. Fidel Gonzales pag. 429-448. Editorial Mundo Negro. 12 Vedere p. F. Gonzales ib. Pag. 480-494 11

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l’Istituto nel 1894). E i Fratelli Pietro Fratton, Giovanni Giori, Pietro Baldi, Fiorenzo Dalla Rosa, Angelo Prada. 3. La prima partenza per il Cairo Il 24 novembre 1887, p. Francesco Colombaroli : Superiore, p. Roveggio Direttore Spirituale, e i Fratelli Baldi e Giori partirono per il Cairo. Qui è opportuno osservare che nessuno dalle missioni andò direttamente al nuovo Istituto. Sembrerebbe che le continue tergiversazioni da parte di Mons. Sogaro gli impedivano di informare i missionari in Africa del suo piano di trasformare l’Istituto in una Famiglia Religiosa. Quando ne furono finalmente informati, alcuni furono contenti del cambiamento, altri, specialmente gli austriaci ed i tedeschi ne furono amareggiati soltanto uno di essi si unì all’Istituto nel 1886. Sin dall’inizio l’accaduto creò un’atmosfera di sospetti e malumori da pare degli austriaci e tedeschi verso i nuovo arrivati. I religiosi, fra l’altro osservavano rigorosamente un certo numero di regolamenti esterni e formalità tipici della provincia Lombardo - Veneta dei Gesuiti dell’epoca. Era chiaro che i religiosi erano sotto l’autorità morale di p. Asperti. A lui si appellavano continuamente e le sue decisioni erano seguite anche se lui non conoscesse la situazione locale e la vita comunitaria vissuta nelle missioni, né tantomeno delle richieste dell’Apostolato. Padre Frigerio aveva dato le seguenti direttive ai suoi religiosi : “Ricordate che siete i primi frutti dell’Istituto che Mons. Sogaro desidera stabilire nel Vicariato. Dovete quindi, comportarvi in maniera così santa da essere additati come esempio da coloro che vi seguono. È una grande responsabilità che avete, ma anche qualcosa per cui Dio Vi ricompenserà” E indirizzandosi al Superiore p. Colombaroli: “Voi, in modo particolare avete il compito di assicurarvi, con gentilezza, ma fermamente se necessario, che la Regola nella quale siete stati formati durante il Vostro Noviziato venga osservata. Se dovessero sorgere dubbi o difficoltà circa le Costituzioni o regole, a volte capita quando nuovi Istituti vengono fondati, rimettete la faccenda al Signore nella preghiera (dovete certamente continuare con lo spirito di preghiera) e scrivete a p. Aperti per avere consigli: è un uomo che si è dato totalmente a Dio, ed ha molta esperienza in queste faccende. Se vi affidate alla sua guida, non ve ne pentirete” (lettera del 15 dicembre 1887). 4. L’appellativo “Figli del Sacro Cuore” Secondo p. Colombaroli. “il Rev. Padre Asperti, considerando la nostra condizione di orfani, voleva che fossimo affidati in modo speciale al Santissimo Cuore di Gesù scegliendo per noi il nobile appellativo di suoi Figli” (Lettera Circolare 3 Giugno 1903; Padre Antonio Todesco riporta questa frase nella sua lettera circolare del 25 ottobre 1955, Circ.54,Bol.45) Durante un discorso tenuto nel 1948 agli scolastici, padre Vignato raccontò della grande gioia di p. Asperti quando giunse la notizia che la Santa Sede aveva approvato il nome. È risaputo che i Gesuiti sono sempre stati molto assidui nel far conoscere la devozione al Sacro Cuore; padre Asperti concordava con loro e per questo propose questo nome per l’Istituto. Lui stesso apparteneva ad una Associazione che era dedicata al Sacro Cuore chiamata “Amici Anonimi” 5. Regole Per essere approvati da Propaganda Fide era assolutamente necessario che l’Istituto avesse delle Regole. Nel 1887, P. Frigerio ne scrisse la prima bozza, ma Roma la rimandò indietro senza approvarla, perché la Congregazione era ancora giovane ed incompleta.

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Sembrerebbe che una nuova Bozza fu stilata fra il 1888 ed il 1890, ma non ne è mai stata trovata nessuna copia (p. A. Trabucchi, Bol.154, pagine 15-24). Il 18 marzo 1894 Papa Leone XIII approvò la trasformazione dell’Istituto di Comboni nella Congregazione Religiosa del Figli del Sacro Cuore di Gesù, ‘Filii Sacri Cordis Jesu, FSCJ’ ed approvò le sue Regole ‘quoad substantiam’. Il 7giugno 1895 le Regole furono approvate per un periodo di sette anni., ‘ad experimentum’. Il 15 marzo 1910 p. Vianello sottopose le Regole a Propaganda Fide di nuovo, e Pio X dette la sua definitiva approvazione. C. LE INIZIALI DIFFICOLTÀ DELL’ISTITUTO RELIGIOSO 1. Difficoltà con Mons. Sogaro Mons. Sogaro cambiò lo stato giuridico dell’Istituto senza rendersi conto che il cambiamento avrebbe sottoposto i membri ad una nuova autorità religiosa. Voleva il cambiamento per migliorare la formazione data nei seminari di Verona e auspicava un miglior rendimento nelle missioni. Vedeva ancora i missionari come dipendenti da lui come prima dipendevano dal Vescovo Comboni, il suo legittimo predecessore. Scoprì però che non aveva mano libera nella nomina del personale , nello sviluppo dei piani pastorali e che la fedeltà dei nuovi missionari era divisa. Propaganda Fide non aveva ancora dato chiare direttive circa le relazioni fra le autorità religiose ed ecclesiastiche. Presto ci furono degli screzi fra le due autorità seguite da recriminazioni reciproche. Fin dal 1889 p,. Sembiante scrisse a propaganda Fide da Verona chiedendo di venire in soccorso dei Gesuiti che erano oggetto di troppe interferenze da parte del Vescovo. Continuò lamentandosi del modi autoritari del vescovo. Parlò nello stesso modo a difesa delle Suore le “Pie Madri della Nigrizia”. Nel loro manuale di preghiera, esse tolsero la frase “si dedicano al servizio della missione sottoponendosi all’autorità del Vicario Apostolico”. 13 La faccenda arrivò a tal punto che il Cardinale prefetto di Propaganda Fide scrisse a Mons. Sogaro il 5 ottobre 1889: “Sono rimasto molto dispiaciuto dalle diverse critiche che mi sono pervenute dai ben meritevoli Padri Gesuiti che stanno lavorando a Verona per avviare l’Istituto, circa le difficoltà che i missionari della neonata Congregazione stanno affrontando nel mantenere le loro regole nella Missione. Sono arrivati ad asserire che hanno intenzione di lasciare la direzione dell’Istituto, se le cose continuano come stanno andando adesso quando l’opera alla quale si stanno dedicando con tanto zelo in Europa, viene distrutta in Africa. È mio dovere portare a conoscenza di Sua Eccellenza queste critiche e far notare il grande pericolo che l’Istituto di Verona affronterebbe se le difficoltà delle quali si lamentano persistessero ed i Padri si ritirassero dall’incarico che hanno iniziato”. Il Vescovo Sogaro aveva sperato che i Gesuiti si sarebbero ritirati non molto dopo il 1890. Nella sua lettera a propaganda Fide datata il 20 dicembre 1892, osservò che il piano originale era di tenerli per soli quattro o cinque anni. Ribadì e difese, inoltre, il ruolo da lui avuto nello stabilire l’Istituto Religioso e asserì che aveva l’autorità di decidere per esso. “Io, perciò, con l’autorità del Santo Padre e anche con piena consapevolezza di Sua Eminenza Cardinale di Canossa, fui responsabile per l’intero progetto. Ricevetti ed istallai i due Padri della Società di Gesù a Verona, io presentai le Costituzioni per pri13

Suor E. Pezzi ib. Pagine 310-313

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mo adottando per loro il nome di Figli del Sacro Cuore di Gesù. Fu a me che la Sacra Congregazione ritornò queste Costituzioni da riformulare essendo esse state trovate imperfette. Ho dovuto cercare i mezzi per il mantenimento dell'Istituto , come sto ancora facendo. Fu a me, infine che il rev., Padre provinciale della Società di Gesù (dai quali dipendono i due padri che si trovano al nostro Istituto di Verona) riconobbe come legittimo Superiore”. Ma le cose non cambiarono, e il 10 aprile del 1893. Mons. Sogaro cercò una via di uscita da questa empasse formalmente chiedendo a Propaganda Fide che gli venisse nuovamente data la piena responsabilità dell’istituto. Il suo piano era di riportarlo allo stato giuridico precedente. Da parte loro i Missionari cercarono di risolvere questa incresciosa situazione spostandosi in una nuova area (possibilmente la Somalia) e lasciare a Sogaro il Vicariato . 14 Questo passo avrebbe significato tagliarsi fuori completamente dal campo di lavoro dei missionari reclutati dal Comboni. Il piano dimostrava quanto i religiosi erano profondamente attaccati alla nuova vita, ma anche quanto l’influenza del Comboni era stata attenuata dai formatori Gesuiti. 2. Interferenza da parte del Governo Austriaco 15 I retroscena nei quali queste interferenze svilupparono sono rappresentai dai seguenti eventi.: a) nel 1852 Mons. Knoblecker aveva ottenuto dall’Austria – la protezione ufficiale del Governo; – l’assistenza finanziaria tramite la “Marien Verein”; – il personale. Comboni continuò a ricevere assistenza finanziaria dalla “Marien Verein” durante tutta la sua vita ed anche dalla Imperatrice Madre (danaro per l’acquisto della casa delle Suore a Verona) e da altre fonti austriache. b) Verona fece parte dell’impero Austriaco fino al 1866, quando passò al governo italiano c) L’Austria non partecipò alla Conferenza di Berlino del 1884 quando l’Africa fu frazionata fra le potenze europee, ma voleva tenersi il patronato sul vasto territorio del Vicariato. Il console austriaco al Cairo , signor Heider Eddeger, cominciò a muovere le acque in data 22 giugno 1891, scrivendo al Conte Kolnoky del Ministero affari esteri a Vienna che nella sua opinione non era giusto che un Istituto protetto e sovvenzionato dal governo austriaco avesse la Casa Madre al di fuori dell’Austria: altre nazioni, ad esempio, la Francia avrebbero trovato tale situazione inaccettabile. Suggerì che la missione doveva essere sotto la protezione spirituale del Cardinale Arcivescovo di Vienna. Si doveva trovare una casa entro il territorio austriaco dove gli studenti dell’Istituto sarebbero stati radunati entro un certo lasso di tempo, senza momentaneamente toccare la casa di Verona. Mons. Sogaro colse l’occasione per risolvere i suoi problemi con i Gesuiti a Verona e i missionari religiosi in Egitto. In una lettera indirizzata al Canonico Mitterutzner datata l’8 ottobre 1892 espresse il suo desiderio di consegnare la casa costruita a San Giovanni in Valle (Verona) per i “Figli del Sacro Cuore” alle Suore Pie Madri. La casa contemplata in Austria avrebbe gradatamente preso il posto della Casa Madre di Verona e sarebbe stata affidata a missionari non religiosi principalmente austriaci e tedeschi. Ai Vescovi austriaci sarebbe stato chiesto di contribuire al suo mantenimento, e un sostanziale aiuto per la sua costruzione sarebbe venuto dalla ca14 15

F. Gonzalez, ib p. 525 F. Gonzalez, ib p. 520

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sa di Verona. Inizialmente la collocazione scelta fu Trento , e più tardi fu spostata a Brixen (Bolzano). L’interferenza del governo austriaco si fece sentire in modo particolare quando si dovette nominare il successore di Mons. Sogaro: il governo austriaco insisté che la persona dovesse essere un austriaco o un tedesco, e fecero di tutto per far sì che P. F.X. Geyer fosse nominato successore di mons. Sogaro. 3. L’Istituto Religioso riesce ad avere il suo stato giuridico A questo punto dovette intervenire Propaganda Fide, sia per sedare la disputa fra l’Istituto ed il Vescovo, sia per tranquillizzare il governo austriaco. Quest’ultimo era sempre stato leale alla Santa Sede , ed il suo imperatore Cattolico aveva ancora il diritto di mettere il veto alla elezione del Papa. Fu raggiunta una decisione durante una Riunione Plenaria di Propaganda Fide l’11 gennaio 1894 che fu resa pubblica a febbraio dello stesso anno16. – – –

Furono prese le seguenti decisioni: L’Istituto manteneva il suo stato giuridico come Congregazione; Sarebbero stati apportati dei cambiamenti nelle Costituzioni; Il vicariato dell’Africa Centrale è affidato all’Istituto, e cambiati i suoi confini, l’intero Sudan meridionale e l’Uganda settentrionale,che erano stati dati ai Padri Bianchi nel 1878, furono restituiti al Vicariato di Khartoum.

Successivamente, il Cardinale Ledochowsky, Prefetto di Propaganda Fide, prese i seguenti provvedimenti: Ø Chiese al provinciale della Società di Gesù di richiamare p. Asperti, che fu assegnato ad una delle loro comunità a Mantova. Da là si tenne in contatto con l’Istituto (+ 1896) Ø Chiese a Mons. Sogaro di dimettersi, ciò che questi fece senza serbare rancori: era solito dire, “Fintanto cheDio mi tiene in vita, lavorerò per i Figli del Sacro Cuore di Gesù”. Fu promosso Arcivescovo il 14 maggio 1894, Segretario della Sacra Congregazione per Indulgenze il 1 maggio 1900 e Presidente dell’Accademia Ecclesiastica dei Nobili. Morì il 6 febbraio 1912 all’età di 72 anni. Ø Nominò p. F.X.Geyer come Amministratore del Vicariato dopo le dimissioni di Mons., Sogaro. Ø Il 21 maggio 1895 nominò Mons. Roveggio (di 36 anni) Vicario Apostolico con il sottinteso che p. F.X. Geyer avrebbe poi preso il suo posto. P. F.X. Geyer si unì alla Congregazione nel 1896 . Ø Per tranquillizzare il Governo austriaco dette il suo permesso per l’apertura di una casa a Brixen, per la quale elargì anche una certa somma di danaro. Ø Chiese a Mons. Roveggio di far richiesta per diventare cittadino austriaco. L’Istituto ha un grande debito di gratitudine con il Cardinale Ledochowsky. Infatti egli confermò e ribadì che l’Istituto era Missionario , portò la questione alla sua effettiva e logica conclusione, affidando il Vicariato ad uno dei membri più giovani dell’Istituto confermando così la continuità del progetto del Vescovo Comboni e del suo carisma. In questo modo l’Istituto cominciò il suo vero cammino e fu confermato come Istituto religioso missionario. Uno dei suoi membri, Mons., Roveggio, fu consacrato Vescovo il 21 maggio 1895 e successe a Mons. Sogaro. Fu evitato sia il pericolo di una scissione tra religiosi e non re16

F. Gonzalez, ib p. 526-528

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ligiosi, come la ricerca da parte di questi di un nuovo territorio di Apostolato. Le regole furono approvate “ad experimentum” per 7 anni (7 giugno 1895). La nuova casa di Verona fu aperta nel 1892, lasciando i locali provvisori del Seminario. Il Noviziato fu aperto a Brixen il 9 giugno 1896. Il nuovo manuale di preghiera fu reso disponibile nel 1896. 4. Il Retaggio di Comboni All’inizio l’Istituto dei Figli del Sacro Cuore di Gesù, (FSCJ), non fu considerato come estensione del Collegio delle Missioni Africane avviate da Comboni nel 1867. La prima lettera circolare del Superiore Generale non faceva menzione di Comboni come Fondatore. Tipico è il seguente brano da una lettera circolare di p. Angelo Colombaroli, il primo Superiore Generale, scritta il 7 giugno 1903: “Per molte ragioni noi stessi dobbiamo la nostra esistenza ad una persona santa che fu come un padre per noi e ci amò davvero come con amore paterno. Però mi ricordo ancora come, nelle sue conferenze spirituali che era solito fare quando la nostra Congregazione era solo all’inizio che non avevamo un padre nel vero senso della parola: in quanto il Padre è il Fondatore di una Comunità Religiosa che ha fondato e formato. Fu veramente dovuto alla Divina provvidenza che il Rev. Padre Asperti di venerabile memoria visto la nostra condizione di orfani , volle affidarci in modo speciale al Sacro Cuore di Gesù con il nobile nome di suoi Figli. Sperava che anche noi avessimo un esempio dal quale prendere ispirazione, nel quale avremmo potuto trovare la pienezza della vita e la sorgente di quella amorevole unione che deve regnare fra di noi”.17 Mons. Sogaro si riferiva a Comboni solo come suo predecessore nella missione 18e nella prima stesura delle Regole ci si riferisce a Mons. Sogaro come Fondatore. Quando p. Meroni, nel 1923 mandò il suo promemoria a Propaganda Fide chiedendo la separazione dei confratelli austro-tedeschi, fece notare che la Congregazione era stata” fondata in Italia, da Gesuiti italiani con membri che erano per la maggior parte italiani, e per sostituire un Istituto italiano, nel senso etnico, non in un senso esclusivo, politico e nazionalistico “19. Esistono diverse ragioni per questo modo di pensare. Ragioni politiche Come già detto sopra, l’Austria ribadiva e sottolineava il suo patronato della missione, e l’aiuto finanziario dato: perciò reclamava il diritto di disporne come meglio credeva e trasferirne la Casa Madre nel territorio austriaco. Ragioni ecclesiali La struttura dell’Istituto era stata cambiata: era stato introdotto un Noviziato della durata di 2 anni, ed il voto di povertà aveva influito sulla vita sia dei singoli individui sia sulle comunità. Il Rev. Padre Corrado Pistolozzi, Segretario Generale dell’Istituto dal 1959 al 1969, crede che Comboni volesse in avvenire trasformare l’Istituto in un vero Istituto Religioso. La sua opinione si basava su diverse testimonianze: la più significativa delle quali sembra essere quella di Mons. Grancelli. Questo affidabile biografo per il 40° anniversario della morte di Comboni scrisse sulla NIGRIZIA del novembre 1921 p. 162, che Comboni “desiderava formare una vera congregazione religiosa, cosa che fu realizzata solo dopo la sua morte”. 17

P. P. Chioccchetta , Daniele Comboni “Scritti per l’evangelizzazione dell’Africa”, p. 175. A. Gilli ib. P. 175. 19 Sussidi per il Capitolo 1969, n. 9 Riunione con i Figli Missionari del Sacro Cuore (MFSC) 18

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A parte questo desiderio del Comboni, l’Istituto dei “Figli del S. Cuore” è una continuazione dell’Istituto che Comboni incominciò nel 1867 nonostante il cambiamento strutturale. E questo per due ragioni: Primo; la “Inspiratio primigenia” il suo carisma, la sua spiritualità e il suo scopo. Tutto questo era rimasto immutato. Il carisma era ancora una condivisione nell’amore di Cristo per i più poveri e più abbandonati, i Gesuiti sostenevano la spiritualità del Cuore di Gesù che lo stesso Comboni aveva ricevuto da altri Gesuiti; lo stesso valeva per l’apostolato fra i pagani. 20 Secondo: Il campo di lavoro non è cambiato. A Mons. Roveggio, figlio del S. Cuore, è stato affidato lo stesso territorio e fu il successore di Mons. Sogano, come questi del Comboni. Il fatto che i religiosi non reclamassero la continuità del Comboni, oltre al fatto già accennato dell’influenza dei Gesuiti, fu dovuta ai seguenti fatti. Alcune delle vecchie controversi intorno alla vita del Comboni, come i malintesi con l’ordine di San Camillo, ebbero anch’esse il loro peso in quanto sembrano aver dato adito a dubbi sul carattere di Comboni. Fu solo dopo che Mons. Grancelli ebbe pubblicato la vita del Comboni nel 1922 ed il libro seguente Rivendicazioni nel 1926 che p. Meroni scrisse una lettera circolare 21 nella quale annunciava che la causa di beatificazione del Servo di Dio Mons. Comboni “il nostro primo Fondatore”, era stata intrapresa. La lettera continuò dicendo che “attenta ricerca su documenti originali hanno dato brillanti risultati cosicché ogni dubbio circa il suo carattere è stato rimosso”. Nel 1920 i Padri Vignato e Meroni avevano incitato Mons. Grancelli a scrivere la biografia del Comboni e il 30 dicembre 1921 P. Vignato disse a Mons. Grancelli: “I figli del Sacro Cuore hanno sempre sentito la necessità di pubblicare la biografia del Vescovo Comboni come modo di ripagare il nostro debito di gratitudine a lui, la nostra sorgente e il nostro fondatore”22 A parte la questione della fondazione dell’Istituto, fin dall’inizio Comboni non era stato mai dimenticato. Il primo Seminario minore fondato in Italia a Brescia nel 1900 fu chiamato “Istituto Comboni”, e quando la sua chiesa fu consacrata nel 1909 il Bollettino pubblicato in tale occasione affermò che “I figli del Comboni stanno adesso raccogliendo fatti e detti su di lui ed hanno intenzione di pubblicarli in un libro: in questo modo adempiono il desiderio che molte persone hanno avuto da molti anni”. Nella rivista NIGRIZIA23 troviamo una breve poesia ed un inno in onore di Comboni che p. Federico Vianello aveva scritto in occasione di un trattenimento. Fra coloro che stavano raccogliendo materiale per la biografia24 troviamo per esempio Mons. Francesco Saverio Bini, negli anni fra il 1914 ed il 1916 quando era il segretario di p. Vianello. Il materiale raccolto quindi, fu messo da parte fino al 1920 quando fu consegnato a Mons. Grancelli. Dopo l’introduzione della causa di beatificazione di Comboni da parte di p. P. Meroni, le cose cambiarono completamente, benché nel noviziato poca enfasi veniva data ad una identità Comboniana. La nota biografia di Mons. Comboni pubblicata nel 1928 da p. A. Capovilla (1898 –1975) contribuì enormemente a rendere Comboni più conosciuto nell’Istituto e nella Chiesa. Ebbe fra l’altro anche consensi da parte di coloro che non avevano niente a che fare con la causa del Comboni stesso. 20

F. Gonzalez in Bollettino n. 129, pp. 18-22. Vedere Bollettino 2 marzo 1928 22 Mons. Grancelli: Mons. Daniele Comboni, Missioni Africane Verona, 1922. 23 Nigrizia, maggio 1895. 24 Positio p. XV-XVI 21

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Papa Pio XI che aveva conosciuto Comboni personalmente , dopo averla letta disse in un discorso che aveva ancora nitido nella sua mente il ricordo “di tale grande, meritevole e venerabile persona: Mons. Comboni”. 25 Come Superiore generale, (1937 – 1947) anche P. A. Vignato fu esplicito nella sua lettera del 13 dicembre 1937 26 quando parlò del “nostro venerato Fondatore” ed incoraggiò i confratelli ad affidarsi alla sua protezione, studiare e meditare su di lui e imitare il “nostro Fondatore”. Nel 75° anniversario della morte del Comboni, il successore di P. A. Vignato, P. Antonio Todesco nel 1956, decise di celebrare un anno Comboniano. Il capitolo del 1969 ristabilì completamente Comboni come nostro retaggio. Le nostre Costituzioni attuali espongono tutti gli aspetti della vita di Comboni. A questo punto, devo aggiungere che fu l’eredità comune di Comboni che preparò la via della Riunione dei due Istituti dei Figli del Sacro Cuore di Gesù (FSCJ) e dei Figli Missionari del Sacro Cuore (MFCJ), fra il 1969 ed il 1979. La prima vita di Comboni era stata scritta in tedesco da Mons. F.X. Geyer nel 1882. Alla fine degli anni trenta, incoraggiati da P. A. Vignato , gli scolastici iniziarono la Rivista Interna “COMBONIANUM” per pubblicizzare la vita di Comboni e focalizzare i problemi missionari che venivano studiati da diversi gruppi. Il ritardo nella Beatificazione del Comboni fu dovuto a due “Reponatur” (1953;1959). Questo fatto provò essere utile perché obbligarono l’Istituto ad approfondire la conoscenza della vita e della spiritualità del Beato Comboni. Abbiamo , così avuto modo di comprendere profondamente e meravigliosamente la sua grandissima personalità. 5. Il Vescovo Roveggio un nuovo missionario nel campo del Comboni Quando i primi religiosi andarono al Cairo nel novembre 1887, oltre ad occuparsi dei due Istituti, essi si presero cura della azienda agricola dell’isola “Ghezira” sul Nilo che era stata aperta per offrire rifugio e lavoro a coloro che provenivano dal Sud e a quelli liberati dalla schiavitù. Aprirono la parrocchia e la scuola di Helouan (1887) e la stazione missionaria di Swakim (1889) . Nel 1894 aprirono Assuan. IL Cardinale Ledochowsky era dell’idea di farla diventare la nuova sede del Vicariato Apostolico. Assouan era una buona base anche per dare assistenza spirituale alle famiglie italiane a Shellal, dove si stava costruendo la diga e dove le condizioni di vita non erano salutari. Quando , dopo la caduta di Omdurman, il 12 settembre 1898, la rivoluzione Mahdista finì e i missionari vennero a sapere che la missione di Khartoum era stata distrutta e la tomba di Comboni dissacrata, il Vescovo Roveggio chiese a Lord Kitchener, il vincitore della Mahdia il permesso di mandare due missionari a Khartoum a vedere lo stato della missione. Dopo tre mesi la richiesta fu rifiutata. Era successo che Lord Kitchener aveva cercato di sostituire i Missionari di Verona con i Missionari di Mill Hill di nuova fondazione inglese, ma il loro fondatore, il Cardinale Vaughan gli rispose che non aveva nessuna intenzione di prendere il posto dei missionari veronesi. La questione fu finalmente risolta con l’intervento del Governo austriaco e gli sforzi del Cardinale Vaughan il quale pensava che il Nostro Istituto aveva ormai avuto l’esperienza necessaria per affrontare le difficoltà del luogo.

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Positio p. 1346 Bollettino, n. 15, 1937.

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LE SUORE COMBONIANE Le Suore nel frattempo erano giunte al Cairo, Helouan ed Assouan. Le loro regole erano state approvate con il “Decretun Laudis” il 22 febbraio 1897. Un accordo era stato raggiunto con i “Figli del Sacro Cuore” per il quale questi avrebbero pagato tutte le spese di viaggio alle missioni e dato alle suore un compenso secondo le loro necessità. Così sollevate da preoccupazioni finanziarie sarebbero state in grado di accettare tulle le candidate che si presentassero. Vi erano stati dei disaccordi sia con Mons. Sogaro che con Mons. Roveggio a causa delle suore che dovevano tornare in Italia per malattia o che dovevano lasciare le missioni per altro motivo. I vescovi si chiedevano se dovevano finanziare le suore che non erano sempre presenti nelle missioni, essendo questa la ragione per cui esse ricevevano il sostegno finanziario.. Le suore avevano effettivamente un argomento valido. Dovevano escogitare qualcosa da far fare alle sorelle non idonee ad andare o tornare nelle missioni . Volevano avere le proprie risorse e non dover sempre elemosinare. Il Primo Capitolo Generale Le suore comboniane ebbero il loro primo capitolo generale nel 1898. I risultai delle elezioni furono i seguenti: Madre Maria Bollezzoli - Superiora Generale Suor Costanza Caldara - Vicaria generale Suor Teresa Marini - Assistente generale Suor Rosa Zabai - Assistente Generale Suor Luigina Gandolfi - Assistente Generale

IL SUCCESSO DELLE MISSIONI NEL SUDAN RIDOTTO A ZERO “LA RIBELLIONE MAHDI” “17 anni di lento martirio “si riferisce alla sofferenza dei missionari di Comboni nel Sudan, scritto da Suor Giuseppina Tresoldi, ex Superiora generale delle Suore missionarie Comboniane. 1. Introduzione Le previsioni dell’uragano che stava per abbattersi sulle missioni nel Sudan erano già state riconosciute da Comboni negli ultimi anni della sua vita. In fatti in una delle sue lettere egli fa riferimento ad un “così detto profeta che affermava di essere stato mandato da Dio , Allah per liberare il Sudan dal dominio dei turchi e dall’influenza Cristiana. “che nel s’infiltrava nel paese. C’era infatti una credenza fra la gente che il profeta che sarebbe stato inviato da Allah verso la fine del tempo si chiamasse Mahdi – che significa “Guidato da Allah” e avrebbe portato una nuova era di pace e giustizia in quei luoghi dove regnava l’oppressione. Egli avrebbe, inoltre, purificato l’Islam e lo avrebbe portato al suo trionfo finale. Nel giugno del 1881, un certo Mohammed Ahmed , figlio di Abdallah, nato nel 1841 a Dongola, Kordofan si proclamò Mahdi e chiamò i fedeli a fare guerra contro gli “infedeli; cioè i turchi e gli egiziani, in quanto essi praticano la fede di Allah in modo molto fievole ed i non mussulmani. Trovò un gran numero di adepti nel Sudan settentrionale dove la gente si sentiva oppressa dal dominio egiziano che stava imponendo una tassazione al limite della sopportazione. La carestia e le malattie degli anni precedenti avevano anch’esse contribuito largamente a

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preparare la gente alla rivolta. Inoltre, essi furono vinti alla causa del Mahdi perché prometteva che a chiunque morisse in battaglia egli avrebbe garantito un posto in paradiso, e futura felicità e giustizia a coloro che sarebbero sopravvissuti. Nel marzo del 1882 il Mahdi dette inizio al suo movimento rivoluzionario che sarebbe stato ricordato dalla storia come “Il Mahdi”. Con riunioni qua e là il suo scopo era di fomentare la ribellione fra la gente contro il governo egiziano e attrasse molte persone che lo seguirono pronte a combattere. Il Governo sia a Khartoum che al Cairo non si rese conto della forza del movimento. L’uomo fu considerato soltanto un visionario ribelle e il Governo mandò solo dei piccoli contingenti di truppe per sedare la ribellione che stava per insorgere. Ma le truppe furono battute per ben tre volte. Se il governo avesse mandato un numero di soldati adeguato , forse il movimento poteva essere annientato al suo esordio. Questo fu solo uno degli errori iniziali che permise alla rivoluzione di prendere piede. 2. Le stazioni missionarie Comboniane Ai quei tempi vi erano stazioni missionarie a Delen, Malbes, El Obeid, Khartoum e la stazione vicina di Geret. a. Delen In questa comunità troviamo : Ø Suor Amalia Andreis, Suor Eulalia Pesavento e Suor Maria Caprini; Ø Padre Luigi Bonomi, Padre Joseph Ohrwalder, i Fratelli Gabriele Mariani e Giuseppe Regnotto Già nel gennaio del 1882 quando Suor Teresa Grignoli, come Superiora provinciale fece visita a Delen da El Obeid dove soggiornava la strada per arrivarvi non era per niente sicura. I Baggara, una tribù nomade che si occupava di commerci degli schiavi spesso faceva dei raid nei paraggi di Delen. Essi furono responsabili per il rapimento di Zeinab Alif, Suor Giuseppina Benvenuti nel 1853 dal Darfur e della Beata Bakhita nel 1878 dal Kordofan. Erano acerrimi nemici della Missione e si unirono alla ribellione del Mahdi con grande bramosia L’8 aprile 1882 i Baggara attaccarono violentemente la missione uccidendo la gente e distruggendo tutto quanto trovarono. Nel maggio 1882, Padre Losi che era il Superiore delle missioni nel Kordofan, dette ordini da El Obeid a tutti i missionari nel Nubia di lasciare tutto e ritirarsi ad El Obeid, ma per la nostra gente di Delen fu troppo tardi. “El Mahdi” si accampò a Birjet (fra Malbes e Delen), in tal modo i missionari del luogo furono completamente tagliati fuori. Mai nessun messaggero mandato da El Obeid riuscì a raggiungere Delen sano e salvo. Solo coloro che si trovavano a Malbes ebbero abbastanza tempo per raggiungere El Obeid (Malbes dista solo 18 chilometri dal El Obeid,). A Delen si trovava soltanto un centinaio di soldati governativi, fu impossibile quindi combattere. Vedendo che la situazione precipitava, assieme al capo dei soldati e il signor Roversi, un rappresentante antischiavista che si trovò intrappolato a Delen, i missionari furono d’accordo di tentare la fuga scortati da soldati armati; ma quando tutto era già pronto, (circa 200 persone appartenenti alla missione) i nostri missionari si resero conto di essere stati traditi. Dopo un po’ di tempo ritentarono di nuovo, ma non ci fu nulla da fare. Essi furono fatti prigionieri dal rappresentante del Mahdi, Mac Omar. La missione fu messa a ferro e fuoco dalla gente di Mac Omar. I Cristiani furono torturati per ottenere la loro conversione all’Islam e ciò causò immenso dolore al cuore dei missionari.

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Siccome si diceva in giro che i prigionieri sarebbero stati portati al cospetto del Mahdi, i Missionari, il 15 settembre 1882, si unirono ai Cristiani che si trovavano attorno alla missione e celebrarono l’ultima Eucaristia nella Cappella di Dilling (Delen). Era la festività della Madonna Addolorata. Fu un momento molto doloroso per tutti quelli che si trovarono là. Maria Santissima era con loro e realmente ne parteciparono la sofferenza Il 18 settembre 1882 iniziò “la via del calvario”: Mac Omar voleva raggiungere “El Mahdi” che era accampato a Boga vicino ad El Obeid. La distanza era di circa 200 chilometri, ed i nostri sette missionari dovettero fare tutta la strada a piedi. All’inizio avevano dei cammelli che potevano cavalcare, ma presto fu tolto loro tutto, anche le scarpe. Strada facendo erano bersaglio di insulti e pestaggi da parte di coloro che si radunavano ai margini della strada per vedere passare gli infedeli! Padre Ohrwalder fu costretto a portare il Crocefisso di bronzo della loro cappella perché Mac Omar voleva portarlo al Mahdi come trofeo, ma durante la prima notte I padri Ohrwalder e Bonomi riuscirono a seppellirlo in un luogo dove nessuno lo avrebbe mai più trovato, e in quel modo evitarono che esso venisse dissacrato dai mussulmani come avevano in mente di fare. Il viaggio durò nove terribilmente lunghi e dolorosi giorni. Era la stagione delle piogge, questo significava erba alta, profondi stagni da attraversare, un sole implacabile, nessun cambio d’abito,… quando arrivarono al campo furono assaliti dagli arabi che vi si trovavano e a stento scamparono la morte. Furono portati davanti al Mahdi che provò in tutti i modi di convertirli all’Islam : “O mussulmani o morte” fu l’ultimatum dato ai missionari, i quali con voce unanime dissero: “Siamo pronti a morire” . Che cosa sentirono quella notte?: Mentre i nostri sette padri e suore si preparavano ad offrire la loro vita per Cristo e per la rigenerazione dell’Africa, le parole del nostro Fondatore “o Nigrizia o Morte “riecheggiavano nei loro cuori. Suor Amalia si ricordò delle parole pronunciate dal Papa Leone XIII a Roma prima di partire per il Sudan. Il Papa chiese loro: “Mie figlie avete il coraggio di andare in quelle terre dove potreste anche andare incontro al martirio?” Le Sorelle risposero: “Sì, se il Signore fosse tanto misericordioso da renderci degne di tale grazia”. Le Suore ripetevano queste parole l’un l’altra. Comboni spesso ripeteva che il vero Apostolo non si tira indietro neanche davanti alla morte”. Esse erano serene e calme. Padre Bonomi, come leader del gruppo scrisse un messaggio che tutti firmarono e che speravano sarebbe stato portato in Italia. Suor Maria Caprini aveva con se una Reliquia della Santa Croce, la baciarono tutti e si abbandonarono poi ad un sonno pieno di pace. C’era una magnifica cometa in cielo ed essi la videro come la stella del Martirio, ma… La mattina seguente, il signor Geoge Stambulie, un mercante di El Obeid che si era convertito all’islam per non finire in prigione, andò a salutarli. Tutto era pronto per la loro morte. Un messaggero mandato dal Mahdi arrivò a prendere i Missionari per portarli da lui. Camminarono per mezz’ora certi di camminare verso la loro morte. Alla presenza del Mahdi furono loro poste altre domande ma i nostri missionari erano determinati: essi erano fedeli a Cristo, e la MORTE fu quello che avevano scelto. “A Morte” furono le ultime parole pronunciate dal Mahdi. Ma proprio in quel momento un interprete del Corano disse: “Non puoi fare questo, il Corano proibisce l’uccisione di coloro che sono consacrati a Dio a meno che non vengano trovati con armi nelle loro mani”. Per i nostri Missionari quelle parole portarono una grande delusione! Un martirio molto più doloroso li attendeva. Nel campo venivano continuamente tormentati. Il signor Stambulie li aiutò a costruire una capanna. Si ammalarono tutti a causa degli stenti che sopportavano. Invocarono la morte e la morte venne! Il 27 ottobre, 1882, un mese dal loro arrivo al campo Suor Eulalia Pesavento si sentì molto male e una terribile febbre la stroncò. Aveva 26 anni. Nessuno dei sei rimanenti ebbe abbastanza forze per seppellirla.! E fu difficile trovare qualcuno per farlo. Per danaro, un arabo acconsentì di trascinare il corpo a circa 100metri di distanza e coprirlo con la sabbia! Il 31ottobre 1882 , dopo soli quattro giorni, di nuovo di notte, morì Fratello Gabriele Mariani all’età di 29 anni. Il 7 novembre 1882, fu Suor Amalia Andreis, la Superiora della comunità che morì all’età di 29 an-

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ni. Era cosciente che la sua ora era giunta e fu con grande sofferenza che lasciò sola Suor Maria Caprini, la più giovane del gruppo. Le sue ultime parole furono di esortarla a fare da madre e sorella ai quattro missionari superstiti. Alla fine di novembre il tempo migliorò, e i missionari si rimisero in forze. Fra l’altro ebbero notizie e aiuto da El Obeid. b. El Obeid Lasciamo adesso i quattro sopravvissuti a Boga e andiamo ad El Obeid a vedere come vivevano la situazione. Nella comunità di El Obeid vivevano Suor Teresa Grigolini, Superiora Provinciale, Suor Concetta Corsi, Suor Caterina Chincarini , Suor Elisabetta Venturini, e la nuova professa Suor Fortunata Quascè con p. Losi, Superiore, p. Paolo Rossignoli e Fratello Isidoro Locatelli. El Obeid era una cittadina dedita al commercio di circa 10.000 abitanti. Era circondata da colline per cui il clima era abbastanza buono. Il governo manteneva una guarnigione ben fornita e un forte ben protetto. La missione continuava ad occuparsi delle sue varie attività ma sentiva che la tempesta si stava avvicinando. Suor Teresa Grigolini era dell’idea di andare a Khartoum con gli altri Cristiani che stavano per lasciare la città, ma il Superiore della Missione non seppe prendere una decisione in merito ed alla fine quando decisero di andarsene, fu loro negato il permesso. Il Governatore credette che se avesse dato il permesso alle suore di andarsene , se ne sarebbero andati anche i commercianti, rendendo la vita ai cittadini di El Obeid molto problematica. Le suore decisero allora di spostarsi dentro il fortino e andarono ad abitare nella casa di Marietta Combatti, una ex schiava, che era stata istruita a Verona ed era tornata in Egitto come catechista. All’inizio di settembre 1882 Padre Losi , come ispirato, chiamò tutta la gente della missione in chiesa. Celebrò l’ultima Eucarestia e dispensò dai voti coloro che erano consacrati dicendo loro di rinnovarli giornalmente, se lo desideravano. Siccome nessuna delle suore aveva ancora preso i voti perpetui, fu particolarmente difficile per loro. L’8 settembre 1882, le forze del Mahdi attaccarono El Obeid, ma furono respinte. La città fu posta sotto assedio e la vita divenne insopportabile. I missionari cercavano di dare aiuto a coloro che erano affetti da malattie varie, ma cominciarono anche loro a sentirsi male. A novembre ebbero la buona notizia che i missionari di Delen erano al campo di Boga , non molto lontano e mandarono Marietta Combatti a portare loro aiuto. Al suo ritorno raccontò quello che era accaduto a Delen e della morte dei tre missionari. A dicembre p, Losi si ammalò di peste e morì il 27 dello stesso mese. Aveva 44 anni. Dal diario di Suor Teresa si sa che lo seppellirono a soli due metri dalla loro abitazione. Dentro le mura del forte la vita non poteva continuare e i soldati stremati si arresero alle forze del Mahdi. Il 19 gennaio 1883 la città capitolò e momenti terribili seguirono. Le case furono messe a fuoco e fiamme, la gente fu torturata così da confessare dove erano stati sepolti eventuali tesori. Entrarono nella casa delle Suore come lupi affamati, scavarono anche dove era stato sepolto p. Losi alla ricerca di cose di valore. Ai missionari fu imposto di diventare musulmani o morire. La loro reazione fu la stessa dei missionari di Delen. A parte p. Rossignoli e fra Locatelli i quali, ahimè , pronunciarono la fatidica frase “Allah è l’unico Dio e Maometto è il suo Profeta” gli altri scelsero tutti la morte. La scelta fatta da p. Rossignoli non gli impedì di soffrire tutte le sofferenze degli altri missionari, e Suor Corsi ebbe l’ardire di dire ai soldati “Voi siete cani, non soldati”. Fu picchiata e lasciata a terra sanguinante. Gli abiti delle Suore furono strappati, i loro oggetti religiosi portati via e furono picchiate a sangue. Dopo due giorni di questo inferno furono portate dal Mahdi al campo di Boga. Era il 21 gennaio 1883, e dopo essere state interrogate a lungo, cercarono di persuaderle a convertirsi

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all’Islam. Furono poi portate con gli altri missionari di Delen e grande fu l’emozione nel ritrovarsi tutti assieme. Erano contenti di essere di nuovo un gruppo ma tristi perché le loro condizioni erano veramente disastrose “Come scheletri ambulanti”, scrisse uno dei sopravvissuti. Dopo circa tre settimane di permanenza al campo un incendio distrusse quasi tutte le capanne del campo inclusa quella dei missionari. Adesso non rimaneva loro nulla. Il signor Strambulie venne di nuovo in loro soccorso e fece costruire due piccole capanne. Per poter sopravvivere si dettero tutti da fare, chi intrecciava cesti, chi cuciva, etc.., qualsiasi cosa per poter vivere. Fu in quel periodo che p. Bonomi bruciando delle ossa e mischiando la polvere con della colla riuscì a ottenere un liquido che usò come inchiostro. Scrissero delle lettere a Khartoum ed anche le preghiere comuni che erano troppo difficili da tenere a mente. Le preghiere comuni furono un modo di alleviare le loro pene nell’unione con il Signore. Si confessavano spesso e apprezzavano molto la vicinanza l’uno dell’altro. Le Suore per la maggior parte del tempo restavano all’interno delle capanne per paura di essere insultate dai soldati, ma i Padri uscivano, anche se sorvegliati dagli arabi e battezzavano quei bambini in fin di vita o riconciliavano con la Chiesa quei Cristiani provenienti dal medio Oriente che avevano abbandonato la Fede abbracciando l’Islamismo. I missionari videro balenare pallide speranze di liberazione. A giugno del 1883 si venne a sapere che truppe guidate dal generale Hicks marciavano verso il Kordofan, ma il 4 novembre quando finalmente sferzarono l’attacco le truppe furono distrutte dall’armata del Mahdi e la situazione dei prigionieri peggiorò. Suor Teresa Grigolini riuscì ancora a mandare loro notizie a Khartoum. Biglietti scritti su piccoli pezzi di tessuto bianco, non c’era carta. Esortò la gente di Khartoum di lasciare la città e di rifugiarsi i Egitto perché le forze del Mahdi sarebbero presto arrivate alla Capitale. Nel dicembre 1883, Marietta Combatti riuscì a recarsi a Khartoum portando messaggi al Governatore e all’arrivo scoprì che i missionari, erano tutti andati via l’11 dicembre. I missionari presenti nella missione allora erano, P. L. Hanriot, i Fratelli C.P. Santoni, Domenico Donizzoni, le Suore Giuseppa Standola, Vittoria Paganini, Matilda Lombardi e Fortunata Zanoli, solo fratel Polinari era rimasto. Di ritorno a El Obeid , Marietta portava viveri per i suoi compagni, ma gli arabi rubarono tutto quanto essa aveva. Nel marzo 1884, il signor Strambulie che non aveva più fiducia nel Mahdi e aveva difficoltà a tirare avanti, decise di scappare ed invitò i missionari ad unirsi a lui. Le loro speranze crebbero, ma furono di nuovo sottoposti a sofferenze. Il messo del Mahdi li raggiunse, e ordinò loro di seguirlo fino alla casa di Abdullahi. Iniziò così un nuovo e più atroce martirio. Ad ogni loro rifiuto di diventare musulmani venivano brutalmente torturati. Un giorno Abdullahi disse loro apertamente che non li avrebbe uccisi , sapendo che era quello che desideravano, ma li avrebbe fatti soffrire… e soffrirono veramente molto. Furono dapprima separati. La separazione serviva per spezzare le loro forze. Suor Teresa, Suor Concetta e Suor Maria furono mandate presso altri gruppi di donne ed uomini da torturare, furono torturate brutalmente prima di essere date come schiave a tre delle mogli dei generali del Mahdi. Era il 1 aprile 1884.Anche gli uomini furono separati: P. Rossignoli e Fratel Regnotto furono mandati ad El Obeid mentre p. Bonomi p. Ohrwalder e Fratel Locatelli, dopo essere stati torturati furono separati e mandati come schiavi del Califfo ad un nuovo campo. Il 5 aprile del 1884, il Mahdi dette ordini di spostare l’intero campo a Rahad oltre El Obeid (circa 650 chilometri da Khartoum). Fu un’esperienza terribile per la nostra gente, separati, schiave delle mogli del Califfo. È incredibile come possono essere sopravvissuti a tale prova. Suor Concetta Corsi, in particolare era alla mercé di una donna malvagia. Quando cominciò il viaggio verso Rehel fu costretta a camminare scalza attraverso il deserto e si ridusse talmente male che pregò la sua padrona di lasciarla morire smettendo così la sua agonia. La moglie del

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Califfo , però, fece legare Suor Corsi ad un cammello e la fece trascinare. Dopo un po’ di tempo la donna la abbandonò. Era notte. Un uomo le andò vicino e la suora cominciò a piangere. Altri uomini volevano abusare di lei,. Per sfuggire loro chiese di essere portata davanti al Mahdi dicendo “Voglio essere portata dal Mahdi per recitare la formula”. Al suo cospetto, però disse che non aveva nessuna intenzione di abbracciare l’Islam. Il Mahdi replicò che la formula sarebbe lentamente entrata nel suo cuore. “La trattò bene”. Le tre Sorelle rimaste nella casa di Abdullahi, Suor Caterina, Suor Elisabetta e Suor Fortunata non ebbero sorte migliore. Suor Fortunata, essendo sudanese, fu la prima ad essere presa di mira e torturata, quasi in fin di vita, lasciata agonizzante finché fu ordinato di portarla davanti al Mahdi. Fu torturata in innumerevoli modi e lasciata per morta. Il peggiore trattamento fu riservato a Suor Elisabetta; lasciata legata ad un albero tutti pensarono che fosse morta. Fu poi portata dal Mahdi su una barella avendo perso conoscenza. Il 17 aprile 1884 le Suore furono di nuovo riunite ma erano in un tale stato che solo guardarsi l’un l’altra era doloroso. Alcune di loro erano sfigurate da tagli e ferite orrende. Dalle “memorie” di Suor Teresa Grigolini possiamo leggere ciò che accadde. Ricorda il fervore di ciascuna di loro all’inizio del loro cammino verso il Calvario, come le parole del Fondatore le aiutavano a continuare, come l’idea di dare le loro vite per Cristo sulla Croce fosse un piacere.. si sarebbero confortate e aiutate fra di loro. Ma di notte, specialmente quando erano sole … senza una stella nel cielo.. la morte tanto agognata non veniva; continuava, invece, la loro angoscia. Una volta di nuovo insieme, la preghiera veniva facilmente alle loro labbra e nel loro cuore come un tocco ristoratore del Signore. “Iniziammo una Novena al Cuore di Gesù …-scrisse Suor Teresa- avevamo tanto bisogno di forza per affrontare la prossima Stazione della Croce che avremmo dovuto presto incontrare”. Furono di nuovo chiamate dal Mahdi. Questa volta fu gentile con loro, tanto che pensarono che sarebbero tornate in patria, invece il Mahdi disse che per la loro protezione avrebbero dovuto sposarsi. Furono istruite quotidianamente da un catechista sull’Islam. Le suore erano angosciate. Se solo avessero avuto uno dei padri vicino per chiedergli cosa fare! Il signor Slatin l’ex Governatore austriaco del Kordofan, anch’esso prigioniero venne in loro soccorso. Suggerì che fingessero matrimoni con greci e siriani del campo; suggerimento che era l’unica alternativa a diventare concubine del Califfo. Era la legge mussulmana che impone che nessuna donna deve essere indipendente. Il signor Slatim convinse le Suore e prese accordi per far celebrare i matrimoni davanti al Califfo mandato dal Mahdi. Le suore furono di nuovo divise: Suor Teresa Grigolini, Suor Fortunata Quascè e Suor Caterina Chincarini andarono a tre greci che accettarono il ruolo di “marito”. Suor Concetta Corsi, fu data a Fratel Isidoro Locatelli. Suor Elisabetta Venturini e Suor Maria Caprini erano troppo malate per potersi sposare e fu loro permesso di andarsene. Suor Elisabetta con Suor Concetta e Suor Maria con Suor Teresa. Era l’8 maggio 1884. In agosto 1884, il Mahdi espresse il desiderio di spostarsi a Khartoum a circa 650 chilometri di distanza, convinto di poter sconfiggere le truppe di Gordon Pasha. Dette ordine di spostare l’intero campo da Rahad a Khartoum. Prima di partire il Mahdi mandò i padri Bonomi e Ohrwalder a El Obeid con padre Rossignoli e Fra’ Regnotto. Fra’ Locatelli e le Suore andarono a Khartoum. Era l’8 agosto quando iniziarono il viaggio e raggiunsero Omdurman, nei pressi di Khartoum il 23 ottobre 1884; tre interi mesi di viaggio allucinante attraverso il deserto. Nel frattempo Suor Teresa ricevette notizie da Assouan. Padre Speeke informava i missionari che si stava preparando la loro fuga. Suor Teresa informò il Padre che scappare sarebbe stato impossibile perché erano sempre sotto stretta sorveglianza. Lo informò anche dei missionari che erano stati rimandati ad El Obeid. Il 26 gennaio 1885, Khartoum cadde nelle mani del Mahdi che si stabilì in Omdurman. Il battaglione inglese fu sconfitto e sia Gordon che Wilson uccisi. Il Mahdì quindi pensava eufori-

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camente di poter arrivare fino alla Mecca, ma, dopo il suo arrivo a Khartoum malattie e carestie si sparsero attraverso l’intero Sudan. Nessuno mai saprà ciò che dovettero sopportare, l’intensità della sofferenza delle sorelle e fratelli nei lunghi anni fra gennaio 1885 e settembre del 1898 quando furono finalmente liberati. Le loro memorie, diari, lettere e relazioni possono solo darci un’idea dell’angoscia da loro provata. Il 4 giugno 1885, qualcuno riuscì ad arrivare fino ad El Obeid a liberare p. Bonomi. L’uomo non poteva portarsi dietro più di un prigioniero e dopo molte titubanze dovette abbandonare gli altri tre, p. Bonomi accettò di andare con lui promettendo di fare il possibile per liberare tutti. Il 22 giugno 1885, il Mahdi morì. Il suo successore era il suo vice Abdullahi che era ancor peggio del Mahdi. Il 7 ottobre 1885 , tentarono di scappare di nuovo, questa volta da Omdurman. Furono scelte per questa impresa Suor Fortunata Quascè e Suor Maria Caprini. Fu molto rischioso e difficile ma arrivarono sane e salve al Cairo il 9 novembre 1885. Nel frattempo la vita al campo divenne ancora più insopportabile. Fame, malattie, nessun che andava in loro aiuto, i mesi passavano e neanche p. Bonomi si faceva più vivo. Le Suore ebbero la sensazione di essere state abbandonate. Era dura anche per i “falsi” mariti che si aspettavano aiuto, anche loro dalle missioni. Suor Concetta Corsi ebbe la peggio. Fratel Locatelli ne abusò, lei rimase incinta, e lui la abbandonò. Il 28 marzo 1886, i tre missionari di El Obeid arrivarono al campo di Omdurman e il 25 aprile si incontrarono con le suore. Questo incontro portò un raggio di luce nelle loro vite, ma una volta di nuovo tutti uniti ebbero la sensazione di essere stati abbandonati da tutti, anche da Dio. Suor Teresa si rivolse ad un ufficiale al Cairo, un cero signor Messedaglia la di cui figlia era prigioniera anch’essa nel campo. Era convinta che né i missionari al Cairo ne quelli di Verona si curavano di loro. Chiese all’uomo di mettersi in contatto con la sua famiglia a Verona per ottenere un aiuto. Nel 1887 Messedaglia andò a Verona e le notizie che portava aggiunsero dolore e sconforto sia ai missionari in Egitto che alla Casa madre di Verona da dove seguivano attentamente l’evolversi della situazione ed anche mandato innumerevoli aiuti. Il campo però era impenetrabile e nessun aiuto arrivò mai ai missionari. Mesi ed anni passavano lentamente e dolorosamente. Alla fame e malattie che imperversavano nel campo si aggiunsero anche la violenza. Gli arabi sospettavano degli uomini che avevano accettato di far finta di diventare mariti delle suore e uno di loro, Cocorempas, fu minacciato di essere portato davanti a Abdullahi se non pagava per mettere la cosa a tacere. L’odio stava aumentando. Gli arabi fanatici adesso stavano per mettere le suore e i loro “mariti “alle corde. Minacciarono di portare le suore all’harem del califfo e di fare decapitare gli uomini. Padre Ohrwalder intervenne e pregò Suor Teresa di sposare veramente Cocorempas e salvare, in questo modo le altre suore ed i loro falsi mariti. L’angoscia di Suor Teresa è profondissima: “Piansi per un anno intero pensando che anche il Signore mi avesse tradita…”. Era settembre del 1890. Fr. Polinari, che era rimasto a Khartoum con i missionari, l’11 dicembre 1883, si riunì ai nostri prigionieri nel campo di Omdurman e il 27 1890, confortato da p. Ohrwalder e le Suore morì all’età di 54 anni. Nel 1891 ci fu un’epidemia di tifo. Suor Concetta Corsi, sola dopo la morte del suo bambino, abbandonata da fr. Locatelli, viveva assieme alle Suore e aiutava i malati. Lei stessa contrasse il morbo e morì il 3 ottobre 1891 all’età di 37 anni. La via del Calvario per coloro che rimanevano non era ancora finita. Alla fine di ottobre si aprì un altro spiraglio. Qualcuno venne a liberare i prigionieri ,ma non era in grado di portarli via tutti. Furono liberati p. Ohrwalder e le suore Caterina ed Elisabetta.

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Suor Teresa rimase da sola! Dopo la fuga coloro che rimasero furono duramente puniti, Teresa fu messa in prigione con suo marito assieme a p. Rossignoli e fr. Regnotto. Era il 29 novembre il giorno in cui P. Ohrwalder e le due suore riuscirono a scappare dal campo dei prigionieri. Arrivarono in un luogo sicuro il giorno della festa della Immacolata Concezione , l’8 dicembre. Per coloro che rimasero prigionieri il calvario continuava. Fr. Regnotto, incapace di continuare a vivere nel campo in quelle atroci condizioni formò una famiglia. P. Rossignoli fece del suo meglio per essere di aiuto dove poteva. Teresa era l’angelo del campo. Molte persone si rivolgevano a lei per aiuto. “Tutti sapevano che io ero una suora..” scrisse nelle sue memorie. Tutto ciò durò fino al 2 settembre 1898 quando l’esercito anglo egiziano a seguito del generale Kitchener sconfisse le forze del Mahdi e liberò tutti i prigionieri di Omdurman. Nell’ottobre del 1899 p. Ohrwalder, accompagnato da P. L. Banholzer rientrò a Omdurman “salutato con entusiasmo da tutti i suoi amici”. Da quel giorno ebbe inizio lo sviluppo del quale siamo noi adesso testimoni. Come figli indegni, dopo oltre un secolo di sofferenza, sì ma anche di successi, i missionari di oggi lavorano per realizzare i sogni di quegli impavidi pionieri Knoblecher Comboni. Padre Johann Dichtl, profeticamente, scrivendo a proposito della desolazione delle guerre Mahdi termina il suo libro Der Sudan (Graz, 1884), con queste parole: “Possa Dio portare presto la pace ai popoli del Sudan. Possa Egli dar loro la Sua benedizione, affinché dal dolore del presente possa derivare un futuro migliore…e che lo Stato e la Chiesa possano equamente portare a termine la loro missione per la civilizzazione del Sudan”. Questa è stata una vera storia di Martirio !. le figli ed i figli di Comboni provarono di aver acquisito appieno lo spirito del loro Fondatore. Il suo amore per Cristo e lo zelo per la missione evangelizzatrice della Chiesa. Si potrebbe pensare che la missione nel Sudan allora fosse stata un fallimento ma non è per niente vero… fu il seme che si disfa nel suolo per dare molti frutti Non appena fu possibile tornare nel Sudan, infatti, P. Ohrwalder si recò a Khartoum per vedere di trovare un posto dove istituire una nuova missione, Nell’ottobre del 1900 due suore erano già tornate a Khartoum per continuare l’opera... come disse il Fondatore: “Io muoio ma il mio lavoro continuerà”. 3. Alcuni commenti C’erano diverse ragioni per spingere i seguaci del Mahdi a combattere per liberarsi dal dominio Turco: – La violenza dell’Egitto sia nella conquista come nel dominio del Sudan, fu oltre misura; – Eccessive tasse; – L’abolizione dello schiavismo nel 1877, privava i capi mussulmani del commercio più redditizio di allora; – Degradazione morale; – L’imposizione di Cristiani come capi o Amministratori (solo un mussulmano può guidare i musulmani)); – Il declino dell’autorità dei capi egizi chiamati “Khedivè”; – Il fatto che alcune potenze europee cristiane avevano occupato nazioni islamiche; – L’emergere della eccezionale personalità di Mohammed-el-Mahdi, al quale si attribuivano tre qualità: – Egli era L’Imam: il capo dei veri musulmani che è un gruppo mistico dell’Islam prevalente nel Sudan.

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Il successore di Mohammed, il Fondatore dell’Islam; si presentava così dicendo di essere colui che avrebbe riportato l’Islam al suo ruolo primario nella società islamica. – Egli era il Mahdi, il profeta designato a venire prima della fine del mondo. Non solo asseriva di essere il padre dell’indipendenza del Sudan, e riformista, ma l’immagine stessa di Mohammed, il Fondatore dell’Islam, che gli era sempre accanto: era il suo ultimo ambasciatore. - Fece introdurre il suo nome nella formula tradizionale per la professione della fede che risale al Fondatore. “Io professo che non c’è altro Dio oltre Allah, professo che Mohammed è l’ emissario di Dio e che Mohammed Ibn Abd Allah è l’emissario di colui che ha mandato.” -

Se qualcuno non crede in lui, e così facendo rigetta l’inviato di Dio: è automaticamente un infedele. - Tutte le altre religioni preesistenti nel Sudan sono proibite; la sua è l’unica ammissibile, l’unico movimento islamico che insegni l’autentica sottomissione ad Allah – tutti gli altri movimenti islamici sono illegittimi e tutti i seguaci delle altre religioni sono infedeli. I Copti Cristiani e gli Ebrei di Khartoum, ufficialmente pronunciarono la professione di fede di Al-Mahdi e seguivano anche le preghiere nelle moschee, ma privatamente praticavano le loro proprie religioni. Terminato la Mahdiyah, ognuno ritornò alla sua religione d’origine, rafforzati dalle traversie passate. Padre Camillo Ballin , esperto conoscitore del Mahdi sostiene che: “Il Corano accetta l’esistenza di monoteisti. Come per esempio, ebrei e cristiani che praticano la loro religione in nazioni islamiche, fintanto che obbediscono alle autorità politiche musulmane. Questo non fu permesso dalla Mahdiyah, e quindi questo movimento deve essere considerato al di fuori della dottrina islamica.” (cfr. Il Cristo e il Mahdi, Una comunità Cristiana nel suo contesto Islamico. EMI Bologna 2002).

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Capitolo Secondo L’ISTITUTO DAL 1899 AL 1909

1. Introduzione storica a. La lotta politica per l’Africa Quando le nostre missioni furono riaperte dopo la rivolta del Mahdi, l’Africa era cambiata in modo significativo. Le potenze europee che avevano avuto i loro guai in casa loro fino al 1880 adesso iniziarono ad accorgersi dell’Africa. Il Portogallo rivendicava diritti sul Mozambico e l’Angola. Leopoldo II del Belgio attraverso la sua “Associazione Filantropica Internazionale “per l’esplorazione e la Civilizzazione dell’Africa stava anche preparandosi per prendere possesso del Congo. La Gran Bretagna si apprestava a fare scambi commerciali con diverse nazioni nonostante l’opposizione della Francia. Missionari e mercanti inglesi cercarono di aggirare sia la Francia che il Belgio, e la Germania cercava di impadronirsi della Namibia, il Camerun e Togo. Nel 1884 la Francia e la Germania invitarono la Gran Bretagna alla Conferenza di Berlino che aprì i lavori a novembre con la partecipazione anche del Portogallo; il risultato della conferenza fu l’assegnazione di “sfere di influenza” alle diverse potenze . In alcuni casi i territori erano ben delineati, in altri, dopo alcune scaramucce, le potenze firmarono trattati specifici, per esempio La Francia e la Gran Bretagna nella Guinea e Sudan, e la Gran Bretagna con la Germania nell’Africa orientale. Dopo la sconfitta nella Prima Guerra Mondiale (1914-1918) la Germania perse le sue colonie: la Namibia andò al Sud Africa, la Tanzania alla Gran Bretagna, Ruanda – Burundi al Belgio, il Camerun e Togo furono divise fra la Francia e La Gran Bretagna – dopo la Seconda Guerra Mondiale, la Libia e l’Etiopia furono liberate dagli italiani. b. I nostri missionari e le potenze coloniali Le potenze coloniali, da una parte facilitarono la presenza dei missionari dall’altra la condizionarono. Questa coincidenza e coesistenza non sempre fu ben intesa: al momento dell'indipendenza, infatti, in alcune missioni (per esempio in Congo) alcuni indipendentisti credevano di avere indipendenza anche dai missionari e dalla loro religione. Nel Sudan ed in Uganda i missionari erano liberi di evangelizzare a certe condizioni: la scelta del posto dove stabilire una missione, i programmi scolastici, lo standard nei centri medici, la qualifiche del personale per le diverse attività, che erano, bisogna dirlo, giuste ed anche benefiche ecc. Fortunatamente i nostri confratelli non erano della stessa nazionalità delle potenze coloniali e poterono evitare quei compromessi che si avverano quando i missionari sono della stessa nazionalità delle potenze. Si può effettivamente dire che i missionari non potevano evitare di “cooperare” con le potenze coloniali, e lo fecero solo tenendo conto degli interessi, del benessere e del rispetto dovuto agli africani coinvolti. Potremmo anche asserire che i missionari costrinsero i Governi coloniali a cooperare con loro. Infatti essi furono a tutti gli effetti pionieri nei campi dell’istruzione, della salute, e del progresso sociale per molti dei popoli che erano affidati alle loro cure. I governi coloniali, a loro volta dovettero dare aiuto ai missionari per non perdere credibilità a livello internazionale.

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c. La lotta religiosa per l’Africa Oltre alla lotta per l’Istituto da parte del clero austriaco, come si è visto, ci furono altre “gare” ben intenzionate, anche se con un timbro sia nazionalistico che espansionistico del proprio Istituto. Mons. Geyer dovette difendere il suo territorio dai seguenti stratagemmi: I padri dello Spirito Santo volevano la parte occidentale del Vicariato dell’Africa Centrale che confinava con l’Africa orientale Francese, La Francia voleva missionari francesi nelle sue colonie. Il 14 febbraio 1911 Propaganda tagliò la parte occidentale del vecchio Vicariato (i confini attuali fra il Congo e la Repubblica Centro Africana) e decise che le nostre responsabilità dovessero essere confinate entro i confini del Sudan Anglo-egiziano. P. Vianello reclamò con Propaganda contro questa decisione. I Padri Bianchi chiesero a Propaganda di restituire loro l’Uganda settentrionale dicendo che un certo numero di Baganda vi abitavano, Mons. Geyer rispose che Mons. A. Roveggio aveva già intenzione di entrare nell’Uganda Settentrionale. Ma ciò gli era stato proibito dal governo britannico a causa della mancanza di sicurezza. I Sacerdoti del Sacro Cuore (Dehoniani) chiesero che fosse loro dato il Camerun Settentrionale per i seguenti motivi: Ø Fino a quei giorni i loro missionari di lingua tedesca avevano avuto come loro campo di apostolato il Vicariato delle Cascate Stanley nel Congo Centrale , ma quest’area era stata presa dalla provincia Franco-Belga. I tedeschi erano stati mandati nelle parrocchie del Brasile, ma ad alcuni piaceva lavorare in Africa. Ø I sacerdoti del Sacro Cuore di lingua tedesca non avevano case in Germania, ma se fosse stato loro permesso di lavorare nelle colonie tedesche avrebbero potuto aprire case anche in Germania. Monsignor Geyer e p. Vianello erano contrari perché loro stessi volevano una casa in Germania. Propaganda comunque, decise di erigere la prefettura Apostolica di Adamana e darla ai sacerdoti del Sacro Cuore. d. Gli sforzi missionari di Leone XIII Conosciamo l’interesse di Gregorio XVI per le missioni – fu lui ad istituire il Vicariato dell’Africa Centrale (1846); Pio IX (1846-1878): si interessava delle missioni, come sappiamo dal suo aiuto al piano del Comboni, ma non lasciò documenti per dimostrarlo. Leone XIII (1878-1903) solo due anni dopo la sua elezione dedicò l’Enciclica “Sancta Dei Civitas” alle missioni. Incoraggiava i missionari ed i loro assistenti, le associazioni missionarie in patria, e mostrò di capire le difficoltà che i missionari dovevano affrontare. 2. Il Primo Capitolo generale fu celebrato a Verona nel 1899 (19-22 giugno) 1 Fino ad allora tutti i Superiori generali erano stati Gesuiti: P. P. Frigerio (1885-1887), P. Voltolina (1887-1892), P. Mologni (1892-1897).Alla morte di P. Mologni, P. Voltolina fu rimandato all’Istituto con il compito preciso di preparare l’Istituto all’autogoverno. Per poter arrivare in poco tempo a questo obiettivo, p. Voltolina nominò i Padri Colombaroli, Vianello, Geyer e Bendinelli suoi assistenti.

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Vedere Atti del Capitolo 1899 .Archivi dell’Istituto, Roma Cfr. P. Fidel Gonzalez “ I Capitoli generali dell’istituto Mis. - Comboniano ( 1899-1997) Supplemento all’Archivio Comboniano XXXVI ( 1998). Questo libro può essere consultato anche per altri Capitoli

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L’Istituto contava 60 membri: 18 sacerdoti, 21 Fratelli, 21 studenti. I membri del capitolo erano 6, tutti eletti al Consiglio Generale, eccettuato Mons., Roveggio che non era eleggibile a causa della sua carica. Padre Voltolina presiedette il Capitolo fino all’elezione del nuovo Superiore Generale. Il Consiglio generale Il Capitolo elesse i seguenti membri al Consiglio Generale: P. Angelo Colombaroli, Superiore generale (+1912) P. Federico Vianello, Vicario generale (+1916) P. Franz Xavier Geyer (+1943 all’età di 83 anni) P. Joseph Weiller (+1946 all’età di 83 anni) P. Bendinelli (+1940 all’età di 72 anni) Propaganda Fide permise a p. Geyer di restare a Brixen e ai Padri Weiller e Bendinelli di restare al Cairo, con l’intesa che sarebbero andati a Verona qualora e se si fosse reso necessario. PADRE ANGELO COLOMBAROLI nacque a Dolce, Verona, nel 1863. Entrò in Congregazione con il primo gruppo di Novizi. Fu ordinato Sacerdote il 7 agosto 1883, e prese i Primi Voti il 28 ottobre 1887. Il suo primo incarico fu al Cairo dove fu nominato Superiore e Procuratore della Missione, nel 1897 fu richiamato in patria a diventare il Primo Assistente al Consiglio generale e Procuratore generale.

3. Sviluppi interni Il seminario per giovani “Istituto Comboni “fu aperto a Brescia nel 1900. Nel 1903 fu aperta una casa a Sidcup, nel Sud dell’Inghilterra nella Diocesi di Southwark per lo studio della lingua inglese, ma fu chiusa nel 1911.Nel 1909 un Seminario Minore fu aperto a Messeldorf, Graz, in Austria. Fu scritta una lettera circolare sulla necessità della carità e della preghiera. Dato che si prega per esprimere il nostro amore a Dio e domandare aiuto per amare il prossimo, penso opportuno citare solo un passo della lettera riguardante la carità. Dopo avere parlato della spiritualità della devozione al S. Cuore, il Padre Generale continuò: “La virtù però che tutti dobbiamo avere di mira maggiormente, e per la quale dobbiamo dimostrare una speciale predilezione, come quella che più di tutte ci rende simili al nostro amorosissimo Padre, è la virtù della carità. La carità è la virtù prediletta del Cuore santissimo di Gesù, essa deve essere pure la virtù da noi prediletta, la virtù che deve formare la caratteristica speciale della nostra Congregazione.” (Dalla lettera del 7 giugno 1903, festa della SS. Trinità). 4. Sviluppi nella Missione a. Il Vescovo Roveggio Il vescovo Roveggio ricevette il permesso di mandare due missionari a ispezionare Khartoum. Nel settembre del 1899 p. G. Ohrwalder e p. William Banholzer arrivarono a Khartoum dove constatarono che non era stata loro detta la verità circa l’ammontare dei danni subiti dalla missione. La tomba di Comboni era stata profanata, ma riuscirono con difficoltà a trovare alcune delle sue ossa che furono trasferite alla Chiesa di Assouan (da dove furono poi trasferite alla Cappella della casa Madre a Verona il 12 giugno 1958). Omdurman fu riaperta il 1 gennaio 1900 da Mons. Roveggio, P. Weiller e fr. Otto Huber. Il 30 ottobre 1900 furono raggiunti dalle suore. Una di esse era Suor Francesca Delmasso la quale aveva con sé la veste che indossava Comboni quando morì e che aveva portato con sé quando era fuggita da Khartoum. Siccome il Kordofan era ancora nelle mani dei ribelli, Mons. Roveggio andò fino a Fashoda, vicino a Gondokoro con la barca che avevano appena acquistato, la “Re-

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demptor”. Arrivò nel gennaio del 1901, con l’intenzione di aprire una missione, ma gli fu negato il permesso dal Governatore. Tornando indietro, quindi, aprì una stazione missionaria fra gli Shilluk a Lul, e lasciò P.Giuseppe Beduschi (1901-1904), P. Willelm Banholzer e Fr. Maggio a occuparsene Alla fine di un altro viaggio sul Nilo, il vescovo Roveggio si sentiva esausto e volle andare al Cairo per rimettersi in salute, ma morì a Berber il 2 maggio 1902. Il vescovo Roveggio fu un eccellente Figlio del Sacro Cuore. Entrò nell’Istituto un anno dopo la sua ordinazione per la diocesi di Vicenza e prese i Voti con il primo gruppo di dieci membri del nuovo Istituto. Nominato Vescovo all’età di 37 anni lavorò senza risparmio e morì quando aveva solo 43 anni. P. Vignato così lo descrive agli Scolastici: “Ci dette un magnifico esempio di pratica religiosa e vita spirituale. Era un uomo profondamente religioso che pregava costantemente; devoto al Sacro Cuore. Imitava la semplicità e l’umiltà di Gesù; nel suo zelo non si risparmiava ; era prudente, e mise tutto il suo cuore nel favorire la causa missionaria in Europa,. Fu un degno successore del Vescovo Comboni”. 2 La morte di Mons. Roveggio lasciò i Missionari e coloro che lo conoscevano in grande lutto e costernazione. Padre Franz Heymans, allora Superiore della Casa del Cairo cadde a terra tramortito. Altri lamentarono la perdita di un vero padre e di una premurosa madre. Tutti coloro che lo conoscevano non dubitarono di rimpiangere la morte di un Santo. Per questo, già nel 1936, venne fatta la ricognizione della salma nella chiesa di Assouan - Egitto - dove era stato trasportato da Berber nel 1904. Fu solo all’inizio degli anni 50 che si incominciarono i processi di Beatificazione a Verona, Cairo e Khartoum. Questi terminarono nel 1954 e il materiale venne mandato a Roma. Nel 1969 la Sacra Congregazione dei Riti consegnava al Postulatore dei Missionari Comboniani tutta la documentazione raccolta e autenticata. Fu solo nell’aprile del 2004 che la Diocesi di Verona riprese il processo sulla continuità della fama di santità del Vescovo e più tardi raccolse la documentazione sull’esercizio delle Virtù Eroiche. Così si farà a Khartoum. La speranza di arrivare a un buon termine è forte e il Postulatore, P. Arnaldo Baritusso mccj, è decisamente impegnato per questa causa. b. Mons. Francis Xavier Geyer Come successore del Vescovo Roveggio, Roma chiamò Mons. Francis Xavier Geyer. Nato nella Bavaria nel 1859, era entrato nell’Istituto di Comboni nel 1882 quando era ancora studente di teologia. Nello stesso anno, mentre era al Cairo scrisse la vita di Comboni. Quando Mons. Sogaro diede le dimissioni nel 1894, fu nominato Amministratore Apostolico del Vicariato fino all’arrivo del vescovo Roveggio. Partì poi per Verona per il suo Noviziato. Dopo la professione si recò a Brixen come Superiore e maestro dei Novizi. La comunità divenne molto più numerosa durante il periodo che vi restò e la casa dovette essere ingrandita di conseguenza. Dopo la sua consacrazione vescovile a Monaco di Baviera nel 1903, si affrettò a raggiungere Khartoum dove continuò il lavoro di rimettere in sesto la missione e iniziò la costruzione della Cattedrale che non vide mai finita. Entro il 1903 c’erano circa 450 Cattolici a Khartoum su una popolazione di 20.000 di molte nazionalità e religioni diverse. Un buon numero erano del Sud Sudan, alcuni di loro erano ex schiavi che erano stati battezzati dal Vescovo Comboni, i rimanenti erano i loro figli.

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Vedere Archivio Comboniano, anno XXXIX, “ Studi e ricerche sul Vescovo Missionario Comboniano Antonio M. Roveggio ( 23/9/1858-2/5/1902)

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Padre Vantini nel suo libro “La Cristianità nel Sudan” 3 fa menzione di una signora Cattolica chiamata Margherita che accolse i nostri missionari quando nel 1899 visitarono Omdurman e la quale, sorprendentemente, diede più tardi il benvenuto al Vescovo Geyer al suo arrivo nel Bahr-el-Ghazal essendo essa tornata alla sua tribù dei Goli. Il Vescovo Geyer scrisse da Khartoum;: “Quei Sudisti sono il nostro esclusivo retaggio e sono qui a comprova della antichità della Chiesa Cattolica che è stata qui impiantata, quando altri istituti erano completamente assenti” 4 . L’opera pastorale fra i Cattolici consisteva principalmente di visite alle famiglie per rafforzare la loro fede ed incoraggiarle a frequentare i sacramenti. L’apertura e la gestione delle scuole era essenziale. Siccome erano le migliori scuole nella città, anche i genitori musulmani chiedevano che vi venissero accolti i loro figli. Il governo accolse le loro richieste alle seguenti condizioni: Il permesso scritto dei genitori, a volte il permesso del Governo, e la proibizione di battezzare. MISSIO EXCURRENS: con questo nome i nostri missionari indicavano il lavoro fra i cattolici Orientali. P. Otto Huber (1872-1954) era incaricato di far loro visita ovunque. Raggiungeva tutti ovunque si trovassero; Berber, Kassala, El- Fasher, e Nyala. Viaggiava sul dorso di un cammello e ci furono Cristiani che si ricordarono di lui fino agli anni sessanta. La priorità per il vescovo Geyer era comunque di aprire il Bahr-el Ghazal al lavoro missionario: vi andò con la barca “Redemptor” fino a Mesra e poi a piedi lungo la pista piena di insidie, fino a Wau. Le missioni del Bahr-el-Ghazal meritano un ricordo speciale a causa delle difficoltà per raggiungerle. Wau ne era il centro provinciale ma il Vescovo Geyer e p. Vignato impiegarono dieci giorni di marcia per arrivarci da dove erano sbarcati. Siccome il posto era pieno di Musulmani, dopo un incontro con i capi del luogo, il Capo Kayango dette ai missionari un piccolo appezzamento di terreno dove nacque la stazione missionaria alla quale fu dato lo stesso nome del Capo che aveva accettato i missionari: Kayango. Nel 1905, il governo chiese ai missionari di aprire una scuola di falegnameria a Wau e sia P. Ernesto Firisin che P. Bernhard Zorn vi si recarono con rigorose istruzioni di astenersi dal diffondere qualsiasi dottrina. P. Antonio Vignato, allora solo ventiseienne, fu nominato Superiore di Kayango. Egli fu poi raggiunto da p. Bertola e fr. D. Augusto. Il capitale a loro disposizione era di solo quindici sterline. Come si resero presto conto, il Capo Kayango, creò più danni che vantaggi alla missione. L’aveva accolta unicamente per il prestigio di avere uomini bianchi nel suo territorio. Fece bene i suoi calcoli cercando di spremere il più possibile sia dal governo che dalla missione in termini di danaro e merci varie. Ma i missionari non avevano niente, erano poveri. Ogni qualvolta che arrivavano provviste, le scatole dovevano essere aperte in sua presenza. Lui prendeva tutto quello che gli piaceva, principalmente barattoli di sottaceti. Aveva il sostegno dei Mussulmani egiziani del posto e ricavava guadagni dal commercio degli schiavi. Non vi erano più assalti nei villaggi, ma sia i capi che i genitori davano a lui i loro sudditi o parenti , orfani del clan o figli di schiavi in cambio di alcool, armi e munizioni. Gli schiavisti dicevano che essi erano i loro schiavi o portatori: in tutta la nazione non c’erano più di 50 famiglie che potevano dirsi libere. Chiaramente Kayango cercava di far in modo che la missione non si sviluppasse.

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ib. Pagina 147 Vedere Nigrizia n. 3 p. 35

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c. Difficoltà I missionari faticavano a sopravvivere. Ecco un rapporto medico di quei giorni: 1905: sera del 25 novembre . p. Paul Koster ebbe un attacco di febbre nera. Il medico siriano prescrisse una purga e chinino liquido . Morì il 26 novembre. 10 dicembre del 1905: P. Antonio Vignato ebbe un attacco di febbre. P. Carlo Tappi gli impartì l’estrema unzione e gli suggerì di promettere di recarsi a Lourdes qualora fosse stato risparmiato. Il medico britannico prescrisse brandy, acqua e brodo ogni due ore. Non era permesso vomitare. 1906 : gennaio. P. Vignato si rimise ma dovette ritornare in Italia in convalescenza a recuperare le forze. 2 luglio 1906: p. Volkenhuber, 28 anni morì a Mbili. P. Tappi dovette essere rimpatriato a causa di cattiva salute. Fr. Simone Fanti era in preda alla febbre nera a Wau. 12 luglio 1906: P. Cirillo Frizzera, 37 anni di età morì a Wau. Agosto 1906: P. Firisin partì da Kayamgo per Khartoum per rimettersi in salute 6 novembre 1906: Fr. Divina 39 anni morì a Wau 9 novembre, 1906 P. Bottesi, 26 anni morì a Wau proveniente da Kayango Con cinque morti in un solo anno, i padri Colombaroli e Vianello decisero di chiudere le missioni di Bahr-el Ghazal. Il Vescovo Geyer, però non informò i missionari della chiusura della missione perciò p. Vignato tornò a Kayamgo. P. Tappi ritornò a Wau a comunicare la decisione presa, ma permise ai missionari di rimanere e cercare di tenere aperta la missione chiudendo però Mbili. Si dice che verso la fine del 1906 arrivarono otto nuovi missionari e p. Tappi parlò loro dicendo: “non dobbiamo lasciar alcun dubbio nella mente dei nostri Superiori e del Governo che siamo pronti ad affrontare la sfida .. In virtù del voto religioso di ubbidienza che abbiamo preso, ordino che nessuno di voi muoia nel corso del prossimo anno!” Essi obbedirono: nessuno di loro morì. Passarono dieci anni prima che fosse scavata un’altra tomba nella regione di Bahr-el-Ghazal. d. La metodologia dei missionari. P. Vignato ed altri con lui miravano alla promozione integrale della persona sia con le scuole che con l’istruzione religiosa. Il giorno della festività di Sant’Antonio, 13 giugno 1906, un ragazzino di nome Morgiam si affacciò alla porta dell’ufficio di p. Vignato. Sui due piedi egli decise di aprire una scuola per ragazzi come lui. Insegnava loro il Catechismo. Sembra che i suoi metodi non piacessero molto ai suoi confratelli tedeschi che volevano venisse impartita prima l’istruzione generale e poi il catechismo, ma p. Vignato rimase fedele al suo metodo, e nel febbraio del 1907 ebbe la consolazione di vedere alcuni dei suoi ragazzi battezzati da P. Paolo Meroni, il Superiore Provinciale. P. Vignato ebbe un’altra piccola ma utile consolazione: il 25 agosto p. Bertola portò la prima bicicletta del Bahr-el Ghazal dal Cairo. e. Difficoltà con il Governo Nell’Uganda meridionale tra i Baganda, c’erano stati dei disordini fra Musulmani, Protestanti e Cattolici. Forse per evitare che ciò si ripetesse in futuro , il Governo di Kartoum passò una Legge nel 1903 denominata “Sistema riguardante il campo d’azione Missionario” che determinava le zone di attività delle varie religioni nel seguente modo : Il nord ai Musulmani; Bahr-el Ghazal e gli Shilluk sulla sponda occidentale del Nilo ai cattolici; La sponda orientale del Nilo dal Fiume Sobat ai confini con l’Etiopia ed il Parallelo 7°30’ latitudine Nord ad una setta americana, l’Equatoria alle Società Britanniche. Siccome allora non c’erano società britanniche, alcuni osservatori pensarono che questa decisione fu presa per poter riservare un territorio più ampio alla Church Missionary Society (CMS), inglese.

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Si ebbero conflitti fra le varie Società solo dopo la divisione del Sudan del Sud in zone assegnate a ciascuna di loro. Questa divisione non durò a lungo e P. Filiberto Giorgetti molto saggiamente decise di non tenerne conto. Oltre a Kayango (1904) e Wau (1905) furono fondate le seguenti stazioni missionarie: nel Bahr-el- Ghazal, Mbili (1906), Mboro (1912); nel territorio degli Shilluk, la missione di Tonga (1904); e nel territorio degli Azande la missione di Mupoi (1912). LE SUORE COMBONIANE NEL SUDAN Dopo la Mahdiyah, le prime suore tornarono ad Omdurman il 30 ottobre 1900. Là aprirono una scuola per ragazze che includeva anche lezioni di sartoria. Il lavoro svolto dalle ragazze, dopo un po’ di mesi, fu messo in mostra e suscitò l’ammirazione di tutti coloro che lo videro. Nel 1903, alcune Suore arrivarono nella missione di Lull che era stata aperta nel 1901. La Superiora era Suor Giuseppa Scandola che era stata reclutata personalmente dal Comboni. Divenne postulante solo pochi giorni dopo la prima postulante, Maria Caspi, e fu fra le prima cinque suore che accompagnarono Comboni al suo ritorno in Africa il 15 dicembre 1977. Verso la fine di Agosto P. Beduschi si ammalò così gravemente che gli fu impartita l’estrema unzione. Aveva solo 29 anni e Suor Giuseppa gli mandò un messaggio che diceva “Padre non disperatevi, non morirete, avete troppo lavoro da fare per gli Shilluk. Morirò io in vostra vece perché sono vecchia e inutile”. Quando mandò il messaggio la sua salute era ottima; morì due giorni dopo confortata dai sacramenti che le furono amministrati da P. Beduschi che si era completamente rimesso. Era il 1 settembre 1903. “Un uomo non può mostrare amore più grande di quello di morire per i suoi amici” (Giovanni 15:13). Un libro sulla vita di Suor Giuseppa è stato scritto da Suor E. Pezzi: “Una Strada che si Chiama Silenzio”(EMI 1978) La Direzione Generale ha aperto la causa per la sua Beatificazione. Nel 1903 troviamo le suore a Khartoum dove già avevano aperto una scuola conosciuta come “Scuola delle Suore di Khartoum” (Sisters’ School) vicino alla Cattedrale. È ancora là. Un’altra scuola fu aperta nel quartiere Nord di Khartoum . Fu aperto anche un ambulatorio dove cento malati venivano curati tutti i giorni. L’insegnamento della religione era la prima priorità in tutte le scuole. Agli alunni musulmani era permesso frequentare queste lezioni , senza però l’obbligo di memorizzare quanto veniva insegnato. Nel 1901, il 23 aprile, Madre Bollezzoli passò a miglior vita. La Vicaria, Suor Costanza Caldara prese il suo posto fino al secondo Capitolo Generale del 1904. Il Capitolo Generale del 1904 elesse il nuovo consiglio con i seguenti risultati: Madre Costanza Caldara - Superiora generale Suor Angela Capraro - Vicaria Generale Suor Luigina Gandolfi - Assistente Generale Suor Angela Demai - Assistente Generale Suor Teresa Marini - Assistente Generale Nel 1906 Suor Luigina Gandolfi si dimise e fu sostituita da Suor Melania Zozzi. Durante questo capitolo l’erezione della provincia del Sudan fu ufficialmente approvata dalla Santa Sede. Nel 1906 le Suore erano già 34 e lentamente la loro opera si allargò ad includere altre missioni: la missione di Wau nel marzo del 1919 fu la prima a ricevere le Suore dopo Lull. Anche qui le Suore iniziarono l’insegnamento del catechismo e aprirono un dispensario. Furono le prime donne europee ad arrivare a Wau e furono, perciò, guardate con curiosità e incredulità. Più tardi, su insistenza della popolazione aprirono una scuola femminile. Le suore arrivarono alla missione di Kayango nel 1923, a Kwajok nel 1927 .

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Capitolo Terzo DAL 1909 AL 1919

A. INTRODUZIONE STORICA La Prima Guerra Mondiale (1914-1918) recò disturbo sia alle missioni che al nostro Istituto. In Europa gli studenti e i giovani sacerdoti dovettero arruolassi nell’esercito. In Africa i missionari appartenenti alle diverse nazionalità soffrirono tutti in diversi periodi a causa della guerra. Questa guerra fu chiamata “Guerra Mondiale “perché vi erano coinvolti l’Europa, L’Asia (Giappone), L’America (USA) e l’Africa dove le nazioni in guerra avevano colonie. È interessante sapere come si scatenò questa guerra. All’inizio del secolo l’Austria e l’Ungheria erano unite in un unico impero che regnava su diverse nazioni dell’Europa centrale e meridionale. Oltre le due nazioni già menzionate facevano parte dell’impero anche la Slovenia, la Croazia, la Bosnia - Erzegovina, e due delle regioni settentrionali italiane, Trentino e Venezia Giulia. Sia le industrie che il commercio tedesco erano ben sviluppati. La Germania stava raccogliendo un arsenale di armi e munizioni nonché un esercito possente ed una nuova flotta di navi da guerra. Tutto questo non piacque alla Francia e all’Inghilterra che si allearono. La Serbia rivendicava i suoi diritti sulla Bosnia – Erzegovina. Il 28 giugno 1914, un terrorista serbo uccise l’erede dell’imperatore Austriaco , Francesco Ferdinando a Serayevo. L’Austria dichiarò guerra alla Serbia credendo che rimanesse una guerra locale, ma la Russia mobilitò il suo esercito a favore della Serbia. La Germania si alleò all’Austria e dichiarò guerra alla Russia (il 1° agosto 1914) e al suo alleato, la Francia (il 2 agosto 1914) e invase il Belgio (il 3 agosto 1914). L’Inghilterra s’impaurì ed intervenne; il Giappone si schierò con l’Inghilterra dichiarando guerra alla Germania (23 agosto 1914); la Turchia, che aveva paura della Russia si alleò con Austria e Germania. Nel maggio del 1915 l’Italia si schierò contro l’Austria per liberare le due regioni italiane che erano sotto il dominio austriaco. Siccome i sottomarini tedeschi affondavano tutte le navi che andavano dall’Europa all’America, gli USA si unirono alle forze alleate contro la Germania (1917). L’America prese il posto della Russia che si era ritirata a causa della rivoluzione istigata da Lenin nell’ottobre del 1917. Le forze alleate all’inizio del 1918 potevano contare su circa 21.000.000 di soldati mentre l’Austria e la Germania ne avevano circa 18.000.000 e furono sconfitte. L’armistizio fu firmato il 4 novembre 1918 ed il Trattato di Pace il 28 giugno 1919 a Versailles in Francia. Le nazioni che avevano partecipato alla guerra avevano usato tutte le loro risorse finanziarie ed economiche per lo sforzo bellico, inoltre la stessa guerra fu l’inizio del declino dell’Europa a favore degli USA. Otto milioni di soldati persero la vita e circa venti milioni furono feriti o resi disabili per il resto della loro vita. La guerra cambiò completamente tutte le frontiere che erano state laboriosamente costruite nel corso di centinaia di anni di guerre a carattere locale. Nuove armi, artiglieria moderna, fucili, gas venefici, la guerra sottomarina, l’uso esteso delle mine, ed i bombardamenti aerei distrussero completamente le regole delle norme internazionali che erano state riaffermate anche poco tempo prima alla Conferenza dell’Aia del 1907. Blocchi che negavano cibo alle popolazioni, e guerre economiche toccarono da vicino popolazioni che nel senso tradizionale del termine non avevano avuto niente a che fare con la guerra. Inoltre, pensando erroneamente che l’intera popolazione del nemico fosse un bersaglio legittimo, furono prese misure, le più severe possibili, per indebolire le popolazioni dei paesi nemici.

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Il Trattato di Pace annientò la Germania e allo stesso tempo non soddisfece l’Italia perché gli alleati non mantennero le promesse fatte. Il nuovo organo internazionale “La Lega delle Nazioni” che avrebbe dovuto tenere la Germania sotto controllo non funzionò. Quindi, benché punita severamente, la Germania continuò ad essere una nazione potente; le cause della Seconda Guerra Mondiale erano già presenti nel Trattato di Versailles. B. SECONDO CAPITOLO GENERALE (Verona, 3 –12 ottobre 1909) 1 I membri dell’istituto erano 127, di cui 64 Sacerdoti. 46 fratelli, 17 studenti. I membri del Capitolo erano 16. Nuovi membri del Consiglio Generale: Rev. Padre Federico Vianello (+ 1936) Superiore Generale; p. Angelo Colombaroli (+1922) p. Giuseppe Bernabè (+ 1922); p. Angelo Abba (+1952); p. Matthias Refeinner (+ 1973). Eletto il 4 ottobre, p. Vianello non accettò la nomina fino al suo ritorno da Roma dove si era recato a trovare il suo amico Papa Pio X. Il Papa lo incoraggiò ad accettare e a scegliere due dei suoi assistenti. Egli scelse p. Bernabè che nominò in seguito Maestro dei Novizi e p. Reffeiner invece di p. Wilfling il cui nome era stato dato dal Capitolo. Padre Reffeiner era più accettabile al gruppo tedesco. Dato il suo carattere e la sua spiritualità, P. Vianello mantenne un comportamento da Maestro dei Novizi e da Direttore Spirituale anche durante il suo mandato come Superiore Generale. PADRE FEDERICO VIANELLO nacque a Venezia nel 1872, iniziò il Noviziato nel 1888 e fu ordinato sacerdote nel 1895. Gli fu chiesto di aprire la casa di Brixen il 19 agosto 1896. Tornò alla Casa Madre come Vice Superiore ed assistente al Maestro dei Novizi che all’epoca era p. Voltolina. Dopo un’esperienza di sei mesi al Cairo, fu richiamato alla Casa madre come Consigliere ed Assistente al Maestro dei Novizi. Divenne poi Vicario generale e Maestro dei Novizi . Anche dopo il suo mandato come Superiore generale, continuò come Direttore Spirituale degli Scolastici e di tutti i Padri che lo sceglievano come tale. Si può dire che fosse, senza ombra di dubbio , il Padre Spirituale di tutta la Congregazione. Tenne viva, nell’Istituto, la devozione al Sacro Cuore che aveva appreso da P. Asperti e dai ricordi DI Mons. Comboni di cui aveva iniziato a scrivere la biografia. In tutti i membri istillò la devozione al Comboni ed insegnò a tutti i confratelli ad imitare la carità e l’amore fraterno praticati dal Fondatore. Incoraggiava questo comportamento come segno distintivo dei membri dell’Istituto. Mi sembra opportuno citare quanto ha scritto nella sua lettera del 21-5-14, festa dell’Ascensione: “Prostrato ai piedi del tabernacolo, colla fronte sulla polvere, nella povertà del mio spirito, ho chiesto a Gesù stesso quale sarebbe stata la parola migliore, quale il migliore augurio, che io avrei potuto rivolgervi. E parvemi che il Redentore divino, additandomi il suo Cuore SS.mo circondato di fiamme, mi dicesse: dai miei Figli, dai Figli del mio Cuore nessun’altra cosa io più ardentemente desidero che la Carità; non è, e non potrà mai essere vero Figlio di questo mio Cuore chi nella Carità non sia eccellente; questa è la caratteristica, questa la bandiera”. Da queste espressioni si può comprendere la profonda spiritualità di questo Padre, che è stato Padre Spirituale per tutta la sua vita. Padre Vignato scrive: “Padre Vianello era pieno di risorse e ottimista; ma era soprattutto ammirevole perché umile; era capace di essere attivo perché era mite; illuminato perché pio, perciò condivideva la luce divina.” Fu molto stimato anche al di fuori della Congregazione, specialmente da parte dei Vescovi e Papa Pio X che lo conobbe personalmente. Padre Vianello non solo predicava la carità, ma soprattutto, la metteva in pratica. Si tenne in continuo contatto epistolare con gli otto confratelli che erano stati chiamati alle armi: inviava danaro a coloro che ne avevano bisogno, pacchi con cibo ai prigionieri, in tutto e sempre mostrando amore paterno e sincera preoccupazione.

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Atti del Capitolo 1909 , Archivi, Roma

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La voglia di lavorare e la preoccupazione per i suoi figli prostrarono padre Vianello che era stato sempre di salute cagionevole. Ebbe un forte esaurimento. Fu curato sia a Savona che a Brescia ma non si rimise mai completamente. Chiese il permesso alla Santa Sede di passare il governo della Congregazione al suo Vice, p. Colombaroli (1918) e si ritirò a Venezia presso un suo cugino parroco. Non presenziò al Capitolo del 1919.

Durante il Capitolo del 1909 le differenze fra i due gruppi si fecero notare. Le differenti metodologie missionarie divennero evidenti. Padre Banholzer informò i membri che 49 uomini della tribù Shilluk si erano stabiliti attorno la missione e che, avendo finito la costruzione degli edifici i padri potevano ora concentrarsi sull’evangelizzazione. Una grammatica, un catechismo ed un dizionario nella lingua Shilluk sarebbero stati stampati. I contrasti fra P. Meroni, Superiore Religioso e Mons. F.X. Geyer, divennero anch’essi evidenti durante questo Capitolo. Fra le altre raccomandazioni il Capitolo decise che i membri dovessero studiare l’inglese in Inghilterra e l’arabo al Cairo, e che i conti delle spese della comunità religiosa e quelli delle missioni fossero tenuti separati. C. SVILUPPI ALL’INTERNO DELL’ISTITUTO Ø Approvazione definitiva della Costituzione (19 marzo 1910); Ø Celebrazione del 25° anniversario della fondazione (16 luglio 1910); Ø Circolare n. 6 del 21 maggio 1914: sulla necessità della carità fraterna, il titolo distintivo FSCJ (Fili Sacri Cordis Jesu) cioè Figli del Sacro Core di Gesù; Ø Apertura del Noviziato di Savona (1915) Ø Apertura di una casa a Roma (1910) presso la Chiesa di san Vincenzo e Anastasio, vicino alla Fontana di Trevi, con l’aiuto di Papa Pio X. Restò funzionante fino al 1938 quando fu acquistata la casa a San Pancrazio sul Gianicolo . D. SVILUPPI NELLE MISSIONI Sapendo che il Mons. Comboni desiderava che le missioni si estendessero fino all’Uganda, P. Vianello aiutò il Vescovo Geyer ad aprire delle missioni in quella nazione pagando personalmente tutte le spese, chiedendo offerte per questo specifico scopo e scrivendo articoli in “Nigrizia” del quale era editore da più di vent’anni e che continuava a dirigere anche durante il suo mandato come Superiore Generale. 1. Apertura in Uganda I Figli Del Sacro Cuore erano sempre stati gli unici missionari nel Sudan. Nell’Uganda trovarono una situazione molto differente: Nel meridione i Missionari d’Africa (padri Bianchi) fondati dal Cardinale Lavigerie avevano iniziato la loro evangelizzazione sin dal 1879. Fra il 1885 ed il 1887 vi erano stati 22 martiri che avevano sparso il seme della Cristianità. I Padri di Mill Hill arrivarono in Uganda nel dicembre del 1894 . a. Il Viaggio Da Gondokoro (Nord Est di Juba) tre confratelli partirono per Nimule dove arrivarono il 2 febbraio 1910. Fu un viaggio faticoso a piedi attraverso colline, acquitrini e foreste. Nonostante i documenti che i missionari portavano con sé da Khartoum , gli ufficiali britannici alla frontiera erano restii a dar loro il permesso di stabilirsi nell’Uganda settentrionale, nonostante che il per-

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messo era stato accordato due anni prima a condizione che il luogo scelto per la fondazione della missione fosse a sud del parallelo 3° 30’ Nord e vicino ai centri governativi. La riluttanza degli ufficiali si basava su un certo numero di presupposizioni errate: Il clima non era adatto a non africani Vi si trovavano pochissimi Cattolici e quindi non era giustificabile la presenza di una missione permanente Lo standard di vita primitivo La difficoltà che il governo avrebbe avuto a mantenere la loro sicurezza e proteggere le loro vite. Il Vescovo Geyer si rese conto che tali argomenti riflettevano le personali opinioni dell’ufficiale inglese che era di nuova nomina e gli chiese di mettersi in contatto con il Governatore ad Entebbe. Ci vollero quattro lunghi giorni per chiarire la faccenda e ottenere il Visto dagli Uffici Centrali di Entebbe tramite la nuova linea telegrafica. Durante la loro attesa i missionari incontrarono una spedizione di turisti guidati dall’ex presidente degli Stati Uniti Theodore Roosevelt che sollevò il loro morale manifestando, alla presenza dell’ufficiale, il suo entusiasmo per le missioni Cattoliche ed il loro contributo allo sviluppo dell’Africa, che aveva avuto modo di constatare in tutti i suoi viaggi attraverso il continente. b. Koba – Omach Finalmente il 17 febbraio 1910 arrivarono a destinazione, la stazione governativa di Koba che si trovava sulla sponda orientale del Fiume Nilo, più o meno di fronte all’odierna Pakwach. Era il 31° anniversario dell’arrivo di padre Lourdel e Fratel Aman dei Padri Bianchi ad Entebbe nell’Uganda meridionale. Il nostro gruppo era composta dal vescovo Geyer ed il suo segretario Fr. Augusto Cagol e P. Albino Colombaroli come Superiore. P. Albino veniva dal Bahr-elGhazal nel Sudan. Aveva imparato la lingua Lwoo della tribù Jur e fu piacevolmente sorpreso di notare che gli Alur parlavano una lingua simile. Furono accolti dal signor Paul Hamilton, il Commissario Britannico, figlio del Vescovo anglicano, James Hamilton ucciso per ordine del Kabaka Mwanga Re dei Baganda nel 1885. Accettarono l'ospitalità del capo chiamato Omach, dal quale la località prese il nome. Mons. Geyer e Fr. Cagol partirono per l’Europa via Kampala e Mombasa. Viaggiando verso Kampala Mons. Geyer visitò diverse missioni dei Padri Bianchi (Missionari d’Africa) dove ebbe modo di constatare personalmente la loro dedizione all’apostolato rimanendo sorpreso del loro successo. Disse al vicario apostolico Streicher che lo aveva invitato a visitare la loro missione a Masaka, esattamente nella Parrocchia di Villa Maria : “Eccellenza, qui non avete una missione, avete una diocesi: quello che vedo qui va oltre quanto mi era stato raccontato. A Khartoum non vi è niente di simile”2 Il Vescovo Streicher gli dette gli Atti del Sinodo tenutosi nell’ottobre del 1909. D’altro canto leggiamo nel giornale di p. Raux “I missionari d’Uganda si sono resi conto che la provvidenza ha dato alla Missione di Khartoum un ottimo Vescovo, la cui umiltà e religiosità sono controbilanciate dalla sua sapienza e zelo” 3 Alla fine di marzo 1910 arrivò un nuovo gruppo di missionari; i padri Luigi Cordone e Crazzolara, i fratelli Clement Schröer e Benedict Sighele. All’inizio del 1911 arrivarono tre sacerdoti, ma questa volta non seguirono la via del Nilo. Arrivarono da Mombasa e poi in treno fino a Kisumu in Kenya sulle sponde del Lago Vittoria. Erano i padri Giovanni Battista Fornasa , Giuseppe Beducchi e Giovanni Audisio. Nel 1913 i padri Luigi Molinaro e Antonio Vignato

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Bollettino 1938. Research papers on Uganda ( monografie di ricerca sull’Uganda) di p. M. Cisternino

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(superiore) si unirono al gruppo. Con la cooperazione del capo Omach e la sua gente i missionari impararono la lingua, costruirono una cappella, una casa ed una scuola. c. La meta principale La loro meta principale era l’evangelizzazione dei gruppi Alur e Acholi e l’assistenza spirituale ai Baganda (la maggioranza dei quali erano portatori). Mons. Geyer chiese al Vescovo Streicher due sacerdoti da Hoima (Bunyoro) e due catechisti stabili che ottenne. Da notare che la tribù dei Banyoro parla una lingua Bantu Lunyoro, molto simile a quella parlata dai Baganda, cioè il Luganda: ciò rese facile il loro lavoro. Più avanti P. Albino chiese quattro catechisti e ne ottenne tre, ma solo uno di questi, Lazari continuò la sua opera fino alla sua morte a Gulu, dove è sepolto. d. Trasferimento ad Occidente del Nilo e a Gulu. Koba era stata scelta perché facilitava le comunicazioni in barca sul Lago Alberto e sul Nilo. Con il pretesto che la zona fosse infestata dalla zanzara Tsetse, il governo britannico obbligò gli Alur ad attraversare il Nilo e sistemarsi sulla sponda occidentale, mentre gli Acholi dovettero spostarsi a est verso Gulu. Mentre i funzionari governativi si spostavano a Gulu, gli Acholi andarono nella stessa direzione. Gli Alur attraversarono il Nilo verso Ovest entro il 1914. Due missionari, i Padri Colombaroli e Fornasa arrivarono a Gulu il 19 febbraio 1911. Poco dopo furono mandati a Gulu anche i Padri Beduschi e Cordone assieme a fr. Sighele. I missionari di Omach non poterono seguire gli Alur fino al 1917 quando andarono a Orussi e Angal. Nel frattempo, furono aperte le missioni fra i Madi vicino al Sudan da P. Giuseppe Zambonardi (1912) P. Luigi Molinaro (1913) e P. Umberto Cardani (1914) a Palaro sul Nilo orientale e più tardi a Moyo sulla riva Occidentale del Nilo nel 1917. e. Le difficoltà incontrate dai missionari a. Per quanto riguarda la malaria, qui il clima era migliore che nel Bahr-el- Ghazal, ma era comunque un luogo molto povero e spesso i missionari dovettero tornare in Italia. La prima ed unica morte in questo periodo ebbe luogo nel 1915, quando morì Fr. Nicola Cò di febbre nera. b. Molto pericolosa era la presenza di animali feroci: elefanti, leopardi e leoni erano sempre in agguato e terrorizzavano tutti. Nel 1915 sulla strada da Omach a Gulu P. Vignato e Fratel Nicola Cò si trovarono nella foresta in balia di un leone ed una leonessa, per sette lunghe ore. P. Vignato scrisse che erano stati salvati dai loro angeli custodi. c. Difficoltà furono causate da alcuni protestanti e dallo stesso governo. I nostri missionari non erano preparati ad affrontarle ambedue. Le incomprensioni sorsero a causa del fatto che pochi dei nostri missionari capivano o parlavano l’inglese. Anche per questo essi non comprendevano come gli ufficiali inglesi amministrassero le leggi né come si comportassero. Anche i nostri avevano i loro seri limiti. Il governo locale sosteneva la religione protestante come praticata in Inghilterra, mentre i nostri naturalmente favorivano la Chiesa cattolica con dedizione e zelo, spesso anche in modo un po’ aggressivo. Questo irritava il governo il cui motto era “cooperazione non competizione” fra le diverse religioni. Ora, i protestanti non erano presenti nel distretto di Gulu, quando i nostri missionari vi arrivarono. Il governo chiese loro di occuparsi della scuola frequentata anche dai figli dei capi i quali nel futuro avrebbero preso il posto dei loro padri o zii. Quando arrivarono i ministri protestanti, essi presero le scuole di modo che i capi futuri potessero essere protestanti. I Missionari della Church Missionari Society (CMS) erano giunti nel distretto di Gulu a Lamogi nel 1905, ma se ne erano andati nel 1908. La nostra missione a Gulu fu aperta quando loro non c’erano. Quando nel 1913 essi tornarono furono sorpresi ed interdetti dalla zelante presenza dei Missionari Cattolici.

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Alla fine del 1913 il nuovo Commissario Distrettuale, Mr. Postlethwait arrivò ad Atura Port, sul Nilo. Incontrò prima di tutto i due Ministri Protestanti, il signor Wright ed il signor Lees ad Otimodere, il primo villaggio che si incontra entrando nel distretto di Gulu. Lungo il viaggio per Gulu si fermò a Minakulu ed a Puranga, parlò con i capi dei villaggi e chiese loro informazioni circa le loro relazioni con i nostri missionari 4 Quanto segue fu scritto nel giornale 5 di p. Crazzolara: “27 gennaio 1914 – il signor P.R.P. Postlethwait, chiamato dagli indigeni Bwana Gweno (Bwana significa Capo, Gweno significa gallina, lo chiamavano così perché quando visitava i villaggi, chiedeva sempre una gallina) e il nuovo Vice Commissario Distrettuale (ADC). Portò alcuni dei nostri ragazzi a dargli il benvenuto e se la cavarono abbastanza bene a cantare l’inno nazionale inglese. Sono stato invitato a recarmi all’indomani nel suo ufficio. Ogni volta che mi reco da lui, egli, alla presenza di un altro ufficiale continua a dirmi che i Capi sono gli unici ad aver potere sul loro territorio, e che , come essi danno permessi, così possono anche ritirarli, e perfino cacciarci via. I terreni sono “Terreni della Corona” e lui, Commissario distrettuale può affittarci i terreni della Corona al prezzo di 3 Rps al mese per ogni lotto. Il significato di tutto questo parlare era: la Missione deve andarsene da Puranga dove stava costruendo una scuola. Mentre stava andando a Gulu, questo nuovo ADC nominò un nuovo Capo, un giovane protestante – il quale, evidentemente essendo stato ben istruito – dette immediatamente disposizione che la scuola fosse spostata a tre miglia di distanza a Palenga – cosa che facemmo il 6 febbraio 1914. Durante la meditazione del pomeriggio del nostro ritiro mensile il signor Postlethwait ci fece visita. Adesso è ben disposto verso di noi, forse perché ci ha trattato così male, e ha anche fatto una genuflessione entrando in Chiesa.” Un giorno il Governatore Generale dell’Uganda arrivò a Gulu e Mons. Vignato scrive: “Pensammo fosse nostro dovere, o comunque opportuno, andare a fargli visita e presentare i nostri saluti a nome della missione. Vi andai con p. Crazzolara ma dovemmo purtroppo tornare alle nostre capanne senza essere stati neanche ammessi nella tenda dove il governatore riceveva. Mentre stavamo arrivando alla missione dissi a p. Crazzolara: “Potremmo mai essere più umiliati di così?” 6 d. Gli stregoni creavano difficoltà. Siccità, carestie e un’epidemia si abbatterono sulla zona est della tribù Acholi (Distretto di Kitgum). Gli stregoni incolparono l’uomo bianco e la folla uccise due Catechisti, Daudi Okelo e Jildo Irwa venerati dai laici cattolici e che furono beatificati come martiri il 20 ottobre 2002. 7 P. Molinaro, che si trovava fra i Madi parla di altre difficoltà incontrate dai missionari nell’apprendimento della lingua Madi che è più difficile delle lingue Lwoo (Alur, Acholi, Lango ecc..) “I bambini erano felici di insegnarci parole e frasi nuove e noi ci tenevamo occupati a prenderne nota nei nostri quaderni per poter scoprire qualche regola grammaticale. Scoprimmo presto che i bambini si burlavano di noi. Quello che ieri chiamavano bianco , oggi era nero. Avevamo anche capito che gli anziani non volevano che s’imparasse la loro lingua .La ragione ci era perfettamente chiara. Volevano tenerci lontano dal loro modo di vivere così che non fossimo capaci di capirli. Gli anziani pregavano e speravano che ci scoraggiassimo e che ce ne andassimo. Ci trattavano come i Jadia (gli schiavisti) o gli Equatoria (egiziani) .Dopo diversi tentativi trovammo la soluzione. 4

padre M. Costernino , ib. P. M. Cisternino , ib. 6 P. M-.Cisternino , ib. 7 P. A . Meneghini; Storia dell’Uganda, pagine 436-437. Editrice Pigrizia, Bologna 1923. 5

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Avevamo sempre bambini attorno a noi, e dando loro una caramella o un santino eravamo in grado di farli parlare. In questo modo apprendemmo nuove parole da scrivere nei nostri quaderni. Man mano che usavamo le parole e le frasi apprese in questo modo, la gente sorpresa si chiedeva come avevamo potuto conoscere quelle frasi. Gli anziani non erano contenti del progresso che facevamo nell’apprendimento della loro lingua e la loro ostilità veniva trasmessa ai bambini che ci venivano a trovare. Furono picchiati e fu loro proibito di avvicinarsi a noi”.8 e. Certi episodi di maltrattamenti degli africani ebbero ripercussioni amare sui nostri missionari,9 come si può leggere dal giornale di P. Crazzolara: “Il 1° dicembre 1911 – il Capo Abok (conosciuto come Awic) di Payira viene mandato in esilio ad Entebbe e il vecchio Aaluja pure viene portato via assieme a lui. Naturalmente Awic vuole conservare la sua indipendenza come Rwot (Capo) tradizionale. È sottomesso agli ufficiali inglesi solo in apparenza. Per legittimare questa presa di posizione, gli ufficiali hanno affisso una lista dei suoi vecchi misfatti;: anni fa aveva nascosto una pistola che “era scivolata” dalla cintura di un agente governativo, due anni fa aveva rubato un certo numero di mucche che appartenevano a Okello Moaka ed altro ancora. Questi sono effettivamente dei crimini, ma rientrano nella norma della vita degli indigeni. La vera ragione è che aveva contrastato attivamente l’autorità britannica .. e quindi doveva andarsene. Misero al suo posto il figlio Aliker, un alunno della scuola CMS e come suo assistente un altro dei figli di Awic, Aliker Lawang Abok. Come loro interprete misero un uomo di Payira, Abraham Gwara, un ex schiavo dei commercianti di schiavi.” (Payira: clan dominante nella tribù Acholi) I maltrattamenti che alcuni ufficiali britannici infliggevano agli indigeni aumentò le sofferenze dei nostri missionari. P. Zambonardi narra il seguente episodio: “Un Vice Commissario Distrettuale, certo Armstrong, durante una visita a Palaro, voleva che gli fosse dato avorio gratis. Un capo locale dei Madi, Ayo Kabir, che rifiutò subì 50 colpi di korbash (nerbo di pelle di ippopotamo). Un altro grande capo rifiutò e a lui furono dati 100 colpi alla fine dei quali il signor Armstrong lo finì a calci davanti allo sconcerto e disgusto della sua gente che rese omaggio ad un vecchio e rispettato capo che lasciava 12 mogli e bambini. La gente lo chiamò “Bwana Mutu”(Capo cattivo).” P. Zambonardi continua: “Per costringere la popolazione a dir loro dove erano state nascoste le armi, in un villaggio, i Nubis raccolsero le donne ed i bambini e legarono il loro dito medio con uno spago che venne pio legato al loro gomito. Si poteva , così inserire un bastoncino di legno nello spago e usarlo come una chiave per “caricarlo” torturando le povere vittime. Le loro urla arrivarono fino in cielo! Io alzai la mia voce contro tale barbarie ma il caporale non smise anche se gridavo che se non consegnavano le armi la colpa era soltanto mia. Scrissi un resoconto sull’accaduto all’Ufficiale e denunciai i mezzi usati contro la popolazione e, come missionario non potevo tollerare tale comportamento, specialmente contro donne e bambini.” Anche p., Molinaro ha una simile storia da raccontarci: Un altro Commissario Distrettuale, un Cattolico di Malta, Mr. Manara, voleva che gli fossero consegnate tutte le armi. Il compito di raccogliere le armi fu affidato ad un agente (locale). A Palaro l’agente trovò la gente poco coo8 9

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perativa e appese una dozzina di ragazze per le mani sul tronco di alberi e le percosse fino a quando non sanguinarono per farle parlare. P. Molinaro sentì le loro urla e ordinò all’agente di liberarle sotto la sua responsabilità, non potevano fare niente contro il sacerdote. Sappiamo comunque che i missionari erano un vero tormento per gli ufficiali in quanto erano effettivamente testimoni oculari del loro comportamento. f. Metodologia missionaria La vita dei nostri missionari era molto difficile ma dava anche soddisfazione. Trovarono che la gente rispondeva ai loro sforzi. I missionari si presero la responsabilità della formazione integrale della persona, che non è solo corpo o solo anima, ma una realtà che unisce tutte e due . In effetti, fratelli come Fr. Klement Schroer, Benedict Sighelee, Pietro Poloniato, cominciarono con insegnamenti pratici insegnando il mestiere di scalpellini, falegnami e meccanici (per la riparazione delle biciclette). Iniziarono anche a distribuire medicinali e in sei mesi furono in grado di curare 1.500 persone. Più avanti il governo britannico chiese ai missionari di istituire una scuola rurale artigianale per addestrare gli indigeni a mansioni artigianali ed essere a disposizione degli ufficiali britannici. Fr. Simeoni Fanti era l’uomo adatto a questo scopo perché era capace di far tutto. I sacerdoti organizzarono scuole dove l’insegnamento del Catechismo aveva un ruolo preminente, P. Crazzolara, un genio nelle lingue, (in seguito apprezzato a livello internazionale da Etnologi e dallo stesso Governo Britannico) aveva preparato un Catechismo nella lingua Alur. Inizialmente il Catechismo doveva essere imparato a memoria, ma p. Fornasa lo insegnava attraverso spiegazioni come aveva visto fare dai Padri Bianchi10 .Prima del suo arrivo a Omach era stato un mese nelle missioni dei Padri Bianchi raccomandato dai suoi superiori. I padri Bianchi erano la da almeno30 anni. Il primo battesimo dei nostri missionari ebbe luogo nel 1910 quando p. Cordone battezzò un Muganda ad Omach che era già stato preparato nel Catecumenato dai Padri Bianchi al Sud. Si chiamava Enjuba Paul. Il grande giorno, comunque fu il 6 giugno 1913. P. Fornasa, su indicazione del Vescovo Geyer aveva preparato 12 catecumeni e aveva dato loro tutte le più importanti nozioni riguardanti le più importanti verità della dottrina cristiana e le esigenze morali del cristiano. Questo era allora una innovazione nel sistema vigente nel Sudan sotto l’influenza musulmana. I mussulmani si limitano a far memorizzare (cantare) il Corano. Fu un privilegio per p. Colombaroli poter battezzare e Cresimare i dodici catecumeni il 22 dello stesso mese. Il 13 giugno fu testimone del primo matrimonio Cristiano. P. Crazzolara commentò nel suo giornale: “Questa cerimonia ha fatto una grande impressione sui catecumeni che sono adesso ansiosi di essere istruiti sul Catechismo regolarmente. Un'altra dozzina dovrebbe essere pronta per il battesimo fra non molto”, Aleni, un Catechista cattolico munyoro, addestrato dai Padri Bianchi fu di grande aiuto. P. Vignato accompagnò Mons., Antonio Stoppani, Prefetto Apostolico di Wau nel suo viaggio verso Kampala nel 1914: questi fu felice di constatare che i Padri Bianchi seguivano una metodologia analoga alla loro. Continuò, inoltre la tradizione di p. Albino: 15 catechisti uomini e tre donne arrivarono a Gulu.

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2. Ulteriori sviluppi Man mano che il numero delle missioni e dei missionari aumentavano nel Sudan del Sud ed in Uganda, P. Vianello e Mons. Geyer chiesero a Propaganda Fide di dividere il grande Vicariato di Khartoum . Perciò nel 1913 la Prefettura Apostolica di Bahr-el-Ghazal, con sede a Wau fu eretta. Nel 1917 divenne Vicariato Apostolico guidato dal Vescovo Stoppani. 3. Un ostacolo Nel 1914 la prima Guerra Mondiale ebbe inizio e le missioni ne soffrirono le conseguenze. Cittadini tedeschi ed austriaci, considerati dai britannici veri e propri nemici, dovettero essere deportati. Anche i cittadini italiani venivano considerati nemici potenziali nel 1914. Nel Sudan ed in Uganda venivano tenuti agli arresti domiciliari. P. Fornasa, all’epoca Superiore ad Omach, dopo le tristi notizie andò in Chiesa e pregò: “Mio Dio, se hai bisogno di una vittima per evitare questa tragedia alla nostra missione , Ti prego di prendere me.” 11 Però, quando l’Italia si unì alle Forze Alleate dichiarando guerra a Germania e Austria, i missionari italiani tornarono a fare la loro vita di sempre, benché limitata dalla impossibilità di ricevere nuovo personale ed altri aiuti. Nell’Egitto e nel Sudan i cittadini tedeschi furono internati, 13 dei quali in Egitto, mentre ad altri fu permesso di rimanere nelle stazioni missionarie, ma sotto sorveglianza. I missionari italiani e le loro proprietà si salvarono perché P. Vianello dopo molte peripezie riuscì ad ottenere una dichiarazione della santa Sede che affermava che la missione non era più sotto la protezione austriaca. P. Angelo Colombaroli, Vicario Generale, il quale , nel frattempo era arrivato in Egitto non poté tornare in Italia in quanto era nativo di Trento ed aveva un passaporto Austriaco. Quando scoppiò la guerra circa 60 membri e novizi della congregazione furono chiamati alla armi. P. Foglio divenne cappellano militare. Fu molto amato sia dagli ufficiali che dai soldati semplici per la sua bontà e per il suo spirito di sacrificio. Fu fatto prigioniero dagli austriaci mentre aiutava un soldato ferito. Altri missionari ebbero guai a causa della loro nazionalità austriaca, appunto perché l’Austria e la Gran Bretagna appartenevano ad opposte fazione. Per questo motivo fr. Clement Schroer fu mandato in un campo di concentramento in India. Mons. ANTONIO STOPPANI, un signore ed uomo di cultura al servizio delle Missioni. (Lecco 6/1/1873Venegono 6/8/1940). Ordinato sacerdote dal Beato Cardinale Ferrari nel 1895, entrò a far parte della nostra congregazione a Verona. Nel 1899 partì per le missioni. Fece la sua prima esperienza missionaria nell’Istituto del Cairo in Egitto , dove i rifugiati e schiavi liberati erano stati raccolti. Nel 1902 fu fra i primi missionari a rientrare nel Sudan a Khartoum dove, dopo la rivoluzione Mahdista non rimaneva altro che il ricordo della vecchia missione e tutto dovette essere ricominciato daccapo. Fu Procuratore per otto anni e praticò il suo ministero apostolico fra i cattolici dell’est, gli africani e gli italiani. Nel 1910 fu trasferito a Wau e nel 1913 divenne il primo Prefetto Apostolico di Bahr-el Ghazal. Da quel momento le opere di quella missione ebbero un grande sviluppo. Furono aperte scuole elementari, medie e superiori. Una iniziativa che attrasse la simpatia della popolazione locale e l’approvazione del governo fu l’istituzione di officine con macchinari moderni. Il risultato di questa iniziativa fu la formazione di capaci artigiani in una nazione dove l’artigianato era allo stato primitivo ma allo stesso tempo orientava molti giovani e le loro famiglie verso la conversione. Le autorità governative visto quanto erano in grado di fare i missionari, iniziarono a stimarli ancora più di prima. La stima era sincera. Il Maggiore E.W. Witley (di famiglia protestante ed assegnato alla provincia del Bahr-el Gazah) arrivò come Governatore con i preconcetti tipici dei protestanti che erano contrari alle missioni cattoliche. Al suo arrivo, però dovette ricredersi e fu pieno di ammirazione per il lavoro svolto dai missionari e per la bontà del loro Vescovo. Con l’aiuto della grazia divina e l’esempio dei sacrifici di que11

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sti pionieri, riconobbe la santità della loro causa e la verità della Chiesa Cattolica. Si propose di sostenere la missione Cattolica, e una volta tornato in patria, si convertì al Cattolicesimo. I protestanti del Sudan del Sud obiettarono insinuando che la Chiesa cattolica progrediva grazie alla protezione personale del Maggiore Witley. Ciò nonostante il Governatore attribuiva il successo della Chiesa alla santità della sua causa e attraverso i sacrifici dei suoi degni figli ed il loro Vescovo. Nel 1933, Mons. Stoppani chiese alla Santa Sede di mettere il Suo Vicariato in mani più giovani e partecipò con gioia alla consacrazione del suo successore, Mons. Orler. Si ritirò a Venegono dove fu amato ed apprezzato per la sua carità, la sua semplice modestia e umile partecipazione alle attività della comunità come qualsiasi altro religioso. Conobbe il dolore delle spine durante la sua vita, come vennero a sapere pochi suoi intimi. Sapeva come restare in silenzio, soffrire, offrire a Dio le sue sofferenze, e pregare in piena fiducia alla “Cara Madonna”, che rimase sulla sua bocca e nel suo cuore fino alla fine. Io che scrivo ebbi la fortuna di incontralo e conoscerlo proprio a Venegono. Era anche musicista, compose diversi inni missionari, era un buon pianista. Era il nipote di Antonio Stoppani, famoso geologo e fratello di Madre Pierina, Superiora Generale delle Suore Comboniane che morì a Torit, Sudan Meridionale nel 1933 durante la sua prima visita alle sue sorelle missionarie.

E. LE SUORE COMBONIANE 1. Le Suore Comboniane in Eritrea Nel 1914 l’Eritrea era una colonia italiana. P. Luigi Bonomi (+ Asmara 1927) aveva trovato una campo di Apostolato nel Vicariato Apostolico di Asmara, come cappellano all’Ospedale “Regina Elena” di Asmara. Con la mediazione del Vicario Apostolico riuscì a far venire le Suore Comboniane per l’ospedale. P. Bonomi, un ex missionario Comboniano, aveva conosciuto le suore nel Sudan, e le aveva aiutate durante la Rivoluzione Mahdi. Le Suore arrivarono ad Asmara nel 1914. Dovettero affrontare innumerevoli difficoltà da parte degli ufficiali militari italiani di allora. Ciò nonostante dopo dieci anni di dedizione e di testimonianza della loro vita religiosa, guadagnarono la stima ed il rispetto dei militari nonché delle autorità politiche e civili. Nel 1927 fu affidato alle loro cure anche l’Ospedale di Massawa. P. Bonomi fondò anche la scuola “Vittorio Emanuele” per gli Eritrei. Un progetto importante fu il “Villaggio della carità” inaugurato nel 1938 e proprietà dell’Istituto. Oggi è conosciuto con il nome “casa Comboni” ed è la residenza delle suore responsabili per le diverse attività missionarie. Altri ospedali e scuole furono affidati alle suore. Un progetto sociale “l’Istituto della Sacra Famiglia” fu aperto nel 1938 , un ostello per studenti, quasi tutti orfani. Dette ospitalità a molti missionari, principalmente Comboniani che avevano dovuto abbandonare le loro missioni in Etiopia a causa della guerra contro l’occupazione italiana. Un passo raro nella storia fin ora dei nostri Istituti fu la fondazione della Università Cattolica di Asmara. Ottenne il Riconoscimento della Santa Sede nel 1960. E fu approvata dal governo etiope nel 1965; fu nazionalizzata nel 1979. Nel 1982, tutti gli istituti religiosi dovettero lasciare le scuole e case che avevano; le suore, comunque sono ancora presenti nella università come insegnanti e testimoni evangeliche. La Formazione delle Suore eritree Sei ragazze iniziarono il loro Postulato l’11 febbraio del 1938. Presero i voti nel 1942, ma solo come Pia Associazione “Pie Sorelle della Nigrizia”. Questo è un procedimento alquanto normale da parte della Santa Sede, per rallentare la fondazione di nuovi Istituti. Nel 1947, l’associazione fu incorporata nell’Istituto delle Suore Comboniane. Attualmente le Suore di origine eritrea sono circa 150.

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2. Le Suore Comboniane in Uganda – 1918 Esattamente come Comboni, i nostri missionari apprezzavano la presenza delle Suore che ritenevano indispensabili. Padre A. Vignato a nome dei missionari, chiese all’allora Superiora Generale, Madre Caldara di mandare delle suore in Uganda. Esse arrivarono l’8 dicembre 1918, via Nimule, e furono accolte da p. Vignato stesso. La loro responsabile era Suor Carla Troenzi che era già stata missionaria nel Sudan e fu poi Superiora Generale delle Suore Comboniane. Le altre sorelle erano Suor Amalia Lonardi, Suor Camilla Uberti, Suor Luigia Quaglia, e Suor Rosalba Ghirlanda. Le suore impararono la lingua locale e iniziarono ad occuparsi delle lezioni di catechismo delle ragazze indigene. Insegnarono anche i primi elementi di educazione domestica per migliorare la loro vita, distribuivano medicine, e iniziarono veri e propri ambulatori. Col tempo fondarono anche scuole per ragazze, la prima delle quali fu a Gulu diretta da Suor Angioletta. Fu da questa scuola che uscirono i primi membri della Congregazione delle Suore di Maria Immacolata fondate dal Vescovo Mons. Angelo Negri nel 1942. L’apertura delle missioni nell’Uganda realizzò i sogni del Comboni. Anche dopo che l’Uganda passò ai Padri Bianchi, Comboni, infatti, continuò ad esserne interessato dando suggerimenti ai missionari come se fosse ancora un suo territorio. L’interesse per l’Uganda rimase tale fino alla sua morte. Per esempio, il 23 agosto 1881 Comboni scrisse al Cardinale Simeoni della grande tensione e crescente pericolo di guerra in Uganda fra Mutesa, Re dei Baganda (Sud) e Kabarega potente Re dei Banyoro (Ovest). L’amico di Comboni, il Governatore Bey ritornò a Comboni tre lettere che esso aveva scritto ai missionari Livinhac, Barbot e Lourdel che allora non potevano essere consegnate a Rubaga, sede dei Padri Bianchi. Bey assicurò Comboni che le avrebbe mandate via Zanzibar e gli furono date assicurazioni che lo stesso Emin Bey si sarebbe recato presso i due re per cercare di riconciliarli (Vedere Scritti n. 6957-6958). LE SUORE Durante questo periodo le Suore tennero due Capitoli. Elezioni del 1910: Madre Costanza Caldara - Superiora Generale Suor Francesca Dalmasso - Vicaria Generale Suor Lavinia Vecchietti - Assistente Generale Suor Melania Zorsi - Assistente generale Suor Rosa Pighi - Assistente Generale Elezioni del 1919: Madre Costanza Caldara - Superiora Generale Suor Melania Zorsi - Vicaria Generale Suor Lavinia Vecchietti - Assistente Generale Suor Maria Garonzi - Assistente Generale Suor Rosa Pighi - Assistente Generale Da notare che madre Caldara fu scelta per la terza volta. La Santa Sede dette il suo permesso per solo tre anni dato che era in corso la guerra, però siccome nel 1922 la situazione era sostanzialmente rimasta la stessa, Cardinale Bacilieri, Vescovo di Verona, decise di estendere il periodo senza indire il Capitolo.

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Capitolo Quarto NUOVE PROSPETTIVE NELL’OPERA MISSIONARIA E LA RISPOSTA DEI NOSTRI MISSIONARI

A. UNA NUOVA ENFASI NEI DOCUMENTI DELLA CHIESA 1919-1995 1. “Maximum illud” (30 novembre 1919) di Papa Benedetto XV (1914-1922) I danni causati dalla Prima Guerra Mondiale ebbero ripercussioni anche nelle missioni. Il personale fu richiamato e mai rimpiazzato. Questo fatto mise in luce la grave mancanza di sacerdoti e vescovi nativi del posto. Il nazionalismo di alcuni missionari, specialmente in Oriente aveva tenuto il numero di sacerdoti locali molto basso e stabilito la tradizione che essi non sarebbero mai stati presi in considerazioni per posti di responsabilità . Dopo centinaia di anni di lavoro missionario in Cina , un solo sacerdote cinese, Gregorio Leo (Lopez) OP, consacrato nel 1685, era diventato Vescovo, ed anch’esso in circostanze veramente strane. Benedetto XV nel suo “Maximum Illud” si accinse a mettere fine a questa ingiustizia, che era in effetti una deviazione dalla tradizione missionaria della Chiesa. Questo stato di fatto aveva diverse ragioni. In Africa era l’interferenza della Spagna e del Portogallo in quanto sia i loro governi che gli stessi missionari non vedevano di buon occhio la consacrazione di aborigeni, meticci o mulatti nei vasti territori che gestivano tramite il “Patroado” fino a quando gli indigeni non avessero raggiunto un livello culturale pari al loro. Non capivano le buone qualità dei nativi con un livello culturale differente del loro, e non consideravano neanche quelle civiltà culturalmente avanzate, anche se non Cristiane, come quella cinese o indiana. In generale, poi, non avevano in simpatia gli indigeni. Un nazionalismo esagerato, principalmente da parte di missionari francesi, fu parzialmente responsabile in quanto li portò a trascurare le aspirazioni e i sentimenti di coloro che gli erano stati affidati. Il programma educativo per i sacerdoti indigeni era talmente vecchio ed inadeguato che essi erano comunque impreparati a diventare leader. Da qui le recriminazioni di Benedetto XV: “È triste pensare che ci sono ancora nazioni dove la Fede Cattolica è predicata da secoli ma dove non si trovano sacerdoti indigeni eccettuati coloro di qualità inferiore; che ci siano nazioni, profondamente penetrate dalla luce della Fede che… hanno raggiunto un grado altissimo di civilizzazione tale da avere uomini che si distinguono in ogni sfera del sapere secolare … ma non sono ancora in grado di dare Vescovi che regnino su di loro, o sacerdoti che li guidino.” “Maximum illud” è stata chiamata la “Magna Carta “del movimento missionario contemporaneo. Il Papa disse che “Il lavoro Missionario è obbligatorio per ogni Cattolico. Non viene fatto abbastanza: devono essere fondati nuovi seminari per le missioni all’estero”. Il Papa inoltre parlò contro l’intesa di missionari con i loro governi nazionali e inequivocabilmente affermò che i sacerdoti indigeni sono “l’unica grande speranza delle nuove missioni, ma devono essere considerati alla pari, destinati, un giorno a prendere in mano l’opera della Chiesa nella loro terra natia”.

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2. “Rerum Ecclesiae” (26 febbraio 1926) di Papa Pio XI (1922-1939) Papa Pio XI, il Papa delle Missioni. Operò per lo sviluppo sia dei sacerdoti nativi sia dell’apostolato dei laici nelle missioni, per dissociare la Fede dalle accuse che fosse una religione dei bianchi basata sulla cultura europea e per enfatizzare altresì, che la spiegazione del Dogma Cattolico e del culto sia adattato alla cultura locale. Il Papa chiese che il Vangelo “quando viene introdotto in una nuova terra non deve distruggere o estinguere quello che quella gente possiede di naturalmente buono, giusto e bello.. ovunque vi siano usanze locali che non siano inesorabilmente legate alla superstizione o errori, queste verranno sempre prese in benevola considerazione e se possibile, preservate intatte.” Seguendo queste direttive la Congregazione per la Propagazione della Fede presentò una nuova politica per le attività missionarie che fu approvata l’8 dicembre 1939. La vecchia controversia sui “Riti Cinesi” (n. 39) fu finalmente chiusa, e la Santa Sede approvò quanto già espresso da Padre Matteo Ricci, e cioè che le cerimonie cinesi erano solo atti civili di reverenza nei confronti degli antenati e che essi dimostravano l’amore per la propria patria o cortesia verso i vicini. Riferendosi a queste responsabilità per le missioni nella “Rerum Ecclesiae”, il Papa scrive: “Proponiamo alla vostra attenzione l’importanza di aumentare il numero di sacerdoti indigeni. Se non lavorate con tutte le vostre forze a questo scopo, noi asseriamo che il vostro apostolato non sarà soltanto mutilato, ma diventerà un ostacolo, un impedimento all’istituzione e organizzazione della Chiesa in quelle nazioni…”. Pio XI stesso iniziò a mettere in atto questa politica consacrando i primi sei Vescovi cinesi, un Vescovo indiano ed uno giapponese, preparando, inoltre la strada per la consacrazione del primo Vescovo africano dei nostri tempi, mons. Giuseppe Kiwanuka , ugandese. Papa Pio XII ebbe il piacere di consacrarlo nel 1939 in San Pietro assieme al primo Vescovo Malgascio Mons. Ignazio Ramarosandratana. Pio XI incoraggiò i Vescovi a mandare seminaristi e sacerdoti a Roma a seguire studi universitari. Per facilitare questo progetto: – Diede una nuova ed ampia sede all’Ateneo ed all’Università Urbaniana sul Granicolo (1931); – Collegio russo di S. Teresa del Bambin Gesù sull’Esquilino (1929); – Russicum: centro di studi per la Russia (1930); – Pio Rumeno (1930); – Nuova sede al Pio Rumeno-Ucraina (1930): gli ultimi due sul Granicolo; – Nuova sede al Collegio Etiopico nei Giardini Vaticani (1930); – Pio Brasiliano (1934), sulla via Aurelia: Ordinò che una Giornata Missionaria si celebrasse in tutto il mondo. Raccomandò caldamente la vita religiosa a tutti i Cristiani nelle terre di missione e la fondazione di Istituti Religiosi. 3. “Evangelii praecones” (2 giugno 1951) di Papa Pio XII (1939-1958) Pio XII chiamato pastore e maestro fra i Papi, seguì le orme dei suoi predecessori. Sottolineò ai missionari la necessità di insegnare e mettere in pratica i principi della giustizia e della pace secondo la Dottrina Sociale della Chiesa, ed insisté sulla necessità di istruire laici per lavori socio - politici. Una delle ragioni per questa scelta era legata al progresso del Marxismo - Leninismo nelle nazioni del terzo mondo come movimento di liberazione.

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4. “Fidei Donum” (21 aprile 1957, di Papa Pio XII) In questo documento il papa sottolinea il dovere missionario di tutti i Vescovi, i sacerdoti, i laici e i religiosi. In particolare, incoraggia i Vescovi a sostenere le vocazioni missionarie, anche se la loro stessa diocesi avesse necessità di vocazioni sacerdotali. Ancora oggi preti diocesani che intraprendono l’opera missionaria vengono chiamati “Fidei Donum” a causa di questa lettera. 5. Gerarchie Fu durante il papato di Pio XII che la maggior parte delle missioni in ogni nazione furono dotate di una Gerarchia . Questo significa che gli Istituti Missionari sono adesso al servizio delle Gerarchie che diventano , perciò responsabili per l’apostolato missionario e pastorale. Lo “Ius Commissionis” accordato agli istituti missionari lasciò il passo a poco a poco ad un contratto fra un vescovo che invita e l’Istituto che a certe condizioni accetta l’invito. Lo “Ius Commissionis” accordava esclusiva responsabilità ad un Istituto in un certo territorio. 6. “Princeps Pastorum” (28 novembre 1958) di Papa Giovanni XXIII (1958-1963) – – –

Il Papa sottolineò: La necessità di avere laici Cattolici ben formati, capaci di prendersi le loro responsabilità come cristiani nel campi socio-economici e politici delle loro nazioni; La necessità che i preti locali si prendano responsabilità per la formazione dei loro sacerdoti; La necessità per le organizzazioni cattoliche internazionali di assistere studenti provenienti dai territori missionari che si recano all’estero per studio, per dar loro la possibilità di continuare nella loro vita cattolica .

7. “Ad gentes” Questo Decreto approvato durante l’ultima sessione del Concilio vaticano Secondo (7 dicembre 1965) riassume la dottrina della Chiesa sulle missioni e le Encicliche moderne. In particolare enfatizza l’ordine del lavoro missionario : – La necessità della testimonianza cristiana; – La Proclamazione della Buona Novella; – La formazione di comunità Cristiane; – La responsabilità dei missionari nelle Chiese particolari; – La preparazione tecnica, morale e spirituale dei missionari da attuarsi per quelle nazioni dove dovranno poi recarsi e dove continueranno la loro formazione permanente. – Gli Istituti di vita contemplativa devono stabilire le loro comunità nei territori missionari. NB. Per “Evangelii Nuntiandi” vedi il periodo 1969-1975 “Redemptoris Missio” (1990, di Papa Giovanni Paolo II) Questo è l’ultimo documento che focalizza le attività missionarie ed è indirizzato in modo specifico “alle nazioni “(Ad gentes). Il Papa intervenne perché sembrava che l’interesse in questa particolare vocazione missionaria della Chiesa si stesse smorzando. Papa Giovanni Paolo II ha voluto riaffermare la missione universale della Chiesa: – Incoraggiare i missionari “Ad gentes”;

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Promuovere l’impegno delle chiese locali a favore delle missioni “Ad gentes “; Riassicurare i non Cristiani ed in particolare le autorità delle nazioni che ospitano i missionari, che tutti gli sforzi della Chiesa hanno un solo scopo: illuminare le persone rivelando loro l’amore di Dio che si è manifestato in Gesù Cristo. Il Papa confuta gli argomenti che provocano l’indebolimento dell’impegno missionario “Ad Gentes “ a. Gesù morì per la salvezza di tutti, anche di quelli che non lo conoscono. Questo è vero: “Lo Spirito Santo offre a tutti la possibilità di condividere il messaggio Pasquale in una maniera conosciuta solo a Dio” (n. 10) È vero che la salvezza è nelle mani di Dio, ma Gesù raccomandò ai suoi discepoli: “Andate nel mondo e proclamate il Vangelo a tutte le nazioni.” (Marco 16:15). Coloro che sono redenti da Cristo hanno il diritto di conoscere il loro salvatore. Perciò il papa scrive: “La Chiesa non può non proclamare che Gesù venne a rivelare il volto di Dio e meritare la salvezza per tutti gli esseri umani tramite le sua croce e resurrezione .. “L’amore di Cristo ci spinge “(2 Cor. 5:14) … La missione è un problema di fede, anzi un indice preciso della nostra fede in Cristo e il suo amore per noi.” (n. 11)

b. Secondo alcune tendenze sorte dopo il Concilio Vaticano II, il lavoro dei missionari dovrebbe essere soltanto quello di dialogare con le altre religioni e lasciare che ognuno professi la propria religione. “Il dialogo inter-religioso fa parte della missione di evangelizzazione della Chiesa” Ciò nonostante , questo è possibile “senza toccare in alcun modo la verità che la salvezza proviene da Cristo e che il dialogo non ci dispensa dall’evangelizzazione.” Inoltre: “Il dialogo dovrebbe essere fatto e illuminato dalla convinzione che la Chiesa è il mezzo normale per arrivare alla salvezza e che soltanto Lei possiede la pienezza dei mezzi per arrivarci”. (id.) Per capire appieno quest’ultima affermazione si deve ricordare che oltre al Battesimo la Chiesa offre altri sei sacramenti incluso: la Santa Messa che ci porta Gesù in modo sacramentale e misterioso, senza dimenticare la Chiesa e il Vicario di Cristo con il suo magistero normale e straordinario fino all’infallibilità esercitata a nome della Chiesa, il vero soggetto della infallibilità. c. Il regno di Dio: per alcuni teologi il dialogo sembra essere uno scambio di e comunione nei valori di un Regno aperto a tutti e le di cui frontiere sono molto più estese di quelle della Chiesa. I Papa risponde nel seguente modo: “Secondo questo punto di vista il Regno diventa qualcosa di totalmente umano e secolarizzato: quello che conta sono i programmi e le lotte per una liberazione che è socioeconomica, politica ed anche culturale. Pur non negando che anche a questo livello ci siano valori da promuovere , tale nozione nondimeno, rimane entro i confini del regno dell’uomo, priva di dimensioni autentiche e profonde. Tale punto di vista si traduce in una ulteriore ideologia di semplice progresso umano. Il Regno di Dio, però “non è di questo mondo… non è da questo mondo” (Giovanni 18:36) n. 17. “I Primi Cristiani, proclamarono inoltre “Il Regno di Cristo e di Dio (Eph. 5:5 ; cf. Riv. 11:15; 12.10, ed anche “Il Regno di Nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo (2 Pt.

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1:11) La predicazione della giovane Chiesa era incentrata sulla proclamazione di Gesù Cristo, con il quale il Regno si identificava. Il Regno di Dio non è un concetto, una dottrina o un programma soggeto ad essere liberamente interpretati; è prima di tutto una persona, con un volto ed un nome: Gesù di Nazareth, l’immagine del Dio invisibile. Se il Regno fosse separato da Gesù esso non sarebbe più il Regno di Dio che Egli ha rivelato. Il risultato è una distorsione del significato del Regno, che corre il rischio di essere trasformato in una meta puramente umana o ideologica e porterebbe ad una distorsione di Cristo, che non sarebbe più il Signore al quale tutti un giorno dovranno assoggettarsi (cf 1° Cor. 15: 27) Allo stesso modo non si deve separare il Regno dalla Chiesa. È vero che la Chiesa non è fine a se stessa, in quanto essa è orientata verso il Regno di Dio del quale è il seme, segno e strumento. Però mentre rimane distinta da Cristo e dal Regno di Dio, la Chiesa è indissolubilmente legata ad ambedue. Cristo dette alla Chiesa il Suo Corpo con la pienezza dei benefici e mezzi per addivenire alla salvezza. Lo Spirito Santo dimora dentro di Essa , la fa gioire con i suoi doni e i suoi carismi, la santifica, la guida e costantemente la rinnova. Il risultato è una relazione unica e speciale la quale, mentre non esclude l’azione di Cristo e lo Spirito al di fuori dei confini visibili della Chiesa, le conferisce un ruolo specifico e necessario; da qui lo speciale rapporto della Chiesa con il Regno di Dio e Cristo che ha “la missione di annunciare e inaugurare fra la gente” (n. 18) d. Redemptoris Missio non accetta che la missione della Chiesa “ad gentes” escluda “conversioni”. La proclamazione della parola di Dio ha come finalità la conversione Cristiana: una aderenza sincera e completa a Cristo ed al Suo Vangelo. (n. 46) “Al giorno d’oggi, il richiamo alla conversione che i missionari indirizzano verso i non cristiani viene messo in discussione o passato sotto silenzio. È visto come un atto di proselitismo; si afferma che è più che sufficiente aiutare le persone a diventare più umane o più fedeli alla loro religione, che è sufficiente costruire comunità capaci di lavorare per la giustizia , la libertà, la pace e la solidarietà. Quello che si ignora è che ogni persona ha il diritto di ascoltare la “Buona Novella” di quel Dio che si rivela e si dona in Cristo, di modo che ognuno possa vivere appieno la sua chiamata.”(n. 46) e. Prima di andare in Paradiso Cristo disse ai suoi discepoli: “Ogni potere mi è stato dato in cielo e terra. Andate dunque, ammaestrate tutte le genti, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.” (Matteo 28:18) –

f. Altri punti importanti di questa lettera non sono così controversi: L’importanza dei mezzi di comunicazione sociale nel “Villaggio Globale” del mondo. È necessario integrare il messaggio (il Vangelo) nella “nuova cultura” creata dai nuovi mezzi di comunicazione (n. 39) Il Nord tende verso una povertà morale e spirituale causate da “sovrasviluppo” “Questo è un “modello di sviluppo “che il Nord ha costruito e che si sta propagando verso il Sud, dove il senso della religione come pure dei valori umani sono in pericolo di essere sopraffatti da un’onda di consumismo . Ma uno sviluppo senz’anima non può essere sufficiente per gli esseri umani, ed un eccesso di ricchezza è pericoloso quanto un eccesso di povertà.” (n. 58) “Lotta contro la povertà cambiando il tuo modo di vivere”. (id)

L’ultimo, ma non meno importante capitolo della lettera, riguarda il missionario e la sua spiritualità:

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Questa spiritualità deve essere caratterizzata da una vita di completa docilità verso lo Spirito (87) – Iniziare la comunione con Cristo, il nostro modello di “Colui che fu mandato” (88) – Amando la Chiesa e l’Umanità; una spiritualità contrassegnata da carità apostolica, un amore ardente per le anime e per la Chiesa come fu per Cristo (89) – Santità “una chiamata alla missione deriva da una chiamata alla Santità. Il vero missionario è un santo” (90) Infine il Papa affida il missionario alla mediazione di Maria che è totalmente orientata verso Cristo(92) Nota Bene 1. Fare proseliti o proporre le Buone Nuove che portino alla conversione di una persona, è sbagliato se la conversione è in qualche modo imposta sia fisicamente che moralmente . “La Chiesa – scrive il Papa – propone, non impone” (n. 39) C’è imposizione morale quando il Vangelo viene proposto tramite lusinghe, inganni, danaro, cultura o la promozione nella vita sociale o politica. Per evitare qualsiasi interpretazione errata nel fare proseliti, il Papa insiste sul fatto che la vera conversione è opera dello Spirito Santo, il quale è l’agente primario della missione e che è presente ed attivo in ogni luogo e tempo. (Ch. III, 21-30) 2. Ho scelto di sottolineare dei punti controversi della lettera in quanto ritengo sia necessario conoscere il magisterium ordinarium della Chiesa sia che ci piaccia o no. B. LA RISPOSTA DEI MISSIONARI COMBONIANI 1. Preparazione dei Catechisti

Non c’era bisogno che Papa Benedetto XV insistesse sul ruolo e l’importanza dei catechisti. Il successo della penetrazione Missionaria nei territori a noi affidati è dovuto principalmente al semplice e generoso lavoro dei catechisti. Essi hanno stabilità, conoscono la lingua e la mentalità della gente. Avamposti, cappelle e Centri Eucaristici sono affidati a loro. – I loro compiti sono i seguenti: – Essi dirigono l’assemblea domenicale, durante la quale possono essere nella condizione di spiegare le letture della liturgia. – Sono responsabili dell’insegnamento ai bambini e ai catecumeni; – In casi di emergenze, possono battezzare ed esaminare i candidati al matrimonio. – Visitano i malati e assistono i moribondi; – Possono presenziare a funerali para - liturgici: – Curano gli interessi delle parrocchie e tengono aggiornati i registri; – Tengono informati i missionari su ciò che accade. Spesso viene loro chiesto di gestire delle piccole scuole in campagna dove ai ragazzi viene insegnato il Catechismo oltre che a leggere e scrivere. Di recente è stato loro permesso di distribuire la Santa Comunione nei Centri Eucaristici che essi custodiscono. All’Inizio dell’Evangelizzazione non c’era molto bisogno di incoraggiare i catechisti a diffondere la fede. Nell’Uganda, per esempio, alcuni catechisti operavano nel nostro territorio da soli ancora prima del nostro arrivo. In una regione dell’Uganda del Sud, Kigezi, la Chiesa catto-

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lica fu fondata dal catechista Joanna Kitagame con l’aiuto di un impiegato del Governo, Joanna Sebalijia . Abbiamo visto come catechisti dell’Uganda meridionale di origine e lingua Bantu si recarono nel nord del paese fra gente di origine etnica e lingua differenti . I più conosciuti fra di loro furono Lajari Bagenda, Martino Misoke, Mama Cecilia e Mama Pudenziana. Abbiamo avuto dei martiri come Daudi Okelo e Jildo Irwa fra gli Acholi, come abbiamo già detto. Anche di recente fra il 1985 e il 1995, catechisti ugandesi rimasero ai loro posti nonostante ripetute vessazioni nei loro confronti, 67 di loro, furono anche uccisi. Nei primi mesi del 1913 p. Beduschi dette vita ad una vera e propria scuola per catechisti che fu portata avanti da p. Fornasa. Adesso di scuole per catechisti ce ne sono diverse. Quando il Vescovo Geyer si recò in Uganda rimase colpito dal lavoro svolto dai catechisti. Nel suo rapporto a Propaganda Fide, nel 1919, Mons. Stoppani, Vicario Apostolico del Bahr –el Ghazal fu lieto di riferire che la metodologia di usare i Catechisti era stata finalmente capita e che veniva promossa in quasi tutte le missioni. Più tardi, negli anni venti, scuole per Catechisti furono fondate dai nostri missionari nel Sudan. Nel 1922, il primo Congresso dei Catechisti si tenne nell'Uganda con notevole successo dovuto principalmente all’entusiasmo di Martino Musoke di Gulu, di Aleni di Moyo e di un santo uomo di Kitgum, Jakobo Kinyang. Attualmente scuole per catechisti si trovano in tutte le località dove ci sono missioni e tutti noi missionari apprezziamo molto il loro lavoro. La loro remunerazione è ancora discussa; in alcuni posti non vengono addirittura paganti, in altri la comunità locale decide quanto dar loro, ed in altri luoghi vengono pagati con un salario fisso. Ogni anno Propaganda Fide stanzia una certa somma per le diocesi che sono ancora legati ad essa per la preparazione ed il mantenimento del Catechisti. 2. Formazione dei sacerdoti I primi due sacerdoti diocesani dopo p. Daniel Sorur, furono ordinati il giorno di Natale del 1938. I padri Donasyano Bala e John Ongom furono ordinati nella cattedrale di Gulu dal Vescovo A. Negri. P. Vignato che li aveva accolti nel Seminario minore, presenziò alla cerimonia. Fedeli al motto di Comboni “Salvare l’Africa con gli africani”, i nostri missionari iniziarono ad istruire giovani per il sacerdozio sin dai primi anni della loro permanenza in quei territori. Ø Nel 1920 p. Bernabè iniziò ad istruire due ragazzi a Wau, ma nessuno dei due ce la fece. Nel 1929 p. E. Mason si prese cura di cinque ragazzi della scuola media fra i quali si trovava il futuro Vescovo Ireneo Dud il quale dal 1930 seguì le lezioni di latino. Il 21 dicembre 1944 egli fu il primo sacerdote proveniente dal Sudan ad essere ordinato e nel 1955 il primo Vescovo delle nostre missioni. Ø Nel 1924 Mons. Vignato mandò cinque ragazzi al Seminario minore di Nyenga, nella diocesi di Kampala che era affidata ai padri di Mill Hill. Nel 1927 p. Vignato tenne i seminaristi presso di se a Gulu. Ø Nel 1928 a Okaru (Juba orientale) p. Todesco divenne il primo rettore del Seminario minore della Prefettura di Bahr-el-Gebel che era stato fondato da p. Zambonardi. Ø Nel 1932 a Gulu iniziò un corso di filosofia e nel 1936 uno di teologia. Ø Nel 1933 a Bussere nel Bahr-el-Ghazal, fu aperto il Seminario minore, con l’intenzione di aprirne poi un Seminario maggiore nel 1939. Ø Nel 1937/39 un grande Seminario viene fondato a Lacor vicino a Gulu che fu il Seminario minore dell’Uganda e maggiore per il Sudan e per l’Uganda.

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Ø Nel giugno del 1940 quando tutti i nostri padri erano agli arresti domiciliari a Katigongo. nella Diocesi di Masaka (Uganda meridionale) il Seminario di Lacor fu preso dal governo inglese e trasformato in ospedale per i soldati. I seminaristi furono trasferiti ad Arua e poi al Seminario maggiore di Lodonga. A cinque missionari fu revocato il decreto d’arresto domiciliare per permettere loro di continuare l’insegnamento ai seminaristi. Entro il 1944 tutti i seminaristi poterono tornare a Lacor. Ø Nel 1947 il Seminario minore dell’Uganda fu trasferito a Okaru, ma i seminaristi tornarono a Lacor nel 1948. Ø Nel 1956 il Seminario maggiore inter - vicariale per il Sudan fu aperto a Tore sulla strada che da Yei porta a Meridi. Dopo l’espulsione dei missionari, il Seminario fu trasferito a Rejaf. Gli attacchi da parte dei soldati governativi costrinse i seminaristi a darsi alla macchia per una settimana per poi arrivare al Seminario di Lacor nell’Uganda. Nel 1968 unirono tutti i Seminari maggiori dell’Uganda per formare i nuovi Seminari nazionali : Katigongo (Uganda meridionale) per lo studio della filosofia e Ggaba vicino a Kampala per lo studio della teologia. I seminaristi sudanesi tornarono in Sudan, dove sono tutt’ora. Anche in altri territori missionari i padri insegnavano e insegnano tuttora o dirigono i seminari diocesani. Spesso questa attività fu dichiarata prioritaria , ma non sempre questa priorità è stata veramente osservata nella preparazione e distribuzione del personale dell’Istituto. Tutti i primi Vescovi sudanesi, assieme a quattro ugandesi, provenivano dai nostri seminari. Quattro di essi sono deceduti. Nelle chiese da noi fondate nel Sudan ed in Uganda ci sono attualmente circa 300 sacerdoti. In generale i Padri professori di filosofia e teologia sono laureati dell’Università Urbaniana a Roma, altri dell’Università Gregoriana. L’insegnamento impartito nei seminari segue tuttora il modello tradizionale della Chiesa. Questo modello è spesso messo in discussione ma né i Vescovi diocesani né il clero hanno ancora deciso se effettuare cambiamenti in qualche modo fondamentali. 3. La Fondazione di Istituti Religiosi e affini a. Le Suore di Maria Immacolata di Gulu. Quando negli anni trenta, p. Vignato chiese alla Suore Comboniane di seguire la scuola per ragazze di Gulu, aveva già in animo di sceglierne alcune affinché prendessero i voti. Mons. Angelo Negri (1935-1949) si dedicò a questo compito. Nel 1939 chiese ed ottenne dalla Santa Sede il benestare per l’istituzione di una Congregazione. Le candidate iniziarono il loro noviziato il giorno di Natale del 1942 e fecero la loro prima Professione il giorno dell’Epifania del 1945. Il loro scopo principale è l’insegnamento, ma si dedicano anche alla cura dei malati ed alle attività pastorali. Attualmente sono circa 300. Scrissero la biografia di Madre Angioletta Dognini (+ 1990) che esse considerano co-fondatrice. La maggior parte delle suore proviene dalle province settentrionali e operano nello stesso territorio. Esse hanno tre comunità in Kenya e tre in Italia. b. La Congregazione delle Figlie del Cuore Immacolato di Maria (DIHM) La Congregazione fu fondata dal Vescovo J. Reigler, MFCS. Mons. Riegler stava facendo la sua prima visita ufficiale alla parrocchia di Glen Cowie, Vicariato di Lydenburgh (adesso Diocesi di Witbank) e presenziò alla cerimonia di fondazione della nuova congregazione il 2 Febbraio 1949. Ebbe a dire allora “La Festa della Purificazione della Madonna del 1949 sarà sempre ricordata nella storia del Vicariato di Lyndenburgh. Questo è un giorno, un’occasione per la quale io

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ed i Religiosi del nostro Vicariato abbiamo pregato per tanti anni: La nascita di un Istituto di Suore nella nostra comunità locale. È desiderio del Santo Padre che la vita religiosa sia curata e promossa in tutti i territori di missione. Le vocazioni al sacerdozio e alla vita religiosa indicano sempre la forza e la stabilità della nostra fede.”. IL vescovo fece un’analogia fra la vita religiosa e le candele tenute in mano dalle candidate durante la Santa Messa. “Voi brillerete innanzi al vostro Dio mentre vi consumerete per Lui”. La Reverenda Madre Consiglio, una delle Suore di Loreto (IBVM) che operavano a Glen Cowie, fu la prima Superiora e Maestra delle Novizie e si prese il compito e la responsabilità di aiutare il giovane Istituto a crescere. Madre Consiglio aveva molti anni di esperienza alle spalle sia in Kenya che nell’Unione, (Sud Africa). Aveva studiato il Sepedi, la lingua locale, e conosceva le usanze e la mentalità locale. Era perciò all’altezza del compito che avrebbe dovuto svolgere. c. Suore del Sacro Cuore Mons. Mlakic, prefetto Apostolico di Juba dal 1951, iniziò questo Istituto. Il suo successore, Mons. Sisto Mazzoldi, Vicario Apostolico di Juba, aprì il loro Noviziato nel 1952. a Juba e affidò le novizie a suor Domitilla, Comboniana. Il loro sviluppo fu buono, ma la guerra civile nel Sudan Meridionale portò alla loro fuga a Moyo, nella Diocesi di Arua: Qui la loro maestra fu Suor Elisabetta Coggi. Esse si dedicano a svariate opere, e sono circa 150. Operano principalmente nel Sudan ed in Uganda dove hanno diverse case e noviziati. La loro casa madre si trova a Juba nel Sudan Meridionale. d. Fratelli di San Martino de Porres Anche questo Istituto deve la sua nascita nel 1953 a Mons. Mazzoldi con l’aiuto di P. Giuseppe Gusmini (+ 1980) e fratel Alessandro Pelucchi. Il loro scopo principale è di preparare insegnanti qualificati per poter dirigere scuole Cattoliche. Il loro sviluppo ha avuto alti e bassi , ed anche loro dovettero cercare asilo in Uganda nel 1965 dove aprirono un Noviziato. Il loro apostolato è diversificato e la loro spiritualità e attività è come quella dei fratelli Comboniani. Hanno dovuto affrontare molte difficoltà sia per quanto concerne l’amministrazione interna sia per quanto riguarda le loro relazioni con i Vescovi e il clero locale. Sono circa 40. La maggior parte di essi opera nel Sudan. Hanno aperto una Scuola Superiore e dato vita ad alcune comunità anche in Uganda. e. Fratelli del Cuore Immacolato di Maria (Marian Brothers) La loro fondazione avvenne nell’attuale Diocesi di Arua dove si trova la loro Casa MADRE. L’Istituto fu fondato dal vescovo G. B. Cesana nel 1954 ed affidato a p. Gino Albrigo (+ 1995). Più avanti P. Giuseppe Volpetti (+ 1994) li seguì per molti anni. Essi ora hanno la loro propria Direzione Generale, eletta regolarmente dai Capitoli generali. Si dedicano a svariate attività ed hanno scopi molteplici. Attualmente contano circa 50 membri. Non è facile accogliere la chiamata e diventare fratelli in Africa a meno che siano Fratelli Insegnanti. f. Fratelli di San Giuseppe di Wau. Fondato da Mons. E. Mason il Vicario Apostolico di Wau nel 1955 con lo scopo molteplice che contraddistingue la vocazione a diventare fratelli alla maniera voluta dal Comboni. Quando i nostri missionari che si occupavano della loro formazione furono espulsi dal Sudan, i fratelli si trovarono allo sbando. Sembra che non stiano crescendo e sono solo 7 nella Diocesi di Wau.

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g. Suore della Santa Vergine Maria del Sudan. Mons. Edward Mason aveva fondato un Istituto nel 1956 chiamato “Suore di Nazareth”, mentre Mons. Ferrara di Mupoi - Tombora ne aveva fondato un altro chiamato “Nostra Madonna delle Vittorie” nel 1957. A causa di grosse difficoltà incontrate nel Sudan, tutte queste Suore si rifugiarono nella Repubblica Centro Africana. Ambedue gli Istituti languivano. La Santa Sede, dietro proposta dei Vescovi del Sudan, amalgamò i due Istituti con il nome sopra indicato nel 1977. Attualmente hanno una comunità ed un Noviziato in Uganda e tre comunità a Khartoum, nel Sud Sudan. Ci sono 25 suore, più novizie e postulanti. Alcune Suore Comboniane si occupano della loro formazione e dell’amministrazione e fanno capo a Suor Giuseppina Tresoldi, che fu Superiora Generale delle suore Comboniane (1986-1997).. Ci sono alcune suore in due piccoli gruppi dei due Istituto originali che vivono da sole e sono molto apprezzate per il buon lavoro che svolgono. h. Suore dell’adorazione Perpetua della Santa Trinità Una Suora Comboniana, Anastasia Fumagalli (+1992) per anni sentì il desiderio di dedicarsi ad una vita di contemplazione. Quando Mons. Angelo Tarantino (+ 1990) che era suo direttore spirituale quando era a Lira, divenne Vescovo di Arua, la Suora trovò un patrono ed uno stato giuridico (1960). Trovò 12 suore che la seguirono e si consacrarono alla contemplazione, alla penitenza e al lavoro. La loro vita di preghiera è offerta al Signore per la santificazione dei sacerdoti e dei religiosi di tutto il mondo, ma principalmente della Diocesi dove si trova la loro comunità. Esse hanno una comunità e una loro superiora. i. Gli Apostoli di Gesù Questo è il primo Istituto Religioso in Africa che sia esclusivamente missionario. Fu fondato nel 1968 da P. Marangoni, sotto la responsabilità ecclesiastica di Mons. Mazzoldi, allora Vescovo di Moroto. L’Istituto divenne presto internazionale con candidati provenienti da più di 6 nazioni africane. Iniziarono a Moroto e aprirono case di formazione in Tanzania, Uganda Occidentale, (Bukinda –Kabale), a Nairobi e Kiserian. Nel 1983, il fondatore p. Marangoni lasciò la Direzione Generale ai membri africani. I preti sono circa 200 , i fratelli 20 . La Direzione Generale è a Nairobi, Langata. Essi hanno comunità in Kenya, Tanzania, Uganda e nel Sudan. La loro spiritualità si accentra principalmente sul Cuore di Gesù. l. Suore Evangeliste di Maria L’Istituto ha lo stesso fondatore degli apostoli di Gesù e fu iniziato nel 1975 con il nome ufficiale di “Congregazione Missionaria delle Suore Evangeliste di Maria”. La Costituzione del 1975 fu revisionata secondo il Diritto Canonico del 1983 ed approvata da Mons. Davies, Vescovo di Ngong, nella cui Diocesi si trova la Casa Madre. La Costituzione sottolinea il loro principale scopo: “la prima evangelizzazione tramite l’insegnamento del Catechismo” principalmente in Africa. Comunque, la loro meta finale è sempre di testimoniare Cristo e i valori spirituali propri della consacrazione religiosa. m. Suore Missionarie di Maria Madre della Chiesa L’Istituto non fu fondato da missionari Comboniani ma da Mons. Cesare Asili delle nostre missioni e precisamente di Moyo della tribù Madi, Dati i 17 anni di permanenza nel seminario, Mons. Cesare Asili aveva assorbito lo spirito Comboniano di dedizione e zelo missionario. La loro Casa Madre si trova a Lira (Uganda) dove Mons. Asili fu Vescovo dal 1968. Fondò l’Istituto nel 1972 come un “bouquet” per la Madonna. Era profondamente devoto alla Madonna

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in quanto tramite la sua intercessione era riuscito a diventare sacerdote nonostante molte difficoltà. A differenza di altri Istituti locali, Mons. Asili iniziò subito a reclutare membri provenienti da tutta l’Uganda. Ebbe molti seguaci, anche se non sempre furono all’altezza e ciò procurò non poche difficoltà all’Istituto sia al suo interno che all’esterno. Morì nel 1988. Le Suore sono adesso circa 200 e lavorano in Uganda, in Sudan, in Kenya e Tanzania. Molte delle Suore sono veramente degli ottimi elementi ed alcune sono specializzate. Una di esse è professoressa nell’Università statale dell’Uganda, sul colle di Makerere. n. I piccoli fratelli del Vangelo (Les Petit Freres de l’Evangile) Lomè Il nome di questo Istituto è quello nato dalla fusione di due Istituti: “I Fratelli di San Giovanni Battista” fondato nel 1968 da Mons. Dossey Ampron, Arcivescovo di Lomé (Togo) e i “Discepoli di Gesù” fondato nel 1971 da uno di nostri padri Francesco Grotto. Nel 1974, di comune accordo, i due Superiori unirono i due Istituti in uno, del quale sono direttamente responsabili i Fratelli dell’Istruzione Cristiana di Ploermel. I loro scopi principali sono: – Catechizzare i fedeli in qualsiasi modo , per ricevere i sacramenti e celebrare la Liturgia. – Promuovere le associazioni e i movimenti laicali; – Favorire l’istruzione e l’educazione cattolica. Oggi i fratelli che sono circa venti, hanno alcuni problemi, ma ci auguriamo che li possano superare presto. o. Ancelle della Chiesa La congregazione, fondata dal Vescovo A. Gasparini, MCCJ, Vicario Apostolico del Vicariato di Awasa nel Sidamo, Etiopia Meridionale, il quale affidò la formazione dei membri alle Suore Comboniane. Ebbe un inizio alquanto lento con un gruppo di giovani ragazze, le quali furono aiutate innanzi tutto, a raggiungere un livello di istruzione tale da poter poi seguire un programma di formazione religiosa adeguato. Nel 1989, ebbe inizio il noviziato e le prime cinque suore presero i voti il 15 agosto 1992. Qualche Suora Comboniana si prende cura di questa Congregazione. p. L’Istituto Secolare delle Missionarie laiche Comboniane Padre Ramponi, (morto nel 1982), nell’anno 1950 stava seguendo gruppi di aiutanti laici che si dedicavano alla promozione ed animazione missionaria. Assieme a lui, un certo numero di questi, ebbe l’idea di organizzarsi in un gruppo chiamato “Ausiliarie Comboniane”. Ottennero il Decreto di erezione canonica l’8 settembre 1968, e fu celebrato nel gennaio del 1969 dal Vescovo di Rimini Nel 1971 il nome fu cambiato in “Istituto Secolare Missionarie Comboniane” che gli da un aspetto giuridico più chiaro. Così, esso non è più un gruppo di laiche che aiutano il missionario, ma un vero e proprio Istituto missionario indipendente che mira alla “cooperazione nell’apostolato missionario, secondo lo spirito di Daniele Comboni, Apostolo d’Africa.” Siccome non sono legati dalla vita della comunità, il primo e più importante compito di ciascun membro è l’animazione missionaria della gente e dei luoghi dove esso lavora e dà una testimonianza specifica Comunque, l’Istituto offre l’opportunità, a coloro che lo desiderano, di recarsi nei territori di missione avendo prima seguito una specifica preparazione. Attualmente hanno 7 membri in Brasile e 2 nell’Ecuador. In totale sono circa 150. Il loro centro di riferimento e sede della Direzione Generale è a Carraia (Lucca-Toscana).

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q. La società delle ausiliarie laiche La Società non è un Istituto secolare: è soltanto una associazione laica i cui membri fanno promessa di fedeltà alle regole dell’associazione e al suo scopo. La promessa viene fatta dopo due anni di formazione spirituale e specifica per l’apostolato al servizio della Diocesi o Parrocchia. La Società fu fondata da p. Antonio Lasalandra nel 1970 a Maracha nella Diocesi di Arua (Uganda). r. Movimento dei piccoli fratelli di Maria (Pequenos Hermanos de Maria) Il movimento fu iniziato nel 1971 da P. Antonio Piacentini (+2002) che una forte esperienza dello Spirito Santo spinse a far conoscere il Vangelo . Pensò che da solo non avrebbe potuto fare giustizia alla ricchezza racchiusa nel Vangelo ma poteva condividerla con il maggior numero di fedeli possibile. Naturalmente l’evangelizzatore deve, innanzitutto vivere lui stesso il Vangelo ed essere testimone di Cristo con i fatti e le parole. Così fu per P. Antonio. La natura del movimento è scritta nel Decreto di approvazione del Consiglio Pontificio dei Laici che riconosce che il “Movimento dei piccoli fratelli di Maria “è una associazione privata internazionale composta da fedeli Cristiani di Diritto Pontificio, che ha personalità giuridica secondo i Canoni 298- 311, 321-329, del Codice di Diritto Canonico”. Nello stesso Decreto datato 2 luglio 1991, la Costituzione è approvata “ad experimentum”, per un periodo di tre anni . Il movimento si e diffuso in Messico e nelle Filippine , in modo particolare, ed in altre 16 nazioni. Può adesso vantare circa 16.000 membri. La Base per l’approvazione è: – L’approvazione dell’Ordinario dalla Prefettura di La Paz nel 1974 – La raccomandazione del Superiore generale dei Missionari Comboniani: – Le lodi da parte di molti ordinari diocesani; – La conformità della Costituzione alla dottrina e alle Leggi della Chiesa; – Lo stile di vita evangelico fondata sulla spiritualità di p. Charles de Foucaud e p. René Voillaume; – La chiara ispirazione missionaria e le conseguenti attività. s. Missionarie Diocesane del Sacro Cuore Questa istituzione fu iniziata come Pia Associazione da mons. Bartolucci (+1995) e Suor Cecilia Davila, ex membro dell’Ordine della Visitazione . Fu approvato dal Vicario Apostolico di Esmeraldas ed il suo Consiglio Presbiteriano il 9 giugno 1983. Inizialmente le aspiranti erano principalmente giovani donne che non erano state accettate in vari altri Istituti a causa della loro poca scolarizzazione. Lo scopo dell’Istituto era di servire le diocesi secondo le loro diverse necessità. Nel 1996 le suore professe erano otto, due le novizie, sette le postulanti e due le aspiranti. Le suore sono responsabili di diverse attività: del centro di Santa Croce per Ritiri, del centro Madonna della Speranza per ragazze, della Nazareth School per ragazze provenienti dalla campagna ma che vivono in città; della Procura Diocesana di Quito, e della catechesi in diverse parrocchie. La Superiora Generale è la co-fondatrice Suor Cecilia Davila. P. Giovanni Marengoni, fondatore. Evangelizzatori Contemplativi del Sacro Cuore di Gesù (CECC - 1990) “29.6.1990: il giorno fatto dal Signore! / membri professi hanno rinnovato i loro voti: tra essi un sacerdote, uno in quarta teologia, uno in terza e quattro in prima. 14 postulanti sono stati ammessi al noviziato; 2 sono in seconda teologia, 9 hanno finito la filo-

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sofia, 3 sono aspiranti fratelli; 25 aspiranti sono stati ammessi al postulato: 19 sono in seconda filosofia, 6 per fratelli. Ora gli aspiranti sono 18. (Questo ha scritto il Fondatore, p. Giovanni Marengoni, pieno di riconoscenza al Signore. NATURA – SCOPO – ATTIVITÀ DEL CECC a.

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L’Istituto CEEC è per sua natura: Contemplativo: in quanto promuove la preghiera contemplativa nei suoi membri tramite la preghiera comunitaria e personale: messa solenne giornaliera, l’intero Ufficio Divino, due meditazioni contemplative al giorno, mezz’ora di Lectio Divina, il Rosario Biblico, la Via del Mistero Pasquale (Via Crucis). Evangelizzatore: giornate di preghiera, esercizi spirituali e missioni popolari; ministero sacerdotale nelle loro chiese (che si trovano preferibilmente nelle città). Scrivono opuscoli, specialmente sulla preghiera. Missionario: opera nei paesi considerati strettamente missionari, ed aiutano nella animazione missionaria e nel processo di conversione secondo la sua identità. Consacrato al Cuore di Gesù: il CECC mira ad imitare le attitudini interiori fondamentali del Cuore di Cristo, cioè la Sua consacrazione al Padre, affinché i suoi fratelli possano , anch’essi, essere consacrati nello Spirito e nella verità. I membri pregano in modo particolare per la santificazione dei missionari, di tutti i sacerdoti e religiosi, in special modo nei paesi di missione. Clericale: però è sia per sacerdoti che fratelli. I fratelli sono i veri contemplativi però danno anche una mano nel lavoro di evangelizzazione, specialmente per quanto riguarda i lavoratori.

BREVE STORIA L’Istituto CECC fu canonicamente creato come associazione pubblica da Sua Ecc. Ndingi Mwana a’ Nzeki, Vescovo di Nakuru, con decreto datato 15/04/1986. Egli scrisse: “Prego Dio che attraverso l’intercessione della Beata Vergine , Madre di Dio, di San Giuseppe, di San Giovanni l’Evangelista (di San Carlo Lwanga, noi aggiungemmo), i protettori e patroni celesti del CECC, esso possa avere abbondanti grazie e benedizioni, assieme a tutti i suoi membri e sostenitori.” Nel 1995 fu raggiunto un accordo di cooperazione fra il CECC , la Diocesi di Nakuru e i Missionari Comboniani della Provincia del Kenya, per far sì che il fondatore, p. Marengoni, ed alcuni altri collaboratori potessero continuare il loro operato “ad personam”. Nel 1998, il Nunzio Apostolico , Arcivescovo Giovanni Tonucci, organizzò una visita canonica dell’Associazione . A seguito della visita, due padri Comboniani furono nominati a revisionare la vita interna dell’Associazione per un anno: p. Carlo Pasinetti (Superiore Generale) e p. Luigi Girardi (Direttore Spirituale) Questo mandato fu esteso, di comune accordo per altri tre anni fino all’agosto del 2002. Alla fine del 1999, p. Marengoni lasciò Rongai per permettere agli altri di avere più libertà di azione. Tuttavia, nel 2002 gli fu ufficialmente richiesto di organizzare il Primo Capitolo Generale dell’Associazione e preparare la prima stesura delle Regole per la fondazione di una congregazione religiosa. Nel frattempo il CECC aveva costruito una casa per i Teologi a Langata (Nairobi) e aperto una sussidiaria o comunità missionaria, nella diocesi di Isiolo. All’inizio del 2002 i membri erano: 42 professi con voti perpetui (23 sacerdoti, 3 diaconi, 16 studenti di teologia), 22 professi di voti temporanei, 8 novizi, ed un buon numero di postulanti.

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u. Progetto Missionario “Maria Stella Maris” Responsabile di una grande “Favela” chiamata Guasmo, a Guayaquil in Ecuador, P. Olindo Spagnolo, ora Vescovo, si rese presto conto del caos morale, legale e spirituale in cui si trovavano i suoi abitanti. Si prefisse di fondare comunità missionarie che avrebbero vissuto fra i poveri ed abbandonati. Così , nel 1991, egli diede vita al suo progetto che doveva realizzarsi in quattro settori: Ø Un Istituto per sacerdoti che doveva diventare “La Società di Vita Apostolica “ad Gentes” Maria Estrella del Mar”. Attualmente c’è una casa di formazione con sacerdoti, diaconi, studenti di teologia e di filosofia. L’Istituto fu approvato dall’Ordinario di Medellin il 30 gennaio 1995. Ø Una Congregazione Missionaria di Donne Religiose. “Maria Estrella del Mar”. Essa fu approvata il 1 maggio 1995 dall’Ordinario di Ibarra. Attualmente le suore professe sono nove, le Novizie diciotto, le Postulanti dodici. Ø Una Fraternità Sacerdotale che ha 20 membri al momento. Ø Una Fraternità Laica con 40 membri. 4. Inculturazione a. Conoscere e capire la lingua Il primo elemento per una vera inculturazione è quello di conoscere e capire la lingua. È pura illusione pensare che si possa penetrare nella cultura della gente senza la conoscenza sostanziale di almeno una lingua (dialetto), che viene parlata nelle case e nei villaggi. I nostri missionari ebbero come loro primo scopo quello di studiare le lingue locali. Nelle nostre prime missioni in Uganda e nel Sudan, questo compito non fu facile a causa delle numerose lingue parlate dagli indigeni, alcune hanno una radice comune, come le lingue Bantu e Lwo, altre sono totalmente differenti sia da queste due che fra di loro. Autorevoli Confratelli in questo campo furono i seguenti: P. PASQUALE CRAZZOLARA (1884-1976) Linguista e Etnologo con animo profondamente missionario Esso fu uno dei primi missionari ad arrivare in Uganda a Omach nel 1910. Iniziò immediatamente ad imparare la lingua Acholi, Lwoo e quando fu trasferito nel Sudan meridionale imparò anche la lingua Nuer. Frequentò corsi di fonetica e antropologia all’Università di Vienna e Londra. Pubblicò una grammatica ed un dizionario della lingua Acholi , nonché un dizionario della lingua Lugbara (Madi), corredato da alfabeto fonetico e accenti. Essi sono diventati due opere classiche. Scrisse anche due volumi sulle migrazioni Lwo, i primi nel loro genere. Gli fu conferita la Medaglia della Royal Society of Lodon , l’M.B.E. (Membro dell’Impero Britannico) e la nomina a Commendatore della Repubblica Italiana. All’età di sessant’anni iniziò lo studio particolareggiato di una piccola tribù della diocesi di Arua, gli Okebo. Già ottantenne iniziò a scrivere una grammatica in Ngakarimojong, che purtroppo non finì. L’opera fu completata dai padri Bruno Novelli e Mario Mantovani. Alla base della vita e degli studi di p. Crazzolara era l’ideale missionario: far conoscere Dio agli africani. Questa fu la sintesi della sua vita fino alla fine. Un uomo di intelligenza superiore, egli anelava ad insegnare e spiegare il catechismo ai piccoli ed agli illetterati perché li amava. Era consapevole delle loro difficoltà, delle loro limitazioni, condivise i loro problemi e fu capace di indicare le possibili soluzioni. Il Vescovo Cesana, che visse con lui, testimoniò nel suo necrologio “Noi lo amavamo e lo guardavamo con una certa venerazione”. PADRE FILIBERTO GIORGETTI (1902 –1978) Etnologo e musicista con l’anima africana. Imparò il linguaggio del tamburo Azande, il “gugu” Padre “Jero” come veniva chiamato, era un genio musicale, per quanto ne sappia, a tutt’oggi il migliore dei nostri missionari. Ebbe l’intelligenza e l’interesse di studiare il tamburo Azande, perché l’originalità della musica africana non è la melodia, e neanche l’armonia, ma il ritmo dato dal tamburo, gli

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intervalli fra toni maggiori e minori come messaggi che vengono trasmessi dallo stesso tamburo. Inoltre secondo le diverse occasioni o manifestazioni si usano tamburi differenti. Fu dopo aver studiato il tamburo che p. Jero divenne conoscitore e supremo suonatore della musica Azande. Se teniamo a mente il ruolo del tamburo e delle canzoni nella musica africana moderna, possiamo capire il ruolo di pioniere avuto da p. Jero. Dal necrologio di p. Santandrea, suo amico e collega raccogliamo: “Da tempo p. Giorgetti si era reso conto che la nostra lingua latina, quella che usavamo per le preghiere e trapiantata in Africa, non piaceva molto alle popolazioni locali. Quello che mancava era la loro musica e specialmente le loro danze, naturalmente ridimensionate. Così furono composte canzoni originali che furono immediatamente imparate e cantate a squarciagola dall’intera assemblea. Poi vennero le danze para-liturgiche che rappresentavano scene della Natività, e della Via Crucis. Infine anche canti per divertimento che piacevano a tutti e che attiravano grandi folle: piccoli balli Zande che entusiasmavano sia i negri che i bianchi. I bianchi di Juba, la capitale delle provincia continuavano a chiederne altri. Non dobbiamo dimenticarci che grazie a Jero, la musica divenne un fattore importante nella formazione religiosa. Le sue canzoni, con ritornelli in impeccabile lingua Azande che esprimevano lodi al Signore, a Dio, alla Vergine, o le verità fondamentali della nostra fede accompagnavano le melodie Zande. Esse passavano di bocca in bocca istruendo ed edificando la gente. Non furono solo i cattolici a cantare queste canzoni, ma anche i pagani ed i protestanti. Spesso si sentivano cantare durante i balli mondani, magari con versi osceni. Divennero patrimonio degli Azande che nelle canzoni trovarono la loro lingua e la loro vera musica. Non poche di queste canzoni furono ispirate da cantanti Zande, un motivo sentito qua e la, dal sempre attento Jero”1 Come etnologo p. Giorgetti è internazionalmente conosciuto per la sua profonda conoscenza degli Azande . Tre dei suoi libri lo testimoniano “La Superstizione Zande”: il titolo non è appropriato in quanto il libro contiene materiale che non ha molto a che fare con il titolo. “La Morte fra gli Zande del Sudan” con testo in inglese che ebbe miglior fortuna del primo. “Non siamo cannibali”, il suo ultimo lavoro pieno di interesse antropologico e storico che stava scrivendo in inglese negli ultimi giorni della sua vita. I tre libri assieme costituiscono un monumento significativo alla cultura del popolo Azande. Oltre a vari articoli pubblicati in Nigrizia , tre articoli furono pubblicati in riviste di fama internazionale 2 come “Africa “e “Gli Annali Lateranensi ” PADRE STEFANO SANTANDREA (1904-1990) - Un’enciclopedia vivente. Per festeggiare il suo ottantaseiesimo compleanno, il 16 febbraio 1990, il bibliotecario della Direzione Generale, p. Alessandro Trabucchi (+1997), preparò una mostra di tutte le sue pubblicazioni e la bibliografia di tutti i suoi scritti. La mostra fu visitata dai Superiori Maggiori, confratelli e scolastici e fu un tributo, che meritava fosse fatto prima di allora. I visitatori rimasero sbalorditi del lavoro svolto da quell’umile , silenzioso e semplice p. Santandrea. Scrisse 150 libri e opuscoli, tutti riguardanti argomenti di etnografia. Tutto questo senza contare gli innumerevoli articoli scritti per riviste specializzate , la maggior parte dei quali in inglese, nonché le relative traduzioni . Valutare tutti i suoi scritti non è facile. Fu ritenuto una grande autorità per tutto quello che riguardava l’Africa le sue opinioni erano richieste ed apprezzate da studiosi di tutto il mondo. Ebbe modo di approfondire le sue conoscenze quando fu nominato bibliotecario della Congregazione a Roma. Agli ammiratori delle sue opere lui rispondeva sempre: “La cosa non ha molto valore. Spero che Gesù Cristo abbia pietà di me e dei miei trent’anni di lavoro Egli dia la priorità alla mia preferenza per i vecchi e gli abbandonati e per i lebbrosi ed in particolare per gli anni trascorsi a Khor–Malang con Fratello Giosuè e quando ero solo.”. Il suo lavoro nel campo dell’etnologia e la linguistica è apprezzato anche dagli stessi africani. Un certo Luis Omodo, suo vecchio studente ha scritto un libretto dopo 35 anni che p. Santandrea non era più nel Sudan: – Ci insegnò la Vita evangelica come modo di vivere e ci incoraggiò a camminare lungo la strada della bontà, dello sviluppo e del progresso. – Con le sue ricerche ha salvato la cultura africana – Scrisse molte cose utili per il nostro benessere e la nostra crescita – Egli fu il nostro pioniere ed animatore in ogni campo. 1 2

Vedere Bollettino n. 123 pag. 78 vedere Bollettino , ib.

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Sarà sempre ricordato nel Bahr-el-Ghazal: si consumò per noi, quindi egli è nostro, è uno di noi. Fu sempre fedele e preciso in tutti i suoi compiti: possa Dio ricompensarlo con la vita eterna. Si prendeva cura di noi con affetto e serenità. Possa egli continuare ad essere il nostro custode e protettore anche dal Cielo. – Non lo piangiamo , lo invochiamo come padre e protettore del Bahr-el Ghazal. 3 – Possa il Signore Gesù essere benedetto per avercelo mandato. Amen. Altri missionari scrissero semplici grammatiche e piccoli dizionari: p. Maccagnan (1905-1978) nella lingua Lugbara. P. Malandra nella lingua Acholi (1905-1973) Mons. A. Tarantino (1908-1990) in lingua Lango. P. Nebel (1888-1981) nelle lingue Dinka e Didinga, ecc.

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MONS. ARMIDO GASPARINI (1913) - Una Pentecoste di lingue. Ex Vicario Apostolico di Awasa, Sud Etiopia. Egli deve essere menzionato per il suo grande interesse nello studio delle lingue locali. Egli studiò le lingue per capire e conoscere la mentalità e la cultura di quei popoli. Egli imparò anche il russo per capire la liturgia orientale. Imparò l’inglese, il francese ed il tedesco, usando queste lingue nelle sue lettere ai benefattori; il greco e l’ebraico moderno lo aiutarono a capire meglio la Bibbia. Iniziò a studiare l’arabo nelle scuole superiori: ciò gli permise di imparare a memoria i versetti del Corano che studiò con tre commenti differenti. Con tale preparazione linguistica , egli imparò, non senza difficoltà la lingua etiope più antica – Ge-ez. La sua grande mente approfondì anche l’Amharico e la lingua del Tigrai .Nel 1960 scrisse la storia dell’Etiopia nella lingua Amharica. I seguenti scritti testimoniano la sua inculturazione: – La grammatica della Lingua Sidamo . Awasa 1978 (ciclostilata) . – Grammatica Gujj, Awasa (ciclostilata) – Dizionario Sidamo/inglese , pagine 362, EMI Bologna. – Grammatica Pratica della lingua Gede’o con esercizi. Prima parte , Awasa 1985 (ciclostilata) – Grammatica Gede’o: parte seconda; proverbi, Pagine del Vangelo, racconti folcloristici , Awasa 1985 (ciclostilata) – Grammatica Gede’o: LINT università di Trieste , 1994 Ciclostilata.

b. Tradizioni ed Usanze Oltre ai Padri Crazzolara, Giorgetti e Santandrea, molti altri missionari hanno scritto saggi sulle tradizioni ed usanze africane: p. Zambonardi, p. Molinaro, p. Pedrana sulle tribù sudanesi e Ugandesi. Altri libri sono stati scritti da Mons. A, Negri (+1949) p. Pellegrini (+1988) e p. Zanoner (+2000) sulle usanze degli Acholi dell’Uganda Settentrionale. c. Proverbi Per penetrare nei cuori e nelle menti della gente e per poter lavorare e vivere con essa non basta conoscere la lingua e le usanze, è altresì necessario conoscere quei valori che tendono ad avere priorità nella vita e nella società. Per esempio, gli occidentali tendono a dare molta importanza a valori come l’efficienza e la puntualità ma per i popoli del Terzo Mondo le priorità riguardano più le relazioni interpersonali e gli eventi della vita di tutti i giorni. Gli occidentali tendono ad essere più individualisti nel loro modo di vedere la vita, mentre gli abitanti del mondo preindustriale tendono a condividere e vivere molto di più le loro esperienze con la comunità. Si tratta di due stili di vita differenti fra di loro, ambedue sono buoni a patto che non diventino esclusivi. I valori che gli africani credono siano importanti sono per la maggior parte contenuti nei loro proverbi. Leggiamo i proverbi della Bibbia; dobbiamo conoscere i proverbi dei popoli con i quali viviamo e gli africani li “vivono “in modo particolare. I nostri padri si sono adoperati anche in questo campo d’interesse. P. Bruno Carollo ha raccolto e pubblicato circa 800 proverbi Acholi e Lango, P. A. Dalfovo raccolse 904 proverbi Lugbara (Uganda Settentrionale), 3

Vedere Bollettino n. 170. pagine 34-53.

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mentre P. Mario Cisternino ne raccolse addirittura 2.719 provenienti dai popoli Kigezi e Ankole (Uganda Occidentale). Questi sono ottimi contributi alla cultura africana. Dobbiamo incoraggiare i nostri missionari, ovunque essi si trovino, ma specialmente in Africa a dare la massima importanza ai proverbi, perciò cito una parte dell’introduzione del Libro dei Proverbi che si trova nella Bibbia Africana (Edizioni Paoline Nairobi). L’importanza dei proverbi in Africa. Un proverbio viene definito come una affermazione che mostra il significato intrinseco o il valore di una cosa. Gli africani fanno largo uso dei proverbi nella loro vita quotidiana sia oralmente che quando scrivono. Se nei Proverbi troviamo il detto “Una lingua gentile è come l’albero della vita”, nella società africana ne troviamo uno simile: “Se una moglie ha la lingua gentile, il marito non si rifiuterà mai di mangiare il suo cibo.” I proverbi sono lo specchio della vita, hanno la caratteristica unica di non invecchiare mai, sono validi per qualsiasi età. Sono rilevanti a tutto quanto è basilare nella vita. Aperti ad ogni cultura, ci insegnano come vivere bene da buoni cittadini, genitori, lavoratori, insegnanti o artisti e anche come vivere con Dio. Benché il libro non abbia forza teologica, dà però l’idea che tutti gli sforzi umani sono garantiti da Dio. Molti scrittori africani esplorano ogni sfaccettatura delle fatiche alle quali sono sottoposti gli uomini che imparano e combattono con il loro ambiente. Uno di questi scrittori, Chunua Achebe, ha fatto conoscere in modo intenso la cosmologia, la filosofia, la religione e le tradizioni della vita vissuta in un tipico villaggio rurale degli Igbo (est Nigeria). La vita agreste dei suoi abitanti ha influenzato i loro pensieri psicologici e filosofici come pure le loro caratteristiche umane. Achebe dice che per gli africani il proverbi sono come “Le spezie con la quale gli africani masticano la Kola.” Molti scrittori teologi, e filosofi africani hanno fatto studi approfonditi sui proverbi, essi sottolineano come i proverbi riflettono il mondo africano nel trasmettere i valori fondamentali della vita. Se il lettore presta attenzione al confronto fra i Proverbi della Bibbia e i proverbi africani, si vedranno molte similitudini. I proverbi africani riguardano l’educazione, l’insegnamento morale, il concetto di Dio, ecc. Questo ci suggerisce che non c’è contrasto fra la saggezza Biblica e quella africana in quanto ambedue si basano sull’esperienza umana e sono ispirati da Dio stesso. Nella proclamazione del Vangelo, i cristiani non devono temere di vedere i proverbi africani affiancati a quelli biblici. Dovremmo unire la saggezza di ambedue.

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Capitolo Quinto DAL 1919 AL 1931

A. TERZO CAPITOLO GENERALE (Verona 21 settembre 1919)

I membri del Capitolo erano 22. La Congregazione contava 150 membri. Le elezioni dettero i seguenti risultati: P. Paolo Meroni, Superiore Generale; p. Antonio Vignato, p. Federico Vianello, p. Franz Heymans (+ 1948 all’età di 83 anni) Jacob Lehr (+ 1966 all’età di 89 anni). PADRE PAOLO MERONI. Nacque a Milano nel 1873 e studiò nel seminario della diocesi della sua stessa città dove si fece notare per la sua grande intelligenza e l’amore per la filosofia e la teologia morale Nel 1896 si unì al nostro Istituto. Dopo la morte del Vescovo Roveggio, egli fu nominato Superiore Religioso del Vicariato, in quanto le autorità ecclesiastiche e religiose erano già divise. Aveva solo 29 anni. Coinvolto in un naufragio nel Mediterraneo durante la Prima Guerra mondiale mentre stava tornando a Khartoum, fu costretto a tornare in Italia. Fu Superiore Generale per 12 anni. È stato l’attore principale della separazione dei membri italiani da quelli austro-tedeschi, Aumentò il numero dei seminari minori, in Italia fu l’ideatore del Bollettino della Congregazione nel 1927. Approntò le norme che i missionari sul campo dovevano seguire. Scrisse undici lettere circolari dove sottolineava l’importanza di una vita spirituale intesa come mezzo per l’apostolato, per la carità fraterna, come senso di appartenenza all’Istituto, senza mai dimenticare l’osservanza delle Regole. A lui dobbiamo il riconoscimento ufficiale di Comboni come nostro Fondatore e come modello per tutti i membri dell’Istituto. Nel primo numero del Bollettino nel 1927, egli auspica che vi vengano pubblicati dei “Passi dalle lettere del nostro grande e santo fondatore “. Nel 1928 (Lettera Circolare n. 2 19/03/28) egli annuncia l’introduzione del processo di Beatificazione di Comboni come “Nostro Primo Fondatore, modello di eroiche virtù principalmente di quelle che sono la base della vita religiosa e apostolica”. Padre Meroni morì a Verona nel 1939. Egli seguiva e auspicava in particolare modo la formazione professionale del Fratelli.

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Problemi particolari del Capitolo Per la prima volta furono istituite delle commissioni per discutere alcuni problemi portati al Capitolo. Gli anni di servizio del Superiore generale e dei suoi assistenti furono ridotti da dieci a sei secondo il Codice di Diritto Canonico del 1917. Le case nei territori di lingua tedesca avrebbero chiesto di formare una loro propria provincia I cattolici nelle nostre Missioni - dicembre 1923 Khartoum 2.277 Bahr-el Ghazal 928 Nilo Equatoriale 6.668 (nel 1919: 2048) Totale 9.873

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B. QUARTO CAPITOLO GENERALE (Verona 1925) Membri del Capitolo: 18 Elezioni: P. P. Meroni (+1939 all’età di 66 anni) P. Vianello (+1936 a 62 anni); P. Francesco Saverio Bini (poi Vicario Apostolico di Khartoum dal 1930), morì nel 1953 a 67 anni; P. Pietro Audisio (+ 1943 a 66 anni) P. Domenico Francesconi (+ 1933 a 55 anni). Problemi particolari: il problema della formazione è ritenuto urgente in special modo per i fratelli; la congregazione deve impegnarsi per la costruzione di una scuola secondaria a Khartoum; il problema delle relazioni fra autorità ecclesiastiche e religiose deve essere affrontato e risolto.

C. AVVENIMENTI IMPORTANTI FRA IL 1919 E IL 1931 1. La separazione dei nostri Confratelli austriaci da quelli italiani Sin dalla morte del Vescovo Comboni erano occorsi dei fatti che possono spiegare meglio le ragioni che portarono alla divisione. Non possiamo, comunque affermare con certezza che tali eventi , in particolare quelli accaduti al di fuori del nostro Istituto portarono alla divisione. In effetti, nessuno, né gli austriaci, né gli italiani la desideravano. Padre Crazzolara, allora ancora cittadino austriaco, quando era studente a Brixen – Milland scrisse nel suo giornale “a Brixen abbiamo professori esterni sia ecclesiastici che laici. Ogni tanto sentiamo parlare della possibilità che noi qui a Milland dovremmo separarci dagli italiani. Non ho mai sentito nessuno reagire in modo positivo a questo suggerimento” (Crazzolara di p. Cisternino : ricerca.) Ecco alcuni fatti in ordine cronologico. P. JOHANNES DICHTL (nato 1857 sepolto in Austria 1889) Membro dell’Istituto Comboni e a lui molto vicino, lo assisté nelle ultime ore della sua vita. P. Dichtl era convinto che tante difficoltà che l’Istituto doveva affrontare durante quegli anni erano perché la sede dell’Istituto era a Verona. Egli era convinto che in tempi di tribolazione, causata dagli abitanti di Verona, fra i quali il Cardinale Canossa, il Comboni volesse una casa lontano da Verona; e fu per questa ragione che accettò l’offerta della casa a Sestri in Liguria. P. Dichtl, inoltre osservava che la presenza in Verona da parte dell’esercito austro-ungarico fino al 1866 poteva far pensare che i suoi abitanti non vedessero gli austriaci di buon occhio. Di conseguenza p. Dichtl decise che all’Istituto Comboni avrebbe giovato se fosse stato trasformato in un Istituto Austriaco per le Missioni all’Estero con la Casa Madre in territorio austriaco . l 26 giugno 1884, presentò il suo piano all’Imperatore austriaco Francesco Giuseppe a cui l’idea piacque tanto da promettere di aiutarlo in tutti i modi possibili. Lo stesso disse l’Arcivescovo di Vienna. P. Dichtl presentò il piano di sua iniziativa senza previa consultazione con il Cardinale di Canossa, mons. Sogaro, p. Sembianti, Superiore dell’Istituto di Verona. L’unica persona che ne era al corrente e che aveva informato era il Cardinale Simeoni, Prefetto di Propaganda Fide.

a. Interferenze del Governo Austriaco La proposta di p. Dichtl non ebbe ripercussioni sui confratelli , tuttavia, l’ambiente cattolico austriaco ne fu influenzato come abbiamo detto in precedenza. Il governo iniziò a pretendere i suoi diritti sulla missione “austriaca”: I vescovi austriaci erano disposti a fondare un seminario missionario. Questa pretesa ebbe la sua influenza sulla fondazione di Brixen (1896)

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b. Una differente formazione Non si può negare che allora la formazione variava da una regione all’altra influenzando le relazioni interpersonali delle varie nazionalità specialmente nei territori di missioni. La formazione spirituale impartita a Verona a quei tempi non poteva evitare l’influenza della mentalità piuttosto chiusa che impregnava l’atmosfera religiosa del luogo, una mentalità bigotta che Comboni stesso aveva denunciato. Al contrario, l’atmosfera che regnava nel grande impero austroungarico era in grado di creare un più profondo senso di appartenenza , che però era anche nazionalista. c. Il cambiamento da Istituto a Congregazione. La maggior parte dei missionari presenti al Cairo erano di nazionalità tedesca o austriaca, essi non ricevettero informazioni tempestive circa i cambiamenti che si avveravano e non ebbero modo di usufruire delle nuove strutture che si stavano approntando. Essi ne furono rammaricati e non accettarono di buon grado il nuovo stile di vita e la totale dipendenza dei missionari dai Superiori Religiosi (Gesuiti) di Verona. L’atteggiamento del Vescovo Sogaro e l’appoggio dell’Austria, come abbiamo visto in precedenza, aggravarono notevolmente la situazione. d. Accordo o disaccordo interno? In occasione dell’apertura delle missioni in Uganda, il Vescovo Geyer voleva che le nuove missioni fossero affidate non a italiani ma a missionari scelti dal tipo di formazione da lui impartita a Brixen. La ragione di questa scelta era quella di poter dare ai confratelli austriaci e tedeschi, che si trovavano per la maggior parte nel Sudan Settentrionale, la possibilità di essere soddisfatti del loro apostolato dato che avrebbero lavorato fra la popolazione nera ben disposta a ricevere il messaggio Evangelico. Il Vicario Apostolico inoltre, aveva notato le discrepanze esistenti e forse anche la discriminazione in atto da ambedue le parti. Se P. Vianello fosse stato d’accordo, il Vescovo sarebbe stato contento, ma non fu così. Questi voleva comunità miste che sarebbero state sapientemente guidate da P. Albino Colombaroli, suo ex novizio. Quando i Vicariati di Khartoum e Bahr-el Ghazal furono divisi (1913) il Vescovo Geyer di nuovo propose il suo piano, in quanto riteneva che quello di p. Vianello non funzionasse. A causa della sua insistenza, il 2 aprile 1913 fu firmato un accordo fra mons. Geyer e p. Vianello che stabiliva : “Il Vicariato del Sudan Settentrionale avrà missionari di lingua tedesca mentre il Vicariato del Sudan Meridionale avrà missionari di lingua italiana. Il Superiore Generale , avrà autorità su tutti i membri dell’Istituto secondo la Costituzione”. Avendo l’autorità per farlo, p. Vianello continuò ad inviare missionari appartenenti ad ambedue le comunità anche in Uganda dove comunque la maggior parte erano di origine italiana. Alcuni missionari, come p. Crazzolara erano di origine italiana, ma cittadini austriaci. Il Vescovo Geyer continuò ad assecondare la sua idea di tenere separati i due gruppi etnici , in base a quello che chiamava uguaglianza, ma che comunque era disuguale dal punto di vista numerico. Il vescovo poi decise di aprire un nuovo campo nel Camerun che apparteneva ancora al Vicariato. La scelta del Camerun e del Ciad che era sotto l’influenza politica tedesca era giustificata dal fatto che aprendo in quella regione avrebbero potuto aprire una casa di formazione in Germania. In questo modo l’Istituto avrebbe potuto contare su un maggior numero di missionari per soddisfare le necessità del Camerun e dell’Uganda. Con il personale disponibile a quei tempi, tale disegno non era comunque attuabile dall’Istituto. Il Vescovo Geyer voleva la “parità” numerica fra i due gruppi etnici; ossia, due Vicariati. I missionari di origine tedesca avrebbero avuto Khartoum ed il Camerun e quelli di origine italiana avrebbero avuto il Sudan Meridionale e l’Uganda. Egli aveva un’altra ragione per desiderare la divisone delle due etnie in Uganda: siccome c’era una grande mancanza di personale, i tedeschi presenti in Uganda avrebbero impoverito il Camerun.

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Altri motivi di dissenso si potevano notare dal fatto che nell’Istituto, allora c’erano soltanto i due gruppi etnici, di carattere e mentalità diversi fra di loro. Non dobbiamo, inoltre scordare il nazionalismo di allora. Trento era stata sotto il dominio austriaco fino al 1918. A questo si può aggiungere la tendenza di generalizzazioni gratuite “ex uno disce omnes” (tutti possono essere giudicati dal comportamento di una sola persona). e. Metodologia apostolica I tedeschi e gli austriaci puntavano in generale alla promozione sociale ed umana , ritardando l’insegnamento del catechismo finché non si arrivasse ad un certo grado di avanzamento puramente sociologico, gli italiani, invece erano per una promozione integrale cioè lo sviluppo dell’uomo intero senza indugi. Il vescovo Geyer accettava ambedue le metodologie; nessuna delle due era migliore dell’altra a patto che la metodologia austro-tedesca fosse solo questione di tempo, e fosse considerata una pre-evangelizzazione. 2. Il Capitolo del 1919 A seguito delle richieste di P. Wilfling ed avendo ponderato la questione, il Capitolo decise di erigere una provincia nel senso Canonico del termine che comprendeva le case nei territori austriaci e tedeschi con le loro strutture e i loro territori di missione a favore dei confratelli di origine germanica e austriaca. P. Meroni dette il via alle consultazioni mettendosi in contatto con il Vescovo Geyer (già ritiratosi) sperando che esso avrebbe accettato di diventare il Provinciale, ma il vescovo declinò l’invito. Si può capire. Più avanti, p. Meroni ci ripensò e non aspettò di consultare il Capitolo seguente come avrebbe dovuto fare. Inoltre visto che p. Lehr era membro della Consulta, p. Meroni ritardò di radunarla per oltre un anno (l’intero 1922) prima della decisione di separarsi. Si consultava con i due assistenti a Verona, i padri Vianello e Vignato. Abbandonò la questione della Provincia e propose la fusione o la separazione come soluzioni radicali. Padre Meroni respinse la Provincia perché, secondo lui, gli austriaci e i tedeschi accettavano candidati con troppa leggerezza per poter controbilanciare il numero di membri italiani, egli non avrebbe potuto controllarla. Aveva l’impressione, basata su fatti concreti che i confratelli germanici avevano i loro segreti che tenevano nascosti al Superiore generale. Considerò anche lo sbilanciamento giuridico di una provincia da una parte e tutto il resto sotto la diretta responsabilità del Consiglio Generale. Egli propose una fusione con un solo Noviziato a Venegono chiudendo Brixen .Gli austro tedeschi rifiutarono. La separazione secondo lui era l’unica via rimasta e così fu. Propaganda Fide mandò un suo inviato per una inchiesta approfondita e con rammarico permise la separazione. A questo punto, il Vescovo Geyer, interpellato dalla Santa Sede, dette il suo benestare alla separazione. La scelta su con chi stare fu lasciata ai singoli membri ed alcuni di loro di origine germanica decisero di restare comunque con la FSCJ, da allora chiamata “I veronesi”. Al momento della separazione questi erano 148 mentre i membri del MFSC erano 54. La separazione giuridica, da parte della Santa Sede ebbe luogo il 27 luglio 1923. La convenzione finanziaria per la divisione dei beni ebbe luogo più tardi (importante specialmente per le proprietà del Cairo). In conclusione, si possono trovare interessanti alcuni stralci del giornale di p. Crazzolara già citato. “La maggior parte dei membri di origine germanica furono internati in un campo per stranieri al Cairo per quattro anni . Non si parlò mai di una separazione, e se così fosse stato, “l’informatore” fra di loro che aveva riportato alcune faccende piuttosto spiacevoli al Superiore Generale, non avrebbe, certamente mantenuto la bocca chiusa”.

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Difatti i confratelli di lingua tedesca volevano solo una provincia in senso canonico, rimanendo all’interno della congregazione e non una separazione che invece poi fu forzata dai sentimenti contrari mostrati poi contro di loro. Difatti, p. Meroni dovette rifiutare personale tedesco che desiderava restare con la FSCJ , altrimenti non ne sarebbero restati che pochi con il nuovo Istituto. Per P. Meroni e i suoi collaboratori la separazione era ormai diventata un’ossessione. I padri di lingua tedesca continuavano a ripetere: “Verona ci ha dato il benvenuto dalla porta e adesso ci butta fuori dalla finestra!. …” Attenzione: Dalla fine della prima Guerra Mondiale, perduta dalla Germania contro gli inglesi e i loro alleati, ai missionari di origine germanica non era permesso recarsi nelle colonie britanniche. In una lettera all’Arcivescovo di Westminster, Cardinale Browne, il Ministero Indiano degli Affari Esteri gli chiese di informare il Vaticano di questa decisione, benché fosse probabile che il governo tedesco chiedesse di rivedere la questione. Il 19 maggio 1919, il Cardinale informò la Segreteria di Stato inviando una lettera di copertura. Nella sua lettera, espresse l’opinione che non sarebbe stato saggio premere sul governo britannico perché in quel momento l’opinione pubblica era alquanto risentita a causa del trattamento ricevuto dai prigionieri di guerra da parte del governo tedesco. Ciò nonostante, mons. Geyer, voleva insistere di mandare missionari non italiani a Khartoum. Su suggerimento di un certo mons. Kelly, il Vaticano gli chiese di non spingere la sua richiesta. Insistere avrebbe portato a misure ancora più aspre. L’insistenza di mons. Geyer era dovuta alla sua amicizia personale con il Governatore di Khartoum il signor Stack. Difatti, Stack gli aveva permesso di recarsi in Europa nella primavera del 1921 e di tornare con il suo segretario, un sacerdote tedesco. Il signor Stack si recò in vacanza in Inghilterra e nel frattempo mons. Geyer ricevette il verdetto finale dal Ministero degli Affari Esteri britannico che confermava quanto già stabilito: i missionari tedeschi non potevano tornare a Khartoum. IL VESCOVO GEYER passò quanto rimaneva dell’anno 1921 su una collinetta non lontano dal Mar Rosso, chiamata Sinkat. Qui , il clima era più salubre e il vescovo poté riposare come si meritava. (vedi “Passione per l’Africa “di p. Mario Cisternino MCCJ – Roma 2001 pag. 614-617). Il Vescovo tornò a Roma nella primavera del 1922. Una volta ritiratosi egli mise in atto un piano che aveva concepito durante la Prima Guerra Mondiale,. Nel suo libro “50 Jahre Ausluddentsehe Missionarbeit” (50 anni di lavoro missionario fatto da un cittadino tedesco all’estero) a pagina 159 egli scrisse: “Come già avevo fatto durante la guerra, anche adesso utilizzo il mio tempo libero per fare piani per fondate un centro di formazione per il lavoro pastorale fra i tedeschi all’estero. Questo era l’apostolato che immaginavo di fare durante le conversazioni con il Governatore Generale. Gli sviluppi della situazione a Khartoum mi facevano capire che la Divina Provvidenza mi spingeva a non indugiare oltre e mettere in pratica la mia risoluzione.” (traduzione di Fr. Antonio Ellinger) La Conferenza dei Vescovi Tedeschi di Fulda approvò le sue idee. Lo applaudirono e promisero di approvare i suoi piani. Con l’inflazione alle stelle, era inconcepibile chiedere fondi in Germania. Il vescovo Geyer pensò ai fratelli in Nord America che si erano dimostrati grandi benefattori delle nazioni europee all’indomani del Primo Conflitto Mondiale. All’inizio del 1923, egli si recò negli Stati Uniti. Trovò grande comprensione fra gli americani di origine tedesca i quali accettarono i suoi piani e contribuirono con generosità per il buon esito del piano. Il Vescovo Geyer rimase 18 mesi negli Stati Uniti, parlò con 21 vescovi e 400 parroci. Presentò il suo problema a 170 assemblee parrocchiali e in 175 scuole, istituzioni e società collegate alla Chiesa. Quei diciotto mesi furono colmi di duro lavoro, tuttavia la generosità mostratagli lo colpì molto. Non erano i ricchi a dar lui i loro contributi, ma la gente semplice. E questo lo commosse ancora di più. Rasserenato e fortificato dall’esperienza egli fondò “l’Istituto degli Angeli Custodi “Sarebbe stata una comunità religiosa di sacerdoti e fratelli. Egli favoriva una particolare devozione al Santissimo Sacramento e alla Madonna. Negli anni fra il 1926 ed il 1934, la comunità si sviluppò abbastanza bene fino ad arrivare a più di cento membri ed aspiranti. Dal 1933, la casa madre fu stabilita a Banz in Franconia sul fiume Mainz. Da qui i missionari furono mandati in tutto il mondo. Nel 1934 il primo sacerdote missionario fu mandato a San Paolo in Brasile.

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Il Vescovo Geyer aveva fondato la Società degli Angeli Custodi con grande entusiasmo e impegno. All’inizio, tutto sembrava andare per il meglio, ma la Seconda Guerra Mondiale portò alla fine della Società. IL Vescovo Geyer morì a Roma il 2 aprile del 1943 e fu sepolto nella Chiesa di Banz, in una cappella collocata sotto la torre Nord. Le notizie sopra riportate sono stralci di un articolo scritto sul Vescovo Geyer da p. Anton Ellinger.

3. Sviluppi in Europa La Revisione della Costituzione (1924) e del Direttorio generale (1928) secondo il Diritto Canonico del 1917 e l’introduzione della causa di Beatificazione del Vescovo Comboni. (1927) Nuove Case di formazione: P. Meroni ne incrementò il numero per il futuro sviluppo delle missioni. I seguenti Seminari Minori furono aperti : Thiene * (1919) per candidati destinati a diventare fratelli, dedicato a San Giuseppe. Ellwangen /Josefstal (1925), Bad Margentheim (1920)**, Trento (1926)* Venegono (16/7/1921), noviziato; dedicato alla Sacra Famiglia; Sulmona** (30/04/1927), Troia * (1927), Riccione ** (1928), Carraia ** (1931) trasformato in “Liceo Comboniano” nel 1958 e Padova (1931)* dedicato a San Giuseppe. 1 4. Sviluppi nelle Missioni 1. P. Tranquillo Silvestri (1877-1949) fu nominato Vicario Apostolico di Khartoum (8-111924). 2. Nel 1923 fu eretta una nuova Prefettura Apostolica con sede a Gulu chiamata Nilo Equatoriale, comprendeva l’Uganda Settentrionale e Bhar-el- Gebel nel Sudan. Mons. Vignato ne è il Prefetto Apostolico. Sarebbe poi diventato Vicariato Apostolico nel 1934 con Mons. Angelo Negri e Diocesi nel 1953 con il Vescovo Mons. G.B.Cesana. 3. 3. Dalla Prefettura del Nilo Equatoriale, nel 1927 fu distaccata la prefettura del Bhar-elGebel con Mons. Giuseppe Zambonardi Prefetto Apostolico. Divenne Vicariato nel 1951 con il Vescovo Mons. Sisto Mazzoldi e Archidiocesi nel 1975 affidata al clero locale. Il primo Arcivescovo fu Mons. Ireneo Dud, già vescovo della Diocesi di Rumbek. 4. A seguito della creazione della Provincia Settentrionale in Uganda da parte del governo, i distretti Lango e Karamoja furono affidati al Vicariato del Nilo Equatoriale con sede a Gulu vicino al nuovo centro amministrativo del Governo. La missione di Lira (Lango) fu fondata nel 1930 da P. Casari e Fratel Chiavegato. Nel distretto di Karamoja, la missione di Kangole fu fondata nel 1933 da P. Molinaro e Fratello Lorandi, essi furono raggiunti da P. Luigi Moizi più avanti. 5. Nel 1930 il Vescovo Silvestri si ritirò e Mons. Francesco Saverio Bini fu nominato Vicario Apostolico di Khartoum . 6. Un Direttorio per le Missioni fu pubblicato nel 1931 (Bolla n. 5 p. 114) che era più strutturale che pastorale. Era comunque stato preventivamente approvato da Propaganda Fide il 20 novembre 1930. Altre norme furono emanate dal Consiglio Generale per aiutare i missionari, incoraggiare la carità, la preparazione del personale ed il mantenimento del voto di povertà. Norme riguardanti coloro che lasciavano le missioni (Circolare n. 17)

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Le case contrassegnate con * hanno cambiato la loro funzione, con ** sono state vendute.

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TESTIMONI PADRE GIUSEPPE AMILCARE BEDUSCHI un impavido pioniere, missionario entusiasta Milano 1874 – Detwok – Sudan Meridionale 1924. Padre Giuseppe è un tipico esempio di missionario Comboniano, vibrante ed impavido. Un infaticabile fondatore di stazioni missionarie, entusiasta animatore in patria, esemplare nel suo tenero amore per gli africani e i confratelli. Formato nei seminari milanesi (1887-1895). Si innamorò dell’Africa sin da giovane, perciò chiese di essere ammesso come membro dei missionari Comboniani. Lasciò la sua casa senza chiedere il permesso dei genitore che amava veramente, e senza dire dove andava. Andò a Verona dove studiò teologia e iniziò il suo noviziato. Suo padre si trovò un giorno a Verona per affari e si insospettì di quello che stava facendo il figlio e andò a cercarlo in San Giovanni in Valle. Quando seppe quello che suo figlio stava facendo egli si infuriò e gridò “Bugiardo, traditore!” e se ne andò senza aggiungere altro. Il Novizio, affranto, scrisse una lunga lettera piena di affetto ai genitori, chiedendo che capissero la sua scelta chiedendo il loro affetto e perdono che ricevette dopo un po’ di tempo. Fu ordinato prete nell’agosto del 1899 e a settembre dello stesso anno si trovava già al Cairo a studiare l’arabo. Nel 1901 accompagnò p. Roveggio a Lul. Fu il primo a studiare la lingua Shilluk, e contribuì molto alla costruzione della missione e all’aumento della produttività nei campi della gente, insegnando come irrigare i campi, l’uso dei buoi e dell’aratro per arare la terra ecc. Nel 1902 p. Roveggio lo volle con se come compagno per il suo secondo viaggio verso l’Equatore per fondare altre missioni. Nel 1903 fece arrivare le Suore fino a Lul e nel 1904 fondò la stazione missionaria di Tonga. Nel 1911 fu mandato in Uganda per aiutare nella fondazione della missione di Gulu. Fondò anche la stazione missionaria a Minakulu. Nel 1915 si recò a Kitgum anche là per aiutare nella fondazione della missione. Presenziò al Terzo Capitolo nel 1919 e rimase in Italia per animazione missionaria fino al 1922. Nel 1923 tornò fra gli Shilluk dove fondò la stazione di Detwok e ivi morì il 10 novembre 1924. Padre Beduschi non si accontentava solo di fondare missioni anche se in questo compito eccelleva; la sua principale preoccupazione ed azione era l’evangelizzazione. Non mancò mai di impartire una lezione di catechismo, e traeva speciale conforto da quelle impartite ai giovani che amava e di cui si curava. Insegnava il catechismo con passione, spiegandolo con semplicità. Si occupava dei malati con amore sincero. Quando, nel 1917, la missione di Gulu fu chiusa per ordine governativo, a causa del vaiolo, egli chiese di poter rimanere fra i malati, incurante del pericolo. Era sempre sensibile ai loro bisogni . Gli piaceva amministrare battesimi in “articulo mortis” (in pericolo di morte). Nei due periodi che si trovò in Italia dal 1909 al 1911 e dal 1919 al 1922, fu come un medicante per i suoi fratelli e sorelle africani. Per l’animazione missionaria egli visitò tutte le parrocchie più importanti nelle diocesi di Milano e Como. I suoi giorni di visita erano sempre preceduti da un’ora di adorazione, confessione e comunione per le necessità delle missioni. Terminava la sua giornata con una conferenza e proiezioni serali. Egli era solito insistere molto sulle preghiere. Nei seminari parlava molto a proposito della perseveranza nella vocazione. Istituì e formò comitati missionari nelle principali città d’Italia. Continuava a chiedere ai gruppi di lavorare affinché si potessero fondare e mantenere le missioni. A Roma due parrocchie si presero cura delle Missioni di Torit (Sudan) e di Moyo (Uganda), a Bologna della Missione di Opari (Sudan), a Padova della Missione di Angal (Uganda), a Milano della Missione di Detwok (Sudan)e a Verona della Missione di Rejaf (Sudan). Si tenne sempre in stretto contatto con i comitati e i parroci delle parrocchie, La sua animazione missionaria fu tale da rimanere a lungo nei cuori di coloro che lo ascoltarono ammirando il suo zelo e il suo entusiasmo.

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MONS. PAOLO TRANQUILLO SILVESTRI un camminatore lento ma perseverante un infaticabile lavoratore per la Chiesa in Uganda e nel Sudan. Livigno (SO) 11/04/1876 + Rebbio (CO) 22/01/1949. Entrò nel seminario di Como dove conobbe mons. Roveggio, Vicario Apostolico dell’Africa Centrale. La prima volta fu scosso dal lavoro missionario. Fu ordinato sacerdote nel 1901 ed entrò nel Noviziato a Verona nel 1905. Due anni più tardi era già in Africa nella missione di Kayango (Bhar-el- Ghazal). I suoi particolari talenti, la sua salute, il suo buon umore erano quanto necessitava in quelle missioni difficili da gestire da ogni punto di vista e che richiedevano tatto nella conduzione. I confratelli ammiravano la sua attività apostolica così da prenderla come esempio e emularla. L’unica cosa di lui che non approvavano era la sua noncuranza sulla necessità di cibo e riposo. Fu mandato a Khartoum North come procuratore delle Missioni, quando ebbe inizio la Prima Guerra Mondiale. Il personale tedesco non era ben visto a causa della guerra, la sua prudenza e la sua serenità gli furono di grande aiuto a sedare i bollenti spiriti politici. Il 1 marzo 1920 fu nominato Superiore della missione perciò trasferì la sua residenza a Gulu. Qui fece un ottimo lavoro: visitava le stazioni e i catecumenati con ogni mezzo a sua disposizione, incoraggiando, consigliando, e stimolando il personale a fare sempre di più. Fece migliaia di chilometri a piedi o in bicicletta, che, dovette spesso spingere. Le storie che circolavano sui suoi viaggi alle montagne di Imotong e Didinga divennero celebri. Alla fine di un anno passato in Italia a recuperare la salute (soffriva di mal di testa, insonnia e mancanza di appetito), l’8 novembre 1924 fu nominato Vicario Generale di Khartoum. Partì nel mese di febbraio 1925 e fece il suo ingresso a Khartoum a marzo. Avrebbe preferito vivere la vita dura di frontiera delle missioni, ciò nonostante affrontò le sue nuove responsabilità con successo. Nello steso periodo furono aperte le stazioni di Atbara, Port Sudan e il Collegio Comboni a Khartoum. Queste imprese furono storiche per le nostre missioni sudanesi. La sua salute peggiorava rapidamente costringendolo a dimettersi. Si ritirò nel nostro seminario di Rebbio dove morì. MONS. FRANCESCO SAVERIO BINI : saggio, intelligente e prudente nelle pubbliche relazioni. Medicina, (Bologna) 26/01/1886- Venegono (Varese) 11/05/1953. Nel Capitolo del 1925 fu eletto Assistente Generale e nel 1928 Vicario generale. Durante questo periodo p. Bini lavorò molto per aumentare il numero delle Scuole Apostoliche sotto la direzione di P. Meroni, fondandone 5 in Italia. Nel gennaio del 1931 mons. Bini si trovava già nel suo Vicariato a Khartoum. In quel periodo la missione non aveva grande prestigio a causa delle strutture piccole ed inadeguate. Con l’arrivo di mons. Bini le cose cambiarono radicalmente e iniziò a fiorire. Entro pochi anni fu in grado di inaugurare la cattedrale, completare la casa vescovile, aumentare il numero delle scuole, costruire nuove chiese e abitazioni per i sacerdoti in Atbara e Port Sudan. Aprì El Obeid e ampliò Omdurman . Tutto ciò lo fece con prudenza, con intelligenza, e rispetto per le diverse nazionalità. Era in buoni rapporti con le autorità civili e militari, e aveva fiducia nei suoi collaboratori. Nel suo 20° anniversario come Vescovo (1950) il Santo Padre mostrò la sua soddisfazione nominandolo “Assistente al Soglio” , titolo molto considerato nel Vaticano. Mons. Bini rimase a Khartoum finché la salute glielo permise Morì nella nostra casa di Venegono l’11 maggio 1953 durante una vacanza in Italia consigliata dai medici. È difficile calcolare quanto la prudenza e l’abilità di mons. Bini abbiano influito nelle sue relazioni con le differenti nazionalità con cui era in contatto, riuscendo a mantenersi in buone relazioni con loro, in special modo con le autorità civili e militari che mostrarono rispetto e fiducia nei suoi confronti, anche durante la Seconda Guerra Mondiale. Era un uomo tutto d’un pezzo del quale ci si poteva fidare ciecamente. Un amico e consigliere al quale ci si poteva rivolgere per qualsiasi consiglio. Conversava piacevolmente ed era anche un abile mimico. La sua pietà e le virtù erano solide . La sua serenità era profonda specie nei momenti di sofferenza e lotta. Tuttavia, la caratteristica più rilevante della sua vita deve essere rilevata nell’amore per la sua vocazione missionaria e per la Congregazione, per la quale visse e lavorò, anche quando divenne Vicario Apostolico.

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SUORE COMBONIANE Quinto Capitolo Generale 19.07.1925 Elette Madre Costanza Caldara Suor Pierina Stoppani Suor Romana Negri Suor Rosa Tinazzi Suor Elisa Tolmer

- Superiora Generale - Vicaria Generale - Assistente Generale - Assistente Generale - Assistente Generale

Nell’agosto del 1925 l’Istituto aveva: 20 postulanti, 50 novizie, 260 professe delle quali 170 si trovavano nei territori di Missione.

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Capitolo Sesto IL NUOVO ISTITUTO DEI “MISSIONARII FILII SACRI CORDIS” MFSC (MISSIONARI FIGLI DEL SACRO CUORE)

A. L’EREZIONE DEL NUOVO ISTITUTO 1. La decisione ed il decreto La decisione di separare i membri dell’Istituto dei “Figli del Sacro Cuore “fu presa dalla Congregazione Pontificia per la Propagazione della Fede ed approvata da Papa Pio XI il 27 dicembre 1922. Tuttavia il Decreto che rendeva la decisione esecutiva non fu pubblicato solamente il 27 luglio 1923. Il Decreto era così formulato: a. I membri italiani dell’Istituto sarebbero rimasti nell’Istituto del Figli del Sacro Cuore di Gesù. Membri di altre nazionalità , che lo desideravano, potevano restare o associarsi all’altro Istituto. b. I membri austriaci e tedeschi dello stesso Istituto si aggregano ad uno nuovo Istituto chiamato “Missionari Figli del Sacro Cuore”, i membri di altre nazionalità che lo desiderano, possono anch’essi aggregarsi a questo Istituto. c. Problema ancora da risolvere: in particolare la ripartizione del patrimonio economico da discutere ed addivenire ad una decisione accettabile a ambedue le parti. d. I due istituti saranno di Rito Pontificio . e. Almeno per il momento le Regole che governano l’Istituto del Figli del Sacro Cuore resteranno valide anche per il nuovo Istituto. Secondo Decreto. La nomina del Superiore del nuovo Istituto fu fatta dalla Sacra Congregazione di Propaganda Fide, anch’essa il 27 luglio 1923. Padre Jacob Lehr, Consigliere nell’Istituto viene nominato Superiore generale. Padre Alois Mohn tedesco, e p. Alois Wilfling, austriaco, sono nominati Consiglieri generali. Queste nomine rimarranno valide fino al Primo Capitolo Generale, quando i Capitolari decideranno su due dei quattro assistenti ed eventualmente eleggerli. P. JAKOB LEHR (1877-1966) Il 22 febbraio 1966 p. Jakob Lehr morì di attacco cardiaco a Josefstal/Ellwangen, appena prima del suo novantesimo compleanno. Aveva passato 64 dei suoi anni nella vita religiosa e sacerdozio. Nacque il 10 giugno a Hockenheim, vicino ad Heidelberg. Dopo due anni di Noviziato prese i voti a Verona. Nell’autunno del 1903 fu ordinato diacono dall’allora Patriarca di Venezia, Cardinal Sarto il quale l’anno successivo sarebbe diventato Papa Pio X . Fu ordinato il 29 ottobre a Mantova. Tre mesi più tardi partì per le missioni. Essendo molto portato per le lingue, si trattenne al Cairo solo per sei mesi a studiare l’inglese e l’arabo per poi andare ad Omdurman. Fu presto richiamato per creare una nuova fondazione a Sidcup, in Inghilterra. Dopo cinque anni, andò a Verona come Segretario generale della Congregazione. Nel 1910 divenne Superiore della Missione ad Assouan in Egitto dove lavorò per altri cinque anni. Durante la Prima Guerra Mondiale fu internato per quattro anni nei campi di Ras el Tin e Sidi Bishri nel Basso Egitto. Una volta rilasciato tornò in Europa. Al Capitolo Generale del 1919 divenne uno dei quattro assistenti del Consiglio Generale della Congregazione. Il 27 luglio, 1923 fu nominato primo Superiore Generale del Missionari dei Figli del Sacro Cuore (MFSC) restando in carica fino al 1932.

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Nello stesso tempo la Prefettura Apostolica di Lydenburg fu data all’MFSC; i missionari del Sudan vi si recarono immediatamente. Durante il suo mandato la comunità crebbe come corpo religioso. Nel 1927 al Primo Capitolo generale fu rieletto. La congregazione acquistò il palazzo del direttore delle poste, sig. Wolfram ad Ellwangen per aprire un seminario (la vecchia Casa Comboni) alla fine del suo mandato andò al seminario “Ritterhause” a Bad Mergentheim. Dal 1940 fino alla sua morte rimase a Josefstal. Egli fu attivo come predicatore e nelle confessioni dei fedeli. Si teneva occupato con problemi scientifici, anche nella vecchiaia si dilettava con la matematica e la fisica. Gli piaceva anche insegnare nel seminario. Si dedicò, inoltre alla composizione di Messe ed inni per le celebrazioni liturgiche; più importante di tutti i suoi talenti , comunque fu la sua attività sacerdotale. Quando morì si stava preparando a celebrare la liturgia, che continuò dinanzi al trono di Dio.

2. La reazione dei missionari austriaci e tedeschi Come abbiamo già accennato, la maggior parte dei missionari tedeschi e austriaci non erano favorevoli alla divisione. a. Non reagirono malamente all’imposizione della separazione e sempre si considerarono una continuazione dell’Istituto missionario fondato dal Beato Comboni, fortificati spiritualmente dal cambiamento del 1887. b. Continuarono a lavorare in Africa il campo di Apostolato scelto dal Comboni. c. Mantenendo il Sacro Cuore nel loro nome , essi mostrarono la loro fedeltà al carisma del Comboni, cioè, la sua profonda spiritualità Questa triplice fedeltà a Comboni fu avvantaggiata dal fatto che loro possedevano la biografia di Comboni scritta dal Vescovo Geyer. La trasmissione di questa fedeltà facilitò, più avanti, la riunione dei due istituti. Difatti, i Figli del Sacro Cuore avevano per la prima volta, discusso sulla personalità di Comboni nel loro Capitolo del 1969, capitolo che istituì la commissione per studiare la possibile Riunione. 3. La situazione il giorno della separazione a. Lo stato del personale al momento della separazione – 27 luglio 1923 Padri: Fratelli professi: Studenti Novizi: Studenti Postulanti: Fratelli Novizi: Aspirati Fratelli: Seminaristi: Postulanti Fratelli:

26 dei quali 15 in Europa e 11 nelle Missioni 22 del quali 14 in Europa e 8 nelle Missioni 7 0 8 1 36 del quali 15 a Brixen e 21 a Josefstal 9 – tutti a Josefstal

Case esistenti in Europa al momento della divisione La casa di Milland, vicino a Brixen dal 1899 La casa di Messendorf vicino a Graz dal 1909 La casa di Josefstal vicino a Schrezheim, dal 1920 Le riviste missionarie “STERN DER NEGER” (Stella dei neri) e “WERK DER ERLOSERS” (Opera del Redentore) erano già state introdotte nei territori di lingua tedesca già prima della separazione. STERN aveva iniziato le sue pubblicazioni nel 1898 e cessò nel 1966, quando venne pubblicato per la prima volta “KONTINENTE” rivista missionaria unica per gli Istituti Missionari in Germania.

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B. NUOVO CAMPO DI APOSTOLATO Transvaal Orientale del Sud Africa Il Vicariato del Sud Africa aveva il suo centro nel Natal. Fu affidato agli Oblati di Maria Immacolata (OMI) . La parte orientale del territorio aveva il suo centro in Natal che era la sede del Vicariato Apostolico. La parte Nord Orientale del Sud Africa si chiamava Provincia del Transvaal e comprendeva il Parco Kruger ai confini con il Mozambico. Per richiesta della Chiesa Olandese Riformata , era in vigore una legge che proibiva qualsiasi altra religione nel Transvaal. Questa legge venne abrogata nel 1871. Fra i cercatori d’oro e i minatori c’era un buon numero di cattolici. Il vescovo Jolivet (OMI) arrivò a Barbeton dal Natal nel 1886 e vi costruì la prima chiesa. Durante il 1886 la provincia del Natal fu eretta Prefettura Apostolica con Prefetto mons. Schloch. Una delle prime cose che fece fu di invitare le Suore Orsoline olandesi per aprire una scuola ed un convento a Barbeton, ma nel 1897 esse se ne andarono per recarsi a Johannesburg. 1. Un giorno della primavera del 1921, il Vescovo Geyer andò alla Congregazione di Propaganda Fide, a Roma ad informare i Superiori della sua paura che i Missionari tedeschi ed austriaci non potessero far ritorno a Khartoum. Questo, come abbiamo avuto modo di vedere, per causa della Prima Guerra Mondiale, combattuta dai tedeschi e vinta dalla Gran Bretagna che aveva in mano il Sudan. Durante questa riunione, Propaganda disse a mons. Geyer che erano stati richiesti dei Missionari per recarsi in Sud Africa. La richiesta era stata fatta dal Vescovo Charles Cox (OMI) Vicario Apostolico del Vicariato del Transvaal, il quale desiderava scindere il Transvaal Orientale dal suo grande Vicariato. Sembra che in quell’occasione Propaganda offrì al Vescovo Geyer la nuova Prefettura, ma questi non accettò. Mons. Cox si impegnava per i visti dei nuovi Missionari di nazionalità tedesca ed austriaca. 2. Il 18 marzo 1922, il Cardinale Van Rossum, informò i missionari austriaci e tedeschi che i loro visti erano pronti. La decisione di separare i due istituti era stata già presa il 27 novembre 1922 sebbene non comunicata. La Prefettura Apostolica di Lydenburg, Transvaal Orientale fu eretta e affidata ai missionari tedeschi il 12 marzo 1923, prima della pubblicazione della separazione, che ebbe luogo il 27 luglio 1923.P. Daniel Kauczor fu nominato Prefetto Apostolico della nuova prefettura di Lydenburg. 3. 17 settembre 1923: benché ansiosi di partire per il nuovo campo di apostolato, fu solo in questa data che i nostri missionari riuscirono a partire da Khartoum e arrivare al Cairo il 21 dello stesso mese: nove sacerdoti e dieci fratelli per il Transvaal. La maggior parte di essi si trovavano nelle missioni ancora prima dello scoppio della guerra, ma non tornarono in Europa , preferendo recarsi direttamente in Sud Africa. 4. Il 5 gennaio 1924: I seguenti Missionari arrivarono a Lourenço Marques , (adesso Maputo): mons. Daniel Kauczor (Tedesco-polacco). I padri Joseph Klassert (tedesco), ed Alois Ipfelkofer (tedesco) .Gli altri missionari continuarono il loro viaggio verso Durban o Johannesburg. I padri Joseph Angerer (austriaco), Bernard Zorn (tedesco), Karl Fischer (cecoslovacco), Joseph Musar (iugoslavo), Stephen Berger (austriaco), Hugo Ille (cecoslovacco), e i fratelli Karl Schimd (tedesco), Raphael Kolenic (iugoslavo), Karl Klodt (tedesco), Joseph Huber (austriaco), Alexander Cygan (polacco). Giunti a Johannesburg, presentarono le loro credenziali al Vescovo Cox il quale diede loro i documenti ufficiali e la facoltà di prendere possesso della Prefettura di Lydenburg. Mons. Kauczor prese possesso della sua sede, seguito anche da p. Ipfelkofer. P. Klassert, superiore del gruppo andò a Witbank, mentre p. Musar diventò Superiore ad interim di “Maria Trost”. Il territorio dove fu istituita la missione di Maria Trost era una fattoria acquistata

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dalla prefettura Apostolica e registrata con il nome di " Missione cattolica Maria Trost” Questo nome fu dato per ricordare un famoso santuario con lo stesso nome che si trova in Austria. 5. Le prime difficoltà (cfr. p. K. Nefzger pagine 7.8) a) La fondazione della Missione : una congregazione di suore “Le Suore di Loreto “era arrivata a Lydenburg nel 1893. Benché esse vi avessero aperto una scuola, non erano ben viste a causa della loro religione. Anche con la presenza di un sacerdote , questa situazione permase fino all’arrivo dei nostri missionari nel 1924. Era allora difficile per i cattolici trovare luoghi dove aprire missioni. L’ostacolo fu raggirato con l’acquisto di fattorie e l’apertura di scuole. b) Imparare la lingua locale: alcuni missionari come p. J. Angerer e B. Zorn ,rimasero a Mariannhill per imparare lo zulù, alcuni altri pensarono che l’inglese che avevano imparato a Khartoum fosse sufficiente. Questo provocò sentimenti di frustrazione. Comunque, lo zulù non era la sola lingua parlata nella nuova prefettura, anche le lingue Nguni erano presenti. Questo rese più facile imparare lo Xhosa, lo Swazi, e il Ndebbele, ma solo due missionari conoscevano lo zulù. c) La solitudine del gruppo: uno dei vantaggi di un Istituto Missionario è la continuità della metodologia dell’Apostolato. Questo non accadde per i nostri missionari nel Transvaal. È vero che c’era un solo sacerdote residente, un certo p. A. Van Hecke (OMI) , ma all’arrivo dei nostri pionieri questi se ne andò. Coloro che erano stati a Mariannhill cercarono di mettere in pratica ciò che vi avevano imparato anche se la situazione della comunità cattolica di Mariannhill era alquanto differente da quella del Transvaal orientale. C. SVILUPPI IN PATRIA 1. La nomina di P. J Lehr La nomina di p. J. Lehr come Superiore generale del Nuovo Istituto facilitò la continuità dell’Istituto Comboniano. Dai documenti, si evince chiaramente che la Santa Sede non era contenta della separazione, anche se rimase neutra. Se avesse preso la parte di uno o dell’altro, sarebbe stato un chiaro segno che il nuovo Istituto non seguiva le orme dell’Istituto di Comboni. Il fatto che ambedue gli Istituti seguissero le stesse regole dimostra come la pensava la Santa sede. Il nome dato dai nostri missionari alla riunione del Consiglio generale fu “Konsulta”; indicando la pacifica tendenza ad una continuità. 2. La prima “Konsulta” Mentre la nomina del nuovo Superiore e i due membri della Konsulta ebbe luogo il 27 luglio 1923, la prima riunione ebbe luogo soltanto il 6 dicembre dello stesso anno: questo accadde in quanto i due membri del Consiglio Generale, i padri Mohn e Wilfling, si trovavano ancora a Khartoum ed al Cairo. Comunque, un certo numero di decisioni furono prese dal Superiore Generale. Le prime e più importanti decisioni della Konsulta furono le seguenti: – La nomina di p. Joseph Klassert a Superiore Regionale dei Missionari nel Transvaal. – La nomina di p. Isidor Stang ad Economo Generale dell’Istituto. – L’adattamento di alcune preghiere: la preghiera per gli “etiopi” fu cambiata in preghiera per gli “Africani” e la preghiera per “l’Africa Centrale” fu semplicemente per “l’Africa”. – La decisione di acquistare una casa in Austria nella Diocesi di Graz-Seckau per il Noviziato. 3. Altri importanti sviluppi a. Nomina di p. Van Haas a Segretario generale.

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b. L’acquisto della Casa a Paulustorgasse nella Diocesi di Graz Il 15 marzo 1924. Fu preparato e spedito da questa casa “Stern Der Neger”. Avrebbe dovuto essere una casa per i novizi, ma divenne un seminario minore. c. Bad Mergentheim: l’acquisto di una casa preesistente a Bad Mergentheim fu approvato dalla Diocesi di Rotenburg che il 31 marzo 1924 riconosceva come casa religiosa. Giovani seminaristi vi arrivavano da Josefstal/Schrezheim. Non fu, comunque aperta ufficialmente fino al 1928. Il 24 maggio 1924, fu convocato il primo Capitolo generale per il mese di giugno 1926. D. SVILUPPI NELLE MISSIONI 1. Maria Trost a) Al lavoro. I nostri pionieri, già abituati alle difficoltà del Sudan, riuscirono a superare le prime difficoltà e si misero al lavoro. Padre Musar aprì la Missione, i padri Reffeiner e Zorn, il primo come Superiore della Comunità ed il secondo come parroco presero in consegna la missione il 1 gennaio 1925. b) Stazione Madre. Maria Trost doveva essere naturalmente la “Stazione madre, “in quanto geograficamente si trovava al centro, e per questo, era il luogo dove i missionari si recavano per ritiri e riunioni, nonché la cura pastorale del territorio ecclesiastico. Difatti, la prima riunione dei sacerdoti ebbe luogo a Maria Trost. I problemi discussi furono: Primo, un missionario era favorevole ad occuparsi solo dei bianchi, ma naturalmente, gli altri non accettarono questo punto di vista. Il secondo problema discusso fu la faccenda della lingua e la poca conoscenza della regione . c) Le suore. IL Beato Comboni, nostro fondatore teneva molto all’aiuto pastorale che le suore potevano dare. I nostri missionari provenienti dal Sudan ne sentirono subito la mancanza. Si unirono a mons. Kauczor per chiedere alle suore del Sangue Prezioso di Mariannhill di andare a Maria Trost. Le suore arrivarono nel 1926. Avendo operato a Mariannhill, esse sapevano già cosa dovevano fare: un collegio per la scuola elementare, insegnamento, una clinica, e cura dei nostri missionari come erano solite fare le suore Comboniane a Khartoum. 2. Lydenburg Quando i nostri missionari arrivarono a Lydenburg, la sede della Prefettura Apostolica, essi trovarono: – una vecchia casa per il sacerdote OMI residente, – la chiesa benedetta dal vescovo Cox (OMI) nel 1918, – le suore di Loreto , presenti sin dal 1893, con il loro convento, la scuola e l’ostello per le ragazze. La vecchia casa non era grande abbastanza come residenza per il Prefetto Apostolico ed i sacerdoti, per cui fu costruita una nuova casa e la vecchia venduta. Nel 1924 p. Fischer si unì a p. Ipfelkofer a Lydenburg. 3. Le dimissioni di mons. Kauczor Verso la fine le 1925, mons. Kauczor annunciò la sua partenza per Roma per dare le sue dimissioni. Alcuni pensarono che avesse difficoltà ad adattarsi ai necessari cambiamenti di personale, altri alla cocciutaggine di alcuni missionari e altri ai dissapori con il Superiore Regionale, p. Klassert. Altri si rifacevano al fatto che p. Lehr , Superiore Generale incolpasse p. Kauczor per la posizione da lui presa durante la separazione dei due istituti. Difatti, p. Kauczor aveva scrittola seguente lettera a p. Meroni:

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Khartoum, 11 febbraio 1922 La mia opinione potrà sembrare orribile, ma io penso sia normale che l’Istituto imiti alcuni ordini religiosi come i Benedettini: la Congregazione madre genera una nuova congregazione come una figlia e le da la vita e lo spirito, la stessa costituzione e le stesse Regole. La Congregazione madre manderà la figlia in un altro paese con un nuovo nome e pienamente indipendente. Darà l’indipendenza e una benedizione materna: “crescite et multiplicamini” (andate, crescete e moltiplicatevi.” (Fidel G. F. p. 74.) È risaputo che p. Meroni ne fece largo uso per spingere ed imporre la divisione degli Istituti 4. Witbank fu dedicato al sacro Cuore di Gesù nel 1924. Padre Joseph Klassert, il Superiore Regionale, fu il primo Superiore a Witbank. Al suo arrivo nel Transvaal , trovò la chiesa che era stata iniziata, dal Vescovo Cox nel 1922 ed una casetta. Più avanti furono fatte delle aggiunte per accogliere p. Joseph Angerer e fr. August Cagol il quale morì nel 1977 all’età di 97 anni, uno dei missionari più vecchi. Non potevano mancare le suore. Quindi nei primi mesi del 1924 le suore Domenicane di King Williamstown aprirono la scuola di S. Tommaso d’Aquino. All’inizio la scuola doveva servire ai seminaristi che vi si recavano solo per le lezioni, ma più avanti furono aggiunti anche vitto ed alloggio. Lo standard della scuola era fra i più alti della regione. La scuola era famosa per l’eccellenza nella musica ed il canto. Tutti gli anni gli studenti della scuola prendevano eccellenti voti negli esami di Musica. 5. Altre stazioni Missionarie furono aperte prima del Capitolo del 1926 Barbeton nel 1924. La Vecchia Missione aperta dal Vescovo Olivet (OMI) nel 1886 fu riaperta nel 1924 da p. Berger e i fratelli Huber e Kolenz. I nostri missionari la lasciarono nel 1983. Ermelo con p. Musar fu aperta nel 1924, ma fu solo nel 1927 che fu possibile per un sacerdote rimanervi in modo permanente il primo dei quali fu Hugo Ille. I Francescani ne presero possesso nel 1949. E. I PIÙ SIGNIFICATIVI SVILUPPI (IN BREVE) Superiori Generali (MFSC) P. Jacob Lehr 1923-1932 Josefstal/Ellwangen P. Josef Musar 1932-1938 Josefstal/Ellwangen P. Johann Deisenbeck 1938-1955 Mellatz P. Richard Lechner 1955-1967 Josefstal/Ellwangen P. Günther Borsig 1967-1973 Josefstal/Ellwangen P. George Klose 1973-1979 Mellatz/Pöcking Dove e quando ebbero luogo i Capitoli Generali 1. Josefinum/Schrezheim 7 –12 giugno 1926 08 Capitolari 2. Josefstal 1-8 settembre 1932 11 Capitolari 3. Milland/Bressanone 1-6 settembre 1938 12 Capitolari 4. Josefstal 3 agosto - 9 settembre 1949 11 Capitolari 5. Josefstal 9-19 agosto 1955 15 Capitolari 6. Mellatz 25 luglio - 3 agosto 1967 15 Capitolari 7. Mellatz 1-30 agosto 1967 16 Capitolari 8. Mellatz 3 luglio - 5 settembre 1973 21 Capitolari 9. Mellatz (C. Speciale) 11 agosto - 2 settembre 1975 18 Capitolari

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3. Apertura della Missione in Sud Africa nel 1924. 4. Impegno in Perù 1938 5. Riunione 1979 Nota: Attualmente la Casa Provinciale si trova a Bamberg. F. IL PRIMO CAPITOLO GENERALE Josefstal/Ellwangen 7-12 giugno 1926 ed il periodo 1926-1932 1. Il Capitolo è celebrato a. La celebrazione I Capitolari erano otto sacerdoti: i Padri Jacob Leher, Alois Mohn, Alois Wilfling, Isidor Stang, Whonhass, Josef Klassert, Alois Ipfelkofer, Josef Münch, p. Klassert fu eletto segretario del Capitolo. Durante la prima seduta fu eletto p. Leher come Superiore Generale con 6 voti. I padri Alois Wilfling, Alois Ipfelkofer, Alois Mohn e Isidor Stang furono eletti assistenti. b. Argomenti e decisioni Come era la norma a quei tempi, lo scopo principale del Capitolo era quello di eleggere Il Superiore Generale. Sull’agenda c’erano, comunque, anche i seguenti punti: Ø La revisione delle Regole sarebbe rimandata a data da determinarsi. Ø Date le frizioni esistenti nelle missioni fra i superiori ecclesiastici e religiosi fu deciso che: – Il superiore religioso avrebbe esercitato la sua autorità solo nell’ambito della vita religiosa. – Nelle missioni, il superiore è anche il parroco, quindi la sua nomina spetta all’ordinario del luogo, ma d’accordo con il superiore religioso. – Il Procuratore Generale alla Santa Sede per il momento rimane quello dei Padri di Verona. – La Consulta dovrebbe incontrarsi regolarmente, ma non necessariamente ogni mese; all’occorrenza, gli assenti possono dare le loro risposte per iscritto. 2. Il periodo fra il 1926 e il 1932 a. Sviluppi in patria a. La Konsulta, (3 febbraio 1927) scelse p. Diesenbeck come assistente generale, al posto di p. Alois Mohn nominato Prefetto Apostolico nel Transvaal. b. Apertura di Mellatz il 16 aprile 1928 come Noviziato. Fino ad allora il Noviziato era stato a Brixen, ma si rese necessario spostalo in Germania. c. Durante la Konsulta del 18 novembre 1927, al Segretario Generale fu data la facoltà di voto deliberativo. d. P. Johann Schweiger fu nominato Economo Generale al posto di p. Isidor Stang, eletto assistente Generale. e. P. Josef Münch fu nominato Padre Maestro dei Fratelli a Josefstal il 18 dicembre 1930. La casa veniva ristrutturata nel frattempo.

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f.

Apertura n Stati Uniti. Nel 1930 un sacerdote MFSC fu mandato n Stati Uniti per vagliare la possibilità di aprirvi una comunità, ma dopo dieci mesi tornò senza nessuna risposta positiva. g. Unterpremstatten: la casa fu acquistata il 27 agosto 1931. Fu presto riempita da membri religiosi e 90 studenti. Fu chiamata “Casa Missionaria di Maria di Fatima.”

Sviluppi nelle Missioni a. I Fratelli intensificarono le loro attività per ottenere i finanziamenti necessari per la costruzione di dispensari e scuole b. Le scuole nelle missioni facevano parte della politica pastorale, oltre al fatto che i loro genitori ci tenevano che i ragazzi avessero una buona istruzione morale e scolastica. “Questo metodo si dimostrò molto efficace, benché alcuni battesimi possono aver avuto luogo a causa, dell’istruzione, specialmente perché la legge stabiliva che solo i cattolici potevano frequentare le nostre scuole.” (cfr. p. K. Nefzger, p. 201) c. Mons. Alois Mohn subentrò a mons. Kauczor il 10 dicembre 1926 arrivando a Lydenberg nel marzo del 1927. Il Prefetto Apostolico non ebbe vita facile con alcuni missionari, tanto che, stanco delle critiche sollevate contro di lui, dette le dimissioni nel 1938. d. 1929. Apertura di Glen Cowie con l’arrivo di altri missionari provenienti dall’Europa. Mons. Mohn poté acquistare una fattoria a Sekhukhuneland, a nord di Lydenburg. Il proprietario che vendette gli 850 acri aveva dato alla fattoria il nome di sua moglie: Glen Cowie. Padre Reffeiner, p. Brandmaier, e i Fratelli Schwingstrackl, Hilmer, e Dorn si stabilirono nella fattoria. In seguito, si unirono al gruppo le Suore di Loreto. La tenuta di Glen Cowie, vasta com’era, permise lo sviluppo di una piccola casa agricola con molti edifici annessi usati per svariate attività; l’ospedale, l’alloggio per le infermiere, i conventi, le abitazioni dei medici, scuole, mulini, officine, ed il monastero che quando fu finito fu chiamato “Elefante Bianco”. Tutto fu creato dai nostri Fratelli, in special modo da Fr. Ludwig Brand che morì nel 1998 all’età di 94 anni. G. IL SECONDO CAPITOLO GENERALE 1932 Josefstal: 1-8 dicembre 1932 ed il periodo 1932-1938 del MFSC 1. Il Capitolo a. La Celebrazione Vi presero parte 11 Capitolari. I membri del Consiglio Generale furono: i Padri Jacob Lehr, Alois Wilfling, Alois Ipfelkofer, Johann Deisenbeck, Isidor Stang. Segretario Generale: Heinrich Wohnhaas, l’Economo Generale Johann Schweiger, Superiore Regionale Josef Musar, I delegati Josef Ettl, Alfred Stadtmüller e Johann Riegler. Con 7 voti di maggioranza il Capitolo elesse p. Musar Superiore Generale al secondo ballottaggio. Residente a Josefstal / Ellwangen, rimase a capo dell’Istituto dal 1932 al 1938. I Padri Alois Wilfling, Isidor Stang, Johann Deisenbeck, e Josef Ettl furono eletti assistenti.

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P. JOSEF MUSAR. Nato a Radece (Diocesi di Laibach – Ljubljana) nel 1890, fu ordinato sacerdote dal Vescovo Franziskus Egger il 25 maggio 1915. Lavorò a Milland fino al 1920 poi lavorò nelle missioni ad Omdurman fino al 1923 quando fu mandato nel Sud Africa. Là, dal 1924 al 1932, lavorò nelle seguenti missioni: Ermelo, Maria Trost, Barbeton e Lydenburg. Come Provinciale del distretto del Transvaal, partecipò al secondo Capitolo Generale dell’Istituto del 1932 e il 1 settembre fu eletto Superiore Generale. Dal 1938 al 1949 ebbe le carica di Assistente Generale rimanendo a Laibach. Da quella data tornò in Iugoslavia fino alla sua morte. Alla fine della guerra fu ospitato dai Cistercensi. Dava una mano con il lavoro pastorale, specialmente nell’ascolto delle confessioni. Non vedendoci molto bene, il parroco della sua cittadina natale lo andò a prendere in auto per riportarlo in Germania. Morì il 29 marzo 1973 dopo il secondo attacco cardiaco. Il 31 marzo, sabato ci fu il funerale nella sua cittadina natale di Radece. La solenne Messa fu concelebrata dal Vescovo di Laibach, mons. Stanislau Lenic, e p. Angerer assieme ad altri sacerdoti. Durante l’orazione funebre, dopo il Vangelo, il Vescovo parlò della vita del missionario e sottolineò il fatto che p. Musar era sempre stato unito a Cristo. Fu sepolto nella tomba dei suoi genitori. Quando p. Musar fu eletto Superiore Generale, incontrò particolari difficoltà. Nel 1933 il regime Nazista ebbe inizio e p. Musar, non essendo tedesco, si trasferì a Graz in Austria. Quando l’Austria fu annessa alla Germania, nel 1938, sembra che furono minacciati sia lui personalmente che l’Istituto. Egli, per precauzione distrusse diversi documenti. Questa è la ragione per le lacune esistenti nella documentazione di quel periodo. Un gruppo di emigrati tedeschi si stabilirono a Pozuzo in Perù. In seguito, i nostri confratelli vi fondarono una missione.

b. Argomenti e decisioni Ø Fu deciso di domandare alla santa Sede se i Vicari e Prefetti Apostolici avessero il diritto di voto attivo o passivo nelle elezioni dei delegati al Capitolo. Ø I Fratelli postulanti avrebbero dovuto pagarsi le spese personali come facevano gli altri studenti. Ø Tutti gli anni ai confratelli si doveva far un resoconto delle attività intraprese. La casa madre sarebbe stata Josefstal Ellwangen. Sarebbe stata cambiata solo con il permesso della Santa Sede. Ø La Festività di Cristo Re fu introdotta come Festa solenne per l’Istituto. Ø Per quanto riguarda gli studi, fu deciso che: – a tutti gli studenti sarebbe stato permesso di avere una laurea in studi umanistici. – Tutti gli studenti avrebbero dovuto avere frequentato almeno sei anni di studio in un Ginnasio o scuola pubblica secondaria prima di essere ammessi al Noviziato. – Ulteriori due anni di studio nell’Istituto sarebbero stati necessari prima del Noviziato. Ø Fu stabilito che i voti e l’abito sarebbero stati presi il 3 maggio ed il 9 settembre. 2. Il periodo dal 1932 al 1938 a. Sviluppi in patria a) Fu acquistata la St. Henry House a Bamberga il 2 luglio 1933. Era stato accordato il permesso per aprire una casa di formazione. La prima fu un Noviziato e nell’aprile del 1934 il Noviziato si spostò da Brixen Bamburgo. Nel 1938 c’erano 38 Novizi con p. Josef Ettl come Padre Maestro. Alcuni scolastici andarono a Bamburgo in seguito. b) Knoblecher Hous a Laibach. Il 4 giugno 1937 fu acquistata un casa in Slovenia a Laibach e ben presto ci furono 20 studenti che si unirono ai missionari.

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b. Sviluppi nelle Missioni a. SUD AFRICA. Nel 1934, fu acquistato un terreno chiamato White Waters nel Low Weld, ma era lontano dalla gente così i missionari si spostarono a sud a preparare Nelspruit che fu aperto nel 1936 poi dato alla Diocesi nel 1997. I nostri lasciarono tre tombe a White Waters. Vi morirono p. Bernhard Zorn, l’11 settembre 1942, p. Alois Hofer il 5 maggio 1947 e mons. Alois Mohn il 5 giugno 1942. Da White Waters i nostri padri si spostarono a Bongani che fu aperta nel 1950. Fu data alla Diocesi nel 1990. b. APERTURA IN PERÙ. Nel 1938 Pozuzo. Nel 1859, dopo due anni di viaggio, un gruppo di tedeschi e tirolesi arrivarono al territorio di Huanuco dove si stabilirono mantenendo la loro lingua. Nel 1937– 38, un sacerdote tirolese austriaco, p. Ranser, si mise in contatto con i nostri confratelli a Brixen chiedendo personale. Il Padre Generale Musar, si mise in contatto a sua volta con Propaganda Fide motivando la sua richiesta per le missioni. Così nacque la nuova missione. i) Propaganda Fide (SCEP) il 30 maggio affidò Pozuzo ai nostri missionari nella diocesi di Huanuco. Il Vescovo della Diocesi aveva già scritto chiedendo dei missionari. Furono nominati tre sacerdoti per questa missione. Essi erano p. Alois Ipfelkofer, di 53 anni, un veterano del Sudan (1911-1923) e del Sud Africa, p. Andreas Riedl, di 34 anni, e Michael Wagner di 26 anni. Essi partirono dal porto di Genova il 19 settembre e arrivarono a Pozuzo il 28 ottobre 1938. ii) Durante il primo anno i tre sacerdoti si resero conto della difficile situazione in cui si trovavano. Pozuzo, si trova a 700 metri sopra il livello del mare, ma i villaggi circostanti sono sparsi su una vasta area, molti dei quali a 3000 metri sopra il livello del mare. Ci si arriva a dorso di un mulo seguendo piste infestate da mosche. Quello che oggi possiamo ricordare è la testimonianza del grande spirito di sacrificio dei primi missionari. La loro testimonianza era la luce che splendeva dinanzi ad ogni vescovo e sacerdote nel chiedere ai missionari Comboniani di espandersi in altre diocesi come Tarma, Lima e Arequipa. L’epica fondazione della presenza Comboniana in Perù, fu l’inizio della nostra presenza nell’America Latina. Questo fatto ha notevoli conseguenze per la vita missionaria, l’arricchimento dell’esperienza di Chiesa e l’espansione dell’Istituto Comboniano. Una presenza che ha portato a cambiamenti nell’evoluzione dell’Istituto; la sua apertura internazionale verso altri popoli e culture e il suo cammino nell’apertura missionaria al mondo.

H. IL TERZO CAPITOLO GENERALE Milland / Brixen: 1-6 settembre 1938 ed il periodo 1938-1949 del MSFC 1. Il Capitolo a. La Celebrazione Presenti furono 12 Capitolari: i cinque membri del Consiglio Generale, i Superiori Regionali e i Delegati: p. Josef Musar, Alois Wilfling, Isidor Stang, Johann Deisenbeck, Josef Etll, Stefan Berger, Alfred Standtmüller, Josef Angerer, Johann Riegler, Josef Würz, Hugo Ille, Anton Schöpf. p. Hugo Ille fu eletto Segretario Generale. P. Johann Deisenbeck fu eletto Superiore Generale avendo ottenuto 9 voti. Egli rimase a Mellatz in Germania) I padri Josef Etll, Josef Musar, Josef Würz e Alois Wilfling furono eletti assistenti generali.

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P. JOHANN DEISENBECK nacque il 12 ottobre 1891 a Muhldorf, nella diocesi di Monaco-Freising e morì il 23 giugno 1976. La sua morte fu totalmente inaspettata in quanto fino a poco prima di morire sembrava stesse molto bene e fumava ancora i suoi sigari. La sua formazione teologica ebbe luogo nel seminario diocesano di Brixen. Fu ordinato dal Vescovo Principe Johann Raffl il 27 giugno 1924. Durante la Prima Guerra Mondiale fu ufficiale dell’esercito ricevendo anche diverse decorazioni. Egli era ancora in buona salute quando celebrò il suo cinquantesimo anniversario come sacerdote nel 1974 Superiore Generale dal 1938 al 1955, durante il suo mandato fu fondata la comunità di Mellatz. Quando p. Andrea Riedl fondò la “Spanienaktion”(organizzazione che aiutava la fondazione in Spagna), e predicava in tutta la Germania, era un piacere per p. Deisenbeck assisterlo e spronarlo. Egli si dedicò anche a lavori d’ufficio a favore della “Spanienaktion”a Mellatz. Ringraziava sempre Dio, nonostante la sua età, di potersi rendere utile per questa causa. Sicuramente era condizionato dal suo carattere e formazione e trovava difficile assecondare le innovazioni portate alla Chiesa dal Concilio Vaticano II. Morì di emorragia cerebrale dopo alcuni giorni in ospedale senza sentire alcun dolore. I missionari ricordano p. Deisenbeck più come uomo e sacerdote che come Superiore Generale, anche se fu alla guida dell’Istituto più a lungo di altri. È ricordato come Superiore durante la guerra, quando molti confratelli furono chiamati alle armi. Fece di tutto per tenersi in contatto con loro, il suo stesso passato come soldato lo aiutò a capire il loro stato d’animo. A causa della guerra il Capitolo del 1944 non ebbe luogo, e Roma prolungò il suo mandato. L’altro punto importante dopo la guerra fu quello di “raccogliere i resti”. La maggior parte delle case erano state totalmente o parzialmente occupate dal governo e il seminario di Ellwangen fu distrutto durante gli ultimi giorni della guerra. Il suo compito fu la ricostruzione materiale delle case distrutte e il rinnovo spirituale della comunità. Questo significava anche riallacciare i contatti con le Missioni, che erano stati praticamente inesistenti durante la guerra. Fu, perciò, rieletto nel Capitolo del 1949. Nel 1948 mandò 12 missionari nel Sud Africa e nel Perù, in un momento in cui sembrava che l’Istituto non avesse possibilità di sopravvivere ed neanche se i missionari tedeschi potessero mai essere di nuovo ben accetti da altre nazioni. Per esempio, i missionari che si recarono in Sud Africa si spacciarono per belgi. Nel suo modo di fare dava l’impressione di essere un tradizionalista, un ufficiale dell’esercito, creando delle difficoltà negli ultimi anni della sua vita.

b. Argomenti e decisioni Ø Fu deciso di cercare nuovi campi di lavoro nel Nord America, Ø Fu chiesto ai Fratelli di conoscere bene le lingue e che fossero ben preparati per le loro professioni. Ø Secondo la regola n. 116, ogni fratello, dopo 10 anni di lavoro nelle missioni, poteva chiedere di usufruire di una vacanza e un certo periodo di aggiornamento. Ø Il Capitolo chiese al Superiore Generale di rivedere gli usi e le tradizioni del Direttorio. Ø Fu deciso di nominare un Procuratore Generale presso la Santa Sede (fino ad allora il Procuratore dell’FSCJ rappresentava ambedue gli Istituti). 2. Il periodo dal 1938 al 1949 a. Sviluppi in Patria Questo fu il periodo più difficile e logorante dell’Istituto. a. La scuola di Bad Mergentheim fu ufficialmente chiusa dai nazisti il 1 marzo 1939, ma rimase funzionante fino al 1940. Fu riaperta il 15 aprile 1947. b. La casa di Josefinum fu occupata dai Nazisti ed usata come ospedale per le emergenze. Fu fatta saltare in aria con delle bombe dagli stessi nazisti il 21 aprile del 1945. La ricostruzione iniziò nel 1946 e l’edificio fu terminato nel 1952. Fu consacrato la vigilia della festività di San Giuseppe, il 19 marzo.

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c. Il seminario di Unterpremstätten. L’insegnamento fu proibito dal governo e sia i sacerdoti che i Fratelli furono tenuti agli arresti domiciliari. Dal 1939 al 1945 la casa fu occupata da membri delle SS ed altri corpi nazisti. Nel 1945 la casa fu occupata da militari russi, ma poi fu data ai britannici che la resero ai missionari il 20 maggio del 1947 in uno stato pietoso. d. La maggior parte dei religiosi furono chiamati alle armi e le perdite durante il conflitto furono molte. La promozione vocazionale era praticamente impossibile. Riprendersi in una Germania devastata dalla guerra e. in fase di ricostruzione sarebbe stato un procedimento lento e difficile. La situazione per quanto concerne il personale era la seguente: Ø Nel 1939 l’Istituto contava 231 membri professi dei quali 73 erano sacerdoti, 96 Fratelli, e 44 scolastici. Ø Nel 1946 i professi erano 166 dei quali 74 sacerdoti, 50 Fratelli, e 22 scolastici. Nonostante le perdite l’Istituto si riprese con grande vitalità. c. Sviluppi nelle Missioni SUD AFRICA Nuove Nomine: Nel 1939 p. Johann Riegler fu nominato Prefetto Apostolico in sostituzione di mons. Alois Mohn. Il 23 gennaio 1949 fu ordinato Vescovo in quanto la prefettura Apostolica era diventata Vicariato Apostolico. La mancanza di personale era il problema più grande. Difatti dal 1939 al 1948 nessuno arrivò nelle missioni dall’Europa. Poi, il 1 dicembre 1948 arrivarono 8 sacerdoti e tre Fratelli come Missionari “Belgi”. Dovevano nascondere la loro vera nazionalità a causa della guerra. Nonostante la grave mancanza di personale si era data vita a diverse nuove attività. Belfast nel 1942: una fattoria fu donata alla Chiesa da un certo sig. O’ Sullivan. La mancanza di sacerdoti incoraggiò i Fratelli Schimd e Kurz ad introdurre il “Servizio senza sacerdote” alla domenica. Fratel Kurz conosceva a memoria gli inni Zulù e così teneva uniti i fedeli. Ogni tanto arrivava un sacerdote per la Messa proveniente da Glen Cowie. Nel 1951 p. Demel fu il primo prete a stabilirsi a Belfast. La parrocchia fu data alla Diocesi nei primi anni 90. St. John, Barberton, fu fondata nel 1945, non lontano da St. Anthony, Barberton (aperta nel 1924). Il Vescovo Riegler aprì la nuova missione perché non si faceva abbastanza lavoro missionario a St. Anthony. Una delle ragioni di questo fatto era che i missionari di St. Anthony non erano contenti della gente che visitava la loro casa con troppa frequenza. Fu affidata alla Diocesi agli inizi d anni sessanta. Friedenheim fu aperta nel 1947 quando il Vescovo Riegler vi comprò una fattoria. Anch’essa fu data alla diocesi nei primi anni sessanta. PERÙ - POZUZO

Dopo un’esperienza pastorale di un anno, il Vescovo Francisco Rubén Bernoa chiese a due sacerdoti di collaborare nel Seminario Diocesano. P. Andreas Riedl ne divenne il rettore e p. Michael Wagner divenne Padre Spirituale e insegnante La presenza dei nostri sacerdoti nel seminario fu proficua. Quando le attività pastorali si aggiunsero al loro lavoro nel seminario, alla domenica i padri si recavano nei villaggi per celebrare la S. Messa ed amministrare i Sacramenti. Durante gli anni in cui essi prestarono servizio nel Seminario, dal 1942 al 1952, furono ordinati 17 sacerdoti, mentre altri preparati da loro divennero sacerdoti negli anni successivi.

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Nel 1948. P. Ipfelkofer morì a Pozuzo il 25 marzo 1948. Provvidenzialmente erano arrivati tre sacerdoti quell’anno: p. Stefan Berger, Andreas Lechner, e Giovanni Pezzei. Essi furono i primi ad arrivare dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale. Altri sacerdoti arrivarono negli anni successivi, e questo rese possibile dare vita ad attività di promozione umana come far arrivare l’acqua corrente e l’elettricità nelle case, cosa che meravigliò molto la popolazione locale. La gente inoltre era meravigliata dell’uso dei “piccoli sassi” fatti di argilla ed acqua, i mattoni usati per le costruzioni!

I. IL QUARTO CAPITOLO GENERALE Josefstal: 3 agosto – 9 settembre 1949 ed il periodo 1949-1955 del MSFC 1. Il Capitolo a. La celebrazione Undici capitolari parteciparono al Capitolo del 1949, il primo dopo la Seconda Guerra Mondiale. Johann Deisenbeck, Alois Wilfling, Josef Ettl, Josef Würz, Ferdinand Rainer, Alfred Stadmüller, Anton Baumgart, Adolf Stadmüller, Karl Mönch, Franz Morscher, Stephan Lintermann. Padre Musar, essendo iugoslavo, non poté partecipare per motivi politici, per cui dei dodici capitolari solo undici furono presenti. Durante la prima riunione, p. Johann Deisenbeck fu rieletto Superiore Generale con otto voti, i padri Josef Würz, Anton Baumgart, Karl Mönch, e Vinzenz Kirchler furono eletti assistenti generali. b. Argomenti e decisioni Ø La creazione di un piccolo seminario in Baveria. Ø Occuparsi di altre parrocchie sia in Europa che altrove, se questo si rivelasse vantaggioso per la Missione o per l’Istituto. Ø Fare ricerca e scrivere la storia della nascita dell’Istituto tedesco. Ø Furono dibattuti alcuni piccoli cambiamenti da apportare alle regole, si dibatté, di nuovo, sull’uso della tonaca nelle missioni, ma poi la decisione fu lasciata al superiore regionale che poteva decidere secondo le circostanze locali. Ø Nominare un sacerdote come formatore per i Fratelli che potesse prendersi cura della loro formazione umana: il loro carattere e personalità e la loro formazione religiosa. Ø Fu preparata una preghiera da recitarsi giornalmente per la beatificazione del Comboni. Ø Assieme all’Istituto del ramo italiano, fu riconosciuto che Daniele Comboni era il loro Fondatore e doveva essere rispettato come tale (cfr. Fidel González Fernández p. 120). 2. Il periodo fra il 1949 e il 1955 a. Sviluppi in patria a. L’apertura della Procura a Roma per le relazioni con la Santa Sede e le altre autorità ecclesiastiche. Fu acquistata la casa in Viale Vaticano nei pressi dei Musei Vaticani il 30 marzo 1950. Il primo Procuratore in sostituzione del Procuratore dell’FSCJ fu p. Alois Wilfling. Assieme al Procuratore, alcuni studenti che seguivano corsi presso le università romane si aggrega-

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rono alla comunità religiosa. Nel 1955 p. Anton Fink sostituì p. Wilfling il quale terminò il suo mandato nel 1979 dopo la Riunione. P. Fink passò il resto della sua vita a Roma in Via Luigi Lilio. La sua presenza fu apprezzata da tutti giovani e anziani. Morì a Ellwangen il 2 marzo 2001. b. Apertura del Seminario Minore a Neumarkt. L’apertura del seminario dimostrava la vitalità dell’Istituto dopo la tragedia della guerra. Nel 1954, dopo non poche difficoltà, la diocesi di Eichstatt, dette, finalmente, il permesso di aprire il Seminario Minore a Neumarkt, Nel 1957 fu aperto ufficialmente, ma ci furono pochi studenti. Dal 2001 è solo un centro di animazione. c. Irlanda 1950. L’Istituto esplorò la possibilità di aprire una casa in Irlanda. La risposta non fu favorevole, in quanto c’erano presenti già troppi Istituti religiosi. b. Sviluppi nelle Missioni a. Apertura di nuove cappelle e missioni nel Sud Africa. Durante questo periodo nuove missioni furono aperte nella Diocesi. Nel 1952 Eensgefonden era una diramazione di Glen Cowie. P. Richard Habicher guadagnava danaro dall’affitto dei negozi e la gestione di una pompa di benzina. La gestione fu talmente buona che rese possibile l’apertura della parrocchia di Luckau. Nel 1954 Burgersfort fu staccata da Maria Trost e sviluppata in una parrocchia da p. Lechner. Anche Acornhoek si sviluppò in questo periodo. b. Da Lydenburg a Witbank nel 1954. Siccome a Lydenburg non si vedevano possibilità di sviluppo, mons. Riegler trasferì la sua Sede a Witbank, dove si trova ancora oggi. Il convento di Loreto fu poi chiuso nel 1969 a causa della diminuzione nel numero di studenti. Lentamente, quindi, Lydenburg divenne una piccola parrocchia. Attualmente è gestita da Maria Trost. c. In Perù Ø Il Seminario di Pozuzo ricevette nuovi Missionari “Operarios Diocesanos”. I nostri Missionari lasciarono il posto alla ricerca di nuovi campi di Apostolato. Ø La Casa Madre in Perù: Durante la visita in Perù del Superiore Generale p. Deisenbeck, un terreno di circa 5.500 metri quadrati fu acquistato per una casa di proprietà dell’Istituto. La casa “Convento di S. Pietro” fu aperta nel 1954. Ø La Regione, 1952: il gruppo di missionari presenti in Perù ebbero un nuovo Superiore, p. Andreas Riedl, il quale seguendo le direttive del Superiore Generale era responsabile per quella Regione. Ø Le seguenti parrocchie furono affidate ai nostri missionari. – Panao, il 13 aprile 1952. È situata tra Huanuco e Pozuzo e i comboniani ci lavorarono per 10 anni. Quando, nel 1958, all’Istituto fu affidata la Prelatura di Tarma, la parrocchia fu data alla Diocesi. – Decanato di Llata: si trova a nord di Huanuco. Il Vescovo di Huanuco affidò il decanato e la parrocchia di Llata ai nostri missionari il 30 ottobre 1952. Ø Impegni a Lima - Mirones 1954. Il primo impegno al di fuori della Diocesi di Huanuco fu la parrocchia di S. Pio X a Lima, la capitale del Perù in una località chiamata Mirones. Oltre all’opera pastorale, la casa fungeva da “pied á terre “per i missionari di altre diocesi. Ø I primi Fratelli arrivarono in Perù nel 1955. I Fratelli Luis Castel e Kuno Stösser dovevano dirigere i lavori della costruzione della Chiesa di Huanuco.

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L. QUINTO CAPITOLO GENERALE Josefstal, 9-19 agosto 1955 ed il periodo 1955-1961 dell’MFSC 1. Il Capitolo a. La Celebrazione Vi parteciparono quindici Capitolari. Johann Deisenbeck, Josef Würz, Anton Baumgart, Karl Mönch, Vinzenz Kirchler, Alois Wilfling, (Procuratore Generale), Alfred Standtmüller, Anton Reiterer (Superiore del Sud Africa), Andreas Riedl, (Superiore del Perù), Hermann Bauer, Stephan Lintermann, Franz Koch (Sud Africa), Andreas Lechner, (Perù), e Alois Hirner (Perù). P. Stephan Lintermann fu eletto segretario del Capitolo. Era la prima volta che i Padri provenienti dal Perù si presentavano ad un Capitolo. P. Richard Lechner fu eletto Superiore Generale alla seconda votazione ottenendo 8 voti. Siccome si trovava in Sud Africa, il risultato della votazione gli fu comunicato telegraficamente. I padri Anton Baumgart, Vinzenz Kirchner, Johann Deisenbeck e Karl Mönch furono eletti Assistenti Generali. P. RICHARD LECHNER. Nacque il 16 febbraio 1911 a Tannhausen, nella diocesi di Rottenburg. Il 28 maggio 1922 iniziò i suoi studi presso il Seminario Minore di Ellwangen, e fu ordinato sacerdote il 29 giugno 1935 dal Principe Vescovo Geislert. Fu Superiore Generale per due legislature (12 anni). P. Richard fu allevato dai suoi genitori da buon Cristiano, fu sua madre ad insegnargli le preghiere. Sicuramente ella lo aiutò ad ascoltare attentamente l’ispirazione di Dio. Come primo impegno, si recò in Sud Africa dove rimase per 20 anni. Nel 1955 i confratelli lo elessero Superiore Generale (Capitolo Generale di Josefstal). Sei anni più tardi fu rieletto. Fu durante questo periodo che i primi passi furono fatti per la riunificazione d Istituti. Quello “Tedesco” e quello “Italiano”. Furono anche aperte le due fondazioni spagnole di Saldaña e Palencia (1968). Richard Lechner era un vero religioso e confratello missionario. Disse “sì” a Dio una sola volta senza mai ritornare sui suoi passi, prendendo molto seriamente il suo impegno. Morì in Sud Africa il 3 luglio 1979 durante il Capitolo della Riunione. Svolse il suo compito come Superiore Generale con il massimo impegno. Sentiva molto le responsabilità che aveva. Era malato di cancro, e lo sapeva. Era stato invitato a Roma dalle due Amministrazioni Generali per la cerimonia di riunificazione nel 1979, ma la sua salute non permise il viaggio. Scrisse una lettera ringraziando dell’invito, e disse che sarebbe stato presente spiritualmente, ringraziando Dio per il grande evento, mandava a tutti i suoi più sentiti saluti per la riunificazione dell’Istituto. Durante la sua vita fu aperto il nuovo Seminario di Neumarkt (1957) e un nuovo Noviziato fu costruito a Mellatz (1959). Inoltre i primi scolastici furono mandati a Roma a studiare (viale Vaticano). Ottemperava ai suoi doveri in modo coscienzioso. Fu il periodo in cui il MFSC crebbe di più in numero di membri.

b. Argomenti e decisioni Ø Fu richiesto al Consiglio Generale di aprire una nuova casa di Noviziato perché Bamburgo era troppo piccola per accogliere sia il noviziato che lo scolasticato. Si ritenne Mellatz il luogo più adatto per il noviziato d studenti. Ø Eccettuati casi eccezionali, il Superiore aveva il diritto di aprire le lettere dei Fratelli e degli scolastici. Ø Fu discussa la possibilità di aprire un noviziato in Sud Africa per gli africani, ma non fu presa nessuna decisione. Ø Fu delegata al Superiore Generale la decisione di aprire una casa in Spagna.

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Ø Dopo il completamento della ricostruzione di Neumarkt, ebbe inizio il lavoro a Josefstal, in quanto si riteneva un luogo possibile dove poter trasferire il noviziato dei Fratelli di Bamburgo. Ø Al Superiore Generale fu chiesto di contattare altri Istituti per avere un’idea del come organizzare le vacanze dei Fratelli; tali ferie sarebbero state della durata di 10-15 giorni. Ø Fu deciso che i superiori ed i formatori dei seminari si sarebbero incontrati, alla presenza del Superiore Generale per discutere metodi formativi. Ø Gli educatori sarebbero rimasti in carica per un periodo di almeno 6 anni. Ø Fu suggerito di vendere solo il terreno, ma non la casa e la cappella di Messendorf. 2. Sviluppi nel periodo 1955-1961 a. Sviluppi in patria Una Parrocchia negli USA. Nel 1956 all’Istituto fu affidata la Parrocchia di St. Anthony nella Diocesi di Nashville, nel Tennessee. L’intenzione era di aprivi una casa in un secondo momento, ma l’incarico terminò nel 1962 ed i due sacerdoti che vi operavano tornarono in Germania nel 1963 mettendo la parola fine al desiderio di stabilirsi là. Apertura in Spagna. Il Superiore Generale accolse la decisione presa durante il Capitolo e richiamò due sacerdoti dal Perù per aprire due case in Spagna. I padri Andreas Riedl e Anton Schöpf arrivarono in Spagna nel 1956. Nel 1958 essi ricevettero il permesso di fondare due case nella diocesi di Palencia. Una nella stessa Palencia e l’altra a Saldaña. La “Spanienaktion” era un’organizzazione dedita alla raccolta di fondi, compito che assolse in modo egregio. Nel 1960, fu fondata la casa del collegio di S. Francesco Saverio a Saldaña, mentre il Collegio di S. Pietro Claver di Palencia dovette aspettare fino al 1962 per l’acquisto di una fattoria e il permesso del Vescovo di aprirvi un Noviziato. b. Sviluppi nelle Missioni IN SUD AFRICA Ci furono cambiamenti nei Superiori Ecclesiastici. Mons. Johann Riegler morì il 7 ottobre 1955 e il rev. Reiterer fu nominato Vescovo di Witbank il 29 febbraio 1956 e consacrato a maggio dello stesso anno. Le seguenti Missioni furono aperte in questo periodo: Ø Probereen Mashabela. La terra era stata acquistata già nel 1950. Fratel Valentin aprì una scuola nel 1952 e la casa dei sacerdoti nel 1958. La missione fu data ai padri Kilteegan nel 1991, È doveroso ricordare che i Fratelli Seibold e Stang producevano le migliori arance e verdura del circondario annaffiando gli orti con l’acqua del fiume. Ø Malelane nel 1958. Fu più tardi affidata ai Padri Bianchi. Ø Pretoria. Il Vescovo Reiterer aprì un ostello a Pretoria nel 1959 per gli studenti bianchi della diocesi. Le suore Francescane accettarono la gestione dell’ostello con un padre Comboniano come direttore. Nel 1969, l’Università di Pretora volendo espandersi, chiese i locali. Molto saggiamente, il Superiore regionale p. Franz Koch (+ 1974) vedeva l’importanza di una espansione a Pretoria. Si accordò con l’Arcivescovo Garner e nel 1969 prese possesso della parrocchia di Silverton alla periferia di Johannesburg. Sia la chiesa che la casa si trovano sui terreni di proprietà della Archidiocesi e l’Istituto doveva pagare un affitto annuale per la casa.

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IN PERÙ Ø Prelatura di Tarma. Nel 1958, Papa Pio XII affidò la Prelatura di Tarma all’Istituto e nominò p. Antonio Kühner Prelato (questo territorio giuridico e ecclesiastico equivale ad una prefettura apostolica nei territori missionari). P. Kühner prese possesso di Tarma il 25 luglio. Fu consacrato Vescovo l’8 novembre 1964 durante il Concilio Ecumenico. Ø Cerro de Pasco. La responsabilità di Tarma significò altri impegni per la Prelatura, il primo dei quali fu Cerro de Pasco che fu affidato a p. Andreas Lechner nel novembre del 1958. Cerro si trova a 4380 metri sopra il livello del mare. Ø Acomamba. Una della prime parrocchie di Tarma ad essere istituite fu San Miguel de Acomamba costruita fra il 1880 ed il 1885. Fu rilevata dai padri Vincenziani (Istituto delle Missioni fondato da S. Vincenzo di Paola) da p. Roland Stang nel 1958. Acomamba si trova a dieci chilometri da Tarma a 3000 metri sopra il livello del mare. Per vent’anni i nostri missionari si dedicarono all’assistenza pastorale presso la cappella di S. Pedro da Cajas, famosa per i suoi tappeti. MONS. JOHANN RIEGLER - Un vero amico dei neri, Austria 1/12/1901- Witbank 7/10/1955 Il Vescovo Johann Riegler fu trasferito in Sud Africa dove arrivò il 1 dicembre 1927. Dette vita ai collegi convitto e Maria Trost fu una delle prime missioni ad offrire il certificato di terza media per studenti di colore. Molte delle autorità governative hanno studiato a Maria Trost. Gli studenti dovevano anche dare una mano nella fattoria e nell’orto da dove proveniva il cibo che mangiavano. Riegler rimase in Sud Africa fino al 1939, seguendo le scuole e facendo regolarmente visita alle missioni lontane e la gente che vi abitava. Il 30 giugno 1939 prese il posto di mons. Mohn diventando prefetto Apostolico. Era fra i più conosciuti dei Vescovi e grande amico del Vescovo Denis Hurley. A causa della guerra non poté attuare molte delle sue idee: non c’erano fondi e non arrivava personale. Quando fu stabilita la gerarchia sud africana nel 1951, il Vescovo Riegler divenne il primo Vescovo residente di Lydenburg trasformando il Vicariato in una Diocesi. Il Vescovo non era più soltanto il Vicario del Papa, ma Vescovo residente con tutti i diritti che ne derivavano, un successore d apostoli messo per divina istituzione a capo della diocesi di Lydenburg. Ahimè, nel 1955, poco dopo aver trasferito la sua sede da Lydenburg a Witbank fu stroncato da quel raro male che è l’atrofia del cervello, e morì. Aveva solo 53 anni, il primo venerdì del mese di ottobre, la festività del santo Rosario. Fu sepolto nella cattedrale. Dopo il funerale quando tutti i dignitari se ne erano ormai andati, i cattolici neri si trattennero per lungo tempo sulla sua tomba cantando “O hamba kahle, sihlobo sethu”(Vai in pace sei stato nostro amico). L’arcivescovo Denis Hurley di Durban, suo grande amico presenziando al rito funebre, guardò i neri radunati per quel triste rito e disse: “Guardate, il loro amore e la loro devozione è la sua ricompensa”. MONS ANTON REITERER: sempre alla ricerca del Cuore di Gesù. Hafling 25/2/1908 - Middelburg (Sud Africa) 20/2/2000. Come Vescovo fece molto lavoro pionieristico nel campo pastorale, nell’istruzione, chiese, conventi, centri per catechisti, scuole, collegi, ospedali, fattorie ecc. Durante gli anni difficili dell’Apartheid fece di tutto per guidare le chiese locali attraverso il mare tempestoso, si recava personalmente negli uffici governativi di Pretoria per ottenere visti d’ingresso per i missionari e non se ne andava finché non avesse ottenuto ciò che voleva. Visitava le stazioni missionarie una volta al mese, incoraggiava i suoi collaboratori che erano spesso amareggiati e delusi nel loro duro lavoro di evangelizzazione. Il Vescovo Anton era molto cordiale e aperto, in special modo con coloro che portavano avanti il lavoro pastorale nella diocesi e con i suoi confratelli Comboniani. Le visite alle stazioni missionarie mensili erano parte integrale dei suoi impegni. Si risentiva se qualcuno di sua conoscenza passava da Witbank senza andare a salutarlo. I confratelli passavano dalla porta posteriore e non dovevano andare all’entrata principale a suonare il campanello. Non era mai necessario fissare un appuntamento per parlargli, neanche se si aveva bisogno di un letto per la notte. Mons. Reiterer presenziò a tutte e quattro le sessioni del Vaticano II (1962-1965). Anche se non fu tra quelli che introducevano cambiamenti, li accoglieva in modo positivo. Nella sua diocesi diede vita a molte iniziative di rinnovo che divennero un esempio per altre diocesi da seguire, a questo proposito ricordiamo l’istituzione di Piccole Comunità Cristiane in alcune grosse parrocchie.

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Devoto e fedele seguace di Comboni, condivideva la sua spiritualità nell’amore per il Cuore di Gesù e la Croce. La sua fede era veramente profonda. Durante le sue visite alle stazioni missionarie, sostava sempre per prima cosa in chiesa, fermamente convinto com’era che Gesù Cristo è il Signore e che la luce ed il coraggio scaturiscono da Lui. Durante tutta la sua vita ha sempre dimostrato di appartenere alla Famiglia Comboniana. Si univa sempre ai confratelli per le celebrazioni e festività della comunità. Questa apertura era radicata nel suo immenso amore per il Sacro Cuore. Egli spiegava “il nostro amore per ognuno dei membri della comunità.. amore genuino, preoccupazione reale, vera generosità, interesse reale l’uno nell’altro, il desiderio di dare se stesso agli altri… Dobbiamo lavorare e pregare che l’amore che Dio ci dimostra diventi l’amore di ognuno di noi per l’altro nella famiglia e nella comunità”. La croce non gli era estranea. Ebbe delle esperienze amare, opposizioni, fu ferito ed abbandonato. Sopportava tutto pazientemente, con perseveranza e con spirito di perdono, ed affidamento in Dio.

M. Il SESTO CAPITOLO GENERALE Mellatz: 25 luglio – 3 agosto 1961 ed il periodo dal 1961 al 1967 1. Il Capitolo a. La Celebrazione Parteciparono quindici Capitolari: i padri Richard Lechner, Johann Deisenbeck, Anton Baumgart, Karl Mönch, Vinzenz Kirchler, Stefan Lintermann (Segretario Generale), Alfred Stadmüller (economo generale), Wagner Michael (Superiore del Perù), Roth Matthias (Superiore del Sud Africa), Franz Xaver Bühler, Josef Würz, Lorenz Unfried (Perù) Albin Kladnik (Sud Africa), Wilhelm Kühner (Sud Africa), Karl Nagel (Perù). Il Procuratore Generale, p. Anton Fink, non poté partecipare in quanto gravemente malato. I presenti al Capitolo erano quattordici. P. Wilhelm Kühner fu eletto Segretario. P. Richard Lechner fu rieletto Superiore Generale al primo ballottaggio all’unanimità. I padri Anton Baumgart, Wilhelm Kühner, Stephan Lintermann ed Andreas Riedl (che non era capitolare e fu contattato tramite telegramma) furono eletti assistenti generali. Argomenti e decisioni Ø I capitolari esaminarono la situazione delle case e d edifici di Mellatz e quelli spagnoli. Fu deciso di costruire di nuovo a Josefstal e di non vendere il terreno di Messendorf. La casa di Josefstal non sarebbe stata costruita nella valle e fu discusso il modo di trovare fondi per le case di Saldaňa, Palencia e Josefstat. Ø Fu deciso che le ferie dei Fratelli sarebbero state di dieci giorni e che la veste doveva essere indossata con collare bianco o nero. Ø Fu deciso di chiudere il seminario minore di Merghenteim fino alla Pasqua successiva. Ø Fu inoltre deciso che i missionari potevano andare in ferie nei loro paesi ogni 10 anni. Ø Fu deciso di dare inizio alla revisione e rinnovo delle Costituzione e Regole. Ø Al Consiglio Generale fu data la responsabilità di comporre una preghiera per la beatificazione del Fondatore Daniele Comboni. Nota: P. Wilhelm Kühner dette le sue dimissioni alla fine del 1961 e fu sostituito da p. Karl Mönch,

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2. Sviluppi nel periodo 1961-1967 a. Sviluppi in Patria a. Apertura nell’Archidiocesi di Colonia nel 1964. Sia il Cardinale che due Vescovi ausiliari negarono l’apertura adducendo la ragione che esistevano già troppi Istituti nella diocesi. b. Noviziato in Spagna nel 1966. Il Consiglio Generale dette il permesso di costruire la nuova casa a Palencia. Nel 1968 l’edificio di sette piani fu finito e vi furono trasferiti i novizi. c. Movimento verso la Riunione. i) Dopo l’apertura della Procura a Roma in Viale Vaticano n. 50, scolastici del MFSC iniziarono ad andare a Roma, Questi e gli scolastici si riunivano regolarmente nell’Università Urbano VIII di Propaganda Fide. ii) Durante il Congresso Eucaristico, tenutosi a Monaco di Baviera, p. Battelli, vicario generale FSCJ, si incontrò con p. Lechner, Superiore Generale dei MFSC, ad Ellwangen e benché fosse un incontro privato, ambedue mostrarono interesse nella Riunione a certe condizioni. iii) Fra gli scolastici MFSC a Roma, due padri Josef Heer e Eric Schmid, erano particolarmente interessati a conoscere la storia e la spiritualità dei missionari Comboniani. P. Heer, in particolare, voleva sapere di più sulla vita dei “Veronenses”, come venivano chiamati i FSCJ. Perciò si recò allo Scolasticato Internazionale di Venegono Superiore, Varese, per osservare il loro stile di vita e la loro organizzazione. Fu molto impressionato dal numero dei membri alla fine del 1958: erano 1203, dei quali 100 erano studenti novizi e 50 candidati a diventare Fratelli, e che provenivano da 18 regioni diverse (oggi province) e con 77 membri non italiani. Si rese conto, in ogni modo, che la struttura internazionale non era messa in risalto. Notò, tuttavia, che l’erezione delle regioni avrebbe favorito una certa decentralizzazione dell’Istituto. Rimase favorevolmente impressionato dallo spirito missionario e la serietà della vita religiosa a dispetto dell’apertura ad idee moderne. Apprezzò anche l’amicizia dimostrata nei suoi confronti ed il desiderio di essere di nuovo uniti. P. Lechner ed il suo Consiglio fecero circolare la sua relazione a tutti i membri del MFSC con alcuni commenti. I punti salienti erano: Ø In caso di una eventuale Riunione, l’Istituto deve avere una Provincia separata, nel senso canonico del termine, includendo le case tedesche, austriache e le due in Alto Adige. Questa richiesta non era nemmeno da essere messa in discussione, a costo di abbandonare l’idea della Riunione. Le ragioni a favore della Riunione erano quelle che derivavano da un’origine ed eredità comune, inclusa la spiritualità del Cuore di Gesù. Ø L’identità Comboniana nei nostri servizi missionari è sempre stata viva nei due Istituti. Siccome i “Veronenses” erano 1266 (1 gennaio 1961), ci sarebbe stato più personale disponibile per le missioni. Ø Non nascose le difficoltà da sormontare, che, però, potevano essere superate gradatamente con amore reciproco e comprensione. Ø Egli poi chiese l’MFSC di votare liberamente nel Referendum. I risultati furono i seguenti: dei 227 membri, 147 (70%) si dichiararono in favore della Riunione, previo prima un dialogo, mentre 63 (29%) furono contrari; 10 furono le astensioni e 7 i voti non validi. Questi risultati furono comunicati a tutti i membri dal Segretario Generale p. Lintermann, il 31 maggio 1963. Il Superiore Generale, p Richard Lechner, quindi iniziò a visitare tutte le missioni nello spirito della Riunione. iv) Vi era inoltre da trovare una soluzione per la situazioni in Spagna dove erano presenti ambedue gli Istituti e tutti e due conosciuti come “Missioneros Combonianos”.

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Durante il Concilio Ecumenico, p. Gaetano Briani, Superiore Generale dei FSCJ, presenziò come osservatore. Il Vescovo Anton Reiterer del Sud Africa e Mons. Anton Kühner gli chiesero del personale. Nel 1963 p. Briani visitò le case in Germania rimanendone soddisfatto del come trovò i MFSC. Nel 1964, in risposta ad una lettera da parte di p. P. Chiocchetta consulente di Propaganda Fide e membro del Senato accademico dell’Università, Propaganda incoraggiò le iniziative volte alla Riunione. Nello stesso anno, 1964, p. Lechner si incontrò con p. Briani per discutere, al suo ritorno dalle visite alle missioni, ulteriori passi da prendere per arrivare alle condizioni ottimali per una Riunione. L’ora era giunta, non ancora per riunirsi, ma almeno per mettersi a tavolino a discutere. Erano necessari ulteriori dialoghi e preparazione per il Capitolo del 1967. d. Kontinente: 13 Istituti conglobarono le loro pubblicazioni in una sola rivista “Kontinente”. Perciò, la nostra rivista “Stern der Neger” sparì. Questa rivista aveva fatto un ammirevole servizio per la causa del nostro lavoro missionario per ben 68 anni. e. Commissione Preparatoria: il giorno 11 maggio 1966 il Consiglio Generale istituì una commissione per preparare un questionario relativo alla Riunione. Lo scopo era di raccogliere punti di vista e proposte riguardanti la Riunione stessa da discutere nel prossimo Capitolo. L’8 novembre 1966, il settimo Capitolo Generale viene convocato per il 1 agosto 1967 a Mellatz. Furono istituite diverse commissioni per la preparazione del Capitolo, una delle quali si sarebbe occupata della Riunione. b. Sviluppi nelle Missioni SUD AFRICA Apertura a Luckau. Questa stazione merita una speciale menzione. Nel 1960 fu acquistata e registrata come fattoria, essa era tuttavia destinata a diventare un Seminario Minore. L’8 marzo 1961 fu dato il permesso per la costruzione del seminario e di una chiesa per i fedeli della parrocchia. Fu solo nel 1967 che i nostri missionari riuscirono a prenderne possesso. L’operato era in linea con il programma Comboniano di salvare l’Africa con gli africani. Il primo rettore fu p. Vitus Grohe, mentre la parrocchia venne affidata ai padri Hubert Heller e Rudolf Friedl. Le entrate economiche di Luckau. Derivavano principalmente dal mulino gestito ammirevolmente dai fantastici Fratelli che si occupavano anche della gente del luogo. Essi costruirono anche diverse chiese nelle stazioni più lontane come Moteteme Sterkfontein. Il nostro primo Noviziato aprì a Luckau dove il primo sacerdote africano, p. Denis Bourhill (1980) iniziò il suo noviziato nel 1966 con p. Roth come Maestro dei Novizi. Prese i voti perpetui nel 1970 a Glen Cowie. Schoonoord era una delle stazioni distaccate di Glen Cowie dove Fr. Valentin Poznic costruì una chiesa nel 1945. Vi si recò p. Lephaka nel 1964 ma se ne andò poco tempo dopo, e la parrocchia fu affidata alle cure di Glen Cowie fino al 1988, quando p. Anton Graft ci andò pieno di energia e voglia di fare. Oggi la parrocchia viene chiamata Sekhukhune. Pilgrim’s Rest (il Riposo dei Pellegrini) si trovava presso le miniere d’oro e quindi c’erano molti minatori. È il più vecchio insediamento cattolico fondato da p. Welsh (OMI) nel 1875. Nel 1928 mons. Mohn costruì la nuova chiesa con l’aiuto dei proprietari della miniera e i cattolici del luogo, la maggior parte di cui erano di origine italiana.

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Nel 1964 p. Arsenault si insediò nella casetta destinata ai sacerdoti di fianco alla chiesa. Il Padre era rinomato per il suo allevamento di galline e per il fatto che al sabato mostrava dei film alla popolazione. Sabie: dal Pilgrim’s Rest p. Franz Andreas Engelhardt fondò la stazione di Sabie, dove una famiglia dalla quale prende il nome la stazione, donò il danaro per la costruzione di due chiese. Il 12 gennaio 1975 il Vescovo Reiterer le benedì. P. Lechner fu il primo parroco di Sabie. PERÙ Nuovi missionari arrivarono dall’Europa per adempiere ai loro impegni nelle diocesi di Tarma, Huanuco e Lima. Huanuco Ø Nel 1962 p. Klose aprì la “mensa per bambini poveri” a Huanuco, dandole il nome di San Martino de Porres. In seguito il nome fu cambiato in “mensa per gli alunni di San Pietro”. Questa iniziativa che incoraggiava i genitori a mandare i loro figli a scuola continua tuttora. Attualmente più di 100 bambini la frequentano. La Caritas diocesana aveva per prima messo in atto una iniziativa simile con un dispensario per i poveri e bisognosi. Ø Nel 1963 i nostri missionari lasciarono Llata della quale si erano occupati dal 1949, per andare in altre missioni. Junin y Ambo nel 1963, Hecumayo nel 1964 ed altre ancora. Ø Seminario di “San Pablo” a Tarma. Fino al 1961 a Lima c’era soltanto un seminario per maggiorenni, vi andavano studenti provenienti da alcuni seminari per minori. Comunque gli esperti si resero conto che i seminari avrebbero prodotto più sacerdoti se fossero stati gestiti da missionari non peruviani. Quindi, mons. Anton Kühner, essendo missionari Comboniano, non poté non raccogliere la sfida. Nel 1961 P. Kuno Tosser fu incaricato di preparare un progetto e costruire un Seminario per 150 ragazzi. Nel 1964 il seminario aprì con p. Josef Lang come Rettore. Tarma Ø Nel 1965 p Lorenzo Unfried tornò a Tarma come Vicario Generale e Parroco di San Miguel in Cerro de Pasco. Ø Nel marzo dello stesso anno il Vescovo ci affidò una seconda parrocchia “Señor de los Milagros” (Nostro Signore dei Miracoli). Il primo parroco fu p. Pedro Taschler. Da quanto viene riferito da p. Xavier Sanchez Vargas, il primo Comboniano peruviano di origine Iquitas, ed assistente-parroco. I laici si dedicavano con molta buona volontà al lavoro pastorale, i giovani chiedevano di avere l’opportunità di avere una buona preparazione per dedicarsi a questo tipo di lavoro. Lima Ø Nel 1965 l’Istituto acquistò 10.500 metri quadri di terreno per la costruzione della casa provinciale. Ø Nel 1966 p. Briani, il Superiore Generale FSCJ, fece visita a mons. Kühner per discutere la possibilità di mandare alcuni dei nostri missionari in Perù anche in vista di una Riunione dei due Istituti. FSCJ IN PERÙ A seguito d accordi presi fra p. Briani e mons. Kühner, i primi missionari FSCJ arrivarono a Yanahuanca nel 1966. Questa mossa fu fatta per due motivi: sia per dotare le parrocchie di sacerdoti, sia, per facilitare la Riunione dei due Istituti in quanto i membri potevano iniziare a collaborare. I primi missionari furono i padri Mario Mazzoni, Juan Rovira e il Fratel Antonio Bertato.

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Yanahuanca fu fondata nel 1700. Raggiunse il suo massimo splendore nel diciannovesimo secolo. Fu abbandonata allorché i missionari, nello stesso secolo furono espulsi, e al loro arrivo i nuovi missionari dovettero costruire una casa dove alloggiare e una chiesa. Cerro de Pasco fu il secondo impegno che i FSCJ presero in Perù a Tarma, una cittadina molto speciale a 4.380 metri sul livello del mare. C’era una miniera di rame a cielo aperto di 1 km di diametro e 200 metri di profondità: il 50% delle esportazioni peruviane provenivano da questa miniera. C’erano due parrocchie con circa 1000 parrocchiani, San Miguel e San Juan, I nuovi arrivati, i padri Eduardo Sandron, Natale Basso, e il Fratel Luigi Coronini si presero cura di san Juan. L’opera pastorale fra la gente, che aveva appena di cui sfamarsi e soffriva di silicosi che riempiva i loro polmoni, non era facile. N. IL SETTIMO CAPITOLO GENERALE MFSC Mellatz 1-30 agosto 1967 ed il periodo dal 1967 al 1973 1. Il Capitolo a. Le Celebrazioni Erano presenti sedici capitolari: I padri Richard Lechner, Anton Baumgart, Stephan Lintermann, Andreas Riedl, Karl Mönch, Anton Fink, (Procuratore Generale), Alfred Stadmüller (Economo Generale), Andreas Lechner, (Superiore del Perù), Franz Xaver Kierferle, Eric Schmid, Josef Stempfle, Albin Kladnik, Karl Wetzel (Perù), Josef Pfanner (Perù), Erich Schmid fu eletto Segretario. Günter Brosig fu eletto Superiore Generale con 9 voti su 16. I padri Josef Pfanner, Karl Mönch, Josef Uhl e Vinzenz Kirchler furono eletti Assistenti Generali. P. GÜNTER BROSIG fu Superiore Generale dal 1967 al 1973. Nato a Waldenburg, nella diocesi di Breslau, il 7 ottobre 1924 in una zona che a quel tempo era la Germania Orientale ed adesso fa parte della Polonia. Seguì gli studi teologici e noviziato a Bamburgo. Dopo la sua ordinazione andò in Sud Africa nel 1953 dove risiede tuttora a parte i sei anni in cui fu Superiore Generale. Dimostrò grande interesse nella Riunione e lo sviluppo delle fondazioni spagnole. Fece inoltre quanto poteva per potenziare le vocazioni nell’Istituto. Persona semplice senza tante esigenze, riusciva ad andare d’accordo con tutti. Fedele alle tradizioni dell’Istituto, non solo si augurava la Riunione ma seguiva con interesse gli avvenimenti.

b. Argomenti e decisioni La Riunione. Da quanto abbiamo già visto, era evidente che il problema della Riunione sarebbe stato l’argomento dominante del Capitolo. E così fu. Vale la pena ricordare che il 1967 segnava il centenario della fondazione dell’Istituto Comboniano, la speranza di una Riunione nel nome del Fondatore era auspicabile tenendo conto anche del fatto che ambedue gli Istituti si riconoscevano nelle comuni origini. La relazione sull’argomento Riunione fu affidata a p. Josef Uhl, da discutere durante la prima settimana del Capitolo. Presentò le ragioni pro e contro la Riunione, che furono seguite da una lunga discussione. Alla fine, fu chiesto a tutti se desideravano discuterne ulteriormente. La richiesta fu messa ai voti ottenendo una grande maggioranza di consensi. Tanto che aspettavano con impazienza l’arrivo d altri capitolari che non erano ancora arrivati. La condizione principale era quella di avere una provincia nel senso canonico, con chiari termini di riferimento, come ab-

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biamo già visto nella lettera del Consiglio Generale. A p. Uhl fu data la responsabilità di elaborare la struttura ideale di una tale Provincia. Il Capitolo accolse la presenza dei FSCJ in Perù. Discussione sulle condizioni dei Fratelli. Il Capitolo accettò la possibilità che i Fratelli fossero ordinati diaconi quando necessario. La proposta di avere un Consiglio speciale per i Fratelli non fu accettata. Comunque, il Superiore della comunità avrebbe potuto nominare un Fratello come membro del Consiglio della Comunità. La preparazione spirituale e professionale era, si sottolineò, assolutamente necessaria. A questo fine in ogni regione, un sacerdote avrebbe avuto la responsabilità per i Fratelli. In Germania, questo compito fu affidato all’Assistente Generale Karl Mönch. Uno Statuto per le Missioni. Con alcune opportune variazioni, fu adottato quello dei FSCJ. Lo statuto includeva la direttiva che i conti della comunità fossero tenuti separati dai conti della parrocchia. Trasferimento della Casa Madre. Fu deciso di trasferire la casa generalizia vicino a Monaco di Baviera, ma poi non se ne fece nulla. Il Consiglio Generale fu autorizzato ad apportare dei cambiamenti nelle Regole “ad experimentum”. Questo si poteva fare solo dopo averne fatta richiesta scritta ai capitolari. Una proposta fu fatta che contemplava la possibilità di occuparsi di alcune parrocchie in Europa, ma non fu accettata, si suggerì che questo avrebbe potuto essere fatto solo in caso di emergenza per la durata di tre anni. 2. Il periodo fra il 1967 ed il 1973 a. Sviluppi in Patria a. Fu deciso di nominare una commissione composta dai seguenti padri Jopseph Uhl, Josef Heer, e Stefan Lintermann, che prendesse in considerazione alcuni cambiamenti da apportare alle regole da sottoporre al Consiglio Generale b. P. Vinzenz Kirchler, assistente generale, morì in un incidente a Graz il 6 novembre 1967 all’età di 53 anni. Durante la “Konsulta” del 13 dicembre 1967 p. Karl Sieberer fu chiamato a sostituire p. Vinzenz, ma il 25 marzo 1973 anch’ morì in un incidente a Premstätten all’età di 58 anni. c. Il 28 agosto in ottemperanza ai desideri del Capitolo fu scritta una lettera a p. Briani riguardante le Riunione. Era firmata da p. Günter Brosig, Superiore Generale e p. Schmid. Segretario del Capitolo. La lettera era a favore della Riunione, ma alle condizioni che già abbiamo fato notare circa la Provincia. Questo documento, però conteneva una ulteriore richiesta: il Sud Africa e il Perù sarebbero rimasti ai padri provenienti dalla Provincia di lingua tedesca. d. Bad Mergentheim. Tramite lettera datata il 17 marzo, il Vescovo ci proibiva di avere più di 25 studenti nel nostro seminario. A causa della diminuzione delle vocazioni lo steso seminario fu chiuso nel 1978, i padri rimasero comunque per attività pastorali finché non fu venduto nello stesso anno. Il seminario dette comunque frutti, furono ordinati 11 sacerdoti: 8 Comboniani e tre Diocesani. e. Richiesta da Esmeraldas in Ecuador nel 1968. Il Vescovo Barbisotti fece richiesta di personale al MFSC. Ricevette una risposta positiva solo nel 1972 quando p. Adalberto Möhn fu finalmente in grado di recarsi alla missione di Barbon. Vi rimase fino al 1977, e andò nel Perù nel 1978. f. Nel 1972, un Consiglio provvisorio di Fratelli fu istituito in vista del Capitolo che doveva iniziare il 22 giugno 1972. Il consiglio era provvisorio, appunto perché il Capitolo del 1967 non pensò di costituirlo, fu poi accettato dal Capitolo del 1973. I membri erano bruno Haspinger, Erich Stöferle e Edward Magler. Al momento delle votazioni i membri erano 230. Anche tre Fratelli furono eletti a partecipare. Fu deciso che, per questa volta, il Procuratore

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di Roma, il Segretario Generale, e l’Economo Generale sarebbero stati membri “ex jure”del Capitolo. Il consiglio Generale decise che le vacanze in patria potevano essere fatte ogni cinque anni. h.Il Centro per Fratelli fu fondato a Barcellona in Spagna nel 1972 per sia i MFSC sia i FSCJ. Lo staff era composta da p. Alois Eder (MFSC), p. Domingo Campdepadrós Aynés (+1995), Fratel Giuseppe Bulgaro (ambedue FSCJ). I padri Anton Graf e Edward Folk furono eletti osservatori alla riunione inter-capitolare del FSCJ. l. Nel 1973 l’Istituto ricevette un lascito a Tananarife. II consiglio Generale lo offrì ai confratelli spagnoli che non lo accettarono, per cui fu venduto.

b. Sviluppi nelle Missioni SUD AFRICA Ø Già il 22 marzo del 1966 il Vescovo Reiterer aveva fatto richiesta a p. Briani per missionari. La richiesta ottenne risposta positiva a patto che i missionari fossero mandati nelle stessa comunità. Ø P. Andrea De Maldé, p. Aldo Chistè, e Fratel Mario Adani presero in consegna la Missione di Waterval nel 1967. Fu così che l’anno in cui si celebrava il centenario della fondazione erano presenti in ambedue le missioni dei MFSC, cioè Perù e Sud Africa, anche i FSCJ. Lo spirito unificatore di Comboni stava ritornando. Ø I tre missionari erano veterani del Sudan. Fratel Adani che morì nel 2000 all’età di 91 anni era un esperto architetto ed abile rabdomante, in grado di scoprire falde acquifere nel sottosuolo. Ø I missionari ricevettero il visto il 4 febbraio 1969, mentre i nuovi arrivati, p. John Converset e Fratel Padovan, che arrivarono nel novembre del 1968, ricevettero il loro Visto prima di partire per il Sud Africa. La parrocchia si sviluppò velocemente grazie anche alle chiese costruite da Fratel Mario Adani. Ø Highover era una stazione di White River acquistata nel 1965 e fu scelta da p. Brosig come Sede del Superiore Regionale. Il suo successore p. Franz Koch voleva venderla e p. Brosig, controvoglia dette il suo permesso nel 1968 dopo una decisione presa dalla Consulta. Ø Fu negata una richiesta di personale dal Botswana nel 1969. Ø Steelpoort. Fu acquistato dal Vescovo Reiterer nel 1969. Era un investimento e la fattoria fu venduta ad una fabbrica di cromo nel 1975. I nostri missionari la lasciarono alla diocesi nel 1976. PERÙ Ø Il 13 marzo 1969 p. Lorenzo Unfried fu nominato Vescovo Ausiliare di Arequipa. Fu consacrato a Tarma l’11 maggio dal Vescovo di Arequipa mons. Leonardo Rodriguez Ballon. La sua presenza fu la ragione per i MFSC di aumentare il loro numero, dapprima con un solo sacerdote nel 1973. Ø Lima – Monterrico: la nuova casa provinciale fu completata e il 2 luglio 1969 fu ufficialmente aperta. Fu dedicata al Sacro Cuore di Gesù. Da Huanuco, il provinciale ne prese immediatamente possesso. Ø Lima – Chorillos 1970: P. Mario Mazzoni fu chiamato a dar vita ad una nuova parrocchia a sud est di Lima. Si doveva ancora iniziare a costruire, per cui inizialmente p. Mario trovò aiuto e alloggio a Lima Monterrico finché un brav’uomo di origini italiane gli dette una casa a patto che la dedicasse alla Vergine Maria. La casa fu finita il 27 febbraio 1971. Ad agosto

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dello stesso anno iniziarono i lavori per la costruzione della chiesa. La casa fungeva anche da “pied-à-terre”per i FSCJ che lavoravano nelle montagne. Era necessario avere un cambio di clima ogni tre mese. Ø Il famoso Santuario “Seňor de Muruhuay”. La devozione al crocefisso in questo Santuario inizia il 3 marzo 1835 quando un pastore, per caso vide un crocefisso dipinto su una roccia sul versante di una collina. La tradizione vuole che fosse dipinto da un angelo. Fu costruita una cappella e la devozione della gente locale crebbe. Il santuario si trova a soli 11 chilometri da Tarma, nei pressi di Ucabamba. Per promuovere la devozione popolare e far sì che il Santuario diventasse centro di spiritualità e catechesi, fu deciso di ingrandire la cappella. Fratel Bruno Tösser costruì un grande Santuario moderno che fu inaugurato il 5 febbraio 1972. Ø Rappresentante speciale. Fino a questo momento il gruppo dei FSCJ erano sotto la diretta responsabilità del Superiore Generale ed il suo Consiglio. Nel 1973 fu nominato un rappresentante permanente nella persona di un uomo esperto e veramente buono, p. Umberto Pasina (+ 1992 a 79 anni). Annotazione: 1. I vari passi fatti dai due Istituti riguardanti la questione della Riunione dal 1969 al 1979 sono descritti nel Capitolo Quindici di questo libro. 2. La crisi generale della Chiesa influì su tutti gli Istituti sia positivamente che negativamente, inclusi i MFSC. Si può trovare un’analisi di questa crisi nel Capitolo Dodici di questo libro. Un segno di questa crisi era la sfida alla vita comunitaria, alle autorità, alla vita di castità. Queste sfide crearono nuove mentalità: Ø Molti sacerdoti e religiosi, sia Fratelli che Suore abbandonarono la vita che avevano abbracciato. Ø il numero di giovani che si votavano al sacerdozio e alla vita religiosa diminuì drasticamente. Ø Comunque, questi cambiamenti portarono con loro dei vantaggi: Ø Alcuni si interrogarono sulle ragioni per cui avevano scelto la vita consacrata ed il sacerdozio e scoprirono che le loro ragioni non erano genuine. Non erano diventati ciò che erano per l’amore di Dio e del prossimo. Ø Altri ritennero che gli anni da loro dati al Signore erano sufficienti. Alcuni pensavano che una volta presa la loro decisone, dato il nuovo clima di libertà che imperversava essi potevano tranquillamente. cambiare idea. Le seguenti statistiche del MFSC mostrano numericamente questa crisi. Anno 1964-1969 1969-1974 1975 -1979 Totale

Nuovi Membri 48 26 5 79

VT 30 11 43

VP 2 2 3 7

Totale 32 13 3 48

Differenza 16 13 2 31

% 76% 48% 65%

MONS ANTON KÜHNER: un pellegrino, un Pastore, Vescovo di Tarma. Bachenau (Baden Württenberg (1/5/1914 - La Oroya (Perù) 2/1/1991. La diocesi di Tarma non dimenticherà facilmente questo periodo di servizio generoso durante il quale promosse sia l’incremento spirituale che quello sociale, nonché il progresso materiale e culturale della gente a lui affidata. Degni di nota sono i cinque “clubes de madres”nella città di Tarma. Essi iniziarono

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semplicemente, come filiali della Caritas e poco a poco diventarono una formidabile organizzazione per le attività caritatevoli. Cappelle, Chiese parrocchiali, la casa dei sacerdoti di San Martino de Porres, centri sociali, ed il Seminario Minore di San Pablo furono frutto delle sue iniziative. Sapeva come organizzare e fidarsi della gente. Scrisse: “Tutti i quartieri attorno alla città, che alloggiano più di metà della sua popolazione, si stanno adesso organizzando da un punto di vista religioso: lo stesso sta succedendo nelle parrocchie della montagna. Dobbiamo qui lodare i religiosi e le religiose, i figli e figlie di Montfort di Paucarbamba, i Missionari Comboniani di San Pedro e la parrocchia del Patrocinio. La Diocesi di Huànuco è anche responsabile per le Province di Tocache e Uchiza, con un’area di 12.000 km quadrati, centro di coltivazione di coca e traffico di droga. Il Senderismo è un movimento Marxista che mira alla rivoluzione globale, perciò ha una influenza perniciosa in tutta la diocesi.” Da buon filosofo si occupava delle cose essenziali, lasciando la stesura di documenti, l’economia e quant’altro nelle mani di altri. Era sempre puntualissimo e lasciando la Prelatura disse, “In 22 anni sono arrivato in ritardo forse due sole volte.” Non fissava appuntamenti per i suoi visitatori, accoglieva tutti con calma e cordialità. Non voleva assentarsi dalla diocesi e diceva”Quello che è importante è la presenza del Pastore - la Residenza pastorale è la presenza del Pastore “ Il 20 settembre 1980 mons. Kühner ritornò a Huanuco come Vescovo residente. Viaggio ovunque nella diocesi per visite pastorali e per animare la sua gente con la Parola del Signore. Mons. Kühner fu “il filosofo” della Conferenza Episcopale ed era solito ridurre importanti problemi entro i loro propri principi fondamentali. Ogni tanto inviava ai suoi fratelli Vescovi trattati che riguardavano vari argomenti; come la teologia della liberazione che contenevano obiezioni e soluzioni o comunque, risposte. Preparava sempre personalmente le sue lezioni di filosofia e teologia per i suoi seminaristi. “Ma dove trova il tempo per fare tutto?”, gli chiedevano. “Preparo le lezioni alzandomi alle quattro del mattino”, era la risposta. Vittima di un incidente stradale, morì nell’ospedale di Obrero di La Oroya il 1 febbraio 1991.

O. OTTAVO CAPITOLO GENERALE DEL MFCS Mellatz 3 luglio – 5 settembre 1973 ed il periodo 1973-1979 1. Il Capitolo b. La celebrazione Il Nuovo Consiglio Generale Il Capitolo elesse p. Georg Klose Superiore Generale al primo ballottaggio con 11 voti su 22. I seguenti furono eletti Assistenti Generali: i padri Eric Schmid, Adolf Kampl, Josef Schmidpeter e Anton Maier. P. GEORG KLOSE. Nacque a Spottau-Schlesien, nella diocesi di Breslau il 24 febbraio 1930. Divenne membro del MFSC prendendo voti temporanei il 1 dicembre 1953, e voti perpetui l’8 febbraio 1959. Fu ordinato sacerdote il 26 luglio 1959. Completò gli studi di filosofia e teologia a Bamburgo e a Roma dal 1955 al 1959 presso la Pontificia Università Urbaniana. Lavorò come missionario nel Perù dal 1959 al 1967. Fu trasferito in Spagna (1968-1973) dove fu rettore del Seminario Minore di Palencia e rappresentante del Superiore Generale, partecipando in questo ruolo al Consiglio provinciale dei FSCJ in Spagna, diventando ardente sostenitore dell’iniziativa che portò alla Riunione dei due Istituti. Dopo la Riunione, per la quale ebbe un ruolo fondamentale durante le varie fasi dì riavvicinamento, diventò Superiore Generale della provincia di lingua tedesca (DSP). Rimase d’allora sempre in quella provincia coprendo vari ruoli di responsabilità come, per esempio, Superiore locale, economo provinciale, procuratore, segretario del consiglio provinciale sempre al servizio dell’Istituto Comboniano.

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Osservatori invitati. Durante la prima settimana furono presenti in rappresentanza del FSCJ i padri Chiocchetta e Gilli. Durante la prima sessione che terminò il 1 agosto, i padri Ramiro, Colombo, Eric Grace, Superiore provinciale della provincia londinese, parteciparono alla riunione dal 16 al 18 luglio. Padre Agostani, che era stato espressamente invitato, andò a Mellatz al termine del Capitolo per rispondere alle numerose domande che i capitolari gli vollero porre. b. Sviluppi e decisioni del Capitolo Il tema della Riunione Il primo punto focale del Capitolo fu la discussione della riunificazione dei due Istituti Comboniani. L’argomento non fu del tutto capito dalle differenti mentalità e sensibilità presenti, specie quando si faceva riferimento ai vari aspetti giuridici da adottare. Il 28 ottobre 1969, le Direzioni Generali dei due Istituti crearono una commissione mista: la Commissione per lo Studio della Riunione (RSC) che avrebbe studiato il problema. I membri della commissione informarono i capitolari circa la corrispondenza fra i Superiori Generali dei due Istituti sul tema della Riunione che era iniziato già nel 1967. I capitolari del MFSC sottolinearono che tutti i membri del RSC erano favorevoli alla Riunione e che forse, perciò, essi mancavano di un punto di vista criticamente razionale al riguardo. Un ulteriore membro che avrebbe rappresentato i sentimenti dei più intransigenti dei MFSC fu aggiunto alla commissione. A questo scopo fu eletto il Capitolare p. Eric Schmid, insegnante presso la Pontificia Università Urbaniana a Roma. Non solo rappresentava i sentimenti della maggioranza, era anche confidente di molti. I Capitolari del Perù ritenevano che il procedimento di riunificazione veniva accelerato, mentre altri ritenevano che la frase nel testo del Referendum “che la Riunificazione dovesse ritenersi non un esperimento, ma un obbligo” era appropriata, provocando non poche perplessità e contenzioni. Durante la Riunione furono proposti diversi modelli di riunificazione. Vi erano diversi punti di vista condivisi da altri osservatori FSCJ. Data l’internazionalità, ci si rese conto che c’erano valori da preservare. Fu quindi ritenuto necessario che le due Direzioni Generali continuassero nel dialogo fra i due Istituti e con i superiori delle missioni. Il 17 marzo 1973 il Superiore Generale FSCJ, P. Tarcisio Agostoni, si recò al Capitolo parlando ai capitolari delle esperienze nelle varie missioni, con l’intento di rimuovere timori e incertezze. Uno dei partecipanti affermò che aveva risposto a tutte le domande in modo chiaro ed esauriente. P. Agostoni parlò pure del lavoro svolto con altri Istituti e con il clero diocesano nelle missioni. L’idea di celebrare un Capitolo Generale comune fu discussa e fu suggerito di tenerlo nel 1975 quando i FSCJ avrebbero tenuto il loro Capitolo. Fu discussa con p. Agostoni la possibilità di preparare uno speciale regolamento per l’occasione. Il risultato delle estenuanti discussioni nel Capitolo furono sintetizzate in una lettera alla Direzione Generale del FSCJ nella quale l’idea di una Riunione fu esposta chiaramente. Fu richiesta una risposta a questa lettera prima di fare ulteriori passi. Così si aprì un nuovo Capitolo per la riunificazione che avrebbe unito i due Capitoli Generali del MFSC e del FSCJ a Ellwangen in Germania nel 1975. Ulteriori sviluppi e decisioni Ø ci fu la richiesta di eleggere un Fratello come assistente nel Consiglio Generale. Questa era una richiesta che era emersa durante la precedente riunione dei Fratelli. La maggioranza dei capitolari fu favorevole a tale elezione e fu richiesto il permesso di Propaganda Fide. Inoltre, sempre con riferimenti ai Fratelli, fu deciso che in futuro almeno tre di loro avrebbero partecipato al Capitolo come delegato. Le modalità della elezione a delegato fu lasciata al

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nuovo Consiglio Generale. Si sottolineò che i Fratelli avrebbero dovuto essere attivamente coinvolti nella direzione dell’Istituto come missionari con gli stessi diritti dei sacerdoti. Con riferimento alla nuova Regola di Vita e Direttorio, di cui si doveva preparare una nuova versione, fu fatto notare che la cosa andava per le lunghe. Come richiesto dalla normative emanata da Roma, la nuova Costituzione (Regola di Vita e Direttorio) dovevano fondarsi su basi bibliche, giuridiche, teologiche e sul Fondatore. Fu sottolineato che il bene delle missioni era il principio supremo che doveva regolare l’ordinamento dell’Istituto. In questo senso s’insistette su uno stile particolare nella terminologia da usare. Invece di “vita religiosa” fu suggerito “il nostro stile di vita missionaria”, in quanto il concetto di vita religiosa e vita missionaria era cambiato. Fu ricordato, inoltre, che la nuova Regola di Vita poteva anche essere un modello da adottare nel futuro dai due Istituti una volta che si erano riunificati. Questo punto fu molto dibattuto durante il Capitolo. Fra gli altri punti discussi c’era la necessità di fare un uso preciso del termine “Kreis”(regione) nel contesto europeo, del Sud Africa e del Perù. Altro punto molto dibattuto fu quello dell’abito talare. Fu deciso che i membri potevano indossare la tonaca o altro abito clericale, e che ogni membro era libero di vestirsi secondo le usanze del clero e religiosi locali. Altri punti e suggerimenti furono dati per il futuro, sia per la promozione vocazionale sia per le innovazioni nella vita missionaria, sulla carità fraterna, sulla semplicità di vita, sulla vita comunitaria e la responsabilità di ogni membro per la promozione delle vocazioni. Furono istituiti segretariati per le diverse aree della vita dell’Istituto (Animazione Missionaria, Formazione e economia), come pure un Consiglio dei Fratelli. Si parlò anche della formazione nello spirito del Concilio Vaticano Secondo. La discussione si accentrava principalmente sulla formazione dei missionari nelle differenti fasi, come il postulato, noviziato e scolasticato. Fu discussa la fondazione di uno Scolasticato Internazionale ad Innsbruck. Si decise anche di aprire la casa do Bamburgo a studenti FSCJ. Ci si rendeva conto che i Seminari Minori non erano più strettamente collegati alle missioni e la vita religiosa, essendo essi adesso aperti ad altre vocazioni di vita consacrata. I capitolari si domandavano fino a che punto i programmi dei seminaristi potevano essere mantenuti. Lo scopo della formazione era di formare cristiani maturi aperti al mondo. All’interno di questo scopo fondamentale era necessario inserire un’apertura per la gioventù di dimensione missionaria universale. Altri punti discussi riguardarono le vocazioni dei Fratelli, la loro formazione, la loro integrazione nella comunità e nelle missioni, l’accompagnamento, la formazione permanente, la specializzazione ed eventuale inserimento nelle attività pastorali. Il concetto di “Missionari Comboniani Laici” iniziò a prendere piede e fu iniziata una collaborazione con sacerdoti diocesani. Altro punto discusso fu l’argomento riguardante il così detto “Ius Commissionis” e la “Convenzione” (con i Vescovi). Fu fatto notare che le direttive per quanto concerneva il lavoro missionario era in fase di rinnovamento ed aggiornamento, e il fatto che lo “Ius Commissionis “non esistesse più, rendeva necessario il stipulare vere convezioni con i Vescovi. Si chiese ai missionari e Fratelli in missione di interessarsi attivamente alla stampa e mezzi di comunicazione sociale. Venne riconosciuta la necessità di modernizzare l’amministrazione della vita economica dell’Istituto e la necessità di avere nuove direttive. Fu inoltre discussa la presenza dei Missionari Comboniani in Spagna. Fu deciso di lasciare lo “status” esattamente com’era. Inserire una delegazione in quella nazione avrebbe portato confusione, in quanto l’unificazione era già iniziata e la tendenza alla collaborazione pratica

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aveva già fatto progressi nella provincia spagnola. Fu infatti proposto che i MFSC spagnoli emettessero i loro voti con i FSCJ. Ø Fu infine dibattuta la questione dell’assicurazione medica. La questione fu chiarita e il Consiglio Generale si prese la responsabilità per le spese relative. P - SECONDA SESSIONE DEL CAPITOLO DEL 1973 Mellatz 11-30 agosto 1. Celebrazione del Capitolo Parteciparono al Capitolo i seguenti Capitolari: il nuovo Consiglio Generale eletto durante la prima sessione del Capitolo del 1973 - e ciò il Superiore Generale p. Georg Klose, e gli assistenti p. Erich Schimd, Adolf Kampl, Josef Schmidpeter e Anton Maier, assieme ai padri capitolari Konrad Nefzger (Superiore Regionale del Sud Africa, Andreas Thorwarth (Superiore Regionale del Perù), Josef Heer, Josef König, Udo Bumuller. I Fratelli Bernhard Mai, Hermann Engelhardt, Gebhard Schmid e p. Hubert Heller, (delegato del Sud Africa). I padri Anton Pramstrahler e Donaciano Bartolomé (delegati della Spagna) per un totale di 18 capitolari. Gli osservatori FSCJ dal 14 agosto 1975 erano i padri Sina e Fornasari. Durante i primi giorni della sessione i capitolari furono relazionati su quanto era stato fatto per la Riunione dal 1973 al 1975. Il 16 novembre 1973 i due Consigli Generali MFSC e FSCJ tennero una riunione. Uno dei risultati di questa riunione fu che il Consiglio Generale MFSC avrebbe scritto una lettera a tutti i membri del FSCJ spiegando la loro posizione. Questa lettera causò molti fraintesi sia in Sud Africa che in Perù. Fu quindi necessario convocare un’altra riunione con il Consiglio Generale FSCJ che ebbe luogo a Roma il 31 dicembre 1974. Si decise di scrivere una ulteriore lettera a tutti i membri FSCJ. Il 14 Luglio 1975 l’undicesimo Capitolo dei FSCJ dette la sua risposta alla lettera ricevuta a seguito del Capitolo MFSC del 1973. I capitolari discussero sul contenuto della risposta e cercarono di far si che la loro posizione fosse del tutto chiara. Fu discusso in particolar modo la questione della autonomia regionale, provinciale e delle delegazioni. I “diritti e doveri” del Superiore competente, la base economica della regione e i suoi rappresentanti, la questione della internazionalità nelle missioni e come affrontarla, nonché le diverse possibilità ed aspetti di un futuro regolamento giurisdizionale con tutto quanto esso comportava. Pur discutendo tutti gli aspetti della questione, si auspicava una futura unione del DSP per diventare un unico, unificato Istituto Comboniano. Tutti i capitolari furono d’accordo che, benché i due Istituti si fossero sviluppati con alcune diversità, pure avevano mantenuto una fondamentale identità che li accomunava. Furono dati i seguenti suggerimenti: Ø Nella sessione comune dei due Capitoli da tenersi il 1° e 2° settembre, i FSCJ avrebbero dato la loro risposta ufficiale alla lettera dei MFSC. A loro volta i MFSC avrebbero avuto l’opportunità di rispondere durante il Capitolo stesso. Ø Si doveva elaborare uno speciale statuto comune. Ø Dopo l’eventuale decisione per la Riunificazione si sarebbe tenuto un referendum per tutti i membri dei due Istituti.

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Ø Sarebbe stata nominata una nuova commissione per elaborare una nuova costituzione per tutti. Ø La Riunione avrebbe dovuto essere confermata e suggellata dalla Santa Sede. Per tutti questi sviluppi era sempre necessaria l’approvazione di Roma. Inoltre il referendum doveva essere preparato in modo chiaro e limpido e si doveva basare sulla coscienza personale. Il Referendum non si poteva fare prima del 1976 e il progetto della Costituzione non poteva essere elaborato fintanto che non ci fosse stato il referendum. Ulteriori passi verso la Riunificazione erano necessari nonché più strette collaborazioni nei vari campi della vita dei due Istituti: le due Direzioni Generali si sarebbero incontrate spesso. Gli aspetti tecnici riguardanti dette riunioni furono quindi elaborati durante la prima sessione del Capitolo Comune di settembre. La Riunione dei due Capitoli a Ellwangen 1-2 settembre. Per ciò che riguarda questo Capitolo vi rimandiamo al Capitolo Quindici di questo Testo. 2. Sviluppi nel periodo 1973-1979. a. Sviluppi in patria Documenti del Capitolo Questo compito fu affrontato nel Capitolo del 1973 che produsse i “Documenti Capitolari”. Furono sottoposti all’attenzione della SCEP nell’ottobre del 973 ed approvati “ad experimentum” dalla stessa nell’aprile del 1974. Nella sua relazione al Capitolo della Riunione del 1979 p. Klose, Superiore Generale, fece notare che non si stava dando ai documenti la dovuta attenzione. Una delle ragioni era che i 21 membri del Capitolo che avrebbero dovuto contribuire all’approfondimento dei documenti non volevano rielaborali. Un’altra ragione era che, in vista della Riunione, molti pensavano che i documenti fossero provvisori. Dopo tutto, l’attenzione di tutti era inchiodata sulla questione della Riunione e dopo il 1975 le comunità si concentrarono nello studio del progetto delle costituzioni per gli Istituti riunificati. Alcuni punti importanti Dopo il Capitolo furono dibattuti, in special modo alcuni punti di natura spirituale: i) Per quanto riguarda il rinnovamento missionario: i confratelli che rimanevano in patria si presero più responsabilità per far conoscere il lavoro missionario nelle chiese locali, sia lavorando come missionari esperti nelle diocesi, sia predicando giornate missionarie. Molti confratelli partirono per le missioni per la prima volta: dal 1973 al 1979 partirono dei 31 professi: 13 sacerdoti, 12 Fratelli e 6 scolastici. ii) Fu sottolineata la fraterna carità, alla quale siamo comunque già impegnati dal fatto che siamo Cristiani. iii) Semplicità nella comunione dei beni, che, in generale, era migliorata durante i sei anni precedenti. iv) La responsabilità di ogni confratello per la promozione vocazionale che dovremmo sempre tenere presente, senza, tuttavia, scoraggiarci. Innovazioni nell’organizzazione Ø L’istituzione di Segretariati: – il segretariato per la formazione – il segretariato per il lavoro missionario – il segretariato per le finanze e l’amministrazione

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Ø Esperienze formative per i novizi al di fuori della casa del noviziato, sia in una delle nostre comunità che nelle varie attività pastorali. Ø Il Consiglio dei Fratelli: oltre che a completare il processo di perfetta uguaglianza di diritti fra i Sacerdoti ed i Fratelli, fu istituito un Consiglio Consultativo dei Fratelli che sarebbe stato direttamente responsabile alla Direzione Generale. Si doveva riunire almeno una volta all’anno, nonché nominare e trasferire i Fratelli. I Documenti Capitolari contengono un’intera sezione riguardante i Fratelli, con direttive chiare per la loro preparazione in vista delle missioni, con l’impegno prioritario di dedicarsi all’insegnamento di arti e mestieri alla popolazione locale. Ø Inoltre il documento enfatizzava: – La priorità del lavoro missionario. – La necessità di far ruotare il personale. – La formazione continua. – La specializzazione in vista di insegnare nei seminari in terra di missione e del lavoro pastorale. – L’approfondimento della vita e del carisma del Comboni. – La promozione delle vocazioni. Lo scolasticato di Innsbruck Gli scolastici di Bamberga iniziarono a sentirsi alquanto a disagio nel loro scolasticato. Tutti erano a conoscenza dei cambiamenti del 1968. Alcuni continuarono i loro studi teologici a Wurberg, altri a Rogensberg. Durante il semestre 1971-72, due scolastici e due postulanti si recarono al collegio internazionale “Canisianum”, diretto dai Gesuiti. Si aggregarono sotto la guida di un esperto padre Gesuita. Nel frattempo alcuni teologi FSCJ si unirono al collegio sotto la direzione di un Sacerdote di una casa appartenente al collegio. Fu solo una soluzione temporanea, in quanto l’Istituto acquistò una sua casa ad Innsbruck sulla Amraserseestrasse, dove lo scolasticato si trova tuttora. Alcuni novizi avrebbero voluto studiare teologia in Sud Africa, ma andarono anche loro ad Innsbruck. Apertura nel Kenya Ø Padre Uhl andò in Kenya per insegnare Filosofia nel Seminario nazionale per due anni. Ø Fratelli per Gilgil nel 1974. Furono nominati dei Fratelli per fondare un Villaggio Politecnico a Gilgil nella Diocesi di Nakuru. I Fratelli si recarono in Tanzania a studiare la lingua Kiswahili e nel 1975 tornarono per costruire il villaggio. Era il 1975. Nel 1978 poterono aprire la scuola e le officine per insegnare falegnameria, meccanica e la lavorazione della pietra. Ø La vendita dei manufatti, si trattava principalmente di arredamento che poteva aumentare le entrate finanziare. A volte la gestione del villaggio lasciava a desiderare per cui fu lasciato e consegnato alla diocesi. La Seconda Casa dell’Istituto Miraflores a Lima Nell’ottobre 1978 fu aperta una nuova casa per l’animazione missionaria. Terza casa dell’Istituto a Lima (Aprile 1979) Siccome la promozione vocazionale attraeva giovani ci fu bisogno di acquistare una nuova casa a Lima come postulato e per la promozione vocazionale. Un movimento fu fondato come associazione laica.

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L’idea fu di aggregare uomini laici alle nostre comunità. Molti fecero domanda ma pochi avevano un vero spirito missionario. Era un esperimento da valutare con calma. Crisi negli Istituti (vedere il Capitolo XIV) Come in tutti gli Istituti ecclesiastici del tempo, anche nel nostro Istituto sorsero diversi problemi. Il problema finanziario sorse principalmente per i Fratelli, per l’eventuale facilitazione al loro inserimento nella società. Questo era ritenuto necessario di modo che si sentissero completamente liberi di restare nell’Istituto o di andarsene. Il Consiglio Generale stava già aiutando alcuni Fratelli che avevano lasciato l’Istituto e quindi non vedeva la necessità di ottemperare a tale richiesta. Fu scelta un’assicurazione sociale statale. Per beneficiarne, era necessario pagare una somma annuale. Tuttavia in seguito la provincia fece un’assicurazione privata. Nel maggio del 1977 il Consiglio Generale ebbe un’udienza privata con Papa Paolo VI per parlare con il Santo Padre dei problemi più urgenti come la Riunione e le difficoltà che incontravano nel campo dell’Apostolato in luoghi come il Sud Africa. Il Papa li accolse calorosamente e benedisse il loro lavoro. b. Sviluppi nelle Missioni SUD AFRICA In questo periodo e negli anni successivi, piuttosto che aprire nuove missioni, l’attenzione dei missionari era volta a riconsiderare la metodologia seguita nel passato. Dovettero cambiare i loro metodi pastorali tradizionali in quanto le politiche governative avevano apportato cambiamenti nella società. “I catechisti erano molto richiesti, ma questa politica dovette essere abbandonata per mancanza di finanziamenti. Il declino delle vocazioni fece sì che si dovesse fare sempre più affidamento sui fedeli come i leader delle comunità locali. Venne introdotto ogni sorta di ministero, come, ad esempio catechisti volontari addestrati: fu fondato l’Istituto Lumko che si occupò di questo compito. Tutte queste evoluzioni portarono a sviluppare il metodo pastorale chiamato “Piccole Comunità Cristiane”. Negli ultimi anni c’è stato un forte declino nei battesimi, confessioni e matrimoni. In generale questo avvenne per tutte le Chiese: “Siamo tutti una sola famiglia con nomi diversi”. Penso che dovremo affrontare le nuove sfide, cioè come rendere la Chiesa di nuovo attraente, oltre che alle scuole e gli ospedali.” (Nefzger, p. 200) Alcuni osservatori sostengono che questo modo di fare, cioè di non più convertire, non è nuovo tra i sacerdoti e missionari più giovani, ovunque si trovino. È vero che la salvezza non è solo nella Chiesa Cattolica, ma Gesù Cristo non venne solo per salvare le nostre anime, ma per darci i mezzi per addolcire il lavoro che porta alla nostra salvezza come la Chiesa ed i Sette Sacramenti che non sono comuni a tutte le Chiese o Religioni. Ognuno dei Sacramenti ci da una grazia speciale per rendere attivo il significato del sacramento. Il Battesimo ci dà la Grazia Santificante che include i doni di Fede, Speranza e Carità; i sette doni dello Spirito Santo e le Virtù Cardinali. Il Sacerdozio ed il matrimonio: la vita del sacerdote e quella famigliare al giorno d’oggi sono talmente difficili da affrontare, che la Grazia Sacramentale è particolarmente necessaria. Questo è quello che Gesù intendeva quando disse: “Mi è stata data ogni autorità in cielo ed in terra. Perciò andate e fate discepoli in ogni nazione, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo insegnando a tutti ad eseguire tutto quanto vi ho ordinato” (Matt. 28:20).

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Le scuole missionarie “La fondazione di scuole missionarie era parte integrale della politica pastorale nel Sud Africa: arrivare ai genitori attraverso i bambini. I genitori, fra l’altro erano contenti che i loro figli ricevessero una buona educazione. Questa politica ebbe molto successo, anche se ci furono alcuni battesimi proprio a causa della scuola, i quanto la legge prescriveva che solo cattolici battezzati potessero frequentare le nostre scuole. Nel 1953 fu passate la legge “Bantu Education Act”, ma i Vescovi decisero di continuare comunque nella loro politica aprendo scuole private. Fu istituito un fondo ad hoc che diede più di un milione di Rand. Chiesero a tutti gli insegnanti di lavorare per uno stipendio più basso di quello governativo, e lo fecero per un po’ di tempo, ma il governo sistematicamente metteva in atto la sua politica. Furono chiuse molte scuole per via della legge “Group Area Act”e tutto ad un tratto ci si ritrovava con scuole vuote perché la gente doveva andare a vivere altrove. Un ulteriore “aiuto”, si fa per dire, venne dagli agricoltori che si rifiutavano di dare il permesso ai loro “bambini”di frequentare le nostre scuole. Gi ispettori scolastici sostenevano questo punto di vista e incoraggiavano gli agricoltori ad aprire delle piccole scuole “Perché il livello “standard 2”è più che sufficiente per i bambini neri.”Un ulteriore problema veniva dal fatto che si dovevano togliere i “punti neri”nelle aree bianche; avendo forti ripercussioni negative per i collegi convitto. Nel 1967 si dovette chiudere Maria Trost. Tuttavia quello che veramente fu il colpo di grazia per le scuole cattoliche fu il rifiuto da parte del governo di riconoscere i collegi cattolici per la formazione dei maestri, ossia l’istruzione para-universitaria per insegnanti di fede cattolica, come quelli di Inkamana e Mariannhill, che dovettero chiudere. La mancanza di fondi significò che gli insegnanti non potevano più essere pagati. I Vescovi dovevano quindi prendere una decisone: chiudere del tutto o dare al governo le loro scuole. Forse dobbiamo ringraziare Dio che la Chiesa non è, adesso, coinvolta nella crisi scolastica in atto” (Nefzger p. 201). Raramente s’insegna religione ai bambini ed adolescenti nelle scuole. Quello che prevale oggi, in quanto più fattibile, è l’insegnamento religioso impartito ai bambini prima o dopo la S. Messa, o durante la settimana. Le nostre Missioni e l’Apartheid All’arrivo dei nostri missionari in Sud Africa nel 1923, la Chiesa Cattolica aveva due aree di lavoro: La Chiesa dei “Settlers”, principalmente per i bianchi, e la “Chiesa Missionaria che si dedicava alla “gente di colore” o neri. Questa situazione si aggravò nel 1947 dopo che fu passata la legge sull’apartheid, ed il razzismo si insinuò in ogni aspetto della vita sociale e istituzionale. I bianchi non potevano intrattenersi in nessun modo con la gente di colore se non come padroneservo. Anche le Chiese risentirono di questo stato di cose e benché la Chiesa Cattolica non fosse in nessun modo razzista, alcuni cattolici ed anche alcuni sacerdoti tendevano ad esserlo. I nostri missionari si erano recati in Sud Africa essenzialmente per gli africani e per “deformazione professionale” tendevano a lavorare per e con la gente di colore, senza però dimenticarsi dei bianchi, facendo anche visite nelle loro case. Cercarono in tutti i modi di ottenere i permessi necessari per recarsi nei raggruppamenti riservati ai neri (township). Dovettero accettare di subire minacce e rappresaglie da parte delle forze di polizia. Questo succedeva in special modo quando la Chiesa Cattolica, avendo iniziato a mandare forti messaggi anti-apartheid, iniziò ad essere coinvolta con i neri nella lotta contro le leggi vigenti. Il nostro particolare coinvolgimento nella lotta contro l’apartheid era di permettere riunioni di sindacalisti e di altre organizzazioni di incontrarsi, in contrasto con la legge fatta dai bianchi,

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all’interno delle missioni. I nostri missionari venivano spesso minacciati dalle forze di sicurezza governative le quali tentarono, per esempio, di dar fuoco e riuscendoci nel secondo tentativo, al salone parrocchiale di Witbank. Organizzazioni diocesane cattoliche come le associazioni di giovani lavoratori e di studenti, e Commissioni di Giustizia e Pace, guidavano la lotta contro l’apartheid. Fu fondata l’Organizzazione Urbana Ecumenica “Diakonia” ispirata dal Vescovo di Durban, mons. Denis Eugene Hurley (OMI), che fu sempre fortemente coinvolta nella lotta contro l’apartheid. I nostri missionari, si adoperavano per aiutare il Vescovo Hurley nei suoi sforzi, Si deve comunque dire che quello che mancava nel passato in Sud Africa nell’insieme, e in questo includiamo i nostri missionari, era la coscientizzazione della gente secondo la Dottrina Sociale della Chiesa Cattolica. Nel 1987 il Vescovo Hurley scrisse: “La nostra più evidente debolezza come Chiesa è di non aver promosso un’educazione sociale della nostra gente nel senso Cristiano del termine e capire i gravi problemi culturali ed economici del nostro paese. Non siamo stati profetici in questo. Non abbiamo veramente evangelizzato.” (da The Catholic Church in Contemporary Southern Africa “di Brian & Denis – Cluster Publications, p. 159) Ciò nonostante, il primo documento sulla necessità di coinvolgimento fu il “Call to Conscience” (Chiamata alla Coscienza). Il tema principale della pubblicazione era “Di fare quanto in nostro potere nel creare una società Cristiana che fosse giusta, stabile e in pace con se stessa nella nostra nazione.” Il significato di tale affermazione era il fatto di non considerare più soltanto i diritti umani in senso astratto, ma una più chiara articolazione dei problemi sociali e politici che influenzavano la gente e dei quali, adesso,si preoccupava la Chiesa. Questi includevano la ridistribuzione della ricchezza, il lavora migratorio, la mancanza di disponibilità di istruzione superiore per la gente di colore, il diritto dei neri di organizzarsi in sindacati dei lavoratori, l’imprigionamento e l’esilio di coloro i cui punti di vista non erano quelli del governo. Dobbiamo far notare, qui, che molta della saggezza tradizionale africana in questo momento promuoveva la separazione della vita religiosa da quella sociale. La religione doveva essere relegata alla dimensione “spirituale”della gente e non immischiarsi con il sociale. In questo documento, tale posizione venne fermamente rifiutata dai leader della Chiesa (id. pagine 159-160). PERÙ Padre Andrès Thorwarth, fu nominato Superiore Regionale ma continuò a risiedere a Cerro de Pasco fino al 1976.Nel 1978, si celebrò il quarto anniversario della presenza dei nostri missionari nel Perù. In quell’occasione l’assemblea Pan-Americana degli Animatori Missionari fu fissata da celebrarsi in occasione della visita dei due Superiori Generali, p. Tarciso Agostoni e p. George Klose. Nel 1979, furono pubblicati i primi numeri delle riviste preparate e stampate in Perù “Esquila Missional” e “Aguiluchos”. Problemi Pastorali Come per tutti i paesi emergenti, uno dei problemi più grossi era la formazione dei giovani. Tramite i mezzi moderni di comunicazione sociale, il modello di vita occidentale stava invadendo i paesi del terzo mondo. Gli africani, in particolare, non si rendevano conto del veleno sociale che veniva iniettato nelle loro menti. C’era bisogno di scuole cattoliche sotto la direzione di uno o due sacerdoti. P. Jakob Wellenzohn sentì la necessità di formare gruppi per giovani nelle parrocchie di Ulcamayo e Carfuemayo. Questi ebbero successo e presero piede altrove. Erano principalmente per giovani e ragazzi.

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P. Josef Schmidpeter fondò le società Kolping per il coinvolgimento dei laici per la formazione cristiana, umana e professionale di uomini donne e bambini. MONS. LORENZO UNFRIED: un buon pastore per tutti. Umbau - Germania 13/09/1918 – Tarma, Perù 30/11/88. All’età di vent’anni prese i voti, l’età giusta per essere chiamato alle armi e poi partecipare alla Seconda Guerra Mondiale (1939-1945). Fu fatto prigioniero sul fronte russo e rimase in Russia fino al 1948. Una volta tornato a casa si dedicò agli studi di teologia che terminò con la sua ordinazione sacerdotale il 30 aprile 1950. Traggo dal suo diario alcune descrizioni riguardanti le visite da lui fatte agli abitanti delle Ande. 29/8/56: Huacrachuco. Sono arrivato qui dopo un viaggio fatto in parte a dorso di mulo ed in parte a piedi. Abbiamo coperto 270 miglia in quattro giorni. In pratica, nel territorio ci sono quattro parrocchie nessuna delle quali ha un sacerdote residente. L’ultimo giorno è stato il più difficile. Abbiamo passato ore camminando in solitudine sugli altopiani, nessun albero, nessun cespuglio, neanche un’anima viva, nessun segno di vita. Una tempesta di neve nella parte più alta di questa solitudine deserta, aumentava la tristezza di questa terra montagnosa semi deserta. Huacrachuco è la capitale della provincia. Sono arrivato qui poco prima di sera di un giorno d’estate. Le strade strette sono piene di gente; è la festività di santa Rosa di Lima, Patrona della città. Il rintocco delle campane suonate a festa mi danno il benvenuto. È passato un anno senza che ci sia stata la visita di un prete. Le autorità e una banda di musicisti mi accompagnano in processione fino alla mia stanza. Una tazza di caffè forte mi rinvigorisce, mentre qualcuno si prende cura del mio mulo. Più tardi quella sera cantiamo le preghiere serali in una chiesa quasi buia. 2/9/56: Huacrachuco. Ricevo molte lettere dai cristiani dei villaggi vicini chiedendomi di far loro visita. “A Sua Eccellenza, il Vicario della Diocesi di Llata” e “Al Parroco della Chiesa di Dio che passa”. È veramente doloroso vedere come il parroco debba curare le necessità pastorali dei parrocchiani spostandosi da un villaggio all’altro. 3/9/56: Oggi ho visitato Huaichao, a solo 15 chilometri da Huacrachuco. Sono il primo prete che sia stato nel villaggio da 12 anni. La gente ha sete di Dio. Gli indiani sono molto religiosi e vogliono soddisfare questa sete in qualsiasi modo possibile:alcuni di essi hanno abbracciato il protestantesimo, e posso capire il perché data la loro sete di Dio. 4/9/56: Lascio Huacrachuco e mi incammino verso San Bonaventura, ma ho promesso alla gente di qui che sarei ritornato. Il villaggio dista 40 chilometri. Mi fa da guida un ragazzino. Il nostro cammino passa da un burrone all’altro su sentieri sconnessi, su e giù continuamente; ogni tanto si sente il mormorio di un fiume che scorre giù nella valle. Sono impressionato da come la gente di queste parti riesca a muoversi e camminare per giornate intere ad una altitudine di 4000 metri, portando grossi pesi sulle loro spalle. Le vicissitudini e gli spostamenti di p. Lorenzo sono all’ordine del giorno per i nostri missionari che lavorano sulle montagne del Perù. Il diario di p. Lorenzo finisce con la seguente annotazione: “Tutti questi viaggi e visite richiedono al sacerdote fino all’ultima goccia della sua forza fisica e forse ancora di più alle sue risorse spirituali.” Dopo alcuni anni passati in altre parrocchie, p. Lorenzo, di nuovo a Llata nel 1964, per portare a termine la costruzione del Santuario della Madonna del Consiglio, fu trasferito a Cerro de Pasco come Vicario Generale di Tarma e parroco di San Miguel in Cerro de Pasco. Vi restò fino al 1969, quando fu nominato Vescovo ausiliare di Arequipa. Fu poi nominato Vescovo Ordinario di Tarma. Adesso riposa nella cattedrale in attesa della Resurrezione. Pensando alla sua vita si può riassumere il suo operato come quello di un buon pastore. La lettera pastorale scritta ai suoi fedeli Cristiani è emblematica: “Io umile servitore di tutti e vostro Vescovo, segno dell’unità della nostra Chiesa con la Chiesa Universale di Cristo, desidero essere: per i Cristiani, un padre; per gli apostoli laici, un animatore e promotore; per coloro che non praticano nessuna fede, colui che li sta cercando; per i poveri, qualcuno che porta loro aiuto e che gli starà vicino; per gli afflitti, un consigliere; per i malati, un visitatore; per i giovani, la speranza della Chiesa e per la nostra patria un amichevole sostenitore per aiutare i giovani a ricevere la torcia fiammeggiate d anziani.” Un programma di ministero episcopale veramente commovente.

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Capitolo Settimo DAL 1931 AL 1937

1. Quinto Capitolo Generale (Verona dal 3 al 10 settembre 1931) a. Membri I membri partecipanti al Capitolo furono 19. I membri dell’Istituto erano 318: 5 prelati, 133 sacerdoti, 112 Fratelli, 68 scolastici. b. Elezioni P. Pietro Simoncelli (+ 1964) P. Angelo Negri il quale divenne Vescovo e Vicario Apostolico del Nilo Equatoriale nel 1935 (+ 1949); sostituito da p. Federici. P. Pietro Villa il quale divenne Prefetto Apostolico di Gondar nel 1937, Vescovo ausiliare del Cardinale Tisserand nel 1946 per le Diocesi di Porto e S. Rufina (+ 1960). P. Rodolfo Orler divenne Vescovo e Vicario Apostolico di Barh-el Ghazal nel 1933 (+ 1946) sostituito da p. Capovilla. P. G. Bombieri (+ 1964) Maestro dei novizi per dieci anni. P. PIETRO SIMONCELLI nacque in provincia di Verona nel 1891. Morì in Verona nel 1964. Maturò le sue esperienze missionarie nell’Uganda nel territorio di quella che oggi è le Diocesi di Arua, dal 1915 al 1931. Presenziò al Capitolo come Superiore Religioso. Fu il primo Superiore Generale a recarsi nelle missioni, principalmente durante i mesi invernali in Italia. I missionari accoglievano con gioia le visite di quest’uomo con tanta esperienza pastorale e totalmente differente dai suoi predecessori. Ordinò che fosse migliorata la qualità del cibo, che durante i safari ci fosse più sicurezza, e che i missionari avessero abitazioni più decorose. Uomo di poche parole, non scrisse molte lettere pastorali. Dimostrò il suo desiderio di restare vicino ai missionari nella breve lettera scritta dopo la sua elezione. Incoraggiava tutti però a scrivergli lunghe lettere di frequente. I missionari del Seminario Minore notarono che non predicava mai ai ragazzi né voleva che si cantasse. La sua vita spirituale era solida. Dopo il suo mandato tornò alla diocesi di Arua in Uganda.

c. Problemi particolari del Capitolo Il Capitolo fece particolare riferimento ad un certo numero di regole e consigli riguardanti la virtù e il voto di povertà, raccomandando nel contempo la cura della salute dei missionari che dovevano non esagerare con le loro attività. Furono fatte delle particolari raccomandazioni: leggere e rileggere le lettere circolari dei Superiori Generali; spedire articoli e fotografie alla rivista “Nigrizia”. Fu fatta la raccomandazione che il Superiore Generale si recasse a visitare tutte le comunità in missione. 2. Sviluppi dell’Istituto a. Sviluppi in Europa Ø Fu ingrandita la casa madre di Verona aggiungendo un terzo piano. Ø A Roma, per svariati motivi, la Chiesa dei Santi Vincenzo ed Anastasio in Piazza Fontana di Trevi, famosa in tutto il mondo fu riconsegnata alle autorità diocesane. Nell’acquisto di una nuova casa si considererà anche la necessità di mandare gli scolastici a frequentare le università romane. Fu acquistata una casa in Via S. Pancrazio, sul Gianicolo, da dove si poteva

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raggiungere a piedi l’università Urbaniana. Attualmente questa casa è utilizzata dai segretariati delle missioni e per dare assistenza ai confratelli di passaggio da e per le missioni. Ø Nel 1936 fu acquistata una casetta a Londra vicino all’università per far sì che la frequenza ai corsi di specializzazione, in special modo il “Colonial Course” da parte di sacerdoti e Fratelli, fosse facilitata. Questo corso dava loro un Diploma per poter insegnare nelle scuole (vedere Bollettino n. 14 p. 425). b. Sviluppi nelle missioni Ø Il 10 gennaio 1933 un nuovo territorio Ecclesiastico fu separato dal Vicariato di Khartoum. Fu chiamata “Missio sui juris” (cioè autonoma), di Kodok. Includeva tutte le stazioni che si trovavano nei territori delle tribù d Shilluk e i Nuer lungo il Nilo Bianco. Il Superiore della missione era p. Matteo Michelon che non aveva altri titoli ecclesiastici. Ø Nel 1933 il Vescovo A. Stoppani si ritirò dal Vicariato del Bhar-el-Ghazal, andando ad abitare a Venegono, dove morì nel 1940. Il Vescovo R. Orler, un Assistente Generale fu nominato a sostituirlo. Ø Nel 1934 la Prefettura Apostolica del Nilo equatoriale fu innalzata a Vicariato ed il Vescovo Negri che fino ad allora era stato Vicario Generale dell’Istituto fu nominato Vicario apostolico. Fu consacrato Vescovo a Brescia il 1 maggio 1935. Mons. Vignato si ritirò al Cairo: il suo zelo ed impegno missionario era stato molto apprezzato dai padri Bianchi e Missionari di Mill Hill che lavoravano in Uganda. Durante questo periodo di riposo, scrisse due interessanti libretti: – una collezione di suggerimenti e questioni dottrinali di teologia Missionaria (1936) per i giovani missionari. – Una collezione dottrinale sul Sacramento del Battesimo per i missionari in Africa (1936). I due libretti devono, ovviamente essere aggiornati, ma rimangono un contributo di grande valore per la Metodologia di Evangelizzazione, sicuramente utile per tutti i missionari. P. Pierli, quando divenne Superiore Generale, ne fece un riassunto per tutti, e raccomandò di leggerlo e di rifletterci. p. Vittorino Cona ne fece un riassunto in inglese. In Etiopia Nel 1936 p. Simoncelli inviò una petizione alla Sacra Congregazione per le Chiese Orientali per avere un territorio in Etiopia. Il 1° agosto la Sacra Congregazione concesse un vasto territorio attorno alla città storica di Gondar, a nord di Addis Abeba. Un gruppo di missionari guidati da p. Rizzi arrivarono a destinazione verso la fine dello stesso anno. Mons. P. Villa che nel 1935 era stato chiamato a fungere da Cappellano Militare per le truppe italiane di base a Mogadishu arrivò a Gondar come Prefetto Apostolico il 17 ottobre 1937. Furono aperte 10 missioni in poco tempo. Fra i missionari, p. Alfredo Delai, di stanza a Socota, fu ucciso durante la Guerra di Liberazione (26.4.1941). GONDAR, nel nord ovest dell’Etiopia, è la capitale della Provincia di Begemdir. Un tempo fu anche la capitale della nazione. Si trova a circa 2300 metri sopra il livello del mare, a circa 30 chilometri dal Lago Tana. La città funge da centro commerciale per la fertile regione che la circonda ed è situata sulla strada che porta da Asmara ad Addis Abeba. Il Collegio per la Salute Pubblica della città, fa parte dell’Università Hailè Selassiè I. Gondar fu capitale dell’Etiopia dal 17° al 19° secolo. Era un piccolo villaggio quando l’Imperatore Fasilidas (che regnò dal 1632 al 1667) la scelse come sua capitale. Nella città ci sono diversi castelli e chiese molto ben conservati, i quali, assomigliano a fortezze medioevali e

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mostrano una forte influenza portoghese. Gli edifici più famosi sono quelli costruiti durante il regno di Fasilidas ed i suoi successori – Giovanni (1667-1682) e Lyasu il Grande (1682-1706) Gondar divenne famosa per la sua architettura e attività letterarie. Lo spirito nazionalistico nella sua arte e architettura annunciava lo sviluppo dell’Etiopia moderna. La città fu saccheggiata e incendiata diverse volte durante le guerre civili del 18° e 19° secolo. Declinò rapidamente quando l’Imperatore Teodoro trasferì la capitale a Mandale a metà del 19° secolo. Gondar fu occupata dagli italiani nel 1936. Durante la Seconda Guerra Mondiale fu catturata dagli inglese nel 1941. TESTIMONI FRATEL GIOSUÈ DEI CAS: un cuore d’oro dentro un’apparente rudezza. Pialta - Sondrio 1880 – Wau – Sudan 1932. San Francesco d’Assisi era solito dire che ognuno di noi ha dei valori nascosti che appaiono specialmente in certe occasioni. Questo è proprio il caso di Fratel Giosuè. A casa era molto disponibile e pronto a prestarsi volontario per le differenti necessità della parrocchia. Il parroco assecondava, perciò, la sua volontà di farsi sacerdote. Un padre Comboniano, p. Paolo Silvestri, il quale divenne Vicario Apostolico di Khartoum, parlando al gruppo dei giovani della parrocchia, disse: “il raccolto è abbondante ma i mietitori sono pochi”. Questa era l’ispirazione che Giosuè cercava. Aveva 25 anni senza però aver ricevuto nessuna istruzione dopo la scuola elementare. Decise di diventare Fratello, in quanto era, per lui, l’unico modo per essere missionario. Si recò presso la casa madre di Verona, ma il suo profondo valore non si evidenziò nel ristretto circolo dei novizi del tempo. Data la sua rudezza esteriore il Superiore non gli permise di prendere i voti né la veste ma, considerate le sue ottime qualità morali, il superiore lo tenne come ausiliare. Nel 1907 lo mandarono nel Sudan fra gli Shilluk. Al suo ritorno in Italia ebbe la gioia di emettere i suoi primi voti il 1° novembre 1921, dopo solo un anno di noviziato. Vivendo fra i poveri e bisognosi ebbe modo di far emergere il suo buon cuore nascosto dalla sua apparente rudezza. Le diverse stazioni missionarie potevano testimoniare sulla sua umiltà e generosità. Un giorno, era circa il 1925, frate Giosuè scoprì di aver contratto la lebbra. Ebbe un momento di sorpresa e tristezza. Non era la terribile malattia a fargli paura, ma il pensiero di non poter più lavorare fra i suoi africani. Quando venne a sapere che il Superiore gli aveva trovato un posto in una colonia di lebbrosi della missione fu di nuovo felice. “La mia malattia non è più una croce, è una benedizione. Adesso posso essere missionario più di prima”. Prima dell’apertura del Lebbrosario di Wau i lebbrosi venivano cacciati - non facevano parte della vita comunitaria, e spesso, a causa del nauseabondo fetore che avevano venivano bruciati e torturati con la benzina. Le loro pene erano alleviate dalla tenera cura data loro dai missionari. Fratel Giosuè entrò nel lebbrosario di Khormalan, vicino a Wau il 10 ottobre 1928. Scrisse: “Dio mi ha dato questa malattia come una piccola croce e l’abbraccio serenamente. Passo le giornate con i miei fratelli neri e parlo loro dell’amore di Dio. Ma quello che mi rende veramente felice è questo: Ogni giorno un sacerdote arriva da Wau per celebrate la santa Messa. I padri mi hanno detto che ci daranno un bellissimo tabernacolo, così avrò sempre Dio a me vicino. Non posso desiderare altro. Non è un Paradiso?. Chi è più felice di me?” Passò i rimanenti anni della sua vita ad istruire i lebbrosi. Un confratello scrisse: “Il portico della sua casetta potrebbe essere comparato ad un albero pieno di uccellini cinguettanti che giocano felici. I bambini del lebbrosario gli erano particolarmente affezionati ed li amava con l’affetto e la tenerezza di una madre.” Quando si rese conto che stava per morire disse “È meglio che io muoia e che i missionari più forti e giovani vivano più a lungo”.

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Un altro Fratello, Alberto Corneo, era a letto con la febbre nera che uccideva, allora, molti missionari. Ciò che chiese Fratel Giosuè si avverò: morì, ma Fratel Corneo visse per altri cinque anni fino a che non contrasse di nuovo la terribile febbre. I lebbrosi persero un amico, i loro figli persero un padre coloro che erano scoraggiati persero la luce della speranza; i sofferenti un segno d’amore. Aveva il vangelo in fronte, l’amore di Dio nei suoi occhi. La voce che circolava nel lebbrosario era “È morto un santo, non abbiamo più un amico nella capanna pronto ad ascoltarci”. Possa riposare in pace! MONS. RODOLFO ORLER un uomo comprensivo, zelante e fiducioso. Vulcan – Michigan (USA) 27/11/1892 – Wau (Sudan) 17/7/1946. Il Capitolo del 1931 lo elesse Assistente Generale assieme alla nomina di Superiore della Casa Madre. Là, p. Orler incontrò altri scolastici con i quali andò immediatamente d’accordo mostrandosi comprensivo, fiducioso e zelante. Ricordavano sempre la sua benevolenza. La notizia della sua nomina a Vicario Apostolico di Bhar-el – Ghazal lo raggiunse il 16 dicembre 1933. Dall’aprile del 1934 al luglio del 1946, guidò il Vicariato per 12 anni: 6 in pace e 6 di guerra. Nonostante tutte le difficoltà, Mons. Orler fu in grado di portare avanti il lavoro del Vicariato in amministrazione ordinaria. La sua cura per la salute di tutti i singoli missionari fu eccezionale. Li seguiva, li incoraggiava e li sosteneva sia moralmente che materialmente, moderandoli nel loro zelo. Spesso si recava a far loro visite informali, ma li lasciava liberi di portare avanti il lavoro e le attività apostoliche delle stazioni missionarie. Facendo tesoro delle esperienze dei suoi missionari, coordinò diverse attività per rafforzare la fede del suo gregge come le riunioni dei capi tribù, l’apertura di due scuole di catechesi a Wau e Demziber, tre centri di istruzione nelle lingua locale a Mupoi, Mboro e Kwajok, aggiornando i corsi dei vecchi insegnanti nel seminario di Bussere, dove ebbe la grazia di consacrare il suo alunno p. Ireneo Dud. Mons. Ireneo Dud fu il primo Vescovo proveniente dai territori di missione affidati ai nostri missionari. Diventò Vescovo ausiliare della Provincia di Wau, il primo Vescovo della Diocesi di Rumbek e in seguito Arcivescovo della Provincia Ecclesiastica di Juba. All’età di 54 anni il cuore del secondo Vescovo del Bhar-el-Ghazal non resse più. Mons. Orler si prendeva cura della salute dei suoi missionari ma si dimenticava di prendersi cura di se stesso. Difatti, un giorno il medico gli suggerì di riposare perché non stava tanto bene, ma aveva promesso di fare una visita pastorale nonostante il tempo non fosse buono. Pensava di potersi riposare più tardi, ma non ce la fece. Alcuni giorni dopo il suo ritorno morì a Wau il 17 luglio 1946 lasciando una grande tristezza nei cuori della sua gente. La testimonianza del Vescovo Anglicano Gelsthorpe dimostra tutto il suo valore: “Io scrivo come uno dei tanti non Cattolici che hanno incontrato un sincero e onesto amico: mons. Orler. Non conosco altro luogo dove esista una migliore armonia fra le varie missioni Cristiane qui nel Sudan. Questo è dovuto, per la maggior parte a mons. Orler, il quale nella sua bontà, intelligenza e umiltà era un uomo molto simile a Cristo. Non solo i Cattolici ma l’intero Sudan ha perso un fedele servo di Cristo, un grande pioniere religioso che si è dato interamente ed incondizionatamente al servizio di Dio e per il bene dell’umanità” Come il suo predecessore, mons. Stoppani, mons. Orler non attese di ricevere le direttive del Concilio Vaticano II per predicare L’Ecumenismo. MONS. ANGELO NEGRI: un gentiluomo. Tres (TN) 19/11/1889 – Arua 11/11/1949. Quando, nel 1920, si riaprirono le porte dell’Africa dopo la prima Guerra Mondiale, fu mandato in Uganda. Lavorò a Gulu per circa sei anni ed ebbe la grande gioia di vedere il numero del suo gregge raddoppiare. Era un uomo coraggioso e deciso ma nel 1926 dovette tornare in patria per recuperare le forze. Fu mandato alla casa di Trento quando era solo agli inizi. Là fece molte amicizie e contribuì a diffondere la conoscenza delle missioni tramite la stampa scrivendo su “Nigrizia”e “Piccolo Missionario”. Scrisse cinque o sei libri riguardanti ciò che succedeva nelle missioni. Questi libri ebbero molto successo. Durante le loro vacanze, che duravano due settimane, i ragazzi del Seminario Minore ne vendevano molti. C’è da dire che alcune vocazioni sono dovute a questi libri facile da leggere, ma allo stesso tempo interessanti. Quando la missione del Nilo equatoriale fu abbastanza sviluppata da essere elevata a Vicariato, il 10 dicembre 1934, p. Negri fu scelto come primo Vicario Apostolico. Fu consacrato Vescovo il 5 maggio 1935 nella Cattedrale di Brescia. Arrivò a Gulu a luglio dello stesso anno e per cinque anni lavorò sodo per ristrutturare il suo Vicariato con iniziative ardite: lo sviluppo di diverse missioni, il completamento del-

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la cattedrale, la scelta del luogo dove sarebbe sorto il seminario, l’organizzazione ed amplificazione del sistema scolastico. La fondazione di una comunità religiosa locale per donne, “Le Piccole Sorelle di Maria Immacolata” di Gulu che stanno tuttora aumentando di numero e che sono molto devote al loro fondatore. Allo scoppio della guerra tutto il personale europeo del Vicariato fu internato: padri e fratelli a Katigondo, Seminario Maggiore nel sud dell’Uganda, le suore in altri due posti, sempre nel sud. Da Katigondo Mons. Negri incoraggiava i suoi missionari e si teneva aggiornato su quanto stava succedendo al suo gregge lontano. Quando fu in grado di tornare al suo posto, nonostante le continue persecuzioni e fraintendimenti che dovette sopportare, fu in grado di riguadagnare il terreno perduto e presto il suo Vicariato funzionava di nuovo a pieno regime. Con la sua fede, preghiere e forza, fu in grado di mantenere il territorio della Provincia del nord che era stata nostra sin dal 1911, in quanto un altro Istituto stava cercando di togliercela per mettere i suoi missionari al nostro posto. Quando ebbe modo di scrivere un resoconto di questo increscioso incidente esclamò: “Adesso capisco bene cosa significhi essere un discepolo di Comboni”. A causa di difficoltà economiche si recò in Europa e negli Stati Uniti per cercare di reperire fondi per le missioni. Mostrò l’animo di un combattente nonostante il suo modo di fare gentile e tranquillo. Durante la sua ultima visita al Vicariato, in molte delle missioni, i missionari gli chiesero di fermarsi a riposare perché vedevano che era debole e dolorante, ma il suo senso del dovere veniva al di sopra di tutto e continuò il suo viaggio. Un viaggio che lo portò in Paradiso.

LE SUORE COMBONIANE Il sesto Capitolo Generale delle Suore – 20 luglio 1931. Le Elezioni Madre Pierina Stoppani Madre Carla Troenzi Suor Prassede Zonin Suor Maria Garonzi Suor Regina Costa

- Superiora Generale - Vicaria Generale - Assistente Generale - Assistente Generale - Assistente Generale

Suor Prassede Zonin si dimise nel 1932 ed il suo posto fu preso da Suor Benedetta Colombo. Suor Prassede era la Superiora della comunità di Suore nell’Ospedale Italiano del Cairo. Il consiglio Generale non fu in grado di trovare una sostituta adatta. Madre Pierina Stoppani morì nel 1933 durante una sua visita alle missioni nel Sudan Meridionale. Nel 1931 l’Istituto aveva 120 postulanti, 110 novizie e 470 professe. Nel periodo 1931-1937 furono aperte 18 nuove comunità di Suore nelle missioni e 13 in Italia. Capitolo Straordinario delle Suore: 1933 Questo Capitolo fu tenuto per sostituire la defunta Suor Pierina Stoppani. Elette Madre Carla Troenzi - Superiora Generale Suor M. Prassede Zonin - Vicaria Generale Suor Regina Costa - Assistente Generale Suor Maria Garzoni - Assistente Generale Sr Benedetta Colombo - Assistente Generale

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Capitolo Ottavo DAL 1937 al 1947

A. NOTE STORICHE

Questo periodo è caratterizzato dalla Seconda guerra Mondiale che ha quattro particolarità: 1. “GUERRA LAMPO”, per la veloce e inaspettata invasione delle nazioni europee da par-

te della Germania e di alcuni luoghi dell’Asia Orientale da parte del Giappone. 2. “GUERRA TOTALE”, perché fu usato qualsiasi mezzo disponibile: genocidio di Ebrei

da parte di Hitler, bombardamenti strategici che distrussero intere città, aggressioni ciniche e disumane da parte dei nemici. Furono uccise più di 40 milioni di persone, circa 19,5 milioni di soldati e quasi 20,5 milioni di civili innocenti, adulti, e bambini senza nessuna ragione o giustificazione. La terra, il mare e il cielo furono utilizzati appieno per distruggere ed uccidere. 3. “GUERRA NUCLEARE”, in quanto la bomba atomica fu inventata ed utilizzata dagli USA. Una bomba atomica può effettivamente distruggere una grossa città, Quando esplode il fall-out nucleare rimane un pericolo nelle immediate vicinanze dell’esplosione. Le prime città che subirono questi attacchi furono Hiroshima e Nagasaki in Giappone: è stato calcolato che le due bombe uccisero 70.000 persone ciascuna. Il Giappone dovette arrendersi alla devastante potenza degli Stati Uniti. 4. “GUERRA IDEOLOGICA”: è vero che le condizioni imposte alla Germania dopo la Prima Guerra Mondiale furono molto dure per la sua popolazione, ma quello che causò la Seconda Guerra Mondiale fu l’ideologia proposta da Hitler: spezzare l’egoismo della Gran Bretagna, della Francia e degli Stati Uniti, nazioni che dopo la Prima Guerra Mondiale si erano spartite il mondo e avevano sottomesso le razze “inferiori”, specie le popolazioni slave, alla razza “superiore”della Germania, il modello della cosiddetta “razza ariana”. Il Giappone voleva conquistare e dominare l’Asia Orientale e Meridionale, contro la presenza delle altre tre potenze: la Francia, L’Inghilterra e gli USA. L’Italia si unì alla Germania nel giugno del 1940, nove mesi dopo l’inizio della Guerra nel settembre del 1939. Il dittatore Mussolini impose la guerra alla popolazione e all’esercito italiano che non la volevano. Il resto del mondo era contro la Germania, il Giappone e l’Italia. (L’ASSE). L’Italia si ritirò dalla guerra nel settembre del 1943. La guerra finì in Europa nel 1945 con la sconfitta della Germania e la presenza sempre più incombente degli Stati Uniti nell’Europa Occidentale. In Asia la guerra finì con la resa del Giappone nel 1946 e la sottomissione di molte nazioni orientali all’Unione Sovietica. La guerra ebbe ripercussioni sull’Istituto e sul personale: – in Europa, con la crisi economica, e la mancanza di beni essenziali e cibo, la paura dei bombardamenti – fece sì che i MFSC ne risentisse moltissimo in quanto molti dei suoi membri furono chiamati alle armi e molti perirono. – In Africa: nessun nuovo missionario, la quasi totale assenza di comunicazioni, l’esilio dei missionari, la limitazione dei loro movimenti resero le cose molto difficili, come vedremo nelle pagine seguenti. Molti africani delle colonie dovettero unirsi agli eserciti francesi o britannici e combattere per loro sia in Africa che altrove, specie in Asia.

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B. IL SESTO CAPITOLO GENERALE (VERONA 1937) 1 a. Elezioni Membri del Capitolo: 17 Membri dell’Istituto: 417 di cui 5 prelati, 186 sacerdoti, 140 Fratelli, 80 scolastici. Eletti: P. Antonio Vignato (+1954) P. Agostino Capovilla, Vicario Generale (+1975), P. Giocondo Bombieri (+1964), P. Umberto Mariani (+1979), P. Giovanni Battista Cesana, il quale fu nominato Vicario Apostolico del Nilo Equatoriale nel 1951 e nel 1953, Vescovo residenziale della Diocesi di Gulu. Si ritirò nel 1969 e morì a Verona all’età di 92 anni, (1991). P. ANTONIO VIGNATO nacque a Gambellara (Vicenza) nel 1878. La sua vocazione missionaria maturò dopo la visita del Vescovo Roveggio nel seminario. Fece la professione nel 1900, fu mandato a Khartoum nel 1903 e a Bhar-el-Ghazal nel 1904. Il 1913 lo trova in Uganda, il 1919 Vicario Generale dell’Istituto, il 1923 Prefetto Apostolico del Nilo Equatoriale con Sede a Gulu. Nel 1934 si ritira e nel 1937 fu eletto Capitolare per l’Egitto. P. Vignato è stato l’unico missionario Comboniano ad aver ricoperto cariche sia religiose che ecclesiastiche ad alto livello. Lavorò intensamente sia nel campo apostolico che religioso. Come Superiore Generale, introduce uno stile semplice e nuovo. Nel suo discorso durante il Capitolo sottolineò i seguenti punti: Ø Animazione: “Il mio compito sarà quello di un padre che vi animerà sempre a continuare sulla strada del bene, con coraggio, obbedienza e sacrificio”. Ø Ottimismo: “Il mio compito non sarà quello di un riformatore: se in un Istituto ci sono molti difetti, ci sono molte altre buone qualità”. Ø Era solito dire: “Dobbiamo istruirci molto, pregare di più, e parlare di meno”. Ø L’equilibrio della vita religiosa e quella missionaria è ben osservato. Non riusciva a capire come si potesse pensare che la vita religiosa potesse ostacolare la vita missionaria e vice versa. Ø Nelle sue lettere circolari, ne scrisse 14, riprende i temi cari ai suoi predecessori: la carità, il Sacro Cuore, i voti, le preghiere, la vita comunitaria, cercando sempre di focalizzarli nella vita missionaria. In modo particolare, nella sua prima lettera all’Istituto, scritta il 28 ottobre del 1937, ricorda che la nostra spiritualità è quelle che ci viene data dal Sacro Cuore di Gesù, una spiritualità che richiede grande carità, zelo e amore sincero fra tutti noi. Questo è lo spirito particolare dell’Istituto. Durante la sua prima visita a Roma fu incoraggiato dal Cardinale Verde che si occupava della Beatificazione del Vescovo Daniele Comboni, ad essere speranzoso sull’esito della beatificazione. quindi scrisse una lettera circolare indirizzata a tutti i Figli del Sacro Cuore a pregare perché ciò si avverasse, di avere grandi speranze che Comboni “Il Nostro Fondatore”intercedesse per la loro vita spirituale e per la vita di apostolato, di studiare la sua vita e le sue virtù per poter imitare quel grande apostolo che è Comboni, una spiritualità che deve incrociarsi con la nostra (Cfr. Cir. 21, n. 13 e seg. Bolla n. 15) Era convinto che tutti i membri si dovessero recare nelle missioni, e dopo la guerra ne mandò ben 50.

b. Punti salienti del Capitolo Ø Il Capitolo chiese che fosse revisionato lo Statuto delle Missioni del 1931, specialmente per quanto riguardava la relazione fra le autorità Ecclesiastiche e Religiose. Ø Fu richiesto che fossero scritte le biografie del confratelli defunti. Ø Nelle Missioni, le preghiere dopo i pasti potranno essere recitate nella sala da pranzo se non fosse possibile farlo i Chiesa.

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Bolla n. 15

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Ø Tutte le missioni erano tenute a tenere un diario d eventi più significativi per testimoniare le grandi sofferenze dei pionieri. Ø Non si deve permettere di iniziare a fumare a coloro che già non lo fanno. Ø L’apertura di scuole superiori è caldamente incoraggiata ed inviti agli Istituti di Fratelli dediti all’insegnamento di prendere le redini di tale istituzioni sono da incoraggiare.

C. GLI SVILUPPI NELL’ISTITUTO dal 1937 al 1947 1. Sviluppi interni L’apertura di nuove case in Italia2 Seminari per Minori. Borgovico, Como, nel 1938, poi trasferito a Rebbio* nel 1941. Pesaro 1940* trasferito dal Seminario Minore di Riccione, già preesistente, dal 1928. Crema nel 1941**. Noviziati. Dalla separazione con il MFSC, funzionava un solo noviziato in Italia, tuttavia i novizi erano troppo numerosi per un solo Maestro e un nuovo noviziato fu aperto a Firenze nel 1940. Per mantenere lo stesso metodo formativo, un gruppo di novizi che avevano completato il primo anno a Venegono furono invitati a fondare il nuovo noviziato con P. Stefano Patroni (+1966). Bologna (1943).* In occasione di una esposizione missionaria, tenutasi in questa città dove fu fondata nel 13° secolo la prima Università del Mondo, i Superiori si resero conto della grande simpatia della città. Si decise di aprire una casa con l’intenzione di aprici un Centro di Studi Filosofici, ma era troppo piccola. Un gruppo di confratelli ci andarono a seguire un corso di lingua inglese. Attualmente è la casa provinciale della Provincia Italiana. Teologia Interna. Fino a quel momento gli scolastici di Verona seguivano le loro lezioni presso il Seminario Diocesano. Siccome il numero dei nostri studenti aumentava i superiori si organizzarono per tenere il corso di Teologia in una nostra casa. Tuttavia, gli eventi della Seconda Guerra Mondiale accelerarono i cambiamenti. Dal 1943 al 1945 la Teologia si tenne a Rebbio (Como) con oltre 100 studenti e eccetto uno, i professori erano confratelli che avevano frequentato le Università romane. Congresso Missionario di Catechesi (2-4 settembre 1944). Fu organizzato dagli scolastici come preparazione alla catechesi in missione. Furono tenute conferenze sui seguenti temi: Ø Il fanciullo e il Mondo Sovrannaturale Ø La lezione di Religione. Ø La metodologia di Gesù: Audiovisivi, le Sacre Scritture e la Catechesi, La psicologia del Fanciullo africano. Fu un congresso veramente illuminante del quale p. Vignato fu soddisfatto ed entusiasta. 2. Verso l’Internazionalità a. Apertura in Gran Bretagna (1938) L’apertura avvenne nel 1938 a causa della crescente necessità per i nostri missionari di imparare l’inglese e conoscere la cultura inglese che influenzava tutte le colonie. Ai quei tempi le nostre missioni si trovavano solo in quei paesi dove si parlava l’inglese. Si sentiva comunque la necessità di avere personale che potesse comunicare in quella lingua. 2

Quelle case con un solo * hanno cambiato funzione, con due** sono state vendute.

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Prima di allora alcuni sacerdoti erano soliti recarsi in Inghilterra come cappellani nel collegi di Fratelli nelle cittadine di Southampton e Market Dreyton studiando l’inglese durante il loro soggiorno. Molti dei nostri padri come Bini, Negri, Orler, Baroni, Todesco, Bano e Santandrea, solo per menzionarne alcuni seguirono corsi di lingua nei collegi sopra citati. Comunque si sentiva la necessità di avere una nostra casa con tutte le necessità e nel frattempo ne avevamo preso in affitto una. Si cercò una proprietà nei dintorni di Londra e acquistammo Sunningdale che durante la Guerra fu requisita dal governo inglese per uso diplomatico. Nel 1940, con la guerra al suo massimo 11 sacerdoti e tre Fratelli furono internati sull’Isola di Man. Questi avvenimenti ritardarono considerevolmente l’opera di promozione vocazionale in Gran Bretagna. b. Apertura negli Stati Uniti (1939) Ci furono tre ragioni per questa scelta: la promozione vocazionale, il lavoro missionario fra i “neri”e la ricerca di aiuti finanziari. P. Edoardo Mason fu dapprima mandato a cercare un luogo adatto che trovò nella Diocesi di Cincinnati, dove il Vescovo McNicholas ci offrì la gestione della Parrocchia della Santa Trinità e in seguito quella di St. Henry, ambedue situate fra le comunità di colore. P. Mason tornò nel Bhar-el-Ghazal, dove divenne poi Vicario Apostolico. I Padri Amleto Accorsi e Domenico Ferrara, che poi divenne Prefetto Apostolico di Mupoi, rimasero sul luogo per organizzare l’Istituto. Dopo la guerra, nel 1946 P. Giulio Rizzi fu mandato negli Stati Uniti per esaminare le possibilità di istituirvi un Seminario Minore. c. Apertura in Portogallo (1946-47) Lo scopo era di preparare quei missionari che dovevano recarsi nel Mozambico, una colonia portoghese,e di iniziare la promozione vocazionale. P. Giovanni Cotta (1883 – 1976), un pioniere leggendario, senza sapere una sola parola di portoghese riuscì in poco tempo ad aprire un Seminario Minore a Viseu, (Portogallo Settentrionale). FONDATORI: Gran Bretagna, U.S.A. e Portogallo P. RENATO BRESCIANI: sempre alla ricerca di iniziative. Mezzane di Sotto (Verona) Verona, 6/8/1914-Verona 22/7/1996. Entrò nell’Istituto Mazza nel 1926 e lo lasciò nel 1934 per entrare nel noviziato di Venegono. Fece i suoi primo Voti il 7 ottobre 1936, si diplomò in teologia all’Università Urbaniana a Roma e fu ordinato sacerdote l’8 aprile 1939. Fu mandato in Inghilterra per ottenere il diploma del Colonial Course, ma fu internato in un campo sull’isola di Man con altri italiani perchè l’Italia era in guerra contro la Gran Bretagna. Durante questo forzato soggiorno funse da cappellano e ispirò molte iniziative. Uno dei Padri che era stato con lui per parecchi anni scrisse: “Eravamo molto poveri e non si potevano avere offerte per le Missioni. Doveva viaggiare in lungo ed in largo per la Gran Bretagna usando i trasporti pubblici. “Vado a battere cassa”era solito dire. E così andava dagli amici italiani con i quali era stato internato durante la guerra. Aveva un modo di fare che spingeva tutti a dare e fare di più anche da parte dei suoi collaboratori.” P. Bresciani fu fondatore in Inghilterra, uno dei fondatori del Seminario Maggiore a Tore, nel Sudan; un iniziatore per gli immigranti a Roma. Durante il Capitolo del 1969 fu deciso di istituire una organizzazione con uffici e personale propri per assistere gli immigrati direttamente. P. Bresciani si offrì volontario per promuovere l’iniziativa e fondò l’ACSE) - Associazione Comboniana per l’Assistenza agli Immigranti. che fu legalmente costituita come Associazione senza fine di lucro nel 1994. Ancora in Inghilterra, dal 1947 iniziò ad interessarsi alla formazione di studenti asiatici ed africani (circa 12.00 studenti esteri), organizzando un’assistenza con base ecumenica assieme a pastori Anglicani, Metodisti e laici. Fu come un’opera pilota che si rifaceva alla sua particolare chiamata: l’assistenza agli

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immigrati, che avrebbe svolto per la maggior parte della sua vita. Solo per dare un’idea della mole di lavoro che svolgeva, si legge dalle statistiche ACSE dall’aprile a giugno del 1986: “Rifugiati 902, Studenti 137, congiunti 191, persone in estrema necessità di aiuto, 304, Presenze totali 15.000. Tutte queste persone necessitano di cibo, alloggio, danaro per alloggo o per viaggi, assistenza sanitaria… Poi ci sono i detenuti del terzo mondo da visitare in prigione. Anche loro hanno bisogno di quasi tutto perché nessuno si ricorda di loro…” Nel 1987 fondò il SIS (Sudan Information Service) una pubblicazione mensile piena di informazioni sulla guerra nel Sudan e sulle prospettive di pace. Cooptò diverse persone a collaborare con lui per assicurare un futuro alla sua fondazione. Così, nel 1995 fu legalmente costituita L’ASCE come ONLUS con tutti i diritti e doveri che comportava. Fu quindi assicurata la sua stabilità e continuità. P. Bresciani trovò il modo di dare la sua vita a Gesù che viveva nei Fratelli e Sorelle che incontrava tutti i giorni, senza alzare nessun tipo di barriera che fosse culturale, religiosa o di razza. In questo impegno di solidarietà umana, p. Bresciani mise tutto se stesso e nel 1996 declinò rapidamente. Dopo 35 giorni in ospedale spirò nella casa Madre di Verona il 7 luglio. P. AMLETO ACCORSI la pietra portante. Imola (Bologna) 1903 – Montclair, New Jersey USA 1978. Non soltanto nella città di Cincinnati ma sulla costa orientale e quella occidentale, e tutti gli Stati che si trovano nel mezzo, La gente rimaneva a bocca aperta quando sentiva le bellissime storie che raccontava sull’Africa. Riconosceva la sua sincerità e totale dedizione alle missioni. Sarebbe, quindi, diventato la pietra portante della Fondazione Comboniana negli Stati Uniti. Il Vescovo di Cincinnati Mons. Nicholas, gli riservò un grande privilegio: nel 1943 scrisse a tutte le scuole di Cincinnati chiedendo che venisse accolto p. Accorsi con la speranza che potesse assicurarsi dei baldi giovani pronti a dedicare la loro vita completamente all’Apostolato nel suo Istituto. Dal 1947 fu l’incaricato delle “Pubbliche Relazioni”dell’Istituto ed ebbe un ruolo chiave nella fondazione di diverse case. La capacità con cui riusciva a comunicare con gli altri e la sua eloquenza lo misero in contatto con un grande numero di persone. Raccontava la sua esperienza missionaria con grande capacità. Dopo un periodo alquanto infelice come Provinciale in Italia dal 1964 al 1969, p. Accorsi tornò definitivamente negli Stati Uniti per dedicarsi alla animazione missionaria. Predicò 36 Giornate Missionarie in un anno quando, data la sua età, avrebbe dovuto riposarsi di più. La sua salute peggiorò. Morì a Montclair il 12 gennaio 1978 e fu sepolto a Monroe, nel Michigan. Il Vescovo Ausiliare di Newark, J. Francis presenziò al suo funerale per dargli ìl suo ultimo saluto. Questo Vescovo di colore era un dono del Sacro Cuore al quale p. Accorsi era devotissimo e rappresentava gli Afro-Americani per i quali aveva lavorato per così tanti anni. L’autore di “Defining Mission” (I Missionari Comboniani nell’America Settentrionale di Patricia Durchoz, University Press of America, 199) commenta così p. Accorsi: “Il Mistero di Accorsi. I missionari Comboniani che lo conoscevano, dipingono un quadro alquanto buio di Accorsi. Dichiarano che viveva una vita estremamente ascetica, e aveva un’aria di saccente quando sacerdoti più giovani chiedevano consiglio. Parlava solo quando lo riteneva necessario ed anche allora era spesso caustico e critico. I laici dipingono un quadro totalmente differente di lui. Ricordano i loro figli che gli andavano incontro per ascoltare le sue storie e lo ricordano devoto al suo Istituto: così infatti si manifestava a casa loro, con le loro famiglie. Quando si intrecciano questi due punti di vista, quello dei missionari, e quello dei laici, Accorsi ci appare sia coraggioso che acuto; generoso verso le missioni,ma richiedente il massimo da se stesso e dai suoi confratelli; arguto e amabile in pubblico, ma brusco con i confratelli. I documenti risalenti ai tempi di quando era in seminario e i primi tempi nelle missioni dimostrano un Accorsi molto più complesso di quanto molti si aspetterebbero.” (id p. 18-19) “E per finire, dal 1949 fino a quando dette le dimissioni da Provinciale nel 1959, il ruolo di Accorsi fu fondamentale per la crescita dell’Istituto nell’America del Nord. Mise le fondamenta sulle quali altri potevano costruire. Benché dedito alle missioni africane e alla rigorosa interpretazione delle regole dell’Istituto e la sua spiritualità, sviluppò una profonda stima della cultura americana e la generosità della sua gente. La guida di Accorsi, gli guadagna il titolo di “Fondatore”della Provincia Nord Americana.” (id p. 151-174)

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P. GIOVANNI COTTA: un pioniere di grande talento. Mortara (Pavia 17/1/1883 – Arco (Trento) 26/10/76. Era una di quelle persone nate per sfondare: ciò non significa che non fosse in grado di far funzionare le cose, solo per indicare la sua determinazione ad affrontare e superare difficoltà nonostante le solite frustrazioni. Voleva entrare nell’Istituto, ma i suoi genitori erano contrari. Dopo aver ricevuto una lettera positiva da Verona, rispose con la seguente lettera: “Mi trovo nel seminario teologico di Milano, ma Dio volendo, solo per poco tempo. Chiederò consigli domani e manderò una lettera a mio padre. Cercherò di persuaderlo in tutti modi. Me lo ha dettato il Sacro Cuore.. Dopo un paio di giorni mobiliterò tutti i sacerdoti della mia parrocchia che mio padre apprezza, e dei quali parla sempre con rispetto. Questo sarà l’ultimo assalto. Spero che il Sacro Cuore illumini sia mio padre che me stesso. Sono sicuro dell’esito positivo. Voglio dirVi che entro venti giorni scriverò per dire che sono pronto… e verrò. Verrò colmo di gioia, di buona volontà, di pecche, ma mi auguro che avrete pietà di me.” Era una di quelle persone che non accettava un “No”come risposta. Suo padre dovette dare il suo consenso: “Io personalmente ho negato il mio consenso diverse volte, ma non ho ottenuto il risultato che speravo”, disse il padre. P. Cotta fu uno dei primi ad andare in Inghilterra ad imparare l’inglese (1904), ed imparò la lingua talmente bene che sembrava la sua madrelingua. Fu ordinato nel 1909 e mandato a Khartoum a dirigere la scuola. Organizzò una banda musicale di 40 strumenti che suonava durante i concerti e le feste. Fondò la scuola superiore a Gulu in Uganda (1923-1930). Mandato poi a Detwok, Malakal, fra gli Shilluk, iniziò un progetto di agricoltura che ebbe molto successo.(1930-1935). Trovò il castello di Venegono e ne iniziò la ristrutturazione. Incaricato di cercare una casa in Inghilterra, fu lui a trovare Sunningdale. Di ritorno a Verona, iniziò a sistemare il museo con moderne metodologie. Il Portogallo fu uno dei molti luoghi dove fu in grado di sfondare. P.Cotta arrivò a Lisbona il 1 aprile del 1947, ospite di una famiglia che conosceva. Si recò a far vista al Nunzio Apostolico ed al Patriarca di Lisbona. Poi iniziò il suo viaggio verso il Portogallo settentrionale. Si fermò a Fatima, e s’impegnò per la ricerca di fondi per la nuova fondazione. La Madonna riconobbe la sua grande devozione e il suo affidamento alla Provvidenza. Continuò il suo viaggio e la Madonna lo guidò fino a Viseu dove arrivò il 23 aprile 1947. Il Vescovo della Diocesi, D. José da Cruz Moreira Pinto, stava celebrando la festa del Patrocinio di San Giuseppe, sposo di Maria. Quello stesso giorno stava completando una Novena per chiedere a San Giuseppe che fosse concessa una casa religiosa nella sua diocesi. Così p. Cotta non solo trovò un posto, ma anche un appoggio, non solo per un Istituto religioso, ma anche missionario. Con la benedizione del Vescovo, p. Cotta andò in cerca di un luogo adatto. Sapeva di un grande appezzamento di terreno in vendita, Ma arrivò troppo tardi per accaparrarselo. Ciò nonostante quello era proprio quello che cercava. Essendo un uomo che non conosce il significato della parola “No”, lasciò sul campo un santino di San Giuseppe, benedetto dal Vescovo. Quando l’acquirente, un medico, venne a sapere dei piani del missionario, decise di vendergli il terreno allo stesso prezzo che lo aveva pagato. La fede di p. Cotta aveva trionfato. Nel novembre del 1947, p. Cotta si recò a Verona con un grandioso progetto per un seminario. Dovette ridimensionare le sue proposte, ma tornò alla carica a metà del 1948, purtroppo senza danaro. I nostri Fratelli, guidati da un nostro esperto costruttore, fratel Egidio Locatelli, (+ 2000), arrivarono a Viseu ed il progetto decollò. Quando iniziarono i lavori, il fondatore mendicante dovette partire. Lo attendeva un nuovo impegno dell’Istituto: la parrocchia di Elm Park a sud di Londra, un sobborgo nella diocesi di Brentwood. Il segreto di p. Cotta risiedeva nel suo fervore religioso e missionario maturato con la sua consacrazione a Dio, la sua venerazione per il Fondatore, nella di cui missione aveva lavorato, Khartoum. “Un autentico uomo di Dio”, disse di lui un confratello che lo aveva conosciuto. Nonostante i suoi difetti, era un uomo concreto, eminentemente spirituale, molto apprezzato come direttore spirituale. Nostra Madonna di Fatima a Milano: una nuova sfida all’età di settant’anni. L’erezione di un Santuario dedicato alla Madonna di Fatima nei sobborghi di Milano fu l’ultima sfida del nostro infaticabile e vitale campione. Costruì una casetta modesta e una cappelle dedicata alla Madonna di Fatima, i suoi piani, però non furono approvati dall’allora Cardinale Arcivescovo di Milano Giovanni Battista Montini che poi divenne Papa Paolo VI (1963).

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Un giorno, un corto circuito causò un incendio che rase al suolo tutto, fuorché le travi di metallo contorte dal fuoco. Quella distruzione ridusse p. Cotta alle lacrime, ma non perse coraggio. Quello che sembrava un disastro mosse le acque per una ricostruzione. Centinaia di firme furono recapitate alla Curia. Fu eretta una nuova e più grande cappella, sempre prefabbricata, benedetta dal Vescovo Ausiliare di Milano Mons. Ferrarono (8-12-1969). Padre Cotta era stato trasferito a Verona Attualmente c’è una chiesa permanente e il “Centro Ammalati p. Ambrosoli Giuseppe”, una clinica per Missionari Comboniani ammalati.

3. Sviluppi nelle Missioni a. Apertura nel Mozambico (1947) Andando a Roma dove sarebbe stato nominato cardinale, Mons. C.T. De Gouveia, arcivescovo di Lorenço Marques (Maputo) si fermò a Khartoum. Rimase piacevolmente impressionato dal lavoro dei nostri missionari, tanto che tramite la Segreteria di Stato, invitò l’Istituto a lavorare nella diocesi di Nampula (Mozambico Settentrionale). P. G. Zambonardi che fu mandato a fare un sopralluogo, nella sua relazione scrisse che i due terzi della popolazione seguivano le religioni tradizionali, la maggior parte dei restanti erano musulmani e di cattolici ce ne erano ben pochi. L’offerta comunque fu accettata anche perché i Superiori temevano che i missionari italiani non avrebbero più ottenuto il permesso di lavorare nelle colonie britanniche a causa della guerra appena finita. b. L’apertura del “Comboni College” in Asmara (1947) L’alto standard del Collegio diede ai Comboniani, rappresentati da P. Armido Gasparini, un’ ottima reputazione in tutta l’Etiopia. Più tardi sarà ben accolto come Vicario Apostolico di Awasa nel Sidamo date la sua fama ed esperienza. c. Particolari difficoltà nel Sudan ed in Uganda. Queste difficoltà sorgevano dal fatto che la nostra missione di Kodok si trovava alla frontiera con l’Etiopia, Le stesse difficoltà colpirono anche il Bahr-El-Gebel e l’Uganda, poco lontane. L’Etiopia era occupata dall’Italia, perciò i missionari che operavano nelle Colonie Britanniche non erano visti di buon occhio. Missio sui Juris di Kodok. Tutti i nostri missionari dovettero abbandonare le missioni e le numerose tombe dei nostri Sacerdoti, Fratelli e Suore. Il territorio fu affidato alla Society of St, Josef (Mill Hill) di fondazione inglese, con Decreto della Santa Sede del 4/8/1938. Prefettura di Bahr-el-Gebel. Questa Prefettura stava per fare la stessa fine di Kodok, ma negoziati fra il “Colonial Office” e la Santa Sede portarono a cambiare solo il responsabile della Missione. P. Zambonardi dette le dimissioni, ed il suo posto fu dato ad un missionario di origine non italiana, p. Serafino Turtkovic, dell’Erzegovina che morì in un incidente motociclistico mentre viaggiava da Lira a Gulu nel luglio del 1938. Gli succedette p. Stefano Mlakic, bosniaco, dal 21 ottobre 1938. Residenza coatta. Durante la Seconda Guerra Mondiale, tutti i nostri missionari furono trasferiti dall’Uganda Settentrionale all’Uganda meridionale. I Sacerdoti ed i Fratelli furono trasferiti al Seminario maggiore di Katigondo, nella Diocesi di Masaka. Le Suore Comboniane in due diversi luoghi: alcune nel convento di un Istituto locale, le Piccole Suore di San Francesco, a Nkokonjeru, nel Vicariato di Kampala; altre, in una scuola-convitto per ragazze a Nkozi, nel Vicariato di Rubaga. Alcuni Padri Bianchi furono mandati a sostituire i nostri dal giugno del 1940 al dicembre del 1941. Le suore non furono sostituite. Questo fu un periodo di grande sofferenza per il Vescovo Mons. Angelo Negri a causa di incomprensioni con p. Hughes, Padre Bianco, che era il responsabile della situazione ma che andò oltre nell’esercizio dei suoi compiti Per due anni, dal settembre del 1940 all’agosto del 1942, tutti i missionari del Bahr-el-Gebel furono confinati in sole tre missioni. d. Ritiro dall’Etiopia All’inizio del 1942, gli inglesi aiutati dagli “Ascari”locali cacciarono le truppe italiane ed entrarono nel territorio di Gondar. Mons. Villa, assieme a tutti i missionari furono deportati a Saganeiti in Eritrea il 15 febbraio 1942. Un anno più tardi, nell’agosto del 1943, mons. Villa ed

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alcuni altri rientrarono in Italia. Mons. Villa lavorò presso la Sacra Congregazione delle Chiese Orientali e nel 1946 diventò Vescovo Ausiliare di Subiaco (nei pressi di Roma), nella Diocesi di Porto e Santa Ruffina. Morì il 13 novembre 1960. e. I nostri Primi Martiri Molti nostri missionari morirono in Africa, ma fino al 1941 nessuno di loro era morto per morte violenta causata da africani. P. DELAI ALFREDO (1913-1941) fu il primo a morire vittima della guerra e quello che riteneva il suo dovere: rimanere nella missione. Quando arrivarono i soldati, uscì dal suo nascondiglio mostrando loro un Crocefisso a significare che non era un nemico, ma un ascari lo colpì alla schiena con tre fucilate a distanza avvicinata su ordine di un ufficiale britannico, Era il 26 aprile 1941. P. ARPE ANGELO (1886-1946) Un missionario pioniere nel difficile distretto di Bahr-el-Ghazal. Vi arrivò nel 1912 dove fondò la missione di Mboro nel 1925. Un cristiano, Rafael ebbe un litigio con Leone, il capo dei catechisti della missione che sospettava avesse una relazione con sua moglie. Il giorno della festività di “Tutti i Santi”, Rafael stava per uccidere Leone, ma non trovandolo, andò alla casa del Sacerdote e colpì P. Arpe con una lancia. Continuò nella sua ricerca e non trovando Rafael, tornò da P. Arpe che era stato solo ferito, e lo finì trapassandolo. Per porre fine alla follia omicida dell’assassino, il catechista Placido a sua volta uccise Rafael sempre con una lancia. Placido era il padre del Cardinale Arcivescovo Mons. Gabriel Zubeir di Khartoum.

TESTIMONI P. GIUSEPPE ZAMBONARDI: un uomo per tutte le stagioni. Gardone Val Trompia (Brescia 14/2/1884 – Arco 5/6/1970. P. Giuseppe Zambonardi potrebbe essere chiamato un uomo per tutte le stagioni a causa delle molteplici sue fondazioni. Nel 1911, al suo arrivo in Uganda, fondò la prima missione Palaro fra la gente Madi. In seguito lavorò con la tribù dei Logbara, le lingue di questi due popoli sono simili, ma molto difficili. Nel 1927, quando fu eretta la prefettura Apostolica di Bhar-el Gebel, fu il nominato Prefetto restando fino al 1938. Comunque portava solo il peso di quell’onore. Non amava la pubblicità e gli onori, e spesso lo si poteva trovare sporco d’olio sotto un camion che non funzionava, poco prima di farsi vedere dalla folla che lo attendeva, nei suoi vestimenti liturgici per una sua visita pastorale o per le cresime. A lui l’onore di aver fondato quattro nuove stazioni, l’aver iniziato la costruzione del Seminario di Okaru che diede molti sacerdoti sudanesi fra i quali piace ricordare la figura di Saturnino Lohore, sacerdote eroico e patriota, ucciso nel 1968, l’aver organizzato l’Azione Cattolica, e avviato la fondazione del Collegio per maestri e artigiani a Torit. Anche le comunità Cristiane aumentarono notevolmente di numero. Nel 1938 mons. Zambonardi dovette dare e sue dimissioni per svariate ragioni: la Prefettura di Bhar-el Gebel situata in territorio angloegiziano era gestita da missionari italiani e confinava con l’Etiopia che era stata occupata dagli italiani. Mons. Mlakic, di cui abbiamo già parlato, gli subentrò. Dopo una breve vacanza forzata, in Italia ricevette il permesso di partire per la Prefettura Apostolica di Gondar in Etiopia. Quando la città cadde in mani britanniche fu preso prigioniero assieme agli altri confratelli. Fu poi liberato con il permesso di recarsi a Khartoum ad aspettare tempi migliori. Poi qualcosa successe. La creazione del primo Cardinale del Mozambico Clemente Teodosio De Gouveia. In viaggio per Roma a ricevere il suo cappello cardinalizio, il nuovo Cardinale si fermò a Khartoum. L’incontro fortuito con i missionari Comboniani sfociò in un invito a recarsi nella sua Diocesi di Nampala nel Mozambico. Il cardinale aveva visto il magnifico lavoro che stavano svolgendo i nostri missionari, sacerdoti, Fratelli e Suore, nelle scuole e nelle chiese, e rimase fortemente colpito dalla grande crescita della comunità Cristiana. La Direzione generale non poteva trovare persona migliore alla quale affidare il nuovo compito che mons. Zambonardi. Ciò significò sette ulteriori anni di duro lavoro, con inoltre le sfide di imparare una nuova lingua, e abituarsi ad ambienti nuovi sia per lui che per i confratelli che lo affiancavano. Quando

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tornò in Italia nel 1953 per il Capitolo Generale gli fu affidata la responsabilità dei missionari Comboniani che lavoravano in Egitto. Lavorò in questo ultimo campo delle sue attività per ben sei anni. Ci lascia esempi del suo zelo illuminato e nel suo diario di 15 volumi c’è una documentazione che manifesta in modo eccezionale l’attività missionaria dell’Istituto in Africa nella prima metà del 20° secolo, e soprattutto del carisma apostolico di questo generoso figlio di Comboni. che il Signore ha ora ricompensato in Paradiso e che rimane per tutti noi il modello del vero missionario. P. Zambonardi fu sempre restio a battezzare i catecumeni. Per esempio, un giorno ne esaminò 11 ma ne battezzò solo cinque. Sei dovettero rifare l’esame. P. Zambonardi introdusse le stesse restrizioni nel Mozambico. Voleva che coloro che entravano nella chiesa avessero una fondata moralità. Voleva, inoltre, che i giovani imparassero a leggere e scrivere. Pubblicava delle “Newsletter” e voleva che i Cristiani riuscissero a leggerle. Le condizioni a quei tempi erano veramente dure. Una volta scrisse alla sua famiglia di aver fatto un viaggio di 24 ore, per visitare i catechisti. Consumò un paio di scarpe perché dovette andare a piedi. A volte poteva usare una bicicletta, ma non sempre era possibile. Un’altra volta ricevette una lettera dal Superiore che gli chiedeva di andare a Rejaf nel Sudan- 300 chilometri a piedi. Ci mise 15 giorni per arrivare. Gli piaceva conoscere le tradizioni africane. Scisse nel suo voluminoso diario che fra i Bari del Sudan aveva trovato molte storie della Bibbia distorte. Per esempio, il serpente tentatore, i giganti, il diluvio... “Un giorno - scrive- rimasi veramente scioccato di sentire che la razza nera discende da un certo Kus. Egli cadde dal cielo durante il diluvio universale, e gli africani sono i suoi discendenti. Nella Bibbia Kus è il figlio di Cam.” FRATEL CLEMENTE SCHRÖER: Mite, paziente, di poche parole, un gran lavoratore. Keinsingen 1860– Verona 1942. Un tedesco di origine prussiana, Fratel Clemente si ricordava l’eroica fedeltà della sua famiglia per mantenere la fede cattolica. Fu ammesso ai Voti religiosi il 19 marzo 1892. Fu mandato nel Bahr-elGhazal dove visse anni terribile fra il 1904 ed il 1908, dove molti missionari morirono ed altri dovettero andarsene. Essendo un esperto del Nilo gli fu chiesto da mons. Geyer il 18 febbraio 1910 di portare i primi missionari che andavano da Khartoum all’Uganda, via Juba, sulla barca chiamata “Redentore”. Clemente era mite, paziente, ed attento. Oltre ad essere un marinaio, era anche abile infermiere, cuoco, coltivatore nonché provetto falegname ed intagliatore. La gente era piena di ammirazione quando lo guardava lavorare nella sua bottega. Dicevano “Quanti mestieri conosce questa gente di Khartoum! “primi ad essere convertiti dal suo comportamento furono i padri con i quali viveva. Di poche parole, metodico e riservato, attraeva i bambini. C’è un piccolo altare a Gulu nella cappella privata del Vescovo che è un ricordo di Fratel Clement... Un ricordo della sua bravura come intagliatore e della sua devozione al Santo Sacramento. Aveva scelto un legno pregiato e duraturo per la sua opera. Dopo vent’anni di vita missionaria la guerra gli giocò un brutto colpo; fu mandato in India nel campo Jakdah nell’Himalaia. P. Vignato scrisse così di lui: “Aveva il dono della fortitudine, non era mai demoralizzato, continuò con il suo lavoro di falegname anche in missione. Con il danaro che cercavo di fargli avere durante i primi mesi comprò una sega, una pialla ed altri arnesi che gli servivano per lavorare e così potersi fornire di generi di prima necessità. Dopo non volle che gli mandassi altro danaro e mi rimandava tutto quello che riceveva scrivendo che era contento con quello che aveva e che non gli serviva altro. Con la sua esemplare disciplina e docilità nel far avere coloro che si trovavano nel campo quanto poteva con il suo lavoro, si guadagnò la loro amicizia, Come premio gli fu data l’opportunità di recarsi presso i Gesuiti due volte a settimana, a due ore di cammino, per poter continuare le sue pratiche di pietà. Due anni dopo la guerra tornò nel suo paese natio. Scrisse soltanto: “14/02/1920, è arrivato il momento di tornare a casa, ad Essen”. Al momento della divisione dell’Istituto, non tutti i confratelli tedeschi erano contenti della divisione, toccava al superiore decidere su chi accettare, secondo il loro carattere. Quando Fratel Clement chiese di rimanere nell’Istituto italiano, fu subito accettato dal Superiore Generale. Dopo una breve vacanza presso la sua famiglia e un po’ di riposo a Verona fu mandato a Thiene come responsabile del laboratorio di falegnameria dove rimase per vent’anni. Quando si ammalò, andò a Verona dove celebrò i suoi cinquant’anni di professione. Morì il 20 giugno 1942 all’età di 82 anni.

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Egli è un esempio della tradizione di quei confratelli che nel Sudan, nell’Uganda o in Sud Africa a Glen Cowie e Maria Trost riuscirono a raggiungere un sereno equilibrio fra il lavoro e la preghiera. La nuova evangelizzazione è la capacità di vivere nella contemplazione del mondo moderno. Senza rendersene conto né pensando di farlo, il piccolo e paziente pastore, fu un grande costruttore di comunità: coloro che costruiscono le comunità potrebbero essere i superiori ma, difatti coloro che sono i fondatori spirituali sono quelli che costruiscono le vite altrui con il loro amore ed i loro gesti. Si può dire che i Fratelli come Fratel Clement portano significato, concretezza e realismo. A causa della natura della nostra tradizione, la presenza del Fratello è sempre impellente e necessaria nella chiesa, nella comunità religiosa e nella società.

LE SUORE COMBONIANE Settimo Capitolo Generale delle Suore - 1937 Elette: Madre Carla Troenzi - Superiora Generale Suor Felicita Valentini - Vicaria Generale Suor M. Santina Alemanni - Assistente e Segretaria Suor Benedella Colombo - Assistente Suor Prassede Zonin - Assistente Nel periodo 1937-1946, 16 nuove comunità furono aperte nelle missioni, 12 delle quali in Eritrea, mentre in Italia ce ne erano 43. Questo era dovuto alla Seconda Guerra Mondiale (19391945) quando era quasi impossibile intraprendere viaggi verso l’Africa. La presenza delle Suore nel Medio Oriente iniziò nel 1939 quando accettarono la responsabilità dell’Ospedale italiano nell’Oman. Fu il primo ospedale italiano in Giordania, fondato dall’Associazione “Ernesto Schiaparelli”. Sia il Re Hussssein che la Famiglia Reale ne avevano una enorme stima. La stessa Associazione invitò le Suore a gestire l’Ospedale Italiano di El –Karak sulle montagne siriane. Ottavo Capitolo Generale delle Suore – 1946 Questo Capitolo avrebbe dovuto aver luogo nel 1943, ma ciò non fu possibile a causa della Seconda Guerra. Mondiale. Partecipanti: 27 Elette: Madre Carla Troenzi Suor Afra Manzana Suor Santina Alemanni Suor Germana Nicolini Suor Candida Bigoni

Ø Ø Ø Ø

- Superiora Generale - Vicaria Generale - Assistente e Segretaria - Assistente - Assistente

In questo periodo si verificano le seguenti importanti aperture. 1947 – Gerusalemme: un dispensario sul Monte Sion (per un anno?). 1949 – Libano: servizio presso l’Ospedale Tell Chiha- Zahle nel Libano e Aleppo in Siria. 1950 – Due scuole in Aden a Streamer Point e Crater che furono chiuse nel 1973. 1950 - USA. Nell’ambito dell’espansione per la promozione vocazionale e animazione missionaria, le Suore non potevano ignorare gli Stati Uniti. I primi luoghi furono Richmond in Virginia e Chastang in Alabama nel 1950. Gli afro - americani avevano attirato il loro interesse.

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Capitolo Nono DAL 1947 al 1959

A. CENNI STORICI Apertura nell’America Latina I nostri Confratelli MFSC si trovavano nel Perù sin dal 1938. Una delle ragioni per l’apertura nell’America Latina da parte del FSCJ era l’appello di mandarvi missionari fatto da papa Pio XII: le vocazioni locali erano scarse, principalmente in Brasile. Ci sono delle ragioni per questo: 1. L’anticlericalismo sorse dopo l’indipendenza, dal 1825, come reazione al clericalismo dell’epoca coloniale. Neanche i Vescovi si trovavano d’accordo nell’affrontare i movimenti indipendentisti. L’arcivescovo di Città del Messico decretò la scomunica per tutti gli insorti e ordinò ai sacerdoti di combattere l’indipendenza, mentre il Vescovo di Quito accettò la presidenza della giunta rivoluzionaria. Anche il clero era diviso, benché, generalmente, ed in particolare nell’Ecuador, prevalse il loro appoggio all’indipendenza. Nel Venezuela, d’altro canto, i sacerdoti rimasero a guardare. 2. La negligenza nel promuovere vocazioni fra gli indios e i negri: tradizionalmente era più facile per i “mestizos” arrivare all’ordinazione che per un indio. Inoltre era più facile per un indio che per un mulatto o un negro. Tale negligenza lasciò una triste eredità dopo l’indipendenza. 3. In Brasile ci furono delle circostanze particolari che influirono sull’ambiente religioso e sociale. La nuova costituzione del 1891, estremamente positivista, conteneva un certo numero di leggi che influirono sulla vita religiosa come la laicizzazione delle scuole pubbliche, i matrimoni civili come gli unici riconosciuti, diniego di qualsiasi diritto politico ai religiosi, l’espulsione dei Gesuiti nonché l’assoluto divieto di aprire nuovi conventi e case religiose. La metodologia era differente, ma la ragione era sempre la stessa: l’Impero portoghese aveva asfissiato la Chiesa e la nuova repubblica la ignorava completamente, ambedue, tuttavia miravano a mantenerla impotente. Spronati dal nuovo Internunzio, mons. Spolverini, i Vescovi scrissero la celeberrima “Lettera Pastorale Collettiva” del 19 marzo 1890, che protestava contro i nuovi decreti e riuscì a far sì che molte delle nuove misure facessero meno danni possibile. Ottennero libertà di governo per la Chiesa e la revoca della legge contro i Gesuiti. I positivisti continuarono con i loro attacchi su giornali e opuscoli, gli ultra liberali e i massoni erano contro la religione nelle scuole, ma nella costituzione del novembre del 1937, i cattolici si batterono ed ottennero che la religione fosse insegnata nelle scuole se lo desideravano i genitori dei ragazzi interessati. Altre ragioni erano il grande analfabetismo (50 %), lo spiritismo (30 %), le condizioni di vita misere e la mancanza di una forte stampa cattolica. Fu solo nel 1930 che fu pubblicato il primo giornale cattolico in portoghese. A causa della mancanza di sacerdoti, molte parrocchie anche immense non avevano un pastore. Nel 1934, durante il papato di Pio XI, fu fondato il Collegio Pio Brasiliano a Roma. Ma non c’erano studenti a sufficienza. La separazione della Chiesa e lo Stato portò comunque il vantaggio di poter creare nuove Diocesi, che il precedente governo aveva negato per tanto tempo. Difatti, nel 1889, c’erano solo 12 diocesi. Nel 1959, 25 archidiocesi e 87 diocesi, 30 prelature nullius e una abbazia nullius. C’è stata comunque una grande crescita nella vitalità della Chiesa Latino Americana negli ultimi sessant’anni, fino all’esplosione, se così si può chiamare, di questa vitalità ai Convegni di Medellin, Puebla e Santo Domingo.

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B. IL SETTIMO CAPITOLO GENERALE (VENEGONO), 1947 1. La celebrazione Secondo la Costituzione, ogni Capitolo deve essere celebrato ogni sei anni. A causa della seconda Guerra Mondiale si tenne dopo dieci anni. Membri del Capitolo: 23; membri dell’Istituto: 682 Eletti: P. Antonio Todesco (+1979) al primo ballottaggio; P. Antonio Vignato (+1954), P. Gaetano Briani (+1984); P. Aleardo De Berti (+1969); P. Leonzio Bano (+1983). P. ANTONIO TODESCO. Nacque nell’Italia settentrionale, fece la sua prima professione nel 1902 e morì a Verona nel 1979. Nel 1922 fu ordinato sacerdote e assieme a p. Mason fu il primo di un certo numero di sacerdoti a recarsi in Inghilterra presso i Brothers of Christian Instruction a Southampton per imparare la lingua inglese. Nel 1928 partì per Bahr-el-Gebel. Nel 1937 fu membro del Capitolo; fu nominato Maestro dei Novizi nello stesso anno, compito che svolse in una maniera alquanto innovativa. Come Superiore generale p. Todesco migliorò la metodologia per la formazione dei candidati, come aveva fatto quando era Maestro dei Novizi. Benché rimanesse entro le strutture tradizionali, egli cercò di sviluppare i valori positivi di ciascun candidato, di essere più aperto e rispettoso della loro personalità, secondo le inclinazioni dei giovani che tendono sempre a differenziarsi dagli adulti sia in paesi progrediti che nei paesi in via di sviluppo. Su questa linea egli dette delle direttive, le quali per quei tempi ebbero un particolare significato (vedere lettera circolare del 25.10.1955, bollettino n,. 45). Presenziò alla riunione dei Padri Spirituali e i Maestri dei Novizi (2-4 dicembre 1947) e dei Superiori dei Seminari Minori italiani (21.10.1948). P. Todesco dette chiare disposizioni riguardanti la promozione vocazionale. Il “Museum Combonianum” fu fondato in questo periodo (vedere lettera circolare 1.11.48. Bollettino n. 28 e Lettera circolare 13.8.51 Bollettino n. 36). Le sue priorità furono stabilite chiaramente nella sua prima lettera circolare del dicembre del 1947. “Questa sarà la mia maggiore preoccupazione, che tutti i confratelli coltivino la loro vita interiore così da poter essere autentici promotori della presenza del Cuore di Gesù nelle loro anime”. Nel corso di 12 anni p. Todesco scrisse 23 lettere circolari: alcune indirizzate a tutti i missionari, altre ai provinciali, ai confratelli impegnati nelle missioni (circ. 51, Bollettino n. 43) e ai Fratelli (circ. 47; Bollettino n. 38). Insisteva sempre sulla preghiera e la carità. È interessante la circolare n. 54, Bollettino n. 45 dalla pagina 990 a 1002 dove parla della vita comunitaria, l’umiltà, la responsabilità dei superiori, e la devozione al Sacro Cuore. Promosse un Congresso sul Sacro Cuore che si tenne a Venegono il 10 settembre 1948 riportato nel Bollettino n. 30, pagine 893 –996. Promosse anche un Congresso Mariano per gli scolastici di Filosofia tenutosi a Rebbio fra il 28 ed il 30 settembre 1949, seguito da un secondo tenuto a Brescia nel 1955. Egli non mancò mai di trarre ispirazione da Comboni. Nella sua dichiarazione dell’anno Giubilare per il 75° Anniversario della morte di Comboni scrisse: “Noi, suoi figli dobbiamo imitarlo e seguirlo… Amore eroico per la Croce, abnegazione missionaria per mantenere la carità, prudenza e fortitudine nella difesa dei principi evangelici e nella fedeltà alla vocazione apostolica fanno parte della figura di questo Grande Servo di Dio, il nostro venerabile Fondatore.” (23 luglio 1956)

2. Argomenti specifici del Capitolo Ci fu una commissione preparatoria atta a coordinare e studiare le proposte inviate al Capitolo. Ci furono riunioni precapitolari prima delle relazioni per avere ulteriori informazioni e chiarimenti. Ambedue queste proposte fanno ormai parte dei nostri incontri.

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Con questo Capitolo incomincia il processo di decentralizzazione: il primo segno è la creazione della Circoscrizione delle Scuole Apostoliche (Seminari minori): il secondo è l’assegnamento di diverse responsabilità ai quattro Assistenti Generali. Il Capitolo suggerisce pure l’espansione della Congregazione all’estero lasciando le modalità al Consiglio Generale. Viene stabilito un Consiglio per la formazione nelle Scuole Apostoliche. Si auspica che vi sia una “Ratio Studiorum” dato che Filosofia e Teologia sono diventate Scuole Interne. Si auspica, per praticità, di presentarci come “Missionari Comboniani” e nel mondo inglese come “Comboni Fathers”. Si concede una settimana di vacanza agli Scolastici di teologia prima dei Voti perpetui e del Suddiaconato. Si concedono più frequenti ritorni in patria per riposo: per i confratelli che lavorano in Sudan, ogni sei anni; per gli altri in Uganda, ogni otto anni. La differenza è dovuta al miglior clima dell’Uganda.

C. OTTAVO CAPITOLO GENERALE (VERONA) 1953)1 1. La celebrazione Membri del Capitolo: 42 Eletti: P. A Todesco, Superiore Generale rieletto; P. Giulio Rizzi, Vicario generale (+1983); P. Gabriele Bevilacqua (+1969); P. Ferdinando Arcozzi (+1981); P. Francesco Colombini (+1979). 2. Aspetti particolari di questo Capitolo Un Assistente religioso, p. Cristoforo Berutti, OP, viene nominato al Capitolo dalla Santa Sede nel cui nome lo presenzia. La ragione di questo fu che alcuni confratelli, insoddisfatti con la metodologia formativa di p. Todesco e le aperture in America Latina si erano appellati a Propaganda Fide. Alcune indicazioni date dal Capitolo per lo sviluppo dell’Istituto: Ø Ci deve essere una certa uniformità nelle nostre case di formazione: perciò i metodi formativi devono essere coordinati sia in Italia che all’estero per mantenere le nostre caratteristiche. In generale la nostra formazione dovrà basarsi su convinzioni personali, sull’abnegazione della propria persona, sull’obbedienza e sulla spontaneità nelle pratiche di pietà. Ø È auspicabile una preparazione tecnica per i Padri Spirituali. Ø I pro e contro degli scolastici come “prefetti” nei Seminari Minori vengono discussi, di conseguenza, la pratica viene limitata ma non del tutto esclusa. Ø Sorge la necessità di una seconda Scuola Apostolica, oltre a quella di Thiene per i candidati Fratelli. Viene proposto che i Fratelli professi rimangano in Italia per due anni, per completare la loro formazione religiosa e professionale. Ø I Maestri dei Novizi vengono invitati ad evitare qualsiasi forma di tensione psichica, stress e troppe pratiche di pietà, viene approvata la norma per i Novizi che oltre al tradizionale ternario praticano alcuni giochi. 1

Bollettino n. 41 e 42

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Ø Nello scolasticato si cerchino i mezzi più adatti per suscitare uno spirito missionario più vivace.Nulla vieta che i padri di ritorno dalle missioni possano, a volte, a discrezione del Superiore, tenere conferenze, ed intrattenere gli studenti anche durante la ricreazione. È auspicabile che vengano resi possibili corsi di Diritto Canonico per le missioni. Ø Viene chiesto al Consiglio Generale di costituire una Commissione per la revisione delle Costituzioni e del Libro di Preghiere. Ø Viene lasciato al Consiglio generale lo studio di una proposta per concedere un anno “sabbatico” durante il quale poter riposare e rinnovarsi. Ø È interessante notare che le norme emanate dal Consiglio generale nel 1958 (Vedere Bollettino n. 48 pag. 1273) riguardante l’abbigliamento personale, viaggi ecc. Già p. Meroni aveva stabilito delle norme circa i viaggi (Circ. n. 13) Tutte quante queste regole suggeriscono una vera povertà vissuta. Ø Il Capitolo desidera che siano incoraggiate quelle vocazioni all’Istituto provenienti dai Seminari Diocesani. Ø Tenendo conto le ragioni date dalla Santa Sede e quelle per le quali i Superiori accettarono missioni al di fuori dell’Africa, i Membri del Capitolo incoraggiano lo sviluppo delle missioni in Messico ed in Brasile a beneficio della popolazione de- cristianizzata e nell’adempimento dei programmi e piani dell’Istituto per l’internazionalità. Ø La commissione preparatoria al Capitolo deve essere composta da membri del Capitolo, la Direzione Generale deve nominare diverse commissioni tante quante sono gli argomenti da trattare nel Capitolo. Ø Il Superiore generale ed il suo consiglio formeranno una commissione per studiare il modo in cui si possa uniformare la formazione nei vari paesi. Nota: Come parte dell’iter della formazione, nel 1956 il Consiglio Generale decise di rimandare il Noviziato fino alla fine del corso di Filosofia in Italia (Boll. N. 47. p. 1223) o l’equivalente in altre nazioni.

D. SVILUPPI NELL’ISTITUTO E LE SUE MISSIONI 1947-1959 1. L’Istituto e il suo cammino verso l’internazionalizzazione a. Nuovi Seminari Minori [* = chiuso] – – – – – – –

Viseu, Portogallo: 20.10.47 Stillington, Inghilterra settentrionale: 1948* Cincinnati (USA): 1948 Sahuayo (Messico): 1954 Bari (Italia): 1957 Corella (Spagna) 1956* Ibiraçù (Brasile) 1959*

b. Case di Formazione per Fratelli – Pellegrina nel 1951: una fattoria nei campi di una signora; data la sua continua interferenza e mancanza di chiarezza d’intenti, fu chiusa nel 1966* – Pordenone: 1958 (chiusa per i Fratelli nel 1991)*

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c. Noviziati – – – – –

Gozzano (Italia Settentrionale): nel 1947 trasferito a Venegono* Sunnigdale (Inghilterra): 1948* Cincinnati (USA): 1949. Fu trasferito a Monroe nel 1952* Tepepan (Messico): 1955* Familicão (Portogallo): 1956

d. Scolasticati Ø Venegono (Italia Settentrionale): nel 1948. Il corso di Teologia che si teneva a Verona venne trasferito a Venegono, mentre quello di Filosofia continuò a Verona fino al 1958. Diventerà internazionale in quanto scolastici di altre nazioni, anche dall’Africa ma non dagli Stati Uniti, si uniranno a quelli italiani. Nota: Padre Todesco al Capitolo del 1959 dette le principali motivazioni per l’istituzione dello Scolasticato Internazionale che possono essere così riassunte: meno personale docente, più fraternità e conoscenza reciproca fra le varie nazionalità; più serietà negli studi; meno spirito nazionalistico; più opportunità di attingere alla letteratura dell’Istituto, ed in particolare l’opportunità di imparare l’italiano. Ø negli Stati Uniti nel 1947, sei Scolastici arrivarono dall’Italia per studiare teologia presso il Seminario Maggiore di Cincinnati. Più avanti la Teologia verrà spostata a San Diego. Ø Sunningdale, nel 1952: Filosofia con Scolastici provenienti anche dall’Italia. Ø Carrara (Italia): il corso di Filosofia che fin’ora cominciava in Noviziato, prese avvio qui nel 1958. Ø Maya, Portogallo, nel 1958: per Filosofia Ø Comboni House, 16 Dawson Place, a Londra è aperta nel 1944 come centro per lo studio della lingua inglese. P. Vignato aveva insistito che tutti i missionari che si recavano in Egitto, Sudan, e Uganda dovessero imparare l’inglese. e. Spagna Nel 1954,le Suore Salesiane, accolsero una piccola comunità a san Sebastian nel Nord della Spagna. Una rivista per ragazzi “Aguiluchos” fu iniziata costì nel 1957** Portogallo: sarà unificata più tardi con la Spagna per formare la regione Iberica. Nel 1969, il Portogallo diventerà una Provincia a se stante. f. Erezione delle Regioni Il processo di decentralizzazione ebbe inizio con il Capitolo del 1947 in Italia e venne esteso ovunque. Ø Gran Bretagna: nel 1948 p. Bresciani viene nominato Superiore Regionale. Ø USA nel 1950 con p. Rizzi come Superiore Regionale. Ø Mozambico nel 1950 con p. G. Zambonardi come Superiore Regionale. Ø Messico nel 1953, con p. Patroni come Superiore regionale. Ø Sudan e Uganda avevano già le loro regioni. Ø Balsas nel Brasile Settentrionale, nel 1956 con p. Seri come Superiore regionale. Ø Espírito Santo, Brasile meridionale, nel 1956 con p. R. Carlesi come Superiore regionale.

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Ø Portogallo nel 1957, con p., Calderola come Superiore regionale. Questa regione verrà più avanti chiamata la Regione Iberica in quanto avrebbe incluso anche la Spagna fino al 1969, quando le due nazioni divennero Province separate. 2. Sviluppi dell’istituto nelle Missioni Questo periodo, con l’apertura di missioni al di fuori dell’Africa rappresenta una svolta nella storia del nostro Istituto. Questa apertura è stata alquanto controversa fra i nostri missionari, non tanto perché fosse al di fuori del nostro campo di lavoro originale e tradizionale, ma perché questi nuovi campi non erano considerati campi di prima evangelizzazione. La risposta è che Comboni dedicò la sua vita alla evangelizzazione dei più poveri ed abbandonati che nel suo tempo erano nell’Africa Centrale, ma possono trovarsi ovunque. Un’altra ragione era la promozione vocazionale per l’internazionalizzazione dell’Istituto. Nel 1947, ci fu un ulteriore motivo, cioè che questa apertura avrebbe offerto la possibilità di avere altri campi missionari se le Missioni del Sudan e dell’Uganda avessero, per ragioni politiche, chiuso le porte a nuovo personale. a. Nuovi campi di apostolato Apertura in Messico (1948) Il 27 settembre 1947, il nostro Procuratore generale, in conformità con i desideri del Superiore Generale, prospettò a Propaganda Fide le difficoltà che incontravamo nel mandare personale in Egitto ed in territori Inglesi. Temendo il peggio per il futuro delle nostre missioni nel Sudan, egli chiese che ci fosse messo a disposizione un altro campo di lavoro. Pensò di chiedere una missione nel Brasile. Sua Eccellenza mons. Costantini, il Segretario di Propaganda Fide, fu d’accordo sull’opportunità di tale passo, ma gli suggerì di parlarne prima con mons. Philip Torres, l’Amministratore del Vicariato di Baja California nel Messico che si trovava a Roma in quel periodo alla ricerca di missionari. Così, il 2 ottobre p. Capovilla (Procuratore) ebbe il suo primo incontro con mons. Torres ed anche un colloquio con il Superiore Generale. Fu deciso di mandare al più presto dei missionari per la cura spirituale di una delle due province civiche che formavano il Vicariato e precisamente la parte meridionale con La Paz come capitale. Essi sarebbero stati sotto la giurisdizione di mons. Torres, fino a quando il territorio avrebbe potuto diventare una prefettura o Vicariato indipendente. La Sacra Congregazione di Propaganda era disposta a farlo appena possibile. Nel gennaio del 1948 i primi missionari, guidati da p. Elio Sassella (1910-1970) arrivarono a La Paz. Il Superiore generale vi si recò nel mese di aprile a far loro visita e commentò (vedere Boll. N. 27 del 1/7/48: “Confesso che sentii una forte stretta al cuore nel vedere quanto questa povera regione abbisogni di sacerdoti e di apostolato attivo. La maggior parte del paese da molti anni è senza sacerdoti, mentre quei pochi che vissero singolarmente qua e là in mezzo a questo popolo, purtroppo non furono sempre di edificazione e di aiuto a quelle anime. Attualmente i nostri occupano circa una terza parte del territorio a loro affidato; in seguito,, quando giungerà altro personale in aiuto, si stabiliranno sull’intero territorio. La popolazione a noi affidata si aggira sui 100-150 mila abitanti. Tutti ricevono i nostri con entusiasmo e subito ammirano il loro zelo e attività. Mons. Torres, l’Amministratore Apostolico accolse i confratelli con cuore paterno, e con i sensi di profonda stima e gratitudine”. P. Elio Sassella, intelligente e pratico, si rese conto che il Messico poteva essere un campo fertile per l’animazione e le vocazioni missionarie.

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Nel 1952 aprì un centro a Città del Messico e prese in considerazione l’apertura di Sahuayo (1953) come primo Seminario Comboniano del Messico. Per la Baja California fondò una piccola ma briosa rivista, chiamata “Adelante” che fece una così buona impressione da preparare la via per “Esquila Missional”. Nel 1957, con decreto del 13 luglio, contrariamente a quanto ci si aspettava, la Sacra Congregazione di Propaganda Fide, staccò il territorio meridionale di Baja California dal Vicariato di Tijuana ereggendolo a prefettura Apostolica e affidandolo a noi. Con decreto del 15 aprile 1958, mons. G. Giordani fu nominato primo Prefetto Apostolico di La Paz. Il territorio a noi affidato era di circa 75.000 chilometri quadrati con una popolazione di 70.900. Così Racconta p. Farè al Capitolo del 1959: “La situazione delle stazioni missionarie di Baja California è, sotto molti aspetti, molto simile a quella delle missioni in Africa. Il clima è tropicale, la terra è secca ed arida, le strade sono piene di polvere e sassi e frequentemente impraticabili. La popolazione è scarsa, molto dispersa ed estremamente povera, con mancanza di missionari e di cui vivere. A causa della mancanza di sacerdoti, la gente rimase spiritualmente abbandonata per molti anni, l’ignoranza religiosa prevale, gli uomini generalmente non si recano in Chiesa – numerosi sono i matrimoni illegittimi e la Massoneria è potente”. P. Farè fece inoltre notare le grandi difficoltà incontrate dai missionari per ottenere visti d’ingresso. I primi sacerdoti entrarono perché il Presidente Aleman li fece entrare, facendo loro un favore, come membri di una società culturale italiana, e senza far loro pagare le tasse per l’immigrazione. Questi favori non poterono essere ottenuto in seguito e circa dieci confratelli (incluso il Prefetto Apostolico) non erano ancora in possesso di un passaporto regolare. I Missionari entravano nel paese come turisti, con l’obbligo di rinnovo del visto turistico ogni sei mesi, e di conseguenza con grande perdita di tempo e spreco di danaro. Per quanto riguarda il titolo di proprietà. La Costituzione messicana negava agli Istituti religiosi il diritto di proprietà; perciò tutti i seminari e istituti religiosi dovevano usare società anonime civili, con tutti i guai che ne derivavano. Solo nel 1995 la legislazione venne ufficialmente cambiata e le relazioni con la Santa Sede regolarizzate. Apertura nelle missioni indiane degli USA (1949) Al suo ritorno dal Messico, il Superiore generale si mise in contatto con il Vescovo Mons. Buddy di San Diego in California per chiedergli di aprire una Procura a San Diego per assistere i nostri confratelli nella California messicana, per la promozione vocazionale e per poter avere un qualche impegno missionario nella Diocesi. Il Vescovo offrì delle missioni fra gli indiani nella parte meridionale della Diocesi. Nel 1948 i nostri Padri celebrarono il Natale nelle missioni indiane di Pala, San Isabel e in altre cappelle (Boll. N. 29 del 1/3/49, pagina 826). Apertura in Brasile (1952)3 Era il 15 gennaio quando “a seguito delle grandi preoccupazioni del Santo Padre per il futuro religioso dell’America Latina, anche la nostra Direzione Generale pensò fosse suo dovere dire alla Sacra Congregazione Concistoriale che il nostro Istituto era in grado di accettare la cura spirituale di un territorio in Brasile, che potesse avere delle affinità con il servizio “ad gentes” che caratterizza il nostro Istituto, e nel contempo potesse rivelarsi vantaggioso per noi per quanto riguarda la promozione vocazionale. Ci fu un lungo negoziato prima di arrivare ad una deci3

Boll. N. 36 del 19/3/52 pag. 231

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sione. Siamo convinti, tuttavia, che la richiesta corrispondesse agli scopi prefissi dalla Direzione Generale”. La Santa Sede (Sacra Congregazione Concistoriale) ci offrì la Prelazia di BALSAS, formata da una parte del territorio diviso dalla Diocesi di Caxias nello stato del Maranhão, Brasile settentrionale, con capitale San Louis sulla costa atlantica. Il 12 febbraio 1952 il nostro Consiglio generale accettò l’offerta. Il territorio a noi affidato era di 51.535 chilometri quadrati con una popolazione di 89.000 persone. Il territorio si trova all’interno del Brasile e le comunicazioni sono scarse: il terreno collinoso e il clima è piuttosto buono. La popolazione è cattolica ma mancano sacerdoti da molto tempo. I mestizos e i negri erano molto numerosi. A causa della dislocazione del nuovo campo di lavoro, lontano dalle vie di comunicazione, la Direzione generale si mise presto alla ricerca di un piéd-a-terre sulla costa atlantica che servisse come punto d’appoggio con la Direzione Generale. Tramite la mediazione del Nunzio Apostolico del Brasile ci fu offerta la parrocchia di Serra nello stato e Diocesi di Espìritu Santo nelle vicinanze della città e Diocesi di Victoria. Ci furono affidati ambedue gli incarichi. P. Diego Parodi fu nominato leader del gruppo dei missionari per il Nord i quali, nel maggio del 1952, arrivarono a Balsas. Leggiamo nel diario di quei giorni: “Balsas, un piccola cittadina di 5.000 anime: 10 % ricchi e il 90% poveri, senza parlare degli schiavi. Nell’intero territorio, c’è un solo sacerdote che ci ha accolti con grande entusiasmo. Ci siamo trovati nell’interno dell’America, che sembrava, però come essere in Africa. La gente ci vede non solo come sacerdoti ma veri amici che li aiuteranno a uscire dalla loro povertà sia spirituale che fisica.” P. Parodi e la sua truppa si rimboccarono le maniche. Pochi giorni dopo il suo arrivo, p. Parodi fu chiamato al capezzale di un malato. Era un vecchio steso su una stuoia, coperto da pochi stracci, pieno di piaghe come Giobbe, coperto da mosche e mangiato da zanzare. Fece la sua prima confessione e morì pregando con il fervore di un angelo. Per p. Parodi quell’uomo divenne il simbolo della sua gente. Visitare i malati, parlare con i parenti, insegnare il catechismo ai bambini furono le attività principali che tennero occupati i nostri missionari nei primi mesi del loro soggiorno. Seguendo le tradizioni che affondano le loro radici nella Chiesa primitiva, p. Parodi e gli altri missionari si dedicarono anima e corpo alla promozione umana oltre che al lavoro pastorale. La regione di “Espìrito Santo” fu iniziata da due padri e un fratello a Serra il 23 luglio 1952, ma non tardò molto a svilupparsi sia a nord sia a sud. A Nord nel 1958 ci fu affidata la Diocesi di Sāo Mateus e diverse case di formazione; a Sud prendemmo consegna di alcuni Seminari Minori, una parrocchia a Sāo Paulo (1955) e in seguito una procura a Rio de Janeiro (1960). Il 9 maggio 1959, Papa Giovanni XXIII con Decreto della Sacra Congregazione Concistoriale, nominò il Vescovo Giuseppe Dalvit alla Diocesi di Sāo Mateus (Espìritu Santo), che era stata eretta il 16 febbraio 1958. Fu consacrato il 30 giugno 1959. Quando presentò le dimissioni nel 1970, il suo posto fu preso da P. Aldo Gerna, che allora aveva 40 anni d’età e 15 di sacerdozio. P. Gerna fu consacrato il 1 agosto 1971. Apertura ad Esmeraldas – Ecuador (1954) Il 28 gennaio 1954 La santa Sede (Propaganda Fide) (vedere Boll. N. 49) affidò la prefettura Apostolica di Esmeraldas (Ecuador occidentale sul Pacifico) al nostro Istituto nonostante il fatto che il Superiore Generale avesse notificato Propaganda Fide che, dato il numero di personale a nostra disposizione, non era possibile prendere altri impegni oltre a quelli presi in Brasile

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ed in Messico di recente (Bull. N. 51. Del 6/1/59 p. 35).Questa procedura non del tutto ortodossa può essere spiegata dal fatto che siccome noi dipendiamo interamente da Propaganda, prima di prendere qualsiasi impegno al di fuori dei territori a noi assegnati, avremmo dovuto consultarLa. Sembra che questo non fu fatto per quanto riguarda il Brasile. Quando prendemmo Esmeraldas il territorio era stato affidato ad un ordine religioso che aveva declinato l’invito. P. Umberto Mariani, durante il Capitolo tenutosi nell’aprile del 1959 dice: “Con decreto della Sacra Congregazione di Propaganda Fide, reso pubblico a fine luglio 1954, la Prefettura Apostolica di Esmeraldas in Ecuador, fino ad allora retta dai Padri Carmelitani della Prov. di Burgos (Spagna) veniva affidata al nostro Istituto. Il 17 dicembre dello stesso anno veniva nominato Amministratore Apostolico il M.R.P. Angelo Barbisotti, il quale raggiungeva la sede con altri due Padri il 13 aprile 1955. Con l’arrivo di altri due gruppi in luglio e settembre, l’Istituto manteneva la parola data alla S. Sede di trovare una decina di missionari entro lo stesso anno. Diciamo subito che l’accoglienza da parte di quelli che stavano per andarsene fu fredda ed ostile. Abbiamo trovato la casa, le chiese e cappelle prive di tutto, anche degli oggetti di culto che erano stati donati dalla popolazione. Si dovette comprare per mille dollari un appezzamento di terreno che il Municipio di Esmeraldas aveva concesso in località “Las Palmas” per l‘erezione di una chiesa. Il nunzio Apostolico, S. E. Mons. Opilio Rossi, consigliò di accedere alla transazione, e prestò il denaro necessario perché i Carmelitani se ne andassero senza querele. Non si vuole far colpa a tutto l’Ordine delle falle di qualche membro; ma l’attitudine dei membri che erano rimasti ad Esmeraldas fu poco edificante anche per la popolazione. La prefettura comprendeva tutto il territorio della Provincia di Esmeraldas, per una superficie di quasi 16.000kmq. La zona è prevalentemente agricola, con accentuata coltivazione di banane. La popolazione si aggira sui 100.000 ed il 60% è di origine africana; un 30% di mulatti ed il resto di razza più o meno bianca. Abbiamo pure una tribù di Indios, i Cayapas, che vivono in uno stato molto primitivo, al margine della civiltà. Le vie di comunicazione della provincia sono i fiumi, lungo i quali vive la maggior parte delle popolazioni. Nostro mezzo principale di comunicazione è la canoa, e per le missioni su isole, i battelli bananieri. Le missioni sono, ora, tutte provviste di canoa con motore. Il resto della popolazione vive nelle aziende isolate, e per le quali l’assistenza e l’istruzione costituisce un problema difficile. In passato la vita religiosa della popolazione si riduceva al battesimo, dove si poteva, la cresima e una serie di atti esterni di culto, processioni e riti a carattere superstizioso. Le case della gente sono piene di immagini religiose e di litri d’acqua benedetta e di candele. Non si conosce quasi affatto la vita sacramentale. I matrimoni religiosi non arrivano al 10% e le persone che ricevono la prima Comunione fuori di Esmeraldas sono il 2%. Partecipano volentieri a processioni e cerimonie esterne, veglie notturne in preparazione a feste di Santi e commemorazioni funebri, con veglie che ordinariamente degenerano in orge solenni. Eppure c’è un fondo di buono, un anelito al bene, sul quale si può lavorare con risultati ottimi.” Con decreto datato il 17 aprile 1957, la prefettura fu eretta a Vicariato e l’Amministratore Apostolico fu eletto Vescovo Titolare di Cauno e Vicario Apostolico.

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FONDATORI: Messico, Brasile Settentrionale, Ecuador, Brasile Meridionale, Spagna. PADRE ELIO SASSELLA: “Homo Dei” era la sua massima. Talamona, Sondrio 15/08/1910 Rebbio 25/11/1970. Fu durante un corso di Esercizi Spirituali a Rho (Milano) nel luglio 1936 che nell’anima di p. Sassella maturò l’idea che aveva ponderato per anni, di diventare missionario. Dopo lunghe preghiere e consigli egli decise di diventare missionario Comboniano. Il vescovo. Mons. Macchi, benché ben disposto verso la missione, non fu molto felice di lasciare andare p. Elio. Egli avrebbe preferito che finisse i suoi studi a Roma con un dottorato. Ma già il giovane sacerdote aveva le ali ai piedi. E non sopportava ritardi che riteneva non necessari. Perciò, nel settembre del 1936 con la benedizione del Vescovo, egli entrò nel Noviziato di Venegono. Quando scoppiò la guerra, p. Sassella divenne cappellano degli Alpini fino al 1942. Nel 1947, il Superiore generale lo mise a capo della nuova missione a Bajia California (Messico). Nell’aprile del 1948 era a La Paz ad aprire la nuova missione. Con intelligenza e senso di realismo, egli vide con chiarezza l’opportunità che il Messico stava dando all’Istituto dal punto di vista di animazione e promozione missionaria. Aprì un centro a Città del Messico e ritenne Sahuayo un luogo adatto a diventare il primo seminario Comboniano del Messico. A Bajia California iniziò a pubblicare una rivista, la quale, benché non avesse molte pagine era agile e molto leggibile. Chiamata “ADELANTE” che fu la base per “ESQUILA MISIONAL”. Nel 1957 egli partì per l’Africa assegnato al Seminario di Lacor nell’Uganda come professore. Egli non si rifiutò di insegnare, ma la sua vera passione era il ministero, specialmente portato per le confessioni ed i sermoni. Questa era la fiamma che lo faceva andare avanti: rendersi utile al limite delle sue capacità. Uno dei suoi collaboratori con lui sin dall’inizio di Bajia California dice di lui: “Un uomo semplice come un fanciullo. Buono come il pane, straordinariamente intelligente. Di indole buona, ma quando si trattava della Gloria di Dio, il bene delle anime, la perfezione religiosa sua e dei suoi confratelli, egli diventava intransigente e non lo si poteva imbrogliare in nessun modo”. A volte si arrabbiava moltissimo, ma subito dopo riacquistava pace ed armonia. Fino alla fine fu ossessionato dalla massima “Homo Dei” (Uomo di Dio), che ogni sacerdote e missionario dovrebbe incarnare; egli, tenacemente, fece sempre del suo meglio per viverla. MONS. DIEGO PARODI: sacerdote del popolo. Linarolo,(PV) 08/10/1916 – Ischia (NA) 09/1/1983. A seguito della richiesta del S. Padre, l’Istituto accettò di mandare alcuni confratelli in Brasile nel 1952. Fu così che l’8 maggio il primo gruppo di missionari Comboniani si misero in viaggio da Viseu per lo stato di Maranhão, guidati da p. Parodi. Quando arrivarono a Balsas una cittadina di 5.000 anime dimenticate per così dire da Dio, p. Parodi e la sua “truppa” si dedicarono anima e corpo all’evangelizzazione e sviluppo umano. Dopo soli tre anni, lezioni di catechismo, la frequenza alla liturgia, l’Azione cattolica, settimane sociali, e tante altre attività si svolgevano e moltiplicavano nell’intero territorio. Nella missione di Balsas c’erano officine meccaniche e laboratori di falegnameria, una segheria, una fornace che produceva mattoni, un ospedale… Il risultato fu talmente sorprendente che nell’agosto del 1955, Balsas fu elevata a Prelatura Apostolica con p. Parodi come Amministratore. Il nuovo quasi vescovo partì in quarta: fondò diverse nuove parrocchie, un centro per insegnanti, il Collegio Pio X, il CAER (Centro Educativo Sociale e Rurale). Balsas diventò una Prelatura il 21 giugno 1959, e mons. Parodi Il suo Vescovo. Nel 1962 mons. Parodi ebbe la grande gioia di aprire il seminario e nel 1966 celebrò il primo Congresso Eucaristico di Balsas. Poco dopo, lasciò il Brasile per presenziare all’ultima sessione del Concilio Vaticano II e non tornò mai più in Brasile. La sua salute cagionevole e la visione della Chiesa che ne dava il Concilio lo convinsero a farsi da parte. Nel 1966 tornò in Italia per sempre. Fu dapprima nominato Amministratore Apostolico della città di Gubbio e Città di Castello, fu poi mandato a Napoli come Ausiliare e infine ad Ischia come Vescovo. Morì inaspettatamente nel sonno il 9 gennaio 1983.

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Al suo arrivo a Balsas p. Parodi assisté un povero vecchio del quale abbiamo già parlato, che divenne il simbolo della sua gente e del lavoro che svolgevano i missionari. La gente era contenta degli sforzi dei missionari per migliorare il loro standard di vita ed anche le autorità cittadine non furono da meno: “Preferiamo dare sussidi a voi piuttosto che ai Prefetti o ai Governatori perché sappiamo che qualsiasi aiuto che voi ricevete va alla povera gente”, disse il ministro socialista Neiva Monera. Tuttavia fra i sacerdoti, alcuni obiettavano che lo sviluppo umano fosse un segno del capitalismo, mentre la gente comune non la vedeva allo stesso modo. Inoltre, se qualcosa doveva cambiare dopo il Concilio Vaticano II, doveva essere fatto a poco a poco, fornendo anche un’alternativa per far sì che la povera gente non perdesse il suo lavoro. Il Vescovo Parodi, già minato nella salute non volle raccogliere la sfida e dette le dimissioni. Amava i suoi collaboratori, ma riteneva di seguire i suoi principi. Alcuni pensavano che il suo stile amministrativo fosse alquanto autoritario. Altri, amichevole ma energico. Il vescovo Parodi non era contro i cambiamenti. P. Sirigatti, uno dei suoi collaboratori, organizzò, col permesso del Vescovo, l’interno del Maranhão, un’area immensa totalmente abbandonata. Iniziò il CAER o Centro per il Social Welfare e l’Istruzione della gente di campagna, per l’impiego di donne come insegnanti nei villaggi. Gli elogi alla sua umanità non furono pochi. Ecco alcune testimonianze di missionari: “Nel suo diario scriveva la data di nascita di tutti i confratelli e tutti potevano contare su un suo biglietto d’auguri per il loro compleanno. Condivideva intensamente le loro gioie e dolori. Se ci fossero momenti di tensione fra di noi era sempre presente con grande attenzione e gentilezza.” Un altro missionario scrisse: “Era capace di incoraggiare i confratelli quando avevano difficoltà e di animarli sempre con ottimismo. Voleva bene ai confratelli prediligendo quelli di animo buono e che si adoperavano per il bene della missione. Voleva che tutti si sentissero completamente realizzati in quello che facevano. Aveva una buona parola per tutti, e diffondeva il buon odore di Cristo anche fra gli anticlericali.” MONS. ANGELO BARBISOTTI: una motrice che trascinava anche gli altri. Osio Sotto (BG) 31/10/1904 – Limones (Esmeraldas) 16/11/1972. Nel 1931, p. Barbisotti fu mandato nel Bahr-el-Gebel (Sudan) presso il seminario di Okaru, dove si dedicò all’insegnamento per sedici anni. Le sue capacità e il suo ottimo lavoro furono apprezzati da tutti, e contribuirono a salvare le nostre scuole quando non erano viste di buon occhio dagli inglesi. Il Vescovo Barbisotti era di natura impulsiva e a volte imprevedibile. Questa era la sua maggiore difficoltà, e allo stesso tempo la sua motrice spirituale. Il Vescovo arrivò ad Esmeraldas il 13 aprile 1955 con il suo bagaglio di esperienze maturate nel Sudan. La Madre Chiesa era “La Merced” che comprendeva altre quattro parrocchie. In un solo anno, il 1958, egli fondò il Collegio “Sagrado Corazón” per ragazzi ed altre due missioni. Sviluppò officine e altre botteghe artigianali a Quinindé, aprì un ospedale a San Lorenzo, un Collegio di Maria Immacolata per ragazze, un centro di formazione per catechisti a San José Obrero e la “Città dei Ragazzi “ambedue ad Esmeraldas. Come tutti i nostri Vescovi, egli era molto attaccato all’Istituto Quando gli scolastici prepararono una festa d’addio nell’occasione della sua consacrazione, rivolse loro solo poche semplici parole: “Amate il nostro Istituto io le devo tutto.” Dimostrò il suo amore comprando di tasca sua la Casa Provinciale a Quito per l’Istituto. Nel settembre del 1970 fu coinvolto in un incidente stradale sulla strada che porta da Quito ad Esmeraldas: Dall’ora iniziò a star male, avrebbe dovuto riposare, ma non era nella sua natura. Il suo zelo, come quello dei Vescovi Negri ed Orler rimase ardente fino alla fine, difatti la mattina del 16 settembre i padri cercarono di persuaderlo a non partire ma non voleva mancare alla promessa fatta alla missione di San Lorenzo di benedire la cappella e amministrare le cresime il giorno seguente, la domenica. Dopo un viaggio di tre ore con la canoa, egli si sentì male e si pensò al mal di mare, ma al suo arrivo a Limones, non gli fu più possibile continuare il viaggio e fu portato in barella alla missione. Ebbe un attacco cardiaco il 17 settembre 1972 e la sua anima andò dal suo Signore. MONS. GIUSEPPE DALVIT: un missionario di preghiera e di sofferenza. Pressano (TN) 15/09/1919 – São Mateus (Brasile) 17/1/1977.

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P. Dalvit partì per il Brasile nel 1953 ed iniziò la sua attività apostolica a Nova Venecia, diventò poi parroco sia a São Mateus sia a São Paulo. Il 9 maggio 1959, fu consacrato come primo Vescovo della nuova Diocesi di São Mateus nello stato di Espíritu Santo. In soli pochi anni, con Mons. Dalvit alla guida, la Diocesi si sviluppò notevolmente. Nella sua lettera di nomina, Papa Giovanni XXIII° lo esortò ad erigere il Seminario, ciò che il nuovo Vescovo fece prontamente. Non si dimenticò della gente, e fu così che ideò il CEFOLIR, il Centro di Formazione per Leader Ruralun centro conosciuto da tutti come Sacra famiglia. “Lo scopo del Centro”, scrisse il Vescovo Dalvit” è immensamente umano: è stato ideato apposta per aumentare lo standard di vita della nostra gente. Vogliamo che il centro funzioni come fulcro delle attività diocesane.” Il suo cuore di pastore non poteva rimanere insensibile ai molti malati che incontrava durante le sue visite pastorali, i quali sparsi per tutta la diocesi erano per lo più abbandonati a se stessi e mancanti di cure mediche. Perciò, nonostante il parere contrario di alcuni esperti, egli fece costruire u ospedale nell’interno del paese che divenne l’ospedale di san Marco di Nova Venecia inaugurato il 25 aprile del 1967. Fra le molte attività alle quale si dedicava questo Vescovo infaticabile, si vuole ricordare la tipografia ES.TI.Ma di São Mateus, che egli fondò nel 1961. L’idea era che dovesse servire per diffondere la parola di Dio e diventare il mezzo di comunicazione per le zone settentrionale di Espíritu Santo. Fedele figlio di Comboni, come il Vescovo Negri egli non era capace di evitare le croci. Arrivò anche per lui il Calvario. La calunnia che circolava era che “il vescovo è ricco “, e ciò fu per lui una grande sofferenza. Egli scrisse: “Ciò che è stato fatto, è stato fatto solo per il bene della gente, con la massima cura nella scrupolosa amministrazione del danaro secondo le intenzioni dei benefattori, senza alcun interesse personale. Tutto è a nome della Diocesi di São Mateus, e se domani il vescovo se ne va per qualsiasi ragione, egli porterà con se soltanto alcuni libri, dei vestiti ed una macchina da scrivere. Sono francamente molto afflitto. Così tanto lavoro solo per sentire dire “il vescovo è ricco!”. Un’altra ragione di grande sofferenza era, per uno come lui che amava la sua gente, vederla soffrire, maltrattata: vedere le loro piantagioni di caffè distrutte, l’esodo delle famiglie, lo scoraggiamento dei pochi che rimanevano perché non potevano far niente. Altra spina era il suo benamato seminario. “il suo fiore all’occhiello” che veniva attaccato e fu costretto a chiudere. Nella lunga lista di croci che dovette portare ci fu anche l’incendio della piccola segheria la notte del 19 aprile 1969… da parte di malviventi? Tutto ciò era sufficiente per scoraggiare anche l’uomo più forte. Nel 1970 mons. Dalvit sentì che non poteva più adempiere il suo dovere di Vescovo e chiese alla Santa Sede di essere sollevato dal suo compito. Lasciò São Mateus il 28 giugno. Dopo un lungo periodo di riposo in Italia si rimise tanto da decidere di tornare in Brasile dove fu nominato Vescovo ausiliare di Belo Horizonte. Il 10 gennaio 1977, egli si recò a São Mateus per alcuni giorni dove fu stroncato da un attacco cardiaco la domenica 16. La memoria del Vescovo Dalvit è legata alle sue sofferenze. Come Vescovo egli fu sempre molto vicino all’Istituto. Un mese prima della sua morte egli scrisse al Consiglio Generale: “Da parte mia, Vi dico che non mi sono mai dimenticato di essere un missionario Comboniano e sono fiero di appartenere a questo Istituto; specialmente dopo lo spettacolare esempio dato dall’Istituto nel riunire le due famiglie; quella italiana e quella tedesca.” PADRE ANDREAS RIEDL: il cuore di un pastore amante della verità. Jadock, Tirolo1903 – Brixen 9/1/1974. Per alcuni anni p. Riedl si dedicò al ministero pastorale e dell’animazione missionaria. Dimostrò di essere uomo di profonda fede, convinzione ed amore che sgorgavano dal suo cuore tanto da affascinare coloro che lo ascoltavano. Il suo modo di predicare era semplice chiaro e interessante. Egli predicava la verità che aveva nel suo cuore e la proclamava senza paura. Questo suo modo di fare gli procurò non pochi nemici nel Regime Socialista nazionale tanto che dovette lasciare la Germania. Egli sapeva accettare le ideologie dei suoi tempi, ma alla luce della fede. Il suo grande zelo era in grado di difendere la fede cattolica anche contro il nazismo. Nel 1937 i superiori pensarono fosse saggio di rimuoverlo dagli artigli dei nazisti e lo trasferirono a Milland nel Sud Tirolo. L’11 settembre 1939 p. Riedl andò ad iniziare la sua attività missionaria a Pozuzo nelle foreste peruviane assieme a due confratelli. Erano anche interessati agli emigrati provenienti dal Tirolo e dalla Re-

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nania. Nel 1939 fu anche nominato direttore del Seminario di San Toribio e in seguito superiore della casa. P. Riedl visse una vita sobria, semplice e povera. Viveva con il minimo indispensabile, ma offriva agli altri tutto quanto poteva, cordialità, comprensione e disponibilità. Era sempre e ovunque, un uomo di Dio alla ricerca di anime. Visse in povertà con gioia focalizzando tutta la sua attenzione sugli indiani. Era convinto che Dio lo avesse mandato per essere il loro missionario. Con la sua presenza e bontà egli rafforzò ed intensificò la vita comunitaria dei missionari. Egli era, sì, il loro superiore, ma anche un confratello, felice, affabile, alla mano con la gente semplice e sapeva affascinare gli ascoltatori quando predicava. Egli fu capace di attirare la gente a Cristo specialmente con l’esempio che dava nella vita. A poco a poco gli indiani scoprirono l’amore immenso che egli aveva nei loro confronti e che era pronto ad offrire se stesso totalmente per la loro salvezza. La vita degli indiani sulle montagne peruviane è molto difficile, sia per gli abitanti che per i missionari. Gli indiani vivevano una vita di povertà, oppressione ed abbandono, senza nessuna assistenza pastorale regolare. Colui che va fra questa gente deve aver fatto una scelta difficile e essere di animo buono. Questo era p. Riedl. Egli visse appieno e attuò il carisma di Comboni, che aveva sempre ammirato ed amato, l’apostolo dei più bisognosi ed abbandonati. Andreas imparò presto ad accoglierli con tutte le loro manchevolezze e debolezze umane. Egli sapeva che, come tutti gli esseri umani, gli indiani sono fondamentalmente buoni, bisognosi di amore disinteressato, grande compassione e comprensione. Dopo un anno di lavoro pastorale fu nominato Rettore del Seminario. In questo ebbe molto successo: di 30 seminaristi 17 diventarono sacerdoti. Alcuni di questi sacerdoti rimasero impressionati dalla sua personalità. Lasciò il Seminario nel 1949 per tornare al lavoro pastorale che egli amava a Llata e Huanuco. Superiore Provinciale. Fu il primo Superiore provinciale dei nostri confratelli in Perù dal 1952 al 1956. Eccelleva nella promozione ed organizzazione del lavoro pastorale sia nelle città che fra la gente delle montagne, dove a causa della scarsità di sacerdoti e religiosi, i buoni cattolici avevano atteso un prete per lunghi anni. Tornò in Europa per il Capitolo dopo 17 anni di incessante lavoro in Perù e fu scelto come Assistente Generale nel Capitolo del 1961. Capì che era arrivata l’ora dell’America Latina, così come era arrivata l’ora dell’Africa centrale ai tempi di Comboni. In Spagna. Preoccupato per la mancanza di missionari e di sacerdoti locali, durante il Capitolo P. Riedl promise di recarsi in Spagna per reclutare e preparare sacerdoti per il Perù. Non fu, però, fino al 1956 che il Superiore Generale p. Richard Lechner, lo mandò in Spagna con p. Anton Schöpt. Dopo alcuni anni di animazione missionaria egli si sentiva frustrato in quanto il metodo non dava i risultati sperati. Gli fu detto che la soluzione era un Seminario Minore. Nel 1960 la prima comunità fu fondata a Palencia e poco dopo fu fondato il Seminario di Saldaña. Benché egli fosse il Superiore delle case in Spagna egli fu, in effetti il fondatore del MFSC in quel paese. Riedl aveva sempre riconosciuto Comboni come Fondatore dell’Istituto e come tale lo venerava. Il Fondatore era la sua guida sulla via della missione. Iniziò a mettere Comboni in primo piano e a parlare della possibile riunione delle due famiglie Comboniane. Fece mettere questi due temi sull’agenda del Capitolo del 1967. La sua esperienza in Spagna e i buoni rapporti che già esistevano fra i due Istituti, lo convinsero che il carisma di Comboni e il lavoro che i due Istituti svolgevano erano identici e per quello potevano, anzi, dovevano unirsi per formare un solo Istituto. Questo desiderio era sempre nel suo cuore. Era stato presente quando era avvenuta la divisione nel 1923, e aveva pianto. Tenne sempre nel suo cuore, comunque, il ricordo di Comboni e seguì le sue orme ed esempio missionario. Nella preghiera come nell’azione fu sempre spiritualmente con il Fondatore. Nel 1970 fu trasferito nella comunità di Brixen, dove, nel lontano 1917 aveva iniziato la sua vita missionaria. Era stanco ed aveva subito tre interventi chirurgici, ma offriva le sue sofferenze come incenso durante la preghiera preparandosi per il momento in cui avrebbe conosciuto il suo destino. Il 9 gennaio 1974 il Buon Dio venne a prenderlo a Brixen per portarlo a casa e ricompensarlo per il grande amore che aveva avuto per gli Indiani. P. ENRICO FARÈ: un uomo determinato e re dell’animazione. Milano 10/07/1912 – Limone (BS) 29.03.1989. Al suo arrivo in Spagna nel 1959, c’erano solo due case: San Sebastian nella regione Basca e Corella.

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San Sebastian era stata offerta dalle Suore Salesiane e aperta nel 1954. Era la sede di “Aguiluchos”, la rivista per ragazzi fondata nel 1957. I nostri lasciarono la casa nel 1983. Dopo il Capitolo del 1959, fu nominato rappresentante del Superiore generale in Spagna. Possiamo dire che P. Farè iniziò ad organizzare l’animazione missionaria e la promozione vocazionale che fece. Difatti, ovunque andasse, non dimenticava mai di parlarne. Quando fu economo generale a Verona, scrisse tre libri: “Il Fratello Missionario”. “Vorrei diventare Missionario ma…” e “Reclutamento Divino”. Produsse anche dieci set di cartoline su Comboni e uno sulla Vocazione. Egli scrisse: “Tutte le iniziative furono portate avanti nella miseria e nelle difficoltà che caratterizzarono la guerra. L’arido ufficio dell’economato non m’impedì di fare la mia missione di animazione vocazionale: era in effetti, il mio modo pratico e utile di sentirmi completamente identificabile come “missionario.” Al suo ritorno dalla missione nel Sudan(1955) si dedicò all’Animazione Missionaria e la Promozione Vocazionale nei Seminari italiani Il suo successo spinse i suoi Superiori a chiedergli di scrivere le sue esperienze. Ecco alcuni stralci. “Mi resi presto conto che l’entusiasmo iniziale suscitato dalla visita nei seminari non era sufficiente. I seminaristi avevano bisogno dell’opportunità di meditare e di ricordare spesso quelle verità fondamentali che li avevano colpiti e che facevano loro bene. Fu così che durante le vacanze estive del 1956 decisi di raccogliere tutti i miei seminari e meditazioni in un libro esclusivamente per i seminaristi chiamato “Da Mihi Animas” (Dammi le Anime). Fu scritto nello stile che era in voga allora, usando il metodo Ignaziano di meditazione, con preludi, tre punti, riflessioni e proposte… La sua accoglienza nei seminari andò al di là delle mie aspettative. Nel 1957 ci fu un’edizione riveduta di “Da Mihi Animas” che conteneva tutti i temi espressi nel “Fidei Donum” di Pio XII. Seguirono diverse ristampe ed edizioni ed il libro circolava in quasi tutti i seminari raccogliendo vocazioni. Furono fatte delle traduzioni con titoli leggermente diversi “La Mas Noble Aventura” – La più Nobile Avventura, “Si quieres, …sigueme – Se vuoi, …seguimi”. Il frutto di questa animazione intensa nei seminari italiani si evince dal fatto che ci furono annualmente circa 25-30 novizi in più per la filosofia e la teologia e dobbiamo renderne grazie a Dio!”. Il segreto del suo successo non furono soltanto i viaggi e la sua dedizione totale al compito da svolgere ma lo stesso contenuto delle sue conferenze: “C’erano, è vero, le Encicliche di Benedetto XV, Pio XI, e Pio XII, ma chi le conosceva? Era necessario diffondere la conoscenza del loro contenuto durante le mie conferenze. La chiara, documentata, ed esemplificata conoscenza dei grandi problemi e temi missionari suscitarono grande entusiasmo ovunque e molti seminaristi meditarono sulla possibilità di una scelta missionaria.” L’esempio è più istruttivo della parola. Il Padre era convinto che il metodo e contenuto dell’animazione e promozione potevano dare frutti. In Messico, nonostante la povertà del luogo egli migliorò le vendite di “Esquila Missional” che arrivarono a 23.000 copie. Non tutti i missionari erano d’accordo con lui e scrisse: “La vicenda della rivista non finì con un fallimento, anzi, fu provvidenziale nella formazione della coscienza missionaria e strumentale nell’aumento di vocazioni missionarie per molti istituti non solo il nostro. Oggi ne sono tutti convinti!” Egli fece in Spagna quello che aveva fatto in Messico; anche qui osò presentare “Mundo Negro” che arrivò a pubblicare 25.000 copie. Era consapevole della mancanza di fondi ma scrisse: “Questa difficoltà non mi dissuase. La fede e l’esperienza mi avevano insegnato che la Provvidenza non ci avrebbe lasciato soli al momento giusto, ma sarebbe venuta in nostro aiuto nei modi più impensati. Credo fermamente che pubblicare una rivista missionaria (come avevamo il dovere di fare) non richiedeva capitale; questo sarebbe arrivato con la rivista. E così fu. Come diceva un santo “Non evitiamo il buon lavoro solo perché non abbiamo i mezzi per farlo. Questi non mancheranno se ci applichiamo al nostro compito con fede!”.

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Per diversi anni, dall’ora, facevamo una novena mensile a San Giuseppe, dal 10 al 19 di ogni mese chiedendo in particolare: a. La crescita del nostro spirito religioso. b.Vocazioni numerose e integre. c. I mezzi economici per portare a termine le nostre iniziative. La Provvidenza rispose alle sue preghiere. Durante il secondo anno di pubblicazione della rivista, c’erano 18.999 abbonati, il terzo anno 25.000. Ne venivano però stampate 50.000 copie. In seguito furono pubblicati degli opuscoli che sarebbero stati l’inizio delle “Ediciones Combonianas”. Nel 1985 le “Ediciones Combonianas” contavano 85 titoli. Il successo delle riviste di p. Farè era dovuto anche al loro approccio: missionarie ed africane, moderatamente comboniane, formative in special modo di una buona coscienza missionaria. La popolarità dei Missionari Comboniani crebbe grazie alle riviste ed il loro fondatore poté fondare case e riempirle di candidati. L’unica cosa della quale si rammaricava p. Farè era di non poter portare a termine il progetto di un film su Comboni. Il progetto era in fase avanzata, ed era stato firmato un contratto con una casa di produzione “Eurofil”, ma l’Amministrazione Generale non poteva pagare il suo contributo alla casa di produzione e sciolse il contratto il 15 aprile 1966. “Perdemmo quindi un’opportunità irripetibile di produrre un mezzo straordinario di animazione missionaria che sarebbe stata molto utile all’Istituto.” - Scrisse poi. La sua passione per i mezzi di Comunicazione Sociale era ispirata dalla sua devozione al Beato Comboni che aveva iniziato gli “Annali del Buon Pastore “che divenne poi “Nigrizia”. P. RIEDL E P. FARÈ:

pionieri della Riunione

Quando i nostri confratelli italiani si recarono a San Sebastian in Spagna nel 1954, si facevano chiamare “Missionarios Combonianos” perché facevano parte della Provincia portoghese. Quando, nel 1956 arrivarono i missionari dalla Germania essi adottarono il nome “Misioneros Combonianos”. Dato che ambedue gli istituti erano presenti per l’Animazione Missionaria e la Promozione Vocazionale, p. Adalberto Mohn, un missionario di ampie vedute, si sentì alquanto a disagio e scrisse al Superiore Generale p. Lechner per sapere da lui come comportarsi. P. Lechner che era non solo un cristiano ma un gentiluomo rispose: “Dobbiamo amare tutti quanti specialmente coloro che sono i nostri fratelli: abbiamo tutti e due la stessa formazione e le stesse idee. Non dovreste evitare gli FSCJ, ma andare a cercarli”. Fu così che nell’ottobre del 1960, dovendo recarsi a Madrid, cercò p. Farè il quale a sua volta colse l’opportunità per cercare un lotto di terreno e andare a visitare Saldaña. Le visite si infittirono. Madrid era aperta a tutti; diverse celebrazioni chiamavano a raccolta tutti i missionari Comboniani assieme. Il Superiore Generale p. Lechner stesso andò a Madrid due o tre volte. P. Riedl si fermò nella nostra casa di Moncada per tre o quattro giorni. I Capitolari provenienti dal Perù si fermavano a Madrid accolti come fratelli nella casa. P. Briani e il suo Vicario generale incoraggiavano questi contatti che nel 1975 portarono in Spagna alla riunione dei due Istituti in una sola provincia con un solo Superiore provinciale. I due fondatori della provincia spagnola possono essere riconosciuti come i pionieri degli eventi storici che portarono alla Riunione. P. Riedl non fece in tempo a vedere l’attuazione della stessa, ma fu testimone dell’inizio del cammino. Non pianse più per la fatale separazione del 1923. Le lacrime sparse adesso erano di gioia che andavano a mescolarsi con quelle di p. Farè.

b. Sviluppi in Africa Prefettura Apostolica di Mupoi Essendo il Vicariato di Bahr-el-Ghazal diventato troppo esteso, sia il Vescovo Orler che il Vescovo Mason ritennero opportuna una divisione del territorio. fu così che il 3 marzo 1949 Propaganda eresse la Prefettura di Mupoi (oggi chiamata Tombora) affidandola al prefetto Apostolico Mons. D. Ferrara il quale, in precedenza, aveva lavorato in quella regione dove vivevano gli Azande. Nel 1964 fu espulso dal Sudan e fu nominato Vescovo Titolare (1966).

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Bahr-el-Gebel IL VESCOVO SISTO MAZZOLDI (1898-1966) sostituì mons. Mlakic come Vicario Apostolico. Fu consacrato Vescovo nel 1951 a Trento la sua Diocesi di origine. Nel 1958 a Torit (Bahr-el-Gebel occidentale) un ammutinamento di soldati contro comandanti arabi portò a varie repressioni. Per molti neri del Sud la Chiesa divenne il baluardo contro la sottile e ipocrita presentazione della Chiesa che presentava il governo. Nel 1957 tutte le scuole missionarie del sud furono requisite dal Ministero dell’Istruzione. Di conseguenza ai sacerdoti non era più permesso insegnare in quelle scuole. Al Capitolo del 1959, p. A. Todesco, Superiore Generale, così parlo della situazione nel Sudan Meridionale: “Le nostre missioni del Sudan hanno scritto in questo sessennio pagine di penosa sofferenza, di glorioso sacrificio, e di ammirabile abnegazione. Tutti ormai conoscono la storia dolorosa di quelle regioni e le traversie persecutorie che dovettero subire i nostri confratelli. Assicuro che abbiamo seguito con profondo rammarico fraterno le diverse fasi dolorose d quelle Missioni. Abbiamo pregato e fatto pregare; ci siamo sforzati di incoraggiare, e ciò a parole e a volte anche con la nostra stessa presenza; ci siamo preoccupati di mantenerci vicini, col consiglio e con l’interessamento suggeriti dal nostro cuore, ma più ancora dal nostro dovere; accostammo persone e autorità e sollecitammo interventi tempestivi, illuminati e tesi risolvere la situazione. Vada in questa solenne circostanza il nostro plauso agli Ecc.mi Ordinari e a tutti i nostri confratelli del Sudan, augurandoci che lo spirito veramente missionario da loro dimostrato in queste dolorose contingenze, possa trasmettersi integro e fecondo a tutti i confratelli che succederanno loro in queste Missioni, a noi particolarmente tanto care. Nonostante però che la diabolica bufera abbia cercato di distruggere l’opera di Dio, pure dobbiamo constatare che quelle Missioni non rallentano il loro progresso apostolico: Iddio, nella sua misericordia, volle consolare il cuore di tutti, invitando alla Chiesa un numero consolantissimo di anime. Tutte le nostre circoscrizioni ecclesiastiche del Sudan possono presentare statistiche rassicuranti nei confronti di un numero sempre crescente di cristiani, di catecumeni, oltre che di fervore cattolico. Dal 1953 al 1958 registriamo un aumento di oltre un migliaio di cristiani a Khartoum, di oltre 10 mila a Wau, di oltre 30 mila a Mupoi, di oltre 70 mila a Juba. Gli Istituti religiosi nativi, maschili e femminili, procedono in tutti i Vicariati con passo assai consolante, e con tale convinzione religiosa da attirare l’ammirazione di tutti La fiducia di Propaganda Fide volle in questo periodo affidare interamente al nostro Istituto il seminario maggiore intervicariale del Sudan. Questo fu eretto in una località tra Yei e Meridi, nel Vicariato di Rumbek. Un gruppo di confratelli, tutti qualificati, attendono con zelo e dedizione alla formazione dei seminaristi di Liceo e Teologia, provenienti da diversi Vicariati del Sudan. L’intero complesso edilizio sorse per opera dei nostri fratelli coadiutori”. (vedi Boll. N. 51. Pag. 31. Vicariato di Khartoum Ø Un nuovo Vescovo: nel 1952 il Vescovo Bini dette le sue dimissioni per ragioni di salute e morì nel 1953 a Venegono. Il Vescovo Mons.Agostino Baroni fu il suo successore e fu consacrato il 21/09/53. Aveva passato diciotto anni a Khartoum (1932-1950). Fu a capo della Diocesi dal 1953 al 1981 quando si ritirò. Ø Indipendenza del Sudan: il 1 gennaio 1956 portò ad un aumento della popolazione di Khartoum per l’arrivo di gente proveniente dal Sud e i “Nadi “, o centri di assistenza istituiti per

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loro, divennero scuole di catechismo in diverse lingue. Classi serali di inglese e arabo, corsi di aritmetica ed altre materie scolastiche. Fr. MICHELE SERGI si distinse nell’assistere i meridionali. Il suo “Nadi” accoglieva fra le 1000 e le 2000 persone ogni sera. In altre cittadine del nord, molti cattolici provenienti dal sud formarono le prime comunità cattoliche (vedere Vantini, Cristianity in the Sudan p. 251). Ø Il Comboni College a Khartoum mantenne la sua straordinaria popolarità ed il suo altissimo standard didattico. Ø Furono aperte Missioni nel Kordofan e nel Darfur - inclusa El Obeid dopo 60 anni. Ø Il Vicariato Apostolico di Rumbek viene eretto, separato da Bahr-el-Ghazal e Bahr-elGebel. Il Vescovo Ireneo W. Dud ne è il primo Vicario Apostolico (dal 1955 al 1960). Le Diocesi di Arua e Gulu Viene eretta la Diocesi di Arua nel 1958 su insistenza del Vescovo G. B. Cesana. Comprende la parte più cattolica della Diocesi di Gulu, formata dalle tribù Alur, Lugbara e Madi. Il vescovo ANGELO TARANTINO (1908-1990) viene nominato vescovo il 28 febbraio 1959 e consacrato a Portogruaro, sua città natale, in Italia il 1° maggio 1959. Dette le dimissioni nel 1984 nell’occasione del suo 25 anniversario come Vescovo. Era stato in Uganda ininterrottamente dal 1932, per ben 58 anni, a parte alcune brevi vacanze. Morì ad Arua il 15 aprile 1990. P. Todesco, nella sua relazione sull’Uganda in occasione del Capitolo del 1959 disse (vedere Boll. N. 5a p. 32): DIOCESI DI GULU: “La diocesi di Gulu, in Uganda, durante questo sessennio non ebbe sosta alcuna nella sua attività apostolica e nel suo lavoro di penetrazione cattolica. In questi sei anni il numero dei cristiani ha avuto un aumento di quasi 130.000 anime. Le opere continuano a moltiplicarsi in tutti i settori: stazioni, chiese, scuole, ospedali, case di maternità, centri di arte e mestieri, Istituti religiosi maschili e femminili nativi, seminari ecc. La cristianità di 346.000 cattolici è assistita da 108 sacerdoti, compresi i 18 sacerdoti indigeni.” DIOCESI DI ARUA: “Lo sviluppo meraviglioso ottenuto in questi anni nella diocesi di Gulu ci consigliò di presentare a Propaganda Fide la proposta di una divisione di territorio. In questi ultimi mesi avemmo la soddisfazione di vedere realizzato anche questo desiderio da lungo tempo atteso. Il S. Padre si degnava di erigere la nuova diocesi di Arua e di nominare un nostro confratello a primo Vescovo della fiorente Missione. Questa divisione porterà grandi vantaggi nel campo dell’apostolato e grande sollievo e respiro al Vescovo di Gulu e a tutti i Missionari di quella zona.” Due pubblicazioni ebbero un ruolo decisivo per la formazione religiosa, sociale e politica della nostra gente: LOBO MEWA (La Nostra Terra) nel 1952 uscivano 18.000 copie (12.000 a Luo e 5.000 a Lugbara) e LEADERSHIP nel 1956 per la formazione di leader cristiani e di apostoli laici organizzati. Mozambico Non viene segnalato nessun cambiamento degno di nota, ma il lavoro di evangelizzazione procedeva bene con l’aiuto di catechisti che non sempre erano ben preparati. I Missionari si occupano anche delle scuole che sono molto efficaci (vedere Boll. N. 51 pagine 96-97).

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VESCOVI MONS: DOMENICO FERRARA: una vita di altruismo. Zeme Lomellina (PV) 11/07/1905 – Verona 21/09/1998. Nel 1930 gli fu detto che sarebbe andato nel Bahr-el-Ghazal, Sudan, ma prima lavorò a Juba, Bahrel-Gebel, e poi a Mupoi, Wau e Raffili, accumulando, così un bagaglio di esperienze enormi su luoghi e razze differenti. Scelto per andare negli Stati Uniti, dove si stava preparando lo stabilirsi del nostro Istituto, gli fu affidata la cura pastorale della Parrocchia della Holy Trinity a Cincinnati nell’Ohio, una specie di “Africa al di la dell’Oceano” per via della massiccia presenza di gente di colore. Un particolare iniziativa pastorale - che fu notata dal Delegato Apostolico, Amleto Cicognani, e che egli incoraggiò - era la formazione di cori, composti inizialmente di sola gente di colore. Padre Domenico aveva insegnato musica nelle scuole e una volta aveva confidato ad una suora: “Quand’ero più giovane presi lezioni di canto e pensavo ad una carriera nell’Opera o Musica Classica… ma avrebbe interferito con la mia vocazione di sacerdote e missionario. Ora, comunque, la mia passione è di grande aiuto nell’insegnamento della musica e canto nel mio ministero pastorale.” Il coro divenne famoso in tutta la città, che non solo riempiva la Chiesa tutte le domeniche, ma fece accorrere coloro che di norma non si recavano in Chiesa. Nel 1949, fu nominato Prefetto Apostolico di Mupoi, dove fu calorosamente accolto senza presagire quante difficoltà e tribolazioni avrebbe dovuto affrontare con le autorità mussulmane. Come il Vescovo Mason, così anch’egli dovette difendere i diritti dei cattolici e dei missionari. Arrivò a far arrivare un avvocato da Khartoum per lottare contro le autorità per un arresto ingiusto, tortura e imprigionamento di p. Gabriele Dwatuka, il quale in seguito diventò Vescovo di Rumbek. Aveva i suoi difetti, come tutti, era impetuoso e il fatto che perdeva la pazienza facilmente non lo rendeva simpatico. Ma quello che compensava queste manchevolezze del tutto umane – e non molto frequenti – erano la sua dedizione e sincerità e il suo generoso riconoscimento dei meriti dei suoi collaboratori. Quando il Papa gli mandò una lettera per il suo Giubileo, egli ne fece delle copie che mandò ai suoi collaboratori con una lettera di copertura di suo pugno: “Queste espressioni lusinghiere si rivolgono a tutti i sacerdoti, Fratelli e Suore la cui meravigliosa collaborazione ha prodotto tali eccellenti risultati nella nostra prefettura di Mupoi. Ho ringraziato il S. Padre a nome di tutti i missionari.” Alcuni potrebbero pensare che a causa di tutti i viaggi che faceva per cercare offerte per la gente del Sudan egli avesse perso il contatto con l’Istituto. Egli però, rimaneva sempre in contatto epistolare con i Superiori. Sue erano le relazioni che venivano inoltrate a Propaganda Fide. In risposta ad una lettera scrittagli da p. Agostoni il quale chiedeva cosa ne pensasse del referendum per la Riunione con i confratelli di lingua tedesca, egli rispose il 10/10/1976: “Per quanto mi riguarda questa scissione è sempre stata un mistero. Ricordo che nel 1923 avevo appena ricevuto la veste talare, quando venimmo a sapere della divisione dalla rivista “Nigrizia” durante la lettura nel refettorio. Francamente, visto che ero nuovo, la cosa non fece una buona impressione, Al termine del pasto il Padre maestro ci disse di non parlare fra di noi della faccenda. Pensai che cose simili succedevano anche in altri istituti … Ho votato per la Riunione.” Il 29 maggio 1966, fu consacrato vescovo con il compito specifico di occuparsi dei profughi sudanesi che allora erano ben 175.000; per questo motivo si spostò nella Repubblica Centrafricana. Il suo impegno per il Sudan non ebbe mai fine. Passò i suoi ultimi anni a Verona dove morì il 21 settembre 1998. MONS. ANGELO TARANTINO: un amico e un grande iniziatore di scuole. Portogruaro (VE) 08/04/1908 – Arua – Uganda 15/04/1990. Dopo 27 anni di apostolato fra la gente della tribù Lango, fu nominato Vescovo di Arua (1959-1984). Nel 1984 dette le sue dimissioni rimanendo comunque ad Arua fino alla sua morte.

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I missionari che operavano in Uganda allora, erano consci della grande necessità di sviluppare il sistema educativo sia per l’evangelizzazione sia per l’avanzamento sociale del popolo ugandese. P. Tarantino conosceva a fondo il problema e non si dette pace finché non fu in grado di aprire una rete di scuole in tutto il territorio Lango. Nel campo educativo era capace di fare miracoli. I missionari beneficiarono di tutto questo lavoro al momento dell’indipendenza, in quanto allora molti cattolici istruiti e qualificati furono in grado di entrare nell’arena politica. Egli amava il contatto umano – gli insegnanti lo stimavano molto, nonostante a volte venissero rimproverati. Aveva una buona parola di incoraggiamento per tutti. Insisté sul fatto che i catechisti dovessero insegnare il catechismo anche se a volte non ne fossero all’altezza. Gli piaceva chiacchierare con gli anziani per poter conoscere i loro usi e costumi. Aveva imparato la loro lingua alla perfezione facendosi un grande bagaglio etnologico. Scrisse diversi articoli sull’argomento e sia le autorità locali che britanniche lo stimavano. Il suo compito come supervisore delle scuole cattoliche locali lo portava spesso in contatto con funzionari governativi che aiutava con la sua sagacia e conoscenza profonda della popolazione locale. Gli veniva spesso chiesto di tenere lezioni di lingua locale ai funzionari britannici appena arrivati. Quando si trattava di sapere come trattare la gente, si rivolgevano a lui e non ci furono mai problemi seri nel distretto. Alcuni missionari criticarono la sua amicizia con le autorità, sia coi capi tradizionali che con le autorità governative, ma non lo faceva per interesse personale, né compromise mai i suoi principi sul progresso della Chiesa, nonostante ambedue le autorità, locali e coloniali, fossero protestanti. Era il buon nome della Chiesa stessa e dei Missionari che lo motivavano, ma alcuni missionari criticavano il suo metodo pastorale che dava preminenza alle scuole e i suoi rapporti con il Governo coloniale. Era consapevole degli errori fatti dai colonialisti nell’imporre i capi scelti da loro: credevano che ciò facendo avrebbero sminuito l’autorità dei capi locali. Le autorità coloniali, comunque non ottennero i risultati voluti in quanto le loro interferenze portarono ad un doppio sistema giudiziario. In seguito, da Vescovo Mons. Tarantino non ebbe difficoltà a rivolgersi alle autorità per l’assegnazione di terreni per scuole e cappelle. Le autorità Britanniche protestanti avevano cercato di introdurre la loro religione in Uganda. Quando il Vescovo Tarantino dette il via ad una campagna per la costruzione di scuole, le autorità locali protestanti e cittadini laici si opposero fermamente. Ma egli continuò senza incontrare ostacoli o incomprensioni da parte delle autorità politiche. MONS. GIOVANNI BATTISTA CESANA: una sete insaziabile e attività incessante per le conversioni. Castello di Lecco (CO) 14/0/1899 – Verona 12/06/1991. Vescovo di Gulu (Uganda) 1951 – 1969. Padre Cesana visse personalmente i disagi del servizio militare. Nel 1917 egli fu chiamato alle armi e fu uno dei famosi “ragazzi del ’99”. Non fu mandato al fronte perché era troppo giovane e piccolo di statura. Rimase a Milano impiegato al comando centrale. Nel 1968, il 50° anniversario della vittoria del 1918, fu insignito con la medaglia di “cavaliere di Vittorio Veneto”. Una autentica vocazione religiosa e missionaria, fu uno dei giovani sacerdoti del gruppo della Diocesi di Milano che rimase incantato dall’animazione del grande missionario p. Giuseppe Beduschi. Il suo primo incarico fu in Uganda, a Gulu dove rimase per 10 anni. Membro del Capitolo del 1937 in veste di Superiore Regionale. fu eletto Assistente Generale. Nel frattempo, gli fu chiesto di lavorare nella casa di formazione di Brescia prima, e poi di Crema. Tornò a Gulu in Uganda nel 1948. Durante il periodo in cui era formatore insisteva sulla necessità di nutrire lo spirito missionario per perseverare. Difatti, di ritorno nelle missioni scrisse ad uno scolastico: “Quando un giovane tiene costantemente davanti a se l’ideale missionario e vive nello sforzo giornaliero della preparazione, il cuore di questo giovane possiede una forza immensa per superare le difficoltà della sua età e della sua formazione. Uno dei segreti per una formazione che porta alla vita religiosa e missionaria positiva e sito nell’abilità di far sì che i giovani amino gli ’ideali’ del lavoro apostolico nelle missioni intensamente e li desiderino impazientemente.” Dopo la sua consacrazione egli scrisse ai missionari della diocesi di Gulu: “Il 1 aprile 1951, dopo il solenne rito che mi ha consacrato vescovo, mentre scendevo i gradini dell’altare, la mia povertà spirituale, la mia miseria e incapacità mi si rivelavano in contrasto con la grande dignità e tremendo potere che mi sono stati dati.”

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Queste sue espressioni non erano vane parole al vento: solo un anno dopo la sua consacrazione iniziò a pensare a delle divisioni nella diocesi, per limitare -diceva- le possibilità di causare danni alla “Santa Madre Chiesa” a causa della sua povertà spirituale. Riuscì solo nel 1958 ad ottenere l’erezione della Diocesi di Arua e nel 1965 la Diocesi di Moroto, infine, nel 1968 la Diocesi di Lira con un Vescovo ugandese Mons. C. Asili. Nel campo dell’assistenza medica prese l’iniziativa già nel 1952 insistendo presso il Superiore Generale di destinare p. Ambrosoli, il primo medico Comboniano, all’ospedale di Kalongo. Egli fu un pioniere in questo servizio sociale tenendo ben a mente l’amore di Dio. Parlando una volta con il Ministro della Sanità, Mr. Croot, egli disse “Noi missionari vogliamo dare la prova dell’amore di Cristo per i malati.” L’Ufficio Medico cattolico che a nome della Conferenza Episcopale Ugandese coordina le attività mediche della Chiesa cattolica in Uganda, fu fondata su sua iniziativa e richiesta nel 1953. Egli apprezzava ed incoraggiava l’operato dei nostri padri per altri ospedali come per esempio, il lavoro di p. Romanò per l’ospedale della Missione di Kitgum, p. Bertinazzo per l’ospedale di Angal e p. Marcabruni per la maternità e l’Ospedale di Aber, Lira. Riconobbe anche la primaria importanza che potevano avere le scuole cattoliche Egli basava il suo apprezzamento sulla loro capacità di formare leader Cristiani in tutti i settori della vita pubblica così che essi potessero agire come lievito per le masse Cristiane. Trovò in p. Tupone, il Segretario dell’Educazione, un leale collaboratore pieno di idee che soleva dire: “La mia attività di promuovere l’istruzione deriva dall’ideale missionario. La scuola è un meraviglioso mezzo per arrivare all’evangelizzazione.” Si preoccupava della formazione del sacerdoti Diocesani, egli chiedeva molto da loro, in qualche modo inconsapevole dei loro ritmi di lavoro ed il loro zelo. Aveva una salute di ferro, morì all’età di 92 anni, e non capiva la ragione per cui gli altri missionari si ammalassero. Egli si sentì male soltanto negli ultimi anni della sua vita quando era a Verona. È così che i confratelli del Centro medico di Verona lo ricordano: “Si è sempre comportato come religioso e sacerdote di profonda carità, un apostolo di quella libertà che Cristo ha donato a tutti gli uomini, di questo era profondamente convinto. Non dette mai segno di scoraggiamento, glorificando Dio per tutto quanto aveva passato e continuamente ringraziando il personale per i loro servigi. Era contento del cibo, dell’attenzione che riceveva, le cure mediche ricevute. L’unica sua lamentela, se così si può chiamare, era per le sue gambe che non funzionavano come una volta e limitavano le sue passeggiate. Vedeva in questo un segno della Divina Provvidenza che gli chiedeva di unirsi in modo particolare con Cristo per l’evangelizzazione del mondo. Mons. Cesana fu molto paziente durante tutta la sua malattia, accettò le sue condizioni umilmente, sentendosi uno fra i tanti ospiti del centro, senza chiedere mai attenzioni o privilegi speciali. Il suo attaccamento all’istituto cresceva di giorno in giorno manifestandosi nelle preghiere con i confratelli e la devozione per nostra Madre in Paradiso, che onorava incessantemente dicendo il Rosario e brevi preghiere. Si lamentava raramente tanto chi i dottori ebbero difficoltà a diagnosticare di cosa soffrisse.” MONS. SISTO MAZZOLDI: Salvare l’Africa con gli africani. Nago (TN) 13/01/1898 – Nairobi (Kenya) 27/07/1987. Fu ordinato sacerdote il 29 giugno 1922 e nel 1928 lasciò la sua parrocchia di Lavis per entrare nel Noviziato di Venegono. Fece i primi voti il 2 febbraio 1930. Nel Sudan Mons, Mazzoldi fondò due Istituti religiosi: le Suore del Sacro Cuore (Istituto già progettata dal suo predecessore Mons. Stephen Mlakic) e i Fratelli di San Martino de Porres. Nel frattempo, però, il Sudan che stava andando verso l’indipendenza cominciò ad avere problemi. Problemi che presto diventarono persecuzioni, restrizioni e espulsioni. Il 24 febbraio 1964, mons. Mazzoldi fu espulso assieme a tutti gli altri missionari. A giugno del 1965 chiese di poter tornare nelle missioni e fu nominato Vescovo di Moroto. Fondò immediatamente un Seminario, aprì nuove stazioni, fece costruire un ospedale a Matany, aprì dispensari, campi per lebbrosi e orfanotrofi. Accolse calorosamente p. Marengoni e la sua iniziativa di fondare gli Istituti religiosi degli Apostoli di Gesù e delle Suore Evangelizzatrici di Maria. Non contento, incoraggiò p. Marengoni a fondarne un’altro: I Missionari Contemplativi del Cuore di Gesù. All’età di 83 anni, mons. Mazzoldi lasciò Moroto per stabilirsi in Kenya, in una casa di proprietà degli Apostoli di Gesù. Morì il 27 luglio 1987.

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Il Vescovo Mazzoldi suscitava sempre ammirazione fra i laici che ebbero modo di incontrarlo. Un famoso giornalista italiano fu veramente impressionato da lui, primo perché dopo lo scambio di saluti mons. Mazzoldi lo portò nella cappella a far visita al proprietario nascosto della casa; secondariamente dal suo modo sciatto di vestirsi, specialmente perché calzava scarpe che sembravano troppo grandi per lui, probabilmente di seconda mano. Nei suoi momenti di tempo libero lo si poteva trovare in fondo alla Chiesa a pregare. Ogni tanto lo si sentiva dire ad alta voce “Dio ti amo! Venga il tuo Regno!” Quando gli fu diagnosticato un tumore al fegato, ringraziò Dio per avergli fatto la grazia di morire in Africa e chiese di poter essere sepolto in quella terra che era diventata sua. Un altro principio della sua filosofia missionaria era “Il missionario e come un seme anche quando è morto. Per dare frutti, deve essere sepolto dove egli muore.” Il Vescovo Mazzoldi fu un eccezionale missionario Comboniano. MONS. EDOARDO MASON: un leader, solido, coraggioso, e dedicato. Limena (PD) 08/11/1903 – Verona 15/03/1989. Una volta in possesso del Certificato del Corso Coloniale, egli fu mandato negli Stati Uniti con il compito di aprire una comunità fra gli afro-americani. L’autore di “Defining Mission” (Definizione di Missione) (University Press of America 1999), Patricia Durcholz, nella sua storia dei Missionari Comboniani negli Stati Uniti, scrisse che nonostante il suo breve soggiorno negli USA, p. Mason aveva lasciato un segno: “Il suo diario ci lascia una figura indelebile di un uomo che ebbe il coraggio di esplorare una nazione a lui praticamente sconosciuta, con la necessaria audacia di presentare il suo caso ai più grandi leader della Chiesa americana, e con la determinazione di persistere nonostante le avversità incontrate. Mason sarebbe ritornato in America, ma solo con quei comboniani che poi lo accompagnarono. P. Amleto Accorsi, che aveva sopportato i rigori della vita nelle missioni dell’Africa, in seguito avrebbe ammesso che era stato più duro stabilire la fondazione comboniana in America.” Fu Vicario Apostolico di Wau del 1947 al 1964. Era orgoglioso di p. Ireneo Dud, il primo Vescovo africano delle nostre missioni. Ricordava ancora il giorno che Ireneo, allora solo un ragazzo, entrò nel seminario eludendo, quasi, sua madre la quale non voleva che suo figlio diventasse prete: “Se mio figlio entra in seminario,” aveva urlato la donna, “mi buttero nel fiume”. Durante la subdola persecuzione perpetrata dal governo di Khartoum, Mons, Mason fu sempre pastore coraggioso e intrepido difensore dei suoi missionari: “Sono io il responsabile dei missionari” diceva alle autorità sudanesi: “Se avete qualcosa contro di loro, venite da me, rispondo io per loro.” Nel 1958 mons. Mason dovette tornare in Italia per motivi di salute. Le autorità mussulmane rifiutarono di aderire alla sua richiesta di tornare a Wau nel 1960, per cui fu nominato a capo del nuovo Vicariato di El Obeid, dove ebbe il grande piacere di costruire la cattedrale. Nel 1964 avvennero le famigerate espulsioni in massa e dovette di nuovo lasciare il Sudan. Siccome p. Agostoni stava pagando le rette scolastiche per circa trecento studenti sudanesi che frequentavano la scuola secondaria, il Vescovo Mason gli fece avere più di $ 60.000 U.S. dal 1965 al 1969. La maggior parte degli studenti provenivano da Equatoria non da Wau. Lo stesso missionario stava anche ricevendo aiuti da lui per assistere il defunto p. Saturnino Lohure ed altri rifugiati che lavoravano per la pace nel Sudan. Il coraggio da lui dimostrato nella lotta per i diritti del popolo e della Chiesa, nonché in difesa dei missionari era forte quanto quello dimostrato durante il periodo coloniale. In un rapporto inviato a Roma all’allora Delegato Apostolico mons. Matthews, dichiarava che i due Vescovi che le autorità coloniali più rispettavano erano mons. Blomjous dei Padri Bianchi in Tanzania e mons. Mason dei Missionari Comboniani nel Sudan. Non dimentichiamoci che i “contrasti” tra il vescovo Mason e le autorità britanniche nel Sudan sono passati alla storia del Bahr-el-Ghazal come “memorabili”. Il Vescovo era determinato a sostenere i diritti dei cristiani anche presso il governo mussulmano di Khartoum. Mons. Baroni paragona il suo confratello vescovo ad un nuovo Mosè che passò 40 anni della sua vita lottando per la liberazione del popolo del Sudan: “Negli anni nei quali i fondamentalisti islamici volevano distruggere la Chiesa, il Vescovo Mason fu un coraggioso difensore dei diritti dei Cristiani e di tutti gli oppressi. Fu testimone di vergognose ingiustizie e barbare uccisioni. Di volontà ferrea, leale e onesto, egli era particolarmente ordinato e diligente nei lavori che doveva svolgere. Grazie a queste sue qualità, poté dare un impulso decisivo all’evangelizzazione

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e la promozione umana. Anche il Concilio Vaticano II raccomandò queste metodologie.” (Baroni, Arcivescovo di Khartoum)

TESTIMONI FR. GUGLIELMO RICHLY: acqua zampillante ma nascosta. Katowice – Polonia 1869 – Verona 12/05/1951. Se si volesse scrivere la vita di Frate Guglielmo basandosi unicamente sulle sue azioni e sul lavoro da lui svolto, basterebbero poche righe. Ma così facendo avremmo descritto il nostro fratello per quello che fece, non per quello che era. Essere è molto più importante che fare o avere. Era il quarto di sette figli di una famiglia proveniente dal nord industriale della famosa città polacca di Katowice. Sua madre creò un’atmosfera serena a casa perché insegnava ai suoi figli la religione e i Dieci Comandamenti. Era una buona protestante e voleva che i suoi figli crescessero amando Dio e i loro vicini. Dopo la morte del padre all’età di 40 anni, egli imparò il mestiere del sarto per aiutare la famiglia economicamente. Venne a sapere che l’istituto delle suore aveva bisogno di un sarto e quando si presentò fu ben accolto. A seguito di un incontro provvidenziale con p. F.X: Geyer (in seguito Vicario Apostolico di Khartoum) egli si rese conto del progetto che Gesù aveva per lui. Mandò, quindi una lettera di richiesta di ammissione a Verona che fu accettata. Si sentì male durante il viaggio ma si rimise abbastanza velocemente tanto da avere abbastanza energia per arrivare a Verona dove lo aspettava un Padre che lo portò alla Casa Madre. D’allora non vide più la sua famiglia, ma non per questo la dimenticò. Non ne parlava, evitando così di rinnovare il dolore della separazione. Dopo la sua professione egli avrebbe voluto recarsi in Africa ma la sua salute cagionevole non lo permise. Soleva descrivere la sua vita con la semplicità di una colomba: “Colombella, colombella, sii felice di restare nella tua gabbia. Dopo la morte potrai sorvolare tutte le missioni.” La sua gabbia era la sartoria delle nostre case di Verona e Roma. A quei tempi i nostri Fratelli sarti erano occupati a cucire le tonache bianche e nere per i missionari che indossavano sin dal loro noviziato. La sartoria era come un pulpito in una specie di santuario, pieno di serenità, umiltà, bontà e pace. Per tutti egli era nascosto ma irradiava santità. Avevamo l’impressione che le qualità naturali di Fr. Guglielmo fossero la sorgente dalle quali esso traeva quella semplicità spirituale e sensitività che lo rendevano capace di cogliere il senso del divino nelle cose più semplici ed umili e lo mostrava con una semplicità quasi fanciullesca. Quello che è vero è che egli poté sopportare le sue croci con l’amore che viene dalla preghiere e l’amore per il volto di Gesù. L’attrattiva che egli aveva per la semplicità, la bontà, la gentilezza e la sua inclinazione a vedere la bontà, la sincerità, l’onestà; il piacere che traeva da tutto ciò che lo distaccava dall’umano, e la sua capacità di imitare le voci delle creature non può essere ritenuto solo il frutto di una capacità naturale, ma derivava da una sorgente sovrannaturale, come una partecipazione di quel senso del divino, che solo quelle anime che sono intimamente unite a Dio possono provare. Se effettivamente fosse così, ci troveremmo davanti ad uno di quei fenomeni che meriterebbero uno studio approfondito in quanto essi percorrono quella strada di infanzia spirituale che è un preludio alla vita in Paradiso. Anche il modo in cui pregava, l’attrazione che aveva per lui l’Eucarestia facevano parte di quel dono che troviamo in quelle anime che sono eccezionalmente intime con Dio. Era abbastanza che si trovasse davanti ad un altare, ad una immaginetta del Bambin Gesù, o del Sacro Volto, da essere portato alle più tenere effusioni del suo cuore. Era abbastanza parlagli di qualche rivelazione divina o dei Santi a qualche anima privilegiata che ne rimaneva talmente contento da esserne trasportato. Viveva nel suo mondo spirituale e ne traeva gioia. Non dobbiamo credere, però che la sua vita religiosa fosse tutta rose e fiori. Anche Fratel Guglielmo ebbe le sue tribolazioni, e neanche poche. La sofferenza si poteva vedere sia nel suo fisico che nella sua inclinazione morale. Conobbe l’amarezza delle lacrime che però ricacciava indietro per uniformarsi alla volontà di Dio.

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Sapeva far buon uso delle sue sofferenze. Sul suo letto di morte disse: “Ho fatto riparazione al Cuore di Gesù e al suo Santo Volto, e non ho paura di presentarmi davanti al trono di Dio”. Era specialmente devoto alla Madonna di Cestochova. Per suo tramite egli implorava Gesù che gli fosse concessa la saggezza dello Spirito Santo per poter giudicare la sua vita ed opere alla luce di Dio come segno del suo amore. Quello che rimaneva impresso di lui era che diceva sempre che bisognava essere buoni e sorridere. Sembra che la Madonna ripagò la sua devozione quando il 12 maggio 1951 lo guidò al cospetto di Gesù. Fu la morte di un santo, di un testimone silente del Cuore Trafitto di Gesù. Egli è adesso una luce vivente misteriosa che sparge su di noi l’amore che proviene dalla comunione dei Santi

LE SUORE COMBONIANE

Nono Capitolo Generale: 1952 –1958 Elette: Madre Carla Troenzi Suor M. Celsa Buizza Suor Rosanna Bonani Suor Agnese Longato Suor M. Consolata Pedrotti

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Superiora generale Vicaria Generale Assistente Assistente Assistente

Aperture 1953: Una Scuola a Manama - Bahrain nel Golfo Persico 1955: Brasile – Nova Venecia Madre Carla Troenzi fu alla giuda dell’istituto del 1933 al 1958. Fu un periodo di grande crescita di vocazioni che portarono all’espansione sia in Italia che all’estero. Nuove aperture negli Stati Uniti Le suore erano presenti negli Stati Uniti sin dal 1956 a Landsdale in Pennsylvania per attività sociali e mediche. A Chicago c’è un Centro per l’animazione missionaria e promozione vocazionale fondato nel 1983. La casa provinciale si trova ancora a Richmond. Le Suore nello Zaire (1952) Le Suore Comboniane andarono nello Zaire Settentrionale nel 1952 nella Diocesi di Wamba presso la missione di Ndiye dove si trovava personale composto da sacerdoti del Sacro Cuore (Dehoniani – nello Zaire sin dal 1897) ai tempi della rivoluzione Simba del 1964 esse erano presenti sul posto. Esse operavano anche a Bafwasende, Ngavu, Wamba e Mabone. Ognuna delle ventisette suore subì sevizie e alcune furono torturate dai ribelli. Spesso furono minacciate di morte ma nessuna di loro fu uccisa. Tutte riuscirono ad essere rimpatriate. Al momento sono ancora a Nduye, ma lasciarono le altre missioni per recarsi in altre Diocesi. Esse hanno un noviziato a Kisangani e la residenza provinciale a Isiro. Apertura nell’Ecuador Il decreto della S. Sede (SCEP) per l’apertura in Ecuador è del 1958 mentre quella ad Esmeraldas e del 1959.

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Decimo Capitolo Generale; 17-24 luglio 1958 Nuovo Consiglio Generale: Suor Teresa Costalunga Suor Maria Andreella Suor Natalizia Carollo Suor Michelangela Operto Suor Valeria dal Sommo

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Superiora Generale Vicaria Generale Assistente Assistente Assistente

Suor Natalizia fu eletta anche Segretaria Generale. Il Capitolo ebbe un Visitatore Apostolico nella persona di un Cappuccino, p. Clemente da Santa Maria in Punta. Fu in questo Capitolo che si decise di trasferire il Generalato da Verona a Roma. Qui di seguito le statistiche dell’Istituto relative alla fine del 1958: Suore Professe 1.756 Novizie 102 Postulanti 47 Un avvenimento importante che ebbe luogo dopo il Capitolo fu quello di iniziare il Bollettino ufficiale dell’Istituto; il primo volume si riferiva ai mesi luglio-ottobre 1958. Fra il 24 febbraio e il marzo del 1964 tutte le Suore, assieme a tutti gli altri missionari, furono espulse dal Sudan Meridionale. Le espulsioni sistematiche erano iniziate nel 1963.

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Capitolo Decimo IL NONO CAPITOLO GENERALE E IL PERIODO 1959-1969

IL NONO CAPITOLO GENERALE (VENEGONO, 1959) 1. Il Capitolo Membri del Capitolo: 37 (Boll. N. 71) Membri dell’Istituto: 1.235 (9 Vescovi, 2 Prefetti Apostolici, 685 sacerdoti, 233 scolastici, 306 Fratelli). Eletti: P. Gaetano Briani, Superiore Generale, (1900-1984); p. G. Battelli, Vicario Generale; p. L. Bano (+1983), p. L. Urbani (+1991),p. G. Baj (+1993), assistenti. P. GAETANO BRIANI. Professò il 1° novembre 1921 a Venegono. Partì per Bahr-el-Ghazal nel 1933 dove rimase fino a settembre del 1947 quando fu eletto Vicario Generale; dal 1953 al 1959 ebbe la carica di Superiore regionale del Bahr-el-Ghazal, con residenza a Wau. Alla fine del suo mandato come Superiore generale (1969), rimase in Italia lavorando in diverse case. Era un uomo onesto e sincero, dedicato al proprio lavoro e all’Istituto con un sincero spirito di fede che mostrò in diverse occasioni. Si rendeva conto della crisi che c’era nell’Istituto, ma decise di non apportare nessun cambiamento sostanziale alle regole, lasciando qualsiasi decisione in merito al Capitolo del 1969. Autorizzò la preparazione di un questionario nel quale le regole, lo stile di vita e le strutture dell’Istituto furono messe apertamente in discussione e affidò il lavoro ad un giovane sacerdote, p. Venanzio Milani che allora aveva 29 anni. Morì a Verona.

2. Osservazioni particolari Un religioso fu mandato a presenziare il Capitolo, era p. Clemente da Santa Maria di Punta, O.F.M. Cap., il quale il 6 luglio ricevette uno ad uno tutti i padri presenti per il Capitolo. Egli informò l’assemblea che tutte le decisione avrebbero dovuto essere ratificate da lui personalmente dopo le elezioni. La sua mansione sarebbe stata quella di Assistente dell’Istituto per un certo periodo di tempo. L’assistente religioso in questo particolare Capitolo aveva più poteri di quello del Capitolo del 1953. La sua presenza era stata richiesta a causa di alcune irregolarità nelle elezioni: una era la sostituzione di Superiori Regionali poco prima della convocazione del Capitolo. Siccome questi erano membri del Capitolo di diritto, alcuni sospettavano che avrebbero potuto votare nel modo in cui volevano i Superiori. Una ulteriore irregolarità era che le delegazioni venivano ignorate e così escluse dal Capitolo. Il delegato del Messico, che era stato escluso, sottopose il caso alla S. Sede, che intervenne in suo favore. Inoltre, c’erano state troppe interferenze nell’approvazione della revisione delle regole. Il Capitolo del 1953 aveva chiesto alla Direzione Generale di nominare una commissione per la revisione delle regole. La commissione suggerì dei cambiamenti che sottopose all’approvazione di Propaganda Fide, prima di presentarli al Capitolo. Per un disguido, le nuove regole furono approvate da una persona che non ne aveva l’autorizzazione. Anche tutti i libri contabili e i resoconti della Direzione Generale furono minuziosamente controllati da un altro

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esperto su autorizzazione dell’assistente religioso, che in pratica agiva come un Visitatore Apostolico. Il 9 agosto, l’Assistente inviò al nuovo Padre Generale i seguenti appunti: Ø si deve stabilizzare e rafforzare ciò che è stato fatto durante il mandato del Consiglio generale uscente. Ø No a nuove missioni e all’apertura di nuove case fino a quando quelle già esistenti non siano state adeguatamente tutelate. Ø Con riferimento alla disciplina: si deve rinnovare e migliorare la vita spirituale: l’osservanza dei voti, il rispetto per i Superiori; la carità fraterna. Ø Con riferimento al campo missionario: in ogni parrocchia o stazione affidata all’Istituto ci dovrebbero essere almeno due sacerdoti. Ø Con riferimento alle scuole: obbedendo alle prescrizioni pontificie, è necessario dare una preparazione spirituale e culturale adeguata a coloro che sono responsabili per la formazione dei giovani; aumentare il loro numero in proporzione agli studenti, cambiarli solo per motivi seri ed urgenti. Ø Con riferimento al campo economico: coprire i debiti esistenti, e non imbarcasi in altre spese future senza avere prima la certezza di avere una copertura finanziare adeguata. Da quanto sopra esposto, si può vedere chiaramente che cosa aveva in mente la S. Sede quando ha nominato l’Assistente Religioso. Il 14 settembre l’Assistente approvò le decisioni prese dal Capitolo. 3. Assemblee Precapitolari Il 24 giugno il Padre Generale annunciò che il 6 luglio sarebbe arrivato l’Assistente mandato dalla S. Sede. Furono perciò formate le seguenti sette commissioni precapitolari: Ø Costituzioni, Tradizioni, Manuale di Preghiera da revisionare. Ø Direttorio da revisionare. Ø “Ratio Studiorum” o programma di studi da approntare. Ø Finanze. Ø Strutture ed organizzazione. Ø Campi missionari. Fu il più lungo Capitolo mai tenuto fino ad allora, sia per il numero di relazioni fatte, sia a causa delle discussioni nelle commissioni preparatorie. Le seguenti relazioni furono pubblicate per la prima volta: relazioni del Superiore generale, dell’Economo generale, del Procuratore, dell’Assistente delle “Ausiliarie Comboniane” e di 15 Regioni. Principali Decisioni del Capitolo Ø I Superiori degli Scolasticati vengono invitati ad incoraggiare le inclinazioni personali degli scolastici nei loro studi e nella conoscenza delle lingue: I Superiori Maggiori ne terranno conto per decidere le loro destinazioni finali. Ø È da incoraggiare l’istituzione di uno Scolasticato Internazionale per Teologia per la sua grande utilità nell’amalgamare gli studenti. Ø Si autorizza una struttura per le vocazioni degli adulti in Italia (sarà a Crema- Lombardia). Ø L’ammissione dei candidati deve prendere in considerazione il giudizio globale dei Superiori e dello staff.

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Ø Esami statali dopo la scuola media: li devono sostenere tutti, la maggior parte di loro, alla fine dei corsi di latino, alla fine del liceo solo alcuni (questo ha validità solo per l’ordinamento scolastico in Italia, altrove si adotterà l’equivalente). Ø Si nomina una commissione per la preparazione della “Ratio Studiorum”. Vengono dati riferimenti e criteri da seguire. Risoluzioni riguardanti le missioni ed i missionari: Ø Arua in Uganda ed Esmeraldas in Ecuador vengono erette Regioni a pieno titolo per ambedue i territori. Ø Personale nel Sudan:per quanto possibile, deve essere in buona salute e ben preparato. Ø Un centro per l’accoglienza dei sudanesi del sud che accorrono a Khartoum sarà controllato dall’Ordinario, ma l’Istituto darà una mano fornendo personale idoneo, possibilmente Fratelli che hanno già operato nel sud. Ø Uganda: – La fondazione di un Comboni College a Lira viene approvata. Al nuovo Consiglio Generale viene chiesto di iniziare i lavori quanto prima. – Si chiede che il numero più alto possibile di missionari venga mandato in Uganda fintanto che la situazione lo consente. Ø Viene approvata la proposta di aprire un Centro d’accoglienza per africani, specialmente studenti, che arrivano al Cairo. Modalità operative e nomina di personale idoneo sono lasciati ai Superiori interessati. Ø Viene approvata l’iniziativa di mandare studenti africani in Europa ed in America. Si ritiene opportuno nominare un sacerdote in Italia ed un altro negli USA che ricerchino borse di studio, incluse rette universitarie, vitto ed alloggio. Ø I confratelli che insegnano nelle scuole delle missioni stanno facendo vera attività missionaria, e devono essere perciò preparati con le necessarie qualifiche accademiche. Ø Vengono date istruzioni dettagliate per la cura dei confratelli ammalati di ritorno dalle missioni. Essi devono sentirsi benvenuti e si deve fare quanto possibile per curarli, senza farli sentire un peso. Le spese sono distribuite fra le comunità e le regioni. B. IL PERIODO DAL 1959 AL 1969 1. Sviluppi e l’apertura di nuove istituzioni 1 a. Seminari Minori Ø Ø Ø Ø Ø Ø

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Messico: San Francisco del Rincón (1959) Spagna: Saldaña (1960) ** Brasile: São Gabriel** (1963) Jeronimo Monteiro** (1965) São José do Rio Preto (1967) Italia: Lecce* (1963) Asti** (1967) Canada: Brossard**(1966) come centro di animazione Eritrea: Decameré (1963)

Le case con un * hanno cambiato funzione, due ** sono state vendute.

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b. Noviziati e scolasticati Ø In Spagna, Noviziato di Palencia (1960)* Ø In Messico, Xochimilco (1962) Nuovo Postulato Ø In Spagna, Moncada * (1964) c. Formazione Permanente Ø Nel 1961, il Superiore Generale autorizzò la pubblicazione dell’“Archivio Comboniano” che presenta studi e documenti su Comboni e il Cuore di Gesù. Fu fatto su iniziativa di p. Chiocchetta. Ø Viene aperto un corso per l’aggiornamento dei nostri confratelli con riferimento ai cambiamenti apportati dal Concilio Vaticano II. Ha la durata di quasi nove mesi. Il primo corso viene tenuto durante l’anno accademico 1964-1965. Durante il corso vengono ripassate varie materie, come per esempio. Dogmatica, Teologia Morale, la Liturgia, le Sacre Scritture. d. Nuovi impegni Un sacerdote viene destinato al lavoro pastorale fra gli emigranti italiani in Olanda ed uno in Svizzera dove apriamo una casa a Gordola **(1964) Ambedue gli impegni terminarono dopo il Capitolo del 1969. e. Apertura di nuove case A Madrid in Spagna. Arturo Soria (1959): Nel 1969 Centro della Delegazione provinciale. Esce il primo numero di “Mundo Negro” il 23/03/1960. A Roma costruiamo una nuova casa in Via Luigi Lilio, 80. dove risiedono i membri del Consiglio Generale e gli uffici amministrativi. Vi si trovano anche lo Scolasticato e corsi per la formazione permanente. La Casa fu aperta il 15 marzo 1965. f. Erezione delle nuove Regioni Ø La Regione Iberica. Che comprende Spagna e Portogallo nel 1965. Ø Tre Regioni in Italia: alla fine del 1964 si fece un esperimento temporaneo suddividendo l’Italia in tre regioni inclusa la nuova regione meridionale, specialmente per meglio promuovere le vocazioni. 2. Il Congresso dei Superiori Maggiori e Formatori Si tenne a Roma dal 1 al 9 giugno 1965 secondo le indicazioni del Capitolo precedente. Si stavano vedendo i primi accenni di crisi postconciliare. Il Superiore Generale rese partecipi i confratelli delle difficoltà che incontrava. Il seguente brano dal suo discorso di apertura è indicativo di quanto stava succedendo: “I giovani confratelli si estraniano dalla tradizione dicendo che i giovani di oggi hanno altri bisogni e perciò deve essere loro permesso di essere formati secondo lo spirito odierno. Quelli di mezz’età vogliono avere la loro libertà perché sono già maturi. Ognuno di questi interpreta le innovazioni del Concilio a modo suo e ciò porta a una vita individualistica con il pretesto di “Aggiornamento”. Questo stato di cose non porta alcun vantaggio alla vita comunitaria sia in patria che nelle missioni. Se avete seguito i discorsi del Santo Padre, potrete aver capito che il significato di “aggiornamento” è il

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ritorno allo spirito genuino del fondatore usando mezzi moderni per raggiungere gli stesi fini dell’Ordine o dell’Istituto. Lo spirito genuino dei fondatori (e quindi anche di coloro che formarono il nostro Istituto) è lo spirito evangelico. Il Vangelo, perciò è l’unica norma alla quale dobbiamo uniformarci.” Il Programma del Congresso: Ø Ø Ø Ø Ø Ø Ø

La vita religiosa e missionaria (p. A. Capovilla) Seminari Minori (p. Colombini); Liceo Comboniano (p. Accorsi). Noviziato (p. Todesco); Scolasticato di teologia (p. Gusmini) Musica Sacra (p. Bonfitto) Formazione dei Fratelli (p. Matordes) Apostolato (p. Carlesi) Animazione e promozione vocazionale (p. Farè)

Conclusioni. Ci furono lunghe discussioni sulle difficoltà incontrate dai formatori in seguito al Concilio Vaticano; c’era una diffusa intolleranza della disciplina e dei metodi formativi tradizionali. Tutto ciò era un sintomo della frustrazione generale dei giovani che portò alla rivolta pacifica del 1968. L’assemblea discusse la possibilità di chiedere a Propaganda Fide di aggiornare la nostra Costituzione almeno “ad tempus” così da essere in linea con il Concilio Vaticano, ma prevalse l’opinione di aspettare fino al Capitolo del 1969. Nel frattempo la confusione dei formatori e dei candidati continuava e alcune della case dovettero essere temporaneamente chiuse. 3. I primi contatti fra l’MFSC e l’FSCJ Ø Si stavano facendo approcci informali e personali sin dal 1955, principalmente fra gli studenti e i padri dell’Università Urbaniana. Ø P. Lechner, l’allora Superiore generale dl MFSC scrisse una lettera il 15.2.63 a p. Briani, Superiore generale del FSCJ circa la possibilità di una Riunione: questo portò alla visita di p. Briani a p. Lechner in Germania. Ø Durante il Concilio Vaticano II i due Superiori s’incontrarono per prendere in considerazione la possibilità di istituire una commissione mista per discutere il problema: Propaganda era a favore di questa iniziativa. Ø Il Capitolo Generale del MFSC nel 1967 celebrò il centenario della fondazione dell’Istituto nel 1867. L’occasione portò a una discussione sulla Riunione e un eventuale approccio al FSCJ. I capitolari ne erano a favore a condizione di poter mantenere le loro missioni in Sud Africa e nel Perù. Nello stesso anno, i comboniani FSCJ aprirono due comunità: una in Sud Africa e l’altra nel Perù. 4. Sviluppi nelle Missioni a. Aperture nei territori francofoni A causa delle espulsioni dei nostri missionari dal Sudan che ebbero inizio nei primi anni sessanta raggiungendo il culmine nel 1964, alcuni di loro erano disponibili e chiedevano di essere ricollocati in altri territori missionari. La presenza del Padre Generale al Concilio Ecumenico dette l’opportunità a molti Vescovi di chiedere che fosse loro assegnato personale. Un’apertura nei territori francofili era una buona idea perché per i numerosi missionari espulsi dal Sudan, il francese non avrebbe creato molti problemi. La lingua francese, fino agli anni cinquanta veniva

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insegnata per tre anni a tutti gli studenti italiani nelle scuole. Le seguenti nazioni, chiesero ed ottennero personale: Ø ZAIRE: nella Diocesi di Nyangara (dic. 1936) Ø TOGO: nell’ Archidiocesi di Lomé (1964) Ø BURUNDI: nella Diocesi di Bujumbura (1964) Ø REPUBBLICA CENTRO-AFRICANA: (1964). Questa apertura era stata dettata dalla necessità di offrire assistenza ai rifugiati provenienti dal Sudan meridionale. I centri maggiori erano Mboki e Obo, nella Diocesi di Bangassou, affidati ai Missionari del Santo Spirito. Fu inoltre aperta una comunità nella capitale Bangui (1967) per servizi logistici verso i due centri sopra menzionati (vedere opuscolo di p. De Angelis). b. Ritorno in Etiopia Dopo l’espulsione del 1942, alcuni dei nostri missionari erano rimasti in Eritrea, la maggior parte dei quali presso il Comboni College. Nel 1964, due dei nostri confratelli, p. Maccani e p. Lonfernini, che erano stati espulsi dal Sudan entrarono in Etiopia senza che nessuno se ne accorgesse. Furono loro, nel 1965, a fondare la nostra missione di Awasa a Sud di Addis Abeba, nella provincia di Sidamo. Furono aiutati dall’internunzio, l’Arcivescovo G. Moioli il quale aveva, in precedenza, acquistato un appezzamento di terreno vicino al Lago Awasa per eventuali necessità della Chiesa cattolica. Durante il Concilio Vaticano II anche lui aveva rivolto la sua richiesta di personale a p. Briani, richiesta che fu accolta. (Per la storia dell’intera vicenda, vedere il testo di p. Lonfernini: “Nelle Vecchie e Nuove Vigne Africane”, ed. EMI). 5. Il Martirio di quattro confratelli nello Zaire Il martirio di quattro nostri confratelli ed il ritorno di altri in Italia (vedere Boll. N. 72,73,74.: vedere Vol. 1 di “Traduzione in Inglese dei necrologi dei nostri confratelli” 1/7/1965, p. 185.). Alla fine del 1963, otto dei nostri confratelli espulsi dal Sudan partirono per lo Zaire nella Diocesi di Nyangara che era stata affidata a missionari belgi e olandesi Domenicani amministrati dal Vescovo Francis De Wilde. I nostri missionari furono assegnati alle missioni di Rungu e Ndedu. Nel 1964 la rivoluzione Simba arrivò fino alle nostre missioni. Tutti i missionari americani e belgi furono arrestati, fra di loro c’erano anche p. Remo Armani, nonostante fosse di nazionalità italiana. P. REMO ARMANI (1917-1964) Fu ordinato sacerdote nella Diocesi di Trento nel 1941. Fece la sua professione nel nostro Istituto nel 1950 e fu immediatamente mandato a Juba fra gli Azande e nel 1969 a Yambio. Espulso dal Sudan nel 1962, egli fu nominato rappresentante del Superiore Generale per il nuovo gruppo nello Zaire. Risiedeva a Ndedu nord-ovest di quella che è adesso Isiro assieme a p. Merloni, p. Colombo e Fratel Pariani. P. Remo fu fatto prigioniero alla fine di ottobre assieme ad altri missionari. Martedì 24 novembre, i paracadutisti arrivarono a Stanleyville (Kisangani). Durante una delle ultime trasmissioni radio da parte del capo della repubblica popolare fu dato l’ordine di uccidere tutti gli ostaggi. I ribelli di Paulis (Isiro) iniziarono le esecuzioni prima dell’arrivo dei paracadutisti nel Congo (Zaire). La sera del 23 novembre, quando era già buio, ordinarono ai prigionieri di uscire, li fecero inginocchiare e li percossero. P. Armani si alzò dicendo che era italiano, mentre le rappresaglie erano indirizzate verso i belgi e gli americani, ciò non fece nessuna differenza perché fu ucciso immediatamente con una pallottola alla testa. Così, verso le nove di sera p. Armani offrì la sua vita in sacrificio al Signore per la salvezza dei suoi cari africani. Fu il primo ad essere ucciso. I Padri Piazza, Migotti e Zuccali, come pure Fratel Mosca incontrarono la loro fine a Rungu.

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P. LORENZO PIAZZA (1915-1964) Fu ordinato sacerdote nel 1960 e lavorò presso diversi Seminari Minori Nel 1953 si laureò presso l’Università Cattolica di Milano con la tesi sull’arte degli Azande che raggiunse nel 1955, a Mupoi. Fu espulso nel 1963. P. EVARISTO MIGOTTI (1922-1964) Già da seminarista rimase impressionato dalla vita di Comboni per cui si unì al nostro Istituto quando fu ordinato sacerdote nel 1948. Il suo primo incarico fu in Etiopia, per poi passare dieci anni fra gli Azande dal 1953 al 1963. Di carattere semplice e buono, lavorava con generosità e con obbedienza. Il suo comportamento era quello di un religioso esemplare. Quando abbracciò sua madre per l’ultima volta, questa gli disse “Padre Evaristo, sei appena scampato alla morte nel Sudan perché adesso vuoi andare nel Congo dove stanno uccidendo tutti i bianchi?” “Madre”, rispose il figlio “Credo che se Iddio mi chiedesse di morire da martire, non sarei degno di tale enorme grazia” P. ANTONIO ZUCCALI (1922-1964) Entrò nel Noviziato di Venegono l’11 settembre 1943, alla fine del primo anno di Teologia proveniente dal seminario di Bergamo. Lasciare la famiglia fu per lui un atto eroico. Suo padre e uno dei suoi fratelli erano nell’esercito, ed un altro doveva presentarsi in quei giorni presso il Distretto Militare. Lasciò a casa la madre e due sorelle. Arrivò a Isoke, Bahr-el-Gebel nel 1951. Si trovò subito a lavorare in un campo immenso. I cristiani della missione erano 8.000 su una popolazione di 80.000, con un incremento di circa 1.500 Cristiani all’anno. Approfittando di un periodo di libertà dal ministero, si dedicò alla costruzione di circa 30 cappelle in mattoni. Molte di esse furono erette sotto la sua personale supervisione. Dirigeva una scuola d’artigianato con un buon numero di apprendisti e vari istruttori. Dette un vigoroso impulso alle conversioni di adulti e organizzò l’Azione Cattolica anche nei villaggi più piccoli impegnandone i membri a guidare le preghiere nelle cappelle. Promosse la vita Cristiana, in particolare aiutò a risolvere delicate situazioni familiari. Fu trasferito a Torit nel 1959 e a Rungu nel 1963.

Martirio. Quando i Simba arrivarono a Rungu i missionari si nascosero. Fr. Mosca che sopravvisse all’eccidio, descrive gli accadimenti: “La mattina del 30 novembre, dopo quasi una settimana di vita randagia nella foresta, i maestri vennero a dirci che i Simba li avevano minacciati di morte e avrebbero eseguito il loro piano se non fossimo usciti dal bosco. Facemmo allora consiglio e decidemmo di comune accordo di arrenderci per salvare la vita a quella povera gente che aveva fatto tanto per noi, anche se sapevamo con tutta certezza di andare incontro alla morte. Ci confessammo tutti con serenità pensando al glorioso sacrificio che il Signore ci chiedeva per il bene delle anime a noi affidate e per tutto il Congo”. Quando uscirono dal bosco i padri Piazza, Migotti e Fr. Mosca furono portati fino al fiume Bomokandi, fucilati, e gettati nel fiume. Ma Fr. Mosca riuscì a nuotare. Ci disse: “Fui fatto scendere e sedere sul ciglio della strada, a pochi passi dall’imboccatura del ponte, con la faccia verso il bosco. Prima di spararmi (tiravano con un solo fucile perché scarseggiavano le munizioni) il capogruppo mi ordinò in francese: ‘Mostra la tua faccia!’ obbedii meccanicamente senza fiatare. Mi stavo rigirando verso il bosco che rintronò la fucilata. Provai un forte colpo alla spalla sinistra, vicino al collo, e il braccio rimase come paralizzato. Fui indeciso un attimo sul da farsi: se mi fossi voltato mi avrebbero sparato un altro colpo, Con mente lucidissima seguii l’ispirazione di lasciarmi cadere pesantemente sul fianco destro, come morto. Intanto il sangue usciva a fiotti dalla ferita.

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Io fui il penultimo ad essere gettato nel fiume. L’ultimo fu il cadavere di p. Piazza. La grazia del Signore mi assistette anche il quel momento e non ebbi il minimo tremito di paura al pensiero che avrei potuto sfracellarmi contro le pietre o contro un pilone del ponte, o annegare. Fortunatamente toccai l’acqua con la schiena e appoggiando i piedi sul greto riuscii ad aggrapparmi ad un pilone.” Vagò per giorni finché cadde di nuovo fra le mani dei “Simba”: “Dapprima i ‘simba’ mi guardarono con occhi pieni d’odio: poi un ufficiale cominciò a commentare: Ma questo è un miracolo!… Solo Dio ti ha salvato!… Tu sei invulnerabile. Ti faremo Arcivescovo dell’Armata Popolare!” Mi rifocillarono con pane e margarina. Tutti volevano vedere la mia ferita e ripetevano meravigliati: “Solo Dio ti ha salvato!”. Uno propose di disinfettarmi la ferita con l’acqua. Quella stessa sera l’ufficiale era andato ad avvertire le suore del mio ritrovamento, e che il giorno seguente mi avrebbero portato da loro per la medicazione Il colonnello di Rungu, di ritorno da un viaggio, si disse molto spiacente di sapere che i padri erano stati uccisi e assicurò le Suore che se lui fosse stato presente la strage non sarebbe avvenuta.” Dopo alcuni giorni arrivarono i liberatori e il Fratello fu rilasciato. L’uccisione di p. Zuccali. P. Zuccali era rimasto nel bosco insieme al laico Paul Lepêche, sperando che entro pochi giorni sarebbe giunta l’Armata Nazionale a salvarli. Il mattino del 2 dicembre un indigeno li obbligò ad uscire dal nascondiglio perché – dicevai ribelli uccidevano non solo chi occultava i bianchi, ma anche chi li aveva semplicemente visti I due si diressero verso la missione. La moglie di un maestro, una santa donna, non appena scorse i due padri traditi da quell’uomo tentò di assumersi tutte le responsabilità della loro vita. Il traditore era quasi convinto dalla sue parole, quando all’improvviso sbucò un camion di “simba” che uccisero il Padre e il giovane belga, proprio vicino alla turbina del fiume Rungu. Il Padre fece in tempo a dare l’assoluzione al compagno e benedire la donna che aveva rischiato la vita per salvarli. I cadaveri vennero gettai nei gorghi del Rungu che è affluente del Bomokandi, e furono portati via dalla corrente. Invano i maestri li cercarono per lungo tratto del fiume. I nostri missionari di Ndedu e le Suore Comboniane che lavoravano in cinque missioni nella Diocesi di Wamba furono torturati e seviziati per molti giorni, ma furono infine liberati. 6. Espulsioni di massa dei nostri missionari dal Sudan Meridionale 2 L’espulsione dei missionari dal Sudan Meridionale iniziata nel 1962 terminò nel 1964, quando furono espulsi gli ultimi rimasti. L’espulsione ebbe luogo dal 26 febbraio al 9 marzo: 104 confratelli, 98 Suore Comboniane e 12 padri di Mill Hill, per un totale di 214. Le accuse furono: attività sovversive ed illegali, ostinazione nello sfidare la legge, incitamento alla sovversione. Il decreto di espulsione si riferisce ad alcuni casi particolari di sacerdoti che erano stati tacciati di tali accuse, ma che erano stati tutti assolti dai magistrati locali. Nessuna accusa fu mossa alle Suore; ciò nonostante furono tutte deportate. Gli Ordinari, cioè il Vescovo Mazzoldi (Juba), Mons. Ferrara (Mupoi/ Tombora) Mons. Te Riele (M.H. Malakal) scrissero una lettera di protesta al governo. La stilarono e firmarono a Khartoum l’8 marzo 1964. Portarono all’attenzione del governo quanto sopra esposto, scrivendo anche:

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Vedere Bollettino n. 169

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“Noi sottoscritti, siamo stai nominati da Sua Santità il Papa a guidare le Chiese locali nel Sudan Meridionale: continuiamo nel nostro compito anche se deportati, finché Sua Santità il Papa decide altrimenti. Come guide responsabili di quelle Chiese da diversi anni, conosciamo perfettamente i nostri Missionari, cioè i Sacerdoti, Fratelli e Suore che sono stai deportati con noi. Abbiamo controllato le loro attività attentamente durante quegli anni. Siamo di conseguenza in grado di parlare per loro, anzi, siamo tenuti per giustizia e carità a difendere la loro buona reputazione dato che il loro comportamento è stato corretto, come d’altro canto non sosterremmo le loro colpe se trovati manchevoli. Ci permetta, quindi, Vostra Eccellenza, di assicurarVi che nessuno dei nostri Missionari ha mai preso parte in qualsiasi modo a “attività distruttive e illegali”. Essi, ognuno di loro, hanno sempre avuto il massimo rispetto per la legge e per le Autorità. Non possiamo, perciò, accettare le affermazioni di Vostra Eccellenza, e vorremmo che i fatti veri, fossero resi di pubblico dominio. Vostra Eccellenza ha reso noto nelle affermazioni fatte al Consiglio centrale: “È mio desiderio cercare la vostra indulgenza per poter attestare nei dettagli tutti gli incidenti ed offese che sono state provate senza possibilità di dubbio, essere state commesse da quella gente Ma il tempo stringe, così mi accontenterò di fare riferimento ad alcuni incidenti quali prova.” Vostra eccellenza, per brevità, cita solo alcuni casi. Possiamo quindi, supporre che abbia citato solo quelli più incriminanti e di conseguenza, siccome siamo in grado di provare che quei casi non dimostrano minimamente le vostre affermazioni sopra citate, neanche quelle non citate aiutano a comprovare quelle stesse asserzioni.”. Esempi concreti sono citati qui di seguito. Al loro arrivo a Roma furono ricevuti da Papa Paolo VI il quale proclamò la loro innocenza nel modo seguente: “Venerabili Fratelli, e amati figli! Ammiriamo la commovente testimonianza della Vostra innocenza, confortata dalle lacrime dei vostri fedeli. Deploriamo la primitiva messinscena che non possiede quei veri e propri motivi che dovrebbe avere per essere giustificata. Tale manovra va contro il buon nome ed il progresso civile della Nazione, e offende i sacri comuni diritti di giustizia e libertà.” Il Superiore generale portò i confratelli deportati in un pellegrinaggio a Lourdes. 7. L’espulsione di dieci missionari dall’Uganda Nel febbraio del 1967 ci fu l’espulsione di dieci missionari dall’Uganda. Prima dell’ordine di deportazione formale, la notizia era loro già arrivata in via riservata. Il Vescovo Tarantino di Arua ed il vescovo Cesana di Gulu cercarono di bloccare il provvedimento e chiesero di poter parlare con il Presidente Obote. Anche il vescovo Cypriano Kihangire cercò di fare quello che poteva… Il presidente si rifiutò di incontrali. La ragione data ufficialmente era che i Padri stavano aiutando i Rifugiati Sudanesi, ma quasi nessuno dei sacerdoti espulsi aveva avuto a che fare con i rifugiati. La vera ragione erano i sentimenti cattivi dei due membri non cattolici del Parlamento ugandese, uno del West Nile, e l’altro di Kitgum, Acholi, i quali temevano che lo zelo dei missionari, rivolto principalmente alla formazione giovanile, avesse mire politiche; ma questo non era per niente vero. Dopo la caduta di Obote, alcuni missionari poterono tornare in Uganda. 8. Altri Martiri BARNABAS DENG. (1936 – 1965) Alcuni dei confratelli Sudanesi rimasero sul posto dopo l’espulsione dei missionari. P. Barnabas fu uno di loro. Il sacerdote ebbe modo di avvicinarsi ad uno dei missionari espulsi in partenza da Aweil e disse: “Padre prega per noi: ci rivedremo solP.

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tanto in Paradiso”. Fu ucciso vicino ad una caserma militare lunedì 23 agosto per nessuna apparente ragione. LUIGI CORSINI (1928-1963) Fu trovato, ucciso sulla spiaggia che si trova nei pressi della missione di Todos Santos, nella California messicana. Aveva una ferita al collo: segno dei Massoni. È possibile che fosse venuto a conoscenza di qualche loro azione segreta o che avesse denunciato le ingiustizie di qualcuno di loro.

P.

MARCO VEDOVATO (25/4/30-19/10/68) Egli apparteneva alla nuova comunità della Parrocchia di Pastos Bon, a circa sessanta miglia da Balsas nel Maranhão, Brasile Settentrionale. La sera di sabato 19 ottobre, 1968, tornando da una visita ad una cappella, era molto stanco e decise di fermarsi a riposare a Mirador. Era molto nervoso e si stancava facilmente in quel periodo, difatti, il mese seguente sarebbe tornato in Italia per un periodo di ferie. In una casa vicina stavano dando una festa che durava ormai da molte ore. Verso le 11.30 di sera, il missionario non potendo chiudere occhio, si alzò ed andò a chiedere di fare meno rumore. Egli pensò che tutto sarebbe finito lì e si voltò per tornare a letto. In quel momento, un giovane di vent’anni, che suonava la fisarmonica, gli sparò ripetutamente dei colpi di pistola ai reni. Il sacerdote cadde. Fu portato in una farmacia poco lontano ma morì venti minuti più tardi.

P.

TESTIMONI MONS. PIETRO VILLA: Un vero figlio del Sacro Cuore fino alla morte. Milano 18/1/1889 – Roma 13/11/1960. Fu ordinato prete il 10 giugno 1911. Durante la Prima Guerra Mondiale fu chiamato alle armi dove restò per quattro anni come tenente, guadagnandosi anche una medaglia. Alla fine della guerra tornò alla sua parrocchia, ma solo per tre anni, perché il Signore lo aveva chiamato alla vita missionaria. Prese i primi voti nel 1923 e nel 1926 fu mandato nel Sudan. A Khartoum egli mise in piedi la Procura Centrale, fondò il Comboni College e acquistò la famosa barca “Pio IX” che dette un servizio incommensurabile a tutti i missionari. Fu nominato Assistente Generale al Capitolo del 1931. Nel 1935 fu richiamato alle armi e nominato Tenente Cappellano a Mogadishu. Nel 1937 fu nominato Prefetto Apostolico di Gondar (Etiopia) dove si dedicò immediatamente al lavoro pionieristico guadagnando l’ammirazione sia dei Copti che dei Mussulmani. In poco tempo scuole-cappelle furono costruite in diverse località dove gli indigeni vivevano senza nessun conforto religioso. Tali promettenti attività terminarono con i bombardamenti e le espulsioni della Seconda Guerra Mondiale. Mons. Villa fu deportato a Saganeiti (Eritrea) nel 1942 e un anno più tardi tornò in Italia nella vana speranza di poter di nuovo ottenere un visto per ritornare di nuovo in Etiopia. Dopo un periodo di servizio presso la Curia di Roma per gli Affari Copti ed Etiopici, Mons. Villa il 1° maggio 1946 fu consacrato Vescovo Ausiliare del Cardinale Tisserant per la diocesi suburbana di Porto e Santa Rufina. Con lui, la Sacra Congregazione delle Chiese Orientali fu in grado di portare avanti molti lavori indispensabili per la vita religiosa nella diocesi, in Italia, in Grecia, in Egitto, ecc. Benché vivesse una vita povera e reclusa, era molto richiesto per la sua rettitudine, la sua passione per il lavoro, e la sua esperienza. Fu Vice Presidente dell’associazione Nazionale per l’aiuto ai Missionari e Grande Priore dell’Ordine del Sacro Sepolcro. Finì i suoi giorni in un’umile stanzetta di un istituto religioso. Morì il 13 novembre 1969. Il suo funerale fu veramente impressionante sia per la quantità che la qualità dei partecipanti. A causa del suo ufficio visse per molti anni al di fuori della comunità, ma come molti altri Vescovi Comboniani rimase attaccato all’Istituto. Faceva spesso visita alla nostra comunità romana di San Pancrazio (allora l’unica a Roma), si considerava parte di essa e non mancava mai alle nostre festività. Poco prima della sua morte confidò ad uno dei nostri padri che, siccome la sua salute stava peggiorando, stava pensando di ritirarsi ed andare a vivere in una delle case dell’Istituto. Gli fu detto che egli era il Diacono di S. Carlo al Corso, a Roma e che il suo posto era là. Egli però aggiunse che tale carica non era abbastanza importante da tenerlo fuori dalle case dell’Istituto e che “Il mio posto è là. Sono sempre un figlio del Sacro Cuore.”

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P. ERNESTO FIRISIN: il padre della Parola. Gorizia 5/1/1887 – Mupoi 25/8/1961 Il filosofo Nietzsche fece una raccomandazione ai sacerdoti: “Voi stampate Bibbie e predicate, scrivete molto, ma a meno ché la Bibbia non sia scritta sui vostri volti, non riuscirete mai” P. Ernesto era un uomo con la Bibbia stampata sul volto. Il popolo Azande gli voleva così bene che gli dettero anche un nomignolo: “Basangambori”, che significa “L’uomo della Parola di Dio”, perché la sua vita era come quella che sarebbe stata quella di Gesù se Egli fosse vissuto fra il popolo Azande. Piccolo di statura, ma con una grande anima e pieno di zelo, passava fra gli Azande come un infaticabile “Apostolo della Parola”, un titolo bellissimo per un missionario, e meritevole per colui che nei suoi 57 anni passati da missionario non aveva altra ambizione che insegnare il catechismo., spiegarlo e portare la grazia a quella povera gente. Fu il primo sacerdote missionario al quale fu concesso di restare a Wau, la capitale di Bahr-elGhazal. Nel 1906 con il permesso del governo centrale di Khartoum, p. Firisin poté aprire la prima scuola per l’insegnamento dell’inglese. Naturalmente le autorità musulmane locali non ne furono contenti. Quanti sacrifici e pene gli costò la prima scuola! Prima qualcuno incendiò il dormitorio. Quando p. Firisin protestò, il governo rispose dicendo che non poteva garantire l’incolumità di nessuno in quel paese. Una settimana più tardi un altro incendio distrusse un altro dormitorio e una chiesetta costruita con canne e fango. Il buon padre si rimboccò le maniche e continuò nel suo lavoro, convinto che avrebbe portato frutti spirituali. Difatti, a partire dal 1907, la scuola iniziò ad essere frequentata non solo dai figli di mercanti e soldati, ma anche da bambini pagani. Così la proibizione dell’insegnamento del catechismo scemò a poco a poco e nel 1911, fu amministrato il battesimo ad alcuni bambini. Dal 1913 alla sua morte nel 1961, egli visse a Mupoi, la Missione Madre degli Azande. Era sempre in viaggio, a piedi, in bicicletta, con il motorino o un’auto traballante. Ancora oggi, nel 2001, esso è ricordato come il primo e più importante missionario. Anche se gli africani amano ballare e cantare, P. Giorgetti, il grande compositore di canzoni Azande è al secondo posto dopo P. Ernesto. Egli lavorò molto per la scuola e scrisse diversi testi. Vale la pena ricordare i suoi libri di lettura Azande per la terza e quarta elementare, il piccolo catechismo per gli anziani, ed una grammatica della lingua Zande, una breve biografia di mons. Comboni e la traduzione del libro di Tobia. Sono molti i libri scritti da lui ciclostilati o battuti a macchina: testi di storia, geografia, aritmetica e agricoltura. Innanzi tutti però si deve ricordare la sua spiegazione del Catechismo in lingua Zande, un opera in tre volumi, l’ultimo dei quali incompiuto. Quando non fu più in grado di viaggiare al di fuori della missione offrì al Signore la sua debolezza. Voleva insegnare il catechismo fino a oltre 80 anni. Quasi cieco si recava ogni giorno presso la scuola di catechismo con l’aiuto di un bastone. Chi lo stava cercando lo poteva trovare in chiesa vicino al confessionale o presso i catecumeni. Quando fu quasi del tutto cieco, un ragazzo lo guidava nei villaggi. Questa cosa rimase impressa nella gente, non dimenticarono mai un vecchio uomo bianco cieco che conosceva bene i loro padri e nonni, meritava venerazione ed attenzione. Erano grati della sua presenza e delle sue parole. Un governatore protestante ebbe a dire: “Non conosco i santi cattolici, ma credo che siano uomini come Firisin. Se dovessi immaginare un santo penserei a Firisin”. Il suo cinquantesimo anniversario di sacerdozio fu un avvenimento straordinario per tutti gli Azande. Il Maggiore Larken, Capo del Distretto di Tombora nei primi anni della missione di Mupoi gli scrisse da Londra: “Quale soddisfazione deve provare al pensiero di così tanti anni di sacrificio per il benessere dei nostri cari Azande … Se dovessi scorgervi a cento metri dopo così tanti anni, vi riconoscerei immediatamente, e sarei colmo di gioia.” Tanti furono i suoi meriti che nel 1955 la “Royal Africa Society” di Londra lo insignì con una medaglia di bronzo per il lavoro svolto per la gente Azande e il 6 luglio 1956 il Vice Governatore di Equatoria gli dette la medaglia durante una cerimonia solenne. La sera del 25 agosto 1961 egli spirò serenamente, per entrare a far parte della gloria di Dio meritandosi una medaglia invisibile.

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P. FRANCO SIRIGATTI: guidato dalla Provvidenza. Milano 15/10/1921 – Mangobeiras 30/11/63. Possiamo descrivere Franco come un uomo intelligente che sempre, ansiosamente, guardava avanti. Iniziò a frequentare l’università nelle facoltà umanistiche, poi s’iscrisse a medicina, e poi a agraria Cosa stava cercando? Durante la seconda Guerra Mondiale (1939-1945) Franco prese parte alla resistenza contro il dominio tedesco nell’Italia settentrionale. Un giorno un partigiano fermò p. Parodi mentre stava trasportando cibo per i 120 scolastici sfollati a Rebbio. Il suo camioncino fu portato da un soldato in una vallata per essere puntualmente svuotato del contenuto. Il capitano Sirigatti però ordinò di lasciare P. Parodi libero di tornare a casa con tutte le provviste. P. Parodi sarebbe poi diventato Vescovo della Diocesi di Balsas. Durante la guerra P. Sirigatti aveva visto tanta sofferenza, miseria e morti, per cui decise di dedicare la sua vita a coloro che soffrono. Accadde un'altra coincidenza provvidenziale: Sirigatti si recò Inghilterra per i giochi Olimpici, si ammalò e fu ricoverato nell’ospedale italiano di Londra dove incontrò p. Prina, un Comboniano, che lo invitò nella nostra casa di Sunningdale. Ci andò, gli piacque il Noviziato e vi trovò la serenità e la sua futura vita. Nel gennaio del 1951 l’autore di questo libro fu curato da p. Franco. Soffrivo di febbre asiatica che allora fece più di 3000 vittime in Inghilterra. Due anni dopo la sua ordinazione (12 giugno 1954), fu mandato a Balsas. Qui, i due anni di facoltà di medicina che aveva frequentato furono provvidenziali. Ad un certo punto cominciò a pensare che la gente lo vedeva più come medico che sacerdote. Questo fatto lo tormentava perché l’esercizio del sacerdozio era la ragione per cui egli si trovava fra quella gente. Il medico locale sebbene fosse ateo iniziò ad apprezzarlo e a consultarlo per i casi più complicati, tanto che, solo su suggerimento di p. Franco egli si accingeva ad operare quei casi difficili per i quali divenne famoso. Spesso, quando il medico rinunciava a curare un paziente perché non c’era più niente da fare, p. Franco riusciva a curarlo. Coloro che non potevano recuperare fisicamente, trovavano comunque una cura spirituale – cosa della quale molti necessitavano. Iniziò una “Repubblica dei Ragazzi” in una località chiamata Samboiba. In quel clima freddo e Protestante riuscì a portare quel calore ed entusiasmo che appassionarono ed affascinarono i ragazzi, tant’è che anche i ragazzi protestanti riuscirono ad ottenere il permesso dei genitori a partecipare. Sfortunatamente il progetto morì con lui perché lo iniziò durante l’ultimo anno della sua vita. Però, il Centro per l’educazione Rurale e Welfare Sociale (CAER) che iniziò per primo, per la promozione delle maestre che insegnavano nei villaggi, ebbe il sostegno del Vescovo e non solo sopravvisse alla sua morte, ma, divenne la base sulla quale crebbero piccole comunità Cristiane. I suoi viaggi apostolici divennero estremamente spossanti; aveva così tanto da fare come sacerdote e il suo lavoro come medico stava sottraendogli tutte le energie. Sia nei centri che nelle piccole cittadine passava le sue nottate al capezzale di coloro che soffrivano. Anche se fosse stato in buona salute, il suo ritmo di lavoro era tale da non potere continuare a fare quel genere di vita. Soffriva di mal di stomaco e di un cronico esaurimento nervoso. Lo stress e le emozioni della gioventù quando era partigiano, i suoi viaggi apostolici e la sua preoccupazione per la sofferenza della sua gente non miglioravano, certo, la sua salute. Un giorno, il 29 novembre 1963, di ritorno da un viaggio apostolico, egli invitò coloro che erano soliti recarsi a messa tutti i giorno ad una “Messa Straordinaria”. Due ragazze che arrivarono fino alla porta della chiesa seguirono questa ‘Messa Straordinaria’, Mentre stava aprendo la porta della sacrestia cadde “consummatum est” La Messa finì al sacrificio della Croce. La sua consacrazione fu accettata e bruciò come incenso.

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LE SUORE COMBONIANE 1. Le Suore Comboniane in Spagna (1963) Le suore non potevano ignorare la Spagna per la promozione Vocazionale e l’animazione Missionaria. Sono anche presenti in diverse nazioni dell’America Latina. Fu nel 1963 che le prime suore italiane arrivarono a Madrid in un bel posto non lontano dal centro. Barcellona fu la seconda città dove si stabilirono, ma solo fino al 1974. Attualmente (1995) esse hanno quattro comunità in Spagna,. La loro residenza è a Madrid, il Postulato a Murcia, una comunità aperta nel 1980. 2. Undicesimo Capitolo 22 luglio – agosto 1964 Il Consiglio Generale: Madre Teresa Costalunga Suor Irma Sala Suor Natalizia Carollo Suor Emma Cazzaniga Suor Veronica Morris

- Superiora Generale - Vicaria Generale - Assistente Generale - Assistente Generale - Assistente Generale

Negli ultimi mesi del 1964, circa 30 Suore dovettero abbandonare le cinque Missioni del Congo che erano loro affidate a causa della Rivoluzione Simba. Nessuna delle Suore fu uccisa. Statistiche alla fine del 1964: Suore Professe Novizie Postulanti Totale

- 1.990 - 124 - 43 - 2.157

3. Suore Comboniane in Kenya Il primo impegno delle Suore Comboniane in Kenya fu a Ngandu nel 1965 nella Diocesi di Nyeri a nord di Nairobi. La diocesi era stata affidata ai Padri della Consolata nel 1962. Ma quando arrivarono le Suore, la Diocesi era affidata ad un vescovo Kenyota mons. Cesare Gatimu (1921- 1987). A Ngandu esse si occupavano di una scuola secondaria femminile che, negli anni ’70, eccelse, ottenendo per la IV classe i migliori risultati scolastici di tutto il paese per quattro anni consecutivi. Seguirono altre comunità: Laisamis il 24 gennaio 1966 e Marsabit il 7 ottobre 1966. Attualmente hanno diverse comunità ed un Postulato a Ting’ang’ con la residenza Provinciale a Nairobi.

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Capitolo Undicesimo L’ERA DELL’INDIPENDENZA IN AFRICA (1959-1975)

1. In Generale Durante il periodo che va dal 1959 al 1969, la maggior parte delle nazioni africane ottennero la loro indipendenza; benché alcune, come il Sudan e il Ghana l’ottennero prima, altre dopo. L’indipendenza dell’India nel 1947 indicava che tale esempio poteva essere seguito. Alla ricerca di un modo di destabilizzare l’Inghilterra e la Francia nelle loro colonie, e di prendere il loro posto, l’unione Sovietica inculcò la necessità dell’indipendenza per le colonie africane seguendo il sogno di Lenin e Stalin. L’Unione Sovietica presentava la filosofia sociopolitica Marxista-Leninista come movimento di liberazione in tutte le università africane; un’ideologia molto diffusa ancora adesso. L’Unione Sovietica forniva armi e munizioni ad alcune nazioni dove era attiva la guerriglia. Il signor Yoweri Museveni attuale Presidente dell’Uganda, fornisce un’altra ragione: la Seconda Guerra Mondiale aveva indebolito le rimanenti potenze imperialiste europee a tal punto che dovettero abbandonare le loro colonie. Il progresso nell’istruzione fino a livello universitario, ispirò agli africani l’indipendenza che prima non pensavano possibile; per coloro che riuscivano ad andare all’estero a studiare, si aprivano nuovi mondi e possibilità. Essi tornavano nei loro paesi perfettamente equipaggiati per poterli governare. Gli Stati Uniti s’arricchivano ed erano in cerca di nuovi mercati . Le Nazioni Unite facevano pressione affinché fossero eliminati gli imperi coloniali esistenti ed incoraggiavano malcontento nelle colonie per ottenere il loro scopo. Durante gli anni cinquanta le riforme che avrebbero portato all’indipendenza furono accelerate. 2. Le Politiche Coloniali Qualsiasi sia il verdetto storico riguardante il fenomeno del colonialismo, durante questo periodo troviamo Ie seguenti tendenze adottate dalle potenze coloniali: a. La Gran Bretagna La speranza di tenere legati in qualche modo, i sudditi non europei affiliandoli alla Gran Bretagna tramite il Commonwealth dominò la politica coloniale britannica. Gli scopi a lungo termine includevano: Ø La fondazione di istituzioni scolastiche. Ø Sviluppo economico e investimenti britannici all’estero per innalzare il tenore di vita, sviluppare l’agricoltura e le risorse locali incoraggiando la produzione e l’esportazione di materie prime. Ø La graduale introduzione di strutture politiche che avrebbero, in futuro, portato le colonie all’indipendenza entro il Commonwealth delle Nazioni come unità politiche ed economiche. Dette politiche, però furono attuate molto tardi, e furono accelerate per le ragioni alle quali abbiamo accennato sopra. IL primo territorio al quale la Gran Bretagna concesse l’indipendenza fu il Sudan nel 1956, seguito dal Ghana nel 1957; entro la fine degli anni sessanta tutte le altre nazioni avevano ottenuto l’indipendenza pur rimanendo nel Commonwealth. Questi legami stanno, adesso, diventando sempre più deboli.

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b. La Francia La Francia agì in modo differente. Per molti anni la Francia negò alle sue colonie la possibilità di adeguarsi e di svilupparsi economicamente, insistendo sulla completa assimilazione da parte delle sue colonie del sistema politico e della cultura francese. Non esisteva un governo locale autonomo. L’amministrazione veniva controllata a livello centrale da Parigi. L’istruzione, inoltre era strutturata in modo tale da preparare un esiguo numero di leaders dalle colonie a diventare dei bravi francesi. Dopo il 1954, però, la politica dell’”assimilazione” lasciò il passo a quella dell’ “associazione”. Le colonie erano chiamate “territori oltremare”. A causa di quest’atmosfera, alcuni africani come l’ex presidente del Senegal, L. Senghor, divennero deputati nell’Assemblea Nazionale francese. Nel 1958 nella nuova Costituzione francese fu inserita l’autodeterminazione, perciò entro il 1960 tutte le colonie a sud del Sahara divennero indipendenti continuando, però la loro associazione con la Francia. L’”Associazione “spiega la presenza di truppe francesi in alcune nazioni indipendenti e i legami monetari con il Franco Francese tramite la valuta C.F.A. c. Il Portogallo Il Portogallo insisté sul fatto che le sue colonie erano province della Madrepatria e mantenne intatta la politica e la dottrina di assimilazione. Questa politica tuttavia, era caratterizzata da un’istruzione quasi inesistente e un’evoluzione economica e politica alquanto scarse. Siccome le colonie erano “formalmente” province, il Portogallo si rifiutò di accordare loro l’indipendenza e cedette solo dopo molto spargimento di sangue. La guerriglia portò il paese quasi al collasso economico che già stava languendo a causa di un sistema agricolo arcaico e una politica industriale non competitiva. Fu solo nel 1975, dopo una rivoluzione militare in patria, che tutte le colonie portoghesi ottennero l’indipendenza. d. Il Belgio Il Belgio aiutò il rapido sviluppo industriale e commerciale dello Zaire, ma non iniziò mai un procedimento di educazione tecnica e politica della popolazione indigena fino a circa cinque anni prima dell’indipendenza, che fu inaspettatamente e bruscamente concessa nel 1960. Questo fatto causò un massiccio esodo dei belgi. I soldati ammutinarono contro i loro ufficiali e si sparpagliarono in lungo ed in largo per la nazione saccheggiando, seminando panico e morte. Nessun missionario, perse la vita in questo periodo. Iniziò una nuova ribellione nel 1963 da parte dei seguaci del defunto Lumumba (il primo Capo del Governo ucciso nel 1961) appoggiati da militari cinesi. Invitati da Moise Tchombe, ex leader del Katanga, e Primo Ministro all’epoca, intervenirono i paracadutisti belgi; poi arrivarono i “Simba” i quali iniziarono ad uccidere i missionari, inclusi quattro dei nostri confratelli verso la fine del 1964. Nel 1865, il Generale Mobutu, che allora aveva solo 35 anni, prese il potere, portando il paese in rovina. In seguito fu deposto da Yoweri Museveny presidente dell’Uganda e da Kagame, presidente del Ruanda che nominarono Desirè Kabila. 3. In particolare Diamo qui uno ragguaglio veloce di quelle nazioni dove stavamo lavorando e che ottennero la loro indipendenza più o meno in questo periodo. Furono veramente dei paesi difficili con grossi problemi. a. Sudan Era amministrata dall’Egitto e dalla Gran Bretagna, ma possiamo dire che la amministrazione spiccia, particolarmente a sud era nelle mani di ufficiali britannici. Movimenti indipendentisti

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erano già iniziati nel 1922, ma tali aspirazioni aumentarono drammaticamente nel 1951, quando Re Farouk fu dichiarato unilateralmente Re d’Egitto e del Sudan. Temendo l’indipendenza sotto il dominio politico degli arabi musulmani, il battaglione stanziato in Equatoria ammutinò nell’agosto del 1955; in seguito scoppiarono gravi tumulti fra il nord ed il sud del paese. L’Indipendenza fu accordata il 1 gennaio 1956 e già nel 1957 tutte le scuole missionarie erano state nazionalizzate a seguito di una politica di unificazione nazionale che mira alla progressiva islamizzazione del Sud e la continuazione della Tratta dei neri del Sud portati al Nord come schiavi. Ebbe inizio una feroce opposizione verso i missionari. I leader politici del Sud iniziarono ad andare in esilio, fra i quali Padre Saturnino Lohure, sacerdote della diocesi di Juba. Fu in seguito ucciso da soldati ugandesi. Il decreto per i missionari del 1962 (Missionary Act) ridusse sensibilmente la libertà religiosa, ma tale decreto fu rigidamente imposta solo nel Sud. L’espulsione di tutti i missionari che lavoravano nel Sud nel 1964 fu seguita da un esodo in massa da parte di civili inclusi studenti e seminaristi. Ebbe inizio la guerriglia chiamata Anya-Nya. Dopo diversi colpi di stato, nel 1964 prese il potere il Generale Jafar Nimeiri il quale firmo un accordo con la Anya-Nya nel 1972 ad Addis Abeba. Tuttavia, nel 1979 il governo di Khartoum applicò la legge islamica della “Sharia” in tutto i paese. La guerriglia iniziò di nuovo e sta tuttora continuandocosicchè impedire qualsiasi sviluppo; le divisioni tribali fra i sudanesi del Sud, il massiccio esodo di rifugiati, carestie e torture sono le piaghe del Sud. Il decreto del 1962 sulle Società Missionarie fu sostituito, nell’ottobre del 1994, dal “Ordine Provvisorio: Amendamento Miscellaneo (L’organizzazione del Lavoro Volontario) decreto 1994”. Questo decreto fu denunciato dai Vescovi cattolici in un comunicato datato 1 febbraio 1995. Alla base di questo era l’opinione che la Chiesa veniva considerata “una organizzazione straniera il cui scopo è di portare avanti un lavoro di natura religiosa”. Questo tentativo ha per scopo di sottoporre la Chiesa al controllo completo del governo e ai capricci dei suoi leader fondamentalisti. b. L’Uganda L’Uganda ottenne la sua indipendenza il 9 ottobre 1962. Per poter meglio capire ciò che avvenne, è necessario dare dei cenni storici Introduzione. Parto da fatti ben conosciuti : I Martiri ugandesi 1885-1887 furono uccisi da Mwanga, re del Buganda, la più grande tribù dell’Uganda. Mwanga uccise Cattolici, Protestanti e Musulmani. I tre gruppi si unirono per deporlo e vinsero. In quel momento i Musulmani avevano più potere per cui tramarono per fare eleggere re uno dei fratelli di Mwanga e per questo lo circoncisero. I Cristiani non ne furono per niente contenti, così si unirono e deposero il re musulmano riportando al potere lo stesso Mwanga deposto in precedenza. Egli aveva vissuto con dei cattolici durante il suo esilio. A questo punto furono i protestanti ad insospettirsi dei Cattolici. A causa di seri malintesi, il re del Buganda e i Cattolici si trovarono schierati da una parte mentre il Capitano Lugard, che rappresentava la Imperial African Company, ed i Protestanti si trovavano dall’altra. Ambedue le fazioni erano armate per cui un piccolo incidente li portò al combattimento. I Capitano Lugard intervenne con i suoi soldati sudanesi e sconfisse il Kabaka (il re del Buganda che nella loro lingua si chiama “Kabaka”) e i Cattolici. I vincitori distrussero la missione cattolica di Rubaga, molte cappelle cattoliche e vendettero circa 50.000 cattolici come schiavi. Si consideravano i vincitori di una guerra, perciò gli unici che potevano stare al potere. Il territorio del Buganda era stato diviso in 19 contee, 14 delle quali andarono ai protestanti, 4 ai cattolici e una ai musulmani. I figli dei capi tribù dovevano andare a scuola nelle scuole protestanti; ciò significava praticamente diventare protestanti e poter quindi assicurare la creazione

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di un “establishment” protestante come in Inghilterra, senza dichiararlo apertamente. L’ultimo Arcivescovo inglese protestante, Leslie Brown, subito dopo l’indipendenza, chiese al Presidente Milton Obote di dichiarare la Chiesa Anglicana la Chiesa di Stato. In pratica l’establishment protestante fu reso ancora sicuro con l’apertura di una scuola secondaria per i figli dei re (tutti protestanti) ed i capi: chiamato King’s College, Buddo (il paese dove vi è il collegio). La discriminazione contro i cattolici continuò per quasi un secolo, anche dopo l’indipendenza, come si può vedere dalle seguenti statistiche: Censimento del 1991 Cattolici Protestanti Musulmani

7.426.500 6.541.800 1.758.100

44.5% 39.2% 10.5%

Maggiori cariche politiche nominate dal governo centrale nel 1993 erano : Cattolici 35 Protestanti 116 Musulmani 9 Anche recentemente, nel 1986, quando il National Resistance Movement (Movimento di Resistenza Nazionale) del Presidente Museveni introdusse libere elezioni per i var livelli di governo locale, molti cattolici ricevettero un numero di voti tale da poter diventare capi zone, gruppi di zone, distretti, provincie. In alcune parti dell’Uganda orientale, però, alcuni di essi furono uccisi. Un corrispondente della BBC indagò. Nel suo articolo uscito su “Focus on Africa” dichiara che il popolo non aveva mai visto un cattolico che occupasse una posizione governativa da quelle parti, questi, quindi, dovevano essere eliminati per non creare precedenti! Movimenti indipendentisti. Il primo partito politico fu l’Uganda National Congress (UNC) fondato nel 1951. Anche i cattolici vi si unirono, ma si resero conto che venivano discriminati in quanto il partito era dominato da protestanti. La politica del partito, inoltre era di ottenere libertà dai bianchi, inclusi i missionari e la religione che avevano portato per poter sottomettere gli indigeni. Il loro fondatore, Ignatius K. Musasi, era in contatto con i leader russi. Un gruppo di cattolici Baganda nel 1954 dette vita ad un nuovo partito “Uganda Democratic Party” (DP) che nel 1956 si diffuse in tutto il paese con l’aiuto di alcuni Vescovi che lo ritenevano un passo necessario contro la discriminazione dei cattolici. . Uno storico ugandese non cattolico il signor Karugire R. Samwiri, nel suo “A Politica History of Uganda “(La Storia Politica dell’Uganda) dice che ci si deve meravigliare, non perché i cattolici si organizzarono pacificamente per combattere tale discriminazione, ma perchè non lo avessero fatto prima di allora”. Tale passo fu necessario per dissipare l’accusa fatta alla Chiesa Cattolica che si diceva scoraggiasse i cattolici nella concorrenza per cariche politiche. Gli ugandesi del nord ebbero un grande aiuto dalla stampa cattolica nel loro risveglio politico, in un momento quando nessun altro lo faceva. Questo fatto è ben dimostrato in una tesi di dottorato, presentata da un ugandese all’Università di Chicago; attualmente egli è professore all’Università di Makerere. Cito: “Tre di queste pubblicazioni si potevano trovare nella regione settentrionale nel decennio 1952 –1962. Due erano giornali, cioè il “Lobo Mewa” in Acholi (La Nostra Terra) ed il “West Nile Gazette” (La Gazzetta del Nilo dell’Ovest) ed una era una rivista , “Leadership”. Attraverso una rigorosa analisi del contenuto dei giornali divenne possibile non solo misurare l’intensità e la serietà del programma politico della Chiesa , ma anche la precisa natura di questo programma, e cioè fatti e avvenimenti concreti dei quali la Chiesa si preoccupava e le azioni intraprese. Oltre a queste fonti, P. Tarcisio Agostoni, l’Editore di “Leadership” durante questo decennio, che fu Direttore Spirituale dell’Apostolato dei Laici di quella regione, autore di un importante libro sulla politica per ugandesi, “Every Citizens’ Handbook” (Il Va-

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demecum di ogni cittadino) mi ha messo a disposizione i suoi scritti personali sulla politica del decennio. Essi sono di particolare significato per qualsiasi studio delle attività politiche della Chiesa Cattolica durante il decennio che ci riguarda; in quanto P. Agostoni fu praticamente il mentore principale della Chiesa sugli affari politici. Difatti, i suoi scritti influenzarono e guidarono chiaramente il pensiero della Chiesa sugli affari politici ai quali facciamo riferimento in questo lavoro.”1 Alle elezioni del 1961 vinse il DP, ma per ragioni politiche e religiose, il governo coloniale chiese agli ugandesi di ripetere le elezioni nel 1962, con l’intento premeditato di togliere il potere ai Cattolici e darlo ai Protestanti come era consueto. Difatti in nessuna altra Colonia o Protettorato britannico sono mai state ripetute le elezioni per l’indipendenza dopo che l’ autogoverno era stato già concesso. Obote soppresse il DP. Fu ristabilito prima delle elezioni del 1980. Quando furono annunciati i risultati dia seggi, si scoprì che il DP aveva vinto con la maggioranza assoluta. La Commissione Militare che allora era alla guida del paese, proibì altri annunci. La Commissione Militare annunciò falsi risultati dopo anche un mese. Il piano era che Mwalimu Nyerere doveva portare di nuovo al potere il suo amico socialista Apollo Milton Obote. A causa di questi brogli elettorali, un gruppo di radicali guidati da Yoweri Museveni si dettero alla macchia per portare avanti una lotta armata che li portò al potere dove sono tuttora. c. Il Mozambico Il Movimento indipendentista ebbe inizio verso la fine degli anni cinquanta. Nel 1962, il Frelimo (Fronte per la Liberazione del Mozambico) fu fondato da Edward Mondlane che era stato a servizio delle Nazioni Unite. La guerriglia iniziò nel 1964 seguendo il manuale di MaoTse-Tung. Il Portogallo dovette mobilitare circa 60.000 soldati, la metà africani. Il moderato Mondlane fu ucciso in Tanzania nel 1969 e sostituito dal leader militare Samora Machel che guidò la nazione all’indipendenza nel 1975. Fu introdotto un regime maxista-leninista che portò grande povertà e miseria I diritti di pesca furono dati all’Unione Sovietica come compenso per l’aiuto militare avuto nelle guerra d’indipendenza. La violenza genera altra violenza, e così fu fondato un aggressivo movimento d’opposizione il Renamo (Mozambique National Resistance) con l’aiuto del Sud Africa ed ex colonialisti portoghesi, La nuova guerra rese il paese ancora più povero, Nel 1993 il Mozambico era senza ombra di dubbio il più povero paese africano. con un reddito pro capite di 70$ USA. Il secondo era la Tanzania con $110 seguiti dall’Etiopia con $ 115. Samora Machel morì in un incidente aereo non del tutto chiarito, di ritorno da Lusaka. Il suo successore fu Albert Chissano che firmò un armistizio nel 1990 a Roma e che ora è alla guida della nazione adesso dopo aver sconfitto il Renamo alle lezioni politiche del 1994. Durante ambedue le guerre, i missionari soffrirono molto, in parte perché ambedue i movimenti si aggiravano nelle missioni ed in parte perché nuovi permessi di residenza furono negati ai missionari dal governo del Frelimo fino al 1989. Fu durante la guerra fra il Renamo ed il Frelimo che diversi missionari persero la vita inclusi Suor Teresa Dalle Pezze, comboniana e Fratel Fiorini Alfredo. d. Sud Africa I Boeri, contadini provenienti dall’Olanda arrivarono a Capo Buona Speranza nel 1652. Iniziarono a lavorare la terra con schiavi importati dall’Angola. Nei loro sforzi di penetrare all’interno del paese, dovettero combattere con gli abitanti del luogo, principalmente gli Xhosa. Nel frattempo arrivarono altri protestanti. Sia i nuovi arrivati che gli altri pensarono di fondare una nuova nazione ed avere il diritto di conquistare una nuova Terra Promessa. 1

A.G.G. Ginyera-Pinycwa. Isssues in Pre. Indipendence politics in Uganda” pagine 9-10.

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Quando arrivarono gli inglese nel 1806, i Boeri dapprima li accolsero bene, ma poi, iniziarono a migrare verso Nord dove nel 1867 scoprirono giacimenti d’oro e di diamanti. Da quel momento iniziarono le guerre fra i Boeri e gli inglesi i quali aumentarono il numero delle loro truppe da 20.000 a 200.000. I Boeri dovettero arrendersi nel 1902. Nel 1910 L’Unione Sud Africana divenne indipendente. Vi si parlano due lingue l’inglese e l’Afrikaans. Gli africani si resero conto del loro destino e fondarono l’African National Congress. Da quel momento ebbero inizio atti discriminatori nei loro confronti. La Legge “Native Lands” del 1913 creò riserve dove doveva vivere la gente di colore. Il “Colour Bar Act” del 1926 escluse gli africani da qualsiasi lavoro qualificato nell’industria. Seguirono altre leggi fino al totale “apartheid “quando il Dott. Malan era Primo Ministro (1948-1954), politica approvata dalla Chiesa Olandese Riformata . Tuttavia, i cittadini di origine britannica, gli Anglicani ed i Cattolici si opposero a tale politica. I nostri confratelli appoggiarono incondizionatamente la politica della Chiesa Cattolica, ma spesso si trovavano in situazioni conflittuali temendo spargimenti di sangue fra i bianchi ed i neri. I cambiamenti nell’Unione Sovietica rimossero la paura di un’influenza comunista in un paese dove la popolazione africana era molto più numerosa di quella bianca e aprì la strada alla liberazione di Nelson Mandela nel 1990 e alle elezioni generali sulla base di “Un uomo, un voto” nell’aprile del 1994. e. Il Burundi Come il Rwanda, così il Burundi avevano fatto parte del Tanganyka dell’Africa Orientale Tedesca. Dopo la Prima Guerra Mondiale ambedue le nazioni furono affidate al Belgio come singola entità politica. I belgi limitarono i poteri dei re, abolirono la schiavitù e fecero del loro meglio per fare cessare la servitù degli Hutu. Nel 1959 in Ruanda, però, gli Hutu del Ruanda che erano il 90% della popolazione, durante una rivolta massacrarono migliaia di Tutsi mentre migliaia d’altri si rifugiarono nelle nazioni vicine. Nel 1961 si tenne un referendum che fu a favore della divisione dei due stati. Gli Hutu andarono al potere in Ruanda e i Tutsi nel Burundi. Un colpo di stato militare capeggiato da Michel Micombero, Tutsi, depose il re del Burundi nel 1960. fra il 1972 ed il 1973 gli Hutu si organizzarono nella lotta per i loro diritti come maggioranza (84%) . I Tutsi, temendo un bagno di sangue come era accaduto nel Rwanda nel 1959, incitarono alla rivolta e massacrarono più 200.000 Hutu. Nel 1976 Micombero fu deposto da Jean Baptiste Bagaza, che era ancora più anti- Hutu. Egli temeva l’influenza dei missionari e di alcuni sacerdoti locali i quali erano favorevoli ai diritti degli Hutu, perciò introdusse una politica che indeboliva la Chiesa cattolica e tendeva ad eliminare i missionari. In questo contesto, tutti i nostri confratelli furono espulsi dal Burundi nel 1977. Detta politica rese Bagaza molto impopolare e anch’egli fu deposto da un leader militare più moderato, Pierre Buyoya nel 1987. Furono tenute elezioni generali ed anche gli Hutu furono invitati a condividere il potere politico, benché il vero potere, quello militare è nelle mani dei Tutsi. Questa è la ragione della instabilità odierna: terrore, uccisioni rivolte. f. Il Kenya Le nostre responsabilità pastorali in questo paese non iniziarono che dopo l’indipendenza, è opportuno, però, dare dei cenni storici. Il 1 luglio 1895 il Kenya diventò ufficialmente colonia delle autorità britanniche che iniziarono a costruire la ferrovia nel 1896 da Mombasa e raggiunsero Entebbe nel 1901. Molti indiani furono portati lì per la costruzione della ferrovia e molti di loro si stabilirono sia in Kenya che in Uganda. Lentamente con il passare degli anni i coloni britannici divennero possessori di tre quarti dei terreni più fertili dell’altipiano.

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Giustamente insoddisfatti da questo stato di cose, gli africani iniziarono ad organizzarsi: la “Kikuyu Central Association” fu fondata nel 1925 con Jomo Kenyatta come Segretario il quale nel 1948 fondò il “Kenya African Union”. Il suo scopo era di abolire le differenze razziali e acquisire parità di diritti politici. La questione della terra fece nascere l’insurrezione “Mau Mau” che fu duramente repressa dal governo coloniale dal 1952 al 1957. 40.000 persone furono uccise e migliaia imprigionate, fra le quali lo stesso Kenyatta che divenne il Presidente del Kenya indipendente nel 1963. come leader del Kenya African National Union “KANU”. Nel 1968 il suo partito fu dichiarato l’unico nella nazione e così è stato fino a poco tempo fa, quando il successore di Kenyatta, Daniel Arap Moi, nel 1988, a causa di pressioni internazionali , permise che si formassero altri partiti politici. Il sistema multi-partitico, comunque, non cambiò la mentalità dittatoriale di Arap Moi. Il Kenya non ebbe mai i disordini religiosi come in Uganda anche se un importante leader cattolico del “KANU” Tom Mboya fu ucciso in circostanze sospette nel 1969. Fino ad adesso, comunque, il Kenya è stato pacifico, permettendo a circa 120 Istituti religiosi internazionali di vivere e lavorare colà. La Conferenza Episcopale del Kenya, di recente ha denunciato apertamente la corruzione, il tribalismo e le pratiche malavitose che ci sono nel paese, spesso facendo appelli a Arap Moi e denunciando le sue responsabilità di questo increscioso stato di cose nel paese. 4. La Chiesa e l’Indipendenza degli Stati Africani La Chiesa in generale né accettò ne condannò esplicitamente le potenze coloniali. Essa si accontentava di avere libertà di religione, di movimento, ospedali, attività di welfare, lo sviluppo di progetti, scuole di diverso livello e così via. Ciò nonostante il pensiero Cattolico ha sempre più sottolineato l’uguaglianza della persona umana che i governi coloniali apertamente o segretamente negavano. A proposito di diritti politici, Papa Pio XII disse: “Quel privilegio perpetuo che appartiene all’uomo per il quale ogni individuo ha il dovere di proteggere i suoi diritti, e per il quale è assegnato ad ognuno una ben definita e particolare sfera di diritti, immuni da qualsiasi attacco arbitrario, è la logica conseguenza dell’ordine di giustizia voluta da Dio.” (Messaggio radiofonico – Natale 1942) Nell’Enciclica Pacem in Terris, Giovanni XXIII° condannò l’idea che alcune persone o culture fossero di per sè superiori ad altre tanto da avere il diritto di regnare su di loro. (n. 88-8992). Notò, approvando, che l’indipendenza nazionale stava diventando universale (n. 42-43): “Uomini in tutto il mondo sono oggi – o saranno presto - cittadini di nazioni indipendenti.nessuno vuole sentirsi suddito di poteri politici che si trovano al di fuori della sua Nazione o gruppo etnico. È così che quel complesso di inferiorità che per migliaia di anni molti esseri umani hanno avuto , sta scomparendo, mentre in altri sta scemando il corrispondente complesso di superiorità che ha le sue radici nei privilegi socioeconomici , il sesso o il potere politico. Anzi, la convinzione che tutti gli uomini sono uguali per ragione della loro naturale dignità è stata generalmente accettata. Perciò, la discriminazione razziale non può, in nessun modo, essere giustificata.” Il Concilio Vaticano Secondo, Papa Paolo VI e Papa Giovanni Paolo II, hanno sviluppato i principi di Giovanni XXIII° aggiungendo, per quanto concerne la Cristianità, la necessità di inculturazione e la necessità per gli africani di essere missionari di se stessi.

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Capitolo Dodicesimo LA CRISI NELLA CHIESA

A.INTRODUZIONE Il nostro Istituto non poteva non rimanere vittima della crisi che colpì la Chiesa nell’occasione dei cambiamenti apportati dal Concilio Vaticano Secondo. L’incomprensione di alcuni di questi cambiamenti, e il disagio che serpeggiava nella Chiesa nell’insieme influenzarono sacerdoti, religiosi e religiose in modo straordinario. Alcuni Istituti religiosi persero un gran numero di membri. Un Istituto perse il 35%.Ci possiamo comunque, ritenere graziati in quanto perdemmo meno del 2,5%, e meglio del nostro Istituto fece una Congregazione Indiana che perse meno del 2%. Le seguenti statistiche danno un’idea dell’esodo. Non spiegano tutto, però, perché queste cifre includono i nuovi arrivati, principalmente dal terzo Mondo, e il numero di morti naturali. STATISTICHE 1. Religiosi e religiose nel mondo 1942 M

1966

Europa America

M 179,287 190,534

F 492,252 323,876

M 107,987 73,948

F 334,573 225,291

Asia Africa Oceania

21,368 15,369 5,977

32,547 21,345 16,011

28,772 17,745 5,176

85,180 26,158 11,182

412,535

886,031

233,528

682,384

TOTALE

220,041

F

1991

586,646

2. Statistiche dei più nomuerosi istituti FEMMINILI Figlie della Carità di San Vincenzo di Paola Figlie di Maria Aiuto dei Cristiani Salesiane) Suore Scolastiche della Madonna Suore della Madonna della Carità del Buon Pastore Suore della Carità della Sacra Croce di Ingebohl Suore della Carità dei B. Capitanio and Gerosa Suore della Carità di S Thouret Società del Sacro Cuore di Gesù Suore di S. Giuseppe Cottolengo Ursoline dell’Unione Romana Piccole Suore dei Poveri Suore del Beato Salvatore di Miederhroun Figlie della Saggezza Dominicane della Carità di Tours TOTALE

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1942 43,325 8,708

1966 45,048 18,435

1991 28,999 16,915

10,582 9,822 8,154 7,655 6,263 6,618 7,134 5,662

11,980 9,579 8,975 8,795 7,736 6,963 6,284 6,133 5,656

6,227 6,713 5,653 6,598 4,435 4,340 3,282 3,425 3,808

5,604 4,895 3,477

5,198 5,145 5,103

2,613 2,861 5,530

128,129

158,170

106,690


MASCHILI Società di Gesù (SJ) Francescani (OFM) Salesiani Fratelli delle Scuole Cristiane (Lasalle) Capuccini Francescani (OFM Cap) Marist Brothers for Schools Dominicani (OP) Redenzionisti Missionari Oblati di Maria Immacolata (OMI) Lazaristi Società del Verbo Divino (SVD) Padri del Santo Spirito Francescani Conventuali (OFM Conv.) Ordine di S. Agostino (OSA) Passionisti (CP) TOTALE

1942 26,303 24,148 11,702 15,303 13,510

1966 35,919 25,272 22,726 17,787 15,710

1991 23,778 18,738 17,555 8,149 11,699

6,941 6,567 6,352 5,277 5,155 4,955 3,662 2,757 3,099

10,221 9,946 9,052 7,890 6,230 5,748 5,137 4,605 4,504

5,791 6,715 6,135 4,331 3,681 5,729 3,323 4,295 3,105

3,310 139,341

4,340 185,087

2,663 126,687

3. Le nazioni con il piu’ alto numero di religiose 1991 Europa America Asia Africa Oceania

M 27,529 26,505 13,037 2,930 3,179

Italia U.S.A India Zaire Australia

W 109,001 86,761 53,078 2,774 8,372

1966 M 49,598 49,634 7,104 2,622 4,300

W 155,962 162,304 10,571 2,462 12,157

4. Novizi In Europa 1991

In America 1991

Italia Francia

Men 677 177

Women 1,245 U.S.A 677 Canada

Spagna Belgio Olanda

487 48 25

649 Messico 100 Brasile 11 Ontario

424 526 170

1,234 1,251 450

Germania Inghilterra Austria Polonia

160 102 55 719

168 Colombia 67 43 1,071

316

779

Svizzera

30

53

238

Men 553 57

Women 631 57


B. TENTATIVO DI ANALIZZARE LA CRISI Non è facile analizzare una crisi a livello mondiale. Sto comunque cercando alcuni indicatori utili. Scrivo della mia esperienza personale. Difatti, come Superiore Generale dovetti analizzare le richieste di laicizzazione dei sacerdoti e la dispensa dai voti dei Fratelli. Inoltre durante le riunioni di tre giorni dei Superiori Generali celebrate ogni due anni si ebbe modo sia in pubblico che in privato di scambiare le nostre esperienze. Spero di gettare un po’ di luce sulla questione per far si che si possa leggere il passato, il presente, ed in qualche modo prepararsi per il futuro. La storia dovrebbe essere una maestra di vita. Sfortunatamente, la più importante lezione impartita da questa maestra è che pochissimi ricordano e applicano la lezione. 1. Cambiamenti nella società Il mondo religioso fa parte della società e ne è influenzato nel bene e nel male. Le cause dei maggiori cambiamenti che hanno influenzato la società sono i seguenti: a) L’apprezzamento, l’utilità e la novità delle nuove scoperte tecnologiche portarono a una profonda smania di possederli. Ciò generò indifferenza per i valori spirituali e sovrannaturali ritenuti vecchi e superati. Anche durante le feste religiose sembrava si guardasse molto più agli aspetti materiali che a quelli spirituali. b) I cittadini delle nazioni industrializzate possono avere cibo e mezzi di sostentamento dalle loro ricchezze. Non vedono la necessità di pregare Iddio per la pioggia o il sole. Non hanno più bisogno di Dio! c) I genitori che faticavano tanto per guadagnarsi da vivere e avere un posto nella società volevano che i loro figli avessero una vita facile e senza problemi. I figli crebbero volendo solo le cose piacevoli della vita e con la tendenza a esigere tutto quello che vedevano. Così, ancora oggi, essi non vogliono faticare, impegnarsi, sacrificarsi, privarsi di qualcosa, sopportare croci. Tendono ad abbracciare solo quelle fatiche che portano al piacere ed alla soddisfazione. d) L’esplosione dei mezzi di comunicazione ha creato un contesto culturale alquanto confuso che ha scioccato e sciocca la coscienza dei buoni cristiani dei quali molti erano cristiani più per tradizione che per profonda convinzione personale. La televisione più di ogni altra cosa è entrata con prepotenza nelle case, i santuari della società disturbando le coscienze. Il giornalismo commerciale che mira a trarre profitto non nel costruire personalità oneste, ha, fra le altre sue leggi, due che sono lame a doppio taglio: Ø La legge di pubblicare ciò che “fa notizia”, checché ne sia il contenuto. Si potrebbe scegliere fra avvenimenti buoni ed edificanti, e quelli cattivi e poco edificanti. Generalmente si scelgono questi ultimi. L’armonia amorosa che regna fra milioni di famiglie non fa notizia. La moglie che taglia il pene del marito è una notizia mondiale. Le madri che adorano i loro figli non fanno notizia, ma le poche madri che gettano i loro figli nei cassonetti della spazzatura finiscono in televisione. Perciò i giovani perdono il senso di ciò che è buono e ciò che è cattivo. Facili generalizzazioni fanno il resto. Ø La seconda legge o assioma del giornalismo commerciale è che i giornalisti devono scrivere quello che piace alla gente altrimenti le copie non si vendono. In generale alla gente piace leggere notizie come quelle citate sopra. Solo coloro che sono impegnati nel loro lavoro o vocazione sentono rivoltare lo stomaco quando leggono tali notizie. Siccome gli esseri umani sono inclini ad una vita facile, la società entra in una spirale che porta direttamente al declino morale e spirituale. e) I passati regimi dittatoriali in Europa hanno creato una gran sete per i regimi democratici, i quali, per reazione, sono stati spesso incapaci di contenere gli eccessi di individualismo e

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l’abuso della libertà. È necessario dare vita ad un processo globale di democratizzazione delle strutture civili che hanno portato alla consapevolezza dei valori autentici della persona umana, delle sue libertà e dei suoi diritti, ma ha dimenticato di insegnare anche cosa sia il dovere. Come tutte le altre cose meravigliose della storia dell’uomo, questo magnifico nuovo contesto sociale ha portato ad eccessi. Uno è il ritorno al significato di democrazia come definito dalla Rivoluzione Francese, con la proclamazione della ragione umana come Dea Suprema, la sorgente delle leggi del comportamento umano, escludendo Dio e la Sua Chiesa. Così fiorirono l’illuminismo ed il paganesimo. Sono penetrati anche nella vita religiosa. Sfortunatamente la vita comunitaria fu vista solo nel suo aspetto di osservanza regolare e le sue regole solo come coercizione e abnegazione personale. Tutto l’insieme divenne insopportabile ed esplose: migliaia e migliaia di sacerdoti e religiosi/e abbandonarono la vita che avevano abbracciato. Il proclama di uguaglianza di tutti gli esseri umani rappresentato dalla formula “Un uomo un voto”, una esagerata interpretazione della democrazia livellarono anche le necessarie differenze e abolirono tutte le distinzioni sociali. Il principio di autorità fu grandemente danneggiato. Il suo ruolo, se non completamente negato, veniva messo in discussione trovando con difficoltà un suo posto entro la nuova cultura. 2. I Cambiamenti nella Chiesa a. Reazione allo “Spiritualismo” Le tendenze peccaminose e tutto ciò che porta in quella direzione implicano controllo e abnegazione personali come leggiamo per i seguaci di Gesù: “Se qualcuno vuole seguirmi, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua.” (Marco 8:34). I Vescovi del Concilio Vaticano, consapevoli di tale tendenza spiritualistica, cercarono di trovare un equilibrio dando il dovuto valore alle qualità e doni naturali senza sminuire il ruolo dell’ordine sovrannaturale; proclamarono l’integrazione di tutti i valori nell’unicità della persona redenta ed elevata dal Cristo tramite la condivisione nella natura divina (II Pt. 1:4). Questo fatto costituisce il fulcro della così detta svolta antropologica della Chiesa che molti hanno mal interpretato, portando alla ribalta solo i valori umani. I Concilio, tuttavia, sottolineò due cose: Ø La realtà della debolezza umana lasciataci dal peccato originale. Ø La realtà della vita consacrata quando volontariamente ci tratteniamo dall’esercitare alcuni doni naturali come la libertà, il sesso, il possesso di beni, ecc. Alcuni scrittori cattolici, invece di proclamare il raggiunto equilibrio da parte del Concilio, reagirono allo spiritualismo enfatizzando e proclamando la vittoria delle qualità e delle tendenze naturali, dimenticando di dare la dovuta considerazione a quelle sovrannaturali. Molti religiosi e sacerdoti che sentivano il conflitto delle due tendenze, cercarono di trovare una soluzione solo con mezzi umani, in accorgimenti psicologici, l’amicizia e l’esercizio della libertà senza molte restrizioni, spesso considerate repressione della personalità. Questa tendenza spiritualistica era stata nutrita da un certo assolutismo del “Rinneghi se stesso”, suggerito da Gesù, e spesso formalizzato in “Age contra” cioè agisci contrariamente a quanto senti nella tua personalità umano-storica. Vi sono pure dei fondamenti storici nel neoplatonismo che alcune scuole di spiritualità fin dai tempi di Sant’Agostino avevano seguito. Certamente questa tendenza formava ad un serio controllo della volontà però spesso a scapito dei valori umani e specialmente della libertà. Dato che questa tendenza fu esagerata ne sorse una reazione uguale e contraria. Da qui ne venne un rapido declino nella preghiera, la confessione ordinaria, la direzione spirituale, lo spirito di sacrificio e di fede. Da ciò le crisi personali che non trovavano una soluzione adeguata anzi generavano ulteriore confusione e conflitti negli individui e nelle comunità reli-

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giose. Quando c’è di mezzo un dono sovrannaturale come la consacrazione religiosa, il sacerdozio, ecc. l’approccio con mezzi umani è riduttivo e spesso fuorviante. Potrebbe anche favorire la permanenza nella vita religiosa di persone generose ma inette estenamente conformiste ma non qualificate per la missione. Un dono sovrannaturale è nutrito principalmente con mezzi sovrannaturali. “Senza di me non puoi fare niente” dice Gesù. D’altro canto, ricorsi riduttivi al volontarismo spirituale ed ascetico per risolvere le questioni profonde della vita umana potrebbero essere eroiche ma possono anche portare a vivere una vita drammatica ed esistenzialmente sbagliata. La vera radicale soluzione era ed è la totalità della persona che vive nella totalità della consacrazione battesimale e religiosa che è espressione della totalità cristiana. O accettiamo la totalità della consacrazione o viviamo in continuo compromesso. b. Desacralizzazione A seguito della svalutazione dell’ordine spirituale e sovrannaturale, la desacralizzazione ne fu la conseguenza: interessò prima di tutto, gli oggetti, i luoghi, gli abiti sacerdotali e religiosi. La secolarizzazione coinvolse le persone e molte sono arrivate al secolarismo, quella tendenza che di fatto esclude la presenza di Dio nella vita personale e soprattutto nella vita famigliare e sociale. La sacralità dell’ordinazione e della consacrazione religiosa, il sacerdozio ecc. persero il loro significato; molti sacerdoti e religiosi non consideravano la loro vocazione come dono di Dio. Non si ricordavano ciò che aveva proclamato Gesù: “Voi non avere scelto me, io ho scelto voi”. Credevano che la scelta fosse una loro decisione, perciò pensavano di servirsene non come amministratori ma come proprietari. Abbandonarla, quindi, poteva sembrare facilmente realizzabile. Per molti, comunque, questa decisione fu un passo molto sofferto, spesso solo dal punto di vista umano ma che facilmente scusavano, come se questa fosse stata una delle novità del Concilio Vaticano. La svalutazione dell’ordine sovrannaturale influenzò il concetto di peccato, principalmente del peccato individuale e di quelle realtà ad esso connesse come il purgatorio e l’inferno. I peccati sociali vengono visti solo dal punto di vista sociale e non morale. c. Castità consacrata Un bersaglio particolare di questa “svalutazione” furono la verginità consacrata e il celibato. Questi sono spesso presentati come la privazione dei grandi valori umani necessari per la propagazione della specie umana. Una persona, così continua l’ideologia , non è biologicamente e psicologicamente completa senza l’intima compagnia dell’altro sesso. Per adempiere alla loro sessualità come necessario componente della loro personalità, le persone consacrate devono avere un’amicizia intima con l’altro sesso per uno scambio di valori che è proprio a ciascun sesso, così da aiutare la crescita nella perfezione della carità. Molti religiosi e sacerdoti intrapresero questa avventura iniziando con lo scambio di valori spirituali e puramente umani. Ma dall’amicizia, al piacersi, all’affetto, all’amore , la “rispettosa” distanza fra i due sessi veniva spesso ridotta o eliminata. Siccome momenti di crisi e depressione nella vita consacrata non sono rari, prese forma l’idea di un’unione permanente nel matrimonio. Così scrive una vittima di questa ideologia: “È difficile condividere la sofferenza senza espressioni d’amore ed è difficile condividere le sofferenze di un amico intimo dell’altro sesso senza diventare vulnerabile”. Aggiungete a questo il fatto che molti sacerdoti e religiosi erano spiritualmente ed umanamente immaturi. Troppi se ne andarono e altri rimasero vivendo una doppia vita. Se non avessero abbracciato l’ideologia qui esposta, molti, presto o tardi, avrebbero vinto i loro conflitti interiori. Dobbiamo anche ammettere che i metodi protettivi di formazione impedivano ai religiosi di rendersi conto che l’altro sesso poteva avere delle attrattive. Venendo in diretto contatto con le donne, gli uomini scoprirono questo fascino e cedettero.

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Il celibato è un dono, un carisma, non è soltanto una questione di disciplina ecclesiastica. Per questo dono dobbiamo rendere conto a Dio. Il vero problema non è il celibato ma la debole spiritualità poco nutrita dalla preghiera personale e dalla mortificazione. d. Crisi d’identità Un’altra conseguenza del processo di “svalutazione“della realtà sovrannaturale nella vita sacerdotale e religiosa fu la perdita d’identità, che è parte dell’aspetto teologico della nostra vocazione. Chi è un sacerdote, un religioso? Ambedue le vite sono di origine sovrannaturale. Un tenue riferimento all’origine, una tentennante spiegazione delle loro realtà portò molti sacerdoti a vedere il loro operato come una professione; come pure portò molti religiosi principalmente fratelli e suore, ad identificare il loro carisma con il loro servizio, dimenticando il dono della condivisione di un aspetto della vita di Gesù. Perciò membri degli istituti dediti all’insegnamento, alla cura dei malati, o servizi sociali pensarono di poter dare lo stesso servizio senza l’onere della vita comunitaria e la professione dei voti. Alcuni di loro si sono adattati alla nuova vita, ma nella maggior parte sono stati sopraffatti da una vita per la quale non erano preparati. e. La crisi della Fede Il Concilio di Trento nel tentativo di preservare la fede ai tempi della Riforma dette chiare definizioni della Dottrina Cattolica. Il Concilio Vaticano non definì alcun punto nella maniera classica, benché descrivesse e proclamasse la dottrina cattolica. Molti problemi erano aperti ad essere discussi e ad ulteriori ricerche. Si sviluppò un pluralismo teologico all’interno della Chiesa Cattolica, non solo attraverso scuole teologiche diverse, ma anche attraverso dottrine che non erano soltanto contraddittorie di per sé , ma che andavano contro l’insegnamento dei Papi e gli altri organi della Santa Sede. Inoltre, l’equivoco sul reale significato di ecumenismo portò alcuni docenti di Sacra Scrittura e teologia ad introdurre alcuni principi protestanti nell’insegnamento cattolico. Molti giovani sacerdoti, ed anche alcuni dei più anziani, che non avevano approfondito la teologia cattolica ne furono confusi e scelsero criteri soggettivi per interpretare il messaggio del Vangelo. Alcuni rifiutarono l’autorità della Chiesa come istituzione, altri si rifiutarono di credere nelle verità rivelate. f. Crisi di autorità Uno spirito democratico “livellante” sfidò il ruolo dell’ autorità nella Chiesa. Molti sacerdoti e religiosi non sfidarono il ruolo d’autorità di per sé, ma l’autoritarismo di alcuni superiori; il modo in cui esercitavano la loro autorità, la mancanza di dialogo, di attitudine amorevole, di comprensione. La loro sfida era all’autorità come potere e non come servizio. Mentalità che può creare delle ambiguità. g. Il principio dell’autorità civile Alcuni sacerdoti e religiosi avevano un’idea confusa circa la differenza fra l’origine dell’autorità in una società democratica e nella Chiesa. Nella teoria democratica la base dell’autorità risiede nel popolo attraverso libere, giuste e periodiche elezioni. È un procedimento necessario per identificare le persone che sono disposte e capaci di prendersi la responsabilità di dirigere, coordinare e unire tutte le attività del popolo verso il benessere comune. Papa Pio XII disse che un regime democratico in una società civile è un diritto naturale di tutti gli esseri umani ed è decretato dalla ragione umana. Quando asseriamo che l’autorità in una società deriva da Dio, intendiamo dire che: Dio ha creato l’uomo perché viva in una società: ma non esiste società senza autorità. Quindi l’autorità deriva da Dio e secondo l’ordinamento da lui stabilito. È questo nella mente di San Paolo “Che tutte le persone siano soggette ad una autorità superiore. Perciò non c’è autorità se non da Dio. Perciò colui che resiste all’autorità , resiste alla disposizione ordinata da Dio” (Rom. 13 1:2) Vorrei precisare come segue: ciò che viene da Dio è l’ufficio

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dell’autorità e il suo ruolo: la persona di autorità è designata dai membri della società: la sua autorità viene anche da Dio, quando ne osserva i comandamenti. h. L’Autorità nella Chiesa La Chiesa non è una società naturale; la dimensione religiosa è una realtà naturale negli esseri umani, ma non necessariamente nelle forma della Chiesa fondata da Cristo. La Chiesa è un dono gratuito del Signore agli uomini con una consistenza interna che la rende capace di arrivare alla sua giusta meta e di proseguire fino alla fine del mondo. I Cristiani fedeli non sono semplicemente “il popolo” ma il “popolo di Dio” . Il senso di appartenenza al “popolo” è il senso di appartenenza a Dio. Ecco il Concilio Vaticano: “L’origine e la crescita della Chiesa sono simbolizzati dal sangue e l’acqua che sgorgarono dal fianco trafitto di Gesù crocefisso.” (La Chiesa, n.3) “Lo Spirito dimora nella Chiesa. Elargisce su di essa vari doni gerarchici e carismi e in questo modo la guida.” (La Chiesa n.4) L’autorità nella Chiesa non viene dal basso, è un dono dall’alto: noi possiamo decidere di rifiutare questo dono, ma una volta accettato e diventati parte della Chiesa, dobbiamo aderire alla sua consistenza e coerenza interiore.” “Colui che vi ascolta-disse Gesù agli Apostoli- ascolta me, e colui che rifiuta voi, rifiuta me, e colui che rifiuta me, rifiuta Colui che mi ha mandato” (Luca 10: 16). Nel suo addio agli anziani di Ephesus, San Paolo dice loro: “Vegliate su voi stessi e tutto il gregge sul quale lo Spirito Santo vi ha collocati come Vescovi, per guidare la Chiesa di Dio che ha conseguito con il suo stesso sangue”.(Atti 20:28) La sfida per coloro che detengono l’autorità nella Chiesa è l’esercizio del sincero e profondo senso di servizio, è l’utilità per le persone e le istituzioni. i. Le debolezza della formazione religiosa a) Non tutte le crisi dipesero dalla singola persona religiosa. Alcune derivarono direttamente dalla vita comunitaria stessa. La scuola spiritualistica ebbe le sue responsabilità; molte comunità erano ultra-protettive, piuttosto legaliste e formali. Inoltre, alcuni valori spirituali non venivano vissuti “spiritualmente”: un po’ di insincerità nelle relazioni all’interno della comunità, superiori autoritari, la carità troppo debole, la semplice innocente amicizia mal interpretata: più il senso di frustrazione perché le proprie qualità umane non venivano utilizzate e sviluppate. Molti Istituti e molte comunità non percepirono “i segni dei tempi”, anche quelli autentici non si aprirono in tempo alle nuove tendenze. Fintanto che il vecchio sistema non dava alternative, i membri di dette comunità sopportarono con pazienza e sofferenza. Ma quando la società e l’ambiente cambiarono, la situazione non poté più essere accettata. Allora cominciarono ad andarsene. Alcuni sacerdoti religiosi, principalmente nei territori di missione lasciarono la comunità per unirsi alle diocesi negli stessi territori. b) Anche la scelta delle vocazioni era stata lacunosa. La teologia pre-conciliare insegnava che i segni di una vocazione genuina erano due: primo, le necessarie qualità soprannaturali e naturali; secondo, il giudizio dei superiori. La crisi ha invece provato oltre ogni ragionevole dubbio che il segno della vocazione è la personale e libera decisione della persona; presa con rettitudine di intenzione, è una decisione ben motivata ed illuminata dalle esigenze della vocazione e del suo sviluppo. Spesso candidati in possesso di tutte le qualità ma senza coscenziosa rettitudine, motivazione e consapevolezza, venivano incoraggiati a proseguire proprio a causa delle loro buone qualità; erano i direttori spirituali o i superiori che si prendevano la responsabilità della decisione. Molto spesso, per molti sacerdoti e religiosi/e che se ne andarono, il problema non era e non è il perché se ne vanno, ma prima di tutto perché erano diventati sacerdoti o religiosi in quel particolare Istituto. c) La mancanza di preparazione dei formatori: pochi erano coloro che avevano una preparazione specifica a compiere il compito loro assegnato, così i cambiamenti li trovarono privi di

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risorse ed impreparati, essi continuavano a formare nello stesso modo in cui essi stessi erano stati formati senza nulla cambiare, oppure lasciavano che i candidati decidessero sul come educarsi. l. Gli Istituti missionari Alcuni degli aspetti della crisi sopra descritta non influirono sui membri di alcuni Istituti Missionari, per esempio la crisi d’identità. Tuttavia anche questa venne messa in discussione con le seguenti motivazioni: a) La tendenza alla “svalutazione” delle realtà sovrannaturali influirono sullo scopo delle attività missionarie. Per molti missionari l’unico scopo del loro lavoro divenne la promozione umana e l’attività socio-politica. L’evangelizzazione come promozione integrale fu tralasciata: alcuni Capitoli Generali di Istituti missionari che si occupano della promozione umana o della liberazione si dimenticarono della parola “integrale” o “totale”. b) Enfasi sull’ecumenismo, sul dialogo con altre religioni, con l’idea che seguendo la propria religione la salvezza è assicurata. Il compito di annunciare il Vangelo fu minimizzato anche dove era possibile annunciarlo. Questa tendenza portò ad una crisi d’identità per alcuni missionari: la tendenza alla “svalutazione” del messaggio Cristiano ed i suoi contenuti sovrannaturali ne fu in parte colpevole. Naturalmente la salvezza finale dipende, alla fine, solo da Dio, che può servirsi di tutte le religioni , ciò nonostante, il compito di annunciare Gesù Cristo è stato dato a noi “Andate per il mondo e predicate il Vangelo a tutta l’umanità” (Marco. 16: 15) c) La “fine “degli Istituti missionari: l’enfasi sulle Chiese locali ed il loro impegno missionario, di per sé una cosa giusta, portò alcune persone a proclamare la fine degli Istituti Missionari. Le Chiese locali avrebbero preso il posto o il ruolo degli Istituti missionari. Questa tendenza rimase solo una proposta a dispetto di alcuni lodevoli sforzi di un buon numero di diocesi. È, comunque, ancora necessario che gli istituti missionari siano la spina dorsale dell’ impegno missionario. Non possiamo comunque escludere che alcuni missionari della stessa nazionalità dei colonizzatori fossero influenzati dalla fine delle colonie; forse pensavano che la Chiesa in quei paesi non avesse più bisogno dei missionari. Alcune persone proposero una “Moratoria” cioè, che i missionari lasciassero le chiese locali per un po’ di tempo e non mandassero altro personale né aiuto materiale alle missioni per forzare le Chiese locali a diventare autosufficienti . Tale ideologia non è comunque realistica, la questione è se restare o andarsene per sempre. Se i missionari restano, però, devono riconsiderare il loro nuovo ruolo all’interno delle Chiese locali. m. Particolari difficoltà per i Fratelli Negli istituti clericali il ruolo dei Fratelli divenne confuso: avevano spesso crisi d’identità. Alcuni sacerdoti dicevano loro (ma anche alla Suore) che la promozione umana era un obiettivo proprio solo dei laici impegnati. Essi si dovevano dedicare al lavoro pastorale. Troppi si sentivano confusi e spersi perché dovevano abbandonare la professione che conoscevano per iniziare un’attività per la quale non erano preparati. Erano anche frustrati perché per molti il carisma era solo il servizio, non il dono e la sua spiritualità. Alcuni Fratelli optarono per il sacerdozio, altri optarono per la loro professione lasciando l’Istituto, altri ancora si impegnarono a continuare per la loro strada, seguendo la loro genuina vocazione. Anche qui l’idea che laici sposati prendessero il posto dei Fratelli consacrati giocò un ruolo importante nella “svalutazione” del dono sovrannaturale della vita consacrata che d’altronde include la professione dei voti e la vita comunitaria.

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3. La Crisi nel nostro Istituto a. Coloro che si allontanarono Le seguenti statistiche possono in qualche modo spiegare la crisi nel nostro istituto nei 15 anni successivi al Concilio: V.T. 167 81

V.P. 79 26

Totale 246 107

Diff. +194 +104

% 57% 51%

Decessi

Dal 1964-1969 Dal 1970-1974

N.M. 440 213

Dal 1975-1979

187

36

65

101

+86

37%

49

50

Legenda: N.M. = Nuovi Membri T.V. = Voti Temporanei P.V. = Voti Perpetui Così suddivise. 1964 – 1969 1964 1965 1966 1967 1968 1969 Totale

N.M. 69 84 88 77 63 59 440

V.T. 29 38 31 23 26 20 167

V.P. 15 13 16 16 11 8 79

Totale 44 51 47 39 37 28 246

V.P. 12 3 4 2 5 26

Totale 37 21 18 16 15 107

V.P. 12 13 17 9 14 65

Totale 21 17 24 17 22 101

1970 – 1974 1970 1971 1972 1973 1974 Totale

N.M. 71 34 32 38 38 213

V.T. 25 18 14 14 10 81

1975 - 1979 1975 1976 1977 1978 1979 Totale

N.M. 39 38 36 33 29 175

V.T. 9 4 7 8 8 36

Nel decennio 1970- 1979 avemmo una differenza positiva di 65 nuovi membri mentre 99 membri ci avevano lasciato per raggiungere la provincia eterna. Diminuimmo di 34 unità che corrisponde a meno del 2.5%. La percentuale è confrontata solo con i nuovi professi e non tutti i professi da anni.

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b. La risposta alla crisi nel nostro Istituto Una risposta immediata prima del Capitolo Generale fu difficile da trovare perché la Direzione Generale sola non poteva trovare una soluzione globale; era anche difficile identificarne i contenuti. Era chiaro che la crisi aveva radici profonde, non facilmente identificabili da alcuni dei Superiori e formatori. Furono inoltre commessi molti abusi nel nome del Concilio Ecumenico Vaticano Secondo, abusi che impedirono l’applicazione pratica dei cambiamenti introdotti dallo stesso. Il Superiore Generale ed il suo Consiglio rimandarono al Capitolo del 1969 la ricerca di una soluzione globale. Alcune lettere di confratelli spingevano per il ritorno alle sane tradizioni della Congregazione: non erano ben accetti i cambiamenti riguardanti l’osservanza del silenzio, la veste, le letture nel refettorio, l’andare al cinema, l’uso della televisione ed altro ancora. “Se il Capitolo Generale vorrà rimuovere queste regole, va bene”(Lettera di p. Briani, nov. 1966 Boll. N. 80.) Fu fatto ogni sforzo, in un certo senso furono messe delle pezze, specialmente nel campo della formazione dove, a causa di mutamenti nel personale che era alla ricerca di un salvatore, i Noviziati e gli Scolasticati soffrirono gravi perdite. c. Una risposta a lungo termine: il Capitolo Due anni prima del Capitolo, il 10 aprile 1967 (boll.n.8) il Padre Generale distribuì una questionario di 235 quesiti che era stato preparato da un gruppo di Padri che seguivano un corso di aggiornamento. La direzione del gruppo fu affidata a p. Venanzio Milani, allora ventinovenne. In ogni regione doveva essere formata una commissione per studiare e dare le risposte al questionario coinvolgendo tutti i confratelli. Doveva anche essere formata una commissione centrale. Il Capitolo Generale fu indetto il 27 ottobre 1968, da tenersi nel 1969. Questo Capitolo generale ebbe due funzioni: Ø La funzione di un Capitolo ordinario, il decimo della serie. Ø La Funzione di un Capitolo straordinario per il rinnovamento. Il capitolo durò dal 16 maggio al 6 dicembre del 1969 con due pause di riposo (ad agosto) ed una per motivi tecnici, cioè per la preparazione del testo finale di quelli che saranno chiamati “Documenti Capitolari”.

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Capitolo Tredicesimo GLI SVILUPPI NELLA CHIESA CHE INFLUIRONO MAGGIORMENTE SUL NOSTRO ISTITUTO E LE SUE ATTIVITÀ MISSIONARIE (1959-1975)

1. Il Concilio Vaticano Secondo Abbiamo già parlato della crisi, risultato di cattiva interpretazione del Concilio; ciò nonostante i cambiamenti che portò furono positivamente significativi. a) Nelle nostre missioni il Concilio ci aprì all’Ecumenismo e al Dialogo con altre Religioni e con il mondo in generale, alla Inculturazione ed alla nuova Liturgia. Le attività Liturgiche furono le prime ad essere interessate da quest’apertura: le lingue locali furono introdotte in tutte le cerimonie liturgiche e gli strumenti africani cominciarono a risuonare in tutte le Chiese e cappelle. I nostri missionari furono fra i primi ad intraprendere il paziente lavoro di traduzione, senza aspettare che altri lo facessero e ad introdurre l’eccitante musica locale nella Liturgia con l’aiuto della gente locale e i sacerdoti della Diocesi. Nessuno dei nostri musicisti ebbe però la competenza di P. Giorgetti nella musica, gli strumenti e canti africani. I nostri confratelli ebbero il difficile compito di tradurre i testi liturgici in molte lingue locali. Nell’Uganda, in Mozambico, in Sud Africa e in ogni nazione c’erano almeno 6 lingue fra le più importanti da tradurre. Nel Sudan ce ne sarebbero state molte altre b) Le differenze negli aspetti teologici e biblici che caratterizzarono l’era post-Conciliare e che adesso vengono proposte in diverse istituzioni teologiche frequentate dai nostri scolastici, hanno influenzato la metodologia apostolica nelle missioni vis-à-vis gli agenti pastorali locali e i missionari di altri Istituti. Non si stava cercando l’uniformità, serviva però armonia per evitare di confondere e turbare i fedeli i quali tengono in alta considerazione l’immagine esteriore della Chiesa, dei suoi agenti pastorali e le sue istituzioni. Spesso i fedeli dovevano, e devono ancora, affrontare sviluppi nella dottrina e nella liturgia senza nessuna previa spiegazione o catechesi. Troppe cose furono fatte presupponendo che fossero facilmente comprese: un normale Cristiano sa veramente poco della dottrina Cristiana; inoltre, specialmente gli abitanti del mondo preindustriale tendono a pensare che qualsiasi cambiamento esterno sia in effetti indice di un cambiamento fondamentale: la distinzione non è sempre facile da afferrare. c) L’enfasi sulla Chiesa identificata con “Il Popolo di Dio” nell’unità del Padre del Figlio e dello Spirito Santo (Concilio Vaticano, La Chiesa n. 4) ebbe notevoli conseguenze. Il concetto a piramide della Chiesa, normalmente identificato con la Gerarchia e soltanto nei suoi aspetti istituzionali, diventò una Chiesa “sacramento – segno e strumento – di comunione con Dio e di unità fra gli uomini” (Ib.n. 1) La collegialità del Vescovi trovò la sua espressione principale nei Sinodi Ordinari, Speciali e Straordinari, e in altre consultazioni con i diversi dipartimenti della Santa Sede. A livello diocesano o parrocchiale, i relativi consigli acquisirono status giuridico. L’Apostolato Laico non è più la cooperazione dei laici nella missione della Gerarchia, ma l’adempimento delle responsabilità di tutti i battezzati di proclamare e testimoniare Cristo ovunque: essi hanno un diretto mandato da Cristo per adempiere a tale apostolato il battesimo fa sì che un Cristiano condivida il Sacerdozio di Cristo, I di Pietro 2:9. È vero che non tutti i sacerdoti o laici hanno assunto questa mentalità, ma il seme è stato piantato. La profezia di Mosé si sta avverando: “Fossero tutti i profeti nel popolo del Signore e volesse il Signore dare loro il Suo Spirito” (Num.. 11: 29:30) Nel concetto piramidale della Chiesa i sacerdoti, inconsciamente negavano la libertà dello Spirito Santo.

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Oggi, lo Spirito ha acquisito la sua piena libertà e fa miracoli in tutta la Chiesa: movimenti laici, volontari laici, povertà radicale, piccole comunità Cristiane ecc. stanno sorgendo ovunque. Per il successo, la nuova era della Chiesa necessita di nuovi Santi come fu per il periodo dopo il Concilio di Trento. 2. Populorum Progressio Questa Enciclica di Papa Paolo VI che ebbe un forte influsso su tutti i fedeli Cristiani, fu in special modo significativa nel mondo preindustriale e agricolo dove lavorano i missionari: “Lo sviluppo dei popoli, in modo particolare di quelli che lottano per liberarsi dal giogo della fame, della miseria, delle malattie endemiche, dell’ignoranza che cercano una partecipazione più larga ai frutti della civiltà, una più attiva valorizzazione delle loro qualità umane; che si muovono con decisione verso la meta di un loro pieno rigoglio, è oggetto di attenta osservazione da parte della Chiesa.” (n.1) Il Papa ricorda i principi biblici generali e la tradizione Cristiana: “Riempite la terra e assoggettatele”: la Bibbia, fin dalla prima pagina, ci insegna che la creazione intera è per l’uomo, cui è demandato il compito di applicare il suo sforzo intelligente nel valorizzarla e, col suo lavoro, portarla a compimento, per così dire, sottomettendola al suo servizio. Se la terra è fatta per fornire a ciascuno i mezzi della sua sussistenza e gli strumenti del suo progresso, ogni uomo ha dunque il diritto di trovarvi ciò che gli è necessario. Il recente Concilio l’ha ricordato: << Dio ha destinato la terra e tutto ciò che contiene all’uso di tutti gli uomini e di tutti i popoli, dimodoché i beni della creazione devono equamente affluire nelle mani di tutti, secondo la regola della giustizia, che è inseparabile dalla carità>>. Tutti gli altri diritti, di qualunque genere, ivi compresi quelli della proprietà e del libero commercio, sono subordinati ad essa: non devono quindi intralciare, bensì al contrario facilitarne le realizzazione, ed è un dovere sociale grave e urgente restituirli alla loro finalità originaria.” (n. 22-23) Il dovere di condividere ciò che possediamo è universale, l’obbligo di una nazione verso altre nazioni, perché nel mondo moderno il benessere o la povertà di una nazione influisce sull’altra con un incatenamento imprevedibile: “Questo dovere riguarda in primo luogo i più favoriti. I loro obblighi sono radicati nella fraternità umana e soprannaturale e si presentano sotto un triplice aspetto: dovere di solidarietà: cioè l’aiuto che le nazioni ricche devono prestare ai paesi in via di sviluppo; dovere di giustizia sociale: cioè il ricomponimento in termini più corretti delle relazioni commerciali difettose tra popoli forti e popoli deboli; dovere di carità universale: cioè la promozione di un mondo più umano per tutti, un mondo nel quale tutti abbiamo qualcosa da dare e da ricevere, senza che il progresso degli uni costituisca un ostacolo allo sviluppo degli altri. Il problema è grave, perché dalla sua soluzione dipende l’avvenire della civiltà mondiale.” (n. 44) Tale obbligo è un obbligo della coscienza: “Che ognuno faccia un esame della sua coscienza, una coscienza che dia un nuovo messaggio per i giorni nostri.” (n. 4) Nel commentare questo brano per il 20° anniversario (1988) dell’Enciclica , Papa Giovanni Paolo II scrive: “In tal quadro, la novità dell’Enciclica non consiste tanto nell’affermazione di carattere storico , circa l’universalità della questione sociale, quanto nella valutazione morale di questa realtà. Perciò i responsabili della cosa pubblica, i cittadini dei paesi ricchi personalmente considerati, specie se cristiani, hanno l’obbligo morale – secondo il ri-

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spettivo grado di responsabilità – di tenere in considerazione, nelle decisioni personali e di governo, questo rapporto di universalità, questa interdipendenza che sussiste tra i loro comportamenti e la miseria e il sottosviluppo di tanti milioni di uomini. Con maggior precisione l’Enciclica Paolina traduce l’obbligo morale come < Dovere di solidarietà>, ed una tale affermazione, anche se nel mondo molte situazioni sono cambiate, ha oggi la stessa forza e validità di quando fu scritta.” (Solicitudo Rei Socialis, n.9) Tuttavia Papa Paolo sente la necessità di definire il significato di Sviluppo: “Lo sviluppo non si riduce alla semplice crescita economica. Per essere autentico sviluppo, deve essere integrale, il che vuol dire volto alla promozione di ogni uomo e di tutto l’uomo. Com’è stato giustamente sottolineato da un eminente esperto: “noi non accettiamo di separare l’economico dall’umano, lo sviluppo, dalla civiltà dove si inserisce. Ciò che conta per noi è l’uomo, ogni uomo, ogni gruppo di uomini, fino a comprendere l’umanità tutta intera.” (n.4) Papa Paolo avrebbe proseguito su questo concetto di Sviluppo nella sua Lettera Apostolica Evangelii Nuntiandi, dove proclama lo scopo dell’Evangelizzazione come “Lo sviluppo integrale della persona umana”. Se obbedendo al Populorum Progressio o sfidati da altri sani principi, molti confratelli - inclusi coloro che dirigevano le nostre riviste – hanno lavorato nello spirito dell’Enciclica, lo hanno fatto a volte senza aver le idee ben chiare e senza ponderare bene i loro giudizi.. 3. Conferenza Generale dei Vescovi dell’America Latina di Medellin (Colombia 1968) Se è difficile valutare l’impatto della Populorum Progressio nel mondo, è facile , d’altro canto valutare l’impatto di Medellin nella Chiesa Latino-Americana. Fu una svolta storica: i cambiamenti del Concilio Ecumenico e le indicazioni di Poplulorum Progressio furono applicati concretamente. I documenti e le Direttive date alla Chiesa Universale dal Concilio, i Sinodi dei vescovi, le Encicliche, le Lettere pastorali dei Papi, per loro natura contengono principi generali , e spesso con terminologia difficile da comprendere come alcuni documenti di Papa Giovanni Paolo II. Essi sono, tuttavia, diretti specificatamente ai Vescovi ed i sacerdoti. È compito loro interpretare il loro contenuto e renderlo praticamente concreto. Questo fu il successo di Medellin. In un momento di odio contro le strutture, i Vescovi Latino-Americani riconobbero la loro importanza: e non le distrussero, le resero, invece, visibili a tutti: “Le Piccole Comunità Cristiane”. Ciò facendo Medellin unì i tradizionalisti e i progressisti: quei tradizionalisti che sono aperti ai segni dei tempi” e quei progressisti che sono aperti ai valori permanenti del Vangelo e della tradizione, cioè, dell’esperienza vissuta attraverso i secoli dalla Chiesa. La Conferenza di Puebla (n. 1134) ammise che c’erano state delle cattive interpretazioni , e conseguenti deviazioni dello spirito di Medellin: questo accadde perché alcuni membri della Chiesa non furono in grado di bilanciare in modo adeguato la tradizione ed il progresso. Ci furono interpretazioni individualistiche dei “segni dei tempi” che erano solamente gradite ad alcuni religiosi e sacerdoti. I seguenti punti basilari sono i principi carismatici di Medellin che sono, a loro volta, applicazioni pratiche del Concilio Vaticano Secondo: Ø Opzione preferenziale per e solidarietà con i poveri Ø I Vescovi, i sacerdoti ed i religiosi devono testimoniare la povertà evangelica e diventare la voce di coloro che voce non hanno. Ø La Chiesa come popolo di Dio è soprattutto una comunione con Dio e con tutti gli uomini: la fede, quindi, non deve essere vissuta in modo individualistico ma in comunione con tutte le persone che devono dare la priorità all’ ”essere “non all’ ”avere”.

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Ø La Chiesa è un servizio ed un sacramento e trova la sua forza nello spirito della collegialità, il principio di sussidiarietà o divisione del potere. 4. Primo incontro del Simposio delle Conferenze Episcopali dell’Africa e del Madagascar (SCEAM-SECAM) 1969 Nell’occasione del pellegrinaggio in Africa di Papa Paolo VI, i Vescovi dell’Africa e del Madagascar si riunirono a Kampala per tre giorni alla fine di luglio 1969. Fu durante quest’incontro che Papa Paolo VI formulò lo spirito di “Maximum Illud” di Benedetto XV: “Adesso, voi africani siete ormai missionari di voi stessi, in altre parole, voi africani dovete continuare la costruzione della Chiesa su questo continente.” Presenti al Simposio erano sei cardinali africani: L. Rugumbwa, (Tanzania) P. Zoungrana, (Bourkina Fasso) J. Malula, (Congo) L.E. Duval, (Algeria) A. Siderous, (Egitto) Mc. Cann (Sud Africa); i presidenti delle Conferenze Episcopali dell’Africa e l’Arcivescovo Pignedoli di Propaganda Fide. Il Papa esortò tutti a lavorare per l’inculturazione per dare al Vangelo un volto africano. 5. Sinodo dei Vescovi Durante il Concilio Vaticano, nella Costituzione di Lumen Gentium n. 22 ed il Decreto Christus Dominus sull’ufficio pastorale del Vescovi n. 4-6, la collegialità dei Vescovi assieme al Papa e fra di loro sottolinearono : “L’ordine dei Vescovi è il successore nel collegio degli Apostoli nel loro ruolo d’insegnanti e pastori ed in esso il Collegio Apostolico viene trasmesso assieme al loro superiore, il Pontefice Supremo.”(Christus Dominus n. 4) Fu lanciata l’idea che tale collegialità non fosse esercitata soltanto nell’ambito del Concilio Ecumenico, ma , nascesse , invece, in un Concilio “che avrà il nome speciale di Sinodo dei Vescovi”. I dettagli verranno indicati dal Pontefice Romano. Il 9 settembre 1965, Papa Paolo VI dette le norme per il Sinodo nella sua lettera apostolica Motu Proprio , Apostolica Sollicitudo. Essa Stabiliva tre differenti tipi di Sinodi: Ø L’Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo: composta da vescovi ex officio e Delegati eletti dalle relative Conferenze Episcopali Ø L’assemblea Generale Straordinaria dei Vescovi : composta da vescovi ex officio e dai presidenti delle Conferenze Episcopali. Ø L’Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi: composta da membri ex officio e delegati di particolari regioni della Chiesa. Per esempio, l’Assemblea del Sinodo per l’Africa. (1994) Il primo Sinodo ordinario “Su opinioni pericolose e l’ ateismo” fu convocato nel 1967; il secondo sul tema “La Giustizia nel mondo” nel 1971, il terzo sul tema “L’Evangelizzazione nel Mondo” nel 1974 e dall’ora ogni tre anni. Tutti i Sinodi sono di grande importanza per tutti i membri della Chiesa però il secondo ed il terzo hanno un particolare significato per i nostri missionari. a. Il Sinodo sulla “Giustizia nel Mondo “(1971) Questo Sinodo identificava il ruolo della Chiesa nel proclamare le opere della Giustizia e nel denunciarne le ingiustizie. Due punti sono importanti: Primo: La necessità di Giustizia all’interno della Chiesa “Mentre è dovere della Chiesa testimoniare la giustizia, essa riconosce che chiunque si avventuri a parlare di giustizia alla gente deve, innanzi tutto essere visto come giusto.

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Dobbiamo quindi esaminare i comportamenti relativi alle proprietà e lo stile di vita presenti nella stessa Chiesa. I diritti devono essere preservati all’interno della Chiesa. Nessuno dovrebbe essere privato dei suoi diritti ordinari perché è associato alla Chiesa in un modo o nell’altro. Coloro che servono la chiesa con il loro lavoro, inclusi sacerdoti e religiosi dovrebbero ricevere un compenso sufficiente e godere della previdenza sociale vigente nella loro regione. I laici dovrebbero ricevere uno stipendio equo ed avere un sistema di avanzamento di carriera. Ribadiamo che i laici devono esercitare funzioni più importanti e relative alle proprietà della Chiesa e devono condividerne l’amministrazione.” Questa sembra esser la prima volta che tale affermazione venga inclusa in un documento pubblico – la Chiesa che si auto-accusa . Questo è molto importante per noi missionari: è vero che viviamo di carità, ma non possiamo aspettarci che i nostri collaboratori lavorino per carità. Una riflessione sui salari è sempre necessaria nei cambiamenti che avvengono nei paesi del terzo Mondo: ci battiamo per uno stipendio equo tenendo in mente per quanto possibile il sostentamento della famiglia; questo fa parte dell’insegnamento Sociale Cattolico. Secondo: il diritto della Chiesa di proclamare la giustizia “La Chiesa ha ricevuto da Cristo la missione di predicare il messaggio del Vangelo, che contiene il richiamo all’uomo di allontanarsi dal peccato ed avvicinarsi all’amore del Padre, alla fratellanza universale e di conseguenza alla richiesta di giustizia nel mondo. Questa è la ragione per cui la Chiesa ha il diritto, di più, il dovere, di proclamare la giustizia a livello sociale, nazionale, e internazionale, denunciare le ingiustizie quando i diritti fondamentali dell’uomo e la sua stessa salvezza lo richiedono. La Chiesa, ovviamente non è la sola responsabile della giustizia nel mondo; essa , tuttavia, ha una specifica responsabilità che si identifica con la sua missione di dare testimonianza dinanzi al mondo, della necessità d’amore e di giustizia contenuti nel messaggio del Vangelo. Di per sè non spetterebbe alla Chiesa - in quanto essa è una comunità religiosa e gerarchica - offrire soluzioni concrete per la giustizia nel mondo nelle sfere sociali, economiche e politiche. La sua missione riguarda difendere e promuovere la dignità e i diritti fondamentali della persona umana.” b. Il Sinodo sull’Evangelizzazione (1974) Il terzo Sinodo del Vescovi si occupò delle “Evangelizzazione nel mondo moderno”. Questo incontro cambiò le procedure del Sinodo. Difatti, i due Sinodi precedenti pubblicarono essi stessi il testo completo, i risultati delle loro discussioni e le decisioni prese. Quando i due segretari del Sinodo presentarono la loro bozza per l’approvazione il Sinodo ne rifiutò la metà. Era il giorno prima della chiusura, che cosa si poteva fare? Il defunto Cardinale Marty, Arcivescovo di Parigi e il Cardinale Suenens , Arcivescovo di Mechelen- Bruxelles , suggerirono ai Padri presenti al Sinodo di dare tutto il materiale al Papa e, il Sinodo avrebbe pubblicato un “Messaggio”. Al seguente Sinodo del 1977, sulla “Catechesi” i Vescovi erano rimasti così contenti della esortazione Apostolica “Evangelii Nuntiandi” che con larga maggioranza proposero di seguire la stessa procedura e di passare al Papa le loro “Proposizioni” e “Risoluzioni “approvate durante l’ultima sessione. Da questo materiale il Papa avrebbe potuto preparare e pubblicare la lettera connessa. CONTENUTI: l’Esortazione Apostolica di Papa Paolo VI fu molto apprezzata per il suo contenuto chiaro ed esaustivo ed il suo stile semplice, segni di una mente matura e saggia.

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Descrizione (non definizione) di Evangelizzazione Proclamazione e attività pastorali. “Nelle attività di evangelizzazione della Chiesa ci sono, naturalmente, certi elementi ed aspetti sui quali si deve insistere. Alcuni di essi sono talmente importanti che ci sarà semplicemente la tendenza ad identificarli con l’evangelizzazione nel senso di proclamare Cristo a coloro che non lo conoscono, di predicare, di catechizzare, di conferire il battesimo e gli altri Sacramenti,” (n.17) Fondare una Chiesa Vivente. “Nella sua totalità, l’evangelizzazione – oltre a predicare il messaggio – consiste nel fondare la Chiesa, che non esiste senza la forza trainante che è la vita sacramentale che culmina nell’eucarestia.” (n. 20) Riguardante la vita nel suo insieme. “Ma l’evangelizzazione non sarebbe completa se non considerasse l’incessante interscambio del Vangelo con la vita concreta dell’uomo, sia personale sia sociale. Questa è la ragione per cui l’evangelizzazione implica un messaggio esplicito, adattabile a situazioni differenti che si realizzano costantemente, che riguardano i diritti e i doveri di ogni essere umano, circa la vita familiare, senza la quale la crescita personale e lo sviluppo sono praticamente impossibili, circa la vita sociale, circa la vita internazionale, la pace, la giustizia, e lo sviluppo.” (n. 29) Necessariamente legata alla promozione umana. “Fra l’evangelizzazione e la promozione umana - sviluppo e liberazione, - ci sono difatti profondi collegamenti. Questi includono: Ø un ordine antropologico, in quanto l’uomo che sarà evangelizzato non è un essere astratto ma soggetto a stimoli sociali ed economici . Ø L’ordine teologico, in quanto non si può dissociare il piano della creazione dal piano della redenzione. Quest’ultimo riguarda le concrete situazioni di ingiustizia che devono essere combattute e della giustizia che deve essere restaurata. Ø L’ordine eminentemente evangelico, che è quello della carità. Come si potrebbe proclamare il nuovo comandamento senza promuovere la giustizia e la pace, il vero autentico progresso dell’uomo? (n. 31) Un messaggio di liberazione. “È risaputo in quali termini i Vescovi provenienti da tutti i continenti ne parlarono all’ultimo Sinodo (1971) specialmente i vescovi del Terzo Mondo, con un accento pastorale risonante della voci dei milioni di figli e figlie della Chiesa che compongono quei popoli. Popoli come ben sappiamo, che hanno intrapreso con tutte le loro energie la lotta per sconfiggere tutto ciò che li condanna a restare ai margini della vita: carestie, malattie croniche, analfabetismo, povertà, ingiustizie nelle relazioni internazionali specialmente negli scambi commerciali, situazioni di neo-colonialismo economico e culturale, a volte altrettanto crudele del vecchio colonialismo politico. La Chiesa, come hanno ribadito i Vescovi, ha il dovere di proclamare la liberazione di milioni di esseri umani, molti dei quali sono i suoi stessi figli, il dovere di assistere alla nascita di questa liberazione, di testimoniare e assicurarsi che questo sia fatto. Questo non è estraneo all’evangelizzazione.” (n. 30) Senza riduzioni o ambiguità. “Qualsiasi definizione parziale o frammentaria che cerchi di rendere la realtà dell’evangelizzazione in tutta la sua ricchezza, complessità e dinamismo lo fa solo con il rischio di impoverirla nonché distorcerla. È impossibile afferrare il concetto di evangelizzazione a meno che si tenti di tenere a mente tutti i suoi elementi essenziali.” (n. 7) “Non possiamo ignorare il fatto che molti, anche quei Cristiani generosi che capiscono le drammatiche questioni che comportano il problema della liberazione, nel loro desiderio di impegnare la Chiesa nello sforzo per la liberazione, sono di frequente tentati a ridurre la sua missione alle semplici dimensioni di un progetto temporale. Ridurrebbero i suoi scopi ad uno scopo unicamente accentrato sull’uomo, della cui salvezza essa è il messaggero, ridotto unicamente ad un benessere materiale. La Sua attività, dimentica di tutte le preoccupazioni spirituali e religiose, diverrebbe simili ad iniziative di ordine politico o sociale. Ma se questo si avverasse, la

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Chiesa perderebbe il suo significato fondamentale. Il suo messaggio di Liberazione non avrebbe più nessuna originalità e sarebbe facilmente aperta a manipolazioni e monopolizzazioni da parte di sistemi ideologici e partiti politici. Essa non avrebbe più nessuna autorità per proclamare la libertà nel nome di Dio. Questa è la ragione per cui, abbiamo desiderato enfatizzare nello stesso discorso dell’apertura del Sinodo, “La necessità di esprimere chiaramente la finalità squisitamente religiosa della evangelizzazione. Essa non avrebbe ragione di esistere se dovesse distaccarsi dall’asse religiosa che la guida: il Regno di Dio innanzi tutto, nel suo significato integralmente teologico …” (n. 32) Dopo aver ben spiegato il significato dell’evangelizzazione il Papa ne descrive i contenuti come: Ø L’evangelizzazione delle culture. Ø La primaria importanza della testimonianza della vita. Ø La necessità di una proclamazione esplicita. Ø Il fulcro del messaggio: la salvezza in Gesù Cristo. Ø Un concetto evangelico dell’uomo implica una necessaria conversione del cuore e di attenzione da parte di tutti a partire dai leader. Ø L ’esclusione della violenza. Ø Un importante affermazione: “La chiesa è evangelizzatrice, ma essa stessa deve essere evangelizzata.” (n. 15)

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Capitolo Quattordicesimo IL DECIMO CAPITOLO GENERALE 1969

A. UN CAPITOLO “ORDINARIO” Il capitolo del 1969 fu un Capitolo Ordinario nel senso che doveva essere celebrato secondo la nostra Costituzione. Ci possiamo chiedere , però, perché ebbe luogo dopo 10 anni invece dei 6 com’era consueto sin dal Capitolo del 1919. La ragione fu che il Capitolo del 1953 aveva chiesto dei cambiamenti nella Costituzione. La commissione istituita dal Capitolo aveva fatto delle proposte, fra le quali quelle che il Consiglio Generale durasse 10 anni. Nelle risoluzioni del Capitolo del 1959 si legge che si doveva istituire una commissione nel 1964 per lavorare sulla Costituzione da sottoporre al Capitolo del 1969. Come questo cambiamento importante fu approvato ed introdotto non è tra le decisioni del Capitolo del 1959, come pubblicate sul Bollettino n. 71. Ci furono indebite interferenze ad alto livello. B. UN CAPITOLO “SPECIALE “ Il Concilio Vaticano Secondo aveva chiesto a tutti gli Istituti Religiosi di rivedere le loro regole e il loro stile di vita per venire incontro alle necessità della società moderna e dei nuovi sviluppi nella Chiesa (cf. “Perfectae Caritatis”, n. 2) . A questo scopo il Concilio dette una semplice ma basilare direttiva: “Il rinnovo ed aggiornamento della vita religiosa comprende sia un costante ritorno alla sorgente dell’intera vita Cristiana sia all’ispirazione primitiva degli Istituti, sia al loro adattamento alle mutate condizioni dei nostri tempi.” Papa Paolo VI pubblica delle norme che implementino questa direttiva in Motu Proprio “Ecclesiae Sanctae” alcune delle quali citiamo: 1. In ogni Istituto per poter attuare il rinnovo e l’adattamento, deve essere convocato un Capitolo Generale Speciale entro due, o al massimo tre anni dalla data del Motu Proprio. Questo può essere il Capitolo Generale ordinario o uno straordinario. Questo capitolo può essere diviso in due sessioni separate sempre che non passi più di un anno fra una sessione e l’altra e sempre che il Capitolo stesso abbia così deciso con voto segreto. 2. In preparazione a questo Capitolo, il Consiglio Generale deve predisporre, nel modo che ritiene più opportuno, che avvengano ampie e libere consultazioni della materia. Il risultato di questa consultazione dovrà essere reso disponibile in tempo per poter guidare ed assistere il lavoro del Capitolo. La consultazione potrà avere luogo a livello di capitoli conventuali provinciali, tramite apposite commissioni, tramite questionari ecc. 3. Le leggi generali di ogni Istituto (Costituzioni, Regole o qualsiasi altro nome venga loro dato) devono, in linea di massima contenere i seguenti elementi: Ø I principi evangelici e teologici riguardanti la vita religiosa e il loro inserimento nella Chiesa, nonché un’equa e accurata formulazione nella quale “Lo spirito e lo scopo del Fondatore devono essere chiaramente riconoscibili e fedelmente preservati, come dovrebbero essere anche per le corrette tradizioni dell’Istituto “PC n. 2b) Ø Le norme giuridiche necessarie per definire il carattere, lo scopo e mezzi utilizzati dall’Istituto. Tali norme non devono essere inutilmente moltiplicate, devono, anzi, essere chiaramente formulate.

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4. È opportuno avere una combinazione di ambedue gli elementi, giuridici e spirituali, così da assicurare che i principi basilari di ciascun istituto abbiano un fondamento solido per essere colmato da uno spirito autentico e una legge che è vitale. Si deve fare attenzione di non produrre un testo che sia meramente giuridico o soltanto esortativo . 5. Si deve escludere dal testo fondamentale delle regole (costituzioni) qualsiasi cosa che sia oggi superato, o che possa facilmente cambiare con il passare del tempo, o che sia applicabile solo a livello locale. Le norme che sono attinenti alla vita di ogni giorno o alle condizioni fisiche o psicologiche o situazioni soggettive dei membri della comunità, devono rientrare in altri specifici testi come quelli concernenti i direttori, libri di tradizioni varie, o documenti simili, qualsiasi nome venga loro dato. Sia i nostri Superiori nel preparare e convocare il Capitolo, sia lo stesso Capitolo cercarono, per quanto poterono , di attenersi alle direttive sopra esposte con grande vantaggio dell’Istituto come si potrà vedere dai “Documenti Capitolari “del 1969. C. PRINCIPALI CAMBIAMENTI E INNOVAZIONI DEL CAPITOLO 1. La composizione del capitolo I membri de Capitolo erano 67. Allora i membri dell’istituto erano 1534: 983 sacerdoti, 330 fratelli, 221 scolastici. Fra i membri del Capitolo abbiamo, per la prima volta, quattro Fratelli. Ø Invitati due osservatori MFSC Ø Altri osservatori appartenenti a gruppi etnici : Spagna, Portogallo, Sudan e di lingua inglese. Ø Fu preparato un regolamento di procedura Ø L’assemblea elesse un segretario organizzativo e tre moderatori che si alternavano. 2. La personalità ed il carisma del Comboni Per la prima volta la personalità ed il carisma del Comboni vengono studiati e proposti come modello ed ispirazione (DC p. 42 e seg.) 3. L’identità del Fratello Missionario Comboniano L’identità dei Fratelli fu ampiamente sviluppata. Innanzi tutto, l’identità basilare di tutti i missionari Comboniani è il modo radicale di vivere il Battesimo. Questo è espresso nella formale e speciale consacrazione della professione religiosa, i voti di povertà, castità, obbedienza all’interno della vita comunitaria secondo la costituzione e il direttorio dei missionari Comboniani. Entro i termini di questa identità , i sacerdoti hanno il loro campo d’azione ed i fratelli il loro. Però, come Cristiani, ci si aspetta che ambedue lavorino per la promozione integrale della persona; l’evangelizzazione come testimone della Resurrezione di Cristo e la proclamazione del suo messaggio sono un impegno Cristiano. La professione dei Fratelli è molteplice, sempre ché si attenga alle necessità dell’Istituto e dei missionari. La porta è aperta a coloro che aspirano a diventare sacerdoti e o Superiori . L’Istituto è ancora clericale, tuttavia si può chiedere il permesso alla Santa Sede perché un fratello possa essere nominato Superiore. Il permesso può essere accordato secondo lo specifico carattere della comunità come per esempio, un istituto tecnico, un Postulato o un Centro Internazionale per Fratelli.

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4. La vita comunitaria La vita comune è vissuta come la vita di una famiglia che trova nel consiglio di comunità la possibilità di amministrarsi e di migliorare attraverso un programma di formazione permanente. Ø Si desidera che la vita comunitaria diventi sempre più vita apostolica, con progetti comuni che siano il segno e la causa della presenza di Cristo nella comunità. Ø La corrispondenza personale deve essere privata e ci deve essere una più ampia apertura alla ospitalità, tenendo presente in particolar modo l’animazione missionaria. (DC pag. 91-111) 5. La preghiera sia liturgica che ecclesiale Ø Atti giornalieri rimangono soltanto la Santa Messa ed un altro atto che sceglierà la comunità, preferibilmente tratto dalla liturgia delle ore. Ø La Preghiera individuale almeno un’ora al giorno e mezz’ora di lettura spirituale (DC pag. 118-141) Prima del Capitolo l’ora di preghiera era in comune secondo l’orario prestabilito. Con il Capitolo rimane l’obbligo dell’ora di preghiera, ma a ciascuno si lascia scegliere il tempo più opportuno. Questa decisione fu uno dei punti più discussi con preoccupazione; difatti dal 1969 al 1979 soltanto il 20% dei membri , principalmente i Fratelli la praticarono. La ragione era la mancanza di formazione e abitudine a questo nuovo metodo. 6. I Voti furono presentati alla luce del Concilio A. LA CASTITÀ vista come un profondo e immediato dono d’amore verso Dio e i fratelli, più che una rinuncia personale . Da qui, scaturisce la rinuncia a chiudersi nell’amore per una sola persona (DC pag. 146–162) e alle espressioni biologiche della sessualità del singolo missionario. B. OBBEDIENZA, oltre ad essere l’accettazione dell’autorità essa è presentata come una condivisione nell’obbedienza di Cristo e della sua Chiesa al Padre. L’obbedienza è dovuta al Superiore nell’esercizio del dialogo; il religioso l’accetta nella convinzione di essere corresponsabile nel progetto di Cristo per quanto concerne la sua Chiesa e nel progetto dell’Istituto. L’esercizio dell’autorità deve prendere in considerazione possibili contestazioni anticonformiste e critiche (specialmente allora) , oltre ad un profondo senso di libertà ed i sentimenti dei giovani riguardanti la responsabilità personale, (DC 163-195) in altre parole l’obbedienza deve essere responsabilizzata da parte di chi la dà e di chi la riceve. C. POVERTÀ essa viene presentata come povertà apostolica piuttosto che come rinuncia o l’essere nulla tenente; cioè , uno stile di vita che appare povero agli occhi del mondo moderno. L’apostolo non rinuncia alle necessità della vita né ai mezzi moderni, li considera, tuttavia insufficienti e sproporzionati al piano salvifico di Dio. È percepita come una vera e propria povertà personale che non si giustifica delle comodità fornite dalla comunità e dei permessi concessi dal Superiore. Non deve essere interpretata solo come legalismo, ma come gesto di solidarietà verso la comunità. Il religioso riceve una somma di danaro, determinata dal Consiglio di comunità al quale deve rendere conto. (DC pag. 119-216) 7. Attività missionaria (DC Pag. 228-330) a. Viene riaffermata la validità degli Istituti missionari con le seguenti affermazioni: Ø Gli istituti missionari non esprimono in un modo esclusivo la missionarietà delle Chiese dalle quali provengono.

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Ø Nell’esercizio dell’apostolato nelle Chiese locali, il missionario fa emergere il senso di incarnazione e di servizio. Lo Jus commissionis deve cessare, e al suo posto ci sono contratti fra gli Istituti e le Diocesi. Ø I missionari devono assumere i compiti di prima evangelizzazione dei popoli e di certe categorie (per esempio, i pigmei africani, gli Indio nell’America Latina ecc.). b. Vengono chiariti gli elementi di dinamismo missionario Ø Testimoniare, annunciare, la formazione di comunità Cristiane. Ø Il Fratello è invitato a condividere appieno questa dinamica: ciò tuttavia porterà in seguito, a problemi inerenti alla missione ed il ruolo del Fratello nell’Istituto. c. Campi di lavoro e la loro scelta Ø Come campo di lavoro, Comboni scelse l’Africa allora considerata la zona dei popoli “più poveri e più abbandonati”. Ø Questo criterio ed il criterio di prima evangelizzazione indica le linee di una revisione da attuare ad ogni Capitolo per quanto riguarda il nostro impegno missionario. Ø Per ragioni storiche il nostro Istituto mantiene il suo impegno in Africa. Ø Prima di accettare nuovi campi missionari non previsti dal presente programma, si devono consultare tutti i membri dell’Istituto e si tenga conto delle loro eventuali osservazioni. Ø La possibilità di una opzione iniziale per un campo di lavoro va data ai nostri missionari e le preferenze individuali siano prese in considerazione quando si fanno le destinazioni. d. Animazione missionaria Ø Viene chiarito che è anche nostro dovere far sì che il popolo di Dio in patria sia consapevole della responsabilità che ha verso le missioni. La coscienza di questa responsabilità è espressa, dando appoggio morale, spirituale, finanziario ma principalmente nel recarsi nelle missioni. Questa animazione è da promuoversi con personale selezionato nei vari centri d’animazione; ma ogni missionario Comboniano, inclusi i Fratelli, ed ogni comunità deve sentirsi corresponsabile di iniziare e gestire attività di animazione. Ø Si insiste sul fatto che i nostri missionari siano specializzati secondo le necessità della missione. Ø Le comunità nelle missioni siano internazionali. In tali comunità miste ciascuno deve sforzarsi di non creare difficoltà ai confratelli provenienti da culture diverse. 8. La formazione Missionaria Comboniana (DC, pag. 333- 456) Ø Da un canto la formazione sia positiva, mirando a maturare, e sviluppare la dignità umana ed i doni personali, a far sì che il giovane utilizzi la sua libertà in modo equilibrato attraverso contenuti autentici liberamente assunti. Ø Dall’altro canto, è necessaria una metodologia che miri all’accettazione matura e cristiana del sacrificio, delle contraddizioni, della negazione di se stesso assieme alla condivisione gioiosa del ministero pastorale. Ø La vita, le direttive ed il carisma date dal Comboni per la formazione dei suoi missionari devono permeare la formazione data ai formatori e da loro ai candidati per la ricerca di una “identità Comboniana”. Ø La consacrazione religiosa sia presentata come dono di Dio e interamente inserita nella formazione missionaria. Ø Si desidera un sano equilibrio incontatto con la società che circonda, specialmente con la propria famiglia, con i giovani della stesa età, con la chiesa locale ed altri Istituti missionari.

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Si auspica una formazione che prepari il candidato all’apostolato tipicamente comboniano nella Chiesa contemporanea e nel mondo. Ø Ai livelli più alti della formazione, i giovani candidati siano aiutati a fare esperienze pastorali e missionarie. Anche il modo di passare le vacanze in montagna sia riveduto, di modo che il soggiorno possa essere piacevolmente vissuto in comune e sia un’esperienza positiva per la formazione. Ø La carta della comunità sia annuale che quotidiana, ove possibile, sia formulata con la partecipazione dei giovai studenti con i quali i formatori formino una sola comunità per favorire e aprire un dialogo di reciproca fiducia. Ø I formatori siano preparati tecnicamente, abbiano fatto una esperienza missionaria e siano disposti a lavorare in gruppo C’è una distinzione fra il Superiore ed il Padre Spirituale nello scolasticato e seminari minori, anche se lo scolastico può scegliere il padre spirituale informando il Superiore della sua scelta. 9. Fasi e strutture della formazione a. Seminari Minori È confermata la validità del semimari minori. I formatori che vi operano sottolineino la formazione integrale, umana e cristiana. L’aspetto vocazionale sia incluso come orientamento specifico verso una progressiva maturità. b. Il Postulato Vengono approvate le fasi e le strutture del postulato. La Direzione Generale deciderà se introdurre o meno il periodo di postulato dove ancora non esiste. Il Postulato prepari il candidato ad entrare nel noviziato con un grado di maturità adeguato, sia umano che spirituale che possa permettergli di rispondere alla chiamata di Dio con maturità e responsabilità tali da abbracciare l’Istituto e le sue attività apostoliche. Deve dimostrare la sua abilità a camminare verso il suo ideale. Ø Il postulato viene esteso a due o tre anni, affinché gli studenti possano completare il loro corso di filosofia, e affinché i Fratelli possano acquisire una qualifica professionale equivalente. c. Il Noviziato Ø Il giovane entra in noviziato già deciso a diventare un missionario Comboniano, egli si commisura con le necessità della vita religiosa nel modo in cui essa è vissuta dai Missionari Comboniani. Ø Il Maestro dei Novizi non sarà più l’unico responsabile, egli sarà,da adesso, coadiuvato da un équipe di formazione, i membri del quale vivono assieme ai novizi ed hanno precise responsabilità all’interno del noviziato. Ø I noviziati saranno ristrutturati in modo tale da comprendere anche un periodo di esperienze formative relative alle attività e modus vivendi tipico di un Missionario Comboniano. d. Scolasticato teologico Ø Tutti gli scolasticati siano internazionali. Quando possibile vi sia uno scolasticato per ogni gruppo linguistico corrispondente alle lingue più parlate nei territori missionari. Questi scolasticati internazionali dipendono direttamente dalla Direzione Generale. Ø È opportuno che prima di iniziare lo scolasticato , sia data agli scolastici la possibilità di scegliere di lavorare nei diversi territori missionari su base linguistica. Ø Il corso di teologia comprende una serie di impegni di vita pastorale e missionaria.

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e. La formazione dei Fratelli Ø È auspicabile che, per quanto possibile, i Fratelli abbiano un livello di formazione analogo a quello dei membri sacerdoti. Ø La loro preparazione apostolica sia dottrinale e professionale. Alcuni di loro, inoltre, seguano corsi di specializzazione in economia, amministrazione, medicina, ingegneria ed insegnamento, di modo che la loro formazione sia diversificata. f. Corsi Siano favoriti corsi speciali inerenti al campo pastorale secondo le necessità dell’Istituto. Si auspica la frequenza di corsi di aggiornamento. Viene istituito il corso ufficiale di aggiornamento nella Congregazione . È un diritto ed un dovere che i Padri e i Fratelli lo seguano, dopo un certo periodo: 7° - 10° anno dopo l’ordinazione per i sacerdoti, e dopo il primo periodo passato nelle missioni per i Fratelli. g. Segretariato Viene istituito il Segretariato Generale per la Formazione (questo sostituisce il Prefetto Generale per la Formazione disposta delle Costituzioni del 1958). 10. Il Governo Ø Mentre viene riaffermato che L’AUTORITÀ risiede nella persona del Superiore a tutti i livelli, si evidenzia che: – più che potere, l’autorità è un “servizio”; – tutti i membri della comunità si sentano corresponsabili del suo benessere. Questo richiede che: il cammino verso qualsiasi decisione venga fatto “con spirito collegiale”; tutto ciò che si fa , viene fatto con la cooperazione di tutti i membri. Ø Per quanto concerne il Principio di “SUSSIDIARIETÀ” , l’autorità minore ha la sua sfera d’azione dove l’autorità superiore non interferisce, eccettuati quei casi di vera necessità e per il bene delle comunità. Ø Si auspicano regolari AVVICENDAMENTI nell’esercizio dell’autorità, di modo che tutti i membri possano offrire il loro servizio e al momento opportuno rinunciare alla loro responsabilità . Ø La Congregazione è divisa in PROVINCE, REGIONI e DELEGAZIONI (Le Regole di Vita del 1979 aboliranno poi le Regioni). Ø Viene introdotta la CONSULTAZIONE di tutti i confratelli di voti perpetui prima che il Superiore Generale con il suo consiglio nomini i rispettivi superiori provinciali ecc.(Le Regole di Vita del 1988 darà la possibilità di partecipare anche ai membri che hanno preso voti temporanei). Ø Vengono istituiti QUATTRO SEGRETARIATI GENERALI – Per la Formazione – Per l’Economia – Per le Missioni (comprendente una Procura Centrale) – Per l’Animazione Missionaria Ø COMPOSIZIONE DEI CAPITOLI GENERALI: – Membri Ex- Jure

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Il Superiore Generale ed i suoi assistenti; I Provinciali. Sono esclusi gli Uffici generali e gli ex Superiori Generali . – Membri delegati: siano la maggioranza assoluta, cioè metà più uno. 11. Pianificazione Durante gli ultimi giorni del Capitolo si propone un piano o programma per la Direzione Senerale (cf Boll. N. 90) Ø Priorità – La formazione: consolidare le strutture; preparare il personale; con particolare attenzione alla formazione dei Fratelli; periodi e contenuti. – Animazione: La promozione Vocazionale con particolare attenzione ai Frati ed agli adulti. – Le Missioni : consolidare e sviluppare quelle missioni dove siamo già presenti ed attivi. Ø Dare priorità alla riunione con l’MFSC, e cercare di implementarla. Ø Si istituisce una Assemblea Intercapitolare da tenersi tre anni dopo qualsiasi capitolo ordinario.

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Capitolo Quindicesimo DAL 1969 AL 1979

1. Capitoli del 1969 e 1975 a. Capitolo del 1969 – elezioni P. Tarcisio Agostoni – Superiore Generale P. Ottorino Sina (+2003) – Vicario Generale P. Archimede Fornasari, P. Luigi Penzo, P. Robert Bosse – Assistenti Generali I Membri del Capitolo generale: 67. dell’intero Istituto: 1.534, dei quali 983 sacerdoti, 330 Fratelli, 221 scolastici. Annotazione: Nel 1971, P. Bosse si dimise e viene sostituito dal Segretario Generale P. Salvatore Calvia. b. Capitolo del 1975 – elezioni P. Tarcisio Agostoni - Superiore Generale P. Severino Peano - Vicario Generale (+ 1991) P. Pietro Tiboni, Fratel Enrico Massignani, P. Charles Walter – Assitenti Generali (cf. Boll. N. 110, Documenti Capitolari 1975) P. TARCISIO AGOSTONI Desio (MI) 1920 - Fu ordinato sacerdote nel 1946 a Roma dove ricevette la sua Licenza in Teologia (1946) Filosofia (1949) all’Università Urbana. Insegnò Filosofia in Italia, in Inghilterra e presso il Seminario di Lacor , Gulu – Uganda dove, 1951,insegnò anche canto e musica. Nominato assistente diocesano per l’Apostolato dei laici nel 1956 nella Diocesi di Gulu, che allora includeva la Provincia Settentrionale, egli fondò due riviste mensili “Truth and Charity “per il clero e“Leadership” per la preparazione dei laici a prendersi le proprie responsabilità nella Chiesa e per diventare leader nel campo religioso e socio-politico. Egli sviluppò questa preparazione , primo,con l’insegnamento della Dottrina Sociale della Chiesa che poi sviluppò in un libro “Every Citizen’s Handbook” (Vademecum di ogni Cittadino) e secondo, assistendo i laici nelle loro attività religiose, sociali e politiche “Imparare facendo” (Training throught action). Nel 1961 con tre altri missionari e un sacerdote diocesano fu chiamato dalla Conferenza Episcopale a fondare il Segretariato Cattolico in Uganda e essere a capo dei dipartimenti dell’Apostolato Laico, Servizi Sociali, Mezzi di Comunicazione Sociale, Segretario Generale (1966-1968) Cancelliere della Arcidiocesi di Kampala (1968-1969). Fu in questa veste che egli organizzò il primo ed unico pellegrinaggio in Africa, (Uganda) di Papa PaoloVI. Durante il suo incarico come Superiore Generale, assieme al Consiglio Generale, egli dovette mettere in pratica i nuovi indirizzi stabiliti dal Capitolo del 1969. Cercò di implementarli lentamente, dialogando con membri della nuova e della vecchia formazione. Seguì attentamente i nuovi indirizzi con il desiderio che il vecchio ed il nuovo metodo di formazione si potessero fondere. Si dovevano seguire criteri differenti per quanto riguardava la destinazione dei confratelli: a. Nella scelta dei formatori: era necessaria l’esperienza missionaria e una specifica preparazione. b. Per campi missionari: personale valido distribuito nelle diverse province. C’era il pericolo di espulsioni , come era già avvenuto in Uganda (1967), nel Mozambico (1974), in Uganda (1975) e Burundi (1977). Prevedendo la ripetizione di casi simili, si aprirono nuove missioni in territori confinanti, dove, preferibilmente si parlava la stessa lingua locale o nazionale, per esempio Uganda : Kenya (Inglese); Mozambico: Malawi(Chichewa); Repubblica Centro-Africana: Chad (Francese); Togo: Benin Ghana (Ewe).

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Nell’apertura di nuove missioni alcune comunità furono istituite contemporaneamente: Kenya, 6, Malawi 4, per far sì che ove possibile ci potesse essere uno scambio di personale. Piccoli gruppi come quelli che si trovavano nelle nazioni francofone e in Etiopia dovevano crescere per diventare eventuali Regioni e Province . Fu eletto dall’Assemblea dei Superiori Generali a rappresentarli al Sinodo del Vescovi del 1974 e del 1977, come pure al Consiglio Pontificio dei Laici (1972). Nel 1977, per adempiere al desiderio del Capitolo di aprire una missione in Asia, accompagnato da P. Piero Ravasio, segretario delle missioni, egli visitò 8 nazioni: Bahrein, Pakistan, India, Tailandia, Giappone, le Filippine, Hong-Kong e l’Indonesia. Suggerì di aprire nelle Filippine come primo passo verso la Cina. Invitato dalla Conferenza dei Vescovi, nel 1980 tornò in Uganda per, unirsi di nuovo al Segretariato Cattolico, nel dipartimento dei Servizi Sociali, Pastorale Giustizia e Pace. Ha scritto diversi saggi sulla Chiesa ed i Diritti Umani, la dottrina Sociale della Chiesa e la Pena di Morte. Nel 1990 rassegnò le sue dimissioni e fu assegnato al noviziato di Namugongo per le confessioni, counselling, e l’insegnamento delle Storia dell’Istituto, e della musica. Nel 2001 si unì al team per il Ministero Urbano a Kampala. Le sue aree d’interesse sono: a. I prigionieri con particolare attenzione ai condannati a morte. b. Direttore dei Programmi della Locale Radio Maria. Ha anche dei suoi programmi personali. c. Trasmissioni alla televisione ugandese di programmi religiosi. d. Scrivere articoli e preparare inserti per la stampa nazionale. e. Assistenza ad alcuni rifugiati sudanesi finanziati dal Vescovo Mazzolari, altri di lingua francese godono della sua assistenza.

2. La riunione con l’MFSC a. Incontro delle due Direzioni Generali Un primo passo concreto in questa direzione fu l’incontro delle due Direzioni Generali che ebbe luogo a Limone il 28 ottobre 1969 per la formazione di una commissione mista (RSC) che doveva studiare il problema della riunione. (Boll. N. 97) b. Il referendum dell’MFSC Nel 1973 l’MFSC indisse un referendum in preparazione al suo Capitolo. Risultati: 166 voti a favore (92%) 12 contrari alla riunione. c. Il Capitolo Generale MFSC Il Capitolo Generale dell’MFSC fu tenuto fra luglio e agosto del 1973. Dopo un’incontro con P. Agostoni, il 28 agosto 1973 fu deciso di mandare una lettera che sarebbe stata presentata al Capitolo del 1975 del FSCJ. In questa lettera si dichiarava che un impegno attivo verso la riunione era imperativo per tutti i missionari Comboniani. La riunione veniva richiesta alle solite condizioni. d. Il Capitolo del 1975 FSCJ Ø La riunione viene accettata. Ø Si fanno i dovuti cambiamenti nella costituzione accettando il principio che una provincia possa gestire direttamente alcuni territori missionari. (cfr. Regola di vita 114) Ø Prepara uno Speciale Ordine Giuridico (SJO) che regola le relazioni fra le Province e la Direzione Generale come conseguenza del principio sopra citato. (Cf Boll. N. 111 e Boll. N. 113)

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e. Il capitolo della Riunione tenutosi ad Ellwangen 1-2 settembre 1975 Il capitolo è composto dai membri che facevano parte del Capitolo MFSC del 1973 e del Capitolo del 1975 del FSCJ. La sessione congiunta dei due Capitoli accetta e approva la riunione dello Speciale Ordine Giuridico con i seguenti risultati: Ø MFSC 18: 17 a favore , una astensione. Ø FSCJ 55 : 55 a favore. I principali aspetti del SJO: Ø La DSP (Deutstchsprachige Provinz = Provincia di espressione Tedesca) ha tutti i diritti e doveri di qualsiasi altra provincia dell’Istituto. Essa però, include la casa di Milland- Bressanone la quale si trova geograficamente in territorio italiano. Ø

Ø

Ø

Ø Ø

Sono accettate le seguenti differenze: È responsabilità del DSP: – fare accordi con gli Ordinari delle attuali Province del Perù e del Sud Africa e di qualsiasi altro territorio affidato in futuro al DSP: Il consiglio Generale dovrà ratificare gli accordi; – fornire personale ed i mezzi necessari a quelle missioni e di visitarle entro i termini di riferimento del SJO. Inoltre, un candidato a Superiore provinciale che non sia membro del DSP dovrà ottenere la maggioranza di due terzi. (Annotazione: in un referendum tenutosi nel 1991 fra i membri del DSP , questa clausola fu eliminata). Tutti i membri MCCJ che abbiano la DSP come loro provincia di origine possono partecipare all’elezione del Superiore Provinciale del DSP. (Annotazione: questa regola fu rimossa con il referendum del 1991). Il SJO potrà essere abolito, si potranno apportare cambiamenti o fare modifiche, solo con una maggioranza di due terzi dei membri radicali del DSP. Fu altresì concordato che il SJO non fosse incluso nel testo della Costituzione o Regola di Vita del MCCJ .

f. I Capitolari uniti prendono le seguenti decisioni: Ø Un referendum: i due Consigli Generali prepareranno un referendum per sensibilizzare i membri dei due Istituti sui problemi della riunione.Questo fu fatto il 10 giugno 1976. Ø Risultato: 95% dei membri del FSCJ e l’85% dei membri del MFSC votarono a favore. Ø Una Speciale Commissione tecnico-consultiva sia formata per aiutare i due Consigli Generali nel cammino verso la riunione come formulata dai due capitoli. Ø Verrà approntata una Speciale Commissione che preparerà un testo unificato delle Costituzioni e il Direttorio Generale. Il testo dovrà essere presentato al Capitolo del 1979. Ø Le due province spagnole dei MFSC e dei FSCJ saranno unificate a formare un’unica provincia. Dopo un referendum dei membri e l’approvazione della S. Sede, la provincia spagnola fu eretta il 16 gennaio 1976, e P. Domingo Camdepadros fu nominato Provinciale il 9 febbraio 1976. g. Il referendum sul Nome Si tiene un referendum riguardante quale nome dare alla Congregazione riunita. Furono proposti due nomi: CMC = Congregatio Missionaria Comboniana (604 voti) e CMCS = Congregatio Missionaria Sacri Cordis. (496 voti) (cf Boll. N. 124 p. 80)

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3. Il Capitolo del 1979 Il Capitolo del 1979 era composto da 59 membri in rappresentanza del FSCJ e 21 membri in rappresentanza del MFSC. Concretizzò la riunione con: Ø Una Cerimonia Solenne tenutasi il giorno della Festività del Sacro Cuore, a Roma il 22 giugno 1979, sia nella sala Capitolina che nella Liturgia presidiata del Cardinale A. Rossi, Prefetto del SCEP, alla presenza dell’intero Capitolo ed alcuni Superiori Generali di istituti Missionari. Ø La riunione viene formalizzata da Decreto della SCEP emanato lo stesso giorno e letto dal Cardinale Rossi durante la Liturgia. Ø La stessa SCEP emana delle direttive sulla riunione che vengono lette e commentate nella sala Capitolare. Esse verranno, in un secondo momento, incorporate nelle nuove Regole. Fra le altre cose lo SCEP conferma e convalida lo SJO.(cf Boll. N. 125) 4. Un nuovo stile di vita e di governo In questo periodo viene introdotto un nuovo stile di vita . La chiesa in Cristo è come un sacramento: un segno ed uno strumento di comunione con Dio e di unità fra gli uomini (LG) . Poiché la Chiesa enfatizza la comunione e l’unità, il nostro Istituto, seguendo le direttive contenute nei Documenti Capitolari doveva enfatizzare la comunione e l’unità. Furono perciò utilizzati i seguenti strumenti: a. Comunione a livello orizzontale La creazione della comunione a livello orizzontale attraverso il dialogo : fra i membri del Consiglio Generale , dei Consigli Regionali e provinciali, e nelle comunità locali (Consigli di Comunità) tutti in linea con il principio di collegialità. b. Comunione a livello verticale La creazione della comunione a livello verticale, fra la Direzione Generale e i Consigli Provinciali ed i confratelli, in linea con i principi di decentralizzazione e sussidiarietà, attraverso visite frequenti, la partecipazione a riunioni del Consigli Provinciali e le Assemblee Regionali e Provinciali, nonché attraverso il dialogo personale con i confratelli. c. Strutture di comunione e condivisione L’ASSEMBLEA INTERCAPITOLARE (nel 1972, cf. Boll. N. 99) I partecipanti erano tutti membri del Consiglio Generale, Superiori Provinciali e Regionali , i Capi dei 4 Segretariati,7 membri in tutto. Fu tenuta a Roma nella nostra casa del generalato fra il 26 giugno ed il 2 agosto 1972. Fu l’unica assemblea del periodo. Al termine della riunione non fu formulata nessuna nuova risoluzione, la principale ispirazione fu un continuo riferimento al Capitolo . Al termine i partecipanti scrissero una lettera ai membri dell’Istituto. Ne riportiamo una parte: “Questa riunione tenutasi tre anni dopo il capitolo Speciale , ebbe assegnati scopi ben precisi dai Documenti Capitolari. Il Consiglio Generale e Superiori Maggiori furono chiamati a rivedere assieme come sono stati applicati i Documenti Capitolari e a pianificare i prossimi tre anni che ci separano dal prossimo Capitolo . Non era questione di cambiare le regole esistenti, né di emanarne delle nuove, dovevamo, piuttosto, esaminare la nostra condotta per meglio seguire le linee guida del Capitolo.Ci sembra che gli scopi fissati dal Capitolo siano stati , per la maggior parte, raggiunti. Sin dall’elezione, il Consiglio Generale espresse la sua determinazione di arrivare ad una forma di governo collegiale basato sul mutuo rapporto di collaborazione ad ogni livel-

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lo, di condividere esperienze e di prendere in considerazione le necessità di tutti i membri. In questi giorni abbiamo vissuto appieno le nostre responsabilità nel governo della nostra famiglia in una atmosfera di scambio di opinioni franche ed illuminate. La nostra sostanziale convergenza di vedute, valutazioni e conclusioni, sono stati una piacevole sorpresa e un forte incentivo a continuare con risolutezza nel cammino intrapreso dall’ultimo Capitolo.” ISTITUZIONE DEI QUATTRO SEGRETARIATi: Finanze, Formazione, Animazione Missionaria, Attività Missionaria. Identificare il loro ruolo non fu facile. Loro tramite tenemmo altre assemblee a livello mondiale, continentale regionale e provinciale. – – –

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ISTITUZIONE DI SCOLASTICATI INTERNAZIONALI: conformemente alle risoluzioni del capitolo: Parigi (2/6/70) per le missioni in nazioni francofone. Elstree (GB) (1/12/70) per le missioni in nazioni anglofone. Madrid (1972) sostituita da Granada (1974) per le nazioni di espressione spagnola. Fu chiuso nel 1979 per diverse ragioni, per riaprirla nei territori missionari: piano poi attuato con l’apertura dello Scolaticato Internazionale di Lima - Perù (23/10/85) Kampala , Uganda l’1/1/1975. Quest’apertura rappresenta un nuovo trend che fu suggerito durante il Capitolo del 1975 . La preparazione per il lavoro missionario non significa soltanto conoscere le lingue; la conoscenza del popolo, la sua cultura e tradizioni sono altrettanto importanti ed i giovani sono in questo modo più preparati ad affrontare i problemi che incontreranno nel campo di apostolato. Innsbruck (1975) aperto dalla Direzione Generale MFSC. Chicago (6/8/1976) principalmente come supporto per la promozione vocazionale negli Stati Uniti. C’è comunque il vantaggio di poter imparare l’inglese. San Paolo – Brasile (1977) per le nazioni dove si parla portoghese.

Gli Scolasticati sopra menzionati si aggiungevano allo Scolasticato internazionale “Daniele Comboni” in Roma. Fu confermato lo Scolasticato PER I FRATELLI a Pordenone, esso, fu però chiuso in seguito a favore di due Centri per Fratelli a Nairobi- Kenya e a Bogotà – Colombia. Gli Scolasticati Internazionali appartengono al Distretto della Curia, benché i formatori siano membri della Provincia dove lo Scolasticato è situato. I Superiori Provinciali sono responsabili per gli Scolasticati nello loro Province secondo il Direttorio degli Scolasticati. d. Comunione con altri Istituti Ø Incontri periodici a livello di Consigli Generali e Provinciali con le Suore Comboniane. Ø Incontri periodici e lettere circolari con Istituti Missionari di origine italiana (cf..Boll. n. 91 e 94). Ø Incontri periodici con l’Unione Superiori Generali (USG) a Roma e partecipazione alla loro sesta Commissione sulle attività missionarie, nel loro Servizio Documentazione (SEDOS), nei loro incontri mensili e nei tre giorni ogni due anni. Ø Aiuti notevoli con personale agli Apostoli di Gesù, Marian Brothers, Fratelli di San Martino de Porres, nonché aiuti finanziari provenienti principalmente da diverse province. Le Congregazioni di Suore Locali pure furono aiutate secondo le nostre possibilità di personale e mezzi.

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4. Revisione delle strutture basilari della formazione a. Strutture formative Dovendo cambiare la metodologia della formazione, si dovevano cambiare anche le strutture. I cambiamenti principali furono nel numero di Noviziati e Scolasticati. Prima della crisi della Chiesa tali strutture erano grandi avendo fino a 100 candidati. La reazione a queste strutture fu di sperimentare nuove tendenze come per esempio dividere grossi gruppi in tanti più piccoli, cinque o sei candidati con un formatore residenti in una casa non religiosa, cioè fra la gente. Il nostro Istituto questo non lo permise; l’esperienza insegnò che tali sperimentazioni furono fallimentari. Gli studenti non erano liberi e anzi quasi impossibilitati a trovare tempo per i loro studi e le loro preghiere a casa. Furono abolite le grosse comunità ed in linea di massima furono aperte nuove case per 2530 candidati con due formatori che lavorano assieme. Per aiutare nell’apertura degli Scolasticati Internazionali fu aperto un fondo con contributi provenienti dalla Direzione Generale e le Province, secondo le loro possibilità economiche. Similmente fu iniziato un “fondo per missionari ammalati” Veniva finanziato principalmente dalle pensioni pagate dal governo italiano e dai contributi dei benefattori tramite le Province. b. Direttori e Ratio Le nuove strutture e le nuove metodologie necessitavano una revisione dei Direttori e Carte di lavoro per le istituzioni formative, sia a livello centrale sia ai livelli nazionali. Il lavoro iniziò ma proseguì alquanto lentamente in quanto doveva essere definito da un’esperienza di vita da parte dei candidati e formatori che dovevano affrontare le nuove tendenze dei giovani e della società circostante. Questo lavoro portò alla pubblicazione, in seguito della “Ratio Fondamentalis Istitutionis et Studiorum” pubblicato nel 1991. c. Centri di Animazione missionaria Anche i centri di animazione missionaria dovettero essere revisionati. Furono così aperti centri per giovani il cui scopo principale era la promozione vocazionale, in quanto la crisi nei Seminari minori era già iniziata. d. L’apertura di strutture di animazione e formazione in Africa L’unica casa di formazione di base in Africa era il Seminario minore di Decameré in Eritrea aperto nel 1963. Con una o due eccezioni tutti i candidati al Noviziato , anche quelli provenienti dal Sudan o Uganda venivano mandati in Europa, principalmente in Italia. L’esperimento, nel suo insieme, però, non ebbe molto successo. P. Todesco aveva intenzione nel 1957, di aprire un Noviziato in Uganda e il Vescovo Cesana offrì il terreno dove costruirlo. L’iniziativa, però, non venne mai attuata, inoltre neanche l’apertura di Seminari minori in declino in Europa, sembrava una cosa fattibile. La prima casa per il Postulato fu aperta a Kampala nel 1976, seguita dal Noviziato che accoglieva candidati da altre nazioni anglofone. Lo Zaire seguì a ruota con alcuni candidati fratelli postulanti a Kisangani i quali in seguito fecero il loro Noviziato, nello stesso luogo (1980) . 5. Come far fronte alla continuazione della crisi nell’Istituto Nonostante fosse stata identificata la causa del massiccio esodo e aver trovato rimedi, la crisi continuò. Questo era comunque normale in quanto i rimedi non erano ancora stati attuati. L’eliminazione delle vecchie tendenze continuava mentre l’introduzione dei nuovi principi e relative attività stentavano a prendere piede. Dobbiamo anche aggiungere che non tutti i formatori

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erano all’altezza degli standard richiesti , non tutti erano in grado di bilanciare l’antitesi al passato con le nuove inclinazioni della società. La fusione del nuovo ed il vecchio può essere sintetizzata nelle seguenti affermazioni: I formatori ed i Superiori dovevano continuare a richiedere il massimo dai loro candidati ma con il massimo rispetto. Il passato era caratterizzato dalla richiesta del massimo sforzo, fino ad arrivare a coartare la libertà delle persone. In questo periodo invece, prevaleva il massimo rispetto dell’individuo a scapito delle esigenze della comunità e della formazione. Restrizioni e sacrifici non venivano pensati come condivisione del Mistero Pasquale dal Giovedì Santo alla Domenica di Pasqua. Nelle relazioni con gli altri prevaleva il principio di spontaneità mal interpretata invece del salutare principio di “sincerità”, come se la natura e le attività umane non fossero influenzate dalla debolezza dataci dal peccato originale: il naturalismo ed il razionalismo spesso prevalevano contro quelli che erano gli “autentici valori sovrannaturali” ed i princìpi della nostra fede come dai Vangeli e dalle tradizioni della Chiesa. (Cf. Rom.7:14-20; 12: 1-12; Gal 5:17) Forse furono ignorati i consigli di San Paolo:” Per me niente è proibito, ma non tutto aiuta a far crescere l’edificio. Nessuno deve cercare di avvantaggiarsi, bensì avvantaggiare gli altri” (1 Cor. 10: 23-25). Il testo latino è più conciso: “Omnia licent, sed non omnia oportent”. Dobbiamo aggiungere che la pratica di dedicare un’ora alla preghiera personale non era molto seguita. Quando fece la sua relazione al Consiglio Generale del 1975, il Superiore Generale disse che dalle esperienze fatte nelle sue visite a tutte le comunità non più del 20 % praticavano questa norma , per la maggior parte fratelli di una certa età. Dobbiamo inoltre aggiungere che alcuni confratelli provenienti da Seminari ed alcune vocazioni tardive non avevano percepito il nostro servizio di Missionari Comboniani come espressione della nostra consacrazione religiosa con tutti i suoi requisiti di obbedienza e povertà e che il carisma Comboniano è unico ed indivisibile: è prima di tutto una condivisione del Mistero Pasquale che include il Sacrificio di Cristo per la redenzione del mondo, dal quale deriva il servizio missionario. Il Carisma non è solo quanto abbiamo e quanto lavoro riusciamo a fare, ma innanzi tutto quello che siamo in Cristo e nella sua missione salvifica. Non possiamo escludere che alcuni ex seminaristi che si unirono all’Istituto lasciarono il seminario insoddisfatti della metodologia formativa e dell’ambiente che allora prevaleva. Difatti, alcuni di loro, lasciando l’istituto chiesero l’incardinazione nella diocesi dove avevano lavorato come missionari Comboniani e non nella loro diocesi d’origine (anche se alcuni altri lo fecero). L’abbandono dell’Istituto a causa della crisi d’identità Comboniana crebbe sostanzialmente negli anni 80. Le terapie a questo male furono la progressiva e fedele applicazione del DC del ’69, in particolare: Ø Nella selezione e formazione dei candidati, gli educatori venivano aiutati con i corsi di specializzazione attraverso incontri organizzati dal Segretariato della formazione sia a livello generale che provinciale e a livello di categorie (postulati, noviziati,teologali). Ø Il lavoro dei formatori era generalmente svolto come team. I formatori, quando possibile venivano scelti fra coloro che avevano avuto valide esperienze missionarie. Ø Per sacerdoti e fratelli di voti perpetui, la formazione continua veniva attuata seguendo corsi ufficiali di 9 mesi a Roma. Altri corsi venivano svolti soprattutto attraverso l’animazione delle comunità fatta dai Superiori provinciali e locali, anche se non tutti erano pronti a questo compito. Ad ogni modo, il periodo dal 1975 al 1979 mostrò un netto miglioramento come si può vedere dalle statistiche riportate in precedenza. La vita comunitaria e la pratica della preghiera personale erano leggermente migliorate. I formatori con più esperienza fecero del loro meglio per aiutare gli altri nel loro impegno.

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6. Sviluppi nelle missioni a. Uganda Riduzione del personale Nel 1972 i missionari erano più di 300. Il Superiore Generale discusse il problema del numero del personale con il Consiglio Provinciale nel dicembre del 1972. La necessità di ridurre il loro numero fu confermata dal Consiglio che decise di concentrarsi sulle seguenti priorità: Ø Formazione dei sacerdoti, religiosi e dei catechisti. Ø Formazione dei laici, principalmente nelle scuole. Questo perché i laici possano prendersi le loro responsabilità sia nella Chiesa che nella società ed essere in grado di offrire leadership con spirito di servizio. Ø Dare la dovuta importanza all’apostolato urbano. Ø Lavoro nelle parrocchie ogni qualvolta fosse possibile. Tale riduzione non eliminerebbe la possibilità per i giovani missionari di entrare nel paese , specialmente per specifici lavori. L’espulsione dei missionari Oltre a negare nuovi visti d’ingresso e non rinnovare quelli preesistenti dal luglio 1972, il presidente Amin (1971 –1979) accelerò la riduzione dei missionari presenti, con l’espulsione di 16 validi Missionari. Non ne furono date ragioni, ma si vedeva che era un palese tentativo di mettere in ginocchio la Chiesa Cattolica da parte di personalità religiose e laiche cristiane, non cattoliche. MISSIONARI COMBONIANI ESPULSI DALL’UGANDA NEL GIUGNO 1975 Dalla Diocesi di Lira – Fratello Tarcisio Dal Santo (Garage della Diocesi di Lira) Dalla Diocesi di Arua – P. Maccagna Aristodemo (Apostolato) – P. Manfroni Dante (Apostolato) – P. Codognola Aldo (Apostolato) Dalla Diocesi di Gulu – – – – – – – – – – – –

Fr. Gasparini Antonio (Garage Diocesi di Gulu) Fr. Avi Angelo (+1991) (falegnameria Diocesi di Gulu) Fr. Tomasi Fortunato (+1986) (Costruzione ospedale di Lacor, Gulu) Fr. Bazzanella Augusto (+1997) (Tipografia Diocesi di Gulu) Fr. Raumer Remo (+1992) (Movimento Giovanile dei Crociati) P. Scalabrini Giovanni (Diocesi di Gulu, Vicario Generale e Amministratore) P. Ottolini Paolo (Diocesi di Gulu Centro per Catechisti) P. Prandina Piergiorgio (diocesi di Gulu Centro per Catechisti) P. Leso Igino (Parroco della Missione di Kitgum) P. Tiboni Pietro (Seminario Pastorale di Kitgum) P. Frigerio Giuseppe (Seminario Pastorale di Kitgum) P. Durigon Gabriele (responsabile per insegnanti e educazione)

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MARTIRI Nessuno dei nostri missionari aveva mai perso la vita in Uganda fino ad allora. Fu il 1979 che segnò la sconfitta di Amin e dipinse la nostra storia con il colore rosso sangue: i nostri missionari divennero vittime della ritirata disordinata dei soldati di Amin e dell’anarchia e crudeltà che ovunque regnava. P. GIUSEPPE SANTI (1920-1979) P. Santi andò in Uganda nel 1951, missionario dedicato al lavoro pastorale prima a Gulu e poi a Lira. Fu Superiore Regionale per cinque ani. Il 14 aprile 1979, Sabato Santo, alla missione di Aloi, a nordovest di Lira, arrivarono due giovani provenienti da Patongo, Diocesi di Gulu, dove i soldati di Amin stavano terrorizzando la popolazione. I due giovani chiesero a p. Santi di portarli con l’auto fino a Lira dove si pensava fossero arrivate le truppe della Tanzania. Ad un blocco stradale i giovani chiesero dove si trovassero i Liberatori – non rendendosi conto che i soldati ai quali avevano chiesto questa informazione fossero di Amin. Fu loro permesso di passare, ma al loro ritorno non avendo trovato traccia dei liberatori, i soldati di Amin li uccisero tutti. Il corpo del Padre fu trovato solo quattro giorni dopo. P. SILVIO DAL MASO (1912 – 1979) e P. ANTONIO FIORANTE (1925 – 1979) I due sacerdoti furono uccisi nella stessa casa la stessa notte del 4 maggio 1979. Nessuno vide gli assassini (musulmani?). I sospetti, però indicando i soldati di Amin provenienti dalla loro stessa missione di Pakwach, Diocesi di Arua. I padri erano stati denudati e torturati, la casa era stata messa a soqquadro. I loro corpi furono trovati la mattina del 5 maggio, da una suora africana. P. Silvio Dal Maso fu ordinato sacerdote nel 1939 e sul finire dello stesso anno fu mandato ad una nuova missione in Etiopia che dovette presto lasciare a causa della guerra. Nel 1947 fu destinato al Bhar-el Gazal dove restò finché non furono espulsi tutti i missionari. Gli fu chiesto di andare in Uganda dove restò dal 1965 fino alla sua morte. Dedicato al lavoro pastorale, noncurante del duro lavoro e degli stenti. Un uomo di preghiera – come possiamo dedurre anche dalla sua morte, la quale, nonostante fosse violenta, egli lo trovò con il rosario chiuso nel pugno della mano sinistra. P. Antonio Fiorante fu ordinato sacerdote nel 1950 e fu poi destinato al Bhar-el-Gazal dove imparò la lingua Dinka e un po’ di Ndogo. Espulso dal Sudan nel 1962 , lo ritroviamo in Uganda a lavorare fra gli Alur. L’unica sua aspirazione era questo suo ministero pastorale. P. GRAZIANO PANZA (1917 – 1979) Padre Graziano fu ordinato nel 1943. Nel marzo del 1946 egli si trova a Wau. Fu espulso nel 1964 dal Sudan e passò alcuni anni in Sicilia per l’animazione missionaria. Dedicò gli ultimi 9 anni della sua vita al lavoro pastorale fra gli Alur a Parombo. I soldati provenienti da Pakwach andarono a Parombo, rubarono la sua auto,la benzina, il proiettore, la macchina fotografica e perfino i suoi abiti. I colpi che gli diedero sulla testa causarono una emorragia cerebrale e quando fu trovato dai sacerdoti della vicina stazione di Angal, aveva perso conoscenza. Fu portato all’ospedale di Lacor, a Gulu, ma non ci fu niente da fare . L’uccisione dei due padri a Pakwach era stata per lui un gran colpo. Non aveva un carattere facile, era però stimato in quanto fedele alla sua vocazione ed all’apostolato. P. SILVIO SERRI (1933 –1979) Sin dall’inizio della guerra era scontato che Amin fosse sconfitto, ma proprio per questo , tutti erano in pericolo di vita. P. Serri, solo nella missione isolata di Obongi, questo lo sapeva molto bene. L’11 ottobre un soldato sbandato si presentò alla missione chiedendo le chiavi dell’auto e benzina. P Serri cercò di parlargli, ma ad un certo punto, qualcuno suonò la campana, il soldato si innervosì e scaricò la sua pistola sul sacerdote uccidendolo. “Un uomo di una sola parola “lo chiamavano i suoi parrocchiani. Egli era solito dir loro “Resterò con voi accada quel che accada “e così fu. P. MARIO POZZA (1935 –1972) P. PAOLO PONZI (1930 – 1972) Ambedue morirono improvvisamente il 3 giugno 1972 alle 12.30 circa nella missione di Kigumba, Diocesi di Hoima mentre stavano compiendo un atto di carità. “Un uomo non potrà mostrare amore più grande che dare la sua vita per un amico” (Giovanni 15: 13). Il cuoco della missione aveva mandato un ragazzo dentro un pozzo abbandonato per cercare un coltello casualmente cascatovi.Il ragazzo stava soffocando a causa dei gas velenosi. P. Poz-

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za si calò nel pozzo e riuscì a fare uscire il ragazzo. Mentre stava uscendo, egli stesso, fu sopraffatto dai gas venefici e cadde svenuto nel pozzo . Vedendo ciò che era successo, P. Ponzi si calò immediatamente nel pozzo per aiutare il suo confratello, ma anche lui subì la stessa sorte. Ambedue furono vittime della carità. All’arrivo dei pompieri di Kampala a 200 chilometri di distanza quella sera, si poté solo constatare la loro morte.

b. Mozambico 1 Durante gli anni di guerriglia fra le truppe governative portoghesi ed il FRELIMO , i nostri confratelli ebbero non poche difficoltà in alcune delle missioni. Era piuttosto comune trovare nella missione le truppe governative di giorno e i guerriglieri di notte. Nessuno dei Vescovi portoghesi eccetto uno, riuscivano a capire la necessità dei mozambicani di avere la loro indipendenza. Questo perché il Manzabico era considerato da secoli una provincia della madre patria; le autorità di Lisbona erano quindi legittimate anche qui. Inoltre, secondo la teoria portoghese inclusi molti membri del clero, gli stessi mozambicani soffrivano delle manchevolezze della loro cultura simile ad Israele che rimase nel deserto per i molti anni dell’influenza pagana che aveva assorbito in Egitto. Date le circostanze, i missionari erano molto turbati. I Padri Bianchi si ritirarono in segno di protesta contro i Vescovi. La Santa Sede non era stata ben informata: il Nunzio risiedeva a Lisbona. Le sue informazioni venivano dai Vescovi e di conseguenza, ciò che egli diceva al Vaticano era quello che si voleva fosse detto da parte del Portogallo. P. Agostoni chiese e gli fu concesso , di vedere il Sotto Segretario , il compianto Arcivescovo Benelli, che ascoltò la sua testimonianza e mandò l’allora Mons. Gasparri del Segretariato di Stato, nel Mozambico. Non sappiamo cosa contenesse il suo rapporto ma i nostri confratelli rimasero favorevolmente colpiti dal suo interesse. Personalmente devo dire che ebbi l’impressione che la Segreteria di Stato era preoccupata di non contraddire qusi tutti i Vescovi portoghesi. I nostri missionari, perciò scrissero un documento chiamato “Imperativo di Coscienza “dove si denunciavano le ingiustizie del governo coloniale. Si chiedeva al governo di riconoscere i movimenti di liberazione e il diritto del popolo del Mozambico alla loro auto determinazione e indipendenza. Il Superiore Regionale, P. Peano, dovette rispondere ad innumerevoli domande sulle relazioni dei nostri confratelli con il FRELIMO. Egli fu, infine, deportato nel 1974 con altri dieci confratelli. Ecco i loro nomi: Fr. Luigi Coronini, P. Ernesto Calderola, P. Vincenzo Capra, P. Manuel Ferreiro Horta, P. Rogèirio Artur de Sousa, P. Giovanni Zani (+1989), P. Danilo Cimitan, P. Cornelio Grandina (+1992), P. Gino Centis, P. Graziano Castellari. Data la scarsa opinione che i vescovi avevano dei mozambicani, al momento dell’indipendenza si trovavano nel paese solo 27 sacerdoti diocesani. La Santa Sede, però fu in grado di scegliere fra di loro i nuovi vescovi ed arcivescovi. c. Burundi 2 Tutti e undici i nostri confratelli furono deportati nel 1977 assieme a 4 missionari volontari laici. Altri confratelli erano già partiti. La loro espulsione fu annunciata alla radio. Furono dichiarati “persona non grata”sui documenti d’espulsione. L’attrito con il governo ebbe inizio con il massacro del popolo Hutu nel 1972 , quando furono uccise 250.000 persone dal governo Tutsi. I nostri missionari che lavoravano e vivevano fra gli Hutu, non potevano, giustamente, accettare questo massacro, né il silenzio dei loro Vescovi. 1 2

Vedere Bollettino 111, pag. 51 bol. Vedere Bollettino n. 118

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Il pretesto per la loro espulsione fu un articolo pubblicato in una delle nostre riviste contro I. Bagaza, l’allora presidente. 7. Nuove aperture a. Kenya (1971) Il Capitolo del 1969 aveva prospettato (vedere Boll. N. 90 p. 27) e affidato alla Direzione Generale, il compito di aprire non appena possibile, una nuova missione in territorio anglofono. Gli eventi in Uganda e l’esistenza di diversi territori di prima evangelizzazione in Kenya suggerirono questa scelta. Furono assunti degli impegni nella Diocesi di Eldoret alla fine del 1971. Gli abitanti erano 1.500.000 dei quali circa 80.000 cattolici. Il 90% della popolazione era pagana. Si sperava che i missionari di St. Patrick’s Society Kalteegan presenti nella Diocesi accettassero in cambio un impegno in Karamoja, ma non fu così. Comunque iniziammo con 6 comunità su due direttive: Kampala – Nairobi – Mombasa;- Uganda-Nairobi – Addis Abeba. Seguimmo questa strada supponendo che la strada Nairobi – Moyale sarebbe poi stata asfaltata, come fu asfaltata Moyale (Etiopia), Addis Abeba . Nel 1974 c’erano già 16 comunità con 40 confratelli e il Kenya fu eretta regione. b. Malawi (1974) I Confratelli del Mozambico avevano ripetutamente chiesto di avere il vicino Malawi come alternativa. Vi furono aperte quattro missioni nel 1974 nella Arcidiocesi di Blantyre vicino alla frontiera con il Mozambico, inclusa una a Gambula sulla strada che va da Nampula a Tete . Diventò una Delegazione nel 1977 e Regione nel 1979. Furono aperte altre due missioni nel 1978 nella vicina Diocesi di Chadisa (Zambia) dove parlano la stessa lingua, il Chichewa, parlata nel Malawi. Quest’apertura fu provvidenziale negli anni a venire quando migliaia di profughi fuggirono nel Malawi dal Mozambico, seguiti dai nostri missionari Sacerdoti, Fratelli e Suore. c. Rondonia (Brasile) Considerando che le vocazioni locali, sia diocesane che religiose erano in aumento nel Sud del Brasile, e che l’Amazonia stava aprendosi ad immigrati dalla regione dell’Espìritu Santo dove stavamo già operando, assumemmo nuovi impegni in Amazonia (Stato di Rondonia) nella Diocesi di Porto Velho con la fondazione della missione di Cacoal nel 1974. d. Gli Indios del Messico Ricordandoci che siamo per i più poveri ed abbandonati, e avvalendoci del fatto che Baja California poteva offrire alcuni confratelli, assumemmo alcuni impegni fra gli Indios del Messico meridionale. Furno aperte due missioni nella Diocesi di Tuxtepec (Stato dell’Oaxaca) Ojitlan nel 1972 e Siltepec nel 1974. e. Costa Rica (1979) Forti delle molte vocazioni e della pace permanente in Costa Rica, prendemmo un nuovo impegno pastorale a Limon, maggio del 1979, mentre un centro per la promozione vocazionale fu aperto a San José la capitale, nel febbraio del 1979 (vedere Boll. N. 123) Fu altresì notato che nessun altro Istituto Missionario era presente in quel paese e che sia le autorità civili che quelle religiose erano favorevoli alla nostra presenza.

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f. Sud Sudan Dopo l’espulsione di tutti i missionari europei dal Sud Sudan, vi rimasero tre confratelli sudanesi. A seguito di forti pressioni da parte nostra, fu permesso a quattro fratelli non sudanesi di tornarci nel 1976. Alla fine del 1979 alcuni sacerdoti ebbero il permesso di rientrare ad insegnare in alcune scuole. Erano presenti 11 confratelli nel territorio. 8. L’erezione di nuove Regioni Il Capitolo del 1969 aveva chiesto al Consiglio Generale di rafforzare i piccoli gruppi preesistenti per facilitare lo scambio del personale, l’identità Comboniana e il grande aiuto dato alle diocesi dove eravamo presenti. La strategia seguita, ove possibile era di aprire nuove missioni in nazioni confinanti, dove si parlava la stessa lingua come era successo per il Malawi. In questo modo, qualora altri missionari fossero espulsi da una nazione, potevano andare a lavorare nel paese vicino senza troppe difficoltà. Le seguenti Regioni approfittarono di questa Direttiva: ZAIRE (eretta nel 1972) – nel 1971 – 25 confratelli che lavoravano in 6 missioni – nel 1979 – 63 confratelli che lavoravano in 13 missioni TOGO (eretta nel 1976) – nel 1971 – 18 confratelli che lavoravano in 6 missioni – nel 1979 – 37 confratelli che lavoravano in 11 missioni REPUBBLICA CENTRO AFRICANA (aperta per rifugiati sudanesi nel 1966; eretta il 22 dicembre 1975) – nel 1971 – 16 confratelli in 4 comunità – nel 1979 – 39 confratelli in 11 comunità ETIOPIA unita all’Egitto fino al Capitolo del 1969: eretta a Regione il 25 settembre 1969. – nel 1971 – 39 confratelli in 9 missioni – nel 1979 – 58 confratelli in 12 missioni 9. Capitolo del 1975 - Metodologia e identità missionaria Nonostante le difficoltà create dalle nuove tendenze, il nostro Istituto sia nella sua politica che nella sua identità rimase sostanzialmente stabile. Ad una riunione tenuta a Birmingham, Inghilterra, nel 1972 per tutti gli istituti che lavoravano in territori missionari noi eravamo fortemente a favore della necessità che gli istituti missionari continuassero nelle loro attività come sempre. Sapevamo, tuttavia, che eravamo entrati in una nuova era missionaria dove molte nuove tendenze dovevano essere affrontate ed eventualmente accettate assieme alle Chiese: Universale e particolari. Queste nuove tendenze furono trattate nel loro insieme nel Capitolo del 1975. a. Il documento principale del Capitolo del 1975 Il Documento principale del Capitolo del 1975 fu “I Missionari Comboniani nella Missione Odierna”. Il documento chiaramente testimonia “Sentiamo la necessità di confermare le dimensioni fondamentali del nostro lavoro missionario per far sì che diventi una vera evangelizzazione. Crediamo, innanzi tutto che le nostre attività debbano sorgere dalla nostra vita interiore, che

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è radicata , come fu la vita di Comboni, in una autentica esperienza di fede. È una concreta espressione di speranza Cristiana che deriva , come quella del nostro fondatore dal mistero della Croce e là trova la sua forza “(Introduzione n. 7). b. I Punti salienti del documento Ø Il documento sottolinea la necessità di accogliere le nuove tendenze nelle missioni come: – il pluralismo delle culture. – L’inculturazione del Vangelo. – La promozione integrale della persona come espresso in “Evangelii Nuntiandi”. – La necessità di incontrarsi con altre religioni (ecumenismo) e della nostra presenza fra i musulmani. – La riscossa dei “popoli di frontiera”, cioè di coloro che sono stati evangelizzati ma che rimangono ai margini delle attuali tendenze e degli sviluppi della Chiesa . Ø La Comunione con le chiese particolari è diventata uno dei problemi principali nelle nostre missioni, specialmente in Africa. Due concetti devono prevalere: – che le Chiese particolari ci stanno invitando di nuovo ; e – essere disponibili ad un vero servizio di collaborazione. In questo nuovo tipo di presenza, tuttavia non solo eseguiamo ordini, ma lavoriamo da assennati e responsabili collaboratori usando tutta la nostra fede, la nostra energia e intelligenza nell’eseguire le decisioni pastorali della Chiesa locale per la lealtà alla nostra particolare vocazione. Ciò non ci esime dal fare, e con prudenza e rispetto, proposte ed osservazioni secondo il nostro carisma. Accettiamo, inoltre il ritmo ed il modo in cui cresce ogni Chiesa, che significa lavorare con la Chiesa locale. Dovrebbe incoraggiarci sapere che adesso, come non era mai successo prima, siamo fedeli al piano di Comboni di salvare l’Africa con gli africani. Ø Il Capitolo fece un certo numero di dichiarazioni su alcune questioni, fra le quali: – le condizioni per l’inserimento di missionari laici nella vita e le attività delle missioni. – L’aumento della promozione vocazionale per il nostro Istituto nelle missioni. – La necessità di fare lavoro missionario fra gli studenti e l’èlite nelle missioni. – Dare suggerimenti agli editori delle Riviste Missionarie Comboniane in Europa ed in America. Devono rendersi conto delle eventuali ripercussioni che certi articoli potrebbero avere sui missionari. 10. Impegno in Asia “Un’altra caratteristica dei nostri tempi è l’emergenza dei popoli e delle culture asiatiche. Oltre ad avere un ruolo di primaria importanza nella storia di domani, questa gente è per la stragrande maggioranza non cristiana, e rappresenta la maggior parte dell’umanità che soffre dei mali del sottosviluppo. Crediamo quindi, che la nostra preferenza missionaria “i più bisognosi e i più poveri” abbracci, oggi anche i popoli dell’Asia. Crediamo che sia maturato il momento per la Congregazione di studiare la possibilità di un futuro impegno in Asia.” (n. 15) In ottemperanza a tale richiesta il Superiore Generale e Pietro Ravasio, Segretario per l’Evangelizzazione il 19 marzo 1977 partirono da Roma per un lungo viaggio in Asia dove ebbero contatti con le autorità ecclesiastiche ed altre personalità nelle seguenti città e nazioni: Barhain nel Golfo Persico; Karachi e Lahore in Pakistan; Dheli e Calcutta in India; Bangkok in Tailandia; Manila Zamboanga e Davao nelle Filippine; Tokyo e Kyoto in Giappone; Taipei e al-

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tre Diocesi a Formosa, Hong Kong, Jakarta a Java, Indonesia e Singapore. Al termine del viaggio, due padri suggerirono di intraprendere un impegno nelle Filippine. “Sarebbe un grande vantaggio per il nostro Istituto Missionario avere membri filippini, per la posizione geografica delle isole, di fronte all’Asia e la Malesia , ma anche il Giappone e la Cina. Inoltre è gente aperta dal punto di vista vocazionale. I Padri del Verbo Divino, per esempio, hanno diversi filippini con circa 25-30 ordinazioni all’anno, ed hanno due Direttori Vocazionali. Anche altri Istituti hanno molte vocazioni. I Filippini, per di più non hanno problemi a lavorare all’estero; questo paese sarebbe un buon campo di lavoro per il reclutamento delle vocazioni.” (Vedi Boll. N. 117 pagine 33-3) Questi suggerimenti furono attuati nel 1987 a seguito di altri viaggi esplorativi. 11. Conferenza Generale dei Vescovi dell’America Latina, Puebla 1979 a. Tematiche La conferenza di Puebla (27 gennaio –13 febbraio 1979) si tenne dieci anni dopo la Conferenza di Medellin sia per valutare il suo impatto nell’America Latina , sia per prendere in considerazione eventuali altri passi da fare. La tematica era “L’Evangelizzazione adesso e nel futuro dell’America Latina” Lo sfondo pastorale e teologico fu visto da due distinti punti di vista: la comunione e la compartecipazione. Ø La comunione con Dio attraverso la fede, la preghiera, il recezione dei Sacramenti con tutti i fedeli fino al Papa, e con tutte le comunità Cristiane per la riconciliazione e il servizio nell’evangelizzazione. Ø La partecipazione nella vita della Chiesa, della società, degli aborigeni, in special modo quelli dell’America latina. Dio è amore, condividiamo la sua unicità con Lui e la Fraternità con tutti gli uomini. b. La valutazione di Medellin La valutazione di Medellin è molto positiva, in quanto i principi sono stati seguiti con grande impatto sul popolo di Dio. Ciò nonostante, i Vescovi riconoscono che il comandamento dell’amore non è stato del tutto attuato, neanche da loro stessi, e chiedono perdono e riconciliazione con tutti. c. Alcuni argomenti particolari I Vescovi sottolinearono e chiarirono alcuni argomenti che erano stati mal interpretati o sottovalutati. L’opzione per i poveri L’opzione per i poveri è preferenziale, non esclusiva. Questo ha un duplice significato: Ø Primo: il miglior servizio all’umanità non è materiale o sociale, ma spirituale: la proclamazione della Buona Novella; che prepara l’essere umano ad entrare nel regno di Dio. Ø Secondo: Il servizio dell’evangelizzazione deve raggiungere tutti e mirare alla loro conversione di modo che coloro che hanno, aiutino coloro che non hanno (474; 1150). La Liberazione La liberazione deve essere integrale, autentica, veramente Cristiana, e cioè basata su tre pilastri: La verità su Cristo, la Sua Chiesa, l’essere umano autentico e completo. (484).

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Ø Per essere integrale deve includere: Ø La liberazione dalla schiavitù personale e sociale del peccato, dell’egoismo e della malvagità. Ø La liberazione non è soltanto da qualcosa o da qualcuno ma deve farci interiormente liberi per il raggiungimento di una crescita progressiva per diventare qualcuno, ed essere in comunione con il fine escatologico comune (482). Ø La liberazione deve essere raggiunta attraverso i mezzi offerti dal Vangelo e dallo Spirito Santo senza violenza o lotta di classe (486). È soltanto quando gli elementi sopra citati sono presenti che la liberazione diventa una parte essenziale dell’evangelizzazione (315) e che lo sviluppo ne diventa parte integrale (355). Il Marxismo ed il Capitalismo Liberale Queste due ideologie, una volta abbracciate soggiogano la mente in una sola direzione: l’idolatria del danaro e del progresso materiale; altri valori vengono sacrificati pur di raggiungere uno scopo in modo machiavellico. Sono ambedue capitalistiche : il Marxismo dello Stato, il Capitalismo degli individui o gruppi di persone, e lentamente diventano religioni senza Dio. Inoltre, il CAPITALISMO selvaggio in alcune nazioni è stato controllato. L’iniziativa privata deve, certamente, essere mantenuta, ma se è vero che un certo tipo di capitalismo è stato sorgente di eccessiva sofferenza, ingiustizie, e conflitti fratricidi gli effetti dei quali persistono tuttora, sarebbe ugualmente sbagliato attribuire all’industrializzazione stessa mali che appartengono al triste sistema che l’ha accompagnato (342). Di più; molti capitalisti vivono da atei. (546) Il MARXISMO. Siccome alcuni teologi hanno incluso elementi del Marxismo in alcune “teologie della liberazione”, Puebla li ammonisce. In quest’occasione i Vescovi danno dei chiarimenti: non tutti coloro che sono contro il capitalismo selvaggio sono necessariamente macchiati da ideologie Marxiste. (92) I Vescovi respingono: Ø La lotta di classe (544, e tutte le forme di violenza 532). Ø Una società “impiattita” alla quale si arriva attraverso la dittatura di una classe organizzata come partito unico. Ø L’ateismo militante. Ø “La credenza che sia possibile separare l’analisi Marxista dalla sua filosofia materialistica di base: “sarebbe illusorio e pericoloso arrivare al punto di dimenticare il vincolo intimo che li unisce assieme, di accettare gli elementi dell’analisi Marxista senza riconoscere la loro relazione con l’ideologia e di entrare a far parte della lotta di classe e le sue interpretazioni Marxiste, dimenticandoci di percepire il tipo di totalitarismo e di quella civiltà violenta alla quale porta questo procedimento.” (544 citando la lettera Apostolica “Octagesima Adveniens” di Paolo VI , 1971) I Vescovi affermano: Ø Una riflessione teologica che inizia dall’analisi Marxista tende a ridurre lo scopo della Chiesa ad una meta che è soltanto accentrata sull’uomo: per cui la salvezza che essa gli offre sarebbe ridotta a un benessere meramente materiale. La fede si ridurrebbe a scienza politica o sociale tralasciando o negando la dimensione trascendentale della salvezza cristiana (545). Ø La Chiesa vuole tenersi lontana dai sistemi socio –politici : il suo scopo è–l’intero essere umano (551). Essa ha nella fede un patrimonio di principi necessari per lavorare con successo alla totale liberazione della persona umana (552).

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Culti popolari Dopo Medellin, molti sacerdoti cercarono indiscriminatamente di scoraggiare e/o bandire manifestazioni di pietà popolare come il Rosario, pellegrinaggi, la Via Crucis, la cura degli oggetti sacri, l’uso dei Sacramentali come l’acqua santa ecc. Puebla consiglia agli agenti pastorali di: Ø Preservare la pietà popolare dei contadini e degli aborigeni cercando di purificarla dagli elementi superstiziosi (464). Ø Rivitalizzare i valori del Vangelo che hanno attinenza con la pietà popolare sia personale che comunitaria (959). Ø La pietà popolare deve essere lo spunto per catechizzare i Cristiani e offrire loro la Parola di Dio; (960) perciò non deve essere scoraggiata. Se ci sono abusi, essi possono essere eliminati attraverso una giusta catechesi (96) . La Madonna ed i santi devono essere presentati come personificazioni del Mistero Pasquale vissuto da Cristo (963). d. Altri punti che sono riaffermati o sottolineati Ø La riflessione teologica (il giudicare) deve basarsi sulla conoscenza (il vedere) della realtà della nostra gente che domanda giustizia , libertà e il rispetto dei loro diritti fondamentali (40). Ø L’essere Discepolo di Cristo deve essere vissuto in modo autentico e nutrito dal Vangelo, ma non dobbiamo dimenticare le dimensioni politiche e sociali del messaggio nello spirito della comunione e della partecipazione con i nostri fedeli (48). Ø Dare la preferenza all’assistenza dei giovani latino-americani che sembrano condannati a vivere senza i benefici propri della giovinezza. Ø La promozione della donna all’interno della Chiesa stia a cuore a tutti: questo deve portare ad un maggior loro coinvolgimento a pianificare il lavoro pastorale che il clero condivide con loro. e. Gli Indio e gli Afro-Americani Tutti gli agenti pastorali devono dedicarsi ai gruppi di indios e di afro-americani: essi vengono tenuti ai margini della civiltà e vivono in condizioni disumane. Essi devono essere considerati i più poveri fra i poveri (34). Una evangelizzazione adeguata deve arrivare anche a loro , nessun gruppo deve essere dimenticato dagli agenti pastorali. (365). I nostri confratelli in particolare quelli del Brasile e dell’Ecuador, se ne occuparono con vivo impegno . Alcuni di loro hanno fatto delle ricerche sulla loro storia, i loro costumi e tradizioni. f. Commenti I documenti di Puebla, ed in seguito quelli di Santo Domingo del 1993 non parlano affatto della “TEOLOGIA DELLA LIBERAZIONE “. Quello che adesso prevale è il termine “Teologia dell’Azione Pastorale” che non è molto diversa dalla così detta “Teologia Contestuale” per quanto concerne la metodologia. Alcuni TEOLOGI DELLA LIBERAZIONE seguono l’analisi di dividere gli esseri umani fra gli oppressi e gli oppressori. L’analisi di Gesù nel capitolo 26 di S. Matteo divide gli esseri umani fra coloro che amano il prossimo e coloro che non lo amano. Difatti, quando l’oppresso prende il posto dell’oppressore e libera per amore, egli continuerà ad amare. Altrimenti, egli stesso. diventerà un oppressore, come tutti i liberatori che hanno liberato attraverso la violenza e l’odio. Quasi tutti i leader marxisti leninisti dal liberatore Lenin a Stalin a Mao-Tse –Tung, a Polpot, a Fidel Castro, Menghistu, Samora Machel ed altri ancora fecero esattamente così.

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I veri liberatori come Gandhi e Martin Luther King non odiavano, non usavano violenza,. È vero, essi stessi morirono, ma salvarono milioni di persone che sarebbero altrimenti morti nella violenza che genera altra violenza e perpetua odio e vendetta. (Il Rwanda ne è un classico esempio). L’OPZIONE PER I POVERI può essere meglio identificata come l’opzione per gli impotenti , per chiarire che il povero non è soltanto colui che è economicamente povero, ma tutti coloro che subiscono ingiustizie, che vengono discriminati, gli innocenti ingiustamente condannati dai tribunali civili o militari languiscono in prigione. Fra di loro possiamo trovare gente agiata, ma che è impotente come i malati o gli incurabili. Come per dare aiuto ai poveri ci rivolgiamo ai ricchi, così per gli impotenti ci rivolgiamo ai potenti. Non è questione di compromettere i nostri principi, e neanche mettersi dalla loro parte o usufruire dei loro benefici: questo è successo in passato e può succedere ancora adesso. Non dobbiamo dare questa impressione oggi, ma come Comboni, per l’amore dei poveri e impotenti, ci avviciniamo ai ricchi e potenti per cercare di dar loro l’opportunità di fare del bene che il Signore può ricompensare con la conversione e la salvezza. Gesù venne per i peccatori sia ricchi che poveri. Dobbiamo interessarci anche dei ricchi affinché possiamo aiutarli ad accettare il dono della conversione a Gesù, la vera ricchezza per tutti. TESTIMONI MONS. RINO CARLESI: un uomo povero per i poveri . Pistoia 1922 – Verona 1999, Vescovo di Balsas (1967-1999) Mons. Carlesi che prese i voti perpetui nel 1946 fu ordinato sacerdote il 31 maggio 1947. Il suo sogno era di diventare missionario in Africa e così durante gli anni del corso di teologia iniziò ad imparare l’inglese. I Superiori, però, lo mandarono in Portogallo e da lì in Brasile. Mons. Carlesi continuò il lavoro iniziato dal precedente vescovo di Balsas , nel contempo con acume e serenità introdusse la Chiesa locale ai nuovi metodi di evangelizzazione ispirati dal Concilio Vaticano II e dalla conferenza di Medellin. Era solito dire che si riteneva un Vescovo felice, la sua felicità era la felicità degli altri, specialmente i derelitti e gli umili. La sua povertà fu evidente alla sua morte. Possedeva solo una valigia con pochi abiti, gli arredi Episcopali, alcuni libri personali. Visse e insegnò con il suo stile di vita come pastore e religioso, convinto che un missionario non è proprietà privata bensì un dono alla comunità. La sua devozione alla madonna di Guadalupe era rimarchevole. Aveva la sua immagine sulla sua Mitra. Il Vescovo Franco Masserdoti, suo successore scrive il seguente aneddoto che mostra la semplicità ed umiltà del suo predecessore: “Alcuni anni fa, il vescovo Rino si recò al Santuario della Madonna di Guadalupe, a Città del Messico assieme ad alcuni nostri missionari che stavano seguendo un corso. Un giorno non si presentò al corso. Era uscito presto la mattina e tornò la sera tardi avendo passato l’intera giornata al Santuario. Ci disse: “Sulla strada per il Santuario mi imbattei in una coppia . L’uomo era in ginocchio e si muoveva lentamente portando in braccio un bambino ammalato. Sua moglie lo stava aiutando. Stavano facendo un voto alla Madonna alla quale avevano chiesto di guarire il bimbo. Non sapevo cosa fare per aiutarli, così mi sono inginocchiato accanto all’uomo e lo ho accompagnato in ginocchio per il restante miglio di strada fino al Santuario”. Questo era il vescovo Rino: in ginocchio accanto ai poveri ed ai sofferenti in cammino verso la Madonna, verso Dio . Il Vescovo Petro Casaldáliga lo ricorda così: “Il vescovo Rino Carlesi: Servo buono e fedele, umile, al servizio del popolo, di buon carattere, un buon compagno di Viaggio che non nascondeva nulla. Un testimone libero e una speranza per il vangelo”.

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MONS: ENRICO BARTOLUCCI : un uomo alla ricerca del Cuore di Dio Mercatello sul Metauro (PS) 14/03/28 – Quito Ecuador 10/02/95. Nel 1973 fu eletto secondo Vescovo di Esmeraldas in Ecuador e fu consacrato il 29 giugno. Fece bene il suo lavoro meritando il rispetto e l’amore di tutti. Mons. Bartolucci dette prova di essere un pastore coraggioso e lungimirante. Fra gli incarichi da lui svolti troviamo i seguenti: la fondazione delle Suore Missionarie del Sacro Cuore, della Università Cattolica, la pubblicazione del Direttorio Pastorale l’avvio di due riviste (Apertura e Iglesia Joven) e di una stazione radiofonica (Radio Antena Libre). Con l’aiuto dei nostri missionari e molti altri istituti da lui invitati, iniziò o benedì molti progetti pastorali, educativi e di sviluppo fra i quali: nuove parrocchie, otto delle quali situate nei sobborghi, 13 scuole materne, una quindicina di scuole di ogni ordine e grado, tre scuole con corsi seguiti per corrispondenza o alla radio; l’Istituto Pedagogico per il training degli insegnanti, l’Istituto per bambini handicappati, la Città dei Ragazzi (già funzionante), case di riposo per anziani, due centri per la tutela di ragazze a rischio, il centro Santa Croce per la Spiritualità, il Centro Giovanile Vocazionale Beato Juan Diego, un convento per Suore Trappiste. Era sempre pronto ad intraprendere nuove iniziative, a volte gli altri non riuscivano a stargli dietro. Durante i suoi 22 anni di episcopato, comunque, il Vicariato crebbe sia di numero che nel modo in cui veniva amministrato. Si può definire “un uomo alla ricerca del Cuore di Dio” . Uno dei missionari che gli fu vicino per molti anni scrisse: “Potrebbe essere chiamato ‘ un uomo alla ricerca del cuore di Dio’, la sua umiltà, la sua incrollabile ‘pace interiore ‘ erano uniche. Nessuno si ricorda di averlo mai visto arrabbiato o turbato. Attristato per alcune cose, sì, pignolo per altre che considerava importanti, sì, ma essenzialmente sereno e gentile. Mai duro. Gli piaceva approfondire e finire ciò che faceva anche se a volte sapeva che non poteva averla vinta.” Tutto ciò che faceva unito al grande zelo che mostrava, derivavano dalla sua vita di preghiera e meditazione. Anche se avesse dedicato lunghe ore al suo lavoro quotidiano o avesse dovuto viaggiare a lungo, egli trovava sempre il tempo da dedicare due o tre ore alla preghiera. Suonava e cantava con l’entusiasmo di un bambino; fu sempre fedele alla preghiera comune e le devozioni. Il suo studio e la sua camera erano pieni di libri, molti dei quali sulla meditazione, la spiritualità, il misticismo e le vite dei santi. Vale la pena ricordare che la sua profonda vita spirituale lo portò ad essere eletto Presidente della Commissione per la “Santificazione della Chiesa” nella Conferenza Episcopale (assieme a quella delle missioni, ovviamente). Fu sempre fedele alla giornata mensile di ritiro spirituale, alla confessione settimanale e alle devozioni dei Missionari Comboniani. Di lui fu detto che era il più “Comboniano” di tutti i Comboniani e più religioso di tutti gli altri religiosi. Maneggiava grandi somme di danaro, ma visse sempre poveramente, dipendendo dagli altri, senza un soldo in tasca; per sè non comprava mai niente. La obbedienza alla “Chiesa “(le decisioni della Conferenza Episcopale e quelle della Santa Sede) fu completa, fino ai minimi dettagli. Era stimato internazionalmente per il suo lavoro ed i suoi scritti. Fu molto apprezzato dalla Chiesa ecuadoriana perché, senza diventare estremista, fu coraggioso nella sua difesa dei Diritti Umani, nella promozione delle culture, nel suo servizio ai poveri. Era molto amato nel suo Vicariato, la gente si rivolgeva a lui come pastore e padre, i sacerdoti sapevano di essere compresi e apprezzati, le Suore sapevano che riconosceva il loro valore. Rispettava ed amava i personaggi politici e le autorità, sempre alla ricerca di una cooperazione positiva per il bene del popolo, anche se a volte non era facile trattare con loro. Nel suoi articoli e discorsi, criticava aspramente la corruzione e il modo in cui la provincia di Esmeraldas veniva trascurata, propendeva per i più poveri e abbandonati. Dopo tre interventi addominali per tumore, Mons. Bartolucci morì a Quito il 10 febbraio 1995. FRATEL AUGUST CAGOL (1879 –1977) Un gentiluomo educato dai valori cristiani. Nella sua Omelia al funerale di Frate Cagol, P. Geog Klose, ex Superiore Generale del MFSC disse: “‘La mia casa è il mondo’, sembra che abbia detto suo padre di se stesso: queste parole possiamo applicarle anche a Fratel Cagol. Questo suo desiderio di andare per il mondo deve averlo ereditato da suo padre, ingegnere delle ferrovie. I diversi impegni di lavoro lo portavano a viaggiare in giro per la Germania e il resto dell’Europa per cui la sua famiglia non ebbe mai una residenza stabile. La vita del nostro compianto confratello è stata alquanto simile. “ Fratel August Cagol nacque a Darfeld, nella Diocesi di Münster, Germania settentrionale, il 6 marzo 1879. Il 17 luglio 1900 , entrò come postulante nella Herz-Jesu-Missionhaus Milland (Bressanone). Dopo

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un mese, inizio il suo noviziato. L’8 settembre due anni dopo, prese i voti perpetui com’era d’uso allora. Aveva 23 anni. Per professione era giardiniere, ma sin dall’inizio delle sua vita religiosa mostrò una sua particolare caratteristica: la sua disponibilità e talento a fare qualsiasi cosa ci fosse bisogno di fare. Madre natura lo aveva largamente dotato, era pure molto intelligente, quindi sapeva fare molte cose. Era capace di fare il cuoco, il giardiniere, l’economo, il segretario del vescovo, l’editore della rivista missionaria di allora, “Stern der Niger” (Stella dei Negri). Durante la sua lunga vita come religioso, i suoi incarichi sia in patria che nelle missioni furono molteplici. In qualsiasi situazione, si trovava sempre a suo agio. La sua attività di segretario del suo ex maestro dei Novizi Mons. Geyer, per lunghi anni dal 1904 al 1915 e anche durante un breve periodo in seguito, devono averlo molto influenzato. Fino alla fine egli non dimenticò mai mons. Geyer. Alcuni giorni prima della sua morte, quando non era più in grado di pensare chiaramente, scambiò uno dei nostri confratelli che era andato a trovarlo per il vescovo Geyer. Fratel Cagol entrò nella nostra Congregazione molti anni prima che si dividesse. Fu uno degli ultimi membri della Congregazione tedesca a lavorare nelle Missioni del Sudan. Se fosse vissuto altri due anni avrebbe visto la riunificazione dopo la divisione avvenuta nel 1923. Era , in ogni caso, presente a Ellwangen quando i Capitoli dei due Istituti decisero di riunirsi. Fu sentito esclamare “O felix culpa”, tanto era felice della riunione. Dopo aver svolto i suoi compiti come segretario del Vescovo Geyer nel 1916 tornò in Europa e nonostante tutto quello che aveva imparato e nonostante la sua intelligenza, egli si mise umilmente al lavoro nei giardini di Messendorf, Milland, Verona e Josefstal. Dal 1925 al 1939 lo troviamo di nuovo nelle missioni. Di nuovo in Europa dal 1939 al 1948. Nel 1948 andò in Sud Africa per poi tornare in Europa (1960-1964) All’età di 85 anni tornò da solo in Sud Africa fino al 1971. Quando finalmente tornò in Germania fu per passare i suoi ultimi anni a Mellatz e Josefstal. Durante la sua lunga vita Frate Cagol ebbe modo di imparare molte lingue. La sua memoria rimase limpida fino alla fine. Era molto aperto mentalmente e visse appieno il suo tempo. Non si tagliò fuori dagli sviluppi nella Chiesa. Senza pregiudizi, egli accettò e seguì il rinnovo della Chiesa portato dal Concilio Vaticano II. Era abbastanza flessibile da capire i cambiamenti. Nonostante la sua età trovava sempre qualcosa per tenerlo occupato seriamente. Faceva volentieri delle traduzioni e fungeva da interprete , specialmente a Josefstal quando arrivavano visitatori stranieri. Gli piaceva essere in contatto con i giovani e raccontava storie della sua vita quando gli veniva chiesto. Non s’imponeva mai sugli altri. Era una persona gentile, sensata e matura. Partecipava ai consigli della comunità attivamente, presentando spesso proposte utili. Egli non era all’antica, tutto il contrario, era aperto alle innovazioni, e capace di adattarsi ai cambiamenti. Fu una personalità straordinaria nella storia della nostra Congregazione. Penso che si possa dire che Fratel Cagol era un signore formato dai valori Cristiani. Un Religioso e missionario che visse 97 anni ma che rimase giovane in spirito, e forse questa è la cosa più sorprendente della sua vita.

LE SUORE 1. Capitolo generale: ordinario e speciale 1970 Il Capitolo si tenne a Roma in due sessioni dal 1 ottobre 1969 al 16 maggio 1970 e dal 2 giugno al 14 settembre 1970 Le Capitolari furono 59; 23 ex offico e 36 delegate. Le elezioni dettero i seguenti risultati: Madre M. Federica Bettari - Superiora Generale Suor M. Fiorentina Buontoso - Vicaria Generale Suor M. Barbara Mc. Dermott - Assistente Suor M. Bartolomea Pedretti - Assistente Suor M. Aldina Martini - Assistente

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Il compito più importante svolto dal Capitolo fu di aggiornare le costituzioni secondo i cambiamenti apportati dal Concilio Vaticano II. I Documenti Capitolari furono il risultato del capitolo Speciale. I punti principali del Capitolo ordinario furono l’elezione del nuovo Consiglio generale e il piano sessennale. Statistiche Al 1 settembre 1970 Professe con voti perpetui Professe con voti temporanei Totale:

-

1.878 294 2.172

2. XIII° Capitolo 1976 Elezioni Madre M. Fiorentina Buontoso (+1980) - Superiora Generale Suor Carmen Mendez - Vicaria Generale Suor Gianna Amalia Garlini (+ 1978) - Assistente Suor Aldina Martini - Assistente Suor Anna Maria Robbi - Assistente Per la prima volta dalla fondazione dell’Istituto la Superiora Generale non fu rieletta. Le innovazioni apportate da Madre Federica erano controverse, come ci si poteva aspettare. A suo merito, comunque, il fatto di aver rotto il ghiaccio. Questo Capitolo voleva esaminare le innovazioni nelle metodologia missionaria, il campo di lavoro come missionari, l’estensione del Carisma dell’Istituto. Un punto importante fu anche la revisione degli Atti Capitolari del capitolo Straordinario del 1970. Il Concilio Vaticano aveva chiesto a tutti gli Istituti Religiosi di controllare che stessero seguendo la loro “Inspiratio primigenia”. Questa revisione dette vita alla regola di Vita che mostra chiaramente le basi giuridiche e teologiche dell’Istituto Religioso Missionario.

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Capitolo Sedicesimo DODICESIMO CAPITOLO GENERALE PERIODO DAL 1979 AL 1985

A. DODICESIMO CAPITOLO GENERALE (ROMA 1979) Questo Capitolo ebbe luogo a Roma e fu diviso in due sessioni: I Sessione: 22 giugno al 3 agosto II Sessione: 20 agosto al 5 ottobre I membri del Capitolo erano 79. Per i membri dell’Istituto dobbiamo distinguere: Prima della riunione Vescovi FSCJ 12 MFSC 3 Dopo la riunione 15

Padri 1.123 120

Fratelli 296 72

Scolastici 132 8

Totale 1.565 203

1.245

368

140

1.768

1. Atti del Capitolo Ø La Riunione : vedere Capitolo 15,2 Ø Relazioni : Si riferiscono al periodo 1975-1979 . abbiamo già descritto quanto successo allora. Ø Dibattito ed approvazione della “Regola di Vita” 1979. La bozza fu preparata da una commissione appositamente nominata. Questa Regola di Vita fu aggiornata dopo la pubblicazione del diritto Canonico del 1983. Questa è la Regola di Vita del 1988 2. Elezioni P. Salvatore Calvia. Superiore Generale P. Alois Eder, Vicario Generale Fr. Enrico Massignani (rieletto) P. Francesco Pierli P. Gianfranco Masserdoti P. SALVATORE CALVIA Berchidda (Sardegna) 1924. Fu ordinato il 6 aprile a Roma dove prese la Licenza in Teologia presso l’Università Urbaniana. Destinato allo studio dell’arabo, visse a Zahle nel Libano per 6 anni dove aiutò i nostri confratelli a studiare quella lingua. (1949-1955). In seguito, dopo essersi recato in Inghilterra ad imparare l’inglese e fatta esperienza nel Sud Sudan (1955-1958) andò in Egitto (1958-1969) . Gli egiziani ammiravano il modo in cui parlava l’arabo classico. Nel 1969 dopo aver partecipato al Capitolo come Delegato dell’Egitto, fu nominato Segretario Generale e poi , due anni più tardi, fu anche nominato Assistente Generale fino al 1975 quando tornò in Egitto

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come Superiore della Delegazione. Fra le sue mansioni vi era la gestione della grossa scuola di Helouan e in seguito fu direttore delle Pontificie Opere Missionarie (POM) fino al 1979 quando divenne Superiore Generale fino al 1985. Durante questo periodo la causa per la Beatificazione del Beato Daniele Comboni fece passi da gigante. Ebbe anche un ruolo importante nelle celebrazioni del 1981 per la commemorazione dei cento anni dalla morte del nostro Fondatore. La sua umiltà e mitezza furono d’aiuto nel consolidamento della Riunione con il MFSC che era stata approvata e conclusa, proprio all’inizio del suo mandato. Tornò poi in Egitto ad Helouan e in seguito al Cairo. Oltre a conoscere l’inglese e l’arabo, parla fluentemente anche il francese e lo spagnolo.

B. ATTIVITÀ E COMMENTI SUL PERIODO 1979-1985 In generale, se confrontato con gli anni precedenti (1965-1979) questo fu un periodo relativamente calmo, come è normale in tutti i corpi viventi, però, nuovi problemi erano in agguato: Ø La Riunione con la Provincia di lingua tedesca, stava procedendo bene. In questo periodo solo un membro del MFSC lasciò l’Istituto perché non approvava il modo in cui era avvenuta la riunione. Ø All’interno dell’Istituto, la tendenza a diventare intercontinentale è in aumento, con tutti i vantaggi e svantaggi che comporta; alcuni sembrano ignorare questa tendenza fino a farla diventare un elemento di spaccatura (vedere relazione del Consiglio Generale al Capitolo del 1985). Ø Vi sono segni positivi di una crescente identità all’interno dell’Istituto, principalmente attorno alla personalità deli Comboni. Vengono promossi corsi e diverse pubblicazioni: ciò nonostante alcuni membri dell’Istituto rimangono indifferenti: – L’individualismo nelle comunità e di conseguenza anche nell’apostolato è piuttosto comune. – Per alcuni gruppi, la dovuta importanza data alle Chiese locali significa marginalizzare l’identità Comboniana. – La Regola di Vita che è struttura portante per potersi identificare con l’Istituto non viene letta né meditata a sufficienza, specialmente a livello di comunità locale. Nei ritiri annuali, ci si sofferma solo marginalmente su questo argomento, con il risultato che la Regola di Vita non è di aiuto nel nutrire la spiritualità dei nostri membri. Ciò non di meno, un certo numero dei nostri confratelli individualmente la leggono, la meditano e si attengono a quanto in essa esposta. – Non sempre è capito il significato del nostro Carisma. La spiritualità è parte essenziale del Carisma, della nostra identità. Dire che il nostro Carisma è ‘ad gentes‘ senza includervi la spiritualità è una visione parziale e riduttiva del Carisma. – L’individualismo e l’inesperienza provocano una confusione poco salutare sul significato dell’evangelizzazione, la promozione umana e l’animazione missionaria. – Ci sono stati segni positivi riguardanti il crescente interesse per la preghiera comunitaria: alcuni confratelli hanno provato altre esperienze di preghiera, anche con l’aiuto di movimenti ecclesiali. Nonostante ciò la stragrande maggioranza non presta ancora abbastanza attenzione alla preghiera personale con tutte le conseguenze che ne derivano per la vita consacrata. Ø Il Consiglio generale ha fatto del suo meglio per rimediare a tale situazione con corsi di formazione permanente. Ø Nel 1984 si pubblica la seconda edizione del Direttorio Generale della Curia. Ø Apertura della promozione vocazionale in Polonia negli anni 1984-1985, in Cile nel 1984.

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1. Formazione di base Le case di formazione hanno i loro direttori e la carta della comunità. Si continuano a tenere numerose assemblee a vari livelli, anche per l’animazione missionaria. Quello che è difficile è la selezione e la preparazione dei formatori, soprattutto per il fatto che ne servono un gran numero. Le assemblee non sempre valutano le decisioni prese in precedenza, spesso non prendono decisioni che migliorano la situazione, anzi, agiscono in deroga a quanto già stabilito. La relazione del Consiglio Generale al Capitolo del 1985 afferma: “Ci sembra, tuttavia, che il follow-up non sia stato sufficiente, forse a causa di mancanza di conclusioni realistiche e concrete, nonché per mancanza di supporto e continuità. Mancavano intermediari a livello provinciale.” Ø Nuovi Postulati vengono aperti nelle missioni: Ecuador nel 1982, Togo e Kenia nel 1983, Malawi nel 1985 . Ø Scolasticati per Fratelli o CIF a Nairobi nel 1982 e Kinshasa nel 1984. Ø Ciò sembra indicare la necessità di fare animazione missionaria su scala più grande nei territori missionari Ø I Seminari Minori in Brasile, Italia, Spagna vengono chiusi a poco a poco. 2. La Formazione permanente Ø Le specializzazioni in questo periodo, furono pianificate più efficacemente in vista delle reali necessità della Congregazione e delle missioni. Così in questo sessennio vi furono: 6 tesi di dottorato; 10 Licenze; 4 Diplomi Universitari; 12 corsi che portano a Diplomi di diverso tipo. Ø Fin’ora la formazione permanente funziona bene a livello strutturale, ma vi sono dei problemi a livello personale specialmente per alcuni Superiori locali. Ø Il Centenario del Comboni e il progresso nella Causa della sua Beatificazione, nonché i due corsi monografici del 1979 e del 1984 aumentano l’interesse sul significato del Carisma del Comboni e della Congregazione. Ø Si guarda alla spiritualità del Cuore di Gesù da diversi punti di vista (vedere “Il Cuore Trafitto del Buon Pastore “di p.Pierli , EMI 1985). 3. La continuazione della crisi Nella relazione del Consiglio Generale al capitolo del 1985 leggiamo: “Il fenomeno dei confratelli che lasciano la Congregazione esiste ed è serio. Forse, illudendoci che si sarebbe arginata, non le abbiamo dato la dovuta attenzione, specialmente per quanto riguarda la formazione permanente.” Riportiamo qui una tabella , separando gli anni 1986 e 1987 per poter confrontare le percentuali di coloro che lasciano la Congregazione con i nuovi professi:

1980-85 1986 1987 TOTALI

Prof. 265 40 34 339

Totale Uscite Differenza 94 +164 17 +13 14 +13 125 +205

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Padri 26 2 28

Scolastici 52 12 12 75

Fratelli 16 4 1 27

% 39% 43% 41%


Annotazione: Mentre nel periodo 1970-1979 sia le richieste che le concessioni di laicizzazione da parte dei sacerdoti erano di numero maggiore, 57 su 84, dal 1980 prevalse l’incardinazione, 34 su 65, che indicherebbe la mancanza dell’identità Comboniana. La politica della Santa Sede è difatti cambiata; durante il Pontificato di Papa Paolo VI le dispense venivano concesse soprattutto a fatto compiuto, cioè una volta che convivessero. Però, verso la fine del suo pontificato il Papa stesso ebbe dei dubbi a proposito di questa politica. Fu fatto notare che non vi erano dispense per il Matrimonio se si eccettua l’annullamento (in caso della non esistenza di un valido matrimonio); si doveva seguire lo stesso criterio per quanto riguardava il sacerdozio, cioè accordare la dispensa solo a coloro che dimostravano che la loro Ordinazione, per qualsiasi motivo, non fosse valida. Comunque, la dispensa viene concessa anche a sacerdoti di una certa età (50 anni) che si siano accollati le responsabilità di una famiglia ed in particolare debbano educare eventuali figli. Oltre a coloro che se ne andarono, ci furono diversi confratelli che si trovavano al di fuori della comunità: nel 1987 ce ne erano 40; nel 1990, 46; nel 1994,56; nel 2000, 134. Questi casi sono aperti a diverse soluzioni, incluso un eventuale rientro nella comunità, il che, a dire il vero, accade molto di rado.. 4. Sviluppi nell’Animazione Missionaria Vengono aperti dei centri in Polonia e in Cile nel 1984 e nel 1985. Nel 1981 a Roma si tiene un Congresso internazionale di Studi Africani , “L’Africa all’epoca di Comboni” per ricordare il centenario della sua morte ed il 150° anniversario della sua nascita. Fu pubblicato un numero unico “Daniele Comboni nel Centenario dalla sua morte” contenente messaggi del Papa, della Conferenza Episcopale, dei nostri confratelli esperti in materia, e di altre personalità di spicco. Nel suo discorso d’apertura alla Conferenza Episcopale del Sudan il 30 settembre 1981 Papa Giovanni Paolo II disse: “Il centenario della morte del Comboni è diventato di per se, un “simbolo di speranza” nel Sudan. Quello stesso giorno, il 10 ottobre, tre settimane fa, la speranza missionaria ha trovato la sua realizzazione nella persona dell’Arcivescovo Zubeir che segue il suo benamato predecessore, l’Arcivescovo Baroni, nella veste di metropolitano di Khartoum”. Nel suo discorso, l’Arcivescovo replicò: “Aspettiamo con ansia il giorno in cui questo grande apostolo sarà elevato agli onori dell’Altare così che la sua vita possa fungere da ispirazione per tutti gli sforzi missionari della Chiesa”. 5. Particolari situazioni socio-politiche in Africa Mozambico Nel Mozambico la situazione per i missionari sta migliorando, vengono concessi alcuni permessi e vi è meno controllo sulle attività missionarie; la vita della gente, però, sta diventando sempre più difficile. I nostri missionari condividono le loro sofferenze. L’emigrazione di massa esige assistenza religiosa e l’Istituto invia sacerdoti, fratelli senza dimenticare le Suore Comboniane, a dare una mano tra i rifugiati nel Malawi. Uganda In alcune parti dell’Uganda la guerriglia contro il governo ha portato alla completa violazione dei diritti umani. Nessuno è sicuro: furti e saccheggi nelle missioni sono all’ordine del giorno. In questo periodo, il Signore chiama a sè due martiri: padre Osmundo Bilbao e suor Liliana Rivetta.

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Sud Sudan In questa regione la guerriglia del SPLA continua ad impoverire la popolazione e aumentano le persecuzioni dei Cristiani. Le relazioni fra i musulmani ed i cristiani deteriorano drasticamente. I nostri missionari hanno difficoltà a muoversi, in alcuni posti è praticamente impossibile farlo, specialmente nei casi in cui si rende necessario lasciare il paese. L’Amministratore Apostolico, mons. Pellegrino e p. Cefalo vengono sequestrati nel 1987 e devono sopportare un lungo viaggio verso l’Etiopia dove saranno poi rilasciati. Ricorrenti carestie e siccità in diversi paesi africani e latino americani impoveriscono ulteriormente quei popoli già altamente provati, creando miseria e migrazioni di massa all’interno e al di fuori dei loro paesi. 6. Il Periodo Post-Indipendenza in Africa e l’Assemblea Generale SECAM del 1981 Dopo circa 20 o 30 anni di indipendenza di molti paesi in Africa possiamo vedere e giudicare la situazione attuale. Dico “paesi” e non “nazioni” in quanto nella maggioranza dei casi l’indipendenza non dà vita a Nazioni unificate, bensì a singoli Governi centrali e singoli Stati. In molti paesi nazionalità differenti si trovano unificate da un singolo Governo. Possiamo chiamarle “tribù “se parliamo di gente ancora primitiva che sta lentamente sviluppandosi come i Karamoja in Uganda e i Turkana in Kenya. Allo stesso tempo possiamo chiamare “Nazionalità “quei gruppi etnici i quali, oltre ai valori della loro cultura originale inclusa la lingua, abbiano acquisito un migliore standard di vita e possono avvalersi di tutti i prodotti della moderna tecnologia inclusa la telefonia mobile, televisori a colori , computer ecc. (non sono molto comuni fuori delle città, ma sono tuttavia presenti e disponibili). Il valore più grande acquisito dopo l’ indipendenza, io credo, sia che la gente locale è in grado di essere padrone del proprio destino e protagonista della sua storia. Dico in grado, perché non sempre ci riescono, a causa di fattori interni ed esterni. Un proverbio cinese afferma che il viaggio più lungo inizia con il primo passo. Le Nazioni africane indipendenti hanno fatto il primo passo. Il viaggio è lungo e pieno di imprevisti, come lo fu per le nazioni europee dopo la Prima e la Seconda Guerra Mondiale. Probabilmente commetteranno degli errori, come ne commettono anche le nazioni altamente sviluppate. Né gli individui né le nazioni imparano dagli errori che hanno commesso. Si dice che l’esperienza sia la somma dei nostri errori. Una valutazione piuttosto critica dei passati 20-30 anni di indipendenza africana si riscontra in un documento sottoscritto dall’ASSEMBLEA GENERALE SECAM nel 1981 intitolato “La giustizia e l’Evangelizzazione in Africa” Cito: La realtà odierna Gravi situazioni continuano a proporci una sfida. Come ai tempi dei profeti, dobbiamo prendere atto che sotto ogni cielo ci sono individui, gruppi, ed anche nazioni che continuano, con cinica freddezza a calpestare i diritti degli altri. Pensate alle migliaia di vittime innocenti il cui grido di dolore ci giunge quasi giornalmente. Fattori esterni Dobbiamo prendere atto del dominio straniero politico, sociale e culturale. Quanti dei così detti interventi stranieri armati “liberatori” in realtà creano soltanto nuove dipendenze e un intero bagaglio di miseria, violenza e oppressione fisica, morale e religiosa. Pensate all’ingiusta distribuzione delle proprietà della terra fra i ricchi ed i poveri; ai discorsi dei debiti fra il Nord ed il Sud del mondo; all’immenso potere nelle mani delle multinazionali; alle ruberie delle materie prime dal Terzo Mondo; al crescente deterioramento negli scambi commerciali ed i debiti nazionali.

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Tutti questi fattori nel campo internazionale pesano gravemente sul continente africano, perpetuano situazioni di ingiustizia e creano quelli che spesso sono ostacoli insormontabili per lo sviluppo ed il progresso socio-economico. Fattori interni Ma se, ci soffermiamo per alcuni momenti sull’Africa, dobbiamo altresì ammettere, ahimè che gli stessi figli di questo continente sono lontani dall’essere redenti dal peccato del secolo. Violazioni dei diritti umani vengono perpetrate in migliaia di modi differenti ad ogni livello, ma in maniera particolare da coloro che possiedono il potere economico e politico. Per molti politici la politica non è diventata forse la strada propizia per le dittature, il totalitarismo, l’oppressione dei più deboli e i rivali vinti nelle campagne elettorali? La libertà d’espressione e il diritto all’informazione sono diventati attributi che la gente gode solo in modo parziale, se non per niente. Quante sono le nazioni dove la costituzione viene totalmente ignorata? In questo modo la persona diventa soltanto il giocattolo di un potere sfrenato che con il suo peso comprime i corpi e le menti; il bene comune è sostituito dagli interessi di individui o di singoli gruppi. La corruzione dilaga distruggendo gli standard morali. Per esempio, l’appropriazione indebita di fondi pubblici, o il rifiuto di dare gratuitamente quei servizi che sono dovuti negli ospedali e altrove. Vediamo anche la compravendita di coscienze e perfino delle conversioni. Vediamo i patrimoni nazionali sperperati per ragioni di prestigio, o la cattiva amministrazione di fondi pubblici che a volte porta allo sfascio dell’economia in paesi altrimenti ben forniti dalla natura, o anche la disorganizzazione dei servizi amministrativi che sono stati privati dello spirito che dovrebbe animarli, cioè la coscienza professionale e la dedizione al proprio dovere. E chi raccoglierà gli amari frutti? Le classe più basse delle aree rurali, o il normale lavoratore governativo il cui potere d’acquisto perde potere di giorno in giorno, al cospetto della prosperità della ricca minoranza. In questo mondo così sfigurato dalle ingiustizie, i Cristiani non hanno capito che la loro fede richiede un comportamento differente? Hanno afferrato il concetto che le opere di giustizia sono sinonimie dell’etica Cristiana che professano? Il documento continua suggerendo dei rimedi a questa realtà: una chiamata all’amore ed all’impegno, alla sincera conversione a Cristo, alla parsimonia per condividere i nostri averi, all’educazione alla giustizia e la denuncia delle ingiustizie. L’assemblea formò un “Comitato per gli Affari Interni Africani” (CAIA) per ispirare e coordinare le attività delle Commissioni Giustizia e Pace Nazionali delle Conferenze Episcopali di tutte le nazioni africane. Il seguente passaggio è di particolare interesse ai missionari espatriati: Vorremmo qui ricordare che parlare per la causa della giustizia non è necessariamente un atto pubblico. Prima di fare un intervento aperto per la giustizia, prima di rettificare alcune situazioni o di condannare abusi, è normale, ogni qual volta si possa, innanzi tutto, mettersi in contatto con coloro che sono responsabili o persino colpevoli di tali situazioni. L’efficacia dell’intervento non viene necessariamente misurata dal grado di violenza verbale o dalla sensazione scaturita dal discorso. Secondo le nostre tradizioni, la priorità deve essere data ad un dialogo faccia a faccia. Questo è inoltre, quanto ci viene chiesto nel Vangelo di S. Matteo (18, 15-17) Una nota di speranza conclude questo ardimentoso documento: Lo Spirito Santo con la sua luce sarà la nostra guida mentre ci addentriamo più profondamente in queste riflessioni a favore della giustizia, la libertà, l’uguaglianza, il pro-

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gresso di tutti gli uomini e i popoli del nostro continente africano, del Madagascar e le Isole. Lo Spirito Santo sarà la nostra forza quando ci sforziamo di mettere in pratica tutto ciò. Lo stesso Spirito sveglierà un senso di collaborazione e cooperazione fra voi che siete apostoli, e vi darà il coraggio di testimoniare, educare e impegnarvi energicamente ad agire per la giustizia. Commenti sul significato all’analisi esposta sopra Essa manca di una esplicita analisi culturale, almeno per quanto mi riguarda, di come valori tradizionali positivi si mantengano davanti all’invasione dei valori e non valori dello stile di vita delle nazioni occidentali. Questa invasione, tramite espatriati, giunge alle nazioni africane attraverso la stampa, la televisione e i video. I target immediati sono le scuole medie inferiori e superiori, le università e coloro che vivono nelle città. Tuttavia, indirettamente anche chi vive nei villaggi ne è contagiato. Sta perciò nascendo una cultura mista. I giovani , le donne e gli uomini, si trovano ad un bivio e che via sceglieranno? Normalmente la più facile, la più piacevole, quella alla moda, quella scelta dalla maggioranza, preferibilmente quella lungo la quale viaggia l’occidente moderno. Non scelgono quella meno battuta, quella più accidentata del Vangelo, a meno che essa non sia presentata dal Santo Spirito e dalla testimonianza Cristiana degli agenti pastorali. Un’osservazione Mentre si danno innumerevoli direttive per la causa della giustizia, non si fa nessun cenno ad un problema pastorale: è moralmente corretto dare ed accettare compensi sottobanco quando i salari, specialmente quelli dei funzionari governativi, pubblici ufficiali, ragionieri, ecc. non sono sufficienti per mantenere le loro famiglie? Sarà imposta la restituzione prima di dare l’assoluzione per danaro e ricchezze ottenuti con la corruzione e l’appropriazione indebita? Sì, è vero che ci sono regole comuni nei testi di Teologia Morale, ma si deve fare una riflessione per un fronte comune fra gli agenti pastorali. In Uganda, un “rinato” o membro della “Setta dei Salvati” denunciò e rese il danaro del quale si era appropriato proveniente da un ufficio pubblico: fu mandato in prigione. Attraverso l’intercessione della moglie del presidente Museveni, lei stessa una delle “salvate”, l’uomo fu rilasciato! Nel periodo coloniale, certi valori venivano imposti. Adesso vengono soltanto proposti. Gli africani devono prendersi le loro responsabilità, e anche le colpe se sono colpevoli incluse le proprie. NUOVI MARTIRI SUOR LILIANA RIVETTA (37 anni) La prima vittima della Suore Comboniane fu uccisa in un agguato in una strada di Karamoja il 10 agosto 1981. Molto dedita al suo lavoro e in sincera comunione con la gente con la quale lavorava. P. OSMUNDO BILBAO (37 anni) fu ucciso non lontano da Kampala il 20 aprile del 1982 mentre stava cercando di fuggire da coloro che volevano impossessarsi dell’auto che stava guidando. Era molto amato dalla tribù dei Madi della Diocesi di Arua. P. EZECHIELE RAMIN (32 anni) fu ucciso in un agguato a Cacoal (Nord Brasile) il 24 luglio 1985 per il suo coinvolgimento nella causa dei campesinos nella loro lotta per la giustizia. Egli voleva insegnare la giustizia e la non violenza – difatti, quando fu colpito dalle pallottole che lo uccisero, stava ritornando da una fazenda dove era andato per avvisare i contadini di abbandonare certi locali che stavano occupando per evitare ulteriori spargimenti di sangue. Morì testimone della carità per gli Indiani e i contadini senza terra. SUOR T ERESA DALLE PEZZE (1939 –1985) andò in Mozambico nel 1968 . Dedita principalmente all’insegnamento. Sotto il regime comunista di quegli anni per poter avere il permesso di restare in paese e lavorare, i missionari dovevano mettersi a disposizione del governo come insegnati, infermieri ecc. Fu

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uccisa in un agguato che fece 20 vittime il 3 gennaio 1985. La sua ultima azione fu un atto di carità verso un soldato, l’ultimo di una lunga lista . P. EGIDIO FERRACIN (50 anni) fu ucciso il 4 agosto 1987 mentre stava andando in visita ad alcuni villaggi. Si imbatté in una banda di malviventi che si portavano dietro tre ragazze. Il Padre cercò amichevolmente di persuaderli a lasciare andare le ragazze, ma non ci riuscì. Non accettarono il consiglio di p. Egidio, anzi, lo legarono ad un albero e lo uccisero a fucilate. P. EGIDIO BISCARO (1929-1990) – un fratello specializzato in meccanica, chiese ai Superiori di poter diventare sacerdote e fu ordinato all’età di 46 anni. Fu inviato in Uganda, dapprima nella Diocesi di Lira in seguito in quella di Gulu. Il 29 gennaio, 1990, mentre portava un paziente in auto all’ospedale assieme a p. Pieragostini, furono ambedue feriti in un agguato. Perse molto sangue e morì dopo due ore là per strada, aspettando che qualcuno li aiutasse. P. Pieragostini fu portato in ospedale appena in tempo per salvarlo. Sapevano che la strada per Kitgun non era sicura. Il Padre morì mentre stava facendo un atto di carità. P. WILLIAM NYADRU (31 anni) stava recandosi da Morulem a Moroto in Karamoja quando s’imbatté nei suoi assassini. Lo fecero sdraiare per terra a faccia in giù e lo uccisero con un solo colpo alla nuca. Il modo in cui fu ucciso dimostra chiaramente che fu un rituale: fu vittima di un atto di stregoneria propiziatoria per il raid che era stato pianificato da ladri di bestiame. Era i 25 ottobre 1991. P. William è il secondo dei padri Comboniani africani a diventate martire, il primo fu p. Barnabas Deng, ucciso il 23 agosto 1965 nel Sudan. La sua morte fu un grave perdita per l’Istituto che nutriva grandi speranze nella sua intelligenza e nel suo comportamento esemplare. FRATEL ALFREDO FIORINI (1956-1992) divenne medico nel 1980 con l’intenzione di aiutare i più poveri ed abbandonati del terzo mondo. Voleva, però diventare missionario come sacerdote per cui si mise a studiare teologia presso il nostro Scolasticato di Nairobi. Più avanti cambiò idea pensando che poteva dedicarsi alla professione medica in modo migliore come Fratello. Destinato alla provincia del Mozambico (1991) egli praticò la sua professione in un centro a Namapa per soli due anni. Fu brutalmente ucciso dai ribelli (RENAMO) i quali non sapevano di uccidere un medico e missionario. Era il 24 agosto 1992.

TESTIMONI FRATEL GIUSEPPE FARINA: la santità ad ogni costo: la preghiera, il lavoro, la povertà, l’apostolato. Vicenza 21/06/1906 – Warr (Uganda) 16/07/1981) Egli metteva in pratica questo programma quando era ancora al suo paese: era già un apostolo e dava l’impressione di essere un giovane santo. Nella sua lettera di introduzione al Superiore a Verona, il suo parroco scrive: “Farina è sempre stato come S. Luigi Gonzaga. E fu sempre un apostolo sia dentro che fuori casa . È pieno di buon senso e volontà, ed è molto pio… È la perla della mia parrocchia ed è ben voluto da tutti…” La sua vita religiosa fu la consumazione di quel apostolato e quella santità. All’età di 25 anni fece richiesta di entrare nel nostro Istituto. Descrisse il suo programma al quale si attenne fino alla morte: “… E vorrei sapere cosa potrò fare nella missione. Dio farà di me ciò che desidera: spero nella grazia della Sua luce per essere in grado di accettare tutto di modo che io possa diventare un uomo pio per la Sua maggior gloria e per la salvezza di quelle anime alle quali ho votato la mia vita.” Come il Beato Comboni, egli non solo portava croci ma le agognava e volontariamente le accettava secondo l’invito di Cristo. “Se qualcuno vuole essere mio seguace, rinuncia a se stesso e porti la sua croce ogni giorno.” (Luca 9:23-24) Fu estremamente povero in tutto. Viveva in uno sgabuzzino della piantagione di caffè dove lavorava come contadino. Negli ultimi dieci anni della sua vita, si astenne completamente dal mangiare carne. Dormiva su un’asse che non aveva nessuna somiglianza con un letto. Uomo di poche parole, a volte sorprendeva per il suo umorismo e sorrisi che rivelavano la sua serenità nascosta dall’ascetismo e, a volte, dal suo aspetto esterno duro. Era estremamente sobrio in tutto.

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Una settimana prima della sua morte, era uscito, come al solito in motocicletta a far visita ad un poveretto. Un giorni al suo ritorno, uno di quei forti temporali africani gli fece venire la polmonite. ‘È solo una brutta tosse ’ disse, ‘ devo solo riposare per un po’ e starò bene’. Sembrava in imbarazzo quando qualcuno si interessava di lui, perché era lui che si interessava degli altri accontentandosi del minimo per se stesso. La mattina del 16 luglio , il giorno della sua morte, un Padre lo trovò riverso a terra svenuto in attesa della morte con semplicità francescana. Coloro che lo conoscevano dicevano che viveva come un Trappista . Ogni domenica andava in giro per la varie cappelle ad amministrare l’Eucaristia e a guidare le preghiere. Predicava in lingua Alur che conosceva bene. I poveri, i malati, gli anziani, persero, con la sua morte , un consigliere ed un amico. Quasi quotidianamente, di sua iniziativa, egli faceva i suoi giri in risposta a richieste di aiuto. Aveva sempre qualche frase di conforto per tutti ed oltre alla parole, egli portava medicinali, cibo e indumenti. Nelle sue visite,favoriva i non Cattolici dicendo: “I Cattolici hanno la Società di S. Vincenzo, io vado dai protestanti, i musulmani ed i pagani”. Il segreto della sua estrema povertà e del suo apostolato si trova nelle sue preghiere: ogni giorno per quattro ore, dalle 5.30 alle 7.30 del mattino e dalle 5.30 alle 7.30 del pomeriggio. Egli disse ad un formatore: “Se volete avere buoni missionari Comboniani africani, dite ai formatori di formare gli aspiranti ad un grande amore per Gesù attraverso la devozione dell’Eucaristia, e di averLo come grande amico.” P. BERNARDO SARTORI – Falzé di Trevignano (Treviso) 20/5/1897 – Ombaci (Uganda) 3/4/1983. Di buon mattino, era Pasqua, com’era suo solito, padre Bernardo Sartori si recò in cappella a pregare.. .e qui fu trovato da Fratel Giovanni Bonafini verso le 8 del mattino. Fu una visita casuale, quella del fratello nella cappella del collegio di Ombaci, perché tutti i missionari erano in procinto di partire per il safari, o per la preghiere nella chiesa parrocchiale, essendo quello il giorno di Pasqua. Padre Bernardo giaceva davanti al tabernacolo, con le braccia allargate e la lanterna ancora accesa. Ma era morto. Nessuna meraviglia per quella scoperta. Dagli anni della giovinezza, padre Sartori era abituato a recarsi in chiesa prima dell’alba, “tutti i santi giorni che Dio ha creato”, è pronto a giurare fratel Antonio Biasin, suo intimo amico. E padre John Troy: “Per quanto riguarda la sua preghiera, la maggior parte si svolgeva nel segreto della sua stanza. Si ritirava alle 9.00-9.30 ma difficilmente dormiva oltre le 2 del mattino”. “Un altro ‘tempo sacro’ era poco prima di ritirarsi nella sua camera. Penso che andasse a raccontare cosa era successo durante la giornata alla Madonna. Non posso dire più su questo e rispetto il suo desiderio”. Davanti all’altare della chiesa di Ombali si erano incontrate tre direttrici sulle quali aveva camminato la spiritualità di padre Sartori: grande amore per l’Eucaristia, tenera devozione alla Madonna, e un amore sconfinato per il prossimo (confratelli, africani e conoscenti). L’amore all ’Eucarista si concretizzava in tre ore di adorazione. Non cominciava la giornata senza avere premesso almeno quattro ore di preghiera senza contare le visite nei ritagli di tempo durante il giorno. L’amore per il prossimo… migliaia di lettere scritte ad amici e parenti benefattori, confratelli, religiosi… E tutte per incoraggiare , sostenere, dare forza per camminare nelle vie di Dio; colloqui con confratelli stanchi e scoraggiati. “Nessuno tornava dall’incontro con padre Sartori con l’animo amareggiato: e sempre, se prima aveva delle pene, il padre gliele aveva alleviate infondendogli coraggio, speranza, ottimismo e tanta fede in Dio”. (Fratel Biasin) “Ogni incontro con lui era per me un risveglio spirituale e morale” (Padre Marchetti). A proposito dell’amore per il prossimo, ecco cosa dice padre Troy: “La santità di padre Sartori, riconosciuta da tutti, era pienamente <umana>. Non fu quel genere di martire che fa martiri tutti nella comunità. Mentre praticava la penitenza per quanto riguarda il cibo ed il riposo, fu sempre sollecito che io mangiassi bene e dormissi a sufficienza. A tal punto che lui avrebbe obbedito all’invito di mangiare e dormire un po’ di più. Non fu mai ostentatamente mortificato, e di tanto in tanto condivideva una sigaretta o un bicchiere di birra.” Quando arrivavano notizie della morte di confratelli, spesso più giovani di lui, egli chiedeva a Dio a voce alta a quando il suo turno. Fu particolarmente addolorato quando un giovane e vigoroso missionario (p. Del pero, 46 anni) morì, e supplicò il Signore di prendere “questo povero relitto”, la prossima volta.

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La Vocazione missionaria - Bernardo Sartori studiava teologia nel seminario diocesano di Treviso, quando fu chiamato sotto la naja. Fu inviato a Verona, nel reparto Sanità, presso l’ospedale militare. Qui ebbe modo di venire in contato con i Comboniani. La sua partenza per l’Istituto fu particolarmente ostacolata dal papà. I superiori acconsentirono a non inviare in Africa padre Bernardo finché il papà era in vita. Questi venne a morire mentre padre Bernardo si trovava a Troia come superiore. Il figlio corse al capezzale del babbo che fece in tempo a chiedergli perdono per averlo tanto ostacolato e a chiedere la sua benedizione. Il 31 marzo 1923 venne ordinato sacerdote. Verso la fine del 1927 i superiori lo inviarono in Puglia in cerca di un seminario per futuri missionari. Senza conoscenze, andò prima a Bovino e poi a Troia dove trasformò un fatiscente convento in un gioiello di seminario dal quale uscirono una ventina di ottimi missionari. Quegli anni rappresentarono una “grande avventura. Resta il fatto che per i Troiani padre Sartori divenne un’istituzione, tanto che alla sua morte ne richiesero (inutilmente) il corpo. In Africa. Nel 1934 arrivò il permesso di partire per l’Africa. “Arrivai ad Arua in Uganda -scrisse padre Bernardo- nel 1934. Fui da vescovo mandato a sostituire il vecchio padre Valcavi a Lodonga. Questi mi consegnò la missione dicendo: “Padre, qui non c’è che da pregare. La tribù è già tutta musulmana. Chi si fa musulmano è esente dalla tasse e gode di un mese di ferie. Padre Bernardo, si diede alla preghiere. A Troia aveva fondato, annesso al seminario Comboniano un santuario alla Madonna Mediatrice. In Uganda consacrò tutta la zona alla Mediatrice. “Santuario ti sarà questo meraviglioso cielo, colonne queste splendide piante secolari”. Padre Bernardo cominciò a contrattare con la Madonna. Lui poteva darle del tu. “Per la tal data ti chiedo la conversione di 50 musulmani”. Nel giro di qualche anno al posto della grande moschea, sorse il santuario dedicato alla Mediatrice, sultana dell’Africa. Nel 1961 il Papa eleverà questo santuario al grado di basilica, la prima basilica dell’Africa dedicata alla Mediatrice. Ormai tra i pagani, chi si faceva musulmano veniva deriso. Sul sentiero che portava dalla casa dei missionari alla chiesa (sentiero che padre Bernardo percorreva alla mattina presto quando faceva ancora buio) vennero messe più volte delle asticelle con punte avvelenate. Mai una volta che il missionario vi fosse inciampato, eppure si era abituato a camminare scalzo. Il ritorno in vita di una giovanetta che i genitori e parenti avevano dato per morta, finì per convogliare alla missione anche i più ritrosi. Dopo Lodonga fu la volta di Koboko tra la tribù dei Kakua e anche lì sorse un grande santuario. La conversione del gran capo musulmano Mussa, e il martirio di un giovane di Azione Cattolica furono due gemme sulla corona della Madonna di Fatima. Nel 1960 fu la volta di Otumbari con il santuario alla Regina del Mondo. In meno di 20 anni la missione registrò la cifra di 30 mila cattolici. Nel 1968 venne aperta la missione di Arivu nella roccaforte dei protestanti con un santuario a Maria Madre della Chiesa. Nel 1979 le missioni di Koboko, Otumbari e Lodonga si trovarono in pieno territorio di guerra. Saccheggi, vendette, odii tribali con le conseguenze di distruzione, di profughi, di fame, di malattie. Una fucilata sparata vicinissima all’orecchio di padre Bernardo gli fece saltare i timpani ed egli diventò improvvisamente sordo. “Meglio - disse – così non sarò disturbato da altre sparatorie”. Nel giugno dell’80 il vescovo impone di autorità ai missionari di abbandonare le missioni in zona di guerra. La gente, era tutta scappata per cui non c’era più il motivo di restare. Il vandalismo della soldataglia diventò regola di vita e principio di azione. A questo punto padre Bernardo ebbe una visione profetica. Un mattino, prestissimo, mentre si recava in chiesa vide una immensa croce di nubi che si adagiava su quella zona d’Uganda travagliata dalla guerra. Guardò per alcuni minuti quello strano ‘gioco’ formato dal vento mentre un pensiero martellante gli diceva: “L’Uganda è arrivata al suo Calvario. La Passione sta per finire”. Stava per correre in casa a chiamare qualche confratello perché fosse testimone del fenomeno, quando le nubi precipitosamente si unirono e si elevarono verso il cielo fino a raggiungere un raggio di sole che le fece brillare in uno sfolgorio di luce a forma di Cristo risorto. La stessa voce gli disse: “Il tempo della gloriosa resurrezione è vicino”. Poi tutto si dissolse. Le virtù “In un grande spirito di obbedienza – dice padre Troy – mi chiedeva permesso ad intervalli regolari per attività che erano abituali. Ha dimostrato un tale rispetto per me come superiore che spesso mi sono sentito molto imbarazzato”

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In quanto ad umiltà, è veramente simpatica una testimonianza di padre Marchetti: “Al mio primo incontro con lui dopo che ero stato nominato Superiore Regionale ne approfittai per confessarmi. Dopo la confessione mi disse: Caro padre, le devo dire una cosa in confidenza, perché possa regolarsi andando fra i confratelli di questa zona. Qualcuno ha sparso la voce che io sono un santo; invece la posso assicurare che è tutto un imbroglio, una falsità. Lei tenga presente…”. Padre Marchetti rispose che lo avrebbe fatto senz’altro “per acquietare la sua umiltà”: Le riforme liturgiche potevano urtare un anziano come padre Sartori, invece trovarono sempre un sostenitore entusiasta. Per lui, ciò che veniva dal Papa veniva da Cristo in persona . L’ospitalità. Virtù fondamentale per chi si trova in missione, fu vissuta dal padre in maniera eminente. “Era sempre accogliente – dice padre Marchetti – sempre misericordioso, sempre ottimista. Le sue personali sofferenze sembravano non esistere. Pareva ignorasse gli sbagli degli altri, lui che riceveva le confidenze di tutti. Tutto scusava, in tutto vedeva il lato buono, tutti animava, tutti amava. Si leggeva nella sua vita l’inno della carità di San Paolo”. Il giovedì santo celebrò il 60° di ordinazione sacerdotale. Durante il Triduo Pasquale fu sempre in chiesa a pregare e confessare. Il giorno dopo, lo aveva predetto a due chierichetti, venne la morte che per lui fu vera Pasqua. Noi missionari, soprattutto i giovani, quando passavamo vicino alla sua missione ci fermavamo per confessarci. Durante i ritiri annuali, p. Sartori era sempre nel confessionale a disposizione di tutti, e molti ne approfittavano. La sua causa di beatificazione è già a Roma.

LE SUORE COMBONIANE XIV° Capitolo Generale: 1980 Elezioni Madre Emilia Grassi Suor Liliana Sommacampagna Suor Franca Fusato Suor Giuseppina Tresoldi Suor Donata Pacini

- Superiora Generale - Vicaria Generale - Assistente - Assistente - Assistente

Questo Capitolo fu anticipato di due anni a causa della prematura morte della Superiora Generale, Madre Fiorentina (1980). Nella relazione del Consiglio Generale del 1986, ci si può rendere conto delle difficoltà che le suore trovavano nell’aggiornamento. Troviamo una risposta positiva alla domanda formulata da alcune suore nella relazione del Consiglio Generale, e cioè se l’Istituto nel suo insieme fosse ancora dominato dal tradizionale “Buon Spirito”. La relazione racconta del martirio di Suor Liliana Rivetta in Uganda e Suor Teresa Dalle Pezze nel Mozambico. Questo capitolo non poteva ignorare i dibattiti del 1976. Le Capitolari, tuttavia fecero notare all’Istituto la sempre valida spiritualità del Fondatore ed il suo piano d’azione, la sua metodologia di evangelizzazione integrale e la necessità della santità personale. Per quanto riguarda le innovazioni, alcune delle quali sono ormai pacificamente state accettate, si può dire che questo capitolo rappresentasse una sintesi delle differenti tendenze degli anni che andarono dal 1970 al 1980. Il numero delle suore al 30 giugno 1986 era: Totale 2071: 108 V. T. e 1963 V.P. le italiane erano di gran lunga la maggioranza con 1963, seguite dalle eritree con 101 suore. Nel 1980 le suore erano 2145.

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Capitolo Diciassettesimo TREDICESIMO CAPITOLO GENERALE 1985 IL PERIODO DAL 1985 AL 1991

A. TREDICESIMO CAPITOLO GENERALE (ROMA 1985) Membri dell’Istituto: Prelati 16, Padri 1.284, Fratelli 342, Scolastici 135, Totale 1.777. Elezioni: P. Francesco Pierli: Superiore Generale P. Erigojen Angel Lafita: Vicario Generale P. Otto Fuchs, Fratel Giuseppe Menegotto, p. Venanzio Milani: Assistenti. P. FRANCESCO PIERLI: S. Giustino , Prov. Di Perugia 2/3/1942. Fu ordinato sacerdote nel 1966 e ricevette il dottorato in teologia dogmatica che insegnò nel nostro scolasticato di Venegono (1968-1970). Dal 1970 al 1973 fu responsabile dello scolasticato in Roma. Dal 1974 al 1979 fu responsabile dello scolasticato e dell’insegnamento della teologia dogmatica del seminario nazionale a Ggaba in Uganda. Nel 1979 fu eletto Assistente Generale con responsabilità per i problemi della formazione. Fu eletto Superiore Generale al Capitolo del 1985. Dopo il capitolo del 1991 andò a Nairobi dove insegna alla Facoltà di Tangaza scrivendo anche diversi saggi ed articoli su diversi e a volte controversi argomenti. Fu anche formatore nel nostro scolasticato di Nairobi e nel centro internazionale per Fratelli (CIF). Nel rielaborare la formazione di base dei fratelli, egli introdusse lo studio della Dottrina Sociale della Chiesa per dare supporto filosofico e teologico per qualsiasi delle professioni tecniche i fratelli volessero scegliere di fare, nonché l’eventuale apostolato fra i poveri. Durante ambedue i periodi dei suoi mandati come Assistente e Superiore Generale, si dedicò alla formazione continua dei nostri confratelli con ritiri e scritti. Le sue prediche erano, e sono ancora molto apprezzate da coloro che le ascoltano. Incoraggiò studi superiori e lauree. Questo, però portò alcuni confratelli a munirsi di lauree utili ma non strettamente necessarie alle programmazioni dell’Istituto e delle missioni.

1. Atti del Capitolo Abbiamo già parlato delle attività della precedente amministrazione come contenute nella Realazione della Direzione Generale. Sono disponibili anche gli atti di questo Capitolo. Trattano della formazione continua, la rotazione, i segretariati generali, i missionari laici, i missionari Comboniani associati, limiti di spese, l’apertura in Asia., i fratelli missionari Comboniani, gli scolasticati ed i centri internazionali (CIF), Movimenti ecclesiatici e Neo-catecumenali. Questi documenti, in generale, confermano le decisioni prese in precedenza. I seguenti punti contengono nuove direttive: a. Decisione di aprire in Asia Il Capitolo acconsente ad aprire comunità in Asia nel corso di questo sessennio. Il movente primario di questa apertura è la prima evangelizzazione . Ciò non esclude l’animazione missionaria né la promozione vocazionale che sono parte integrale del nostro carisma.

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La scelta dei campi di lavoro e le formalità annesse sono affidate alla Direzione Generale. b. Segretariati Ogni segretariato sarà composto da un ufficio con un Segretario e , se necessario, un Sotto Segretario con un Consiglio di almeno tre membri scelti con criterio di competenza. Il Consiglio si riunirà una volta all’anno. La mansione di Sotto Segretario non fu messa in pratica fino al 1991, forse le sue mansioni non furono sufficientemente chiare. c. Missionari Laici Ø Ø Ø Ø Ø Ø

Il capitolo enfatizza che il servizio missionario oggi necessita di missionari laici che: siano ispirati da motivazioni missionarie, siano disposti ad essere testimoni Cristiani, siano aperti al dialogo ed alla inculturazione, siano disposti a cooperare con altri agenti pastorali, abbiano qualifiche appropriate per poter fare lavori specifici, siano in grado di parlare la lingua del paese in modo adeguato.

d. Missionari associati Missionari associati sono quei Cristiani impegnati che si mettono al servizio delle missioni per un periodo di tempo che va dai tre ai cinque anni. Il Capitolo: Ø Approva l’esperienza dei membri associati che ebbe inizio nella Provincia di lingua tedesca, come autorizzata dall’Amministrazione Generale e incoraggiata dall’Assemblea Intercapitolare del 1982. Ø Invita le Province dell’Africa e dell’America Latina ad includere questa nuova forma di servizio missionario nelle loro attività, integrando i missionari associati nelle loro comunità. Si spera che questa esperienza sia sperimentata anche in altre province. Ø Le richieste per missionari associati devono essere fatte tramite l’Amministrazione provinciale al Segretariato Generale per l’evangelizzazione che fornirà un servizio di coordinamento. e. Catechisti itineranti Tenendo conto della fondamentale importanza della vita comunitaria nel nostro Istituto (RV 40) il Capitolo non concede la possibilità di diventare “Catechisti Itineranti” a quei confratelli che ne faranno richiesta. 2. Priorità Il Capitolo si prefigge le seguenti priorità: a. Rivedere e ridefinire gli impegni attuali Fedeltà al carisma di Comboni Siccome siamo stati mandati, attraverso la Chiesa, presso quei popoli o gruppi di persone non ancora o inadeguatamente evangelizzati (RV 13): crediamo sia necessario rivedere i nostri impegni tenendo conto delle seguenti linee guida: Ø Dare la preferenza ai più poveri e più trascurati dal punto di vista del Regno, specialmente coloro che si trovano in situazioni missionarie di prima evangelizzazione. Ø Scegliere le masse non cristiane dell’Africa, Asia islamica, gli afro-americani, i gruppi minoritari, i sobborghi delle grandi città, le situazioni di ingiustizia e di oppressione, i giovani del mondo.

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Si deve prendere in considerazione l’evoluzione della missione in ogni nazione Gli sviluppi più significativi sono probabilmente i seguenti: Ø una consapevolezza più ampia delle relazioni fra la Missione e il Regno del quale la Chiesa “diventa la forza iniziale germinale sulla terra “(LG 5); Ø la crescita delle chiese locali; Ø l’abbandono del punto di vista territoriale di una missione a favore di “situazioni missionarie” (RV 14.2); Ø l’importanza primaria data all’evangelizzazione delle culture” (EN 20); Ø un impegno più esplicito alla totale liberazione umana (RV 60) e l’abbandono dell’assistenzialismo non necessario; Ø la realizzazione che i poveri, invece di essere soltanto l’oggetto della missione , acquisiscano un ruolo determinante nella stessa evangelizzazione e nell’evangelizzazione dei missionari stessi; Ø l’aumentato coinvolgimento dei laici; Ø la crescita di un tipo di metodologia missionaria che porta alla ribalta la fede nell’assistenza dello Spirito Santo, la promozione dei ministeri, la semplicità dei mezzi e la formazione di piccole comunità cristiane. b. La comunità missionaria Comboniana Il capitolo prende atto dei progressi fatti nella vita comunitaria negli ultimi sei anni. Allo stesso tempo si rende conto che resta ancora molto da fare per poter capire appieno e vivere quell’ideale rappresentato dalla Regola di Vita. Ci sono ancora molte comunità che sono incomplete dal punto di vista numerico, o che sono poco aperte all’internazionalità. In modo specifico si notano: l’individualismo, l’orario di preghiera personale irregolare, la mancanza di incisività da parte del Superiore; la scarsa attenzione alle qualità dei membri della comunità ed uno stile di vita che non corrisponde a quello della gente (22). Alla luce del nostro carisma e facendo fronte a quelle sfide che provengono dalle situazioni che viviamo, la comunità Missionaria Comboniana deve adottare un atteggiamento di conversione continua, e permettere di essere evangelizzata dai valori che sono inerenti alle dette situazioni. Ciò facendo, infatti diventiamo un segno profetico della nuova umanità nata dallo Spirito (RV 36) e siamo il lievito dell’animazione missionaria nella Chiesa Locale (23). c. I valori del Regno e la liberazione totale dell’uomo Il Consiglio Generale considera “far emergere i valori del Regno di Dio con l’intenzione di raggiungere la liberazione totale dell’uomo” una priorità del nostro servizio missionario oggi. Il mistero del Regno si estende oltre le situazioni, le strutture e le ideologie. È la stessa persona di Cristo nella quale l’intero universo viene “chiamato” a unirsi per diventare il Regno della completa salvezza che il Padre desidera (Eph.1:10). Far emergere i valori del Regno implica mostrare e stimolare i segni di questa lenta e a volte dolorosa ma decisiva trasformazione progressiva di tutti in Cristo (Rm.8:19). Un’analisi delle situazioni in cui si trovano i popoli fra i quali lavoriamo (in Africa, Europa i le Americhe) rivela che molti dei nostri confratelli non sono stati in grado lottare contro le ingiustizie, contro l’oppressione e la miseria che sfigurano il volto di Cristo. Queste situazioni ci presentano una sfida che dobbiamo accogliere secondo il nostro carisma. Se accettiamo la sfida, la nostra sequela Cristi diventerà più radicale così la nostra proclamazione del Vangelo e il nostro impegno per i poveri e i più trascurati saranno più evangelici.

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Questa priorità fu molto controversa al Capitolo, non per se stessa, ma a causa delle interpretazioni differenti date da alcuni capitolari. Siccome alcune tendenze nella teologia moderna, dovute principalmente al dovere di stimolare l’ecumenismo, focalizzano i valori generali comuni a tutte le religioni, sorsero alcuni malintesi, anche fra di noi, sulla falsa riga che Cristo fosse uguale al Buddha o Maometto. L’esplicito annuncio di Cristo, non solo in alcune circostanze, ma come politica, viene lasciato in disparte da alcune teologie. A scanso di equivoci, il Consiglio generale scrisse una lettera chiarificatrice nel 1989 che fu molto apprezzata. “Redemptoris Missio” focalizza ottimamente il problema quando Giovanni Paolo II fra l’altro scrive: “Il regno di Dio non è un concetto, una dottrina, un programma soggetto a libera elaborazione, ma è innanzi tutto una persona che ha il volto e il nome di Gesù di Nazareth , immagine di Dio invisibile. Se si distacca il regno da Gesù, non si ha più il regno di Dio da lui rivelato, e si finisce per distorcere sia il senso del regno, che rischia di trasformarsi in un obiettivo puramente umano o ideologico, sia l’identità di Cristo, che non appare più il Signore, a cui tutto deve essere sottomesso (cf. 1 Cor 15, 27). Parimenti, non si può distinguere il Regno dalla Chiesa. Certo, questa non è fine a se stessa, essendo ordinata al regno di Dio, di cui è germe, segno e strumento. Ma, mentre si distingue dalRegno e dal Cristo, ha dotato la chiesa, suo corpo, della pienezza dei beni e dei mezzi di salvezza; lo Spirito Santo dimora in essa, la vivifica con i suoi doni e carismi, la santifica, guida e rinnova continuamente (RM 18)”. L’intervento del Papa è un chiaro segno che “i valori del Regno” dovevano essere chiariti. Questo non significa che il documento del nostro Capitolo non sia stato chiaro, necessitava, però di essere ulteriormente sviluppato nei dettagli. Nota: La relazione del Consiglio Generale del 1991 è piuttosto positiva sulla implementazione delle priorità sopra stabilite. “Le tre priorità del capitolo del 1985 sono profondamente collegate fra loro. Come abbiamo scritto nella lettera del Natale 1985 (Cfr n. 6-14), la priorità che unifica tutte è la terza, quella dei “valori del Regno e liberazione integrale dell’uomo”. Il Regno di Dio in Cristo, infatti, costituisce l’obiettivo finale della missione. Le altre due priorità sulla RRI e sulla comunità missionaria comboniana, sono per rendere il nostro stile di vita segno della presenza reale, anche se ancora incompleta, del Regno (seconda priorità) e la nostra attività missionaria strumento sempre più efficace della crescita del Regno nel mondo (prima priorità.) “. La relazione sottolinea che il primo valore del Regno è la Sequela Christi (n. 35,2). Un Regno senza un Re è una nazione generica. Qualora avesse dei contenuti, i suoi valori sarebbero meramente umani che potrebbero significare una dimensione orizzontale e non verticale. Comunque, essi offrono un punto di partenza comune per l’armonia e la cooperazione con le altre religioni e con uno stato laico. B. ATTIVITÀ PRINCIPALEI DELL’ISTITUTO DAL 1985 AL 1991 1. Revisione della regola di Vita Revisione della Regola di Vita secondo il nuovo diritto Canonico (1983) e il Capitolo del 1985. Il capitolo approvò circa quaranta emendamenti alla Costituzione come anche la parte inerente al direttorio della RV. Furono poi passate allo SCEP per approvazione (cf. Boll. N. 1253). La riposta dello SCEP giunse il 7 luglio 1987 con annotazioni e modifiche da apportare prima di poter dare l’approvazione finale. Il CG nominò quindi, tre commissioni una dopo l’altra per apportare le modifiche. Il testo revisionato dovette essere mandato allo SCEP due volte prima che

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fosse definitivamente approvato il 3 dicembre 1987. La Regola di Vita fu successivamente pubblicata in sette lingue. La relazione al Capitolo del 1985 aveva affermato come, dopo l’entusiasmo iniziale la RV fosse vissuta in modo inadeguato sia personalmente sia nelle attività apostoliche dei nostri confratelli. Il CG nell’occasione del centenario delle prime professioni religiose (1887)propose delle iniziative che avrebbero portato ad una conoscenza approfondita della Regola: Ø riunione di tutti i provinciali, aprile 1987 , due settimane passate sulle RV; Ø tre settimane per i Maestri dei Novizi, che si accinsero a studiare la RV per far si che diventasse l’asse unificatrice della formazione nei noviziati; Ø tutte le assemblee relative alla formazione e all’animazione missionaria passarono diverso tempo a studiare attentamente la RV; Ø durante l’anno del centenario furono tenuti corsi di ritiro spirituale con contenuto e prospettive comboniani, secondo lo schema approvato a Pesaro, dicembre del 1986 - gennaio 1987 quando la Regola di Vita fu utilizzata per la meditazione e come libro di preghiera; Ø le intenzioni mensili delle preghiere furono tutte incentrate sulla RV, con aiuto per spiegare i punti fondamentali; Ø ci piace qui ricordare la prassi adottata dai Consigli Provinciali di iniziare le loro sessioni con una riflessione sulla RV come facevano anche quelle comunità che ne fanno uso regolare nelle loro letture, preghiere e consigli comunitari. Deve essere fatto qualcosa che abbia uno scopo più ampio e sistematico per far sì che la RV diventi la vera sorgente della spiritualità e metodologia missionaria. Alcuni confratelli, purtroppo, consultano la RV soltanto per risolvere problemi giuridici. 2. “Ratio Fundamentalis Istitutionis et Studiorum” Il capitolo del 1985 aveva chiesto di portare a termine la “Ratio”. Il lavoro fu coordinato e perfezionato dal Segretario della Formazione nel seguente modo: Ø Furono tenute assemblee settoriali e continentali fra il 1986 ed il 1988. Le conclusioni furono presentate ad una Commissione nominata nel 1989 che preparò la prima stesura che fu mandata alle Province ed ai confratelli esperti in materia. Ø Dopo le assemblee continentali del 1990 assieme ad altri contributi, molti suggerimenti e proposte furono inserite e la commissione finalizzò il testo che fu, successivamente sottoposto al Consiglio generale nel dicembre del 1990. 3. Specializzazioni Le specializzazioni furono quasi raddoppiate in questo periodo, 72 in tutto: 11 dottorati, 48 lauree, 13 corsi per diploma. Vi è una crescente necessità di specializzazioni per far fronte alle richieste delle missioni e per le necessità interne dell’Istituto. Potrebbero essere meglio definite le responsabilità della Direzione Generale e delle province per evidenziare il valore delle specializzazioni e utilizzarle nel migliore dei modi. Secondo il piano di salvare l’Africa con gli africani, una laurea come un dottorato non dovrebbe essere fine a se stesso, o solo sete di prestigio. 4. Eventi speciali ed ordinari Ø Assemblee settoriali, speciali, continentali intercontinentali continuarono a crescere: notiamo inoltre la significativa partecipazione dell’Istituto ad eventi ecclesiastici e incontri vari. Ø La pubblicazione degli Scritti del Fondatore in volume singolo (1991).

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Ø Due corsi continentali sul carisma di Comboni: in America nel 1990 ed in Africa nel 1991. Ø Celebrazioni ed eventi: – 100 anni dalla prima professione religiosa (1887) – 100 anni dall’apertura di Helouan (Egitto 1898) – 75 anni dal nostro arrivo nell’Uganda del Nord (1910) – 50 anni delle Province del Perù e del Nord America (1938) Ø L’istituzione della Delegazione dell’America Centrale (1988). Ø La fondazione di nuove Riviste: – in Africa: New People (Nairobi) Worldwide (sud Africa) e Zikomo (Malawi); – in America Latina: Alo Mundo (Ecuador); – in Asia: World Mission (Filippine); – in Europa: Comboni Missions (Inghilterra) . Ø L’apertura dei seguenti Postulati: – per candidati sacerdoti: Centrafica – Tchad, Filippine, Khartoum (con l’Egitto, Mozambico, Polonia, Sud Africa, Sud Sudan. – Per candidati fratelli: CIF di Quito; Postulati: Togo – Uganda – Etiopia. Ø Trasferimento di case di formazione: Da Gilgit a Naironi (CIF) ; da quito a Bogota (CIF); da Kampala a Nairobi (scolasticato). Ø La Fondazione del Centro Sakakini (Cairo) per la lingua araba e studi islamici (1984) . Fu trasferito a Zamelek nel 1995. È inoltre centro per gli studenti africani in Egitto. Ø Il Museum Combonianum inizia una nuova serie della “Bibliotheca Comboniana” le tre suddivisioni sono: Antropologia e linguistica, Fonti/ Sorgenti e Storia , Missioni e Spiritualità. Ø Vademecum dei Provinciali e il Direttorio Generale della Curia (1991 alla sua terza edizione). Ø Revisione e qualifica degli impegni (1988): un documento del Consiglio Generale che sviluppa e aggiorna i suggerimenti e consigli dell’assemblea intercapitolare del 1982. Ø Non si può dimenticare la Riunione del provinciali del 1990 dove furono discussi a fondo la crisi delle defezioni e la perseveranza dei membri dell’Istituto. 5. Crisi generale e defezioni In questo periodo 88 confratelli lasciarono l’Istituto. Nella sua relazione al Capitolo del 1991, il Segretario per la Formazione e la promozione vocazionale esprime la sua personale opinione sulle defezioni degli scolastici nel seguente modo: “Questa percentuale di fughe è nella media, particolarmente se guardiamo alle ragioni delle defezione. Senza paura di essere smentito, posso affermare che il 90% degli abbandoni durante il loro periodo di formazione è il risultato di un processo di discernimento vocazionale, quindi piuttosto che chiamarla defezione essa è la scoperta della propria vocazione. Normalmente il candidato ed il formatore valutano assieme la presenza di una maturità umana e cristiana, la capacità intellettuale, e l’idoneità a conformarsi alla vita comunitaria e la capacità concreta di vivere una vita consacrata. Questo è il modo in cui arrivano alla conclusione che non hanno la vocazione missionaria Comboniana anche se in molti casi possono avere una vocazione sacerdotale ed anche missionaria.

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Sarebbe, ovviamente, molto meglio se si potesse arrivare a questo discernimento durante il periodo di Postulato o prima della prima professione. Ci sono, però, dei fattori che rendono questo difficile, fra i quali la complessità del processo di riconoscere una vocazione missionaria consacrata, la situazione giovanile al giorno d’oggi, il modo precario in cui viene fatta la promozione vocazionale ed anche la stessa formazione a causa della mancanza di formatori specializzati.” Ad ogni modo, il Consiglio Generale ad una riunione dei Superiori provinciali del 1990, sentì l’urgente bisogno di discutere la questione della perseveranza di tutti i professi dell’istituto come “questione vitale” La riunione ebbe luogo dopo che un questionario era stato fatto pervenire a tutti i provinciali. Lo scopo della ricerca fu proposto nel seguente modo: “Nonostante le strutture della formazione di base, negli ultimi anni nel nostro istituto abbiamo raggiunto una certa stabilità, ma la crisi e le conseguenti defezioni dei confratelli anche quelli giovani, non sono finite. Ci sono diversi casi di crisi personale; la crisi d’identità con l’istituto e la crisi di identità con la vita sacerdotale consacrata.” Riportando le risposte al questionario , p. Lafita disse: “Tutte le relazioni confermano che il problema sussiste in ogni provincia, e che deve essere affrontato con urgenza e con azione armonica nei vari settori: discernimento vocazionale, formazione di base e soprattutto a livello di comunità locale. “ N.B. A me sembra che all’analisi del Segretario della Formazione sulla valutazione degli elementi che possano identificare la vocazione è da insistere su un elemento fondamentale e cioè la motivazione della scelta vocazionale. Perché un candidato vuole diventare comboniano? È l’elemento più importante e più difficile da scoprire soprattutto nel mondo preindustriale e generalmente povero. 6. L’Assemblea Intercapitolare - Ellwangen, 1988 Come di consuetudine questa assemblea fu principalmente una revisione delle decisioni del Capitolo 1985. Lo scopo quindi fu di vedere in che modo le tre priorità erano state rispettate. Il giudizio dell’assemblea fu più o meno simile a quello già descritto al Capitolo del 1991. Un argomento molto discusso fu la promozione vocazionale dei fratelli. Riportiamo qui di seguito i punti salienti: Ø L’Istituto ha compiuto notevoli sforzi per iniziare e strutturare la formazione dei Fratelli. Fra le altre iniziative possiamo ricordare le seguenti: – un apposto comitato per il direttorio dei fratelli e ratio studiorum; – la creazione di postulati per fratelli in varie province; – l’apertura di centri internazionali per fratelli; – un crescente interesse da parte delle province per la promozione vocazionale e la formazione dei fratelli; – un questionario sulla situazione dei fratelli all’assemblea tenutasi sulla loro formazione. Ø Ciò nonostante, non fu possibile superare tutte le difficoltà che rimanevano. I punti sottolineati dalle province furono: – la mancanza di fratelli nella formazione e promozione vocazionale; – pochi candidati e di conseguenza la mancanza di relative comunità di formazione; – troppa differenza nell’età fra i candidati: ciò ostacola la formazione comune dal punto di vista di contenuti uguali per tutti.

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Ø Altre difficoltà: – differenze organizzative nelle scuole professionali alcune delle quali davano qualifiche senza una seria ed adeguata preparazione ad una professione; – la molteplicità di servizi per i quali i fratelli dovrebbero essere preparati; – la mancanza di interesse ed esperienza in alcune province. Ø L’assemblea formativa per fratelli tenutasi nel mese di agosto dello stesso anno, fece in seguito una proposta che l’assemblea intercapitolare sottolineò nel seguente modo: – in questo momento è necessario il coinvolgimento di tutti i confratelli, per la promozione vocazionale, la formazione di base e la formazione continua dei fratelli; – si deve continuare a eseguire ricerche storiche e teologiche per avere un orientamento in linea con gli Atti Capitolari (AC 85, 113); – avere un fratello nel Segretariato per la formazione o stabilire una commissione permanente che collabori con il Segretariato. Il Consiglio Generale s’impegna ad attuare le richieste. Per la prima volta quattro fratelli furono presenti all’Assemblea intercapitolare. C. I PIÙ SIGNIFICATIVI SVILUPPI NELLE MISSIONI 1. Erezione delle nostre missioni nel Ciad a Regione (1988) Il Ciad fu uno dei territori che furono affidati al nostro Fondatore. È fra le nazioni più povere del mondo anche dal punto di vista del numero della popolazione cattolica che è solo il 6 % del totale. La Conferenza Episcopale del Ciad insisté per avere uno dei nostri confratelli come Vescovo di Doba, il Vescovo Michele Russo fu consacrato il 21 maggio 1989. 2. Il “Nuovo Sudan” Nel 1990 una grande fetta del territorio del Sud Sudan era controllato dalla Sudan Peoples Liberation Army (SPLA). La diocesi di Torit, di conseguenza era tagliata fuori da qualsiasi assistenza da parte dei nostri missionari. Si decise quindi di aprire due missioni Torit e Loa, dove i nostri missionari entrarono senza il permesso del governo di Khartoum, dopo esserci consultati con la Santa Sede ed avuto il suo benestare. La zona fu rappresentata al Capitolo del 1991. 3. Apertura nelle Filippine il 4 gennaio 1988 il primo gruppo composto da tre missionari Comboniani guidati da p. Mario Marchetti arrivò nelle Filippine. Mentre si prendevano un po’ di tempo per familiarizzarsi con la realtà del luogo, focalizzarono le loro riflessioni su di un programma di conscientizzazione missionaria che avrebbe incluso la promozione vocazionale fra i giovani e la pubblicazione di una rivista missionaria. I padri stabilirono vari contatti e lavorarono alla promozione vocazionale dei giovani principalmente nella Università di Manila dove si potevano trovare giovani provenienti dalle diverse province. Prima della fine dello stesso anno, il gruppo aveva stilato la prima parte del piano di lavoro: Ø la continuazione della promozione fra i giovani; Ø la pubblicazione di una rivista a marzo del 1989; Ø la fondazione del Postulato Comboniano nel 1990; Ø di conseguenza l’apertura di un noviziato nel 1992;

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Ø l’impegno alla prima evangelizzazione. Il piano fu attuato più o meno nei tempi previsti. La rivista WORLD MISSION, in particolare ebbe grande successo nella chiesa locale e fra i fedeli. Un gruppo di cinque giovani laureati iniziarono il loro Postulato a giugno del 1990. Il nuovo edificio chiamato ”Daniel Comboni Seminary” fu ufficialmente inaugurato il 12 gennaio 1991. A giugno del 1991 un secondo gruppo di dieci giovani si unirono al postulato portando il numero di postulanti a 14. (La prima professione di 6 filippini ebbe luogo il 6 maggio 1995). A dicembre del 1990 la Direzione Generale scelse di fare PRIMA EVANGELIZZAZIONE fra la popolazione cinese di MACAO. Un sacerdote Comboniano fu dapprima nominato a quel territorio nel 1990 seguito da altri due nominati dalla Consulta del marzo del 1991. A gennaio 1991 uno di loro iniziò ad imparare il cinese a Hong Kong, e a luglio fu affittato un appartamento dove essi potevano alloggiare. 4. Nuova residenza provinciale in Sud Africa Dopo la chiusura di High Over, p. Franz Koch trasferì la residenza a Maria Trost (19681973) . I suoi successori p. Konrad Metzger (1974 –1977) , p. Alois Weiss (1978 – 1980), p. Gebhard Smith (1980-1986) vissero anch’essi a Maria Trost. P. Meier, Superiore provinciale (1986-1992) inizialmente acquistò la residenza a Bronkhorstspruit nella Diocesi di Pretoria ma poi, molto saggiamente spostò la residenza a Johannesburg dove si trova tutt’ora. TESTIMONI P. GIUSEPPE AMBROSOLI: servo di Dio. Ronago (Como) 1923 – Lira Uganda 27/03/1987. Molto si è detto ed ancora più, forse, si dirà. P. Giuseppe, infatti è una di quelle figure di missionario che hanno lasciato il segno. Il segno del passaggio di Dio. Tra le tantissime testimonianze arrivate-dice il Postulatore p. Arnaldo Baritussio- non ce n’è una, dico una, che si discosti dal riconoscere la genuina santità di questo nostro confratello. Perfino chi gli è vissuto accanto per 23 anni di seguito come è capitato al medico e sacerdote don Palmiro Donini: egli è fermamente convinto dell’esercizio eroico di alcune virtù come la povertà, la disponibilità, lo spirito di servizio, la fortezza, la carità, la purezza, l’obbedienza…da parte di p. Giuseppe. L’abbondanza del suo amore per Dio si riversava al suo vicino senza esclusione . Non criticava mai nessuno, neanche il governo Ugandese quando gli fu ordinato di evacuare l’ospedale. Non gli piaceva neanche che altri criticassero. Era appena arrivato al seminario di Gulu quando, un giorno a tavola, i professori fecero delle critiche a proposito di certe attività di certi altri missionari. Il nuovo arrivato ebbe il coraggio di dire, con una certa riluttanza: “Sono arrivato ad una comunità di malevoli religiosi” (Conventus Maligantium) “. Trovava sempre un modo per scusare gli altri mettendo in luce le loro buone qualità. P. Giuseppe visse il suo sacerdozio appieno e la sua professione di medico con eccezionale dedizione. Queste sue qualità sono sottolineate da mons. Renato Conti, Vicario generale della diocesi di Milano, e viene descritta nella sua biografia a causa dei suoi profondi contenuti teologici. Credo, comunque che sia il caso di riportala qui. È intitolata “Il Gesù Cristo di p. Ambrosoli ”. “Aggiungerei un’osservazione - scrive Monsignore Renato Conti - che è relativa a ciò che è stato chiamato “il Gesù Cristo di p. Ambrodsoli”. Il segreto è stato indicato nella scoperta, avvenuta nella sua vita, di Dio, di Gesù, del Vangelo, del Regno a cui ogni uomo è chiamato. Dobbiamo riconoscere che tutta l’esistenza di p. Giuseppe è stata un potente segno di un Altro, di Dio-amore. Ora a me pare valga la pena riflettere un istante sulle modalità fondamentali attraverso le quali la Chiesa rivela Dio partendo dal principio che la vocazione e la missione della chiesa consistono proprio in questo: svelare il volto di Dio-amore. È decisivo riconoscere che Cristo vive la missione nella passione e nella morte. Anche per p. Ambrosoli la missione raggiunge il culmine quando gli è domandato di sacrificare tutto. La distruzione dell’ospedale non è stata per p. Ambrosoli un problema, perché lavorava solo per Dio e per la sua gente. Il suo atteggiamento nei confronti di Dio è stato espresso con le parole: “Quello che Dio vuole non è mai troppo”. Se si aggiunge poi il riferimento al Comboni e al suo senso della croce, ai martiri dell’Uganda di cui si era appena celebrato il primo centenario, siamo in pieno nell’espressione più viva della

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testimonianza. È a questo livello che p. Ambrosoli somiglia a Gesù, al Fondatore del suo Istituto, ai martiri e che la sua esperienza di fede si realizza al sommo grado. I santi sono l’esegesi più viva del vangelo, Ambrosoli lo ha dimostrato. P. Giuseppe, perciò, ci inserisce in una nuova realtà di vita di Chiesa. Egli ci costringe ad uscire dai nostri schemi e dalle nostre autodifese per riflettere sulla nostra vita in rapporto al Vangelo. P. Giuseppe è una testimonianza, un sentiero percorso, una dimostrazione che le Beatitudini sono possibili, tanto è vero che egli le ha vissute. Vorrei dire ai giovani di non guardarsi allo specchio facendo di se stessi la misura, ma di specchiarsi in coloro che probabilmente hanno fatto un po’ di strada più lunga o sono andati più a fondo nel Vangelo per comprendere in quale maniera, come e dove Dio chiama.” Vengo a cercare Dio. Giuseppe Ambrosoli aveva parlato della sua vocazione con p. Simone Zanoner, che si trovava a Rebbio, e poi con p. Antonio Todesco, generale dei comboniani al quale scrisse: “vengo a cercare Dio”. La ricerca di Dio sarà l’impegno costante durante il noviziato e in tutto il resto della sua vita. A Gozzano, Giuseppe si rese conto che la vita del missionario era piuttosto dura. La sede del noviziato ne era un antipasto. Medico in Uganda. Il 9 settembre 1953 emise i voti temporanei e andò a Venegono Superiore per la teologia. Dovunque si è fatto notare per la squisita carità nei confronti degli ammalati per i quali aveva sentimenti delicatissimi. Sfruttava i tempi liberi per frequentare gli ospedali onde imparare l’arte chirurgica. Previa dispensa, il 9 settembre 1955, emise i voti perpetui, e con un’altra dispensa, poté essere ordinato sacerdote all’inizio del quarto anno di teologia (17 dicembre 1955). Il motivo di tanta fretta: l’urgenza di avere un medico in Uganda per l’ospedale che mons. Cesana intendeva fondare a Gulu. Egli completò il suo quarto anno di teologia con un corso privato nel Seminario Maggiore della diocesi di Gulu in località Lacor. Quello che Dio vuole non è mai troppo. Nessuno avrebbe immaginato che i quasi 23 anni di vita missionaria a Kalongo, caratterizzati dalla più completa dedizione e grande amore per gli africani, sarebbero terminati con lo sgombero dell’ospedale e con l’apparente distruzione di un lavoro lungo e laborioso. A questo punto il lettore apprezzerà la testimonianza di chi scrive. Nella cappella del Noviziato di Namugongo ci sono delle finestre con le immagini dei padri uccisi in Uganda. Fra di loro c’è anche p. Ambrosoli. Gli altri furono uccisi dai soldati ribelli, p. Ambrosoli fu ucciso dalla sua generosità ed amore per gli africani. Io mi trovavo in Italia, a Venegono vicino a Ronago per trattamenti medici e fu lì che incontrai p. Ambrosoli , il quale mi suggerì di recarmi presso il suo medico, Dott. Teruzzi, per le cure mediche del caso. Il medico mi disse che il padre aveva solo un rene che funzionava solo a metà. Lo lasciò tornare a Kalongo a malincuore. Dopo la morte di p. Giuseppe, molti medici e missionari rimproverarono il dr. Teruzzi dicendo che egli non avrebbe dovuto permettere che tornasse in Africa, ma il medico replicò che p. Giuseppe insisté così tanto che se non gli fosse stato permesso di tornare la sua fibra morale ne avrebbe risentito tanto da rendere inutili le cure. Comunque , gli aveva permesso il rientro a certe condizioni: lavorare in piedi solo quattro ore al giorno, restare a letto per 10 ore, evitare di affaticarsi, e se doveva spostarsi avrebbe dovuto usare l’ambulanza dell’ospedale. Il governo ordinò di chiudere l’ospedale per evitare che i ribelli ne potessero usufruire. P. Ambrosoli dovette raccogliere quello che poté, sia dall’ospedale che dalla missione . Lavorò per tre giorni poi si mise in cammino verso la missione di Lira distante 80 chilometri su strade dissestate . Durante il viaggio furono presi di mira dai ribelli che sparavano a tutti. Il vescovo Cesana ebbe un attacco cardiaco ed una donna partorì sotto un camion. Da Lira, dove lasciò tutto quanto aveva salvato dell’ospedale, andò a Kampala con altri sacerdoti e fratelli che partirono per l’Italia. Noi insistemmo che anche lui se ne dovesse andare. Egli rispose che il corso per ostetriche non era ancora finito e dovevano finirlo entro maggio altrimenti non avrebbero potuto sostenere gli esami finali. Andò ad Arua con l’aereo e da lì in auto fino a Angal e poi di nuovo ad Arua (150 Km). Da Kampala andò a Lira in camion per altri 340 km, senza contare lo stress al quale fu sottoposto. Domenica 22 marzo andò a letto con la febbre. A causa delle attività dei ribelli, le strade non erano sicure così il Dott. Corti da Gulu gli dava consigli via radio, aveva forse la Malaria? Il lunedì sera le Suore infermiere di Lira mandarono un messaggio a Kampala chiedendo di essere pronti a mandare un elicottero che avrebbero confermato il giorno successivo. Il martedì p. Ambrosoli migliorò ma il giovedì sera le suore chiesero che fosse mandato l’elicottero. Riuscimmo ad avere un elicottero militare solo il venerdì. Quando la mattina del venerdì le suore dissero al Padre che stava arrivando l’elicottero egli disse “Tropo tardi” . Era il prezzo della guerra. P. Ambrosoli accettò quel calice amaro con la sua caratteristica fede: “Dobbiamo tutti essere convinti che tutto questo sta succedendo per il nostro bene”.Era pronto per il pa-

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radiso: Molti hanno paura del passare degli anni, disse. Per noi deve essere causa di gioia perché saremo più vicino alla Casa del Padre”. Poi chiese a p. Marchetti di impartirgli l’estrema unzione e la Santa Comunione. Dopo di che espresse il suo desiderio di essere sepolto in terra africana nel modo africano, avvolto soltanto da un semplice lenzuolo. Il suo desiderio fu esaudito. Morì serenamente. Le parole che colpirono coloro che gli si trovavano vicino furono quelle che ripeteva continuamente nei momenti critici della sua vita: “Quello che Dio vuole non è mai troppo”. Fu sepolto nel cimitero di Lira. Sulla sua tomba non sono infrequenti rappacificazioni e perdoni. Quando fu riaperta la missione, il suo corpo fu trasferito al cimitero di Kalongo vicino all’ospedale. Un monumento commemora questo nostro confratello e l’ospedale porta il suo nome. FRATEL MATIAS OBERPARLEITER: una perla preziosa: incarnava la pazienza. Tesselberg (Bolzano) 6/8/1936 – Ellwangen 2/3/90. I medici scoprirono che era malato di cancro al pancreas nel 1989. La chirurgia fu inutile. Sopportò il dolore della malattia con pazienza e fortitudine. Il modo in cui portava la croce che il Signore gli aveva dato, fu un esempio per tutti. Come nostro Signore sul Calvario, egli dovette lottare per dire: “Signore che sia fatta la tua volontà”. Ritenne di avere avuto una particolare grazia in quanto poteva prepararsi alla morte con intensa preparazione. Lavorò nella fattoria in Spagna per 15 anni. Naturalmente era la personificazione della pazienza. Nel 1976 andò a Moshi in Tanzania per aiutare gli Apostoli di Gesù responsabile della fattoria di questo giovane Istituto africano. Vi lavorò per quattro anni con i postulanti ed i novizi. Coloro che hanno lavorato con questi giovani sanno che occorre avere molta pazienza. Riscosse l’ammirazione dei padri e dei fratelli per la sua dedizione ed il duro lavoro che svolgeva. Capivano quanto egli amava quei giovani e come loro ricambiavano con rispetto e simpatia. Nel 1980 fu trasferito alla Procura inter-provinciale di Nairobi, responsabile per l’acquisto e le spedizioni di cibo, utensili, indumenti, pezzi di ricambio e quant’altro fosse necessario per le missioni del Kenya, Uganda e Sud Sudan. Cercava pazientemente di esaudire tutte le richieste dei confratelli con la massima sollecitudine. I confratelli che dovevano fare affidamento sulla procura di Nairobi per i loro approvvigionamenti lo stimavano molto. Anche se era a conoscenza delle grandi difficoltà e pericoli del Sud Sudan, egli avrebbe voluto tornarci una seconda volta, ma questo, purtroppo non poté avverarsi. I confratelli di Josefstal dicevano di lui: “La nostra casa è stata benedetta con una perla preziosa, un tesoro.” . mentre lo accompagnavano nella sua malattia con quanta carità possibile. Fratel Mathias era una persona equilibrata e serena. Nella comunità egli era colui che pacificava tutti. Chiunque si trovasse vicino a lui si sentiva meglio. Visse con gioia e con pieno coinvolgimento nella sua vocazione missionaria. Il suo sorriso incoraggiante e sempre presente aiutò molte persone. Era un uomo di principi e di poche parole. Faceva il suo dovere diligentemente e responsabilmente. Possa riposare in pace.

LE SUORE COMBONIANE

XV Capitolo Generale: Roma 1986 Elezioni: Madre Giuseppina Tresoldi Suor Bianca Maria Dughi Suor Maria Rosaria Gallo Suor M. Filomena Di Nello Suor Teresa Irene Yago April

- Superiora - Vicaria generale - Assistente - Assistente - Assistente

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Due eventi segnarono il Capitolo. Primo: Una Santa messa con il Papa nella sua Cappella privata; un momento di rara emozione. Secondo: La liberazione di due Suore , le quali cinque mesi prima erano state rapite dai ribelli nel Mozambico: Suor M. da Piedade de Jesus Figuera e Suor Alma Lomboni. Una decisione importante presa durante questo capitolo fu la revisione delle regole. In seguito fu istituita una commissione per rivedere il testo e lo stile del Capitolo, cosicché nel periodo ’86-’92 la Regola di Vita fu vissuta serenamente . In questo spirito, fu approntato un libro “Guida alla Preghiera” che non sostituiva la Liturgia delle Ore era piuttosto diretto a celebrazioni tradizionali conformi alla spiritualità dell’Istituto e che erano state messe da parte nel periodo reazionario post-Vaticano. A giugno del 1992, le suore erano , in totale, 1969: 106 VT e 1863 VP. L’Istituto operava in 27 nazioni. Il 27° essendo Costa Rica che aprì nel 1991 per l’animazione missionaria.

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Capitolo Diciottesimo QUATTORDICESIMO CAPITOLO GENERALE 1991

A. QUATTORDICESMO CAPITOLO GENERALE (ROMA 1991) Membri dell’Istituto: 1.818; 14 prelati; 1.301 sacerdoti; 345 fratelli; 158 scolastici Elezioni P. David Glenday: Superiore Generale P: Vittorio Moretto: Vicario Generale Fr. Casar R. Guillermo, p. Casilllas H. Manuel, p. Giuseppe Filippi: Assistenti P. DAVID KINNEAR GLENDAY. Bombay (India) 25/9/1949. Suo padre, Thomas Kinnear Glenday era un ingegnere marino scozzese . Sua madre Anne Josephine Breen, era infermiera presso l’ospedale Queen Alexandra Royal Army Navy Corp. Ha un fratello, Michael nato a Bombay il 9 marzo 1952. Si stabilì nella sua città di Dundee in Scozia; il suo primo contatto con i missionari Comboniani fu nel 1958 in risposta ad una loro inserzione su “The Universe”, un giornale cattolico a diffusione nazionale. Si tenne in contatto ed entrò nel St. Peter Claver College di Mirfield il 17 settembre 1962. Prese i voti il 23 maggio 1972. Durante il suo scolasticato ad Elstree, nel 1974, gli fu permesso di recarsi in Uganda per un anno di esperienza pastorale durante il quale insegnò religione nella nostra scuola a Layibi. A settembre del 1975 tornò ad Elstree e al Missionary Institute London (MIL) per completare il corso di teologia. In questo periodo pubblicò diversi articoli su svariati argomenti su riviste bibliche, liturgiche e antropologiche. Vinse anche un premio per la migliore composizione in inglese. Fu ordinato sacerdote il 16 aprile del 1977 a Dundee. Il suo primo incarico fu come formatore dei postulanti della provincia di Londra studiando, nel contempo, per un Master in teologia sistematica presso l’Heythrop College University of London, laureandosi in teologia generale due anni dopo. Nel 1982 fu mandato in Uganda e dopo un anno di lavoro pastorale a Gulu fu nominato Editore della rivista “Leadership” a Kampala. Nel 1987 fu nominato Superiore Provinciale per la Provincia di Londra dove rimase fino al 1991 quando fu eletto Superiore Generale . Durante il suo mandato fu nominato membro de Consiglio Supremo dello SCEP (ex propaganda Fide). Il 2 marzo 1994 fu nominato membro dell’Assemblea Speciale e del Sinodo per l’Africa. Il 1 gennaio 1998, alla fine del suo mandato fu destinato alla delegazione dell’Asia . Attualmente egli è Vice Delegato. Un uomo determinato e con idee chiare; può dare l’impressione di evitare il dialogo. Prese le sue responsabilità come Superiore Generale molto seriamente ma questo non gli impedì di creare una rilevante e lodevole solidarietà fra i membri della sua Consulta. Conserva un’ottima reputazione fra i Superiori Generali di diversi Istituti e i suoi collaboratori più stretti.

B. RELAZIONE DEL CONSIGLIO GENERALE È una relazione molto esauriente e obiettiva divisa in tre parti introdotta da un preambolo. 1. Preambolo – lo Spirito Santo Il preambolo sottolinea come lo Spirito Santo sia il protagonista della missione e come il Regno di Dio sia prima di tutto un dono dell’amore misericordioso e liberale del Padre, che gradatamente penetra e trasforma la storia. Noi non siamo i protagonisti della venuta del Regno, e della missione ma solo “co-operatori” (RV 56) . Questa visone di fede è necessaria per comprendere le dinamiche interiori della missione.

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2. Parte Prima – Eventi Storici L’Istituto non è un corpo isolato, esso condivide la storia del mondo e della Chiesa. Perciò, la prima parte racconta gli eventi storici che hanno caratterizzato ed hanno influito su questo sessennio nelle nostre missioni e nella nostra vita, in particolare nei continenti e nelle nazioni dove siamo presenti e dove lavoriamo. Dobbiamo qui ricordare i molti aspetti socio-politici che influenzano il terzo mondo in generale e le relazioni fra il nord ed il sud, i ricchi ed i poveri… Avvenimenti importanti nella chiesa che hanno influenzato la vita della comunità cristiana, come l’aumento di gruppi di persone non ancora evangelizzate e i mutamenti avvenuti nelle missioni a causa di rapidi cambiamenti socio-politici e culturali. I movimenti ecclesiali, la crescita dei laici missionari, la rapida espansione delle sette, i ministeri ecclesiali sono anch’essi fattori che apportano cambiamenti sostanziali nella nostra metodologia e che dettano l’aggiornamento della nostra formazione sia di base che continua. 3. Parte Seconda – Il Carisma del Fondatore La seconda parte si sofferma sulla qualità della vita e servizio missionario dei missionari Comboniani, con particolare attenzione sul modo in cui il Carisma del Fondatore viene attualizzato. Questo è lo scopo principale del capitolo (RV 146). Perciò, questa parte presenterà la vita di preghiera, la vita comunitaria, la vita consacrata e il servizio missionario. Presenterà anche informazioni sul personale: età, umori, la collaborazione e complementarietà fra i fratelli e i sacerdoti , il delicato e complesso problema della perseveranza. La crescente consapevolezza del carisma di Comboni è giudicato positivamente, benché la teologia del carisma non sia ancora penetrato in molti di noi. Due sessioni congiunte a livello continentale , America (1990) ed Africa (1991) hanno dato del materiale sul quale poter lavorare, a coloro che vogliano approfondire le problematiche. La pubblicazione in diverse lingue di “La Spiritualità del Comboni” da parte di un padre non Comboniano, p. Lozano , professore di Spiritualità ha contribuito notevolmente alla conoscenza del Comboni. Nel novembre del 1966, i Maestri dei Novizi tennero una riunione a Roma durata dieci giorni sulla RV e come testo fondamentale per il cammino di identificazione spirituale con l’Istituto durante il Noviziato. Non è stato possibile finire il commento sulla RV ma è stato raccolto molto materiale utile. I ritiri spirituali con contenuti comboniani sono moltiplicati. Quei confratelli che possono gestire i contenuti dei ritiri specificamente comboniani e sulla RV hanno approfittato del corso per predicatori dei ritiri comboniani tenuto a Pesaro dal 28 dicembre 1986 al 6 gennaio 1987. Questo tipo di ritiri fu ben ricevuto e furono tenuti corsi in quasi tutte le Province. Le Suore Comboniane, le Missionarie secolari Comboniane e gruppi laici che chiedono di vivere il nostro spirito missionario e spiritualità, sono anch’essi una sfida che non dobbiamo sottovalutare. Un importante contributo alla spiritualità di Comboni è stato dato dall’appoggio attivo alla teologia e il culto dal Cuore trafitto del Buon Pastore attraverso studi specifici come lauree, tesi e licenze, nonché pubblicazioni popolari. Siamo anche attivamente impegnati nella promozione di incontri di spiritualità fra gli istituti consacrati al Sacro Cuore di Cristo per incoraggiare la formazione di base e quella continua dei membri degli Istituti. 4. Un aspetto negativo Si parla di un aspetto negativo che ricompare in tutti i Capitoli e assemblee intercapitolari: Ø Per un buon numero dei nostri confratelli gli scritti del Comboni sono solo un punto di riferimento marginale; non contribuiscono in modo significativo alle loro attività missionarie e la loro spiritualità.

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Ø Molti considerano la RV soltanto uno strumento giuridico e non la via concreta della nostra “sequela Cristi “come seguaci di Comboni (sequela). Ø Un altro punto che viene discusso ad ogni Capitolo è la preghiera personale. Ci sono stati, nell’insieme, dei miglioramenti, ma ci sono ancora segni che la preghiera personale è vissuta in modo inadeguato. 5. La vita consacrata Per quanto riguarda la vita consacrata, la relazione individua aspetti sia positivi che negativi comuni, comunque, ad altri Capitoli ed assemblee. L’OBBEDIENZA merita una riflessione speciale. Riportiamo, qui, l’intera pagina in quanto l’obbedienza ben vissuta è garanzia per il mantenimento degli altri voti, in quanto tutte le violazioni fatte contro di esse vanno contro l’uno o l’altro dei precetti dell’obbedienza al Vangelo, alla RV ed ai Superiori. È anche il segreto che rende positiva la vita comunitaria come descritta nella relazione in questione. Qui di seguito una lunga citazione circa l’obbedienza: Aspetti positivi: Ø È spesso edificante la disponibilità della grande maggioranza dei confratelli all’obbedienza, alla rotazione, a lavorare in situazioni missionarie veramente difficili. Sta crescendo la disponibilità ad accettare il discernimento comunitario e a integrare e rivedere i propri punti di vista con quelli degli altri, anche se l’individualismo resta ancora un problema. La “missione” sta diventando sempre meno progetto di un individuo e sempre più il risultato di un’azione comunitaria. Ø Maggiore sensibilità a leggere i segni dei tempi, come conseguenza della terza priorità sulla presenza e assenza dei valori del Regno del Dio, Gesù Cristo. Ø Maggiore regolarità nei consigli di comunità, per discernere, valutare, orientare la comunità. Ø Si è sviluppato anche il senso della programmazione. Ø È migliorata la capacità di inserirsi nei piani diocesani (Obbedienza ecclesiale RV 66). Ø È migliorata l’accettazione del ruolo del superiore nella vita comunitaria e nel discernimento. Ø Si è diffusa la pratica della carta della comunità. Aspetti negativi Ø È abbastanza forte in alcuni la mentalità, sostenuta anche dalla cultura corrente, di vedere la missione come “andare a fare un’esperienza” secondo i propri gusti e criteri, con attenzione più a se stessi che agli effettivi bisogni della gente e dell’evangelizzazione. Ø Difficoltà ad accettare la metodologia e le linee programmatiche dell’Istituto e della Provincia. Alcune incardinazioni sono dovute alla mancanza di obbedienza. Alcuni hanno cercato il Vescovo che permetteva di realizzare quello che desideravano. Ø Una certa “disaffezione” e “sospetto” verso ciò che viene da Roma, sia dal “Vaticano” che dalla Direzione Generale. Ø La privacy come diritto assoluto: questo pone problemi alla vita religiosa: alcuni si risentono di fronte al dover informare o rendere conto di cosa uno fa, dove va…; si pensa che il profondo del cuore e le relazioni con la gente siano di competenza esclusivamente personale. Ø La tecnica del discernimento comunitario non è sufficientemente conosciuta e praticata.

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6. Servizio Missionario La relazione fa due importanti osservazioni: “1. Sotto la spinta della crescente scoperta del Fondatore si è andata focalizzando la coscienza della nostra specificità ad gentes , secondo il n. 5 e 13 della RV, ora accentuato anche dall’enciclica Redemptoris Missio (cap.IV). La nostra priorità per i gruppi umani non ancora evangelizzati; ciò ha portato alla consegna di diverse opere, ove l’aspetto “ad gentes” era in fase di superamento, e all’apertura di altre con tale caratteristica. L’apertura in Asia ne è l’espressione più chiara. In tale ricerca di fedeltà ai gruppi umani non ancora evangelizzati non bisogna dimenticare che a volte il discernimento non è facile, non ci sono sempre linee di demarcazione chiare, come la stessa enciclica RM sottolinea. A volte poi, il nostro criterio di discernimento e la nostra sensibilità differiscono molto da quella dei vescovi e della gente locale, suscitando dolorose tensioni e incomprensioni. 2. È maturata notevolmente, come indicano le due assemblee continentali, l’attenzione alla metodologia missionaria, anche se resta ancora molto da fare. L’impegno crescente dei consigli provinciali nel seguire l’evangelizzazione e la promozione umana è garanzia di sviluppo positivo (Cfr VSC 71-80)”. Questo crescente impegno dovrebbe porre fine alla dicotomia spesso creata da alcuni missionari fra la vita religiosa e l’impegno pastorale; tale comportamento è spesso un incoraggiamento per alcuni missionari a lasciare l’Istituto per cercare l’incardinazione in una diocesi. La consacrazione religiosa è, contrariamente a quanto si possa pensare, una magnifica sorgente e strumento di evangelizzazione. 7. “Situazioni martirio” Siamo grati al Consiglio generale per la seguente dichiarazione: “È importante sottolineare l’enorme valore missionario della presenza di confratelli in zone ad alto rischio, situazioni di totale isolamento, con assenza quasi totale di servizi medici, di corrispondenza. Per condividere la vita della gente e con la gente i confratelli sono esposti ad un logoramento fisico, psicologico e spirituale di autentico martirio. Sono presenze in “situazioni martirio”. Un grazie profondo a Dio e ai confratelli per tale esempio” (p. 35). 8. Inculturazione La seguente dichiarazione della Relazione necessita di un commento: “Non possiamo approvare l’atteggiamento dei missionari che dicono che l’inculturazione è qualcosa che deve essere fatta dagli agenti pastorali locali e che non può venire dall’esterno.” Se è vero, e siamo d’accordo, che l’inculturazione non può venire dall’esterno, è altrettanto vero che un missionario che abbia lavorato e vissuto fra un popolo di una data cultura non può essere definito un estraneo a tale cultura, non è un esterno. Il ruolo di questo missionario è di importanza vitale nell’aiutare gli agenti pastorali locali a prendere consapevolezza della loro cultura . Una persona attenta è capace di rilevare ed identificare elementi della cultura dove vive e lavora. Aiuterà gli agenti pastorali ad analizzare gli elementi appartenenti alla cultura locale ed a identificarne i valori sia positivi che negativi, giudicandolo non solo dal punto di vista umano ma anche dal punto di vista del Vangelo. Tale missionario potrebbe essere di grande utilità nel processo di inculturazione.

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Il lavoro di inculturazione per quanto riguarda i valori umani dovrebbe essere il risultato di una sincera cooperazione, disponibilità e fiducia reciproca fra i missionari e i sacerdoti locali. Agenti pastorali locali che non tengono in considerazione le esperienze maturate dai missionari, e quei missionari che da soli decidono cosa devono fare gli agenti pastorali, sono ambedue fuoristrada. Il seguente fatto potrà chiarire quanto detto. Un ugandese, Joseph Kyagambiddwa, il cui talento musicale fu scoperto dai missionari, fu mandato negli Stati Uniti per seguire corsi di musica. Una volta approfondita la sua conoscenza della musica occidentale e orientale, egli poté rendersi conto della differenza che c’era fra quella musica e quella del suo paese. Quando tornò in patria scrisse un libro sulla musica Kiganda. Compose l’ORATORIO per i martiri ugandesi che fu eseguito diverse volte a Roma con grande successo e che fu descritto da esperti come un pezzo di autentica musica Bantu Kiganda. Lo stesso principio vale per la cultura: si comprende la propria cultura e stile di vita quando s’incontra e si comincia a capire un’altra. 9. Settore educativo Un’altra affermazione chiarificatrice è la seguente: “Il nostro impegno nel settore educativo è non solo valido ma è un modo pratico e concreto per portare avanti la promozione umana (Cfr. RV 61.4) profondamente radicata nella tradizione dell’Istituto. Non dovrebbe essere messo da parte, particolarmente ai livelli più alti di formazione.” Ci fu un periodo allorché in alcune nazioni i missionari lasciarono in massa la amministrazione delle scuole cattoliche senza discriminare fra scuole elementari o secondarie. Per molti missionari questo significò abbandonare le scuole. Molti le abbandonarono perché esse non offrivano le opportunità di lavoro pastorale che pensavano. Invece, tutte le scuole, specialmente quelle secondarie ed i collegi convitti, sono parrocchie privilegiate dove la cura pastorale può arrivare ai singoli individui in modo molto più efficace di quanto non lo faccia nei villaggi, dove ci si impiega più tempo e l’assistenza pastorale è più sporadica, quello che conta è la continuità, non le visite brevi e sporadiche. Il personale deve essere veramente preparato sia pastoralmente che professionalmente di modo che la sua presenza nelle scuole sia una presenza significativa come il lievito nel pane. Quanto sopra esposto si inserisce perfettamente con la seguente affermazione della relazione: “La RM, inoltre, facendo proprie le indicazioni già da tempo circolanti tra i missionari, comboniani inclusi, scrive: “Oggi, l’immagine della missione -ad gentes- sta forse cambiando: luoghi privilegiati dovrebbero essere le grandi città, dove nascono i nuovi costumi e modelli di vita. È vero che ‘ la scelta degli ultimi’ deve portare a non trascurare i gruppi umani più emarginati e isolati, ma è anche vero che non si possono evangelizzare le persone o i piccolo gruppi trascurando i centri dove nasce , si può dire, una nuova umanità, con nuovi modelli di sviluppo. Il futuro delle giovani nazioni si sta formando nelle città“.(RM p. 43) Ed è nelle città, in particolare nelle scuole secondarie, dove si formano i nuovi e futuri leader.

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C. RELAZIONI CONTINENTALI Per la rima volta i capitolari approntarono relazioni esaustive sull’Africa, l’America, l’Asia e l’Europa. Qui di seguito trascrivo i punti salienti, eccettuata l’Asia già menzionata prima. 1. Africa a. Segni di speranza Ø Ø Ø Ø

Ø

Nonostante grandi problemi possiamo ringraziare Dio per i segni positivi: Il grido per avere strutture democratiche, sperando che , lentamente ciò aumenti la mentalità democratica che si basa sul pieno rispetto dei diritti umani. Il desiderio di, e l’attenzione data, ai valori culturali nella società e nelle chiese locali; qui troviamo tendenze che mirano alla comunità di base e alla ricerca teologica. L’aspetto della croce realizzatosi tramite il martirio di missionari comboniani ed altri missionari, di catechisti e laici. Possiamo aggiungere alla beatificazione di Isidore Bakaja (1994) la canonizzazione di Josephine Bakhita (2000), del nostro Fondatore il vescovo Comboni (2003) e la beatificazione di Daudi Okelo e di Jildo Irwa, ambedue ugandesi (2002). Documenti originali e rilevanti a livello continentale (due SECAM-SCEAM) e a livello di conferenza episcopali.

b. Problemi I problemi sono troppi e per la maggior parte troppo difficili da risolvere; per altri ci vorrà del tempo. Fra di essi: Ø La povertà della gente comune e il fenomeno universale dei periodi di crisi economica quando i poveri diventano ancora più poveri e i ricchi ancora più ricchi, ambedue all’interno della società nazionale e all’interno delle stesse nazioni; da qui pure le stridenti differenze fra il nord ed il sud del mondo. Ø La povertà che cresce a causa dell’ analfabetismo, la corruzione, l’appropriazione indebita di fondi pubblici, la disoccupazione, le guerriglie, le spese militari e quant’altro. Ø L’interferenza delle grandi potenze a livello sociale e economico, nella vita culturale che sprona le giovani generazioni a prendere una strada senza ritorno alla ricerca della felicità che non troverà mai e l’aumento della criminalità armata. Ø Il fondamentalismo islamico e settoriale che disturbano le società e sono spesso gli strumenti usati per ambizioni politiche. Ø Problemi di salute: nuovi tipi di malaria persistente, AIDS ecc. Ø La struttura delle Chiese Particolari è molto solida, ma il viaggio verso una Chiesa di Comunione, di interiorizzazione, di valori ecclesiastici e soprannaturali, è appena iniziato. Ø Esiste ancora l’autoritarismo e il clericalismo. Il training in alcuni seminari e noviziati e le strutture per la formazione continua lasciano ancora molto da desiderare. Alcune chiese non hanno un testimone personale ed ecclesiastico di autentica vita cristiana, religiosa e sacerdotale. c. Suggerimenti Ai Consigli Generale Provinciali ed ai Consigli di Comunità vengono dati i seguenti suggerimenti:

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Ø Si esortano a compiere, in modo particolare, il loro dovere come richiesto dalla RV e i cinque documenti del Capitolo. Ø Si esortano le comunità ad assomigliare di più a cenacoli di apostoli che comunità di lavoro che spesso diventa attivismo; perciò servono più preghiere e fede nella presenza del Signore nelle comunità religiose ed ecclesiastiche . Ø Concentrarsi di più sull’idea di “salvare l’Africa con l’Africa” per incoraggiare una Chiesa che sia autosufficiente e che si possa amministrare e propagare da sola iniziando dalla base. Ø Si enfatizza l’importanza della formazione degli agenti pastorali e dei leader non soltanto nel campo religioso ma anche in quello sociale, economico e politico. Ø L’opzione preferenziale per i poveri per la prima evangelizzazione. Ø Non è adesso l’ora dell’Africa? d. Aggiunte A completamento delle affermazioni sopra esposte vorrei aggiungere i seguenti punti: LA DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA. Alcune nazioni africane seguirono tendenze sociopolitiche comuniste. Alcune le abbandonarono quasi subito come il Senegal e la Costa d’Avorio. Altre le abbandonarono quando l’Unione Sovietica cessò di esistere. Alcune di esse, però, stanno andando verso un capitalismo selvaggio. La chiesa deve urgentemente occuparsi delle questioni sociali utilizzando l’insegnamento e la pratica della Dottrina Sociale Cattolica. Dopo tutto Papa Giovanni Paolo II nella sua Enciclica Centesimus Annus (1991) scrive: “La “nuova evangelizzazione “di cui ha urgentemente bisogno il mondo e che io stesso ho spesso enfatizzato molte volte, deve includere fra i suoi elementi essenziali una proclamazione della dottrina sociale della Chiesa. Come ai tempi di Papa Leone XIII , questa dottrina è ancora valida a indicare il modo giusto per rispondere alle grandi sfide odierne, nel momento in cui le ideologie vengono continuamente screditate. Adesso come allora, dobbiamo ripetere che non ci potrà essere una genuina soluzione della “questione sociale” se non con il Vangelo, e che le “cose nuove “possono trovare nel Vangelo il contesto per essere capite e la giusta prospettiva morale per giudicarle.” (n. 5) “Perciò gli insegnamenti sociali della Chiesa sono di per sé un valido strumento di evangelizzazione. Come tale proclamano Dio e il Suo mistero di salvezza in Cristo ad ogni essere umano e per questa ragione rivelano l’uomo a se stesso. In questa luce, e solo in questa, si occupa di tutto il resto: i diritti umani dell’individuo, ed in particolare delle “classi lavoratrici”, la famiglia e l’istruzione, i doveri dello stato, l’organizzazione della società nazionale ed internazionale, la vita economica, la cultura, la guerra e la pace, ed il rispetto per la vita dal momento del concepimento fino alla morte.” (n. 54) Troppi cattolici nella vita politica e sociale, ed anche professori di Scienze politiche alle Università ignorano l’insegnamento sociale della Chiesa: colpa del clero? LA POVERTÀ. La realtà della povertà in Africa è allarmante, questo stato di cose è espresso in un articolo dell’African American Institute del dicembre 1994 pubblicato in “Africa Report “dello stesso mese ed anno. “Nel 1993 il sottosegretario del Tesoro del Governo USA presentò e evidenziò alla House of Representatives (USA) che la povertà in Africa stava aumentando rapidamente . Il numero di poveri è in ascesa e quelli che erano già indigenti stanno diventando

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ancora più poveri. Chiese che fosse fatto un cambiamento di rotta da parte delle istituzioni finanziare internazionali (IFIS) . Da quel momento gli USA stanno, con calma, discutendo la necessità di un cambiamento nella loro politica africana.” Nello stesso articolo l’UNICEF è citata perchè esprime la sua preoccupazione circa: Ø i milioni di poveri contadini che hanno pochissimo terreno da coltivare e che, negli ultimi anni sono stati duramente colpiti da una politica creditizia molto restrittiva, con tagli all’estensione di servizi, sottrazioni di sussidi sull’agricoltura, il deterioramento delle strade ed altre infrastrutture; le paghe rurali che sono in genere stagnanti e il potere d’acquisto che è stato ridotto dall’aumento del costo del cibo; Ø la sicurezza del raccolto dei campi e la produzione che sono diminuiti sensibilmente; Ø gli eventi che hanno portato all’importazione di cibo a buon mercato, hanno fatto in modo che ne risentisse negativamente la produzione rurale locale; questo è avvenuto a causa della liberalizzazione dei sistemi d’importazione; Ø tagli sulle spese reali pro capite nell’istruzione, risultante in un declino delle iscrizioni scolastiche e la qualità della stessa istruzione, per esempio, nell’Africa sub sahariana, le iscrizioni scolastiche erano dell’80% nel 1980 e del 69% nel 1990; Ø tagli sulle spese reali pro capite per la salute risultante in un aumento delle morti, per esempio, Oxfam cita lo Zimbawe dove si paga un ticket per usufruire dei servizi sanitari,il numero delle mamme che morirono dando alla luce i bimbi fu triplicato all’ospedale Harare Central Hospital. C’è anche stata una fuga di cervelli per via dei salari troppo bassi. Tutto questo senza parlare dell’assenteismo, dell’inefficienza, la corruzione e chi più ne ha più ne metta. Cosa dire poi del ritorno delle malattie infettive come la febbre gialla, la malaria, il colera. Stranamente quest’articolo non parla dell’AIDS come malattia infettiva, la quale, in poco tempo ha infettato milioni di africani. 2. America a. Segni di speranza Ø Le organizzazioni popolari hanno incoraggiato la fraternità e la solidarietà nel campo sociopolitico e economico; questo fenomeno è di notevole aiuto per la gente comune nel loro cammino per diventare protagonisti responsabili del loro destino. Ø Sia il clero che i laici, uomini e donne, vivono nella Chiesa responsabilmente; le vocazioni e lo spirito missionario sono il podio dal quale la Chiesa proclama e denuncia l’aumento delle ingiustizie. b. Problemi Ø Economici e politici, problemi sociali, la dipendenza dalle situazioni internazionali sono più o meno come quelli africani. Ø Problemi specifici sono: grandi estese di terreni in mano a pochi di modo che la servitù dei poveri è sempre la stessa. Ø L’urbanizzazione: in alcune nazioni il 70 o 80 % della popolazione vive in grandi città spesso in quartiere di baracche in condizioni disumane. Ø In alcuni casi vige la violenza delle forze armate, la polizia ed unità locali aggiungono la paura all’angoscia dei “disaparecidos”, il terrorismo della droga, le esecuzioni extragiudiziali ecc. stanno aumentando. Ø Il problema delle sette è molto più acuto che in Africa data la vicinanza delle sorgenti, cioè gli Stati Uniti e i mezzi finanziari disponibili.

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c. Suggerimenti L’approccio ai problemi sopra esposti da parte dei Capitolari provenienti dall’America è simile a quello dei Capitolari africani. Viene, però, sottolineato un problema, e cioè come vivere l’internazionalità , la globalizzazione nell’Istituto e nelle nostre comunità: è una sfida da considerare non dal punto di vista dei numeri, ma dal punto di vista di mentalità, di franchezza e di vero amore verso tutti senza discriminazioni. Suggerimenti ricorrenti sono la necessità di: Ø approfondire la relazione fra la spiritualità di Comboni e la metodologia missionaria con quella latino americana; Ø approfondire il significato di liberazione totale o integrale della persona umana nel contesto ben definito del significato dell’evangelizzazione: non tutti i confratelli hanno le idee chiare su questo argomento, “Evangelii Nuntiandi” è sempre una valida risposta. 3. L’Europa I problemi dell’Europa sono differenti da quelli dell’Africa o dell’America, anche da nazione a nazione. Ciò nonostante, ci sono delle questioni comuni a tutta l’Europa occidentale. a. Segni di speranza Segni di speranza vengono da gruppi impegnati. La maggioranza dei giovani abbandona la Chiesa, le pratiche religiose e i Sacramenti. Molti che ancora li praticano forse lo fanno più sul piano culturale che spirituale. C’è però il lievito come dimostra l’aumento dell’interesse nella persona di Cristo nei membri dei movimenti ecclesiali, nell’aumento dell’impegno di missionari laici e nell’interesse di alcune diocesi nel personale e nelle finanze di alcune missioni (gemellaggi con le diocesi d’Africa e d’America con tutti i pro ed i contro di tali iniziative). b. Problemi Ø Scarso successo nella promozione vocazionale e di conseguenza nelle professioni e ordinazioni. Ø Immigranti provenienti dal sud: problemi connessi con alloggi ed assistenza; qualche specifica nostra responsabilità? Ø la rotazione con i relativi vantaggi e svantaggi. Ø I Fratelli Comboniani: numerosi problemi inerenti alla loro formazione specie nei CIF. Ø Membri associati (DSP)e vocazioni dei missionari laici. Ø Assistenza agli anziani ed ammalati. Ø In alcune province la cura di casi particolari di membri eccentrici. c. Suggerimenti Ø Approfondire l’Enciclica “Redemptoris Missio” di Giovanni Paolo II. Ø Studiare l’insegnamento sociale della Chiesa per far sì che i cristiani si rendano conto delle ingiustizie del mondo vis-à-vis il Vangelo. Ø L’incoraggiamento dei missionari laici comboniani. Ø Gli scolasticati devono continuare ad essere intercontinentali, senza esagerare: cioè evitare che siano presenti troppe nazionalità. Ø I sacerdoti ed i fratelli dovrebbero partire per le missioni appena possibile dopo la loro ordinazione o professione.

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D. ATTI CAPITOLARI In un certo senso questi atti sono più importanti delle relazioni, nel senso che sono un programma per tutti i membri dell’Istituto ed in particolare per i sei anni a venire. La commissione preparatoria aveva preparato 8 bozze per tre argomenti: Ø La revisione degli impegni. Ø L’internazionalità. Ø La metodologia missionaria. Il capitolo, però, decise di trattare argomenti differenti. Prima di tutti i capitolari identificarono il PUNTO FOCALE dal quale tutti gli altri argomenti derivano, cioè: “Con Daniele Comboni Oggi” e descritto con : MISSIONE/CARISMA – CARISMA/MISSIONE. Missione/Carisma focalizza sul SERVIZIO che diamo alla Chiesa. Carisma/ Missione focalizza sulla SORGENTE del servizio missionario. Il Carisma difatti ci viene donato nello stesso momento in cui ci è data la vita: questa è la chiamata. La missione è prima di tutto nella intenzione di Dio che ci dà il Carisma per rendere un servizio, per una missione. E. LINEE D’AZIONE Come linee d’AZIONE abbiamo l’esperienza del nostro Fondatore che ci indica la luce e la via, e di conseguenza le linee d’azione da seguire: Ø la Spiritualità Comboniana. Ø La comunità missionaria Comboniana. Ø La formazione di base e continua. Ø I campi di lavoro Ø La metodologia missionaria Comboniana. 1. Consigli pratici Le cinque vie dovettero essere scritte senza avere prima una bozza a parte quella riguardante la metodologia. Forse l’attenzione dei Capitolari era venuta meno. Se si eccettua la prima via sulla “Spiritualità Comboniana” , le altre non vanno oltre il contenuto della RV. Ciò nonostante, offrono tutte grandi vantaggi con i“CONSIGLI “, suggerimenti per azioni da intraprendere. Un ottimo ed illuminante suggerimento viene dato sulla prima via ai n. 25-27 che riportiamo qui di seguito: “Per vivere la dimensione missionaria che deriva dal Cuore di Cristo, esortiamo le Province e le comunità a promuovere iniziative che siano testimoni della solidarietà con “i più poveri e più abbandonati”: giorni di digiuno, preghiere per la giustizia, un maggiore componente missionario nelle celebrazioni tradizionali del Cuore di Gesù. Eventi politici ed economici, la violenza, la sofferenza che affliggono i poveri devono diventare oggetto di discernimento alla luce del Vangelo, e sorgente di preghiere per i missionari. Si devono aiutare quei confratelli i quali optano, come comunità per uno stile di vita più contemplativa al servizio della missione.” 2. Formazione

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Ai provinciali ed al Consiglio generale vengono date indicazioni sul programma di attività da svolgere. Degni di attenzione sono quelli per la FORMAZIONE DI BASE E CONTINUA. A proposito della formazione; alcuni capitolari volevano discutere le strutture ed i contenuti dell’intero sistema di formazione, mentre altri erano di parere opposto: questi ultime pensavano che i primi volessero mettere in discussione l’intero contenuto del sistema e delle strutture della formazione, ma non era così. Dopo tutto il Segretario Generale per la formazione si era lamentato del: “… il modo precario con cui si pratica la promozione vocazionale, ed a volte anche la stessa formazione e la mancanza di formatori preparati.” 3. Campi di lavoro Nel documento relativo ai CAMPI D’AZIONE si rilevano i seguenti punti: ASIA – Le Filippine: – Consolidare e rafforzare l’animazione missionaria e la formazione di base (per es. i Noviziati). – Sostenere il progetto di evangelizzazione a Macao seguendo le linee guida per la prima evangelizzazione. – Fare particolare attenzione alle culture e al dialogo inter-religioso. EUROPA

– Investigare le possibilità di fare animazione missionaria “ad gentes” nell’Europa orientale, incoraggiando le province europee, specialmente il DSP, di seguirne gli sviluppi. – La presenza in Polonia: La progressiva consolidazione della nostra presenza. 4. “La Nuova era missionaria” Riportiamo inoltre , le CONCLUSIONI del documento principale “LA NUOVA ERA MISSIONARIA”: “Mai come adesso, la Chiesa ha avuto la possibilità di portare il Vangelo, con la testimonianza e la parola, a tutti i popoli ed a tutte le nazioni. Vediamo l’alba di una nuova era missionaria (Cfr. RM 92) Lodiamo il Signore per questo periodi di grazia per la realtà odierna e per il carisma che ha concesso a Comboni. La presenza viva del Fondatore ci viene rivelata attraverso la vita dei confratelli che svolgono il loro lavoro, dai vecchi ed i malati, da tutti coloro che sono coinvolti in situazioni d’emergenza nella storia di sofferenza dei popoli, e ci impone di proclamare il vangelo con franchezza ed entusiasmo.”

SUORE COMBONIANE XVI Capitolo generale 1992 Elezioni: Madre Mariangela Sardi Suore Pilar Justo y Bragado Suor M. Libanos Ayele Suor Franca Fusato Suor Giovanna Sguazza

- Superiora Generale - Vicaria generale - Assistente - Assistente - Assistente

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Come di consueto il Capitolo iniziò con la relazione del Consiglio Generale eletto nel 1986. Uno dei punti mi ha particolarmente colpito e voglio, qui, portarlo all’attenzione dei lettori. Riguarda la povertà. Mentre la relazione loda molte suore per la loro fedeltà ai voti, specie a quello della povertà, la relazione sottolinea l’inizio di un comportamento non corrispondente all’osservanza di questo voto: Ø Troppe e ripetute assenza dalla comunità senza averne valide ragioni. Ø Desiderio smodato di oggetti personali e comunitari. Ø Richieste ed uso delle offerte contrariamente a quanto stabilito nelle priorità della RV e dalla comunità. Alla fine dei sei anni di servizio (1998) , la situazione riguardante il personale era la seguente: Suore Professe: 1815; Voti perpetui: 1707; Voti temporanei : 108. Alla fine del 1992 le suore professe erano 1969. Nel 2000: 1793. La loro presenza in 31 nazioni : Africa America Asia Europa

793 suore in 13 nazioni 176 suore in 7 nazioni 72 suore in 5 nazioni 771 suore in 6 nazioni

Nel 1998 ci furono 99 nuove professe, 25 lasciarono l’Istituto, 229 morirono. L’alto numero di suore che si riscontra in Europa è dovuto, per la maggior parte a coloro che sono in pensione, sia per quanto riguarda l’età sia per malattie varie, che ci ricorda il detto latino : “Senectus ipsa morbus est” (essere anziani è come essere ammalati). Il numero maggiore di suore in case di riposo o di cura lo troviamo in Italia, come si può vedere dalle seguenti statistiche: Arco : 55 S. Pietro Incariano : 58 Centro Verona Cesiolo : 66 Bergamo : 40 Buccinigo d’Erba : 40 Pescara : 38 Totale : 297 Questa cifra include un buon numero di suore efficienti presenti nella casa dedite all’assistenza dei malati e all’animazione missionaria. Le statistiche per età sono le seguenti: Età numero 20-40: : 193 41-60 : 537 61-70 : 417 71-80 : 454 81 ed oltre : 214

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Capitolo Diciannovesimo ATTIVITÀ DEL PERIODO DAL 1991 AL 1997

A. LA BEATIFICAZIONE DEL NOSTRO FONDATORE DANIELE COMBONI I. IL GRANDE AVVENIMENTO

Si può dire che per i seguaci di Comboni, la sua Beatificazione fu l’avvenimento del XX° secolo. Ci furono molti Missionari Comboniani che volevano partecipare all’avvenimento, ma non poterono presenziare. Quelli che poterono furono veramente fortunati e rinfrescati nello spirito. Questo avvenimento viene qui descritto perché influisce nella vita dello stesso Istituto e le sue missioni. 1. La preparazione In attesa della beatificazione, il 23 febbraio 1996 i Superiori generali dei tre Istituti Comboniani scrissero una lettera dove confermavano che la beatificazione segnava “l’ora della gioia” ma anche di “conversione”. Carissimi Fratelli e Sorelle, Pace e Gioia nel Signore Siamo ambasciatori per Cristo, come se Dio esortasse per mezzo nostro. Vi supplichiamo, in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio! 1. L’ora della gioia e della conversione. Nel nostro messaggio “Guardando alla Roccia dalla quale siamo stati tagliati” abbiamo condiviso con voi la convinzione che la Beatificazione di Mons. Daniele Comboni è, per la nostra famiglia missionaria, l’ora della Gioia e della conversione. “La Gioia di ogni Giubileo - abbiamo scritto - è in particolare modo una gioia per la remissione delle colpe, la gioia della conversione… Riconosciamo i limiti della fragile nostra umanità: i peccati che hanno pregiudicato l’unità, l’incomprensione dei popoli che abbiamo evangelizzato. Persone e comunità si riconciliano nella gioia della conversione.” Vi scriviamo ora, mentre insieme viviamo la vigilia della beatificazione , per inviarvi, e per invitare tramite voi le comunità e i/le singoli missionari/e affidati/e alla vostra cura pastorale , a trovare un modo per esprimere il desiderio di questa grazia della conversione e della riconciliazione, come parte essenziale della celebrazione della santità del nostro Fondatore. 2. Giornata della riconciliazione. Abbiamo, perciò, pensato di indire una Giornata della Riconciliazione il 23 febbraio, primo venerdì di Quaresima. Questa giornata si contrassegnerà da gesti e momenti liturgici di riconciliazione, individuali e comunitari, secondo quanto le vostre circostanze locali e la vostra creatività missionaria rendono possibili. Naturalmente, momento importante di tale giornata dovrebbe essere la celebrazione comunitaria ed individuale del Sacramento stesso della Riconciliazione. I Superiori generali, i loro assistenti e membri della Curia dettero il loro esempio con un ritiro di otto giorni con il Cardinale Silvano Piovanelli, Vescovo di Firenze. Altre manifestazioni sia spirituali che storiche ebbero luogo ovunque nei nostri Istituti.

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2. Le celebrazioni Molti figli del Comboni vennero a Roma, centinaia di loro, in questa occasione, accompagnando i loro fedeli : dal Sudan, l’Uganda, il Kenya, il Sud Africa…, dall’America del nord, sud, e l’America Centrale, e ultimo, ma non meno importante, da ovunque in Europa. a. A Roma La vigilia di preghiera ebbe luogo sabato 16 marzo nella Cattedrale di S. Paolo. I tre Superiori Generali si alternarono nel guidare le preghiere ed i canti. Canzoni come origine e stile provenienti da paesi molto differenti fra di loro. Danze religiose in molti ritmi e lingue del mondo si susseguirono in una litania di lode a Dio per il dono di Comboni alla Chiesa in Africa e nel mondo intero. Il giorno vero e proprio, il 17 marzo 1996. Per un po’ di tempo si ebbe paura che il Papa personalmente non potesse venire a S. Pietro. Ma egli fece di tutto per essere presente a leggere la dichiarazione della beatificazione del Vescovo Daniele Comboni e del vescovo Guido Maria Conforti, Fondatore della Pia Società di S.Francesco di Xavier ma venne e lesse. La sua omelia fu letta dal cardinale Sodano, Segretario di Stato. Fra le molte buone impressioni a favore di Comboni, il Papa sottolineò il suo pionierismo e vita esemplare nel campo missionario. “La modernità e l’audacia della sua opera si espressero nella preparazione e nella formazione dei futuri presbiteri, nell’instancabile animazione missionaria anche attraverso scritti e pubblicazioni, nella fondazione di due Istituti – maschile e femminile – esclusivamente dediti alla missione “ad gentes”, lottando per l’abolizione della terribile tratta degli schiavi, ed operando attivamente “per la rigenerazione dell’Africa mediante se stessa”. Queste intuizioni del nuovo beato hanno portato grandi frutti per l’evangelizzazione del continente africano, preparando la strada all’attuale consolante sviluppo della Chiesa in Africa (cfr Esortazione “ Ecclesia in Africa” nn. 33-38). “Portare l’umanità alla luce della vita eterna” : l’ideale di Daniele Comboni prosegua ancora oggi nell’apostolato dei suoi figli e delle sue figlie spirituali. Essi continuano a mantenere forti legami in Africa e , in particolare con il Sudan, dove il loro Fondatore ha speso gran parte delle sue energie di infaticabile evangelizzatore e dove si è spento ancora in giovane età, consumato dalle fatiche e dalla malattia. Ma qual era la sorgente da cui traevano vigore il suo instancabile zelo e la sua totale dedizione alla missione “ad gentes”? Era la Croce di Cristo, fonte di amore inesauribile in chi fa dono di se stesso ai fratelli vicini e lontani. Questo nuovo Beato costituisce così, un luminoso esempio di spiritualità sacerdotale, animata sempre da fede viva e da indomito spirito missionario . Modello di autentica carità pastorale che seppe invitare i credenti ad aprire il cuore ai lontani, pur senza dimenticare le necessità delle Comunità locali, perché a tutti sia annunciato Cristo redentore dell’uomo.” 18 marzo, Lunedì: Giorno di Ringraziamento . L’eucarestia fu tenuta in San Pietro dove i figli e le figlie di Comboni erano riuniti pieni di gratitudine ed entusiasmo. La S.Messa fu celebrata alll’Altare della Confessione, dove Comboni, vicino alla tomba di San Pietro ebbe l’idea del suo Piano. La Messa fu presenziata da Sua Eccellenza Mons. Gabriel Zubeir Wako, Arcivescovo di Kartoum il settimo successore del Beato Comboni. La sua omelia fu semplice ma toccante. Ne diamo dei passaggi: “Sì, noi abbiamo delle ragioni per celebrare questa messa di ringraziamento; specialmente noi che siamo venuti da quel paese d’Africa per cui Comboni diede la sua vita; e dopo di lui tanti altri missionari si sono sacrificati per portarci il Vangelo.

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Se oggi le nostre Chiese in Africa innalzano la lode a Dio, è perché il Signore ha usato il Comboni per aprirci le porte della salvezza, e per noi il ringraziamento non è soltanto al Signore ma a tutte le persone che lui ha usato per portarci il Vangelo, per farci credere al Vangelo. In tal modo, che siamo diventati anche noi degli evangelizzatori per i nostri e forse anche per il mondo. Noi ringraziamo il Signore perché è stato lungo il processo della Beatificazione del Comboni, e questo è stato provvidenziale perché io penso che se avessimo beatificato il Comboni all’inizio di questo secolo, l’avemmo fatto senza pensare a ciò che facevamo. Ma il Signore ci ha dato il tempo di meditare e di capire la missione di questo grande missionario. Non l’abbiamo ancora capito è vero e credo che neppure i Comboniani l’abbiano capito che il Signore sta preparando per noi e perciò la Chiesa intera in questo momento. E io penso che fra le cose che sta preparando per noi tutti, cominciando dai missionari, è dirci che abbiamo un tesoro grande nella fede cattolica, nella fede cristiana. Perché noi predichiamo e portiamo nel mondo la persona più preziosa: Gesù Cristo figlio di Dio; noi portiamo nel mondo un amore il più grande amore che c’è stato. E il Signore ha consegnato questo tesoro a noi, perché noi lo portiamo agli altri. L’umiltà era una delle virtù esercitate da Comboni. Egli non si credeva più grande dei neri, ma si è considerato come un servo usato dal Signore: “Ecco prendi questo dono e portalo a questi neri perché nessuno ha il coraggio di andare da loro”. È solo con questa umiltà che noi possiamo portare avanti il lavoro di salvezza nel mondo . Non è facile trovare un bianco così umile da mettersi al servizio dei neri, perché c’è sempre questo complesso di superioritè; ora, la superiorità non sta nella persona del missionario, ma nel dono che sta portando: sei grande, bianco o nero che sia. Sei grande perché stati portando la vita eterna a tante persone. Il Comboni ci ha parlato tanto della Croce. Lo stesso Gesù, dandoci la croce ci ha dato se stesso perché noi mostriamo al mondo il suo amore. Solevo dire alla gente che la croce non è un posto per morire adesso, il Cristo è già morto sulla croce non c’è posto per due sulla Croce, noi dobbiamo contemplare la croce del Signore e vedere e cercare di capire quest’amore. Per noi del Sudan questa parola: Croce, è diventata una cosa quotidiana ma abbiamo bisogno dei profeti che ci dicano che la croce che stiamo portando non è per la morte ma per la vita. Non è ancora finito il cammino di Comboni: è beato il Comboni, ora deve essere canonizzato. Ma come dico sempre ai missionari: il Comboni non sarà canonizzato se noi prima non siamo canonizzati su questa terra; sarà la nostra testimonianza, la serietà con cui noi seguiamo la nostra vocazione cristiana e missionaria che porterà Comboni alla canonizzazione. Non è per la gloria dei comboniani ma per la gloria di Dio e la gloria della Chiesa e la gloria della croce di Gesù. Chiudo con un saluto ai fratelli e alle sorelle che sono venuti con me e con gli altri vescovi del Sudan.” b. A Limone sul Garda 22-23 marzo 1996 I Vescovi e i pellegrini provenienti dal Sudan, i Superiori delle famiglie Comboniane, pensarono che fosse importante recarsi sul luogo di nascita del beato Comboni . Furono fatti alcuni discorsi; cito soltanto qualche brano dal discorso della Superiora Generale delle Suore Comboniane, Suor Mariangela Sardi: “Contemplando qui, in questa Parrocchia di Limone, Daniele Comboni beato, il mio pensiero va spontaneamente ai suoi genitori, in particolare a mamma Domenica, l’umile donna che ha saputo trasmettergli fin dai più teneri anni quei valori umani e

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cristiani che hanno fatto di lui l’uomo innamorato di Dio e della Nigrizia, un grande missionario ed un santo. Mamma Domenica ha collaborato con Dio, perché Daniele vivesse in pienezza la sua vita. Consapevole del valore di quanto aveva ricevuto da sua madre, Comboni scrisse: Sì, cara mamma, voi siete sommamente cara a Dio; ed io mi glorio di avervi per madre, e se non mi sforzassi di lavorare per consumare tutta la mia vita per la gloria di Dio, seguirei molto male i generosi esempi dei miei genitori, che mi hanno preceduto nella gloriosa impresa di sacrificare tutto per l’amore di Gesù Cristo. “ Dal discorso del Vicario Generale delle Missionarie Secolari Comboniane che fece questa esortazione: “Comunità cristiana della Diocesi di Brescia, apri le tue porte per incontrare nuovi popoli, arricchirti delle loro ricchezze, condividere le loro angosce, ansie e speranze, la loro fame e sete di Cristo, di fraternità, di solidarietà e di pane, porta al mondo intero il dono inestimabile della fede in Gesù Cristo e così, la tua fede si rafforza donandola!” c. A Brescia, 13 aprile 1996 Limone apparteneva alla Diocesi di Brescia, così anche lì si celebrò la Beatificazione. Come a Limone, i discorsi furono pochi. Cito soltanto alcuni brani dall’Omelia di Mons. Bruno Foresti, Vescovo di Brescia. Egli lodò l’affetto mostrato da Comboni alla sia diocesi nativa. ”Brescia, dunque rimase nel cuore del Beato Comboni e ciò egli attestò manifestamente al Vescovo Verzeri il 10 marzo 1874 quando scrisse: - Non ho mai lasciato un solo giorno di pregare e di far pregare nel cuore della nigrizia per tutta la cara diocesi natale di Brescia-“. Dopo di che fa una originale osservazione : “Passi l’analogia, sia pur lontana. Come la resurrezione di Gesù, collocata in un punto centrale della storia influisce su tutto il suo corso, così la beatificazione di Comboni , datata nel tempo , può e deve trasfondere grazia su tutto il futuro della nostra diocesi. È necessario che, come fece la prima comunità cristiana nei rapporti dei frutti della Risurrezione, così anche noi abbiamo ad assimilare alcuni tipici aspetti della spiritualità del Beato Comboni. Intendo sottolineare la sua venerazione per la Verità rivelata, la sua condivisione della vita di Gesù Cristo e la sua passione per la fraternità universale.” Il Vescovo concluse con questo rimarchevole ringraziamento: “Per questo affetto e per l’attività che i missionari Comboniani e le Pie Madri della Nigrizia, da lui fondati, hanno svolto e svolgono fra noi, la Chiesa Bresciana ringrazia il Signore e auspica che l’amore alla “Verità”, la passione per la santità a prezzo della Croce, lo spirito di fraternità universale di questo grande suo figlio possa incarnarsi nella gente della sua diocesi.” d. A Verona, 21 aprile 1996 Ø Ø Ø Ø Ø

Le Celebrazioni a Verona non potevano mancare per diverse ragioni: Fu a Verona che Comboni si rese conto della sua vocazione. In questo luogo imparò la spiritualità del Sacro Cuore. Partì per l’Africa dall’Istituto Mazza, ed allo stesso Istituto ritornò. Ambedue gli Istituti Missionari furono fondati a Verona. Le case madri dei due Istituti si trovano là.

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Citerò dei brani dai discorsi del Vescovo di Verona, Mons. Attilio Nicora, del Superiore Generale p.David Kinnear Glenday e p. Ugo Ghini, Superiore della Pia Società Don Nicola Mazza. Mons. Attilio Nicora loda il coraggio e la franchezza di Comboni meravigliosamente abbinati alla sua umiltà: “C’è un’espressione in una lettera scritta dal Comboni nel febbraio 1881, a pochi mesi dalla sua morte, dalla quale traspare la sua proverbiale franchezza e della quale vorrei che tutti - a cominciare da me – ci lasciassimo oggi giudicare. Qualcuno aveva preteso interferire nella nomina del Vicario Generale del Comboni, criticando la scelta da lui fatta; egli, rimastone contrariato, e amareggiato, scrive “È vero che nell’ Africa Centrale saremmo tutti asini, e io capo degli asini; ma ella mi concederà che io, caput asinorum non potea far meglio che scegliere fra i miei asini a vicario generale uno che fosse meno asino degli altri . Non si capì – dice con amarezza – che l’Africa è la missione più difficile del mondo, e che fra i sapienti dell’Europa e di Verona non si trovò chi assumesse di venire a morire in Africa. Ma si fa presto a giudicare e a sputar sentenze…ma a venire in Africa a morire per Cristo, questi sputasentenze non se la sentono “(Scritti, n. 6461-6462) . Il Beato Daniel va rudemente al cuore del problema: si tratta di sapere se la vita cristiana, se la missione cristiana è una questione di sapienza e di opinioni o un andare a morire per Cristo”. Il Superiore Generale dei comboniani, p. David Glenday dopo aver ricordato il legame fra il Beato Comboni e la Diocesi di Verona aggiunge: ”Ora, per la grazia particolare della beatificazione il rapporto di Daniele Comboni con la vostra diocesi e con la vostra città diventa quanto mai reale, concreta ed efficace. Difatti lui vi vuole bene, e nella meravigliosa realtà della comunità dei santi, si renderà presente con grande affetto in mezzo a voi; tanto più che è qui, a Verona, che continueranno a riposare le poche sue ossa che la Provvidenza ci ha lasciato. Attraverso questo segno, così piccolo nella sua consistenza materiale, ma così grande nel suo significato, risuonerà quella forte voce che una volta riempiva le vostre chiese e le vostre case. Voce che parlerà del legame intimissimo tra la vostra Chiesa e quella di Khartoum e del Sudan, tra la vostra missionarietà e la missione universale ad gentes. Voce che testimonierà la verità dell’annunzio pasquale, dell’abbondante frutto portato dal chicco di grano che cade nella terra e muore. Voce che chiamerà costantemente a tenere gli occhi fissi su Gesù, amandolo teneramente e cercando sempre meglio di comprendere ciò che significa per ognuno il suo cammino di abbassamento, di passione, di morte e di gloriosa risurrezione. Di nuovo, dunque, grazie, Verona, per averci aiutato ad ascoltare la voce del Fondatore in questo tempo benedetto; con l’augurio che possiamo continuare insieme ad accogliere il suo messaggio negli anni futuri.” La testimonianza di p. Ghini per l’Istituto Mazza : “Mi pare importante, anzi, fondamentale precisare questo fatto. La vocazione missionaria del Comboni, come ogni vocazione, è sì un fatto personale, è la chiamata che Dio rivolge ad un singolo uomo per una strada ben precisa che lo colloca nella direzione del regno di Dio. Ma Dio si serve degli uomini e certamente allora possiamo dire che il Comboni missionario, il Comboni africano, è nato all’interno dell’Istituto Mazza non solo in senso materiale ma all’interno di quel clima apostolico di cui il Mazza era grande protagonista. Non è certo possibile e , tutto sommato, non sarebbe nemmeno interessante sapere quanto il Mazza abbia direttamente influito sul Comboni e quanto,

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Comboni sia autonomo riguardo alla sua vocazione. Sono misteri di Dio, che pretesa è la nostra? Ma l’importante non è il quanto, bensì il fatto, umanamente e storicamente certo, che il Comboni è veramente discepolo del Mazza, non tanto come semplice alunno del suo Istituto, ma proprio come missionario e missionario innamorato dell’Africa. Sorvolo sulle eccessive vicende storiche che tutti conosciamo, la spedizione missionaria dei primi cinque sacerdoti nel 1857 con Comboni nel centro dell’Africa, le febbri, le morti, il repentino ritorno del Comboni malato a Verona. È una “fiammata eroica”, come fu detto, questa breve ma intensa impresa mazziana che con alterne vicende si trascinerà fino alla morte del Fondatore nel 1865.” e. Ellwangen (Germania) 5 maggio 1996 La testimonianza di Sua Eminenza. Walter Kasper di Rottenburg – Stuttgart : “L’ora di Comboni fu l’ora per la Luce del Vangelo di sorgere sull’Africa Centrale. La Beatificazione di Daniele Combini è di nuovo l’ora dell’Africa. Il Sinodo per l’Africa nel 1995 parlò di un momento storico, di un momento di grazia nel passare dal secondo al terzo millennio. Dal punto di vista umano e politico, una grande parte dell’Africa si affonda nel caos. L’Africa è come un continente abbandonato, un continente, come molti pensano, senza speranza. Il flagello della fame, conflitti razziali e tribali, guerre civili, rifugiati, Aids, problemi demografici e debito estero da un lato; il lusso dei pochi ricchi, corruzione e pessima amministrazione dall’altro. La schiavitù e la violazione dei diritti umani sono problemi di ogni giorno anche oggi in molto paesi africani, e in modo particolare nel paese dove Comboni fu vescovo, a Khartoum, nel Sudan, dove un regime di terrore e fondamentalisti cercano di opprimere con violenza e brutalità il sud del Sudan. Da questa situazione una nuova chiamata viene rivolta alla Chiesa per la evangelizzazione di questo continente, una chiamata ad annunziare il Messaggio dell’affabilità del nostro Dio che si manifesta nel Buon Pastore, che passa per i poveri, per giungere ai più poveri , ai perduti. Questa è una novella buona e liberatrice, che non vuole penetrare soltanto nella profondità del cuore. Si tratta di tutta la Persona. “Dove è proclamato il Vangelo, là la persona si trasforma”, disse Comboni. Tutta la persona è chiamata alla salvezza. Per questo, nell’annuncio del Vangelo, c’è anche il messaggio dei diritti, dei diritti divini dati a ciascuno, e con un ruolo molto importante. Si tratta della giustizia sociale, che è molto importante per l’Africa, e della promozione della donna. Questo Vangelo deve penetrare negli usi e costumi, nella sensibilità di tutta una cultura. Chi è stato in Africa sa molto bene come questo continente abbia una grande eredità culturale. La missione vuole che i popoli dell’Africa non si lascino traviare dalle seduzioni e tentazioni del nostro stile europeo di vita. L’Africa, tramite il Vangelo, deve scoprire la propria identità. Così Daniele Comboni ci grida oggi: “Non dimenticate l’Africa e gli africani. Non dimenticate il Sudan e i sudanesi!” Comboni scrisse: “Bisognerà patire grandi cose per amore di Cristo, combattere coi potentati, coi Turchi, cogli atei coi framassoni, coi barbari, cogli elementi, coi preti, coi frati, con il mondo e con l’inferno… Tutta la nostra fiducia è in Colui che morì per noi” (Scritti n. 2459) È proprio così, l’Africa e il mondo di oggi, e in modo particolare la Chiesa del nostro tempo, ha bisogno di Santi, di testimoni di martiri che mettano mano all’opera. È soltanto tramite lo spirito di Dio e la forza che arriva dalla Croce che possiamo rinnovare la Chiesa. Non vi è altra strada.”

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II. IL DIFFICILE VIAGGIO VERSO LA BEATIFICAZIONE

Essere santo significa essere in paradiso. Se si conosce qualcuno che era tra di noi, e si è convinti che alla sua morte quella persona sia andata in paradiso, questo significa che egli fu un grande santo in terra. Questa fu l’opinione di P. Francesco Pimazzoni (+1883): egli aveva già descritto le virtù eroiche del Comboni nel seguente modo: “Dalla sua tomba ci parla dell’amore per le missioni, di generosità, pazienza e fede nelle avversità; ricordo i suoi suggerimenti riguardanti l’obbedienza, il rispetto e la fiducia in coloro che la Provvidenza ci ha dato come leader”. Madre Bollezzoli, già citata, era convinta che Comboni continuasse a guidare le sue Suore dal Paradiso. P. Federico Vianello, Superiore Generale (1909-1919) attribuisce a Comboni quella forza spirituale che fu ereditata dai suoi seguaci per poter sopportare e vincere le difficoltà incontrate all’inizio della vita dell’Istituto Religioso. P. Antonio Bouchard che assisté Comboni durante i suoi ultimi attimi di vita , gli disse che egli avrebbe ricevuto la corona promessa a coloro che abbandonano tutto per Gesù. La vita di Comboni scritta da mons. F.X. Geyer era il segno che la sua memoria doveva essere un esempio per tutti i suoi seguaci. 1. Fasi preparatorie P. Vianello incaricò p. Francesco Saverio Bini a raccogliere il materiale per poter scrivere la vita di Comboni. Ma fu soltanto uno storico, Mons. Grancelli, che la scrisse nel 1923. Dopo la sua pubblicazione, alcuni membri dell’Ordine di San Camillo tirarono fuori tutte le accuse dei loro membri che erano stati nelle missioni con Comboni. Mons. Grancelli rispose alle accuse disperdendo qualsiasi dubbio sulla integrità del Beato Comboni. Il Superiore Generale, p. Paolo Meroni (1919-1931) in una lettera datata 19 marzo 1928 annunciò l’introduzione del procedimento diocesano per la “Beatificazione del Servo di Dio, Vescovo Daniele Comboni, il nostro primo fondatore”. P. Meroni usò le parole “Servo di Dio “perché la richiesta era già stata avviata il 17 novembre 1927 postulata da P. Bini sopra citato. Il Vescovo di Verona fu nominato Promotore della Fede, cioè colui che cerca di trovare colpe e obiezioni alla solenne beatificazione del santo in questione. Il processo canonico a Verona, cioè quando vengono sentiti i testimoni e le loro deposizioni vengono firmate come assolutamente veritiere con giuramento sulla S. Bibbia, ebbe inizio il 14 febbraio 1928, e terminò il 21 novembre 1929. Il Postulatore con un “libellus “(documento) chiese al vescovo di Khartoum di dare inizio all’inchiesta in quella città. Il quinto successore del Beato Comboni , Mons. Tranquillo Silvestri, dette il via all’inchiesta il 1 gennaio 1929 affidandola a p. Roberto Zanini (+ 1976) che raccolse informazioni sia a Khartoum dove morì Comboni che ad Assouan dove furono trasferite le sue ossa da Khartoum. Ascoltarono anche testimonianze dal Cairo, e finirono l’inchiesta il 7 giugno dello stesso anno. 2. Il Processo a Roma: i primi passi Le risposte all’inchiesta, tutti gli scritti e le lettere di Comboni, documenti vari e rapporti furono mandati a Roma e aperti il 16 dicembre 1929.

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Due teologi dovevano leggerli tutti e dare le loro opzioni: il loro scopo era di scoprire se negli scritti ci fosse qualcosa che potesse essere mal interpretato con riferimento agli insegnamenti cattolici e di conseguenza della morale. Fra il 1937 ed il 1943, ed in diverse altre occasioni, essi dettero le loro risposte al Promotore Generale della Fede della Santa Sede. a. Le risposte dei due teologi Ambedue proclamarono che in quegli scritti non vi si trovava niente che fosse contro la fede o la morale cattolica . Trovarono molti valori, e secondo loro anche molti non valori. I Valori Ø Il servo di Dio “sembra essere di temperamento esuberante, allegro, entusiasta, ed ottimista, dotato di cuore generoso ed animato da nobili ambizioni”. Ø Come missionario, “egli fu molto equilibrato e pieno di spirito di sacrificio per la causa dei neri dell’Africa Centrale”. Ø Negli scritti del servo di Dio, si vedono chiaramente lo spirito sovrannaturale, la sua totale sottomissione alla volontà divina, il suo ardente amore per Gesù e la sua illimitata fiducia nella provvidenza di Dio.” Ø Ebbe un grande amore per la croce e per i sacrifici per la sua personale santificazione: questo emerge molto spesso dai suoi scritti. Ø Nelle situazioni più difficili, quando vedeva l’estrema povertà della sua gente, le malattie dei suoi missionari, la pericolosità dei viaggi, egli trovava sempre rifugio in Dio e nei Santi. Ø Ebbe un amore sconfinato per Gesù e un profondo amore per gli africani. I non Valori Ø Durante le sue campagne in Europa egli chiaramente esagerava la miseria della gente e le necessità del suo Vicariato. Ø Mons. Knoblecker, durante i sette anni passati come leader del gruppo, riuscì a compiere tanto quanto Comboni aveva fatto in vent’anni e senza tutto il trambusto che fece Comboni. Ø Nei suoi scritti ci sono segni di devozioni nebulose, mancanza di discrezione, segni esagerati di autostima e vanagloria. Ø Dava l’impressione di essere un goloso, sicuramente sapeva riconoscere i buoni vini. Ø Dava l’impressione di non apprezzare gli Ordini religiosi. Ø Di norma era piuttosto aggressivo, querulo e rude. Ø Si dovrebbero approfondire le sue relazioni con la cugina Erminia e con Virginia Mansur. Ø I suoi litigi con i Camilliani lasciarono molto a desiderare. Ø Dette dei giudizi sfavorevoli su una santa persona , p. Ludovico da Casoria. b. Le risposte ai commenti dei due teologi. Il 19 luglio 1943, il Promotore Generale della Fede affidò i commenti al Postulatore, p. Agostino Capovilla (+ 1975) Le risposte si ebbero dopo nove anni di investigazioni e documentazioni, e cioè dal 1943 al 1952. Il Beato Comboni fu scagionato dalle accuse maggiori in quanto le risposte mettevano Comboni nel contesto dei suoi tempi, del personale e missionari che aveva attorno, delle frustrazioni del suo zelo e il suo carattere e temperamento personali.

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3. I commenti di Roma all’intera faccenda a. Il primo REPONATUR: un vicolo cieco Il Cardinale incaricato di presentare la “Positio “alla riunione dei Cardinali fu il cardinale Verde. La vera risposta era che l’intero incartamento e procedimento doveva essere riesaminato da un terzo teologo. Ciò non di meno, le minute della riunione dicevano altrimenti: “non si va avanti”, in latino, “Reponatur”. Il fatto che l’assemblea dei Cardinali chiedesse il parere di un terzo teologo significa che non vi fu una vera e profonda discussione della faccenda. Sembra che il cardinale Verde, di sua iniziativa o su suggerimento di alcuni membri dell’assemblea, avesse taciuto la decisione dell’assemblea e proposto il “Reponatur” al Papa Pio XII che lo accettò, il 25 giugno 1953. b. Secondo REPONATUR : Un vicolo cieco Il 25 febbraio 1959, fu fatto una richiesta a Papa Giovanni XXIII affinché, il “Reponatur” fosse tolto per sua iniziativa. Sembra che l’approccio al Papa fu fatto da una sua nipote, una Suora Comboniana. Il Postulatore prese nota di questo approccio informale e chiese al Cardinale per la Congregazione dei Santi di rendere possibile una riapertura della discussione sui documenti inerenti al processo di Comboni. Ciò fu una BENEDIZIONE , non percepita perché convinse i nostri Superiori a istituire lo “Studium Combonianum” per approfondire le conoscenze della vita di Comboni e portare alla luce ulteriori fatti ed evidenza delle sue virtù eroiche per poter rispondere ai presunti difetti e mancanze del Beato Comboni. In questo contesto, il secondo “Reponatur” fu una benedizione per l’Istituto, benché al momento sembrava un totale fallimento senza via di sbocco. Fu la fede di p. Gaetano Briani, il Superiore generale eletto nel 1959 che dette il via allo “Studium” (8 settembre 1959) e la testardaggine dei padri Pietro Chiocchetta e il defunto Aldo Gilli che portarono l’Istituto al successo nella causa del Beato Comboni. c. Una nuova apertura nel 1972 Il Consiglio generale eletto nel 1969 voleva fare una visita di cortesia a Papa Paolo VI; p. Agostoni, il Superiore generale era conosciuto dal Papa per il ruolo da lui avuto nell’unico pellegrinaggio fatto dal Papa in Africa nel 1969. Dopo aver consultato il Postulatore, p. Chiocchetta , il Consiglio Generale presentò un memorandum a Papa Paolo Vi per chiedergli di interessarsi della causa del nostro fondatore. Il Cardinale Villot, l’allora Segretario di Stato, trasmise il memorandum al Cardinale Bertoli della Congregazione per le cause dei Santi, chiedendo di prenderlo in considerazione e dare relazione al Papa a proposito della causa stessa. Il Cardinale rispose dichiarando che : “La causa di Comboni non merita di essere discussa finché tutte le accuse non siano state dovutamente chiarite. Perciò la decisione del “Reponatur” deve rimanere come deciso sia nel 1953 che nel 1959” Il Santo Padre ricevette copia della relazione, ma il Consiglio Generale non ricevette nessun riscontro al memorandum.

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Più avanti, Carlo Snider, il primo avvocato nella causa di Comboni, commentò questo fatto dicendo che era sempre più convinto della validità della causa di Daniele Comboni. Era comunque sorpreso del modo in cui era stata sospesa. Ecco la sua opinione in breve: “La causa di Mons. Comboni fu sospesa senza mai essere discussa; il fatto che non fosse discussa significa che fu bloccata per cause che ancora sono sconosciute.” A conferma della sua affermazione aggiunse: “Se la causa fosse stata discussa, anche se le risposte ai quesiti preparati da me stesso non fossero stati presi in considerazione, ci si potevano aspettare delle ulteriori affermazioni, invece non ce ne furono” Egli era comunque convinto che la causa di Comboni dovesse essere studiata a fondo e seriamente; fu molto positivo. d. Una nuova strategia 1975-1981 Il Postulatore della causa , p. Chiocchetta, un esperto dei processi per la beatificazione dei Santi, voleva riaprire la causa; chiese ufficialmente le ragioni del “Reponatur “, e questa volta i membri per la Congregazione dei Santi furono più comprensivi. Gli fu fatta una domanda a bruciapelo: “Che cosa ne fece Comboni del danaro?” Questo era un buon auspicio. Egli, immediatamente, si fece dare un resoconto minuzioso dal nostro Economo Generale, p. G.Z. Piccotti. Per il centenario della morte di Comboni (1881-1981), p. Chiocchetta suggerì a p. S. Calvia, il Superiore generale, di mandare una lettera chiedendo ufficialmente ai membri della Congregazione di mettere per iscritto le ragioni per il “Reponatur”. Le ragioni che il Postulatore addusse per questa richiesta erano che dal 1961 ulteriori studi erano stati fatti che spiegavano e chiarivano gli scritti e le attività del Comboni. Il primo passo da fare per poter riesaminare la causa era quello di rimuovere il “Reponatur” . Con molte difficoltà ed impedimenti e tramite conoscenti e simpatizzanti di Comboni, fu fatto quanto possibile per far sì che il “Reponatur” che era stato scritto sull’incartamento potesse essere rimosso. Questo accadde il 5 dicembre 1981, il primo sabato del mese. Tuttavia, la decisione ufficiale fu presa alla riunione dei membri della Congregazione il 26 febbraio 1982. Il Santo Padre, papa Giovanni Paolo II, informò il Superiore generale che il “Reponatur “era stato rimosso (2 aprile 1982). La strada era aperta per dar via alla procedura per la beatificazione ma c’era un ostacolo. Secondo il Diritto Canonico, can. 2039.2, dopo 30 anni, dall’inizio del processo diocesano, tutta l’inchiesta inerente la reputazione permanente della santità del santo da beatificare, la “Fama Sanctitatis” doveva essere ripetuta. Anche questo ostacolo fu, però, rimosso, a causa dell’intervento del Vescovo di Verona presso la Santa Sede (era il 19 giugno 1982). e. La Commissione Storica I nostri Padri, Pietro Chiocchetta e Aldo Gilli lavorarono sodo per più di vent’anni per mettere assieme tutti gli scritti di Comboni, di qualsivoglia tipo, sia privati che pubblici che ufficiali. Fecero stampare due grossi volumi. Un comitato di esperti in storia, scelti come consulenti appositamente per questo scopo, dovevano leggere i libri e rispondere a tre quesiti: Ø Era stato fatto tutto il possibile con accuratezza e onestà per far sì che la ricerca dei documenti fosse la più completa possibile onde poter conoscere e giudicare la vita e le attività del Comboni? Ø Da un punto di vista storico, i documenti erano completamente attendibili?

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Ø Tutti i documenti a disposizione danno un quadro storico pienamente attendibile per poter giudicare Comboni, la sua fama, la sua santità, e la pratica eroica di tutte le virtù? Tutti e sei i consulenti, ognuno di loro dette risposte positive a tutte e tre le domande (era il 21 febbraio 1989). f. Il Miracolo Per beatificare i martiri non serve nessun segno miracoloso; questo è necessario solo per la loro canonizzazione. Questo perché, la certezza necessaria per la canonizzazione è di importanza fondamentale. Difatti, quando il Papa, nel caso di una Beatificazione, dichiara che qualcuno si trova in paradiso, tale giudizio si basa su una certezza morale. Invece, nei casi di canonizzazione, il giudizio risiede nel dono della infallibilità della Chiesa: il giudizio viene pronunciato “ex cathedra”. Questa è la ragione per cui, le cerimonie per la beatificazione possono tenersi in qualsiasi nazione, mentre quelle per la Canonizzazione avvengono solo nella Cattedrale di San Pietro in Vaticano. Il Papa può fare eccezione. Nel caso di Comboni, il miracolo necessario avvenne in Brasile, nello stato dell’ “Espìritu Santo” nella diocesi di São Mateus (San Matteo), nell’ottobre del 1970 nell’ospedale della città di São Mateus , dove le Suore Comboniane lavoravano con dedizione ed amore. Il chirurgo, Prof. Cassiano dos Santos aprì l’addome di una bambina di dieci anni, Maria José Oliveira Paixâo, una discendente di schiavi africani. Il chirurgo fece quello che poté, ma dichiarò che la medicina e la chirurgia non potevano fare altro. Solo l’intervento di Dio tramite un miracolo avrebbe salvato la vita della bimba. Il Professore ripeté quanto sopra esposto sotto giuramento davanti alla commissione medica nominata dalla congregazione per la canonizzazione dei santi (23 ottobre 1970. LE PREGHIERE A COMBONI. Una suora Comboniana, assistente alla sala di chirurgia, Suor Maria Luigia Poli, mise un santino ed una reliquia di Comboni sotto il guanciale della piccola e tutte le Suore si unirono per chiedere in preghiera, che avvenisse un miracolo. Il giorno seguente, il 23 ottobre, la bimba non aveva più la febbre come prima. Il 25 contro le direttive del medico, mangiò cibo solido, ebbe terribili dolori per i due giorni seguenti e le suore pensarono che fosse la fine, ma il 26 tutto ciò che la faceva soffrire sparì; non aveva più dolori, mangiava normalmente, si alzò dal letto e si recò nella cappella per la Santa Comunione. La diocesi di São Mateus dovette presentare la documentazione inerente al miracolo alla Santa Sede. La raccolta della documentazione fu lunga. Tuttavia, una cosa mancava: la testimonianza di Maria José colei che era stata miracolata. Accaddero quattro cose che aiutarono definitivamente il processoDiocesano: Primo: né il vescovo né i sacerdoti di Săo Mateus furono in grado di rintracciare Maria Josè. Mentre l’ansia di ritrovarla cresceva, Maria José si fece viva senza sapere che tutti la stavano cercando. Il Vescovo mons. Aldo Gerna gridò: “Questo è un altro miracolo!” Egli aveva affidato la cosa al vescovo Comboni dicendogli: “Se Vuoi la tua Beatificazione, arrangiati ”. Secondo: la donna era in perfetta salute. Questo è della massima importanza per la dichiarazione di in fatto miracoloso. Terzo: la cosa ancora più importante è questa: mentre era in ospedale le fu detto che anche se fosse guarita non avrebbe potuto avere figli. Ebbe due bei bambini sani. Quarto: mentre tutta la sua famiglia aveva abbandonato la fede cattolica per i Pentecostali , ella rimase cocciutamente cattolica. Il 30 aprile 1993 la Congregazione accettò la validità del processo Diocesano.

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Il 13 luglio 1994 la guarigione fu dichiarata un miracolo dalla Commissione medica. La Commissione teologica della Congregazione dei Santi approvò all’unanimità il miracolo di origine sovrannaturale e divino il 22 novembre 1994. g. L’approvazione della Santità della vita: Comboni dichiarato “Venerabile” Questo è il significato di “Virtù eroiche”. Una virtù è una qualità buona e permanente, che una volta acquisita tramite la ripetizione di atti aiuta a far sì che un buon comportamento sia più facilmente raggiungibile. È difatti una proprietà comune a tutti gli esseri umani, da sempre, di fare sbagli. Questo è quanto scrive San Paolo: “Perché io desidero fare ciò che è buono… Ma quello che faccio non è il buono che io voglio fare… ma il male che non voglio fare.” (Rom.7: 17-20) Le Virtù Eroiche: il loro significato PRIMO: non significa che di norma uno viene dichiarato santo perché durante la vita è stato strumento di miracoli o partecipe di avvenimenti straordinari. Possono accadere ma non sono necessari. SECONDO: non significa che nell’inchiesta non si possono trovare errori o inadempienze varie. Questo fu l’errore dei teologi che furono responsabili per il “Reponatur” del Comboni. Essi guardarono alle manchevolezze del suo carattere e della sua personalità. LE VIRTÙ EROICHE in Comboni IMPLICANO che egli ebbe una fede, carità e speranza straordinari. Di norma egli era prudente, giusto, forte, possiamo dire anche testardo nell’affrontare le difficoltà e seppe controllarsi nel corso della sua vita. In altre parole. Comboni era ansioso di scoprire cosa Dio aveva in serbo per lui, cioè il progetto che Dio aveva preparato per lui nell’Eternità (Eph. 1:4). Egli cercava il volere di Dio nelle preghiere e nel dialogo con i suoi superiori. Una volta scoperto, egli andò per la sua strada con gioia, con tutto il suo corpo, il suo cuore e la sua mente, tutta la sua forza fino alla morte. Tutto ciò fu pienamente dimostrato nei due libri preparati dai nostri due padri. I membri della commissione teologica capirono perfettamente e si convinsero, lodando i padri per il modo in cui avevano approntato i testi. Raccomandarono che tale eroismo fosse dichiarato pubblicamente e proposero che diventasse il modello di vita dei figli e delle figlie di Comboni e dell’intera Chiesa. Il temperamento esuberante di Comboni fu giudicato in modo positivo perché usato per fini apostolici, anche se a volte esagerasse. Soprattutto i teologi apprezzarono il comportamento e il desiderio di Comboni di abbandonare tutto ciò che gli era caro, fino al martirio. La raccomandazione avvenne il 12 ottobre 1993. Il Decreto Papale che affermava la sue virtù eroiche fu scritto il 26 marzo 1994. 6 aprile 1995: Il Decreto papale che riconosceva che il miracolo era avvenuto tramite l’intercessione di Comboni. 20 aprile 1995: IL Superiore Generale viene informato che la data della Solenne Beatificazione di Comboni in San Pietro a Roma avverrà il 17 marzo 1996. 24 aprile 1995 : Il Postulatore generale, p. P. Chiocchetta riceve le stesse informazioni. Un commento Si può notare che dal 1982 i passi fatti verso la beatificazione e la canonizzazione furono molto veloci e onesti. Ci sono diverse ragioni per questo: PRIMO: il cambiamento del personale della Congregazione per la Canonizzazione dei Santi.

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SECONDO: le argomentazioni per la dichiarazione di una vita santa che si basavano principalmente sull’esercizio delle virtù eroiche e nella continuità del proprio apostolato attraverso i propri successori. TERZO: l’impatto avuto sulla vita della Chiesa. Certamente, l’impatto sulla Chiesa da parte degli Istituti di Comboni , Padri, Suore e Fratelli, nonché i missionari laici è veramente incalcolabile. Papa Giovanni Paolo II fece un pellegrinaggio in Africa. Nell’Uganda e nel Sudan egli rimase molto colpito dai successi ottenuti dai seguaci di Comboni. Fu contentissimo dell’accoglienza datagli nel Sudan dai sudanesi provenienti dal sud che vivono nell’ambiente musulmano nel Nord Sudan. Quando tornò a Roma si dice che egli chiese alla Congregazione dei Santi di sveltire le pratiche per la Beatificazione di Comboni. 4. Annotazioni a. Alcuni segni straordinari Il defunto Vescovo Domenico Ferrara scrisse una lettera al Postulatore generale registrando i seguenti fatti: Ø Ad un pittore di Limone fu commissionato il ritratto di Comboni ma non riusciva a portarlo a termine. Questo era dovuto al fatto che non gli era gradita la missione di Comboni in Africa. Per due o tre giorni vide nel cielo una croce rivolta verso l’Africa . Dopo aver avuto questa visione fu informato del fatto che Comboni era morto; riuscì a completare il ritratto. Ø Un giorno una Suora Comboniana ebbe una apparizione che assomigliava ad una persona gloriosa che entrava in paradiso. Era il 10 ottobre. Alcuni giorni dopo venne a sapere della morte di Comboni. Ella collegò quella visione alla sua morte. b. P. Agostino Capovilla (1898-1975) P. Capovilla merita di essere qui menzionato per ciò che fece per il Beato Comboni. Egli occupava una posizione di rilievo all’interno dell’Istituto. Immediatamente dopo il suo ritorno dalla guerra (1915-18) che gli aveva lasciato una cicatrice sul volto, fu nominato segretario personale a P. Paolo Meroni, Superiore Generale dal 1919 al 1931. In seguito divenne Economo Generale, Direttore di Nigrizia, il primo editore del “Piccolo Missionario”, Procuratore generale (1947-1953), Superiore regionale dell’Egitto ed Etiopia. Mentre era Vicario Generale era anche Superiore dello Scolasticato. Quando ebbe inizio il processo di beatificazione di Comboni nel 1927, toccò a lui tutto il lavoro di ricerca. Si mise subito al lavoro a Verona, Cairo e Khartoum a nome e con le autorizzazioni degli Ordinari del luogo. Così facendo gli si aprivano tutte le porte. Fece un lavoro egregio; la ricerca di documenti, l’ascolto dei testimoni, il dicernimento delle loro deposizioni che poté valutare con acutezza ed intelligenza. Nel 1928 egli pubblicò una biografia popolare di Comboni che raggiunse la sua quinta edizione nel 1947 avendo venduto 27.000 copie. Il 27 marzo 1929, mentre parlava ad un gruppo Missionario a Roma, il “Comitato Romano pro Nigrizia, il Papa Pio XI menzionò la biografia, parlò di Comboni che aveva conosciuto personalmente, ed essendo interessato a sapere di più della sua vita, aveva letto il libro di P. Capovilla.

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La mole più grossa di documentazione mandata a Roma nel 1929 per l’inizio del processo di beatificazione fu il risultato delle ricerche portate a termine dal P. Capovilla fino al “Reponatur” del 1953 quando, nonostante tutto il lavoro i documenti non furono discussi nella loro integrità.

CANONIZZAZIONE DI S. DANIELE COMBONI 5 ottobre 2003 Questo libro si ferma al Capitolo del 1997. Dato però che al 10 ottobre 2004, non era ancora stato stampato, mi sembrerebbe anacronistico non aggiungere una nota su questo avvenimento così significativo per noi. Breve cenno sul significato di Beatificazione e Canonizzazione I primi fedeli ad essere oggetto di culto nella Chiesa furoni i martiri. La Chiesa antica considerò il martirio come l’espressione massima della Fede e della Carità, quindi della perfezione cristiana: perciò venerò i martiri, come i più vicini a Dio e i più potenti intercessori per noi. Questo culto si basava sul fatto pubblico del martirio. I “Confessori” vennero pure considerati degni di culto: questi erano i cristiani deferiti all’autorità civile e che confessavano la loro fede ma che, per una ragione o per l’altra, non erano stati uccisi o erano sopravvissuti. Tale titolo si estese anche a coloro che soffrirono a lungo per la proclamazione e la strenua difesa della Fede nel campo socio-politico. Per questo, appena morti, si creò subito intorno ad essi una fama di eroi, non dissimile a quella dei martiri come S. Basilio Magno (379), S. Ambrogio di Milano (397), S. Martino di Tour (397), S. Agostino (430) senza parlare di tanti altri Ma c’è di più. Nei primi secoli si andò sviluppando l’ascetismo degli Eremiti: S. Atanasio, vescovo di Alessandria d’Egitto, scrisse la vita di S. Antonio Abate (+356), da dove tutti potevano capire il martirio diuturno della conquista della perfezione cristiana. Altri scrittori parlarono di altri confessori della fede nel martirio prolungato della vita di sofferenza e solitudine. All’inizio la dichiarazione di santità veniva fatta dal Vescovo, mentre la Curia Vescovile faceva le sue indagini. Lentamente, la Curia Papale prese il sopravvento ed, eventualmente, il Papa emetteva la sua dichiarazione di Canonizzazione o Beatificazione. Nel Basso Medioevo, l’inchiesta veniva fatta anche dall’Inquisizione. Con la riforma della Curia Romana di Papa Sisto V e lo studio storico-critico della vita dei santi, questa responsabilità fu affidata alla S. Congregazione dei Riti. Bisogna arrivare a Papa Urbano VIII (1623-1644), perché la Beatificazione venisse distinta dalla Canonizzazione che è il giudizio definitivo (infallibile) con la quale il Sommo Pontefice decreta che il Beato venga inscritto nel Catalogo dei Santi e si veneri nella Chiesa Universale, come presente in Cielo e modello in Terra. La Beatificazione e Canonizzazione, non solo sono utili perché donano dei modelli cristiano-umani ai cristiani, ma sono anche necessari perché alla Chiesa non manchi mai la nota della Santità che ne dimostra l’origine divina. Papa Paolo VI, eresse la Congregazione delle Cause dei Santi nel 1969, separandola dalla Congregazione dei Riti e dandole una propria struttura, completamente a sé.

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La Canonizzazione del Comboni I miracoli che i Santi come Padre Pio fanno durante la vita, non contano per la Beatificazione: ne occorre uno dopo la morte. E il miracolo che ha permesso la Beatificazione non vale per la Canonizzazione. Ne occorre un altro. Nel caso del Comboni questo miracolo avvenne subito nel 1997, un anno appena dopo la Beatificazione. Altri santi devono attendere molti anni prima di avere il miracolo. Alcuni anche secoli. Il Comboni ha mostrato compassione per gli Africani. Il primo miracolo fu per la Beatificazione di un Afro-Brasiliana, Maria Josè Oliveira Paixao, il secondo per una nera araba e musulmana. Da notare che ambedue i miracoli furoni chiesti con preghiere da Suore Comboniane. Ecco la narrazione ufficiale del miracolo in breve e come raccontata da una delle suore presenti: Il 12 novembre 1997 Lubna Abdel Aziz si presenta alla maternità St. Mary di Khatoum, servita dalle suore comboniane. È al suo quinto figlio, e al quinto cesareo: Dopo il parto, un’emmoragia inarrestabile e altre complicazioni conducono la donna in fin di vita. Dopo aver tentato tutto il possibile, i medici si preparano a perdere la paziente. Ma le suore comboniane di servizio non si arrendono. Radunano le infermiere, parlano ai parenti. Invitano tutti, cristiani e musulmani, a pregare. Una suora pone sotto il guanciale della donna un’immagine del Comboni. Nella cappella della comunità, di fronte ad una icona di Comboni, si prega con fede e con cuore: “È mamma di cinque figli! Come puoi permettere che muoia? Non vorrai fare brutta figura…Guariscila!”. Inspiegabilmente, l’indomani, Lubna comincia subito a migliorare. È salva. Ora non rimane che ringraziare l’Unico Dio, pregato da musulmani e cristiani, perché per intercessione del suo servo Daniele Comboni ha voluto compiere il miracolo. Di fatto, da buoni musulmani, Lubna e il marito vanno in pellegrinaggio di ringraziamento alla Mecca. Miracolo e circostanze appaiono fuori dal comune per alcuni abituati a certi schemi; per essi, la scelta della miracolata potrebbe sembrare inopportuna. E invece è molto opportuna perché il Comboni ha faticato per tutti i neri, è morto ed è stato sepolto a Khartoum. La commissione medica diocesana, composta da gente di ogni fede o senza fede e la commissione teologica, non fecero alcuna obiezione. I risultati dell’inchiesta ed il giudizio delle commissioni, furono mandati alla S. Congregazione dei Riti che, a sua volta, li sottomise a tre commissioni: Medica, Storica e Teologica; tutte acconsentirono all’unanimità. Passarono alcuni anni per vedere se il male tornasse. Non tornò: la canonizzazione fu annunciata dal Santo Padre Giovanni Paolo II nel Concistoro Ordinario Pubblico del 7 marzo 2003. Quando cominciò il processo per la beatificazione del Comboni, i poveri di Khartoum, cristiani e musulmani, l’avevano già dichiarato “Uomo di Dio”. Un musulmano disse allora: “Era buono come il profeta Gesù”. DISCORSO DEL SANTO PADRE dopo la dichiarazione ufficiale in S. Pietro della santità del Comboni: “Predicate il Vangelo ad ogni creatura (Mc 16,15). Con queste parole il Risorto, prima dell’Ascensione, affidò agli Apostoli l’universale mandato missionario. Subito dopo, li assicurò che in tale impegnativa missione avrebbe potuto contare sulla sua costante assistenza (cfr. Mc 16,20). Queste stesse parole sono risuonate, in modo eloquente, nell’odierna solenne celebrazione. Esse costituiscono il messaggio che ci rinnovano questi tre nuovi Santi: Da-

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niele Comboni, Vescovo, fondatore della Congregazione dei Missionari Comboniani del Cuore di Gesù e delle Suore missionarie Comboniane Pie Madri della Pigrizia; Arnold Janssen, presbitero, fondatore della Società del Verbo Divino, della Congregazione delle Suore Missionarie Serve dello Spirito e della Congregazione delle Suore Serve dello Spirito Santo dell’Adorazione Perpetua; Josef Freinademetz, presbitero, della Società del Verbo Divino. La loro esistenza mette in evidenza che l’annuncio del Vangelo “costituisce il primo servizio che la Chiesa può rendere a ciascun uomo e all’intera umanità” (Redemptoris missio, 2). L’evangelizzazione, insegnano questi nuovi Santi, oltre a interventi di promozione umana, talora persino rischiosi come testimonia l’esperienza di tanti missionari, comporta sempre un esplicito annuncio di Cristo. Questo è l’esempio e questa è l’eredità preziosa che i tre Santi, elevati oggi alla gloria degli altari, lasciano specialmente alle loro famiglie religiose. Primo compito degli Istituti missionari è la missione ad gentes, da non posporre a nessun altro impegno, pur necessario, di carattere sociale e umanitario. Tutti i popoli vedranno la gloria del Signore-. Il Salmo responsoriale, che poc’anzi abbiamo cantato, sottolinea l’urgenza della missione ad gentes anche in questi nostri tempi. Sono necessari evangelizzatori dall’entusiasmo e dalla passione apostolica del Vescovo Daniele Comboni, apostolo di Cristo tra gli africani. Egli impiegò le risorse della sua ricca personalità e della sua solida spiritualità per far conoscere ed accogliere Cristo in Africa, continente che amava profondamente. Come non volgere, anche quest’oggi, lo sguardo con affetto e preoccupazione a quelle care popolazioni? Terra ricca di risorse umane e spirituali, l’Africa continua ad essere segnata da tante difficoltà e problemi. Possa la Comunità internazionale aiutarla attivamente a costruire un futuro di speranza, Affido questo mio appello all’intercessione di S. Daniele Comboni, insigne evangelizzatore e protettore del Continente Nero.” Mi sembra opportuno citare alcuni pensieri del Papa, durante la tradizionale udienza ai pellegrini, il lunedì dopo la canonizzazione: il 6 ottobre 2003. “Vi rivolgo il mio cordiale saluto e vi ringrazio per la vostra presenza. Saluto tutti voi, cari Missionari Comboniani del Cuore di Gesù, che proseguite l’azione apostolica di S. Daniele Comboni. Egli viene giustamente annoverato fra i promotori del movimento missionario che ebbe nella Chiesa del diciannovesimo secolo uno straordinario risveglio. In particolare, saluto il Superiore generale recentemente eletto, P. Teresino Serra, e i Religiosi partecipanti al Capitolo Generale. Auspico che le riflessioni e le indicazioni scaturite dall’assemblea capitolare infondano un rinnovato slancio missionario al vostro Istituto. Saluto poi voi, care Suore Missionarie Comboniane Pie Madri della Pigrizia, e voi, care secolari Missionarie Comboniane e cari Laici Missionari Comboniani, che vi ispirate al carisma di S. Daniele Comboni. Iddio renda fruttuosa ogni vostra iniziativa, sempre tesa a diffondere il Vangelo della speranza. Benedica, inoltre, gli sforzi che compite nell’ambito della promozione umana, specialmente a favore della gioventù. A questo riguardo, auspico vivamente che sia ripreso e portato a compimento il progetto di fonfare un’Università Cattolica in Sudan, terra cara al Comboni. Sono certo che una così importante istituzione culturale renderà un qualificato servizio all’intera società sudanese.

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Carissimi fratelli e sorelle! Rendiamo grazie a Dio per aver donato alla Chiesa S. Daniele Comboni, S. Arnold Janssen e S. Josef Freinademetz. Il loro esempio e la loro intercessione ci incoraggino a rispondere con generosità alla nostra vocazione cristiana. Ci aiuti la Vergine Maria, che questi nuovi santi amarono come tenera Madre, sperimentandone la protezione e il conforto. Io vi accompagno con la preghiera, mentre benedico voi, le vostre comunità e tutti i vostri cari.” Celebrazioni furono tenute nelle diverse località legate al Comboni con rilevanti discorsi, che si assomigliano e si accavallano ai discorsi tenuti nelle stesse località in occasione della Beatificazione. LETTERE DECRETALI Con cui sono riconosciuti gli onori dei santi a Daniele Comboni Giovanni Paolo Vescovo Servo dei Servi di Dio, a perpetua memoria “L’Amore di Cristo ci spinge, al pensiero che uno è morto per tutti (2 Cor 5,14.17). Queste parole dell’Apostolo ben si addicono a quell’insigne evangelizzatore che fu il beato vescovo, missionario e fondatore, Daniele Comboni, la cui esistenza fu mossa da quell’unico anelito del Signore Gesù: “E ho altre pecore che non sono di quest’ovile; anche queste io devo condurre; ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge e un solo pastore” (Gv 10, 16). Carità soprannaturale lo spinse a prodigarsi indefessamente per l’evangelizzazione dell’Africa e una speranza incrollabile ne guidò le molteplici opere intraprese, certo che la Chiesa avrebbe finalmente annoverato tra i suoi figli prediletti anche il popolo africano. Dotato di grande sensibilità umana e di doti non comuni di intelligenza, Daniele Comboni nacque il 15 marzo 1831 a Limone sul Garda, paese appartenente alla diocesi di Brescia. La formazione umanistica e teologica e l’indirizzo missionario della sua vita li ricevette tuttavia a Verona, specialmente nell’Istituto Mazza, dove fu accolto. Il 31 dicembre 1854 venne ordinato sacerdote a Trento e alcuni anni dopo, nel settembre del 1857, partecipava alla spedizione mazziana per l’Africa centrale. Più che la brevità e l’apparente insuccesso di questa, potè però il suo ardente desiderio di additare alla Chiesa una nuova e più sicura via per portare il Vangelo in Africa. Dio provvidente, che lo proteggeva con vigile custodia, inaspettatamente gli manifestò la via. Infatti mentre il giorno 15 settembre 1864 pregava presso il sepolcro dell’Apostolo Pietro, concepì nella sua mente il “Piano per la rigenerazione dell’Africa”, ispirato dal pensiero di “Salvare l’Africa con l’Africa”. Il suo piano prevedeva poi di istituire il clero indigeno, le suore della carità, I catechisti, I maestri, le madri di famiglia, non più in Europa, affinché con le proprie forze prestassero a vicenda la propria opera per diffondere la fede e il culto cristiano nelle regioni interne di quel continente. Il nostro predecessore Pio IX incoraggiò il servo di Dio a portare a compimento tale proposito, dicendogli “Lavora per l’Africa come un buon soldato di Cristo”. Da allora la sua attività parve assumere ancora maggiore afflato ecclesiale, oltre naturalmente ad acquistare in profondità ed efficacia operativa per le nuove fondazioni realizzate e per alcuni gesti di grande impatto spirituale. Così l’ardente sacerdote Daniele Comboni intraprese numerosi viaggi di animazione missionaria in tutte le principali diocesi e nazioni europee, culminanti con la presenza al Concilio Vaticano I e la consegna ai padri ivi convenuti del “Postulatum Pro Nigris Africae Centralis”. Nel

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frattempo, con l’appoggio del vescovo di Verona, Mons. Luigi di Canossa, aveva fondato il 1° giugno 1867 l’Istituto per le missioni della Nigrizia, I cui membri si chiamano oggi “Missionari Comboniani del Cuore di Gesù” (M.C.C.I.) e il 1° gennaio 1872 fondava l’Istituto delle Pie Madri della Nigrizia, oggi “Suore Missionarie Comboniane”. La Sede di Pietro accompagnò e riconobbe tanta e tale dedicazione alla causa missionaria. Infatti il 26 maggio dello stesso anno, assegnava lo spento Vicariato dell’Africa Centrale all’Istituto per le missioni della Nigrizia e nominava Daniele Comboni pro-vicario apostolico con sede nella città di Khartoum. Il 31 luglio 1877 lo nominava infine vescovo e vicario della stessa sede, con il titolo della Chiesa di Claudiopoli. Daniele Comboni alimentò tutta la sua azione missionaria alla fonte inesauribile dell’amore trinitario, espresso nel Cuore trafitto di Gesù e si affidò costantemente alla materna presenza di Maria, invocata coi nomi più belli di madre e regina della Nigrizia, di Immacolata e di Nostra Signora del Sacro Cuore, e al provvido soccorso di San Giuseppe. Al Cuore di Gesù e a Nostra Signora del Sacro Cuore infatti consacrò il suo Vicariato. Agì costantemente per amore e in comunione con la Chiesa e i suoi legittimi rappresentanti, sempre orientato al fine dell’opera sua: diffondere il Vangelo, creare i presupposti di un’autentica chiesa locale, coinvolgere tutte le forze locali nella propria rigenerazione e lottare contro la schiavitù. Su questa via seppe abbracciare e trovare il significato della croce di Cristo da cui attinse la capacità di donarsi totalmente a favore dei popoli “i più poveri e abbandonati”, la fortezza per affrontare e superare le numerose contrarietà e la speranza con cui guardare fiduciosamente al futuro. A 50 anni aveva donato tutto se stesso: a Dio, alla Chiesa e all’Africa e così il 10 ottobre 1881 esalò a Khartoum l’ultimo respiro, preannunciando una stagione di frutti per gli Istituti da lui fondati e per la Chiesa del Sudan. La sua fama di santità e il ricordo della sua instancabile operosità sono ancora oggi motivo di ispirazione missionaria per la Chiesa di Dio e oggetto di ammirazione per la società civile, oltre che invito a un mondo più equo. La causa di beatificazione e di canonizzazione fu iniziata dal vescovo di Verona nel 1928. Il 17 marzo 1996 abbiamo proceduto alla beatificazione del Servo di Dio. In vista della canonizzazione, è stata esaminata un’ulteriore guarigione avvenuta a Khartoum (Sudan) a favore di una signora musulmana, Lubna Abdel Aziz. Abbiamo in seguito, il 20 dicembre 2002, promulgato il Decreto sul miracolo. Nel Concistoro del 7 marzo 2003 abbiamo stabilito che il rito della canonizzazione fosse celebrato il 5 ottobre dello stesso anno. Oggi, dunque, sulla piazza che si apre davanti alla patriarcale basilica di San pietro, durante la solennità della messa abbiamo proclamato la seguente formula: “Ad onore della Santissima Trinità, per l’esaltazione della fede cattolica e l’incremento della vita cristiana, con l’autorità di Nostro Signore Gesù Cristo, dei Santi Apostoli Pietro e Paolo e Nostra, dopo aver lungamente riflettuto, invocato più volte l’aiuto divino e ascoltato il parere di molti Nostri Fratelli nell’Episcopato, dichiariamo e definiamo Santi i Beati Daniele Comboni, Arnold Janssen Freinademetz e li iscriviamo nell’Albo dei Santi e stabiliamo che in tutta la Chiesa essi siano devotamente onorati tra i Santi. Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo”. Abbiamo voluto esaltare davanti a tutti gli uomini le gesta di questo santo che si applicò indefessamente alla diffusione del Vangelo, affinché la fede cattolica e lo zelo si propagassero senza interruzione e raggiungessero il maggior numero possibile di persone, così che, arricchite di ogni protezione del cielo, potessero ottenere con abbondanza i doni salvifici di Dio. Quanto abbiamo decretato nella presente Lettera, vogliamo che d’ora in poi come in futuro sia ratificato e tenuto per certo, nonostante qualsiasi opinione contraria.”

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Dato presso San Pietro, il giorno 5 del mese di ottobre, nell’anno del Signore 2003, 25° del Nostro Pontificato. Giovanni Paolo II

B. I PRINCIPALI SVILUPPI NELL’ISTITUTO 1. La Formazione: una valutazione storica a. Formazione di base In questo periodo, aumentò l’internazionalizzazione sia dei formatori che dei candidati. Difatti le cifre per gli Studenti e i Fratelli in Europa , America e le nuove province negli anni fra il 1990 ed il 1997 sono le seguenti: Anno 1990 1997

Europa/America / USA 52 26

Nuove Province 106 138

Ciò nonostante, le defezioni dagli scolasticati non erano poche. Per alcuni anni la media era del 25%-30%. Ci sono diverse ragioni per questi abbandoni . Ecco alcune considerazioni: Molti candidati non avevano la necessaria motivazione e rettitudine di intenzioni. Quando un candidato onesto si accorge della mancanza di retta intenzione, con sincerità si confronta con il Superiore ed eventualmente lascia l’Istituto. Chi non è sincero e vuol continuare, crea dei problemi seri per sé e per gli altri. Nella maggior parte dei casi di chi abbandona, la domanda non è “perché se ne vanno “ma “perché erano entrati nell’Istituto”. Che alcuni giovani possano unirsi all’Istituto senza una vera motivazione può essere accettabile, ma ci si aspetterebbe che la motivazione fosse messa in discussione durante il Postulato, o almeno nei primi mesi del Noviziato. I Formatori sanno bene che non è facile scoprire le giuste motivazioni. Troppo spesso , però, coloro che dicono di non avere problemi sia all’interno della vita comunitaria, come con i Superiori, con l’obbedienza, la preghiera, la carità, la castità e la povertà, né con i loro genitori, è probabile che mentano e vogliono essere accettati ad ogni costo, idonei o no. Nel libro di Geremia si legge: “Mi fu rivolta la Parola del Signore: “Prima di formarti nel grembo materno, ti conoscevo, prima che tu uscissi alla luce, ti avevo consacrato; ti ho stabilito profeta della nazioni” “ Questo significa che non si può dire che un postulante abbia una vera vocazione a meno che tramite la preghiera, ed un dialogo sincero ed aperto con i formatori e Superiori sveli che egli è chiamato dal Signore. Se il Superiore accetta i voti di un novizio, non vuol dire che egli abbia la vocazione: l’ammissione significa solo che il candidato ha le qualità richieste dall’Istituto, ma queste qualità di per sé non sono un segno ma solo una conferma della chiamata divina che si rivela attraverso la preghiera personale e la Direzione Spirituale. La Superficialità nel Noviziato: alcuni candidati che entrano nel Noviziato credono che automaticamente essi prenderanno i voti. L’unica loro preoccupazione è come prendere i voti, e non come capire e mettere in pratica i requisiti della chiamata. Per alcuni di loro il Noviziato è una parentesi durante il viaggio. Una volta presi i voti, essi desiderano una maggiore libertà e molto spesso il concetto di libertà è sbagliato. Una volta presi i voti, volontariamente e ufficial-

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mente ci si limita l’esercizio della propria libertà. Come pure alcuni dei diritti umani, come quello di sposarsi, di possedere in proprio ecc. vengono limitati. Fraintendimento del Carisma di Comboni. Un Carisma è inizialmente nient’altro che la chiamata. È la chiamata ad una spiritualità modellata sul Comboni; ricaricati di questa spiritualità, che è il nucleo del carisma, ci accingiamo a servire la Chiesa “ad gentes” (l’identità del servizio missionario) e per i più poveri e più abbandonati (l’identità del servizio Comboniano). Colui che identifica il carisma con il servizio lo svilisce e perde la sostanza della chiamata, il dono, l’identità missionaria Comboniana, cioè la “consacrazione a Dio per le missioni nell’Istituto Comboniano”. Questo si esprime in categorie “professionali”: Sacerdoti, Fratelli, Suore, Missionari Laici. Queste “professioni” vengono esercitate secondo le necessità della Chiesa Particolare dove siamo e dove serviamo. b. I Formatori Alcuni formatori hanno avuto diversi anni di preparazione, altri come alcuni formatori dei postulati soltanto alcuni mesi. I postulati sono le fondamenta della decisione di seguire Comboni: come le fondamenta di un edificio, la decisione di seguire Cristo nella vita religiosa missionaria deve avere radici profonde e forti per poter sostenere le avversità di tale vita. Abbiamo una“Ratio Studiorum” . Questa è stata preparata dopo molti anni di esperienza. Purtroppo, però, non tutti i formatori la prendono come ricca risorsa per il loro lavoro di formazione. Dirò di più; nello stesso scolaticato o noviziato si notano delle discutibili differenze fra un formatore ed un altro che ne prende il posto. Non voglio qui mettere in discussione la sensibilità o la personalità dei singoli formatori, ma credo che debba esserci una continuità di esperienze. Succede che a volte un formatore in una data casa e periodo di formazione prende il posto di un altro senza approfittare dell’esperienza del precedente. Sintesi. Ho già menzionato altrove che molti formatori non hanno ancora trovato la sintesi fra i valori positivi del passato e quelli del presente. Nel Capitolo del 1969 furono introdotti molti cambiamenti nella nostra metodologia formativa. Questi cambiamenti non intendevano fare tabula rasa della formazione e della vita comunitaria che nel passato avevano prodotto missionari zelanti, dedicati e pieni di iniziativa. Il nucleo della formazione del passato dava una forte enfasi sulla preparazione della volontà, sulla disciplina della vita comunitaria e missionaria, così che il falso dilemma non fu mai discusso da alcuni missionari “Siamo prima religiosi o missionari?” Per “religioso” spesso s’intendeva la prevalenza delle strutture della comunità religiosa Attualmente la metodologia si basa di più a formare i giovani, gelosi della loro libertà, a maturare la loro personalità. Questa formazione tende a generare un certo individualismo incoraggiato dai regimi prevalentemente democratici della società civile e politica. Si deve qui ricordare che la vera mentalità democratica si basa su due principi: il rispetto della persona e il rispetto della legge che protegge la libertà di tutti i cittadini. Una formazione genuina alla democrazia deve mirare ad ottenere l’equilibrio fra questi due principi. La prevalenza di uno degli elementi crea disarmonia o nella vita del missionario o nelle esigenze della vita comunitaria o della comunità ecclesiale. Siccome gli esseri umani sono stati creati per vivere in una società, la formazione all’esercizio della libertà dei giovani significa aiutarli ad apprendere come usare la propria libertà per vivere in una società; nel nostro caso in una comunità. La libertà è una responsabilità: una responsabilità alla propria personalità, ai propri impegni, alla comunità dove Dio desidera che si vada.

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Questa responsabilità è reciproca, cioè ognuno dei membri deve sentirla. Non si può dire: “Che cosa mi offre la comunità?”, ma piuttosto: “Che cosa offro io alla comunità”. Lessi una volta, in una delle nostre pubblicazioni che la libertà è il più grande valore della comunità. Nel Vangelo leggo che il più grande valore cristiano è l’amore. Gli esseri umani sono stati creati ad immagine e somiglianza di Dio. Ma “Dio è amore” (1^ lettera di Giovanni 4:8). Quindi il comandamento dell’amore è soltanto un invito a noi stessi di trovare la nostra identità nel vivere in noi l’immagine e la somiglianza di Dio. Dobbiamo mettere il dono della libertà a disposizione del nostro amore cristiano: “Voi infatti, fratelli, siete stati chiamati a libertà. Purché questa libertà non divenga, un pretesto per vivere secondo la carne, ma mediante la carità siate al servizio gli uni degli altri. Tutta la legge infatti, trova la sua pienezza in un solo precetto: amerai il prossimo come te stesso. Ma se vi mordete e divorate a vicenda, guardate almeno di non distruggevi del tutto gli uno gli altri! “(Gal. 5:13-15) In questo contesto si può dire che la metodologia moderna nell’educazione dei giovani esige più sforzi da parte sia dei formatori che dei candidati. Infatti essa, mentre tende ad aiutare i giovani al retto uso della libertà, non può trascurare la formazione della volontà. Infatti la libertà è appagata nell’esercizio dell’amore che è l’oggetto proprio della volontà. La persona, coordina i due elementi amore e libertà. La libertà umana, tuttavia, è limitata dalla nostra stessa natura e dallo scopo ad essa dato da Dio: libertà di amare. Nelle parole di San Paolo l’esercizio della libertà può solo essere per il vero amore di se stessi e gli altri. Dato che noi nelle nostre scelte siamo molto spesso guidati dal nostro istinto egoista, dalle nostre emozioni, i sentimenti, gli interessi personali, l’esercizio della nostra libertà deve essere controllato dalla nostra ragione illuminata dalla parola di Dio. In termini cristiani questo self-control è la Croce di Gesù , che ci piaccia o no questa parola ; cioè: “Chi vuol essere un mio seguace, rinunci a se stesso, prenda la sua croce quotidiana e mi segua” (Luca. 9:23-24) Gesù non venne per gettarci addosso la sua croce. Venne per insegnarci a portarla perché la vita degli esseri umani che siano o no cristiani è irta di difficoltà e problemi. Tutti i fondatori di qualsiasi religione seria, come l’Islam, includono sacrifici: preghiere cinque volte al giorno, Ramandam, pellegrinaggi alla Mecca, ripetere il credo o formula” Allah è il solo Dio e Maometto il suo Profeta” Uno scrittore americano, un laico, scrisse che la più grande tragedia degli esseri umani è quella di rifiutare la sofferenza. Ci sono due modi attraverso i quali un essere umano può maturare. Uno è l’esercizio delle responsabilità come già detto sopra ; l’altro è imparare a convivere con gli inevitabili sacrifici e sofferenze della vita,. Fidarsi dei giovani significa fidarsi delle loro idee ed energie piene di vitalità. Un laico americano scrisse che oggi la formazione non deve esigere di meno di quanto chiedeva una volta. La formazione deve essere esigente; più i formatori chiedono e più i giovani danno. La differenza con il passato è che allora, facilmente si imponeva, oggi si deve proporre col dialogo sincero che convinca il giovane o meno giovane. Questa metodologia porta ai giovani la luce di cui abbisognano nella formazione e li aiuta a formare le loro personali convinzioni. In questo modo la sintesi delle due metodologie può diventare un fatto acquisito. Nessuna istituzione può programmare il futuro senza tener conto del passato. Programmare per il futuro basandosi unicamente sul presente risulterà in ideologie e non in programmi sostenibili e attuabili.

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Le riflessioni esposte sopra fanno parte delle nostra storia dalla quale dobbiamo trarre insegnamento. Per analizzare il presente, si deve analizzare il passato. La Conferenza Latino-Americana di Santo Domingo del 1992 ribadì: “L’educazione è la memoria del passato, la maestra del presente, il paradigma del futuro.” Nel dubbio: fuori! Tutti coloro che sono esperti nella formazione di sacerdoti e religiosi sono fermamente convinti che se rimane un dubbio circa l’idoneità di un candidato, principalmente sulle motivazioni, si deve prendere una decisione e il candidato invitato a lasciare. Succede frequentemente che i formatori non prendono tale decisione adducendo la ragione che ci sono ancora molti anni di formazione per il candidato. Questa politica va contro l’opinione di esperti educatori. Nel subconscio di alcuni formatori vi è il timore di prendersi le proprie responsabilità. In certi casi essi sono contenti se tali responsabilità se la prendono i Superiori. Può certamente succedere che qualcuno creato con la vocazione possa interrompere il suo cammino. È comunque meglio interrompere il cammino di un candidato che rischiare di accogliere qualcuno privo di vocazione. Esso sarebbe come un pesce fuor d’acqua, mentre il primo, secondo l’esperienza, potrà farsi un’altra vita pienamente soddisfacente. L’esperienza ci insegna, inoltre, che non è giustificabile, anzi, è in qualche modo ingiusto, far proseguire qualcuno e poi fermarlo, per esempio al momento dei voti perpetui se vi erano dei dubbi nei periodi precedenti. Uno degli errori nella selezione dei candidati, sia all’atto dell’accettazione in postulato o noviziato che durante la formazione, è di accettare giovani che dichiarano di non avere problemi come detto sopra. I Provinciali. Ad alcuni provinciali piace avere un alto numero di candidati, perciò non accettano volentieri il giudizio dei formatori . È la qualità dei candidati ciò di cui si deve essere fieri, non la quantità. Alcuni provinciali hanno avuto ed hanno tuttora dei guai a causa di sacerdoti che sono stati ordinati nonostante ci fossero stati dei dubbi sulla loro vocazione. La selezione deve essere scrupolosa. I formatori devono avere il coraggio di dire ai provinciali ciò che veramente pensano dei candidati circa la loro idoneità, non solo, ma se un candidato non fosse idoneo devono dire al provinciale che esso deve lasciare per il bene della comunità e di se stesso. Se sono unanimi devono dire “Non lo vogliamo nella nostra comunità” . c. I corsi Sono stati organizzati degli workshop, cioè seminari interattivi sia su base generale che continentale, in Europa, America ed in Africa. Il Segretario Generale per la Formazione deve prendersi la responsabilità di visitare le case di formazione di base e controllare che la “Ratio Studiorum” e le decisioni dei workshop vengano implementati. Egli sottoporrà al Consiglio Generale le decisioni eventualmente prese dagli stessi workshop così che possano essere valutate dalle autorità competenti. I workshop e i corsi sono consultativi non decisionali. La Direzione Generale si prenderà le sue responsabilità come ente decisionale definitivo in circostanze ordinarie. I corsi e i seminari sono buona cosa e sono necessari, ma è il Segretario Generale o continentale della Formazione che deve valutare come le decisioni e i suggerimenti vengono attuati in ognuna delle case di formazione. Dare questa responsabilità agli stessi corsi e workshop ha un valore molto limitato e generico. d. La Direzione Spirituale Durante il periodo di formazione di base la direzione spirituale è fatta regolarmente. Purtroppo, la maggioranza sia dei Fratelli, dopo aver fatto i voti perpetui, come dei chierici dopo la loro ordinazione, non continuano ad avere regolari incontri con un padre spirituale.

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Perciò i candidati credono che dopo la formazione di base non c’è bisogno di un direttore spirituale. L’esperienza mi suggerisce che un certo numero di religiosi, dopo la professione o ordinazione perpetua lasciano l’Istituto perché non sottopongono le loro eventuali difficoltà ad una guida saggia come un Direttore Spirituale o ad un Confessore con la grazia del Sacramento. Quando qualcuno ha dei problemi e si trova in una situazione critica, e non riesce ad aprirsi a qualcuno che lo conosce, spesso si confonde e diventa vittima di se stesso. Personalmente sono a favore di una formazione integrale senza la separazione dei due aspetti, formazione e direzione spirituale; inoltre durante la formazione di base si deve dare maggiore importanza alla confessione che garantisce un aiuto spirituale durante l’arco dell’intera vita. Un religioso deve imparare a far buon uso della confessione dove potrà anche ricevere una direzione spirituale. È più facile fare una regolare confessione dopo la formazione di base che avere regolari incontri con il padre spirituale. Questa pratica servirebbe a mettere la confessione nella sua giusta prospettiva come sacramento che dona la grazia sacramentale che rafforza il penitente. Le parole del confessore non sono soltanto luce, ma attraverso la grazia sacramentale donano forza. Sarà responsabilità del penitente di scegliere cosa dire al confessore, e, dopo l’assoluzione se il penitente avesse altre cose da discutere con il confessore, è libero e spesso più propenso a farlo. Queste riflessioni sono in consonanza con il seguente rapporto del Segretario Generale della Formazione al Capitolo del 1997. “La distinzione fra “colloquio formativo” e direzione spirituale” risulta ancora non sufficientemente compresa da un buon numero di formatori. Pure il sistema della “formazione integrale “continua a suscitare qualche perplessità in alcuni e ritorna regolarmente come oggetto di discussione nei nostri raduni. A livello d’Istituto nelle risposte al questionario individuale (domanda 27.3) lo scarto tra quelli che approvano questa prassi e quelli che la criticano è di appena pochi punti (38,5) contro il (33%). I formatori sono decisamente più ottimisti (59,8% contro il 32,3%), un po’ meno gli scolastici e fratelli VT (46, 4% contro il 36%). Nei corsi per formatori sono state abbordate queste tematiche. È stata riaffermata la validità dell’attuale prassi formativa, ma è stata anche sottolineata la convenienza di una certa flessibilità per adattarla alle circostanze. Tenendo conto dei disagi indicati da una buona percentuale dei confratelli, vedrei opportuno il promuovere una riflessione a livello d’Istituto su questi aspetti della nostra prassi formativa per studiare il modo di affrontare, per quanto possibile, gli eventuali limiti. In una linea di maggiore flessibilità nell’uso dei due mezzi formativi, il colloquio formativo e la direzione spirituale, secondo le diverse tappe formative, ci si può domandare se durante lo scolasticato non sarebbe opportuno favorire il più possibile la ‘libertà’ (prevista dalla Ratio) di scegliere come direttore spirituale una persona diversa dal formatore (dentro o fuori l’istituto). Questo potrebbe permettere di rivalutare “il colloquio formativo” e preparare il confratello ad assumere la direzione spirituale come uno strumento che si utilizza per tutta la vita. e. Formazione continua Come risultato della consapevolezza della necessità di dare la dovuta attenzione a ciò che si è piuttosto che a ciò che si fa o si ha, sono state prese delle iniziative. Di particolare importanza è l’anno Comboniano come esigenza della formazione continua per i confratelli dopo 10 anni circa di esperienza missionaria.

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2. Animazione Missionaria a. Assemblee continentali Si sono tenute delle assemblee continentali in questo periodo, a Quito (Ecuador)per l’America nel 1996, l’altra in Africa a Maputo (Mozambico) nel gennaio del 1997. Furono prese le seguenti decisioni: America: l’istituzione di un centro per l’Animazione Missionaria nel Guatemala. Africa : il Consiglio generale passò la responsabilità del “New People Media Centre” di Nairobi alle province di lingua inglese a partire dal gennaio 1999. Fu programmato di istituire un simile centro di comunicazioni sociali per le province di lingua francese: “Afrique Espoir” a Kinshasa, già funzionante. L’Africa Fu dato particolare rilievo all’apprendimento dell’arabo e dell’Islam. Le province africane furono esortate dal Capitolo a creare consapevolezza e dare adeguata formazione sull’Islam nelle comunità cristiane. Il Consiglio Generale appoggia in questo compito le province nei seguenti modi: a. attraverso l’animazione delle stesse province. b. aiutandole nei loro piani post-capitolari di focalizzare la loro attenzione sulle sfide dell’islam nell’evangelizzazione. c. Incoraggiandoli a dare ai confratelli l’opportunità di conoscere l’Islam come veramente è e di partecipare a corsi organizzati all’uopo. In particolare i corsi estivi di Islamologia del PISAI (Pontificio Istituto di Studi Arabi e d’Islamologia) nel 1995, furono seguiti da rappresentanti delle province di CA, MO, RSA, TC, T, Z; altri corsi brevi sulla islamologia furono tenuti in Africa centrale, Sud Africa, Ciad, Togo, Zaire, Egitto, nel 1994, nel Kenya nel 1995, nel Mozambico sempre nel 1995 nel 1996 in Malawi e Zambia e in Uganda nel 1997. d. Attraverso la collaborazione con altri Istituti. e. Il trasferimento del Centro per gli Studi Arabi al Cairo (Dar Comboni) dalla casa parrocchiale di Sakakini a Zamalek, una proprietà Comboniana più idonea, dette l’opportunità di rinnovare la collaborazione con la Chiesa locale rappresentata dal Vescovo Mons. Sampieri, Vicario Apostolico di Alessandria d’Egitto e con vari altri Istituti religiosi al Cairo. La collaborazione fra il PISAI, dei Missionari d’Africa e Dar Comboni che per lungo tempo si limitava ad uno scambio di personale per corsi brevi, si è sviluppata in un progetto di formazione comune, i cui dettagli stanno per essere ultimati. Lo scopo del progetto è: Ø Di offrire alla Chiesa delle Strutture funzionanti per il training di personale nel campo delle studio dell’arabo e conoscenza dell’Islam; Ø Di far sì che la Chiesa sia più consapevole della necessità di formare personale qualificato per il lavoro pastorale fra i cattolici in aree di maggioranza musulmana; Ø Di creare un rapporto sereno e rispettoso in aree di minoranza musulmana; Ø Di addestrare al dialogo con l’Islam; Ø Di condividere le risorse quali personale qualificato e finanze. f. Attraverso l’aumento di personale: dal Consiglio Generale 15 confratelli in 6 anni sono stati mandati a studiare l’Arabo e l’Islam. Altri sono stati mandati dalle rispettive province. Si devono menzionare alcune difficoltà obiettive; Ø Lo studio dell’arabo non è per niente semplice;

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Ø la realtà islamica è molto complessa e spesso presentata in modo negativo dai mass media, rendendola perciò poco attraente; Ø I’iter per ottenere un visto ed il clima nel Nord Sudan sono piuttosto difficoltosi. A causa di una o più combinazione dei suddetti fattori, due confratelli non furono in grado di completare i loro studi d’arabo e due dovettero lasciare l’Egitto pur continuando a studiare l’arabo altrove. L’Europa Il luogo di nascita del beato Comboni. In linea con le indicazioni del Capitolo, il Consiglio generale, d’accordo con la Provincia Italiana, prese le seguenti iniziative: Ø L’acquisto di un terreno davanti alla “Limonaia” di Limone. Ø La conferma che la proprietà legale della casa è della Amministrazione generale, mentre la Provincia Italiana ha la generale responsabilità della gestione giornaliera in dialogo con la Direzione. La Polonia: L’uscita di una rivista polacca “Misjonarza Komboniane”. Ci sono già state un certo numero di vocazioni; fino ad adesso seguono il loro noviziato a Venegono. C. PRINCIPALI SVILUPPI NELLE MISSIONI (1991-1997) 1. La beatificazione di Comboni Come ci si poteva aspettare, la beatificazione di Comboni a Roma influì sull’intero Istituto. Essa ebbe, tuttavia, un’eco particolare nelle missioni. Questo fu a causa delle eccellenti preparazioni fatte per il giorno della beatificazione. Ovunque, furono stampati e distribuiti opuscoli che parlavano del Beato Comboni e dei suoi seguaci come animazione missionaria, promozione vocazionale e la formazione di base e continua. La Direzione Generale , assieme al Consiglio Generale degli altri due Istituti Comboniani, aveva diramato due lettere : “Contemplare la Roccia “e “Il coraggio della Speranza”. Le due lettere, data la vicinanza della beatificazione, furono ben accolte, lette e commentate. I nostri missionari, inoltre cercarono di attuare i suggerimenti in esse contenute. Fu così che nel rapporto al Capitolo del 1997 la Direzione generale poté scrivere: “Attraverso la partecipazione alla Beatificazione e alle numerose iniziative collegate ad essa, molti confratelli si sono resi conto di essere entrati in una maniera nuova nella vera esperienza della “sequela Christi” con il Fondatore. In generale le celebrazioni sono state caratterizzate da un profondo desiderio di renderci missionari migliori e più dedicati, attraverso una riscoperta della santità del Fondatore condivisa vitalmente con noi oggi , ed in vista del futuro.” LA BEATIFICAZIONE illuminò anche i modi in cui i confratelli vivono – a volte implicitamente ma nonostante ciò realmente – l’esperienza del beato Comboni nella loro realtà missionaria: il loro amore per la loro vocazione missionaria, in molti casi li ha posti in situazioni difficili e dure, evidenziate da rischi, paura e incertezze (n. 21,1-2). Nella introduzione alla relazione sul continente africano del Capitolo del 1997 si legge: “Assieme alla Chiesa in Africa noi fummo profondamente influenzati dalla beatificazione di Comboni nel 1996. Egli è un esempio unico di evangelizzatore che interpreta la realtà dell’Africa alla luce della fede, resa causa comune con i poveri e gli emarginati, promosse comunità evangeliche come “cenacoli di apostoli” e ispirò sentimenti amore-

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voli, compassione e solidarietà con la gente seguendo il modello del Buon Pastore del Cuore Trafitto. La testimonianza eroica dei santi africani come i martiri ugandesi, Bakhita, Annuarite, Isidore Bakanja e i martiri di oggi, sia cattolici che non, sono i segni evidenti della vitalità della Chiesa Africana. Ciò conferma il detto dello scrittore africano Tertulliano: “Il sangue dei martiri è il seme di nuovi cristiani”. La vocazione alla santità che i santi africani realizzano, è prova concreta della inculturazione della Chiesa.” Oltre, la beatificazione di Comboni, accaddero due cose di grande importanza per i nostri missionari, una nell’America latina e l’altra in Africa. 2. Santo Domingo (1992) La Conferenza Latino Americana è la quarta nella storia moderna della Chiesa nell’America Latina: Rio de Janiero., Medellin, Puebla, Santo Domingo. I documenti sono raccolti in un libro di oltre 350 pagine. Di seguito riportiamo dei punti che furono sottolineati o accentuati. Un rinnovato sforzo per la nuova evangelizzazione dei popoli dell’America Latina è l’accento sulla persona e la missione del nostro salvatore Gesù Cristo. La Cristologia fu alla base dell’Assemblea ed il suo primo frutto non poteva che accentuare il nome e la persona di Gesù Cristo , nostro Salvatore e Redentore in modo che possa essere sulle labbra e nei cuori di tutti i popoli Latino Americani. PARTE PRIMA: Gesù Cristo, il Vangelo del Padre (tre capitoli) a. I membri della conferenza scrissero una affettuosa e pubblica professione di fede. b. Un resoconto riguardante i precedenti cinque secoli di evangelizzazione proclamò gli aspetti positivi dei missionari; la luce di Cristo che fu portata all’America , è il perdono chiesto per le zone buie. c. Un caloroso ringraziamento agli innumerevoli missionari e agenti pastorali che dettero anche il loro sangue per l’evangelizzazione. PARTE SECONDA: Gesù Cristo, l’Evangelizzatore vive nella Sua Chiesa (3 capitoli) a. La nuova evangelizzazione: al n. 24 della Dichiarazione Finale, la conferenza descrive la Nuova Evangelizzazione nel seguente modo: “Nel suo complesso la nuova Evangelizzazione intende fare uso di tutti i mezzi, le attività o gli accorgimenti che portano il Vangelo all’esercizio del dialogo con la moderna e la post-moderna cultura del mondo. Lo scopo di questo è di affrontare le sfide di queste culture e di lasciarci mettere da esse in discussione. La nuova Evangelizzazione richiede pure uno sforzo per portare la luce della teologia nella vita sociale di ogni giorno da facilitare il nostro incontro con i “segni dei tempi” e saperli interpretare attraverso i programmi pastorali” b. La promozione umana: da intendersi secondo la dottrina sociale della Chiesa, cioè, “Promozione integrale, corpo ed anima”. In questo contesto l’enfasi della teologia della liberazione non riguarda tanto l’aspetto sociologico quanto quello teologico senza escludere il primo. La liberazione è innanzi tutto una dimensione del Mistero Pasquale ed è essenzialmente connesso con la morte redentrice di Cristo: è la liberazione della persona umana dalla morte e dal peccato. In questo modo l’idea del peccato entra nella vita sociale. Per poter liberare le strutture del peccato è necessario liberarle dai peccati di coloro che gestiscono quelle strutture. A loro volta quegli esseri umani liberati po-

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tranno eventualmente liberare quelle strutture da quegli aspetti intrinseci che costringono gli esseri umani a peccare contro i diritti umani e di conseguenza esercitare l’amore per il prossimo. c. La Cultura Cristiana: questo argomento non fu oggetto di particolari considerazioni nelle precedenti conferenze. È necessario dare un’alternativa alle più diffuse culture moderne come la “New Age”. È una”età” che non ha nessun riferimento a Dio. La cultura alternativa, cioè quella che penetra attraverso tutti gli aspetti della vita è quella illuminata dalla persona di Cristo, il suo messaggio di Verità e Vita. Questa deve essere la risposta della Chiesa alla anti-cultura della morte caratterizzata dall’aborto, dall’eutanasia, dalle guerriglie, dagli handicap e dal terrorismo. Il documenti finale non entra nei dettagli ma enfatizza, tuttavia il ruolo della Chiesa nell’educazione della gente a vari livelli: nelle scuole e al di fuori di esse, nelle scuole primarie e secondarie fino alle università e oltre. (DC 263). Siccome l’educazione è l’assimilazione di una cultura , l’educazione cristiana è l’assimilazione della cultura cristiana che viene impartita nei centri culturali come le scuole. PARTE TERZA: “Gesù Cristo Vita e Speranza dell’America Latina” Questa parte è una sintesi del capitolo precedente che aiuta la Conferenza a scegliere le priorità del lavoro pastorale tra il popolo . a. Come conclusione di questa analisi è giusto notare l’enfasi quasi totalmente data alla persona di Gesù Cristo, il più grande valore della Creazione: “La connessione fra il Regno di Dio e la persona di Gesù Cristo è molto chiara nel Vangelo, non si può capire cosa significhi il Regno di Dio, e come venga costruito senza riferimento alla persona di Gesù Cristo. Tagliar fuori Gesù Cristo dal Regno di Dio ci impedisce di capire le Sue azioni e le sue parole. Queste mirano sempre a stabilire in modo definitivo il regno di Dio. Pensare al regno di Dio distaccato da Gesù Cristo è come confinare il regno ad una ideologia che ha solo una dimensione umana. Questa potrebbe includere un non voluto relativismo che può differire secondo le varie tendenze storiche e le ideologie di progresso puramente terreno che di tanto in tanto sono in voga ” b. Il Documento finale cita l’Enciclica di Giovanni Paolo II “Redemptoris Missio” , che tratta a lungo della relazione della persona di Gesù Cristo con la Chiesa ed il Regno di Dio (RM 1719). Santo Domingo è un invito ad un buon numero di missionari , i quali nel loro lodevole sforzo di promuovere l’ecumenesimo ed il dialogo proclamano soltanto i valori del Regno e perfino i valori generali del Vangelo. Quando trattiamo con culture primitive od anche differenti sincretismi religiosi, è buona metodologia missionaria trattare prima i suddetti valori che sono considerati dal Concilio Vaticano II “vestigia Verbi”. Nella missiologia, questa metodologia viene considerata pre-evangelizzazione , cioè una preparazione all’annuncio dell’unico Salvatore, Gesù Cristo. I “vestigia” sono intesi a portare alla gente il loro autore “il Verbo”. “Il buono che si potrà trovare fra i non cristiani è considerato dalla Chiesa una preparazione al Vangelo e dato da Colui che illumina tutti i popoli che possano alla fine avere la vita” Nel trattare con altre religioni come l’Islam, si più dialogare e trarne vantaggio per poter creare un’atmosfera amichevole e quindi lavorare assieme per implementare dei progetti socio-

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economici e promuovere le preghiere comuni, come le molte guidate da Giovanni Paolo II . Ma in un dialogo inter-religioso trasparente , un cattolico non può presentare la sua religione senza proclamare la Resurrezione, la Divinità di Cristo come centro della sua religione e come seconda persona della santissima Trinità. Questo fatto non verrà interpretato come un tentativo di convertire l’altra parte, bensì per aiutare gli altri a capirci. Presentare un Regno senza Re non ha senso. San Paolo dice chiaramente che il piano di Dio Padre è quello di rigenerare tutto in Cristo come leader, sia in terra che in cielo (Eph. 1:10). “Alla luce dell’avvento della salvezza la Chiesa non vede alcun conflitto fra la proclamazione di Cristo e la partecipazione al dialogo inter-religioso. Invece, essa sente il bisogno di unire i due nel contesto della sua missione ad gentes.” (RM 55, La Chiesa in Africa, n. 67) 3. La Chiesa in Africa (“Ecclesia in Africa”) Esortazione Apostolica Post Sinodale di Giovanni Paolo II L’assemblea speciale per l’Africa del sinodo dei Vescovi fu tenuta a Roma nell’aprile del 1994. Fu un evento pieno di significato e di promesse per la Chiesa in Africa. In alcune diocesi dell’Africa mancò una seria preparazione, per cui il risultato del Sinodo non fu tanto entusiasmante quanto l’evento stesso. Alla fine del Sinodo Ordinario del 1973, con decisione confermata dal Sinodo del 1976, i Vescovi mandarono tutte le loro risoluzioni al Papa. Perciò quelle di questa assemblea Speciale furono pure mandate al Papa che pubblicò una esortazione il 14 settembre 1995. In quest’occasione egli si recò in tre nazioni africane a presentare la lettera e celebrare il grande evento con la gente. La lettera è composta da sette capitoli. Nel primo capitolo (n. 10-29): il Papa descrive come gli incontri erano ben organizzati data la situazione attuale in Africa. Alcune Nazioni in occidente pensavano effettivamente che l’Africa non potesse confrontarsi con il progresso degli altri continenti nel campo della produzione economica. Inoltre l’invasione di nuove sette stava creando problemi per la Chiesa. Il capitolo chiude incoraggiando i popoli africani e principalmente i vescovi : “Il piano salvifico per l’Africa di Dio è all’origine della crescita della Chiesa nel continente africano”. Il secondo capitolo (n. 30-54) presenta una breve storia dell’evangelizzazione del continente. Ho scelto un pezzo da prendere in considerazione perchè riguarda i valori positivi della cultura africana . Il mondo materialistico attuale guarda agli africani solo dal punto di vista della produzione. I Vescovi dell’Africa, invece, preferiscono guardare agli esseri umani dal punto di vista di persone e devono avere più di quanto hanno oggi. “Malgrado le sue grandi ricchezze naturali,l’Africa permane in una situazione economica di povertà. Essa possiede, tuttavia, una molteplice varietà di valori culturali di inestimabile qualità umane, che può offrire alle Chiese e all’intera umanità. I padri sinodali hanno posto in evidenza alcuni di tali valori culturali, che certamente costituiscono una preparazione provvidenziale alla trasmissione del Vangelo; sono valori che possono favorire un’evoluzione positiva della drammatica situazione del continente, ed avviare quella ripresa globale da cui dipende l’auspicato sviluppo delle singole nazioni. Gli africani hanno un profondo senso religioso, il senso del sacro, il senso dell’esistenza di Dio creatore e di un mondo spirituale . La realtà del peccato nelle sue

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forme individuali e sociali è assai presente alla coscienza di quei popoli, e sentito è pure il bisogno di riti di purificazione e di espiazione. Nella cultura e nella tradizione africana, il ruolo della famiglia è universalmente considerato come fondamentale. Aperto a questo senso della famiglia, dell’amore e del rispetto della vita, l’africano ama i figli, che sono accolti gioiosamente come dono di Dio. “I figli e le figlie dell’Africa amano la vita” È proprio l’amore per la vita a comandare loro di attribuire così grande importanza alla venerazione degli avi. Credono istintivamente che quei morti continuino a vivere e rimangono in comunione con loro. Non è questa, in qualche modo, una preparazione alla fede nelle comunione dei Santi? I popoli dell’Africa rispettano la vita che viene concepita e nasce. Gioiscono di questa vita. Rifiutano l’idea che possa essere distrutta, anche quando a questo vorrebbero indurli le cosiddette “civiltà progredite”, così pure rigettano quelle pratiche ostili alla vita che vengono loro imposte per mezzo di sistemi economici che sono al servizio dell’egoismo dei ricchi . Gli africani manifestano rispetto per la vita fino al suo termine naturale e riservano in seno alla famiglia un posto agli anziani ed ai parenti. Le culture africane hanno un senso acuto della solidarietà e della vita comunitaria. Non si concepisce in Africa una festa che non venga condivisa con l’intero villaggio. Di fatto, la vita comunitaria nelle società africane è espressione della famiglia allargata. Con ardente desiderio prego e chiedo di pregare perché l’Africa conservi sempre tale preziosa eredità culturale e perché mai soccomba alla tentazione dell’individualismo, così estraneo alle sue migliori tradizioni. “(n.43) Più avanti (52) i vescovi deprecano la penetrazione dei mass media che sono gestiti principalmente da centri del nord del mondo, che spesso danno una visione distorta dell’uomo africano e della sua vita. In questo modo essi mancano di rispondere alle richieste di un vero sviluppo. Il terzo capitolo (n. 63) ha come punto focale la Chiesa come famiglia di Dio. Il concetto di famiglia in Africa generalmente significa una famiglia allargata dove la solidarietà è altrettanto forte come quello della famiglia ristretta che conosciamo negli altri continenti. Così i Vescovi africani trovano una terminologia più concreta che quella di descrivere la Chiesa come Comunione o il Popolo di Dio. Il quarto capitolo: La Chiesa come famiglia di Dio. “Non solo il Sinodo ha parlato dell’inculturazione, ma l’ha anche concretamente applicata, assumendo come idea-guida per l’evangelizzazione dell’Africa quella Chiesa intesa come Famiglia di Dio. In essa i padri sinodali hanno riconosciuto un’espressione della natura della Chiesa particolarmente adatta all’Africa . L’immagine pone, in effetti, l’accento sulla premura per l’altro, sulla solidarietà, sul calore delle relazioni,sull’accoglienza, il dialogo, la fiducia. La nuova evangelizzazione, tenderà, dunque, ad edificare la Chiesa come famiglia, escludendo ogni etnocentrismo ed ogni particolarismo eccessivo, cercando invece di promuovere la riconciliazione e una vera comunione tra le diverse etnie, favorendo la solidarietà e la condivisione per quanto concerne il personale e le risorse tra le Chiese particolari, senza indebite considerazioni di ordine etnico. È vivamente auspicabile che i teologi elaborino la teologia della Chiesa Famiglia in tutta la ricchezza insita in tale concetto, sviluppandone la complementarietà mediante altre immagini della Chiesa”. Comunque, il Papa suggerisce la seguente considerazione: “Tramite la sua relazione con Cristo, la Chiesa è come un sacramento o segno di unione intima con Dio e dell’unità con tutti gli uomini.” (id.) Una affermazione allarmante sulla famiglia è:

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“Non permettete mai che la famiglia africana venga ridicolizzata nel suo stesso suolo. Non permettete che l’Anno Internazionale della Famiglia diventi l’anno della distruzione della famiglia” (n. 84). L’allarme è dovuto al seguente fatto: le Nazioni Unite scelsero il Cairo - su suolo africano – per tenere una conferenza sulla popolazione. Nel documento preparatorio ci fu una vera sfida alle tradizioni africane. La proposta era di accettare la pratica degli aborti come contraccettivo. Lo scopo era troppo chiaro: siccome gli africani amano i bambini la proposta, metteva in discussione molti valori delle famiglie africane. Inculturazione ed evangelizzazione sono i maggiori argomenti della lettera che è descritta come urgente. Si sa , tuttavia, che molte parole sono state spese su questo problema. La difficoltà di questo processo può essere spiegato dalle seguenti due proposizioni del Sinodo interamente riportate nella lettera: “Tenendo presente i rapidi cambiamenti culturali, sociali economici e politici, le nostre Chiese locali dovranno lavorare ad un processo d’inculturazione sempre rinnovato, rispettando i due criteri seguenti: la compatibilità con il messaggio cristiano e la comunione con la Chiesa universale; in ogni caso si avrà cura di evitare ogni sincretismo. Come cammino verso una piena evangelizzazione, l’inculturazione mira a porre l’uomo nella condizione di inserire Gesù Cristo nell’integrità del proprio essere personale, culturale, economico e politico, in vista della piena adesione a Dio Padre, e di una vita santa mediante l’azione dello Spirito Santo” . Questo può essere interpretato come promemoria a molti sacerdoti che confinano l’inculturazione alla riforma liturgica. L’invasione di molti non-valori della cultura occidentale , apprezzati dai giovani, rendono difficile seguire le idee espresse nelle proposizioni suddette. La così detta “civilizzazione “si focalizza principalmente sulle tecnologie e problemi economici che tendono a distruggere le culture africane che sottolineano lo sviluppo della persona umana. Purtroppo oggi, anche questo valore sta svanendo lasciando il campo all’ingordigia finanziaria che è spesso marcata dalla corruzione. Uno degli aspetti condannati di certe società africane riguarda le donne: “La Chiesa deplora e condanna il livello di vita in cui si trovano ancorate le donne in alcune società africane, tutti ‘ gli usi e pratiche che tolgono i loro diritti ed il rispetto che è loro dovuto ’. Si raccomanda che le Conferenze Episcopali stabiliscano delle speciali commissioni per studiare più a fondo i problemi delle donne in cooperazione con le agenzie governative interessate, ovunque questo sia possibile.” (n. 121) Mezzi per le comunicazioni Sociali. Uno dei valori raccomandati delle tradizioni africane riguarda i mezzi per le Comunicazioni Sociali. “Le forme tradizionali di comunicazione sociale non devono in nessun modo essere sottovalutate. In numerosi ambienti africani esse risultano ancora molto utili ed efficaci. Inoltre, esse sono meno costose e più accessibili. Comprendono i canti, la musica, le pantomine, il teatro, i proverbi e le favole. In quanto veicoli di saggezza e dello spirito popolare, essi costituiscono una sorgente preziosa di contenuti e di ispirazione per i mezzi moderni”. (n. 122) Conclusione. Molte altre raccomandazioni e risoluzioni fanno della lettera un programma di Evangelizzazione. L’istruzione nelle scuole cattoliche , la presenza nelle scuole non cattoliche ed altri centri culturali, miglior uso dei mezzi di comunicazione sociale, la santità dei sacrdoti e

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dei religiosi, la testimonianza per la Giustizia e la Pace, sono chiaramente descritte e coraggiosamente proposte dai Vescovi. Ogni cultura è differente da una così detta civiltà che è fatta dall’uomo. La cultura africana , come tutte le culture originali, si basa sulla legge di Dio (i dieci comandamenti) scritta nei cuori delle persone umane (Rom. 2:14-16). Siccome però, viene trasmessa da esseri umani che commettono errori e che sono peccatori, alcune cattive azioni e comportamenti peccaminosi sono stati introdotti in ogni cultura. Inoltre, in quanto Cristo ci ha portato un nuovo stile di vita (cultura) imbevuto di valori sovrannaturali non dovuti alla natura umana, così “ogni cultura ha bisogno di essere trasformata dai valori del Vangelo.” (n. 61)

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Capitolo Ventesimo QUINDICESIMO CAPITOLO GENERALE 1997 ROMA 1 SETTEMBRE – 13 OTTOBRE

1. I Capitolari Ci furono 66 membri del Capitolo in rappresentanza delle Province e Delegazioni dell’Europa: 28 dall’Africa, 16 dall’America, 1 dall’Asia, e i membri della Direzione Generale. 2. Elezioni P. Manuel Augusto Lopez Ferreira Superiore Generale P. Venanzio Milani Vicario Generale P. Juan Antonio Gonzàlez Nǔňez Assistente P. Rafael Gonzàlez Ponce Assistente Fr. Umberto Martinuzzo Assistente Tutti gli eletti avevano esperienza missionaria in differenti parti del mondo. Per la prima volta , la scelta dei nuovi membri fu apertamente discussa, evitando lobby e discussioni di retroscena. Inizialmente fu sottolineata la continuità, sia rieleggendo il Superiore Generale uscente sia qualche membro del suo Consiglio. Poi, prevalse l’idea di un cambiamento totale. Comunque la continuità entrò dalla finestra in quanto p. V. Milani era stato assistente nel periodo 1985-1991, mentre dal 1991-1997 era stato Superiore della Provincia Italiana. P. MANUEL AUGUSTO LOPEZ FERREIRA. Il nuovo Superiore generale era nato in Areozelo das Mayas, diocesi di Viseu, nel Portogallo settentrionale il 20 gennaio 1950. Fece la sua prima professione il 15 agosto 1969. Dopo aver seguito il corso di teologia a Roma, fu ordinato sacerdote il 18 luglio 1976. Dal 1976 lavorò in Portogallo come editore di “Além-Mar” e animatore missionario fino al 1984 quando fu mandato in Kenya incaricato del nuovo Centro Internazionale per Fratelli.Quando le Filippine aprirono ai missionari comboniani gli fu chiesto di andare là a fondare la rivista “World Mission” per l’Asia. Nel suo ruolo di Rappresentante del Superiore Generale egli fu presente al Capitolo del 1991. Tornò nelle Filippine, ma nel 1995 fu nominato Superiore della Provincia Portoghese . In questo ruolo egli partecipò al Capitolo del quale fu eletto Segretario Esecutivo e poi Superiore Generale il 30 settembre 1997.

3. Fasi del Capitolo Le fasi furono uguale a quelle dei Capitoli precedenti: – VEDERE: i rapporti del Consiglio Generale, dei segretari generali e uffici della Direzione Generale, dei continentali d’Africa, America, Asia, ed Europa e brevemente delle diverse Province. – GIUDICARE: discussioni di gruppo circa le rispettive relazioni dell’Assemblea Generale. – AGIRE: le proposte approvate dall’Assemblea Generale e contenute in un opuscolo intitolato “Atti del Capitolo – 1997”.

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A. PRIMA FASE: RELAZIONI Non è mia intenzione andare a fondo di ogni relazione; ci sono gli opuscoli all’uopo distribuiti a tutte le comunità. Forse alcuni di loro stanno raccogliendo polvere sui vari scaffali, ma alcuni verranno letti in occasione dell’Assemblea Intercapitolare del 2000. Le relazioni seguono l’ordine degli Atti Capitolari del 1991 che parlano della “Focalizzazione” : “Missione- Carisma – Carisma – Missione e delle cinque vie proposte nel 1991 come punti particolari per realizzare questa Focalizzazione: Ø La Spiritualità Missionaria Comboniana. Ø La Comunità Missionaria Comboniana. Ø La formazione di base e permanente. Ø Campi d’azione nelle missioni. Ø La metodologia missionaria Comboniana. Le relazioni del Consiglio generale circa il “Focus” e le cinque vie sembrano ben descrivere la situazione generale dell’Istituto; le relazione delle province, in generale, sono alquanto simili, benché molto più dettagliate. Solo le relazioni continentali furono lette al Capitolo: l’Africa – le Americhe - l’Europa. Le relazioni dell’Africa e dell’Europa non seguirono, nell’insieme lo schema di focalizzazione delle 5 vie. Leggendo le relazioni ci si rende conto che l’adempimento delle priorità indicate dal Capitolo del 1991 sono poche se confrontate con le manchevolezze e le difficoltà che s’incontrano nella vita di tutti i giorni. Ciò nonostante, i nostri missionari erano pienamente consapevoli di questi problemi e difficoltà che è sempre un segno positivo. A volte, comunque, tale consapevolezza emerge soltanto quando arriva il momento di preparare le relazioni per il Capitolo. 1. La relazione del Consiglio Generale Commenterò soltanto quattro punti della relazione e cercherò di evidenziarli dal punto di vista storico. a. Prima Via: La Spiritualità Missionaria Comboniana “Nonostante i progressi ottenuti, l’interiorizzazione della nostra spiritualità specifica, così da nutrire e sostenere il nostro impegno missionario ad vitam, è ancora una sfida. Solo un parziale progresso è stato fatto, per esempio, nella risposta all’invito del Capitolo di permettere che l’attenzione ai poveri, come anche gli eventi sociali politici ed economici arricchiscano la nostra spiritualità, specialmente il nostro approccio al Cuore di Gesù. “(AC 25) (relazione n. 248). Desidero commentare da un punto di vista storico l’opinione sulla nostra spiritualità: Ø Dopo i cambiamenti apportati dal Concilio Vaticano II (1962-1965), una reazione emotiva al passato finì per rifiutare molte delle devozioni popolari a causa del fatto che se ne abusava o perché non interamente capite. È vero che molta gente riteneva tali devozioni come preghiere solo per ottenere grazie. Questa reazione influì anche sulla devozione per la Madonna ed il Sacro Cuore. Le loro statue vennero relegate in qualche angolo buio come se fosse un ritorno ai vecchi iconoclasti. Ø Molti sacerdoti e religiosi non pensarono che le devozioni popolari devono essere purificate e non abolite. Tale purificazione è intesa ad enfatizzare la necessità di imitare l’oggetto della

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devozione; in questo caso la Madonna ed il Sacro Cuore, di modo che una specifica spiritualità, cioè uno stile di vita, possa emergere. Ø Per quanto riguarda il Sacro Cuore, un fatto è ben noto: prima della Riunione, un referendum fu fatto sul nome da dare alla Congregazione riunita. Furono proposti due nomi: CMC – Congregatio Missionaria Comboniana (604 voti) e CMSC – Congregatio Missionaria Sacri Cordis (496 voti) . La maggioranza volle quindi eliminare questi segni esteriori del Sacro Cuore. Il nostro nome originale era “Figli del Sacro Cuore” Ø Alcuni anni fa negli anni 80, un Gesuita si recò presso una delle nostre province africane e s’informò dai nostri padri sulla nostra spiritualità. Era un teologo e sorrise nel sentirsi rispondere “Siamo missionari, e basta” Conosco altri casi simili. Ø Come già detto, il nucleo del nostro carisma è la spiritualità di Comboni, cioè l’imitazione dei tre amori del Cuore di Gesù: amore per il Padre, amore sovrannaturale, e l’amore umano per i nostri fratelli. Il cuore di Gesù è il Cuore Trafitto: questo simbolo deve ispirare i missionari ad accogliere e amare la necessità delle croci che portano i discepoli di Cristo. La spiritualità Comboniana, inoltre, include la Comunione con la Chiesa, il Corpo di Cristo, la sorgente delle nostra vita e nutrimento; include anche la Madonna, la Sua e nostra Madre, colei che ha potere su di Lui. Ø Non è difficile conoscere questa spiritualità, ne sono stati scritti parecchi volumi. Ma per interiorizzarne i valori c’è bisogno della preghiera personale. La mancanza di interiorizzazione non è dovuta all’ignoranza del programma del Capitolo ma alla non rara mancanza della preghiera personale profonda e lunga. b. Seconda Via: La Comunità Missionaria Comboniana “A volte la difficoltà è scaturita da una certa resistenza o incapacità alla condivisione fraterna, specialmente nel rendere la comunità il luogo dove dare e ricevere, un reciproco sostegno umano, una genuina amicizia e fraternità, un favorire l’apertura al comunitario discernimento apostolico, alla formazione permanente e alla amministrazione comune dei beni.” (Relazione 27,3) Osservazioni La capacità di essere amici e fratelli genuini scaturisce dalla pratica dell’amore Cristiano fra di noi. Questo amore è la base della nostra vita missionaria, ma ritengo che si debba esprimere esplicitamente. Nelle Regole dell’Istituto del Beato Comboni (1871) troviamo un riferimento alla “Carità che deve essere praticata principalmente all’interno del collegio, ecc.” (Cap. X, 21). I nostri Superiori erano soliti insistere sulla carità, in special modo P. Vinello. Nella sua lettera del 25 maggio 1914, già citata, dice: “Possa la carità farci vivere con un solo cuore ed una sola anima nel Cuore di Cristo. Io ho un presentimento, una profonda convinzione che un Istituto nato nel Cuore di Cristo, che è carità, legherà il suo futuro ed il successo del nostro Apostolato alla carità fra di noi.” Nell’ultimo Direttorio, valido prima delle Regole attuali c’era un intero capitolo sulla carità. Quando io fui Superiore generale incontrai alcuni sacerdoti e religiosi che tornavano da visite presso le nostre comunità nelle missioni. Tutti loro erano rimasti impressionati dalla carità che i nostri confratelli mostravamo verso gli altri e verso i visitatori.

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Nelle nostre Regole, Parte Prima, Sezione 33, troviamo: “La contemplazione del Cuore Trafitto di Cristo è una sfida a quella carità fraterna che deve essere un segno distintivo della Comunità Missionaria Comboniana”. Dopo tutto, questo è un segno distintivo dei seguaci di Cristo (Giovanni 13:14-15) Inoltre: “Questo è il mio comandamento, amatevi l’un l’altro come io ho amato voi” (Giovanni 15:12) Una delle proposte (la quinta) del Capitolo del 1997 è “Attenzione alle persone”: la sua importanza è lampante. Fu sottolineata già nel Capitolo del 1975 nella relazione del Consiglio Generale. Ne riporto una parte per dimostrare l’importanza che l’Istituto ha dato a questo argomento: “Il dono più prezioso che Dio abbia dato alla Congregazione sono le persone, i suoi membri. In questo periodo 1969-1975, a tutti i livelli, è stato fatto un grande sforzo di rispettarsi l’un l’altro. Uno sforzo continuo è necessario per accettare le persone per quello che sono più che per quello che possono dare. La vita del nostro Istituto sta diventando sempre più internazionale, e richiede, da ognuno di noi, l’abilità di scoprire le nostre manchevolezze, ma soprattutto le nostre buone qualità, i doni di Dio, dati a tutti, benché in differenti misure. Talvolta è successo che il Provinciale, senza previo dialogo con l’interessato, ha insistentemente domandato al Superiore Generale di richiamare un confratello. Non si può disporre di qualcuno senza che gli sia stato fatto conoscere il perché. C’è bisogno di trasparenza per il dovuto rispetto alle persone. “ c. La Terza Via: Formazione di base e permanente La relazione inizia ringraziando Dio perché ha continuato a ispirare molto giovani dando loro il desiderio di servirLo come Missionari Comboniani (n. 30) Più avanti la relazione mostra preoccupazione per la formazione di base e permanente . Il punto fatto nella relazione sulla formazione permanente è “la distanza che c’è fra le proposte formative e la nostra vita” (34,1) Come risultato della presa di coscienza della necessità di porre l’attenzione su quello che le persone sono piuttosto che quello che stanno facendo, sono state prese delle iniziative in merito. Di particolare importanza è l’anno Comboniano della formazione permanente per quei confratelli che hanno circa dieci anni di esperienza religiosa missionaria. d. Quinta Via: La Metodologia Missionaria Comboniana. Nel prossimo capitolo, n. 21, darò un excursus storico sulla nostra metodologia missionaria. La metodologia è un modo di presentare il messaggio ed il suo contenuto in particolari circostanze con popoli e culture differenti. Leggiamo nella relazione: ”Nelle drammatiche e costantemente mutevoli situazioni nelle quali viviamo, le nostre missioni sono state costantemente una sorgente di sfide e stimolo per la nostra metodologia missionaria.” L’Animazione Missionaria ha avuto un posto speciale nella nostra maniera caratteristica di evangelizzare (n. 51). Lo scopo è quello di “aprire ogni chiesa locale, anche quelle appena nate, “ad gentes” e alla comunione e cooperazione con altre chiese “(n. 52).

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L’aspetto evangelizzatore dell’Animazione Missionaria ha successo nella misura in cui stimola ulteriormente la conoscenza e l’amore per Gesù Cristo, che è il contenuto essenziale dell’animazione missionaria. In questo modo l’evangelizzazione darà una base permanente all’animazione. A volte il modo con cui facciamo l’animazione missionaria può dare delle forti emozioni di compassione per i poveri, gli ignoranti ed i malati. Questa reazione potrebbe essere soltanto di consistenza filantropica, poco durevole e probabilmente rimarrà superficiale. Il Beato Comboni aveva tre fini nell’animazione missionaria: raccogliere preghiere , finanziamenti e personale. È stato detto diverse volte che l’animazione missionaria non può escludere la proposta di seguire il Cristo missionario. Missionari Comboniani Laici: sono il risultato della animazione missionaria e parte della nostra metodologia. Noi speriamo che le diverse esperienze possano far scoprire il giusto modo di promuovere e far vivere i missionari laici nelle nostre missioni, dove essi possono testimoniare e proclamare la conoscenza e l’amore di Cristo che è il segreto di un successo permanente. 2. Rapporto Finanziario Fra le diverse relazioni ho scelto di dare alcuni brani del rapporto finanziario esposto dal l’economo generale perché non ne avevo fatto cenno nei precedenti capitoli generali. Il nostro Istituto deve essere regolarmente registrato in quelle nazioni dove opera per poter possedere terreni, case e conti pubblici. Una volta registrata la proprietà, è ben difficile cambiare il titolo registrato per via delle tasse di cambiamento di proprietà che si devono pagare. Per esempio, la Provincia italiana opera ancora sotto il nome “Collegio delle Missioni Africane di Verona” registrata nel 1929. Mentre l’economato generale opera con il nome “Collegio Internazionale Daniele Comboni per le Missioni estere con sede in Roma” registrata nel 1957. Tutto il movimento economico-finanziario dell’Istituto fa capo all’economato generale. Il Procuratore presso la Santa Sede, è un canale usato per rapporti finanziari tra la Santa Sede, i Vescovi e gli istituti religiosi per tutto il mondo e che ne desiderano usufruire. È un canale usato per transazioni finanziarie dalla santa Sede per vescovi e Istituti Religiosi del mondo che ne desiderano usufruire. A livello di province ci sono due enti finanziari: l’Economato Provinciale e la Procura Provinciale delle Missioni. In alcune Province l’ufficio finanziario è unico, ma con i conti separati. La scelta delle politiche finanziare è responsabilità del Consiglio del Segretariato Generale delle Finanze i cui membri sono scelti dal Consiglio generale che di norma nomina alcuni membri delle Province specialmente economi provinciali. A livello di Province, ci sono anche Consigli Provinciali per le Finanze, di norma composti da confratelli a capo delle Procure (dove possibile , Fratelli). I Consigli Finanziari sono responsabili ai Consigli Provinciali. Si possono dare dei suggerimenti, od offrire idee su iniziative da prendere, ma le decisioni politiche spettano ai Superiori. Il nostro Capitolo del 1969 escluse l’Economo Generale dal Consiglio Generale per evitare un influsso puramente finanziario sulle decisioni politiche da prendere. La relazione del Segretario generale per le Finanze al capitolo del 1997 potrà dare un’idee della nostra storia. a. Visione generale 1. Nel 1991 l’Economo Generale constatava, una situazione finanziaria delle comunità e delle province buona, anzi, spesso troppo abbondante. Constatando che: a. non si riusciva ad impiegare in opere dell’Istituto o per l’apostolato o per il servizio dei poveri le somme che continuamente arrivavano dai benefattori,

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b. non si destinavano ad altre opere quelle somme che non si potevano usare per lo scopo per cui erano date, c. missionari la cui comunità aveva grossi depositi che non riuscivano a spendere continuavano a chiedere danaro ai benefattori magari …piangendo miseria, d. l’amministrazione di capitali da investire non era sempre facile.... si domandava se si doveva pregare S. Giuseppe per una grazia “alla rovescia” per non rovinare la vita dell’Istituto” (Cf. Relazione economica al Capitolo 1991). Sembra che la grazia sia stata accordata! Sei anni dopo tutti si lamentavano della “cattiva” situazione economica; le Province del Sud perché non ce la fanno a sostenere le aumentate spese “provinciali”, le Province del Nord perché prevedono un futuro piuttosto “nero”. 2. Alcune considerazioni sulla situazione generale delle province e comunità Innanzi tutto bisogna tener presente che i dati provengono dai resoconti delle Province. a. C’è una certa approssimazione nei dati delle Province, per ciò che riguarda la situazione delle comunità ci si allontana ancor più dalla realtà. I dati comunque rimangono significativi. b. Nel mondo intero l’Istituto (1800 membri e 344 comunità) ha un patrimonio netto di undici milioni e mezzo di dollari come Province e più di 11 milioni come comunità. Altro 16 milioni sono accantonati come Fondi provinciali. c. Studiando le singole comunità, dal resoconto si osservano alcune contraddizioni: certe comunità sembrano avere pochissime possibilità finanziarie, mentre altre comunità pur essendo in Province che sono in crisi stanno mediamente bene. d. Sono politiche provinciali diverse: in alcuni paesi la Provincia ha una buona consistenza e una funzione forte, in altri la vita sembra piuttosto svolgersi attraverso la dinamica comunitaria facendo intervenire la Provincia solo in caso di bisogno. Da notare invece la situazione contabile della Amministrazione generale: positiva nel 1991 (+445,137,84); chiaramente peggiorata in una situazione deficitaria 1996(-168,550,70). b. Movimento economico Amministrazione ordinaria L’amministrazione ordinaria era in passivo nel 1991; si è mantenuta attiva e grosso modo sugli stessi valori negli anni 92-94: la tendenza al peggioramento si manifesta sin dal 1993. Nel 95 e 96 le spese superano nettamente i proventi, sia per la diminuzione dei contributi ordinari delle Province, sia per l’aumento di certe spese. Amministrazione straordinaria L’amministrazione straordinaria offre grossomodo le stesse tendenze In sintesi il contributo delle Province è sempre stato necessario, eccetto nel 1994; le eredità sono state significative nel 92, 93, 94. Abbiamo avuto lavori straordinari quasi ogni anno di questo sessennio nella Casa Generalizia e, nelle Filippine stiamo per finire i lavori nello Scolasticato di Kinshasa e presto cominceremo la ristrutturazione della Casa di Parigi. Fondo Scolasticati – CIF Al Capitolo del 1991 l’Economo Generale constatava che “la spesa era più che raddoppiata dal 1985 al 1990: ciò è dovuto quasi del tutto al cambio del dollaro.”

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Ora possiamo constatare la stessa cosa dal 1991 al 1996: le cause sono probabilmente molteplici, la svalutazione della Lira Italiana è sta del 30% circa in sei anni, il cambio USD/LIT è passato dal Lit 1.150 nel 1991 a 1.550 nel 1996 (= + 35%). Dal 91 al 95 “si faceva pagare alle province che avevano scolasticati, sia come diaria che come tasse scolastiche, quella cifra che esse dovevano spendere se i loro scolastici o fratelli in formazione fossero rimasti a studiare in provincia “. Dato il predominio dei candidati dal Sud del Mondo il fondo non poteva più rimanere equilibrato, per cui sono cambiati i principi di finanziamento: Ø Tutte le province, anche quelle che non hanno scolastici, devono collaborare al fondo dato che i nuovi membri sono una ricchezza per tutti. Ø Per evitare sperequazioni si sono divise le province in due categorie soltanto: Nord (Europa e NAP) e Sud (tutte le altre). Ø Le tasse scolastiche sono pagate agli Scolasticati nella loro effettiva realtà, mentre per la diaria giornaliera pro-capite è calcolata sulle spese effettive dell’anno precedente. Ø Gli addebiti alle Province sono così ripartiti: Ø Contributo fisso per ogni provincia: Nord Lit 50 milioni – Sud Lit 10 milioni; Retta annuale pro-capite: Nord Lit 15 milioni – Sud Lit 8 milioni. I confratelli considerano ancora problematica la modalità del finanziamento degli Scolasticati/ CIF La Spagna si pone il problema dell’appoggio da dare alle Province che hanno più giovani in formazione e meno mezzi economici (Relazioni p. 117) Fondo Assistenza Malati Tutte le Province partecipano al F.A. eccetto la NAP e DSP. Queste due Province sono iscritte ad una assicurazione. Il loro contributo pratico è quello di non pesare sul F.A. perché le spese di assistenza medica nei loro rispettivi paesi sono piuttosto elevati. Nel 1991 le entrate erano più che sufficienti per le spese che avevamo ed erano costituiti dalla pensioni sociali per il 94,3 %. Il contributo richiesto ai Confratelli (5,1%) era più un contributo di principio che di necessità. Nel 1996 la situazione era cambiata radicalmente: le pensioni danno il 59,4% delle entrate; il contributo dei confratelli è salito al 20,5% avendo portato questa quota a USD 180 annui per persona. Tuttavia i proventi non hanno coperto le spese. Delle spese del 1991 il 47,8% erano delle Province; soltanto il 30,1% era speso in Italia. Oggi le case CAA ed Anziani d’Italia assorbono il 59% delle spese; soltanto il 36,7% è rimborsato alle Province. Rimane pur vero che quanto le Province contribuiscono al F.A. è inferiore a quanto esse ricevono dal F.A. Nel 1991 le pensioni coprivano le spese di assistenza in Italia 4, 62 volte; nel 1996 non sono sufficienti che al 92%. Questa tendenza si prevede si aggravi. Fondo Progetti. Gli aiuti per finanziare progetti sono passati da USD 357.217 del 1991 ai USD 71.880 del 1996 in diminuzione continua. Le Province aiutate sono state molte ma in modo disuguale. D’altronde l’azione di questo fondo da sola non è molto incisiva, lavora in collaborazione con gli aiuti della Provincia. Gli aiuti che riceve provengono sostanzialmente dalle province del Nord. L’azione dell’Economato Generale si limita a distribuire gli aiuti che riceve direttamemnte secondo l’intenzione degli offerenti e a dare informazioni alle Procure/Province che lo richiedono. Situazione delle Province

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Al Capitolo del 1991 l’Economo Generale poteva dire che “non c’è alcuna provincia che sia in deficit: tutte sono in attivo, ed alcune hanno anche notevoli depositi ed investimenti”. Quest’anno, sei anno dopo, la situazione è cambiata almeno quattro Province sono in difficoltà. Considerando il Patrimonio Netto in relazione alle spese annue, possiamo osservare quanto segue: nel 1991 il Patrimonio Netto (compresi i fondi di proprietà della Provincia) era in media 141,06% delle spese di un anno. Quest’anno è del 154,2%: la situazione media dell’Istituto sembra essere praticamente invariata, se non leggermente migliorata. In media le Province hanno un Patrimonio Netto (senza tener conto dei fondi) corrispondente al 65,2% delle spese da sostenere nell’anno seguente. c. Proposte e suggerimenti Animazione dei confratelli in materia di Povertà ed uso comunitario dei beni (R.V. 136) I membri del Consiglio Generale, in dialogo con i superiori provinciali, nelle loro visite ufficiali si interessino della situazione provinciale anche dal punto di vista economico e dello spirito di povertà particolarmente secondo la R.V. nn. 29 (povertà comunitaria), 30 (uso dei beni materiali) e 164 (condivisione e autolimitazione). Ugualmente facciano i Segretariati per l’Economia generali e provinciali al loro livello. Forse è a questo che la DSP allude quando dice nella sua relazione: “le province aspettano dall’economato generale qualcos’altro che domande di collaborazione finanziaria. (Rel. P. 63) Solidarietà tra Province e con l’Istituto Si augura che il capitolo generale dia qualche indicazione maggiore sulla dinamica di collaborazione tra Direzione Generale e Province : collaborazione ordinaria, costituzione di un margine che permetta alla D.G. interventi urgenti, modalità di richiesta di collaborazione per opere ed interventi da programmare in futuro, settori e Fondi in cui alla D.G. è richiesta un’azione di coordinamento. La DSP si chiede: com’è che dovrebbe essere il controllo che l’economato generale esercita sopra l’amministrazione finanziaria delle province? (Rel. P. 63) Il Kenya vede la possibilità di organizzare un fondo interprovinciale per far fronte alle emergenze (Rel. p. 151) La NAP sottolinea la necessità di trattare le conseguenze della disuguaglianza finanziaria tra il Nord ed il Sud all’interno dell’Istituto. (Rel. p. 228) Suggerimenti tecnici: Ø Collaborazione ordinaria: contributo personale (USD 200) alle spese della Direzione Generale, più il contributo ordinario volontario della provincia stessa. Ø Costituzione di un margine che permetta alla D.G. interventi urgenti, cioè una risposta immediata a richieste ricevute da Province o per altre situazioni giudicate “urgenti”: Ø Costituzione di un Fondo Impegni Futuri con contributi speciali volontari delle Province. Ø Modalità per richiesta di collaborazione per opere ed interventi da programmare in futuro: quando , come ed a chi. Ø Settori e Fondi per i qiali è richiesto alla D.G. un’azione di coordinamento: sono, Fondo Riviste – Fondo Scolasticati / CIF – Fondo Ammalati – Fondo Servizio Progetti – Richieste provinciali di sussidio per spese di Formazione di Base, per costruzioni provinciali Emergenze. Credo sia da prendere seriamente in considerazione la proposta della DSP di “pianificare un progetto di fondi sostenuti dalle province europee” (Rel. p. 63)

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Autolimitazione dei beni Si confermi il richiamo della Regola di Vita di evitare l’accumulazione dei beni (n. 162), e di condividere “quanto non è necessario al sostentamento, al lavoro presente o programmato” (n. 164.1). Fondi Speciali provinciali (R.V. 167) La costituzione di fondi speciali a copertura parziale di grosse spese certe future è raccomandata come una “attenta amministrazione di un buon padre di famiglia”, salvo restando lo spirito di fiducia nella Divina Provvidenza. Il Direttorio Provinciale (almeno quello per l’economia) enumeri i fondi decisi dall’ autorità del Consiglio Provinciale, e indichi se sono fondi di cui si usano gli interessi o il capitale stesso; in più indichi il tetto massimo, i modi di finanziamento ecc. Investimenti Investire prudentemente i capitali che rimangono non utilizzabili entro un certo tempo è normale amministrazione, anche a livello familiare. La R.V. ricorda di non lasciarsi guidare da spirito di lucro eccessivo (R.V. 162), di sapersi autolimitare in spirito di povertà (R.V. 164) e che l’obiettivo primo ed immediato sia l’opera missionaria con partecipazione alla vita dei più poveri ed abbandonati (CFR, R.V. 164.2) “Gli investimenti vanno considerati come complementari”: ciò significa che gli interessi attivi non possono superare il 50% del totale delle entrate reali. In caso questo accadesse è necessario intervenga l’autorità superiore. Conti personali I conti personali sono espressamente vietati dall’art. 167.3 della Regola di Vita. Oltre ad essere in contraddizione con lo spirito di povertà e di comunione che ci deve contraddistinguere nella nostra opera di evangelizzazione, di costruzione del Regno di Dio e di far sorgere le basi della Chiesa locale, questa pratica è effettivamente dannosa all’azione della comunità Comboniana verso la quale questi confratelli campano diritti, ma si dissociano dalla solidarietà. Sia fortemente raccomandato dal Capitolo Generale di seguire la Regola di Vita nella lettera e nel suo spirito su quest’argomento. Amministrazione chiara e distinta (R.V. 167.4) Sia rinnovato il consiglio di avere sempre presente la prospettiva nel limite del possibile di passare aiuti finanziari dalle nostre offerte ad altri, clero locale o altri agenti pastorali. In vista di questo è necessario: Ø una contabilità chiara, ben tenuta e distinta dei beni “Comboniani” Ø una base di autosufficienza economica che passi anche ai nuovi amministratori: indirizzi di organismi e benefattori, una lettera di raccomandazione e di presentazione , mezzi di entrate locali ecc. Presentazione e valutazione dei Progetti I progetti sostenuti dai Comboniani nelle diverse missioni siano sempre espressione del cammino e della volontà della base. I progetti facciano parte di un piano d’azione più globale, sia diocesano che provinciale, in modo che siano inseriti in un contesto più ampio e usufruiscano di una certa coordinazione. In questo senso ogni Provincia provvederà ad avere un programma di sviluppo sociale ed integrale.

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I progetti siano presentati al consiglio provinciale a nome della comunità e non dai singoli per l’approvazione, che sarà data dopo aver ascoltato il parere del segretariato dell’economia, in mancanza di una commissione progetti. La normativa vigente va già nel senso proposto. d. Priorità per i prossimo sei anni NEL CONETESTO DELLA PIANIFICAZIONE POST-CAPITOLARE deve esserci una valutazione globale degli impegni futuri per poter fare una politica finanziaria che possa prendere in considerazione tutti gli aspetti della vita delle Province. FORMAZIONE DI BASE. Durante gli anni di formazione si insegni agli studenti l’essenziale dei principi finanziari ed economici una contabilità semplice e la conoscenza della struttura finanziaria dell’Istituto. SPECIALIZZAZIONE DEGLI ECONOMI. Ogni Provincia deve includere differenti specializzazioni nel piano sessennale, tra le quali dei corsi speciali per chi avrà in mano l’economia e l’amministrazione della Provincia. L’Amministrazione Generale dove fare la stessa cosa per alcuni confratelli. FONDO MALATI. Questo fondo deve continuare ad essere un’espressione di solidarietà con i confratelli che soffrono, deve coprire i costi dei medicinali per malattie croniche , operazioni chirurgiche e ospedalizzazione. Si deve fare una revisione – radicale, se fosse necessario - del Fondo Malati. Le varie soluzioni tecnologiche possibili devono avere le caratteristiche di un contributo parziale a coloro che hanno risorse finanziare come a coloro che non ne hanno. In certi Stati l’assistenza per malattie ecc. non esiste o solo in modo limitato, mentre in altri un certo neoliberalismo tende a ridurre l’impegno dello stato in questo campo. Coloro che beneficiano del fondo devono mantenere un sentimento di gratitudine per lo spirito di carità di quelli che sacrificano qualcosa per dar loro la possibilità di avere le cure necessarie. Anche in questo caso non si deve mai perdere di vista una certa sobrietà di stile di vita. Il contributo di tutti, secondo le loro possibilità è quindi necessario; forse si devono chiarire le rispettive responsabilità della Provincia di provenienza e della Provincia nella quale un comboniano opera. Alcune normative sono state scritte secondo la normale pratica assicurativa. Per esempio, stabilire una cifra minima non rimborsabile, alcune spese non rimborsabili, luoghi stabiliti per trattamenti medici ecc. e. Conclusioni Mi sembra che dobbiamo stimolare nella comunità Comboniana una certa inversione di tendenza della mentalità corrente occidentale, per rapporto: Ø alla preoccupazione del futuro, i paesi più agiati sono preoccupati del futuro più delle province in difficoltà da sempre; Ø alla diminuzione delle forme abituali di solidarietà, dovuta alla preoccupazione sopraindicata; Ø tra i Comboniani, persone e province, si manifestino nuovi atteggiamenti di solidarietà, significativi anche per l’ambiente sociale in cui viviamo, che spesso suggeriamo ai cristiani di buona volontà nella nostra animazione missionaria.

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3. Relazione sul Nuovo Sudan Qui di seguito la relazione al Capitolo riguardante gli sviluppi del Nuovo Sudan. Ho scelto di includerlo in quanto è lo sviluppo più interessante delle nostre missioni in questi anni ed è quello che ci ricorda in modo speciale il Beato Comboni. Molti dei luoghi, inoltre non sono cambiati né si sono sviluppati sin dai tempi di Daniele Comboni. a. La Storia Il così detto gruppo “Nuovo Sudan” alla fine del 1991 contava 13 confratelli (10 sacerdoti e 3 fratelli) con 4 comunità (Nzara. Loa/Kimatong, Isoke, Yirol). I mesi fra la fine del 1991 e il luglio del 1992 furono un periodo di angoscia e di problemi per noi, causati principalmente dalla divisione del Movimento SPLA. Il personale rimasto con il gruppo Nuovo Sudan consisteva in 7 confratelli (5 sacerdoti e 2 fratelli). Il periodo fra la fine del 1992 e la fine del 1993 fu caratterizzato dalla ricerca di nuovi luoghi nel Sud Sudan. Fu un periodo pericoloso ed angosciante quando i confratelli erano obbligati a scappare senza preavviso da un posto all’altro. Dalla fine del 1994 al 1997 abbiamo avuto un periodo di relativa calma che ci permise l’apertura di diverse altre comunità come Marial Lou, Agang Rial, (Diocesi di Rumbek), Narus(Diocesi di Torit), Leer (Diocesi di Malakal), Jacaranda (Delegation House di Nairobi) e l’erezione ufficiale della Delegazione del Sud Sudan. Attualmente la nostra Delegazione è composta da 26 confratelli nel campo di lavoro (19 preti e 7 fratelli). In formazione abbiamo 4 scolastici, 2 fratelli/CIF; 2 sacerdoti appena ordinati altri cinque confratelli che sono membri radicali della Delegazione. b. Apertura alla Parola di Dio Notiamo una grande sete ed apertura alla Parola di Dio ed alla presenza della Chiesa fra alcuni gruppi etnici che nel passato avevano mostrato una certa resistenza come, per esempio i Topossa, i Dinka e i Nuer. In questa situazione facciamo fatica a trovare le giuste linee-guida per la pastorale e appropriati campi di lavoro in risposta alle richieste degli Ordinari. In questo vasto territorio e con il grande numero di bisogni, la nostra presenza è quasi simbolica e può coprire solo una piccola parte delle richieste della Chiesa locale. Non abbiamo nessuno che sia presente a tempo pieno nei Centri di Catechesi, nei Seminari e nell’Educazione. Con la nostra metodologia di evangelizzazione cerchiamo di far fronte alle necessità basilari. Benché non si sia ancora ben organizzati, abbiamo bisogno di sviluppare programmi e contenuti possibilmente con personale nuovo e qualificato che può dare una mano specialmente nella formazione dei leader. Nella nostra ultima assemblea abbiamo discusso e pianificato alcuni nuovi programmi pastorali inclusa la condivisione della Bibbia, Comunità di Base e in particolare Catecumenati per adulti. c. La Promozione Umana. Abbiamo fatto tutta la promozione che abbiamo potuto: l’istruzione primaria sia nelle scuole principali nella missione che quelle nell’interno del paese. Si è cercato di avviare la scuola secondaria per i rifugiati del Nord Uganda; aiuti di tipo materiale sono stati tenuti al minimo e soltanto per i più vulnerabili come i lebbrosi, i ciechi, gli handicappati, i vecchi ed i più poveri. Lottiamo per la promozione dell’artigianato di modo che la gente possa, in qualche modo aiutare se stessa e diventare auto sufficiente. La presenza dei fratelli è stata preziosa nella costruzione e manutenzione dei fabbricati. I fratelli sono coinvolti anche nel lavoro pastorale. Quelli più giovani stanno ancora cercando modi significativi per la loro presenza nella nostra situazione religiosa e sociale.

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d. Valutazione Per quanto riguarda l’Evangelizzazione: ritenemmo fosse la nostra prima priorità di portare avanti l’evangelizzazione nelle zone liberate e condividere quella difficile situazione con la gente. Vogliamo portare la speranza in una situazione che non ne ha, e essere la voce di coloro che non ne hanno e che sono il popolo abbandonato del Sud Sudan. Questa situazione ci portò a tenere uno stile di vita che era più prossimo a quella della popolazione. Siamo convinti che per essere fedeli al carisma del Comboni dobbiamo continuare ad essere presenti in tale situazione, nonostante le nostre limitazioni. Questo ci obbliga a trovare svariati modi di essere effettivamente presenti, di sopportare ed accettare l’instabilità, l’isolamento, gli aiuti che arrivano in modo erratico, le pesanti spese per i viaggi e trasporti aerei e la necessità di trovare supporti logistici. Il nostro modo di far fronte alla pressione islamica era di rafforzare la cristianità con la nostra presenza e nel formare i leader di comunità cristiane mature. Questa situazione ci rese difficile tenere i contatti con le altre province africane e con i programmi provenienti dai segretariati generali. La formazione di base Comboniana: continuiamo a farla. Per quanto riguarda il Postulato, questo è ancora un punto interrogativo. La beatificazione del Comboni: fu molto significativa e rese più consapevoli sia noi che la Chiesa locale della quale egli è Padre e Fondatore. La nostra presenza in una situazione simile fu di per sè una celebrazione. B. SECONDO E TERZO MOMENTO: ATTI CAPITOLARI Dopo le relazioni VEDERE, furono organizzate delle discussioni a gruppi. Questo fu il momento di GIUDICARE. Quello che potrà essere interessante, con riferimento a questo libro sono i risultati ed i suggerimenti, i programmi, le priorità e la compilazione degli ATTI. Ne citerò due: 1) Inculturazione e Dialogo – 2) Giustizia e Pace. Propongo dei commenti da un punto di vista storico. 1. Inculturazione e dialogo a. Inculturazione Il problema dell’inculturazione non è ancora stato interamente sviscerato sia dal punto di vista dei dettagli sia per le sue implicazioni e questo impedisce la realizzazione di tale importante impegno. Il Segretario Generale della Formazione fece la seguente relazione sull’ Inculturazione nel nostro scolasticato e Centro per i Fratelli (CIF): “Sentita come un’esigenza dell’Internazionalità dell’Istituto l’inculturazione della formazione è una preoccupazione che ci ha accompagnati in questi ultimi anni (vedi per esempio il tema delle assemblee continentali nel 1994). La maggioranza dei formatori ritiene che c’è una sufficiente attenzione a questo valore (58,5%, contro il 36,8%; gli scolastici ed i fratelli VT un po’ di meno: il 48,3 % contro il 42,5 %, mentre la media globale è di 48,4% contro il 31, 7%). Questo non vuol dire che non ci siano problemi. Infatti la maggioranza (ed ancora di più i formatori), è del parere che l’orientamento capitolare di cercare un maggior equilibrio tra l’unità nell’Istituto e la formazione che tiene presente le diverse culture è ancora poco realizzato.

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Nonostante qualche manifestazione d’insofferenza di alcuni confratelli che vorrebbero vedere più “coraggio” da parte dell’Istituto (vedi anche la sintesi delle risposte degli scolastici/ CIF), in genere si riconosce che dei passi sono stati compiuti e che c’è la volontà di proseguire su questa strada. Il principio è stato ormai accettato da tutti, ma rimane la grande sfida di trovare i modi concreti come portarlo avanti, dato che non ci sono vie già tracciate.” Vorrei brevemente parlare della “storia” di questa parola che fino ad adesso non ha trovato posto in qualche dizionario classico di lingue moderne (ad es. l’Inglese). Durante il Concilio Vaticano II i vescovi ed i sacerdoti del Mondo preindustriale notarono il fatto che cambiamenti significativi erano possibili nella Chiesa Cattolica a cominciare dall’introduzione delle lingue locali nella Liturgia. Da qui, si sentì la necessità di trovare una parola significativa per indicare un nuovo processo. In antropologia la parola “inculturazione” fu dapprima introdotta per indicare quel procedimento attraverso il quale un essere umano viene inserito in quella cultura che poi lo vede crescere fino alla maturità (M.J- Herokovitz, Man and his works), A.A. Knop New York, 1952). I popoli di culture diverse non solo parlano lingue diverse ma pensano in modo diverso, hanno stadi diversi di sviluppo nello stile di vita che conducono, simboli differenti, modelli e forme differenti, differente è l’ ‘etica’ che li caratterizza. Quindi, i popoli che appartengono ad una cultura possono essere aperti ad introdurre nel loro stile di vita, pensieri, parole, modelli, forme che possono inserirsi nel loro patrimonio culturale. Si sono cercate diverse parole per esprimere questa realtà: acculturazione, indigenizzazione, incarnazione e così via. Alcuni africani suggerirono “africanizzazione”, ma il termine deve essere applicabile universalmente. Sembra che la parola inculturazione sia stata coniata nella Congregazione Generale dei Gesuiti nel 1975. Da qui fu introdotta in un Congresso Internazionale dell’Università di Propaganda che dibatteva il tema “Valori ed Evangelizzazione”. Nel Sinodo Ordinario dei Vescovi sulla Catechesi nel 1977 la parola “Inculturazione “fu accettata. “Siccome la catechesi deve penetrare differenti culture, assicurarle e trasformarle… è quindi legittimo considerare “l’inculturazione” come mezzo a disposizione della catechesi. In questo modo, la parola di Dio si svilupperà e illuminerà dall’interno lo stile di vita delle persone che la ricevono.” (“Catechesis Tradendae”, n. 5) Fu accettata da Papa Paolo VI e fu usata nel messaggio dei vescovi pubblicato immediatamente dopo il Sinodo del 1977. Papa Paolo VI, però, morì nel 1978 prima della pubblicazione della Esortazione Apostolica Post Sinodale. Questo lo fece Papa Giovanni Paolo II il 16 ottobre 1979 che confermò il nuovo vocabolo e lo chiamò “neologismo”. “Il termine “acculturazione” o “inculturazione” può essere un” neologismo”, ma esprime molto bene una delle componenti del grande mistero della Incarnazione. La Catechesi è chiamata a portare la forza del Vangelo nel cuore della cultura e delle culture.” (Catechesis Tradendae, n. 53) Il nostro Capitolo del 1979 lo fece immediatamente suo nella regola n. 69. Vi troviamo dei buoni suggerimenti che vennero poi ulteriormente sviluppati dai Capitoli seguenti.

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LE SEGUENTI CONSIDERAZIONI DEVONO ATTIRARE LA NOSTRA ATTENZIONE a. La necessità per il missionario di conoscere la propria cultura. Nel processo di cooperazione con la Chiesa locale il missionario deve essere consapevole dei propri valori e non valori nazionali prevalenti. Così facendo, egli sarà in grado di spogliarsi dei non valori della sua cultura nazionale o continentale che potrebbero danneggiare la purezza del Vangelo ed i valori della Chiesa. Un paio di anni fa, lessi in una rivista cattolica che alcuni missionari sono ritenuti gli agenti della prevalente “secolarizzazione” dei nostri giorni nell’occidente. La secolarizzazione va contro la cultura africana. La cultura occidentale, mentre ha dei valori, se non viene confrontata con la parola di Cristo e della sua Chiesa, potrà portare al secolarismo come è successo in Europa dove aumenta di continuo l’ateismo specialmente nel campo socio-politico ben manifestato da diverse leggi. b. La necessità di avere un approccio rispettoso alle diverse culture. Tutte le culture hanno sia valori che non valori. Un vero missionario evita i complessi di superiorità culturali: questo è anche dimostrato quando si vuole essere protagonisti in altre Chiese. Il vero dialogo accetta le differenze. Per scoprire i valori di ciascuna cultura tradizionale si deve tener presente che la sostanza della legge (i Dieci Comandamenti) è “incisa” (Rom. 2:14-15) nel cuore di ogni essere umano creato ad immagine e somiglianza di Dio (Gen. 2:26.) Sin dall’inizio l’uomo ha macchiato l’immagine divina con il suo orgoglio in quanto voleva essere lui stesso la legge (Gen. 3). Il viaggio dell’uomo è la storia del conflitto fra queste due leggi, per cui ogni cultura è marcata da questo conflitto con prevalenza dell’uno o dell’altro. Cristo venne a mediare fra queste due leggi ed ha introdotto un dono sovrannaturale per il discernimento dei valori ed i non valori di ogni cultura. Lo Spirito Santo illumina i ricercatori attraverso la fede dei credenti autentici ed il magistero della Chiesa. Possiamo applicare la seguente citazione: “Il vero viaggio di scoperta consiste non nel cercare nuovi territori, ma in ogni territorio cercare nuovi occhi. “(Marcel Proust.) c. La necessità di non perdere la propria cultura. Alcuni confratelli sono confusi in quanto pensano che inculturazione significhi perdere la propria identità. Questo non è per niente vero. Se così fosse, un missionario africano con la sua identità africana dovrebbe assumere un’identità italiana durante il suo scolasticato o esperienza missionaria in Italia. Per poi riprenderla al suo ritorno in Africa, per assumere un’identità americana o asiatica, dipendendo da dove si trasferisce! “Inculturazione “significa unicamente l’assunzione dei valori di un’altra cultura senza rinunciare alla propria: è per questa ragione che si deve essere consci e consapevoli della propria cultura. Molti valori differenti non sono necessariamente contradditori anzi, possono essere compatibili o anche complementari. L’INCULTURAZIONE È COMPOSTA DA DUE DIMENSIONI: Una via di uscita : per i non valori che escano dalle culture per permettere l’integrazione dei valori del Vangelo. Una via di entrata: l’inserimento del Vangelo nelle varie culture umane. In questo modo la Buona Novella si incarnerà nelle varie culture. Non si inserisce la cristianità quando questa è maturata in una certa cultura; si proclama il Vangelo nella sua purezza ed integrità. Una Chiesa è locale, non perché si trovi in una certa località, ma perché ha fatto sua la cultura ed i vari problemi di una certa etnia.

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Una autentica “inculturazione “può anche cambiare il significato delle parole. Per esempio, per il cristiano la parola “Dio” non indica più un sovrano sconosciuto del mondo ma una Trinità e l’Incarnazione. La parola “Amore” sarà estesa non solo a coloro che hanno lo stesso sangue ma a tutti quei fratelli in Dio ed in Cristo: amore fraterno. Queste sono le novità del Vangelo. I ricercatori nel campo di una normale “inculturazione” devono conoscere le scienze sacre ed umane , principalmente l’antropologia in profondità. Queste scienze assieme alla psicologia indicano 28 aree culturali come campo di ricerca per poter penetrare la vita di tutti i giorni di una famiglia e la vita sociale dei popoli (cfr. Louis J. Luzbetack, “Chiesa e Cultura” EMI, 1991). Se non si dà la dovuta attenzione a queste due scienze, si continuerà a dover affrontare continuamente il problema della “inculturazione”. Il Capitolo del 1997 ci incoraggia a condividere il peso di aiutare la Chiesa locale nel processo di ricerca relativo alla “inculturazione”. Difatti: “Noi Missionari Comboniani facciamo parte delle Chiese Locali con le quali condividiamo con pazienza il processo di sviluppo e crescita. Dobbiamo sedare la voglia di protagonismo e paternalismo: dobbiamo, invece, partecipare nel processo di ricerca e discernimento; dobbiamo essere pronti a sostenere, favorire e sviluppare l’inculturazione nei vari settori della vita Cristiana;- sviluppare assieme alle Chiese locali, quelle strutture che coincidono con le situazioni locali e che non sono un peso per loro.” (n. 45) Questo fu anche un suggerimento da parte della Direzione Generale (1985-1991) nella relazione al capitolo del 1991: “Non possiamo approvare il comportamento dei missionari che dicono che l’inculturazione è qualcosa che deve essere fatta esclusivamente dagli agenti locali e che non possa arrivare dal di fuori.” Aggiungerei, anzi che alcuni missionari non sono “estranei” ma: a. hanno vissuto per molti anni in un dato paese; b. c’è comunque la necessità di esser preparati a fare questo tipo di ricerca avendo fatto almeno un corso propedeutico di antropologia. Un secolo fa lo studio dell’antropologia era agli albori, non ci si poneva quindi, neanche il problema. Tanto che vi erano missionari i quali, benché fossero esperti delle tradizioni africane, gli idiomi, i proverbi e i costumi, erano soliti dire che “non si può parlare di una cultura africana”. Non si rendevano conto che tutti questi elementi messi assieme sono la cultura di un gruppo etnico. Così, all’inizio del mio apostolato in Africa la domanda sulla cultura africana che feci ad un confratello anziano, non ha avuto risposta, un po’ per colpa mia perché allora la mia conoscenza dell’antropologia era solo teorica non avendo io mai avuto contatti con una cultura che fosse differente dalla mia. Conoscevo le differenze , ma non le avevo concettualizzate in termini concreti. Alcuni missionari dicevano “Non ti curare di lor ma guarda e passa” come Dante Alighieri nella Divina Commedia (VII Capitolo 3: 53). Il tempo del Dialogo interculturale come interreligioso non era ancora arrivato (anni 50). b. Dialogo Nelle nostre comunità il dialogo ha sia un aspetto umano che un aspetto evangelico: L’ASPETTO UMANO È IL CONSENSO. Come miglior modo per dialogare nelle nostre comunità, vorrei proporre la “Democrazia del Consenso” (Consensus Democracy), la democrazia tradizionale nei villaggi e nelle tribù africane:

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“Era il consiglio degli anziani che doveva sentire tutti e discutere i differenti punti di vista. Il valore della solidarietà era così forte che lo scopo principale dei consiglieri era quello di raggiungere l’unanimità, e parlavano fra di loro finché non l’avessero raggiunta. Alcuni antropologi hanno identificato questo particolare di parlare finché non si fosse raggiunta l’unanimità come il principio cardinale della democrazia africana.” K.A. Busia “Gli africani alla ricerca della Democrazia” (vedi “Every Citizen’s Handbook” Manuale di ogni cittadino) La democrazia del consenso è generalmente affermata, non soltanto come una forma di dibattito consultivo quando la tribù deve prendere delle decisioni, ma anche perché è un sistema che ha insito una forma di censura e analisi che assicura che nessuno possa abusare del potere e usarlo per i propri fini. Questo metodo non può funzionare a livello politico nazionale in quanti gli interessi contrastanti sono troppi, ma può e dovrebbe funzionare nelle nostre comunità i cui fini sono gli stessi. Mentre il modo africano di fare democrazia attraverso il consenso può essere lungo e laborioso, ha il vantaggio di evitare che si prendano delle decisioni con voto maggioritario. Voto che spesso lascia la minoranza insoddisfatta. “La maggioranza ha avuto la meglio e noi rimaniamo a bocca asciutta”. C’è da dire comunque che la storia africana ci dimostra che alcuni dittatori sono arrivati al potere usando questo metodo. Lo scopo e l’ utilità comune del dialogo non deve essere frustrato. Il dialogo non significa imporre il proprio punto di vista, ma gli interessi comuni che richiedono dare il proprio punto di vista ed essere convinti della supremazia dell’interesse comune. “L’unità fa la forza.” DEVE PREVALERE L’ASPETTO EVANGELICO: Ø Ø Ø Ø

“Beati sono i poveri di spirito” (Matteo 5:1-12) “Ama il tuo nemico” significando anche coloro che non la pensano come noi. Reciproca correzione secondo Matteo 18:15 “L’amore è paziente, l’amore è gentile. Non è geloso, non cerca di fare i propri interessi, non si arrabbia, non rimugina i torti subiti, non gioisce dei mali ma della verità. Sopporta tutto, crede in tutto, spera in tutto.” (1 Cor. 13:4-7) “Onora tutti, ama la comunità, temi Iddio” (Pietro 2: 17).

c. Comunità inter-culturali Il Capitolo da un programma su “La Missione è Inculturazione e Dialogo “Questa affermazione deve essere applicata, prima di tutto alle nostre comunità. Adesso più di prima in quanto i membri provengono da diverse culture. Nel capitolo della Riunione del 1979, il rev. Geoge Klose, il Superiore Generale uscente della MFSC dette ai membri del Capitolo un saggio suggerimento dicendo che dobbiamo imitare i Giochi Olimpici dove emergono i migliori atleti. Quello che voleva dire è che quando la gente di culture differenti s’incontrano e vivono assieme in un gruppo internazionale ed interculturale, essi devono riconoscere che molti valori come l’ospitalità, i legami con la propria famiglia, l’amicizia, l’uso dei beni, la povertà, la preghiera, le tradizioni religiose, l’organizzazione del tempo, il modo di relazionarsi con gli altri possono essere vissuti in modi differenti alla luce di Cristo. Dobbiamo accettarli e imparare a conviverci. Certamente vi sono delle difficoltà oggettive in queste comunità. C’è gente di frontiere sia in Africa che nell’America Latina, essi sono però ad una svolta: i valori tradizionali da un lato e la Buona Novella dall’altra. L’interferenza grossolana del modello di vita moderno diffuso dalle organizzazioni internazionali e i mezzi di comunicazione sociale di massa creano difficoltà nel discernimento dei valori culturali genuini.

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La Buona Novella richiede molto, specialmente laddove le comunicazioni sociali favoriscono al massimo la libertà radicale e l’individualismo. Attraverso il dialogo le comunità inter-culturali devono fare in modo che i migliori valori di ognuna emergano, devono apprezzarli, farli propri, e far sì che le manchevolezze che sono ovunque nella natura umana , anche nella stessa cultura, siano messe da parte. Nessuno può chiedere che la propria cultura prevalga sulle altre sia quella europea che quella africana, né gli americani del Nord o del Sud, e neanche gli asiatici. Tutti hanno gli stessi diritti e gli stessi doveri. L’inculturazione non è a senso unico. Ci possono essere alcuni modi di vivere che sono propri della gente dove vive questa comunità come , per esempio il cibo, il bere, l’ospitalità, la lingua ecc. Le differenze devono essere discusse nelle riunioni comunitarie con sincerità, trasparenza, senza reticenze e senza complessi di superiorità o inferiorità, anche se questo è che la propria mentalità e sentimenti inconsci detterebbero. Capisco molto bene l’insoddisfazione di molti, sia formatori che candidati. Ho letto il programma di inculturazione di alcuni scolasticati. Trovo che la maggior parte dei programmi riguardano più le attività culturali, il folklore che la cultura, cioè che non i valori ed i non valori appresi attraverso il dialogo nella comunità. Due aspetti devono emergere: – Giudizio: “Ognuno di voi deve giudicare se stesso sobriamente secondo la qualità della Fede che Dio gli ha dato” (Rom. 12:3) – Rispetto: “Rispettatevi profondamente l’un l’altro” (id. 12:10) Tali consigli devono, innanzi tutto essere applicati alle nostre comunità, i cui membri provengono da diverse culture. Imparare la lingua non è sufficiente, serve conoscere il folklore culturale, o le diverse tipologie di celebrazioni sia civili che religiose, ma anche tutto questo non è sufficiente. Imparare la lingua è estremamente importante per imparare i proverbi che sono il nucleo di una cultura, ma anche questo non è sufficiente. Si deve capire che cosa io considero un valore e cosa considerano un valore coloro che provengono da altre culture. (Vedere anche “Comunità interculturali nella Comunità Comboniana”, del Consiglio Generale - Roma giugno 1999. Vedere pure appendice a questo libro). 2. Giustizia e Pace a. Giustizia I nostri missionari hanno lavorato per la giustizia in diverse parti del mondo, per esempio: a. L’espulsione dal Sud Sudan (1960-1964) fu dovuta alla protezione data ai sudanesi del sud a causa delle violazioni dei loro diritti umani. Anche dopo essere stati espulsi, si continuò a denunciare le ingiustizie ed ad aiutare i rifugiati politici per quanto fosse possibile sia in Africa che in Europa. b. L’intervento dei nostri missionari con “L’Imperativo della Coscienza” nella violazione di diritti umani dei mozambicani durante la colonizzazione portoghese. c. Il supporto dato ai cattolici ugandesi per la lotta contro la discriminazione sociale, economica e politica introdotta dai britannici. d. I diversi interventi, in diversi luoghi e circostanze dei nostri missionari in Brasile che culminarono con l’uccisione di p. Ezechiel Ramin. La regola di Vita del 1979, n. 61 indica alcune azioni da intraprendere per la Liberazione Totale della persona umana dal peccato, la violenza, l’ingiustizia, l’egoismo, le strutture oppressive, ecc.

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Ma il Capitolo del 1997 indica esplicitamente e chiaramente di dover dare una particolare attenzione alla promozione della Giustizia e della Pace. Dopo una analisi della situazione attuale i Capitolari danno quattro suggerimenti: 115: Proclamazione e denuncia profetica. 116: La Formazione delle coscienze. 117: La collaborazione con la gente locale e tutte le organizzazioni nazionali ed internazionali. 118: Priorità. L’ultimo punto, ma non per questo meno importante delle priorità è di “assecondare e portare avanti in ogni Provincia, quelle iniziative che portano allo studio e l’approfondita conoscenza della Dottrina Sociale della Chiesa. ” VORREI COMMENTARE QUEST’ULTIMO PUNTO: Primo, Papa Giovanni Paolo II nel Centesimus annus (1991) scrive che : “L’insegnamento e la diffusione della dottrina sociale della Chiesa fanno parte della missione evangelizzatrice della Chiesa. E, trattandosi di una dottrina indirizzata a guidare la condotta delle persone, ne deriva di conseguenza l’-impegno per la giustizia secondo il ruolo, la vocazione, le condizioni di ciascuno. All’esercizio del ministero dell’evangelizzazione in campo sociale, che è un aspetto della funzione profetica della Chiesa, appartiene pur la denuncia dei mali e delle ingiustizie. Ma conviene chiarire che l’annuncio è sempre più importante della denuncia , e questa non può prescindere da quello che le offre la vera solidarietà e la forza della motivazione più alta.” (SRS 41) Secondo: la formazione della coscienza per il lavoro della Giustizia e della Pace non può avvenire che attraverso lo studio approfondito della Dottrina Sociale della Chiesa. Ci sono due ragioni di base per questo: Ø La base teologica per questo lavoro è che tutto quanto va contro la pace, tutte le ingiustizie e la violenza, sono violazioni di uno o dell’altro dei diritti umani. Tutte le violazioni dei diritti umani sono contrari al grande comandamento di Dio di amare il nostro prossimo. “La giustizia raggiunge la pienezza soltanto con l’amore.” (Sinodo dei Vescovi 1971) Ø Le ingiustizie e le violazioni dei diritti umani comprendono anche questioni etiche: il bene ed il male, le virtù ed il peccato, le basi etiche che sottostanno alla Dichiarazione dei Diritti Umani delle Nazioni Unite, e simili, solo attraverso l’insegnamento della Chiesa noi cristiani possiamo avere. Giovanni Paolo II, come Pio XII, ebbe delle riserve sulla Dichiarazione della N.U.. Nel suo discorso al corpo diplomatico del 1989, mentre lodava la Dichiarazione come riferimento che non può essere ignorato, egli chiarisce il seguente punto: “È stato giustamente rilevato che la Dichiarazione del 1948 non presenta i fondamenti antropologici ed etici dei diritti dell’uomo che proclama. È oggi evidente che una tale impresa era all’epoca prematura. Spetta dunque alle diverse comunità di pensiero – in particolare alle comunità di fedeli – il compito di fornire le basi morali dell’edificio giuridico dei diritti dell’uomo. In questo campo, la Chiesa Cattolica – e probabilmente altre comunità spirituali può contribuire in maniera insostituibile, nel proclamare che la dimensione trascendente della persona si situa alla fonte della sua dignità e dei suoi diritti inviolabili. E in nessun altro luogo. Nell’educazione delle coscienze, la Chiesa forma dei cittadini impegnati nella promozione dei più nobili valori. Benché la nozione di ‘ diritto dell’uomo’,

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con la sua duplice richiesta dell’autonomia della persona e dello stato di diritto, sia in qualche modo inerente alla civiltà occidentale segnata dal cristianesimo, il valore sul quale si basa questa nozione, cioè la dignità della persona, è una verità universale destinata a essere accolta sempre più esplicitamente in tutte le aree culturali. Da parte sua, la chiesa è convinta di servire la causa dei diritti dell’uomo quando, fedele al suo credo e alla sua missione, proclama che la dignità della persona ha il suo fondamento nella sua qualità di creatura fatta a immagine e somiglianza di Dio. Quando i nostri contemporanei cercano la base sulla quale fondare i diritti dell’uomo, dovrebbe trovare nella fede dei credenti e nel loro senso morale i fondamenti trascendenti indispensabili perché questi diritti siano al riparo da tutti i tentativi di manipolazione da parte dei poteri umani. Chiaramente il diritto dell’uomo, più che norme giuridiche, sono anzitutto dei valori. Questi valori devono essere sostenuti e coltivati nella società, altrimenti rischiano di sparire anche dai testi di legge. Anche la dignità della persona deve essere protetta nei costumi prima ancora che nel diritto. Non posso tacere a questo punto l’inquietudine che suscita il cattivo uso fatto da alcune società di questa libertà tanto ardentemente desiderata da altre”. b. La Pace Desidero aggiungere alcune considerazioni sulla pace. Il filosofo Boezio (+ 524) definisce la pace “tranquillas ordinis” . La pace che porta a sentirsi sicuro e felice deve significare molto di più che soltanto l’assenza della guerra. Deve eliminare la violenza e l’abuso della ricchezza e del potere. Nel corso dell’ultimo secolo ci si è resi conto che per realizzare una pace stabile a livello nazionale ed internazionale è necessario fare uno sforzo notevole per eliminare la povertà e l’ignoranza che opprimono l’uomo della strada. In molti paesi la criminalità e i colpi di stato sono causati dalla povertà che a sua volta è la causa di ingiustizie. Da qui l’importanza della promozione umana come parte del processo di evangelizzazione. “La cristianità è una sfida; può funzionare soltanto se praticata dalla gente comune con reciproca fiducia coraggio e creatività. Questo atteggiamento inizia ogni giorno con la preghiera comune prima e dopo aver svolto il proprio lavoro. La domenica viene arricchita quando la liturgia cristiana, incontri e giochi si intersecano per avere ulteriore voglia di continuare. La chiesa forma le coscienze rivelando alla gente il Dio che cercano ma che ancora non conoscono, la grandezza dell’uomo creato ad immagine di Dio e da Lui amato. L’uguaglianza di tutti gli uomini e le donne in quanto figli e figlie di Dio , la supremazia dell’uomo sulla natura creata da Dio e messa al servizio dell’uomo, e l’obbligo di lavorare per lo sviluppo dell’intera persona di tutta l’umanità” (RM 58). TESTIMONE FRATEL ADOLF ALOIS SAILER: uomo del popolo. Ulm (Germania) 17/05/1939 –Elukwatini (Sud Africa) 06/08/99. Il giorno della festa della Trasfigurazione, il 6 agosto, verso mezzogiorno, Fratel Alois rese la sua vita al Padre dal quale l’aveva ricevuta circa 60 anni prima. Il suo desiderio di recarsi nelle missioni fu esaudito nel 1968 quando fu mandato nel Sud Africa. A quei tempi le fattorie erano una importante risorsa finanziaria per le missioni per cui Fratel Alois diventò un agricoltore partendo da zero conoscenze delle coltivazioni nei campi. Dovette anche imparare l’Afrikaans, la lingua usata da agricoltori e braccianti che lavoravano i campi. Fratel Alois passò dei momenti di sconforto quando nei primi anni ottanta ci si rese conto che le piccole missioni-fattorie non rendevano più e dovevano essere chiuse. Nel 1984 gli fu chiesto di tornare al DSP per aiutare ad accudire i

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confratelli anziani ma aveva già dei problemi con la schiena. Dato che il clima in Germania non avrebbe giovato alla sua salute gli fu permesso di restare in RSA, ma tutte le fattorie furono chiuse. Fratello Alois, quindi, dovette iniziare da capo. Fu dapprima mandato alla parrocchia di Glen Cowiee poco dopo a quella di Gugulethu Elukwatini. Là gli fu dato il compito di lavorare con “Operation Hunger” (Operazione Fame), una organizzazione non governativa che forniva e distribuiva cibo alle popolazioni in zone disagiate. Fratello Alois si rese presto conto che non bastava il solo distribuire da mangiare, vide la necessità di aiutare gli abitanti dei villaggi a coltivare orti collettivi nei dintorni di Elukwatini. Ciò che aveva iniziato a fare a tempo perso divenne presto il suo lavoro. Quando “Operation Hunger” ridusse i rifornimenti di cibo, egli dette vita a piccole imprese collettive che producevano candele, staccionate, senza dimenticare mai di spronare tutti a continuare a coltivare i loro orti. Negli ultimi anni della sua vita egli disegnò ed installò delle pompe che necessitavano di poca manutenzione e funzionavano senza elettricità o gasolio. Si occupò anche di irrigare gli orti con l’acqua dei fiumi che scorrevano poco lontano. La vita di Fratello Alois non fu per niente facile. Le sue qualità più pregevoli erano la sua abilità a stabilire relazioni amichevoli con i braccianti e vicini e il suo amore per i dettagli che lo incoraggiarono a sviluppare una fattoria modello. Sentiva il fardello dell’apartheid quotidianamente. Chiamato a vivere la sua vocazione come agricoltore si rese conto che non era facile porre fine allo sfruttamento dei lavoratori nelle fattorie dove guadagnavano quel tanto che permetteva loro di sopravvivere. I suoi confratelli non condividevano le sue opinioni, né supportavano le sue sortite in merito. Soffrì molto per questo e per il fatto di sentirsi poco apprezzato dagli altri. Durante gli ultimi anni della sua vita il dolore alla schiena aumentò tanto da impedirgli di sedersi per lungo tempo e di presenziare alle varie riunioni. Ciò nonostante quando riceveva visite non smetteva mai di parlare tante erano le cose che doveva dire. Quando il visitatore diceva che era ora che se ne andasse, Fratello Alois era solito porre la sua mano sul braccio del suo ospite invitandolo a restare ancora un po’.

LE SUORE COMBONIANE XVII Capitolo Generale: Settembre 1998 Elezioni Madre Adele Brambilla Suor Annunziata Gianotti Suor Maria Aparecida Gonçalves Suor Margit Forster Suor Luciana Zonta

- Superiora generale - Vicaria Generale - Assistente - Assistente - Assistente

Madre A. Brambilla, professa dal 1979, una infermiera che fece la sua esperienza missionaria presso l’ospedale di Amman in Giordania dal 1989 al 1996 quando fu nominata Superiora Provinciale. Suor Annunziata Gianotti, Vicaria Generale, ebbe esperienze missionarie prima in Egitto e poi in RCA, nel Ciad, e nel Cameroon dove fu nominata Superiora Provinciale. Suor Maria Aparecida Gonçalves, proveniente dal Brasile. Suor Margit Forster, tedesca, eletta al Capitolo dall’Uganda. Suor Luciana Zonta, esperienze missionarie in Asmara e Nekemte in Etiopia. All’apertura del Capitolo, la Superiora Generale uscente iniziò con una pregevole citazione che mostrava un certo distacco dal potere e la sua personale attitudine all’umiltà: “Una generazione narra all’altra le Tue opere, annunzia le Tue meraviglie” (Salmo 145:4). Essa menzionò due significativi anniversari che cadevano nel 1998:

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2 settembre 1898, la definitiva sconfitta della Rivoluzione Madhi (1881 – 1898). Fu il periodo in cui alcune suore Comboniane furono imprigionate, torturate e adesso lasciate libere. Giugno 1889 la celebrazione del primo Capitolo Generale. Nel suo primo discorso alle suore presenti al Capitolo, Madre Brambilla ripeté le parole di Comboni, quando al suo arrivo a Khartoum nel 1872 come Prefetto Apostolico si rivolse alla sua gente dicendo: “La vostra felicità sarà la mia felicità, e le vostre sofferenze le mie sofferenze”. Il Consiglio Generale uscente raccomandò alla nuova direzione di elaborare un significato comune alle seguente espressioni: “missio ad gentes”, prima evangelizzazione, le priorità ed i loro limiti; specifici e generici. Come di consueto, furono prese molte decisioni. La relazione si concluse con una citazione del nostro Fondatore: “Non dobbiamo temere nulla perché Dio che è stato con noi fino ad ora non ci abbandonerà nel futuro”. (Scritti 3126)

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Capitolo Ventunesimo DAL 1997 AL 2003

A. FATTI SALIENTI ALL’INTERNO DELL’ISTITUTO I. L’INTERCULTURALITÀ NELLA COMUNITÀ COMBONIANA

È una lettera del Consiglio Generale in data 9-1-1999. Il sei gennaio era il 150mo anniversario (1849) del giuramento che il Comboni emise ai piedi di don Nicola Mazza, di consacrarsi per tutta la sua vita alle missioni dell’Africa Centrale. Per dimostrare questa decisione il Comboni negli anni di sua permanenza a Santa Croce si era dedicato allo studio della lingua locale e dei costumi della gente. La necessità di questa lettera era evidente dato l’afflusso specialmente negli Scolasticati Internazionali, di candidati di molte culture differenti delle diverse culture sia europee che dell’America Latina come delle molteplici culture africane. 1) La lettera parte da un’interessante interpretazione della Bibbia: la Torre di Babele è indicata come simbolo della confusione che può venire dalla diversità delle lingue, il primo elemento che distingue le diverse culture e che può generare forti malintesi e permanenti divisione, come tra le genti della Torre di Babele. Il secondo messaggio della Bibbia, negli Atti degli Apostoli è la predicazione degli Apostoli dopo aver ricevuto lo Spirito Santo. Essi predicano in una lingua, ma gli ascoltatori che parlano diverse lingue si trovano uniti nel riconoscere lo stesso messaggio evangelico, pur conservando la loro identità culturale espressa da diverse lingue. 2) Il richiamo del Comboni non poteva mancare; sia nella fondazione dell’Istituto già internazionale, sia nei suoi sforzi di studiare le lingue locali ed i costumi del popolo nel suo breve tempo passato a St. Croce. In questo contesto non si poteva tralasciare un accenno alla ferita inflitta a questa volontà del fondatore con la separazione in due rami nel 1923, fatta a base etnica. La riunione del 1979 dei due gruppi trovò che “era già stato percorso un lungo cammino d’internazionalità e molte altre culture erano già entrate a condividere il carisma Comboniano”. Si accentua ancora nella lettera che “la nostra opzione per l’internazionalità – adesso possiamo già parlare d’intercontinentalità – non solo nell’Istituto come tale, ma anche nelle province e comunità”. 3) Nella formazione di base: per ogni tappa la lettera suggerisce differenti passi preparatori al pieno raggiungimento di vita comunitaria nel vissuto dell’interculturalità. - Il Postulato: si fa nell’ambiente della propria cultura: questo perché è solo prendendo piena conoscenza della propria cultura che si possono cogliere le differenze nell’incontro con un'altra cultura ed eventualmente discernere i rispettivi valori delle diverse culture. - Nel Noviziato si deve approfondire l’elemento comune di convergenza nel vissuto della spiritualità comboniana e nella comune conoscenza, interpretazione e identificazione del carisma Comboniano. - Lo Scolasticato, già membri dell’Istituto, diventa il tempo forte di un cammino serio e cosciente verso l’interculturalità. La lettera poi fa notare che negli Scolasticati internazionali la sfida dell’interculturalità è doppia: un nuovo ambiente esterno; una nuova convivenza interna. In

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ambedue i casi, dice la lettera “lo scolastico deve essere capace di aprirsi all’apprezzamento ed all’assimilazione dei valori degli altri senza imporre i propri punti di vista, ma anche senza irragionevolmente rinunciarvi”. La lettera termina richiamandosi all’inizio quando presentò i Re Magi come l’esempio d’interculturalità nella diversità della loro origine e dei loro doni. Così ciascuno di noi presenti il suo dono, le sue differenze alla Comunità. “Il dono che presentiamo a Gesù si trasforma nel dono degli uni agli altri. Ci spinge più in là di quello che siamo o che sappiamo verso la scoperta di aspetti nuovi e complementari di una verità che è più ricca degli idoli che costantemente noi siamo venuti a creare attraverso l’assolutizzazione del nostro punto di vista personale”. Avanti dunque “con l’audacia del Beato Daniele Comboni con la nostra identità arricchita dall’incontro con il compagno di viaggio, nella fedeltà alla nostra comune vocazione missionaria e comboniana, sorretti dalla grazia del Signore e del suo amore diffuso nei nostri cuori dallo Spirito Santo”. II. LA GIUSTIZIA COME RELAZIONE CHE GENERA LA VITA

Roma 1-1-2000. In occasione della Giornata Mondiale della Pace il 1° Gennaio 2000, i tre Istituti Comboniani mandarono una lettera a tutte le loro Comunità. I punti salienti della lettera: 1) Dopo il Concilio Vaticano II, specialmente per la Costituzione “Gaudium et Spes” l’impegno della Chiesa per la giustizia e i diritti umani ha avuto e giustamente un impulso decisivo per cui i Sinodi dei Vescovi ne trattarono molto spesso cominciando da quello del 1971: la lettera comincia con un richiamo ai pronunciamenti di alcuni Sinodi: penso opportuno accennare a ciascuno di essi data la loro importanza e brevità. - Il sinodo dei Vescovi del ’71 ha dato un grande impulso a questo sviluppo col suo ben noto testo: “L’azione per la Giustizia e la partecipazione alla trasformazione del mondo, sono una dimensione costitutiva dell’annuncio evangelico, cioè della missione della Chiesa per la redenzione dell’umanità e la sua liberazione da qualsiasi situazione oppressiva”. - Il Sinodo per l’Africa ne deduce un’applicazione concreta: “Se la proclamazione della giustizia e della pace è parte integrante dell’evangelizzazione, ne segue che la promozione di questi valori debba essere parte anche del programma pastorale di ogni comunità Cristiana”. - Il Sinodo per l’America ci invita a lavorare assieme a persone appartenenti ad altre religioni: “Persone di differenti fedi debbono sentirsi motivate … a lavorare assieme per la pace e la giustizia”. - Il Sinodo per l’Asia estende l’invito a tutta l’umanità: “Nel servizio della famiglia umana, la Chiesa s’interessa di tutti gli uomini e donne senza distinzione, impegnandosi a costruire con loro una civiltà dell’amore, fondata sui valori universali della pace, giustizia, solidarietà e libertà che trovino la loro pienezza in Cristo”. 2) Dio ha bisogno di noi per liberare il suo popolo. La lettera passa a descrivere le diverse situazioni d’ingiustizia nel mondo, e di alcuni aspetti positivi nel campo dei diritti umani. Si rivolgono in modo particolare ai nostri campi di missione e cioè Africa, America, Asia, ed anche Europa ed in ciascuno cercano in modo particolare l’aspetto di ingiustizie e di violazioni dei Diritti Umani, specialmente in relazione alle persone più povere. Rivolgono poi un appello ai loro missionari con il titolo “Dio ha bisogno di noi”. Il signore è determinato a liberare gli oppressi e a porre fine alle sofferenze di questo mondo. Ma ha bisogno di persone che sono disposte ad investire i propri talenti e doni per aprire

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nuove vie attraverso le quali Egli porterà a compimento il suo sogno. Dio ci ha creato per un servizio specifico che non ha affidato a nessun altro. Il privilegio di essere missionarie e missionari, consiste nell’essere stati chiamati a condividere in un modo particolare la missione di Cristo per una trasformazione vitale del mondo nel disegno finale di Dio. (n. 21) 3) L’opzione integrale del Comboni a) Non poteva mancare l’esempio del Comboni pioniere della promozione umana nella sua completa intensità ed estensione. Tale integralità è basata sulla sua devozione al Cuore di Cristo, simbolo dell’amore divino ed umano di Gesù per noi. Egli era sensibile al grido umano, sociale, religioso e cosmico dell’Africa Centrale che aveva bisogno di essere liberata dall’idolatria e superstizione, ma anche dalla schiavitù, dalla fame, dalla malattia, dalla carestia e dall’emarginazione. Comboni descriveva il popolo che vive in queste o simili situazioni come “i più poveri ed abbandonati”. Egli fece un’opzione preferenziale in loro favore e cercò la collaborazione di altri. b) Questo metodo integrale di fare missione divenne parte integrante del carisma dei suoi istituti. Secondo il Comboni è compito dei missionari e delle missionarie aiutare a costruire comunità cristiane africane che contribuiscano alla formazione dei preti locali e degli agenti pastorali, ma anche università per la formazione di leader africani nei campi politico, culturale e scientifico. Tre appelli: Aspiriamo a una società basata sulla solidarietà e sull’uguaglianza fondamentale e complementare di donne e uomini, dove nessuno sia sfruttato a motivo del sesso, dell’età e della razza. Aspiriamo ad una società dove la globalizzazione è al servizio della persona umana e non del profitto. Auspichiamo una società che rispetti le tradizioni culturali di ciascuna nazione, e sia sensibile ai deboli ed emarginati. Sogniamo una società democratica che integri anche processi decisionali tradizionali e sia basata sui valori del Vangelo. c) Vorrei aggiungere, personalmente che quest’atteggiamento può coinvolgere anche problemi politici o persone politiche. Infatti ci sono tre campi differenti nelle società odierne: il campo strettamente religioso, quello politico, quello comune sia alla religione che alla politica, che sono i diritti umani. La persona umana è soggetta a questi tre campi. Il conflitto tra religione e politica è sull’esercizio esistenziale dei Diritti Umani: la politica deve interessarsi di questi diritti legati strettamente alla natura umana, perché deve promuoverli, proclamare e farli osservare. La religione cristiana pure deve fare ugualmente perché ogni offesa, e violazione e negligenza dei Diritti Umani è offesa, violazione, omissione dell’amore del prossimo, impegno speciale del cristiano. Non tutti i missionari hanno questa chiara impostazione del loro apostolato. È chiaro che talvolta si può prudentemente fare in modo che venga denunciato anche qualche politico, non perché tale, ma perché come membro della comunità ha mancato di aderire e osservare qualche diritto umano. 4) Riqualifica La lettera continua riconoscendo la necessità di riqualificare il nostro apostolato demandando ai dirigenti dei tre Istituti di preparare alcuni loro membri nei diversi campi dell’economia, della politica, della comunicazione sociale ecc. per un tipo di presenza e di interventi nei conflitti sociali, politici, di violenza e guerra.

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Nè bisogna dimenticare lo studio di tutti i membri della dottrina Sociale della Chiesa sebbene questa lettera non lo menziona. Il messaggio conclude ringraziando tutti i membri che hanno formato un Comitato Giubilare per aiutare Sudan, Etiopia, Eritrea, Congo etc. per creare una società di pace, basata sulla giustizia e rispetto dei diritti umani. La lettera invita poi a guardare al mondo con gli occhi dei poveri ed essere nella Chiesa e nel mondo la voce di chi non ha voce. III. ASSEMBLEA INTERCAPITOLARE

Roma 14 settembre – 4 ottobre 2000 L’assemblea Intercapitolare è stata decisa dal Capitolo del 1969. È radunata dal Consiglio Generale dopo tre anni dal precedente Capitolo. In questo anno dal Capitolo del 1997. Lo scopo di questa Assemblea è di verificare come e quanto sono state messe in pratica le direttive, le decisioni, i suggerimenti del Capitolo precedente. Il Consiglio Generale poi può approfittarne per fare dei sondaggi su alcuni problemi. Solo sondaggi perché l’assemblea a differenza del Capitolo è solo consultiva. 1. L’agenda è più o meno come quella del Capitolo: a) Relazione del Consiglio Generale, dei Segretari e degli Uffici. Poi le relazioni delle Missioni raggruppate per Continente. Dato che nel prossimo Capitolo (2003), le relazioni accennate comprenderanno tutto il sessennio 1997-2003, non è necessario che ne dia qui i contenuti che riporterò nei commenti al Capitolo 2003. Un oggetto della Riunione fu uno scambio di idee sulle strutture di Governo e preparazione dei Capitoli. b) Da notare una conferenza del padre Gabriele Ferrari, emerito Sup. Generale dei Missionari Saveriani che ha parlato con competenza sulla “Missione oggi: cosa domanda al missionario”. Risposte: - La missione oggi deve partire da una rinnovata ecclesiologia, dall’apostolicità della Chiesa e dalla Sua Santità, dalla missione per irradiazione, dalla sua cattolicità: sia del soggetto, come del messaggio e dei destinatari. - Il rinnovamento dei missionari viene dettato dalla interpellazione della Storia, dalla autonomia della realtà e Chiesa Locali, dall’internazionalizzazione degli Istituti Missionari e dalle tendenze dei giovani europei e dei missionari dell’Africa e dell’America Latina inclini ad una maniera più semplice e povera di vivere il carisma missionario. c) Interessante fu pure il Raduno dei quattro Istituti Missionari di origine Italiana, presente pure Madre Adele Brambila, Superiora Generale delle Suore Comboniane. 2. Divisione in gruppi L’Assemblea si divise in 5 gruppi con diversi soggetti: – Ripartire dalla missione. – Giustizia e pace. – Attenzione alle persone. – Sistema formativo e verifica della formazione. – Proposta di Governo che includeva anche la possibilità della chiusura di uno scolasticato.

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Vi fu una relazione di Fr. Umberto Martinuzzo sulla necessità dell’Istituto di iniziare e appoggiare delle opere significative per i Fratelli, una per continente di promozione umana. 3. Riduzione delle province e degli impegni – temi di riflessione Questi problemi è uscito in qualche gruppo ed intendo commentarli personalmente. a) Riduzione delle Province Già il Capitolo del 1969 aveva ridotto le Regioni per es. da tre in Italia, ne fece una; da due Messico e Bassa California ne fece una; e così una da due in Uganda etc.. Lo stesso Capitolo suggerì di aprire un’altra Regione nel Kenya, una seconda di lingua inglese. Così fu fatto: su due linee: Uganda-Mombasa, Nairobi-Etiopia. Però si erano già verificate delle espulsioni di missionari: 1964 tutti dal sud Sudan; 1967, 10 dall’Uganda; inizio ’70 di nuovo dall’Uganda rifiuto di nuovi permessi e rifiuto di rinnovo e più tardi dal Mozambico 11 missionari nel 1874; dall’Uganda 16, 1975. Il Consiglio Generale 1969-75-79, pensò ad una strategia e cioè: aprire qualche missione nelle nazioni vicine a dove si parli la stessa lingua o europea o locale. Però non c’era intenzione di espandere fino a creare Province o delegazioni. Per esempio già da tempo, i confratelli del Mozambico avevano comandato di aprire delle missioni nel Malawi sia per appoggio come per alternativa: tale apertura si mostrò provvidenziale quando negli anni ’70, durante la guerra civile, molti mozambicani si rifugiarono nel vicino Malawi e furono assistiti dai nostri Padri e Suore. Inoltre all’altezza delle nostre missioni nella diocesi di Nampula e in quella della Diocesi di Tete, il Malawi attraversa il Mozambico. b) Riduzione del numero di tematiche proposte Anche il Consiglio Generale nel suo commento afferma “Forse troppi erano i temi lasciatici dal Capitolo”. Ad ogni modo l’assemblea sconfinò nel proporre i temi per il Capitolo 2003 (pag.144 del verbale). Il prossimo Capitolo dovrebbe offrire una presentazione viva della nostra esperienza e riflessione sulla “Missione”, secondo la nostra spiritualità missionaria comboniana. Questa dovrebbe essere una specie di Mosaico. Questo “Mosaico” dovrebbe offrire, anche se brevemente, diverse dimensioni (o colori)/teologiche, spirituali, antropologiche, liturgiche e pastorali), così da diventare una fonte completa e organica di ispirazione. Questa viva presentazione della nostra spiritualità missionaria e comboniana deve diventare una base solida per una specie di “Ri-fondazione” e/o risveglio della nostra identità missionaria come MCCJ. Deve essere attraente ed ispiratrice per tutti i confratelli, giovani e anziani, anche per i nostri aspiranti e candidati. Metodologicamente, noi suggeriamo il seguente sviluppo del tema. Reinterpretando la nostra tradizione missionaria (storia) in maniera creativa, dall’esperienza dei confratelli raccogliamo quelle caratteristiche tipiche della nostra spiritualità e servizio missionario vissuti. Ogni provincia deve preparare e presentare uno o più “figure” di uno o più Missionari comboniani significativi che hanno lavorato in diversi campi e diverse situazioni. Da queste presentazioni potremo raccogliere alcuni denominatori comuni, valori ispiratori, attitudini o principi metodologici della nostra spiritualità e servizio. (L’uso di “Ri-fondazione” può essere interpretato in modo positivo come presa di coscienza di una situazione o negativo, come segno di fallimento. Una prima rifondazione culturale si fece nel Capitolo del 1969 che durò più di sei mesi con un’interruzione di più di un mese per un po’ di riposo (si concluse con i Decreti Capitolari). Ed una rifondazione giuridica con la Nuova Regola di Vita dopo la Riunione).

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c) Il consiglio Generale tuttavia, nei suoi commenti all’assemblea, indicò alcune priorità Il rinnovamento della vita comunitaria secondo le indicazioni del Capitolo (AC ’97, 27-30; 125), la crescita nella vita spirituale e la fedeltà alla consacrazione sono emerse come priorità fondamentali. Tra queste priorità, la promozione della vita spirituale è stata individuata come un’urgenza, con particolare rilievo alla preghiera personale (RV 49) e all’impegno che favorisce la continua crescita della persona (programma personale di vita). Allo stesso tempo si è sottolineato il valore della vita di fraternità e il suo potere di testimonianza (AC ’97, 27-30). È necessario recuperare gli strumenti di animazione della comunità: il consiglio di comunità, le giornate comunitarie, il progetto comunitario e il progetto pastorale. (Di fatto però nel Capitolo 2003 si sono esplicitamente stabilite altre priorità che sono più di carattere amministrativo che culturale (Decreti capitolari, Cap. VI Nn 133, 1-6) 4. Verifica della Formazione di base (VFB) Il Capitolo 1997 aveva affidato al Consiglio Generale il compito di verificare la Formazione di Base dato il numero di uscite durante i voti temporanei e talvolta dopo poco tempo dai voti perpetui o del sacerdozio. In questa storia si sono già fatti molti commenti su questa formazione. I problemi non sono cambiati. Il consiglio Generale – in Fam. Comboniana dic. 2000 - riconosce infatti che: “Nell’intercapitolare ci siamo resi conto che cambiare non è facile. È più facile vedere i limiti del sistema che proporre un’alternativa realistica. La riflessione in aula ci ha fatto vedere dove sono le sfide di fondo della FB (la personalizzazione, l’interiorizzazione dei valori) e le sfide più urgenti (quelle che riguardano la cultura del nostro tempo e l’inculturazione del nostro carisma)”. Poi ribadisce un punto che si è sempre auspicato in tante assemblee e Capitoli dal 1969 e cioè che è necessario che tutti i fratelli hanno una professione e questo prima del Noviziato. Questa difficoltà di cambiamento viene riaffermata dal Consiglio generale per tutti i membri. “Ma la svolta di fondo per molti aspetti della nostra vita e per il nostro servizio missionario, nella direzione auspicata dal Capitolo (AC ’97, 1 –30), rimane ancora davanti a noi come traguardo verso cui camminare con sollecitudine e costanza nei prossimi tre anni. Occorre, perciò, sostenere questo sforzo di mettere in pratica il Capitolo particolarmente per ciò che riguarda la qualità della vita personale, il rinnovamento della vita comunitaria e del servizio missionario”. 5. Uscite dall’Istituto Connesso con la Formazione di Base, l’assemblea fu illuminata da un documento ben dettagliato e scrupolosamente redatto dal Segretariato della Formazione sotto la guida di Padre Manuel João Pereira Correia, Segretario. Il lavoro è enorme perché parte dal 1887 al 2001. Solo alcune cifre. Usciti: 1.780 Professi 1887-2001: 4.505 Il decennio più alto: 1960-1970 Professi: 697

Usciti: 477

Padri 124 Fratelli 90 Studenti 263

In questo decennio sono entrati molti dal 1960 al 1965; data la crisi del dopo concilio il maggior numero uscì dal 1966 al 1969.

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La percentuale degli usciti è del 57%, la percentuale più alta di ogni decennio che diventa più grave dato che praticamente il periodo fu di 4 anni. USCITI – MOTIVAZIONI Ci limitiamo al periodo 1985-2001. La gamma delle motivazioni è ben articolata. aggiungo qualche osservazione particolare secondo la mia esperienza. a. Sacerdoti usciti ed incardinati in diocesi: 1985-2001 Motivazioni Difficoltà nella vita comunitaria Non identificazione con il fine specifico (missione ad gentes) dell’Istituto Disaffezione, scarsa identificazione con l’Istituto Difficoltà relative al voto di Obbedienza Difficoltà relative al voto di Povertà Consacrazione religiosa (problemi affettivi) Ingresso in altro Istituto o movimento: (neocatecumenali 9+2; vita contemplativa 3+2; altri 2) Altre: salute e famiglia (salute 2+4; problemi familiari 2+7) Totale

Dominanti Secondarie Totale N° N° % N° % N° %Ordine 23 27% 22 26% 45 54% 1° 25

30%

11

13%

36 43%

10 5 1 2

12% 6% 1% 2%

14 13 3 3

17% 15% 4% 4%

24 29% 18 21% 4 5% 5 6%

3° 4° 8° 7°

14

17%

4

5%

18 21%

4

5%

11

13%

15 18%

84

81

165

Le difficoltà maggiori sono la vita comunitaria e la scarsa identificazione con l’Istituto (29%). Questo succede soprattutto per chi entra già avanti negli studi: hanno avuto solo pochi anni nella formazione per cui non sono stati abilitati alla vita comunitaria stile Comboniano ed hanno conosciuto poco la storia dell’Istituto, le belle figure dei missionari anziani, perciò fanno fatica a rimanere. La seconda: non identificarsi con il fine specifico (ad gentes) dell’istituto: questo mi sembra raro, perché la promozione vocazionale che l’Istituto fa è proprio “ad Gentes”. Piuttosto: da anni si è diffusa l’opinione che dappertutto si fa missione e vi sono emigrati dall’Africa anche in Europa. Talvolta può essere sopravvalutata tale opinione. Altre volte invece, tali sacerdoti diventati Comboniani, s’incardinano nella Diocesi di missione dove vogliono rimanere appunto “ad Gentes” per cui non accettano il richiamo in Europa per altri servizi. In questo caso è più crisi di obbedienza che di identificazione con l’Istituto e con il suo fine “ad Gentes”.

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b. Scolastici e fratelli di voti temporanei Scolastici e Fratelli VT usciti 1985-2001 – quadro delle motivazioni Motivazioni 1. Crisi vocazionale (perdita del senso della vocazione, debolezza delle motivazioni vocazionali, dubbi e indecisione, mancanza di impegno ed entusiasmo…) 2. Provabile inconsistenza vocazionale dall’inizio (discernimento vocazionale: non adatto per la vita missionaria, mancanza di alcuni requisiti essenziali…) 3. Difficoltà nella vita comunitaria (disagio nei rapporti interpersonali, aggressività, individualismo, chiusura…) 4. Crisi ed immaturità affettiva (difficoltà relative al celibato consacrato) 5. Difficoltà relative al voto di obbedienza (atteggiamenti di insofferenza e aggressività verso strutture e autorità, forte senso di autonomia…) 6. Difficoltà relative al voto di povertà (mancanza di trasparenza nella gestione e amministrazione dei beni…) 7. Difficoltà di adattamento a nuovi contesti culturali (difficoltà nell’inserzione, rigidità mentale, intolleranza, esagerato attaccamento alla propria cultura, patria, famiglia…) 8. Limiti intellettuali (lingua, studi, professione…) 9. Altri: 9.1 salute (Sc. 3+2; Fr. 1+0) 9.2 Famiglia (Sc. 2+7; Fr. 1+1) 9.3 Vari(bere..): (Sc..0+2; Fr.0+3)

Totale

Dominante Scol. Frat. Tot. 69

20

89

Secondaria Totale Scol. Frat. Tot Scol. Frat. Tot. 15

4

19

34% 33% 34% 63

14

77

4

20

8%

7%

8%

32

15

47

4

2

6

2

17

7%

3%

6%

0

0

0

0%

0%

0%

0

2

2

0%

3%

1%

2

1

3

1%

2%

1%

5

2

7

2%

3%

3%

202

60

262

375

67

16

33% 27% 47

19

66

63

23

31% 38% 26

3

29

16% 25% 18% 15

24

42% 40%

31% 23% 29% 16

84

58

18

29% 30% 26

8

34

41

10

20% 17% 6

4

13

4

4

11

152

3

4

51

10

17

7

15

203

108 41% 83 32% 86 33% 76 29% 51 19%

6

4

10

3%

7%

4%

13

6

19

6%

10%

7%

6

4

10

3%

7%

4%

16

6

22

8%

10%

8%


254 Scol. e Frat. VT – usciti 1985-2001 Totale 262 (11 Diaconi + 191 Scolastici + 60 Fratelli VT) su un totale di 293 (228 Scolastici + 65 Fratelli)

A F R I C A 3 1 4

Scolastici Fratelli TOTALE

origine A E M U E R R O I P C A A 93 3 19 0 12 3

A S I A

anno di uscita 1985- 19951994 2001

83 26 109

119 34 153

T O T A L E 202 60 262

c. Le più importanti cause per l’uscita dall’Istituto sono: La crisi vocazionale (108) e la Vita comunitaria (86). Bisogna tener presente che chi arriva alla Teologia e ai voti temporanei per i Fratelli, hanno già fatto 5 anni nell’istituto (3 di postulato, 2 di noviziato) e sono tutti tra i 20 e i 30 anni. Qui abbiamo differenti aspetti: -alcuni non si sono aperti o non sono stati capaci di aprirsi nel qual caso toccava al formatore stesso fare emergere quanto c’era in essi o chiamare qualche psicologo. Ma non l’hanno fatto, altri sono stati ipocriti: per loro andava tutto bene, non avevano problemi. In questo caso bisogna eliminarli subito. È impossibile che un giovane tra i 20 e i 30 anni non abbia problemi e difficoltà sia individuali (preghiera – castità – rapporti col formatore) o di comunità. -Vi può essere anche probabile inconsistenza vocazionale sin dall’inizio: per alcuni probabilmente vi erano dei dubbi che il formatore non ha scoperto. Nel caso che il dubbio persista sino al terzo anno di postulato o addirittura fino al Noviziato, bisogna eliminarli presto anche per il loro futuro stesso, affinché possano costruirsi una seconda vita. Purtroppo molti sbagli vengono commessi nel giudicare la consistenza della Vocazione. -Fondamentale è lo sbaglio di considerare solo le qualità del candidato come segni di vocazione. Il vero segno della vocazione è la motivazione o rettitudine d’intenzione. Quando un candidato esprime dei dubbi, bisogna studiarli: è una decisione irresponsabile dire: “Hai tutte le buone qualità. Preghi, riesci negli studi, buona vita comunitaria, ottimo nella castità. Cosa ti manca?” “Ma Padre…” “No, no va avanti, mi prendo io la responsabilità. Prega. ecc.” ?!? -È vero che la vita comunitaria dal Postulato, al Noviziato, allo Scolasticato, etc. cambia ma se un candidato è motivato e vuole raggiungere la sua meta, con l’aiuto del Formatore, può superare le difficoltà È necessario soprattutto nel Noviziato abituare i candidati a dire di no a sé stessi. Oggi i giovani sono abituati ad avere genitori e trovare anche formatori che non domandano mai sacrifici e rinunzie. Per questo occorre cominciare presto a domandare tale esercizio che prepari a problemi e rinunce anche impreviste nella vita, alcune possono essere anche pesanti. Chi rinuncia nel poco, si abitua a rinunciare nel molto.

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d. Sacerdoti laicizzati e Fratelli VP usciti (campione di 73+20) Motivazioni

Dominanti Secondarie Totale N° % N° % N° %

1. Crisi generale dell’identità sacerdotale e missio5 naria. Perdita progressiva del senso della vocazione 2. nconsistenza vocazionale dall’inizio (Provabile) 4 scelta errata della vocazione 3. Visione riduttiva della voc. sacerdotale, religiosa 1 o missionaria (motivazione sociofilantropica) 4. Crisi di fede. Difficoltà ideologiche o contesta8 zione di valori 5. Difficoltà nel celibato. Crisi e immaturità affet39 tiva 6. Grave e reiterato comportamento incoerente con 9 gli impegni della consacrazione (celibato) 7. Difficoltà nella vita comunitaria. Disagio nei 4 rapporti interpersonali 8. Difficoltà relative al voto di obbedienza. Atteg7 giamenti insofferenti verso le strutture e autorità 9. Condizionamenti sociali – familiari – psicologi3 ci. Dipendenza e immaturità psicologica 10. Senso di stanchezza, di scoraggiamento, di in9 soddisfazione, di frustrazione… 11. Difficoltà relative al voto di povertà 1 12. Altre: Principali: 1 ingr. Benedettini; 1 salute; 1 3 bere - Secondarie: 2 bere… Totale (52 Sacerdoti e 14 Fratelli VP) 93

N° ordine

5%

14

15% 19 20%

4%

24

26% 28 30%

1%

8

9%

9 10%

10°

9%

8

9%

16 17%

42%

18

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10%

1

1%

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4%

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8%

11

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3%

18

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10%

10

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1%

5

5%

6

6%

11°

3%

2

2%

5

5%

12°

140

33

Le ragioni sono più o meno le stesse di quelle degli scolastici. Però, mi pare difficile mettere al secondo e terzo posto le motivazioni che riguardano le diverse crisi vocazionali come accennato sopra. È mia opinione che le difficoltà dei sacerdoti e fratelli di voti perpetui possono dipendere anche dai rapporti con i Superiori. Talvolta sono loro stessi che hanno dei problemi dovuti alla mancanza di vocazione per cui non si trovano bene in comunità. Ma il problema è loro stessi. Da aggiungere anche che chi esce non sempre dichiara la ragione prioritaria: questo succede specialmente quando da tempo sono stati in una crisi affettiva, non si sono aperti con il P. Spirituale o Confessore. Allora facilmente dichiarano una ragione secondaria come primaria, mentre la vera ragione è la crisi affettiva che rende sia la vita comunitaria come la pastorale e l’ubbidienza, insopportabili ma dichiarano queste come prioritarie. In genere dopo lo Scolasticato, pochissimi mantengono contatti col Direttore Spirituale o ne cercano uno. È mia convinzione che l’aprirsi e domandare aiuto e consiglio può salvare un confratello in crisi, specialmente affettiva.

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6. Erezione di Delegazioni o Province Vi furono alcuni sondaggi per l’erezione di altre Delegazioni o Province. Furono cinque. Il Consiglio Generale tenne in considerazione la risposta dell’Assemblea e il 1-1-2002, eresse le seguenti: Province: Sud Sudan, Tchad Delegazioni: Eritrea Colombia. Il Centroamerica domandava di diventare Provincia, ma dato che l’assemblea non l’approvò il C.G. non la eresse e rimase Delegazione. IV. ATTENZIONE ALLA PERSONA nella

Comunità Comboniana

Roma 25 gennaio 2001 Questo problema viene a galla spesso nei raduni delle nostre Comunità, ma è bene che sia stato affrontato con competenza in una lettera-messaggio del Consiglio Generale. L’occasione fu il suggerimento del Capitolo 1997, di mandare un messaggio annuale all’Istituto. La scelta è indovinata perché c’è sempre bisogno di richiamare questo tema che deve essere l’espressione dell’amor fraterno: parte essenziale del carisma comboniano simboleggiato dal Cuore di Cristo. 1. Nella prima parte troviamo una descrizione della realtà presente nelle nostre comunità, dove vi sono aspetti positivi e negativi. Aspetti positivi: sono le testimonianze di vita religiosa e missionaria ai confratelli che hanno dato e danno ancora sia nella loro vita personale, che nella comunità e nella Chiesa e meritano la nostra attenzione e rispetto. Teniamo presente che tante persone hanno talenti ma non hanno mai l’occasione di metterli in evidenza. Aspetti negativi: sono dati dalla presenza nelle nostre comunità di confratelli frustrati e infelici, persone ferite e bloccate, incapaci di rinnovamento umano, teologico e missionario: queste persone però, se da una parte rendono difficile il rapporto, dall’altra domandano ancor più attenzione da parte degli altri, anzi se tali persone non sempre rispondono serenamente alle attenzioni degli altri, può essere dovuto al come e al quando si dava quest’attenzione. Anche persone normali possono rendere difficile il rapporto comunitario per il loro individualismo, protagonismo, paternalismo che li rende anche freneticamente attivi. La lettera ammette pure che i bisogni dell’Istituzione possono sacrificare l’individuo. Però molto dipende dalla capacità di dialogo da parte dei Superiori e della persona in questione. 2. Nella seconda parte il messaggio fa alcune riflessioni sul tema: a. Innanzitutto accenna al pensiero moderno, effetto del Capitalismo che ha insistito sull’individuo chiuso e sufficiente a se stesso e non sulla persona che dice necessariamente relazione agli altri. Pensiero assunto anche da religiosi/e e sacerdoti dopo la svolta antropologica del Vaticano II. Il vero pensiero del Concilio però, è che la persona ha come perno la sua vocazione che determina il cammino della vita come dono alla comunità: la persona umana infatti, è creata per vivere in comunione con gli altri: vocazione alla socialità. Questo richiede: - crescere nella reale conoscenza di se stessi, dei propri talenti, del proprio posto nella comunità. Di conseguenza; - crescere nella capacità di comunicarsi. Per questo è

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- necessario crescere nell’autocontrollo di se stessi per non imporsi agli altri con la lingua e le maniere che esprimono orgoglio. Tale atteggiamento viene ulteriormente illuminato con la parola di Dio, secondo la quale la nostra vocazione, i nostri talenti sono a disposizione di Chi ce li ha dati per adempiere il Suo progetto per ogni creatura, che sapientemente Egli crea con i necessari talenti e soprattutto con l’inclinazione irresistibile di amare e amare nel modo che Lui vuole e chi vuole. b. Né poteva mancare l’esempio del Comboni. È impossibile riassumere in pochi tratti l’attenzione di Comboni verso le persone. È noto e proverbiale il rispetto, la fiducia e la grande carica di amicizia che egli sapeva offrire ai suoi compagni e compagne di missione, perfino a coloro che gli davano dei ripetuti segni di ostilità. Egli valorizzava le loro qualità, aveva occhi buoni per vedere il bene che facevano, li incoraggiava e si lasciava incoraggiare da loro. Nella sua intensa corrispondenza, ufficiale o privata che fosse, con ogni tipo di persone egli si mostrava sempre affettuoso, sincero e personale. Tra i comboniani non mancarono esempi eccezionali in questo campo. Mons. Antonio Roveggio (1859-1902), uno dei primi religiosi dell’Istituto, cordialissimo nel suo modo di fare, che ebbe un ruolo decisivo nell’intesa tra i Missionari del Comboni e i Comboniani religiosi; P.Federico Vianello (1872-1936), che fu l’espressione stessa della paternità e dell’attenzione durante la difficile storia dello sviluppo dell’Istituto e del dramma della prima guerra mondiale; P.Andreas Riedl (1903-1974), sempre aperto all’amicizia e alla comprensione dell’altro, che fu il grande sostenitore della riunificazione dei due rami dell’Istituto; Fr. Angelo Viviani (1898-1984) e P.Giuseppe Ambrosoli (1924-1987), che in tempi e con ruoli diversi, hanno incarnato in modo eroico l’attenzione misericordiosa verso gli ammalati. 3. Nella terza parte troviamo una serie di conseguenze di questa attenzione e rispetto della persona: a. Accoglienza cordiale nel rispetto degli altri e dei loro talenti: accoglienza vicendevole, soprattutto con sincerità, delicatezza, educazione (good manners) che spesso domanda uno spontaneo sorriso. - Accoglienza come stimolo a ricordarci mutuamente le nostre responsabilità personali - La correzione fraterna che è segno di amichevoli e attenti rapporti - Attenzione come preghiera e scambio vicendevole di esperienze di fede - Attenzione come servizio: ciascuno cerchi di essere di aiuto a chi ne ha bisogno anche con qualche sacrificio, specie con chi non consideriamo a noi amichevole. b. I benefici dell’attenzione Noi stessi. Rispettare la nostra dignità di persone consacrate cioè messe da parte come speciali amici di Gesù ed evitare tutto ciò che può macchiare tale dignità, ricordando che tale macchia può estendersi alla Comunità. I giovani nella formazione di base che hanno forse idealizzato i missionari come persone eccezionali di preghiera, di bontà, di carità, etc. I giovani missionari in particolare, con le loro differenze sia personali che culturali (africani, Latino-americani). Confratelli di mezza età che cercano l’equilibrio tra il nuovo ed il tradizionale e sono i più restii all’accoglienza di novità. Confratelli anziani e ammalati: non considerarli inutili, trovare qualche cosa da fare anche per loro in comunità e nel ministero. Lasciarli in missione perché la loro presenza è apprezzata

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dalla gente che li conosce e possano essere elemento di comprensione e unione della e con la gente. Confratelli in difficoltà che possono avere problemi d’identità e di equilibrio personale. La difficoltà è anche per gli altri della comunità che non sempre sanno la causa dei loro problemi per cui possono dire qualche parola o fare qualche gesto mal interpretato. Eppure questi confratelli sono i più bisognosi di attenzioni. c. I responsabili dell’attenzione L’abuso dell’autorità espresso nel deficiente modo di esercitarla, specialmente dopo il Vaticano II, ha declassato il suo ruolo al punto da “non ritenerla necessaria per la comunità o da ridurlo al mero compito di coordinatore delle iniziative dei confratelli” (VFC 48). Le conseguenze negative di una tale visione dell’autorità si sono viste presto. Il rinnovamento avvenuto durante questi anni ha contribuito a delineare una nuova immagine di autorità, mettendola in un più stretto riferimento alle sue radici evangeliche e privilegiandone diversi aspetti come l’enfasi sulla spiritualità, la creazione di un clima favorevole al rispetto, la comunicazione e la corresponsabilità, senza compromettere con ciò il dovere di prendere decisioni e la garanzia che queste vengano attuate (cfr. VFC 47-50). I superiori locali, Provinciali, Generali, formatori e promotori, il coordinatore della formazione permanente, devono essere i primi ad esercitare l’autorità come servizio. Nella lettera si accenna ad alcune problematiche: come persona e comunità: coscienza propria e coscienza dell’altro: realizzazione personale e obbedienza, che sono praticamente contenuti nel corpo della lettera che merita di essere ricordata come le altre lettere precedenti nella Storia dell’Istituto. La lettera conclude ricordandoci quanto dice il Comboni di essere missionari “santi e capaci”, e di essere sempre in attesa della missione. Commenti. La lettera è ben coordinata ed esauriente. Ne approfitta per entrare inoltre nelle situazioni della vita comune. Non accenna però a mancanza di attenzione e rispetto alle persone specialmente da parte di alcuni provinciali che sarà bene richiamare alla mente: - Discutere accuse contro un confratello al Consiglio Provinciale in sua assenza e condannarlo senza dargli la possibilità di esporre la propria versione. - Aspettare che un confratello ritorni in patria, e intimargli di non più ritornare, senza aver prima dialogato con lui e scaricare la propria responsabilità sui confratelli dicendo: “Non ti vogliono” - Parlare dei difetti di confratelli in pubblico, specialmente con esterni, è condannarlo e cercare il pelo nell’uovo, per farlo sentire in colpa, mentre il Superiore agisce per ragioni personali, non escluso l’inconscio senso di vendetta e di risentimento o gelosia. Alcuni confratelli così malmenati si sono sentiti discriminati da ammalarsi fisicamente o da entrare in depressione diventando così quasi inabili al lavoro e di peso alla comunità. Può succedere che il Superiore o Vicario Generale preferiscano a priori la versione del Provinciale, a quella del confratello. Se il Concilio Provinciale, dove i consiglieri sono liberi di esprimere il proprio parere, decidono per il rientro in patria di un confratello, si combini con la Direzione Generale o la Provincia di origine perché sia richiamato per un lavoro in patria, cioè esigito dal rispetto della persona. È necessario che il rientro di un confratello in patria non dia l’impressione di un rifiuto della persona stessa. Tale impressione portò qualcuno al suicidio.

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Alcuni Provinciali mancano anche di capacità amministrative sia nella corrispondenza come nell’archivio delle Province. Sarebbe bene che i Provinciali facessero anche un corso di amministrazione. Spesso si fanno conferenze e raduni sul “Missionario oggi”, bisognerebbe farlo anche sul “Superiore religioso- missionario oggi”. - Tra i responsabili e nello stesso tempo beneficiari dell’attenzione e rispetto, la lettera non menziona i Vescovi e le Autorità Civili. È più un messaggio ai Comboniani come Religiosi e meno come missionari che vivono in una società ed in una Chiesa dove lavorano temporaneamente almeno in linea di principio. Questo è tanto più necessario quando siamo in un paese straniero per permesso del Governo e siamo a servizi della Chiesa Locale: per ambedue non possiamo minimizzare o ignorare il rispetto e l’accoglienza dovute.27 V. CANONIZZAZIONE DEL NOSTRO FONDATORE

La canonizzazione di St. Daniele Comboni è l’evento più importante di questo periodo e forse per noi, del 2000. La cerimonia ufficiale fu fatta durante il Capitolo del 2003 dopo l’elezione del nuovo Consiglio Generale (2003-2009), però il Consiglio Generale precedente (1997-2003) aveva gestito tutta la preparazione. Nel riferire il processo e la preparazione della Beatificazione proclamata in St. Pietro da Papa Giovanni Paolo II (+2005) il 17 marzo 1996 (vedi capitolo 19), sono state largamente illustrate le difficoltà passate per arrivare alla Beatificazione. Per la Canonizzazione bastava il miracolo debitamente approvato dalla Santa Sede. 1. In vista della canonizzazione Dal 9 al 28 maggio 2001 è stata istituita l’Inchiesta Diocesana presso la Curia ecclesiastica di Khartoum (Sudan) sulla presunta guarigione miracolosa della musulmana Lubna Abdel Aziz. La Consulta Medica della Congregazione delle Cause dei Santi, ha riconosciuto, l’11 aprile 2002, che la guarigione della signora Lubna Abdel Aziz è stata rapida, completa, scientificamente inspiegabile. Nel Congresso speciale del 6 settembre 2002, i Consultori Teologi hanno riconosciuto il nesso tra la guarigione della signora Lubna e l’invocazione del Beato Daniele Comboni riscontrando nello stesso tempo la preternaturalità della guarigione. Alle medesime conclusioni sono pervenuti i Cardinali e i Vescovi nella Sessione Ordinaria del 15 ottobre 2002. Il decreto sul miracolo è stato promulgato il 20 dicembre dello stesso anno, alla presenza del Santo Padre Giovanni Paolo II. 2. Il miracolo Presentando il miracolo al Santo Padre, il Postulatore P. Arnaldo Baritussio, Comboniano, lo introduce con il seguente commento: “Guarigione repentina, completa e duratura della sig.ra Lubna Abdel Aziz da quinto parto cesareo in paziente già sottoposta a quattro precedenti tagli cesarei; placenta previa “accreta” con gravissime emorragie del secondamento. Secondo intervento di isterectomia effettuato tardivamente, con conseguente shock ipovolemico e coagulazione intravasale disseminata (CID). Terzo intervento laparatomico con svuotamento dell’emoperitoneo e allacciatura dell’arteria uterina sinistra sanguinante, seguito da edema polmonare”. Descrive poi brevemente il fatto miracoloso umanamente e clinicamente assolutamente inspiegabile.

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Lubna Abdel Aziz, nata nel 1965, presenta in anamnesi quattro gravidanze che sono terminate con un taglio cesareo. La quinta gravidanza ha termine in data 11/11/1997 sempre con taglio cesareo, avvenuto alle ore 7,30 presso la Maternità del St. Mary’s Maternità Hospital (Villa Gilda) di Khartoum, diretta dalle Suore Missionarie Comboniane, ivi residenti. Non è possibile praticare l’asportazione completa della placenta in quanto si tratta di una “placenta previa accreta”, fortemente aderente alla parete uterina. I medici decidono di astenersi al momento dall’asportare l’utero, mettendo in atto una terapia medica conservativa. Alle ore 12 dello stesso giorno iniziano emorragie profuse con conseguente stato di ipotensione arteriosa. Alle 14 viene eseguita una isterectomia d’urgenza e la paziente sottoposta a ripetute trasfusioni per eliminare la causa dell’emorragia, così da fronteggiare lo stato di shock ipovolemico che si era instaurato. Tuttavia nel pomeriggio, dopo le ore 17, si assiste ad un ulteriore aggravamento della situazione: fuoriesce sangue dalla ferita operatoria e si constata che il sangue non si coagula. Si era verificata una CID (coagulazione intravasale disseminata) per deficit di fibrinogeno. A complicare tale stato di cose, si aggiunge l’impossibilità di reperire sangue fresco da trasfondere. Si praticano allora trasfusioni con sangue conservato e non controllato per i virus dell’epatite e dell’AIDS (come si fa di norma). Inoltre vengono iniettate due fiale di fibrinogeno. La situazione tuttavia non tende a migliorare; per cui la mattina del giorno dopo viene eseguito un terzo intervento, per la presenza di emoperitoneo dovuto ad emorragia proveniente dall’arteria uterina sinistra. Le condizioni della donna sono gravissime per il completo collasso cardiocircolatorio e per la comparsa di un edema polmonare. La situazione del giorno 12 novembre è decisamente definita disperata. Inaspettatamente dal giorno 13, la paziente si riprende rapidamente; è lucida e presenta i parametri vitali nella norma. Il miglioramento si completa in pochissimi giorni; viene dimessa il 18/11/97. I due Periti “ab inspectione” visitano la donna nel maggio 2001 senza riscontrare nessun postumo. Il Postulatore aggiunge poi il nome dei medici, specialmente medici ostetrici-ginecologi ed anche delle Suore Comboniane per il nesso tra la guarigione e le loro preghiere. Riporto solo la relazione scritta il 18/11/1997 da Suor Bianca Garascia, teste ufficiale nel processo diocesano di Khartoum e Superiora delle Suore Comboniane della Maternità del St. Mary Maternity Hospital di Khartoum. 11 novembre ‘97 Poco dopo mezzogiorno le sorelle infermiere ci hanno comunicato che la donna (Lubna) che era stata appena operata era ancora in sala operatoria ed era abbastanza grave. Abbiamo raccomandato subito la donna alla Madonna e a Mons. Comboni con preghiere spontanee di intercessione: “Madonna aiutala!”, “Comboni intercedi per lei!”. - 6 p.m. Nel pomeriggio eravamo con il cuore sospeso e la nostra preghiera si è fatta più intensa specialmente verso sera quando vedemmo che la donna era grave. - 6.30 p.m. Telefonai a Sr. Nunzia e comunicai la notizia della gravità della donna e dissi di unirsi anche loro sorelle a noi a pregare Comboni per intercedere la grazia che la donna non morisse. - 7.00 p.m. Riunitasi la comunità per le preghiere dei Vespri, tutte assieme abbiamo supplicato Comboni di intercedere per la donna. “Comboni intercedi per Lubna. Com-

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boni vieni in suo aiuto; è una sudanese, è una della tua terra amata, intercedi per lei, aiutala, fa che non muoia!”. 8.45 p.m. Tutti i dottori e noi sorelle siamo andati in cappella a pregare per Lubna. Ormai sembrava che era alla fine. Abbiamo pregato con angoscia e fede alla Madonna e a Mons. Comboni. Dopo di che siamo andati alla maternità a veder la donna. Stava malissimo. 9.15 p.m. Tre sorelle ritornarono in cappella e incominciarono la preghiera di intercessione a Comboni (Triduo o Novena a Comboni dal nostro manuale di preghiera). Abbiamo continuato la preghiera per tre giorni consecutivi, finchè abbiamo visto che la donna stava meglio e fuori pericolo. Abbiamo visto (toccato con mano) la bontà del Signore”. Aggiungo anche una frase della relazione di un’altra teste al processo di Khartoum, Sr. Maria Bianca Benatelli, infermiera ostetrica, capo governante e responsabile del reparto Maternità del St. Mary’s Maternity Hospital (Villa Gilda). “Dopo il secondo intervento, si continuava a dar sangue ma usciva. L’addome si gonfiava e anche senza premere, dalle ferite il sangue usciva, l’addome era pieno. Le cose precipitavano, la pressione scendeva e il polso era solo percettibile. A questo punto noi suore le mettiamo sotto il cuscino l’immagine del Comboni e l’affidammo a Lui. I parenti hanno visto. Riporto anche quanto rilevò il professore, dott. Nino Pasetto, già direttore della Clinica Ostetrica e Ginecologica e della scuola di specializzazione in Ginecologia ed Ostetricia dell’Università di Roma, Tor Vergata che è uno dei due periti, ex ufficio, della Consulta Medica della Congregazione per la Causa dei Santi. “Mentre tutti i medici si erano ormai rassegnati ad attendersi la morte della paziente, con grande sorpresa, alla fine dell’intervento si è verificato un improvviso e drammatico miglioramento con risveglio completo, completa riacquisizione di coscienza e lucidità mentale ed anche desiderio di colloquiare con le persone che la circondano. E dopo solo cinque giorni dal terzo intervento, senza alcuna complicazione funzionale ed infettiva a carico della funzione vescica-urinaria ed intestinale, la paziente è stat dimessa”. Lo stesso professore, riguardo al nesso tra la guarigione e le preghiere delle Suore, scrive al nostro Postulatore (24/04/01): Non c’è nessun errore da parte medica e l’invocazione delle suore è veramente l’elemento di novità che supera ogni logica umana. A mio avviso, l’invocazione è al momento giusto in quanto la prognosi era decisamente infausta. Non perde affatto il significato di straordinarietà; anzi è al momento giusto in quanto, essendo ormai tutto clinicamente compromesso, c’era il pericolo del decesso prima che avvenisse l’estremo tentativo dei medici cui ha fatto seguito l’improvvisa ed immediata ripresa, quando i medici “We all expected her to die” (Noi tutti aspettavamo che morisse). Sulla rivista “Civiltà Cattolica” (2003, IV 138-152), prestigiosa pubblicazione dei Gesuiti,il giornalista Piersandro Vanzan, nel commentare il miracolo scrive tra l’altro: …veniamo alla peculiarità tutta “comboniana” del miracolo: nell’Africa, al cuore della missione di Comboni, il Sudan. E poi per la miracolata: non una cattolica, ma una islamica. Questo, soprattutto oggi, con le tensioni antioccidentali e anticristiane che montano nell’islam, ha un significato fortissimo: il Dio dei cristiani non attende la conversione di un musulmano per beneficarlo col miracolo, perché lo ama così com’è. E i cristiani sono un bene anche per gli islamici non quando si convertono al Vangelo, ma semplicemente perché sono loro fratelli. Tutti figli dell’Unico Creatore e Padre.

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Lubna l’aveva capito, poiché per la quinta volta si era fatta ricoverare in quell’ospedale cattolico. Se in precedenza si fosse trovata male, avrebbe scelto diversamente; invece è tornata perché contenta dell’assistenza ricevuta. Infine nella preghiera d’intercessione sono coinvolti tutti, non solo le suore. Pregano anche i medici, e prega la mamma di Lubna, benché non cristiana ma sapendo che Comboni ha amato l’Africa, ha amato la Nigrizia, ha amato il Sudan, ha amato i malati che incontrava e cercava di curare meglio che poteva. Capisce che Comboni non ha mandato le suore perché la figlia muoia, ma perché viva. Capisce che il suggerimento di pregarlo è ragionevole e opportuno. E aderisce. E Dio, davanti alla forza di una preghiera così solidale, si piega. Non potrebbe altrimenti, perché dagli uomini non desidera più di questo: che si affratellino nella carità, nella speranza e nella fede. È questo affratellamento il miracolo più grande, il vero miracolo che attende il terzo millennio. E Comboni ci dice che è un miracolo possibile. Nella note in calce (n. 23), il Gesuita aggiunge: I ginecologi avvertono che una gravidanza dopo il terzo cesareo, è molto rischiosa. Il motivo –spiegato alla buona- è questo: il cesareo non lacera semplicemente la muscolatura, ma anche l’utero, che, una volta cicatrizzato, perde alcune delle sue proprietà. Interessante anche l’apprezzamento della Rivista sulla personalità del nostro Santo, nell’occasione della Canonizzazione, nello stesso articolo di commento al miracolo di Piersandro Vanzan: Per cogliere l’originale strategia missionaria di San Daniele Comboni(1831-81), giustamente ritenuto l’”apostolo della Nigrizia”, e la perdurante attualità delle sue intuizioni circa l’evangelizzazione inculturata, le mutue relazioni tra preti-laici-religiosi, lo scambio tra Chiese sorelle –pensiamo ai sacerdoti “Fidei donum”, anticipati dal suo postulato al Vaticano I, basterà ricordare non solo quanto emerso nel Sinodo speciale per l’Africa, svoltosi in Vaticano nell’aprile 1994, 130 anni dopo il comboniano “Piano per la rigenerazione dell’Africa” (1864), ma anche quanto recepito nell’Esortazione postsinodale di Giovanni Paolo II, “Ecclesia in Africa” (14 settembre 1994). Né fu retorico quanto, in occasione di quel Sinodo, affermò il neocardinale G. Zubeir Wako, successore del Comboni nella sede arcivescovile di Khartoum: “Senza di lui oggi non ci sarebbero vescovi, sacerdoti, diaconi, fratelli, suore e catechisti sudanesi. Noi siamo il suo sogno divenuto realtà e siamo impegnati a renderlo più reale lavorando sodo al servizio dei più abbandonati tra i nostri fratelli e sorelle”. Da parte sua il card. G. Massaia, apostolo dell’Etiopia, che aveva conosciuto il Comboni durante un soggiorno parigino (gennaio-aprile 1865) nel convento dei padri cappuccini (e insieme si ritrovarono per l’ultima volta a Frascati nell’ottobre del 1880), lo considerava «uno dei più illustri campioni del moderno apostolato». Del resto, già nel 1869 mons. Leo Meurin - un gesuita di origini prussiane, vicario apostolico di Bombay -, che lo incontrò al Cairo e restò affascinato dalla sua tempra missionaria, lo definì «il Francesco Saverio dell'Africa». Di fatto, non soltanto percorre 1'Europa, gridando la tragedia della Nigrizia, ma se ne fa paladino ai vertici della Chiesa: sollecitando Pio IX, la Curia romana e i vescovi di quasi tutti i Paesi europei, cui faceva visita e scriveva, a onorare la sollicitudo omnium Ecclesiàrum degli apostoli. Al Concilio Vaticano I (1870) presentò un Postulatum in favore dell'evangelizzazione dell'Africa, sottoscritto da 70 padri conciliari, ma rimasto senza esito per 1'improvvisa interruzione del Concilio. Schizzi biografici di un personaggio complesso e intrigante Ben più che nella letteratura agiografica tradizionale, in quella più recente Comboni viene tratteggiato con una serie di binomi apparentemente contraddittori, ma nei

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quali, a ben guardare, è radicato il suo fascino, risultando insieme semplice e complesso, ruvido e tenerissimo, utopico e realista, tenace fino alla cocciutaggine e insieme totalmente abbandonato alle mani di Dio. Un personaggio che nella sua intensa vita ha fatto tutto come se 1'esito dipendesse soltanto da lui, ma che, allo stesso tempo, sapeva che tutto era guidato da tutt'altro regista! In breve, Comboni rompe le misure del buon senso, anche dentro la Chiesa - via via egli sconcerta don Mazza, il card. Barnabò e Pio IX -, ma perciò stesso conquista e sconvolge come pochi altri. Una personalità dirompente, con una volontà di acciaio e una mistica che lascia meravigliati. La sua attività frenetica, infatti, nasce da una profonda sorgente interiore: il «Cuore trafitto del Buon Pastore», interpretando a modo suo la gesuitica devozione che aveva imparato, fin da ragazzo, all'Istituto don Mazza. Emblematici sono i ritratti che, schizzati da penne non certo omogenee nel taglio, nell'approccio e nella matrice culturale, si integrano però felicemente. In Pronzato leggiamo: «Santo sì, ma che teneva un'amante, e non era una cosa segreta. Lui, anzi, faceva di tutto perché si sapesse in giro. La passione è divampata quando aveva 17 anni e non si è più spenta, anzi cresceva col trascorrere degli anni. Viaggi disagevoli sul cammello per attraversare il deserto, [...] sete, febbri malariche, pericoli di ogni genere [...]. Nessun ostacolo riusciva a trattenerlo dal raggiungere la sua amante. E, pur di restare con lei, faceva il vescovo, il parroco, il sagrestano, il questuante,l'infermiere e perfino il becchino. Scriveva migliaia e migliaia di lettere, con uno stile incandescente, per attirare 1'attenzione su di essa. Una vita di soli 50 anni, letteralmente bruciata da questa passione incontenibile. Alla fine mons. Comboni non può esimersi dal rivelare il nome incriminato e compromettente: "Africa, mia amata"». Romanato invece sottolinea: «Fisicamente e intellettualmente Comboni visse su un crinale oltre il quale era difficile anche solo pensare di potersi spingere. L'Africa nella quale si avventurava era un continente ancora sconosciuto, che ingoiava uno dietro 1'altro missionari ed esploratori. Comboni scelse di andare a fare il prete in questa terra, pur consapevole che lui e i suoi compagni difficilmente ne sarebbero tornati vivi. [...] Se fosse stato un avventuriero, un uomo in cerca di emozioni forti oppure in fuga da se stesso, la sua scelta sarebbe comprensibile. Ma non era nulla di tutto questo, era solo un prete e un prete integerrimo, ligio a tutte le prescrizioni del suo stato. C’è insomma in lui qualcosa che sfugge ai normali criteri di valutazione». 3. Itinerario spirituale verso la Canonizzazione Affinché il grande evento fosse vissuto bene e non si limitasse ad una emozionante e festosa celebrazione, Comboniani e Comboniane furono invitati dai rispettivi Consigli Generali ad un itinerario spirituale di preparazione per conoscere ed amare di più il Comboni. Preparazione remota: dopo la notizia ufficiale del 7 marzo 2003, i tre Consigli Generali esortarono i loro Istituti ad un speciale cammino di preparazione al grande ed unico evento nella vita dell’Istituto, la Canonizzazione. Una loro lettera comune lanciò subito il messaggio: 15 marzo 2003. a. Messaggio dei tre Consigli Generali degli Istituti della Famiglia Comboniana “Dono da accogliere ed approfondire". Con questo messaggio congiunto del 15 marzo 2003, i Consigli Generali invitano i membri degli Istituti ad accogliere il dono della canonizzazione come tempo forte di rigenerazione della vocazione missionaria comboniana a livello personale e di Istituto. Vengono offerte piste di riflessione proprio sul significato della canonizzazione di Daniele Comboni, che: – attesta pubblicamente 1'amore genuino che egli ha avuto per Dio, frutto del rapporto filiale che costantemente nutriva nel suo cuore (dimensione trinitaria);

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– è un avvenimento che appartiene alla Chiesa universale (dimensione ecclesiologica missionaria). E la Chiesa stessa che lo propone come testimone singolare di Gesù Cristo e modello di sequela evangelica per tutti i cristiani; – riaccende 1'urgenza della missione, in particolare verso i popoli più abbandonati in ordine a11e condizioni di miseria più disumanizzanti (dimensione sociale antropologica); – mette un sigillo d'autenticità sulla storia missionaria vissuta dai suoi figli e figlie che con la propria vita hanno testimoniato il Vangelo in mezzo a difficoltà, sofferenze, persecuzioni ed anche fino allo spargimento del sangue (dimensione storico-martiriale). Orientamenti. Vengono poi dati alcuni orientamenti pratici da tenere presenti nelle iniziative che riguardano questo avvenimento, in cui coinvolgere tutto il popolo di Dio. In appendice al messaggio c'è la preghiera giornaliera per impetrare da Dio un nuovo slancio nella grazia della vocazione che ci ha posti/e a1 servizio della Chiesa missionaria. Come sussidi a questi orientamenti vengono suggeriti, per ogni mese del 2003, studi monografici su alcuni aspetti importanti della vita del Comboni come: – Comboni e la preghiera, aprile – Valori umani in Comboni, maggio – Un cuore missionario per il terzo millennio, giugno – Comboni e la consacrazione per la missione, luglio – Comboni, vita ecclesiale, cenacolo di apostoli, interculturalità e obbedienza consacrata, agosto – Comboni, promozione umana: nuove schiavitù: trasformazione sociale: povertà consacrate, settembre – Daniele Comboni evangelizzatore. Uomini e donne consacrati per lo stesso ideale, ottobre – Nostra Signora del Sacro Cuore: icona mariana missionaria: comboniane della evangelizzazione, dicembre. b. Celebrazione penitenziale della Famiglia Comboniana La commissione preparatoria per la Canonizzazione, invitò le famiglie comboniane a celebrare comunitariamente una funzione penitenziale. Così il 27 giugno 2003, festa del Sacro Cuore, la Famiglia Comboniana si è riunita nelle varie località dove è presente, per una celebrazione penitenziale della misericordia di Dio che ci chiama a rinnovare la nostra vita sulla via della santità che Comboni ci ha indicato. La canonizzazione del nostro fondatore e padre ci sfida a convertirci continuamente a Dio che ci chiama, alla missione che ci rinnova, alla Chiesa che ci accoglie e alle realtà del mondo che ci chiedono solidarietà. I partecipanti si sono accostati ad una brocca d'acqua, simbolo del fonte battesimale, facendo il segno della croce e cantando un canto penitenziale. Con questo segno si è fatto memoria della nostra consacrazione battesimale e si è rinnovato 1'impegno di fedeltà alla vocazione religiosa missionaria. Durante la Confessio Vitae ciascun partecipante era invitato a mettere un po' di terra asciutta a fianco del simbolo dell'acqua. Con questo segno si è riconosciuta 1'aridità della nostra vita e del nostro servizio missionario quando presumiamo di essere autosufficienti e ci stacchiamo da Colui che è la fonte della nostra vocazione e missione. Alla Confessio Fidei i partecipanti sono stati invitati a contemplare la croce di Cristo presentata assieme a dei segni di vita: fiori e frutta. 4. Preparazione prossima a. In prossimità della celebrazione per la canonizzazione, i tre Consigli Generali, con una lettera chiamano i Comboniani ad intensificare la loro conoscenza ed amore per il nuovo Santo. Lettera: "Daniele Comboni testimone di santità e maestro di missione". Con questa let-

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tera del 1° settembre 2003, i Consigli Generali presentano alcuni punti di riflessione sulla santità di Daniele Comboni e sul significato della sua canonizzazione, che ci accompagnino durante questo periodo di grazia. Nella lettera si evidenzia che 1a missione è nel cuore della santità della Chiesa: nei grandi missionari, tra i quali Comboni, la vocazione alla missione nasce dalla santità, o "perfezione della carità": è la carità (la passione, in Comboni) che spinge ad andare ad gentes e a rimanere creativamente fedeli alla chiamata. b. Comboni testimone credibile ed affascinante perché le sue parole parlano di fatti: una missione come la nostra non può vivere di soggetti pieni di egoismo e di se stessi. c. Comboni deriva il suo coraggio e la sua forza per la missione da una forte esperienza personale del Cuore trafitto di Cristo Signore della missione. d. Comboni vuole il suo missionario come persona comunitaria ma di una comunione che parte dalla convinzione di fedeltà prima di tutto alla grande comunità che è la Chiesa ed alle comunità missionarie come piccolo Cenacolo di Apostoli dal quale emanano raggi che splendono insieme e riscaldano. Comboni ha una metodologia di lavoro missionario, una “Magna Charta” che poggia su due affermazioni fondamentali. Una riguarda il fine: Salvare I'Africa con 1'Africa e l’altra concerne 1'opzione di fondo e il dinamismo insito in tale opzione: il povero, soggetto del proprio riscatto. I testimoni, per farci capire la qualità dell'amore viscerale di Comboni verso gli africani, lo defniscono il Padre dei neri, colui che aiutava tutti quanti, anche i bianchi, accoglieva a11a missione g1i schiavi, li difendeva anche davanti al governo... Il suo lascito può essere espresso con... io morrò con 1'Africa sulle labbra (S 1441): e ci chiediamo se la nostra "opzione per i poveri" è un continuare a "fare per i poveri" o è un creativo "vivere con i poveri", vivendo la scelta fatta come legame "sponsale" con le persone e le situazioni: Io ritorno fra voi per non mai più cessare d'essere vostro, e tutto al maggior vostro bene consacrato per sempre (S 3158). Significa quindi verificare la qualità, la profondità e la sincerità con cui diciamo di credere nell'altro. E interrogarci su quanto manca perché il motto comboniano Salvare 1'Africa con 1'Africa possa arrivare a piena realizzazione. e. La croce di ottone. A conclusione della lettera si parla della croce di ottone che Comboni portava costantemente al petto, al posto di quella preziosa donatagli da Pio IX: in essa scopriamo una testimonianza e un messaggio ulteriori, di cui tanti suoi missionari e missionarie hanno fatto tesoro attraverso gli anni della storia della Famiglia Comboniana e cioè: Con questa sua croce di ottone appesa costantemente al petto, Comboni, senza parlare, ci fa capire 1'elemento essenziale della sua santità missionaria: gli atteggiamenti autentici e i passi della radicalità evangelica che lo fanno avanzare nel suo ideale senza deflettere. Sembra che Comboni non abbia mai avuto bisogno di vendere la croce preziosa, gli è bastata la croce di ottone per incarnare tutta una strategia nuova di liberazione e rigenerazione delle persone e della società secondo il progetto del Regno e per consegnare a noi, Famiglia Comboniana, un lascito che oggi più che mai ci interpella. Questa croce fu trovata così: Dopo la morte di Daniele Comboni, secondo la testimonianza dal suo secondo cugino Eugenio, "venne un missionario dall'Africa a confortare il papà di Monsignore e gli portò una croce pettorale di ottone. La croce di battaglia, come egli la chiamava. Quella che il vescovo portava ordinariamente, poiché quella preziosa donatagli da Pio IX diceva che la teneva per quando S. Giuseppe avesse avuto un raffreddore, nel qual caso se ne sarebbe privato. Questa frase 1'ho sentita io stesso da don Daniele. Quella croce di ottone dopo la morte del sig. Luigi

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passò in mie mani, e la conservo come preziosa memoria, e non vorrei distaccarmene" (P II, p. 1235). L’accenno a S. Giuseppe si spiega perché il Comboni quando era senza soldi pregava S. Giuseppe. Qualora questo santo fosse indisposto, avrebbe anche venduto la preziosa croce. 5. Veglie di preghiera in sette lingue in sette chiese (4/10/2003) La commissione preparatoria invitò tutti i pellegrini venuti a Roma per la celebrazione, ad una veglia notturna il sabato precedente la domenica della canonizzazione. Così, 1'intera Famiglia Comboniana, unita ai numerosi pellegrini venuti da quattro continenti, ha celebrato una veglia di accoglienza e di preghiera contemporaneamente in sette diverse chiese di Roma a seconda delle varie lingue, per poter dare a tutti i partecipanti la possibilità di elevare con il cuore la propria preghiera al Signore e sentirsi in comunione con il mondo intero. A1 caloroso benvenuto da parte degli organizzatori delle differenti veglie sono seguiti letture bibliche, stralci dagli scritti di Comboni, testimonianze di missionari/e e laici, canti e danze che hanno contribuito a creare un clima di festa. Un momento emozionante della celebrazione è stata la processione con il quadro di Daniele Comboni portato solennemente all'altare maggiore dalle persone dei diversi gruppi linguistici. - La prima parte della veglia ha sviluppato la memoria dell'opera di Dio nel tempo e, in particolare, di quell'opera di salvezza raccontata nella storia del popolo di Israele (Es 3,7-12) e nelle storie di santità di tante persone che hanno dato la vita per il Vangelo, soffermandosi in particolare nel ricordo della dedizione del nostro Fondatore (S 809, 926) e della sua fedeltà fino alla morte: "Abbiate coraggio in quest'ora dura, e più ancora per 1'avvenire. Non desistete, non rinunciate mai. Affrontate senza paura qualunque bufera. Non temete, io muoio, ma 1'opera non morirà." - L'attualità del messaggio di Comboni è stata focalizzata nella seconda parte della veglia: il presente come "oggi di Dio". Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre (Gv 10,7-18). Per la forza del suo amore di Buon Pastore risorto dai morti anche 1'opera di Daniele Comboni ha un oggi e un futuro pieno di speranza (Sritti 944, 2790, 3553). - Nella terza parte della riflessione, guardando al futuro, è stato sviluppato il dono del carisma comboniano, dono che cresce e si sviluppa nella Chiesa e nel mondo grazie all'azione dello Spirito che nelle diverse epoche ha suscitato nel cuore di tanti/e giovani il coraggio di seguire Cristo per annunciare il suo Vangelo a tutto il mondo (S 6655-6656). È lo stesso Spirito che ha animato e sostenuto Daniele Comboni e che ha fatto di lui un profeta della missione. In tutte le chiese la cerimonia fu presieduta da un Vescovo. Per esempio, i pellegrini di lingua italiana si radunarono nella chiesa di St. Paolo fuori le mura e fu presieduta da mons. Roberto Carraro, vescovo di Verona, che ha sottolineato il grande coraggio di Comboni nell’accettare un così enorme territorio ancora inesplorato, con tante incognite sia per la popolazione come per la salute. Significativa, nel gruppo di lingua tedesca, la presenza del card. Walter Casper, ora Prefetto del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani. La sua presenza si spiega perché era stato vescovo della diocesi di Rottenburg-Stuggart alla quale appartengono le comunità di Ellwangen dei nostri confratelli tedeschi. Nel suo discorso focalizzò le sofferenze del Comboni e la sua testimonianza per i cristiani di oggi: “Daniele Comboni fu afferrato da Gesù Cristo, fu persuaso da Gesù Cristo, fu preso da Gesù Cristo per il Suo servizio e da e con Gesù Cristo si lasciò mettere ai piedi della Croce. Questa è la teologia e la spiritualità della Croce. Combomi, il profeta è stato al-

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lo stesso tempo un martire, un buon pastore che nella sequela di Cristo volle donare la sua vita per i suoi. Per questo non indietreggiò di fronte a nulla e a nessuno. Questo nuovo santo ci deve svegliare e scuotere da un cristianesimo diventato sempre più borghese, che evita la Croce, schiva il sacrificio e si scoraggia in fretta quando sorgono difficoltà. Se il chicco di frumento non cade in terra e non muore, non porta frutto”. 5 OTTOBRE – CANONIZZAZIONE Questo è il giorno che ha fatto il Signore PIAZZA S. PIETRO La sensazione visiva più evidente riguarda proprio i colori che vengono ad interrompere il grigiore mattutino della piazza: il nero e il giallo della pelle dei popoli africani e asiatici, nei loro multicolori costumi tradizionali. Ci sono 1'Africa, l’America, l’Europa e la Cina stamani in Piazza San Pietro. E lo raccontano gli arazzi sui quali sono impresse le figure dei tre nuovi santi: il volto di Daniele Comboni è come accarezzato dal profilo della sua amata terra d'Africa, Arnold Janssen tiene tra le mani, all'altezza del cuore, la bibbia e la mostra con fierezza, Joseph Freinademetz aggrappato alla Croce, indossa le vesti tipiche del popolo cinese. Le balconate, sorrette dalle colonne del Bernini, ospitano compagnie televisive da tutto il mondo. La Santa Messa ha inizio alle ore 10. Il canto d'ingresso fa subito sentire 1'alto "respiro missionario" di questa giornata: "Tutti i confini della terra hanno veduto la salvezza del nostro Dio". Di grande intensità è il rito della canonizzazione. Il Cardinale José Saraiva Martins, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, accompagnato dai postulatori (P. Arnaldo Baritussio per Comboni e P. Giancarlo Girardi per Janssen e Freinademetz), si reca dinanzi al Santo Padre, gli chiede di procedere alla canonizzazione dei tre Beati e legge una breve biografia di ciascuno di loro. NELLA BASILICA Formula di canonizzazione. Dopo il canto delle litanie il Papa pronuncia la formula della canonizzazione: "Ad onore della Santissima Trinità, per 1'esaltazione della fede cattolica e 1'incremento della vita cristiana, con 1'autorità di nostro Signore Gesù Cristo, dei Santi Apostoli Pietro e Paolo e Nostra, dopo aver lungamente riflettuto, invocato più volte 1'aiuto divino e ascoltato il parere di molti Nostri Fratelli nell'Episcopato, dichiariamo e definiamo Santi i Beati Daniele Comboni, Arnold Janssen e Josef Freinademetz e li iscriviamo nell'Albo dei santi e stabiliamo che in tutta la Chiesa essi siano devotamente onorati tra i Santi. Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo". Poi aggiunge: Quanto abbiamo decretato nella presente Lettera, vogliamo che d'ora in poi come in futuro sia ratificato e tenuto per certo, nonostante qualsiasi opinione contraria. Dato presso San Pietro, il giorno 5 del mese di ottobre, nell'anno del Signore 2003, 25° del Nostro Pontificato. Le reliquie dei nuovi santi sono collocate accanto all'altare. Quella di San Daniele Comboni viene portata da Madre Adele Brambilla, Superiora Generale delle Suore Missionarie Comboniane.

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La processione offertoriale è accompagnata da un gruppo di danzatori dell'arcidiocesi di Khartoum in Sudan con i loro travolgenti e gioiosi ritmi. Oltre al pane e al vino per il Sacrificio Eucaristico, sono presentati al Papa i doni delle tre postulazioni. Quella di San Daniele Comboni presenta una scultura africana, un calice, una patena e un ostensorio. A1 canto dell'Amen della Dossologia, prima del Pater Noster, ha luogo il rito liturgico Arati, secondo le modalità della cultura indiana. Il coro indiano esegue il canto “Aradhana Ho” dedicato alla Santissima Trinità, mentre alcune danzatrici eseguono la tradizionale coreografia religiosa. In piazza San Pietro ci sono tantissime persone legate, anche personalmente, ai tre nuovi santi. Sono presenti, in particolare, i familiari: tra loro, la signora Rosangela Comboni, pronipote del nuovo santo, e la signora Maria Comboni Kopianska, anch'essa discendente della famiglia e oggi residente negli USA. OMELIA del Papa "Predicate il Vangelo ad ogni creatura" (Mc 16,15). Con queste parole il Risorto, prima dell'Ascensione, affidò agli Apostoli 1'universale mandato missionario. Subito dopo, li assicurò che in tale impegnativa missione avrebbero potuto contare sulla sua costante assistenza (cfr: Mc 16,20). Queste stesse parole sono risuonate, in modo eloquente, nell'odierna solenne celebrazione. Esse costituiscono il messaggio che ci rinnovano questi tre nuovi Santi. Passando poi all’Evangelizzazione cioè alla ragione comune della loro santità, espressa in maniera differente secondo il loro carisma personale. Del Comboni disse: "Tutti i popoli vedranno la gloria del Signore". Il salmo responsoriale, che poc'anzi abbiamo cantato, sottolinea 1'urgenza della missione “ad gentes” anche in questi nostri tempi. Sono necessari evangelizzatori dall'entusiasmo e dalla passione apostolica del vescovo Daniele Coanboni, apostolo di Cristo tra gli Africani. Egli impegnò le risorse della sua ricca personalità e della sua solida spiritualità per far conoscere ed accogliere Cristo in Africa, continente che amava profondamente. Come non volgere, anche quest'oggi, lo sguardo con affetto e preoccupazione a quelle care popolazioni? Terra ricca di risorse umane e spirituali, 1'Africa continua ad essere segnata da tante difficoltà e problemi. Possa la comunità internazionale aiutarla attivamente a costruire un futuro di speranza. Affido questo mio appello all'intercessione di san Daniele Comboni, insigne evangelizzatore e protettore del Continente Nero. 6 OTTOBRE Messa di ringraziamento e udienza del Santo Padre a. Messa di ringraziamento In S. Pietro si rinnova la festosità del giorno prima, dovuta soprattutto ai canti, anche in arabo, dei Sudanesi pieni di entusiasmo per il Comboni, come diceva il card. Gabriel Zubeir Wako, Arcivescovo: “Il Sudan è talmente legato al Comboni che chi dice Sudan dice Comboni e viceversa”. Lancia ai missionari l’appello: “Portate Cristo, perché è di Lui che il popolo africano ha bisogno”

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Un gruppo di pellegrini dall'America Latina, prima della benedizione finale, presenta un'icona della Madonna mentre P. Teresino Serra, Superiore Generale dei Comboniani, legge la preghiera di affidamento a Maria di tutta la Famiglia Comboniana usando la formula scritta da Comboni e adattata alla circostanza. b. Udienza del Santo Padre Ecco quanto disse ai Comboniani: “Saluto tutti voi, cari Missionari Comboniani del Cuore di Gesù, che proseguite 1'azione apostolica di San Daniele Comboni. Egli viene giustamente annoverato fra i promotori del movimento missionario che ebbe nella Chiesa del diciannovesimo secolo uno straordinario risveglio. In particolare, saluto il Superiore Generale recentemente eletto. P. Teresino Serra, e i religiosi partecipanti al Capitolo Generale. Auspico che le riflessioni e le indicazioni scaturite da11'assemblea capitolare infondano un rinnovato slancio missionario al vostro Istituto. Saluto poi voi, care Suore Missionarie Comboniane Pie Madri della Nigrizia, e voi, care Secolari Missionarie Comboniane e cari Laici Missionari Comboniani, che vi ispirate al carisma di San Daniele Comboni”. Iddio renda fruttuosa ogni vostra iniziativa, sempre tesa a diffondere il Vangelo della speranza. Benedica, inoltre, g1i sforzi che compite nel1'ambito della promozione umana, specialmente a favore della gioventù. A questo riguardo, auspico vivamente che sia ripreso e portato a compimento il progetto di fondare un'Università Cattolica in Sudan, terra cara al Comboni. Sono certo che una così importante istituzione culturale renderà un qualificato servizio all'intera società sudanese. CELEBRAZIONI FUORI ROMA Come dopo la Beatificazione vi furono molte celebrazioni, così dopo la Canonizzazione. Le più significative furono a Verona, Brescia, Limone. In Africa (il Cairo, Medina, Asswan, Alessandra, Khartoum), con una solenne S. Messa. Vi furono altre ceronie di ringraziamento sia per la canonizzazione come per la nomina a Cardinale del settimo successore del Comboni, sua Eminenza Gabriele Zubeir Wako, che tenne una molto interessante omelia indirizzata soprattutto ai sacerdoti, ai religiosi ed a tutti i Sudanesi: “Mi rivolgo a voi giovani. Vi ho detto che siamo nel millennio dei giovani; il millennio di coloro che guardano al futuro, che vogliono costruire il futuro, non un futuro qualsiasi, ma un futuro per 1'Africa, un futuro dove ci sia pace, riconciliazione e santità. Questo è il tipo di futuro che abbiamo fortemente desiderato e oggi noi stiamo celebrando 1'uomo che davanti al mondo intero ha dichiarato che era possibile e necessario che 1'Africa fosse riconosciuta come una terra di pace, di amore, la terra di Gesù Cristo. Al tempo del Comboni, i libri di geografia illustravano 1'Africa come la terra di animali selvaggi e gli Europei pensavano che gli Africani non fossero persone umane. È stato Comboni a dire loro che anche gli africani sono figli di Dio, creati a sua immagine e somiglianza e che anche per loro Gesù Cristo è morto sulla Croce. Il Cuore di Gesù, allora come oggi, batte d'amore per 1'Africa perché qui c'è una moltitudine di poveri e bisognosi. Così Comboni ha fatto suo il compito di portare avanti 1'opera di salvezza dell'Africa iniziata da Cristo e di rivelare agli Africani il Cuore di Gesù. Con questa festa vogliamo dire: grazie Comboni e grazie Signore per

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averci mandato Comboni. Vogliamo tradurre il nostro grazie in qualche cosa di nuovo: la speranza e il lavoro di Comboni erano tutti per una nuova Africa, un'Africa rinnovata e questo è possibile solamente attraverso tutti noi, anziani e giovani, tutti noi vogliamo costruire quell'Africa che Comboni desiderava. Ma se vogliamo che questa Africa esista, é necessario far conoscere Cristo attraverso tutto il suo territorio; senza Cristo 1'Africa non può progredire, perché la salvezza è solo in Gesù Cristo e se questa è la nostra fede allora dobbiamo indirizzare tutti i nostri sforzi a conoscere Gesù e a farlo conoscere ai nostri fratelli e sorelle. Gesù Cristo è il solo che può risolvere i problemi attuali nell’Africa e nel Sudan. Poi ha proclamato un anno comboniano invitando tutti, missionari/e, sacerdoti, suore e laici a conoscere di più la santità e l’eroismo del Comboni. Mettendo bene a fuoco che Comboni ha messo in programma anche la promozione e il progresso dei popoli africani, aggiunse: “Comboni diceva-Salvare l’Africa con gli Africani- io vi dico –salvate il Sudan-” Interessante il suo invito ai laici: “Il futuro della Chiesa è nelle mani dei laici. Questo millennio sarà il vostro millennio insieme con i giovani nella Chiesa, nella politica, nel governo. Dovete essere fedeli alla vostra fede e agli insegnamenti cristiani. Questo è quello che vogliamo per poter crescere nella nostra fede. Dobbiamo capire che ogni sbaglio nelle nostre vite che noi sempre giustifichiamo come parte della nostra umanità, è i1 tipo di umanità che crocifisse Gesù. Non possiamo rinnovarci, non possiamo avere vocazioni se non viviamo una vita che abbia un significato. Immaginatevi cosa accadrebbe se veramente fossimo capaci di vivere una felice e realizzata vita di consacrazione. Dobbiamo lavorare per le vocazioni. Prendiamo 1'esempio di Comboni. Vi sto parlando di vocazioni al sacerdozio e alla vita religiosa. B. FATTI SALIENTI CONNESSI CON L’ISTITUTO I. COMLA - CAM

a. Que es un COMLA? Es un Congreso Misionero Latinoamericano que espresa y celebra la vida y las iniciativas misioneras de todas nuestras iglesias y de todas nuestras comunidades. Es un paso importante que ha estimulado el camino misionero del América Latina, “Continente de la Esperanza” (Juan Pablo II). b. Como nacieron los COMLAs? Inspirados y promovidos por las Obras Misionales Pontificias, fueron organizados conjuntamente por la Conferencia Episcopales con la partecipaciòn corresponsable de la Iglesias particulares y todos los organismos y fuerzas misioneras. Tuvieron su origen en Mexìco en 1977. La presencia del cardenal angelo Rossi, Prefecto de la Congrecaciòn para la Evangelizaciòn de los Pueblos, y de las delegaciones de los paìses de América Latina, le dieron a ese Congreso el càracter de continental convirtiéndose en el Primer Congreso Misionero de América Latina y paìses del Caribe. c. Quales son los fines de los COMLAs ? – Profundizar la responsabilidad misionera de las Iglesias particulares antiguas y nuevas, intensificando el servicio mutuo entre ellas y desde éstas, proyectarse màs allà de sus proprias fronteras « ad gentes ».

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– Coordinar en el àmbito continental las iniciativas y actividades misioneras a ser realizadas màs allà de nuestras fronteras. – Asumir corresponsablemente la misiòn evangelizadora de la Iglesia en todos los tiempos, situaciones en todo el mundo « dando desde nuestra pobreza » (DP368) a través de la preparaciòn y envìo de misioneros. – Motivar prioridades y asumir compromisos de animaciòn, formaciòn y organizaciòn misionera. d. Argentina como sede del COMLA 6 – CAM 1 Los Obispos presidentes de las Comisiones Episcopales des Misiones adoptaron el sistema de votaciòn personal y hecha la votaciòn secreta, el resultado fue el siguiente : Argentina 13 preferencias, ecuador 12 preferencias. Los representantes de Argentina agradecieron la designaciòn y se compromitieron a asumir la organizaciòn del COMLA 6. VI Congreso Misionero Latinoamericano 28 septiembre – 3 octubre 1999 CONCLUSIONES 1. Experiencia de Cristo Profundizar la propia experiencia de encuentro con Cristo, comulgando con sus sentimientos y actitudes, fortaleciendo la identidad humano-cristiana, para favorecer el encuentro con el otro. 2. Formaciòn Impulsar la formaciòn y animaciòn misionera para todos, y en todos los niveles, specialmente en los seminarios, institutos, parroquias y casas de formaciòn. Incorporar la dimensiòn misionera en toda la catequesis. 3. Iglesia local: estructuras para la misiòn Favorecer y articular las estructuras de animaciòn, formaciòn, acompaňamiento y sostenimiento de todas las vocaciones misioneras « ad Gentes » (ad intra y ad extra). Revisar, actualizar y dar a conocer las OMP, de manera que favorezcan su inserciòn en la pastoral de conjunto de la Iglesia local ; para un mayor diàlogo y mejor comuniòn entre los distintos responsables de la tarea misionera. 4. Anuncio del kerigma Despertar un ardor misioneros que, inspirado alla mistica de las primeras comunidades cristianas; anuncie con audacia que Cristo ha muerto y resucidado y està vivo con nosotros (Kerigma). 5. Misiòn ad gentes Promover que la iglesia local el su consunto, a partir de sus pastores, asuma la responsabilidad misionera ad gentes, de manera que la animaciòn misionera sea eje trasversal de toda actividad evangelizadora. 6. Globalizaciòn Aprovecar las posibilidades de la globalizaciòn (MCS, Internet, trasportes) para que las iglesias locales se abran a la universalidad, favoreciendo la creaciòn de fuentes de intercambio entre ellas.

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En respuestas al aumento de personas y grupos excluidos, fortalecer y promover los valores y riquezas de la cultura de cada pueblo, a partir del respeto por la dignidad de cada persona humana, imagen de Dios. 7. Medios de comunicaciòn social Teniendo en cuenta a los destinatarios, creyentes y no creyentes, de la evangelizaciòn, promover y apoyar los MCS, invirtiendo recursos en capacitaciòn ; Concientizaciòn y infraestructuras. 8. Diàlogo écumenico y interreligioso Favorecer y acrecentar en las Iglesias locales esperiencias conjuntas con otras confessiones cristianas y religiones : oraciòn comùn, promociòn de la dignidad humana, valores fundamentales. 9. Opciòn preferencial por los pobres Impulsar en la Iglesia americana estructuras de solidaridad para responder, con clara opciòn, a los làzaros de nuestro tiempo. 10. Pastoral urbana Asumir como prioridad la misiòn a los grandes centros urbanos, mediante una pastoral encarnada en las distintas realidades: pequeňas comunidades, promociòn de los ministerios laicales, celebraciones festivas, llegando a los sectores màs alejados. 11. Pastoral orgànica Vivir la misiòn como una esquela de comuniòn y partecipaciòn, poniendo en comùn los dones recibidas segùn las distinctas vocaciones (laicos – individualmente o en familia -, consagrados/as, ministros ordenados) de manera que la colaboraciòn entre los dieferentes miembros abra a un impulso misionero renovado. Promover la planificaciòn de la pastoral orgànica, en un proceso participativo que integre a todos los bautizados. Concientizar sobre la importancia del diàlogo como elemento constitutivo de la misiòn de la Iglesia, promoviendo una mentalidad abierta y un espìritu dialogante, desde la pastoral del conjunto. 12. Liturgia Favorecer la reflexiòn y la praxis que permita a las Iglesias particulares celebrar y vivir una liturgia profundamente inculturada. 13. La mujer Abrir espacios para la partecipaciòn activa de la mujer en la reflexiòn, en la toma de decisiones pastorales, y en la vida de la Iglesia. 14. Los niňas Promuover dentro de la Iglesia local y universal la Infancia misionera y otras iniciativas que buscan impulsar en los niňos desde pequeňos la participaciòn en la misiòn de la Iglesia. 15. Iglesias hermanas Concientizar sobre la corresponsabilidad de la Iglesia local hacia la Iglesia universal y promover la cooperaciòn y intercambio misionero entre las diòcesis, utilizzando la comunicaciòn de bienes (material, clero, consagrados, laicos y medios de comunicaciòn social).

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16. Maria Contando con el ausilio de Maria caminamos hacia un nuevo despertar de la conciencia misionera de nuestra Iglesia americana. Ella nos acompaňa en este impulso de cunverciòn, comuniòn, y solidaridad, mientras nos repite el llamado del Hijo : América, con Cristo, sal de tu tierra. II. BEATIFICAZIONE DI DAUDI OKELO E JILDO IRWA

1. La storia Il luogo è una cappella catechistica di Paimol della missione di Kitgum, staccata da Gulu, mel 1915. Etnia Acholi nel Nord Uganda, confinante al nord con il Sud Sudan. La data: domenica 18 ottobre 1918. Paimol o Wi Polo è oggi cappella della Missione di Kalongo. a. I protagonisti Davide Okelo, detto "Daudi", era nato forse nel 1902 nel villaggio di Ogom-Payira a nordovest di Kitgum, da genitori pagani. A circa 14 anni ricevette il Battesimo e poi la Cresima un paio di anni prima del martirio, che egli subì intorno ai suoi sedici-diciotto anni. Questo, diciamo secondo un computo assai relativo fornito dal padre al momento della registrazione anagrafica. Di buoni costumi, a detta di tutti gli intervistati, pare che a Davide fosse stato promesso il matrimonio con una ragazza del luogo. Anche lei frequentava il corso catecumenale, che però aveva lasciato all'improvviso perché affetta da pulci penetranti. Daudi era entrato in catecumenato per imitare il fratello Antonio, il quale era stato anch'egli catechista ed era prematuramente scomparso forse di fame e stenti o di malaria. Una volta ricevuto il battesimo Daudi si offrì di sostituirlo. Assai più giovane, addirittura dodicenne al martirio, era 1'altro catechista, Gildo (Ermenegildo) Irwa, nato nel villaggio di Bar Kitoba-Labongo anch'esso a nord-ovest di Kitgum, forse nel 1906, da genitori pagani, dei quali solo il padre riceverà il Battesimo nel 1952. Battezzato e poi pure confermato nel 1916, anche di Gildo non viene detto altro che ogni bene possibile. Il missionario che lo battezzò aveva la fondata e bell'ipotesi che egli non abbia mai perso la grazia battesimale. b. La situazione della zona di Paimol era difficile, infatti: – la nuova presenza del colonialismo inglese che appoggiava i protestanti, ingenerò facilmente che la religione cristiana era strumento di penetrazione dei colonialisti. – I missionari, con l’intenzione di creare un certo gruppo di fedeli, ridussero il catecumenato da quattro a due anni. Ciò allarmò gli stregoni che approfittarono della siccità, della spagnola e di un certo tipo di Sifilide importata dagli Arabi, per dare la colpa alle novità dall’estero. – In tale clima, qualche particolare intervento dell’autorità coloniale trovava irragionevole opposizione di gruppi di ribelli, gli Adwi che diventarono alleati degli Abas, predatori di origine musulmana provenienti dall’ Abissinia. Padre Cesare Gambaretto pensò di rimpiazzare il catechista Antonio. Daudi Okelo si offrì e Jildo Irwa pensò di andare con lui: erano completamente liberi. È commovente ed eloquente quanto riferisce P. Gambaretto, il parroco. "Dunque siete disposti ad andare a Paimol? Sapete bene che la gente di quel paese è cattiva e tu Gildo sei tanto piccolo!"; "Davide però è grande - rispose - e noi staremo insieme"; "Ma se vi ammazzeranno?"- "Andremo in paradiso"; "C'è già anche Antonio - soggiunse Davide - io non temo la morte. Gesù non è morto per noi?" - "Io, commenta il parroco, ero commosso, quasi

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presentivo qualche cosa, ma mi scosse Gildo: "Padre, non temere. Gesù e Maria sono con noi" c. Segni di santità, atteggiamento nobile ed equilibrato: infatti i testi sono categorici nel dire che i due catechisti erano unicamente intenti al loro servizio: "Morirono nell'adempimento esatto del loro insegnamento". – Dono della fortezza: invitati a fuggire per il pericolo di violenze, rispondevano all'amico Bonifacio: «Abbiamo lavorato nella stessa opera; se è necessario morire, bisogna che moriamo insieme». «Queste sono sofferenze connesse con la religione, il Signore ci aiuterà in esse». – Carità e reiterata volontà di fedeltà: "Io sono venuto soltanto per insegnare la Verità della religione" affermava Davide – Volontaria accettazione della morte: un uccisore ha testimoniato: "Non scapparono di fronte alla morte" (S,41); di possibilità di fuggire ne avevano avute nei due giorni precedenti. E Gildo, visto Davide ormai morto, esclamò: "Voi che avete ucciso Davide, perché catechista, perché lasciate stare me? Uccidete anche me”. Essi lo presero e uccisero anche lui. Una morte dunque, quella di Davide e Gildo, inflitta per la loro condizione di catechisti ed accettata volontariamente, non per sconsideratezza umana o per atto provocatorio, ma con una motivazione di fede. Il P. Gambaretto, loro parroco che li aveva mandati a Paimol, ha scritto: "Ritornai nella capanna, presi il catechismo, libretti e rosario. Uscii, li consegnai ai due giovani inginocchiati sotto la veranda, li benedissi, recitammo insieme un'Ave Maria e partirono"; andarono verso la morte martiriale. Alla violenza degli assalitori avevano opposto la propria innocenza, 1'affermazione del proprio esclusivo operato di catechisti e la fedeltà e fermezza nel compimento della propria missione. Dato che qualche missionario pensava e pensa che la ragione fu solo quella che cooperavano con i colonialisti perché nel catecumenato avevano imparato a leggere e scrivere, aggiungo il giudizio di un teologo che diede il suo voto per la beatificazione. “A mio avviso pertanto risultano determinanti per fondare 1'odium fidei 1'opinione delle persone (i testi), la presenza di forze avverse alla religione introdottesi nella sommossa e il riconosciuto carattere religioso del servizio e della collaborazione di Davide e Gildo; 1'aspetto non religioso e quello politico non mancano nella vicenda, ma ciò diventa secondario nella fattispecie in esame”. d. La Positivo, testo che espone i fatti e le virtù, così organizza e prova il martirio formale da parte del persecutore: a) Davide e Gildo sono stati cercati come e perché catechisti (S, 14, 26, 30, 33, 47, 62); b) non potevano essere cercati dagli assalitori che come catechisti (S, 14, 77, 25, 16, 40); c) sono stati invitati a lasciare il loro servizio di catechisti (S, 77, 84-85); d) la sommossa a Paimol era stata organizzata dagli Adwi, componente locale violenta e con tendenze antireligiose, e dagli Abas mussulmani (con turbante); e non mancava 1'influsso degli stregoni tradizionali manipolatori del sacro (I, 80-92), che contrastavano 1'avanzare del cristianesimo. Giustamente P. Albertini, uno degli interroganti nella escussione dei testi del 1952-53 ha scritto: “Anche negli avvenimenti di Paimol i numerosi testimoni assicurano: a) che ci fu una violenta azione per sradicare quello che era straniero (governo e religione); b) che Davide e Gildo, di condotta intemerata e volontariamente dediti alla evangelizzazione della zona consapevoli del pericolo, restarono sul posto; c) che furono messi a morte perché catechisti (I, 93; S 194).

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I punti deboli in tutta la narrazione, sono stati tutti chiariti da Padre Marchetti che, nel 1996, riesumò la causa ferma dal 1953 e dal Postulatore, Padre Arnaldo Baritussio, che prese a cuore la causa. I fautori della tesi dell'assassinio a sfondo politico dimenticavano che 1'odium fidei raramente esiste allo "stato puro" nella storia dei martiri e che esso inevitabilmente è associato alle ideologie filosofiche e politiche; si tratta di operare il giusto discernimento per fare emergere la verità dell'odium fidei; - comunque va riconosciuta la serietà de11a presente Positio che ha documentato i fatti, ha chiarito i problemi, ha spiegato le lacune ed ha messo i Consultori Teologi in condizione di dare un giudizio motivato sul martirio e la fama di martirio dei Servi di Dio Davide Okelo e Gildo Irwa. 2. Il martirio cruento I due giovani partirono per Paimol con il catechismo, il rosario e qualche loro indumento. Padre Gambaretto li fece accompagnare da un catechista adulto, Bonifazio Okot, il quale li presentò alle autorità locali: Ogal, il capo dei soldati del deposto capo Lakidi e la gente del villaggio li accolse. Ogal offrì loro una capanna nel suo cortile ed offrì loro abbondante cibo. I due giovani, appena possibile, radunarono un gruppo di ragazzi che volevano imparare la vera religione. Incominciarono a insegnar loro il catechismo. Per parecchi mesi lavorarono con tranquillità, poi incominciò un periodo molto agitato. Paura e superstizioni trionfarono. Il giorno del martirio: il 18 ottobre 1918. I due giovani furono ammoniti ma non fuggirono. La notte del 18, si chiusero nella capanna un po’ trepidanti. Il martirio materiale dei Servi di Dio Davide e Gildo é documentato con solida certezza; ne conosciamo: il contesto prossimo degli ultimi due giorni, non privi di sospetti segni premonitori: le ultime ore le hanno passate da soli nella capanna (I, 56-57; S, 33); il contesto immediato, con 1'assalto degli assassini nella semioscurità del primissimo mattino: sono afferrati e portati fuori dai recinti del villaggio e vengono uccisi (I, 57-58; S, 10, 14, 26, 70, 127-128); i testi oculari dell'eccidio: ci sono due testi oculari, uno il catecumeno Onorio e 1'altro 1'uccisore stesso di Gildo, Opio (I, 57-59; S, 9, 39, 56); gli uccisori materiali: almeno quattro degli assalitori si diressero verso la capanna dei catechisti per ucciderli; Davide fu ucciso da Okidi e Gildo da Opio (I, 59-61; S, 10, 14, 24, 85); i mandanti: sono identificati nei due personaggi chiamati Lakidi e Ogal, collegati con gli Adwi, tutti ostili alla religione cristiana (I, 61; S, 13, 40, 158); la sequenza dell 'uccisione: prima è abbattuto Davide e poi Gildo, anche se questo ha ricevuto un primo colpo non letale e alla fine un colpo di coltello al collo che gli lasciò 1a testa a penzoloni (I, 62; S, 14, 40, 162); gli strumenti utilizzati: tutti i testi parlano di colpi di lancia (I, 62-63; S, 10, 34, 71, 119, 145); la localizzazione dei colpi inferti con la lancia: sotto 1'ascella per Davide e al petto e alla schiena per Gi1do. Non si escludono altri colpi, ma uccisore era considerato il primo che colpiva (I, 63; S, 58}; il luogo dell'uccisione: fuori dal villaggio di Muto del sottocapo Ogal; secondo la tradizione acholi 1'ospite era sacro e ucciderlo nel proprio recinto portava all'uccisore grandi disgrazie (I, 6364; I, 57, 70);

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la determinazione del tempo: è specificata con "molto presto, a11'albeggiare"; "i galli avevano cantato solo due volte" quindi, in linguaggio africano, siamo fra le 3.30 e la 4.00 del mattino (I, 64; S, 69); la determinazione del giorno: il 19 ottobre 1918, un lunedì (I, 64-67; S, 33, 37, 89); le salme: identificate da più testimoni, sono più tardi trascinate sopra un termitaio spento, ubicato vicino al posto dell'uccisione (I, 67; S, 71); esse restarono scoperte per molte ore. Pertanto resta ampiamente provato che i due catechisti Davide e Gildo furono uccisi, anche se le testimonianze parlano concretamente di un solo corpo sommariamente sepolto (quello di Davide); quello di Gildo fu quasi distrutto, verosimilmente da animali di rapina (I, 106). Il voto della commissione teologica fu unanime. Dato che il martirio è già miracolo di fede per se stesso, non sono necessari altri miracoli. VEGLIA DI PREGHIERA 19-10-2002 1. In preparazione al giorno della proclamazione vi fu una veglia di preghiera dalle 20.30 in poi, in diverse Chiese di Roma per differenti lingue. In lingua italiana la veglia fu fatta nella Chiesa di san Giovanni dei Fiorentini, in via Giulia. La preghiera fu guidata da Mons. J.B. Odama, e da Sacerdoti Acholi che conoscevano bene l’Italiano. La cerimonia cominciò col richiamare l’opera dei missionari Comboniani che hanno portato il messaggio Evangelico al quale anche i due martiri, Daudi e Jildo aderirono fino al martirio. Mentre ne leggevano i nomi avanzavano i quadri con le foto dei primi missionari Comboniani che hanno fondato e lavorato a Kitgum in quegli anni: Padre Antonio Vignato (+1954); P. Giuseppe Beduschi (+1924); P. Cesare Gambaretto (+1967); P. Giovanni Battista Pedrana (+1967). Dopo l’arrivo un lettore citava un passo dell’Esortazione Apostolica Post-Sinodale di Giovanni Paolo II in “Ecclesia in Africa”. 2. Il Sinodo per l’Africa, ha degnamente assolto questo debito di riconoscenza in occasione della sua prima Congregazione generale, quando ha dichiarato: “È il caso qui di rendere un vibrante omaggio ai missionari, uomini e donne di tutti gli Istituti religiosi e secolari, e a tutti i paesi che, nel corso dei 2000 anni circa di evangelizzazione del continente africano […] si sono dedicati intensamente a trasmettere la fiamma della fede cristiana […]. Ecco perché noi, felici eredi di questa meravigliosa avventura vogliamo rendere grazie a Dio in questa solenne circostanza”. Nel messaggio finale del Sinodo, i Vescovi africani hanno riconosciuto poi il ruolo fondamentale dei catechisti quali indispensabili collaboratori dei missionari. 3. Racconto del martirio Innanzitutto i lettori citano una lettera di P. Vignato che scrivendo da Kalongo, futura missione di Paimol, distaccata da Kitgum, dice: “questa nuova missione sarà dedicata ai 22 martiri d’Uganda, per ricordare, con questi, anche i nostri due indimenticabili Jildo e Daudi, i quali furono uccisi per la sola ragione di trovarsi a Paimol come catechisti della nostra santa religione al tempo della sanguinosa rivolta.” Poi descrive l’ambiente dei giorni del martirio “l’apostolato missionario stava incontrando numerose difficoltà. Nell’ambito religioso, gli stregoni vedevano nella nuova religione la causa di tutte le disgrazie del momento. A questi si era aggiunta anche la presenza di gruppi mussulmani che, con l’insediarsi della nuova religione, vedevano compromessa la loro sete di oro bianco (avorio) e nero (schiavi). Nell’ambito civile poi, particolarmente a Paimol, rivoltosi lo-

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cali, insofferenti del dominio inglese, cercavano di liberarsi dal giogo straniero eliminando quanti collaboravano con il bianco. Per raggiungere i loro fini confondevano le persone facendo loro credere che non c’era alcuna differenza tra il bianco inglese (munu negreza), i razziatori dalla pelle chiara (munu jadia) e i missionari (munu kharatumi).” (I missionari erano chiamati così perché i primi che arrivarono in Uganda appartenevano al Vicariato Apostolico di Khartoum (Sudan). Però giù nel 1913 le missioni in Uganda, dipendevano dal Vicariato Apostolico di Wau (Sudan). La gente però in cuor suo cominciava a capire e a distinguere chi li ingannava e chi li difendeva, anche se non poteva impedire l’aumentare della tensione. Le letture poi richiamano agli educatori dei giovani africani l’esempio dei martiri Daudi e Jildo, come giovani che hanno generosamente donato il meglio di sé, invitando la Chiesa e la società ad educare la moltitudine dei giovani che anelano a un futuro in cui per tutti ci sia la possibilità di prepararsi convenientemente agli impegni della vita e spingono la stessa Chiesa e società ugandesi a farsi promotori di un’azione che spezzi la spirale delle continue violenze, ricrei la fiducia tra le parti sociali e riporti un clima di sicurezza tra le persone. 4. Si ricordano i 64 catechisti Acholi uccisi durante la ribellione ancora viva da 17 anni. Mentre molta gente era fuggita per paura dei ribelli, i catechisti rimasero a conforto della gente, nei dispersi villaggi. Vicino all’altare era disegnata una croce. Mentre i lettori leggevano i nomi dei catechisti, i fedeli presenti mettevano all’interno della Croce un lumino: alla fine la Croce era piena di luce. Un lettore: “Daudi e Jildo subirono una morte violenta inferta loro con lance e lame di coltello perché, come catechisti, erano impegnati nell’insegnamento della religione. Da loro, la morte fu accettata con fede e serenità nella consapevolezza di partecipare alla morte e risurrezione di Cristo. Un comportamento di prudenza umana avrebbe dovuto suggerire la fuga; tuttavia, lo slancio di Daudi e Jildo è spiegabile alla luce della generosità tipica di questi giovani e dal desiderio di testimoniare Cristo. La loro morte ha portato la fede cristiana non solo a Paimol, ma a tutto il popolo Acholi.” La liturgia si chiude con la preghiera liturgica dei martiri. CELEBRAZIONE IN PIAZZA S. PIETRO 20 ottobre 2006 – Giornata Missionaria Mondiale 1. La piazza era un tripudio di movimenti e di gioia Oltre all’arazzo dei due martiri, vi erano altri quattro per altrettanti futuri Beati. L’arazzo dei nostri due martiri troneggiava in mezzo, sulla facciata di S. Pietro, circondati da due a destra e altri due a sinistra. Un maestro Acholi folgorato da tale spettacolo esclamò: “Ma guarda cosa succede: due giovani vissuti e uccisi in un villaggio sperduto in una grande savana del primitivo Nord Uganda, eccoli là da trionfatori di fronte a migliaia di pellegrini e visti da tutto il mondo attraverso la TV. E il Papa si occupa di loro. Solo nella Chiesa Cattolica, possono succedere questi avvenimenti straordinari e rarissimi.” Vi era anche il folklore dei ballerini Acholi con la pelli di leopardo lungo la schiena e le penne bianche di struzzo sul capo, i sonagli ai piedi, il tamburello africano che, mentre in cerchio si muovevano, battevano e cantavano. Donne intorno che danzavano al ritmo dei tamburi ed emettevano il loro grido tradizionale di gioia. I pellegrini comboniani si distinguevano con il foulard crema, mentre i pellegrini degli altri quattro beatificandi, avevano differenti segni ben visibili.

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2. La proclamazione L’introito di gioia universale “Jubilate Deo omnis terra” aprì la cerimonia e dopo il Kyrie, fece seguito la domanda al Santo Padre per la proclamazione di rito. A nome dei rispettivi Vescovi delle altre Diocesi e dei loro Postulatori S.E. Mons. John Baptist Odama, Arcivescovo di Gulu, lesse la domanda alla quale il Santo Padre rispose con la formula di Beatificazione. Presenti alla cerimonia il Cardinal Emmanuele Wamala, Arcivescovo di Kampala, con altri cinque Vescovi, con il Nunzio Apostolico dell’Uganda, più molti sacerdoti e suore anche ugandesi. “Noi, accogliendo il desiderio dei Nostri Fratelli, John Baptist Odama, Arcivescovo di Gulu, Paolo Magnani, Vescovo di Treviso, Severino Card. Poletto, arcivescovo di Torino, Giacomo Barbino, Vescovo di Ventimiglia-San Remo, e Antonio Mattiazzo, Arcivescovo-Vescovo di Padova, e di molti altri Fratelli nell’Episcopato e di molti fedeli, dopo aver avuto il parere della Congregazione delle Cause dei Santi, con la Nostra Autorità Apostolica concediamo che i Venerabili Servi di Dio Daudi Okelo e Jildo Irwa, Andrea Giacinto Longhin, Marcantonio Durando, Marie de la Passion Hélène Marie de Chappotin de Neuville e Liduina Meneguzzi d’ora in poi siano chiamati Beati e che si possa celebrare la loro festa nei luoghi e secondo le regole stabilite dal Diritto, ogni anno: il 20 ottobre per Daudi Okelo e Jildo Irwa, il 26 giugno per Andrea Giacinto Longhin, il 10 dicembre per Marcantonio Durando, il 15 novembre per Marie de la Passion Hélène Marie de Chappotin de Neuville e il 2 dicembre per Liduina Meneguzzi. Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.” Tra le autorità politiche vi era la Vice Presidente dell’Uganda, Sig.ra Speciosa Kazibwe, Ministri e Ambasciatori pure dell’Uganda, etc.. 3. Discorso del Santo Padre Dopo l’introduzione che cita il comando di Cristo agli Apostoli “andate dunque e battezzate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo” (Mt. 28.19), il Santo Padre menziona per primi i due martiri. “Rivolgo i miei pensieri prima di tutto ai due giovani catechisti ugandesi, Daudi Okelo e Jildo Irwa. Questi due coraggiosi testimoni erano poco più che ragazzi quando, con fede e umiltà, versarono il proprio sangue per Cristo e per la Sua Chiesa. Con gioioso entusiasmo per la propria missione di insegnamento della Fede ai loro concittadini, nel 1918 andarono lontani dai loro villaggi dove l’evangelizzazione era appena agli inizi in quella regione, che scelsero di abbracciare la morte piuttosto che abbandonare l’area e i loro doveri di catechisti. Realmente nella loro vita e nella loro testimonianza possiamo appurare che erano “amati da Dio ed eletti da Lui” (cfr 1 Ts 1, 4). Oggi Daudi e Jildo vengono offerti a tutta la comunità cristiana quali esempi di santità e virtù e quali modelli e intercessori per i catechisti di tutto il mondo, in particolare in luoghi nei quali i catechisti soffrono ancora per la fede, subendo a volte l’emarginazione sociale e correndo persino rischi personali. Che la vita e la testimonianza di questi due devoti servi del Vangelo ispirino molti uomini e molte donne in Uganda, in Africa e ovunque, a rispondere con generosità alla chiamata ad essere catechisti, portando la conoscenza di Cristo agli altri e rafforzando la fede di quelle comunità che hanno ricevuto di recente il Vangelo della salvezza.” [Dall’Osservatore Romano lunedì – martedì 21-22 ottobre 2002]

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4. Danze e canti africani hanno scandito poi la processione offertoriale Il canto spontaneo diceva: “Tutto è dono di Dio e a Lui deve essere restituito: il denaro i semi di miglio, i piselli, il cotone, il tabacco, il caffè, le banane, la mucca, la capra, la gallina, le patate (dolci), il granturco, il riso.” Canto molto concreto, che esprime i bisogni fondamentali della vita di ogni uomo. Differenti i concetti del coro indiano: al canto della dossologia, ha avuto luogo il rito liturgico “arati” secondo le modalità della cultura indiana. “Con l’omaggio di fiori di diversi colori, noi ci offriamo. Con l’omaggio della luce che disperde le tenebre, offriamo i nostri cuori. Con l’omaggio dell’incenso che da profumo, offriamo le nostre menti”. Mentre cantavano, offrivano simboli corrispondenti alle parole. Con il Santo Padre, oltre ai Vescovi ugandesi e quelli delle rispettive Diocesi degli altri Beati, moltissimi Cardinali e Vescovi hanno concelebrato. Al termine della cerimonia, il Santo Padre ha ricordato la Giornata Missionaria Mondiale rendendo onore ed esprimendo tanti auguri ai Missionari-e che spendono in prima linea le loro energie a servizio di Cristo, pagando talvolta anche col Sangue la loro testimonianza. Ha esteso quindi i Suoi auguri alle opere missionarie e a tutti coloro che, in un modo o nell’altro, aiutano i missionari. UDIENZA DEL LUNEDÌ 21-10-2000 Come di prassi il lunedì dopo la domenica della beatificazione, un momento particolarmente emozionante fu l’incontro in Sala Nervi, con il Santo Padre. Qui, i Bwola dancers hanno avuto la possibilità di esibirsi davanti al Santo Padre che ha molto gradito il significato di tale gesto, avendo ancora nella memoria la visita a Gulu del 1993. Di nuovo il Santo Padre espresse i suoi sinceri sentimenti sui due martiri. “Sono lieto di salutare i pellegrini provenienti dall’Uganda, accompagnati dal Cardinale Emmanuel Wamala così come da altre parti dell’Africa e da altre regioni del mondo per celebrare la beatificazione dei Beati Daudì Okelo e Jildo Irwa. Come abbiamo osservato ieri, questi due giovani catechisti, sono un esempio luminoso di fedeltà a Cristo, impegno per la vita cristiana e dedizione generosa al servizio del prossimo. Con la speranza fermamente riposta in Dio e una profonda fede nella promessa di Gesù di essere sempre con loro, partirono per portare la Buona Novella di salvezza ai loro concittadini, accettando pienamente le difficoltà e i pericoli che sapevano di dover affrontare. Che la loro testimonianza serva a rafforzarvi mentre cercate di recare una testimonianza cristiana autentica in ogni aspetto della vostra vita. Mediante la loro intercessione, che la Chiesa sia uno strumento ancor più efficace di bontà e di pace in Africa e nel mondo. Dio benedica l’Uganda!” Nel commentare questi avvenimenti P. A. Baritussio, Postulatore della causa dei due martiri, scrisse nella Famiglia Comboniana di dicembre 2002: “A nessuno è sfuggito il particolare significato che il Papa ha voluto annettere alla Beatificazione dei due giovani catechisti. Collocati al centro della celebrazione, per il loro proprio grado di martiri, e anche perché è stato riconosciuto il loro generoso sacrificio: esempio di coerenza per le giovani generazioni, stimolo per una sempre maggiore valorizzazione del servizio catechistico e richiamo forte ad operare per la pace nell’attuale drammatica situazione del Nord-Uganda. L’Osservatore Romano, uscito con un numero speciale, e altri mezzi d’informazione, hanno dato ampio rilievo alle figure dei due martiri.

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Ci sembra che questa Causa imponga tutta una serie di riflessioni, non banali, sulla nostra presenza missionaria. Ne cito solo tre, lasciando poi ad altri, specialmente a chi è stato presente alla cerimonia la libertà di continuare. Anzitutto la beatificazione di Daudì e Jildo costituisce un richiamo a verificare la nostra capacità di valorizzare gli elementi positivi che ci vengono dalla vita di fede del popolo di Dio a cui siamo inviati; inoltre ripropone con urgenza la necessità di un rapporto più maturo e costruttivo con la Chiesa locale e infine, in particolare per l’Uganda, rappresenta un ulteriore monito a perseguire a tutti i livelli gli sforzi di pace iniziati e a conferire loro, almeno da parte nostra, un’autentica profondità di contenuti spirituali.” C. TESTIMONIANZE MONS. AGOSTINO BARONI (5-10-1906 / 10-11-2001) Mons. Baroni - ha detto Mons. Zubeir - fu un gran dono di Dio per il Sudan. Dotato di grandi energie spirituali, educative e pastorali, le mise al servizio della chiesa sudanese senza riserve, coniugando sempre insieme formazione accademica e dimensione pastorale. Uomo di grandi visioni seppe tracciare un cammino per la Chiesa nel momento difficile del passaggio dal potere coloniale all'indipendenza, diventando punto di riferimento sicuro per tutti gli agenti pastorali. Anche se sempre in maniera rispettosa, presentò senza compromessi e talora con parole forti la posizione della Chiesa. difendendo i diritti della gente. In un momento di profonda trasformazione sociale seppe adattare la pastorale alla nuova situazione, aprendo la chiesa da una presenza di testimonianza ad un impegno pastorale diretto. Aprì dovunque centri d'annuncio del vangelo: catecumenati per adulti, scuole diurne e serali, cappelle, asili, attività di promozione della donna. Diede avvio a strutture portanti dell'organizzazione ecclesiastica quali il seminario, il centro pastorale (PALICA),Caritas (SUDANAID). Diede un contributo sostanziale per il costituirsi della Conferenza Episcopale Sudanese (SCBC) e del Consiglio Sudanese delle Chiese (Sudan Council of Churches). Si preoccupò della formazione dei maestri di religione cristiana. Moltiplicò i centri di presenza cristiana in posti anche lontani come nel Blue Nile. Volle a tutti i costi che il suo successore fosse un Sudanese. Mons. Zubeir durante l'omelia ricordò un particolare. Il giorno in cui Mons. Baroni gli fece !e consegne, gli diede un foglio scritto a mano e gli disse: “qui ci sono le cose che avevo in mente di fare. Non ne ho avuto il tempo. Ovviamente si senta libero". Mons. Zubeir prese il foglio e lo mise nel cassetto senza darci troppa importanza. Lo riprese due anni fa, a distanza di quasi 20 anni, e con sorpresa trovò che il programma che Mons. Baroni aveva previsto coincideva, di fatto, con quello che Mons. Zubeir stesso aveva portato avanti. Davvero: lo Spirito accompagna la sua Chiesa. Mons. Zubeir terminò la sua omelia andando alla radice di tutto. "Io sono convinto - disse l'arcivescovo - che Mons. Baroni era un santo" Mons. Baroni nacque a San Giorgio diPiano (Bologna). Fu alunno del seminario diocesano e nel 1922 entrò nel noviziato dei Comboniani a Venegono e fu ordinato sacerdote il 5 aprile 1930. Eccettuato per un breve periodo in Inghilterra come maestro dei novizi, Mons. Baroni passò tutta la sua vita in Sudan dove arrivò a 26 anni nel 1932 e vi rimase fino al 1985, quando aveva 79 anni. Per 20 anni fu direttore del Comboni College, per 28 anni fu Vescovo di Khartoum. Mezzo secolo di storia sudanese lo vide protagonista, discreto ma estremamente efficace. A 75 anni diede le dimissioni da arcivescovo e per un paio di anni fu Amministratore Apostolico della diocesi di Rumbek. Nel 1983 si ritirò a Juba con l'intenzione di prestare la sua collaborazione al centro "La Nostra Famiglia" per bambini portatori di handicap. Nel 1985 cominciò ad avere qualche problema di salute e si ritirò in patria dalla sua famiglia con l'idea di dare una mano nell'apostolato a suo fratello sacerdote, ma chiese di rimanere membro radicale del Sudan AI tempo di Nimeiri ottenne la cittadinanza Sudanese e un'onorificenza per le scienze, le arti e la cultura. AI momento della preghiera dei fedeli durante il funerale si fece avanti un musulmano e nel nome di Allah benevolo e misericordioso benedisse Dio per il Vescovo Baroni, ricordandolo come uno dei tre uomini grandi che aveva conosciuto da ragazzo e che avevano dato un orientamento alla sua vita. Siamo convinti che sono molti quelli che pensano la stessa cosa. DIO sia benedetto. In Italia la messa funebre per Mons. Baroni fu celebrata dal Card. Giacomo Biffi nella cattedrale di Bologna alla presenza di alcuni vescovi (tre del Sudan), un buon numero di Comboniani, di sacerdoti diocesani, di religiosi e laici. . .. Mons. Baroni riposa a San Giorgio di Piano nella tomba di famiglIa.

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MONS. ANTON REITERER (25.02.1908 - 20.02.2000) Il mattino del 20 febbraio, cinque giorni prima del suo 92° compleanno, Mons. Anton Reiterer è ritornato alla casa del Padre. Il giorno prima aveva mormorato a Sr. Floriana che si curava di lui: "Me ne vado a casa!" Dopo una lunga vita di intenso ministero, Mons. Anton sentiva che il suo desiderio stava per essere esaudito. Mons. Reiterer era nato tra i monti del Sud Tirolo. Sua madre morì molto presto e a 12 anni perse anche il padre. Nel 1912 entrò nel seminario minore dei Comboniani a Milland, ritornò a Milland per il noviziato. Il 29 giugno 1933 fu ordinato sacerdote nella cattedrale di Brixen. Il suo primo apostolato missionario in Sud Africa lo fece a Glen Cowie, Middelburg e Lydenburq. Per molti anni fu educatore all'ospizio per ragazzi che frequentavano le scuole pubbliche di Middelburg (36-50). Fu Superiore Regionale e il 29 febbraio 1956 fu nominato vescovo di Lydenburg-Witbank. Nel 1983, quando all'età di 75 anni lasciò il suo incarico, si ritirò presso le Suore francescane dell'Immacolata Concezione di Middelburg. Quando nel 1983 Mons. Anton consegnava la guida della diocesi al suo successore P. Mogale Paul Nkhumishe, un prete diocesano della vicina diocesi di Pietersburg, incominciava una nuova fase della storia della diocesi. Mons. Anton aveva messo le fondamenta per questo momento. Durante gli anni del regime di Apartheid fece del suo meglio per guidare la barca tra gli scogli e salvare il salvabile. Ad alcuni poteva sembrare un figlio del suo tempo, condizionato, come tutti, dal sistema che avvolgeva ed imprigionava da ogni parte. Con pazienza e coraggio pose !e fondamenta per le necessarie infrastrutture, costruendo chiese, curando l'assistenza medica con ospedali e l'educazione con le scuole. Mons. Anton sarà ricordato per la sua grande attenzione alle persone e per la sua generosa ospitalità. Si manteneva sempre in contatto con j suoi collaboratori nell'evangelizzazione che erano sempre ben accolti in casa sua. La porta della sua semplice casa era sempre aperta per chiunque lo volesse vedere. Si sentiva quasi offeso se qualcuno non si fermava e tutti notavano la semplicità del suo stile di vita. Mons. Anton partecipò a tutte le sessione del Concilio Vaticano Secondo. Non lo si poteva definire un precursore nel rinnovamento che seguì il Concilio. Allo stesso tempo era molto aperto nell'incoraggiare i suoi collaboratori ad usare tutte le loro capacità al servizio del Vangelo e nel far nascere vivaci comunità cristiane. Spesso il suo consiglio era di far buon uso del loro buon senso. La croce non gli era sconosciuta. Sperimentò l'amarezza dell'ostilità, dell'opposizione e dell'abbandono di collaboratori. Sopportò tutto con pazienza in un generoso spirito di fede e di perdono. L'Africa era diventata la sua nuova casa. È stato sepolto, il 29 febbraio, nella Cattedrale di Wìtbank che lui stesso aveva consacrato il 29 Febbraio 1960. R.I.P. FR. MOTTER GIOVANNI (16.12.1895 -16.12.1999) 0 È bene ricordare questo fratello che è morto compiendo il suo 104 anno d'età, il primo dei comboniani a raggiungere tale età. Si spense come una candelina, a Verona, dove era stato trasferito dal 1993. All'età di 19 anni venne accettato nel Noviziato da P.Giuseppe Bernabé(+1922). Fu l'unico tra i Novizi e Fratelli a non essere mandato al fronte nella prima guerra mondiale(1914-1918). Verso la fine del 1923 Fr. Nane andò a Lui degli Shilluk a ricominciare quella Missione, poi fu la volta di Kodok con P. Beduschi. E nel 1926 con P. Crazzolara, una prima Stazione fra i Nuer, Yonyang (1926). Il giovane Fr. Nane si fece subito apprezzare per la sua disponibilità ad apprendere ed al suo zelo di giovane catechista aggiunse ben presto quello di manovale, muratore ed autista: “il factotum di Dio." Dal 1929 al 1932 prestò servizio in Nord Sudan (Khartoum ed Asswan) nella procura, poi ritornò a LuI. Fu trasferito in Uganda nel 1935 e vi restò fino al 1953. Scrisse di lui il Regionale P. Santi (poi martire della carità in Lira, Lango district): " È caritatevole, di carattere ed adattamento facile, con attitudine a tanti piccoli mestieri. È di notevole operosità ed iniziativa. Serio e coscienzioso nei suoi doveri, desta e causa fiducia. È insomma, un edificante religioso e ottimo missionario.” Con un soggiorno in Italia rimase in Uganda fino al 1977. Avrebbe potuto rimanere, ma data la difficoltà di avere permessi si offerse di fare il sacrificio a favore di giovani reclute. Dapprima a Verona, fu in seguito assegnato a Trento, dove imparò il mestiere di Anziano dell'Istituto, alternando visite ai parenti dei Missionari ed ai malati con il lavoro di casa. Visitava anche i malati al’Ospedale dove andava con l’autobus: i soliti utenti dell’autobus erano così abituati a vederlo e, dato il suo carattere gioviale con tutti ,gli lasciavano il posto vicino all’autista. Raccoglieva offerte soprattutto per sostenere la formazione dei seminaristi di Gulu. S'interessava a ciascuno di loro, seguiva il lavoro dei Sacerdoti locali e dei Confratelli, s'informava su tutto ciò che accadeva nelle nostre Missioni direttamente dai Confratelli, ritenendo tutto a memoria e ricordandolo agli stessi, uno ad uno, per aiutarli ad aggiornarsi. Questo gli era necessario per le tre ore di preghiera quotidiana. I Missionari e le Parrocchie in difficoltà venivano messe insieme da lui nella Via Crucis. Divenne, così, una edificante pietra dell’Istituto e paragone per gli altri anziani e per tutti.

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FR. MARIO. ADANI (14. 5 1909/-10-5- 2000) Fr. Mario era nato a Correggio Emilia (RE) il 14 maggio 1909 da una famiglia d'artisti del marmo. A 20 anni, Mario lasciò il paese per consacrarsi al Signore come fratello missionario comboniano. Entrato in noviziato a Venegono, emise i primi voti il 2 febbraio 1931, poi parti immediatamente per Khartum dove urgenti lavori di costruzione lo attendevano. D’ora in avanti incominciò il suo peregrinare per le costruzioni Da Khartoum all ‘Inghilterra,all’Etiopia, al Sud Sudan dove costruì la cattedrale di Wau, un gioiello d'architettura. La costruzione della cupola, utilizzando pali storti per le impalcature, con giochi di carrucole e verricelli per alzare tonnellate di peso a forza di braccia, costituì una meraviglia che impressionò anche gli ingegneri inglesi. Fu ancora a Londra il 1958-1, poi a Roma, quindi sdi nuovo a Khartoum e nel 1967 in Sudafrica, con altri due Padri pioniere della Riunione. Lasciò il Sud Africa definitivamente 1994, quando venne di nuovo in Italia dove rimase fino alla morte. Fr. Mario fu un uomo pienamente identificato con la sua vocazione missionaria comboniana. Comboni lo ebbe sempre nel cuore, come lo aveva la sorella Carmela che disegnò e costruì il complesso statuario di Comboni che si trova a Limone e quello che si trova sul monumento di Piazza Isolo a Verona e nel parco di Casa Madre. -Dotato di un fisico di ferro era di una dolcezza straordinaria quando trattava con i confratelli e con la gente. Tenne continuamente incrementata la sua fede con un'intensa preghiera. Sapeva ascoltare, persuaso che ognuno può avere qualcosa da insegnare agli altri. . Un giorno il vescovo gli disse: "Fr. Mario, chiedimi di ordinarti prete e io ti metto subito le mani sulla testa". "Grazie, Eccellenza - rispose - ma io mi sento bene come Fratello". Trovandosi in un paese dove c'era la separazione tra bianchi e neri, Fr. Mario riuscì ad avere amici tra i due gruppi, senza nessuna distinzione. -Era un perfetto organizzatore anche dei gruppi d'operai che dirigeva e istruiva contribuendo così a realizzare quella promozione umana che è parte indispensabile dell'attività missionaria. Si era specializzato anche nei lavori di graniglia: statue, tabernacoli, fonti battesimali, balaustre, lapidi... uscivano in continuazione dal suo laboratorio e andavano ad abbellire le tante Chiese che aveva costruito ed tante altre. Era anche rabdomante. Trovava le vene d'acqua a 70 - 80 metri di profondità. I suoi ultimi anni furono la naturale continuazione della vita precedentemente vissuta: vita di fede e di preghiera. Si preparò nella serenità all'incontro con il Signore. Fr.Mario è ricordato come una testimonianza ancor viva di Fratello comboniano, autentico e pienamente realizzato. Che dal cielo mandi altri come lui. P. RAFFAELE DI BARI (12.1.1929 - 1.10.2000) Di Barletta. Da ragazzino fu profondamente toccato dalla testimonianza di un missionario comboniano che era andato nella sua parrocchia per le quarant'ore. Infatti poco dopo entrò nel seminario minore di Troia. Fu ordinato sacerdote il 26 maggio 1956. Partì per l'Uganda nel 1959, e vi rimase quasi ininterrottamente fino alla morte. P. Raffaele era conosciuto per la sua estrosità simpatica, generosità e volontà d'animo. Era incapace di dire di No. Nelle missioni dove è passato si rese famoso, a volte criticato, per le sue originali iniziative in favore dello sviluppo della gente. Si interessò molto ad aiutare la gente a sopravivere: procurò se menti per migliorare la loro produzione agricola, tentò di sviluppare la cultura del girasole e mise su mulini. Era creativo, intraprendente e molto amato e ricercato dalla gente per la sua giovialità e buon cuore. Aveva il dono dì una grande umanità. Durante i molti anni di insicurezza nella terra Acholi dovette affrontare gravi situazioni di tensione. A Lacor, a Opit e a Namukora rischiò tante volte di essere ucciso da ribelli o dai soldati. La morte lo falciò improvvisamente e cosi completò con il supremo sacrificio della vita la sua generosa dedizione agli Acholi. Tre giorni prima era sopravvissuto ad un attacco dei ribelli. Dome0 nica 1 ottobre, mentre a Roma veniva canonizzata Giuseppina Bakhita, P. Raffaele, prima di recarsi alla cappella di Acholi-Bur per la celebrare la Messa ed alcuni battesimi, andò a chiedere al comandante militare se la strada fosse sicura. Assicurato che non c'era alcun pericolo, partì con il furgoncino Land Cruiser, portando con sé 8 persone. A 5 km dalla missione quelli con lui gli dissero che stavano per essere assaliti dai ribelli. Il padre rallentò, dando così la possibilità ad alcuni di loro di saltare giù dal furgoncino e fuggire. Quasi subito i ribelli spararono contro il furgoncino. P. Raffaele fu subito colpito e, dopo aver mormorato qualche parola, spirò. Degli altri passeggeri ancora sulla Land. Cruser, una donna fu uccisa, una suora fu lasciata fuggire ed un chierichetto colpitoto. Ness.uno lo soccorse per paura dei ribelli. Dopo aver rubato l’orologio di P. Raffaele, hanno dato fuoco alla macchina con della paglia e poi si sono dileguati. E cosi solo due ore più tarditardi arivarono dalla missione alcune persone che poterono ricuperare quelo che era rimasto del corpo bruciato di P. Raffaele. P. ALDO GILLI (14.05.1927 – TRENTO / 26.02.2001-ROMA) Penso necessario tramandare alla storia P.Aldo per il suo ruolo nella Beatificazione e Canonizzazione del nostro Fondatore. Dopo il ginnasio superiore a Brescia P.Aldo entrò in noviziato il 10 Ottobre 1944, dies natalis del Beato Comboni. Ebbe come Padre maestro P. Antonio Todesco. P. Aldo ricordava

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questo periodo con riconoscenza evidenziando come fosse spiccata la formazione alla vita consacrata presentata come componente indispensabile di quella apostolico/missionaria. Fu allora che il Padre incominciò ad annotare delle frasi del fondatore, sistemandole secondo uno schedario da lui inventato in riferimento ai temi che i testi contenevano. Si delineava già d’allora” una vocazione comboniana nella vocazione missionaria: scrive P.Fidel F. Gonzales- una gustosa e metodica ricerca storica sulla vita, le vicende, gli avvenimenti e la profonda esperienza carismatica di Daniele Comboni. Senza questi studi di P. Aldo Gilli, credo di poter assicurare che lo stesso processo di beatificazione e le fonti fondamentali comboniane, iniziando dagli Scritti del Comboni, da lui pazientemente ricercati, raccolti, trascritti, studiati e metodicamente e criticamente pubblicati su Archivio Comboniano fin dalla sua fondazione, non avrebbero avuto il frutto, la possibilità e l'esito che hanno avuto. Fra i numerosi scritti che P.Aldo firmerà, a parte le numerose ricerche apparse su Archivio Comboniano, fondamentali per la Causa di Canonizzazione di Comboni, ricordiamo "L'antologia di testi comboniani", in "II Messaggio di Daniele Comboni (EMI, Bologna 1977), e soprattutto il suo paziente lavoro nella preparazione dei documenti fondamentali per ia beatificazione del Comboni: la Positio super vita et virtutibus, lavoro improbo e documento ufficiale della Santa Sede. P:Aldo non trascurò il ministero sacerdotale: ogni giorno si portava ad una clinica vicino alla comunità della Curia dove abitava per la St. Messa e per l’assistenza agli ammalati. Ai suoi funerali i suoi assistiti anche coloro che avevano lasciato la clinica riempivano la Cappella della Curia. in devota e mesta preghieraCapitolo ventiduesimo

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Capitolo Ventiduesino SEDICESIMO CAPITOLO GENERALE

1. Situazione numerica 2003 a. Membri dell’Istituto al 31-12-2003 al 31-12-1996

Vescovi 17 18

Padri 1.301 1.300

Fratelli 304 343

Scolastici 168 162

Totale 1790 1823

b. Le province che sono diminuite di più (solo il totale) Italia

1997 2003

985 883

DSP

1997 2003

122 67

c. Membri del Capitolo Generale ‘70 28 ex ufficio; 33 Delegati Sacerdoti; 9 Delegati Fratelli; Osservatori Permanenti 11 d. Membri del Nuovo Consiglio Generale Rev. Fr. Serra Teresino Rev. Fr. Ballan Fabio Rev. Fr. Odelir Josè Magri Rev. Fr. Tesfamariam Ghebrecristos Woldeghebriell Rev. Fr. Romeo Arias Hernan A. RELAZIONE DEL CONSIGLIO GENERALE 1997-2003 Preambolo Il C.G. introduce la sua relazione con il richiamo al Fondatore per le sue numerose relazioni con diverse organizzazioni e individui, iniziate e sempre mantenute per trasmettere il suo entusiasmo e interesse per la Missione; si augura poi di potersi mettere in cammino con Lui per esercitare come lui con senso profetico e cogliere le nuove opportunità che Dio offre all’Istituto. PRIMA PARTE – Differenti

situazioni

La prima parte della relazione è descrittiva delle differenti situazioni sia dell’Istituto che della missione. 1. Il contesto sociale degli ultimi anni ha, in diverse maniere e secondo le diverse nazioni e continenti, condizionato il nostro lavoro.

Si nota l’affermarsi della globalizzazione dell’economia e della finanza, come causa e nello stesso tempo effetto di cambiamenti socio-culturali soprattutto in Europa.

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2. Il contesto ecclesiale: la relazione riconosce il cammino ricco di eventi che hanno fatto le Chiese locali. Riconosce anche che i missionari hanno accompagnato queste Chiese: ma in molti posti sono ancora molto referenziali.

Vorrei osservare che la relazione non tratta a sufficienza i rapporti dell’Istituto con le Chiese locali. Per esempio si sa che il Consiglio Generale lascia ai Provinciali solamente il dialogo con i vescovi nel richiamo del personale. Anche il Provinciale spesso mette di fronte ai Vescovi, cambiamenti già decisi senza previo dialogo. Qualche capitolare ha pure accennato a questo osservando che spesso si richiamano, senza dialogo, missionari che occupano uffici a livello nazionale o diocesano lasciando i centri spesso sprovvisti con grave danno degli stessi. Parla del rafforzamento delle Chiese con soddisfazione; però questo deve soprattutto farci sentire meno e meno protagonisti ed aiutarci ad inviare personale qualificato che sia di modello e di lievito alla Chiesa locale e specialmente in Africa. Nel motto del Comboni di salvare l’Africa con l’Africa, l’America con gli americani deve soprattutto illuminarci sulla necessità di essere presenti nei Seminari e di cercare la formazione permanente dei religiosi/e. 3. Anche il contesto comboniano ha dei segni positivi e negativi. Come positivo si nota la nostra permanenza in situazioni molto difficili sia socialmente come politicamente, ed anche pericolose, come in Uganda e nel Sud Sudan. Vorrei far notare che non tutte le nostre riviste ricordano questo eroismo che può animare Missionariamente dei giovani più impegnati così pure è aumentato l’interesse di GPIC anche nel Mondo. Come negativo si deve notare l’invecchiamento e la scarsità, nullità in qualche provincia delle vocazioni. Vorrei notare che l’invecchiamento può dare meno capacità lavorativa, ma più aiuto di esperienza, nutrendo fiducia e creando condizioni di dialogo. In Africa specialmente l’anziano che ha lavorato con loro è molto più apprezzato e stimato. Alcuni Provinciali hanno paura che facciano numero a scapito dell’invio di nuove reclute: questo modifica che l’efficientismo e non l’attenzione alle persone merita più attenzione. Nel contesto comboniano è incluso il grande avvenimento della preparazione alla Canonizzazione del Comboni che è stato, per chi ne ha approfittato una eccezionale animazione sia all’interno che all’esterno dell’Istituto. SECONDA PARTE

– L’attuazione del XV Capitolo Generale

1. Osservazioni particolari

Questa parte inizia con esporre tutto quello che i membri del Consiglio Generale hanno fatto per visitare tutte le nostre circoscrizioni, con le partecipazioni ed assemblee a tutti i livelli, con lettere ed esortazioni.Mentre si lamenta della troppo lenta riqualificazione degli impegni e della preparazione del personale per il dialogo con l'Islam, si dice soddisfatto dei progressi nella vita fraterna e della testimonianza apostolica. 2. Si lamenta ancora di due cose PRIMO: non si è dimostrato sufficiente l’interessamento dei giovani per l’approfondimento delle lingue locali come veicolo di conoscenza della cultura. La tradizione comboniana in questo settore infatti è sempre stata molto abbondante e piena di studi e di libri, specialmente nelle nostre missioni tradizionali come il Sudan e l’Uganda, nomi come quello di Padre Stefano Santandrea, che scrisse circa 150 tra libri e articoli su riviste scientifiche, Padre. F. Giorgetti, soprattutto per lo studio della musica locale, Padre Pasquale Crazzolaro tecnico di diverse lingue locali. SECONDO: il dialogo interreligioso, specie con l’islam è rimasto notevolmente deficitario. Personalmente penso quello che è importante è conoscere l’Islam. Non ho avuto l’impressione

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che alla gente ordinaria interessi molto conoscere di più il Cristianesimo. Già Gesù lo conoscono come l’unico profeta ed hanno un grande rispetto della madre di Gesù e questo basta per loro. Il discorso interreligioso, cioè discutere sulle due religioni può essere tenuto al raduno di teologici e di storici ad alto livello. Ma non a livello di Sheik o di popolo. Se si accenna alla Trinitàcon la divinità di Cristo, scatta la molla contraria. Si rischia di rimanere nell’ambiguo. Un’altra cosa invece sono i rapporti sociali e di lavoro con i Mussulmani; ci può essere lo scoglio della dignità della donna. Personalmente ho trovato l’ostacolo discutendo sulla pena di morte, che il Corano appoggia e difende, per cui non sembra si possa discutere. 3. Si accenna poi alla collaborazione con gli Istituti Missionari Comboniani e con altri Istituti Missionari, le Chiese locali in ambiti specifici e con i Laici Missionari Comboniani. Manca un accenno alla collaborazione con l’Unione Superiori Generali. 4. Per l’Animazione Missionaria si nota un miglioramento, ma rimane il problema del Coordinamento dei Segretariati Generali con i segretariati Continentali nelle relazioni dei Segretariati in genere.L’identità dell’Animazione Missionaria Comboniana, sembra in crisi per cui la relazione insiste sulla formazione degli animatori, la loro identità comboniana e quindi l’identità dell’AM stessa.

Si deve anche aggiungere che alcuni animatori stessi non sono del tutto identificati. Nel campo di Giustizia e Pace la relazione trova buon progresso che fu aiutato da un animatore Centrale per tre anni. In diverse province dove ancora non esistono, furono stabiliti comitati GPIC. Non furono molti però i progetti particolari iniziati dai comitati; più numerosi quelli iniziati da individui. Sembra che siano prevalse iniziative che coinvolgono la politica, senza espandersi a tutta la gamma dei diritti dell’uomo. Per l’integrità del creato non mi sembra che la Relazione accenni a progetti particolari messi in evidenza. 5. – – –

Qualche miglioramento nella formazione:

formatori degli scolasticati: su 22, 18 hanno seguito i corsi Padri Maestri: tutti e 13 hanno frequentato corsi formatori dei postulato: su 42, solo 27 hanno frequentato corsi

6. Nel servizio dell’autorità si osserva la pubblicazione di norme sui Beni culturali dell’Istituto e il Commento Biblico alla Regola di vita. Si menziona anche l’edizione elettronica degli Scritti del Comboni, in italiano, francese e spagnolo. TERZA PARTE –

L’oggi dell’Istituto 1. La relazione mette in evidenza aspetti positivi e negativi. a. Positivi: – la fedeltà e capacità di martirio di tanti nostri confratelli in diverse parti del mondo sia in Africa come in America – più province hanno incominciato il fondo comune – la fecondità apostolica espressa nella ferma volontà di mantenere l’impegno. b. Negativi: – Insufficiente integrazione dei diversi aspetti della nostra vita religiosa apostolica e dei talenti individuali con il progetto della Congregazione.

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– Da questo ne deriva l’omologazione della missione che spinge il Comboniano a fare tutto senza tener conto della responsabilità della Comunità Apostolica e della diversità di ministeri. – Diminuzione del senso di appartenenza all’Istituto. 2. La situazione della formazione – Tra gli elementi positivi la Relazione nota come le professioni di studenti si sono mantenute sufficientemente mentre sono calate quelle dei fratelli. – I nuovi sono: dall’Africa 57, America 63, Europa 30, Asia 8. – Istituto Misto: per aiutare i fratelli ad essere più identificati, il CG ha fatto domanda alla Congregazione dei Religiosi di autorizzare un cambio per diventare Istituto Misto e non più clericale.Ciò porterebbe che i fratelli potrebbero essere nominati superiori. In attesa della soluzione giuridica il Superiore Generale con il suo Consiglio, ha ottenuto la facoltà di nominare come Superiori locali dei fratelli, in alcune circostanze. Facoltà concessa in Aprile 2001 per tre fratelli. Si può osservare che, per i fratelli è necessario più che per i sacerdoti qualche corso sul ruolo del Superiore, non solo giuridico ma anche psicologico specialmente riguardo all’esercizio dell’autorità. La relazione non nasconde elementi di preoccupazione: – il numero di uscite durante la formazione di base (vedi tabella 5) – insufficiente livello di personalizzazione e interiorizzazione dei valori – incertezza sull’iter formativo dei fratelli – insoddisfazione nei formatori come nei promotori vocazionali: trovano infatti difficile l’incontro con i giovani di oggi. 3. Situazione dell’economia Il richiamo del Capitolo 1992, alla corresponsabilità e divisione ha creato una maggior integrazione tra il fine evangelico della missione e l’uso delle risorse economiche. La dinamica del Fondo Comune in genere è stata positiva. La situazione economica è sana sebbene qualche Provincia e Delegazione hanno trovato delle difficoltà. QUARTA PARTE –

Prospettive per il futuro Non si allontana di molto dagli argomenti che rimbalzano dai Capitoli alle Intercapitolari e di nuovo ai Capitoli. Si tratta solo di aggiornamento. Questo risulterà dall’esame degli atti Capitolari. Una novità è il codice di condotta da usare in casi eccezionali di abusi in diversi campi ma specialmente nei problemi sessuali. La Relazione conclude con la Canonizzazione allora imminente del nostro Fondatore che deve sempre ispirarci sia per la missione come per la Sua spiritualità del Cuore trafitto di Gesù e della Fedeltà nel servizio della Chiesa. La canonizzazione viene chiamata “parabola” e cioè insegnamento, scuola continua del come impostare la missione nel segno della Santità.

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B. ATTIVITÀ DEI SEGRETARIATI E DEGLI UFFICI GENERALI I. SEGRETARIATI GENERALI 1. Formazione di base Durante questo periodo, l’internazionalità dell’Istituto è notevolmente aumentata in questa fase della formazione, come risulta dalle seguenti cifre: 1998-2003 Africa America Europa Asia Totali

1°professioni 147 106 49 15 317

Usciti 63 44 18 4 129

Rimasti 84 62 31 11 188

% Usciti 43% 42% 37% 27% 41%

% Rimasti 57% 58% 63% 73% 59%

Da questi numeri risulta anche la percentuale di usciti in teologia. E dei rimasti, la maggioranza sono Africani. Da notare che tra gli usciti vi sono anche coloro che sono stati dimessi. Questa nuova geografia del personale può formare un mosaico e non una pittura impressionista. Tale mosaico sarà possibile se tutti i membri di qualunque cultura si sforzano di formare un unico corpo attraverso una certa “cultura” (cioè uno stile di cita). Tale stile che unisce emerge quando tutti si arricchiscono della spiritualità tipicamente comboniana che si identifica sia con la carità fraterna simboleggiata dal Cuore trafitto di Cristo, che con la fedeltà alla Chiesa, inclusa la Chiesa locale dove esercitiamo il nostro apostolato. Dalle cifre esposte sopra, si può vedere anche quanti sono che abbandonano l’Istituto solo in questa prima fase. Nel nostro Istituto, vi fu una uscita massiccia dal 1964 al 1974 (vedi “Crisi nell’Istituto” cap… pag…). Queste uscite fanno emergere aspetti positivi e negativi. Aspetti positivi: è una selezione prima di prendere un impegno definitivo: il sacerdozio e i voti perpetui per i fratelli. Pio XI, nel suo realismo diceva che un corpo che mangia ma non scarica non è sano. Aspetti negativi: questa selezione accurata deve essere fatta prima di tutto dal formatore vocazionale cercando di interessarsi, non solo presso i sacerdoti della parrocchia ma anche dalle suore e dai laici impegnati. L’argomento dell’ottima famiglia è valido ma non sufficiente: può essere il rispetto verso la madre e il padre che spingono il giovane a farsi sacerdote. Poi deve essere fatta nel Postulandato o al più tardi nel primo anno di Noviziato. È necessario richiamare quanto scritto a pag. … e a pag. …e cioè che il segno della vocazione è la motivazione della scelta e non le qualità; queste sono pur necessarie ma non identificano una vocazione. Si può ammetter che solo in qualche caso, sia il candidato che i formatori non scoprano la vera motivazione. Una riflessione importante che richiede una seria investigazione viene dalla prossima lista.

1998 1999 2000 2001

1ª Prof. Scolastici

1ª Prof. Fratelli

Usciti Scolastici

Usciti Fratelli

Totale 1ª Profes.

Totale Usciti

Totale Rimasti

% Usciti

% Rimasti

45 43 48 42

15 6 7 4

13 10 24 22

7 2 8 6

60 49 55 46

20 12 32 28

40 37 23 18

33% 24% 58% 61%

67% 76% 42% 39%

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2002 2003 Totale

35 55 268

9 8 49

17 12 98

5 3 31

44 63 317

22 15 129

22 48 188

50% 24% 41%

50% 76% 59%

Nel 1999 e 2003 gli usciti sono il 24% e i rimasti il 76%; nel 2001, gli usciti sono il 61% e i rimasti il 38%; nel 2000, usciti 58%, rimasti 42%. Differenza dovuta al Postulato, al Noviziato, allo Scolasticato? Ai formatori e ad altre circostanze? Non sono risposte facili. In più c’è da dire che vi è un buon numero di professi che escono dopo la professione. Ecco le statistiche degli usciti dai voti temporanei: 1998 – 17:1999 – 20:2000 – 29:2001 – 22:2002 – 21:2003 – 29. Non sono tutti professi del 1997, ma queste statistiche sono una indicazione molto significativa. Nel rapporto del Segretariato della Formazione per il 2003, ancora una volta si insiste sul Postulato e sulla necessità di preparare i formatori. In questo è da rivedere a chi tocca: se alla Direzione Generale o quella Provinciale. È vero che i Postulandoti sono di responsabilità della Provincia, però i Postulanti entrano nei Noviziati che sono responsabilità della Direzione Generale. La Direzione Generale, quindi, può anche intervenire sui contenuti educativi e sui formatori. Così, anche a mio parere, anche nei Noviziati è necessario considerare l’anno del cosiddetto deserto. In alcuni Noviziati tale periodo è disturbato dall’esperienza pastorale, sia per il giorno passato fuori dalla casa del Noviziato come dalle amicizie che fanno i Novizi e conseguente corrispondenza durante la settimana. Negli Scolasticati del Nord si possono trovare abusi nella povertà tra gli studenti che hanno Borse di Studio personali. Facile domandare ai benefattori soprattutto soldi che, di nascosto, mandano poi ad amici e parenti al loro paese di origine. Meno soldi, ma più persone identificate. 2. Formazione permanente: Commissione Centrale di Formazione Permanente (CCFP) La formazione permanente o continua è altrettanto importante come la formazione di base. Non progredire è retrocedere perché la società cambia ed anche nella vita religiosa spesso si cambia comunità. Ciò richiede continua attenzione ed adattamento. Soprattutto nel nostro Istituto internazionale che accoglie confratelli di diverse culture. Ciò esige di conoscerle, rispettarle e dialogare. Un’altra ragione dell’importanza della Formazione Permanente, è il dovere dei professi di trasmettere la spiritualità comboniana e la custodia del fine dell’Istituto. Ciò esige la conoscenza dei nuovi che si aggiungono che hanno delle differenze sia proprie dei giovani come specifiche di ogni persona. Il Cardinale Lehmann, in una intervista disse che i giovani sono come uccellini sul davanzale della finestra che osservano. Se, chi è dentro cerca di afferrarli, sfuggono. La responsabilità dei professi è anche di parole ma soprattutto di esempio e testimonianza sincera ed aperta. a. Corsi di rinnovamento Dopo la chiusura del Concilio Vaticano II, fu introdotto un corso di Formazione Permanente considerato dapprima corso di perfezionamento, poi di aggiornamento per lo studio dei Documenti Conciliari. Però, lo stile di tali documenti si prestava a diverse interpretazioni: non erano più definizioni chiare e precise come in molti Concili Ecumenici precedenti. Erano testi esatti e discorsivi che da taluni furono interpretati come proposte più che dottrine imposte. Molti, anche sacerdoti, leggevano da soli tali documenti che facilmente potevano prestarsi ad interpretazioni personali secondo l’intelligenza ed il cuore di ciascuno. Altri si accontentava-

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no di leggere riassunti pubblicati sui giornali anche commerciali condizionati dallo spazio. Nel sessennio del 1998 fu chiamato corso di rinnovamento personale incentrato sul carisma comboniano e sulla missione. La durata è di cinque mesi, da gennaio a maggio compreso. L’ultimo mese è passato in pellegrinaggio in Egitto e Palestina. È aperto a tutti i confratelli dai 45 anni in poi. Dal 1997 al 2003 fu frequentato da 94 confratelli (72 sacerdoti e 22 fratelli). b. Anno comboniano di Formazione Permanente (ACFP) L'Anno Comboniano é un tempo speciale di Formazione Permanente, deciso dal Capitolo del '91, confermato nel capitolo del '97. È per i confratelli dopo 10-I5 anni di servizio missionario dall'ordinazione sacerdotale o dai voti perpetui. Età: 35-50 anni, la "mezza età". È la proposta di un'esperienza che considera tutte le dimensioni della persona: fisica, psicologica, spirituale, missionaria-comboniana. È per i confratelli nei cambiamenti e nelle sfide in cui vivono. Il momento più importante è quando il corso aiuta i confratelli ad un prolungato e intimo incontro con Dio per crescere sempre più nell’interiorizzazione dei valori e dei talenti che Dio ha concesso a ciascuno. Dopo 7 anni, i confratelli furono 123 (7 sacerdoti e 26 fratelli). Il bilancio di questi anni, stando alla valutazione della maggioranza dei partecipanti, è decisamente positivo. Per la buona riuscita, la prima condizione è la partecipazione libera, motivata e convinta, 1'apertura e disponibilità al lavoro su di sé, come auspicava il Capitolo (AC. 137.1). Qui si inserisce il servizio del provinciale per animare e creare una nuova coscienza e mentalità. Dato che la scelta, di solito, viene fatta dalla Direzione Generale, non sempre trova il Provinciale ed il confratello contento e disponibile. Per cui alcuni non traggono quel vantaggio come chi non solo è disponibile ma anche contento. Naturalmente non è possibile scegliere temi e conferenze che soddisfino tutti i confratelli che vengono da diversi continenti. Mescolarli, può arricchire le diverse esperienze per chi è aperto. Alcuni confratelli che vengono dalla missione hanno paura che l’anno sia una occasione per il Consiglio Generale di individuare chi è adatto ad essere richiamato per occuparsi in patria. Nel complesso, però, per la maggioranza dei partecipanti, l’anno è stato un arricchimento ed un momento di riflessione non sempre fatta durante gli Esercizi annuali che però, dopo il corso possono essere occasione di ulteriore riflessione. Secondo l’equipe dei Formatori, quest’anno non è per confratelli con problemi particolari che hanno bisogno di un accompagnamento tutto personale. Non solo sarebbero esse stessi fuori posto, ma disturberebbero anche l’andamento del corso. La durata del ACFP Il cammino dell'ACFP si svolge nell'arco di 8 mesi, è diviso in due periodi: i primi 6 mesi come esperienza di comunità, cioè in un contesto di attività con un itinerario comune per tutti; gli ultimi 2 mesi personalizzati, cioè con un programma specifico per ogni partecipante. Luoghi Fin d’ora il corso è stato organizzato in due sedi: un anno in Messico nella nostra casa di Xochimilco, in spagnolo: un altro anno in inglese in Sud Africa. L’equipe della FP suggerisce una sede permanente nostra anche per l’anno di lingua inglese. c. Altre attività della CCFP (affidate al coordinatore) Comunità Padri/Fratelli studenti

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Coordinare la comunità dei Padri e Fratelli studenti che vengono a Roma, per una specializzazione in vista della missione o per prepararsi per un servizio nell'istituto, specialmente formazione, o per un tempo sabbatico di FP e di rinnovamento. Confratelli in difficoltà Accompagnare, offrire aiuto spirituale e terapeutico a confratelli in difficoltà, che le province hanno inviato attraverso il Vicario Generale, incaricati dei confratelli in difficoltà. Abbiamo utilizzato la collaborazione di comunità di appoggio in Roma, Verona, Trento e Milano e 1'aiuto di confratelli e numerosi specialisti: direttori spirituali, psichiatri, psicologi di varie parti d'Italia. ACFP/CYOF e Corso di Rinnovamento Seguire le iniziative speciali di FP. come il Corso di rinnovamento e in modo speciale 1'Anno Comboniano. Aiuto alle province La CCFP, a livello di animazione della FP. delle province ha fatto molto poco. Abbiamo inviato, ai provinciali e agli incaricati delta FP. libri sulla FP e spiritualità missionaria. In modo speciale abbiamo avuto presente 1'animazione delle comunità e dei superiori, inviando libri e vario materiale: articoli sulla missione, vita comunitaria, preghiera. In questi ultimi anni, con la diffusione generale del computer, é stato piú facile mandare materiale a mezzo posta elettronica. d. Commissione Centrale e Consiglio Generale Nel CCFP sono presenti due membri del Consiglio Generale: l’assistente incaricato della formazione e l’assistente fratello. Si deve notare però che tutto il Consiglio Generale, non solo ha appoggiato i corsi di FP ma, ha anche partecipato nei diversi avvenimenti come corsi, assemblee, esercitazioni. Oltre ai due consiglieri, ne sono membri anche il coordinatore della FP e l’incaricato dello Studium Comboniarum. e. Conclusione Dato che l’ultimo Capitolo Generale ha deciso di avere un Provinciale per ogni continente per coordinare le attività di FP, lo C.C.F.P. ha trovato alcune difficoltà nel coordinare le sue attività con quelle continentali. Per questo, oltre ai due corsi centrali, sono prevalse le attività a livello continentale. Si spera che chi di dovere possa stabilire una direttiva che non frustri le due forze interessate in modo da valorizzare il personale addetto. Nella conclusione del rapporto del Capitolo 2003, la C.C.F.P. auspica che nel prossimo sessennio essa e il suo coordinatore possano avere la possibilità di animare e coordinare in modo conveniente a tutti i livelli la FP dell’Istituto data la sua importanza. Si deve anche auspicare che la comunità locale offra momenti di Formazione Permanente. Un suggerimento che posso dare è che articoli del Bollettino, le lettere del Padre Generale o del suo Consiglio, altri articoli interessanti, i rapporti delle visite alle diverse Province e missioni, articoli di Studium Comboniarum, vengano abitualmente letti nella parte formativa del Consiglio di Comunità. Né si deve dimenticare di leggere sistematicamente in comune gli scritti del Comboni. Queste letture danno spazio a commenti molto utili nei tempi di ricreazione e specialmente durante i pasti. Tutto questo fa parte della F.P. a livello di comunità locale che è il tempo più importante per tutti e parte la sua continuità.

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3. Segretariato dell’Evangelizzazione a) Anche questo segretariato come la CCFP, si lamenta che il Capitolo del 1997 propose la creazione di Segretariati Provinciali di Evangelizzazione senza precisare il ruolo che il Sec. Generale doveva svolgere nella nuova struttura, per cui ambedue sono rimasti in attesa di maggiori indicazioni. Tuttavia in tutti i continenti si svolsero delle assemblee: a Kinshosa (Africa francofona), A Sagana, Kenya (Inglese), a Quito (Americhe e Asia), a Pesaro (Europa). Queste assemblee ebbero il compito di preparare una carta dell’Evangelizzazione, prima a livello provinciale e continentale e in un secondo momento a livello generale. Si deve notare però che nell’Evangelizzazione non si possono ignorare le direttive delle Chiese locali, dove i nostri missionari possono, prudentemente, essere gruppi di pressione verso un miglioramento, una maggiore efficienza e autenticità degli agenti pastorali. Questo si può ottenere attraverso la nostra presenza nelle strutture locali sia a livello di zone come delle Diocesi. È necessario far notare loro la nostra provvisorietà tuttavia, offre loro servizi qualificati come la presenza nei Seminari Diocesani e Nazionali; la formazione dei religiosi, l’uso dei mezzi di Comunicazione Sociale e di Animazione Missionaria. È importante a questo riguardo essere ad un vero servizio delle Chiese locali e promuovere il dialogo tra i nostri Provinciali ed i responsabili diocesani, specialmente per la questione del personale a loro servizio. b) Due campi specifici, dove è necessaria una prudente pressione, sono il dialogo tra le denominazioni cristiane, le diverse religioni e nel campo di giustizia e pace. Per il mondo dell’Islam, in questo sessennio, si è notato uno sforzo apprezzabile specialmente in Africa, per la preparazione del personale con il servizio di Dar-Comboni al Cairo. Ma non tutte le province dove l’Islam è presente ne hanno usufruito convenientemente. c) Nel campo di Giustizia e Pace, un passo fu fatto con la nomina di un coordinatore generale della Commissione GPIC dal 1 gennaio alla fine del 2002. In questo periodo, il Coordinatore organizzò raduni a livello sia continentale che di province e delegazioni. Insieme agli altri Istituti, tentò di aprire diverse strade verso il lobbying delle Organizzazioni delle Nazioni Unite e della Comunità Europea. A questo scopo il nostro Istituto si è fatto promotore, assieme ad altri Istituti missionari, di un incontro sul “lobbying and advocacy proget” a Washington e New York. Da questo incontro, é nata anche la proposta di organizzare gli Istituti in una ONG, per la promozione della Giustizia e dei Diritti Umani nel mondo, che fosse riconosciuta dall'Organizzazione delle Nazioni Unite. A questo scopo il nostro Istituto, assieme alle Missionarie Comboniane, ha espresso il desiderio di prendere parte al progetto VIVAT, coordinato dai Verbiti, i quali hanno introdotto e accompagnano presso 1'ONU la procedura giuridica per il riconoscimento. La risposta dell'ONU arriverà probabilmente alla fine del 2004; per quella data il nostro Istituto, in collaborazione con le Suore Comboniane, dovrà definire la partecipazione, sia dal punto di vista economico, sia dal punto di vista del personale. Il progetto, importante per il nostro coinvolgimento nell'ambito di GPIC e dei Diritti Umani è da appoggiare e sostenere; potrebbe costituire un impegno concreto dell'Istituto portato avanti dalle nostre Province sia dell’Africa che dell’America ma, soprattutto dell’Africa, specialmente nei diversi campi di violazioni dei diritti umani ed in particolare dei diritti dei minorenni e delle donne.

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Due altre iniziative da segnalare a livello centrale sono: (1) La partecipazione alle riunioni dei promotori di Giustizia e Pace degli Istituti Religiosi, a Roma, nel gruppo di lingua inglese e nel gruppo di lingua luso-iberica; alle attività di AEFJN (Africa and Europa Faith and Justice Network), del cui comitato esecutivo, che si riunisce ogni due mesi a Roma e, a volte, a Bruxelles, siamo membri. L'importanza e il tempo dati a questi incontri volevano soprattutto mettere in luce il valore e 1'urgenza di un lavoro fatto in sinergia con altre forze (con una più vasta esperienza nel settore) e la necessità di creare un advocacy presso g1i Organismi internazionali, affinché, siano adottate delle politiche più rispettose e solidali con i popoli del sud del mondo, soprattutto dell'Africa. (2) E in atto un lavoro, promosso dai Promotori Generali di GPIC degli Istituti Maggiori e, ultimamente, anche da AEFJN, di ricerca e di sensibilizzazione di persone e gruppi africani di GPIC, allo scopo di favorire una maggiore intesa tra i due Continenti (Africa e Europa), su priorità, metodi e strategie da adottare nella promozione di una cultura di Giustizia e Pace e di difesa dei DD.HH. Così non fu riportata l’attività di Padre T. Agostani, a proposito di diritti umani. Padre T. Agostani ha iniziato nel 1999 una campagna per l’abolizione della a pena di morte, scrivendo un libro in inglese. La prima edizione fu pubblicata in due lingue locali: Luganda e Lwoo, mentre la seconda, raddoppiata di pagine (145), fu tradotta in italiano e pubblicata dall’EMI. Dall’inizio della campagna al 2006, nessun condannato a morte ha subito l’esecuzione in Uganda. La campagna ha anche suscitato un movimento in Kenia e in Tanzania. Nella campagna, il Padre fu seguito solamente da un gruppo di laici. Il Padre prese questa iniziativa perché ogni offesa ai diritti umani è un’offesa all’amore del prossimo, base dei Comandamenti (leggi naturali) e della Evangelizzazione. Il diritto alla vita è la base di tutti gli altri diritti che sono l’anima del regime democratico, sia nella società civile come nella politica. Per ampliare il campo dei diritti umani, il Padre aveva già pubblicato in inglese “Il manuale di ogni cittadino” (Every Citizen’s Hand book) pag. 440 – 1997. In italiano ha pubblicato pure “Una fiaccola sul mondo. I diritti umani e la Dottrina Sociale della Chiesa” (Biblioteca Comboniana 2002). Sono importanti e pratici contributi al lavoro di Giustizia e Pace. Dal 2002, il coordinamento di GPIC è stato affidato a questo segretariato, il quale inserisce nel suo rapporto al Capitolo 2003 le seguenti osservazioni. Alcune difficoltà riscontrate nel campo di Giustizia e Pace Ø Non tutte le Province/Delegazioni hanno indicato il nome del coordinatore della commissione di Ø Ø

Ø

Ø

GPIC. Gli incaricati cambiano con molta rapidità e, a volte, lavorano in zone remote, dove non hanno accesso ai servizi internet, per cui il loro ruolo di coordinatori e animatori provinciali diventa difficile. Analizzando i verbali delle riunioni dei Consigli Provinciali, si nota che 1'aspetto di GPIC è poco presente. Alcune volte, le Province/Delegazioni fanno 1'analisi della realtà, accentuano le difficoltà della gente e dei confratelli di cui condividono la sorte; raramente, però, appare una riflessione e una proposta ben articolata ne11'ambito di un impegno di promozione di GPIC; un'eccezione va fatta per le due Province del Brasile. Le Province/Delegazioni, in modo generale, non hanno dato seguito alle iniziative realizzate nell'ambito della campagna "Break the silence, Peace for ,Africa", a parte la Provincia dell'Italia con le iniziative a livello nazionale, con le carovane della pace. A1 seminario organizzato in Africa de1 Sud, sulla non violenza attiva, solo la Delegazione dell'Eritrea ha dato un seguito. Negli incontri dei Provinciali, non sempre, 1'argomento di GPIC entra nell’agenda.

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Ø A livello di Province, vi sono state iniziative di Giustizia e Pace che non vengono registrate né a livello provinciale né generale. Per esempio, il lavoro di Padre Carlos Rodriguez e di Padre Tarcisio Pazzaglia in Uganda, nel rapporto del Segretariato, non viene nominato, mentre quest’ultimo ha ricevuto premi e menzioni in campo civile.

Oltre alle difficoltà sopra esposte, il Rapporto fa notare che la proposta di lasciare ai Coordinatori continentali il compito di convocare incontri e animare iniziative, non ha portato frutti. In alcune province vi è un certo immobilismo. Penso che un tale immobilismo può dipendere da due elementi. – Non si riflette a sufficienza che il lavoro di Giustizia e Pace è proprio dei Cristiani che hanno come missione particolare la proclamazione e la pratica dell’Amore del Prossimo. – Inoltre molti non distinguono bene il rapporto fra religione e politica. Hanno ambedue una loro dimensione esclusiva nel loro campo. Ma c’è un campo comune che è quello dei diritti umani che abbraccia tutti i campi della società umana, incluso il campo politico che non è al di sopra né fuori dal campo dei diritti umani. Anche i politici possono offendere i diritti umani e spesso lo fanno con conseguenze molto più gravi dei semplici cittadini, data la loro posizione. 4. Segretariato animazione missionaria Questo segretariato ha sempre trovato delle difficoltà dato che in fondo l’animazione missionaria è fatta soprattutto a livello di ogni casa e dal personale assegnato dalle Province. Per questo, il Segretariato però, sente il bisogno che gli animatori seguano alcuni corsi. Tuttavia, molte volte, per necessità di cose, nella animazione missionaria di base, gli animatori non sono sempre persone pienamente identificate e felici per dare testimonianza ed incoraggiare a seguire la loro strada. Non sempre la rotazione del personale addetto alla animazione missionaria ha dato vantaggi nella metodologia. In qualche caso, l’animatore si è unito a diversi gruppi di animatori missionari per cui, l’animatore comboniano si è liquefatto nella generalità dell’animazione missionaria generica. Forse per questo, da questa animazione, i promotori vocazionali non hanno ricevuto vantaggi. Dall’Animazione Missionaria del Comboni sorsero le vocazioni, compresa quella del cardinale Lavigerie, fondatore dei missionari/e d’Africa (Padri Bianchi). Tuttavia, a livello continentale, furono organizzate: per l’Europa, a Madrid, nel gennaio 2000: per l’Africa di lingua francese a Lomè (Togo) nel marzo 2002, per l’America, a Bogotà nel giugno del 2002, a Nairobi per la lingua inglese nel novembre del 2002. Il mezzo più importante dell’animazione missionaria è quello delle comunicazioni sociali. Infatti, alcune assemblee continentali sono state organizzate solo per questo, come a Lima nel 1999, a Lisbona nel 2002, a Madrid nel 2003. Anche qui e soprattutto in questo campo è mancato e manca ancora personale qualificato. Però, in questo sessennio, si sono fatti buoni passi nell’avere dei laici preparati e competenti in questa professione. Sono incominciate due riviste: Afrique Espoir.a Kinshasa (1998) e Aguiluchos dell’Equador e Colombia. Sono terminate due riviste Alò mundo (Brasile) e Comboni mission (USA), però questa ultima è stata sostituita da News letter, trimestrale. Da notare come Sem Frondeiras per giovani del Brasile: ha ricevuto un premio per il suo accento sui diritti umani. L’Esquila Missional del Messico, quest’anno celebra il suo 50° di fondazione. Da lodare il nostro personale che ha fondato e collabora con la Radio gestita dalla Chiesa locale e da Radio Maria. Sono 10 queste radio.

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Questa lode è più che giusta, perché noi missionari siamo a servizio della Chiesa Locale. Tuttavia posso notare che la rivista “Leadership”, fondata e gestita dai Comboniani, non è mai stata ufficialmente riconosciuta perché registrata nella Chiesa Locale di Gulu. Oggi, in Uganda, è l’unica rivista cattolica. L’Animazione missionaria ha guadagnato molto sia a livello centrale come a quello provinciale e locale nella preparazione e celebrazione della Canonizzazione del nostro fondatore, Santo Daniele Comboni. Eccellente l’impegno di molti confratelli nei mezzi di Comunicazione Sociale.Difatto ecco la lista aggiornata al 2003. a. Riviste comboniane per ragazzi e giovani

RIVISTA

FONDAZIONE

LUOGO

PERIODICITÀ

TIRATURA 1996

TIRATURA 2003

Piemme Aguiluchos

1927 1957

Verona Madrid

Mensile Mensile

43.000 65.000

24.500 55.000

- 18.500 - 10.000

Audacia Aguiluchos Aguiluchos Zikomo

1966 1966 1978 1989

Lisboa Mexico Lima Lunzu MZ

Mensile Mensile Mensile Timestrale

50.000 45.000 20.000 4.500

50.000 45.000 13.000 1.200

= = - 7.000 - 3.300

b. Riviste comboniane per il pubblico

RIVISTA

FOND.

LUOGO

PERIODICITÀ

TIRATURA 1996

TIRATURA 2003

Nigrizia Comboni Mission

1883 1946

Verona Dublin

Mensile Trimestrale

30.000 10.000

25.000 19.000

- 5.000 + 9.000

Além Mar Esquila Misional

1956 1953

Lisboa México

Mensile Mensile

30.000 40.000

27.000 45.000

- 3.000 + 5.000

Mundo Negro Kontinente

1960 1965

Madrid Colonia

Mensile Mensile

95.000 100.000

100.000 9.000

+ 5.000

Sem Fronteiras World Mission

1972 1989

San paolo Manila

Mensile Mensile

15.000 11.000

10.000 6.500

- 5.000 - 4.500

World Wide New People Sin Fronteras Misiòn sin Fronteras Misjonarze Kombonianie Afriquespoir

1990 1990 1979 1978 1992 1998

Pretoria Nairobi Bogotà Lima Vaesavia Kinshasa

Bimensile Bimensile Mensile Mensile Bimensile Trimestrale

3.600 22.000 16.000 10.500 20.00

2.500 25.000 16.000 8.000 15.000 6.500

- 1.100 + 3.000 = - 2.500 - 5.000

Osservazioni: 1. “Kontinente” è la rivista missionaria della Germania. I diversi Istituti rinunciarono alla loro propria rivista. I nostri confratelli, allora chiamati “Missionari figli del Sacro Cuore”, rinunciarono anche alla loro rivista in tedesco “Stern Der ne ger” (La stella dei neri) però mantennero un’ altra pubblicazione “Werk der erlosers” (L’opera del Redentore) che viene pubblicata una volta l’anno, una specie di almanacco annuale. 2. Quello che possiamo notare è che una animazione missionaria generica di tutti gli

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3. Istituti missionari assieme, difficilmente può diventare promozione vocazionale per un Istituto anche se questi può inserire qualche articolo in tale rivista. Fortunatamente il Provinciale di Spagna, d’accordo con il Padre Generale, ha resistito all’invito degli altri Istituti missionari, negli anni 70, di ripetere la stessa tragedia e così “Mundo negro” ha resistito e ora conta 100.000 copie. 5. Segretariato per l’economia Nel commento sul Capitolo Generale del 1997, diedi un pieno resoconto di questo segretariato. Mi limito ora, ai nuovi sviluppi e suggerimenti. a. Innovazioni per il fondo Scolasticati e Centri Fratelli II Fondo Scolasticati/CIF ha ricevuto dal Capitolo nuove direttive: tutte le province collaborano alle spese del fondo poiché "le vocazioni sono una ricchezza per tutto l'Istituto", e nella richiesta di contributi, "si abbia particolare attenzione alla situazione economica delle province", cioè chi più ha più dia. Dopo il Capitolo si è messo in atto tutto un movimento di applicazione delle direttive ricevute: il Consiglio per l'economia ha preparato una tabella di quozienti per ogni Provincia o Delegazione basata sulla sua situazione economica e sulla valutazione dei pagamenti previsti da questa tabella. II Consiglio Generale ha apportato delle modifiche secondo il suo punto di vista e sono stati consultati i Superiori Maggiori. Dopo gli ultimi aggiustamenti la tabella è entrata in vigore. b. Fondo assistenza ammalati II Fondo Assistenza Ammalati ha pure trovato una nuova linea di gestione: in pratica è partito ex-novo, mantenendo solo il principio della solidarietà dei Confratelli con coloro che sono ammalati e di tutte te province tra loro. È stato abbandonato il principio base che le pensioni italiane debbano servire da finanziamento delle spese dei confratelli ammalati. Si è lasciato il beneficio delle pensioni a quelle province dove queste sono pagate ed è stato accettato il principio delle condivisione: tutti possono aderire al Fondo Ammalati, ma la partecipazione è libera; tutte le province e delegazioni però daranno un contributo, anche se scelgono una struttura alternativa al Fondo Generale. Membri del Fondo Generale Ammalati non sono gli individui, ma le province e delegazioni che iscrivono i loro confratelli di appartenenza giuridica. Con la stessa procedura di cui sopra, nel Fondo Scolasticati, si è proceduto alla costituzione di una tabella di indici di partecipazione basata sulla grandezza numerica delle province stesse, sull'ordine approssimativo delle decine. Il lavoro di preparazione è passato dal Consiglio per l'economia, al Consiglio Generale, ai Superiori maggiori ed è stato approvato dal C.G. Nel 2002 è stato adattato alla nuova situazione delle province. c. Fondo comune La proposta capitolare di iniziare un regime provinciale di Fondo Comune, ha permesso di approfondire il tema, ha fatto discutere e nuove province hanno deciso di intraprendere la nuova via proposta: Centrafrica - Ciad - Congo - Sud Sudan, oltre al Malawi/Zambia; altre province, come Spagna e London Province, si sono riconosciute nello spirito proposto, realizzato con uno stile proprio. L’economia generale osserva che il Fondo, a volte, si è insabbiato perché esige che tutte le offerte personali vengano messe in questo fondo ed amministrato dal Consiglio provinciale secondo le richieste e i progetti: ciò non avviene per l’individualismo dei missionari che hanno i loro progetti e per questo chiedono le offerte senza confrontarsi sia con il Consiglio provinciale che con le Comunità.

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Talvolta, però, l’individualismo è tale che qualche membro della comunità non fa gli sforzi che altri fanno per cercare benefattori, scrivere loro frequentemente, mandare rapporti, etc. d. Progetti dell’Istituto realizzati II C.G. ha preso l'iniziativa e la decisione di alcune opere e si è impegnato nel finanziamento, chiedendo pure un contributo libero alle province e delegazioni. – Scolasticato di Kinshasa (CN) – 1997/99 – Interventi allo scolasticato di Roma (C) -1997/98 – Interventi alla Casa Eur (C) -1997/99 – Casa di Issy-les-Moulineaux (Parigi) -1999/2003 – Casa di Cracovia (Polonia) - 2000/03 – Rete telefonia-dati in Curia - 2001102 – Cd-ROM "Vostro per Sempre-Daniele Comboni"- 2002103 – Scolasticato di Pietermaritzburg (SA) – 2002 e. Finanziamenti dal Fondo Impegni Futuri (F.I.F.): II Capitolo '97 ha costituito il Fondo Impegni Futuri con un tetto di USD 500.000 "per permettere alla DG interventi urgenti, cioè una risposta immediata a richieste ricevute da province o altre situazioni giudicate urgenti". (n. 183). Richieste di progetti accettati e almeno in parte finanziati dal Servizio Progetti della Amministrazione Generale. Acquisto Centro Afrique-Espoir (CN)- 1998/99 -Debiti della Scuola di Gilgil (KE) 2000 Missione di Bibwa (Cn) 2001- Sede di Delegazione (TC) 1998 - Danni di Guerra a Kisangani (CN) 2000 - CAM Manila (A) 1999/2001 - Noviziato a Lusaka (MZ) 2000 - Noviziato di Cotonou (TBG) 2001- CAM Beira (MO)1999/2000 - Leadership Centre a Lusaka (MZ) 2000 - Formazione in Congo 2001/02 - Sede di delegazione in Colombia 2002 - CAM (KE) 2000 - MISNA 2001 - Computers per Comboni College (KH) 2000 - Noviziato di Lusaka (MZ) 2002 Debiti della rivista “Sem fronteiras” (BS) 2000 - Arcidiocesi di Khartoum 1998 - Ricostruzione del SAVE (TC) 2001 - Tangaza College,Nairobi (KE) 2001. Emergenze: Fame in Sud Sudan – 1998. Uragano in Guatemala – 1998. Vittime della Guerra EtiopiaEritrea – 1999. Alluvione in Mozambico – 2000. Siccità in Eritrea – 2000. f. Attività annuali del Segretariato per l’economia Assemblee economi: sono state realizzate le assemblee continentali nel 2001 e quella generale nel 2002. L'utilità è stata evidente: per l'informazione, la riflessione e la formazione. È stata l'occasione di chiarire ed approfondire il funzionamento di vari argomenti di economia ed amministrazione nei rapporti tra direzione generale e Province/delegazioni. I nuovi economi, e non solo, hanno avuto modo di essere introdotti ai principi generali di amministrazione in generale ed applicata ai programmi computerizzati. Nell'assemblea generale de1 2002 è stato presentato il programma di contabilità "Accorsi" come proposta per quelle province che ne avessero bisogno e come primo tentativo di unificare la contabilità, là dove è possibile. g. Visita alle province Centrafrica 1999, Etiopia Eritrea 1999, Tchad 2002, Kenya 2002, Uganda 2002.

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In queste visite e raduni si sono richiamate le linee direttive delle regole di vita in materia economica, direttive spesso sottovalutate se non ignorate anche dai Consigli Provinciali. 2. UFFICI GENERALI Nel commentare le attività dei diversi periodi, non ho mai parlato degli uffici generali.Penso opportuno che, per la storia, si debba conoscere anche il lavoro di questi uffici che spesso è un lavoro nascosto ma prezioso e necessario per la vita dell’Istituto. 1. Archivio storico di Roma (ACR) Comincio con questo che è forse il meno conosciuto ma, molto impegnativo come si può vedere dal rapporto sessennale. a. Introduzione – Questa relazione deve essere letta nell'ottica degli altri due settori dell'Archivio generale, i.e.: 1'Archivio corrente (sala della Consulta) e 1'Archivio di deposito (presso la Segreteria generale). – Gli Uffici generali contribuiscono pure, con versamenti periodici, a completare la documentazione atta a testimoniare storia e tradizione dell'Istituto. – Sebbene il settore sui Beni Culturali sia trattato brevemente a parte, il contenuto di questa materia costituisce per i contenuti stessi dei documenti, un prezioso fondo archivistico. b. Gestione dell'ACR Per gestione si intende 1'insieme delle attività per cui l'ACR, vive e si rinnova, diventando uno strumento fruibile in primis dal Consiglio Generale, poi dall'Istituto in tutti i suoi membri e a ricercatori interessati alla nostra storia. Divido la materia facendo riferimento sia ai settori che alle priorità. PRIORITÀ Protocollo: c'è stata attenzione ad ogni richiesta dando la precedenza al Consiglio Generale e alla Segreteria generale. L'aumento di domande è continuo, soprattutto da parte di persone esterne all'Istituto, è un servizio estremamente impegnativo. Defunti Mccj: particolare attenzione viene data alla conservazione della memoria dei nostri defunti, essa costituisce il meglio della nostra storia. Sono state riordinate le cartelle personali (1400 circa) ed integrate con la collocazione in 'Caselle' di scritti o diari da loro lasciati. Restauri: continuando nell'opera di restauro - lodevolmente e precedentemente terminata per gli scritti del Fondatore - ora vengono curati i documenti relativi ai suoi successori come Vicari Ap.ci e ai discepoli e i libri manoscritti dell'inizio dell'Istituto (per esempio: Libro Capitolare, 1899-1940). In questa necessaria opera di restauro viene impiegato quasi tutto il budget annuale dell'ACR. Trascrizioni: restava non solo inedit ma nemmeno trascritta la maggior parte delle fonti storiche lasciate dai compagni del Comboni e dai personaggi che sono venuti a contatto con lui. Da alcuni anni una suora comboniana, è impegnata in questo lavoro. Ciò viene fatto nella prospettiva di attuare la pubblicazione integrale delle Fonti Storiche Comboniane. Ricerche: le ricerche d'archivio, che indicano la vitalità di questa struttura, vanno distinte in: – Ricerche fatte dall'archivista in risposta a domande di confratelli/estranei che non possono venire in ACR o non saprebbero organizzarsi da soli. Non sono impegnative per gli approfondimenti, ma per la varietà delle richieste.

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– Ricerche condotte da ricercatori seri: numericamente sono poche ma danno prestigio all'ACR per le pubblicazioni che vengono prodotte. Nuovi Reperti: sono una sessantina i documenti che arricchiscono il nostro patrimonio sul Fondatore. P. Aldo Gilli aveva già iniziato a raccoglierli (alcune centinaia) ed ora - per merito anche di ricercatori amici e frequentatori di archivi storici - potranno essere presentati alla Famiglia Comboniana. La ricerca continua con successo. ALTRE ATTIVITÀ DELL'ACR I settori/attività che verranno qui di seguito elencati sono essenziali per 1'ACR. Per la loro specificità non implicano urgenza. Perciò, anche se non sono stati disattesi, risentono di pesanti ritardi. Solo un organico più ricco potrà far recuperare queste inadempienze. Segnatura archivistica: è un compito impegnativo e complesso con tre fasi di attivazione: 1. Scarto: è la valutazione del documento per verificarne la validità storica. Non può mai essere eseguito da una persona singola: per questo esiste un Consiglio di gestione. 2. Segnatura: ogni documento, per essere rintracciabile in vista di consultazioni, deve avere una sigla che lo identifica. 3. Collocazione: Posizionare in una "casella" richiede la formazione di un "fondo" che unisca documenti riferibili ad un unico soggetto, per quanto è possibile. Computerizzazione: la mancata computerizzazione sembra la più evidente lacuna nella gestione dell'ACR in questi anni. In certa misura è vero, a condizione però che non implichi un presunto danno alla ricerca. Per le seguenti ragioni: – Ai Convegni degli "Archivi storici", su questo argomento, si è sempre parlato della computerizzazione degli inventari e schedari. Non della documentazione. – Questo compito viene affidato ad un informatico e non può essere assunto dall'archivista. – Finora la ricerca non è stata intralciata dall'assenza della computerizzazione degli inventari. Archivio Fotografico Centrale: pur essendo considerato un settore dell'ACR, il nostro patrimonio di media è così vasto che potrebbe impiegare a tempo pieno una persona. La "conservazione" di questo materiale è molto più delicata di quella dei documenti. Non possediamo ambienti adatti a ciò, né tecniche né possibilità adeguate. Inoltre sia le riviste che Comboni Press sono diventati i contenitori naturali - insieme con le tecniche legate ai computer - della nuova produzione nei vari campi. Bisognerebbe sentire almeno il dovere di conservare il patrimonio del passato. Un ultimo rilievo sui contenuti: a parte dei progressi tecnici non mi risulta che le nuove immagini siano più ricche nel descrivere sia i momenti dell'evangelizzazione che delle culture. I beni culturali mccj Su mandato del XV Capitolo Generale, la Consulta ha approvato la Legislazione nell'ottobre 1998. Essa è entrata in vigore il 19 marzo 1999. – Su MCCJ Bulletin (Gennaio-Aprile 1999, n. 202) oltre al testo della Legislazione stessa, c'è un articolo che ne illustra il significato e, perciò, i valori che essa contiene. – Ai Provinciali/Delegati sono state inviate/consegnate le due lettere circolari della Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa, cioè: (1) La funzione pastorale degli archivi ecclesiastici, de12 febbraio 1997 – (2) Necessità e urgenza dell'inventariazione e catalogazione dei Beni Culturali della Chiesa, dell'8 dicembre 1999. I contenuti e le direttive di questi documenti - destinati alle diocesi e Istituti di tutta la Chiesa - saranno certamente servite nell'attuazione della nostra Legislazione.

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ATTUAZIONE DELLA LEGISLAZIONE

Province/Delegazioni: è comprensibile che questo nuovo atteggiamento della Chiesa di fronte ai beni culturali, anche se codificato in una legislazione, esige tempi lunghi per entrare nella prassi e dare i suoi frutti. Si potrà avere un panorama generale leggendo le relazioni al Capitolo. Lo spazio e 1'evidenza che sarà data all'argomento indicherà il cammino che si è fatto. Per ora, ogni giudizio sarebbe prematuro. Risonanze nell'ACR: nella gestione dell'ACR ho notato segni di valenze diverse su questo argomento. – Esiste un rapporto diretto fra consapevolezza di appartenere alla Chiesa e capacità/interesse per i nostri Beni Culturali che incarnano nella storia sia 1'evangelizzazione che la tradizione. – Più dei soggetti istituzionali preposti a questo compito, sono i singoli - pochi in verità, ma sparsi in diverse circoscrizioni - che privilegiano questi valori. Il tema rientra evidentemente nell'ambito della formazione permanente dove ogni comboniano ne è il primo responsabile. – Gli archivi, le biblioteche ed i musei sono gli ambiti dove i Beni Culturali vengono conservati, progressivamente arricchiti e consultati. Non sembra che siano strumenti e luoghi privilegiati. Ciò è in controtendenza con la cultura moderna che invece riscopre sempre di più la memoria del passato e la documenta. – A parte alcune lodevoli accezioni, 1'anello più debole è la categoria degli anziani. In termini archivistici si può indicare la data dei 50 anni come quella ideale per un bilancio della propria esperienza ed un impegno per tramandarne la memoria. Si notano - sempre con le eccezioni già ammesse - due tendenze opposte. Da una parte, un accumulo di esperienze e di documentazione continue e non finalizzate. Altri sembra si ritirino dalla scena della missione, distruggendo perfino le loro testimonianze scritte o affidandole a parenti/amici fuori dell'Istituto. – Infine, per ciò che riguarda i soggetti istituzionali, è la comunità locale che sembra meno attenta al problema. L'attività spesso frenetica non permette di trovare spazi per questi temi considerati marginali. Si rischia di omologarsi alla società moderna ricca di cose superflue e povera di quelle essenziali. Considerazioni finali e proposte Ø Nostro contributo alla conservazione della memoria nelle Chiese e culture dove siamo presenti: la storia dei MCCJ è iniziata con il Fondatore e i primi confratelli impegnati nello studio delle lingue; la conoscenza dei costumi e 1'inculturazione del Vangelo. Mutati i tempi ci si dovrebbe mettere come Istituto sulla linea dell'IAMS (International Association for Mission Studies). In un convegno organizzato presso il CIAM mesi fa, si è trattato proprio di questo argomento. Sono stati pure mostrati i risultati raggiunti - in particolare dalle missioni protestanti - per la conservazione della memoria e delle culture. Due sono state le caratteristiche evidenziate. La partecipazione delle popolazioni stesse nella ricerca e le tecnologie moderne impiegate. Ø Provincie responsabili della conservazione della memoria dei loro defunti: con la provvidenziale e progressiva istituzione dei CAA (Centri Assistenza Ammalati) si è risolto il problema dell'assistenza. Se ne sono aperti altri. Chi conserva la memoria? Con quali mezzi e in quali tempi? Un comboniano può morire sia lontano dalla sua provincia d'origine sia dalla sua missione. L'ACR non può continuare ad essere il depositario della memoria a queste condizioni. Ø La memoria dei modelli: nella nostra Regola di Vita (1.4) il patrimonio spirituale nostro è costituito anche dalla vita di "chi ha offerto la migliore esemplificazione del carisma origi-

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nario". Pochi di questi modelli sono stati identificati e si conosce lo specifico della loro testimonianza. Le biografie recenti - provvidenziali e merito di pochi agiografi convinti del valore della testimonianza - sono spesso frutto dell'iniziativa di parenti, amici e parrocchie. Mentre questo deve continuare, 1'Istituto dovrebbe farsi carico della responsabilità di ricordare chi, nell'evangelizzazione, formazione ed animazione missionaria attualizza la presenza e il carisma del Fondatore nella nostra storia. Ø Narrazione della morte: un altro aspetto che sta scomparendo da noi è la "narrazione della morte dei MCCJ". Ci conformiamo in questo modo alla civiltà moderna che occulta il morire e perdiamo il tesoro dell'atto supremo della vita. Non serve dilungarsi su questo: basti vedere il problema alla luce dal cristianesimo. Ø Istituti e Movimenti nati da MCCJ: esiste una ricchezza nascosta che è costituita dai valori riconosciuti nella Chiesa e che hanno una radice comboniana. Senza voler interferire nell'autonomia di queste nuove realtà, le singole Province dove esse si sono radicate potrebbero seguirne lo sviluppo e, periodicamente, far conoscere al Consiglio Generale queste realtà. Spetterà poi ai superiori giudicare come queste notizie possono servire a tutto 1'Istituto. Lo stesso - e in modo analogo - si può dire dei Vescovi comboniani. P. Pietro Ravasio, mccj Archivista Roma, 14 maggio 2003 2. Procura Generale: punti principali a. Servizio amministrativo per diocesi e altri enti Fino al dicembre 2000, la Procura generale ha prestato alcuni servizi di contabilità e amministrazione per i Vescovi comboniani (17), e altri Vescovi di 26 diocesi dove i Comboniani sono presenti. Inoltre si è tenuta la contabilità di piccoli Istituti missionari e religiosi fondati da Comboniani e da non Comboniani (13), Seminari (6), Ospedali (6} e altre opere. Il capitale era depositato in titoli e obbligazioni (non azioni) presso lo IOR del Vaticano. Una piccola parte degli interessi era trattenuta per le spese di Procura; il resto era corrisposto ai proprietari dei conti ogni sei mesi. Negli ultimi anni il capitale era ridotto di molto, come pure gli interessi. Prima del cambio del Procuratore (l.l.'0l), il Consiglio Generale decise e attuò il trasferimento di tutti i conti della Procura presso 1'economato generale, continuando così lo stesso servizio alle Chiese locali. b. Servizio di rappresentanza Nel Direttorio della Direzione Generale (Roma 1997), che applica la RV 141, si dice che "Il procuratore generale collabora con il Consiglio generale nel presentare e seguire gli affari dell'Istituto presso la S. Sede, patrocinando una reciproca conoscenza e intesa" (n. 81). Un compito che a volte presenta difficoltà da gestire con equilibrio e pazienza. Gli organismi vaticani con i quali si hanno i contatti più importanti e frequenti sono: – Segreteria di Stato (corrispondenza e udienze), e le Congregazioni per la: – Evangelizzazione dei Popoli (udienze, richieste di aiuti e atti civili, giuridici e legali), – Istituti di Vita Consacrata e Società di Vita Apostolica (dispense dai voti perpetui, esclaustrazioni e incardinazioni, altri permessi), – Culto Divino e Disciplina dei Sacramenti (laicizzazioni e dispensa dal celibato), – Chiese Orientali (cambio di rito), – Educazione Cattolica (temi relativi a scuole) e altri dicasteri e uffici vaticani su richiesta dei Superiori della Curia e altri confratelli. Vi sono inoltre altri incontri ed eventi di vita ecclesiale in cui la presenza è richiesta, o conveniente.

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c. I confratelli che lasciano l'Istituto È questo il settore più delicato e impegnativo per il procuratore. I confratelli in situazioni particolari (fuori Comunità - FCM - in attesa o in processo di laicizzazione, dispensa dai voti, esclaustrazione, incardinazione, dimissione, ecc.) costituiscono una "provincia sommersa". La lista di confratelli FCM, che figura nell'Annuario Comboniano 2002, è solo parziale e indicativa di una realtà più vasta. Trattare con questi confratelli in difficoltà, in vista di una soluzione anche giuridica del loro caso, è compito anzitutto del superiore provinciale/delegato e, in seno al CG, del vicario generale. Il procuratore generale interviene, su richiesta e indicazioni del CG, per preparare e inoltrare le pratiche presso i dicasteri vaticani competenti, allo scopo di regolarizzare le situazioni anomale. Riguardo a questi confratelli, le domande che molti mi rivolgono sono sempre queste: quanti sono? perché sono usciti? come aiutarli? Cominciamo con la prima domanda. Quanti sono? In tutto 1'Istituto, dal 1887 al 2001, su un totale di 4505 professi ne sono usciti 1780 (40%), di cui: scolastici 925 (27%), sacerdoti 398 (12%), fratelli 457 (43%). Nel 2002 gli usciti dall'Istituto sono stati 26: 3 padri; 6 Fratelli; 17 scolastici. Nel 2001 erano stati 25: 1 padre; 6 Fratelli; 18 scolastici. E così possiamo scorrere i dati per ogni anno nel primo numero del MCCJ Bulletin. Ciò significa che 1'abbandono dell'Istituto è ancora consistente, e non tende a diminuire... Nel sessennio 1997-2003, i casi regolarizzati con decreto della S. Sede sono stati 38: – laicizzazione per 9 sacerdoti e 1 diacono; – dispensa dai voti perpetui per 7 Fratelli e 2 scolastici; - esclaustrazione per 9 sacerdoti – incardinazione per 10 sacerdoti Una dozzina di confratelli sacerdoti hanno iniziato un processo di laicizzazione, ma si devono ancora completare i documenti, sia da parte degli interessati come da parte dei superiori provinciali/ delegati. Casi "antichi” giacenti da decenni... Sono un numero imprecisato (qualche decina) i casi di confratelli sacerdoti che da qualche decennio hanno lasciato 1'Istituto, senza aver ancora regolarizzato la loro situazione; sono casi di abbandono del celibato e del sacerdozio (soprattutto casi di dimissione), come pure casi dí esclaustrazioni che si sono prolungate arbitrariamente. Perché hanno lasciato? Seguendo 1'analisi sui documenti fatta da P. Manuel Joao, soprattutto per i sacerdoti e i Fratelli di VP usciti nel periodo 1980-2001 (Segretariato per la Formazione), le motivazioni dominanti e secondarie dell'uscita appaiono in quest'ordine, secondo í gruppi: – sacerdoti laicizzati e Fratelli di VP: 1. difficoltà nel campo affettivo, cioè nel celibato (41 %) 2. difficoltà nella vita comunitaria (40%), voto di obbedienza (20%) 3. scarsa identificazione verso 1'Istituto (34%} 4. inconsistenza vocazionale di base (30%) 5. dipendenza da condizionamenti sociali, familiari, psicologici (23%) – sacerdoti incardinati: non identificazione con il fine specifico ad gentes dell'Istituto comboniano (30%)

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Come aiutarli? Comprensione, pazienza e accoglienza (soprattutto per chi è in difficoltà, o sta sbagliando...) tempestività e franchezza (intervenire a tempo, portando e chiedendo chiarezza) coinvolgere la comunità religiosa ed altri elementi sani dell'intorno... Più a monte: scelta più accurata ed esigente dei candidati. Un tempo di decantazione. Non è male lasciar passare del tempo (anche uno o due anni) dopo 1'uscita de facto e prima di iniziare un processo di laicizzazione, esclaustrazione o incardinazione, salvo in casi particolari (punto di morte, grave malattia, speciali situazioni di scandalo per i fedeli...). La semplice fretta di contrarre matrimonio religioso non è sempre una buona consigliera. Mantenere i contatti con gli usciti, soprattutto per portare avanti e concludere il processo iniziato, cioè 1'elaborazione dei documenti necessari. Una volta arrivati ad una chiarezza e serenità sul caso, non conviene dilungare inutilmente i tempi, ma procedere verso la conclusione del caso. Normalmente, se la documentazione è completa, le richieste di dispensa dal celibato e dagli impegni del sacerdozio sono accolte favorevolmente nel giro di 2-3 mesi; per il diaconato in 1520 giorni; per la dispensa dai voti perpetui (caso di Fratelli, scolastici, incardinazioni} in una settimana. Nel rescritto di concessione della grazia chiesta (dispensa) sono indicate alcune clausole che è bene spiegare agli interessati e invitarli a rispettarle e soddisfarle (compresa una piccola penitenza...). Salvo eccezioni, l'unico caso di attesa obbligata riguarda i sacerdoti al di sotto dei 40 anni. Per i sacerdoti sub-40 1'iter della dispensa è più esigente e lento, o rimandato fino ai 40 anni. (Vedi le istruzioni ad hoc della Congregazione per il Culto...: 6.6.1997; 11.3.1998). 4. Postulazione Generale: punti principali (1997-2003) È l’ufficio per la Beatificazione e Canonizzazione di persone sante sia comboniane come cattoliche abitanti nei nostri territori si missione. In questo periodo sono state completate con successo la Canonizzazione del nostro Santo fondatore (2003) di cui ho già abbondantemente parlato e la Beatificazione dei due martiri Acholi (2002) (cause pendenti nel 2003). Mons. Antonio Roveggio, secondo successore del nostro fondatore. La sua santità e il suo eroismo aveva lasciato orme dalla sua morte. La ricerca fu intensificata dal 1952 al 1954. La cosiddetta “Copia pubblica” fu consegnata alla Postulazione della Congregazione delle cause dei Santi nel 1969. Ma l’intensità del lavoro che ha richiesto la canonizzazione di St. Daniele Comboni, interruppe ogni ricerca su mons. Roveggio. Ora, dopo la Commemorazione centenaria della morte a Verona il 7 giugno 2002 e varie conferenze tenutesi in quel di Cologna Veneta, si avverte la necessità di una seria indagine storica che venga a completare le deposizioni giurate del processo rilasciate da testi a tutti gli effetti autorevoli per conoscenza diretta, qualità personali e incarichi disimpegnati. Esigenza che si rivela tanto più urgente in quanto che il Processo Roveggio deve considerarsi a tutti gli effetti un Processo storico. Poco tempo invece richiederanno i due Processi sulla continuata fama di santità che dovranno essere istruiti a Verona e a Khartoum e i cui vescovi hanno offerto già la loro piena disponibilità. a. Causa del Servo di Dio P. Bernardo Sartori Il Processo diocesano fu aperto ad Arua il 25 marzo 1998 dal vescovo mons. Frederick Drandua, con un'appendice rogatoriale a Gulu, e seguito in loco dal Vice-postulatore P. Mario Marchetti. Alcuni mesi dopo si iniziavano due Rogatorie a Troia, 1' 11 febbraio 1999 e a Trevi-

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so 1' 8 marzo dello stesso anno. Il Processo si protraeva per quasi tre anni, durante i quali erano escussi 130 testimoni e raccolte quasi 6000 pagine dì documenti. Concluso in tutte le sue sedi (Treviso: 14 giugno 1999; Arua 14 marzo 2000 e Troia 3 giugno 2001), non potendo inviare alla sede del Processo principale (Arua) tutta 1'enorme mole di documentazione raccolta, tutto fu riunito a Roma immediatamente dopo la chiusura del Processo Rogatoriale di Troia. Da allora giace nella Congregazione delle Cause dei Santi, la quale non ha ancora rilasciato il voto di validità per mancanza di documenti o per difetto di formalità giuridiche. Sono già stati richiesti i documenti mancanti sperando con ciò di rimettere in moto la Causa, peraltro seguita con molto interesse al di fuori dei nostri ambienti. Nel frattempo si è seguito un evento prodigioso, cura di tumore al pancreas, e già erano stati fatti i contatti necessari sia in diocesi di Treviso, dove il fatto era accaduto, sia tra i testi tecnici (professori, medici, infermiere), e sia tra i testi che erano stati all'origine dell'invocazione. Tutto sembrava dover aver inizio per la metà di maggio del corrente anno, allorché sono state sollevate imprevedibili difficoltà dal punto di vista medico. Attualmente si sta facendo valutare il caso da una équipe medica di Lione. Le speranze comunque, di un possibile Processo "super miro", sembrano allo stato attuale minime. Accanto a queste attività di ordine procedurale, ci sono state anche delle iniziative di carattere informativo e di appoggio finanziario alla Causa. Così è stato ristampato il libro di p. Gaiga La sfida di inz uomo in ginocchio, è stato pure stampato un libretto: Pensieri di padre Sartori e 4 numeri degli Amici di Padre Sartori, oltre naturalmente a santini in varie lingue e un poster con Ia data d'inizio del Processo. In concomitanza con le varie Cause che arrivavano alla meta, questa attività è venuta meno, non per mancanza di interesse o di materiale divulgativo, ma semplicemente per mancanza di tempo. Comunque la figura di P. Sartori continua, soprattutto a1 di fuori dei nostri ambienti, a suscitare ammirazione e venerazione. Ne è segno eloquente 1'interesse con cui le persone seguono 1'iter della Causa e la celerità con cui la vorrebbero conclusa. b. Causa del servo di Dio P. Giuseppe Ambrosoli La Causa di P. Ambrosoli, fu iniziata a Kalongo il 22 agosto 1999 da mons. John Baptist Odama, con 1'aiuto del Vice-Postulatore p. Mario Marchetti. Integrata con un Processo Rogatoriale a Como, il 7 novembre dello stesso anno, si è conclusa il 30 giugno 2001, data in cui fu consegnata alla Congregazione delle cause dei Santi in Roma. Da allora giace nell'Archivio della Congregazione delle Cause dei Santi, la quale non ha ancora rilasciato il voto di validità per mancanza di documenti o per difetto di formalità giuridiche. Sono già stati richiesti i documenti mancanti sperando con ciò di rimettere in moto la Causa, peraltro seguita con molto interesse al di fuori dei nostri ambienti. Per quanto concerne il capitolo delle grazie speciali, che potrebbero portare a un Processo, non c'è alcun segnale. Era stato segnalato un evento prodigioso a Como, che poi ad un attento esame non riusciva a configurare un quadro clinico al di fuori di ogni spiegazione scientifica. c. Alcuni nomi in lista Padre Ezechiele Ramini, per il quale il Consiglio Generale ha dato il suo benestare nel 2001. Però poco è stato fatto per Fr. Giosuè ….. Altri nomi suggeriti: Fr. Sergi e Fr. Fanti Vittorio, ispirato pittore, Mons. Negri (+1949 – vescovo di Gulu per il quale la diocesi di Gulu è già in azione. p. Arnaldo Baritussio Roma – maggio 2003

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C. RELAZIONI DELLE PROVINCE Introduzione Le relazioni del Distretto della Curia, Delegazioni, Province seguono lo schema proposto dalla Direzione Generale. Tale schema è una verifica del programma assegnato all’Istituto per questo sessennio dal Capitolo del 1997. 1. Ripartire dalla missione Vuol dire giudicare l’attività dei Comboniani a seconda del come hanno vissuto e vivono la missione giudicata nei suoi diversi aspetti e cioè la missione vissuta: – nella fraternità e nella collaborazione in spirito di vera comunione, nell’Animazione Missionaria – nell’attenzione alla persona, servizio dell’autorità, condivisione di beni, inculturazione e dialogo, impegno per la giustizia e pace... Le risposte mostrano una buona situazione che naturalmente differenzia a seconda dell’ambiente di ogni provincia, della situazione del personale, specialmente dei Superiori sia Provinciali che locali e della difficoltà di relazioni non tanto personali quanto di differente formazione teologica liturgica e Biblica a seconda dei diversi Scolasticati. La “Missione” è il fine del carisma comboniano ma la strada di questo cammino è discutibile quando si discute sulla Missione stessa. 2. Problemi particolari a. Vita Comunitaria In generale si osserva una certa regolarità nella pratica di orario, anche di preghiera. Non mi pare però di aver trovato in qualche relazione provinciale sulla vita della comunità, la percentuale di confratelli che praticano abitualmente l’ora di preghiera personale, secondo la regola di vita n.49,1. Sembra sia tabù parlarne anche nei consigli di comunità. In qualche relazione provinciale si legge chiaramente “Nei Consigli di comunità difficilmente si riesce a portare alla discussione sulla condivisione di esperienza di vita spirituale e di fede eppure non siamo ancora sufficientemente cresciuti nella condivisione interiore e nell’attenzione alla cura spirituale dei confratelli”. Si legge anche nella relazione di una Provincia (Malawi – Zambia): la televisione ed il computer, possono ostacolare momenti di vita comunitaria. Un’altra Provincia con molta onestà scrive: “Abbiamo confratelli che vivono con molto coraggio la loro vocazione missionaria e comunicano il carisma del Comboni, ma abbiamo altri che orientano la loro vita ad una attività esagerata per emergere personalmente (protagonismo) per cui le dimensioni della vita comunitaria apostolica vengono schiacciate “esquicidas”. Si nota pure una prevalenza dell’aspetto sociale della missione apostolica: questo succede perché è più facile fare cose (creare strutture, costruire) che evangelizzare in profondità (Mozambico). La stessa osservazione viene dalla Delegazione dell’Eritrea: “La condivisione di fede e preghiera ha migliorato anche se il “lavoro” riesce ancora: forse troppo di frequente ad avere la precedenza”. Tali osservazioni sembrano abbastanza frequenti nei rapporti. Per questo una provincia (Brasile Nord) insiste sul recuperare, come rimedio, la figura del Superiore come animatore della comunità. b. Spiritualità In seguito a quanto detto sopra, in alcune province si suggerisce di ricuperare la spiritualità.

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Qualcuno “forte” spiritualità missionaria (Brasile Sud) altre più giustamente spiritualità comboniana (Etiopia). Altre “Vivir la autenticidad y la riqueza del carisma comboniano” (Colombia e Centro America). Di solito noi diciamo che il nostro carisma è “ad Gentes”; questo mi suggerisce un commento. L’Ad Gentes indica il fine del carisma, non il carisma stesso. Questi include non solo il fine “ad Gentes” che c’identifica come missionari ma anche la chiamata stessa (vocazione) e la spiritualità comboniana che ci identifica come missionari comboniani. Noi riceviamo il dono della vocazione da Gesù mediante il Fondatore. Questa mediazione ci propone la spiritualità comboniana e cioè l’amore di Dio e del prossimo e la fedeltà alla Chiesa. Questo amore in Comboni ha come simbolo il Cuore trafitto di Cristo: questo ci indica che il nostro amore si estende sia alla proclamazione del messaggio Evangelico come alla promozione umana: Cristo Signore infatti ama anche con amore umano, così come è nel suo corpo completo, ma immateriale in Paradiso. Questo amore completo è il vero amore che include anche l’amore alla Chiesa, che l’amore di Cristo ci ha lasciato per continuare la sua opera di santificazione e felicità anche in terra (vedi le Beatitudini). c. Missione come dialogo Non si può prescindere oggi dal rapporto con le altre religioni, che si rivela costruttivo solo se evita ogni ambiguità che in qualche modo indebolisce il contenuto essenziale della Fede cristiana in Cristo unico Salvatore di tutti gli uomini e nella Chiesa Sacramento di salvezza per tutta l’umanità. Questo è il principio fondamentale del dialogo tra diverse religioni e tra cristiani. I rapporti delle Province differiscono secondo i diversi paesi. DIALOGO CON L’ISLAM Alcune relazioni non ne accennano, come il Kenya e le province dell’America Latina. Mentre nella NAP si riferiscono alla influenza che i Padri Archie Fornasari e Charles Walter hanno avuto nella Unione Teologica Cattolica e hanno influito sul dialogo interreligioso con speciale accenno all’Islam. In Africa il problema è sentito un po’ dappertutto. Sudan Si denuncia lo sforzo del Governo di Khartoum di Islamizzare anche il Sud. Anche se la Sharia è una legge religiosa, l’Islam non fa alcuna distinzione tra società religiosa e politica (=Umma), e quindi la comunità islamica – per sua natura – deve vivere secondo la Sharia. Il Governo si serve dell’Educazione per islamizzare il Sudan. In un primo tempo il Governo ha arabizzato ed ora è in un avanzato stadio di islamizzazione; non senza pressione sulle nostre scuole e università, per l’attuazione del suo piano. Così ora nelle città maggiori e nei centri abitati le nuove generazioni del Sud, usano la lingua araba, e la ricca varietà di lingue tribali sta scomparendo. È in aumento una crisi d’identità che conduce all’abbandono di tradizioni tribali, prima di tutte quella della “leadership” degli anziani, dei capi tradizionali. Tutto il costrutto della società, sud-sudanese è ora lacerato dalla guerra e dall’islamizzazione. Come conseguenza di forzati spostamenti di intere popolazioni e del decadere di strutture sociali tradizionali, risultano difficili, se non impossibili – la normale occupazione nel lavoro, sanità, educazione, ecc… La povertà generalizzata, la corruzione, l’abuso della legge e del pote-

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re da parte della polizia, permette al governo di esercitare il suo cattivo influsso su Sudisti e Nordisti. La Chiesa Cattolica è in uno stato di continua emergenza. Il piano politico del paese è di frustrare l’attività della Chiesa Cattolica e particolarmente dei missionari. Tuttavia, nonostante queste difficoltà – la gente si rende sempre più conto del bisogno del rispetto dei diritti umani, della giustizia sociale e della pace. E si lamenta per la mancanza di personale preparato per le Scuole e l’Apostolato. Infine conclude con un giudizio piuttosto severo. La Chiesa è incapace di sfidare l’Islam e spesso non è libera da pregiudizi che determinano la sua “policy” e il suo contatto con le autorità. E questo ha i suoi effetti deleteri nel negarci “l’entry permits” e sul modo con cui il Governo pensa di noi. C’è poi una seria crisi di fatto nella Chiesa locale e che dà motivo ad “altre Chiese” o sette religiose a critiche e attacchi. Egitto L’Egitto è il paese con la più grande influenza nel mondo Islamico, attraverso la famosa Università Islamica Al Azhar, frequentata da migliaia di studenti di varie nazionalità Africane e Asiatiche. Il dialogo è perciò una priorità della Delegazione e si è attuata specialmente in due luoghi: il Centro di Studi Dar Comboni e la Scuola Santa Famiglia di Heluan. L’Istituto Dar Comboni è ora una istituzione ben consolidata. Le comboniane hanno cooperato provvedendo una consorella che lavora a tempo pieno per l’Istituto. Tra poco gli studi e i titoli accademici dovrebbero essere riconosciuti dalla Congregazione per l’Educazione Cattolica. L’Istituto ha sviluppato un suo proprio metodo d’insegnamento della Lingua Araba e gode di una considerevole stima e apprezzamento da tutta la Chiesa del mondo Arabo. Nell’anno 20022003 c’erano 47 studenti a tempo pieno provenienti da 31 differenti nazionalità (18 dall’africa, 9 dall’Asia, 11 dall’Europa e 12 dall’America). Gli studenti “part time” erano 35. Recentemente il fabbricato è stato ingrandito per meglio far fronte alle nuove esigenze dell’Istituto. – L’Istituto Dar Comboni è assistito da una comunità comboniana i cui membri hanno anche altri impegni nel campo del dialogo interreligioso; – insegnamento al PISAI in Roma; – corsi d’introduzione all’Islam a richiesta delle Chiese locali Africane; – contatti e relazione con le organizzazioni Mussulmane Egiziane e i gruppi di dialogo interreligioso. Purtroppo, per quel che riguarda l’ultimo punto, molto deve essere ancora realizzato. Cooperazione col PISAI: un nuovo accordo fu firmato nel 2000, per un periodo di sei anni. Esso adatta il precedente accordo del 1997 alle nuove esigenze: fu però attuato solo parzialmente. La scuola di Heluan ha lavorato ormai per più di cento anni ed ha educato migliaia di Cristiani e Mussulmani. Attualmente ci sono circa 1800 alunni e, come nella maggior parte delle scuole cattoliche in Egitto, più della metà di essi Mussulmani: circa il 45% sono Cristiani: tra di essi pochi sono i cattolici. Sanità ed educazione sono i due principali campi in cui la Chiesa può operare nel Mondo Arabo e vivere la sua silenziosa testimonianza al Vangelo. In altri paesi dell’Africa i Mussulmani non sono in maggioranza per cui troviamo situazioni differenti.

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Etiopia L’Islam è arrivato in Etiopia dopo il Cristianesimo: per questo c’è una tradizionale pacifica coesistenza tra cristianesimo e islamismo; il paese si presenta come posto privilegiato per il dialogo. Però si è fatto poco: un workshop per i confratelli e agenti pastorali per una conoscenza dell’Islam e sue sfide. In Provincia vi è un confratello che ha terminato gli studi in Islamologia: occorre però studiare iniziative per dare ai cristiani una sufficiente conoscenza dell’Islam e creare la coscienza della crescente influenza dell’Islam nel paese, data la loro crescita numerica e di potere economico-politico. Eritrea La situazione è pacifica. L’Islam è molto forte. Però, dato che per loro religione e politica sono inseparabili, nel dialogo si fa ben poco progresso. Dove l’Islam non è così inserito (e.g. fra gli Elit – zona di Haykota)- abbiamo la speranza di poter avere in seguito un dialogo significativo. A livello sociale i Cristiani e i Mussulmani sono sensibilmente affiatati (s’invitano a vicenda a celebrare le loro feste, ecc.). Togo La situazione sembra pacifica perché « Avec l’Islam il n’y a pas de dialogue Chacun fait son chemin ». In qualche altra Provincia dell’Africa vi è qualche preoccupazione come in Tchad e Malawi – Zambia. Tchad L’Islam représente au Tchad un défis missionnaire urgent d’autant plus qu’il n’y a pas un consensus pastoral entre les diocèses à son égard. L’Islam n’est pas seulement une réalité du nord du pays. Il se repend et touche tous tissus sociaux du nord et du sud : notre pastorale doit en tenir compte. Depuis commencement du sexennat nous avons opté pour une ouverture dans la capitale pur travailler avec l’Islam et collaborer avec l’Eglise dans la rencontre islamo-crétienne mais ce n’est qu’en octobre 2002 que nous avons ouvert uné présence combonienne. N’djamena avec cette finalité. Ce choix n’a pas été très populaire dans les milieux ecclésiaux du sud où nous sommes présents. Actuellement nous n’avons pas en Province des personnes préparées pour le travail de l’archidiocèse de N’Djamena nous demande. Nous attendons instamment le personnes qualifié (un arabisant) que la DG doit nous envoiier. De nōtre cōté nous avons déjà place deux personnes qui se sont mises à l’étude de l’arabe Tchadien. Malawi – Zambia Negli ultimi 20 anni l’Islam si è fatto presente in forma massiccia in Malawi con la costruzione di nuove Moschee e centri di formazione Islamica. Ha investito molto nella formazione di leader politici; lavora molto tra i giovani, nelle scuole e nel settore del commercio al minuto. Favorisce la formazione di insegnanti per le scuole primarie e secondarie. Lavorando sulla direttrice Lilongwe – Chipata (nello Zambia) sta raggiungendo Lusaka al centro del continente. Nel giro di 20 anni la sua presenza in Malawi è passata dal 7 al 12%. Risposta La risposta della Chiesa Locale è praticamente inesistente. La risposta degli Istituti Missionari (PP. Bianchi) consiste nell’organizzare corsi per conoscere meglio l’Islam. I Comboniani non hanno in provincia nessun confratello preparato in questo settore. Le possibilità di dialogo sono minime causa la aggressività dottrinale e verbale dell’Islam, anche se qua e là qualche tentativo di dialogo c’è.

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Uganda Come abbiamo risposto sopra (1.1), c’è un certo interesse per l’Islam nel distretto di Aringa (Lodonga e Oravu) confinante col Sudan. L’interesse nel dialogo con l’Islam è stato più a livello individuale attraverso contatti personali, come nel caso di P. Antonio Lasalandra, che non come interesse e strategia di comunità o di zona. Mozambico Para haver verdadeiro dialogo è preciso que haja uma clara identificação e uma base comum entre os interlocutores. No nosso contexto, mais do que verdadeiro dialogo esiste uma atitude de respeito e comprensão e a preocupação de evitar os fanatismos. Sente-se a necessidade de conhecer mais o Islão e as religiões tradicionais africanas, e também as outras Igrejas ou seitas, em vista de um maior dialogo. Estamos porém ainda longe de um verdadeiro diàlogo, também porque nem sempre os outros têm estruturas capazes de um diàlogo oficial. As seitas que proliferam no nosso ambiente não facilitam o dialogo. Falta-nos também tempo para escucar e dialogar com os mais velhos: gente do povo e missionàrios. Sudafrica La Provincia, grazie al Segretariato per l’Evangelizzazione, ha organizzato due seminari: uno sul rapporto tra Islamismo e Cristianesimo nel 1999, l’altro su l’Inculturazione nell’anno 2000. Nel primo seminario, attraverso l’aiuto di esperti, i confratelli hanno avuto la possibilità di discutere e trovare alcune risposte sull’Islamismo, una religione minoritaria in Sudafrica ma piuttosto influente nella sfera politica, culturale e sociale. Interessante il commento della London Province. Siamo orgogliosi che un membro radicale della Provincia abbia appena completato i suoi studi per un Master’s Degree in Islamologia presso la famosa London School of African and Oriental Studies. RELIGIONI TRADIZIONALI E DIALOGO INTERRELIGIOSO Uganda Per quanto riguarda la conoscenza e il dialogo con le Religioni Tradizionali Africane, c’è una certa superficialità. La tendenza generale è di prendere le cose per scontate. Abbiamo bisogno di favorire maggiormente la conoscenza e l’apprezzamento dei simboli e dei valori culturali della gente. Qui possiamo ricordare l’impegno di P. Giuseppe Russo nel campo della stregoneria e dell’Evangelizzazione. La testimonianza di P. Russo ci aiuta a diventare coscienti di un grosso problema. La sua esperienza e il suo contributo, però, dovrebbero essere integrati con altre prospettive (lo studio dell’antropologia culturale e della sociologia). Dobbiamo sottolineare anche il contributo dato da P. Novelli Bruno alla comprensione della lingua, cultura e religione Karimojong. Eritrea Con le religioni tradizionali: fra i Kunama è stato fatto ben poco finora per studiare in profondità sia la loro cultura che la loro religione. Tuttavia si è iniziato col crescere della fiducia e confidenza speriamo di fare un maggior progresso. L’Eparca di Barentù ci spinge a contattare gli Elit e ad allargare il nostro ministero intorno a Fode perché teme che queste popolazioni si facciano Mussulmane o diventino incastrate fra i Mussulmani.

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Togo Questa Provincia offre un interesse particolare perché la religione tradizionale – Vodau – è molto organizzata con santuari e centri di formazione come il Buddismo: si può chiamare “Dialogo interreligioso”. Concernant la religion traditionnelle (culte vaudou), nous vivons dans respect mutuel. Plutỡt que de parler de dialogue nous préférons parler d’enculturation car la religion traditionnelle fait partie intégrante de l’identité de la personne. Nous ne demandons pas à l’africain de renoncer à sa propre identité mais, avec l’aide du Saint Esprit, d’accueillir d’une part la nouveauté du Christ et d’autre part de purifier en soi-même tout ce qui n’est pas conforme à l’Evangile. Le problème de fond est le suivant : étant donné que la religion traditionnelle est surtout un fait culturel, la personne convertie au Christ continue à garder sa propre identité culturelle et donc à vivre une double religion (chrétienne et traditionnelle). Asia La Federazione delle Conferenze Episcopali dell’Asia ha esplicitamente affermato che la modalità della missione in Asia è il dialogo : dialogo con le culture, le religioni e i poveri. Un importante fattore che urge l’assunzione da parte nostra di quest’atteggiamento di dialogo in questa missione dell’Asia è il pluralismo. Da questo punto di vista, la rivista World Mission è stata strumento per noi rilevante. Nel Piano Sessennale, la Delegazione aveva messo in programma che un confratello di Macao o Taipei si preparasse nel settore del dialogo interreligioso. Tuttavia, a causa del personale limitato non siamo stati in grado di attuare questa priorità. Nelle Filippine, la presenza dell’Islam è per noi una sfida. Tuttavia, dal momento che il gruppo è totalmente impegnato negli impegni istituzionali, nessuna iniziativa in particolare è stata presa in questo campo. Inoltre, già esistono nella chiesa locale e al livello d’istituti religiosi istituzioni e strutture riguardanti tale settore. 3. Missione come Giustizia e Pace La Missione intesa anche come Giustizia e Pace e Integrazione del Creato ha avuto un posto privilegiato. Tant’è vero che la Direzione Generale aveva nominato un Coordinatore e livello d’Istituto per sollecitare l’attenzione, l’interesse e le attività nelle Province. Ci furono quindi parecchie attività a questo riguardo. Stralciamo dalle relazioni delle Province alcune attività principali. Devo premettere che le violazioni della Giustizia e della Pace sono parte delle violazioni dei Diritti umani. Per cui sarebbe proprio intitolare questo numero come “Missione e Diritti umani” e dato che a ogni offesa e negligenza (omissioni) dei Diritti umani è offesa dell’amore del prossimo; l’amor del prossimo è il più grande precetto di Cristo, ne segue che la proclamazione dei Diritti Umani e la denuncia delle offese a tali diritti è parte costitutiva della Evangelizzazione. Non è quindi né filantropia né attività puramente sociale né optional per il missionario. Non sempre questo lavoro è facile: difatti il campo dei Diritti Umani è comune per le diverse responsabilità della Chiesa e dello Stato. La Chiesa regola la sua attività in questo campo per mezzo dell’informazione e formazione della coscienza. Lo Stato la regola con le leggi esterne con la repressione e con la punizione dopo che le leggi sono state violate. Siccome la denuncia può essere anche a carico dei politici ed altre cariche pubbliche, tale lavoro esige coraggio e forza, ma anche, e soprattutto prudenza. È necessario promuovere la formazione dei laici nella Dottrina Sociale della Chiesa e porli in prima fila, specialmente se il missionario non è cittadino del posto.

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RELAZIONI DELLE SINGOLE PROVINCE 1. Brasil Nord-Este Ø A nivel de Provincia: – Foram realizados encontros de reflexậo e coscientizaçăo sobre Justiça e Paz. – Seminàrio sobre os « direitos » (sociais, humanos, ambientais, étnicos, de gĕnero, ecc.). Ø A nivel pessoal ou comunitàrio assumimos vàrios campos trabalho conforme as realidades onde atuamos : afro, indigena, menor, mulher, pastoral carcerària, centro de defesa dos direitos humanos, luta pela moradia, saùde mental, etc. Ø Foram organizadas campanhas de solidariedade e de apoio a grupos indìgenas, etc. Ø Junto ao trabalho de promoção humana, procuramos conscientizar e dar uma formaçao critica sob o aspecto social e politico. Ø Na pastoral da juventude hà a preocupaçao de formar os jovens à consciěncia critica e ao engajamento na transformação da sociedade. Ø Foi criado o Istituto EKOS para articular e animar este setor na Provincia. Ø Na mini-assembleìa provincial deste ano a Provincia escolheu como enfoque a definir nossa presença e atuação no Nordeste, “os direitos da pessoa”, sendo jà programado um seminàrio para o mēs de junho 2003 sobre este tema. Ho citato per intero questo passo perché pone l’accento sulla formazione di una coscienza; però tralascia il parametro della Dottrina Sociale della Chiesa che è ispirata dall’amor del prossimo. 2. Perù – Chile La commissione elabora cada aňo un calendario de celebraciones de las comunidades y en los diferentes sectores. Nuestras revstas promuoven continuamente los derechos humanos. Se ha creado una pàgina WEB, que esà a disposiciòn de los hermanos y otras personas interesadas. En algunas comunidades hay un responsabile de Derechos humanos y se insiste bastante en los programas radiales y se ayuda en casos concretos que se van presentando. Se puede afirmar que ha crecido la sensibilidad de la provincia hacia este tema, pero no se han dado muchos pasos concretos y comprometidos en este campo. Falta, spbre todo, hacer opciones i comprometerse con objectivos concretos de acuerdo a la realidad socio-politica da cada comunidad. Questo rapporto come parecchi altri parla d’informazione e di sensibilizzazione della Comunità, però mancano degli obiettivi concreti. Come pure non accenna alla base teologica ed antropologica (dignità dell’uomo) come già detto, dei diritti umani. Sarà sottinteso. 3. Tchad È da lodare perché esprime esplicitamente che i comboniani lavorano con la Chiesa Locale: a costo di procedere lentamente, però così si allarga il raggio di attività. Au Tchad nous avons été pionniers dans le domaine de Justice et Paix et nous avons commencé avec la création des commissions paroissiales, les comités d’entente entre les paysans et les éleveurs, la radio diocésaine… Nous avons formé un combonien en ce domaine pour prendre en charge la commission diocésaine (même si après cela n’a pas abouti à bon port). Aujourd’hui la dimension justice et paix est introduite dans le secrétariat de l’Evangélisation qui vient de naître. Il y a un responsable dans le secrétariat.

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Nous évitons de faire quelque chose de parallèle aux propositions de l’Eglise locale dans ce domaine. Cela freine parfois nos initiatives mais nous fait marcher avec l’Eglise. Nous sommes à la recherche de notre identité combonienne en ce domaine. 4. Italia Iniziative principali – Giubileo degli oppressi (2000) e Carovana della pace (2002). – Coinvolgimento dei giovani GIM ad iniziative di GPIC. – Interventi ed interviste in TV nazionali e locali. – Corsi per sensibilizzare la provincia sui temi GPIC. – Libri, articoli e video su GPIC. – Abbondante documentazione in ormegiovani e nel sito giovaniemissione.it. – Partecipazione a campagne tipo “break the silence”. Luci – I nostri mezzi di comunicazione sono di grande aiuto in questo settore. – GPIC sta diventando uno dei contenuti principali e una delle provocazioni più forti. – I nostri mezzi di comunicazione sono di grande aiuto in questo settore. – La risposta positiva alle nostre attività in quest’ambito è un segno che la gente è cosciente della realtà dei poveri e della necessità di lavorare per la giustizia e la pace. Ombre – Documenti, convegni ed incontri abbondano. Non così i cambiamenti nella vita concreta. – Ci sono opzioni, sia a livello ecclesiale come di base. Anche tra noi ci sono a riguardo non pochi confratelli che fanno fatica a vedere ‘giustizia e pace’ come “missione e animazione missionaria”. – A volte ci sono iniziative personali non in linea con le scelte della provincia. Qui una postilla su opposizione a livello Ecclesiastico. Vorrei, richiamare il proverbio inglese “The longest way round, is the shortest way home”. È vero: con le autorità ecclesiastiche occorre saper fare: spesso si può discutere e domandando parere possono essere convinti: mettere l’autorità di una diocesi o di una parrocchia, o di una Nazione di fronte al fatto compiuto è senz’altro controproducente, se organizzato da religiosi. Con l’appoggio delle autorità ecclesiastiche, le manifestazioni possono essere più incisive e più permanenti e possono avere più seguito a livello diocesano o parrocchiale. 5. Sudafrica Quattro anni or sono un confratello è stato assegnato per essere disponibile a tempo pieno nell’Ufficio di Giustizia e Pace della Conferenza Episcopale dell’Africa del Sud. È anche stato fatto coordinatore per G&PIC per la provincia. 6. Uganda “A livello provinciale abbiamo stabilito un comitato di GPIC, che in realtà non ha funzionato. Molto è stato fatto dalla Rivista “Leadership” per la guerra del Nord. Sulla stessa strada abbiamo Confratelli impegnati nella giustizia e Pace a livello diocesano (in Karamoja P. Pietro Ciaponi, tra gli Acioli i PP: Carlos Rodriguez e Tarcisio Pazzaglia). Siccome siamo parte della Chiesa Locale, i nostri Confratelli in generale partecipano attivamente nei programmi delle rispettive Diocesi, nel processo di far crescere la consapevolezza riguardo a Giustizia e Pace. Esempi concreti sono l’enorme sforzo fatto nell’Arcidiocesi di Gulu e il recente sinodo Diocesano di Nebbi.

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A livello nazionale P. T. Agostoni ha pubblicato un manuale sulla Dottrina Sociale della Chiesa, “Every Citizens’ Handbook” corredato anche dall’insegnamento degli Episcopati Africani. È entrato molto bene nei Seminari Nazionali, nelle Università anche private, e sia in Uganda che altrove. Il Padre ha iniziato una campagna per l’abolizione della pena di morte mettendo a disposizione dei laici animatori un libretto ‘May the State Kill?” (due edizioni) tradotto in Lwò, Luganda e Italiano (EMI). Libro frutto dei suoi 13 anni di lavoro tra i condannati a morte, dei quali il 35% 40% sono innocenti. Il diritto alla vita è fondamentale per tutti gli altri diritti. In italiano pure “Una fiaccola sul Mondo” o “I diritti umani e la Dottrina Sociale della Chiesa” (pag.192, Biblioteca Comboniana). 7. NAP El P. Pasquino Panato lleva adelante una tirea a muy importante de promociòn de la Justicia y la paz, specialmente en referenzia al África (y de un modo especial al Sùdan) al interno mismo de la Sede de las Naciones Unidas en Nueva York y en las oficinas gubernamentales de Washington DC. La Sra. Cindy Browne, su asistente, por su parte mantiene todas nuestras comunidades informadas y puestas al dìa sobre fuentes y eventos relacionados con la Justicia y la Paz que se desarrolan aquì en los Estados Unidos y alrededor del mundo. 8. London Province Dopo aver esposto sforzi fatti per la coscientizzazione dei confratelli continua informando il Capitolo di aver liberato dai suoi impegni un nostro confratello perché possa studiare per un “Master of Philosophy” all’”International Peace Studies” presso il “Trinity College” di Dublino. Durante i sei anni passati, hanno organizzato Assemblee Provinciali, ritiri e giornate missionarie più per suscitare interesse riguardo alle cause che sono alla radice di giustizia e povertà che per chiedere l’obolo per il povero e l’indigente 9. Asia Il nostro coinvolgimento è molto limitato. Nelle Filippine c’è un confratello assegnato (parttime) per questo settore. Egli partecipa negli incontri e attività promosse dalla Commissione Giustizia e Pace dell’Associazione dei Superiori Maggiori delle Filippine. La nostra Rivista è pure impegnata in questo settore, in modo equilibrato. Ogni volta che veniamo sollecitati, ci uniamo in azioni comuni, specialmente in quelle promosse dall’Associazione dei Superiori Maggiori. A Macao, qualche passo concreto a questo riguardo è stato mosso con il coinvolgimento nel movimento dei Giovani Lavoratori Cristiani, nella Caritas e nel Servizio Cattolico Socia 10. Centrafrica Certains confrères se donnent à fond dans la lutte contre toute injustice et en particulier contre l’injustice qui découle de la sorcellerie. Le suivi de ce secteur est confié au secrétariat provincial de l’évangélisation. A niveau d’Eglise locale La commission épiscopale justice et Paix a eu un évêque combonien comme président. Un confrère préparé dans le domaine en était membre. Lors des différentes mutineries et coups de force cette commission est intervenue pour informer et dénoncer les atteintes contre les droits humains. Au diocèse de Mbaïki un confrère s’est investi à la commission diocésaine Justice et Paix. Il animait des sessions dans les différentes paroisses. La publication de plusieurs fascicules destinés à la sensibilisation et à la connaissance des droits humains a été bien appréciée. Ce matériel a été bien utilisé dans d’autres diocèses. Toute une collection de ce matériel fut partagée aux provinciaux des provinces francophones.

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11. Spagna Anche qui come in Italia vi sono confratelli che pensano che il lavoro di Giustizia e Pace è solo secondario della nostra missione Evangelizzatrice. Forse non tengono presente quanto detto sopra che ogni ingiustizia è offesa dei diritti umani, è offesa all’amor del prossimo. Las comunidades de la provincia se van conscienciando e involucrando cada vez màs, aunque se noten distintos ritmos, presencias, sensibilidades y maneras de asumir y concebir el compromiso por la Justicia y por la Paz. Hay quien entiende Justicia y Paz como parte “integrante” “fundamental”, “esencial” de la misiòn evangelizadora, otros –pocos- la ven comoalgo “secondario”, “accidental” y a lo que los Combonianos no deberìan darle “prioridad”. En los encuentros de sectores y en las Asambleas provinciales se està intentando profundizar el tema y hacer que “la Justicia y la Paz” esté presente en todas las actividades y sectores donde trabajamos. Empezamos, modestamente a estar presentes en el mundo de la inmigraciòn. Hemos tomado parte en campaňas especìficas llevadas a cabo contra las armas ligeras, “Rompe el silenzio, Paz para africa”, contra el racismo, la pena de muerte y los Niňos soldados. Pensamos que como provincia e Istituto estamos llamados a repensar la Misiòn, en este nuevo siglo, desde el Evangelio, desde la Justicia y la Paz y desde una Metodologia que risponda a los desafìos y retos de los nuevos tiempos. Conclusione Concludo questa revisione delle relazioni delle Province e Delegazioni. Alcuni argomenti non furono toccati perché li riprenderò nei commenti alla Relazione del Superiore Generale e Consiglio al Capitolo del 2003. Da queste relazioni chi vuole può approfittarne per farne tesoro nella sua attività missionaria. È vero, come ci diceva il Professore di Ecclesiologia alla Urbaniana, e cioè “Historia magistra vitae sine discipulos” - la storia c’insegna a vivere ma non fa discepoli. Però vale la spesa proporre degli esempi da imitare e con la grazia di Dio da emulare, per non cadere negli sbagli che altri hanno fatto. Si può coglierne l’essenziale e viverlo nelle circostanze e tempi attuali in parte ugualmente e in parte differentemente. Una proposta. Vorrei concludere questa revisione con un pensiero che la relazione della NAP suggerisce per tutti alla fine del suo rapporto (significativo che sia scritto in spagnolo – è un segno di coinvolgimento in tempi nuovi). Debemos tener esperanza a pesar de las incerticumbres que nos platea el futuro. Lucharemos por ser sempre màs identificados como Misioneros Combonianos, aprovechando de toda ocasiòn disponibile para diseminar la Buena Nueva de la Misiòn. Nos sentimos en solidaridad con el resto del Istituto de cara a los retos de nuestra etad y de nuestras vocaciones. Pero al mismo tempo hacemos un llamado a todas las provincias para que revisemos en la sinceridad de nuestra vida de fe y oraciòn si es que es certo que como Istituto estamos practicando realmente a quello que tan facilmente predicamos a otros sobre la justicia y la paz, pero que a los recursos financieros nos referimos a la cuestiòn del personal, pues – como San Pedro- no tenemos oro ni plata que ofrecer, pero, estamos verdaderamente dando lo que tenemos?. La Provincia de Norte America no se diferencia de las demàs en las dificultades que encuentra, pero aùn en vista de un futuro poco halagador en lo que se refiere a vocaciones y personal de formaciòn, nosotros viviremos (o moriremos) con entusiasmo y esperanza gozosos en la maravillosa vocaciòn que Dios nos ha regalado.

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D. ATTI DEL CAPITOLO 2003 Gli atti sono il risultato delle discussioni, dei suggerimenti e decisioni dei Capitolari, in genere votate a maggioranza. La maggior parte di esse non sono cose nuove ma esprimono il pensiero di nuovi e vecchi membri del Capitolo e valgono per i nuovi professi e come esame di coscienza dei non nuovi. Questo è anche il pensiero espresso dalla nuova Direzione (1997-2003) nella lettera di Presentazione degli Atti firmata dal nuovo Padre Generale e Consiglio. I Capitolari erano partiti cercando il nuovo, il profetico. Nel percorso si sono accorti che forse il nuovo significava riscoprire quei tesori da tempo esistenti nell’Istituto e a volte trascurati. Il nuovo allora significa tornare alla passione per la missione per la quale Comboni parlò, lavorò, visse e morì (cfr. RV2). Il nuovo è guardare al futuro con ottimismo, è andare avanti con le nostre povertà e ricchezze. Un andare avanti che spesso esige il dovere di un ritorno alla purezza delle origini, alle sorgenti di quel patrimonio ricchissimo di esperienze di fede che è arrivato fino a noi attraverso il sacrificio dei confratelli che ci hanno preceduto trasmettendoci la passione per la missione. Un andare avanti con la spiritualità dell’umile operaio che lavora spesso senza vedere il risultato dei suoi sforzi e del suo sacrificio. Il nuovo è essere fedeli alla raccomandazione di Daniele Comboni a contemplare il Dio Crocifisso che si è spossessato senza risparmiarsi per camminare insieme a tutti i crocifissi del mondo. Ottimi pensieri che possono essere di guida a tutti i Comboniani cominciando da chi li ha scritti. Capitolo Primo REALTÀ GLOBALE È un esame della realtà globale della globalizzazione sia economica che etica, dei fermenti di guerra di terrorismo, di crisi, di povertà e miseria, di sbandamenti di valori nel campo sia sociale che religioso, etc.. Nel Contesto Ecclesiale vi sono dei punti positivi come i movimenti laicali, i nuovi ministeri, maggior coinvolgimento delle donne, etc.. Si nota anche un maggior interesse di conoscenza e di riflessione teologica. Malgrado questo però troviamo l’indifferentismo religioso, l’ateismo, gli scandali di persone consacrate che allontanano dalla Chiesa. Nel Contesto comboniano la canonizzazione del nostro fondatore ha costituito una tappa di arrivo ed una di piattaforma di lancio verso un futuro sempre più Comboniano sotto tutti gli aspetti, specialmente di santità. Oggi in modo particolare quando i membri anziani devono passare la responsabilità ai nuovi che vengono da nuove situazioni, culture e mentalità. Il capitolo conclude così: 30. Alla luce del contesto della realtà globale, ecclesiale e comboniana percepiamo le seguenti sfide per il nostro Istituto: 30.1 rivedere la nostra visione di missione; 30.2 identificare delle priorità al fine di ridurre e qualificare i nostri impegni, anche in considerazione della situazione del personale; 30.3 riqualificare la FP delle persone e comunità;

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30.4 rinnovare la metodologia missionaria per meglio rispondere alle urgenze della missione comboniana oggi. Capitolo Secondo LA MISSIONE COMBONIANA OGGI 1. Santità personale In questo capitolo troviamo un richiamo importante alla santità personale e si ricorda il Comboni che voleva i suoi missionari “santi e capaci”. Nelle nostre regole vigenti fino al 1979, si leggeva “Il fine generale della Congregazione è la gloria di Dio, la santificazione e la perfezione personale di tutti i suoi membri; il fine speciale e la diffusione e la Conservazione della Fede, la conversione dei popoli dell’Africa e di altri popoli che le venissero affidati dalla S. Sede” (N.2 Edizione 1959, N.2). Lo stesso pensiero viene espresso da questo Capitolo: 54.1 mettere la santità a fondamento della vita e della missione di ciascuno di noi e di tutto l’Istituto; E giustamente si aggiunge la necessità di: 54.2 riconoscere la consacrazione missionaria come il dono che Dio ha posto in noi, coltivandolo in ogni momento e attività della nostra vita, vivendolo nella quotidianità, luogo privilegiato di riconciliazione e di crescita. La nostra santità deve essere acquisita come il vissuto della nostra consacrazione Missionaria nella vita religiosa come il mezzo migliore per essere veramente missionari. E considerare questo dono come il premio della nostra vita. Che a sua volta diventa dono per gli altri prima di tutto nella comunità 55.1 Nella comunità come luogo dell’esperienza di Dio e dell’incontro con l’altro. È l’esperienza di Dio che ci abilita all’incontro con l’altro, con tutti come richiede il nostro ministero oltre che la vita comune. Questo perché “Se qualcuno vuol venire dietro di me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce mi segua” (Mt 16:24; cf Lc 14:27). Questo rinnegare se stessi significa prendere la propria croce, cioè sia la sofferenza volontaria sia quella che s’incontra nella vita: però oggi come oggi la sofferenza è vista come qualcosa di opprimente. Ma non è questo il significato: il vero senso è liberarsi di tutto ciò che c’impedisce di seguire Gesù ed in Lui trovare la nostra pace ed anche la nostra felicità. 34. La contemplazione del Cuore trafitto di Gesù Buon Pastore costituisce per Comboni la sorgente e il fuoco del suo impulso missionario, l’origine e il modello del suo amore incondizionato verso i popoli dell’Africa. In tante situazioni di povertà, abbandono e morte, egli scopre nel Cristo Crocifisso la presenza efficace del Dio della vita e una moltitudine di fratelli da amare e da valorizzare, portando loro il Vangelo. Essi diventano la sua unica passione. È un paragrafo che ci provoca sia per una riflessione sul passato come per un piano personale per il futuro. Mi spiego: Innanzitutto queste parole sono un invito a vivere interiormente la spiritualità del Cuore Trafitto, specialmente in quelle circostanze difficili che nella vita religiosa missionaria non mancano. Come già osservato altrove il Cuore di Cristo non è una devozione solo o un culto però viene alimentato dalle devozioni – l’adorazione del giovedì precedente il primo venerdì del mese, la Santa Messa votiva del Venerdì stesso, i Canti e la festa del S. Cuore passata con l’adorazione di tutto il giorno a turno specialmente in Noviziato: queste devozioni non sono fine

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a se stesse, ma ci ricordano e ci stimolano alla pratica della Spiritualità del S. Cuore. Purtroppo in molte comunità il ricordo del Sacro Cuore si riduce alla Solennità preceduto da un triduo. Secondo le nostre regole (49) il missionario è responsabile di organizzare la sua preghiera personale di un’ora al giorno (49.1). Prima del Capitolo 1969 vi era in orario un’ora al mattino, aperta dalla preghiera del mattino e tutto il resto era preghiera personale con la lettura comune di tre punti, secondo il metodo di St. Ignazio. Il passaggio all’ora obbligatoria, ma libera come orario, fu molto contestato. Difatti però fuori del Noviziato e Scolasticato, passare quest’ora in preghiera personale oggi è praticata solo da un certo numero. Il mio parere sarebbe che la comunità dia nell’orario un’ora di preghiera: un dovere della comunità di liberare dalle occupazioni e un diritto dell’individuo di approfittarne, se necessario scegliendo un'altra ora. Passando poi alla missione è da notare quanto segue: 37. Oggi il legame della missione Comboniana con l’Africa è carismatico e storico. Il perdurare in Africa di situazioni di prima evangelizzazione e di povertà e abbandono ci conferma nel vedere l’Africa ancora come scelta “preferenziale anche se non esclusiva”. La Regola di Vita N. 51.3 parla del legame inscindibile con l’Africa. I Documenti Capitolari del 1969, che aveva dato ampio spazio al Comboni come non mai, mentre approvò l’apertura all’america Latina proclamò “Tuttavia non deve essere sottovalutata l’ispirazione originaria dell’Istituto che per fondazione e tradizione ha particolari impegni nei confronti dell’Africa”. I doveri particolari che l’Istituto ha verso l’Africa si tradurranno perciò nell’avere più comunità in Africa che altrove (-65). Però questo solo nella misura in cui si realizzano le caratteristiche della missionarietà Comboniana. Questa scelta professionale o legame inscindibile con l’Africa sarà soprattutto con il Sudan tutto e con l’Uganda che appartenevano al Vicariato dell’Africa Centrale. Di fatto i Comboniani, in Sudan e nel Nord Uganda, quasi da soli hanno portato la prima evangelizzazione in terre completamente vergini e formato Clero e Religiosi/e per continuare la loro opera. Queste popolazioni ci considerano i padri fondatori della Chiesa e il Comboni loro antenato. Con ciò l’Istituto ha per questi paesi una responsabilità speciale. Può anche permettere che gli anziani autosufficienti possano rimanervi fino alla fine della vita e lasciarvi le loro ossa che per gli Africani in modo particolare sono molto apprezzate, dato il senso profondo della sopravvivenza. 2. Priorità dell’evangelizzazione Quanto viene espresso ai Nn. 39-40, è un ritorno alla verità di un passato che si è realizzato e ogni giorno deve essere rinnovato. 39. Comboni, con il suo motto rigenerare l’Africa con l’Africa, è convinto che la liberazione e la rinascita dell’Africa sono legate profondamente alla persona di Gesù e al suo Vangelo, e con gli stessi Africani protagonisti della propria storia. Quanto dice dell’Africa si applica pure agli altri continenti e cioè è solo il messaggio d’amore Cristiano che salva la società in tutto il mondo. A questo acclude quanto si dice più avanti. 40.1 Con l’impegno prioritario per la prima evangelizzazione, portiamo la Parola al cuore della vita delle persone, delle società, delle culture e tradizioni religiose, affinché l’incontro vivo con Cristo dia loro pienezza di vita e possibilità d’incorporarsi nel segno privilegiato del Regno che è la Chiesa.

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L’Evangelizzazione è anche promozione umana. Essa porta le persone e i gruppi umani a raggiungere la pienezza della loro dignità, la liberazione da tutto ciò che le disumanizza e a godere della fraternità, della giustizia e della pace (cfr EN 31). Vi sono alcuni missionari che pensano che il dialogo non solo è parte della missione ma sostituisce l’evangelizzazione che porta alla conversione. La conversione non si identifica col proselitismo. Questo significa solo indurre con mezzi fisici (soldi, aiuti, etc.) con pressioni morali alla conversione. Ma se un individuo, avendo conosciuto la persona di Cristo, la sua divinità e umanità il suo messaggio di amore, Maria Madre di Gesù, la Chiesa, rimane attirato, manifesta il desiderio di conversione, bisogna aiutarlo ed offrirgli il battesimo e l’accoglienza nella Chiesa. D’altronde non bisogna dimenticare quando Gesù, rivolto agli Apostoli, precisò che la sua missione era per tutta l’umanità e questa doveva essere anche la loro missione. “Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Andate dunque e fate miei discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutte le cose che io ho comandato a voi”. (Mt. 28 18-20 cfr Mc. 16-15-18) E gli Atti degli Apostoli ci narrano come essi così fecero. 3. Formazione dei leader La missione tra i popoli dà priorità all’evangelizzazione dei poveri, ma questi non sono soli nella società che li circonda. Occorre creare le condizioni perché possano uscire dal loro stato, puntando sulla formazione di chi domani avrà responsabilità di aiutare i poveri e cioè “i leader”, nel campo economico – finanziario – politico e sociale in tutte le sue sfumature. Per questo i capitolari c’invitano a lavorare per “la formazione dei leader in campo ecclesiale, sociale e politico” (42.4). Nel campo Ecclesiale, abbiamo i Catechisti per i quali vi sono dai primi tempi corsi appositi di uno o due anni. I ministeri è una nuova proposta da considerare seriamente affinché coloro che li ricevono essi pure siano capaci e diano testimonianza cristiana. La formazione socio-politica dei leader è esigente ma assolutamente necessaria. Innanzitutto hanno bisogno a. di una buona formazione cristiana affinché si comportino come tali nella vita pubblica. Tale formazione sia data già dalla Scuola Secondaria possibilmente cattolica e nelle università, dove è necessario avere dei gruppi di associazioni cattoliche giovanili da curare in modo speciale. b. Data la diversità di responsabilità morali e tecniche per tutte le mansioni di leadership nella Società occorre che venga data ai leader dei corsi sulla Dottrina Sociale della Chiesa. Può aiutare la comprensione su questo punto il “Compendium”, pubblicato dal Pontificio Consiglio di Giustizia e Pace. Per l’Africa Inglese vi è “Every Citizens’ Handbook” di P. T. Agostoni (Paulines, Nairobi, 1997). c. A livello Diocesano e parrocchiale è importante una formazione permanente. A livello Parrocchiale raduni mensili, a livello Diocesano, corsi annuali di aggiornamento: per identificare problemi vecchi e nuovi che sono legati ai Diritti Umani ed alla Religione ed esigono uno studio per dare commenti alla luce della Dottrina Sociale della Chiesa con attenzione ai suoi nuovi documenti. In questo lavoro occorre che i missionari si industrino affinché il Clero locale venga coinvolto, magari regalando loro il Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa. Da notare una metodologia nella scelta dei leader. La tattica dei politici estremisti è quella di scegliere dei leader virtuali e farli buoni loro seguaci. Invece succede spesso nella Chiesa

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che i parroci scelgano buoni ed obbedienti cristiani per poi farli leader. I primi nella storia sono stati i più fortunati. Capitolo Terzo LA FORMAZIONE PERMANENTE (FM) M. 51-68 Il testo cita il Capitolo Generale del 1997 che aveva sottolineato la priorità delle FM. Tale priorità è richiesta dal fatto che i giovani che entrano capiscono di più quanto vedono che non quanto sentono. I professi hanno la responsabilità di trasmettere ai nuovi tutte le implicazioni del Carisma e delle tradizioni della vita e missione dei Comboniani. Il presente Capitolo osserva che non tutto quello che è stato proposto nel 1997 è stato realizzato. Probabilmente le comunità non hanno considerato il tema una priorità. Dare priorità vuol dire concentrarsi in un soggetto e raccogliere intorno a quello come ad un centro le altre decisioni e propositi: “Quo maior attentio fit estensa, eo minor fit intensa” – Fare molti propositi e darsi a diverse attività rende poco e scoraggia molto. D’altronde la F.M. è come un perno che se ben vissuta muove tante altre attività connesse con la vita sia spirituale come comunitaria. “Non multa, sed multum” e il “multum” in questo caso è l’“essere” più che il “fare”; perché come dice la filosofia: “operatio sequitur esse”. Se lo strumento (missionario) è debole, l’operare sarà più debole. Noi siamo strumenti nelle mani dello Spirito. È vero, come dice St. Paolo che il Signore sceglie i deboli però li rende forti se sono docili strumenti; il che non sempre avviene. – Gli Atti poi programmano diverse attività di FM, sia a livello comunitario, che provinciale e continentale e anche corsi annuali. – Una proposta che sembra una novità è avere un gruppo permanente di confratelli per la formazione permanente di formatori e promotori vocazionali. (62.1) Capitolo Quarto LA COMUNITÀ COMBONIANA DONO E CAMMINO (69-95) “Mea Maxima poenitentia vita comnunnis” St. Stanislao Koska, Gesuita, andava ripetendo. I Capitolari hanno messo in evidenza luci ed ombre della nostra vita comune, però hanno creduto prioritario concentrare la loro attenzione sulle sue ricorrenti difficoltà e loro causa (N. 72) Preferisco accennare alle cause stesse delle difficoltà di questa vita: l’individualismo; troppa abitudine all’abbondante parola di Dio che ogni giorno ci viene impartita, con il pericolo di applicarla solo all’apostolato e non all’interno della comunità; superficialità di giudizi sugli altri, sulle autorità religiose ed ecclesiastiche; difficoltà di affrontare comunità interculturali. Penso opportuno commentare il seguente numero: 74.1 Sembriamo confusi su cosa, alla fine, arricchisce o impoverisce le nostre vite, le rende impossibili o umane, per noi e per coloro che ci sono accanto. Non si tratta solo di invocare maggior buon senso, ma di riconoscere carenze nella sapienza dell’umano. Non è facile interpretare questo pensiero e capire esattamente il significato di “stato di confusione” che rende la vita di comunità impossibile per noi e per gli altri. Se la confusione è uno stato mentale, vuol dire che mancano dei principi oppure non si sono bene assimilati, oppu-

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re si è rimasti ad un livello puramente umano, nonostante la presenza della Grazia in noi che è un principio operativo. Ad ogni modo il primo rimedio è una “sapienza umana” che non sia solo “buon senso”. Monsignor Ravasi descrive questa sapienza così: (1) è frutto di studio, ma è anche dono (2) è impegno di ricerca intellettuale, ma è anche maturità personale. (Avvenire - Mattutino 2911-2006) Sapienza è anche un atteggiamento etico, fondamento della moralità di un individuo che genera prudenza, senno e chiaro discernimento dei mezzi più idonei per raggiungere lo scopo prefisso, in questo caso la pace e la felicitò nella vita comune. Sapienza che si acquista esercitandola ed anche facendo sbagli, dai quali però bisogna imparare, come dice il proverbio: “Sbagliando s’impara”. È la sapienza esercitata che può dare ad una persona dignità e rispetto. Dato che Gesù dice “Senza di me non potete far niente” , Giov. 15:5: dobbiamo integrare la sapienza umana con la “Sapienza” dono delle Spirito che è la facoltà di vivere tenendo presente il Fine Ultimo e cercando ostinatamente i mezzi migliori che a questo fine ci conducono; per questo i decreti capitolari c’invitano a ricordare il fondamento Trinitario della Comunità e l’uso della Parola di Dio per viverla noi stessi ed annunciarla alla comunità (74-4,5). Dopo la svolta antropologica del Conc. Vat. II si sperava che l’attenzione ed il rispetto dell’uomo si rivolgesse a tutte le persone umane. Invece l’attenzione si riversò sull’individuo stesso con maggior intensità: il mio corpo, la mia libertà, la mia sessualità, la mia felicità, la mia volontà e così via. Sorse così soprattutto in Occidente un individualismo esagerato che soprattutto nei giovani genera un rigetto anche delle buone maniere (Galateo - good manners) del passato, degli anziani, dei superiori, delle cose etc.. Questo spirito entrò anche negli Istituti di Vita consacrata dove prevale la mia volontà, il mio progetto, etc.. Con questo i decreti continuano con il n. 75, dal titolo “Rimettere la fraternità al cuore della vita comune”. Il testo continua poi con il n. 76 dove si indica la necessità che in comunità “ogni persona si senta valorizzata” e ne indica il mezzo più efficace per questo e cioè: 79. La celebrazione comunitaria dell’Eucarestia e della Riconciliazione ci porta a condividere l’esperienza profonda di Dio e rafforzare i nostri legami di fraternità a ritrovare la gioia di annunciare il Vangelo e rivaluta la comunità indicandola come soggetto ed oggetto della missione. 82. In un mondo fortemente marcato dalla globalizzazione, dove il successo del singolo viene spesso esaltato a scapito di tutti, la comunità comboniana diventi segno di quel villaggio globale che si vuole costruire. In essa l’internazionalità e l’interculturalità vengono vissute come dono e ricchezza, non come un problema o una minaccia. Nei Nn. 90-96 si suggeriscono elementi di programmazione per una rinnovata prassi comunitaria. Capitolo Quinto RINNOVARCI NELLA METODOLOGIA MISSIONARIA 1. Questo rinnovamento è giustificato da quanto segue: 97. La pluralità di campi di lavoro, di cultura e di contesti religiosi, così come le situazioni in costante cambiamento in cui viviamo sono una continua fonte di sfide e di stimoli per rinnovare la nostra metodologia comboniana. Essa determina come e con quali mezzi compiere il nostro servizio missionario.

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Nel 98 si rinnova l’appello alla necessità della contemplazione e dell’azione. Mi viene in mente il carisma Domenicano. “Contemplando contemplare; contemplata aliis tradere”. Quello che predichiamo sia ciò che abbiamo già contemplato. È un rinnovamento che meglio specifica come i diversi ministeri interagiscono in maniera complementare (99). Ed è un richiamo alla RV N.11. Un’articolo che merita un commento penso sia il 99, che riguarda il Ministero dei Fratelli. 2. Ministero dei Fratelli 99.1 Il Ministero dei Fratelli è orientato “all’edificazione e crescita della comunità umana e cristiana” (RV 11.2) con un’attenzione particolare allo sviluppo integrale, giustizia e pace e diritti umani. È quindi un ministero prevalentemente aperto al sociale, orientato alla trasformazione della società e all’animazione della comunità cristiana. Per poter raggiungere quest’obiettivo, il ministero sociale del Fratello esige sia le caratteristiche della spiritualità comboniana, che le competenze tecniche e metodologiche necessarie per rendere un servizio professionale e sociale adeguato. Da notare un commento della Assemblea Intercapitolare alla RV 11,2. Invece di “attraverso l’esercizio del loro lavoro professionale” si legge “attraverso l’esercizio del loro ministero specifico n. 122. Mi spiego. Prima del Capitolo del 1969, la preparazione tecnica del Fratello era abbastanza varia, ma prevaleva quella di arti e mestieri secondo i bisogni delle nostre case in Europa e nelle missioni, e secondo la preparazione e capacità degli individui. Molti Fratelli imparavano altre professioni. Erano pieni d’iniziative incluse catechetica, pronto soccorso, infermieri. Importanti furono le Scuole Rurali di arti e mestieri: costruzioni, falegnameria, meccanica, agricoltura. Ma anche Scuole Tecniche a livello secondario. Molti giovani così qualificati hanno ai loro tempi fatto molti progressi nella loro professione e nella società. Nei mestieri, come dicono i Decreti Capitolari “il Fratello deve dare testimonianza di carità”. Le scuole tecniche sono ancor oggi importanti perché andiamo ancora tra i più poveri e da gente anche primitiva, cioè bisognosi di tante cose, avidi di lavorare per evitare di essere sempre degli eterni mendicanti, compromettendo così la loro dignità personale. Il fratello è, infatti, vicino alla gente, uomo tra gli uomini, lavoratore tra i lavoratori. Forse, più che il sacerdote, egli è in grado di condividere e partecipare alla vita dei poveri, nella disponibilità umile e nel servizio costante. E questo suo vivere “con” gli altri, oltre che “per” gli altri, non può che sfociare nella costruzione di una comunità sorretta dall’amore fraterno, quale è appunto una comunità cristiana. (n. 43). Si allargava poi così il servizio dei Fratelli alla Comunità Cristiana. 44. Le diverse attività del Fratello comboniano possono così compendiarsi: a. sviluppo umano e cristiano del popolo da evangelizzare, attraverso la sua prestazione professionale; b. annuncio del Vangelo, soprattutto attraverso l’apostolato dell’amicizia nei contatti con la gente; c. attività catechetica, e specialmente di animazione e formazione dei catechisti; d. promozione di un laicato adulto per la formazione della comunità cristiana; e. animazione della comunità cristiana, particolarmente attraverso lo spirito di comunione con i poveri.

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Nonostante questa chiara posizione del D.C. e l’apertura, negli anni ’70, alcuni promotori vocazionali non parlavano della vocazione del fratello aprendosi solo ai missionari laici. Il Padre Generale di quegli anni dovette intervenire con chiarezza e richiamarli a dovere. La nuova Regola di Vita preparata nel Cap. 1979 metteva molto a fuoco l’identità del Fratello sia al N. 11.2 del Direttorio come e soprattutto alla Regola 81 e al Direttorio 61.1 – 61.9. Da notare la novità seguente cioè che il 61 ss., parlando della “liberazione integrale”, si riferisce al “missionario” senza distinzione tra Sacerdoti e Fratelli eccetto quando sottolinea l’attività del Fratello che “è chiamato a dare un contributo speciale alle attività che favoriscono lo sviluppo integrale dell’uomo”. Nonostante che l’identità del Fratello fosse più che chiara e varia secondo lo RV 61 e Direttorio parecchi sacerdoti hanno complicato la vita comboniana ritornando in diverse raduni a discutere l’identità del Fratello, discussione che ha urtato parecchi Fratelli anche giovani africani. L’identità del missionario Comboniano sacerdote o laico è chiara e cioè a Consacrazione di vita per Dio per la Missione. Le differenze: Sacerdote: Sacerdozio Ministeriale Fratello: Sacerdozio laicale, così come scriveva St. Pietro: “Voi pure come pietre vive, costruitevi in modo da formare una casa spirituale, un santo sacerdozio, per offrire dei sacrifici spirituali, graditi a Dio per mezzo di Gesù Cristo” (I Pietro 2:5) La realtà più importante per tutti è “costruirci la nostra casa spirituale”. 3. Missione ed economia Penso sia opportuno sottolineare alcuni aspetti: a. Problemi etici nell’economia: 101.3 evitare forme di complicità con un sistema economico che spesso è responsabile di gravissime ingiustizie. Talvolta, una denuncia esplicita di questi meccanismi di morte è doverosa. In tutto l’Istituto non accettiamo l’uso di mezzi finanziari che presentano problemi etici. Non è sempre facile scoprire certi meccanismi che spesso vengono nascosti dalla pubblicità. Però oggigiorno ci sono alcune indicazioni come la banca Etica: si spera che anch’essa non venga travolta dal gioco delle Banche. b. Responsabilità di animazione degli economi a tutti i livelli 4.2 Si tratta della preparazione del personale per la gestione economica dell’istituto sia a livello generale che provinciale. L’economo si dedica oltre che alla verifica della contabilità anche all’animazione spirituale della comunità per mezzo di una riflessione sul tema della povertà e della solidarietà al fine di un uso più appropriato dei mezzi materiali per la missione. Riflessione che deve incoraggiare tutti e ciascuno a pensare che molti dei nostri benefattori sono della classe della “Vedova del Vangelo” che offre un obolo significativo. La nostra povertà è povertà apostolica cioè: usare i mezzi anche di costo ma solo in tanto in quanto ci servono per l’apostolato e non di più. c. Animazione missionaria 105. con l’AM che è da sempre parte integrante della nostra identità, aiutiamo la Chiesa locale ad aprirsi alla dimensione missionaria ad Gentes e siamo strumento di comunione e condivisione fra tutte le Chiese (RV 72) come fin dall’inizio ha fatto il nostro Fondatore. Il prossimo numero ha bisogno di un commento:

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105.2 l’impegno concreto per la giustizia nel mondo è parte costitutiva della missione (Redemptoris Missio 1991 n.58). Per questo, l’AM include atteggiamenti profetici di denuncia e proposte alternative. Lo stesso Papa Giovanni Paolo II, nella Enciclica “Sollicitudo Rei Socialis – N.41”, dove tratta esplicitamente il soggetto della Giustizia e insiste dicendo che l’annuncio deve precedere la denuncia. “L’insegnamento e la diffusione della dottrina sociale fanno parte della missione evangelizzatrice della Chiesa. E, trattandosi di una dottrina indirizzata a guidare la condotta delle persone, ne deriva di conseguenza l’”impegno per la giustizia” secondo il ruolo, la vocazione, le condizioni di ciascuno. All’esercizio del ministero dell’evangelizzazione in campo sociale, che è un aspetto della funzione profetica della chiesa, appartiene pure la denuncia dei mali e delle ingiustizie. Ma conviene chiarire che l’annuncio è sempre più importante della denuncia, e questa non può prescindere da quello, che le offre la vera solidità e la forza della motivazione più alta” (S.R.S. n.41). Il Sinodo dei Vescovi del 1971 aveva già formulato l’impegno per la giustizia, però aggiungeva “La nostra missione richiede che coraggiosamente si denunci l’ingiustizia con carità, prudenza, e fermezza, in un dialogo sincero con tutte le parti. Sappiamo…….che le nostre denunce possono domandare consensi nel mondo in cui esse sono l’espressione della nostra vita e sono manifestate in azioni continue” E sviluppando quest’ultimo pensiero, il Sinodo continua d. I Pastori siano i primi a testimoniare la pratica della giustizia “Mentre la Chiesa è tenuta a testimoniare la giustizia, essa riconosce che chiunque si avventuri a parlare della giustizia alla gente deve prima di tutto essere giusto agli occhi della stessa gente. Dobbiamo quindi esaminare i modi di agire, le proprietà e il modo di vivere della stessa Chiesa. I diritti umani devono essere praticati nella Chiesa stessa. Nessuno dovrebbe essere privato dei suoi diritti ordinari in quanto associato alla Chiesa in un modo o nell’altro”. Ammonimento che deve essere preso seriamente anche dai missionari, come pastori a livello parrocchiale. Ancora per i missionari, politicamente stranieri in un dato paese, sia dell’Africa come dell’America Latina è necessario tengano presente il seguente ammonimento dei Vescovi di tutta l’Africa radunatisi a Yaoundè, Camerun dal 29 giugno al 5 luglio 1981 per il Sesto incontro con lo SCEAM (Simposio delle Conferenze Episcopali di Africa e Madagascar). In un campo così delicato come l’analisi delle situazioni di ingiustizia, vorremmo ricordare a tutti gli agenti pastorali che è veramente necessaria una riflessione ed un’azione comune. Di più. Interventi effettivi e duraturi sono raramente azioni fatte da parte di liberi professionisti o cavalieri solitari. Quando è possibile parlare apertamente per la causa della giustizia, questo deve sembrare un atto di Evangelizzazione, e deve essere fatto dopo un’attenta riflessione ecclesiale ed in comune con le autorità Episcopali. Deve essere una proclamazione di Gesù Cristo e una rivelazione dei valori del Vangelo come l’amore fraterno, le Beatitudini, e le leggi del Regno di Dio. Prima d’intervenire apertamente nella causa della giustizia, prima di rettificare certe situazioni o condannare abusi, è normale, ogni qual volta sia possibile, innanzitutto mettersi in contatto con coloro che sono responsabili o colpevoli di queste situazioni. Il risultato di un intervento non è necessariamente misurato dal grado di violenza verbale o dalla sensazione che si ha quando si pronuncia un discorso. Secondo le nostre tradizioni, deve essere data la priorità

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ad un dialogo uomo a uomo. Inoltre, questo è il modo di fare insegnatoci da S. Matteo nel Vangelo (Mat.18:15-17). e. Apostolato nelle Scuole 116. In certi contesti specifici, dove la presenza della Chiesa è fortemente minoritaria, le Istituzioni scolastiche continuano ad essere un potenziale per aiutare a crescere nella capacità di dialogo, di accoglienza e di convivenza. La nostra presenza nella Scuola sia privata come pubblica è assolutamente necessaria sia per l’insegnamento autentico della Religione, sia per la nostra testimonianza come per la preparazione di gruppi di studenti che siano nella Scuola prima e nella Società poi di lievito umano e cristiano. C’è una pastorale anche nella Scuola e che è molto importante. Infatti gli alunni possono usufruire della presenza missionaria tutti i giorni e per tanti anni. In più i futuri leader del paese, vengono dalle scuole sia nel campo sociale come in quello politico. Nessuna scuola nella nostra missione può essere abbandonata tanto meno le scuole secondarie e se c’è, l’Università – È da qui che vengono chi un domani avrà in mano i destini dei poveri. In questo contesto è lodevole e molto opportuna la raccomandazione seguente: 136. Come preparazione ad un futuro di pace, le due province del Sudan – Karthoum e Sud Sudan – promuovano iniziative di riflessione e forme di collaborazione. Il Capitolo invita la provincia del Sud Sudan, con l’appoggio del CG, a dare forma ad una iniziativa che abbia lo scopo di preparare i cristiani sudanesi a svolgere il loro ruolo nella politica e nella futura trasformazione sociale del loro paese. Questa iniziativa, nella misura del possibile, sia pianificata e realizzata in collaborazione con le Suore Missionarie Comboniane. Quanto si dice per il Sudan vale per tutte le zone affidate alla nostra responsabilità.

Capitolo Sesto ALTRI ELEMENTI DI PROGRAMMAZIONE PER IL GOVERNO DELL’ISTITUTO Penso sufficiente riportare la programmazione del Consiglio Generale e le responsabilità del Coordinatore Continentale: 1. Priorità per il sessennio 133. Nel corso dei prossimi sei anni il numero dei confratelli giovani, prevedibilmente, diminuirà. Per rafforzare il personale in alcune province potrebbe essere necessario che altre accettino di ridurre il loro. Il XVI Capitolo Generale stabilisce le seguenti priorità: 133.1 il CG discuta con ogni provincia un piano consistente di riqualificazione degli impegni; 133.2 privilegiare l’AM nelle province del Nord; 133.3 assicurare la preparazione del personale per il coordinamento dei Centri Assistenza Ammalati; 133.4 dare priorità all’Africa (Sudan) per quanto riguarda l’evangelizzazione; 133.5 consolidare progressivamente la nostra presenza in Asia assegnando personale per mantenere almeno gli impegni assunti; 133.6 favorire le strutture di FdB/PV nelle province che hanno vocazioni.

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2. Coordinatore continentale 138. Ogni continente scelga un provinciale per il servizio di coordinamento continentale (cfr. AC ’97 n.168.4), con le seguenti funzioni: 138.1 convocare regolarmente (una volta all’anno o quando è necessario) l’assemblea continentale dei provinciali e presiedere all’incontro; 138.2 promuovere forme di comunicazione e condivisione interprovinciale, come progetti comuni, scambi di personale e mezzi (cfr. AC ’97 n.168.4); 138.3 assicurare lo svolgimento regolare delle attività di settore; 138.4 discernere e programmare, in caso di emergenze continentali iniziative di solidarietà da realizzarsi assieme all’assistente generale incaricato (cfr. AC ’97 n.168.4). A mio parere la presenza dell’Assistente Generale incaricato sia presente anche alle Assemblee Continentali. Difatti può darsi che l’Assemblea prenda decisioni soprattutto riguardo allo scambio di personale che può entrare nella prossima programmazione del C.G.: questo è per evitare un eventuale rifiuto del C.G. che può generare dei malintesi e accuse di interferenze. Inoltre da questi decreti non è chiaro quali siano i poteri decisionali di questa Assemblea Consultativa anche per i Consigli Provinciali. Questo deve essere chiaro nel punto più delicato e cioè lo scambio di personale. CONCLUSIONE Questi commenti dei Decreti, non sono una guida al loro studio. I decreti sono dei commenti che rimangono nella Storia e possono essere richiamati in un futuro: infatti se non sono in un libro di Storia che passa di mano in mano, possono rimanere nelle Biblioteche ed entrare nel dimenticatoio, eccetto quando verranno ripresi per preparare la relazione al prossimo Capitolo: poi si ripongono. Il futuro di un corpo organizzato può proiettarsi nel futuro solo se tiene la memoria del passato assieme alla piena consapevolezza del presente. Il Capitolo del periodo 1997-2003 è più lungo degli altri perché essendo il più recente può esercitare maggiore interesse. Vi sono state diverse critiche del come è stato celebrato questo Capitolo Generale, però i Decreti Capitolari meritano l’attenzione di tutti i Comboniani perché contengono del materiale molto valido, anche se non sempre originale, nel senso che non sono tutte novità ma ciò che conta non è tanto la novità, quanto le loro validità, e l’opportunità per l’Istituto. Per questo ho pensato opportuno dilungarmi più a lungo sul Capitolo per dimostrarne la validità anche e nonostante i difetti e le contestazioni.

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Capitolo Ventitreesimo I MISSIONARI COMBONIANI E L’EVANGELIZZAZIONE: LA PROMOZIONE INTEGRALE DELL’ESSERE UMANO BREVE CAMMINO STORICO

La teologia della Missione Nel suo Piano e nelle sue attività, Comboni non si concentrò unicamente sul lavoro pastorale (vedere “Il Piano”) Egli vedeva gli Africani come anime da portare a Gesù e, nel contempo, come esseri umani da redimere dalla loro ignoranza, la povertà e le malattie. Egli era contrario alla schiavitù e fondò il villaggio missione di Malbes. Per accogliere gli ex schiavi? Non appena poté egli fondò scuole per bambine prima e per bambini poi. Oltre ad imparare a leggere scrivere e far di conto, le ragazze imparavano a cucinare, ricamare e cucire; ciò che adesso chiameremmo scienze domestiche. I ragazzi, secondo le loro capacità e propensioni, imparavano il mestiere di falegname, meccanico, fabbro, sarto e calzolaio. Nel suo Piano, egli fece cenno anche alla necessità di avere Università per gli africani. Sin dall’inizio i nostri missionari fecero le stesse cose. C’erano tuttavia delle differenze, non negli scopi dell’evangelizzazione, ma nella metodologia usata. Alcuni di loro pensavano di iniziare con lo sviluppo della persona per passare in un secondo tempo all’annuncio di Gesù Cristo. Altri credevano che le due cose dovessero andare di pari passo in quanto lo sviluppo dell’essere umano deve essere integrale, completo. La missione della Chiesa è di sviluppare l’essere umano su principi cristiani: lo sviluppo integrale della persona è per la Chiesa la chiave del progresso sociale, politico e economico. Nei nostri campi tradizionali il Sudan e l’Uganda, questo trend era la norma: i sacerdoti, i fratelli e le suore che lavoravano assieme come un team. Il sacerdote sottolineava la proclamazione della Buona Novella e amministrava i sacramenti, poteva comunque essere di aiuto per le diverse necessità materiali. I fratelli per gli uomini e le suore per le donne potevano proclamare la Buona Novella attraverso i loro vari compiti ed impegni. La gente comune, in effetti, non vede la distinzione, invisibile, fra l’anima ed il corpo: l’essere umano è uno nella sua totalità. Benché né Comboni né i nostri primi missionari furono in grado di concettualizzare ciò che facevano in termini teologici, essi erano precursori di quanto stabilito dal Concilio Vaticano II nei suoi risvolti antropologici. Difatti, Giovanni Paolo, in linea con il Concilio, intitolò la sua prima Enciclica “Redemptor Hominis” (Redentore dell’uomo), e non “Redentore delle anime” come si era soliti trovare nei documenti ecclesiastici. Il Papa ha ben espresso il suo parere nel seguente brano tratto da “Centesimus Annus”: “Non si tratta dell’uomo ‘astratto’, ma dell’uomo ‘reale’ concreto e ‘storico‘: si tratta di ciascun uomo, perché ciascun uomo è stato compreso nel mistero della redenzione e con ciascuno Cristo si è unito per sempre attraverso questo mistero. Ne consegue che la Chiesa non può abbandonare l’uomo, e che questo uomo è la prima via che la Chiesa deve percorrere nel compimento della sua missione…, la via tracciata da Cristo stesso, via che immutabilmente passa attraverso il mistero dell’Incarnazione e della Redenzione”.

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Giovanni Paolo arriva persino a dichiarare che “il nome di quel profondo sbalordimento del valore e dignità dell’uomo è il Vangelo, cioè : la Buona Novella.” (id.). Possiamo dire la stessa cosa di Papa Giovanni XXIII e la sua Enciclica “Pacem in Terris” e di Paolo VI in “Evangelii Nuntiandi”. La Buona Novella non è unicamente per la felicità eterna, ma anche per la felicità dell’uomo in questa terra. Nella liturgia, per esempio, noi preghiamo così: “Possa la Fede ed il Sacramento che riceviamo portarci salute nel corpo e nella mente.” (Festa della Santissima Trinità) Il sacerdote, prima di comunicarsi prega: “Io mangio il tuo corpo e bevo il tuo sangue, che questo non mi porti condanna ma che abbia salute nel corpo e nella mente.” È vero che la sofferenza è un riconosciuto fenomeno mondiale anche per coloro che pregano per la salute della mente e del corpo. Tuttavia Gesù Cristo attraverso le Beatitudini ci insegna ad essere felici anche nella sofferenza. Una testimonianza personale Benché i nostri missionari non concettualizzarono la necessità dello sviluppo in termini teologici, però ne scrissero. Fr. Luigi Savariano (+ 1953) presenziò ad una riunione di catechisti provenienti dall’Uganda e dall’Equatoria (Sud Sudan) a Gulu. Al termine della riunione egli scrisse a Verona: “Ho visto così tanti catechisti, assieme a molti altri cristiani di diverse tribù che stavano assieme e conversavano amabilmente ed ho pensato come sarebbe bello essere soltanto un catechista. Ma poi, dopo il Sacramento della Confessione, ho capito che la fede e la civilizzazione vanno assieme mano nella mano: il lavoro dei fratelli che insegnano lavori pratici assieme alla testimonianza di una vita cristiana autentica è anch’esso un modo di trasmettere il messaggio cristiano dello sviluppo integrale degli esseri umani, secondo la tradizione cristiana.” PARTE PRIMA L’EVANGELIZZAZIONE COME PROCLAMAZIONE I nostri missionari ebbero come scopo principale l’evangelizzazione come proclamazione. Perché lasciarono la loro patria se non per evangelizzare? Il beato Comboni scrisse al Cardinale Franchi: “La promozione umana soltanto senza la proclamazione del Vangelo porta la gente ad una nuova vita corrotta.” 1. La salvezza delle anime: il primo approccio Nonostante che il fine ultimo dei missionari fosse quello di salvare le anime, di fatto ciò non fu il primo passo. Il primo passo fu di stabilire contatti con la gente, suscitare simpatia ed interesse per la Fede. Da qui, lo studio delle lingue, il capire la cultura e mostrare attenzione ai bisogni della gente, dalla salute all’istruzione, allo sviluppo di progetti portato avanti dai Fratelli nelle Scuole Rurali di Artigianato, come diventare falegname, muratore o imparare una meccanica rudimentale quando erano disponibili solo biciclette. Il rispetto per le autorità locali era della massima importanza.

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All’inizio delle missioni lo scopo dell’evangelizzazione, in teoria, era la salvezza delle anime attraverso il battesimo. La convinzione latente, comunque, era che senza il battesimo dell’acqua, lo Spirito della salvezza sarebbe stato difficile. Si doveva istruire la gente prima di impartire il battesimo, se qualcuno era in pericolo di morte e chiedeva il battesimo questo veniva dato dopo un breve corso. Ci furono delle controversie circa la durata dei catecumenati: alcuni missionari erano dell’idea che più durava il catecumenato, migliore sarebbe stata la vita del futuro cristiano. La metodologia del catecumenato era la seguente: a. Il catechista insegnava il catechismo nelle cappelle lontano dalle missioni: il catechismo veniva imparato a memoria principalmente da parte dei ragazzi/e che frequentavano la scuola. Imparare il catechismo a memoria non è del tutto sbagliato, se segue poi la spiegazione. Innanzitutto perché i ragazzi/e non capirebbero del tutto la maggior parte degli insegnamenti dei misteri della nostra religione. È una realtà psicologica che una formula imparata a memoria lavora nel subconscio. Una volta che viene data una spiegazione logica, anche il bambino diventato adulto, riesce a ricordare facilmente la formula come sintesi di quanto aveva imparato. b. Il catecumenato ed il battesimo. Il passo seguente era di portare i catecumeni nel compound della missione dove il catechismo veniva spiegato dal sacerdote. Il periodo standard per il catecumenato, incluso il periodo con il catechista, era di quattro anni con varie interruzioni. Questo periodo aiutava il catecumeno a liberarsi dall’influenza dei villaggi pagani e di conoscere un nuovo stile di vita. Uno stile di vita però che era completamente tagliato fuori dalla vita normale dei villaggi e dei suoi eventi culturali. Tutto ciò creava dei grossi problemi: che cosa dire della poligamia? Le pratiche di stregoneria e i matrimoni tradizionali? Alcuni missionari pensavano che un periodo così lungo avrebbe tagliato fuori i nuovi battezzati una volta tornati nei loro villaggi. Così accorciarono il periodo del catecumenato per poter istruire molti altri degli abitanti dei villaggi e creare una più ampia capacità di comprensione del nuovo modo di vivere fra i battezzati. Vedevano, inoltre, quanto la gente desiderava appartenere alla Chiesa ma anche quanto le pratiche tradizionali li avrebbero in qualche modo influenzati. Nonostante questa influenza tuttavia non avrebbero cambiato la loro fede anche se talvolta ritornavano a qualche pratica tradizionale. Oggi giorno, nonostante ci siano tanti cristiani, sussistono gli stessi problemi: matrimoni tradizionali ed in conflitto con quelli in chiesa, la poligamia, figli al di fuori del matrimonio, ecc., il prezzo di una sposa sembra essere più ragionevole solamente in quelle tribù dove l’istruzione ha sviluppato la dignità delle donne. A volte non è facile distinguere fra il ricorso agli antenati , e agli stregoni e indovini. In molti luoghi c’è sempre il problema degli stregoni. Uno dei nostri padri, P. Russo in Uganda sta trattando il problema degli stregoni ed ha liberato molti di loro dalle loro pratiche devianti. Coloro che hanno cambiato hanno rivelato agli altri che quanto facevano era tutta illusione e hanno fatto conoscere le diverse maniere di ingannare la gente per prendere molti soldi. Il valore della medicina tradizionale è oggi riconosciuto valido e praticato anche da sacerdoti e religiosi in modo trasparente. 2. Plantatio Ecclesiae ‘Plantatio Ecclesiae’, cioè ‘Stabilire i leader della Chiesa e il popolo di Dio’: anche questo era il principio della missiologia. Nell’intenzione dei missionari questa era il secondo ed assolutamente indispensabile passo.

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Gli Istituti missionari sono differenti da altri Istituti come quelli dei Gesuiti o i Francescani ecc. Questi possono andare ad impiantare il loro carisma nelle missioni e rimanervi. Altre volte possono andare come missionari e seguire la loro metodologia. La metodologia dei nostri missionari era di impiantare la Chiesa su base solida: seminari e case religiose. Sacerdoti, Vescovi, superiori religiosi dovevano provenire da queste istituzioni e prendersi la responsabilità della proclamazione al popolo di Dio. Sono state istituite vere scuole per catechisti che sono funzionanti ancora in molte diocesi. In altre parole, la Chiesa locale dovrebbe diventare autosufficiente (finanziariamente) auto propagante, auto amministrata (il personale). Non è facile decidere quando lasciare un paese dove i cattolici e i sacerdoti locali sono cresciuti, principalmente in quei luoghi dove i nostri missionari hanno fondato la Comunità Cristiana. Ciò di cui abbiamo qui bisogno sono impegni qualitativi per la formazione di base e continua dei sacerdoti religiosi e laici impegnati. 3. Sviluppo delle Organizzazioni Laiche I laici cattolici organizzati hanno avuto sempre un ruolo nella Chiesa sotto diverse forme: di carattere socio-economico (le corporoziani del Medio Evo), politico (Guelfi), culturale (le opere dei Congressi del secolo XIX), assistenziali (le conferenze di S. Vincenzo de Paoli, fondate da A.F. Ozanam), per il servizio dei poveri e quale mezzo di santificazione. Dopo la “Rerum Novarum” molte organizzazioni sociali furono istituite per imprenditori, agricoltori, cooperative di produzione e di consumo, assicurazioni e banche, sindacati bianchi ecc. Vi furono organizzazioni per scopi puramente religiosi come i Francescani e furono convertite in organizzazioni laicali di vita comune con voti, già incominciate da S. Benedetto. In questo campo, vi fu una immensa fioritura che fu, per così dire, il midollo carismatico della Chiesa. Venendo al secolo scorso, grande impulso fu dato da Pio XI con l’Azione Cattolica come associazione. Però la concepiva come “la cooperazione del laicato alla missione della Gerarchia”. Nel mondo missionario le prime organizzazioni laiche furono di questo tipo con catechisti, suore, fratelli. Come associazioni di apostolato laico si può notare che i missionari introdussero quelle già conosciute nelle loro chiese in patria, come l’Azione Cattolica, (l’associazione dell’Apostolato generico) (Italiani, Canadesi ecc.), la legione di Maria (Inglesi, Irlandesi), Azione Cattolica specializzata per studenti, lavoratori, maestri ecc. (Francia, Belgio). Però il concetto di Pio XI era da sempre nel subcosciente del Clero per cui le organizzazioni più apprezzate erano quelle che aiutavano il clero ad espletare il loro compito. Questo atteggiamento portava al clericalismo e non incoraggiava le iniziative e la creatività dei laici nelle responsabilità specifiche che essi avevano nella vita sociale dove solo essi possono testimoniare il messaggio cristiano. Quindi anche nel mondo missionario. Prima del Concilio la Chiesa era piuttosto clericale e maschilista. Persino oggi cambiare mentalità, anche per i nostri missionari non è facile. Tant’è che anche nel Capitolo del 1997, mentre si trattava l’argomento dei Comboniani Laici, non ci fu nessuna enfasi sul coinvolgimento dei laici nel campo missionario (n. 116). Su questo punto, desidero dare un cenno storico sullo sviluppo della teologia del ruolo dei laici nella Chiesa.

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Vi sono due tipi di Apostolato Laico. Prima del Concilio Vaticano l’Apostolato dei laici, come già accennato, veniva descritto come “la cooperazione dei laici nella missione della gerarchia”. Il Vaticano Secondo ha tuttavia inequivocabilmente stabilito che l’Apostolato Laico è una condivisione nella missione salvifica della Chiesa come popolo di Dio. Secondo i documenti del Concilio, ci sono due tipi di Apostolato Laico: uno obbligatorio e l’altro volontario. L’apostolato obbligatorio e quello specifico ai laici. I laici impegnati sono agenti di evangelizzazione in tutte le branchie della società dove lavorano e vivono. “I laici, radunati nel popolo di Dio e costituiti nell’unico Corpo di Cristo sotto un solo capo, sono chiamati, chiunque essi siano, a contribuire come membra vive, con tutte le forze ricevute dalla bontà del Creatore e dalla grazia del Redentore, all’incremento della Chiesa e alla sua santificazione permanente. L’apostolato dei laici è quindi partecipazione alla missione salvifica stessa della Chiesa; a questo apostolato sono tutti destinati dal Signore stesso per mezzo del Battesimo e della Confermazione. Dai sacramenti poi, e specialmente dalla Sacra Eucarestia, viene comunicata e alimentata quella carità verso Dio e gli uomini che è anima di tutto l’apostolato. Ma i laici sono soprattutto chiamati a rendere presente e operosa la Chiesa in quei luoghi e in quelle circostanze in cui essa non può diventare sale della terra se non per loro mezzo. Così ogni laico, in virtù dei doni che gli sono stati fatti, è testimone e insieme vivo strumento della stessa missione della Chiesa “secondo la misura del dono del Cristo”. (Lumen Gentium n. 33) Se questo apostolato è obbligatorio, i missionari sono obbligati a dare ai laici una formazione adeguata attraverso gli insegnamenti della Dottrina Sociale della Chiesa. La seguente citazione lo conferma: “È diritto dei fedeli laici che venga loro riconosciuta nelle realtà della città terrena quella libertà che compete ad ogni cittadino: usufruendo tuttavia di tale libertà, facciano in modo che le loro azioni siano animate dallo spirito evangelico e prestino attenzione alla dottrina proposta dal magistero della Chiesa, evitando però di presentare nelle questioni opinabili la propria tesi come dottrina della Chiesa”. (Diritto Canonico n. 227) L’apostolato laico volontario è la cooperazione dei laici nella missione della gerarchia. Nell’introdurre questo aspetto dell’apostolato laico di cui sopra, il Concilio Vaticano menziona anche quello obbligatorio dicendo: “Oltre a questo apostolato, che spetta a tutti i fedeli senza eccezione, i laici possono anche essere chiamati in diversi modi a collaborare più immediatamente con l’apostolato della gerarchia, a somiglianza di quegli uomini e donne che aiutavano l’apostolo Paolo nella evangelizzazione, lavorando molto per il Signore (cfr. Fil 4,3; Rom 16,3 ss.). Hanno inoltre la capacità per essere assunti dalla gerarchia ad esercitare, per un fine spirituale, alcuni uffici ecclesiastici.” (Concilio Vaticano, Lumen Gentium, 33) L’apostolato volontario è quello del catechista, dei ministeri minori come quello di lettori, di accoliti, o di altre attività che possono essere chiamate lavoro pastorale eseguito sotto la direzione del clero; l’apostolato obbligatorio è svolto con diretta responsabilità dei laici in comunione con il clero. Tuttavia la cooperazione dei laici nella missione della gerarchia non significa che i laici condividano il sacerdozio conferito dal Vescovo con l’Ordinazione. È questo che fa la differenza essenziale tra il sacerdozio ministeriale e il sacerdozio comune dei laici.

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Tale cooperazione è il compimento dell’unzione del Battesimo e della Cresima che danno ai laici una diretta condivisione nel carisma e nella missione di Cristo: Sacerdote, Profeta e Re. È il sacerdozio dei laici descritto da S. Pietro nella sua prima lettera già citata “un sacerdozio reale, una nazione consacrata…” (2:9). “I laici che risultano idonei sono abili ad essere assunti dai Sacri Pastori in quegli uffici ecclesiastici e in quegli incarichi che sono in grado di esercitare secondo le disposizioni del diritto.” (Diritto Canonico 228.1) Inoltre: “Ove lo suggerisca la necessità della Chiesa, in mancanza di Ministri ordinati, anche laici, pur senza essere lettori o accoliti, possono supplire alcuni dei loro uffici, cioè esercitare il ministero della parola, presiedere alle preghiere liturgiche, amministrare il Battesimo e distribuire la Sacra Comunione secondo le disposizioni di diritto.” (Diritto Canonico 230.3) L’attività dei laici nel campo pastorale darà alla Chiesa il beneficio aggiuntivo di evitare il pericolo molto attuale di prendere decisioni affrettate riguardanti la questione della “mancanza di sacerdoti”. È mia impressione che il clero in generale non ha afferrato il messaggio di Dio attraverso la mancanza di vocazioni sacerdotali. Sappiamo che il Signore può fare figli d’Israele anche dalle pietre. Egli permette questa crisi affinché i sacerdoti facciano solo quello che nessun altro cristiano può fare: il resto si lasci ai laici preparati dal sacerdote. Alcune delle principali aree pastorali nelle quali un’attività e corresponsabilità ampliata da parte dei laici sarebbe fattibile potrebbero essere le seguenti: L’amministrazione parrocchiale o diocesana. Ø L’area delle direttive e decisioni a livello parrocchiale, diocesana e nazionale. Ø L’area di culto pubblico della Chiesa e l’amministrazione di alcuni sacramenti; non solo inteso nel senso di partecipazione attiva dei laici nella liturgia, ma anche nelle scelte decisionali circa il rinnovo e la riforma liturgica – i maggiori “consumatori” della riforma liturgica devono avere voce in capitolo. Ø È necessario e urgente prendere delle decisioni nel campo della catechesi. I laici devono altresì essere consultati per quanto riguarda l’organizzazione dei catecumenati, della programmazione delle omelie, il counselling pastorale, le visite, le prediche ecc. Mentre si cerca di dare nuova vita a differenti tipo di apostolato laico, non si deve dimenticare le necessità di ogni Chiesa locale, senza perdere d’occhio il trend generale della Chiesa universale. Alcuni nostri missionari sono dell’opinione che le “Piccole Comunità Cristiane” meglio rappresentano, oggi, l’apostolato laico, come una volta lo erano le associazioni ed i movimenti. L’esperienza insegna che sono necessari ambedue. Difatti le associazioni ed i movimenti danno il modo di agire sia a livello diocesano che nazionale od internazionale. Essi danno un più ampio campo di apostolato delle PCC. 4. La metodologia al servizio della Chiesa locale I nostri missionari hanno sempre servito la Chiesa locale tramite le conversioni e la formazione di sacerdoti, religiosi e agenti pastorali. Difatti, da un punto di vista giuridico, l’Istituto era interamente responsabile della creazione della comunità cristiana, cioè della Chiesa locale. I missionari venivano mandati dalla Santa Sede tramite i nostri Prefetti, i quali erano anche responsabili di presentare missionari candidati alla nomina di Vescovi Vicari Apostolici. Questa responsabilità era basata sul loro esclusivo dovere e diritto di evangelizzare chiamato “Ius commissionis”. Quando la gerarchia locale fu stabilita, la responsabilità giuridica passò ai vescovi. Nuovi missionari non vengono mandati dal Papa tramite l’Istituto, ma vanno quando invitati dai

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Vescovi. Attualmente, le relazioni fra i Vescovi e gli Istituti per quanto riguarda le finanze, gli impegni e il personale sono regolate da un accordo firmato dalle due parti e periodicamente revisionato. Entri i termini del contratto, i Vescovi ed i missionari hanno la responsabilità giuridica di portare avanti gli impegni stabiliti. Nelle Chiese fondate dai nostri missionari nel contesto dello “Jus commissionis”, permane la responsabilità morale di portare la Chiesa locale ad un certo grado di autonomia, auto propagazione e auto amministrazione. Il ruolo del Nunzio Apostolico, inoltre, è di importanza vitale nel proporre alla Santa Sede la nomina degli ordinari locali. I programmi del lavoro pastorale sono responsabilità della Chiesa locale. I missionari devono essere fieri di aiutare la Chiesa locale a crescere e di passarle le relative responsabilità. Il motto di Comboni dice “Salvare l’Africa con gli africani” La nostra presenza in quei luoghi che chiamiamo “territori missionari” mira a un programma di impegni qualificati che danno la priorità alla crescita della Chiesa locale, i sacerdoti, i religiosi ed i laici. Anche noi possiamo ripetere ciò che Giovanni Battista disse della Chiesa: “Chi possiede la sposa è lo sposo; ma l’amico dello sposo che è presente e l’ascolta, esulta di gioia alla voce dello sposo. Ora questa mia gioia è compiuta. Egli deve crescere e io invece diminuire. “(Giov. 3:29-30) In teoria quasi tutti accettano questo atteggiamento, in pratica, tuttavia, alcuni missionari vogliono rimanere i protagonisti. È vero che a volte la Chiesa locale può commettere degli errori, come ebbe a dire un Vescovo africano ad alcuni missionari: “Anche voi avete commesso degli errori, nonostante la vostra buona volontà. Lasciate che anche noi facciamo i nostri. Anche noi impareremo perché anche noi abbiamo volontà e possibilità di far crescere la nostra Chiesa.” Capitò che un missionario prese posizione sulla stampa criticando il governo o la gente altolocata citandoli per nome. Il missionario venne espulso dal Governo e il Vescovo non fece niente per evitare l’espulsione. Questo comportamento disturbò le relazioni dei nostri missionari con gli Ordinari locali. Tali eventi necessitano un momento di riflessione. a. Primo: non ci si deve aspettare che qualcuno si comporti come dovrebbe. Tutti noi dovremmo essere santi, ma troppi di noi non lo sono. Le relazioni e l’esperienza sono importanti. b. Secondo: se un missionario, specie se non è cittadino del paese, agisce senza aver consultato gli Ordinari locali, di solito questi non lo appoggiano. Molto spesso, se consultato, l’Ordinario può essere d’accordo e quindi dare il suo supporto. c .Terzo: se insegniamo la Dottrina Sociale della Chiesa potremmo ispirare un gruppo dei nostri laici ad agire. Insisto su un gruppo, una Associazione, in quanto questa darà coraggio ai laici ed eviterà che le autorità pubbliche agiscano contro un individuo. d. Quarto: ci possono essere dei casi in cui la Chiesa locale non interviene anche se si tratta di serie violazioni dei diritti umani. In questo caso il missionario si consulta con la comunità e il Provinciale. Con l’approvazione del Vescovo, i nostri missionari nel Mozambico scrissero un “Imperativo di Coscienza”. Fu il risultato di consultazioni con tutti i missionari e firmato dal Provinciale. Riguardava le palesi violazioni dei diritti umani, incluso il diritto all’indipendenza del popolo del Mozambico. Alcuni di loro furono espulsi, ma, in quanto sostenuti dal loro Vescovo, il documento contribuì a raggiungere l’Indipendenza. Nei nostri interventi si deve sempre tenere presente che ci si deve aspettare una reazione difensiva a qualsiasi azione pubblica. Un punto da ricordare è che, oltre al fatto che la reazione potrebbe nuocere alla nostra azione, dobbiamo evitare di prendere iniziative miopi. È importante

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mettersi in cammino per un lungo viaggio anche se inizialmente possiamo incontrare difficoltà. È importante pensare bene e ponderare tutti i mezzi a disposizione per portare a termine il viaggio. Si deve ricordare il proverbio inglese che recita: “La via più breve per raggiungere uno scopo è spesso la via più lunga”. Questa saggezza spicciola è in sintonia con la nostra Regola di Vita: 61.6: Il missionario deve rendersi conto che le scelte politiche sono prerogative della gente del paese e che spetta in primo luogo alla Chiesa locale assumere la responsabilità in questo campo e denunciare le oppressioni. 61.7 Per il missionario è necessaria una attenta analisi della situazione sociopolitica del paese, per scoprire i modi concreti e più opportuni per l’evangelizzazione anche nelle condizioni meno favorevoli. Per i nostri missionari che lavorano in Africa cito qui le seguenti affermazioni del SECAMSCEAM (Simposio delle Conferenze Episcopali dell’Africa e del Madagascar). Fu pubblicato nel 1981 dopo l’incontro dei vescovi a Yaounde (Camerun) in un opuscolo intitolato “Giustizia ed evangelizzazione in Africa”. “In un campo così delicato come l’analisi delle situazioni di ingiustizia, vorremmo ricordare ai nostri colleghi che la riflessione e l’azione comune sono veramente necessarie. Non dovremmo dimenticare che vogliamo che la promozione della giustizia sia un’opera di evangelizzazione e perciò ecclesiale. Tutto ciò che vorremmo fare o dire per la causa della giustizia deve essere il frutto di discernimento maturato lavorandoci assieme . Interventi duraturi e efficaci sono raramente azioni di liberi professionisti o cani sciolti. Quando è possibile parlare per la causa della giustizia, questo deve sembrare un atto di evangelizzazione e portato a termine dopo relativa riflessione ecclesiale e in comunione con le autorità episcopali. Questo è il criterio fondamentale che deve guidare qualsiasi azione per la causa della giustizia. Deve esser la proclamazione di Gesù Cristo e una rivelazione del Vangelo, dei valori come l’amore fraterno , le beatitudini e le leggi del regno di Dio. Vorremmo qui ricordare che parlare per la causa della giustizia non è necessariamente un atto pubblico. Prima di intervenire apertamente per la giustizia, prima di rettificare certe situazioni o condannare abusi, è normale, ove sia possibile, prima di tutto contattare coloro che sono responsabili o colpevoli di tali situazioni. L’efficacia dell’intervento non si misura necessariamente dal grado di violenza verbale o di sensazioni suscitate da un discorso. Secondo le nostre tradizioni, la priorità deve essere data ad un dialogo a quattr’occhi. Inoltre, questo modo di agire è anche quello proposto dal Vangelo secondo Matteo (18:15-17).” 5. L’evangelizzazione attuale I cambiamenti apportati dal Concilio Vaticano II ebbero un impatto decisivo sulla metodologia di evangelizzazione. a. Nella liturgia. L’introduzione della lingua locale richiedeva la traduzione della Bibbia e dei testi liturgici. Un buon numero dei nostri missionari, principalmente in Africa si sono cimentati con entusiasmo nel tradurre la liturgia nelle varie lingue. Tale impegno, lungo e paziente portato avanti con l’aiuto e il consiglio dei sacerdoti locali merita l’apprezzamento di tutti. Con l’uso della lingua locale e il procedimento di inculturazione, anche i canti cambiarono, come abbiamo avuto modo di dire precedentemente. P. Giorgetti fu uno dei pionieri nell’uso di canti utilizzando musica e parole africane. Altri missionari, lodevolmente, seguirono il suo esempio, molti dei quali, però, non avevano la stessa sua competenza della musica africana.

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b. L’emergenza di una nuova metodologia. L’enfasi data dal Concilio Vaticano alla Chiesa come “Popolo di Dio” vivente in una comunità amorevole ha cambiato la fisionomia della Chiesa. La Chiesa non è più una specie di piramide con in cima la gerarchia che filtra e a volte blocca gli interventi del Signore sulla vita del popolo di Dio. La gerarchia è adesso al centro del popolo di Dio rappresentando Gesù dal quale essi ricevono l’autorità ad interpretare la Parola di Dio. Tuttavia, lo Spirito santo può direttamente distribuire ai laici grazie, doni ed ispirazioni. Anche i membri della gerarchia possono incoraggiare la creatività dei laici ed aiutarli a compiere la volontà di Dio. L’importante è che Clero e Laici si mantengano in comunione attraverso un dialogo sincero. Seguendo le nuove tendenze nacquero diverse iniziative dei fedeli laici: I° - I MOVIMENTI: i seguenti sono quelli maggiormente conosciuti ormai in tutto il mondo: Ø Focolari: fondati da Clara Lubich durante la seconda guerra mondiale (1939-1945). Ø Il Movimento Carismatico ispirato dalle Chiese Pentacostali degli USA negli anni 60. Ø Le Comunità Catecumenali fondate da un laico spagnolo, Kiko e comunemente conosciute con questo nome. Ø Comunione e Liberazione fondato da Mons. Carlo Giussani negli anni 60. I nostri missionari favoriscono o l’uno o l’altro dei sopra citati. Comunque, l’approccio migliore è quello di proteggerli tutti e permettere che operino nella parrocchia. I Pastori non devono identificarsi con uno di loro in particolare. Ci si aspetta che essi aiutino tutti i movimenti a mantenere la loro identità in quanto possono essere complementari fra di loro. Il dovere del Pastore è di coordinare le loro attività. Non deve incoraggiare l’una a scapito dell’altra per non dare l’impressione che una qualsiasi di esse sia “La vera Chiesa” come voluta da Cristo. Le rivalità permesse da Pastori possono talvolta creare scandali e confusione fra la gente comune. Tramite i movimenti o altre associazioni il pastore può arrivare alle masse. È sbagliato per un movimento credere che il loro apostolato più importante sia l’aumento dei membri del loro gruppo. I membri di un dato movimento hanno il dovere di agire come leva sulle masse e soprattutto di portare il popolo a Cristo ed alla Chiesa. II° - LE STRUTTURE: queste strutture sono le “comunità di base” iniziate nell’America latina. In Africa si chiamano “Piccole Comunità Cristiane”. Le comunità che hanno avuto maggior successo sono quelle che sono il risultato di una divisione di una parrocchia. In questo modo l’assistenza di un parroco è assicurata; però questi deve fare attenzione a non diventarne una presenza dominante. Tuttavia non tutti i missionari sono convinti della validità di queste comunità. L’elemento di disturbo, di norma è quando un pastore viene trasferito per cui le strutture cedono. È quindi necessario che i laici sieno formati a prendersi le loro responsabilità avvalendosi del mandato dato loro dal Battesimo e dalla Cresima. Non tutti i nostri missionari fanno uso di queste strutture. Coloro che lo fanno sono quelli che hanno seguito dei corsi e sanno perciò cosa fare. La mancanza del come fare (know-how) può impedire l’introduzione di queste iniziative e di assisterle.

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6. L’emergenza di nuovi approcci a. Comunità apostoliche L’enfasi spostata dalla centralità del clero al popolo di Dio ha suggerito ai missionari di formare le Comunità Apostoliche: evangelizzare come comunità con diverse mansioni dei membri. Esse comportano essenzialmente due cose: la consapevolezza delle differenti idee che possono avere i componenti di una comunità di evangelizzatori; i sacerdoti, i religiosi, le suore, i fratelli ed i laici. Il Sacerdote deve sottolineare la sua responsabilità nella proclamazione della Parola di Dio, nell’amministrazione dei Sacramenti, nelle visite alle famiglie, ai malati e ai poveri con intento pastorale e nella preghiera personale come Mosè sul monte. I Fratelli, le Suore ed i laici devono sottolineare la promozione umana come già spiegato. Questo ruolo non è certamente esclusivo, ma è preponderante. La confusione dei ruoli genera frustrazioni, malintesi ed interferenze di fronte ai laici. Una squadra di calcio dove tutti i giocatori sono difensori od attaccanti rende il gioco impossibile. Il pianificare assieme e la divisione delle mansioni attraverso un dialogo amichevole e riunioni regolari è ciò che serve, individualisti emergono sempre, ovviamente, ma sono da tutti disapprovati. Le ragioni di questo individualismo: a. L’orgoglio in genere e l’egoismo, che sono innati ed istintivi. Anche Gesù ci disse di amare il prossimo come amiamo noi stessi. L’amore verso i genitori, parenti ed amici è istintivo. L’amore per il prossimo si acquisisce con l’aiuto di Gesù. Perciò la ragione principale dell’individualismo è la mancanza di amore per i membri della nostra comunità apostolica. b. Il complesso di superiorità scaturisce dal nostro egoismo, e ci può portare a seguire i nostri propri progetti ed il nostro ritmo di lavoro. Certe difficoltà devono essere discusse ed appianate nelle riunioni presso la propria comunità ed in quelle della comunità apostolica. Un sincero dialogo può riuscire a risolvere i problemi di apostolato di una comunità. Ho spesso notato, comunque, specialmente nelle comunità più numerose che alcuni sembrano indifferenti a quanto viene discusso attorno al tavolo e continueranno per la loro strada imperterriti. c. Le diverse teologie possono incoraggiare l’individualismo.Già nel campo di lavoro alcuni nuovi arrivati pensano di avere una teologia più progressista, e vanno per conto loro. Da quando sono stati istituiti gli Scolasticati Internazionali (preferirei interculturali) metodologie e teologie diverse influiscono la metodologia e gli scopi dell’evangelizzazione. Alcuni missionari di una certa età non sono disposti ad intraprendere discussioni teologiche o filosofiche, perciò essi continuano da soli nei loro progetti e metodi. b. Ecumenismo Nella pratica dell’Ecumenismo si possono distinguere differenti modi per avvicinarsi agli altri. a. L’approccio alle diverse denominazioni Cristiane: si deve aver ben chiaro qual è lo scopo dell’ecumenismo. Si deve mirare ad una unità giuridica che include la supremazia giuridica del Papa? Non so se e quando questo potrà essere possibile: può anche essere controproducente. La ARCIC (Comitato Internazionale Cattolico Romano Anglicano) quando tratta del ministero e il dono dell’autorità formulò il problema nel seguente modo: “La ricezione del primato del Vescovo di Roma implica il riconoscimento di questo specifico ministero del primato di Roma. Noi crediamo che questo sia un dono ricevuto da tutte le Chiese.”

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Queste parole si riferiscono chiaramente all’autorità del Papa come autorità nell’insegnamento, e non giuridica. Tuttavia anche questa risoluzione ha incontrato forte opposizione da parte di diversi anglicani ed altri teologi come un pericoloso cedimento. b. Il primo scopo del dialogo con i non cattolici è quello di creare un’atmosfera amichevole tenendo conto che tutti i cristiani possono salvare la loro anima se lo desiderano; lo scopo è prima di tutto di chiarire i malintesi, per esempio circa il culto della Madonna, e l’infallibilità del Papa, e secondo chiarire le diverse calunnie storiche reciproche che si fanno continuamente emergere, e sono sempre le stesse, di secolo in secolo. Debbo aggiungere purtroppo, che molti sacerdoti o non sanno o non si interessano di spiegare il perché di certe calunnie, molte di queste sono state sfatate o ridimensionate da chi si interessa dei giornali e libri cattolici. Dobbiamo pensare che: – tutti hanno un loro punto di vista al quale si attengono – l’essenza della libertà è la possibilità di scegliere fra due buone azioni; scegliere fra una buona ed una cattiva è abuso di libertà. c. L’approccio verso i non cristiani, anche qui lo scopo del dialogo è creare un’atmosfera amichevole Per poterci capire meglio. I mussulmani hanno bisogno di spiegazioni in particolare sulla Trinità. Questo è comunque un argomento spinoso in quanto sono allergici all’idea di Tre Persone in Una natura. La prima volta che mi recai in Uganda, nel 1951, in nave da Venezia fino ad Alessandria d’Egitto, incontrai un professore di storia all’università di Teheran , un musulmano. Parlammo fra di noi, e dopo due giorni, con la sincerità di un novello sacerdote gli chiesi se poteva riuscire a credere nella Divinità di Gesù. Fu terribilmente sorpreso e risentito dall’audacia della mia domanda. Egli replicò “Non ho una testa d’asino”. E così finì il nostro dialogo. Non avevo mai incontrato un musulmano prima di allora. Questa esperienza mi insegnò che gli incontri casuali non si prestano a discussioni religiose, possono, però, portare all’amicizia e buone relazioni. Ci sono molti punti di convergenza che possono nutrire un dialogo. Si deve essere preparati. Il nostro Istituto ha in atto molte iniziative per facilitare il dialogo. Uno dei nostri missionari crede di aver imparato di più dai teologi musulmani che da quelli cristiani. È vero, l’Islam ha una sua teologia, sia dottrinale che mistica. Io credo a quanto questo padre dice perché ha approfondito la teologia musulmana per oltre 30 anni della sua vita mentre forse la teologia cattolica è stata relegata ai soli quattro anni della sua formazione di base. Qui di seguito riporto alcuni suggerimenti tratti dagli Atti del Capitolo del 1997 a proposito del dialogo con i musulmani: Ø L’obiettivo della nostra presenza fra i seguaci dell’Islam è di prima evangelizzazione. Cerchiamo di ottenere questo risultato attraverso iniziative di dialogo inter-religioso in comunione con le Chiese locali e ove possibile, la diretta proclamazione del Vangelo. Ø Nei paesi fortemente influenzati dall’Islam, l’evangelizzazione e l’inculturazione del Vangelo rafforzano le comunità cristiane e le rendono capaci di vivere e testimoniare la fede in diverse situazioni. Ø Secondo la tradizione Comboniana i luoghi privilegiati per l’evangelizzazione e il dialogo con i musulmani sono le scuole, le attività sociali e la promozione della donna. Ø Le seguenti attività fanno parte della proclamazione del Vangelo: – promuovere iniziative di dialogo;

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– Coltivare relazioni di apprezzamento e fiducia con quei musulmani che seguono la tradizione spirituale e mistica dell’Islam; – Lavorare insieme a quei musulmani che promuovono i diritti umani e la sana emancipazione della donna. È mia personale opinione che l’ecumenismo , che include anche i musulmani deve avere come priorità quella di unire e creare una religiosità globale come alternativa alla cultura atea globale lasciando discussioni teologiche. A proposito: tali discussioni sono possibili solo per chi è profondo nella sua stessa religione. Si deve anche aggiungere che l’ateismo è unico mentre le religioni sono diverse per cui gli atei uniti hanno più forza ed è quindi necessario che le religioni si concordino fra di loro, ciascuna a portare il suo contributo specifico, senza perdere la propria specificità e identità. c. Le Sette Qui non parlo delle denominazioni tradizionali cristiane delle quali mi sono occupato trattando l’ecumenismo. Vorrei adesso esaminare le innumerevoli nuove sette che stanno prendendo piede principalmente nel Mondo pre-industriale. Esse sono una grossa sfida per i nostri missionari nel campo di lavoro perché le sette stanno propagandosi velocemente. Uno dei loro scopi è minare la Chiesa cattolica, togliendone i membri con le buone e con mezzi leciti o illeciti (soldi, borse di studio, ecc.). Il loro target è il Papa che da molte sette è chiamato la Bestia sulla terra (666) dal Libro della Rivelazione (Apocalisse 13:18). Ho letto una pubblicazione anonima, che si suppone fatta dalla Chiesa Pentecostale e un’altra setta “carismatica”. Questo è il testo: “I cattolici carismatici devono lasciare la Chiesa cattolica. Non possiamo avere Cristo ed il Battesimo dello Spirito Santo e le dottrine del diavolo allo stesso tempo. Non dobbiamo fornicare con la grande prostituta della Rivelazione, cap. 17. Dio stesso la giudicherà (Riv. 17:1) dice che farà guerra all’agnello (Gesù). La Chiesa Cattolica Romana sta cercando di sedurre la vera Chiesa ed è nemica di Cristo.” Nei primi mesi del 2000, un Rettore di una università americana intervenne nella campagna elettorale. Disse che il popolo avrebbe dovuto eleggere un protestante come George Bush; gli elettori dovevano ad ogni costo evitare di dare il loro appoggio ad un candidato cattolico in quanto egli sarebbe stato suddito del Papa che è l’Anticristo (o 666). Ciò che hanno contro il Papa è la sua Dottrina Sociale basata su principi morali e a favore dei poveri contro gli estremismi del comunismo e del Capitalismo Liberale Selvaggio del tipo americano. Alcuni credono che alcune potenti multinazionali siano dietro e finanziano le sette. Il secondo target delle sette è la Madonna. Pubblicano scritti anonimi contro la devozione alla Madonna, in modo speciale il Rosario. È anche vero che ci sono delle esagerazioni nelle devozioni popolari per la Madonna. La soluzione però non è abolire il Rosario, ma ritornare al suo scopo originario che è la meditazione dei Misteri e la preghiera per ricevere la grazia di implementare ciò che impariamo. Molti missionari hanno scoraggiato i singoli e le famiglie dal pregare con il Rosario. Non hanno però dato un’alternativa a questa devozione. In alcune comunità religiose (non ovunque) il Rosario è stato messo da parte a favore dei Salmi.. Tuttavia la gente semplice ha poche altre alternative alla preghiera del Rosario. Saluti ripetitivi ed invocazioni sono, dopo tutto, preghiere; se il popolo desidera pregare con il Rosario, Dio conosce la loro buona volontà. Chi può avere il libro dei salmi? E chi spiega loro quello che anche molti sacerdoti e religiosi non capiscono? Una vera esagerazione sono le troppe statue della Vergine esposte nelle Chiese senza una vera catechesi. Una volta mi è capitato di essere in una chiesa nell’America Latina dove una si-

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gnora mi si fece vicino chiedendo: “Padre, se faccio un’offerta alla Madonna di Fatima, l’altra Madonna rappresentata dall’altra statua, la madonna del Buon Consiglio se ne avrà a male?” Un giorno assieme ai confratelli visitai il santuario della “Aparecida” in Brasile. Uno di loro chiese se fosse giusto benedire gli oggetti che la gente portava a tale scopo. “Non incoraggia forse la supestizione?” chiese un altro. Il Rettore del Santuario rispose: “Lasciateli venire. Posso benedire gli oggette nello stesso tempoi posso catechizzare i fedeli e spiegare loro il vero significato. Se rifiuto di farlo essi non saranno illuminati, non solo con riferimento al reale oggetto della benedizione, ma anche ad altri punti della nostra dottrina cristiana.” L’influenza di alcune sette come quella della Chiesa Pentecostale sta velocemente aumentando. Ci viene da chiederci: Perché? Dove sta la loro forza? La mia analisi personale è questa: Ø I laici sono pienamente coinvolti nel diffondere la loro dottrina. Ø Le sette offrono vantaggi tangibili come il pagamento delle rette scolastiche o sponsorizzazioni. Ø I loro predicatori sono ben formati nell’attrarre l’attenzione della gente ed alcuni di loro hanno una grande preparazione, specialmente biblica, per intrattenere gli ascoltatori. Ø Non predicano valori generali, i valori del Regno, ma la persona di Gesù Cristo il Salvatore nelle nostre difficoltà. Questo è il Valore: il Re Gesù Cristo che riempie il Regno, il Redentore, il Liberatore. Ø Alcune sette come la Chiesa Pentecostale hanno delle speciali sessioni di guarigione che sono molto popolari. Molti cattolici trovano attraenti le prediche dei pastori, interessanti e convincenti. Di recente a Milano, mi è capitato di incontrare un musulmano iraniano che era solito pregare in una chiesa cattolica. E mi disse: “I vostri sermoni in chiesa sono troppo corti. Ho imparato di più durante un sermone di due ore di una denominazione cristiana diversa che in tanti anni frequentando le vostre chiese.” In queste Sette la spiegazione della Bibbia è più frequente; spesso i loro pastori sono più preparati dei nostri sacerdoti. La formazione continua dei nostri cristiani tramite la spiegazione della parola di Dio è alquanto debole. L’esistenza delle Sette aumenta la confusione tra i cristiani, e stanno nascendo ancora altri culti. Il vero problema, comunque, non è la potenza delle sette ma la debolezza degli agenti pastorali cattolici Termino l’ecumenismo e le sette con la seguente riflessione. “Il dialogo teologico implica sia ascoltare che spiegare; cercando sia di essere capiti che di capire; essere sinceri e fiduciosi su quanto gli altri hanno da dire” . Giovanni Paolo II scrisse: “Il dialogo non si estende esclusivamente alla dottrina, include l’intera persona; è un dialogo d’amore.” Aggiungerei che la cosa più importante nel nostro cammino verso l’ecumenismo è che si conoscano profondamente le tematiche teologiche e morali proprie per mantenere la propria identità senza indulgere in un certo tipo di sincretismo.

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d. Inculturazione Anche l’approccio alle differenti culture fa parte della moderna Evangelizzazione. I nostri missionari si sforzano sia in Africa che in America Latina: qui gli sforzi verso l’inculturazione sono istituzionalizzati con quattro centri pastorali Afroamericani nel Brasile Nord, Brasile Sud, e due in Ecuador. Oggi la soluzione del problema non è facile per diverse ragioni. Primo. Il nucleo delle culture trasmesse oralmente sono i proverbi, essi sono la saggezza dei popoli costruita durante i secoli. Esaminai, per esempio, i proverbi di quattro lingue ugandesi: Lugana scritto da un Padre di Mill-Hill; Runyakore-Rukiga, Lugbara e Acholi-Langi, scritti dai nostri Padri. Molti genitori non insegnano le lingue tradizionali ai loro figli così che questi conoscono ormai pochi proverbi. I proverbi sono un buon sostegno per il Vangelo perché contengono tutti e dieci i Comandamenti di Dio. S. Paolo scrisse: “Quando i pagani non hanno la Legge , per natura agiscono secondo la legge, essi, pur non avendo la legge, sono legge a se stessi; essi dimostrano che quanto la legge esige è scritto nei loro cuori, come risulta dalla testimonianza della loro coscienza e dai loro stessi ragionamenti, che ora li accusano ora li difendono. Così avverrà nel giorno in cui Dio giudicherà i segreti degli uomini per mezzo di Gesù Cristo, secondo il mio vangelo.” (Rom 2:14-16) Alcuni dei nostri missionari, specie i veterani fanno largo uso dei proverbi. Io penso che più proverbi usiamo e più profondamente i nostri insegnamenti si insinueranno nei cuori dei nostri cristiani. Secondo: molti aspetti delle differenti culture stanno adesso confrontandosi con la sfida dell’invasione della cosiddetta ‘civiltà’ occidentale che tende a sradicare le culture tradizionali popolari. Le nuove generazioni nel mondo pre-industriale e che sono il 65% della popolazione, sono ad una svolta. Si può facilmente vedere il declino delle culture tradizionali da un canto e la superficialità della comprensione dei valori del Vangelo dall’altro. L’uso dei proverbi potrebbe colmare il vuoto. Terzo: un grande pericolo incombe: l’inesorabile espansione della globalizzazione finanziaria che tende a trasmettere una cultura globale che lentamente distruggerà le culture persino quelle europee di origine e base cristiana. Al giorno d’oggi, la così detta “civiltà” usa tutti i mezzi per diffondere la convinzione che si possa vivere senza Dio: oppure che il Signore che muove il mondo c’è, ma non deve interferire nella vita personale, famigliare, finanziaria e sociale degli esseri umani. Quali culture possono sopravvivere al potere dei mezzi di comunicazione sociale che sono nelle mani di coloro che gestiscono le finanze del mondo? Queste nuove tendenze sono state riconosciute dalla relazione continentale delle province Americane ed Africane al Capitolo del 1991: “Vorremmo attirare la vostra attenzione sulla frammentazione dei valori culturali tradizionali della gente che vive nelle città, di coloro che si trovano lontano da casa, dei rifugiati, ed in particolare dei giovani. Questi fenomeni necessitano che le coscienze vengano rivitalizzate, in quanto si trovano ad un bivio fra il passato ed il presente, e stanno cercando una nuova identità personale e un nuovo senso di appartenenza sociale. Il movimento attraverso le culture ha dato luogo a nuove realtà che richiedono risposte adeguate dalla Chiesa.

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La forte pressione esercitata dai media del mondo secolare capitalista e dall’Islam costituiscono una crescente violazione sia dell’identità culturale che della vita cristiana dei popoli.” Molti sacerdoti africani stanno cercando di inserire elementi tradizionali africani nella Liturgia. Pochi, però cercano di reintrodurre i valori morali tradizionali della famiglia e della vita sociale. Nel frattempo aborti, omosessualità, promiscuità, e prostituzione stanno prendendo piede contro i tradizionali valori morali che si basano sui 10 comandamenti. Quarto: il Capitolo del 1997 dà i seguenti suggerimenti per quanto concerne le relazioni fra i missionari e le culture locali: “Riconosciamo che la Chiesa locale è il soggetto dell’inculturazione del Vangelo: Daniele Comboni capì e sottolineò questo fatto nella convinzione che l’Africa doveva essere salvata dagli Africani. Nell’esercitare i loro ministeri in comunione, i cristiani sono chiamati a vivere e ad esprimere il Vangelo secondo i loro valori culturali.” “Noi missionari Comboniani facciamo parte delle Chiese locali, con le quali pazientemente condividiamo il processo di crescita. Dobbiamo sopprimere la tentazione di protagonismo e paternalismo; partecipare nel processo di ricerca e discernimento: essere pronti a sostenere, favorire e sviluppare l’inculturazione nei vari settori della vita cristiana: sviluppare assieme alla Chiesa locale, quelle strutture che sono congrue alla situazione locale e perciò non siano un peso per essa.” Per quanto concerne le relazioni dei missionari con le popolazioni locali, lo stesso Capitolo dà i seguenti consigli: “La vita in un gruppo internazionale e inter-culturale non si riduce soltanto alla conoscenza delle lingue ma richiede, altresì riconoscere che molti valori – come l’ospitalità, legami con la famiglia, l’amicizia, l’uso di beni, la povertà, la preghiera, le tradizioni religiose, l’organizzazione del tempo, il relazionarsi con gli altri ecc.,- possono essere vissuti in modo differenti alla luce di Cristo. Dobbiamo accettarli e imparare a conviverci. “ N.B. Questo ultimo paragrafo mi suggerisce di approfondire ulteriormente il suo contenuto nell’appendice.

PARTE SECONDA L’EVANGELIZZAZIONE COME PROMOZIONE DEI VALORI UMANI 1. Le scuole: lo sviluppo dei valori umani a. La scuola elementare

Come molti nostri missionari anche i nostri, oltre ad insegnare il catechismo, aprirono scuole elementari. Papa Paolo VI scrisse: “L’istruzione primaria è l’obiettivo principale di qualsiasi piano di sviluppo. Direi che la fame di sapere è degradante quanto lo è la fame di cibo. Un analfabeta è una persona la cui mente è malnutrita.”(Populorum Progressio n. 34)

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b. La scuola superiore I nostri missionari aprirono scuole superiori come, per esempio, il Comboni College di Khartoum e di Lira, nel Kigezi, ed Esmeraldas in Ecuador ecc. Il Comboni College avrebbe dovuto avere classi fino all’equivalente della maturità o così era stato il piano nel 1964 che non fu però, implementato. Nel 1999, tuttavia, fu fatta richiesta per l’approvazione di un progetto in Scienze Informatiche che avrebbe portato ad un diploma in Informatica. Nel febbraio del 2000 il ministero dette la sua approvazione provvisoria. Nell’ottobre del 2000 il ministero approvò sia il piano degli studi che i locali, la biblioteca ed i docenti. Il Comboni gestisce anche delle scuole elementari. In un anno dei 900 ragazzi che le frequentano il 74% sono musulmani, il 26% cristiani, cioè cattolici del Sud Sudan o ortodossi. Nelle scuole secondarie dei 400 studenti che le frequentano in media ogni anno, il 51% sono cristiani, la maggior parte dei quali del Sud Sudan ed alcuni ortodossi.; il 47% musulmani e il 2% Indù. Mentre gli studenti del Sud Sudan imparano soltanto l’arabo, i musulmani e coloro che provengono dal Nord spesso imparano anche l’inglese. c. Gli Istituti Tecnici In quelle regioni dove c’erano anche i Fratelli, l’educazione ad arti e mestieri era comune, con scuole artigianali-rurali dopo le elementari; olre a questi furono fondati veri e propri istituti tecnici a livello di scuola superiore come a Khartum, Ombaci e Laybi in Uganda, Carapina nel Mozambico e São José do Rio Prieto in Brasile, ecc. Queste scuole davano diplomi ai giovani che poi avrebbero creato e non solo cercato lavoro. Anche le scuole-fattorie videro i nostri esperti e dedicati Fratelli all’opera, insegnando l’agricoltura fino al livello di scuola superiore. Queste scuole sono di importanza vitale. Il destino dei poveri e dei deboli è nelle mani dei leader che hanno frequentato la scuola secondaria. Che i missionari/e siano responsabili della gestione delle scuole o meno, la loro presenza all’interno della stessa è necessaria per formare la coscienza dei futuri leader ed impartire loro gli insegnamenti socio- economici e politici della Chiesa. d. Le Università In linea con il Piano del Fondatore, le Suore Comboniane fondarono l’Istituto della Sacra Famiglia come Università ad Asmara, capitale dell’Eritrea. Fu ufficialmente approvato dall’Istituto delle Suore Comboniane nel 1958. Suor Mary Nora Omnis ne fu Rettore fino al 1972. Nel 1965 fu ufficialmente riconosciuto dal Governo Etiope, ma le Suore Comboniane ebbero il diritto ed il dovere di nominarne il Vice Rettore fino al 1979 quando il regime comunista prese le redini dell’amministrazione nominando Rettore il signor Hussein Ismail. Le Suore continuarono ad aiutare la loro “figlia” a crescere insegnando e lavorando nella segreteria amministrativa fino al 15 luglio del 1995 quando la comunità lasciò il campus. Il lavoro svolto dalle suore fu molto apprezzato e stimato. La loro partenza invece, lasciò un vuoto incolmabile. La preparazione universitaria dei leader data da docenti cristiani qualificati è della massima importanza per la Chiesa, infatti gli alunni saranno i leader del futuro che avranno nelle loro mani il destino dei poveri e degli abbandonati. 2. L’assistenza medica L’assistenza medica si può considerare un progetto di prevenzione e sviluppo, è difatti necessario prevenire le malattie e promuovere il buon funzionamento della sanità per fare in modo che la gente possa aiutare se stessa e progredire in tutti i campi del vivere.

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a. Gli ospedali Alcuni padri e fratelli erano in grado di dare una assistenza medica di base, ma erano le Suore le più impegnate nei dispensari, nei reparti di maternità, e negli ospedali. I nostri missionari/e in Uganda hanno fondato ben otto ospedali. Normalmente il Vescovo o il sacerdote chiedeva il danaro per il progetto, inizialmente ai benefattori e poi al governo. I Fratelli costruivano i padiglioni, le suore si prendevano cura dei malati l’amministrazione e la logistica dell’ospedale. Inizialmente le loro uniche qualifiche erano l’amore e la dedizione, ma poi anche loro furono formalmente formate come infermiere professionali. Il primo medico missionario fu padre Giuseppe Ambrosoli che arrivò in Uganda, a Kalongo nel 1956 e di cui è in corso la causa di beatificazione. Le suore operavano anche come infermiere negli ospedali governativi in diversi paesi come l’Egitto, la Siria e in America. Ci sono altri ospedali cattolici nel Congo Mungbere, in Ecuador San Lorenzo ecc. b. Gli orfanotrofi Alcuni orfanotrofi furono fondati dai nostri missionari/e in paesi come l’Eritrea, l’Uganda, l’America che ospitavano anche adolescenti. La tendenza oggi è quella di avere delle case per i bambini dei quali si occupano anche degli operatori specializzati che cercano famiglie adottive quando arrivano all’età di due o tre anni.Qualora non si trovassero famiglie per i piccoli, si formano dei “gruppi famigliari” dove gli orfani possono trovare alloggio, cibo ed istruzione assistiti da una persona adulta, preferibilmente una donna. 3. Progetti di Sviluppo I progetti di sviluppo sono quei progetti di promozione umana atti a migliorare lo standard di vita della gente e fare in modo che possano diventare autosufficienti. Rileggendo il resoconto del Capitolo del 1997 e quelli di alcune Assemblee intercapitolari ho trovato alcuni accenni a tali progetti. Ho fatto le mie ricerche perché penso che tutti possono aiutare i nostri laici impegnati a iniziare e perseverare nei progetti di sviluppo e riservare l’assistenzialismo a situazioni di emergenza. A. IN PASSATO L’enfasi era l’istruzione della gente, ma anche molte iniziative atte ad aiutare coloro che si trovavano in difficoltà, più l’assistenzialismo. a. Micro-progetti Molti micro-progetti sono stati portati avanti, come, per esempio, fornire macchine da cucire alla donne, mulini per macinare il granturco, macchinari per estrarre l’olio dai girasoli, la fornitura di buoi per arare la terra ecc. P. Giuseppe Beduschi (+ 1923) aveva già fatto qualcosa di simile fra gli Scilluk a Lul “la Croce e l’Aratro “era lo slogan” del progetto. Fr. Giacomo Giacomelli (+ 1912) diresse lo scavo di un canale d’irrigazione lungo 600 metri e profondo 2.5 metri. In un articolo apparso in Nigrizia nel 1911 egli spiega come molti agricoltori beneficiarono di questa ed altre iniziative. Così facendo la gente veniva incoraggiata a lavorare per migliorare il proprio standard di vita. Fr. Francesco Spreafico negli anni cinquanta costruì una strada in Equatoria per far sì che le auto e i camion potessero raggiungere Okaru che si trova in cima ad una collina. La strada era lunga 12 chilometri e larga 4 metri.

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Molti furono i progetti di questo tipo intrapresi dai nostri missionari. b. Mezzi di trasporto Non esistevano mezzi di trasporto veri e propri, i viaggi e trasferimenti avvenivano tutti a piedi. I nostri missionari si crucciavano per il duro lavoro svolto dai portatori. Nel Bahr-elGazal, iniziarono ad usare muli, ma in pochi anni ne morirono oltre 60. Furono comprati dei buoi dai Dinka e carri da Kartoum: così si risolse il problema. Non appena fu possibile i missionari si fecero mandare biciclette che usarono sia loro stessi che gli africani che potevano permettersi di comprarle. I fratelli insegnarono come ripararle. c. Alloggi permanenti Si pensò che la costruzione do alloggi permanenti fatti di mattoni e malta come quelli usati dai missionari avrebbero potuto essere un segno di sviluppo. Oggi ci sono delle critiche a questi alloggi di mattoni situati fra le capanne che sembrano fuori posto. Ciò non di meno, le case di mattoni sono più salubri e gli africani hanno imparato a farsi i mattoni da soli. Alcuni africani facoltosi si sono costruiti delle bellissime case nelle cittadine che di norma affittano per poter avere danaro per mandare i loro figli a scuola. B. OGGI Sono state iniziate diverse attività che oltre a sviluppare la persona nella scuola, consistono di progetti che generano entrate di denaro che aiutano la gente a sentirsi autosufficiente. Ecco alcuni esempi: a. In Ecuador Mons, Barbisotti si adoperò per la costruzione di scuole sia primarie che secondarie, una delle quali è diventata un’università. Oltre a scuole prettamente accademiche incoraggiava l’apertura di scuole agrarie e artigianali rurali. Ha anche aperto una scuola bilingue fra gli Cayapas. Degna di nota è la “Boys’ Town “(Città dei Ragazzi) in Esmeraldas che ha aiutato molti ragazzi a diventare adulti consapevoli e responsabili Importanti sono anche i due centri Afro-Equatoriali di Quito e Guayaquil che forniscono letteratura sulla cultura africana in ambiente ecuadoriano Molte delle cooperative fondate sono andate male principalmente per via della cattiva gestione e corruzione ed anche per il fatto che molti dei gestori non erano stati sufficientemente formati. Nel campo dello sviluppo i nostri missionari hanno lavorato con altre organizzazioni come, per esempio, la FEPP (Fondo Ecuadoriano per il progresso del popolo), che si occupa delle cooperative, le imprese agricole, l’ecologia e la cultura. La cooperativa “Pescadores San Pedro” per pescatori è tuttora funzionante. b. In Brasile Non si deve dimenticare la lotta per la divisione della terra che costò la vita a p. Ezechiele Ramin. Né dimenticare p. Franco Sirigatti , un uomo del popolo che fondò il CAER , Centro per lo sviluppo delle scuole rurali dove furono formati molti insegnanti, specialmente donne, i quali, a loro volta dettero vita a diversi progetti per la loro gente. Fra i tanti altri progetti, il Centro Sociale di São Judas Taddeuus nel Sud Brasile fondato dai nostri Vescovi. Nella vita di Mons. Dalvit Vescovo di St. Matteus e di Mons. Parodi, ho parlato dei progetti fondati da loro: erano anche essi Comboniani.

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c. Nel Sudan Non ci si può dimenticare di FR. MICHELE SERGI (+ 1988). Fratello Michele nativo di Lecce passò quarant’anni della sua vita a Khartoum. Una figura esemplare nel campo dell’evangelizzazione. Iniziò mettendo assieme gruppi di lavoratori, imparò le loro lingue: Dinka, Nuer, Shilluk e Nubi e li addestrò usando il metodo “imparare facendo”. Alcuni dei suoi ragazzi diventarono dei magnifici lavoratori, falegnami, idraulici e esperti meccanici. Sentiva però che si poteva fare di più per le folle provenienti dal Sud che non avevano risorse, nessun alloggio, risorse economiche, o lavoro. Il club che chiamò “Nadi” fu la sua opera d’arte. Campagne di alfabetizzazione, l’istruzione religiosa, un centro studi e preparazione scolastica erano tutti concentrati in un minuscolo spazio che era però perfettamente organizzato e sincronizzato. Il club era frequentato giornalmente da circa duemila membri. Si tenevano lezioni su svariate materie ognuna delle quali da un docente differente. Coloro che erano interessati potevano seguire il catechismo nella loro lingua alle 18.00, e alle 19.30 tutti se ne andavano a casa. Non ci furono mai problemi; nè risse nè disordini di nessun tipo. Quale fu il segreto del suo successo? Era un uomo di Dio, di preghiera personale giornaliera ed un fratello per tutti coloro che gli erano attorno. In tutti vedeva un’anima da salvare. Il punto di partenza era un crocefisso o una immagine religiosa nelle sale dove si svolgevano le lezioni. “Cos’è” chiedevano. La prima lezione nella religione cristiana era il segno della Croce, i catecumeni all’ombra di un albero imparavano e dopo due o tre anni, venivano battezzati. Fondò la “Sergi Publishing House” scrivendo a macchina con un solo dito per poi pubblicare i suoi articoli, con l’aiuto dei Padri Gaetano Gottardi e Armando Ciappa. In vent’anni egli pubblicò oltre un milione di opuscoli, libri di lettura di base, libri illustrati, catechismi e Vangeli in circa 12 lingue. Il suo zelo missionario fu ricompensato, le missioni fra gli Nuer che prima erano restii alla conversione stanno adesso prendendo piede. Molti cristiani anziani si ricordano gli insegnamenti di Fratel Sergi “il Miracolo di Fratel Sergi “. Accadde ciò che non ci si aspettava: queste iniziative unirono le tribù del Sud Sudan in Khartoum, le quali altrimenti sarebbero restate entità divise e diffidenti l’una dell’altra. Il governo vide questa unità come politicamente pericolosa e ordinò che il “Nadi” fosse chiuso. In Sudan inoltre la Chiesa locale ed i nostri missionari hanno introdotto un fondo sociale per dare aiuto finanziario a coloro che vogliono acquistare terreni da coltivare. Dal canto suo, il beneficiario dell’aiuto finanziario ripaga il prestito rendendo quanto avuto in danaro o in natura. Non si può dimenticare i centri plurivalenti (multipurpose centre) che servono da luogo di preghiera e di insegnamento specialmente per le donne: cucito, puericultura, elementi di medicina, ecc.

d. Nel Congo Progetto MUSAL Nella Parrocchia di S. Mbaga, un martire ugandese, alla fine degli anni ottanta fu iniziato un progetto che avrebbe generato redditi. Fu chiamato “Mutualité Selela “che significa “aiutare per essere aiutato”. A dirigere il progetto Musal c’è un Consiglio Amministrativo e un Comitato Manageriale. Il suo scopo è adoperarsi per le diverse necessità della parrocchia. La gestione è laica, i padri fungono da supervisori. Con il progetto si è potuto aprire un conto bancario a nome dei 4000 membri. Utilizzando il capitale, l’Associazione gestisce un mulino e vende mangime per gli animali per la maggior parte polli e utensili per la coltivazione della terra. Gli introiti derivati da queste attività servono a pagare i debiti. Altri progetti grossi e piccoli della parrocchia, possono essere aiutati dal comitato di sviluppo del MUSAL. Per esempio, centri Caritas per la promozione della donna, Centri Comboniani per la formazione di giovani al lavoro di falegnami o altro. Attualmente la svalutazione monetaria è dilagante così il danaro depositato viene dato ad un tesoriere missionario Comboniano che lo cambia in valuta estera. Questo fa sì che sia possibile non solo avere degli interessi anche se minimi, ma anche evitare la svalutazione.

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Il più grande vantaggio portato dal MUSAL è la protezione del danaro per coloro che vogliono salvarlo dai ladri, da richieste da parte dei membri del clan e dalla tentazione di sperperarlo in alcolici o altre spese inutili. Questo metodo può essere considerato una sorta di educazione all’uso del danaro per rendere la gente leale ed onesta. I nostri missionari, dal canto loro affidano il popolo al Beato Comboni affinché si avveri il suo motto “Salvare l’Africa con gli africani”. Un progetto pilota: i Pigmei I pigmei sono una etnia negroide di bassissima statura fra i 130 ed i 150 cm di altezza che vivono in una fascia dall’Africa Centrale alle coste del Pacifico occidentale. È una etnia già conosciuta nell’antichità. Il loro nome viene dal greco e significa “alti quanto un pugno” Il colore della loro pelle sfuma dal giallognolo marrone rossiccio al marrone scuro, ed i loro corpi sono spesso coperti da una leggera peluria. Sia culturalmente che come etnia differiscono notevolmente dai loro vicini neri. Tradizionalmente vivono di caccia e della raccolta di cibo allo stato selvatico. Barattano i prodotti della foresta con prodotti agricoli. Vivono in piccole comunità sparse nella foresta che è il loro habitat naturale. Le loro capanne sono alte appena 120 cm. Lunghe quasi 240 cm e larghe 150. Vi sono circa 100.000 pigmei nel mondo, di questi circa 5000 vivono nella diocesi di Wamba nelle due parrocchie di Mungbere e Maboma nel Nord Ovest del Congo. I nostri confratelli iniziarono a prendersi cura di questo gruppo inizialmente vivendo con loro nel loro villaggio e poi presso la parrocchia. I problemi incontrati dai missionari sono molti. Cercano di fare in modo che i pigmei si considerino un popolo che ha una sua cultura e propri valori culturali ai quali possono aggiungersi l’istruzione e l’abilità nel coltivare i campi. Molti hanno frequentato la scuola elementare presso la missione e i più bravi anche la scuola superiore. I missionari forniscono medicine, assistenza medica e utensili per coltivare la terra. Essi credono in un Essere Supremo. La loro consapevolezza che esiste un Dio che li ama e che ha creato le foreste, i fiumi i frutti le piante nonché loro stessi può dar loro un senso di unità fra loro e di appartenenza al genere umano. I nostri missionari hanno iniziato il lavoro fra i pigmei ma adesso i sacerdoti e le suore della parrocchia li hanno inclusi nel loro lavoro pastorale. e. In Uganda – Karamoja 1980 –1985 Gli anni 1979 –1980 furono un periodo durissimo in Uganda a causa della sconfitta dell’esercito di Amin. Una esperienza particolarmente difficile fu vissuta nel distretto semidesertico di Karamoja. Ci fu un periodo di siccità che peggiorò la situazione di anarchia che era venuta a crearsi per il fatto che la popolazione si era impossessata di armi dall’arsenale dell’esercito. Anche la fame uccise circa 16.000 persone. Padre Mario Cisternino conosciuto per i suoi interventi di Scienze Sociali nel Ovest Uganda fu perciò chiamato ad intervenire. Egli iniziò due progetti: Uno a breve termine per la distribuzione di cibo che arrivava tramite organizzazioni internazionali come la WFP (World Food Programme) delle Nazioni Unite che ebbe molto successo. L’altro progetto a lungo termine includeva assistenza a 50.000 rifugiati che si occupavano di pastorizia, un quinto della popolazione e che si spostavano verso terre più fertili all’ovest del distretto. Essi dovevano essere forniti di utensili per la lavorazione della terra e altri per riparare i pozzi che fornivano acqua sia per loro che per il loro bestiame. Nel 1982 furono istituite delle cooperative che potevano usufruire di 50 trattori da condividere fra di loro.

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f. In Egitto – Progetto Studenti Non si deve dimenticare il lavoro svolto a favore della gente del Sud in Egitto. Come ai tempi di Mons. Sogaro e Mons. Roveggio la gente proveniente dal Sud Sudan continua a cercare rifugio in Egitto. Dal 1992 ha funzionato egregiamente un progetto chiamato “Sudanese University Students’ Project” , Progetto per gli studenti universitari sudanesi. Nel 1992 circa 1000 studenti partecipavano al progetto. Ad oggi 810 si sono laureati, 46 per svariati motivi hanno abbandonato gli studi. Altri hanno avuto l’opportunità di recarsi all’estero. Molti laureati svolgono lavori che non hanno a che vedere con le loro lauree e almeno 10 di loro sono tornati nel Sud Sudan, alcuni hanno trovato occupazione in Egitto come medici e insegnanti nelle scuole cattoliche. Anche i bambini abbandonati sono stati assistiti fino al 1998. Molti sono tornati alle loro famiglie e così oggi poco viene fatto per loro anche a causa della mancanza di personale. g. In Italia

Il “Progetto Immigrati” È interessante sottolineare che c’è un progetto per gli Africani in Italia. Mentre lavorava per l’animazione missionaria nell’Italia meridionale, Padre Giorgio Poletti si trovò in una specie di villaggio dove vivevano immigrati africani. D’estate lavoravano alla raccolta di pomodori, ma alla fine della stagione erano in difficoltà e supplivano con la prostituzione e il traffico di droga per cui gli abitanti italiani del villaggio appiccarono il fuoco alle loro case. Padre Poletti rimase colpito da ciò che vide e si mise alla ricerca di altri immigrati africani. Aveva trovato un campo per il suo zelo missionario. Prima, nei dintorni di Capua trovò un posto usato da immigrati africani di passaggio. Rimase un po’ di tempo con loro, ma doveva anche trovarsi una casa. Ricevette aiuto dal vescovo di Capua, Bruno Schettino, il quale non solo lo aiutò a trovare un alloggio, ma lo nominò parroco “ad personas” per gli africani nella diocesi di Capua. Questo significa che egli può celebrare la S. Messa ed amministrare i sacramenti in qualsiasi parrocchia senza il permesso del parroco. Chiese l’aiuto di un altro sacerdote, p. Francesco Nascimbeni, ed assieme scoprirono un racket per la vendita di ragazze nigeriane in Italia. Si recarono, quindi ad Abuja, la nuova capitale nigeriana, e Benin City alla ricerca di una comunità di suore nigeriane per invitarle ad unirsi a loro per fondare una comunità per aiutare migliaia di prostitute nigeriane. Il fondatore delle Suore del Sacro Cuore di Gesù, il vescovo Patrick Ebosele Ekpu permise a tre suore di andare in Italia per partecipare al progetto. Lo scopo dell’Istituto è la promozione delle donne e la cura delle oppresse. Le suore fanno di tutto per aiutare le ragazze ad uscire dal racket, ma non è per niente facile. Gli uomini che gestiscono il racket si recano presso le famiglie in Nigeria e danno loro una somma di danaro in cambio delle ragazze, poi esse vengono portate da uno stregone “Voodoo “dove le ragazze devono giurare di non dire mai niente a nessuno di ciò che fanno o sanno e di essere sempre ubbidienti al racket. Il 90 % delle ragazze sanno a che cosa vanno incontro una volta che si troveranno in Italia, ma non si rendono conto dello stato di schiavitù alla quale saranno sottoposte, né di quanta brutalità sono capaci i loro “protettori”. Ciò che i padri raccontano del racket e della prostituzione è, a dir poco , sconcertante. Ci sono circa 30.000 prostitute africane soltanto in Italia. L’accordo fra loro ed i loro padroni è che esse devono guadagnare circa 45.000 Euro in 2 o 3 anni. Dopo di che saranno libere. La maggior parte delle ragazze che lavora in nero può guadagnare fino a 15.000 Euro all’anno e comprarsi una nuova ragazza dal racket che farà il lavoro per lei. E la cosa continua. Nove milioni di uomini si rivolgono a prostitute e la stragrande maggioranza di essi sono uomini sposati!

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La Caritas Italiana e la Conferenza Episcopale italiana stanno cercando di risolvere il problema, ma è un lavoro immane: i nostri padri e suore, dal canto loro cercano si sensibilizzare l’opinione pubblica facendo nel contempo apostolato fra quelle poverine quando possibile. È terribile constatare che tale mercificazione degli esseri umani possa continuare, sostanzialmente impunita, in una nazione civile e moderna nella quale, però, una signora nel suo testamento ha lasciato circa 2.400.000 Dollari per il suo cane. Cura pastorale di tutti gli Immigrati PRIMA FASE: LA TUTELA DEGLI STUDENTI STRANIERI: l’impegno dei missionari Comboniani a favore degli immigrati in Italia risale agli anni cinquanta e sessanta e quasi coincise con l’indipendenza delle nazioni in via di sviluppo. Si sentiva la necessità di istruire leader colti e capaci. Questa necessità fu colmata dai leader ecclesiastici e civili che mandavano allievi e studenti all’estero a studiare. Fra coloro che si preoccuparono di più della cosa vi fu p. Renato Bresciani. Il suo scopo era di fare in modo che gli studenti stranieri potessero completare i loro studi e poi tornare ai loro paesi nativi. Padre Renato che aveva lavorato nel Suda fino alla sua espulsione nel 1964 fu per loro un padre, fratello ed amico. Li aiutò a diventare studenti responsabili e consapevoli, di sentirsi fieri della loro identità di africani e di prepararsi a tornare nei loro paesi d’origine a contribuire allo sviluppo. SECONDA FASE: I RIFUGIATI DAL SUDAN: L’indipendenza del Sudan fu seguita dallo scoppio della guerra civile e della migrazione di massa che ne conseguì. Migliaia e migliaia di persone furono obbligate ad abbandonare il loro paese e cercare rifugio nelle nazioni confinanti, l’Uganda, L’Africa Centrale, la Repubblica Democratica del Congo e l’Etiopia. Alcuni di loro hanno trovato anche il modo di trasferirsi in Europa, un buon numero dei quali in Italia. La guerra civile ebbe ripercussioni anche sull’operato dei missionari italiani che avevano lavorato in gran numero nel Sudan. Nel 1964, 214 missionari, uomini e donne, tutti Comboniani a parte dodici sacerdoti Mill Hill, furono espulsi e obbligati a tornare in Europa: fra essi Padre Renato Bresciani. Benché obbligati a lasciare il paese, i missionari parteggiavano per il popolo sudanese che si era spostato in tutti gli angoli della terra. Padre Bresciani ricevette un mandato ufficiale da parte dei suoi superiori di prendersi cura dei sudanesi che erano arrivati in Italia come rifugiati. Fondò una specie di servizio rifugiati a Roma in modo alquanto informale, tuttavia il suo ministero fu formalizzato nel 1969 con la fondazione della A.C.S.E. “Associazione Comboniana Servizio Emigrati e Profughi”. Questo fu l’inizio di una azione organizzata in risposta alle necessità materiali, sociali e spirituali dei rifugiati a Roma. Fu un progetto pilota a Roma e nel Lazio, e iniziò in un momento in cui né la Chiesa nè la Società si trovavano preparati. Questa mossa profetica da parte di P. Bresciani fu una sfida per la Chiesa e la Società. L’A.C.S.E. cadde sul suolo romano come un seme vitale. Le attività come la Caritas, il Servizio per i Rifugiati dei Gesuiti, la comunità di Sant’Egidio, Migrantes ed altre associazioni sia cristiane che laiche, furono ispirate dalla coraggiosa mossa dell’A.C.S.E. TERZA FASE: IL CONTRIBUTO SPECIFICO DELLA A.C.S.E. A causa di quanto sopra esposto, le Chiese locali e la società laica nonché un grande numero di associazioni dovettero formulare progetti concreti a favore delle necessità degli emigrati. In questa fase e in questo contesto, il contributo specifico dell’A.C.S:E. al benessere degli emigrati in Italia è notevole. Noi lo metteremo in questi termini: 1. Secondo l’ispirazione originale A.C.S.E. continua a prendersi cura dei rifugiati dal Sud del mondo e in particolare dall’Africa. 2. Si presta attenzione e si prende cura dei nuovi arrivati secondo le loro necessità dando loro informazioni utili, insegnando l’italiano e quale comportamento tenere in questo loro nuovo

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ambiente, dando assistenza medica e giuridica augurando che ricevano certificati di residenza entro sei mesi circa. 3. Avendo fatto tutto questo, l’A.C.S.E. continua ad assistere gli immigrati nel difficile compito di renderli auto sufficienti e fiduciosi in se stessi per potersi integrare interamente nel contesto italiano. 4. Una delle più grandi tragedie della vita degli immigrati è la separazione dalle famiglie con il rischio inevitabile di degrado morale che ne consegue. Uno degli scopi dell’A.C.S.E. è stato ed è tuttora quello di aiutare le famiglie a riunirsi e ritrovare la gioia di una sana vita famigliare. Continue risorse e lavoro sono stati investiti per arrivare a questa meta che implica una riabilitazione psicologica, morale, spirituale ed economica. Ultimo, ma non meno importante, l’integrazione dei figli radicati nella loro cultura d’origine ma aperti ad assimilare i buoni valori del nuovo ambiente in cui si trovano. 5. Quello che differisce l’A.C.S.E. dalle altre associazioni di volontariato è il suo orientamento missionario. Questa forte identità nata da p. Bresciani e ereditata dai membri dell’associazione è ben conosciuta ed apprezzata dalla Conferenza Episcopale Italiana. Gli emigrati sia a livello diocesano che nazionale hanno apprezzato l’A.C.S.E. per avere dato vita a programmi di formazione per animatori/leader di comunità e catechisti. Naturalmente gli animatori/leader appartengono alle varie etnie della diocesi romana e laziale. h. In Kenya – il modello Korogocho

La presenza di una comunità Comboniana in questa baraccopoli di Nairobi realizza il suo scopo di promozione umana e proclamazione. P. Alex Zanotelli la fondò fra tantissime difficoltà, ma fu poi considerata parte della parrocchia di Kariobangi, cioè, un impegno per la Provincia Keniana che fornì altro personale per farla diventare una comunità. Attualmente essa ha una casa privata nel mezzo della baraccopoli e una chiesa ricavata da un semplice locale. La vita comunitaria è organizzata in modo tale da invocare continuamente l’aiuto del Signore senza il quale niente di buono scaturirebbe dalla loro presenza e le loro attività. Giornalmente: Ø Un periodo prolungato di preghiera biblica al mattino. Ø Una prolungata Eucarestia alla sera con una Comunità Cristiana abitualmente alla presenza di un malato di AIDS. Ø Alla fine della giornata le esperienze vissute vengono ricollegate ad un salmo. Ø La condivisione della Parola nelle diverse Comunità di base della Parrocchia. Settimanalmente Ø Una intera giornata di preghiera. Ø Domenica: una Eucarestia prolungata assieme alla Comunità Cristiana quando gli avvenimenti della passata settimana vengono celebrati tenendo presente l’inculturazione. LE ATTIVITÀ a. Comunità Cristiane di base L’intera attività missionaria e pastorale di Korogocho è accentrata attorno alle 33 piccole Comunità che sono sia territoriali che speciali (gruppi particolari emarginati) e attorno i ministeri conferiti alle Comunità (Huduma di cui ce ne sono una ventina). Questo è il cuore dell’intero approccio pastorale. Tutto il lavoro viene svolto in una prospettiva ecumenica in quanto a Korogocho sono presenti un centinaio tra denominazioni e sette.

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Questa iniziativa ha dato vita al KPAM (Korogocho Peace and Action Makers), fautori della Pace ed Azione di Korogocho, i quali si incontrano assieme ai leader di 28 Chiese, inclusi i musulmani una volta alla settimana. Questo modello si sta diffondendo in altre bidonville di Nairobi per portare avanti un Progetto di Pace chiamato “L’arcobaleno di Dio” finanziato dalla AID, aiuto cristiano a vantaggio delle Chiese delle Bidonville di Nairobi con programmi di educazione civica, coscientizzazione sociale, risoluzione di conflitti, iniziative di riconciliazione e pace ecc. b. La popolazione Mukuru Presso la discarica di Nairobi, in un luogo chiamato Mukuru lavorano un migliaio di persone che raccolgono e vendono il materiale della discarica. Un piccolo gruppo di questi, circa 80 sono stati organizzati in una Comunità Cristiana nel 1991. Il gruppo s’incontra una volta alla settimana ad ascoltare la Parola di Dio e si è costituita in cooperativa che compra e vende il materiale raccolto, facendo a meno di mediatori poco scrupolosi. Un'altra comunità si costituì nel 1994 con lo scopo di raccogliere rifiuti nella città e pulire gli stabili. Anche questa è una Comunità Cristiana. Ø I lavoratori della discarica di Mukuru si riuniscono per le preghiere e riabilitazione umana che li aiuta a liberarsi dalla droga e dall’alcool. Ø Attualmente i due gruppi raccolgono materiale riciclabile del valore di diverse migliaia di scellini Keniani ($ USA 1.200) al mese che riescono a rivendere ricavandone un buon margine di profitto. Ø Aiutati da un missionario laico senior essi sono diventati autosufficienti. c. Udada Udada è una piccola Comunità Cristiana fondata nel 1992 composta da ragazze giovani entrate a far parte del mercato della prostituzione per sopravvivere. Oltre alla loro crescita spirituale tramite la Parola di Dio, le 60 ragazze lavorano a cottimo guadagnando di cui vivere. Ciò che fanno le aiuta a reinserirsi nella vita normale. I risultati ottenuti sono sorprendenti in quanto circa l’80% di esse riesce a uscire dal tunnel della prostituzione e a ricominciare una vita normale. d. Kindudu Kindudu è una Comunità Cristiana fondata nel 1994 composta da una ventina di giovani donne dedite all’alcool e alla droga che rubavano a Korogocho per sopravvivere. La Parola di Dio, la comunità ed il lavoro le stanno aiutando a rifarsi una vita. Per quanto riguarda il lavoro, alcune di loro si dedicano all’intaglio, cioè ricavano una figura da un pezzo di legno, altre si dedicano alla fabbricazione tipica locale di sedie e sgabelli in sisal. e. Altri gruppi di emarginati 1. Il Batik: sono un gruppo di una decina di giovani disoccupati e spesso tossicodipendenti che stanno cercando di guadagnarsi da vivere con il batik con l’aiuto di artisti locali. Sono organizzati in una piccola Comunità Cristiana. 2. Mama wa Ciondo: è un gruppo di una quarantina di donne fra le più povere ed emarginate di Korogocho. Esse non appartengono ad una Comunità Cristiana, ma s’incontrano settimanalmente per pregare e per un discernimento comunitario. Hanno delle difficoltà di marketing, ma si stanno lentamente muovendo verso l’autosufficienza. 3. Parrucchieri: questo progetto è nato per aiutare e formare giovani madri singole cosicchè che possano lavorare in proprio, essere riabilitate sia umanamente che cristianamente e prendersi cura dei loro figli.

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f. Malati di AIDS La situazione dell’AIDS a Korogocho è veramente drammatica. Secondo stime attendibili almeno il 70% della popolazione ne è colpita. La situazione richiede nuovi approcci pastorali e totale dedizione. Sin dal 1988 una suora missionaria infermiera, Suor Gill, ha messo a punto un programma per malati di AIDS basato sulla comunità. Essa ha insegnato ai rappresentanti di ognuna della comunità a prendersi cura dei malati. Questo programma è diventato un modello chiave per un approccio all’AIDS per tutta Nairobi. L’AIDS è una sfida per la nostra presenza missionaria in questo luogo. Richiede visite giornaliere ai malati, la celebrazione dell’Eucarestia al capezzale dell’ammalato con la partecipazione della comunità. La riscoperta dei sacramenti e l’unzione dei malati hanno un profondo impatto sui partecipanti. g. Ragazzi/e di strada Molti dei ragazzi/e di strada di Nairobi provengono da Korogocho. Questo fenomeno ha inevitabilmente attirato l’attenzione della nostra comunità cristiana che li segue e li assiste. Nacquero così: prima, il “Mukuru Rescue Centre”, Centro Mukuru di Salvataggio, gestito dalla vicina parrocchia di Dandora e la comunità di St. John della Cappela di Kariobangi, e poi il “St. John Rescue Centre”, Centro di Soccorso St. John, dove circa 120 ragazzi/e di strada s’incontrano settimanalmente. Siccome ce ne sono migliaia quanto si sta facendo è poco in confronto a quanto sia veramente necessario fare. h. Scuola informale È stata approntata una scuola informale atta a raccogliere dalla strada ragazzi/e fra gli 8 ed i 12 anni. Seguono programmi d’istruzione basilare ed un pasto proveniente dal programma di nutrizione della parrocchia Kariobangi. Coloro che dimostrano buone qualità intellettive vengono indirizzati alla scuola pubblica. i. Aspetti socio-politici ed economici della presenza missionaria Il pericolo da evitare a Korogocho è lo “spiritualismo”, cioè cercare una specie di consolazione spirituale dal momento che la situazione umana è troppo brutta da sostenere. Questa realtà ha sfidato i missionari ad andare verso una più profonda e veritiera immersione nei problemi della vita della gente. Questa è la ragione per cui furono favorite e appoggiate completamente una serie di programmi socio-politici e altri progetti di missionari ed altri animatori. I Organizzazione comunitaria (CO) portata qui dalle Filippine nel 1993 da un gruppo di Cristiani Laici impegnati e appoggiati da “Misereor”. Si è adesso diffusa anche in altre baraccopoli di Nairobi. II La Riabilitazione fondata nelle comunità (CBR) è cresciuta come nuovo programma gestito in toto dalla gente locale sponsorizzata dalla WHO (World Health Organisation), il cui scopo è di unire i marginalizzati per costruire con loro un senso di comunità. Ad oggi sono stati costituiti 44 gruppi di diverse tribù e religioni. III Centro di Consultazione Legale (Kituo cha Sheria) istituito nel 1972. Nel 1990 per la prima volta 30 avvocati visitaronole bidonville per difendere i diritti dei poveri (reddito mensile $ 30) sia nelle aule giudiziarie che fuori. Questa attività portò ad una grossa campagna politica: i leader dei nove villaggi che compongono Korogocho vengono scelti dagli anziani e non dal governo. Il governo considerò questa attività una sfida al sistema e la soppresse; ma una nuova coscienza politica aveva già preso piede. IV Proprietà terriera: questa sarà la sfida degli anni a venire in quanto circa 2.000.000 di persone , e cioè il 60% della popolazione di Nairobi è ammassata in un 1.5% del totale dei terre-

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ni appartenenti al governo. Questo sforzo mira a portare i poveri ad essere proprietari di almeno questa insignificante percentuale di terreni dove sono costretti a vivere. V Paralegali: questo gruppo è composto anche da insegnanti dal settore informale. È stato formato da legali per sostenere i poveri di Korogocho che ne abbiano bisogno. Stanno diventando “comunità paralegali”. La comunità di Korogocho è parte integrale della “Comunità Apostolica” della parrocchia di Kariobangi. Anche le Suore Comboniane e i Missionari Laici appartengono alla Comunità Apostolica. i. In Sud Africa Cooperative: uno dei maggiori contributi all’autodeterminazione è l’istituzione di cooperative di produzione. Anche qui i nostri missionari del Sud Africa hanno lavorato con successo. Ove gli amministratori sono stati ben formati, dove non c’è corruzione o tribalismo, le cooperative funzionano e danno reddito. Sono in grado di eliminare il grossista e i membri possono portare la loro merce direttamente al mercato usando mezzi di trasporto comunitari per poi dividere fra di loro il ricavato. Falegnamerie: istituite dai nostri Fratelli sin dall’inizio a Glen Cowie poi convertite in cooperative di produzione gestite dagli stessi lavoratori. Mulini per la macinazione del granturco: . questa iniziativa fu una delle prime intraprese sia a Luckau che a Glen Cowie. Vi sono adesso due cooperative che se ne occupano e quella di Glen Cowie conta 2000 famiglie membre. Orticoltura: i missionari hanno aiutato molte donne ad organizzarsi in cooperative per la produzione e la vendita di prodotti dell’orto, principalmente a Glen Cowie ed Elukwatini. Centri di tessitura: per la produzione di tappeti istituiti dai nostri missionari in diversi luoghi. Producono rendite a molte donne le quali adesso lavorano in modo indipendente. Lo stesso si può dire delle scuole di taglio e cucito. Giustizia e Pace: i missionari sono riusciti a far sì che gli anziani e gli handicappati ricevano una pensione. Le Sponsorizzazioni per le centinaia di studenti intelligenti ma poveri fanno in modo che possano anche proseguire negli studi universitari. Questa iniziativa è lodevole e utile per fare in modo che si possano continuare a mantenere i contatti con i diplomati o laureati una volta che lavorano in posti di responsabilità L’intervento dei missionari potrà aiutarli a vivere come cristiani nella loro vita sociale con l’apporto dello studio della Dottrina Sociale della Chiesa. l. In Perù - “Obra Cristiana de Kolping”

Il tedesco Beato Adolf Kolping (1913-1865) viene considerato un pioniere del cattolicesimo sociale. Non scrisse sulla Dottrina Sociale della Chiesa, bensì la mise in pratica nella città tedesca industriale di Ehbefeld. Nel sermone pronunciato per la beatificazione di Padre Adolf, Papa Giovanni Paolo II disse “egli è stato un precursore delle Encicliche Sociali dei Papi”. Adolf era un ciabattino. Egli conosceva la povertà come pure le necessità spirituali e materiali dei giovani di allora agli inizi della Rivoluzione Industriale. Decise di frasi sacerdote all’età di 24 anni per poter meglio aiutare i giovani. Nella sua città egli poté dare una mano agli artigiani e ai giovani operai delle fabbriche. Desiderava che diventassero buoni cattolici e padri di famiglia.

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A questo scopo egli istituì un sindacato di giovani chiamato “Inngling Verein” poi cambiato in “Unione Cattolica” Ne divenne presidente nel 1847. (È interessante notare che Marx pubblicò il suo manifesto nel 1848). Il principio dal quale partiva era la promozione integrale degli esseri umani. La pratica religiosa non era sufficiente. I cristiani dovevano anche migliorare nelle loro professioni così da poterne diventare leader. Scrisse anche dei libri ma ciò che ebbe più influenza sulla gente era il suo calendario “Il Calendario Kolping” pubblicato annualmente, ovviamente. Per quanto riguarda la questione dei princìpi, egli ebbe un grande aiuto da mons. William Emmanuel von Ketteller (1811-1877), Vescovo di Mainz in Germania, il quale può essere considerato il fondatore di una Dottrina Sociale Sistematica della Chiesa. Sviluppò i suoi insegnamenti nelle sue omelie durante l’Avvento del 1848. Papa Leone XIII che scrisse la Carta dei Lavoratori “Rerum Novarum “lo considerava il suo “più grande predecessore nella dottrina sociale”. Alla sua morte Kolping lasciò 400 associazioni in Germania ed altre ancora nelle Americhe. Oggi ci sono associazioni in 30 nazioni del mondo. Il pioniere in Perù fu p. Joseph Schmidpeter, il quale dalla sua parrocchia di “Alto Selva Alegre “diffuse le Associazioni in tutta la nazione. Si chiamano “Kolping Perù” registrate presso il governo e riconosciute dalla Chiesa come movimento laico. I laici si preoccupano di portare avanti progetti mirati a sradicare l’ignoranza e la povertà, i missionari sono gli animatori spirituali dei membri secondo la prima ispirazione di Kolping. P. Schimdpeter fu il primo assistente ecclesiastico nazionale. “Questo movimento – scrisse p. Schmidpeter – è una risposta alla sfida della povertà, le ingiustizie, la disoccupazione e la mancanza di formazione dei giovani per un futuro migliore. Questo movimento è indirizzato alle famiglie cristiane per l’approfondimento della propria fede, ai problemi della classe lavoratrice, dell’istruzione, la cultura ed il tempo libero. Al centro viene l’intero essere umano, perciò vediamo gli scopi di questo movimento come impegno pastorale ed un servizio al Perù odierno.” (Missioneros Combonianos “Cinquant’anni di Perù” di p. Romeo Ballan) m. Progetti che generano introiti in Kigezi (Uganda) I nostri missionari entrarono in Kigezi nel 1965. Iniziarono subito ad istituire scuole elementari in quanto il loro numero in questo distretto era molto al di sotto della media nazionale. La popolazione locale ed i leader cattolici apprezzarono talmente questo sforzo che non solo sostennero i missionari, ma contribuirono con lavoro manuale e danaro al progetto. Nessuna sovvenzione esterna fu necessaria, e l’istruzione elementare fu il primo passo al conseguimento dei progetti. I nostri missionari si resero subito conto che la popolazione soffriva di due mali, la povertà e la malnutrizione stagionale. a. L’alcolismo: a livello diocesano l’alcolismo fu combattuto attraverso l’istruzione data da un movimento laico chiamato “John and Monica” (una specie di Anonima Alcolisti) e dalla società internazionale “Thrift and Loan Socielty” (Risparmio e Prestito), una specie di banca rudimentale. I nostri missionari sostennero questa organizzazione e col tempo il risparmio e i prestito sono diventati una cosa normale. A sua volta questo portò benefici alle scuole in quanto il danaro risparmiato o preso in prestito dalla “Peoples’ Bank” , la banca del popolo, come veniva chiamata, veniva speso anche per il pagamento delle rette scolastiche, le uniformi ecc. Queste banche, tuttora funzionanti, sono pian piano diventate filiali della banca “Centenary Bank” che ha parecchie filiali in Uganda.

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b. La malnutrizione stagionale, dovuta alla lunghezza dei periodi di siccità di tre o quattro mesi fra i periodi delle piogge, fu vinta in un breve periodo di due o tre anni diversificando le culture e accettando di piantare le patate dolci e la cassava, ma in particolare il granturco (coltura stagionale in alternativa al sorgo ed al miglio). Questi progetti si sono allargati oltre ai circoli cattolici. I capi, ai quali non importava niente delle coltivazioni, non interferirono e non pensarono che i missionari interferissero nei loro affari o nei programmi politici. I safari quaresimali dei missionari, rafforzarono e sostennero la costruzione delle scuole, la chiusura dei bar durante le ore lavorative e la diffusione dei sistemi di risparmio ai quali abbiamo già accennato. Tutte queste attività rientrano nella ricerca generale di una migliore articolazione del lavoro da assecondare fra i laici per ottenere un maggior impegno verso l’indipendenza economica del loro paese. A livello parrocchiale furono aperti dei club per donne, generalmente seguiti da suore indigene (Suore del Buon Consiglio). Per loro tramite i missionari hanno avuto modo di incontrare le donne leader del posto imparando molto da loro e nello stesso tempo motivandole spiritualmente. Le loro visite venivano di norma strutturate in modo tale da far sì che i problemi dei bambini e delle donne venissero affrontati con calma e alla presenza delle Suore o delle donne laiche. P. Mario Cisternino mise in atto una serie di progetti economici e industriali. Si basavano su risorse naturali locali per esempio cibo e lo sfruttamento delle foreste che appartenevano (in un modo o nell’altro) alla popolazione locale. Ricchezze delle quali la popolazione non si rendeva conto essendo considerate “lavoro tradizionale” e non una “risorsa del paese”. i. Comprando il cibo locale in grandi quantità, elaborandolo e vendendolo localmente la gente imparava a cooperare fra di loro e ad usare i propri risparmi guadagnandoci anche il cento per cento. P. Mario introdusse queste iniziative passando un po’ di tempo con delle donne, grandi lavoratrici e riuscì ad ottenere il permesso di lavorare terreni pubblici non utilizzati. Questo gruppo divenne presto una “Cooperativa femminile” che ottenne anche protezione politica. ii. Istituendo cooperative per la macina del granturco con mulini meccanici in tutte le frazioni che non solo provvedevano a dare farina di granturco a poco prezzo ma favorivano l’acquisto di cibo all’ingrosso da parte della comunità e che in tempi grami veniva venduto a prezzi calmierati. iii. Utilizzando il legname delle foreste vicine al Congo. Un centro di falegnameria proprietà di una cooperativa fu istituito per dare lavoro a molti giovani usciti dalle scuole artigianali rurali. Furono acquistati i macchinari e tutto il legname veniva lavorato localmente. I mobili, venivano venduti in luoghi così lontani come Kampala. Tutte queste cooperative venivano gestite da personale locale reclutato tra coloro che avevano frequentato le scuole e che erano ancora molto giovani. Alcuni di loro abbisognavano di ulteriore formazione anche per capire se fossero all’altezza del lavoro loro assegnato e degni di fiducia. La manutenzione dei macchinari veniva svolta da provetti meccanici ed un centro di servizio proprietà dell’unione delle cooperative forniva carburante, parti di ricambio e un’officina meccanica. Ai tempi della tirannia di Amin ci fu tanto spargimento di sangue e molte aziende fallirono, i leader delle cooperative dovettero lavorare duro per cercare di salvare il salvabile dalla disastrosa svalutazione e dalla mancanza di parti di ricambio. Spesso dovettero andare fino in Kenya o in Ruanda a cercarle. Molte cooperative sopravvissero alla crisi (1975 –1980) e alla dipartita dei missionari Comboniani dal distretto del Kigesi che ebbe inizio nel 1978. Oggi la maggior parte dei laboratori sono diventati aziende private, ma lo spirito di lavoro comunitario e di cooperazione socio-economica viene ancora ricordato come pure il fatto che fu la Chiesa cattolica che liberamente organizzò il lavoro cooperativo per l’intera comunità civile.

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Come sempre tutto ciò che occorre dall’estero (motori, parti di ricambio) arriva perché pagato dalla gente del posto. Non è mai stato dato danaro per fondare o gestire tali iniziative e neanche i missionari hanno mai gestito direttamente i fondi di una qualsiasi di queste attività. I leader locali venivano eletti o formati e a volte riformati se avevano guai con le autorità giudiziarie. Il movimento cooperativo oggi, anche a livello nazionale è molti indebolito, anche la Banca cooperativa nazionale è stata soppressa. Sta prendendo il suo posto l’iniziativa privata o corporativa proveniente direttamente dagli USA (neo liberalismo) implementata dai prestiti IMF (Fondo Umanitario Internazionale). Perciò, uno dei modi migliori per favorire la coesione nazionale, la responsabilità di base comunitaria e il progresso della gente comune, viene schiacciato da manipolazioni internazionali che mirano ad una neo-colonizzazione del continente africano. n. In Ghana – Comboni Centre: la tipografia Questo è un progetto personale di p. Riccardo Novati in Ghana. Egli dà a questa iniziativa la ragione della sua vocazione: “Il promotore vocazionale nella mia scuola disse ai ragazzi che c’erano milioni di bambini che non conoscevano Gesù e che non avevano né scuole né ospedali nè Chiese: “Chi li vuole aiutare?” ed io alzai la mano.” P. Riccardo fondò una Radio FM, una scuola di tipografia, ed una clinica con reparti di oftalmologia e dentistica. Scuole tecniche per l’apprendimento di falegnameria, taglio e cucito, agricoltura, periti elettrici, ragionieri, segretarie, ceramisti, scuole primarie, secondarie e scuole materne. Le scuole sono riconosciute dal Ministero della Pubblica Istruzione locale; lo scopo è di dare una professione al maggior numero possibile di giovani. Tutti gli insegnanti e gli istruttori sono professionisti indigeni, i quali , a loro spese, dedicano un po’ del loro tempo all’insegnamento. Ci sono molti chirurghi, anestesisti, oculisti e dentisti. Un Rotary Club tedesco ha firmato un contratto che lo impegna a fornire professionisti per il Politecnico. Ci sono 120 insegnanti, lavoratori e infermieri e 600 fra ragazzi e ragazze alloggiati in ostelli separati. 4. Commenti generali sui progetti di Sviluppo Anche se nel passato alcuni progetti di sviluppo non hanno avuto buon esito, ciò non deve scoraggiare nessuno a prenderli in considerazione come mezzo per sradicare l’ignoranza, la povertà e le malattie. In ogni caso sono stati un seme che ha dato frutti. Una analisi storica potrà dare delle risposte. 1. Alcuni progetti furono storicamente necessari per lo sviluppo della società. Prendiamo, per esempio, le scuole sia accademiche che tecniche nelle colonie. Le Chiese le fondarono spontaneamente. A causa di queste iniziative, i governi coloniali dovettero aiutare le Chiese e in seguito rendersene responsabili. Oggi le scuole gestite dalle Chiese e che sono sopravvissute ed altre recentemente fondate, sono considerate le meglio gestite e le migliori in modo assoluto. In una delle missioni i missionari introdussero l’aratro e i buoi. La popolazione chiese al governo di fare altrettanto. I missionari in Tanzania portarono le viti per la produzione del vino: adesso vengono coltivate in tutto il paese. Lo stesso si può dire per altre coltivazioni e frutti in differenti parti del mondo. 2. Di solito la necessità di intraprendere dei progetti viene percepita da singoli individui. Questo è normale. I carismi per il bene della comunità vengono prima di tutto dati ad individui come San Benedetto, San Francesco, San Domenico ecc. inoltre abbiamo progetti iniziati per la

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promozione umana da individui: Giovanni Battista de la Salle per le scuole cristiane, San Camillo per gli ospedali, San Giuseppe Cottolengo, il Beato Guanella e S. Luigi Orione per gli handicappati, San Giovanni Bosco per le scuole tecniche, il beato Adolf Kolping il Santo Daniele Comboni e molti altri. Più grande è l’istituzione e più lenti sono gli interventi straordinari che questa fa. L’istituzione, mai deve trascurare il discernimento di queste iniziative. La questione non è chi è il promotore del progetto, ma se è necessario e innanzi tutto se c’è il personale che potrà occuparsene in futuro. Sta alla comunità locale ed al Consiglio provinciale prendere in considerazione con mente e cuori aperti le iniziative degli individui e decidere se prendersene carico o far sì che un confratello non vada oltre sperperando, forse, danaro e compromettendo il nome dell’Istituto, in quanto egli rappresenta la comunità. Una disapprovazione silente, o critiche fatte su individui da parte, principalmente dei Superiori, dimostrano mancanza di lealtà e portano alla perdita di credibilità. Si è notato che nello scegliere quale iniziativa assecondare, il giudizio è spesso discriminatorio. Ambedue le decisioni, se continuare o far cessare una iniziativa esigono il rispetto delle persone. 3. Le cooperative sono istituzioni salutari. Ciò non di meno molte di loro sono andate male. Generalmente la causa è una cattiva gestione. La gente deve essere formata sia a livello tecnico che umano. Se una cooperativa viene iniziata da un missionario deve includere nelle sue normative che ci sia una persona, preferibilmente un ragioniere ben prepararto che sia responsabile per la contabilità e la gestione. 4. Il Ministero Sociale. Nei nostri centri internazionali per Fratelli viene sottolineata l’importanza della Dottrina Sociale della Chiesa. Tale dottrina deve anche includere il knowhow dello sviluppo e la gestione dei progetti. Credo, inoltre, che un fratello debba conoscere a fondo almeno un lavoro manuale per poter poi supervisionare coloro che lavorano a un progetto, inclusa preferibilmente, anche una certa esperienza professionale. Nessun Fratello Comboniano è soddisfatto di una professione al cos’ detto colletto bianco. 5. La Pratica Cristiana. Le iniziative come i progetti di sviluppo fanno parte della promozione integrale dell’essere umano. Iniziando un progetto non si deve lasciare da parte la promozione di una vera vita cristiana, questo scopo deve essere parte degli Statuti dell’Opera. L’esempio delle “Unioni Kolping” è chiaro: sono gestite da laici, ma nelle loro normative vige l’assistenza ecclesiastica. Questo era ciò che desiderava Comboni con l’esperienza di Malbes. Comboni voleva fondare comunità dove l’ispirazione cristiana poteva illuminare la vita sociale e famigliare. E far sì che un battezzato non venisse di nuovo ingoiato da pratiche pagane. La Chiesa e i suoi missionari promuovono lo sviluppo con scuole, ospedali, tipografie, università e fattorie sperimentali. Lo sviluppo della gente non deriva primariamente dal danaro, l’assistenza materiale o la tecnologia, ma dalla formazione delle coscienze e la graduale maturazione del pensiero e del comportamento. “L’uomo è l’agente primario dello sviluppo, non il danaro o la tecnologia .” (RM 58) “Attraverso il Vangelo la Chiesa offre una forza di liberazione che promuove lo sviluppo precisamente perché porta alla conversione del cuore e modo di pensare, sostiene il riconoscimento della dignità di ciascun individuo incoraggia la solidarietà l’impegno e il servizio al prossimo e dà a tutti un posto nel piano di Dio che è la costruzione del suo Regno di pace e giustizia che inizia nella vita terrena. Lo sviluppo dell’uomo deriva da Dio , dal modello di Gesù – Dio e uomo – e deve perciò portare a Dio. Ecco la ragione per cui vi è la connessione fra la proclamazione del Vangelo e la promozione umana.” (RM 59)

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L’intenzione missionaria nella promozione umana è di testimoniare l’amore divino ed umano del Cuore di Cristo evidenziandolo col disseminare la Parola di Dio e testimoniarlo nel nostro modo di trattare i beneficiari. Terminerò con una affermazione di Gandhi: “La Pace fra le nazioni deve basarsi sulle solide fondamenta dell’amore fra gli individui.” Nota. Mi rendo conto di non aver menzionato tutti i progetti di sviluppo svolti dai nostri missionari. Il mio scopo era solo di dare alcuni esempi: alcuni missionari infatti, sono disposti a dedicarsi ai progetti nelle nazioni in via di sviluppo, ma non sanno come fare. Ricordiamoci, comunque, che qualsiasi progetto anche se avviato da un individuo, deve essere opera della comunità apostolica o eventualmente assunto da essa.

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APPENDICE L’INCULTURAZIONE IN ALCUNE ESPERIENZE PERSONALI

La cultura è lo stile di vita di un gruppo etnico e viene espressa nel modo di pensare, di parlare, di agire attraverso simboli, segni, ecc. Vorrei qui evidenziare alcune differenze culturali che prevalgono in varie etnie. Uso la parola “prevalgono” perché in generale è difficile fare un confronto fra le diverse culture basandosi unicamente sulla conoscenza antropologica. Per un apprezzamento oggettivo occorre vivere per anni in quella cultura che si vuole confrontare. Personalmente ho formulato il mio parere sulla cultura del mondo preindustriale da Padre Generale: girando per diversi continenti ho potuto raccogliere gli elementi culturali comuni in tale mondo. Nelle lettere ai Romani (Cap. 2:25) leggiamo che la legge naturale (dieci comandamenti) è inserita nel cuore di tutte le persone umane del mondo. Per questo in tutte le culture troviamo gli elementi positivi ereditati dalla legge naturale e quelli negativi introdotti dalle persone umane: questo in tutti i popoli. Anche nella Cristianità come di fatto è stata vissuta ad esempio nel Medioevo. In questa mia visione, intendo solamente esprimere le differenze culturali: nessuna intenzione di emettere un giudizio di approvazione o di condanna, né di dire che le differenze culturali comportano che una sia migliore dell’altra, o che un comportamento sia virtuoso e l’altro viziato. Vi possono essere anche diverse interpretazioni della legge naturale: sono pure differenze. Le scelte della libertà umana non sono necessariamente tra bene o male: anzi, l’essenza della libertà è la scelta fra due beni: scelta spesso fatta nella libertà di coscienza, di pensiero, d’azione. Valori positivi sono presenti in tutte le culture come anche realtà negative. Dato che vengo dal mondo occidentale, non vorrei che si insinuasse nel subcosciente del lettore, che considero questo superiore. Ho vissuto per 43 anni in Africa a contatto con il popolo e le sue espressioni culturali (non oso però dire tutte) almeno le più comuni e importanti. Anche nelle diverse etnie del mondo sviluppato, nel così detto primo mondo vi sono molte e talvolta profonde differenze culturali. 1. Diversi modi di pensare

Il Vescovo di Kumasi, Ghana, Peter K. Sharpon, scopre nella mentalità di molti africani un atteggiamento che riflette l’accettazione del principio che il fine giustifica i mezzi, senza indicare se i mezzi siano buoni o no. Parlando del Cristianesimo e della cultura africana, egli dice: “L’africano, in generale, non accetta gli assolutismi. Nel valutare le sue azioni possibili, la sua scelta deve rispondere alle sue necessità e a ciò che considera un bene hic et nunc. Perciò, non è male dire una “bugia” per una buona ragione. Il Battesimo è cosa buona: quindi dovrebbe essere concesso ad una persona che non ne è degna di ricevere questo sacramento celando la verità su di essa. In certe situazioni si devono dire menzogne. Sarebbe imperdonabile dire la verità se ciò facendo si mettessero nei guai la famiglia, i parenti o gli amici. Sarebbe ingiusto per un bambino ammettere apertamente di aver fatto qualcosa di proibito se ciò viene scoperto. Sarebbe segno di arroganza ed impertinenza. Negare, facendo in modo che l’ammissione della sua colpa sia comunque capita prima o poi, è il vero indice di umiltà e pentimento. Non sto per niente insinuando che gli africani non siano capaci di distinguere ed apprezzare ciò che è la verità e cioè che è una menzogna. Sto solo dicendo che la perce-

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zione di queste scelte è più pragmatica. Per loro la vera bugia è nascondere un fatto o inventare una storia quando sa che ciò avrà dei risvolti negativi per l’altra persona. Ma fare la stessa cosa per aiutare un parente od un amico è fare del bene. La Chiesa Cattolica è la vera Chiesa fondata da Cristo, ma se la mia preghiera, quando vado in Chiesa non viene esaudita, non vi è niente di male nel fare la stessa richiesta in un’altra Chiesa o ricorrere alla magia nera. Dopo tutto lo scopo della religione è di aiutare coloro che soffrono, che sono senza figli, i malati, ecc. In alcune lingue africane non esistono concetti astratti e si deve ricorrere ad immagini concrete per rendere l’idea. L’africano crede in Dio e negli spiriti, ma non gli interessa definire queste realtà, e la maggior parte dei termini teologici usati per tali definizioni non hanno nessun significato per lui. Il suo interesse si limita a come Dio e gli spiriti influenzano la sua vita e quanto di buono e di cattivo danno all’uomo.” (Cfr. Every Citizen’s Handbbok, Vademecum di ogni cittadino di P. T. Agostoni. Paoline, Africa 1997, p. 27.) Un altro scrittore africano moderno afferma: “Come scienza dei principi, la scienza delle scienze, la filosofia deve essere molto rigida. I suoi principi devono essere immutabili ed eterni come la stessa vita. Il fondamentale principio del pensiero Tradizionale Africano è “l’esperienza della vita”; la vita vissuta attraverso la quale si ricavano i principi e le fondamenta dell’esperienza umana. Nel pensiero africano tradizionale non vi sono valori predeterminati. Il punto di partenza è la consapevolezza della propria esistenza assieme a quella di altri esseri: attraverso la pratica dell’esperienza religiosa e morale, si arriva alla conclusione che la vita è un dono. È questo il punto di partenza per una riflessione sulla vita ed il suo Autore e sul divino. Se la vita è buona e tutto ciò che ci circonda dalla nascita alla morte è vita, dovrebbe esistere un essere o intelligenza esterna che è l’essenza della bontà stessa. La spiegazione tradizionale della morte, la materia corrosiva della vita e la decomposizione della stessa viene quasi sempre associata alla sfera religiosa ed al mistero della vita in quanto si presume che qualcuno ha voluto che le cose fossero così. Il pensiero filosofico della tradizione orale africana consiste nella saggezza accumulata attraverso le parole miti, i proverbi, le storie, i riti, i nomi, i tabù, ed altre forme di manifestazioni espresse in parole o pensieri. In questo caso, non si fa riferimento a chi ha detto qualche cosa, in quanto il soggetto sociale è la tradizione, la comunità e la stessa gente. “(African Vitology, di Martin Nkafu Nkemukia, pag 31-31 Paoline 1999 Nairobi.) 2. Differenti comportamenti La cultura degli eventi e la cultura del tempo. Il defunto Cipriano Kihangire, il primo Vescovo ugandese di Gulu mi disse una volta: “Voi bianchi siete schiavi del tempo. Noi africani ne siamo i padroni.” Mi rivolse questa frase quando si accorse che io ero preoccupato a proposito della tabella di marcia alquanto rigida che dovevo seguire per andare a far visita alle missioni. Secondo la sua mentalità, l’evento identifica o segna il tempo. L’evento deve impiegare il tempo necessario a compiersi, e non dovrebbe essere misurato con l’orologio. Il tempo oggettivo, difatti, è il lasso di tempo che la terra compie per fare il giro del sole; il tempo culturale, tuttavia, è la misura di un avvenimento. Il tempo reale è il tempo di un evento; quello culturale, invece, è lo stesso evento. Il tempo diviso in minuti, ore, giorni e anni è fatto dagli uomini. La stessa numerazione è differente, come nell’Africa tradizionale dove le ore vengono numerate come al tempo di Cristo: una, tre, sei, nove dodici.

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Secondo una certa mentalità, il presente è ciò che sta succedendo adesso; il passato è già successo (quanto tempo fa non è molto importante). Il futuro quindi, è praticamente inesistente in quanto non è ancora né successo né presente. Un Ministro del mondo preindustriale una volta venne invitato a Bruxelles ad una riunione che doveva iniziare alle 13.00. il ministro arrivò alle 15.00. Alla folla irritata che lo stava aspettando disse, “Non vi preoccupate, la riunione ci sarà.” Diverse volte in Africa ho notato che per le occasioni importanti come anniversari, la consacrazione di una chiesa, ecc., quasi tutti i Vescovi africani partecipano, mentre i vescovi missionari non africani erano quasi tutti assenti. Chiesi ad un vescovo africano come si spiegava la cosa. “Vedi”, mi disse” questa è una occasione speciale che non avverrà mai più. Avrei dovuto andare ad amministrare la Cresima in una delle parrocchie, ma quello si può fare in qualsiasi altra domenica dell’anno, mentre se avessi perso questo avvenimento sarebbe stato per sempre, ed ecco perché sono qui oggi.” Un Natale il Vescovo disse al parroco che avrebbe voluto celebrare la Messa in una stazione missionaria lontana, e che la solenne celebrazione sarebbe iniziata alle ore 10.00. Il vescovo arrivò alla cappella in perfetto orario, ma non c’erano altre persone presenti. Dovette aspettare fino alle 12.,00 prima di iniziare. Contrariato chiese al parroco. “A che ora hai detto alla gente che avrei celebrato la S. Messa?” “alle 10.00” fu la risposta. “Caro Padre, avresti dovuto dir loro alle 8.00.” In un’altra occasione il Vescovo arrivò con due ore di ritardo. Il sacerdote Comboniano rivolgendosi a lui disse: “La gente è diventata alquanto impaziente di aspettarLa,” Il Vescovo rispose: “Lei o la gente?”. Il sacerdote non rispose. I seguenti esempi dimostrano come l’evento sia più importante del tempo o della routine. Nel 1974 fui invitato a partecipare all’Assemblea Provinciale a Rungu nel Congo. Feci le mie prenotazioni molto tempo prima: Roma – Kinshasa-Kisangani- Isiro. Quando arrivai a Kisangani alla domenica mattina rimasi sorpreso che non ci fosse la coincidenza. La spiegazione fu: “Vede padre, non abbiamo potuto effettuare il volo per Isiro ieri perché l’aereo era stato usato per portare la moglie di un ministro a Kinshasa. Così per compensare il mancato volo di ieri, l’aereo è partito stamattina presto. “ Possiamo vedere come l’avvenimento particolare è diventato più importante della routine programmata. Io cominciai disperatamente a cercare un mezzo di trasporto alternativo perché l’assemblea sarebbe iniziata al martedì sera successivo. Finalmente riuscii a mettermi in contatto con il Vescovo di Wamba, la cui residenza era la più vicina ad Isiro. Promise di venirmi a prendere con la sua jeep. Non gli chiesi a che ora sarebbe partito, bensì a che ora sarebbe arrivato. Sorpreso il vescovo rispose: “Perché tanta fretta?. Questo non è il modo di fare. Se volevi essere sicuro di arrivare in orario per l’assemblea, dovevi e metterti in viaggio una settimana fa per prepararti con calma al raduno. Comunque arriverò domani sera.” Debbo insistere nel dire che quanto detto rappresenta la continuità del senso del tempo in un ambiente prevalentemente agricolo e pre-industriale. Oggi molti si rendono conto dell’importanza del “tempo lineare”. Quanto segue fu scritto dalla giornalista Caroline Nakazibwe per il Monitor un quotidiano ugandese il 29.10 2002. Potrà sembrare ironico, ma dà l’idea dell’importanza di attenersi al tempo lineare, universalmente accettato (U.S.T.). “Alcune persone invitate ad un ricevimento rimasero piacevolmente sorprese dal fatto che un ministro fosse arrivato con soli 15 minuti di ritardo e prima di tutti gli altri ospiti. Al ministro fu chiesto di aspettare un una delle camere dell’albergo. A questo punto è meglio arrivare in ritardo?! Secondo la cultura africana quando si dice a qualcuno di essere in un dato posto alle otto, per esempio, loro spesso non si alzano che alla stessa ora. Mi chiedo perché, in fondo ad un invito, la gente non scriva qualcosa come: abbigliamento : giacca e cravat-

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ta, orario: tipicamente africano. In questo modo arriveremmo tutti in perfetto orario. Questa è probabilmente una delle maggiori ragioni per cui il continente è noto per la povertà e la malattia. Noi siamo sempre in attesa che le cose inizino. Se mai succederà. Si potrebbe fare un’eccezione per i tassisti matti, rinomati per il pessimo modo in cui guidano. Un sondaggio in Africa Orientale ha rilevato che il 50% dei tassisti sono “psicologicamente disturbati “. La ragione di questo disturbo è forse la fretta di guadagnare soldi e tempo? Parlando seriamente, comunque, congratulazioni Ministro Muhwezi. Arrivare 15 minuti in ritardo in questa nazione è come arrivare con un’ora di anticipo. Onorevole ministro, eccezionale, veramente! Se dobbiamo arrivare minimamente vicino al Botswana nel nostro programma di sviluppo, dobbiamo seriamente cominciare a pensare ad attenerci agli orari stabiliti. Altrimenti la Entandikwa Scheme(Micro prestiti rurali) e la African Growth Opportunity Act (AGOA) (decreto per dare opportunità di crescita economica) sarebbero soltanto una perdita di tempo.” 3. La cultura e non cultura del risparmio e la lungimiranza Mi viene in mente un’altra considerazione, consequenziale alla relazione fra il tempo e gli eventi nella cultura pre-industriale. Il tempo, oggettivamente è lineare, suddiviso in minuti, ore, giorni, mesi, anni. Gli eventi sono sparsi lungo questa linea, non necessariamente connessi fra di loro. Gli avvenimenti presenti e quelli del passato sono impressi nella nostra mente, ma quelli del futuro no. Il futuro, quindi, non entra nella prospettiva del presente se non per quanto riguarda l’immediato futuro. “Invece di calendari numerici, esistono quelli che potremmo chiamare calendari fenomenali nei quali gli eventi o fenomeni che costituiscono il tempo sono considerati in relazione l’uno all’altro man mano che avvengono, cioè che costituiscono il tempo. Per esempio, una donna incinta conta le fasi lunari, un viaggiatore nel passato contava i giorni che occorrevano per viaggiare da un luogo all’altro. Il matrimonio soprattutto, era contrassegnato nel calendario fenomenale. Oggi potremmo aggiungerci il curriculum scolastico. Il giorno, il mese, l’anno, o la storia dell’umanità sono tutti suddivisi o calcolati secondo i loro eventi specifici quanto sono questi eventi che rendono il tempo significativo.” (Mbiti “Afican Philosophy and Religion”, p. 61. Heineman, Londra) La lungimiranza del risparmio comincia a prendere piede principalmente per evitare che i ladri rubino i risparmi tenuti nelle case e le banche sono numerose. Timothy Kalyegira scrive su un quotidiano ugandese il “Sunday Monitor” il 2 settembre 2002. “Gli asiatici sono marginalmente propensi a risparmiare, mentre normalmente gli ugandesi spendono anche il danaro che non hanno facendo debiti che raramente ripagano.” In un altro articolo “Perché gli asiatici, in Africa saranno sempre un passo avanti agli ugandesi” lo stesso giornalista osserva: “Così, mi chiedevo nel mio articolo se, possiamo mettere assieme tanto danaro così generosamente per i matrimoni senza chiederne una giustificazione , perché, dicevo, non possiamo, con lo stesso spirito, raccogliere danaro per coloro che volessero incominciare un negozio?

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Una ragazza indiana di Nairobi mi ha detto che la comunità indiana tende a prendersi cura dei suoi membri. Nelle necessità si adoperano per raccogliere danaro per varie cause: l’inizio di un’azienda è sempre in cima alla lista delle priorità. In altre parole quelle che noi ugandesi e tanzaniani neri facciamo per gli altri, per i ricevimenti di matrimonio o eventi simili, gli indiani lo fanno quando un giovane o una giovane annuncia che desidera aprire un piccolo studio fotografico, o negozio di parrucchiera o una pasticceria…. Con una differenza così marcata dei punti di vista, nel capire la basilare differenza fra un ricevimento di matrimonio e iniziare un’azienda spendendo la stessa cifra, come fanno gli ugandesi a pretendere, come gruppo, di raggiungere gli indiani? Il ricevimento è per il presente, l’apertura di un negozio è per il futuro.” Nei matrimoni africani il numero degli invitati è sempre molto grande. La coppia si rivolge ad amici e parenti per raccogliere soldi per mettere su casa e per cerimonie e ricevimenti. 4. La Vita Comunitaria contro la vita individualistica Quando fu accusato di comunismo, Nkwame Nkrumah rispose che egli non aveva niente da spartire con il comunismo la sua filosofia era “il Comunalismo africano”. Questa base teorica a livello sociale si esprime nelle istituzioni come i clan, sottolineando l’iniziale uguaglianza di tutti e la responsabilità di molti per uno. In tale contesto sociale è praticamente impossibile che sorgano classi sociali di tipo Marxista. Sekou Toure chiamò la sua filosofia “Comunocrazia”, la comunità ed il governo. Questa base teorica spiega chiaramente la pratica di “Socializzare” nel Mondo pre-industriale. Un giornalista della BBC rimase sbalordito delle risposte ricevute su quali fossero le priorità della società africana. Pensava che la prima fosse il danaro. “Si” gli fu risposto, “ma solo per potersi sedere e socializzare con i nostri parenti ed amici. Lavoro per poter tornare al mio villaggio e socializzare, parlare, mangiare e bere con i miei amici.” Per quanto concerne il Vangelo, gli Africani vedono il mondo più come una comunione di anime invece di una aggregazione di individui; una cultura di cuori in cerca di comunione piuttosto che una cultura di menti in cerca di sapere e potere. Fra i tratti che formano la personalità africana, perciò, Kenneth Kaunda elenca le “caratteristiche di incontrarsi con la gente e parlare con loro per il puro piacere, non per il lavoro che uno fa, o per la classe sociale a cui appartiene o per la sua utilità produttiva.” (Kenneth Kaunda in “African Philosophy. P. 28 di E.A. Ruch OMI e K. C. Anyanwu. Catholic Book Agency, Roma 1984) Nel mondo sviluppato, o capitalistico, la tendenza è di essere individualista, mentre nel Terzo Mondo si tende ad essere comunitario. Gli uomini e le donne sono stati creati per vivere in una comunità, sono esseri sociali. La più grande espressione di questa tendenza è la solidarietà. I più poveri fra i poveri del Terzo Mondo esprimono più solidarietà ed attaccamento alle proprie origini e luogo di nascita di coloro che provengono dalle nazioni sviluppate. Non basta che nasca un bambino; deve nascere all’interno di un gruppo perché solo all’interno di esso egli sarà pienamente uomo. Come dicono i Basotho” l’uomo raggiunge la sua piena statura solo nella solidarietà della società”. “L’intera società africana, vivente e di morti viventi, è un complesso vivente di relazioni quasi come quelle che compongono un organismo. Quando una parte del corpo si ammala, si sente in tutto il corpo. Quando un membro di una famiglia o clan viene onorato o raggiunge il successo, l’intero gruppo gioisce e ne condivide la gloria (o il disonore) , non solo a livello psicologico come si gioirebbe se la propria squadra di calcio

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vincesse una partita, ma ontologicamente: ognuno dei membri di un gruppo è parte dell’onore o del disonore.” (“African Philosophy” p. 14 prof. Mbiti) L’onore o disonore è condiviso anche dagli antenati. ESEMPI Onore: le cerimonie di laurea nelle Università Europee sono una fredda formalità, alla presenza di pochi. In molte nazioni africane, invece, l’intero clan si muove ballando e cantando ad abbracciare il laureato quando scende dal podio. L’intero clan, non solo il laureato, riceve gli scrosci di applausi della gente presente. Disonore: Questo fatto successe ad una ragazza in Uganda. Fu pagata da un tabloid “The Red Pepper”, per farsi fare delle foto mentre fingeva di fare sesso con due ragazzi a Ritintale, periferia della capitale, durante un ricevimento. Le fotografie suscitarono indignazione fra la gente in quanto si chiedevano come fosse stato possibile che una studentessa si prestasse a praticare sesso davanti all’obbiettivo. Il “Monitor” del 27 settembre 2002 riferì che la ragazza riconosciuta al mercato di Bugolobi fu quasi linciata. Si formò una notevole folla ed alcuni iniziarono a schernirla volendo sapere se fosse veramente lei quella che aveva posato nuda. Guardarono bene le foto e si convinsero che era veramente lei. “Si è lei. Come osi vendere il tuo corpo per la misera somma di cinquecento scellini? (€ 5)" La folla urlava. Finalmente i funzionari del mercato riuscirono a dare rifugio alla ragazza nei loro uffici e farla uscire poi sana e salva. Come si può vedere, il disonore della ragazza si ripercuoteva sull’intera comunità. 5. L’interpretazione degli eventi Generalmente parlando, nel mondo sviluppato si ritiene che gli eventi, sia umani che naturali (come i terremoti) siano provocati da cause naturali. Di fronte ad avvenimenti tragici come una morte, i cristiani praticanti potrebbero dire “sia fatta la volontà di Dio”. Nei paesi in via di sviluppo, come per esempio in Africa, si dice “È il volere di Dio” , in Brasile dicono “Si Deus quiser”. Si crede che Dio abbia creato tutto quanto e che ne dispone a suo piacimento. Egli regna su tutto il suo universo, è buono, misericordioso e santo; Egli è potente, sapiente e ovunque presente,. Ciò non di meno le malattie o tragedie, specialmente le morti vengono spesso attribuite agli spiriti maligni o sortilegi, o una maledizione, lasciando fuori Dio – anche se alcuni sono dell’idea che se Lui non lo volesse, l’evento non avrebbe luogo. Anche se rara, la credenza che Dio chiama a sè gli anziani fuori dal mondo è anche comune. Le credenze di cui ho parlato sono il segno della difficoltà di connettere le cause e gli effetti, se non sono esperienze empiriche. Per anni l’umanità credette che il sole si muovesse attorno alla terra mentre era vero il contrario. L’apparenza era così. Questo modo di pensare è ciò che i filosofi greci chiamavano “fenomenologia”; quella branchia della filosofia che si concentra su quello che viene percepito dai sensi contrariamente a ciò che è vero o reale. In altre parole, la realtà è quello che appare più che non quella che è. Questo modo di pensare esiste nei villaggi ed anche fra la gente che ha studiato. Nell’interpretazione di un evento, dopo aver completato il suo corso di filosofia, un Novizio mi disse: “Questo accadde dopo quello: quindi è causato da quello” (la famosa frase latina “Hoc post hoc ergo procter hoc.”) Ma questa è la nostra cultura! Questa mentalità, anche se parte della propria cultura, potrebbe causare dei problemi in una comunità interculturale. Non voglio adesso entrare nel merito della questione. Lascio il compito di districare i differenti eventi di vita comunitaria e ecclesiale alle nostre comunità.

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SOLTANTO DUE ESEMPI Quando Papa Giovanni Paolo II si recò in Uganda nel 1993 alcune sette religiose cercavano di impedire ai cattolici di fare i preparativi per l’occasione. La ragione è che dopo la visita del Papa nel Congo, successe una tragedia al paese e naturalmente si pensò subito che fosse per colpa del Papa. Questo è un esempio estremo che successe strada facendo in Est Africa. Alcuni parenti stavano trasportando una salma su un camioncino. Successe uno strano incidente e siccome la salma era uno strano passeggero, i parenti decisero di buttarlo fuori dal mezzo e di bastonarlo. Si potrebbero dare molti esempi di eventi e modi differenti di interpretarli nel Mondo preindustriale. Durante una visita ai i nostri confratelli nel Malawi, stavo spiegando le differenze culturali come sopra esposte e alla fine un nostro confratello messicano disse: “Padre, ciò che sta dicendo della mentalità africana può essere detto anche della nostra.” Un giorno presi l’autobus da Curitiba, Sud Brasile, per San Paolo. Partì con due ore di ritardo ed io dovevo prendere un aereo. Un’ora prima della partenza dell’aereo chiesi all’autista “A che ora arriviamo a San Paolo?” “Arriveremo” egli rispose, e continuò, con la stessa risposta ogni volta che io riformulavo la stessa domanda. È vero che l’evento è più importante del tempo, io però persi l’aereo. Gli esempi sopra esposti possono aiutare a capire il cardine delle culture e dei valori in qualsiasi società. Queste differenze e diversi modi di pensare devono emergere nei dialoghi nei nostri Scolasticati e nelle varie comunità. Che senso ha mugugnare nei vari gruppi culturali contro gli altri cercando di “assassinare” le loro origini e le loro culture? I bianchi contro i neri e viceversa. I neri contro i latino-americani e questi ultimi contro gli asiatici ed altri ancora. La maggior parte dei membri del nostro Istituto, finora sono italiani. Probabilmente alcuni confratelli di diversa nazionalità parlottolano contro di loro. Avercela con coloro che sono della stessa nazionalità del fondatore è normale nella maggior parte delle comunità interculturali ed internazionali, ma ritengo che la cosa migliore sarebbe di sederci tutti assieme e parlarne apertamente. 6. Senso di responsabilità L’espressione “È la volontà di Dio” mi porta ad un’altra osservazione che riguarda prendersi o negare la responsabilità di certi eventi. Un giorno andai in una comunità internazionale di suore europee ed africane. Notai che le suore europee erano alquanto indispettite. Chiesi quale fosse il problema e mi fu risposto: “Allora, padre, abbiamo mandato una delle ragazze ad aprire una porta nella loro casa ed è tornata dicendo che la porta si rifiutava di aprirsi. Cosa significa?” risposi “Che nonostante si fosse data da fare e nonostante tutta la sua buona volontà, la porta non si è aperta.” Chi può incolpare la ragazza per essersi espressa in quel modo. Era la porta che non si apriva, non era lei che la voleva tenere chiusa: lei non è responsabile se non si apre. Una volta la nostra domestica sbatté contro il cancello e cadde.” Sei sbattuta contro il cancello “ho detto” Non è vero” rispose lei.” Il cancello ha sbattuto contro di me. Io non volevo sbattere contro di lui. È un cattivo cancello.” Altre espressioni simili sono “l’autobus mi ha lasciato” arrivando tardi ad un appuntamento. Oppure “Mi ha preso la pioggia”, piuttosto che dire di averla presa, oppure “La pioggia mi ha punito”.

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Questi sono soltanto dei banali esempi. Ma prendiamo una comunità internazionale dove i missionari bianchi non conoscono la lingua locale molto bene. Certe espressioni sono chiare e logiche nella propria lingua, ma perdono nella traduzione. Dopo aver completato il mio periodo come Superiore generale, la Santa Sede mi chiese di scrivere una relazione sulla vita contemplativa in Africa. Visitai diversi conventi. In un convento di Suore Carmelitane a Nairobi chiesi alla Superiora come andavano le cose. Benissimo. È una comunità perfetta. Mi permise di parlare con le suore africane. Le Suora Carmelitane erano state trapiantate, per così dire direttamente dagli USA in Kenya senza nessuna preparazione circa le usanze del paese o della lingua locale. All’inizio la mia conversazione con le suore africane andò bene. Quando però chiesi cosa dicevano se, lavando i piatti ne rompevano uno, allora aprirono i loro cuori: “Non lo rompo io, è il piatto che si rompe.” “Quando vado dalla Madre Superiora” disse una di loro “Ella guarda l’orologio. Crede che io possa dire quello che voglio in soli pochi minuti? È impossibile. Non ci vado più!” Anche l’altra suora era d’accordo, ed è ovvio che tali incomprensioni influivano sull’armonia della comunità. Spero di aver fatto notare l’assoluta necessità di capire la cultura degli altri ed il loro modo di esprimersi. Certe espressioni tradotte letteralmente possono confondere se non addirittura far ridere. Non serve solo dire “loro dicono così” e basta. Anche le nazioni sviluppate possono imparare da quelle in via di sviluppo. Le frasi idiomatiche o in dialetto non sono da prendere alla leggera. Ogni espressione, parola, gesto deve ricevere la dovuta attenzione da chiunque e sempre. Il comportamento da tenere è di rispetto e dialogo. Ognuno può imparare. “Si impara fino alla bara” mi ricordava un simpatico Vescovo africano che parlava italiano. 7. L’interpretazione dello sviluppo Mons. Peter K. Sharpon del Ghana dice: “Molti ci considerano arretrati. Vorrei spiegare che per quanto mi riguarda l’uso di questa parola è totalmente sbagliato. Tutti gli esseri umani, non importa qual sia la loro condizione di vita, sono sviluppati, è dopo che diventano sottosviluppati. Il mondo occidentale può aver fatto passi da gigante per quanto riguarda la scienza e la tecnologia. Ma la scienza e la tecnologia non sono tutto. Gli africani sono evoluti in modo differente. Culturalmente e socialmente siamo piuttosto complessi. La nostra umanità è rimasta intatta. Amiamo l’amicizia; viviamo in comunità, non dissertiamo fra il sacro e il profano: ci sentiamo vicini alla natura, teniamo al simbolismo e il nostro approccio verso l’essere umano è olistico. Tutte queste cose sono importanti per la pace. Nelle nostre difficili condizioni siamo comunque felici. Se la felicità fosse soltanto l’acquisizione di beni materiali, di ingegnosità e produttività, allora penso che non ci sarebbe una sola società europea dove si potrebbero trovare persone infelici. Ma ho notato che nonostante il grande progresso fatto dal mondo occidentale nella scienza, nella tecnologia, e in tutti gli altri miglioramenti, una vita grama e triste continuano ad imperare. La percentuale di suicidi più alta non si trova in Africa. Vorrei vedere un modo di vivere dove i grandi progressi fatti in occidente, fossero amichevolmente uniti ai molti valori umani della cultura africana così da poter avere una umanità equilibrata. Abbiamo bisogno della scienza e della tecnologia del mondo occidentale ma abbiamo anche bisogno dell’umanità africana.” (Mons. Peter K. Sharpon, Vescovo di Kumasi, in Weltkirche 5/1990. Pagine 142-144. Documenti dall’Africa, Missio Aachen Germania – vedere Every Citizen’s Handbook di p. Agostoni).

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NOTA Credo che sarebbe vantaggioso sviluppare il significato di “umanità africana”, perché gli africani si rendano conto che alcuni loro valori tradizionali stanno scomparendo. Sfortunatamente prevale l’idea che tutto ciò che viene dall’ovest è buona cosa e deve essere imitato. La globalizzazione finanziaria si porterà dietro anche una globalizzazione culturale. Quindi, oltre all’impoverimento economico delle nazioni in via di sviluppo ci sarà, probabilmente anche un appiattimento culturale e perdita dei valori tradizionali: una vera tragedia. Tutti sanno quanto peso possono avere i mass media. L’ateismo pratico dell’Ovest che ignora i dieci comandamenti “la legge scritta nei loro cuori” (Rom.2.15) sta soffocando le altre culture. L’invasione della cultura occidentale propone la via più larga di generale lassismo, danaro, piaceri, onore. Essa è contro la “stretta via” (Luca 13:13) indicata da Cristo che è aperta soltanto a coloro che “portano la loro croce tutti i giorni” (Luca 9:24) e vivono però felici nella pratica delle beatitudini.

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Bollettini dal 1927 to 1994. Catologhi di diverse annate. Relazioni Dei Consigli Generali dal 1975 al 1991. Relazioni delle nostre Segreterie, Segretariati e uffici - atti Capitolari dal 1931 al 1969 nei Bollettini Ø Allegato No. 9 al Capitolo Generale del 1969: La Riunione con MFSC. DOCUMENTI STORICI Ø A new Catholic Encyclopedia [ Una Nuova Enciclopedia Cattolica], The Catholic University of America. Ø MICHEL MOURRE Michel, Dizionario Enciclopedico di Storia, 2. voll. - Oscar Mondadori 1992. Ø ANDERSEN Carl e DENZLER Georg, Dizionario Storico del Cristianesimo, Edizioni Paoline 1992. Ø NIGRIZIA, n. Speciale febbraio, Nel Primo Centenario dei Missionari Comboniani 1867-1967 Ø NIGRIZIA, n. Speciale: Centenario 1881-1981 Daniele Comboni.

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