progetto di diploma accademico di secondo livello in Scenografa e Allestimenti degli spazi espositivi e museali
dipartimento di progettazione e arti applicate anno accademico 2019/2020
Accademia di Belle Arti di Bologna
di Alessandro Barbera
relatrice: Rosanna Fioravanti
correlatore: Giuseppe Caccavale
INDICE
1. Intenti
2. Parole parole parole
2.1 Paesaggio
2.2 Divagazione1: oggetti
2.3 Territorio
2.4 Luoghi
2.5 Divagazione2: responsabilità
3. Teoricamente parlando
3.1 Con la psiche nel paesaggio e il paesaggio nella psiche
3.2 Luoghi e persone
3.3 La psicologia ambientale
3.3.1 Dare un nome ai luoghi
3.3.2 Sviluppare affetti: dalle persone ai luoghi
4. Paesaggi e epidemie
5. Racconti
5.1 fetishparish
5.2 Matera
5.3 Contributo di Ilaria Eltrudis
5.4 Contributo di Camilla Raff
5.5 Contributo di Alice Corsini
5.6 Contributo di Martina Cutrupi
5.7 Contributo di Sabrina Cardarelli
5.8 Contributo di Andrea Failli
5.9 Contributo di Francesco Gaviano
5.10 Contributo di Elisa Barbera
6. Altri strati
Playlist / Bibliografa / Ringraziamenti
tratifcazioni un racconto dei luoghi
è nato a Parigi, grazie alle lezioni del professore Thierry Paquot nella scuola EnsAD nel periodo ottobre-dicembre 2019. Ma l’idea che c’è alla base soggiaceva e aveva bisogno di un’illuminazione, un punto di vista nuovo.
L’estate 2019 è stata un pellegrinaggio tra i luoghi della mia storia, della mia famiglia; un pellegrinaggio doveroso dopo aver scoperto una nuova casa a Bologna - dopo aver corso per un anno - e prima di vivere per qualche tempo a Parigi, prima di tornare e ritrovarmi costretto a una sosta in un mondo fermo.
tratifcazioni
è l’idea secondo la quale ogni individuo e ogni luogo sono il risultato di sedimentazioni di storia e cultura, stimoli e vissuto. Luoghi e persone vivono un rapporto di infuenza reciproca. Apparteniamo a qualcosa di più grande di noi; siamo individui e facciamo parte di una famiglia, di una comunità, parte di un contesto storico e culturale a prescindere, e a prescindere ci troviamo nel mondo. Ogni realtà in cui ci troviamo è un luogo. La famiglia è un luogo al pari di quanto lo è una casa - con le dovute differenziazioni. La società è un luogo, la storia è una lunga autostrada, un paesaggio complesso entro cui ci troviamo a muoverci. Ogni persona ha il suo modo di raccontare la realtà che gli sta intorno. Qualcuno scrive frasi brevi, altri creano romanzi; c’è chi fotografa e mette al giudizio del pubblico la realtà con cui si trova a interagire, chi più intimisticamente colleziona si lenziose immagini. Ci sono gui-
de sui luoghi da visitare, resoconti di esplorazioni, album di ricordi. Consigliamo posti con il passaparola o con stelline da riempire online. Esprimiamo i nostri pareri, e sono sempre soggettivi, perché di un posto l’esperienza non è mai data una volta per tutte, per tutti. Ci ricordiamo di quel viaggio, della prima volta in quella città, del mare di quella estate. Ma quei luoghi sanno qualcosa di noi? Ci hanno mai considerato? Li abbiamo solo vissuti o sono loro ad averci vissuto?
Se non fossimo noi persone a raccontare i luoghi? non soltanto almeno.
Forse sono i luoghi a saper raccontare aspetti di noi più di quanto noi sappiamo dire di loro. Ciascun luogo può dare di una persona descrizioni precise, seppur parziali, di quell’individuo. A noi, poi, saper leggere.
un racconto dei luoghi
è allora quella storia che noi raccontiamo riguardo a certi posti, ma è allo stesso tempo la narrazione che questi posti possono dare di noi. Quello che stratifcazioni sostiene è che per conoscere una persona è fondamentale andare in pellegrinaggio o cammino, percorrere i suoi luoghi: questi luoghi sono gli strati. Conosci i luoghi dove hai vissuto, capirai il contesto che ti ha portato ad essere, da semplice nome, una persona. E per conoscere davvero un posto devi conoscere le persone che lì vivono, con le loro storie.
Viviamo nel paesaggio, le sue parole sono infnite. È ambiente, orizzonte, panorama, spazio, suolo, territorio: tanto che potremmo dire che stare al mondo è riconoscere il paesaggio, sapere che non si tratta di un semplice fondale, della quinta che delimita lo spazio della commedia umana.
2.1 Paesaggio
Parlare di paesaggio è dire tutto e niente: è ovunque, e il rischio è che a riferirsi continuamente al paesaggio per descrivere alcuni luoghi o ambienti si fnisca per svilirne il signifcato e vederlo dissolvere, allontanarsi piano piano fnché il paesaggio non esiste più. Ma è forse un pò il destino delle parole in una società del parlare democratico. Jakob ha coniato un termine proprio per dare un nome a questa sovraesposizione culturale del paesaggio: onnipaesaggio. Quali sono, però, le ragioni per cui il paesaggio, proprio come parola, è ovunque?
Sarà che forse è una parola che si srotola fuida su se stessa; è forse perché evoca immagini, ha una forte fascinazione; forse è perché il suo senso è vasto, e quindi è una parola di tutti. Se la scrivi in corsivo su un foglio di carta ne senti tutto il fascino, con la mano che scorre dal
basso in alto su lettere tondeggianti e sinuose, fno al puntino sulla i.
Riprendendo i vocabolari, che sono loro ad avere maggior diritto di parola, si scopre che il termine paesaggio deriva da paese ed è una veduta, una «parte di territorio che si abbraccia con lo sguardo da un punto determinato»1, con particolare riferimento a bellezze naturali o artistiche. Sembra quindi che il paesaggio sia ovunque, più nell’occhio di chi guarda che in un elemento in sé, se l’interesse e la bellezza che muovono verso un oggetto sono fattori soggettivi, e soprattutto se si fa riferimento a un punto di vista, di osservazione. In senso geografco si va verso una defnizione più precisa - sebbene comprensiva di varietà, raggruppando «elementi che costituiscono i tratti fsionomici di una certa parte della superfcie terrestre»2 che sono caratteri a ripetizione frequente in quella determinata
porzione analizzata. Ma il termine paesaggio nasce proprio come termine artistico, come genere pittorico, come approccio, anche se è più corretto dire che il paesaggio non è mai nato, si è generato: «è una modalità innata nel pensiero, un intreccio di strutture celebrali e cognitive modellatosi nell’arco di centinaia di migliaia di anni a partire dalle esperienze sensoriali degli Ominidi e Homo sapiens sapiens nei loro rispettivi ecosistemi»3
Se il paesaggio è ciò che, dell’universo-terra, viene visto da qualcuno, non è fsso ma mutevole, mai dato; spazio e tempo allora non potrebbero trovare sintesi migliore. È una veduta, ma allo stesso tempo è la fnestra che permette di vedere, e anche il modo in cui consente di farlo. Per Jakob è mezzo di risposta ai cambiamenti del tempo, alla trasformazione, all’adattamento e alla successione degli eventi, ma è
anche il risultato di tutti questi fattori che si ripercuotono sullo spazio. E mutando, la civiltà umana trasforma il paesaggio, non solo nella misura in cui interagisce direttamente, corpo a corpo, con il territorio, ma anche nell’evolvere il suo modo di osservare ciò che sta intorno. Forse, allora, non è la parola paesaggio a rischiare di dissolversi, ma è il paesaggio stesso ad aver perso la sua forma ed estensione originarie in seguito alla dissoluzione dei contorni città-campagna, centro-periferia. Siamo abituati a un paesaggio spesso disordinato e (anche) visivamente contaminato, frutto di una gestione del territorio che ha portato a diffcoltà di lettura: come se su uno stesso foglio si scrivessero storie diverse.
Paesaggio continua a richiamare in noi quel qualcosa di naturale, che resiste tra i ritagli di spazio. Ed è un richiamo forte e pervasivo, che si insinua in molti ambiti e discipline a livel-
Jakob spiega così il signifcato di
lo globale: che sia una risposta umana al bisogno di visioni ampie e non antropizzate? una necessaria riconnessione con qualcosa di altro (e alto) oltre ciò che è umano? Jakob ritiene che sia proprio la mancanza (di natura) a creare (il paesaggiocome concetto, come termine, come bisogno, come soggetto): «è soltanto a partire dalla città, dal luogo che ha perduto il contatto simbiotico con il suo ambiente, che la coscienza e il desiderio della natura portano alla costituzione del paesaggio […] a creare l’idea di natura»4
Il cittadino ha smarrito qualcosa, un legame ancestrale con qualcosa che ha sempre avuto e non ha più. Il paesaggio nasce da una nostalgia?
ro oria
P = S + N
/ relazione / rapporto tra un S oggetto e la N atura;
2.2 Divagazione 1: oggetti
Anche gli oggetti sono paesaggio, lo creano, lo rappresentano. Un oggetto porta con sé signifcati che vanno bel oltre la forma visibile, il contorno. Raggruppare cose per ricreare un ambiente è un passaggio fondamentale già nello sviluppo della persona, perché gli oggetti a cui siamo affezionati, che ci attraggono, che ci piacciono, creano un intorno piacevole, sicuro, rassicurante. «Il paesaggio si situa nelle cose»6 dice Lacarbonara, rifacendosi ai dipinti di Morandi dove le cose che si vedono «non sono oggetti. Sono luoghi»7 che diventano paesaggi perché si caricano di signifcati, evocano.
3 elementi che sono, ciascuno, condizione sine qua non
Ma fermarsi a sostenere che il paesaggio sia soltanto natura non è (forse più) rispettoso della realtà: non possiamo fngere che non esista un paesaggio domestico come uno urbano, un paesaggio artistico. Il paesaggio si insinua in territori, luoghi e spazi vari, oltre il naturale. Sfugge: il paesaggio «non si stanca mai di lasciarsi defnire» eppure «è in fuga da ogni possibile defnizione perché in sé le racchiude tutte»5
Turri sostiene che il paesaggio sia il vestito del territorio, il suo volto visibile. Se ci immaginiamo, allora, un paesaggio a noi comune, quello a cui siamo più affezionati, dobbiamo sapere che quel velo che ci avvolge gli occhi è un abbigliamento che ha cambiato foggia molte volte, e là, sotto quel vestimento, c’è il territorio: lo stesso soggetto che continuerà a essere, cambiando.
Territorio è ciò che sta sotto il paesaggio, una delle entità, forse la più importante, che troviamo se togliamo il vestito al nostro oggetto dello sguardo e ne esaminiamo l’identità. Ecco, se un paesaggio è il risultato della somma tra sguardo dell’osservatore e oggetto di osservazione, il territorio potrebbe essere quell’oggetto in senso prettamente fsico, sede però di signifcati. Ma esiste a prescindere dalla nozione di paesaggio, esiste a prescindere da uno sguardo.
È uno strato dello spazio materiale, ma soprattutto è una porzione di questo spazio, interno a una certa cornice, proprio perché rimanda a un senso di confne (il territorio, insieme al governo, alla popolazione e alla cultura, è un elemento della defnizione di Stato)8, a qualcosa di circoscritto, a una differenza tra un territorio e un altro, sia in quanto proprietà di qualcuno sia perché ha delle proprietà sue. Il territorio è dunque il prodotto diretto di come l’essere umano, come individuo e soprattutto come società, si rapporta con l’ambiente. Ovviamente una certa porzione di terra ha le sue caratteristiche intrinseche, e chi va a scegliere quel luogo preciso per i suoi scopi lo preferisce proprio per certe peculiarità che vuole sfruttare per i propri bisogni. Ma quello spazio delimitato sarà trasformato dall’intervento umano nella misura in cui si offre. Non si può dunque prescindere, nell’analisi di un territorio, dai fatti storici, intrecci di politica ed economia, che si ripercuotono su di esso. Il territorio è quindi un elemento sociale, una costruzione storica9
più che altro; è determinato dalle azioni umane, dalle scelte che la società compie e che sono dettate dagli usi che quel territorio consente di fare di se stesso, dalla funzione che può andare a ricoprire. L’uomo, inteso come quei soggetti al potere, detta i modi e le tempistiche di questo utilizzo, impiego, sfruttamento. E se questa porzione di terra, oggetto di un’indagine, è vittima delle azioni di forze sociali, leggerla signifcherà capire il complemento agente di quell’azione. «Tutto nel territorio è registrato, tutto è sedimentato, come lo è la storia geologica narrata dagli strati, dalle loro successioni e dalle loro discontinuità»10. Proprio questi due ultimi termini parlano della cronologia delle storie e azioni delle persone, che sono ritmi differenti con cui gli avvenimenti si sviluppano nel tempo ripercuotendosi sul suolo. E queste temporalità svelano però che il rapporto tra ambiente e persone è continuo, nonostante cambi la frequenza di questa interlocuzione. C’è da dire che la dimensione temporale della società e le sue ripercussioni sullo spazio fanno sì che il territorio sia più vicino all’universo umano rispetto a quanto lo sia la natura: è un viaggiare su dimensioni diverse quello di persone ed elementi naturali, e il territorio è il soggetto che dà più equilibrio a questo rapporto, anche in una concezione temporale. I tempi della natura sono più lunghi, più lenti, lontani dalle dinamiche umane; il territorio (che fa parte di questo universo naturale, ma è il prodotto delle vicende umane) ha una cronologia molto più simile a quella umana, che è la dimensione che smuove l’ordine naturale e
accorcia i tempi. Non potrebbe essere altrimenti, detto quanto sopra, essendo esso la «proiezione spaziale, orizzontale, bidimensionale, dell’ambiente [..] in cui si muove e opera, entro delimitati confni, una data società»11. Una proiezione, il territorio, ma assolutamente non astratta e intangibile come può essere (spesso) il paesaggio, per quanto pervasivo e fortemente percepibile: è concreto, frutto di azioni anch’esse concrete e vitali. Eppure il paesaggio, come insieme di valori e portatore di signifcati anche affettivi, infuenza spesso l’azione sul territorio, limitandola, per salvarsi.
Si è posto l’accento sulla dimensione temporale del territorio, soprattutto per quanto concerne la dimensione storica e le sue velocità, strettamente legate alle persone e dunque alla società di ogni periodo. Turri suggerisce un’altra immagine molto evocativa, sebbene esplicativa e concreta, del territorio come «deposito di elementi che rimandano a momenti storici via via diversi, sovrapposti»12: strati geologici e strati storici, prodotto di culture e inter-/(e)venti. Nel territorio, sfogliandolo, appariranno livelli, tracce che si sono succedute, sovrascritture. Ci sono monumenti, nel senso storico del termine, come ingombro nella memoria, come sintomi e chiavi di lettura che svelano l’identità di quel luogo che è diventato territorio grazie alla mediazione umana. Questi monumenti sono l’evidenza, appunto, dell’esercizio sociale sullo spazio, e sono sintomo di come questo diventa territorio proprio con un’accezione di possesso: è mio, lo rendo mio (oppure lo rendo mio così è
mio). Eppure un territorio è una frazione della Terra, e chi ne fa uso, esercitando su di esso la proprietà sotto forma di azioni varie, sa che avrà conseguenze e modifcazioni in prospettiva futura su chi verrà dopo a interagire con quel territorio? e anche, in parallelo, con un contesto contemporaneo? e anche come cancellazione (modifca o distruzione) del signifcato passato che ne è stato fatto di questa porzione di terra?
2.4 Luoghi
Il luogo è una zona, una porzione di spazio, uno spazio-contenitore scenario di accadimenti che lo defniscono: è un contesto. Si avvicina più alla
semantica del territorio che a quella del paesaggio (anche se è scenario), ma è più generico, termine più adattabile e versatile nei discorsi. È uno spazio circoscritto con caratteristiche e peculiarità che fanno sì che ogni luogo sia diverso da un altro, ed ecco che qui si avvina molto alla defnizione tracciata di territorio. Il territorio è in un luogo, ma un luogo è parte di un territorio. I luoghi possono essere di diverse dimensioni, e un luogo può contenere in sé altri luoghi (o posti). I luoghi sono nel paesaggio e possono diventarlo, possono caricarsi di signifcati, mentre il paesaggio non può “regredire” a status di luogo. Rifacendosi alle parole di Lacarbonara e Jacob,
2.5 Divagazione 2: responsabilità
Di contorno una questione di responsabilità ecologica, riallacciandosi al concetto di proprietà e di prospettiva temporale con una coscienza etica dei luoghi posseduti/usati/modifcati eccetera. Molti pensatori di varia appartenenza storica e ambiti di interesse hanno posto l’attenzione sulle generazioni future che vivranno sulla
Terra e in un determinato luogo; nei loro confronti, «cittadini necessari»14, spesso è stata richiamata una responsabilità di gestione dei territori, dell’ambiente, della natura (non ignorando i contesti storici in cui i dibattiti in questione nascono, con una dinamica di interazione diretta tra storia e luoghi). Lo sguardo va al futuro, le parole sono proiettate verso il futuro, ma le azioni? Di contro, alla proiezione al domani, c’è anche da porre un’attenzione
se il paesaggio accade in una «temporalità minima»13, possiamo dire che il luogo esiste in una dimensione più lunga, di maggior durata, ma questo non signifca che un luogo non muti o non rischi di morire: un luogo cambia, cambia la relazione tra noi e lui, assume nuovi signifcati, ma c’è anche indipendentemente da noi, mentre un paesaggio (momentaneo e fortemente personale, soggettivo) non esiste nella stessa forma senza la presenza di chi lo guarda, creandolo. Il luogo c’è, ci infuenza, condiziona le nostre azioni e relazioni, è l’ambientazione degli eventi - soprattutto quotidiani. E per quanto possa essere personale, caricarsi di affetti, percepito
differentemente da soggetto a soggetto, esiste indipendentemente perché è qualcosa di materiale, spesso misurabile, riconoscibile, disponibile a prendere nomi e categorie: un luogo è spazio che, da anonimo, prende un nome e diventa altro, senza tradire se stesso.
Qui, in Stratifcazioni, luogo è sempre al plurale. E ogni luogo, in base a come viene vissuto, diventa patrimonio personale. Quando camminiamo, attraversando uno spazio, lo trasformiamo conoscendolo, facendolo nostro: è quello che da sempre l’essere umano è riuscito a fare, per bisogno di sopravvivenza, e Careri lo spiega bene nel suo Walkscapes.
Ogni luogo percorso lo portiamo dentro, ce lo portiamo dietro: come se i nostri piedi, ogni qual volta si rialzano dal calpestato, nel loro movimento del piede tallone-punta, ne portassero via una parte imprimendosela con il loro incidere, correre, rallentare, soffermarsi. Questo è quello che fanno i piedi, ma non sono loro l’unica parte di noi a camminare: cammina tutto il corpo, e il corpo è il luogo della nostra storia, e il noi-individuo (di ciascuno), camminando, si arricchisce di nuove frasi, nuovi racconti - nuovi strati della nostra persona.
(negli interventi sul territorio) di tipo archeologico, di memoria, salvaguardia: i signifcati passati di un luogo, nella dimensione anche piccola di usi e utilizzi, tradizioni. Eppure tutto si sovrascrive a tutto e, tracciando nuove forme su un pezzo di terra, è così facile cambiarne l’aspetto in superfcie. Ma tutto resta, anche se tace, nel tempo della storia e negli strati della Terra, nella sua memoria. E a volte non tace nemmeno.
Parlare di paesaggio - che è
elemento «promiscuo»15, parlare di territorio in questi termini e quindi parlare in generale di luoghi, porta con sé questioni contemporanee di interesse collettivo e di ampiezza signifcativa. Vivere con etica i luoghi, rapportarsi con essi, rispettarli, riconoscere paesaggi e saper leggere un territorio signifca essere a conoscenza che quei luoghi vissuti, quei territori percorsi, quei paesaggi percepiti sono parte di una terra interessata da mutamenti cli-
matici, aumento demografco, migrazioni e urbanizzazionicon fenomeni sociali a cascata, inquinamento, confni politici e guerre. E il paesaggio non è un fondale, il territorio non è superfcie intoccabile e insensibile a tutto ciò, il luogo non è immutabile né immortale.
Note
da Treccani, Vocabolario: https:// www.treccani.it/vocabolario/paesaggio/ Ivi.
Matteo Meschiari, Terra sapiens. Antropologie del paesaggio, Palermo, Sellerio, 2010, p. 56.
Michael Jacob, Il paesaggio, Il Mulino, 2009, p. 39.
Andrea Zanzotto, Aure e disincanti del Novecento letterario, Milano, Mondadori, 1994, p. 59.
Roberto Lacarbonara, Passages/ Paysages, Milano-Udine, Mimesis, 2020, p. 29.
John Berger, Paesaggi, Milano, Il Saggiatore, 2019.
Salvatore Settis, Architettura e democrazia. Paesaggio, città, diritti civili, Torino, Einaudi, 2017.
Eugenio Turri, La conoscenza del territorio. Metodologia per un’analisi storico-geografca, 2002.
Ivi, p. 14.
Ibidem.
Ivi, p. 16.
intervista di Mario Belpoliti a Michael Jacob, Progetto Jazzi. Desiderio di paesaggio, in “Doppiozero”, 06 Dicembre 2017.
Salvatore Settis, op. cit. Vittorio Lignardi, Mindscapes. Psiche nel paesaggio, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2019, p. 47.
È diventato ciò che è in virtù di ciò che ha percepito (e fatto) nel passato […]. Le possibilità di ciascuno di percepire e agire sono del tutto uniche, perché nessun altro occupa esattamente la sua posizione nel mondo o ha esattamente la sua storia
3.1 Con la psiche nel paesaggio e il paesaggio nella psiche
Psicologia e paesaggio sono fortemente legati, e Lingiardi1 rivendica l’importanza che il paesaggio (come ambiente non umano) ha nell’esistenza umana. Il paesaggio ha per lui una funzione psicologica, perché con l’ambiente non umano abbiamo un legame e per quanto ne siamo consapevoli o meno, questo rapporto infuisce, determina (insieme a altri elementi) lo sviluppo della personalità. Il paesaggio diventa un luogo psichico nell’esperienza di ciascuno. Ricerchiamo spesso quei luoghi che ci portano benessere, rifuggiamo quegli ambienti che ci mettono a disagio, che non ci rispecchiano. Alle volte alcuni posti vengono presi come motivi per smuovere l’esistenza, per mettersi alla prova: per crescere. Il rapporto con l’ambiente (e qui possiamo leggere paesaggi, luoghi) è un
rapporto psichico, un rapporto concreto di sensi che si attivano in simultanea: c’è il corpo a mediare questa relazione, immagazzinare le informazioni, creare sentimenti da sensazioni, ingombrare la memoria, e quindi creare la nostra identità. E formandosi una sensibilità, si forma il modo di rapportarci con il mondo, di vederlo, interpretarlo, farne esperienza: si forma il nostro modo di leggere, o forse (meglio) riconoscere un paesaggio, un luogo. Perché spesso cerchiamo all’esterno ciò che abbiamo dentro di noi, per sentirci al nostro posto, per sentirci a posto, per stare bene dentro e fuori.
D’altronde anche Hillman, nella “Politica della bellezza” (1999) sosteneva la strettissima relazione tra psiche e ambiente: «se la psicologia è lo studio del soggetto, e se i limiti di questo soggetto non possono essere defniti, allora, che lo si voglia oppure no, la psicologia si fonde con l’ecologia»2. Il pianeta, la realtà, luogo naturale e fsico, luogo di socialità e storia, è fortemente connesso all’individuo e alla sua mente: interno ed esterno sono separati da un confne sottile, sottilissimo, che è capace di assorbire. L’interno e l’esterno si modellano, ma è più grande il fuori che il dentro, è più grande il mondo di una persona («la maggior parte dell’anima sta fuori del corpo»), ed è questa che più risente delle infuenze, delle azioni dell’esterno. E si prende quei luoghi del mondo e li porta dentro, strati su strati, li seleziona, li sceglie, se li imprime, ricrea, ne fa nuove immagini, li ricorda o li rimuove, se li porta con/dentro sé.
3.2 Luoghi e persone
Cosa, di un luogo, rimane più impresso? Forse l’immagine in sé, rielaborata, oppure un colore, l’odore, il sentimento che è nato in noi in quel preciso posto, in quel preciso momento? o forse le persone a cui associamo l’essere stati lì presenti, oppure la temperatura, i suoni? Dipende, da che dipende? da che punto guardi il mondo tutto dipende. E quel punto d’osservazione siamo noi.
Non è possibile stabilire una legge generale per fornire spiegazioni sulle interazioni tra luogo/ambiente e persone. Ogni luogo ha un nome specifco, proprio, proprio perché - come noi esseri umani - è oggetto a sé stante che si differenzia dal resto della terra; chiamiamo le città per nome e gli diamo vie (con nomi di persone) e numeri civici per comodità, certo, ma proprio perché un posto non vale un altro. Abbiamo dato nomi a mari nonostante i loro confni non siano netti e un’onda che va di qua e di là non sa benissimo quando passa dalla “contrada” dell’Adriatico a quella dello Ionio. E così ogni nome dato a un luogo è il suo nome proprio, che porta con sé caratteri e peculiarità sue. Ma capita che un luogo abbia anche soprannomi dati da gruppi di persone o singoli. E queste persone a loro volta hanno nome, cognome e soprannome/i che li designano tante volte quanti sono gli occhi a guardarle. Ecco che, in questa pluralità di soggetti e punti di osservazione diversi tra loro, non possiamo pretendere una generalizzazione sul rapporto che intercorre tra questi soggetti.
La psicologia ambientale studia la molteplicità di interazioni tra questi ambienti e persone. E dagli anni ’70 ha trovato regole generiche e generali che sono la base di questi rapporti, ma niente è dato una volta per tutte, per tutti. Dipende sempre.
3.3 La psicologia ambientale
Il presupposto della psicologia ambientale è che l’ambiente dà degli stimoli che, raccolti dall’individuo attraverso l’esperienza, infuenzano quest’ultimo e ne determinano comportamenti, pensieri e affetti. Ma il modo in cui percepiamo l’ambiente e gli diamo senso dipende anche da noi individui, e da come la nostra persona si è formata interiorizzando stimoli ambientali nel corso della nostra vita. È un’interazione continua. Di fatti nella percezione di un ambiente l’individuo è sempre al suo interno, e in questa situazione di compresenza tutti i canali sensoriali collaborano a farne esperienza, raccogliendo e rilasciando stimoli come fusso di informazioni continue.
Già Lewin, tra i fondatori della Scuola di Psicologia della Gestalt, aveva assegnato all’ambiente un ruolo determinante per il comportamento umano, sostenendo che questo fosse una funzione dell’ambiente e della persona.
Neisser più tardi parla di schema mentale nella percezione di un ambiente, che è la struttura cognitiva propria di ciascun soggetto. Per spiegare bene il funzionamento della relazione tra realtà e individuo, mediata dagli schemi mentali personali, usiamo le parole di Baroni, che dice che «le informazioni che
percepiamo dal mondo sono selezionate attraverso schemi preesistenti nella nostra mente, […] ma anche i nostri schemi mentali si modifcano in seguito alle informazioni ambientali, in una situazione dinamica in cui gli schemi sono da un lato all’origine della nostra conoscenza dell’ambiente e dall’altro sono un prodotto fnale della stessa»3. Viene qui ripresa anche la teoria ecologica della percezione di Gibson, secondo cui l’esperienza non ha ruolo alcuno nella percezione, in quanto l’individuo deve solo registrare le informazioni che sono ormai già comprensibili: di fatti in una prospettiva evoluzionistica, i sensi si sono evoluti garantendoci la sopravvivenza. Questo pensiero considera l’individuo parte di una specie, quella umana, che nel tempo ha sviluppato competenze necessarie e vitali per tutti i suoi componenti, ma è doveroso allo stesso tempo considerare la non passività di ciascuno, proprio in una prospettiva evoluzionistica, dando per non ancora completata l’evoluzione della nostra specie e delle nostre capacità cognitive derivanti dall’esperienza diretta con l’ambiente. Sappiamo dunque che siamo persone non date ma in evoluzione: oltre ad avere un bagaglio di informazioni collettive ereditate, ognuno fa la propria esperienza di percezione della realtà: ciascuno «è diventato ciò che è in virtù di ciò che ha percepito (e fatto) nel passato […]. Le possibilità di ciascuno di percepire e agire sono del tutto uniche, perché nessun altro occupa esattamente la sua posizione nel mondo o ha esattamente la sua storia»4
Ogni persona è quindi agente attivo nell’esperienza con il mondo, e la sua soggettività fa sì che la qualità del rapporto tra individuo e ambiente vari di caso in caso. Appunto, dipende.
3.3.1 Dare un nome ai luoghi
Dipende, ma di fatto esistono degli schemi anche riferiti all’ambiente che ci aiutano inconsapevolmente a riconoscere e categorizzare un ambiente rispetto a un altro. Sono rappresentazioni astratte, eppure ci appaiono così concrete! Se dico cucina tu pensi a una cucina. Se leggi autostrada ti fguri nella mente una certa immagine.
Se io adesso penso a un’autostrada, penso a un’immagine particolare: autostrada A1, verso Frosinone, tra il Lazio e la Campania, direzione sud, dove le corsie larghe cominciano a essere affancate da colline e montagne e verde. La tua immagine sarà diversa, eppure non esclude la mia. La mia immagine di autostrada cambierà, sarà diversa col tempo, ma non esclude quella di adesso e non escluderà mai la tua visione. Supponiamo che il tuo schema e il mio abbiano fatto il proprio dovere, e quindi si sono immaginati l’asfalto, qualche ponte a sovrastare la carreggiata, il guardrail, le macchine. Questi sono degli elementi base, sempre presenti così da far riconoscere sia a me che a te quel determinato luogo in cui ci troviamo. Anche se guidassimo su una strada nuova non ci spaventeremmo a trovarci di fronte un ponte, perché sappiamo che è un elemento tipico. Certo, se invece di fanco alla carreggia-
ta, al posto di un autogrill magari appare una chiesa avremmo un attimo di spaesamento, o quantomeno stupore, ma se ci ricollochiamo nel contesto sapremmo che quell’elemento, sebbene non caratterizzante, rientra in quel particolare paesaggio autostradale e ok. Appaiono, poi, a volte delle aiuole tra una carreggiata e un’altra, a volte non ci facciamo caso; se le notiamo pensiamo “ma che carine” ma la loro presenza la diamo per irrilevante (anche se potrebbe non esserlo, ma non ci complichiamo troppo!). La nostra risposta all’ambiente si attiva in base agli stimoli presenti o meno, necessari, inusuali, o assenti. Reagiremo di volta in volta in maniera diversa in base a quanto ci attendiamo da un ambiente e in base a quanto la nostra previsione venga o meno soddisfatta. In sostanza l’attenzione si concentra su elementi attesi e su quelli incompatibili con quella categoria di ambiente, che poi si sedimenterà nella memoria scartando informazioni meno percepibili e conservando quelle che ci hanno attratto di più. E di un ambiente ci ricorderemo gli oggetti tipici che ci hanno permesso di riconoscerlo come autostrada e non come cucina, poi la loro disposizione tipica e in seguito le loro caratteristiche.
Questi sono degli schemi dell’ambiente, delle regole generali che sono alla base dell’esperienza di ognuno con una particolare realtà. C’è però da capire perché se io penso a un’autostrada mi viene in mente proprio quell’autostrada descritta rapidissimamente qualche riga fa. Certo, si è attivato nella mia memoria qualche meccanismo che ha fatto
sì che le informazioni ricevute come stimoli si imprimessero con più forza rispetto ad altre immagini appartenenti alla stessa categoria di ambiente. Allora in quale misura elementi affettivi - e dunque del vissuto personale - incidono tanto nell’esperienza soggettiva?
3.3.2 Sviluppare affetti: dalle persone ai luoghi
Il ruolo dell’ambiente è centrale nell’età infantile: è qui che il bambino comincia a sviluppare le prime relazioni oggettuali. L’ambiente in questo periodo è la fgura di sostegno, la mamma generalmente, e non è un caso che poi si dica madre-terra: l’ambiente di vita va a sostituirsi alla fgura di riferimento quando un bambino diventa poi persona adulta. E quest’ambiente ha implicazioni semantiche varie, tanto che forse si potrebbe parlare di contesto se non fosse un termine meno poetico e decisamente meno aperto, già a pronunciarsi. In sostanza, l’ambiente è l’ambito sociale ma anche materiale, che ha connotazioni fsiche, affettive e comportamentali. Winnicott, psicologo della teoria dello sviluppo affettivo, sostiene appunto la centralità dell’ambiente nelle fasi iniziali della vita di ciascuno. L’ambiente da cui nasciamo è il corpo della madre, che è il primo luogo di cui siamo abitanti, «poi nelle sue braccia e infne nella casa fornita dai genitori». Parlando di ambiente a questi livelli si fa riferimento a un ambiente umano, necessario affnché ognuno di noi, bambino, abbia delle interazioni che lo stimolino a conoscere il mondo intorno. Ed è appunto da questo animato, umano,
che poi sapremo fare uso del mondo non umano, inanimato. Sembrano due universi opposti, l’umano e il non umano, eppure si arriva a sviluppare «un attaccamento ai luoghi che ha, nelle diverse fasi della vita, radici e modalità di espressione simili a quelle dell’attaccamento alle persone»5. Questo attaccamento ai luoghi lo cominciamo a sviluppare da bambini: si formano le premesse, come fossero dei pattern per ciò che sarà in futuro.
Con le fgure di riferimento intorno, a garantirci sicurezza e protezione, cominciamo a esplorare il mondo che ci sta attorno in forma attiva, sino a divenire indipendenti e autonomi nella conoscenza di ciò che ci è ignoto. Proviamo a immaginarci quanto si amplia piano piano il campo visivo di un bambino; gli stimoli, dapprima riferiti a poche persone e oggetti, mano a mano arrivano dal mondo sconosciuto e l’occhio e gli altri sensi cominciano a concentrarsi su cose nuove. Ma questa nuova conoscenza, questo legame che può crearsi con il mondo si formerà in conseguenza dello stile di attaccamento sviluppatosi tra noi bambini e le nostre fgure di riferimento. La modalità con cui si crea questo attaccamento si rifette poi nel modo con cui ci approcceremo al mondo e creeremo attaccamenti secondari, tra cui anche quello con i luoghi. Diciamo che il miglior auspicio è che ogni bambino sviluppi uno stile di attaccamento sicuro, che si ha quando il bimbo si separa volontariamente dalla persona “sicura” per l’esplorazione e poi vi si ricongiunge serenamente dopo che questa conoscenza con il mondo esterno è avvenuta.
Attaccarsi a un luogo ha una discreta varietà di forme e misure, che vanno dalla continuità all’intensità del legame, comprendendo criteri quali la durata, la qualità emozionale e la propensione personale ai legami. È doveroso tenere presente che la relazione con l’ambiente è sempre mediata da relazioni sociali: non c’è rapporto con un luogo che non dipenda (anche) da persone altre da noi. Come l’attaccamento alla persona di riferimento è un momento di passaggio e poi varia col tempo, anche l’attaccamento ai luoghi è più forte in alcune fasi della vita: con l’aumento della fragilità (in situazioni di debolezza fsica, mentale e emotiva) aumenta anche l’attaccamento, la dipendenza a un luogo. Capiamo quindi che i luoghi sono fondamentali per ciascuno di noi se riproducono quel legame con fgure cruciali per la nostra sopravvivenza, in situazioni di dipendenza, e per la formazione della nostra persona. Un legame che è necessità e tensione verso l’altro, e poi anche verso ciò che è altro all’umano, e così ai luoghi. La nostra persona, la nostra identità, dunque, risentono di questo rapporto con i luoghi, data l’importanza che questi assumono nell’arco della vita: «tra i fattori che concorrono a determinare l’attaccamento delle persone ai luoghi sono la presenza di risorse per rispondere ai bisogni dell’individuo, la libertà o no dell’individuo di restare nel luogo, le effettive possibilità di mobilità dell’individuo nell’ambiente, ma anche le sue caratteristiche individuali di personalità»6
Questo pensiero di Jean Bertrand Pontalis [“ci vogliono parecchi luoghi dentro di sé per avere qualche speranza di essere se stessi” (1986)] ci insegna due cose: una è che la nostra storia e la nostra psiche sono anche una geografa; siamo inseparabili dai nostri luoghi, per amore o per rancore. L’altra è che il nostro luogo non è mai uno solo. Ci vogliono, appunto, molti luoghi.
Note
Vittorio Lignardi, Mindscapes. Psiche nel paesaggio, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2019, p. 47.
James Hillman, Politica della bellezza, Bergamo, Moretti e Vitali, 1999, p. 49.
Maria Rosa Baroni, Psicologia Ambientale, s.l., Il Mulino, 1998, p. 39. Ulric Neisser, 1976, Conoscenza e realtà: un esame critico del cognitivismo, tr. it. Maria Bagassi, Bologna, Il Mulino, 1981, p. 77.
Maria Rosa Baroni, op. cit., p. 73. Ivi, p. 76, 77.
Considerare i paesaggi statici e immutabili in realtà è un errore perché i paesaggi evolvono come tutto il resto. E la natura crea se stessa semplicemente diversa da come la conoscevamo. Eppure resta diffcile immaginare la Puglia senza ulivi e non pensare che, insieme agli alberi, perderà anche una parte della sua identità.
«Ogni volta che viaggio in macchina sulla statale che collega Brindisi a Lecce mi sembra di viaggiare avanti nel tempo in modo accelerato. È una specie di timelapse dentro l’epidemia: prima si vedono gli ulivi ancora tutti verdi e sani, poi cominciano le prime macchie gialle sulle fronde e andando verso sud gli alberi diventano sempre più secchi, sempre più gialli, fnché non si trovano altro che scheletri ingrigiti.»
L’epidemia di Xylella sta mutando un certo luogo, e allora viene da chiedersi, sull’onda di questo confronto, se il Covid-19 non stia mutando anch’esso il paesaggio, stavolta a livello mondiale. Sembra un paragone forse azzardato.. perché giustifcare un tale forzamento mettendo in ballo degli alberi? Stefano Mancuso spiega quanto poco sia ascoltato, da noi, il mondo vegetale rispetto al mondo animale. Sì che siamo animali, noi, ma
viviamo sulla terra e la sua superfcie è popolata molto più da piante che da animali, eppure è forse il nostro senso di superiorità sulle altre specie a farci disinteressare delle piante e di ciò che accade loro, non sapendo che spesso si svolgono anche in quel regno le stesse cose (con dinamiche molto simili) che succedono nel nostro universo. Forse è la temporalità del mondo vegetale, più dilatata rispetto alla nostra, meno frenetica, a non darci la dimensione dell’importanza che le piante hanno.
Per capire ancora di più il paragone tra l’epidemia di Xylella e quella di Covid-19 si può direttamente recuperare il podcast di Paolo Giordano, Ossigeno, episodio 3.
Ritornando invece al tema del paesaggio mutato da questo agente patogeno diffusosi capillarmente in Puglia, non è da escludere che anche l’assoluto
protagonista infettivo degli ultimi tempi stia mutando il paesaggio a livello globale. E non è così diffcile da spiegare. Basta richiamare alla mente quelle immagini che erano ovunque qualche mese fa: le città deserte, la natura che si è rifatta strada con animali e vegetazione là dove le strade di cemento avevano preso il suo posto. Ma anche affacciandosi adesso dalla fnestra di casa possiamo vedere un mutamento in corso. Se assumessimo, per assurdo, i nostri corpi come oggetti del paesaggio, sarebbe facile capire come noi-paesaggi siamo cambiati, cosa c’è di nuovo e cosa non si vede più dell’altro incontrandolo per strada. Ancora di più, forse, sta cambiando però il nostro modo di osservare e di percepire l’intorno, ed è questa componente del paesaggio a mutare la nostra relazione con il mondo esterno. Proprio il fatto che la natura abbia continuato a vivere serenamente, e forse meglio, senza la
presenza fastidiosa di noi persone, potrebbe avere il rischio di allontanarci ancora di più da essa e dal paesaggio. Non ci sentiamo in sintonia col mondo non umano, dal momento che ci sta dicendo che senza di noi forse sta meglio. Questo potrebbe essere una chiave di lettura; eppure il forte sentimento di assenza, la non disponibilità del mondo naturale per noi ormai quasi tutti concentrati e ultimamente intrappolati nel mondo urbanizzato, potrebbe star risvegliando una voglia di paesaggio, inteso come esperienza con la natura.
Forse più che cambiare sul momento il paesaggio stesso, il Covid, oltre a modifcare il nostro sguardo, la nostra fnestra e visuale (e proprio in seguito a questo mutamento) cambierà nel più lungo termine il paesaggio frutto del nostro nuovo approccio con il territorio e con i luoghi che sta ponendo le proprie basi adesso. Si è fatta strada la necessità di nuove politiche e nuove progettualità sull’organizzazione degli spazi urbani (paesaggi anche essi) per il prossimo futuro; ma soprattutto si è radicato nelle persone un nuovo modo di percepire il mondo che cambierà la nostra interazione con esso, anche dopo che il virus sarà superato. Cambieranno i luoghi, verranno progettati in maniera diversa; oppure no?
Per quanto tempo, dopo che questa epidemia verrà placata, i nostri modi di relazionarci in mezzo alla gente dentro luoghi abitudinari continuerà a sentire il peso di distanze, attenzioni, preoccupazioni?
Parliamo di territorio, di paesaggio, e la pluralità è implicita: sono luoghi innanzitutto, parti di uno spazio.
C’è una pluralità nel paesaggio, sia che ci si riferisca a esso in termini geografci, sia facendo riferimento alla pluralità di sguardi che, nel tempo, possono leggere un paesaggio in un luogo. Questo porta ad affermare il concetto di paesaggio come molteplicità di narrazioni. L’attenzione è da porre sulla relazione tra individuo (come abitante e cittadino) e spazio. Un luogo viene vissuto dal singolo e dalla collettività attraverso un’esperienza diretta che porta alla sua modifcazione e appropriazione. Lo spazio diventa paesaggio tramite l’attribuzione di senso alle sue componenti, che diventano segni comunicativi e comprensibili (Turri, 2000). Il paesaggio si costruisce dunque grazie alla relazione tra abitanti e luogo, e per questo è territorio da leggere con valore storico-cul-
il paesaggio è una narrazione collettiva, espressione e al tempo stesso fondamento dell’identità delle popolazioni
turale, come espressione sociale. Diventa urgente parlare di paesaggi al plurale, data la varietà di sguardi che sanno riconoscerli in vari spazi e creare visioni. Serve considerare continuamente gli sguardi che percepiscono il paesaggio, perché questo è loro espressione e al tempo stesso il loro fondamento. I paesaggi sono dunque racconti al tempo presente dell’identità di un luogo e di chi lo abita; ma la dimensione presente non scarta né il passato né il futuro. È insita nel presente una trasformazione in divenire, continua, che porta alla consapevolezza che ciò che viene visto qui e ora ha ancora più valore perché mai replicabile. Ma il presente di un paesaggio è successione di un passato che si è andato a sedimentare in quel luogo, con sovrapposizione di riscritture, riletture, reinterpretazioni. Ogni territorio è proprietà di qualcuno, e sia che si tratti di un singolo che di una società, il
rapporto con l’altro è presente. La pluralità dei luoghi sta anche nella dimensione temporale: nello svolgersi del tempo un luogo non rimane mai tale. Ma questa pluralità è più di ogni altra cosa nella molteplicità di sguardi.
Raccontiamo luoghi, da sempre; e sempre lo faremo. Defniamo lo spazio da sempre, abitandolo; possediamo i luoghi raccontandoli. Usiamo fotografe, parole; richiamiamo ricordi nella nostra mente. E loro? I luoghi? I luoghi parlano, raccontano anch’essi. È un racconto a due direzioni, due dimensioni compresenti. Non c’è un racconto immutabile, non c’è racconto che non possa essere raccontato nuovamente. Ci sono racconti al plurale, e i luoghi possono vivere solo nella misura in cui non li possediamo davvero: li raccontiamo, li tramandiamo, e così li apriamo ad altri.
_racconti
contiene 2 focus personali su altrettanti luoghi, distanti, opposti, eppure attraversati a poco tempo di distanza, con un corpo a creare un legame tra questi due posti. Parigi è dove è stata svegliata l’idea di Stratifcazioni, Matera il luogo di fascinazione che è ambientazione di tratifcazioni PERCORSO. Oltre questi, tutti i luoghi, gli strati.
_racconti / contributi
è un insieme di narrazioni di luoghi diversi, che sono voci diverse. È una narrazione collettiva, un pensiero, dei ricordi, i legami con dei luoghi, e i luoghi che raccontano persone. Tramite social ho presentato il progetto e alcune persone hanno deciso di partecipare raccontando dei luoghi, parlando del loro legame con questi, presentando progetti, condividendo alcuni pensieri.
Perdersi signifca che tra noi e lo spazio non c’è solo un rapporto di dominio, di controllo da parte del soggetto, ma anche la possibilità che sia lo spazio a dominare noi. Sono momenti della vita in cui impariamo ad apprendere dallo spazio che ci circonda [...] Cambiare luoghi, confrontarsi con mondi diversi, essere costretti a ricreare in continuazione i punti di riferimento, è rigenerante a livello psichico.
5.1 fetishparish
Che sia stata rigenerante a livello psichico non so, non vorrei approfondire questo assunto, ma Parigi è stata l’esperienza di svariati per, tra cui per-dersi: uno smarrimento, un lasciarsi guidare, soffermarsi, tornare indietro e ricostruire le connessioni tra un luogo e un altro, creando mappe nuove di orientamento. FetishParish è stato un modo di raccontare la mia presenza in questa città, fotografando i miei piedi in ritagli di luoghi che riesco a riconoscere e collocare lungo le strade e nel tempo; un gioco di inquadratura, ritaglio, rubando al camminare la sua andatura e fermandola, forzando dialoghi. E Parigi ha rappresentato bene quanto lo spazio sappia dominare le persone.
La forma di Matera mostra la stratifcazione avuta nel tempo, prima con lo scavo dei sassi e poi con la crescita della città nella costruzione di abitazioni.
It’s hard to stay mad when there’s so much beauty in the world. Sometimes I feel like I’m seeing
5.3 CONTRIBUTO DI Ilaria Eltrudis
all at once, and it’s too much; my heart flls up like a balloon that’s about to burst. And then I remember to relax, and stop trying to hold onto it. And then it fows through me like rain, and I can’t feel anything but gratitude for every single moment of my stupid, little life.
Don’t worry about the future; or worry, but know that worrying is as effective as trying to solve an algebra equation by chewing bubblegum. The real troubles in your life are apt to be things that never crossed your worried mind; the kind that blindside you at 4 pm on some idle Tuesday
5.4 CONTRIBUTO DI Camilla Raff
Spesso mi capita di ascoltare distrattamente una canzone, soprattutto mentre viaggio in macchina o in pullman e il paesaggio sfreccia veloce tra curve e frenate. Proprio in quei momenti di distrazione e musica “scatto” un’immagine mentale, un’immagine che non racchiude solo lo spazio che mi circondava ma anche i pensieri che mi passavano per la testa, le emozioni e le sensazioni che provavo.
Avrei voluto (e dovuto) scattare delle vere e proprie foto per rendere il tutto più comprensibile, ma in mancanza di immagini proverò a descrivere in posti in cui ero e in cui mi riportano queste canzoni.
Frigobar
la canzone che ho ascoltato in loop nell’autunno del 2018. Appena arrivata a Torino per iniziare la magistrale mentre cercavo di orientarmi fra i semafori, i portici e i graffti. La vena malinconica di Franco si adatta bene alle serate di fne novembre, al freddo umido che ti entra nelle ossa e alla pioggia che “bussa sopra al fnestrino dell’autobus. Fuori le poche luci che fanno compagnia ai lampioni vengono dalle luminarie di Natale sopra via Po, dai chioschetti di libri sotto ai portici che chiudono i battenti e dalle case sopra i fli dei tram.
National Anthem
qui non sono più in un pullman, ma nella macchina di Sara nell’estate del 20(e non voglio ricordare quanto tempo fa era). Probabilmente era l’ultimo anno di liceo, dopo l’ansia dell’esame di Stato e prima di quella dell’università, in quel breve tempo di pace dove
ancora tutto poteva succedere cantando con i fnestrini abbassati per le strade torride di Grosseto.
Polaroid
Pisa durante gli anni della triennale. Sono in camera mia che metto a posto i panni appena levati dallo stendino. Nell’altra camera Sara e Sabrina studiano e il giorno comincia a fnire. Quella sensazione di essere proprio nel posto giusto.
In aria
una delle canzoni che un po’ ti imbarazza aver ascoltato così tante volte, ma era di nuove estate, ero di nuovo su un pullman. È uno dei ricordi più lontani, ricordo bene solo l’odore di salsedine e i capelli ancora umidi.
Alors alors
fnisco di nuovo con Torino, che è ormai è la mia seconda casa. Pullman e autobus sono un tema ricorrente e anche qui
mi trovavo su un bus che attraversava la Dora. Ero contenta di aver scoperto questo duo di cantanti francesi e stavo andando in centro per incontrare le mie “colleghe” (amiche) dell’università per un progetto di informatica. Ricordo ancora la voglia di fare nuove esperienze e di imparare cose nuove mista all’ansia di scendere alla fermata giusta, perché non importa quanto tempo io passi in una città, il mio senso dell’orientamento rimarrà sempre imbarazzante.
5.5 CONTRIBUTO DI Alice Corsini
Nella vita esistono attimi bisognosi di essere ricordati per sempre. La fotografa cerca di raccontare perché esiste questo bisogno, così come la nostalgia di tempi lontani, fa sì che si conservi quell’unico ricordo, come un profondo legame, intimo ed eternamente nostro. Questi 5 attimi della mia vita hanno sentito il bisogno di essere ricordati. 5 foto che guardano avanti, che hanno l’immenso potere di riportarmi indietro, ogni volta.
5.6 CONTRIBUTO DI Martina Cutrupi
Luogo comune per i fuorisede l’autostrada, la massima espressione della capacità dell’uomo di imporsi sulla natura, le fondamenta del settore terziario. Ma da quell’ infnito tapis roulant che ti porta comodamente a casa senza nemmeno muovere un muscolo c’è un bel panorama, uno di quelli che cambia velocemente e sembra correre come inseguito da qualcuno. Per la maggior parte alberi, altissimi, di quelli che vedi tutto l’anno. Ma a loro piace cambiare, un po’ come le scale di Hogwarts, d’estate sono amanti delle capigliature cotonate sui toni del verde talmente vaste che si mescolano con quelle dei loro vicini, d’inverno si mettono a nudo. In un ambiente che mi è diventato così familiare, ogni volta mi chiedo per quale motivo quando tutti noi ce ne andiamo al mare e ci liberiamo degli abiti invernali per lasciare spazio al costume, loro si vestono così pomposi e pieni di vita come
per dare lezioni di stile. E poi col freddo, rinunciano ancora una volta a omologarsi a noi e si spogliano facendoci intravedere tutti i particolari che prima erano nascosti dalle chiome, come i fsici scolpiti dei loro compagni in seconda fla. Mi piace che vogliano staccarsi da noi, fanno bene, la natura ci ha pensato prima di far nascere alberi anticonformisti.
5.7 CONTRIBUTO DI Sabrina Cardarelli
5.8 CONTRIBUTO DI Andrea Failli
Lavorare a contatto con la terra rigenera le energie, allevia lo stress e rende più felici. Coltivare e prendersi cura è alla base di tutto, che sia un’ambizione, un’idea, un sogno o semplicemente delle fragole. Lavoro in campagna, all’aria aperta dove ogni giorno ho la possibilità di vedere colori, sentire profumi e poter toccare con mano i frutti dei propri sforzi. Ed è proprio negli ultimi anni che ho iniziato ad apprezzare le cose semplici della vita, come il silenzio della natura, i sapori e gli svariati colori che la terra, la cosa più basilare di tutte, ci dà: come il rosso delle fragole, il viola di un carciofo o il giallo del miele appena raccolto.
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ANOMALIE /
Le stazioni della Ferrovia del Sulcis progetto fotografco - 2018
Se dovessi pensare ad una caratteristica tipica del paesaggio sardo, sarebbe certamente la compenetrazione di elementi antichi e monumenti moderni sullo stesso piano spaziotemporale, come livelli di una mappa che è stata ridisegnata numerose volte e su cui si possono ancora notare i vecchi tratti leggermente cancellati. Basta percorrere qualsiasi strada statale sarda per poter ritrovare insieme costruzioni nuragiche e complessi di archeologia industriale, capaci di dialogare nello stesso presente nonostante provengano da contesti completamente diversi.
Sopravvissute alla sfda del tempo, capita spesso di trovare queste costruzioni che emergono in un tempo che non le appartiene più, private di una ragione di essere presenti lì ed
ora e che, quindi, diventano anomalie in un territorio in costante cambiamento ed evoluzione.
All’interno del mio paese, San Giovanni Suergiu (SU) esiste una vecchia stazione ferroviaria, completamente abbandonata: nascosta dagli alberi, la scritta in rosso scuro “Ferrovie Meridionali Sarde” si estende sulla facciata di un grande fabbricato, dipinto di un bianco spento, dietro cui si distende un enorme piazzale vuoto, ai cui lati prosegue una pista ciclo-pedonale, poggiata sul percorso della vecchia linea. Nessuna traccia di binari, nessuna infrastruttura circostante, solo alcuni piccoli caseggiati pericolanti, strutture arrugginite ed un grandissimo vuoto: può sembrare una fne immeritata per quella che fu, più di sessant’anni fa, uno degli scali
più importanti della rete ferroviaria del Sulcis. Se all’epoca il territorio sulcitano costituiva una delle realtà più produttive e intensamente sfruttate dell’economia locale e nazionale, al giorno d’oggi si trova in crisi nel tentativo di trovare una nuova direzione e di riadattarsi con diffcoltà , dopo essere stata privata di tutte le risorse che disponeva, al modello economico-sociale del XXI secolo. Un senso di abbandono, di sfnimento e rassegnazione, come quello che trasuda dalle facciate da queste stazioni: le fnestre rotte, gli ingressi sbarrati, l’erba incolta, le frme di generazioni che non hanno vissuto il loro tempo, l’immagine di un “paese” sempre più sbiadito, di una comunità sempre più in crisi. Figlie della modernità, alcune conservano miracolosamente i colori e i decori
dipinti da Stanis Dessy, mentre altre non portano nessun nome su di esse, come se gli stessi abitati a cui hanno fatto riferimento fossero spariti, come porte aperte sul nulla. Alcune sono state recuperate per uso privato, spesso riadattate o ridipinte completamente, mentre molte sono quelle dimenticate e pericolanti. Solo la rigida serialità della loro forma ancora le accomuna, ma la loro storia assume senso solo quando vengono interrogate insieme, una dopo l’altra, come il percorso del treno che puntualmente le ha collegate per tanti anni. Eppure restano solitarie, lentamente la loro superfcie si dissolve mentre la mappa intorno a loro viene ridisegnata un’ulteriore volta; resistono su di essa come orfani, abbandonati dalla memoria sempre più debole di coloro che li hanno
vissuti. Non sono più stazioni ma luoghi negati, non-luoghi, contraddizioni in un paesaggio che le assorbe passivamente.
Le Ferrovie Meridionali Sarde (FMS), nate del 1915, furono l’organo che costituì la vecchia rete ferroviaria del Sulcis, attiva dal 1926 fno al 1974, anno della loro dimessa e conversione a servizio autobus. Questa rete rappresentò una importante via di collegamento interno con il Cagliaritano e con l’isola, contribuendo all’ascesa e allo sviluppo economico dell’intera zona sino al suo declino, in concomitanza con il crollo dell’attività mineraria.
Per scoprire di più sulla storia del Sulcis e della sua vecchia Ferrovia, usa il QR code per accedere ai contenuti:
- mappa virtuale della rete ferroviaria;
- documentario, disponibile su YouTube, sulla storia delle Ferrovie Meridionali Sarde con flmati d’epoca;
- documentario degli anni ‘60, dell’archivio LUCE, sulla crisi economica e sociale del Sulcis Iglesiente.
5.10 CONTRIBUTO DI Elisa Barbera
1. Davanti a te tutto trova un suo equilibrio e si raddrizza, come la sottile linea che ti divide dal cielo. Ti osservo quando la luce del sole inizia a sparire, quando le ombre iniziano ad allungarsi e ti trovo bello come non mai. L’azzurro inizia a virare verso il turchese, diventi denso e penso che vorrei perdermi nella tua dolce carezza salata.
Mi avvolgi, mi conquisti, mi aggiusti.
Quando ti guardo vedo le vite che avrei voluto vivere, provo a immaginare l’inimmaginabile. Da piccola ho giocato a essere sirena, delfno, regina del tuo regno sommerso. Adesso cammino sulla riva, non ho la coda di squame che sognavo da bambina, ma la cosa più brutta è che non riesco nemmeno più a immaginarmela quella coda. Quando ho perso la capacità di sognare mondi impossibili? Odio queste gambe che mi ri-
cordano che sono fatta per la terra ferma.
Datemi squame e branchie, appartengo a qualcos’altro.
Se ti tocco mi sento parte del creato, divento fuida e trasparente. I miei piedi stuzzicano la rena, la schiuma che si forma sulla riva e vorrei fondermi con quello che tocco. Penso che questo mondo è perfetto perché ogni essere vivente ha il suo elemento a cui tornare. Appartengo a te, immensa distesa di acqua blu, perché non c’è niente altro che mi fa sentire la quiete e la tempesta, la sicurezza e il terrore più profondo.
Cammino verso di te.
Mi avvolgi. Mi conquisti. Mi aggiusti.
Mi sommergi.
Sono dentro di te.
Sono come te, mare.
3.
non fanno per
e la
alla lunga. Non penso di resistere lontana dalla brulicante vibrazione della vita cittadina. È frizzante, è brutale, è stressante, ma è la cosa che più di ogni altra mi ricorda che abito questo mondo. Come ogni animale, sento il richiamo dell’incontaminato e del selvaggio, ma poi è la città l’unica giungla a cui posso appartenere; l’unica giungla in cui so come sopravvivere. C’è una cosa delle città di cui non posso fare a meno e sono le luci nelle case degli altri: quando imbrunisce e iniziano a sbocciare bagliori dalle fnestre, ah, che bel momento. È la vita. Immagino le vite degli altri in quello spaccato luminoso che mi regalano, mentre costruisco, nascosta nell’anonimo brulicare grigio della città, la mia.
2. “Amore e Psiche”, Louvre I miei occhi sono vostri, incantati per sempre.4. Senza la vista saprei lo stesso quali sono i posti che più mi hanno colpito nel mondo? La sensazione di bellezza (la chiamo così per comodità, ma intendo un misto di percezioni che portano a decidere che quel posto non te lo potrai mai dimenticare) quanti sensi riesce a pervadere? Io non riesco a immaginare di poter godere della bellezza senza il mezzo che per primo me la fa percepire. Ma vorrei provarci oggi: vediamo dove riesco ad arrivare se mi privo della vista. Chiudo gli occhi e raggiungo i posti che la memoria dei miei sensi riesce a pervenire. Ecco cosa sento:
Odore di erba tagliata. Mi piace! Dove sono? Penso in campagna, alla Rugginosa. Oppure nel prato che c’è vicino casa mia a Grosseto, quello dove passo sempre ogni volta che esco a piedi. Comunque posti che mi ricordano casa.
Profumo di chiuso, misto a umidità. Sono nella casa di Mesagne, ne sono sicura. Quelle mura che ogni estate trovavamo rovinate dai troppi mesi di buio e chiuso, l’estate ci facevano dannare.
Musica, fervore, brulichio di gente. Bambini che urlano. C’è anche odore di fritto, di sugo e brace. Ma sento anche il sudore che mi imperla la pelle e le gambe doloranti. È la Festa di Santa Lucia, non potrei confondermi mai. Ogni odore di brace, ogni musica delle giostre mi riporta nel parco Vittore Parri.
Sento il sapore degli arancini e di carciof cotti sulla brace. Ma, non solo. Si deve essere attivata la memoria tattile, per-
ché sento anche la consistenza della sabbia di Castellammare del Golfo: è diversa da quella di Marina di Grosseto, a cui sono abituata. È più fne. E poi ci sono i mille baci dei parenti di giù (lì ci si bacia tantissimo), ci sono le voci dei miei cugini che mi chiedono di ripetere “la coca cola con la cannuccia corta corta e colorata” perché non si capacitano di come noi in Toscana non riusciamo a dire le “C”. C’è il vociare fno a tarda notte e il profumo del porto.
Questo è odore di focaccia pugliese! Siamo tornati a Mesagne, siamo nel panifcio vicino casa, è estate e mia mamma sta facendo scorte di focacce, perché stiamo ripartendo. Otto ore e più di viaggio mi aspettano nella ford bianca di babbo e improvvisamente sento anche la nausea che ogni volta mi prendeva. Voglio tornare nel panifcio.. Questo odore in realtà scatena il ricordo di così tanti posti: la villa comunale del paese, le strade piene di ulivi, la casa in campagna di Marinella, la spiaggia di Santa Sabina…
Questo odore di incenso invece è la chiesa di Santa Lucia. Allora, siccome non posso descrivervela con colori e geometrie, vi dico che oltre all’odore dell’incenso, tipico del periodo pasquale, sento anche i canti che facevamo, l’odore della cera che si scoglie, la scomodità delle panche di legno e il freddo delle sere invernali, quando avevamo degli incontri e non potevamo accendere i riscaldamenti. Sento anche alcune voci precise, quella di Padre Samuele e di Padre Lamberto, di alcuni miei compagni e fratelli del periodo della Gifra. Sento la commozione e la no-
stalgia, quindi meglio andare oltre.
Sento di nuovo la sabbia appiccicata alle gambe, ma questa volta sono in una spiaggia che conosco: è il Capezzòlo a Castiglione della Pescaia. Credo sia l’ora del tramonto, perché il sole è lieve sulla mia pelle. Questo spettacolo vorrei farvelo davvero vedere, magari un’altra volta.
Questi rumore di clacson e motorini sono per forza di Firenze. Abito su un semaforo su una via traffcatissima, quindi sono diventati normali. Sento l’odore che fanno i riscaldamenti accesi di questa casa, il calore delle coperte. Mi sento al sicuro, la sento casa per davvero.
Questa puzza invece è Verona. Io ancora non capisco, ogni volta che mettevo il piede giù da quel treno un odore acre di concime e foglie umide mi faceva venire voglia di risalire. Verona ha un cattivo odore, ma la casa dell’ultimo anno invece sapeva di amicizia e famiglia.
Non so perché improvvisamente sento odore di cancelleria nuova. Sono immediatamente catapultata alle elementari, sento le voci delle maestre e l’odore del cibo orribile della mensa. Ma che belli quegli anni, che sanno anche di pane e nutella a merenda e suonano di sigle di cartoni animati.
La mia casa di Grosseto non ha un odore particolare, ho provato richiamarla tramite i miei sensi esclusa la vista e la prima sensazione è stata quella tattile: sento la consistenza del vecchio divano sulla pelle. Però anche il ronzio della televisio-
ne accesa che sta guardando babbo Salvo e l’odore dei dolci di mamma Genni. E ovviamente le urla del pazzo che abita nella via dietro casa. Sono le sensazioni più tranquillizzanti che conosco.
Probabilmente se mi fossi lasciata guidare solo dalla vista vi avrei raccontato altre cose. Avrei parlato dei posti dei miei viaggi, vi avrei regalato scorci più belli, ma sicuramente meno signifcativi. Perché quei posti non hanno odori e rumori registrati nella memoria, a quanto pare. Buffa questa cosa: sono partita pensando che vi avrei raccontato dei miei viaggi, o vi avrei descritto i colori della mia casa quando batte il sole, o magari di quella volta che ho visto un panorama pazzesco che mi ha riempito gli occhi di beltà, ma evidentemente non doveva andare così. Terrò per me gli scorci di quei luoghi, anche se penso di avervi regalato i più preziosi che avevo.
In questa bibliografa alcuni testi con riferimenti diretti dalle pagine precedenti, ma anche libri che hanno accompagnato il percorso di Stratifcazionifondamentali anche se non appaiono nelle note o tra le parole stampate sopra, ma stanno comunque dietro.
Maria Rosa Baroni, Psicologia Ambientale, s.l., Il Mulino, 2008
Italo Calvino, Le città invisibili, Milano, Mondadori, 2016
Francesco Careri, Walkscapes. Camminare come pratica estetica, Torino, Einaudi, 2006
Michael Jacob, Il paesaggio, s.l., Il Mulino, 2009
Roberto Lacarbonara, Passages/Paysages, Milano-Udine, Mimesis Edizioni, 2020
VIttorio Lignardi, Mindscapes. Psiche nel paesaggio, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2017
Stefano Mancuso, La pianta del mondo, Roma; Bari, Laterza, 2020
Apri Spotify con il tuo dispositivo mobile < vai a Cerca < clicca sulla fotocamera e puntala sul Codice Spotify qui sotto per aprire la Playlist
Nausica Pezzoni, Il paesaggio come narrazione del presente, in “Territorio” n. 52/2010
Studio Azzurro, Immagini sensibili, Milano, Silvana Editoriale, 2016
Eugenio Turri, La conoscenza del territorio. Metodologia per un’analisi storico-geografca, Venezia, Marsilio Editori, 2002
Eugenio Turri, Il paesaggio come teatro. Dal territorio vissuto al territorio rappresentato, Venezia, Marsilio Editori, 2018
RINGRAZIAMENTI Stratifcazioni
Grazie a chi ha contribuito con il proprio “racconto” ad arricchire Stratifcazioni mettendo la propria storia / i propri pensieri / i propri luoghi a fanco di altri (non ancora conosciuti), in questo racconto aperto.
Grazie per la fducia e l’interessamento a:
Elisa Barbera
Sabrina Cardarelli
Alice Corsini
Martina Cutrupi
Ilaria Eltrudis
Andrea Failli
Francesco Gaviano
Camilla Raff
Grazie alla professoressa Rosanna Fioravanti e al professor Giuseppe Caccavale che mi hanno indirizzato verso la scelta delle migliori soluzioni, per la libertà che mi hanno concesso nel seguire la mia idea e modellarla piano piano.
Grazie agli amici incontrati in questi tempi bolognesi, tra Bologna e Parigi, e grazie agli amici con cui continuo a condividere i miei luoghi di sempre, camminando verso luoghi nuovi - che diventano nuovi luoghi di sempre
Grazie a mamma Genni, babbo Salvo e Eli; grazie a voi e con voi ho scoperto di essere fatto di strati, di essere sparso e espanso in quei luoghi in cui sempre mi avete portato, in cui mi avete accompagnato, lasciato andare e tornare. E grazie perché sempre credete in tutti questi strati che mi compongono.