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Bang Art & Lucas Leite
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SE VI SENTITE PARZIALMENTE STREMATI, OPPURE SIETE IMPEGNATI IN UNA CENA A LUNGHISSIMA CONVERSAZIONE, NON C’È NULLA DI MEGLIO CHE UN BICCHIERE DI LATTE PER SCREMARE GLI SFORZI ED EVITARE LE BUFALE!
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«Spero di dipingere qualcosa che sia in grado di rovinare l’appetito di ogni figlio di buona donna che mangerà in quella sala. E se il ristorante rifiuterà di appendere i miei quadri, lo riterrò il più grande complimento. Ma non lo farà. Di questi tempi la gente sopporta di tutto». Mark Rothko
COVER: Nouar – Tempt Me Tease Me SOMMARIO: Carlos Alvarez Montero – Octavio
SPECIALE CIBO
BANG MENU PAG.4 / MADEMOISELLES GOURMET PAG.5 / NOUAR PAG.10 / RONIT BARANGA PAG.16 / MANGIARE BERE UOMO DONNA PAG.18 / THE ART OF COOKING PAG.23 / OROSCOPO DEL CIBO PAG. 27 / NICOLE GASTONGUAY + ARTTOYS’R’US PAG.28 / FRIZZI FRIZZI PAG. 30 / PACKAGING MANIA PAG. 34 / DACCI OGGI IL NOSTRO PANE QUOTIDIANO PAG.38
SPECIALE CITTÀ
ANATOMY OF A CITY PAG.40 / MIJN SCHATJE PAG.46 / PARIS JE T’AIME PAG.54 / SYNECDOCHE, CITY PAG.56 / MAYA MIHINDOU PAG.62 / PHOTO ALBUM: ALL OVER THE WORLD PAG.65 / STORIA DEL GRAFFITISMO IN 2.061 PAROLE PAG.82 / ZEZÃO PAG.84 / ALEXANDROS VASMOULAKIS PAG.86 / KOI KOI KOI PAG.88 / ANVEDI ROMA PAG.91 / KALLE MATTSSON PAG.92 / MAKE MY DAY MAG PAG.96 / T.N.T. PAG.98
LA PRIMA RIVISTA D’ARTE PER
ARTE ILLUSTRAZIONE FOTOGRAFIA
GLI AMANTI DEL BUON GUSTO BANG ART#6 mar-mag 2010 euro 8
TOYS COOLHUNTING
BANG ART #6 Marzo/Maggio 2010 Suppl. a Scuola di Fumetto n. 73 periodico mensile registrato presso il Tribunale di Roma n.300 del 7/06/02 Direttore responsabile: Ferruccio Giromini
nouar! Che pasticcio, dolce
ISSN 1720-0910
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771720 091029
Suppl. a Scuola di Fumetto n.00073
MIJN SCHATJE CITY PHOTO ALBUM
& INTERVISTA ESCLUSIVO POSTER
CARLOS ALVAREZ MONTERO SAMUEL ZUDER ROB HANN BRAD DECECCO EVI LEMBERGER SIMONE MASSAFRA MAX HAMILTON JOANNE RATAJCZAK
ZEZÃO ANDREW HEM MAD STUDIO RONIT BARANGA KALLE MATTSSON MAYA MIHINDOU NICOLE GASTONGUAY ALEXANDROS VASMOULAKIS OUR DAILY BREAD
Coniglio Editore Srl Piazza Regina Margherita, 27 – 00198 Roma Tel. 06 8417393 – Fax 06 8415284 info@coniglioeditore.it www.coniglioeditore.it BANG ART Arte/Illustrazione/Fotografia/Toys/Coolhunting
Ideazione, progetto editoriale, grafica e coordinamento: Siriana Flavia Valenti e Sebastiano Barcaroli Hanno collaborato: Alessio Trabacchini, Eleonora Tiliacos, Eva Macali, Filippo Brunamonti, Paolo Di Orazio, Rosa M. Albino, Manuela Contino, Anna Quinz, Simone Sbarbati, Francesca Di Benedetto, Valentina Serra, smoky man, Anke Weckmann, Dan Goodsell, Tom Ballhatchet & Amelie Labarthe, Mimma Chiara, Luiza Samanda Turrini, Ashi, Barbara Canepa, koikoikoi.com, makemydaymag.com Web: Federico Fieni
Per la pubblicità: advertising@coniglioeditore.it Contatti: info@bangart.it Stampa: Iacobelli Srl – Via Cesare Battisti, 18 00044 Frascati Distributore esclusivo per le edicole: Parrini & C. Spa – Via di Santa Cornelia, 09 00060 Formello (Roma) Tel. 06 907781 – Fax 06 90400386 Dove non specificato, il © delle immagini è degli Autori. www.bangart.it info@bangart.it
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Menu
Arte e Cibo, miscela inscindibile ed estremamente fruttifera: nature morte, cornucopie, pasti frugali e pantagruelici, cibi in scatola e astratti disordini dell’alimentazione. L’Arte che, per sua intrinseca natura, è specchio dell’umanità, non poteva certo restare indifferente al fascino appettitoso di un atto fondamentale, primitivo e necessario per l’uomo. Proviamo a mettere in tavola una ricognizione artistico-gastronomica assolutamente irrispettosa dei tempi corretti delle portate e ridotta nell’offerta, più fast che slow. A voler stilare un menu a regola d’Arte, si correrebbe il rischio di una lista così ricca e ipercalorica che una pancia capiente da ingollare la cena di Trimalcione non sarebbe sufficiente. Iniziamo il luculliano banchetto con qualcosa di sostanzioso: un pizzico de Il mangiatore di fagioli di Annibale Carracci, opera della fine del Cinquecento, simbolo di un appetito contadino vorace, guardingo e mai sazio, fuso con I mangiatori di patate di Vincent Van Gogh: altri tempi, siamo nell’Ottocento, ma è la stessa fa-
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a cura di smoky man e Sebastiano Barcaroli
me afferrata per la gola dalla pennellata densa e febbrile dell’artista olandese. Passiamo alle verdure, un po’ di ortaggi in una ciotola offerti da Giuseppe Arcimboldo, un quadro-doppio che, ribaltato, trasforma la natura morta nel vitalissimo e surreale L’ortolano: l’anima di cipolle, rape e funghi. E, se si preferiscono le scatolette, che cosa c’è di meglio di una zuppa Campbell preparata per voi dallo chef Andrew Warhola, colui che seppe condire lo stantio mondo dell’Arte con sale e Pop? Un palato più raffinato potrebbe ingolosirsi per una fetta di prosciutto crudo servita direttamente dal cuoco dei colori, Paul Gaugin. Frutta? Un grappolo d’uva rubato dal cesto del giovane immortalato in tutta la sua bellezza da Caravaggio. Oppure quei vivi frutti messicani, ritratti da Frida Kahlo in La novia que se espanta de ver la vida abierta. Per chiudere, un bel dolce a scelta tra quelli confezionati dal mastro pasticciere Wayne Thiebaud. Burp! Mangiare, rituale quotidiano, quasi esoterico. Lo sa bene Ma-
gritte che, ne Lo stregone, si raffigurava ieratico celebrare l’atto del pranzo munito di quattro braccia: si versa del vino, afferra del pane, regge una forchetta e un coltello per tagliare la pietanza sul piatto. Mangiare troppo, mangiare tutto. Si rischia di diventare un paffuto personaggio dei quadri di Fernando Botero! Un piccolo assaggio il nostro, rispetto al corposo, ipercalorico menu che Arte e Cibo propongono. Ci distraiamo, d’improvviso, quando ci tornano in mente la maestria della mamma nel fare la pasta in casa o le zuccherose ed eteree costruzioni della nonna. Deliziose, autentiche opere d’arte da mangiare. Noi stessi, architetti in erba di patate in purea che non ci andava di mangiare. Girate le pagine unte e vi renderete conto di come l’amalgama Arte/Cibo sia riscaldato da un fuoco perpetuo. Cominciamo questo special (che qui inizia e si digerisce a pagina 39), con l’aiuto di artiste del cibo, un nuovo modo di stare in cucina, di miscelare gli ingredienti con una sensibilità tutta femminile. Bon appetit!
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Mademoiselles Gourmet RAGAZZE IN CUCINA CON IL MENU PERFETTO PER CHI D’ARTE NON È MAI SAZIO.
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Roberta Deiana Foodstylist
robertadeiana.com
«FOOD STYLING? TECNICAMENTE SIGNIFICA “COSTRUIRE” UN PIATTO NEL MODO PIÙ FOTOGENICO, E CREARE UNA BELLA IMMAGINE DI CIBO».
qui: The Physical Impossibility of Cooking Thoughts in the Mind of Someone Living; a pagina 5: Wrapped Chicken Leg (particolare). foto di Paolo Nobile paolonobilestudio.com
Com’è iniziata questa tua avventura nel mondo del cibo? Per caso. Ho sempre cucinato con un’attenzione particolare al lato estetico, alla presentazione: è sempre stato un mio pallino. Poi alcuni amici se ne sono resi conto e mi hanno presentato una fotografa specializzata in food still life. E così è cominciata l’avventura... Lavori a stretto contatto con fotografi, “responsabili” della resa visiva delle tue opere. In definitiva la fotografia è il risultato finale di cui lo spettatore può fruire. Qual è il tuo rapporto con loro? I servizi di food vengono quasi sempre prodotti velocemente, con un risultato da garantire in tempi ristretti. Questo richiede un buon affiatamento professionale e la capacità di entrare in comunicazione. È importante che si generi una sintonia creativa, la stessa che immagino si crei in una jam session: magari non conosci la persona intimamente ma sei capace di alimentare il dialogo creativo e collaborare alla creazione.
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Come funziona la vostra collaborazione? Le idee possono partire dal food stylist, oppure dal committente, ma anche dal fotografo. Poi di solito passano al food stylist per la “progettazione” tecnica: spesso c’è da inventare come realizzare l’idea. Lo step successivo è la creazione pratica, che, a seconda del progetto, può diventare un vero laboratorio di sperimentazione. Nel tuo sito scrivi: «Il food styling è un mestiere in equilibrio tra forma e sostanza, come nelle migliori tradizioni filosofiche». Si tratta di un’attività quasi zen? Be’, un po’ ci scherzo sopra, riferendomi ironicamente a libri come Lo zen e l’arte della manutenzione della motocicletta... Però è innegabile che ci sia un lato zen di questa professione in cui il raggiungimento dell’equilibrio è fondamentale. È un leitmotiv che viene declinato nelle diverse sfumature di equilibrio formale, compositivo, di gusto. Ma forse, vista la mia passione per le filosofie orien-
tali, mi fa anche piacere trovarci qualche similitudine. Con il fotografo Paolo Nobile hai ideato un progetto in cui il cibo cita direttamente l’Arte con la A maiuscola, ricreando opere di artisti come Pollock, Mondrian, Christo o il celebratissimo Hirst. Proprio la foto che “fa il verso” a The Physical Impossibility of Death in the Mind of Someone Living ha vinto alcuni premi. Puoi parlaci di questa collaborazione artistico-culinaria? Da sempre sono affascinata dall’idea di usare il cibo nella sua valenza materica più pura (colori, texture, grana) e in più sono appassionata d’arte contemporanea, quindi era uno sbocco creativo naturale. Ho proposto il progetto a Paolo, fotografo e amante delle sfide e della sperimentazione. I risultati ci hanno dato ragione, mi pare. Il lavoro è stato molto creativo e divertente! C’è molta ironia nel tuo rapporto col cibo, molta leggerezza.
Credo sia un bene, anche perché il cibo spesso trova ribalta mediatica per questioni piuttosto drammatiche. Obesità, bulimia, anoressia, mucca pazza, sofisticazioni alimentari... Invece la tua visione del cibo è colorata, gioiosa e non si prende troppo sul serio... L’ironia è un elemento importante della tua visione del food styling? Assolutamente sì. Mi appassiona il cibo come materia ma anche come campo – molto potente – dell’esperienza umana. Sono conscia che nel rapporto con il cibo di ciascuno confluiscano molti demoni. Ma ho scoperto che c’è un metodo infallibile per neutralizzare i demoni: riderne. E questo vale anche per tutti i campi della vita. Inoltre, dopo aver passato tanti anni a così stretto contatto con il cibo, subentra un certo distacco e cominci a notare le reazioni degli altri, a volte buffe, a volte curiose, a volte profondamente rivelatrici. Ma la mia è un’ironia molto affettuosa: non mi tolgo dal mazzo, ci sono dentro anch’io! (sm)
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«UTILIZZIAMO IL CIBO COME ELEMENTO PROPULSORE INTORNO CUI COSTRUIRE UN EVENTO».
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Nel vostro sito si legge: «Arabeschi di Latte si concentra sull’ideazione e realizzazione di eating events, dove il cibo è uno strumento per creare situazioni e relazioni». Una “filosofia” del food? L’operazione di Arabeschi di Latte è trasversale: siamo architetti e tutte abbiamo sempre avuto molto interesse per la moda, il design, l’arte contemporanea e la cucina. La nostra “filosofia” nasce da una continua osservazione delle cose che ci accadono intorno: siamo attente alla vita quotidiana e alle sue dinamiche, spesso talmente scontate da rendersi invisibili. Un famoso filosofo urbanista, Michel de Certeau, ha definito la quotidianità come «qualcosa che c’è ma non si vede». A noi interessa appunto ciò che non si vede, vogliamo riportare in luce le piccole cose, le pratiche semplici, la tradizione, il saper fare con quel che c’è e da questo creare il nuovo. Siamo e saremo sempre sostenitrici della così detta “arte di arrangiarsi” e i nostri eating events diventano il palcoscenico su cui misurare le azioni e le reazioni dei partecipanti che si trovano a essere loro stessi protagonisti. Quello che facciamo è semplicemente rendere un’azione, per esempio quella di preparare un piatto di gnocchi, un momento davvero speciale, da poter condividere tutti insieme in una situazione insolita, fuori magari dalla propria realtà domestica. Così anche chi non ha mai provato ad amalgamare la pasta si ritrova con le mani infarinate; tutto diventa piacevole e interessante, tutto diventa collaborazione, momento di scambio e confronto. Il fine è il raggiungimento di una felicità spicciola ma efficace, dalla piccola alla grande scala.
Architettura e cibo: due “entità” che si direbbero distanti. Come si conciliano in Arabeschi di Latte? Entrambi giocano su una fruibilità immediata, che però fa i conti con una tradizione e con consuetudini millenarie. Negli ultimi anni architettura e cibo (anche se in Italia troppo poco, soprattutto in architettura), sono stati due campi dove la sperimentazione e la ricerca hanno portato a risultati molto interessanti. Inoltre per entrambi è fondamentale il momento progettuale, visto che la costruzione di una ricetta e di un’esperienza culinaria realizzano, allo stesso modo dei processi architettonici, un progetto vero e proprio. Ed è qui che, come architetti, interviene il nostro lavoro da mediatrici di questo sistema, a metà strada tra i due settori, e nasce l’idea di applicare il progetto “architettonico” al mondo del cibo. Quali sono le vostre influenze? Per citarne solo alcune: Rirkrit Tiravanija per le modalità attraverso le quali cerchiamo di attivare delle situazioni di socialità e relazione principalmente attraverso l’utilizzo del cibo; l’artista Surasi Kusolwong per il senso di “happiness” che riesce a trasmettere con i suoi interventi; i designer olandesi per la loro estetica “dry” e per una forte “craftlike attitude” e, ancor di più, l’approccio, il taglio che Lee Edelkoort e il suo staff esprimono attraverso riviste come «View on Colour» e «Bloom» e in passato «In View». Non ci sono solo illustri maestri da annoverare ma anche un testo che, per noi, è stato assolutamente “formativo” come la vecchia Enciclopedia delle fanciulle, così antiquata, ma estremamente divertente e attuale se reinterpretata in chiave contemporanea.
MIA Market a Roma: “un progetto sul cibo”. Svelateci la ricetta... Mia Market è il food concept store che abbiamo ideato per MIA: prodotti locali e stagionali provenienti da un’agricoltura sostenibile e oggetti e strumenti di design con un’attenzione particolare al riciclo. Ora, sebbene nel MIA Market, ci siano tavoli e sedie (tutti in vendita!) e si serva del cibo, non si può compararlo a un normale caffè/negozio. È una piccola alcova dove il mercato si insinua nel salotto, uno spazio accogliente dove si ha la possibilità di acquistare e consumare direttamente i prodotti: un litro di vino biologico, un chilo di pane cotto a legna, qualche pomodoro fresco, a novembre le castagne, in primavera le fave. È un progetto sull’interazione che il cibo può scatenare attraverso gesti semplici, che si esplicano con abbinamenti come pane e olio, burro e zucchero e utensili di facile utilizzo che MIA mette a disposizione dei suoi clienti. Forti dell’esperienza non “sul cibo” ma “del cibo”, per MIA, abbiamo lavorato sulla convivialità, sulla scoperta di cose “normali” ma dimenticate, come la stagione dei cibi. L’obiettivo è costruire esperienze piacevoli intorno agli alimenti nella loro quotidianità e far nascere ricordi legati al “mangiare insieme”. Col cibo si può fare Arte? Siamo designer, abbiamo una formazione architettonica a contatto con il mondo dell’arte perciò risentiamo molto delle sue dinamiche, delle sue pratiche e delle sue strategie. Ma non per questo possiamo definirci delle artiste. Le situazioni che creiamo hanno spesso carattere temporaneo e trovano la loro forza proprio nell’impatto performativo e immediato. (sm)
Arabeschidilatte Food Architects
arabeschidilatte.org
sopra: un Interactive Dinner a Firenze; a destra: Arabeschi di Latte; foto di Simone Rivi – abiti di Leitmotiv; a pagina 5: gli interni del MIA Market.
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Ilva Beretta
Food Photographer
SVEDESE DI NASCITA, ITALIANA D’ADOZIONE, BLOGGER, FOTOGRAFA SPECIALIZZATA IN CIBO, CUOCA: INGREDIENTI DI UNA RAGAZZA SQUISITA.
da sopra in senso orario: pasta con asparagi, scalogno, pistacchi e pomodori secchi; pasta con peperoni rossi, pistacchi, timo e aceto balsamico; lasagnette ricotta e funghi; couscous dolce alla menta, frutti di bosco e basilico; panna cotta vaniglia e cannella; a pagina 5: frittata con piselli verdi al limone.
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ilvaberetta.com
Ci sono “tante” Ilva: la fotografa, la cuoca, l’osservatrice “straniera” della cultura tutta italiana del cibo... Come gestisci questi diversi interessi culinari? Io penso spesso al cibo, è una parte importante della mia vita, sia professionale che personale e mi sento molto fortunata a poter combinare passione e lavoro. Mi piacciano quasi tutte le cucine del mondo che ho provato finora, ma amo in particolare quella italiana, i sapori, la creatività e la varietà sono costanti fonti d’ispirazione per le mie ricette e per la fotografia. Però l’essere di origine nordeuropea rende la mia visione un po’ diversa, anche se le tradizioni culinarie Italiane sono sacre per me. Quali sono i cibi più “buoni da fotografare” e quali i più “belli da mangiare”? Durante i tuoi photo shoots ci sono stati “modelli” (intendo tra i cibi che hai fotografato) che hanno fatto le bizze. Penso, chessò, ad avocadi supponenti? Limoni acidi? O vere e proprie teste di rapa? Il cibo più bello da fotografare è la verdura! Anche la frutta, ma sono soprattutto le verdure che mi ispirano, hanno queste texture che mi interessano tantissimo, i loro colori e le sfumature sono fantastici da fotografare. Anche se sono una carnivora, non resisto alle verdure, potrei (e l’ho anche fatto) rinunciare alla carne, ma mai, e dico mai, alle verdure! Lavoro con cibo vero, nel senso che lo si può mangiare dopo che hai finito, e questo ovviamente crea problemi ogni tanto. Il cibo più capriccioso è il gelato che si scioglie subito, devi lavorare molto in fretta per riuscire a fare le foto che vuoi. Il cibo più difficoltoso da fotografare è la carne: è difficilissimo renderla veramente appetitosa visivamente, se lavori come faccio io, senza “aiuti artificiali”.
Dacci due ricette: una velocissima, magari da preparare mentre si legge questo numero di «Bang Art», e una molto più difficile: la ricetta della felicità! Vediamo, qualcosa di veloce da mangiare mentre si legge «Bang Art»... Potrebbe essere un panino con prosciutto crudo fritto e cime di rapa cotte o un’insalatina di frutta piccante. Ecco come prepararla velocemente: arancia, banane e pere in pezzi misti con una salsa di miele di acacia e un pochino di peperoncino fresco tagliato finissimo. La ricetta della felicità dipende molto dall’età direi, da quale “fase di vita” si sta vivendo. Parlando per me, ovviamente, penso che coerenza, onestà e tanto “vivi e lascia vivere” rendano la vita più armoniosa. E, ovviamente, il cibo genuino!
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12 ricette, 12 foto tra nudo e golosità... presentaci questo speziato progetto. Il punto di partenza è un incontro diventato incrocio di idee. Volevo fare anch’io il “calendario” e con gli autoscatti era pressoché impossibile. Cercavo cercavo... ma i fotografi sono tutti troppo “patinati”. Poi ho conosciuto Luca Donnini e siamo andati a cena insieme, a merenda insieme. E dopo vari aperitivi in giro per Roma, siamo stati invitati a un pranzo da una sua colloboratrice, Cecilia. Era domenica, abbiamo discusso molto di gastronomia, dei tempi e dei colori del cibo. Come al solito c’ho messo il corpo e non la faccia. Il concept: rigorosamente pop, nel senso più banale del termine. Ricette per tutti i giorni, da preparare sia in versione eco-puritana, con ingredienti bio, sia in versione junk-fast con surgelati e precotti. D’altra parte il tempo ha il suo valore, soprattutto se la cena si preannuncia piccante e devi metterti lo smalto.
qui: la copertina del Calendario Gastronomico; a pagina 5: marzo. foto di Luca Donnini lucadonnini.it
12 CARTOLINE MAGNETICHE COMPONGONO UN CALENDARIO GASTRONOMICO: UN SOUFFLÉ VISIONARIO CHE REIMPASTA LA NOSTRA FANTASIA FINO AL PUNTO DI NON FARCI PIÙ VERGOGNARE NEL COMPRARE BASTONCINI DI PESCE.
Eros/Cibo, dicotomia vitale, dai mitologici baccanali a Marco Ferreri, da Daikichi Amanoe a mille altri. Il calendario è una dichiarazione d’amore a questi due aspetti complementari, sempre “caldi”... Come vi siete approcciati a questo tema così diffuso, avete cercato una via diversa, e quale? Più che il baccanale ci interessava il pic-nic. Eros e Cibo sono simbiotici, la Storia e l’Arte lo dimostrano. È una sorta di brivido sensuale affrontare un tema così “intasato”. Devi azzerare tutte le tue conoscenze e chiederti cosa vuoi veramente dire. Noi eravamo d’accordo sul comunicare una semplicità e un’immediatezza fresche e istintive, sia sul fronte sensuale che su quello gastronomico. Personalmente sono allergica alle nuove tendenze gastronomiche, enormi piatti bianchi con dentro due bocconi che devi tenere in bocca chiudendo gli occhi ma dicendo «sublime». Non parliamo poi della massificazione dei sensi. Mettiti una guêpière, scodinzola e sei una gran fica. Non ci siamo! L’eros deve comunicare carattere, mostrare sempre qualcosa di nuovo. Il sesso è un modus sulla via della conoscenza. L’Eros è il gioco che viene prima e se si è bravi anche durante e dopo. E il gioco può essere infantile o intellettuale, purché resti gioco. Per questo ho deciso di includere, per ogni mese, delle brevi descrizioni di situazioni e sensazioni e una specie di motto personale. Le ricette scelte hanno significati particolari? E raccontaci, com’è stato posare circondata da quel ben di Dio, hai dovuto fare una dieta particolare, dopo gli scatti? Certo! Tutte rigorosamente ammiccanti... Amami come una cozza dice molto, il panettone è decisamente a senso unico, tanto più che non ho mai conosciuto nessuno che lo facesse in casa. Posare in mezzo al cibo ti fa sentire parte della catena alimentare. Purtroppo è stata un’illusione, nessuno è venuto a mangiarmi. Ci siamo divertiti, anche se è stato un lavoro faticoso. Le foto col pesce spero di dimenticarle presto. La dieta? Da allora, non sono mai più entrata in un discount. (sb)
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Da dove ha origine il tuo interesse artistico per il cibo? Sin da quando ho ricordi sono sempre stata attratta dalla grafica e dall’illustrazione pubblicitaria sul cibo. L’arte “promozionale” mi ha sempre interessato, e quella specifica sul cibo, piena di gusti e sapori, mi colpiva moltissimo. Il cibo ha un impatto diretto sulle nostre vite. Ci può piacere, o magari lo evitiamo, ma, prima o poi,
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bisogna averci a che fare. È il nostro motore, la nostra energia: mangiare per vivere… e vivere per mangiare. In passato hai lavorato sulla serie a cartoni animati Catscratch. Che esperienza è stata? Occuparmi dello sviluppo di animazioni mi ha insegnato molta disciplina e mi ha aiutato a collaborare con altri artisti. Mi ha
spinto a essere creativa in modi diversi. Sono stata influenzata dall’animazione, perciò è stata un’ottima esperienza muovermi all’interno di un mondo che mi aveva sempre incuriosito. Penso che l’animazione sia un’espressione artistica complessa e affascinante. Ci sono così tanti elementi che devono andare a posto in maniera armoniosa prima di ottenere l’opera finale...
pagina precedente: Sinister Sweets; in alto e in basso: The Radish e The Garlic; a sinistra: Hot Diggity Dog; a destra: Your Dairy Pals.
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I tuoi lavori fondono elementi “carini” a dinamiche decisamente horror e adulte. C’è il piacere di mangiare, ma anche la paura d’essere mangiati. Arance preoccupate di essere spremute, torte monche di fette golose, giovani cuoche assassine! Natu-
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ralmente penso ci sia anche molto humour… C’è qualcosa di selvaggio e barbarico nell’intero processo di cibarsi, che si tratti di mangiare un animale morto o di bollire delle verdure. Il consumo di cibo da parte dell’uomo sembra sempre
associarsi all’uccisione di un altro organismo vivente. Questi temi tendono a manifestarsi nell’arte pubblicitaria associata al cibo in forme ironiche o da commedia dark. Di certo cerco di amalgamare questi ingredienti nei miei lavori.
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noirnouar.com qui accanto: You Satisfy Me; nel box: Apple.
I tuoi dipinti hanno un forte legame con l’immaginario visivo tipico di molti cartoonist attivi nelle prime decadi del secolo scorso. Penso ad esempio a Vernon Grant. Quali sono state le tue influenze? I rimandi all’animazione e alla grafica della metà del secolo scorso sono inconfondibili nel mio lavoro. Ma cerco di non limitarmi alla personificazione del cibo, o a renderlo semplicemente antropomorfo. Nella pentola finiscono anche i legami tra i personaggi. Li uso per raccontare le relazioni e le interazioni tra le persone che ho conosciuto nella mia vita. Qual è la tua impressione della scena attuale del pop surrealismo? È ancora vitale? Pensi che ti si addica come definizione (se mai un artista ne avesse davvero bisogno)? È difficile classificare un artista in una sola categoria. Mi considero certamente surrealista e credo che la scena sia ancora vitale. Amo definire un’idea e renderla visivamente attraente. Mi piace che gli oggetti dei miei dipinti sembrino vivi al punto che chi li guarda senta la voglia di afferrarli e dargli un morso. Questo è un elemento che i fruitori d’arte ancora apprezzano. Comunque mi importa poco della classificazione del mio lavoro, sono molto più interessata a trasmettere molteplici livelli di lettura e a evocare una reazione emotiva in chi guarda. Quali sono i tuoi artisti contemporanei preferiti? Non solo in ambito pittorico ma anche in altri media come cinema, letteratura, musica… Può essere interessante scoprire le connessioni e gli interessi che hai nei confronti di altri “creativi”.
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La mia principale fonte di ispirazione è tuttora il cinema d’animazione. Trovo questa espressione artistica così piena d’energia e di stimoli... Sono anche una grandissima fan dell’autrice e comica Amy Sedaris. Amo i film di David Lynch: sono disturbanti e poetici al contempo. Quanto alla musica, devo dire che i The Cramps sono probabilmente il mio gruppo preferito di tutti i tempi: includono un “pacchetto” artistico completo! Possiamo dire che la tua carriera è ancora in una fase iniziale. Come cominci a lavorare a un nuo-
vo progetto. È qualcosa che nasce “definito e pianificato” oppure acquista identità in corso d’opera? C’è un grande lavoro preparatorio per mettere insieme un filo conduttore per ogni mostra. Faccio molti schizzi ma seleziono solo le immagini che funzionano bene l’una in relazione con l’altra. Cerco di realizzare una serie di dipinti che rappresentino nel loro insieme l’idea che voglio esprimere. Ad esempio i quadri dell’attuale mostra alla Dorothy Circus Gallery di Roma raffigurano personaggi divertenti e inquietanti che ben catturano il tema gastronomico.
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Nelle tue opere c’è l’intento di muovere una critica nei confronti dei disordini e delle cattive abitudini alimentari? Obesità, fast contro slow food, l’ossessione del consumismo dell’adipe… I miei dipinti hanno poco a che fare con la critica di un qualche disturbo dell’alimentazione o di malattie legate al cibo. Sono più incentrati sugli specifici comportamenti sociali degli esseri umani.
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Due domande come digestivo. La prima è relativa al tuo nome, “Nouar”, piuttosto inusuale. Tu stessa lo associ spesso, a partire dal tuo sito, al termine “noir”. Credo che sia rivelatore della tua natura artistica e umana: dolcezza e oscurità… Questa è una domanda che mi rivolgono spesso! Nouar è il mio vero nome. Mia madre mi ha chiamata così riferendosi a un’antica divini-
tà armena, uno spirito dell’acqua. Almeno questo è quello che mi ha raccontato... Comunque è davvero ironico e appropriato che “noir” sia anche la parola francese che indica il “nero”, considerando che il mio lavoro contiene un lato così oscuro. C’è un cibo che ti disgusta e che non “ritrai” mai? Odio i capperi... e i carciofi!!!
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A LAURA WÄCHTER WO T DUO SHOW 5 FEBBRAIO – 2 APRILE 2010
«Man ist was Man isst». Con questo gioco di parole, secondo il quale «L’uomo è ciò che mangia», il filosofo tedesco Ludwig Feuerbach esprimeva nel 1862 un concetto destinato a imprimersi a lungo nella storia della cultura. Nato come netta opposizione alle teorie idealiste, il motto «Noi siamo quello che mangiamo» ha avuto molta fortuna poiché facilmente utilizzabile in molti campi dell’esistenza umana, grazie alla capillare presenza del cibo o di riferimenti ad esso in ogni aspetto della vita materiale o spirituale. Dal «Panem et circenses» per placare l’antica plebe romana al «Fate l’amore con il sapore» della pubblicità televisiva, passando per le “grandi abbuffate” del cinema, il cibo si fa metafora dell’amore, della passione, della cupidigia, dell’indulgenza e della pulsione attiva nei confronti della vita. Tutto questo, unito alla sua presenza nelle occasioni sociali, private o pubbliche, e alla connessione indissolubile con l’eros, trasforma il tema del cibo da apparente soggetto di genere a potenziale filo conduttore di molte interpretazioni dei fenomeni della vita. «Ho fame di te», «il pepe dell’amore», «gli appetiti sessuali», «gli ingredienti del
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rapporto di coppia», «la mangiatrice di uomini» sono solo alcuni dei numerosi esempi di come il linguaggio usato per descrivere uno degli elementi principi dell’esperienza umana, l’eros, si avvalga molto spesso di prestiti lessicali di tipo gastronomico. Il cibo con i suoi svariati colori, le sue forme mutevoli e accattivanti, rappresentato sia nella sua oggettività che nelle sue allusioni, è il punto di partenza da cui si può tratteggiare l’immagine di un universo meraviglioso, un “Wonder-Food World”, degno di un posto d’onore anche nel mondo dell’arte. E What a WonderFood World è proprio il titolo del duo-show di Nouar e Laura Wächter, in scena alla Dorothy Circus Gallery dal 5 febbraio al 2 aprile 2010. Nouar è la giovane artista iraniana di cui avete appena letto l’intervista. Laura Wächter è invece una scoperta della Dorothy Circus Gallery. Ha solo ventidue anni e viene da Malaga, Spagna. È una talentuosa illustratrice, con un occhio critico e tagliente verso il mondo contemporaneo. La Dorothy Circus Gallery imbandisce la sua ricca tavola con una mostra irresistibile, in cui anche i palati più esigenti potranno essere soddisfatti.
DOROTHY CIRCUS GALLERY Via Nuoro, 17 • 00182 Roma Tel. 06 7021179 • Cell. 338 9499432 dorothycircusgallery.com info@dorothycircusgallery.com
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di Alessio Trabacchini
welcome to the
Donner (tea) PARTY
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Un tea party può diventare un evento misterioso, sensuale, inquietante: tazze e piattini prendono vita, mentre i personaggi umani la nascondono dietro maschere che prendono il posto dei volti. Nella tua opera, bere e mangiare cessano di essere atti naturali per rivelare un complesso intreccio di relazioni. Davvero è così labile il confine tra noi e gli oggetti inanimati che usiamo? Nome: Ronit Baranga Età: 36 anni Paese d’origine: Israele Studi e lavoro: Laureata in psicologia e letteratura ebraica all’Università Haifa (Israele), ha studiato Storia dell’Arte all’Università di Tel-Aviv e Arti Pratiche al Bet-Berl College, Scuola dell’Arte HaMidrasha (Israele). ronitbaranga.com
Quest’opera racconta come si evolvono le relazioni tra un servizio da tè e le figure umane che lo usano. Il servizio da tè si è trasformato, le dita umane gli permettono di esprimere i propri desideri e di ridefinire il rapporto tra gli oggetti che vengono usati e gli umani che li usano. Ora l’oggetto può decidere se lasciarsi usare oppure no e, come in questo caso, andarsene. Le tre figure che indossano maschere senza vita stanno celebrando una specie di cerimonia del tè. Le maschere hanno una bocca umana che stabilisce un legame indissolubile con la figura vuota che le indossa: la maschera e il corpo sono una cosa sola. Per me la bocca è la porta del corpo, l’ingresso attraverso il quale il cibo entra e il linguaggio esce. Rappresentando tre donne cave che cercano di inserire cibo nel proprio corpo usando tazze e tazzine vuote e in fuga, ho cercato di comunicare l’inquietudine di un desiderio inappagato e una buffa incapacità. Il mio lavoro è al confine tra la vita concreta e l’irreale. Questo mi permette di esprimere emozioni complesse creando scenari di immagini incompatibili fuse insieme (tazze con le dita, maschere con bocche umane, personaggi cavi e senza testa che indossano maschere, tea party con tazze vuote). Credo che queste fusioni riescano a muovere sensazioni forti. Gli osservatori di solito reagiscono subito: possono provare entusiasmo o inquietudine, ma non rimangono indifferenti. La mia speranza è che un’aspra reazione fisica conduca poi a riflettere sull’idea alla base dell’opera.
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di Filippo Brunamonti
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MANGIARE UOMO E Dio disse: «Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza, che domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra». Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò […] Allora il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente […] Poi il Signore Dio disse: «Non è bene che l’uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile». Allora il Signore Dio fece scendere un torpore sull’uomo, che si addormentò; gli tolse una delle costole e rinchiuse la carne al suo posto. Il Signore Dio plasmò con la costola, che aveva tolta all’uomo, una donna e la condusse all’uomo. Allora l’uomo disse: «Questa volta essa è carne dalla mia carne e osso dalle mie ossa. La si chiamerà donna perché dall’uomo è stata tolta». Per questo l’uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne. Ora tutti e due erano nudi, l’uomo e sua moglie, ma non ne provavano vergogna. (Dal Libro della Genesi)
La temperatura emotiva di un corpo mangiato (vivo, morto, decomposto, transitorio, risorto) è l’interregno circuitale della più grande abbuffata cannibale mai perpetrata. Ovuli, madri, uteri dati in pasto alla scienza: come fossero surrogati. Festival di Sanremo completamente sordi e antropofagici. Manifesti a forma di coscienza e melodie spermo-aforistiche. Amazzoniche genti sotto falso nome, diagrammate da quel computer quantistico che è il cinema. E nuovi mezzi privilegiati, Internet indubbiamente, per assecondare il kit cannibale degli interesL’articolo è illustrato dalle opere di Linguamara. in apertura: Cruda Carne; a destra: in alto Polare Rosso e, in basso, AboMique; in chiusura: Satan Cat.
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si nostri. E tavole saturnine, ove – non importa come – sta scritto tutto. Ove tutto è votato all’appagamento dello stomaco e alla sua putrefazione. Molto prima della Genesi. Il cannibalismo è radicato nella cultura ed è un bene inteso come esprit du corps. Ha una placca d’odio apparentemente priva di significato, se non per il primordiale concetto e per l’opulente esigenza di fame. Schopenhauer direbbe che il cannibalismo aforistico è privo di significato come il numeratore di una frazione priva di denominatore. Nella deriva dell’anatomia e della sazietà, si deve dar ragione al monito di David Cronenberg: «Non è stata ancora elaborata un’estetica per l’interno del corpo, non più di quanto abbiamo sviluppato un’estetica della malattia. La maggior parte delle persone sono disgustate… ma se si sviluppasse questa idea, essa cesserebbe di essere orrenda. Sto tentando di spingere il pubblico a cambiare il senso estetico». Bisogna necessariamente annodare quest’istinto di fede per capire come il cannibalismo, dalle tribù amazzoniche alle forme artistiche e agli istinti intellettuali odierni, rappresenti in qualche modo un nuovo linguaggio d’avanguardia, e ribalti, dalla pittura alla musica, passando per il grande schermo, il concetto di estetica convenzionale. È uno dei principi chiave contenuti in Fenomenologia della percezione di Merleau-Ponty, che vuole rimarcare l’inscindibile legame mente-corpo con l’idea di una tassonomia epidemica che classifica e scompone la complessità dell’individuo in semplicità tecnoutopiche. Per guardare al cannibalismo non occorre saccheggiare Foucault e il suo principio della mathesis universalis in grado, fin dal 1619, di inaugurare una riforma del sapere basata sulla quantificazione
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geometrica dello scibile umano. L’istinto e l’antiumanismo cannibali sono da sempre sottratti alle circolarità dell’ermeneutica, accogliendo e metabolizzando il salto epistemico di un artista come Matthew Barney, che nel suo ciclo Cremaster mostra la pornografia e l’orrore sollecitando, appunto, il cremasterico pulsionale. Il corpo e le sue espressioni sportive, riconducibili al mito classico dell’eroe nell’antica Grecia, spostano la narrativa del cannibalismo verso una mutazione diegetica di stimolorisposta, dove non sempre la risposta ha una sollecitazione, e dove quasi mai la sollecitazione è seguita da un’epica risoluzione.
per impedire il conformismo e la standardizzazione del proprio ego: dalla chirurgia plastica di Orlan all’Arte Carnale, dalle Antropometrie dell’epoca blu di Klein, dove il corpo si sostituiva al pennello, alle performance auto-cannibali di Vito Acconci, Gina Pane e Chris Burden, per approdare al sinergismo cibernetico di Stelarc. «Posso vedere il mio proprio corpo aperto senza soffrire! Posso guardare fin dentro le mie interiora, un nuovo stato del guardare. Posso vedere il cuore del mio amante e il suo splendido disegno non ha niente a che vedere con sdolcinatezze simboliche. Cara, amo la tua milza, amo il tuo fegato, adoro il tuo pancreas e la linea del tuo femore mi eccita» (dal manifesto de L’Arte Carnale). Estrema, ambiziosa pretesa di portare l’arte corporea nelle fauci del cannibalismo è la cosiddetta Body Bakery, figlia di quella body art che giudica anacronistica la celebre profezia «Tu partorirai nel dolore», come Artaud voleva sfidare il giudizio di Dio. Massimo esponente della Body Bakery: Kittiwat Unarrom, 28 anni, artista tailandese della provincia di Tarchaburi. Unarrom scolpisce e
dipinge un pane commestibile, prodotto nella panetteria di casa, donandogli la forma di teste recise dal collo, piedi sanguinanti, interiora. Ingredienti: impasto standard, resine naturali, anacardi e talvolta cioccolato. Il mondo ultrapiccolo della cucina-atelier, secondo Unarrom, mette le mani su una simulazione filosofica dal sapore buddhista che suona così: «Quello che vedi potrebbe non essere vero quanto ciò che pensi». Dalla dimensione controintuitiva e visionaria della nota carovana Donner alla pittura egoteistica di Goya, Saturno che divora uno dei suoi figli. La pittura, la filiazione e l’arte culinaria più obbedienti alla tirannia del morso coinvolgono il fruitore nel girone stomachevole del cannibalismo quando si tramutano a sufficienza in cinema. Hannibal Lecter, rinchiuso e poi a piede libero per Firenze, è un raffinato cuoco cannibale con identità umane, musicali, animali, macchiniche, aliene, minerali. Un cannibale che, nelle pagine di Thomas Harris, chiede un mangianastri con le Variazioni Goldberg suonate da Glenn Gould, per inciso. Con Delicatessen, Jean-Pierre Jeunet e Marc Caro avvertono lo stato di confusione sociale e organico, esaltando ogni più bieca inadeguatezza o qualsiasi scostamento dai canoni di alimentazione omologata: in un trans-spaziotempo “X” il cannibalismo potrebbe persino essere normalizzato, ci dicono gli autori. Le grandi funzioni organiche, a lungo represse, celate, tenute sottodenti, non duplicano più la tendenza medievale del rifiuto del corpo altrui. Così come in Cannibal Holocaust l’espediente del documentario verso le ferite, verso le eruzioni della fame e del derma, serve a Ruggero Deodato a riflettere sull’eidomatica che ha generato una rivisitazione della caccia umana e a gettare una potente pietra tombale sull’inevitabile sentirsi a disagio dopo aver mangiato il corpo degli altri.
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Nel lavoro di MATTIA PACO RIZZI aka LINGUAMARA emerge un’originale espressione Pop al confine tra sogno e incubo; il bello è in un cronico duello con il brutto. La femminilità è uno dei suoi campi d’azione preferiti, sul quale riversa la creatività elaborando continue operazioni artistiche di deformazione e costruzione dell’immagine. Alcuni di questi interventi, come quelli del BodyPainting, sono reali, mentre altri vengono ottenuti con elaborazioni digitali. Questo tipo di operazioni destrutturano la verità della bellezza reale, mostrando un’altra grazia, molto più complessa, introversa e in continuo contrasto con se stessa. L’attenzione si allontana dalla pura decorazione fashion, generata dall’utilizzo del trucco, e si avvicina a un altro approccio espressivo, molto più autentico ed eterogeneo. L’esteticità viene generata dall’utilizzo di materia organica o di materia di recupero; sostituzione al trucco, con il raggiungimento di una più vasta espressività emotiva. Architetto, fotografo, bodypainter e grafico, Mattia si trova ora di fronte alla ricerca del suo habitat lavorativo. Vive e lavora sul pianeta Terra. linguamara.tk
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PROGRAMMA 2010 30 GENNAIO - 3 MARZO 2010 ULTRA EROTICA (group show) Michael Hussar, Zoe Lacchei, John Santerineross, Ken-Ichi Murata Estevan Oriol, Makiko Sugawa, Atsushi Tani, Dorian X 6 - 31 MARZO 2010 NIBA project: CRISTINA FABRIS
3 APRILE - 5 MAGGIO 2010 VISIONARY ART (group show) Greg “Craola” Simkins, Laurie Lipton, Dan Quintana, Naoto Hattori, Mike Davis 8 MAGGIO - 2 GIUGNO 2010 ANA BAGAYAN project: REBECCA TILLET
5 - 30 GIUGNO 2010 CAMILLA D’ERRICO project: KARINE ROUGIER
3-8 LUGLIO 2010 ART-SHAKE FESTIVAL 4 - 29 SETTEMBRE 2010 LOLA GIL + JENNYBIRD ALCANTARA Project: CIOU
2 OTTOBRE - 3 NOVEMBRE 2010 STANLEY DONWOOD Project: CLIVE BARKER
6 NOVEMBRE - 1 DICEMBRE 2010 DANIEL MARTIN DIAZ Project: TSO + INFIDEL
4 DICEMBRE 2010 - 26 GENNAIO 2011 SAYAKA + YUKA YAMAGUCHI + JUNKO MIZUNO Project 1: PAUL ZONE Project 2: GIANLUCA COSTANTINI RAY CAESAR, BANKSY, TREVOR BROWN, SATURNO BUTTÒ, INVADER, AUDREY KAWASAKI, MIGUEL ÁNGEL MARTÍN, ELISABETH MCGRATH, TAKASHI MURAKAMI, OBEY, MAX PAPESCHI, MARK RYDEN, STEN, GARY TAXALI, BOB DOB, JENN PORRECA, JESSICA JOSLIN, NATHAN OTA, SHAG
IN PERMANENZA OPERE E GRAFICHE DI
RAY CAESAR, ARABESQUE, DIGITAL ULTRACHROME PRINT , 101 x 76 CM, 2010
MONDO BIZZARRO GALLERY VIA REGGIO EMILIA 32 C/D - 00198 ROMA - TEL./FAX 06.44247451 INFO@MONDOBIZZARROGALLERY.COM - WWW.MONDOBIZZARRO.NET
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ALCUNI PRETENDONO DI DIRTI CHI SEI SE GLI DICI QUELLO CHE MANGI. SU «BANG ART» BASTA SAPERE DI CHE SEGNO SEI E TI DICIAMO COSA MANGIARE A CENA. IL PROSSIMO TRIMESTRE, CHI PIÙ CHI MENO, CI MERITIAMO TUTTI UN BOCCONCINO SPECIALE.
a cura di Eva Macali illustrazione Anke Weckmann – linotte.net
SCORPIONE (23 OTT/22 NOV) CARBONARA È una ricetta che parla per voi. Dalla salsa con il tuorlo d’uovo alla pancetta saltata in padella vi aspettano tre mesi di stordimento passionale. Ve lo meritate ed è meglio che ve lo godiate fino in fondo. Affondateci la faccia senza dare spazio alle perplessità. La pasta è al dente, voi sapete quando scolarla.
SAGITTARIO (23 NOV/21 DIC) SANDWICH Il conte di Sandwich l’ha inventato per pranzare velocemente tra una partita a golf e un torneo di bridge. È il vostro alimento elettivo, che farcite con vari affettati e creme spalmabili di tutti i colori. Ci sono momenti di gloria, come questo, in cui non è il caso di fare i sottili. Però a come vi hanno imbottito il panino dateci sempre un’occhiata.
CAPRICORNO (22 DIC/20 GEN) ANGUS
ARIETE (21 MAR/20 APR) CACO Vi chiedono l’impossibile: di essere flessibili e trovare le mezze misure. Il caco non c’era da queste parti, ora invece lo coltivate in giardino. Oltre al sapore vi piace perché è morbido e colorato. Sulle prime vi risulta difficile smettere l’armatura. Dopo però ci prendete gusto e cominciate a chiedere a tutti di farvi massaggini alla schiena.
TORO (21 APR/20 MAG) PRALINE Siete tutte amiche e ve ne state nelle vostre belle scatole di cartoncino. Il prossimo trimestre arriva un bambino cattivello e vi cambia di posto ogni 5 minuti. Così, cremini e cuneesi, gianduiotti e trouffle non sanno più da che parte girarsi. Perché? Perché è arrivato il momento di cambiare abitudini una volta per tutte.
GEMELLI (21 MAG/21 GIU) RAVIOLI Siete semplici ed eleganti come una scofanata di ravioli. I prossi-
mi sono tre mesi di preparazione metodica e attenta, che servono a consolidare una posizione faticosamente guadagnata negli anni trascorsi. Attenzione al torpore, che vi coglie quando abbandonate la rondella dentata che vi ha donato il capocuoco.
CANCRO (22 GIU/22 LUG) SACHER TORTE Il vostro prossimo trimestre è come lo strato intermedio con la confettura di albicocche. Ci scivolerete dentro senza accorgervene, e quando ci sarete in mezzo penserete soltanto ad accarezzare la glassa di cioccolato fondente con cui vi hanno foderato. A quel punto, ricordatevi che avete dei parenti e tirate dentro anche loro.
LEONE (23 LUG/23 AGO) SMOOTHIE AL MANGO Già da un po’, anche se vi lamentate, la vita vi sorride come un tramonto in spiaggia alle piccole latitudini. Il trimestre che vi aspetta non smentisce questa tendenza e vi presenta uno smoothie al mango con la fettina
di ananas appena raccolta. Per gli arrosticini al peperoncino non manca molto tempo.
State per diventare una delle razze di carne più celebri al mondo. Solo che ci vogliono ancora 14 anni prima di mettervi sulla brace. Qual è il problema? La vostra perseveranza vi rende famigerati fuori e dentro il sistema zodiacale. Tra eclissi solari e transiti epocali stiamo aspettando di vedere che piega prenderete. Spicciatevi!
VERGINE (24 AGO/22 SET)
AQUARIO (21 GEN/19 FEB)
MAIONESE
SCORZETTE
Siete stati tanto bravi a girare la maionese sempre nel verso giusto che vi meritate una ricompensa. Quest’anno arriverà, alla velocità di un minipimer messo in posizione turbo. Occhio però a non abbassare la guardia perché in primavera con Saturno retrogrado un colpo di frusta nel senso sbagliato vi fa impazzire l’emulsione.
Da una parte la buccia candita e dall’altra il cioccolato fuso. Oramai siete convinti che le due anime si amalgamano solo dopo averle masticate. Non è vero! Le scorzette parlano una loro lingua bionda e profumata che il cacao col suo calore ricambia in un abbraccio amorevole, insieme vi invitano ad abbandonare la visione meccanica delle cose.
BILANCIA (23 SET/22 OTT)
PESCI (20 FEB/20 MAR)
PARMIGIANO
ORATA
Il tempo delle frivolezze è trascorso e vi accorgete che passare dalle rotelle di liquirizia al parmigiano ha i suoi vantaggi. Certo, siete andati in tilt e visualizzate formaggio a pasta dura anche quando siete al gabinetto. Il trucco è staccare la spina e usare un po’ di aceto balsamico. Tornerete chic come siete sempre stati.
L’appetito negli ultimi tempi era talmente forte che questo oroscopo invoca il cannibalismo. Ecco quindi un’orata gigante, fatta al cartoccio, per sublimare tutto quello che avete desiderato (e vi è stato negato) negli anni passati. D’un tratto ve la metteranno davanti, senza manco chiedervelo, con tanto di posateria d’argento.
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nicolegastonguay.com di Luiza Samanda Turrini
MANIDIFATA
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TOYS DA MANGIARE, LECCARE, ASSAPORARE. GLI ARTISTI HANNO SEMPRE LA RICETTA GIUSTA PER FARCI GRIDARE: «FACCIO IL BIS!».
plush, vinyl & paper
ODIO IL DENTISTA!
Cibo che non si può mangiare, cibo da compagnia, cibo con occhioni sgranati e sorrisi da emoticon. Come mai questo motivo ricorrente? Da piccola ero ossessionata dal cibo finto. Me ne andavo in giro spingendo il mio carrellino da supermercato di plastica, con dentro le pappe di plastica. Accompagnavo il mio amico panino e la mia amica pizza a fare una passeggiata. Tutti noi l’abbiamo fatto da bambini, no? Un’altra influenza molto forte è logicamente il design giapponese: una faccina sorridente migliora qualsiasi cosa. Esercizio di precisione, ipnotico passatempo della nonna, o arte antica radicalmente femminile da riscoprire con una massiccia spolverata di ironia. Come vivi la tua tecnica? L’uncinetto è ognuna di queste cose. E, a parte questo, è una pratica che considero molto zen, mi pulisce la testa. Ma questo solo quando il pezzo viene fuori senza intoppi. Dato che sono completamente autodidatta, mi incasino un sacco. E quando mi incasino, be’, sono molto poco “nonna-style”. Se lowbrow è fede nei poteri magici, ricerca della vita nascosta degli oggetti e nostalgia dell’infanzia, tu ne fai parte? Tutto quello che so è che la mia arte non sarà mai intellettuale, né lo sarà mai considerata. E questo mi va molto bene.
«Quando ero piccola, mettevo i miei denti da latte sotto il cuscino e si trasformavano in monetine. Ma dove finivano quei dentini? Un giorno ho sentito bussare alla porta ed eccoli là... Ora vivono con me e affrontano mille avventure nel mondo del cibo, delle carie e delle diete». Questa è la storia che ci racconta Inhae Lee su mymilktoof.blogspot.com
SAN DUNNYELE Dicono che l’affettato 5J sia il più gustoso del mondo. Perché il San Daniele dove lo metti? È “un” zucchero! Comunque l’artista spagnolo Okrabelo ha customizzato dei Dunny di Kidrobot e ci ha tolto la sete... col prosciutto! okrabeloart.com
WAFFEL POWER Mmh, waffel... Sono fragranti e nello stesso tempo soffici, li addenti e sei subito perso in un mondo ipercalorico! Micci è un orso croccante fuori e morbido dentro, sarà per questo che lo ricoprono di cioccolato, burro e gelato. Lo ha impastato Erick Scarecrow. erickscarecrow.blogspot.com
Chi ascolti mentre lavori? Gli Esquivel e i They Might Be Giants sono quelli che si intonano meglio allo spirito dei miei pezzi.
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frizzi frizzi
Ogni giorno dritte su cosa comprare, che siti visitare, che brands acquistare per il proprio negozio, di cosa parlare sul proprio blog o sulla propria rivista patinata, o solo per ammirare un po’ di “frizzi” Alcuni articoli di queste pagine sono estratti dal sito frizzifrizzi.it, gli altri sono esclusive BA!
cool stuff for our taste – di Simone Sbarbati
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I’M GONNA EAT FOREVER!
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1. Yummy Jewel C’è chi butta la pasta, e chi non la butta e ne fa anelli e necklace. Il pentolone del web è stracolmo di ninnoli e gioielli, più o meno eleganti, a tema gastronomico. Gnam! danielnagels.com lucyfolk.com “food jewel” su etsy.com
2. Scanwiches
hili in sette m c i Fo tte da partersenoè stunrap, riso’pruetde n
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l’adipe tiamo Però, detto e chi se ne fa carico. fra A METÀ MAT noi: SMETTILA DI FARTI TINA UN KEBA CHIUDERE IN BE UN’INTERA C BELLEZZA OGNI CEN DI A CON AS SA TA SICILIANA! tiva guarda In a fattelo bast ti questo sito tutti i giolternaare! thisisw rni, e hyyourefat.c om
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Per chi pensa che un panino tagliato in due e passato su uno scanner sia più sexy di un’orientale nuda vestita da cuoca stesa sul lettino di uno psicanalista belga. Forse è un nuovo modo per scaldarli? scanwiches.com
3. Aiuto, Chef! Le opere della californiana Brandi Milne sono come le pietanze di un aiuto-chef: seguono prima di tutto gli insegnamenti dei grandi (in questo caso Camille Rosa Garcia). Arriva poi il giorno in cui si inizia a cucinare con le proprie mani, e quel giorno per Brandi è vicino... brandimilne.com
4. Arte Tartara Un’arte al sangue quella di Victoria Reynolds, non c’è che dire.
5. Vino per Luchadores Prima di salire sul ring a prenderle di santa ragione da El Santo, fatevi un cicchetto: annebbierete la vista e gli schiaffoni vi sembreranno più divertenti! morningbreathinc.com
6. Crematino & MAXXI Bon Le foto di David Sykes potrebbero avere come sottotitolo “il carretto funebre gridava gelati!”; e poi, per la serie “mi metto a fare le mie sculture solo quando ho una fame boia”, ecco gli ice cream da muro di Peter Anton. davidsykes.com peteranton.com
Lucky You ©Brandi Milne
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Stupisci con una cena molecolare a base di palline simil-caviale al sapor di rognone e cosciotti di manzo! Molecular Gastronomy su thinkgeek.com
Avete presente la scena dei biglietti da visita di American Psycho? meatcards.com
Eugene e Louise
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L’Eugene and Louise Bakery è una pasticceria immaginaria: creazioni in marzapane a modello delle illustrazioni dei due creatori del progetto. Ci offriamo come volontari per divorare i loro buffi personaggi dopo le mostre… eugene-and-louise-bakery.be © Reynolds/Richard Heller Gallery
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Ice Cream Smile ©Brandi Milne
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frizzi frizzi
Sei hai il frigo quasi vuoto, tanto vale provare a buttare in padella ingredienti a caso! chopped.heroku.com
cool stuff for our taste
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8 ANDY MANGIA UN HAMBURGER
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Un hamburger, del ketchup, Andy Warhol: ed è subito videoarte. Che spasso i suoi epigoni “buffoni”! “andy hamburger” su youTube
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7. Jelly San Francisco
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Con la gelatina si possono fare tante cose, anche le città. Liz Hickok ha riprodotto l’intera baia di San Francisco, nebbia compresa (col ghiaccio secco!). lizhickok.com
8. Etichette Set Non si sa mai che ti trovi in un ristorante vecchio stile e superchic e hanno finito i coperti. edvince.co.uk
9. 200 +, 200 – Da stampare e tenere nel portafogli prima di commettere il prossimo peccato di gola, perché 200 grammi vi appariranno nelle forme più disparate, ma saranno sempre 200 “grassissimi” grammi! wisegeek.com/whatdoes-200-calorieslook-like.htm
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10. L’ultima cena Nella serie Last Supper, la fotografa Celia A. Shapiro ci serve le vere richieste dal menu di commensali nel braccio della morte. Rimangono sullo stomaco.
11. Monster vegetables & weird fruits from other space A volte la natura fa meglio (o peggio) di Photoshop. Pomodori quadrati, fragole a grappoli, funghi siamesi. Strani e inquietanti aborti di Madre Natura raccolti, fotografati (chissà se anche mangiati) da Uli Westphal. uliwestphal.de/mutatocollection
12. Foodscapes «Qui una volta era tutto castagna!»; «Saluti dalla pianura panata!»; «Baci dalle Isole Sushi!». Frasi da cartolina, se sulla cartolina c’è stampato uno dei panorami di cibo ricreati da Carl Warner, e subito graditi alle agenzie pubblicitarie. carlwarner.com
IL PIATTO È SERVITO! Se non ve la cavate bene coi fornelli, almeno servite le pietanze che fanno pietà su piatti dal gusto impeccabile! staurato. eli il design re Finisci tutto e sv at sarahcih .com
Per mang iare dava nti/sulla/d alla TV. soop-gro up.com
e sorridenti. Con rilievi per zupp rfood.htm ou /dontplaywithy jamiewieck.com
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a cura di Dan Goodsell
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È come una fame atavica. Non si è mai sazi, si trova sempre spazio per un altro assaggino, un altro “pezzetto” ricercato da tanto, impossibile da trovare, che solo noi possiamo capire e finalmente conquistare. Questo è il collezionismo, gustosa mania. DAN GOODSELL lo sa bene, e, collezionista buon gustaio, ha deciso di riportare alla luce, nella sua vastissima raccolta, l’infinito e coloratissimo immaginario dell’American Food (fast o slow, poco importa). Tra packaging, ADV, flyer di supermarket e fotografie rétro, il suo è davvero un sito da leccarsi i baffi. (SB)
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di Paolo Di Orazio
IL NESSO COASSIALE DELL’ALIMENTAZIONE COME INDUSTRIALIZZAZIONE COATTA DELL’ESISTENZA UMANA.
dacci oggi il nost
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Gli italiani puntano tutto sul cibo. Ereditari dell’oppressività materna ingozzatòria, nevro-folklore isolato nel pianeta, sono esigentissimi. Taccagni, lamentano crisi: aprire il portafoglio è una dolorosa divaricazione anatomica, eppure affollano bar e ristoranti per abboffarsi come cani. Istituzionali le cerimonie religiose e professionali, come pure quelle socio-affettive, che necessitano del suggello patromatriarcale masticando e introiettando in collettività. Memori di dimenticare che non si parla mentre si mangia, anche le loro maledette perverse pulsioni psicopatologiche si cibano del cibo in un vortice di silente autodistruzione superomi-
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sta. È il prodotto massimo delle proiezioni freudiane: [de]nutrire l’Ego, mandare in autodigestione colui al di là del corpo materiale. Tutto questo altro non è, naturalmente, che la velatura di superficie, il comparto vigile e osservabile di una conditio sine qua non che sfocia nel trend, nel design e nel trash catodico. Si ignora, per volontà, disinteresse o ignoranza, l’anticamera o meglio il fondamento occulto dell’attività gastroalimentare. Attratti dall’osservatorio telematico YouTube, quelli che osano ficcare il naso nelle retrovie industriali del cibo se ne sottraggono come da un oblò sulla sala settoria di un istituto di terz’ordine.
Dio c’è ma è fuori a pranzo! Il cibo stesso è un personaggio televisivo, una popstar virtuale dall’aspetto patinato e rassicurante, immortale celebrazione artistica che ci allatta coi suoi propagatori di lobotomia di massa (ricchi premi e cationi). È una sorta di Jacko, lo vedi apparire in TV sempre circondato da bambini festanti che lo adorano. A volte preferisce essere accompagnato da una sorta di babbo-natale-faccia-di-culo che porta in tavola tortellini la cui origine risiede in campi agricoli contaminati. Per la gioia dei ragazzi diffonde macine e nastrine cariche di particelle metalliche. Chissà
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quel pollo, per essere così tenero e rotondo, con quali torture robotiche è stato processato. Il cibo se le inventa tutte, per nascondere il mostro che è. OGM, domani N? Chissà. Sfruttando i dettami della PNL, intanto si dà un’incipriata in post-produzione per somigliare al Gladiatore di Ridley Scott, visto che il grano per fare la pasta più buona d’Italia è immigrato con una partita radioattiva dal Canada. Innocenti ragazzine quattordicenni pascolano per la valle degli orti viventi, tra mucche dalla personalità risolta che ascoltano musica o fanno la doccia (prima di essere imbottite di sostanze farmacologiche, pa-
stoni di carne, stramunte meccanicamente, deportate e abbattute con violenza), per capire come fanno ad avere la maturità con una quarta di seno prima del diploma. Il maiale non scopa con l’eleganza di un riccio, è gonfio di testosterone: cromosomicamente ci somiglia (mangerebbe di tutto), ma forse col suo fiuto potrebbe intuire che il tonno in scatola è un delfino ucciso a bastonate. Se Cristo, Allah o Maometto tornassero tra noi per un upgrade ontologico, si lascerebbero invitare a pranzo o dovremmo pregarli (in un ultimo spasmo di onesta ipocrisia) di venire già mangiati?
Our Daily Bread Il pasto è finito. Vi siete saziati allo scoppio. Ora prendetevi novanta minuti e provate a digerire Our Daily Bread, documentario dell’austriaco Nikolaus Geyrhalter. Sarete deportati in gironi gastronomici di produzione sistematica e vi verrà insudiciata l’anima dal passato industrializzato e pigolante del cibo che avete appena ingurgitato. Campi di concentramento bovino, ovini nel braccio della morte, mari di sangue ittico. Vigilano gli sguardi vuoti della bestia uomo che, una volta macellato il cibo, se lo ritrova nei vassoietti della mensa in pausa pranzo.
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Le mappe a un certo punto si interrompono. Le guide non servono più a nulla, come se qualcuno avesse strappato via pagine essenziali. Non sappiamo cosa farcene dei racconti di seconda mano, di generici consigli per la visita, delle attrazioni “da non perdere”.
Pensavamo di poterci accontentare dell’evidenza, ma la città ci ha ricordato che ben prima di diventare pietra o cemento è stata un’idea. Quintessenza di pensiero e desiderio, moltiplicata per ogni essere umano che lì e non altrove, per un’ora o per sempre, ha trovato il suo posto nel mondo. La città ci ha scovati nella folla, chiamandoci per nome. Ora anche noi siamo versi della sua elegia, capitoli della sua storia più o meno memorabile. Siamo parti dell’anima che tiene insieme un corpo – strade come vene, luci come neuroni, passi come battito cardiaco. I nostri volti sono riconoscibili nell’immensa foto di gruppo, quella che nessun turista riuscirà mai a scattare.
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in questo articolo presentiamo le opere di Andrew Hem. pagina 40: Bigger Than; sotto: Blend in; a destra: in alto 7 Reasons e, in basso, Relax.
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Inizia un nuovo viaggio, verso il punto in cui il DNA urbano ha iniziato a concatenarsi: una piazza, l’ansa di un fiume, una scuola, il mercato dove un tempo si davano appuntamento carovane e giocolieri. Un tempio più volte riedificato, con tenacia incrollabile. L’affresco che splende nell’ombra di una cripta, bagliori di oro bizantino e blu cobalto. Il porto degli eroi e degli assassini. La fabbrica. Il palazzo del potere. Una stazione fin de siècle, campate di vetro e ferro battuto a perdita d’occhio. Il castello aggrappato a una rupe dalla pendenza impossibile. Il vicolo superstite dietro la skyline.
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Stranamente il tempo non pretende di essere misurato, come se facesse un’eccezione per noi. Procediamo senza fretta, tra sorprese e déjà vu, mentre la città ci trasmette man mano qualcosa di sé, per rivelarci in realtà noi stessi. Ci apre le stanze nascoste, oltre il salotto buono e i locali for tourists, mostrando i suoi segni particolari; in cambio rovista indisturbata nelle pieghe delle emozioni e della memoria. Camminiamo sfiorando i portoni, le vetrine, la gente affaccendata nel grande gioco della quotidianità. Ci lasciamo avvolgere dal rumore di sottofondo, voci e suoni come strumenti di un’orchestra che non smetterà mai di accordarsi.
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ANDREW HEM Influenzate tanto dalla cultura della nativa Cambogia quanto dal melting pot di Los Angeles, le illustrazioni di Andrew mostrano gruppi di personaggi metropolitani fortemente caratterizzati. Aggrovigliati o intrecciati, questi gruppi si muovono fluidamente attraverso ambienti immobili, strade urbane o paesaggi decisamente rurali. Una quieta energia permea il suo lavoro, dando all’osservatore e all’osservato la possibilità di scambiarsi continuamente di ruolo. L’esperienza di Andrew come writer emerge nell’uso del lettering che spesso assume dimensioni fisiche. Il suo lettering dimensionale, di ispirazione multietnica e a volte puramente nonsense, lo si può trovare stretto tra le mani dei personaggi o seguirlo mentre tesse la propria via attraverso la trama e gli ambienti delle illustrazioni. andrewhem.com
sopra: The Wizard Will See You Now; a destra: New Chapter.
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E intanto, passo dopo passo, tutto acquista un nuovo significato. Il tintinnare dei cucchiaini in un bar. Le intermittenze del traffico e della folla. La radice che gonfia l’asfalto. Lo sguardo che chiede di essere incontrato. La mezza bottiglia di vino dimenticata su un davanzale. Il gatto in meditazione trascendentale, come una gemma tigrata posata per sbaglio sul prato, il naso proteso al vento di primavera. È come se il percorso fosse stato preparato apposta per noi. Costellato di segnali da interpretare. Di barlumi rivelatori, in un vortice di immagini e di immaginario. Più ci addentriamo nel microcosmo urbano, nelle sue infinite possibilità di attrazione e repulsione, più ne assorbiamo la sostanza. Diventiamo, volenti o nolenti, complici della bellezza e della bruttezza, dell’omologazione o del genio irripetibile. Non c’eravamo quando furono gettate le prime fondamenta della metropoli madre del mondo o del borgo dilatato a dismisura, che ha un centro commerciale agghiacciante come unica Stella Polare. Non siamo stati noi a scolpire i magnifici animali grotteschi sulle colonne della cattedrale, a progettare le cupole, a lastricare i cortili di maioliche moresche. Non abbiamo estratto le guglie dai blocchi di marmo, né messo a dimora gli alberi nei parchi. E ugualmente, non siamo gli artefici dei quartieri in forma di incubo, nati già ruderi, dove le sole stimmate del tempo sono le chiazze di rogna sui muri. Eppure tutto adesso ci appartiene, perché siamo dentro a una particolare rappresentazione del mondo. Dentro a un teatro dell’umanità differente da qualsiasi altro, perfino quando ogni forma di originalità o di sogno è stata apparentemente bandita dai suoi confini. La città ci ha chiamati ad aggiungere idea all’idea; possiamo amare o odiare ciò che lei offre, detestare la sua ambizione o la sua rassegnazione. Ma non possiamo evitare di guardarla con i nostri occhi, che forse la vedranno come mai altri prima d’ora. Entrare è già metamorfosi.
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n’intervista a Marie Blanco Hendrickx
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a pagina 46: Ritratto di famiglia n°1; sopra: Marie B. Hendrickx aka Mijn Schatje fotografata da Nicola Delorme; a sinistra: Rio e, a destra, Stardust.
persone. Le nostre storie sono ciò di cui siamo fatti e ciò che ci rende unici.
Sei molto giovane ma le tue paper dolls sono conosciutissime nel mondo dell’arte e dell’illustrazione. Vorrei chiederti di iniziare questa intervista parlandoci del progetto più recente, Storytelling… Negli ultimi anni ho fatto due mostre personali, una ad Amsterdam, alla KochxBos Gallery, e un’altra a Parigi, alla Brugier Rigail, la mia galleria permanente in Francia. La prima si chiamava
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The Day I Got Lost e si focalizzava sul mondo dell’infanzia, anche la seconda seguiva quel tema, ma con un punto di vista più narrativo. I miei ritratti si sono arricchiti di nuovi dettagli e sfondi più complessi che hanno conferito ulteriori indizi sulla storia di ogni personaggio. Il tema “storytelling” è stato scelto perché sono appassionata di fiabe fin da quando ero bambina e perché ho sempre amato ascoltare i racconti di vita delle
Molti illustratori indicano la loro infanzia come il momento chiave in cui hanno deciso di diventare artisti e durante il quale hanno individuato, attraverso i loro disegni infantili, i tratti principali dei futuri lavori. Quando pensi alla tua infanzia ritrovi un momento significante che ha influenzato la tua decisione di dedicare la vita adulta alla creazione delle paper dolls? Sono stata una bambina particolare, dal momento che la mia famiglia ha una storia particolare. Tutti i miei nonni provenivano da Paesi differenti, Olanda e Belgio da una parte, Portogallo e Spagna dall’altra. Ognuno di loro ha fatto un percorso speciale, viaggiando con il desiderio di trovare una vita “altra” e migliore per i propri figli. Per questo motivo ero abituata a sentire varie lingue e accenti e i miei genitori hanno viaggiato con me e mio fratello fin da quando eravamo piccoli. Anche per andare a trovare gli altri membri della mia
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numerosa famiglia dislocata in Paesi differenti. Sebbene il mio sia un background modesto, i viaggi e la cultura sono sempre stati molto importanti. Abbiamo vissuto una vita semplice e con pochi soldi ma in continuo movimento; abbiamo conosciuto tanta gente e dormito in tenda per periodi lunghissimi... è stato magico, la miglior esperienza che un bambino possa fare. Non avevamo la televisione, ma molti libri e strumenti musicali. Quando mio nonno divenne concierge e giardiniere in un castello nella campagna francese ho trascorso gli anni più belli e interessanti della mia infanzia. In quel periodo ho letto molto, soprattutto racconti. Il grande castello, il suo giardino e la sua foresta sono diventati il mio parco giochi. Era proprio come nei libri.
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Organizzavamo grandi feste in famiglia e cacce al tesoro nella tenuta. È stato a dieci anni che ho deciso che avrei scritto storie e le avrei illustrate, ed è proprio ciò che ritengo di fare ora con i miei lavori. Ho sempre coltivato questo fertile terreno e volevo condividere con tutti l’esperienza del mondo magico che cresceva nella mia immaginazione. Più tardi ho avuto a che fare con la vita reale degli adulti e ho capito quanto questo piccolo tesoro dell’infanzia fosse più prezioso. Qualcuno potrebbe chiamarla “sindrome di Peter Pan”, che per me va più che bene. Suona carino, no?
Spesso accade che le artiste rappresentino corpi e visi aggraziati proprio con l’intento di investigare l’universo femminile. Le tue creazioni rappresentano il tuo modo di vedere e dire qualcosa sul mondo delle donne in generale, o sono piuttosto una proiezione del tuo mondo interiore? Credo siano entrambe le cose, tutti abbiamo un piccolo mondo, un giardino composto dal meglio di ciò che viviamo, sentiamo e vediamo, come fosse un rifugio nei confronti delle difficoltà della vita. Voglio descrivere proprio questi “luoghi” in cui ti puoi immergere quando la realtà è troppo dura. Non è un mondo che riguarda solo donne, bambini e bambole, è un’utopia, un ideale. Vorrei che chi guarda
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qui a fianco: Devon e, a destra, Hesperata.
biano una grande importanza, come fossero dei simboli. Hanno un significato particolare o sono il naturale completamento di un mondo immaginario? Mi piace comporre i lavori con piccoli e numerosi dettagli perché è un modo di proiettare me stessa nelle immagini. Sono convinta che tutte le cose migliori abbiano bisogno di tempo per essere create, non è un procedimento così spontaneo. Impiego molto del mio tempo a disegnare i capelli, che sono composti da linee finissime, tratteggiate una ad una fino a quando la testa non è completamente coperta. Di solito impiego settimane solo a fare questo, alla fine mi sembra di impazzire perché richiede pazienza, ma d’altra parte è anche una grande fuga, un momento solitario in cui mi concedo il tempo di pensare non solo a disegnare, ma alla mia vita. Alla fine sono solo capelli, ma c’è molto di più dietro. Alcuni dicono che mentre disegnano e dipingono si stabilisce un dialogo tra gli artisti e la propria opera. Quando ti focalizzi tutto il giorno sull’immagine accade qualcosa di magico, il protagonista del pezzo diventa un estensione di te stesso. Si può dire che tutti questi dettagli riflettano ciò che mi viene in mente quando siedo di fronte al computer e comincio a lavorare. le mie immagini si senta come Alice che attraversa lo specchio, proiettato in un mondo alternativo dove ogni cosa è bella, tranquilla e al contempo un po’ strana. Mi è capitato di sentirmi dire che guardare i miei lavori dà pace ed è esattamente ciò a cui aspiro. Weltschmerz è un termine tedesco che descrive il panico che si prova quando confronti la realtà
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con ciò che vorresti fosse. È una sensazione che molti di noi si trovano ad affrontare quando crescono e credo che il mio lavoro come artista sia la mia terapia per curare la mia weltschmerz e le disillusioni. Metti molta attenzione nei dettagli e negli accessori che vestono i tuoi personaggi. Sembra ab-
Hai mai sentito il bisogno di rivisitare o fare un restyling ai tuoi lavori o di spostare l’attenzione su altri soggetti? Penso che sto facendo proprio questo, è un processo lento, che avviene capitolo dopo capitolo. Imparo costantemente dal mio lavoro e dai miei errori e c’è stata indubbiamente un’evoluzione dai primi disegni agli ultimi.
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Attualmente vivi a Parigi. Perché proprio lì? C’è qualcosa che ti ispira in particolare? Parigi sembra essere da sempre la meta favorita per artisti di ogni genere… è così? Al momento sto vivendo in parte a Parigi e in parte in campagna. Mi sono trasferita a Parigi subito dopo gli studi per trovare un lavoro nel campo della grafica. In Francia quasi tutto si concentra a Parigi: i grandi magazine, le compagnie di moda, le case discografiche… quindi non avevo altra scelta che stare qui per incontrare le persone giuste con cui lavorare. Amo davvero questa città così giovane e creativa. Adoro camminare, osservare i palazzi antichi e respirare la bella atmosfera. La zona dove vivo, Montmatre, storicamente è quella degli artisti, puoi percepirne la presenza in ogni pietra. Il problema è il costo della vita e molte persone che conosco si sono già trasferite a Bruxelles o a Berlino perché non riescono a sopportarne lo stress. Per questo vivo in campagna circa sei mesi l’anno. Non solo mi permette di lavorare di più, dal momento che non posso essere disturbata da alcun evento mondano, ma è anche molto più economico, quindi vado a Parigi per lavoro, per i meeting, per incontrare il mio ragazzo, gli amici e i galleristi. Amo molte città e mi definisco, senza dubbio, una “city girl”. New York, ad esempio, è la più fertile e
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vibrante... appena esci dalla Central Station ti sembra di stare al centro del mondo. In America ho adorato anche Los Angeles, sebbene sia una strana città per noi europei, è un posto dove non puoi veramente girare a piedi, data la sua grandezza, e dove ogni cosa è stata costruita per gli automobili-
a sinistra: River Girl; qui sopra: una spilla per lamarelle.net
sti. Le spiagge, i pontili e le differenti zone hanno uno charme eclettico e speciale. Da Venice a East Hollywood, fino alla Downtown, ti senti come se avessi viaggiato da una città all’altra. Una destinazione europea che
mi piace particolarmente è Amsterdam, perché ha una fantastica galleria dove propongono mostre di pop surrealismo e artisti del Nord Europa (KochxBos, nell’area di Jordaan – ndr), ed è una città in cui puoi facilmente perderti tra mille ponti, fiumi e graziosi caffè. Sono stata rapita anche dai vicoli di Roma. Tutte le città mi ispirano, perché sono uniche. Adoro essere avvolta dalla loro atmosfera e farle mie per un po’ di tempo, cercando di capire come le persone vivono nella loro routine quotidiana. Qualche tempo fa, su Internet, è nata un’accesa controversia riguardo la forte somiglianza di alcune delle tue paper dolls con le bambole asiatiche comunemente conosciute come BJDs. Cosa pensi non sia stato capito del tuo lavoro? Come hai vissuto questo dibattito? Sono ancora dispiaciuta per questa discussione. Alcuni hanno cominciato a sostenere che disegnare da bambole preesistenti faceva di me un’artista senza ispirazione, o senza talento. Io capisco che possano averla pensata in questo modo, sebbene ogni creazione sia in fondo basata su qualcosa, che sia un bel bouquet di fiori o un modello umano. Oppure qualcosa che tu abbia ascoltato o visto. Personalmente sono stata sempre affascinata dalle bambole e da ciò che rappresentano. Come oggetti e come simboli: sono una rappresentazione idealistica dell’essere umano e hanno
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sotto: la copertina dell’ultimo libro di Isabella Santacroce Lulù Delacroix; qui accanto: Urbangarde; a destra: City girl e, in basso, Baby Marmaid Lost. Le opere dell’artista saranno in Italia con la mostra: LOLITA (Mijn Schatje solo show) dal 16 aprile al 30 maggio 2010 presso la DOROTHY CIRCUS GALLERY (Via Nuoro, 17 – 00182 – Roma).
molto da dirci per questa ragione. Potrei disegnare gente vera anche se al momento non mi interessa farlo. La mia idea è disegnare ritratti di bambole, rendendole in un certo senso vive, come fossero umane e potessero raccontare la loro storia, nella quale ognuno si possa rispecchiare. Alcuni collezionisti di bambole amano il mio lavoro, altri no. La discussione è salutare e l’Arte in generale va incontro a controversie. Sono ancora sorpresa di scoprire che il mio lavoro può creare reazioni differenti. Non ho mai voluto urtare nessuno con le mie opere... Dove potremo vedere esposti i tuoi lavori nei prossimi mesi? Lo scorso anno ho prodotto molte cose nuove, inclusa una se-
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rie di articoli di merchandising con l’editore francese La Marelle, che sta lavorando con molti artisti producendo oggetti e cartoline. Abbiamo già lanciato orecchini, pendenti, anelli, spille e grandi libri di illustrazioni con delle pagine bianche a mo’ di sketch book. Mi piace ciò che abbiamo fatto insieme, perché rende l’arte abbordabile e “indossabile”. Dal 16 aprile al 30 maggio, presenterò una mostra personale alla Dorothy Circus Gallery, a Roma. Si chiamerà Lolita e porterò alcuni dei miei ritratti recenti. Sono interessata al concetto di “lolita” nel senso originale, quello del libro di Nabokov degli anni Cinquanta. Ormai il concetto è travisato e il più delle volte
si pensa al fenomeno delle lolite giapponesi che si è diffuso in tutto il mondo. Stavo cercando l’origine del nome e ho scoperto che la parola lolita deriva da “Piccola Lola”, abbreviazione dei nomi “Dolores”, che significa anche panico e dispiacere, e “Maria Dolores”, il nome originale della Vergine Maria. È quindi un termine che ha più significati di quelli che la gente conosce. Un’altra interessante collaborazione è avvenuta con Isabella Santacroce, che ha utilizzato una mia opera per la copertina del suo ultimo libro, Lulù Delacroix. È stata una sorpresa, l’autrice mi ha contattato chiedendomi se The Coin Locker Baby poteva essere utilizzato per la
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copertina di un suo racconto. L’illustrazione è stata scelta per una serie di similitudini con la protagonista, che è giovane, pallida, malinconica e dotata di una bellezza inusuale. Mi sono sentita onorata e sembra che questa storia rappresenti un’inaspettata e felice conclusione della serie Storytelling. Ho una mostra permanente alla Brugier Rigail, la galleria che rappresenta il mio lavoro a Parigi, nel cuore del Marais, dietro il museo Pompidou e sto lavorando a un libro tutto mio con la casa editrice Venusdea, il progetto è stato posticipato per la troppa mole di lavoro, ma sembra che quest’anno ce la faremo. Io credo nei sogni, soprattutto in quelli che si avverano.
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Viaggia alla grande nelle capitali, senza spendere dei capitali! Consigli low cost e big curiosity per viaggi d’arte e divertimento. A cura di makemydaymag.com
di Letizia Bozzolini (MakeMyDayMag) illustrazioni Ashi.ch
PARIGI È SEMPRE PARIGI: MOLTO ROMANTICA, COSÌ CARA!
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10 CONSIGLI LOW COST PER UN WEEK-END TRÉS CHIC!
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LA CAPITALE FRANCESE È ABBASTANZA LONTANA PER RISULTARE ESOTICA, E ABBASTANZA VICINA DA ESSERE RAGGIUNGIBILE PER UN WEEK END DA INNAMORATI IN FUGA.
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Il modo più economico e veloce per viaggiare è sicuramente l’aereo. Oltre alle solite compagnie low cost (Easyjet, Ryanair), tenete d’occhio il sito di Airfrance, che spesso prevede offerte convenienti da molte città italiane. La maggior parte di questi voli arriva all’aeroporto Charles de Gaulle, dal quale parte un treno che per 8,20 euro vi porterà nel cuore della città.
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Vi accorgerete che i trasporti sono puntuali e capillari. Muoversi a Parigi con la metropolitana è facile ed economico. Se rimanete solo un weekend c’è il carnet da 10 viaggi, 11,60 euro. Non fatevi tentare dagli abbonamenti Paris Visite, vere trappole per turisti!
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Per chi non ha la fortuna di farsi ospitare da amici che vivono lì ecco alcuni siti in cui scegliere il vostro alloggio parigino: hostels.com • hostelworld.com • paesionline.it. Consigliamo il BVJ, l’ostello più antico di Parigi. Il costo per una persona parte da 29 euro
a notte, che non è proprio pochissimo, ma la posizione è strategica e, se chiedete di alloggiare nelle stanze degli ultimi piani, avrete una vista mozzafiato.
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Per quanto riguarda il cibo, il tasto è un po’ dolente. Il cibo nazionale sarebbe anche buono, ma è difficile che sia economico, se escludiamo la deliziosa baguette (1 euro)! I due pasti più MakeMyDay sono i felafel nel Marais, (5 euro), e le crêpe prosciutto e formaggio (4 euro) a Montmartre. Se invece preferite un buon ristorante a poco prezzo, due sono gli indirizzi imperdibili: Chartier, dove potrete gustare la cucina francese in un ambiente rimasto intatto dal 1906, e Chez Gladines, trattoria basca dove i piatti (meno di 9 euro) si contraddistinguono per la copiosità e il gusto.
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La prima cosa da fare una volta arrivati in città è andare in un’edicola e comprare «L’Officiel du Spectacle» (0,35 euro) o il «Pariscope» (0,40 euro), settimanali dettagliatissimi che raccolgono tutti gli avvenimenti di Parigi. Queste guide sono davvero utili e sono lo strumento ideale per avere la città nelle vostre mani e decidere cosa ne volete fare!
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Per uscire la sera, vi consiglio il quartiere Ménilmontant/Parmentier. Le due vie principali (Rue Timbaud e Rue Oberkampf) sono colme di locali, ed è sicuramente l’unica zona in cui potrete trovare da bere e da ballare a prezzi ragionevoli!
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Da pochi mesi i musei di Parigi sono diventati gratuiti per tutti i ragazzi della comunità Europea al di sotto
dei 25 anni. I musei parigini, in primis il Louvre, raccolgono le più importanti opere d’arte europee, che si devono vedere almeno una volta nella vita. Quindi se state per compiere il fatidico quarto di secolo, precipitatevi!
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Per lo shopping una tappa obbligata è sicuramente il Marais dove, accanto a negozi molto chic di ricercati fashion designer, potrete trovare ottimi negozi dell’usato. Si trovano pezzi davvero interessanti da Vintage Desire, al 32 di Rue Des Rosiers.
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Da non perdere assolutamente il mercatino delle pulci (Marché Aux Puces) della Porte de Clignancourt e quello meno famoso ma altrettanto prezioso a Portes des Vanves.
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Un’ultima chicca MakeMyDay per lo shopping: portatevi a casa (per 29 euro!) un paio di Bensimon originali, prima che scoppi la moda anche qui in Italia. Queste sneakers leggere di gomma e tela sono un vero must per i francesi: tutti ne hanno almeno un paio, e sono davvero belle!
ALORS, QUE FAITES-VOUS LE WEEK-END PROCHAIN? 55
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di Sebastiano Barcaroli
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Ho abitato il futuro. C’erano le città, che non avevano nome. C’erano i palazzi, a ogni ora del giorno diversi. C’erano le strade, che calpestavano i passanti. Non era vero nulla.
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Un grattacielo di novanta piani. Ogni piano ruota su un asse centrale, indipendente. Ogni novanta minuti una rotazione di trecentosessanta gradi mi offre una visione completa del panorama. Con un comando vocale posso decidere di aumentare la velocità, o fermarmi. Il vento mi dà l’energia necessaria. Visto dall’esterno, sembra che un ciclopico bambino abbia accumulato uno sull’altro i suoi legnetti. Oppure un immenso insetto con scaglie dinamiche, pronto ad arrotolarsi su se stesso. Ospite di un hotel di lusso chiamato Luna Piena, sembra di essere sulla Morte Nera. Il corpo centrale dell’hotel è una sfera perfetta dalla circonferenza di duecento metri. Se mi affaccio vedo solo acqua, l’hotel è sospeso sulla superficie. Due palazzi si scontrano e fondono le loro lamiere. Uno sorge dalla terra, il suo amante dall’acqua. Due immense curve si uniscono e si stagliano imponenti ridefinendo la visuale, curvando ogni certezza. Una città interamente sommersa, ecologicamente sostenibile, fluttua negli abissi e regala una cittadinanza sottomarina a più di cinquantamila persone. Eppure tutto questo non è il futuro, è solo un’idea, una progettualità, che annulla il futuro nel momento stesso in cui viene pensato, immaginato. Gli architetti, come gli scrittori, come i registi, sognano e costruiscono città immaginarie, dove i vivi sono sovrastati da perenni piogge e led luminosi, o dove il passato millenario distrugge i palazzi e ricrea una città di radici e foglie.
L’articolo è illustrato dai progetti dello studio di architettura MAD di Pechino. in apertura: Super Star: a mobile China Town (2008); a sinistra: il Beijing Hutong Bubble (Pechino, Cina) e, a destra, il Taichung Convention Center (2009 – Tai Chung, Taiwan).
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ARCHITETTANDO IL FUTURO REMOTO Chiudete gli occhi. Pensate alla vostra città e immaginatela tra cento anni. Avrete un’idea di Studio MAD ltd. Brillante fondatore dello Studio MAD, con sede operativa a Pechino, è Ma Yansong, formatosi presso la scuola di Architettura di Yale nel 2002. Il suo curriculum vanta collaborazioni con Zaha Hadid e l’Eisenman Architects a New York. La presenza di Qun Dang, già assistente alla docenza presso la Iowa State University, e di Yosuke Hayano, giapponese, assicura allo Studio un cerbero creativo di incredibile potenza visionaria. MAD si caratterizza infatti per la raffinatezza delle proposte e, al tempo stesso, per l’audacia delle creazioni che portano nella Repubblica Popolare Cinese alcune fra le più avanzate sperimentazioni sul tema dell’architettura urbanistica. I progetti e il modo di concepire le città in futuro sono il risultato di culture ed esperienze profondamente differenti, maturate in un percorso pervaso dalla contaminazione internazionale. Un accattivante meltin’ pot architettonico che propone soluzioni urbane ardite e lontane dai paesaggi a cui siamo avvezzi. La giovane età dei componenti e i numerosi riconoscimenti raccolti fuori dai confini cinesi confermano la validità progettuale di ogni loro creazione. Volti all’iper-innovazione, i risultati progettuali dello Studio MAD si contraddistinguono per l’uso di materiali plasmati da un design in costante divenire partendo da un approccio teorico e concettuale non convenzionale. È la persistente collaborazione e contaminazione fra architetti e graphic designer, ingegneri e paesaggisti a rendere ogni progetto un manifesto programmatico per città futuribili. E se la Cina è il terreno di prova ideale per nuove sperimentazioni urbanistiche, lo Studio ci offre una carrellata fatta di vertiginosi profili metropolitani. I progetti presentati in queste pagine chiariscono immediatamente le idee sul loro concetto di città. Stella lucente è Super Star: a Mobile China Town, una megastruttura mobile a forma di stella capace di portare ovunque nel mondo la cultura cinese, un auditorium siderale racchiuso in un palazzo fluttuante. In Rebuilt World Trade Center, MAD propone un’immensa isola che si sviluppa sopra la skyline di New York, svuotata dal World Trade Center l’11 settembre 2001, in cui si ridefinisce l’idea stessa di vita sociale della Grande Mela.
Ma sono solo immagini. Spingere ai confini il concetto di base non costituisce di per sé un possibile futuro. Rimpicciolire, ingigantire, ruotare, cambiare prospettiva: sono solo trucchi da mago, inutili visioni. Possono essere di un impatto assordante, di una visionarietà drogata, stupefacenti e mute, ma mai sapranno regalarci l’anteprima di ciò che vivranno i nostri
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pronipoti. L’architettura del futuro non sarà nulla di quello che abbiamo visto nei cinematografi, in nessun progetto renderizzato, in nessun libro robotico. Sopravviveremo all’autodistruzione solo grazie all’architettura, a un futuro di palazzi inimmaginabili, a città che perderanno questo nome. Viaggiatori del tempo, tornate indietro di mille anni,
portando con voi una foto del vostro presente. Mostratela a un passante e provate a immaginare la reazione. Oggi quel passante siete voi, di fronte a un ologramma del vostro futuro, avanti di mille anni. Spaventati, perderete ogni sicurezza, proverete una paura ancestrale. Vi sentirete niente. A meno che voi non siate un architetto.
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I concetti di memoria e identità si fondono nella ricerca in cui il punto di svolta si consuma proprio all’interno del panorama cinese. Proiettato nelle piccole dimensioni della città storica, MAD riflette sul poco accorto sviluppo urbano di Pechino e sul suo conflittuale rapporto con un passato recente ancora tangibile nelle strade e nei vicoli della città: in Beijig Hutong Bubble bolle metalliche conferiscono ai tradizionali hutong un tocco di contemporaneità, riattivando in tal modo interi quartieri grazie a spazi aggiunti e necessari per evitare lo spopolamento. qui a destra: i proprietari dello studio MAD: Ma Yansong, Qun Dang, e Yosuke Hayano; a sinistra: Super Star: a Mobile China Town (2008) e una foto dello studio; dall’alto in senso orario: alcuni render dal progetto Rebuilt WTC (2001 – New York, USA); due particolari del progetto Beautiful Minds (2008 – Ansan, Corea); in basso: Sino-Steel International Plaza (2006/2013 – Tianjin, Cina).
La tecnologia avveniristica proposta nel Sino-Steel International Plaza a Tianjin, Cina, un centro polifunzionale sviluppato verticalmente in cui si concentrano uffici, hotel e alloggi individuali per brevi soggiorni, si fonde con la tradizione della struttura esterna Sino-Steel: la fitta maglia a rete esagonale che riveste la struttura e incornicia le finestre rende omaggio alla tipica “bucatura” dell’architettura orientale. Premiato con l’Architectural League Young Architects Award nel 2006 e protagonista di una monografica a Venezia lo stesso anno, Studio MAD si pone come una delle realtà contemporanee più importanti in campo architettonico.
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di Barbara Canepa
Oltre il velo di
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MAYA MIHINDOU «I’m constantly dwelling on the surface of a small nothingness» (Antonin Artaud) Illustratrice dal 1984. negressebleue.ultra-book.com blumicrochoco.blogspot.com
Blanca è una ragazza in equilibrio sul filo delicato e violento della fine dell’infanzia, un’età in cui l’innocenza evapora poco a poco per far posto alla nudità organica del mondo. Il trauma della morte di una persona cara – la nonna più vecchia del suo villaggio – la proietta fuori dell’universo immaginario nel quale era cresciuta: un villaggio isolato, popolato da ricordi sfumati dell’infanzia, dalla mitologia della memoria; là dove i pesci volano al di sopra dei colori e delle colline, là dove la pioggia trasforma le fanciulle in sirene. È evidente che in un mondo come questo, l’accettazione della morte di una persona importante fatica a trovare il suo posto… Blanca decide allora di fuggire, accompagnata dai suoi amici, due strani bambini, per vedere se esiste qualcos’altro al di fuori del suo bozzolo. Così comincia il viaggio verso Sabina, città di cui non conosce altro che il nome magnetico pronunciato un giorno da nonna L’Autre, la decana del villaggio…
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Carlos Alvarez Montero. Classe ’74, è nato e cresciuto a Città del Messico, attualmente vive e lavora tra New York e la sua città d’origine. Nel suo lavoro ricerca le connessioni tra apparenza e identità nell’individuo. Ritiene che un “libro” vada giudicato dalla copertina, perché solo così si possono delineare le note caratteristiche di una persona. I suoi scatti sono stati pubblicati da: «Time Magazine», «Newsweek», «The Fader», «Vice», «Picnic Magazine», «Neo2». Si è laureato, a dicembre dello scorso anno, in Fotografia, video e media alla School of Visual Arts. alvarezmontero.com
«ERO IN MESSICO, NELL’ULTIMO MESE DI LAVORO COME FOTO EDITOR PER UNA RIVISTA, E HO CONOSCIUTO CHEMA SKANDAL, UNO SKINHEAD CHE LAVORAVA LÌ COME GRAFICO. ERAVAMO ENTRAMBI PATITI DI MUSICA GIAMAICANA E SIAMO DIVENTATI PRESTO BUONI AMICI. GRAZIE A LUI HO CONOSCIUTO UNA VASTA COMUNITÀ DI SKINHEAD. DOPO ESSERMI TRASFERITO A NEW YORK È COMINCIATA A FRULLARMI IN TESTA L’IDEA DI FOTOGRAFARE QUEI RAGAZZI. COSÌ, DURANTE UN NUOVO SOGGIORNO A CITTÀ DEL MESSICO, HO DECISO DI CONTATTARE ALCUNI DI LORO SU MYSPACE. LA COSA HA FUNZIONATO E HO INIZIATO A SCATTARE UNA FOTO DOPO L’ALTRA. MI INCURIOSIVA L’IDEA CHE AVEVANO QUESTI RAGAZZI DI RICREARE UN MOVIMENTO NATO IN INGHILTERRA CINQUE DECENNI PRIMA; ADATTANDOLO AI LORO BISOGNI, CONDIVIDENDO LA LORO MUSICA E IL LORO LOOK, APPORTANDO ALCUNE MODIFICHE ALLA LORO REALTÀ, CREANDO DAL NULLA QUALCOSA CHE LI RENDEVA PARTE DI UN MOVIMENTO PIÙ GRANDE E AL TEMPO STESSO UNICO. È FONDAMENTALE SOTTOLINEARE CHE QUESTI RAGAZZI NON SONO ASSOCIABILI IN ALCUN MODO A IDEOLOGIE RAZZISTE. LA CULTURA SKINHEAD, DAL PRINCIPIO, SI BASA SULLA MUSICA DI TENDENZA E SULLO STILE DI VITA DEGLI ANNI SESSANTA, SENZA ALCUN RIFERIMENTO A ELEMENTI POLITICI O RAZZIALI». in apertura e in queste due pagine: le foto di Carlos Alvarez Montero dalla serie Mexican Skinheads; a sinistra: Johanna; in alto: Reggae Sounds are Boss e, a destra, Chema Skandal; in apertura: Ricardo.
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«GUIDANDO SULLA DEATH VALLEY JUNCTION, IN CALIFORNIA, VERSO BEATTY NEL NEVADA, FUI INGHIOTTITO DA UNA VIOLENTA TORMENTA DI SABBIA, CE N’ERA COSÌ TANTA NELL’ARIA CHE NON RIUSCIVO A VEDERE LA STRADA. ERO SPAVENTATO AL PENSIERO CHE QUALCUNO POTESSE INVESTIRE LA MIA AUTO. LA SABBIA ERA COSÌ FITTA CHE TUTTO, INTORNO A ME, ERA BUIO. IL VENTO ERA INCREDIBILMENTE FORTE E L’AUTO COMINCIÒ A DONDOLARE PAUROSAMENTE. PEZZI DI METALLO URTAVANO LA CARROZZERIA E IL VETRO. DOPO CIRCA UN’ORA LA TORMENTA SI ERA CALMATA E SONO RIUSCITO A USCIRE DALLA MACCHINA. LA POLVERE VOLAVA NELL’ARIA E IL SOLE ERA QUASI INVISIBILE NELL’OSCURITÀ. DOPO AVER RAGGIUNTO BEATTY E AVER PRESO UN PANINO CON UN CAFFÈ, GUIDAI PER UN PO’ LUNGO UNA STRADA POLVEROSA NEL TERRITORIO DI RHYOLITE, SINO A RAGGIUNGERE L’AUTOSTRADA. RHYOLITE ERA UNA CITTÀ PROSPEROSA ALL’INIZIO DEL VENTESIMO SECOLO E PER UN PO’ FU LA TERZA CITTÀ PIÙ GRANDE DEL NEVADA. C’ERANO MOLTI ALBERGHI, DUE EDICOLE, QUINDICI SALOON, UNA STAZIONE FERROVIARIA, UN QUARTIERE A LUCI ROSSE E UN TEATRO DELL’OPERA. VENNE COSTRUITA SU UNA MINIERA D’ORO, MA DOPO LA CRISI FINANZIARIA DEL 1907 LE MINIERE FURONO CHIUSE ED ESSA FU ABBANDONATA. ATTRAVERSAVO QUESTA CITTÀ FANTASMA E L’ARIA ERA ANCORA PESANTE E SCURA. IN LONTANANZA C’ERANO MACERIE E ALCUNI PALAZZI IN ROVINA. FERMAI L’AUTO E CAMMINAI PER FARE DELLE FOTO. IN QUESTO SCENARIO LUNARE MI SONO IMBATTUTO PER CASO IN UNA SCULTURA. ERA UNA RAPPRESENTAZIONE DELL’ULTIMA CENA DI LEONARDO DA VINCI, DOVE TUTTI I PERSONAGGI SEMBRAVANO FANTASMI, UN’OPERA DI ALBERT SZUKALSKI, SCULTORE POLACCO FORMATOSI IN BELGIO. SCATTAI UN PAIO DI FOTO E ANDAI AVANTI, FERMANDOMI POI DI FRONTE AI RUDERI DELLE TORRI DI UNA BANCA. MI SENTIVO A DISAGIO. DOPO QUELLA MATTINATA DI TORMENTA LA LUCE ERA ANCORA TENEBROSA. AVEVO LA SENSAZIONE DI ESSERE OSSERVATO. FECENDO DELLE FOTO ALLE ROVINE DELLA BANCA LA MACCHINA FOTOGRAFICA SI BLOCCÒ. SENZA NEANCHE PROVARE AD AGGIUSTARLA CORSI VERSO L’AUTO E RIPRESI LA STRADA POLVEROSA, LONTANO DA RHYOLITE, TORNANDO SULL’AUTOSTRADA».
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Rob Hann. «La prima volta che sono venuto in America, ero molto eccitato e avevo in mano una copia del libro Sulla strada di Jack Kerouac, che avevo letto più volte. Crescendo in Inghilterra, influenzato dalla letteratura, dall’arte, dalla musica e dai film americani ho sviluppato una visione romantica dell’America, delle sue strade e dei grandi spazi dell’Ovest. Quell’eccitazione e quel romanticismo non mi hanno mai lasciato. Ho in mente Robert Frank, i Rolling Stones, Wim Wenders: europei che si sono ispirati alla cultura americana e che la riflettono attraverso il filtro della loro sensibilità. Ora vivo a New York e apprezzo la sua atmosfera. Ciò nonostante, spesso desidero ripercorrere le strade americane e quei lontani orizzonti oltre il fiume Hudson. Quando posso prendo l’auto e, con la macchina fotografica al seguito, ammiro questi luoghi sognando ad occhi aperti». Alcune foto di Rob si possono trovare nella collezione permanente della National Portrait Gallery di Londra. robhann.com in queste pagine: alcune foto di Rob Hann dalla serie Deserted States of America; a destra e in basso: Rhyolite (Nevada) e Valentine (Texas).
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in queste pagine: due foto di Max Hamilton dalla serie Skating the Dragon; sotto e a sinistra: Wuhan e Eric.
Max Hamilton. Vive a Londra e si definisce un fotografo di luoghi e ritratti. Spinto dalla passione per i viaggi, ha fotografato persone e ambienti in giro per il mondo. Il tema di fondo dei suoi lavori evidenzia una visione non convenzionale della realtà, come emerge dai progetti che esplorano gli archivi e le rimesse, o da quello sugli skaters cinesi. Max ha lavorato per diversi committenti, passando dai servizi editoriali per riviste alle fotografie di house issue realizzate per alcune associazioni di beneficenza. Le sue fotografie sono state esposte a Londra e a New York. maxhamilton.com
«LA CINA MI HA AFFASCINATO PER MOLTO TEMPO, FINALMENTE NEL 2008 HO AVUTO LA POSSIBILITÀ DI ANDARCI. QUESTE FOTO FANNO PARTE DI UN PROGETTO SUGLI SKATEBOARDER CINESI CHE HO REALIZZATO MENTRE ERO IN VIAGGIO. LE FOTO RAPPRESENTANO IL MODO IN CUI AMO LAVORARE E IL TIPO DI SOGGETTO CHE MI AFFASCINA. MI È SEMPRE PIACIUTO VIAGGIARE IN NUOVI PAESI PER FOTOGRARE E SCOPRIRE COSE DI CUI LE PERSONE NORMALMENTE NON SI ACCORGONO. LO SKATEBOARDING IN OCCIDENTE HA FATTO PARTE DELLA CULTURA MODERNA PER ALMENO 35 ANNI, DIVENTANDO OGGI UN GRANDE BUSINESS, CON TUTTI I SUOI MERITI. NEGLI ULTIMI ANNI LA CINA È DIVENTATA UNA META SEMPRE PIÙ GETTONATA PER I TOUR DELLE SKATE COMPANIES. HO ASCOLTATO SPESSO RACCONTI DI VIAGGIO DI SKATERS OCCIDENTALI IN GIRO PER LA CINA MA NON HO MAI EFFETTIVAMENTE SENTITO STORIE O RACCONTI DI SKATERS CINESI. VOLEVO SCOPRIRE QUESTA REALTÀ E INCONTRARE QUELLE PERSONE. CIÒ CHE POSSO DIRE OGGI DOPO UN’ESPERIENZA SIMILE È CHE IN UN PAESE IMMENSO COME LA CINA VIVE UNA PICCOLA COMUNITÀ DI SKATERS CHE SI STA PIAN PIANO STACCANDO DALL’OTTICA DEL CONFORMISMO DI MASSA, BATTENDOSI PER ESSERE DIVERSA E UNICA».
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«QUARANTA GIORNI A BORDO DELLA MOTO NAVE CARGO GRANDE EUROPA SONO STATI UN PROGETTO INTROSPETTIVO PRIMA CHE DI REPORTAGE FOTOGRAFICO. UN LAVORO DI INDAGINE SUL CONCETTO DI MARE NELLA SUA CONTEMPORANEITÀ. APPRODARE NEI QUINDICI PRINCIPALI PORTI D’EUROPA E DEL MEDITERRANEO, SENTIRSI RAPIRE DA UNA NATURA DI AFFASCINANTE VEEMENZA E QUIETE AL CONTEMPO, CONFONDERSI TRA I MEMBRI DELL’EQUIPAGGIO E LE LORO ATTIVITÀ, COGLIERE DIETRO A ESSE EMOZIONI E VISSUTI. SONO ALLA MIA PRIMA VERA ESPERIENZA DI REPORTAGE, AVVENTURA E VIAGGIO. ATTRAVERSO LA FOTOGRAFIA SI PALESA UNA REALTÀ LONTANA, SPESSO IGNOTA, CHE IL MARE CUSTODISCE: IN UNA NATURA MUTEVOLE E IMPREVEDIBILE, SEAMEN, IN LOTTA CONTRO LA SOLITUDINE SI ERGONO A FRONTEGGIARE PROBLEMATICHE CHE TALE SCELTA DI VITA COMPORTA. HO IMMORTALATO LE LORO GIORNATE DETTATE DA DOVERI E ATTIVITÀ COMMERCIALI, MOMENTI RITMICAMENTE INTERROTTI SOLO DAL RITUALE DEI PASTI. LAVORO E DOPOLAVORO SI FONDONO FINO A DIVENTARE UN VIVERE COMUNE. CHIACCHIERE FUGGENTI, ACCENNATI SORRISI QUIETANO I RAPPORTI E GARANTISCONO UNA PACE APPARENTE IN UNA VITA DI TOTALE CONDIVISIONE. HO CERCATO DI BLOCCARE CON LA FOTOGRASimone Massafra. Classe ’84, inizia a fotografare all’età di 6 anni dopo aver ricevuto in dono, a Natale, la sua prima macchina fotografica. Attualmente laureando presso l’accademia di Belle Arti ad Urbino, si definisce un artista concettuale e raffinato, che all’opera d’arte non sostituisce il puro atto estetico, bensì costruisce fotografie tecnicamente perfette, che fanno leva su una complessa rete concettuale/narrativa. simonemassafra.it in queste pagine: le foto di Simone Massafra dalla serie Grande Europa; in basso: Alexandria e, a destra, Crew.
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FIA IL LORO PRESENTE, LONTANO DALLA TERRA DI ORIGINE, DALLE FAMIGLIE, ALLE CUI GIOIE PARTECIPANO TRAMITE SALTUARIE COMUNICAZIONI E DELLE QUALI TRATTENGONO ANSIE ED EMOZIONI. SGUARDI CHE SOGNANO SILENZIOSAMENTE E VIVONO DI ADORATE SPERANZE IN CONTRASTO CON UN FUTURO DI DI-
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STANZE E NUOVI VIAGGI. INTORNO A LORO E IN UN SUSSEGUIRSI RAPIDO E SEMPRE NUOVO, SCORRONO LE IMMAGINI DI LUOGHI DA OSSERVARE, RITRARRE E ARCHIVIARE. IN UN CROCEVIA DI RICCHEZZA E POVERTÀ SI CONTRAPPONGONO STORIA, STILI E CULTURE. PROFUMI, RUMORI, MIGLIAIA DI LUCI, MACCHINE, CON-
TAINER E MEZZI DI OGNI TIPO ARRICCHISCONO E DISTINGUONO QUESTI LUOGHI CONTEMPORANEI. CIMINIERE, NAVI, PONTILI, TERMINAL E RAFFINERIE ILLUMINATE A GIORNO FANNO DA SFONDO NELLE FREDDE O CALDE, MA COMUNQUE MOVIMENTATE, NOTTI DEI GRANDI PORTI COMMERCIALI D’EUROPA».
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«QUESTO PROGETTO È IL DIARIO VISIVO DEI MIEI INCONTRI CON LA POLONIA E CON LA SUA GENTE. POZNAN, SITUATA SUL FIUME WARTA, A METÀ STRADA TRA BERLINO E VARSAVIA, È UNA DELLE CITTÀ PIÙ ANTICHE DELLA POLONIA. L’ORIGINE DEL NOME È INCERTA, MA È POSSIBILE CHE DERIVI DAL VERBO “POZNAC”, CHE SIGNIFICA “RICONOSCERE”. LA MIA FAMIGLIA LASCIÒ POZNAN PIÙ DI VENT’ANNI FA, LA CURIOSITÀ MI HA PORTATO A RITROSO SUI LORO PASSI. QUESTE FOTO, SCATTATE A POZNAN E IN ALTRE PARTI DELLA POLONIA, REGISTRANO I MIEI VAGABONDAGGI NEL TENTATIVO DI COMPRENDERE MEGLIO LA MIA STORIA. NON SONO SOLO DOCUMENTI, MA PIUTTOSTO RIFLESSIONI PERSONALI SU COSA SIGNIFICANO PER ME QUESTI LUOGHI. IL MIO INTERESSE PER IL PASSATO NASCE ANCHE DA QUELLO CHE STA ACCADENDO OGGI. IL PAESE SI TRASFORMA VELOCEMENTE, SIA DAL PUNTO DI VISTA CULTURALE CHE ECONOMICO, ALCUNE COSE SEMBRANO PROIETTATE VERSO IL FUTURO MENTRE ALTRE NON SONO ANCORA STATE CAMBIATE DAL TEMPO. ATTRAVERSO PAESAGGI E RITRATTI, ESPLORO QUESTE IDEE, CERCANDO LA BELLEZZA NEL QUOTIDIANO. LE PERSONE E GLI AMBIENTI CHE FOTOGRAFO SONO INSIEME ESTRANEI E FAMILIARI. QUI MI SENTO NELLO STESSO TEMPO A CASA E PERDUTA IN UNA TERRA STRANIERA».
Joanne Ratajczak. Vive a Toronto e lavora come fotografa freelance. Nasce nel ’79 in Polonia, ma all’età di sette anni la sua famiglia si trasferisce, prima in Germania e dopo due anni definitivamente in Canada. Nel 2004 si diploma in Arte alla York University e diventa assistente dei maggiori fotografi editoriali di Toronto. Da un paio d’anni sta concentrando il suo lavoro su un progetto personale di indagine legato ad alcuni luoghi a lei cari, come la Polonia e il Canada dei grandi laghi. joanneratajczak.com in queste pagine alcune foto: di Joanne Ratajczak dalla serie From Poznan. in alto: Seashore (Kolobrweg) e, a sinistra, Train Tracks (Poznan).
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Brad DeCecco. Residente a New York, Brad filma rock star, agricoltori e atleti di tutto il mondo. I suoi scatti hanno vinto il premio PND tra i trenta migliori fotografi emergenti del 2007. Ha diretto e filmato alcuni documentari e campagne pubblicitarie. Il video musicale di Brad, Red, è stato premiato nel 2008 al Sundance Film Festival e il suo primo lungometraggio, Serpent in the Rock, vi parteciperà nel 2011. Alcuni tra i suoi maggiori clienti sono: «Time», «Money», «Lexus», «Popular Mechanics», «People», «Smithsonian» e «ESPN». braddececco.com
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NEL LONTANO DESERTO DELL’AMERICA DELL’OVEST SI TROVANO GLI UNICI BORDELLI LEGALI DEL PAESE E MOLTE PERSONE CHE ATTRAVERSANO LO STATO DEL NEVADA NON SANNO DELLA LORO ESISTENZA. CONSIDERANDO OGNI CASA DI TOLLERANZA COME UN AMBIENTE A SÉ STANTE, DECECCO HA OSSERVATO IN PRIVATO PER SETTIMANE LA VITA DELLE PROSTITUTE CHE VIVONO E LAVORANO LÌ. L’IMMAGINE QUI PUBBLICATA FA PARTE DI UN PROGETTO DEDICATO A QUESTO MONDO, TROPPO SPESSO MAL RAPPRESENTATO.
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Evi Lemberger. Nasce nel 1983 in un piccolo paese nelle foreste Bavaresi, studia Fotografia a Londra alla London College Communication Conceptual Photography, prendendosi di tanto in tanto delle pause a Lipsia per seguire le lezioni del professor Helfried Strauß. Il suo interesse si concentra sul metodo storico documentaristico sviluppato a livello concettuale. Attualmente sta concentrando il suo lavoro sull’aspetto giornalistico della fotografia tenendo sempre più in considerazione la valenza testuale. Ha partecipato a una serie mostre a Weimar, Londra, Venezia e Budapest. evilemberger.co.uk
«MIO PADRE DICEVA CHE OGNI ESSERE UMANO È QUI SOPRATTUTTO PER SE STESSO, NON PER LA SOCIETÀ. E SE OGNUNO SI COMPORTA NELLA MANIERA MIGLIORE PER SÉ, FARÀ IL MEGLIO ANCHE PER LA SOCIETÀ. SE DIO CREA QUALCUNO PERCHÉ DIVENTI UN PITTORE E QUESTO POI FA L’AVVOCATO, FA UN CATTIVO SERVIZIO ALL’UMANITÀ. SE INVECE DIVENTA EFFETTIVAMENTE UN PITTORE, SECONDO IL VOLERE ORIGINARIO DI DIO, RENDE IL MIGLIOR SERVIZIO POSSIBILE SIA A DIO CHE AL MONDO INTERO. QUESTO SI MANIFESTA ATTRAVERSO I DESIDERI PIÙ PROFONDI, CHE TI PORTANO VERSO QUALCOSA E CHE DEVI SEGUIRE. COME FARESTI ALTRIMENTI A SCOPRIRE COSA TI PIACE FARE DAVVERO NELLA VITA?». (ADALBERT STIFTER, DER NACHSOMMER) «DER NACHSOMMER – INDIAN SUMMER È UN PROGETTO SULLA GIOVENTÙ MOSCOVITA E SUL FENOMENO DELLA RINASCITA DEL PERIODO BIEDERMEIER. MOSCA, 2008: LE STATISTICHE AFFERMANO CHE I RAGAZZI SONO OTTIMISTI, FLESSIBILI E HANNO FIDUCIA IN SE STESSI. CRESCIUTI DURANTE LA PERESTROIKA, TRA LE INCERTEZZE POLITICHE ED ECONOMICHE DEGLI ANNI NOVANTA E SEMPRE PIÙ CIRCONDATI DAI PRODOTTI OCCIDENTALI SONO TROPPO GIOVANI PER CAPIRE IL PROPRIO PASSATO E TROPPO VECCHI PER IGNORARLO. ESTREMAMENTE APOLITICI, CREDONO IN PUTIN E NELLA CHIESA MA NON NEL GOVERNO. LA MAGGIOR PARTE È
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ATTRATTA DALLA MODA, DALLA CULTURA, DALL’ARTE E DALLA MUSICA. AMANO I PAESI STRANIERI, USCIRE INSIEME, E SONO MOLTO AMBIZIOSI DAL PUNTO DI VISTA PROFESSIONALE. QUESTA GENERAZIONE SEMBRA INCARNARE UNA RIVOLTA CONTRO IL VECCHIO MONDO E CONTRO L’IDEA STESSA DI COMUNISMO TRADIZIONALE. HO GIRATO PER MOSCA, INCONTRATO I RAGAZZI E PARLATO CON LORO DEL FUTURO E DEI LORO OBIETTIVI. HO ESPLORATO LUOGHI CHE STANNO CAMBIANDO GIORNO DOPO GIORNO AL FINE DI TROVARE TRACCE DEL LORO STILE DI VITA. IL RISULTATO NON È SOLO UN DOCUMENTO SULLE NUOVE GENERAZIONI A MOSCA, MA ANCHE UN’INTERPRETAZIONE – LA MIA – DELLA LORO REALTÀ». in queste pagine: le foto di Evi Lemberger dalla serie Der Nachsommer; in basso: Prospekt Junge e, a sinistra, Schuhe.
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«MUMBAI, SPESSO PARAGONATA A NEW YORK, È IL MOTORE DELL’EVOLUZIONE INDIANA: QUI SI CONCENTRA IL POTENZIALE INTELLETTUALE, CULTURALE ED ECONOMICO DI TUTTO IL CONTINENTE. «QUESTA CITTÀ INCARNA IL FUTURO DELLA CIVILIZZAZIONE URBANA SULLA TERRA», SCRIVE FIDUCIOSO LO SCRITTORE SUKETU MEHTA. LA METROPOLI PULSA DI VITA E PROMETTE INIMMAGINABILI FORTUNE, MA OFFRE ANCHE CAOS E OSCENA POVERTÀ. MUMBAI È SEMPRE STATA LA BASE E IL PUNTO DI PARTENZA PER I MIEI VIAGGI ATTRAVERSO L’INDIA, IL LUOGO DOVE POSSO OSSERVARE E SPERIMENTARE COME IL PAESE MUTA E CRESCE ANNO DOPO ANNO. 1000 DIVINITÀ, 1000 LINGUE, 1000 CASTE: L’INDIA È TROPPO COMPLESSA PER POTER RINUNCIARE AL PASSATO. LA TRADIZIONE ACCOMPAGNA LO SVILUPPO E METTE IN GUARDIA DAL SACRIFICARE LA PROPRIA IDENTITÀ PER ACCELERARE IL PROGRESSO. L’INDIA SEGUE LA SUA STRADA VERSO LA MODERNITÀ. SI POTREBBE DIRE CHE AVANZA A PIEDI NUDI INCONTRO AL FUTURO, PROPRIO COME GLI SADDHU CHE ATTRAVERSANO IL CONTINENTE PER OTTENERE UNA VITA MIGLIORE, E DEVONO RINASCERE DIVERSE VOLTE PRIMA DI RAGGIUNGERLA». in queste pagine: le foto di Samuel Zuder tratte dalla serie Mumbai; in alto: Billboard e, a sinistra, Cricket team. Samuel Zuder. È nato nella Germania del sud, ha studiato fotografia al Technical College for Visual Communication di Dortmund. Si è diplomato con un servizio sulle “Devadasi Yellamma” (prostitute sacre) indiane, pubblicato su «Geo» e su altre riviste internazionali. È nominato per il “World press Photo Joop Swart Masterclass” dove documenta la coabitazione di cristiani e musulmani nella città bosniaca di Mostar. Dal 1997 Samuel Zuder vive ad Amburgo, collaborando con molte riviste e case editrici internazionali. Contemporaneamente porta avanti progetti personali come quelli tuttora in corso su Mumbai e Tokyo. È rappresentato da Laif, agency for photos and reportages. samuelzuder.com
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Da alcuni anni i poster di artisti come il californiano OBEY (Shepard Fairey), dei gemelli brasiliani OS GEMEOS, dell’italiano BLU e di tanti altri, dalla strada passano negli spazi dei musei d’arte contemporanea internazionali. La street art è un fenomeno artisticoculturale che si lega sempre di più al muralismo, all’urban design e alla public art e appare perciò una delle tante possibili ramificazioni di un’arte di strada originata nel Bronx.
Agli inizi degli anni Settanta, nel Bronx di New York, bande di giovani afroamericani e latini legati alle subculture hip-hop, rap, punk e new wave danno origine al movimento del graffitismo urbano, il cosiddetto graffiti writing, destinato, a partire dagli anni Ottanta, a esplodere su tutto il pianeta e attraversare nell’arco di circa quarant’anni diverse fasi e molti mutamenti. Inizialmente il graffitismo è legato alla disciplina grafica del lettering, una ricerca calligrafica che dà origine a un linguaggio autoreferenziale caratterizzato dalle tag che rappresentano il nickname dei writers. In breve tempo le tag tracciate con vernice spray invadono le fiancate dei treni della metropolitana e, successivamente, i muri delle periferie newyorkesi. Le tag diventano così il simbolo di una cultura di massa e di una società che ha perso il controllo dei quartieri urbani periferici. Tra i pionieri della prima generazione di writers ricordiamo TAKI 183 e CAINE, che nel 1976 dipinse un intero treno della metropolitana. Obiettivo principale dei writers è ripetere più volte la propria firma fino a creare dei pezzi con lettere sempre più elaborate, composizioni grafiche e cromatiche incentrate comunque sul lettering su cui si basa lo stile di un writer e la competizione con gli altri. Questa grafomania dal segno irruento, dinamico e tagliente con i suoi codici linguistici darà origine al wild style e a una comunicazione ermetica e diffusa non facile da controllare e gestire dalle forze di polizia e di pulizia. New York negli anni Settanta e Ottanta diventa il centro propulsore di questo movimento artistico, il fulcro di quelle sperimentazioni grafiche che porteranno il writing a definire i propri fondamenti stilistici e ad arricchirsi di elementi nuovi quali outline, puppet, frecce, sfumature, lettere fumettose e gommose, nuvole ed effetti tridimensionali. Nel corso degli anni Ottanta il fenomeno rivela le sue qualità estetico-artistiche e le sue potenzialità commerciali soprattutto attraverso le opere di graffitisti come KEITH HARING e JEAN-MICHEL BASQUIAT. Molti sono i writers che trasferiscono le loro immagini dagli spazi urbani a supporti trasportabili e vendibili; il “city slang” entra così nelle gallerie e nel mercato dell’arte, animando un intenso dibattito sull’opportunità di recintare il fenomeno in spazi privati e istituzionali fuori dall’underground. Il graffitismo è effimero: esposto alla cancellazione e all’azione erosiva degli agenti atmosferici. Una documentazione per ricostruire il primo ventennio della storia del graffitismo newyorkese ce la forniscono soprattutto alcuni film: The Warriors (1979) di W. Hill, Wild Style (1983) di C. Ahern, il documentario Style Wars (1983) di T. Silver e H. Chalfant, e il video Buffalo Gals (1982) di M. McLaren. Dalla seconda metà degli anni Novanta ad oggi, il graffiti writing attraverso mutazioni stilistiche si evolve dalla tag al logo-icona e privilegia sempre di più la figurazione rispetto al lettering. L’aumento dei controlli nelle strade e nei depositi dei treni sollecita molti writers a cercare tecniche più rapide e altri medium come stencil e poster di facile affissione ai muri urbani per ridurre tempo e rischi. È il caso di BANKSY, che dopo anni di writing passa allo stencil e diffonde il concetto di street art. La street art ha una connotazione culturale propria, traduce un’esigenza di espressione verso la comunicazione di massa e il coinvolgimento di un grande pubblico, coniuga l’eredità della Pop Art e del graffiti writing e costruisce un ponte tra la comunità sociale e il mondo dell’arte. Gli street artist fanno uso di stiker, stencil, poster, video, performance, installazioni.
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Il writing si diffonde in Italia e nel resto d’Europa agli inizi degli anni Ottanta, mentre a New York è attiva la seconda generazione di writers. Nel 1979 il writer Lee Quinones espone le sue opere alla Galleria Medusa di Roma gestita da Carlo Bruni, tra i primi del mondo della fine art a riconoscere una valenza artistica allo “style writing”. Nella presentazione della mostra il gallerista associa infatti i dipinti dei vagoni in movimento nella subway di New York agli Stati d’Animo futuristi di Boccioni. Dopo Roma anche Bologna dimostra attenzione verso il mondo del writing. Francesca Alinovi, Renato Barilli e Mango organizzano, alla VI settimana della performance Telepazzia (1982), la prima manifestazione sui graffiti in Italia. Nel corso degli anni Ottanta molti graffitisti statunitensi, Haring e Basquiat compresi, portano le loro opere negli spazi urbani e in quelli delle gallerie d’arte di alcune città italiane. Negli stessi anni il graffitismo entra attraverso gli ambienti della cultura hip hop nostrana. I leggendari Tritolo e Dj Elektro sono i primi writers a entrare con lo spray nel tunnel della metropolitana milanese. A Roma i pionieri del writing sono Napal e Crash che “bombano” (da to bomb – scrivere o dipingere illegalmente) i treni lasciati di notte al ponte della Magliana. A Bologna varie crew (gruppi di writers identificati con una sigla) danno vita a una delle scene del graffiti-
smo italiano più interessanti e più longeve della Penisola. Nei primi anni Novanta il fenomeno si diffonde a macchia di leopardo e iniziano a girarare parecchie fanzine, riviste autoprodotte a basso costo e a tiratura limitata, dedicati ai graffiti, come «Tribe», un periodico milanese legato alla cultura hip hop. Nel 1995 esce in edicola il primo numero della rivista «Aelle Magazine»: ormai il graffitismo è abbastanza esteso in tutte le maggiori città e si avvia a raggiungere il boom. Dopo la seconda metà dei Novanta alcuni sistemi ferroviari come le Ferrovie Nord di Milano, la metropolitana di Roma e l’intera rete delle Ferrovie dello Stato diventano le rotte più battute dai graffitisti armati di bombolette spray che vanno nottetempo all’assalto di treni da “bombare”, mentre le istituzioni cominciano a prendere in seria considerazione il problema delle “scritte” sui muri e sui treni a provvedere a maggiori controlli e sanzioni. I writes italiani come quelli di altri Paesi europei diventano un esercito itinerante sui treni “interrailer”, girano da nazione a nazione in un periodo in cui l’informazione e la comunicazione non viaggiavano in Internet. Tra la fine del secolo e gli inizi del nuovo millennio si manifestano i primi segnali di un graffitismo anticipatore dell’attuale street art, soprattutto a Milano, dove artisti come Ozmo, Abbominevo-
Raffigura mondi paralleli che trasfigurano la realtà in pensieri e inquietudini della contemporaneità.
I writers e gli street artist italiani sono centinaia, molti hanno lavorato nell’arco di trent’anni a vagoni di treni e a muri urbani anche fuori dai confini nazionali, guadagnandosi buona fama all’interno del movimento artistico internazionale. Segnaliamo solo alcuni nomi della scena street italiana che lavorano in strada e in galleria, sottolienando così le tangenze tra street e public art. BLU Di origine marchigiana si è formato a Bologna. Pur non usando tecniche particolarmente complesse ma solo pennelli, rullo, vernice e pochi colori, è uno street artist e video maker di fama mondiale. Ha dipinto i muri di molte città italiane, europee, del centro e sud America, fino a quelli della Tate Modern di Londra nel 2008. Avendo un’inclinazione verso la public art, preferisce esporre la sua arte su vaste superfici murarie piuttosto che negli spazi della galleria. Anima le superfici di grandi edifici con personaggi stranianti alti decine di metri che si incastrano e palpitano nella trama delle architetture urbane.
ERICAILCANE Di origine bolognese, realizza grandi pitture murali e brevi filmati. Il suo universo pittorico è ricco di animali antropomorfizzati e personaggi fiabeschi con significati allegorici. DEM Di origine lombarda, crea opere che spaziano dal wall-painting all’installazione. Raffigura personaggi bizzarri, creature ibridate e oniriche, a volte diaboliche. Sfondo ideale dei suoi lavori: le fabbriche abbandonate. MICROBO e BO 130 Entrambi milanesi, hanno sperimentato fin dalla fine degli anni Novanta nuove tecniche, unendo spray e stencil, stiker e poster elaborati a mano e in digitale. Creano figurazioni caratterizzate da stilemi astratti e da forme organiche e fitomorfe in movimento. OZMO Di origine toscana è attivo a Milano. Le sue radici sono nel writing, usa linguaggi trasversali e un tratto raffinato e accademico. Coinvolgenti sono i suoi live painting sui muri e sulle vetrine di negozi. PAO Milanese, esperto di scenotecnica teatrale, è celebre per aver decorato i paracarri della rotonda di piazza Arcole
le, Microbo, dopo anni di writing, cominciano ad affiggere sui muri cittadini poster, stencil e sticker e privilegiano la figurazione al lettering. Il centro sociale Leoncavallo, lo spazio milanese che dagli anni Settanta ha accolto extraparlamentari, punk, antiproibizionisti, noglobal e disobbedienti, continua a scrivere la sua trentennale storia pittorica sui suoi muri con opere fatte di segni, forme, colori, parole e musica. Nel 2007, l’assessore alla cultura del comune di Milano Vittorio Sgarbi propone di vincolare i graffiti del Leoncavallo e inaugura la prima mostra al Padiglione d’Arte Contemporanea: Street Art Sweet Art a cura di Alessandro Riva che comprende le opere di una trentina di street artist italiani. Questo evento espositivo istituzionale rappresenta il superamento del graffito come segno criptico, di rottura e di ribellione e l’avanzare di una street art che ama interagire con l’ambiente urbano attraverso prodotti artistici di immediata e facile lettura ispirati al mondo massmediatico. Oltre a Milano, fioriscono a Roma e a Bologna scuole che, oltre a esprimere personalità artistiche di considerevole spessore, qualificano sempre di più le degradate periferie delle nostre città e dove nelle hall of fame (spazi in cui si può dipingere più o meno legalmente, in genere controllati dalle crew) convivono graffiti writing e street art.
a Milano trasformandoli in pinguini metropolitani. Successivamente dipinge con colori brillanti e spray sulla sperficie stradale delfini che inglobano i paracarri. Interagisce con il piatto grigiore urbano con una poliedrica e vivace sperimentazione di mezzi e di stili. TV BOY Di origine siciliana si forma a Milano. Rappresenta il suo alter ego con l’icona del bambino col volto nel televisore. Si avvale di un linguaggio visivo legato al fumetto e alla grafica filtrato dell’eredità della Pop Art. STEN e LEX Sono i pionieri dello “stencil graffiti” in Italia. Iniziano la loro attività a Roma nel 2000. Hanno ideato la Hole School rivolta allo studio della grafica incisoria e delle antiche arti della stampa. Con la tecnica dello stencil a mezza-tinta e l’uso della retinatura con colori bianco e nero realizzano soprattutto ritratti di personaggi utilizzando punti, pixel e linee che nell’insieme creano immagini realistiche, quasi fotografiche. RASSEGNE NAZIONALI DI STREET ART Da quando il fenomeno del graffitismo è uscito dall’underground e ha cercato un dialogo con le istituzioni e con l’associazionismo culturale, ovunque in Italia, come in altre parti del mondo, si moltiplicano iniziative e rassegne volte alla
realizzazione di progetti che vedono l’azione creativa di writers e street artist internazionali sul territorio, in opposizione al degrado urbano. Vale la pena di segnalarne alcune in cui la street art diventa anche funzionale alla ricomposizione dell’identità territoriale attraverso decorazioni murali. È il caso di Grottaglie, in provincia di Taranto, con il FAME FESTIVAL e di Campofelice di Roccella, in provincia di Palermo, con STREET ART VILLAGE. Queste due realtà vedono annualmente l’interazione tra comunità artistica e comunità locali che trasforma gli spazi pubblici in un teatro della creatività. Da qualche anno l’area portuale di Ancona, grigia e anonima, grazie al POP UP FESTIVAL si sta esteticamente rigenerando con le operazioni di street art di artisti nazionali e internazionali. Basterebbe considerare i silos alti oltre 30 metri, simboli ingombranti dell’architettura industriale, che dopo gli interventi pittorici hanno ridisegnato lo skyline del porto o gli interventi degli street artist sui 15 pescherecci con una guizzante fauna marina. Anche Modena, con ICONE FESTIVAL e Prato, con FREeSHOUT, concorrono a rimarcare come la street art sia capace di interpretare le peculiarità storiche e culturali di un luogo e di esprimere le proprie valenze artistiche e sociali negli spazi pubblici dove strade, piazze, muri, facciate di edifici, elementi e arredi urbani diventano superfici di sperimentazioni estetiche ed espressive capaci di dare nuovi significati a contesti urbani degradati.
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE Alessandro Riva, STREET ART SWEET ART Dalla cultura hip hop alla generazione pop up – Milano 2007. AA. VV., I GRAFFITI DEL LEONCAVALLO – Milano 2007. Alberto Mannino, GRAFFITI WRITING Origini, significati, tecniche e protagonisti in Italia – Milano 2008. Andrea Caputo, ALL CITY WRITERS – Milano 2009.
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in queste pagine: Zez達o a lavoro nei sotteranei di S達o Paulo e New York; foto di Ignacio Aronovich.
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NELLE GALLERIE SOTTERANEE DI SÃO PAULO SCORRE SANGUE BLU
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Z E Z A O
Descrivici i tuoi primi passi nel mondo del graffitismo, come e perché hai cominciato? Ho iniziato a fare graffiti nel 1995, influenzato dalla passione per l’hiphop e perché in quel periodo mi ero fatto male con lo skate e dovevo trovare un’attività che non fosse troppo “sportiva”. All’inizio il mio stile era classico, molte lettere wild style, poi nel 1998 ho scoperto Basquiat. La sua incredibile libertà astratta mi ha influenzato e ha completamente rivoluzionato il mio stile; mi sono spinto verso nuove tecniche e nuovi materiali. La decisione di dipingere sottoterra è di forte impatto comunicativo. Sembra quasi che tu voglia rivoluzionare il carattere “esibizionista” del graffitismo. Regalare la tua arte non alle persone, a un pubblico, ma alla città stessa. Una sorta di protesta, che si unisce a un design astratto lontano dai graffiti figurativi o alfabetici. Come sei giunto a questo tipo di “arte sotterranea”? Avevo bisogno di pace. E di originalità. All’inizio della mia carriera sentivo che l’ispirazione che prendevo da altri artisti si avvicinava troppo a una mancanza di personalità. Facevo bei pezzi, ma spesso simili a qualcun altro. Volevo essere unico. Volevo fare qualcosa che io stesso non avevo mai visto. Ho iniziato a dipingere le fogne e i tunnel sotterranei di São Paulo perché in superficie c’era troppo traffico, troppa violenza, troppo rumore. La differenza fondamentale nel dipingere i tunnel sotteranei e i canali di scolo delle fognature è tutta nel silenzio. è come essere negli intestini di un gigantesco essere vivente, la città, e intorno a te regna una
pace impossibile da trovare altrove. Una tranquillità che si mischia con il mio spirito d’avventura e l’amore per il rischio. Più volte ho rischiato di rimetterci la pelle; e si riscopre anche un senso di “rivoluzione” contro la società, si entra in luoghi proibiti non solo dalla legge, ma anche dal buon senso. Non mi interessa se i miei pezzi non possono essere ammirati da nessuno, l’avventura è quello che conta per me. Dai muri delle fogne a quelli delle gallerie. Cosa pensi di questa nuova era, dei graffiti che entrano nel mondo della fine art? Non si perde il senso di “protesta” di questa forma d’arte? Credo sia piuttosto normale. Faccio graffiti, ma dal mio fare graffiti nascono foto artistiche, film, installazioni in musei e gallerie private. Non si possono tenere separate le cose, sono tutte espressioni di un comune senso di “comunicazione”. Sono tutte strade di una stessa città. Chiaramente il mio interesse primario rimangono i graffiti; per me sono la sola arte davvero democratica e libera. L’unica forma artistica ancora capace di fare protesta direttamente nelle strade, di fronte agli occhi della gente. Mantengo vive le mie origini con i miei pezzi, e il senso di illegalità e trasgressione è il sangue che mi scorre nelle vene, i graffiti sono l’unica cosa che mi fa sentire vivo.
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Alexandros
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Grande
Alexandros Vasmoulakis è nato ad Atene nel 1980. Ha studiato Belle Arti e lavora come freelance. La sua missione è comunicare. vasmou.com
Che peso ha nella tua arte avere delle origini greche? Senti un qualche tipo di pressione mentre crei se pensi alla Bellezza che la tua nazione celebra da sempre? In effetti no. Si può dire che ormai l’Arte greca classica e quella moderna non hanno più nulla in comune. Una volta la Grecia era la culla di ogni cultura, di ogni arte, della filosofia e del libero pensiero, oggi invece viviamo tempi bui, dove gli aspetti artistici e culturali occupano una minima parte della nostra vita sociale. Di certo all’inizio della carriera ho studiato l’arte classica, ma sono radici più contemporanee quelle che cerco di mostrare con la mia arte, che non si limita ai muri, e spazia dall’illustrazione alle installazioni urbane.
sopra: due momenti della creazione di Alex Tries But Misunderstands, agosto 2008; a sinistra: Πετα µωρο µου, πετα (µερος πρωτο); a destra: Maria, I still love you (realizzata in collaborazione con Paris Koutsikos • parisko.com), ottobre 2009.
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Illustrazione, graphic design, motion graphic, animazione, advertising, web design, fotografia, tendenze, tutorial e ispirazioni: tutto questo è koikoikoi, sito di visioni e ispirazioni. Alcuni articoli di queste pagine sono estratti dal sito koikoikoi.com, gli altri sono esclusive BA!
360° of Visual Art
Le strade dell’Arte Guida alla più grande galleria d’arte esistente: la Città.
NEW YORK CITY MAP CUTS
ets y.c om /sh op/ stu dio km o
C’è qualcosa di maniacale e ipnotico nei poster ritagliati a mano nella carta (avete letto bene!) dello Studio K, si rimane attoniti dallo stupore. Potete commissionare quello della vostra città.
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ROYALE DE LUXE Marionette all’ennesima potenza. Come prendere una tradizionale arte da strada e trasformarla in uno spettacolo epico, per lasciare gli spettatori con lo sguardo all’insù e le bocche spalancate. Fondata da JeanLuc Courcoult nel 1979, la compagnia non si è mai esibita in Italia, strano no? Su YouTube video a iosa.
HERAKUT Jasmin Siddiqui, aka Hera, dalla Germania Ovest, era un’artista tradizionale prima di entrare nel mondo dei graffiti. Falk Lehmann, aka Akut, nato nella Germania Est, era uno street artist che utilizzava le bombolette spray come uno strumento d’arte classica. Adesso lavorano insieme e sono il vero simbolo di una generazione che sopra quel muro, dopo averlo distrutto, ci dipinge quando e cosa vuole.
herakut.de
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PIXEL DAM Sul web c’è una città isometrica dove non bisogna preoccuparsi del mutuo e le case sono costruite a quadratini dagli utenti palazzinari, architetti del pixel. È risaputo che si deve investire sul mattoncino.
pix eld am .ne t ARTE SOTTO I PIEDI In Giappone quasi tutto ha una valenza artistica o grafica, i tombini non fanno eccezione. Durante le vostre passeggiate nipponiche potreste calpestare i simboli delle città (ad esempio la tartaruga di Kyoto) o famosi personaggi di manga e anime...
CITTÀ DA FUMETTO Il «The Architects’ Journal» ha stilato la classifica delle dieci città meglio disegnate nei fumetti. Al sesto posto la Gotham City di Miller, al terzo la Londra di From Hell. Noi premiamo, spocchiosi come solo gli architetti sanno essere, la Chicago di Chris Ware, arrivata seconda.
TRULY DESIGN Quattro amici che sin da adolescenti hanno coltivato assieme la passione per la street art. Grazie al loro eclettismo, gli orizzonti del gruppo si sono allargati fino all’illustrazione e al design grafico.
truly-design.com
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CHE TRAFFICO! Come si comporterebbe il navigatore di fronte a questi cartelli d’artista: «Voltare a sinistra dopo la mela che ride», «Attenzione, attraversamento fantasmi». Naoshi, Yuck, Superdeux, TokiDoki e mille altri per il futuro della segnaletica stradale. Poi vallo a spiegare ai vigili che non eri fermo in «Divieto di volo».
bopano.com
AMBIENT ADV
little-people. blogspot.com LITTLE PEOPLE PROJECT Slinkachu è un ragazzo londinese di trent’anni. Come lui stesso afferma è stato inattivo (artisticamente) fino al 2006, poi un giorno ha deciso che le cose minuscole sono le più interessanti e ha iniziato il suo progetto Little People, installazioni microscopiche di plastici di trenini elettrici in contesti urbani piccoli piccoli piccoli .
L’ambient (o environmental) advertising è raro in Italia. Campagne che utilizzano l’ambiente per rafforzare impatto e visibilità della promozione. Vere modifiche del paesaggio urbano per stravolgerlo e suscitare curiosità, divertimento, stupore. marketing-alternatif.com vale una visita.
piccoli
KAIJU BIGBATTEL
Vi ricordate i bei vecchi film di Godzilla, quando mostri giganti distruggevano palazzi come fossero di cartone? Il folle gruppo di lottatori mascherati Kaiju lo fa dal vivo. Costruiscono interi quartieri sul ring, poi si mascherano e se ne danno di santa ragione, distruggendo tutto! 90
kaiju.com
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IN QUESTA PAGINA C’È ROMA, COSÌ COME L’HANNO FOTOGRAFATA I VINCITORI DEL CONCORSO ANVEDI ROMA. ANVEDIROMA.COM
PRIMO PREMIO
MATTEO MIGNARDI SaLt’angelo
È nato nel 1974 nell’alta provincia di Bergamo. Ha vissuto, scritto, suonato e fotografato tra Pavia e Milano. Nel 2009 si è trasferito a Roma, dove vive, scrive, suona e fotografa. matteomignani.it • flickr.com/teobonjour
PREMIO SPECIALE DELLA GIURIA
FRANCESCA PALMIERI Vacanze Romane Nata a Roma nel 1978, Francesca Palmieri si avvicina alla fotografia solo nel 2007, seguendo la sua naturale inclinazione: comunicare. Laureata in Lettere, da sei anni è giornalista di cinema. La foto scelta è anche la copertina della versione polacca di Italian for beginners di Kristin Harmel. flickr.com/fran-cesca
PREMIO ANVEDI ROMA
MARCELLO FAUCI Sanpietrini «Ero lì cercando tutt’altro, in realtà penso semplicemente che le si sia incastrato il tacco...».
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di Anna Quinz
Castelli in aria Kalle Mattsson. Ritratto e intervista.
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«È DELLE CITTÀ COME DEI SOGNI: TUTTO L’IMMAGINABILE PUÒ ESSERE SOGNATO MA ANCHE IL SOGNO PIÙ INATTESO È UN REBUS CHE NASCONDE UN DESIDERIO OPPURE IL SUO ROVESCIO, UNA PAURA. LE CITTÀ COME I SOGNI SONO COSTRUITE DI DESIDERI E DI PAURE». ITALO CALVINO
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CREA CITTÀ IMMAGINIFICHE, SE DI CITTÀ SI PUÒ PARLARE, ARROCCATE SU PAESAGGI FANTASTICI, IMMERSE NELLA NATURA E NELLA NEBBIA. SONO CITTÀ SPETTRALI, IN CUI MANCA QUASI TOTALMENTE LA COMPONENTE UMANA, SEMBRANO PIUTTOSTO POPOLATE DA FANTASMI. NON SI PERCEPISCE NESSUNA PRESENZA VIVA, L’ATMOSFERA DI ABBANDONO E DI SOLITUDINE È PALPABILE. KALLE MATTSSON È UN SOGNATORE DI BABELE ARCHITETTONICHE SURREALI E FIABESCHE. LO ABBIAMO INTERVISTATO, LUI RISPONDE RIPRODUCENDO IN UN CUT-UP DI PAROLE I SUOI PAESAGGI STRATIFICATI.
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great life low budget
di LaNico
Bere Gratis!
15euro Total Look
MakeMyDay nello slang americano è ciò che rende speciale una giornata qualsiasi. MakeMyDayMag è un sito pieno di consigli per vivere alla grande. Trend, people, travel e, soprattutto, filosofia low-budget! Gli articoli di queste pagine sono estratti dal sito makemydaymag.com
Secondo noi gli acquisti in saldo danno più soddisfazione. Per noi il wireless è più importante dell’acqua calda. Conosciamo l’inglese, così possiamo abbordare le straniere. lifestyle
Make my... B-Plan! di giorgio isabella
Ricordate Second Life? Sembrano passati secoli… Niente più che un temporaneo svago, una fuga virtuale in un mondo virtuale. Oggi solo uno sbiadito ricordo. C’era però qualcosa di reale: Second Life interpretava un’esigenza molto concreta. E magica. Una seconda chance, una seconda buona impressione, una seconda prima volta. Dai, vi siete sempre chiesti cosa avreste fatto “se”… o cosa vorreste fare “da grandi”. Siete giovani e pieni di speranze? Avete il contratto in scadenza il 20 marzo e oggi è il 19 (e nessuno si è lasciato sfiorare dall’idea di illuminarvi sul vostro futuro prossimo)? Considerate la Big Multinational Spa per cui lavorate lenta, macchinosa, poco vicina alla gente, distratta, opportunista? Bene, ve la do io la buona notizia. Il futuro è nelle vostre mani. ISTRUZIONI: 1. Guardate attentamente questa immagine Thanks to D. Taylor (the brandgym blog)
2. Prendete un foglio di carta (questo sì che è low cost!) 3. Rispondete alle tre domande. Congratulazioni! Avete appena scritto l’introduzione del vostro PIANO B. La vostra seconda occasione. Quello che avreste sempre desiderato fare. YOUR ELEMENT! sexystyle
Make my panties
E se rimanete proprio in mutande, cercate almeno di avere stile! Quanto sono MMD le tue mutande? Se sono fighissime, costano poco e ti stanno bene addosso, invia una foto a panties@makemydaymag.com
Avere uno stile proprio ben definito è senza dubbio indice di una forte personalità. Il bello di spendere poco per vestirsi ci permette di sperimentare ogni tanto uno stile totalmente diverso dal nostro senza sensi di colpa. In fondo stiamo giocando! Presentiamo uno più maschile e classico: pantalone nero taglio uomo, T-shirt bianca e le intramontabili bretelle! Questo look così semplice e un po’ mascolino è reso più femminile dallo scollo profondo creato sulla T-shirt. Vi basterà rimuovere la rifinitura del girocollo e poi piegare verticalmente il centro sul davanti della maglietta: la piega che otterrete sarà la linea guida lungo cui tagliare la vostra audace scollatura (attenzione a non esagerare con la profondità dello scollo!). I pantaloni neri, costati appena 5 euro, sono i classici pantaloni da uomo con le pences, rigorosamente a vita alta; è fondamentale comprarli di una misura piccola altrimenti non donano a nessuna… Io sono stata fortunata sia con la taglia che con il prezzo direi! Per mettere in mostra la caviglia, a mio parere una delle parti più femminili del corpo di una donna, consiglio di fare il risvolto ai pantaloni: il risultato finale è più soft e dà quel mood di finto trasandato. Ma c’è un’idea in più… …ed è quella di rifinire il look con un accessorio particolare ricavato rimuovendo il collo di una giacca o di una camicia importante. Mi sono subito innamorata del collo grande e un po’ in stile marinaro di una camicia, un acquisto fortunato al mercatino di San Siro a Milano, 8 euro. La stampa però non era proprio per me, così ho avuto l’idea di creare una sorta di accessorio utilizzando solo il collo, che ho fermato sulla T-shirt con qualche spilla da balia nascosta per evitare che si muovesse. La caccia ai colli più originali è aperta! Enjoy. Slip Intimissimi 12,00€
Slip Tezenis 4,90€
...e un reggicalze vintage!
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Boxer H&M 9,99€ foto di Stella Levi
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MakeMyStyle nightstyle
Come farsi offrire da bere senza essere una ragazza/1 di guildor
Metodo 0 – Lavorativo Questo lo segno fuori lista perché di difficile applicazione. Terminato uno dei miei primi contratti di lavoro ho lasciato Milano per un po’ e sono andato a vivere in quell’adorabile città che FINO A QUALCHE TEMPO è Barcellona. In una settimana FA FREQUENTAVO UNA circa avevo trovato un nuovo RAGAZZA MOLTO, MOLTO lavoro e nuovi amici: una delle CARINA. cose più facili da fare in estate a Una ragazza con cui spesso si Barcellona è fare il PR per i locali saltava la coda fuori dai locali, della città. Più che il guadagno, la per farvi capire, perché mia idea era quella di i buttafuori se la ricordavano dalla volta prima, anche se erano ammortizzare il costo della mia passati mesi. I baristi più brillanti baldoria. Il lato positivo è che poi le aggiungevano sempre un drink cominci anche a conoscere i PR della concorrenza, e allora entri all’ordinazione, provocando gratis anche dove lavorano loro. in me una strana sensazione Ma soprattutto, seguendo la stessa dovuta a un insieme di: tecnica di scambio, presto riesci a 1. gelosia non pagare da bere in nessun 2. riconoscenza locale che si faccia pubblicità in 3. lei tanto sta con me, pirla! centro. Non è da tutti andare a Barcellona in vacanza e mettersi Ma poi la nostra storia è finita e anche a lavorare, ma se c’erano alcune piccole cose che affrontate una permanenza estiva cominciavano a mancarmi dell’uscire con lei. Come il sapore piuttosto lunga, be’, credo sia un di quei cocktail inaspettati, di cui ottimo metodo per risparmiare qualche soldo, soprattutto se siete avresti potuto fare a meno, è vero, ma che oramai ce li avevi in dei tipi dalle serate abbastanza mano e tant’era… Un retrogusto esigenti, non so se mi capite. di botellón, come quelli che ti Metodo 1 – Illogico e gentile prepari a casa in Spagna e poi Mi sono trovato a una festa. bevi in strada mentre aspetti di Dopo aver bevuto un primo sapere cosa ne sarà della tua cocktail, torno dalla barista, serata. Ma che ha anche la carina, e le dico le seguenti parole spensieratezza dei bicchieri che nell’esatto ordine in cui le state prendi in sequenza dal tavolo di una festa a casa di amici. E io ero per leggere: Io: «Sono appena tornato deciso a ottenere nuovamente lo da un posto che non avrei voluto stesso sapore dai miei cocktail. lasciare. Per stare in un posto in L’ingrediente da aggiungere probabilmente era solo un po’ di cui non vorrei essere. Mi offri da bere?». sfacciataggine, ma considerate Lei: «No». due cose: Io: «Per favore?» 1. con quanto si paga da bere, Lei: «Che cosa ti va?» un cocktail gratis di tanto Io: «Whisky e Cola, grazie». in tanto i baristi ce lo devono Non so se l’abbiano colpita di diritto. sincerità e spontaneità o se 2. il fatto che non sia una effettivamente mi si leggesse negli questione di necessità rende occhi un’autentica nostalgia il tutto più leggero, tranne l’alcol stesso. Anche un rifiuto catalana, ma giuro che è andata così. può essere tutto sommato abbastanza divertente. Metodo 2 – L’ordinazione scritta Quelle che vi sto per raccontare Un’altra volta ero in provincia in sono storie vere, tecniche sperimentate. Vittorie e sconfitte una birreria che si chiama Il Porco. I costi sono medio alti, nell’indurre al regalo qualcuno senza sventolargli le ma la ricerca e la qualità delle birre valgono quasi ogni tette sotto il naso. Ridetene se centesimo speso. Non sono amico del proprietario, ma diciamo che vi viene, quando vado mi riconosce. approfittatene se volete. E non Un saluto e qualche battuta, tutto qui. esitate a Al Porco le ordinazioni vanno scriverci i scritte su un foglio che una vostri risultati. cameriera poi passa a ritirare.
Ecco ciò che ho segnato per il nostro tavolo: 1 bottiglia di Oppale 1 media chiara 1 bottiglia di Vertigo 1 bevuta offerta a piacere Ha funzionato! Il proprietario è venuto al tavolo e ha detto che ci avrebbe fatto assaggiare qualcosa di speciale. La cosa divertente è che in realtà non è mai successo. La cosa ancora più divertente è che le volte seguenti il proprietario era convinto di avermi offerto da bere. Ora, io tendo sempre a fidarmi delle persone ma: o lavorare in una birreria ha degli inconvenienti di cui bisognerebbe cominciare a tener conto, oppure questo grand’uomo è stato più furbo di me. Chapeau, Porco! Metodo 3 – L’ex Questa è stata un po’ da pezzente, forse mi ero fatto prendere la mano dalla cosa del bere gratis. O forse mi ero semplicemente fatto prendere dall’alcol. Nel mezzo di una serata alla Fornace di Rho, un posto gestito da amici, ritrovo una mia ex fiamma, non la stessa che ha dato il via a tutta questa storia, un’altra. Anche lei in effetti era molto carina. A pensarci, mi è sempre andata abbastanza di culo con le ragazze, se non che erano mezze matte. Ad ogni modo mi sono avvicinato a un conoscente dietro al bancone e ho detto: «Rivedo la mia ex dopo tanto tempo, farebbe molta scena se quando torno con lei le bevute me le potessi offrire tu». Davvero, non mi interessava né fare colpo né risparmiare, perché la storia con la mia ex era morta e sepolta e perché la Fornace è assolutamente economica. Forse aveva vinto il pensiero di un nuovo paragrafo da aggiungere al mio articolo. Ripago oggi il mio debito facendo un po’ di pubblicità allo sforzo e l’impegno che questi ragazzi stanno facendo per dare un’alternativa a una provincia altrimenti morta: la Fornace ha riaperto da poco, e spesso ci sono serate interessanti. Se siete in zona, anche se non ve lo auguro, fateci un salto. Sul prossimo numero nuove applicazioni. Se non volete o riuscite a resistere, intanto potete farvi un paio di tette al silicone.
streetstyle Per essere cool non serve spendere una fortuna. Se anche anche tu la pensi così, spedisci una foto del tuo outfit a street@makemydaymag.com : 20,00€ Jacket:vintage, 20,00€ Shoes: old style Bag: Yves Saint Laurent, un regalo del negozio dove compro di più!
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8-02-2010
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TENACI • NUOVI • TALENTI
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LA SFIDA DI BANG ART CONTINUA! I T.enaci N.uovi T.alenti artistici si affrontano ogni giorno su bangart.it e i migliori vengono pubblicati su questa pagina. E tu... hai il coraggio di salire sul ring? Collegati al nostro sito e mostraci di che Arte sei fatto!
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T.N.T.
CONTROL ZETA Space Ranger giuliovesprini.it
«Complimenti! Originale! Non solo di mente ma anche di cuore! Continua così!».
MARIKA MARINI
Lupo sette capretti marikamarini. blogspot.com.
«Io purtroppo parlo da ignorante in materia (la mia arte vola in un altro contesto), cosa dire: niente! I tuoi disegni si commentano da soli! Non finirai mai di stupirmi! raggiungerai il tuo obiettivo come mi hai sempre dimostrato. L’ignorante volante».
SARA BERTOLA
OPIEMME Amanti del Caffè opiemme.com
Morso flickr.com/ photos/ sarabertola «Mitica! Davvero complimenti! Ne hai fatta di strada dalla donna centauro del liceo...!!! ;-P Ti auguro di riuscire a creare presto un fumetto tutto tuo (se non l’hai già fatto... ho perso qualcosa?)».
GRETA BISANDOLA Prendimi e portami via gretabisandola. blogspot.com
«Bravo Opiemme. Mi piace il tuo modo di proporre messaggi: semplice, ma ricco di possibili interpretazioni. Ricco di contenuti nell’incontro con lo sguardo esterno».
ME & JESUS I commenti sono estrapolati dalle pagine dedicate ai singoli autori e rappresentano le impressioni dei visitatori del sito bangart.it
The Great Dictator newsmeandjesus. blogspot.com
TOBA TOBA Sunset tobatoba.com «Davvero affascinanti! Mi risultano pure simpatici! Fanno tenerezza!».
«Anche nel grottesco si può trovare tanta poesia… Complimenti, bei lavori!».
«Le tue opere sono un paradiso per gli occhi stanchi della società corrotta».
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Coal Chute Ghost Š AJ FOSIK
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