Noi expo giugno

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GIUGNO 2015

«CIBO CONDIVISO CONTRO LA FAME POSSIAMO FARCELA» Valle a pagina 4

AFRICA, IL LIMITE DELLA POVERTÀ ENERGETICA Motta a pagina 22

VEGETARIANI AI TEMPI DELLA BIBBIA Scolari a pagina 33

«COSÌ VI INSEGNO A CUCINARE CON GLI SCARTI» Vetri a pagina 39

LISA CASALI

TRADIZIONI

SVILUPPO

MARADIAGA

BUONE PRATICHE

PICCOLI GESTI CHE DIVENTANO RESPONSABILITÀ

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Massimo Calvi

artiamo dal fondo, cioè dall’ultima pagina. In questo numero di NoiExpo intervistiamo Lisa Casali, autrice e conduttrice tv che insegna a cucinare usando le parti scartate degli alimenti. Un piccolo gesto, una pratica che certo non cambierà il mondo, ma che può aiutarci a trovare lo spunto per riflettere su quante volte in altri contesti ben più importanti non pensiamo abbastanza a ciò che buttiamo via. O non ci prendiamo cura di quello che a noi non interessa direttamente perché «non ci importa». Invece, come papa Francesco ha suggerito e ricordiamo a pagina 3, è proprio imparando a dire che sì, ci importa e ci riguarda, che possiamo incominciare a dare il nostro contributo per un mondo più giusto, equo e anche più bello. Lo scarto è il tema che ricorre in questo numero: inteso come cibo sprecato, ma anche come persone “scartate”, deboli dei quali non vogliamo prenderci cura – piccoli, giovani, anziani o stranieri – o nel senso di natura violata in un creato che abbiamo il dovere di custodire. La storia esemplare è quella del Refettorio Ambrosiano della Caritas, aperto dal 4 giugno, dove chef stellati cucinano per i poveri i cibi scartati all’Expo. Un "filo rosso" unisce anche le parole del cardinale Oscar Rodriguez Maradiaga, quando invita a condividere il cibo per vincere la fame, del Nobel Amartya Sen, mentre spiega la necessità di difendere l’ambiente per tutelare i più deboli, di un piccolo produttore di riso di Novara nel proteggere il suo raccolto... Gli spunti per riflettere sono tanti. Buona lettura. © RIPRODUZIONE RISERVATA

I COMMENTI A PAGINA 2

L’ECONOMIA A QUATTRO MANI PER INCLUDERE di Leonardo Becchetti

I MIGRANTI, VERI PROTAGONISTI DI UN TEMPO SOLIDALE di Fulvio Scaglione

Mai più schiavi dello SPRECO


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IDEEI IL PROBLEMA DEGLI SCARTI E DELLA MANCATA PARTECIPAZIONE

LA FOTOGRAFIA DEL RAPPORTO IMMIGRAZIONE DELLA CARITAS

L’ECONOMIA A QUATTRO MANI PER INCLUDERE E REDISTRIBUIRE

I MIGRANTI, VERI PROTAGONISTI DI UN TEMPO PIÙ SOLIDALE

Leonardo Becchetti

Fulvio Scaglione

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n Italia, come in altri Paesi ad alto reddito, gli scartati sono uno degli effetti più inattesi della globalizzazione. La globalizzazione doveva portare alla fine della storia, frullando in un omogeneizzato compatto tutte le culture e offrendo dividendi e partecipazione a tutti. Quello che sta accadendo è invece il paradosso di un’uniformità di visione economica e di progresso tecnologico che produce derive identitarie e quantità enormi di “scartati”. Sempre più persone nelle società occidentali non votano, non lavorano né studiano, insomma non partecipano alla vita sociale e questo inevitabilmente finisce per erodere il capitale sociale, quel collante fondamentale di fiducia, cooperazione, reciprocità, dono e senso civico che tiene insieme l’edificio sociale ed economico. In società come queste il problema della distribuzione è fondamentale. Il padiglione zero dell’Expo è bello e suggestivo e ha il merito di attirare l’attenzione sul paradosso dello spreco e su quegli scartati (800 milioni) che soffrono la fame e "non servono" alla società perché la loro domanda pagante è sostituita da chi compra e spreca cibo. Quel padiglione ha però il difetto di suggerire la via d’uscita logistica dello spreco zero, del trasferimento degli avanzi a chi ha fame. Non è questa una soluzione che produce dignità. Il vero problema è costruire un copione per la società globale dove tutti possono/vogliono partecipare. Una soluzione esiste ed è l’economia civile. Il modello tradizionale a due mani dove la somma degli egoismi degli homines economici e delle imprese massimizzatrici di profitto viene riconciliata magicamente ed eroicamente in bene comune dall’azione dei due dei ex machina del mercato e delle istituzioni non funziona e non può funzionare. La soluzione dell’economia civile è quella di un modello a quattro mani dove l’azione di mercato e istituzioni è integrata e complementata da quella dei cittadini responsabili che fanno cittadinanza attiva e votano col loro portafoglio, e dalle imprese pioniere che abbandonano lo schema riduzionista della massimizzazione del profitto per diventare multistakehol-

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der, cioè a guida partecipata, e creare valore economico in modo sostenibile ripartendo lo stesso in modo più equo tra i diversi portatori d’interesse. Quest’economia a quattro mani è anche la soluzione al problema da cui siamo partiti, quello degli scartati perché le aziende responsabili sono di solito aziende a profitto moderato ad alta intensità di lavoro e perché le modalità di ingaggio dell’economia civile coinvolgono i cittadini in molte pratiche di cittadinanza attiva promuovendo inclusione e contribuendo alla creazione di capitale sociale. Cosa aspettiamo? Dipende solo da noi. Il mercato è fatto di domanda e di offerta e la domanda siamo noi. Se useremo il “voto col portafoglio” per premiare le aziende leader nella sostenibilità sociale ed ambientale il problema sarà risolto. Mosè convinse gli ebrei ad uscire dall’Egitto nonostante questi ultimi sapessero che rischiavano la vita e la rappresaglia del faraone. A noi serve molto meno perché spostare le nostre scelte di risparmio e di consumo fa parte delle facoltà di scelta assolutamente ammissibili in una società liberale. La sfida della wikieconomia sta nel costruire questa consapevolezza e questo coordinamento giorno dopo giorno attraverso il nostro lavoro sui social per creare quel bene comune collaborativo della nuova economia civile. Non si tratta di un’opera per uomini soli al comando, ma di un lavoro collettivo dove siamo tutti protagonisti. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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ome la goccia che scava la pietra, la Chiesa apre nell’Expo 2015 varchi sempre più importanti a una riflessione radicalmente alternativa alla celebrazione del cibo come mero segnale di prosperità e di conquista del pianeta. Di giorno in giorno, di appuntamento in evento, si allarga anche nella grande fiera la consapevolezza che, come ha detto papa Francesco, il cibo non è «una merce qualsiasi» e che «solo vivendo e agendo come una sola famiglia umana solidale, giusta e responsabile» ci saranno cibo, energia e vita per tutti sul pianeta. L’esatto contrario, insomma, dell’imperante cultura, anzi dittatura dello scarto che lavora sull’esclusione e non sull’inclusione, e che sempre più spesso pretende di esercitarsi anche sulle persone, oltre che sui beni. Piena di significato, quindi, è stata l’accoppiata "I migranti e il cibo" offerta dal convegno organizzato in Expo dalla Caritas, occasione per presentare anche il XXIV° Rapporto Immigrazione Caritas e Migrantes. A dispetto di molta propaganda, e della preoccupazione in buona fede dei tanti che temono l’invasione della propria isola di benessere da parte dei poveri del mondo, emerge con sempre maggior chiarezza che i due termini della questione sono strettamente collegati. E lo sono in due sensi.

Il cibo, la mancanza di cibo, le speculazioni sul cibo sono una delle cause principali delle migrazioni, che oggi coinvolgono il 3,2% della popolazione totale del pianeta. La premessa alle diverse Primavere che nel 2011-2012 hanno scosso il mondo arabo, abbattendo regimi e creando i sommovimenti che hanno messo in moto ulteriori flussi migratori, furono proprio le crisi agricole del 20072009. In quel periodo, i prezzi sul mercato mondiale del grano e del riso crebbero in due mesi del 77 e del 18%, mentre siccità e speculazioni portavano le scorte ai minimi degli ultimi vent’anni. In molti Paesi scoppiarono vere "rivolte del pane" con decine di morti. Ma una volta insediati in Paesi diversi dal loro, e passati dalla condizione di "migrante" a quella di "immigrato", questi uomini e donne di scarto diventano protagonisti involontari di altri meccanismi distorsivi. Il Rapporto Immigrazione per quanto riguarda l’Italia ci ricorda, dati alla mano, che gli immigrati sono l’8,3% della popolazione residente in Italia ma producono l’8,8% della ricchezza nazionale, pari a un valore di 123 miliardi di euro. Che a loro toccano soprattutto i lavori non qualificati. Che sempre a loro toccano i salari inferiori: se la "busta paga" media del lavoratore italiano è di 1.326 euro, quella dell’immigrato comunitario scende a 993 e quella dell’extracomunitario addirittura a 942, laddove già nel 2013 la soglia di povertà relativa era stata fissata in 972 euro per una famiglia di due persone. In un senso e nell’altro, quindi, i migranti sono i protagonisti del nostro tempo e gli interpreti primi dei suoi problemi. Ed è da loro, anche, che dobbiamo partire se davvero vogliamo costruire un mondo non solo più solidale ma anche più funzionante ed efficiente, più capace di rispondere ai bisogni di tutti e non solo delle minoranze già garantite. La corsa all’isolamento e alla chiusura non paga oggi e non pagherà domani. Come ha scritto papa Francesco nell’Evangelii Gaudium: «Come sono belle le città che… collegano, mettono in relazione». Vale anche per le nazioni e per i continenti. © RIPRODUZIONE RISERVATA

Supplemento di

Avvenire Nuova Editoriale Italiana SpA Piazza Carbonari, 3 20125 Milano - Tel. 02.67801

Coordinamento Redazionale Massimo Calvi

del mese di Giugno 2015

Direttore Responsabile Marco Tarquinio

Coordinamento Redazionale Fulvio Scaglione

Realizzato in collaborazione con Famiglia Cristiana

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Stampa C.S.Q. Centro Stampa Quotidiani Via dell’Industria, 52 Erbusco (BS) Te. 030.7758511

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IIDEE

L’ANALISI

DALL’ECOLOGIA AMBIENTALE A QUELLA UMANA FRANCESCO INVITA A NON DIRE MAI PIÙ «A ME CHE IMPORTA?». IL PAPA INDICA UN COMPORTAMENTO DA TENERE E UNA CONDOTTA DA EVITARE. IL PRIMO È L’ATTEGGIAMENTO DEL CUSTODE, DI CHI SI PRENDE CURA, DI CHI NON CONSIDERA IL CREATO E LE CREATURE COME RISORSE DA SFRUTTARE LA SECONDA È LA TENDENZA DI CHI INVECE SCARTA TUTTO CIÒ CHE NON GLI SERVE

Impariamo a dire: «A noi IMPORTA» > Mimmo Muolo

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lzi la mano chi non ha sentito ancora parlare della «cultura dello scarto». Papa Francesco ne ha fatto uno dei pilastri del suo magistero sociale e ne parla spessissimo. Così come parla costantemente della necessità di riscoprire la dimensione della custodia, sia in relazione al creato, sia in rapporto agli uomini. A ben vedere cultura dello scarto e dimensione della custodia sono l’uno il contrario dell’altro. Ed entrambi i concetti appartengono al piano dell’etica. Lo stesso sul quale si muove l’enciclica sociale di Bergoglio dedicata proprio ai temi ambientali, la cui uscita è fissata il 18 giugno. Su questo stesso terreno, poi si opera la saldatura tra ecologia ambientale ed ecologia umana, che è al centro del documento pontificio. Francesco, infatti, è bene chiarirlo subito, non parla da scienziato, non entra nelle dispute tra gli specialisti, non si schiera per questa o quella teoria.

«Noi stiamo vivendo un momento di crisi; lo vediamo nell’ambiente, ma soprattutto lo vediamo nell’uomo»

SERVE RESPONSABILITÀ A lui interessa soprattutto la dimensione comportamentale, o per dirla in termini più tecnici, morale. In sostanza, di fronte all’evidenza che l’azione incessante dell’uomo – specie negli ultimi 150 anni – ha avuto un impatto fortissimo sulla natura e potrebbe avere conseguenze dagli esiti potenzialmente disastrosi, il Papa richiama tutti alle proprie responsabilità. Dunque, per ridurre ad estrema sintesi il suo ragionamento, egli indica all’uomo contemporaneo un comportamento da tenere e una condotta da evitare. Il primo è appunto l’atteggiamento del custode, di chi si prende cura, di chi non considera il creato e le creature come risorse da sfruttare in maniera intensiva e sciagurata, ma come un giardino da coltivare. La seconda è la tendenza di chi invece scarta tutto ciò che non gli serve. Nel recente discorso alle Acli, il Pontefice ha fatto per l’ennesima volta l’elenco degli scarti: «Si scartano i bambini, perché non si fanno: si sfruttano o si uccidono prima di nascere; si scartano gli anziani, perché non hanno la cura dignitosa, non hanno le medicine, hanno pensioni miserabili… E adesso, si scartano i giovani. Pensate a quel 40%, o un po’ di più,

di giovani dai 25 anni in giù che non hanno lavoro: sono materiale di scarto, ma sono anche il sacrificio che questa società, mondana e egoista, offre al dio-denaro, che è al centro del nostro sistema economico mondiale». Tra gli scarti, inoltre, il Pontefice ha più volte ricordato anche lo spreco del cibo (uno dei temi di Expo), che è un po’ – ha sottolineato – come rubare il pane dalla tavola dei poveri».

ECOLOGIA UMANA La cultura dello scarto è dunque, secondo il Papa, il prodotto dell’incuria, l’atteggiamento di Caino. "Sono forse io il custode di mio fratello?". Egli lo ha ricordato ad esempio visitando nel settembre scorso il sacrario di Redipuglia, dove riposano molti dei morti della I Guerra mondiale. «All’ingresso di questo cimitero – propose il Papa, per stigmatizzare la follia della guerra – dovrebbe essere scritto: "A me che importa?"». Una notazione che può essere messa alla base anche di molti problemi ecologici. «A me che importa della deforestazione, dei cambiamenti climatici, dell’inquinamento delle acque, della desertificazione, dello scioglimento dei ghiacchi polari, della massiccia immissione di gas serra nell’atmosfera?». «A me che importa se tutti questi fenomeni provocano inondazioni, siccità, carestie, morti e devastazioni su larga scala?». «A me che importa se tutto ciò che non mi serve – bambini nell’utero materno, vecchi, operai in esubero, giovani che non posso collocare nel mondo del lavoro – viene scartato?». L’importante è arricchirsi. Ecco perché il Papa collega l’ecologia ambientale con quella umana come già in passato avevano fatto Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Questo collegamento ha però nel pensiero di Francesco un posto assolutamente centrale ed è al cuore della sua enciclica sociale. «Noi stiamo vivendo un momento di crisi; lo vediamo nell’ambiente, ma soprattutto lo vediamo nell’uomo. La persona umana è in pericolo: questo è certo, ecco l’urgenza dell’ecologia umana», disse in un’udienza generale del giugno 2014. E l’evidenza, anche alla luce dell’Expo, diventa ogni giorno maggiore. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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NEL CUORE DELL’EXPOI

RODRIGUEZ Intervista al cardinale che ha guidato MARADIAGA la presenza di Caritas internationalis all’Expo 2015, ora presidente uscente «Il tema del cibo, della fame, della cura del creato sono cari alla Chiesa»

«Condividere il cibo per vincere la FAME Sì, possiamo farcela» > Annachiara Valle

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l rumore più terribile che un genitore possa sentire è quello di un bambino che notte e giorno piange per la fame, e nessuno può farci niente». Il cardinale Oscar Rodriguez Maradiaga, presidente uscente di Caritas internationalis lo ripete ai delegati arrivati da tutto il mondo per la XX assemblea dell’organismo internazionale che si è svolta a Roma. E lo ripete ancora, a Milano, nel Caritas day del 19 maggio convocato all’Expo 2015. Cardinale come mai questa presenza ad Expo? Abbiamo accettato di esserci perché i temi che sono qui in discussione hanno molto a che vedere con quelli di cui si occupa la Caritas. Il tema del cibo, della fame, della cura del creato sono temi cari alla Chiesa. E poi abbiamo portato, tra gli 85 Paesi che rappresentiamo a Expo, anche la voce di chi non ha qui un padiglione: in tutto 22 nazioni. Un modo per sottolineare ancora di più agli occhi del mondo i bisogni dei più sofferenti. Pensa che questi sei mesi di esposizione possano servire davvero? Sono sicuro di sì. Penso che darà un impatto a tanti visitatori e aiuterà certamente ad avvicinare al tema della fame e del creato molti che magari vengono soltanto per curiosità. Non dobbiamo nascondere che, alla vigilia dell’Expo, tanti pensavano che fosse un fallimento. Da quel che ho visto, invece, mi sembra che la risposta sia grandissima e che anche i contenuti siano importanti. Lei diceva che il rumore più terribile è quello di un bambino che piange per

fame. Come fare a produrre cibo per tutti?

Il problema vero non è quello di produrre cibo, ma di condividerlo. Questo è anche uno degli obiettivi della Caritas: la condivisione cristiana dei beni. Una persona su otto non mangia a sufficienza. In totale circa 800 milioni di persone in tutto il mondo soffrono la fame. Eppure, in tante parti del pianeta, il cibo si spreca o viene distrutto. Anche il Papa ha spesso sottolineato questo aspetto e, aprendo la nostra Assemblea, ha ricordato che «Il pianeta ha cibo per tutti, ma manca la volontà di condividere con tutti». Il nostro Caritas day, ma poi anche tutte le iniziative che si svolgeranno in questi sei mesi all’Expo mi auguro che servano per sensibilizzare proprio su questo punto: condividere, come si fa in famiglia, senza sprechi e senza ingiustizie. Cercando i modi migliori per non aggredire la terra, per difendere i piccoli coltivatori e per far sì che tutti gli uomini e le donne del pianeta abbiano accesso all’acqua e al cibo. In che modo Expo può aiutare? Noi ci auguriamo che questa sia l’oc- «IL RUMORE PIÙ TERRIBILE casione perché tutti i CHE UN GENITORE POSSA Paesi del mondo si SENTIRE È QUELLO mettano insieme per DI UN BAMBINO sconfiggere la fame. CHE NOTTE E GIORNO PIANGE Qui, nei tanti padi- PER LA FAME, E NESSUNO glioni e con le ini- PUÒ FARCI NIENTE ziative che saranno UNA PERSONA SU OTTO presentate nei pros- NON MANGIA A SUFFICIENZA simi mesi, c’è la IN TOTALE CIRCA 800 MILIONI DI possibilità che i vi- PERSONE IN TUTTO IL MONDO sitatori vedano i vol- SOFFRONO LA FAME ti di chi ha fame. EPPURE, IN TANTE PARTI DEL Questa è la grande PIANETA, IL CIBO SI SPRECA chance di una mani- O VIENE DISTRUTTO»

festazione come Expo: far vedere, far toccare con mano cosa significa avere fame. E così si può vincere l’indifferenza. Dopo otto anni di mandato lei lascia la presidenza di Caritas Internationalis. Sul tema della fame quali sono stati i risultati raggiunti in questi anni? La Caritas ha fatto molto, ma siamo piccoli rispetto ai problemi del mondo intero. In questi anni ho visto crescere la diseguaglianza e i problemi. Penso che sarà decisivo questo 2015 con l’incontro a Parigi per la Conferenza sul clima e poi anche per l’appuntamento di fine anno per la definizione dei nuovi obiettivi del millennio. Ma ancora più decisivo è agire, a livello di singoli e di governo, come una sola famiglia umana. Non a caso abbiamo scelto, per la campagna inaugurata dal Papa il 10 dicembre dello scorso anno, contro la fame nel mondo, lo slogan: «Una sola famiglia umana, cibo per tutti». Ci sembra che solo con la collaborazione di tutti e agendo in armonia con il creato si può risolvere questo problema sconfiggere il problema della fame. La mancanza di cibo fa parte di un circolo vizioso che va stroncato alla radice. Non vanno eliminati i poveri, ma le cause della povertà e della fame. E questo è alla nostra portata. Uno slogan che avete portato anche all’Expo. Si, vogliamo così essere un po’ da sprone per i visitatori. E ricordare loro che ogni singola persona può fare qualcosa. Solo con uno spirito di solidarietà che vada oltre i confini nazionali, regionali e culturali possiamo costruire un mondo dove c’è cibo per tutti. Eppure, come ha detto prima, in que-

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INEL CUORE DELL’EXPO

TAGLE

«I poveri esclusi una sfida per i cristiani» «La nostra fede in Gesù è la motivazione a servire l’umanità. La mensa sia comune» > Alessandro Zaccuri

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sti anni ha visto crescere le disuguaglianze. Cosa la fa essere così ottimista?

So bene quali sono i problemi e ho visto che, nonostante il diritto all’alimentazione sia stato sancito già nella Dichiarazione dei diritti umani e dalla Convenzione sui Diritti Economici, Sociali e Culturali, è un diritto spesso ignorato. Eppure sono convinto che mettere fine alla fame endemica entro il 2025 si può. Certo, attingo alla forza della fede, e anche alla consapevolezza che gli sforzi fatti assieme danno frutto. Per questo, come abbiamo detto nel giorno del Caritas day e come andremo a ripetere nel corso di Expo e di tutta la nostra campagna "yes, we can", noi ci crediamo. Insieme possiamo farcela. © RIPRODUZIONE RISERVATA

Oscar Rodriguez Maradiaga, presidente uscente di Caritas Internationalis, spiega il senso della presenza all’Expo2015. A fianco, il cardinale Gokim Tagle, eletto suo successore

Expo 2015 la sorpresa del Caritas Day ha avuto il volto sorridente del cardinale Luis Antonio Gokim Tagle, eletto solo pochi giorni prima presidente di Caritas Internationalis. Filippino, classe 1957, è dal 2011 arcivescovo metropolita di Manila e ha fama, meritatissima, di grande comunicatore. La conferma è venuta dal breve discorso tenuto davanti ai delegati della giornata milanese, la cui regia è stata affidata, come da programma, al presidente uscente, il cardinale honduregno Óscar Rodríguez Maradiaga. «Tutto il mondo ha fame di un cibo che non è solo materiale», ha esordito il cardinal Tagle, ribadendo subito dopo il legame irrinunciabile tra fede e azione caritativa. «La nostra fede in Gesù Cristo è la nostra motivazione a servire l’umanità – ha detto –. La fede apre gli occhi, rendendoci capaci di riconoscere i poveri, e apre il cuore, rendendoci capaci di amarli come Dio ci ama. Siamo capaci di servire nella misura in cui crediamo, questo è il potere che viene dall’amore». Non si tratta di temi inediti nella riflessione pastorale del cardinal Tagle, la cui competenza teologica è universalmente apprezzata. In un testo pubblicato in Italia da Emi nel 2013, Gente di Pasqua, il por-

IL NUOVO PRESIDENTE DI C ARITAS INTERNATIONALIS È L’ARCIVESCOVO DI MANILA«TUTTO IL MONDO HA

FAME DI UN CIBO CHE NON È SOLO MATERIALE. L’UNITÀ FONDAMENTALE DEI PASTI NON PUÒ PIÙ ESSERE IL PIATTO INDIVIDUALE, MA LA MENSA COMUNE, DOVE LA COMUNITÀ SI RIUNISCE E CRESCE CONDIVIDENDO GLI ALIMENTI E LE STORIE DI VITA»

porato si è soffermato sulla «globalizzazione di élite» o «neoliberista», un concetto che coincide perfettamente con la «globalizzazione dell’indifferenza» denunciata da papa Francesco. Il risultato è sempre lo stesso, e cioè la «costante esclusione dei poveri», un fenomeno che, avverte il cardinal Tagle, non può non chiamare in causa la responsabilità dei cristiani. E ancora, in concreto: «L’unità fondamentale dei pasti» non può più essere «il piatto individuale», ma «la mensa comune, dove la comunità si riunisce e cresce condividendo gli alimenti e le storie di vita». Una prospettiva che, nella sua nuova veste di presidente di Caritas Internationalis, il cardinale ha voluto sintetizzare in uno slogan di estrema efficacia, subito raccolto dalla platea di Expo: «Sconfiggere la fame non è solo qualcosa che possiamo fare (we can, in inglese, ndr). È anzitutto qualcosa che, in quanto cristiani, dovremmo fare (we should)». E quel condizionale, a pensarci bene, è già tutto un programma. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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NEL CUORE DELL’EXPOI

> Lorenzo Rosoli

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la notte del 5 maggio. Un camioncino preleva un bancale con 300 chili di carne e pesce rimasti sugli scaffali del «Supermercato del Futuro» aperto da Coop dentro Expo. Lo porta ai cancelli del sito, dove lo attendono volontari della Caritas Ambrosiana che lo prendono in consegna e lo trasportano a Lecco, dove un pastificio gestito dalla cooperativa «Il Grigio» cuoce e pastorizza gli alimenti. Che il mattino dopo, confezionati, saranno distribuiti alle persone in difficoltà nei centri d’ascolto e nelle mense cittadine. Se Expo non passerà invano è anche per quello che si è iniziato a fare in quella notte di maggio. Una sfida che Caritas ha lanciato sotto forma di nuovo comandamento. L’undicesimo: non sprecare. Come? Iniziando a organizzare un sistema di recupero del cibo non consumato in Expo, da distribuire a chi è in stato di necessità. Il primo passo: un accordo stipulato con Coop. Che Caritas sta cercando di estendere ad altri operatori attivi nel sito. L’obiettivo lo spiega il vicedirettore di Caritas Ambrosiana, Luciano Gualzetti: usare i sei mesi dell’esposizione per sperimentare un metodo e un’organizzazione che possano funzionare anche dopo, e restare come eredità virtuosa di Expo. Quanto accaduto quella notte è dunque tornato

Alla nostra MENSA non si butta niente

Ecco come funziona il sistema di recupero del cibo all’Expo Via al Refettorio Ambrosiano: gli chef al servizio dei poveri

a ripetersi. Per ora, tre volte la settimana: il lunedì, il mercoledì e il venerdì. Nella notte gli addetti della Coop recuperano le eccedenze e le sistemano sui bancali. Al mattino, un addetto Coop le porta ad un magazzino di Pieve Emanuele, dove un autista di Farsi Prossimo (cooperativa di Caritas Ambrosiana) ritira la merce. A questo punto: carne e pesce vanno a Lecco per essere lavorate, il resto nelle parrocchie. In meno di due settimane, si sono recuperate qua-

La sala del Refettorio Ambrosiano della Caritas, un impegno concreto nel recupero degli alimenti scartati all’Expo

si due tonnellate di cibo. Nella seconda metà di maggio è stato «salvato» anche il primo bancale di frutta: è diventato marmellata nel laboratorio della cooperativa Eurosia, dove sono impegnate donne italiane e straniere in difficoltà provenienti dai centri d’accoglienza della «costellazione» di Farsi Prossimo. Oltre che a Lecco, il cibo è stato distribuito a Milano e nel suo hinterland fra parrocchie, mense, comunità d’accoglienza e servizi rivolti a senza tetto, stranieri, persone con disagio psichico e altre situazioni di fragilità. Fra queste anche il Refettorio Ambrosiano realizzato dalla diocesi di Milano a Greco, alla periferia nord della città, aperto il 4 giugno scorso. Qui Massimo Bottura e altri chef internazionali si alterneranno preparando menù di qualità a partire dalle eccedenze di Expo. E sarà un’altra sfida alla cultura dello scarto. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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INEL CUORE DELL’EXPO SOSTEGNO ALLE

AZIENDE FAMIGLIARI, MA ANCHE IMPEGNO CONTRO I CAMBIAMENTI CLIMATICI, LOTTA AL «LAND GRABBING» E ALLA SPECULAZIONE FINANZIARIA SUL CIBO, MIGLIORAMENTO DELLA PRODUTTIVITÀ AGRICOLA SECONDO LA RICERCA PRESENTATA AL «C ARITAS DAY» VINCERE LA FAME È UN OBIETTIVO ALLA NOSTRA PORTATA

La ricetta del PASTO per tutti Aiutare i piccoli agricoltori ad avere accesso alla terra, alle sementi, al credito Ecco l’azione più importante per aumentare la sicurezza alimentare nel mondo > Francesco Chiavarini

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a fame nel mondo non è un destino ineluttabile. Sconfiggerla è oggi un obiettivo alla nostra portata. Basterebbe avere il coraggio di partire dai piccoli agricoltori. A sostenerlo è una ricerca realizzata da Caritas Internationalis, l’agenzia umanitaria internazionale delle comunità cattoliche degli Stati Uniti – il Catholic Relief Services – e un istituto di ricerca indipendente, Grey Matter Research & Consulting. L’indagine, che ha coinvolto 99 Caritas nazionali rappresentative dell’83% della popolazione globale, è stata presentata durante il Caritas Day in Expo, il 19 maggio, davanti ai delegati Caritas provenienti da tutti i continenti. Secondo la ricerca, nonostante nel mondo si produca più cibo di quello che sarebbe necessario per sfamare tutti, soltanto in un quinto dei paesi la popolazione ha accesso a un’alimentazione adeguata; nella metà ce l’ha solo parzialmente, in un terzo non ce l’ha affatto. La sfida per eliminare la fame è, dunque, ancora enorme; tuttavia non è fuori dalla nostra portata. Benché nel mondo siano ancora 805 milioni le persone che non hanno cibo sufficiente, negli ultimi anni il numero è sceso di 40 milioni confermando una linea di tendenza che dura da un ventennio.

LE CAUSE DELLA FAME Come accelerare questo processo e ridurre il numero di coloro che non mangiano? Secondo lo studio, le prime tre cause dell’insicurezza alimentare sono la mancanza di risorse per i piccoli agricoltori, la bassa produttività agricola e l’impatto dei cambiamenti climatici. La chiave di volta sembra proprio essere l’agricoltura di piccola scala. Anche se ci sono state svariate risposte su come affrontare la fame, più di un terzo di coloro che

hanno partecipato al sondaggio ha detto che l’azione più importante per ridurre la malnutrizione e l’insicurezza alimentare è aiutare le aziende agricole familiari ad avere accesso alla terra, alle sementi, al credito e ai mercati. Le proposte variano a seconda delle latitudini. Ad esempio, nell’Africa sub-sahariana la sfida è difendere i contadini dalla desertificazione dovuta al surriscaldamento globale, trasferendo competenze e tecniche agricole che aumentino la produttività dei campi nelle mutate condizioni climatiche. In Asia bisognerebbe soprattutto incoraggiare le banche a concedere prestiti alle aziende agricole familiari. In Medio Oriente occorrerebbe risolvere il problema principale: la disponibilità per tutti di acqua.

Le proposte per vincere la fame variano a seconda delle latitudini, ma c’è consenso diffuso attorno alla necessità di sostenere le imprese agricole famigliari

In India gli esperti hanno insegnato ai piccoli agricoltori come produrre concime e pesticidi a basso costo.

AZIONI MIRATE In Somalia le vedove dei villaggi, emarginate, hanno cominciato a coltivare la moringa, una pianata molto richiesta. Accanto ai progetti sul campo, ci sono poi le proposte politiche. Quattro le richieste principali di Caritas: promuovere in ogni paese il riconoscimento al diritto al cibo, fermare il land grabbing, vale a dire l’accaparramento di terre da parte delle grandi multinazionali, imporre una moratoria globale all’uso di agro-carburanti, regolamentare la speculazione finanziaria sul cibo. Insomma, le ricette ci sono, basta solo volerle applicare. © RIPRODUZIONE RISERVATA

UNA SOLA FAMIGLIA UMANA Secondo Michel Roy, segretario generale di Caritas Internationalis, è illusorio credere che la soluzione alla fame nel mondo possa venire dall’agro-business. «Le grandi imprese vogliono produrre più cibo, ma solo per venderne di più e questo non aiuterà chi è povero ad avere da mangiare – ha spiegato –. Piuttosto dobbiamo fare in modo che i contadini possono produrre quello di cui hanno bisogno le loro famiglie e comunità». È verso i piccoli coltivatori che sono orientati i programmi per la sicurezza alimentare promossi da Caritas. Formazione degli agricoltori, sostegno all’agricoltura sostenibile, distribuzione di sementi sono le tre voci di spesa principali. Nell’ultimo anno e mezzo, nel corso della campagna "Una sola famiglia umana, cibo per tutti", ogni Caritas nazionale ha promosso nel proprio paese singole azioni. In Brasile e in Nicaragua, gli abitanti dei villaggi hanno imparato a conservare le sementi autoctone creole, così da rendersi autonomi dalle grandi aziende sementiere.

LA FAO MENO PERSONE SOFFRONO LA FAME

Il numero delle persone che soffre la fame nel mondo è sceso a 795 milioni (216 milioni in meno rispetto al biennio 1990-92, vale a dire circa una persona su nove). Inoltre 72 Paesi in via di sviluppo su 129 hanno raggiunto il primo degli Obiettivi del Millennio stabiliti dall’Onu nel 2000, dimezzare la fame entro il 2015 e 29 Paesi hanno raggiunto l’obiettivo più ambizioso posto dal Vertice Mondiale sull’Alimentazione del 1996 di dimezzare il numero totale delle persone denutrite entro il 2015. È scritto nel rapporto Sofi (Lo stato dell’insicurezza alimentare nel mondo) redatto da Fao, Ifad e Pam.

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INEL CUORE DELL’EXPO UNA «ROCCIA» LO SPAZIO DELLA SANTA SEDE Una roccia, presente prima dell’inizio di tutto. Così è stato pensato il padiglione della Santa Sede, ci spiega l’architetto Michele Reginaldi, dello studio Quattroassociati. All’interno sono suggeriti gli spazi della tradizione cristiana: due archi a mezza volta e il fratino ricordano un convento: immagine di lavoro, preghiera ma anche condivisione del cibo. Il movimento circolare attorno al tavolo suggerisce l’idea del chiostro. L’ingresso è una fenditura nella roccia, la caverna della simbologia cristiana. Una tenda gialla – colore vaticano – crea una luce dorata e nasconde la breccia: racconta che dentro c’è qualcosa da scoprire. Sulle pareti esterne le frasi "Non di solo pane" e "Dacci oggi il nostro pane" sono tradotte in 13 lingue. Le strutture di metallo colpite dalla luce proiettano ombre e le parole sembrano piovere come una manna dal cielo: la parola nutre.

Un padiglione non di solo PANE MOSTRA FOTOGRAFICA E FILM Sulla parete fotografica che accoglie i visitatori sono in mostra immagini di fotografi di fama - come lo spagnolo Ferran Paredes Rubio - ma anche viaggiatori, studenti, reporter, volontari. L’esposizione è come un’onda, spiega Lia Beltrami, curatrice della mostra e produttrice dei tre filmati proiettati di fronte.Tra le due pareti c’è una connessione. Le foto sollevano problemi, con scatti sulle ferite dell’umanità, i cortometraggi propongono soluzioni. La prima parte dell’onda è dedicata ai conflitti e il reportage da Erbil, Iraq, trova nell’accoglienza la risposta adeguata. Le immagini sul disequilibrio economico e sociale cercano una soluzione nel cortometraggio sull’Ecuador, pane per tutti. E la devastazione ambientale è trattata dal film sul Burkina Faso, con proposte sulla salvaguardia del Creato. IL TAVOLO INTERATTIVO Il fratino, tavolo della tradizione antica, è qui reso moderno e tecnologico da un’installazione video interattiva firmata dalla squadra di giovani creativi milanesi di Mammafotogramma. Sensori a 80 centimetri l’uno dall’altro attivano i video ogni volta che un visitatore si avvicina al tavolo e immagini di mani in soggettiva - sembrano quelle di chi è lì che guarda si muovono e compiono azioni diverse fino a interagire tra di loro. Il tavolo diventa così simbolo della vita stessa dell’uomo, della sua attività, luogo della convivialità e della condivisione del cibo, ma anche spazio del gioco, della legge, della preghiera, della cura, del lavoro dell’artigiano. Per conoscere tutte le storie occorre essere in tanti attorno al tavolo.

TINTORETTO E RUBENS Dall’alto, dalla parete di fronte all’ingresso, l’"Ultima Cena" del Tintoretto sovrasta lo spazio del padiglione. L’opera, un olio su tela di 221x413 centimetri, arriva direttamente dalla Chiesa di San Trovaso a Venezia e stupisce con la sua concretezza. Cristo e gli Apostoli sono dipinti nel momento in cui è annunciato l’imminente tradimento. L’innovativa prospettiva di un tavolo che viene incontro a chi guarda l’opera è sottolineata anche dai dettagli molto umani del racconto: ci sono sedie in paglia grezza rovesciate, gli Apostoli sono seduti su sgabelli, c’è chi si butta indietro stupito, chi si accascia sul desco quasi dolorante, tra avanzi di cibo e bevande. L’opera sarà sostituta in estate con un arazzo di Rubens, l’"Istituzione dell’Eucaristia".

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INEL CUORE DELL’EXPO L’11 GIUGNO UNA GIORNATA SPECIALE CON IL «NATIONAL DAY» DELLA SANTA SEDE PER RICORDARE CHE IL RAPPORTO CON IL PIANETA E CON IL CIBO VA VISSUTO ALL’INSEGNA DELLA SOLIDARIETÀ, NON DELL’ACCAPARRAMENTO E DELLA SOPRAFFAZIONE

I VOLTI della terra custodi del creato

> Mimmo Muolo

flessione a più voci sul magistero di Papa Francesco e sul messaggio che la Chiesa, con la sua partecipazione all’Esposizione, vuole lanciare alla grande famiglia del pianeta. "Non di solo pane vive l’uomo". Detto in termini più laici, se davvero vogliamo dare da mangiare all’intero pianeta (o-

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rendete il volto di un bambino denutrito dell’Africa e quello di un broker di Wall Street, il volto di un uomo in fuga dalla guerra e quello di un giovane del cosiddetto primo mondo in cerca di occupazione, il volto di chi cerca inutilmente di sedersi alla tavola dell’abbondanza e quello di chi fa la dieta dimagrante. Il volto di chi non vedrà mai la luce e quello di un anziano per il quale si invoca l’eutanasia. Che cosa mai avranno in comune questi campioni di quella che una volta si chiamava "varia umanità"? Il minimo comune denominatore tra loro è messo bene in evidenza al National Day della Santa Sede presso l’Expo di Milano (l’11 giugno). Perché «i volti della terra», tema di uno dei due maxi eventi della giornata, è proprio il filo scelto per questa giornata speciale, che rilancia i temi del padiglione della Santa Sede, a partire dalle frasi simbolo, «non di solo pane» e «dacci oggi il nostro pane quotidiano». Volti richiamati anche dal Papa nel suo videomessaggio del primo maggio all’inaugurazione della grande kermesse mondiale, dietro i quali vivono e interagiscono (quando non si scontrano) uomini donne e bambini che riempiono ogni angolo della Terra.

TUTTI FRATELLI Il National Day della Santa Sede ricorda dunque che quei volti non sono di nemici, ma di fratelli; che il rapporto con la Terra e con il cibo non può essere vissuto all’insegna dell’accaparramento e della sopraffazione, ma della solidarietà; e che per fare tutto questo bisogna mettere da parte l’idea della "signoria dispotica", per abbracciare invece la categoria bergogliana della custodia. Custodi del creato e custodi degli uomini. Sono questi i due grandi cardini della giornata. Sia nel momento istituzionale del mattino, con la partecipazione di tre cardinali: Gianfranco Ravasi (Commissario centrale della partecipazione della Santa Sede all’Expo), Angelo Bagnasco (presidente della Cei) e Angelo Scola (arcivescovo di Milano), oltre che del sostituto della segreteria di Stato, l’arcivescovo Angelo Becciu. Sia nel Cortile dei gentili pomeridiano (intitolato proprio "I volti della Terra"), con il confronto tra credenti e non credenti cui partecipano Nicolas Hulot, Commissario generale della Conferenza Mondiale 2015 sul Clima e Giuliano Amato, presidente della Fondazione Cortile dei Gentili (la sede unica per i due eventi è l’Auditorium Expo, a 100 metri dal padiglione della Santa Sede). La Giornata è stata concepita come una ri-

biettivo oggi tecnicamente raggiungibile) più che alle risorse materiali, bisogna guardare a quelle etiche. L’unica strada per far sì che quei volti siano veramente umani e non mere fototessere di un mosaico manipolabile a piacimento. © RIPRODUZIONE RISERVATA

Sopra, il cardinale Gianfranco Ravasi, Commissario centrale della partecipazione della Santa Sede all’Expo

Consapevolezza, la lezione di Hulot

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Esagramma, musica con un rigo in più

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a volato alto seguendo le rotte dei falchi e si è inabissato nuotando con gli squali, ha guidato sottomarini e deltaplani, là dove non esisteva uno strumento adatto per avvicinarsi alla natura che voleva raccontare se lo è fatto costruire. Nato a Lille nel 1955, Nicholas Hulot ha esordito come giornalista, ma la trasmissione televisiva che conduceva, "Ushuaïa Nature", a un certo punto ha cominciato a condurre lui sulla strada dell’impegno ambientalista. La missione dichiarata di Hulot – Commissario generale della Conferenza mondiale 2015 sul Clima, e protagonista del Cortile dei Gentili nel National Day della Santa Sede – è sensibilizzare un pubblico sempre più vasto sui temi della sostenibilità, di un mondo più equo e solidale, e per meglio sostanziare e diffondere le sue posizioni ha dato vita nel 1990 alla Fondation Nicholas-Hulot pour la nature e l’homme. Una struttura che si prefigge di cambiare le abitudini e i comportamenti individuali e collettivi virandoli verso una maggiore consapevolezza. Le scelte piccole e grandi – sostiene Hulot – hanno un impatto sul mondo che ci circonda: sta a noi decidere se con un segno positivo o negativo. Nicoletta Martinelli

erché l’orchestra protagonista al National Day della Santa Sede si chiami così, Esagramma, lo capisci solo quando li vedi e li senti suonare: quel rigo in eccesso marca una differenza, si spinge oltre il moderato, va al di là del solito. Nessuno dei componenti sarebbe ammissibile in un’orchestra che si limiti al canonico pentagramma perché nessuno di loro sa leggere una nota né sa il solfeggio cosa sia. Eppure suonano alla grande suscitando ovunque applausi tanto scroscianti quanto sinceri: sono bambini, ragazzi e giovani adulti con ritardi cognitivi, sindrome autistica, disturbi gravi dello sviluppo, difficoltà motorie o sensoriali. Concentrati per due ore dietro i loro strumenti, attraverso la musica entrano in comunicazione con se stessi e col pubblico. Non sono solo le corde degli strumenti a vibrare ma vissuti e sentimenti, diventando gli strumenti voce dell’anima e linguaggio del cuore. Negli anni Esagramma ha aperto nuovi centri in tutta Italia, l’Orchestra è diventata policentrica e anche le esperienze internazionali si sono moltiplicate. Un cammino verso la prospettiva di un’autonomia collettiva e di una possibilità di incontro sempre più allargata. Per informazioni: www.esagramma.net. N.Ma.

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INEL CUORE DELL’EXPO

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CASCINA TRIULZA

MADONNINA

2 EDICOLA CARITAS

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4 PADIGLIONE S.SEDE

9 PALAZZO ITALIA

ALBERO DELLA VITA

7 CASA DON BOSCO

6 SAVE THE CHILDREN

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PADIGLIONE ZERO

SLOW FOOD

Le DIECI tappe dell’Expo La «libreria» del Padiglione Zero, lo spazio della Santa Sede e l’Edicola Caritas Poi la copia della Madonnina, la visita al presidio Slow Food... Ecco la nostra mappa > Francesco Anfossi

tato all’insù. Percorriamo qualche centinaio di Dieci tappe da metri – il tempo di una sosta allo stand di Sanon perdere metri ed eccoci di fronte a un altro simbolo delve The Children (6), dedicato alla protezione per dare un i può gustare Expo Milano 2015 an- l’anima di Expo 2015: il Padiglione della Sandell’infanzia nel mondo, uno dei padiglioni significato che attraverso un percorso spiritua- ta Sede (4), l’unico che invece di vendere o repiù "vivi" e vivaci per la presenza di tanti gioalla visita le, civile e religioso. Un viaggio per galare qualcosa, come cibo, prodotti della tervani volontari sempre disponibili a illustrare i all’esposizione arricchire non solo gli occhi, ma an- ra, articoli di ristorazione, libri, depliants e progetti dell’Organizzazione – ed eccoci di di Milano che l’anima. Noi ve ne proponiamo gadget, chiederà ai suoi visitatori di donare fronte al padiglione della Famiglia Salesiana, uno, partendo proprio da quel Padiglione Ze- per la fame nel mondo e per le opere di carità la Casa don Bosco (7), struttura semplice ed essenziale (come nello spirito della congregaro (1) che è considerato la porta della manife- della Chiesa. Questo cubo di cemento così stazione, con le sue dodici sale realizzate da semplice contiene una autentica perla che vazione), aperta a tutti in un ambiente accogliente Michele De Lucchi e trasformate in racconto le il prezzo del biglietto di Expo: L’Ultima Cee familiare. visivo del rapporto millenario tra uomo e ci- na del Tintoretto, proveniente dalla chiesa di CIBO E NON SOLO bo. Una delle meraviglie dell’esposizione è San Trovaso a Venezia, così diversa da quella Come ogni struttura salesiana è anche casa, l’immensa libreria in legno, ricca di cassetti di Leonardo: impetuosa, drammatica, carnascuola (ricca di percorsi didattici), luogo di simboleggianti la memoria da le, con sedie cadute e pane sparcrescita e maturazione, consigliabile sopratpreservare. Si ispira a Sant’A- UN PERCORSO so sulla tavola, come se la detutto alle scolaresche in visita all’Expo e algostino, che descriveva il pas- SPIRITUALE, CIVILE vastazione delle anime e dei corle giovani generazioni, che possono sato come memoria, il futuro co- E RELIGIOSO pi seguisse all’annuncio del incontrarsi all’interno del cortime attesa e il presente come vi- UN VIAGGIO PER tradimento. Vale la peDA SAPERE le. Concludere, proprio in fonsione. Ed eccoci sul Decumano ARRICCHIRE NON na di inserire nel perCARDO E DECUMANO do al Decumano, con la vie al suo colpo d’occhio. Voltan- SOLO GLI OCCHI, corso della visita, Il Decumano è il lungo viale centrale sita al presidio Expo di do lo sguardo a sinistra, c’è l’e- MA ANCHE L’ANIMA anche in un selungo il quale si snodano tutti i padiglioni Slow Food (8), con le dicola della Caritas (2), un cu- RESPONSABILMENTE condo mobo spezzato che simboleggia ansue mostre interattive dell’Expo. Il nome deriva dal latino "decumanus", ment, Casciche architettonicamente la condivisione come na Triulza (5), non lontadedicate alla cultura la via che correva in direzione Est-Ovest nelle ricchezza. Entrando si viene subito colpiti da no dal padiglione, antica di Terra Madre, sicittà sviluppate dal castrum, l’accampamento romaun’opera dell’artista Wolf Vostell, "Voglia di costruzione rurale già gnifica uscire dalla no. All’Expo è lungo 1.500 metri, e per percorrerlo pace": una vecchia e arrugginita Cadillac e un presente nel sito esposikermesse più ricchi tutto a passo normale servono almeno 20 minuti. Su muro di filoni di pane sono i simboli di un tivo restaurata proprio in interiormente, predi esso si affacciano i padiglioni dei paesi partecipanti occasione della Kermesmondo sazio e di un mondo affamato. parati e consapevoe i cluster tematici. È attraversato da 32 viali, il prinse. Uno spazio unico rili. E dopo questo iticipale di questi, proprio come nelle città romane, L’ANIMA DELL’EXPO servato al Terzo settore, ma nerario si può passaè il Cardo, lungo 350 metri, da Nord a Sud.AlProprio a fianco alla Caritas non può non cat- anche un luogo in cui are a tutto il resto. Senl’incrocio tra Cardo e Decumano c’è Piazturare la nostra attenzione il padiglione della ziende, istituzioni pubbliche za dimenticare ovviaza Italia, da dove si parte per raggiunVeneranda Fabbrica del Duomo, sormontato ed organizzazioni internaziomente Palazzo Italia (9), gere Palazzo Italia e l’Albero all’ombra dell’Albero della da una riproduzione della Madonnina in sca- nali possono dare visibilità e vadella Vita. Vita (10) la originale (3): l’occasione unica per vedere lore alle proprie attività. © la Madonnina da vicino, senza lo sguardo pun- Camminiamo per qualche centinaio di

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CUSTODIAMOI

> Pietro Saccò

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n un contesto di cambiamento climatico i progressi delle tecniche agricole rischiano di servire a ben poco: gli effetti del riscaldamento globale potrebbero spazzare via i benefici di ogni passo avanti. «È chiaro: parliamo di rischi, non di certezze. Ma questa è l’aspettativa che deriva da molti studi internazionali» spiega Roberto Zoboli, docente di Politica economica all’Università Cattolica di Milano. Lo scenario, dunque, è pessimo. In che modo lo si può contrastare? Ci sono due strade con cui l’agricoltura può rispondere al cambiamento climatico, e sono due strade che si possono percorrere insieme. La prima è quella della "mitigazione" e consiste nel ridurre, per quanto possibile, i fattori considerati all’origine del cambiamento climatico; la seconda è quella dell’"adattamento", e consiste nell’organizzarsi per essere pronti alle possibili conseguenze negative del cambiamento del clima. Sembrano strade semplici, in teoria. Ma le nazioni le stanno realmente percorrendo? Da un punto di vista politico oggi c’è una solida consapevolezza del problema. Sul fronte delle riduzioni delle emissioni dei gas serra, e quindi della mitigazione, i progressi sono noti. Ma ci sono passi avanti anche per quanto riguarda l’adattamento. All’interno delle politiche per il clima esiste una specifica linea di intervento sull’adattamento, alla Conferenza sul cambiamento climatico di Cancùn, nel 2010, è stato chiesto a ogni Paese di fare un suo piano di adattamento. In Europa molti lo hanno fatto; l’Italia lo ha lanciato a livello nazionale due anni fa. Ma preparare piani di adattamento efficaci è estremamente complesso. Perché è così difficile? C’è una difficoltà tecnica. Penso ad esempio al piano preparato dall’Italia, che ha molti elementi interessanti ma mi lascia qualche perplessità sulla sua efficiacia. Manca il passaggio dai buoni piani alle buone pratiche. Per esempio: molte città stanno preseguendo la strategia delle smart cities, ottima idea, questa delle città tecnologicamente avanzate, ma la maggior parte dei progetti non incorpora il rischio climatico. E quindi come può essere “smart” una città che va sott’acqua appena piove? E poi ci sono le difficoltà politiche... La questione è la solita: i costi ci sono subito, i benefici arrivano molto dopo, quindi la scelta politica è complessa. È già difficile per la mitigazione, ma molto di più per l’adattamento. Perché tagliare le emissioni e montare qualche pannello solare è molto più semplice che, per esempio, prepararsi a un mondo con una minore disponibilità idrica e quindi spostare la produzione agricola verso colture meno dipendenti dall’acqua. Serve una diversa intelligenza del problema. Se i costi dell’adattamento sono difficili da

«Rischio CLIMATICO servono scelte forti» Mitigazione e adattamento, le due strade per affrontare il cambiamento climatico, spiega Roberto Zoboli, docente di politica economica alla Cattolica di Milano, dove insegna anche all’Alta scuola per l’ambiente

ti incrementi di produttività dei campi, per esempio l’adattamento comporta la rinuncia alla fertilizzazione intensiva e È chiaro che nei paesi in via di sviluppo richiede tecniche di aratura più leggere. questo può determinare delle rinunce a for- In alcune aree può essere un problema grosso. Ma anche nei ZOBOLI (C ATTOLICA): paesi in via di svi«TAGLIARE LE EMISSIONI E luppo oggi c’è la MONTARE PANNELLI SOLARI È PIÙ consapevolezza che SEMPLICE CHE PREPARARSI A UN un’agricoltura più MONDO CON MINORE sostenibile è più duDISPONIBILITÀ IDRICA E SPOSTARE ratura, e così preserLA PRODUZIONE AGRICOLA va il capitale agricoVERSO COLTURE MENO lo di un popolo. © DIPENDENTI DALL’ACQUA» fare digerire a nazioni ricche, come possono essere sostenuti dai paesi in via di sviluppo?

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All’Expo i FIORI del credito

Otto padiglioni riforniti da due fratelli toscani. Aiutati dalle Bcc > Antonella Mariani

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all’Estremo Oriente al Sudamerica: un "giro del mondo" con i fiori, quello compiuto da un piccolo vivaio toscano grazie ad Expo2015. Una imponente magnolia per il Brasile, allegri cespugli gialli di euvonimus per la Cina, a offrire l’illusione ottica di un campo di grano, piante tropicali e palmizi per la Malesia… Tutto made in Italy al cento per cento. La storia dei fratelli Mungai è una tipica storia italiana: un piccolo vivaio a Pistoia, tramandato dal bisnonno Giovan Battista, detto l’americano perché era stato in Argentina, giù giù fino a uno zio. Nel 2010 i due nipoti, Giacomo e Francesco, 60 anni in due, hanno rilevato i Vivai MGF e

hanno impresso la loro svolta. Il mercato italiano era saturo, bisognava andare a Est. Molto a Est. In Cina, precisamente. "Era una scommessa", racconta Giacomo. Di fiera in fiera, i due fratelli toscani sono stati avvicinati per il padiglione cinese all’Expo. E da lì è stato un crescendo: i fiori e le piante di Giacomo e Francesco abbelliscono 8 rappresentanze nazionali (ecco l’elenco per i più curiosi: Brasile, Malesia, Uruguay, Messico, Cambogia, Brunei, Israele e appunto Cina). Il bello è che per i due fratelli non si tratta solo di lavoro, e difatti ogni pianta (o perlomeno, le più importanti) ha il suo nome di battesimo: così la grande magnolia si chiama Viola, come la figlia neonata di Francesco, e le due Sophora japonica che si fanno ammirare all’interno del pa-

diglione cinese si chiamano una Regina e l’altra il suo corrispettivo in lingua locale, Huangou, "in onore della mia cagnolini morta due mesi fa", racconta Giacomo. Per restare in tema, per i Mungai non è stato sempre rosa e fiori: l’azienda, che oggi conta 8 dipendenti oltre ai due fratelli, ha avuto un momento di grande difficoltà quando, subito dopo il ricambio generazionale, una fabbrica del circondario sversò sostanze inquinanti nel fiume da cui il vivaio traeva l’acqua per l’irrigazione. Metà della produzione andò perduta e fu solo con l’aiuto della banca di cui sono soci, la Bcc, hanno rimesso… le radici. Pronti a partire per l’Oriente e per approdare, cinque anni dopo, alla grande avventura dell’Expo. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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Novara e Haiti unite dal RISO Per difendersi da Ogm e fine dei dazi Fabrizio Rizzotti è passato al «chilometro zero» E nel Paese caraibico i piccoli produttori sfidano il mercato per tornare competitivi UOMINI E NATURA

Il buon lavoro nella vigna libera dalla mafia > Antonio Maria Mira

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> Antonio Sanfrancesco

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utre un quinto della popolazione mondiale, il 90% della produzione su scala globale arriva dai Paesi asiatici con Cina e India in testa. L’Italia è il maggior produttore europeo. Molte famiglie di contadini che lo coltivano però non riescono a guadagnare abbastanza per poter vivere dignitosamente, schiacciati da speculazioni economiche e dalla corruzione dei governi locali. È uno dei paradossi che racconta il cluster del riso all’Expo, cereale attorno al quale si combattono guerre silenziose che condannano alla fame interi popoli e innescano migrazioni di massa. A poco meno di 50 chilometri dal cluster del riso, a Vespolate, in provincia di Novara, si trova la cascina di Fabrizio Rizzotti, risicoltore che pur così distante ha molto in comune con i contadini di Bocozelle, nella Valle dell’Artibonite, ad Haiti, il Paese devastato dal terremoto del 2010.

Tempi duri per i piccoli produttori italiani di riso (nella foto Fabrizio Rizzotti) Per competere servono qualità e nuove formule di vendita

LA FINE DEI DAZI Rizzotti coltiva il riso da sette generazioni e dal 1998 ha deciso di trasformare e vendere a "chilometro zero" il suo riso. Ora deve lottare contro Bruxelles che ha deciso di far entrare in Europa il riso asiatico a costi troppo bassi, facendo una concorrenza micidiale ai produttori italiani. «Soprattutto a quelli BRUXELLES HA DECISO piccoli come me – spiega – che fan- DI FAR ENTRARE IN no un prodotto di qualità ma fatica ad EUROPA IL RISO imporsi sul mercato». Le importazio- ASIATICO A COSTI ni incriminate arrivano da Cambogia TROPPO BASSI e Myanmar, favorite dall’azzeramen- A PORT-AU-PRINCE LA to dei dazi doganali decretato nel 2011 CONCORRENZA È IL con l’Everything but Arms, un piano CEREALE AMERICANO europeo di solidarietà con cui si sono liberalizzate le importazioni di prodotti dai Paesi meno sviluppati. Di reintrodurre i dazi, come chiedono i produttori, l’Europa non ne vuole sapere. Rizzotti ha deciso dunque di cimentarsi col

mercato: «Se oltre a coltivarlo, il riso lo vendiamo al consumatore il guadagno è quattro volte superiore», spiega. Per la campagna "Abbiamo riso per una cosa seria. La fame si vince in famiglia" la Focsiv ha scelto proprio lui come testimonial, perché rappresenta il connubio tra tradizione familiare e agricoltura sostenibile. «Per la concimazione utilizziamo il compost, un mix di sostanze organiche biocompatibili – afferma –. Per la tostatura ho fatto da cavia a un gruppo di giovani ingegneri novaresi che hanno creato una caldaia alimentata solo con prodotti naturali. Ha funzionato».

IL CASO DI HAITI E Haiti? Qui la produzione risicola, unico puntello di un Paese poverissimo, è stata asfaltata da calamità naturali e dalla concorrenza del riso statunitense, favorita da una spregiudicata politica doganale prima del Fondo monetario internazionale nel 1986 e poi dal presidente Bill Clinton che nel ’94 aiutò il ritorno dell’allora presidente Aristide e questi in cambio abbassò i dazi doganali sul riso dal 22 al 3%. «Fino agli anni ’80 la produzione di riso e caffè nel Paese era buona e Haiti riusciva anche a esportare – spiega Marco Bello, capo progetto dell’associazione torinese Cisv sul riso sostenibile – poi è crollato tutto: la gente ha abbandonato in massa le campagne, molti sono emigrati nella Repubblica Dominicana». Il riso americano costa molto meno di quello locale e le famiglie haitiane scelgono quello low cost. Nella Valle dell’Artibonite, a nord della capitale Port-auPrince, il progetto Cisv, finanziato dalla Caritas, sta tentando di migliorare la vita del riso. I primi segnali sono buoni: «A Bocozelle, mettendo insieme oltre 50 organizzazioni contadine – fa sapere Bello – in pochi mesi siamo riusciti a raddoppiare la produzione di riso, passando da una resa di 2,5 tonnellate per ettaro a 5».

a luogo di sofisticazioni e luogo di produzioni di qualità. Dall’illegalità al riscatto. Dallo sfruttamento all’integrazione. È Villa Verena nel comune di Torchiarolo (Brindisi). Era di Tonino Screti, il “cassiere della Sacra Corona Unita”, la “quarta mafia” pugliese, nata proprio in questo territorio nel 1981. Luogo di sporchi e ricchi affari. Accanto alla grande masseria sorgeva un complesso produttivo di vino. Malgrado fosse circondato da decine di ettari di vigneto, il vino era in gran parte adulterato. Ne hanno avuto conferma i giovani della cooperativa Terre di Puglia–Libera Terra, nata nel 2008, che nel maggio 2010 hanno avuto in gestione tutta l’area confiscata da anni ma bloccata per un’ipoteca bancaria. Enormi cisterne in cemento armato, quasi dei bunker, dove l’uva era un lontano ricordo. Ora fervono i lavori, le cisterne vengono distrutte per far posto a una moderna cantina per vini di qualità, 4 rossi e 2 rosati, che già la cooperativa realizza in altre cantine. Grazie a un finanziamento del Pon sicurezza del Viminale, la produzione sarà traferita qua, segno concreto di cambiamento. Anche nei nomi dei vini: Renata Fonte, assessore di Nardò uccisa nel 1984; Antò, dedicato ad Antonio Montinario, uno degli uomini della scorta di Giovanni Falcone; Alberelli de la Santa dedicato a Gaetano Marchitelli e Michele Fazio, giovani vittime innocenti di mafia; Hiso Telaray, immigrato albanese di 22 anni ucciso per la sua lotta contro i caporali. E non è un caso che nelle vigne della cooperativa lavorino sia immigrati che detenuti. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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> Lucia Capuzzi

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on è un fatto naturale. Amartya Sen ne è convinto fin da quando era un giovane ricercatore a Cambridge, negli anni 60. La fame è un prodotto economico, sociale e politico. Come tale può e deve essere trattato. E, magari, risolto. Per averne la prova "matematica", Sen ha preso in esame le carestie che hanno colpito l’Asia nel corso del Novecento. Attraverso calcoli complessi, l’economista e filosofo ha dimostrato che queste non erano dovute a penuria di cibo ma a disparità di reddito. Le sue riflessioni, messe nere su bianco in "Poverty and Famines" (Povertà e carestie) del 1981, gli sono valse il Nobel per l’Economia, nel 1998. Sen, ormai 81enne, è un punto di riferimento imprescindibile per gli studi su fame e disuguaglianza. Un binomio perverso. Che si riassume nel concetto «capacità di procurarsi il cibo». «In un’economia di mercato, la variabile fondamentale è la quantità di cibo che una persona può acquistare o produrre», ha affermato lo studioso appena dopo aver firmato la "Carta di Milano". Sen è arrivato nel capoluogo lombardo per Expo 2015, nell’ambito di un’iniziativa organizzata dalla Cooperazione italiana. Professore, dunque, il persistere della fame nel mondo non dipende dall’incapacità del pianeta di produrre cibo a sufficienza… Qualche connessione tra fame e produzione di cibo – che ne determina la disponibilità su un determinato mercato – esiste, è ovvio. Si deve fare, però, attenzione a non assolutizzare questo rapporto. Anche perché nei decenni, la produzione alimentare è cresciuta molto più della popolazione. E allora perché circa 800 milioni di persone soffrono la fame? Il fatto che il cibo ci sia non determina che una persona o una famiglia possa permettersi di comprarlo. E qua entra in gioco il fattore politico. Un governo ha il potere di ridurre o sconfiggere la fame attuando una serie di misure, che vanno dai sussidi, a politiche per aumentare l’occupazione e per proteggere l’ambiente. Che cosa c’entra l’ambiente con la fame? Spesso tendiamo a ridurre la questione ecologica al problema del riscaldamento globale. Quest’ultimo esiste e ha degli effetti devastanti soprattutto sul Sud del mondo. Non è sufficiente, però, "non inquinare". La cosiddetta economia verde – la ricerca di risorse sostenibili – può rappresentare un fattore di sviluppo importante per i Paesi poveri. Lei ha elaborato il concetto di non compatibilità tra democrazia e carestia. Quando una democrazia è davvero tale, il governo è soggetto ad esame da parte dei cittadini, ed esposto alle critiche. Se vuole sopravvivere non può consen-

Sen: l’ECOLOGIA per aiutare i poveri Il Nobel per l’Economia all’Expo firma la Carta di Milano «I governi possono rimuovere le condizioni delle carestie» IL PROGETTO

Mobilità efficiente A Corbetta luci e Bike sharing > Diego Motta

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tire che si verifichino le condizioni per una carestia. Voto trasparente e regolare, media liberi e indipendenti, dibattito pubblico autentico, partecipazione spontanea sono un buon antidoto contro le carestie. E l’istruzione? Anche quest’ultima lo è? Grazie all’istruzione i popoli acquisiscono la capacità di risolvere i loro problemi. Perché crea menti pensanti, stimola il dibattito, l’approccio critico. Per questo, è un’arma potente contro la fame, intesa come prodotto di determinate condizioni politiche, sociali ed economiche. Allo stesso modo, però, la fame frena l’istruzione e, di conseguenza, il progresso e l’emancipazione dei popoli. È difficile che un bambino possa apprendere e sviluppare appieno il proprio potenziale quando ha lo stomaco vuoto. Il cibo è un «È DIFFICILE CHE UN BAMBINO fattore chiave nel POSSA APPRENDERE E SVILUPPARE favorire l’apprenAPPIENO IL PROPRIO POTENZIALE dimento. Da QUANDO HA LO STOMACO quando alcuni VUOTO. IL CIBO È UN FATTORE Stati indiani hanCHIAVE NEL FAVORIRE no iniziato a forL’APPRENDIMENTO. SERVONO PIÙ nire agli alunni ISTRUZIONE E DEMOCRAZIA PER un pasto, i proVINCERE LA FAME, MA ANCHE gressi son stati SOSTENERE LO SVILUPPO notevoli. © DELL’ECONOMIA VERDE» Secondo il premio Nobel per l’Economia, Amartya Sen (sotto), gli investimenti nelle energie pulite possono contribuire a ridurre la povertà

ostenibilità? Fa rima con mobilità. In occasione di Expo, sempre più imprese del settore energetico hanno scelto di scommettere sul territorio, per promuovere una nuova cultura civica. Uno degli esempi più recenti, nel Milanese, ha coinvolto il Comune di Corbetta e la società E.On. A fine 2014 l’azienda ha infatti avviato una serie di iniziative nell’ambito del progetto "LET3 - Il circuito dell’energia efficiente". Oltre a fornire la sede del Comune di Corbetta e di Villa Pagani Della Torre di energia verde al 100%, E.On ha sponsorizzato uno dei percorsi ciclo-pedonali promossi dalla Fondazione Cariplo e patrocinati da Expo 2015. Investire in mobilità, garantendo aree protette alla cittadinanza che vuole spostarsi, possibilmente a contatto con la natura circostante, è da tempo una delle priorità delle amministrazioni locali ed è significativo sia diventato sempre di più un asset anche per le più grandi aziende del mercato energetico. Nel caso di Corbetta, il finanziamento dell’opera si è tradotto in due importanti progetti di sostenibilità ed efficienza per la comunità locale: la messa in efficienza del sistema d’illuminazione del parco comunale di Villa Pagani Della Torre con l’utilizzo della tecnologia Led e la realizzazione di una stazione di "bike sharing" per biciclette elettriche presso la centrale Piazza del Popolo. Il legame tra E.On ed Expo si consoliderà ulteriormente nel padiglione "Cibus è Italia" presso lo stand Goglio, azienda leader nei sistemi di imballaggio da oltre 160 anni e con cui E.On ha una partnership consolidata da molto tempo. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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> Pino Pignatta

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francesi per l’Esposizione Universale del 1889, che celebrava i cent’anni della Rivoluzione, hanno tirato su la Tour Eiffel. Qui abbiamo montato 27 milioni e 800 mila chili di carpenteria in meno di due anni, che di Torri Eiffel ne fanno quasi quattro. In più qui c’è un lavoro di 1.200.000 metri quadrati, ci stanno dentro 180-190 capi di calcio di serie A. Abbiamo 200.000 metri quadrati di viabilità interna, come 13 km di autostrade. In tutto ci hanno lavorato 1.350 imprese e dal 2010 ai primi del 2014 circa 5.000 operai ogni giorno. Che per la stretta finale, sono diventati 9.000». Chi racconta è l’uomo dell’Expo, Romano Bignozzi, 78 anni, che il giorno dell’inaugurazione ha abbracciato il premier Renzi. Bignozzi è il capo cantiere di tutto l’Expo. Se si è arrivati all’inaugurazione in tempo, se i padiglioni di 145 Paesi sono visitabili e costruiti come si deve, molto del merito è di questo signore veronese, vedovo da 25 anni, padre di 3 figlie, nonno di 4 nipoti, tutte femmine, che ha iniziato a lavorare qui nel 2009, all’inizio 8-10 ore il giorno, poi quando i giochi si sono fatti duri anche 14-15 ore il giorno. Bignozzi, tutto per ora fila liscio, ma qualche Paese l’ha fatta arrabbiare, dica la verità? Abbiamo dovuto soccorrere un 10% cento di padiglioni: si sono accorti che facevano fatica a finire. Allora ho fatto le tabelle con i buoni e i cattivi. E gli ultimi, tipo Emirati Arabi e Corea, gli ho strigliati ben bene. Cattivi in che senso? Erano in ritardo per i materiali che arrivavano dall’estero. Ad esempio, gli Emirati Arabi: i pannelli delle dune, circa 1.200, alti 12 metri, li hanno fatti in Cina. Come tanti altri materiali, con le conseguenti difficoltà logistiche di trasporto e consegna. La stessa Cina: tutti i bambù del tetto li ha fatti "in casa" e trasportati via nave: ci sono voluti tre mesi. I padiglioni più complicati? Kuwait, Germania, Cina, Emirati. I più semplici? Ungheria, Romania, Lettonia, Estonia. A parte il nostro, il Padiglione Italia, quali sono i più ricchi dal punto di vista della complessità cantieristica e degli arredi? Gli Emirati Arabi è pieno zeppo di curiosità. Il Giappone anche, tanto che è quello con le code più lunghe per entrare. Molto ricchi anche quelli della Germania e del Kuwait. Quasi tutti i Paesi arabi e asiatici hanno progettato padiglioni sofisticati. Le code maggiori? Quasi sempre gli Emirati Arabi, 30-35 minuti di attesa, il Giappone e il Brasile. Abbastanza veloci invece, perché hanno due entrate, Kuwait, Germania e Svizzera. La sua responsabilità in cantiere? Per prima cosa ho fatto valutazione delle opere, lo studio dell’esecuzione. È la mia specializzazione: pianificare i lavori, possibilmente al centesimo. Ho lavorato all’estero tanti anni: Honduras, Guatemala, Messico, Stati Uniti, Africa, sempre per cantieri gigan-

Il NONNO che ha fatto i padiglioni Romano Bignozzi, 87 anni, ha 3 figlie e 4 nipoti femmine. È il capocantiere dell’Esposizione: «Altro che Parigi, qui abbiamo montato 4 Tour Eiffel» teschi, stradali, metropolitane, dighe. La domanda più ricorrente è che cosa succederà dopo il 31 ottobre. Che cosa faranno di tutto questo? L’80% dei Paesi si porterà via i padiglioni, se li monteranno a "casa", o li porteranno al prossimo Expo. Il Nepal l’ha comprato un tedesco. Poi ci sono sette-otto Paesi che ci hanno chiesto se li vogliamo, e tutto questo è in fase di studio, per una valorizzazione futura. Qui rimarrà un’area di urbanizzazione completa… Sì, perché c’è dentro di tutto; strade, fognature, edifici. La cosa più bella e verosimile sarebbe quella di estendere la Fiera di Milano, anche perché abbiamo le due passerelle esistenti, Cascina Merlata e quella della Fiera che si prestano molto a un uso commerciale. Invece le aree ristoranti potrebbero diventare dei padiglioni per le Università. © RIPRODUZIONE RISERVATA

Se si è arrivati in tempo all’inaugurazione dell’Expo una grande parte di merito va anche al capocantiere Romano Bignozzi

L’UTILE IMPRESA

Quelli dei Gas La spesa sostenibile delle famiglie > Giulia Cerqueti

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ascono in forma spontanea, spesso dall’iniziativa di un primo gruppo di conoscenti. Tutti partono da un approccio critico al consumo e sono animati da valori quali l’attenzione alla sostenibilità, al rispetto dell’ambiente, alla biodiversità, al sostegno dei piccoli produttori locali, all’equità. Sono i Gas, Gruppi di acquisto solidale, persone o famiglie che si organizzano per comprare insieme i generi alimentari direttamente presso i produttori. A partire dalla metà degli anni ’90 si sono diffusi in tutta Italia (la Rete nazionale è nata nel 1997). Fra i gruppi milanesi, ad esempio, nel 2008 è nato "A Prova di gas". «Abbiamo iniziato con degli amici», racconta il fondatore Alberto Picci, giornalista 37enne, una moglie e una figlia di 6 anni «oggi siamo 15 famiglie». Ecco come funziona: «Frutta e verdura le acquistiamo presso un’azienda agricola di Piacenza. Ritiriamo la merce ogni due settimane». Il rifornimento di pasta viene fatto due volte l’anno, in dosi "industriali", presso la cooperativa Iris. Quello della carne ogni tre mesi presso alcune cascine agricole dell’hinterland milanese. Lo stesso principio vale per i lavori sartoriali: «Una volta l’anno raccogliamo i vestiti da rammendare e li portiamo presso una cooperativa sociale». A conti fatti, il Gas è conveniente per il portafoglio: «Se è vero che presi singolarmente i prodotti che acquistiamo costano di più rispetto al supermercato, alla fine dell’anno, sulla spesa totale, risparmiamo tanto. Compriamo solo ciò che ci serve, senza cadere nel superfluo e senza sprechi». Il valore aggiunto del Gas, poi, è enorme: «L’abbattimento dei costi per le fasi intermedie di distribuzione, la possibilità di arrivare al produttore e di avere un rapporto diretto con lui, la garanzia di qualità, il fatto di favorire le produzioni locali e di riscoprire la loro grande varietà, il sostegno a progetti con finalità sociali». © RIPRODUZIONE RISERVATA

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> Diego Motta

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energia per la vita oggi è negata a 1,3 miliardi di persone, in particolare in Africa, e se davvero Expo 2015 vorrà rappresentare un punto di svolta, sarà necessario accendere una luce su decine di migliaia di villaggi del Sud del mondo che ancora vivono al buio. Il grande paradosso è che il continente africano non riesce a sfruttare l’enorme potenziale di risorse presenti. Sul versante della produzione di petrolio e gas ci sono Paesi storicamente leader come la Nigeria, l’Angola, la Guinea Equatoriale e il Congo, altri che stanno scalando rapidamente le posizioni, dal Mozambico alla Tanzania, mentre alcuni Stati sono ritenuti particolarmente promettenti da chi ha condotto esplorazioni più recenti: si tratti del Kenya, dell’Uganda o dell’Etiopia. Il punto è che la presenza certa di idrocarburi non si è (quasi) mai tradotta in ricchezza per la popolazione locale, innanzitutto in termini di servizi elementari. Nell’Africa sub-sahariana oggi 620 milioni di persone non hanno accesso all’energia elettrica e altri 730 milioni ricorrono a sistemi inefficienti e pericolosi per cucinare e scaldarsi. Se un cittadino europeo dà per scontata la fornitura di gas, benzina ed elettricità, un cittadino africano sa che dovrà utilizzare, per scaldarsi, spostarsi e cucinare, solo legna, arbusti, scarti dell’allevamento e dell’agricoltura.

GIUSTO «RESTITUIRE» In questo senso, esistono almeno due ordini di problemi da risolvere al più presto: da un lato l’accesso all’elettricità, indispensabile per l’illuminazione, lo sviluppo delle telecomunicazioni, la conservazione dei cibi; dall’altro l’uso di combustibile pulito per cucinare, evitando danni gravi alla salute e all’ambiente. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, oltre 3 milioni di persone ogni anno muoiono a causa di malattie generate dalla respirazione di fumi in ambienti interni aerati male. Le vittime principali sono soprattutto donne e bambini dei Paesi africani, costretti a bruciare legna o scarti in stufe e camini. È necessario dunque che l’Africa abbia accesso ai sistemi di "energia moderna" diffusi nel resto del mondo, visto che attualmente il 95% della sua popolazione ne è escluso. Il consumo di energia pro-capite nel continente è inferiore a 0,7 tonnellate equivalente di petrolio, contro oltre 3 dell’Europa e i 7 degli Stati Uniti. «Lo sviluppo delle riserve interne di energia è richiesto prima di tutto per migliorare le condizioni di vita degli africani – osserva Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia –. I governi occidentali e le grandi major del settore devono sapere che la prima necessità, per i popoli africani, rimane quella di dar vita a

«WAME&EXPO» UN AIUTO DAI BIG Nata nel luglio 2013, l’associazione Wame & Expo 2015 raccoglie 8 leader nel settore dell’energia:A2A, Edison, Enel, Eni, Eon Italia, Gas Natural Italia, Gdf Suez Energia Italia e TenarisDalmine. Presieduta da Pippo Ranci, già presidente dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas, l’associazione ha l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica sul problema dell’accesso del pianeta all’energia moderna, tema particolarmente sensibile nell’Africa sub-sahariana e nell’Asia sud-orientale. L’obiettivo di Wame & Expo 2015 è lasciare un’eredità concreta dopo il 2015, promuovendo informazione e conoscenza, facilitando nuove iniziative, sostenendo gli sforzi per la cooperazione tra enti pubblici, imprese private e organizzazioni umanitarie. Lo spazio espositivo è in Cascina Triulza.

Africa, quei Paesi poveri di ENERGIA Milioni di persone senza elettricità, sfida per l’Occidente una sorta di "restituzione" sociale ed economica di ciò che l’Occidente preleva in termini di risorse naturali. La rendita deve andare alle comunità locali, non deve alimentare i tesoretti dei potenti».

PIÙ SOSTENIBILITÀ Spesso e volentieri, invece, la speranza stessa che l’oro nero, il petrolio, potesse garantire prima sviluppo e poi uguaglianza, è andata delusa e non va dimenticato che le enormi entrate generate IL 95% DELLA POPOLAZIONE dalle esportazioni di iDEL CONTINENTE AFRICANO drocarburi sono state NON HA ACCESSO A SISTEMI utilizzate per finanziaDI ENERGIA MODERNA re regimi dittatoriali LA PRESENZA DI IDROCARBURI che tendono a rafforNON SI È (QUASI) MAI zare il loro potere, con TRADOTTA IN RICCHEZZA l’acquisto di armi. PER LA POPOLAZIONE LOCALE, L’altra grande sfida è INNANZITUTTO IN TERMINI rappresentata dalla soDI SERVIZI ELEMENTARI stenibilità. Le Nazioni Unite hanno indicato

la meta del 2030, come data entro cui estendere a tutti gli abitanti della Terra l’accesso ad un’energia pulita e rispettosa dell’ambiente. Nella partita rientrano a pieno titolo anche le fonti rinnovabili che, in un continente tagliato fuori dalle grandi reti d’approvvigionamento, rappresentano un’opportunità unica. Solare, eolico, geotermico sono più di una speranza e i primi a realizzare progetti concreti sono stati in molti casi i missionari e le Chiese locali. Importante è anche la battaglia condotta dall’associazione Wame & Expo 2015, costituitasi a fine luglio 2013, che raggruppa otto società operanti nel settore dell’energia italiane ed europea. Wame, acronimo che sta per World Access to Modern Energy, rilancia l’idea di "energia moderna" per tutti, al centro delle strategie internazionali di Onu ed Unione europea dei prossimi decenni, che avranno proprio nell’Africa il principale banco di prova. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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VOCE ALL’AFRICA UN CONCORSO APERTO Expo Milano 2015 ha lanciato un bando dedicato a tutti i Paesi Africani. L’obiettivo del concorso "Energy, Art & Sustainability for Africa", in collaborazione con Eni (Official Partner for Sustainability Initiatives in African Countries), è ricevere proposte per l’ideazione di eventi nel sito espositivo dal 12 al 27 settembre 2015. Lo scopo è valorizzare il continente africano con eventi culturali e scientifici che permetterà agli Stati Africani, anche quelli non presenti, di promuovere risorse e abilità sviluppate nei settori della nutrizione, dell’agricoltura, della crescita economica collegata allo sviluppo sostenibile. Le proposte potranno essere inviate fino al 18 giugno. Info su www.expo2015.org.

Le CENTRALI che accendono lo sviluppo Elettricità per scuole, ospedali, agricoltori. L’impegno dell’Eni dal Congo al Mozambico > Paolo Maria Alfieri

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e a livello ambientale sono stati spesso segnalati i pesanti impatti dell’industria estrattiva in Africa – con particolare riferimento agli idrocarburi – altrettanto vero è che in alcuni casi gli interventi delle multinazionali straniere hanno consentito di ovviare a deficit strutturali del continente, che ne ritardano lo sviluppo. È il caso dell’accesso all’energia, un tema centrale per la sostenibilità e che diventa, per l’italiana Eni, «prerequisito fondamentale per lo sviluppo economico e sociale» del Sud del mondo. Chi ha avuto modo di attraversare qualche Paese africano lo sa: lontano dai grandi centri urbani intere aree restano al buio al calar della sera e la mancanza di energia ha le sue conseguenze per ospedali, commerci, ammodernamento dell’agricoltura, sicurezza stradale. Prima compagnia straniera quanto a produzione di idrocarburi in Africa, Eni ha dato negli anni il suo contributo alla riduzione della povertà energetica nel continente, attraverso infrastrutture per la produzione, il trasporto e la distribuzione del gas, la costruzione di centrali elettriche e la promozione di progetti di elettrificazione rurale. Inoltre è stata la prima compagnia internazionale a

Nella foto la «Centrale Eléctrique du Congo», alimentata dal gas proveniente dal campo di M’Boundi e con una capacità installata di 300MW, realizzata da Eni nel 2010

investire nella produzione di energia elettrica in Africa utilizzando il gas precedentemente bruciato in torcia. Congo, Mozambico, Angola, Ghana e Nigeria sono alcuni dei Paesi in cui maggiormente si concentra l’intervento dell’azienda italiana. In Congo – dove le centrali Eni garantiscono il 60% della produzione elettrica nazionale – gli interventi di sostenibilità per l’accesso all’energia sono legati ad altri temi quali la sicurezza alimentare e lo sviluppo agricolo, l’educazione e la salute, l’accesso all’acqua, il tutto strutturato all’interno del Progetto integrato Hinda. L’obiettivo è di migliorare le condizioni di vita delle comunità che abitano intorno al campo di M’Boundi, anche attraverso il dialogo con la popolazione locale. Sono stati realiz-

zati 3 centri di salute, 9 scuole e 21 pozzi, con i relativi sistemi di approvvigionamento energetico. Due centrali elettriche garantiscono una produzione di energia che vale 350 megawatt, affiancata dalla ricostruzione della rete nazionale ad alta tensione tra Pointe Noire e Brazzaville (550 chilometri) e lo sviluppo della rete di distribuzione dell’energia elettrica e l’illuminazione stradale all’interno della stessa città di Pointe Noire. In Mozambico le aree interessate dagli interventi Eni sono quelle di Pemba e di Palma, nella provincia di Cabo Delgado, dove con le autorità locali sono stati definiti accordi per una centrale elettrica da 75 megawatt. Sono stati inoltre progettati sistemi per la gestione dell’energia alimentati anche da fonti rinnovabili, una soluzione utile per le aree rurali e finalizzata a sostenere infrastrutture e servizi primari come scuole e centri sanitari, oltre alla fornitura d’acqua. Esempi di come l’accesso all’energia abbia un impatto più ampio, diventando esso stesso strumento fondamentale per l’inclusione sociale e una crescita sostenibile. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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La FINANZA può nutrire La speculazione sui prezzi delle materie prime agricole ha generato fame e povertà Ma il mercato finanziario, con azioni corrette, può favorire lo sviluppo. Sfida aperta > Simona Beretta

L’INCONTRO

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a ricognizione dei risultati del primo Obiettivo del Millennio, dimezzare la povertà e la fame, mostra che fra il 1990 e il 2015 si è dimezzata la popolazione che vive con meno di 1,25 dollari al giorno, ma che il numero di persone sottonutrite si è ridotto solo di un quinto: 800 milioni di persone sono oggi sottonutrite. Paradossalmente, povertà, fame e deprivazione sono fenomeni prevalentemente rurali: il 75% dei poveri vive nelle campagne, dove si concentra il 60% del lavoro minorile. Questi dati permettono di inquadrare il ruolo della finanza globale nella vita dei più poveri: un ruolo fortemente asimmetrico. Ci dicono che povertà e fame si possono combattere solo “vicino” alle persone, nelle periferie dove si svolge la vita quotidiana dei più poveri, accompagnando i loro percorsi familiari e di villaggio. Per questo occorrono anche risorse finanziarie, ma la finanza da sola non basta a generare lo sviluppo: al contrario, la finanza da sola può facilmente creare povertà.

LA SPECULAZIONE La finanza globale ha, direttamente o indirettamente, contribuito alla povertà “periferica”. La cosiddetta “finanziarizzazione” dei prezzi agricoli ha intaccato il tenore di vita di milioni di famiglie povere attraverso il massiccio ingresso, sui mercati finanziari dedicati alle commodities agricole con consegna futura, di operatoLa maggior parte ri interessati a lucrare un puro rendimento degli investimenti finanziario. Le loro compravendite, non agricoli locali determinate da esigenze legate all’offerta sono realizzati o alla domanda di materie prime agricole dalle famiglie per la trasformazione agroalimentare, hanrurali e dai no inciso pesantemente non solo sui livelpiccoli li dei prezzi agricoli, ma soprattutto sulla produttori loro instabilità. Purtroppo, sia prezzi alti, sia prezzi bassi del cibo mietono vittime fra i poveri. I prezzi alti impoveriscono le famiglie meno abbienti, costringendole a una dieta più povera (e a una salute più precaria); talvolta, spingendole a destinare al consumo sementi e animali indispensabili a garantire il futuro delle famiglie rurali. In pratica, una stagione di prezzi alti può bastare a intrappolare gli agricoltori poveri in una spirale di produt- IL 75% DEI POVERI VIVE tività calante e di crescente NELLE CAMPAGNE, DOVE SI vulnerabilità. Anche i prezzi CONCENTRA IL 60% DEL bassi, alimentando la fuga LAVORO MINORILE dalla campagna e l’inurba- LA DEPRIVAZIONE mento, contribuiscono a ri- ALIMENTARE ED ECONOMICA durre la produzione locale e SONO FENOMENI IN GRAN aumentano la dipendenza da- PARTE RURALI. LA CHIARA gli approvvigionamenti este- RESPONSABILITÀ DEI MERCATI

LA STABILITÀ DEI MERCATI AGROALIMENTARI C’è un legame tra finanza e agricoltura? Esistono rischi specifici derivanti dalla finanziarizzazione del mercato agroalimentare? Quale possibile regolamentazione per ridurre questo tipo di fenomeni speculativi? Sono solo alcuni degli interrogativi cui risponderanno i relatori all’incontro Food and agricultural markets instability: policies and regulation perspectives, promosso dall’Università Cattolica in collaborazione con il Centro di Ricerca della Commissione Europea (Jrc) e il progetto Ulysses nelle giornate del 9 e 10 luglio. L’iniziativa intende contribuire alla definizione delle politiche Ue e internazionali per il miglioramento della sicurezza alimentare e la stabilità dei mercati agroalimentari.

ri. L’instabilità dei prezzi conseguente alla “finanziarizzazione” dei prezzi agricoli combina il peggio dei due scenari, con effetti devastanti sulla capacità delle popolazioni rurali di contribuire al soddisfacimento dei bisogni alimentari delle loro famiglie e dei loro paesi.

LE CONTROMISURE La consapevolezza delle conseguenze negative della finanziarizzazione ha faticato a farsi strada, ma ha portato a introdurre restrizioni nell’accesso degli operatori finanziari “puri” ai mercati dei derivati agricoli: nel dicembre 2013 gli Usa, nel gennaio 2014 l’Unione Europea. Senza trionfalismi, qualche effetto è già apprezzabile. Ma possiamo accontentarci di controllare i danni della finanza, o possiamo delinearne un ruolo positivo? Quale finanza aiuta lo sviluppo? Nel prossimo mese di luglio, ad Addis Abeba, si svolgerà la terza Conferenza delle Nazioni Unite “Financing for Development” per contribuire a delineare e a sostenere gli obiettivi di sviluppo post2015. Capi di stato e Ministri, organizzazioni non governative e imprese avranno

modo di confrontarsi sul tema della finanza e, speriamo, di assumersi concretamente la responsabilità del loro ruolo. Allo stesso tempo, però, occorre ricordare che non bastano i grandi a fare la storia. I dati economici lo confermano. Per rimanere in tema di sicurezza alimentare, la maggior parte degli investimenti agricoli locali sono realizzati dalle famiglie rurali stesse e dai piccoli produttori agricoli; al contrario, languono gli investimenti pubblici e aumentano gli investimenti privati di grandi dimensioni che perseguono obiettivi diversi dalla sicurezza alimentare locale. A livello planetario, il valore delle rimesse degli emigranti è circa il triplo del totale degli aiuti ufficiali allo sviluppo. «La miseria non coincide con la povertà; la miseria è la povertà senza fiducia, senza solidarietà, senza speranza» ha detto papa Francesco nel Messaggio per la Quaresima 2014. Quanta fiducia, quanta solidarietà e quanta speranza sono, già ora, la trama concreta di rapporti su cui si sviluppa la vita dei poveri. La buona finanza ricomincia da qui. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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EDUCHIAMOI > Vito Salinaro

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n Paesi ricchi come Regno Unito o Australia si ammala di allergia il 30% della popolazione; l’Italia conta circa il 10% di allergici; in Indonesia e in Albania, invece, non si supera il 4%. Il trend è ormai chiaro: di allergia ci si ammala nei Paesi ricchi. Sembrerà un paradosso ma l’andamento statistico di questa patologia, alimentare e non, è incontrovertibile: tanto più una nazione brilla nella classifica del reddito, tanto più elevato è il numero di cittadini alle prese con le allergie. Addirittura, eczemi, asma o rinocongiuntiviti sembrano preferire, con percentuali in costante aumento, le famiglie più colte e quelle con meno figli. Ma perché un nucleo familiare facoltoso, piccolo e culturalmente elevato dovrebbe favorire l’insorgere di allergie? A sentire allergologi, pediatri e ricercatori, e a leggere gli ultimi studi, c’è di che sorprendersi.

LO STILE DI VITA Tra le cause del boom nelle popolazioni abbienti ci sono lo stile di vita in generale, il tipo di alimentazione, il grado di igiene e le modalità di svezzamento. Insomma, gli alimenti troppo manipolati e raffinati, l’eccessiva cura della pulizia, il minore contatto con ambienti naturali, fa sì che il sistema immunitario dei bimbi appena nati sia meno stimolato a produrre gli anticorpi in grado di proteggerli. Il rischio allergico coinvolge anche i migranti: soprattutto se in tenera età, infatti, cambiando nazione di residenza cambia anche la probabilità di sviluppare le allergie, tipiche del nuovo ambiente. Per i Paesi più evoluti si tratta di un nuovo allarme, il cui andamento è stato al centro del convegno «AllergEat - l’allergia tra le malattie non trasmissibili: il paradosso dell’abbondanza», promosso dall’Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma a Expo. Non è un

Il male dei ricchi si chiama ALLERGIA Asma, eczemi, rinocongiuntiviti: è boom nei Paesi sviluppati o dove le tensioni sociali sono forti. La giusta prevenzione Le malattie allergiche nascono anche da ipernutrizione o malnutrizione fin dalla prima infanzia

caso che l’evento si sia svolto in un contesto mondiale in cui si affronta il tema della nutrizione del pianeta. La cattiva distribuzione delle risorse alimentari, del resto, si associa non solo a patologie da denutrizione, ma anche da ipernutrizione e da malnutrizione in senso lato. La malattia allergica è tra queste ultime. L’allergia alimentare in particolare – una delle principali cause di eczema – rappresenta il primo passo del

Orientamento formato Expo La novità delle «Summer school» dell’Istituto Giuseppe Toniolo

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rientamento formato Expo. È la novità proposta quest’anno dall’Istituto Giuseppe Toniolo, l’ente fondatore dell’Università Cattolica, per le summer school d’orientamento universitario che si tengono in tutta Italia fino all’appuntamento conclusivo di Milano, a fine agosto, con un seminario multidisciplinare declinato sul tema dell’Expo 2015: "Nutrire il pianeta, energia per la vita". Appuntamento il 31 agosto con diverse lezioni: per l’area economico-politica si parlerà di accesso al cibo e alla terra nel sistema globale, per l’area agro-economica delle nuove professioni in agricoltura, per quella umanistica su come gli artisti interpretano il convivio. Le aspiranti matricole di Giurisprudenza si confronteranno sulla tutela del Made in Italy, quelle di sociologia sulle scelte di consumo e stili di vita mentre per l’area psicosociale lo spunto è "dimmi cosa mangi e ti dirò chi sei". In cattedra, tra gli altri, Luciano Gualzetti, vice commissario del padiglione della Santa Sede e commissario della Caritas in Expo. Il 1° settembre visita all’Expo con i tutor delle diverse facoltà. «Ricordo bene – racconta Francesca Minonne, che ha partecipato a una delle passate edizioni quel

momento – la fine della scuola, lo zaino in spalla, l’estate che iniziava e la testa piena di idee e di progetti, senza ancora una linea sicura. Avevo bisogno di una traccia per indirizzare meglio la mia rotta, per capire cosa sarebbe stata davvero l’Università, dove mi avrebbe portato e come avrebbe cambiato la mia vita. È stata una grande scommessa e la summer school del Toniolo la mano vincente prima di iniziare la partita». Le summer school, spiegano dal Toniolo, hanno come obiettivo quello di favorire il confronto con studenti, esperti, tutor, docenti e altre figure educative in un percorso alla scoperta delle proprie capacità e dei propri talenti in vista della scelta della facoltà da frequentare. Rivolta a studenti di 4° e 5° superiore, quest’anno l’offerta delle scuole estive si arricchisce con la tappa di Barritteri (Reggio Calabria), dal 19 al 21 giugno 2015, che si aggiunge a Macerata, dal 26 al 28 giugno 2015, Santa Cesarea Terme (Lecce), dal 20 al 23 luglio fino appunto all’appuntamento di Milano dal 30 agosto al 2 settembre. Per informazioni: formazione@istitutotoniolo.it. Web: www.istitutotoniolo.it Antonio Sanfrancesco © RIPRODUZIONE RISERVATA

cammino allergico e svilupparla entro i primi 24 mesi di vita significa avere la massima probabilità per i bambini di diventare asmatici intorno ai 7 anni. Le ricerche internazionali più recenti evidenziano anche la disuguaglianza sociale quale fattore socio-economico in grado di influenzare le malattie allergiche. Che tendono a svilupparsi dove ci sono le maggiori tensioni sociali e dove quindi è difficile mantenere i rapporti coesi (se l’Italia ha un indice di disuguaglianza pari a 35, negli Stati Uniti, dove la situazione sociale ed economica è più disomogenea, il valore sale a 41, fino a raggiungere il dato di 53 in Brasile). In queste aree lo stress si manifesta con maggiore frequenza. Ed è scientificamente provato che le mamme più stressate durante la gravidanza hanno più facilmente bambini allergici.

LA PREVENZIONE Gravidanza e svezzamento – assieme al più generale rapporto ricchezza/ambiente/disuguaglianza/boom – sono oggi al centro delle attenzioni degli esperti per gettare le basi di nuovi modelli di prevenzione (non solo per le allergie ma anche per numerose altre malattie non trasmissibili). Le nuove linee guida mondiali raccomandano la somministrazione di probiotici in gravidanza, durante l’allattamento e, al bambino, dopo la nascita, per ridurre il rischio di sviluppare le allergie. «Abituati come eravamo a tentare di prevenirle mediante la tardiva esposizione agli alimenti – spiega il responsabile di allergologia del Bambino Gesù, Alessandro Fiocchi – abbiamo invece scoperto che somministrandoli presto si proteggono i bambini dallo sviluppo di quella specifica allergia». © RIPRODUZIONE RISERVATA

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IEDUCHIAMO GIOCARE, DIVERTIRSI,

MA ANCHE RIFLETTERE NEGLI ORATORI ESTIVI DELLE DIOCESI LOMBARDE AL CENTRO DELL’ATTIVITÀ C’È L’ALIMENTAZIONE, MATERIALE E SPIRITUALE

L’ORATORIO estivo mette Tutti a tavola Educare ragazzi e ragazze a un uso corretto del cibo Guarda all’Expo il tema scelto quest’anno dalla «Fom» > Enrico Lenzi

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reparare un gioco è come cucinare un buon pranzo: se non ci sono gli ingredienti giusti, se non si rispettano i tempi di cottura, se non si usano gli strumenti corretti, il piatto viene male». Una metafora usata tutt’altro che a caso per preparare le migliaia di animatori che in queste settimane stanno dando vita agli oratori estivi dell’arcidicesi di Milano e anche delle altre diocesi lombarde. Infatti il tema scelto quest’anno per l’appuntamento estivo è "Tutti a tavola" con un preciso e chiaro riferimento all’Expo in corso a Milano. «Era una "provocazione" troppo grande per non coglierla – commenta don Tommaso Castiglioni, tra i responsabili del progetto della Fondazione oratori milanesi-Fom –, soprattutto per declinarla secondo due linee fondamentali: quella legata al cibo nella Bibbia e quella del cibo nella vita quotidiana dei nostri ragazzi e dei nostri bambini». Del resto la Fom ha sempre avuto grande attenzione al modo nel quale i giovani vivono e alle sollecitazioni che da esso prevengono. Già nell’edizione 2015 del Carnevale ambrosiano il tema del cibo aveva fatto da filo rosso con lo slogan «Pela, taglia, trita, cuoci». Il cibo, sottolineano dalla Fom, «è cosa seria e forse faremmo bene a ricordarcelo: la

cucina è fantasia, creatività, invenzione, arte, gioco e alchimia». Tutte caratteristiche che dovrebbero ritrovarsi in un animatore dell’oratorio estivo. Un messaggio, spiega Francesco Lostaffa della segreteria Fom, che nelle scorse settimane ha caratterizzato il percorso di avvicinamento all’appuntamento estivo, che coinvolge decine di migliaia di bambini dai 6 anni in su. «Abbiamo fatto corsi direttamente sul territorio, nelle parrocchie e anche quattro giornate full immersion a livello centrale – spiega Lostaffa –, ma per 600 animatori abbiamo previsto un vero e proprio corso di formazione a Capizzone, come ogni anno: tre giorni intensi per entrare nel cuore del tema proposto». Un corso base per imparare a essere animatori, con spunti che quest’anno hanno guardato lo slogan «tutti a tavola».

I GESTI QUOTIDIANI Il tema dell’Expo, spiega ancora don Castiglioni, «non può non farci ricordare le parole di Gesù quando afferma che "non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio". Ebbene quell’invito non sottolinea solo l’importanza della Parola, ma anche il fatto che l’uomo vive anche di pane. Per questo non possiamo non educare i nostri ragazzi a un corretto rapporto con il cibo». Un oratorio estivo tutto teso a parlare di nutrizione e di cibo (spirituale e materiale), anche nei ge-

sti quotidiani, come, ad esempio, apparecchiare la tavola. «Anche in questo caso – spiega Lostaffa – abbiamo invitato gli animatori a prestare grande attenzione al gesto di preparare la tavola, che ci deve richiamare al nostro sapere stare con noi stessi, allo stare con gli altri animatori e al rapporto con i bambini». E poi il gioco che, come raccontato all’inizio, «può essere considerato un piatto da cucinare e servire al meglio". Ma niente cibi o alimenti veri da usare nei giochi. «Anche così si educa al rispetto del cibo e a non sprecarlo» spiegano alla Fom. Un racconto che l’oratorio estivo 2015 affida a una famiglia di supereroi, protagonisti della storia che farà da filo conduttore alle cinque settimane di durata media del percorso: supereroi alla ricerca di una signora anziana scomparsa e nota nella sua comunità per saper fare la miglior torta del mondo. Una ricerca che porterà questa famiglia di personaggi eroici a incontrare tante persone e storie, con un finale tutto a sorpresa. Un "viaggio" che durerà in alcuni casi fino alla metà di luglio con l’obiettivo di educare migliaia di ragazzi e ragazze a un uso corretto del cibo, alla capacità di condivisione, all’attenzione contro lo spreco e al comprendere che accanto al cibo materiale, vi è anche quello spirituale rappresentato dalla Parola e dall’Eucaristia. Un percorso, a dire il vero, utile a grandi e piccoli.

IN BREVE MILANO

SICUREZZA ALIMENTARE UN CORSO GRATUITO

Fornire le competenze necessarie per la gestione dei rischi alimentari nelle filiere alimentari dal campo alla tavola. Ma anche approfondire gli aspetti fondamentali della legislazione comunitaria e internazionale in tema di food safety. Sono gli obiettivi del corso di perfezionamento sulla "Sicurezza degli alimenti", promosso dall’Università Cattolica e dall’Università degli Studi di Milano. Realizzato in collaborazione con il ministero dell’Agricoltura del Governo Italiano, è l’unico corso interamente finanziato dal Padiglione Italia di Expo Milano 2015 e offerto gratuitamente ai partecipanti con l’obiettivo di creare figure professionali qualificate. Il corso rientra le iniziative della nascente Scuola di alta formazione sulla food safety, realizzata grazie alla collaborazione tra Università Cattolica, Università degli Studi di Milano, ministero della Salute e istituzioni europee. CREMONA

CIBO SOSTENIBILE PER PROFESSIONISTI

Un programma di formazione executive sulla sicurezza alimentare e sulla sostenibilità nella food valley italiana.È quanto propone il Cremona Executive Education Program (Ceep) dell’Università Cattolica nell’ambito di Expo Milano 2015. Il programma cremonese è pensato per professionisti che abbiano uno specifico interesse verso le tematiche Expo: dalla produzione sostenibile di cibo alle pratiche innovative in agricoltura e zootecnia, dalla gestione del sistema agro-alimentare fino alla sicurezza alimentare, intesa sia come food safety, sia come food security. L’intento è offrire ai partecipanti l’opportunità di acquisire abilità e competenze avanzate in campi specifici, grazie al confronto con accademici ed esperti e attraverso visite guidate alle eccellenze produttive del Nord Italia.

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IEDUCHIAMO IL POEMA

Papa Francesco: «Il capolavoro del fidanzamento» «I promessi sposi» è il romanzo preferito da papa Francesco. Pare l’abbia letto cinque volte e di questo amore è facilmente intuibile la ragione: è il poema della misericordia e il Papa della misericordia non poteva non amarlo. Nella catechesi del 28 maggio scorso sono stati fugati gli ultimi dubbi sulla sfumatura manzoniana di questo pontificato, quando il Papa riflettendo sull’amore ha definito "I promessi sposi" il «capolavoro sul fidanzamento». Bergoglio ha così riscattato la bellezza di questo romanzo ricordandoci che i veri protagonisti del libro sono proprio loro, Renzo e Lucia, che spesso finiscono in secondo piano a causa della forza delle altre figure. E invece il cuore del romanzo sono loro due e il loro doloroso apprendistato.

Il pane dei PROMESSI SPOSI La polenta, le noci, lo stufato, ma soprattutto il pane e il vino: nel romanzo il cibo ricorre spesso, ma ha sempre anche una connotazione eucaristica > Alessandro Zaccuri

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ei Promessi Sposi il pane c’è e il cibo non manca. Ma non è mai soltanto pane, non è mai un nutrimento destinato esclusivamente alla materia. E questo perché il capolavoro di Alessandro Manzoni è un romanzo di impianto sacramentale, nel quale gioca un ruolo centrale la celebrazione del matrimonio nella forma liturgica codificata dal Concilio di Trento, a ridosso del quale la vicenda si svolge. Bastasse la storia d’amore, Renzo e Lucia vivrebbero già felici e contenti. Ma no, loro due vogliono essere marito e moglie davanti al Signore, e qui cominciano i guai, le complicazioni, «gl’imbrogli» di quella notte memorabile, alla vigilia della quale la «piccola polenta bigia, di gran saraceno» scodellata dal compare Tonio risplende come una luna in miniatura e intanto allude al miracolo – terrestre e celeste insieme – di ogni mensa condivisa.

PANE E PERDONO Non è a questo, in fondo, che servono le noci raccolte da fra Galdino? E non sta all’opposto di questo il messaggio che proviene dalla tavolata di potenti e prepotenti, don Rodrigo su tutti, davanti alla quale fra Cristoforo pronuncia il solenne "Verrà un giorno…"? Che il cibo nei Promessi Sposi comporti sempre, per analogia o per contrasto, una

connotazione eucaristica lo si comprende proprio grazie a lui, fra Cristoforo. Prendete il capitolo IV, quasi interamente occupato dal racconto della conversione dell’impetuoso Lodovico. La rissa per strada, le spade sguainate, il duello incrociato, i cadaveri che restano a terra. Uno è di Cristoforo, il servitore fedele di cui il giovane assassino prenderà il nome una volta entrato in convento. L’altro, quello che Lodovico stesso ha ucciso, è il nemico designato, che però nella morte diventa altro: una colpa da riscattare, una possibilità di redenzione. La scena, memorabile, va sotto l’insegna del «pane del perdono». Lodovico, ovvero fra Cristoforo, si presenta vestito di saio in casa del fratello della vittima, si prostra, ripete che darebbe volentieri il proprio sangue in riscatto di quello versato e ottiene, infine, un perdono nel quale neppure sperava. Di tutto questo è emblema – e, anzi, "vera presenza" – il pane che il religioso riceve prima del commiato. L’altro vorrebbe predisporre un’ospitalità più sontuosa, ma la richiesta di fra Cristoforo è di una limpidezza esemplare: «Io sto per mettermi in viaggio: si degni di farmi portare un pane, perché io possa dire d’aver goduto la sua carità, d’aver mangiato il suo pane, e avuto un segno del suo perdono». Chiaro che, a questo punto, la pagnotta non può essere servita se non «sur un piatto d’argento», come se la si offrisse all’altare. Analogia o contrasto, dicevamo. Nel corso della sua prima avventura milanese l’ingenuo Renzo si ritrova a con-

Quella tra Renzo e Lucia non è solo una storia d’amore: i protagonisti dei Promessi sposi vogliono essere marito e moglie davanti al Signore

templare strade attraversate da «strisce bianche e soffici, come di neve», che sono in realtà le tracce dei forni assaltati e depredati. Inizialmente convinto di essere capitato in un bengodi dove regna una "abbondanza" continuamente e perversamente invocata dalla folla, Renzo assiste semmai a una profanazione del pane che è, nello stesso tempo, profanazione dell’Eucarestia. Non diversamente alla sera, mentre trangugia il suo stufato all’Osteria della Luna Piena, si ubriaca di un vino che non corrisponde più in nulla alla bevanda eucaristica.

IL «SUGO» DELLA STORIA Un rovesciamento che toccherà il suo apice più avanti, quando finalmente Renzo riuscirà a ritornare al paese e scoprirà che la sua vigna è ridotta a una «marmaglia di piante», è ormai uno sterile «guazzabuglio di steli» dal quale è impossibile ricavare qualsiasi alimento. Nei Promessi Sposi il pane c’è, dunque, il cibo non manca e anche per il vino ci si riesce ad arrangiare. Di che cosa c’è bisogno, allora? Semplice: del "sugo di tutta la storia", adoperato da Manzoni per condire la conclusione del romanzo, che non a caso si svolge tra le mura di casa Tramaglino. Non si fa fatica a immaginare una pentola che bolle in un angolo, una tavola apparecchiata, un bambino che brontola per la fame. Di cibo, certo. Ma il cibo, ormai lo abbiamo imparato, non è solo quello che si mangia. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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> Nicoletta Martinelli

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a cosa vuoi assaggiare i fegatini che non li hai mai mangiati in vita tua... Mi mordo la lingua quando sento questo genere di frasi nel mio ristorante, quando vedo i genitori che frustrano la voglia dei figli di scoprire nuovi sapori, di sperimentare. L’educazione, a tavola, è anche questo. Provare, allargare gli orizzonti del gusto». Davide Oldani, chef stellato classe 1969, è cresciuto in una famiglia milanese, la mamma divisa tra il lavoro, la cura della famiglia e il bilancio da far quadrare, il padre sempre impegnato «ma quando lui si sedeva a tavola, io e mio fratello dovevamo arrivare come missili. Puntuali, tutti insieme, niente televisione accesa, ci si raccontava la giornata. E poi toccava a noi ragazzi sparecchiare e, spesso, lavare i piatti». E lo spreco non era consentito: «No. Solo una volta – racconta Oldani – ho chiesto una porzione più grande di quella che mi era stata servita. Era davvero esagerata ma sono stato costretto a finirla. Giustamente». Le regole a cui si ispira Oldani sono

OLDANI «Il vero chef non spreca» Lo chef Davide Oldani, formatosi alla scuola di Gualtiero Marchesi, è uno dei volti Ambassador per Expo Milano 2015

dettate da un sano buon senso ma anche il frutto di una vita sul campo: «Pensare prima di comperare – spiega – e pesare prima di cucinare». Lui le mette in pratica investendo in quel che la natura offre, tenendo conto delle stagioni per predisporre i suoi menu. E se questo vuol dire rinunciare alle pesche a dicembre e al melograno ad agosto i suoi clienti se ne fanno una ragione... Anche perché le eccentricità si pagano e quella di Oldani è una cucina pop. Non per necessità ma per scelta: «Se proponessi piatti a base di caviale e di aragosta non potrei permettermi di avere i prezzi che ho. Ma so di non far rimpiangere né l’uno né l’altra...». Nei suoi ristoranti i clienti tornano, i dipendenti non se ne vanno più. Poche, in questi anni, le persone che si sono licenziate e tutte perché la vita metteva loro davanti un’opportunità da prendere al volo: «Beh, non sono loro i dipendenti. Nel senso – chiarisce lo chef con la sua inflessione inconfondibilmente lombarda – che sono io a dipendere da loro. Se manca il lavapiatti io vado in tilt, ma se manco io il lavapiatti va avanti tranquillo come un papa...». © RIPRODUZIONE RISERVATA

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EDUCHIAMOI

UN POSTO A TAVOLA

Il brutto vizio di lasciare il cibo nel piatto > Renata Maderna

Prevenire i TUMORI con la giusta dieta Meno carni rosse, più frutta e verdura. Così scende il rischio > Luca Liverani

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a medicina contro il cancro? L’hanno già inventata e si vende al supermercato. Proprio così. Perché tre tumori su dieci sono causati da un’alimentazione sbagliata. Mentre i cibi "giusti" svolgono una funzione preventiva o addirittura – a quanto sta emergendo – curativa. Al di là delle semplificazioni, è indubbio che comportamenti alimentari corretti o sregolati influenzano in modo determinante l’insorgere o meno di carcinomi nelle persone che hanno una disposizione genetica latente. E il cibo può far scattare gli interruttori della malattia. All’Università Cattolica del sacro Cuore ci stanno lavorando da tempo. Conferme importanti sono emerse di recente alla IV Giornata per la Ricerca 2015, con il patrocinio di Expo2015, in cui sono sati presentati i risultati degli studi di ricercatori e medici della Facoltà di Medicina e chirurgia dell’ateneo e del Policlinico A. Gemelli. Il 30% dei tumori, dunque, è causato da diete sbagliate: quelle cioè che prevedono troppe carni rosse, poche verdure e poca frutta. Preoccupante il peso che la crisi sembra avere sulle abitudini alimentari di noi italiani: ai prodotti freschi della sana dieta mediterranea si preferiscono pietanze più economiche ma meno sane, pronte da infornare e infarcite di grassi e additivi, che aumentano il rischio di molte malattie, tra cui i tumori. Una squadra di ricercatori della Cattolica ad esempio è impegnata a identificare i cosiddetti "bersagli molecolari" degli acidi grassi omega3, quelli che troviamo in abbondanza nel prelibato salmone, o nel pesce azzurro, economico e sfizioso come le alici o gustoso come gli sgombri. Nutrienti che sembrano prevenire o addirittura rallentare la crescita di cancri insidiosi e pericolosi come quelli del colon o il melanoma della pelle. Ma c’è dell’altro, come spiega la professoressa Stefania Boccia, direttore della sezione di Igiene, Istituto di Sanità pubblica: «Studi

condotti presso i laboratori della Cattolica, in colIl 30% dei tumori laborazione con centri di ricerca internazionali, è causato da hanno messo in luce addirittura una riduzione del un’alimentazione 40% del rischio di tumore della bocca e della gosbagliata la per chi assume alimenti ricchi di vitamine del Le ricerche più gruppo B. Ovvero carciofi, lattuga, broccoli, leavanzate gumi. Ma anche carotenoidi, vale a dire carote, dell’Università peperoni e spinaci». Cos’è invece che aumenta il Cattolica rischio di questi tumori? Il fumo e l’alcool. Alimenti che fanno bene e alimenti che fanno male. Come i liquori (e le sigarette), anche il consumo di cibi grigliati aumenta il rischio di alcuni tumori, quelli dello stomaco e del fegato. Un barbecue ogni tanto va bene, ma senza esagerare. La solita storia della dieta "sana ma triste"? Non proprio. «Studi in LA PROFESSORESSA corso presso l’UniBOCCIA: «STUDI versità Cattolica – IN CORSO ALLA continua Boccia – C ATTOLICA VALUTANO stanno valutando L’EFFETTO PROTETTIVO l’effetto protettivo DI ALCUNI COMPOSTI di alcuni composti NATURALI, RICCHI naturali, ricchi di aDI AGENTI genti antiossidanti». ANTIOSSIDANTI» Ovvero tè, caffè, vino rosso e agrumi. Alimenti tutt’altro che mortificanti, molto utili nella dieta delle donne sottoposte a chemioterapia per il tumore al seno. Tanti buoni consigli, che però spesso restano lettera morta. «Un aspetto critico è come motivare i cittadini ad alimentarsi in maniera corretta», riconosce Stefania Boccia. La svolta può arrivare, per le persone che hanno avuto in famiglia casi di tumori e magari sono a rischio anche per obesità, dall’analisi del proprio genoma: «Lavori pubblicati di recente all’estero mostrano che, nel momento in cui un individuo scopre di essere più o meno predisposto allo sviluppo di una certa patologia, questo determina una modifica sostanziale nel cambiamento delle abitudini alimentari».

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a lotta allo spreco di cui tanto si sente discutere in questi giorni a Expo prima ancora che ai tavoli dei politici e degli economisti comincia a quello di casa. Purtroppo capita non di rado di osservare bambini e ragazzi che lasciano nei piatti grandi quantità di cibo senza che nessun adulto intervenga a dire che non è buona cosa. Anzi, di fronte al piccolo reuccio viziato si rincorrono talvolta mamme e nonne con continue proposte di «vuoi questo…» «ti preparo quello…» sperando di assecondare l’inappetente e convincerlo a mangiare. Ci sono bambini che mangiano solo yogurt di una certa marca e di un certo gusto e altri che pescano dal sacchetto solo i biscotti che non sono già rotti (come se poi nella bocca non si triturassero comunque…) e ci sono anche genitori che commentano affettuosamente «lui è così …» «è sempre stato così..», apparentemente disapprovando, ma nella realtà lasciando trapelare qualche orgoglio per il principino dai gusti nobili… Diciamolo ad alta voce: lasciare nei piatti è maleducazione! E se qualcuno, affascinato da vecchi, improbabili testi di bon ton, pensasse ancora che «faccia fine» perché si dimostra di non essere dei poveri affamati bisognosi di ripulire tutto si ricreda… Meglio educare i piccoli a servirsi solo di quel che si prevede di mangiare magari cominciando a pretendere che quel che c’è nel piatto vada consumato. Evitando di sprecare, un comportamento condannato da tutti ma purtroppo agito da tanti, se è vero che ogni famiglia italiana butta tra i 200 grammi e i 2 chilogrammi di alimenti ogni settimana e che ogni anno lo spreco domestico costa al nostro Paese più di 8 miliardi di euro... Ma le grandi battaglia cominciano dai piccoli gesti. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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INUTRIAMO LO SPIRITO

I VEGETARIANI della Bibbia La maggior parte degli israeliti aveva una dieta a base di legumi, verdure, riso Lo racconta un cuoco di Gerusalemme che ripropone i piatti del Libro sacro > Rolla Scolari

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viveri di Salomone per un giorno erano trenta kor di fior di farina e sessanta kor di farina comune, dieci buoi grassi, venti buoi da pascolo e cento pecore, senza contare i cervi, le gazzelle, le antilopi e i volatili da stia», è scritto nella Bibbia, nel primo libro dei Re (4:22,23), dove un kor sono circa 220 litri. Non tutti nei racconti biblici avevano accesso agli stessi alimenti e alle stesse quantità di cibo del grande re, ma nella Bibbia il nutrimento è uno dei temi più ricorrenti. Assume in moltissimi casi anche un significato simbolico, come nel verso scelto dal Padiglione della Santa Sede a Expo 2015: "Non di solo Pane". Legumi, melograni, fichi, miele, frutta, vitelli e capretti, pecore e buoi, ma soprattutto tanti cereali e pane sono alla base della dieta antica che emerge dai passi biblici. Spesso cereali o pietanze che nei millenni sono scomparsi o evoluti con le tecniche agricole.

RISTORANTE EUCALYPTUS Sotto le antiche mura della Città Santa di Gerusalemme, c’è un cuoco che da decenni, Sacre Scritture alla mano, serve ai clienti del suo ristorante, the Eucalyptus, soltanto piatti ispirati alla tradizione biblica. Lo chef israeliano Moshe Basson studia senza sosta le Scritture per riportare alla vita sapori di un antichissimo passato. In Israele, dice, durante le festività ebraiche di Shavuot – (sette) settimane – anche i cristiani celebrano il raccolto, in giugno. La primavera inizia subito dopo la Pasqua ebraica e quella cristiana, dopodiché passano sette settimane prima che il grano sia maturo. In medio oriente, però, spesso il grano è raccolto a metà di quel periodo, 33 giorni dopo, quando è già alto e tondo ma ancora verde. Si teme spesso che piogge inattese o siccità rovinino infatti il raccolto. Il grano verde è poi fatto tostare. Gli arabi chiamano il cereale così lavorato "freekeh". E, spiega Basson, è lo stesso grano tostato di cui parla la Bibbia, per esempio quando un giovane Davide porta il cibo ai fratelli sul campo. «Prendi su per i tuoi fratelli questa misura di grano tostato e questi dieci pani e portali in fretta ai tuoi fratelli nell’accampamento. Al capo di migliaia porterai invece queste dieci forme di cacio», gli disse il padre (Samuele 1, 17: 17,18). In medio oriente, il "freekeh" è ancora oggi una granaglia molto utilizzata, assieme al "burghul", il grano saraceno, per intenderci l’ingrediente principale del couscous nordafricano che, spiega entusiasta Basson, compare in un altro episodio biblico molto speciale. Quando Assalonne, terzo figlio di re Davide, si autoproclamò sovrano e si insediò a Gerusalemme, l’anziano padre scappò nel deserto.

RICETTE DI SANTITÀ

Beata Alessandrina, l'Eucaristia come unico cibo > Matteo Liut

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Lo chef israeliano Moshe Basson studia le Scritture per riportare alla vita sapori di un antichissimo passato

Due informatori leali a Davide – Gionata e Achimaaz – partirono per avvertirlo di un attacco imminente, ma accorgendosi d’essere seguiti si nascosero lungo il cammino a casa di un uomo, nella località di En Roghèl.

LE SETTE SPECIE La moglie li nascose nel pozzo e ricoprì l’apertura con una coperta su cui distese a essiccare del grano, del "burghul", appunto, usato ancora oggi da Basson e in tutto il medio oriente in cucina (Samuele 2 17:19). E nella vita di un altro personaggio legato a re Davide, la sua ava Rut, i cereali sono protagonisti. La moabita Rut torna a Betlemme proprio durante la stagione del raccolto e si mette subito a lavorare con le spigolatrici per potare a casa qualche manciata d’orzo. (Rut 1:22). «Paese di frumento, di orzo, di viti, di fichi e di melograni; paese di ulivi, di olio e di miele», è scritto nel Deuteronomio (8:8). Sono le "sette specie" del "buon paese", simbolo di fertilità e abbondanza. Non mancano però nelle Scritture ampi riferimenti a banchetti di carne, «sempre ben cotta e salata», per purificare, come nei sacrifici, spiega lo chef Basson. «Ma la maggior parte degli israeliti al tempo della Bibbia era vegetariana per forza. Soltanto i "cohanim", i sacerdoti di Gerusalemme, avevano una dieta quotidiana di carne: agnelli, pecore, buoi e pollame sono menzionati, anche se la carne per eccellenza in medio oriente è l’agnello. Se eri povero e avevi un agnello era come avere azioni Facebook o Google: non le vendi per andare a farti una pizza. La maggior parte dell’anno, gli abitanti del medio oriente mangiavano leguSOLTANTO I "COHANIM", mi, verdure e formaggio, riso I SACERDOTI DI mischiato con lenticchie e piGERUSALEMME, AVEVANO selli (Giacobbe comprò la priUNA DIETA QUOTIDIANA mogenitura con una zuppa di DI CARNE. SE ERI POVERO lenticchie rosse venduta al geE AVEVI UN AGNELLO mello Esaù, Genesi 25: 25-34): ERA COME AVERE AZIONI un pasto che ti dava le stesse FACEBOOK O GOOGLE: proteine contenute nella carne NON LE VENDI PER ANDARE che non volevano sprecare». © A FARTI UNA PIZZA

l cibo come via per la santità: quella lasciata dalla beata portoghese Alessandrina Maria da Costa è una testimonianza spirituale ma anche un invito a stili di vita improntati all’essenzialità. Per più di tredici anni, infatti, questa cooperatrice salesiana si cibò solo con l’Eucaristia: una scelta che si inserisce in un percorso di vita travagliato ma vissuto tutto alla luce del Vangelo. Nata il 30 marzo 1904 nella provincia di Oporto e nell’arcidiocesi di Braga, visse un’infanzia piena di vitalità ma a 12 anni fu colpita da una grave malattia che la segnò per sempre nel fisico. Nel 1918, poi, subì una tentata violenza sessuale, per fuggire dalla quale si gettò da una finestra a quattro metri da terra. Piano piano le conseguenze di quel gesto le resero sempre più difficile ogni movimento, fino ad arrivare nel 1925 alla paralisi, che la tenne a letto per 30 anni, fino alla morte, il 13 ottobre 1955. Un lungo periodo caratterizzato non solo dalla sofferenza, ma anche da una continua ricerca spirituale e da esperienze mistiche: vedeva nella sua condizione l’immagine di Cristo che, nell’Eucaristia, è chiuso e conservato nel tabernacolo. Di fronte al dolore, comunque, lei non si perse d’animo: con tenacia fece giungere al Papa la richiesta di consacrare tutto il mondo al Cuore Immacolato di Maria, cosa che avvenne nel 1942. In questo stesso anno Alessandrina cominciò a cibarsi solo dell’Eucaristia. Questo piccolo pezzo di pane consacrato divenne l’unico alimento che la sosteneva, l’unico in grado di dare energia anche alla sua vita spirituale, rendendola una vera guida e un punto di riferimento per i tanti che arrivavano da lei per ritrovare la speranza perduta. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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NOI EXPO giugno 2015

INUTRIAMO LO SPIRITO I 50MILA INVITATI IN PIAZZA DUOMO Cinquantamila persone. È la folla che la sera di lunedì 18 maggio si è raccolta in piazza Duomo per “Tutti siete invitati”, l’evento di arte, spettacolo, solidarietà e preghiera promosso da diocesi di Milano e Caritas Internationalis per l’esordio della Chiesa in Expo. Spazio a testimonianze e a performance di artisti – da Piera Degli Esposti a Giacomo Poretti, da Davide Van De Sfroos alla cantante libanese Tania Kassis con la sua sorprendente “Islamo–Chistian Ave”. Culmine della serata, l’adorazione eucaristica guidata dal cardinale Angelo Scola alla presenza del nuovo presidente e del presidente uscente di Caritas Internationalis, i cardinali Luis Antonio Tagle e Oscar Rodriguez Maradiaga.

Un INCONTRO tra teologia ed ecologia > Angelo Scola*

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ono in grado le religioni, come hanno potuto fare in altri campi in passato, di mobilitare energie che contribuiscano a una vera e propria conversione ecologica? Questo domanda una sorta di escatologia radicale, come afferma Latour, cioè un lungo e lento cambiamento che investe molti ambiti, riferito a una enorme quantità di dettagli e, soprattutto, dipendente da un’infinità di gesti che, ecco la cosa più ardua, chiedono un rovesciamento di mentalità a miliardi di persone. Le passioni religiose possono venire in soccorso alle deboli energie che oggi sembrano caratterizzare i numerosi conflitti ecologici? La domanda contiene un invito, neppure troppo implicito, a porre in modo radicalmente nuovo il rapporto eco-logia e teo-logia, per affrontare scopertamente i conflitti interni ai due mondi. Mi limito a un suggerimento di carattere generale. Non voglio entrare nel dibattito sulla nozione di natura, che quasi tutti, sia in campo scientifico che in campo teologico, danno ormai come spacciata e considerano responsabile di quasi tutti i mali che affliggono l’umanità. Personalmente sono invece dell’idea che, dal momento che sempre qualcosa si dà a qualcuno, un quid ultimo sia ineliminabile. E, fin da Aristotele, cos’era la phýsis se non questa molteplice, dinamica datità? Tuttavia è vero, e lo è in modo particolare per il cristianesimo, che in nessun modo si può parlare di natura se non in termini di creatura. Ed è proprio una adeguata riflessione sulla creazione ad aprire la via per ripensare il rapporto tra ecologia e teologia.

La creazione, infatti, mette in campo la relazione. E l’uomo postmoderno si trova posto di fronte a una bruciante alternativa. Passata l’epoca delle utopie, con il fitto buio che ha gettato sul secolo scorso, l’antropologia postmoderna assume un marcato carattere pascaliano. Ha l’andamento della pregnante scommessa intorno a un’alternativa radicale: l’uomo del terzo millennio vuol essere solo l’esperimento di sé stesso o vuol essere un ioin-relazione? L’antropologia, per essere adeguata, deve essere drammatica. Deve accettare che l’uno insuperabile in cui l’io consiste si dia sempre in modo duale. Sono uno, per questo posso dire io, ma sono sempre uno di due: uno di anima-corpo; uno di uomo-donna; uno di individuo-comunità, uno di uomo-cosmo. Pertanto l’alterità mi costituisce come dimensione interna all’io, che per questo non può esistere se non in relazione. È lo stesso carattere drammatico o polare dell’io a mostrarlo apertamente. Quindi il modo giusto di nominare l’io è io-in-relazione. L’intrecciarsi delle polarità costitutive rivela l’autentico rapporto di creazione, come la permanente amorosa relazione di Colui che chiama all’essere tutta la realtà (cfr. Rm 1,20) e continua ad accompagnarla. Secondo la tradizione «LE RELIGIONI POSSONO giudaica e quella criDIRE LA LORO IN MERITO ALLE stiana, Dio ha fatto delQUESTIONI AMBIENTALI QUANDO la relazione d’amore la SI ESPRIMONO IN SOGGETTI, ragione del suo comPERSONALI E COMUNITARI, promettersi con la faDISPONIBILI ALLA NARRAZIONE miglia umana lungo E IMPEGNATI A MOSTRARE LE tutta la storia. Egli, per RAGIONI VALIDE DI UN’ADEGUATA il popolo ebraico e per ESPERIENZA UMANA» i cristiani, è il Dio con «Abitare il mondo. La relazione tra l’uomo e il creato» è il nuovo libro del cardinale di Milano, Angelo Scola

noi, dove il noi mette in campo tutte le pola-

rità-relazioni costitutive cui abbiamo fatto cenno. La relazione, sempre polare, dell’io con sé stesso, con gli altri, con il cosmo, con Dio è la strada inevitabile per poter dire io in maniera umanamente soddisfacente. Come non vedere in questa prospettiva l’improcrastinabile compito di inscrivere la buona relazione con il creato nei cerchi intersecantesi delle altre relazioni costitutive? Questo suggerimento, me ne rendo conto, è troppo generale per non rischiare di essere ovvio. Tuttavia mi sembra in grado di mostrare il ponte che esiste tra ecologia e teologia. Ponte che anche le scienze più avvedute oggi stanno costruendo, avendo abbandonato una vulgata ecologista fondata su un mitico ritorno alla natura buona e innocente. È vano il grido di Baudelaire: «Pan è tornato!». Tanto meno si può dar credito ad Assmann quando parla di Mosè come l’egiziano. La via dell’incontro urgente e collaborativo tra ecologia e teologia è quella di continuare, con amore, la logica della creazione. Una logica a un tempo scientifica, religiosa e politica. Per questo è logica di giustizia e di sviluppo integrale dell’umanità. Le religioni possono dire la loro in merito alle questioni ambientali quando si esprimono in soggetti, personali e comunitari, disponibili alla narrazione e impegnati a mostrare le ragioni valide di un’adeguata esperienza umana. Le religioni infatti aprono all’universale concreto, perché consentono ad ogni singolo di fare spazio al desiderio infinito che lo abita, a cui nessuna natura potrà mai bastare. * Arcivescovo di Milano (testo tratto da «Abitare il mondo» - Emi) © RIPRODUZIONE RISERVATA

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IIN IMMAGINI Il 2014 in Italia è stato un vero e proprio annus horribilis per il settore. Il crollo della produzione del miele è stato in media del 50% con punte del 60 e un susseguirsi di episodi preoccupanti con un aumento di furti di arnie e interi apiari dalle Prealpi venete alla Toscana, dall’Appennino calabro alla Sicilia. Quella dell’apicoltura è un’eccellenza italiana con due primati importanti: abbiamo 30 varietà diverse di miele monoflora, cui si affiancano sette "millefiori", e siamo tra i più importanti allevatori di api regine. In uno studio del Wwf del 2012 sullo stato della biodiversità si rilevava come già tre anni fa fossero 176 le specie scomparse dal nostro Paese, mentre 791 sarebbero a rischio. All’Expo gli apicoltori presenteranno il loro progetto di tracciabilità che assegna un Codice QR ad ogni miele (consente di accedere con smartphone e tablet a schede multimediali di foto, video, notizie), grazie al quale il consumatore può conoscere il lavoro dell’apicoltore e i luoghi da cui provengono i nettari.

«Se le api scomparissero dalla terra, all’uomo non resterebbero che quattro anni di vita». Pare, anzi è sicuro, che Einstein non abbia mai pronunciato questa frase. Ma questo nulla toglie alla sua verità. Perché davvero, se le api mellifere scomparissero, con loro se ne andrebbero migliaia di specie vegetali con tanti saluti alla biodiversità del pianeta. 71 delle 100 colture più importanti a livello globale vengono impollinate dalle api e da altri insetti impollinatori come mosche, farfalla e bombi. Quasi il 35% della produzione di cibo a livello mondiale dipende dal lavoro di impollinazione.

> Antonio Sanfrancesco

Il futuro è nelle nostre API

La sindrome dello spopolamento degli alveari colpisce dal 2006 le api operaie e altre specie di insetti impollinatori che vivono negli Usa e in Europa. Le cause? Pesticidi, parassiti, perdita di habitat. Le ricerche puntano il dito contro tre tipi particolari di insetticidi che si definiscono neonicotinoidi. Questi vengono usati in agricoltura per la concia delle sementi di mais e di altre colture e agiscono sul sistema nervoso di insetti e parassiti.

Un viaggio nella vita di un’ape mellifera fuori e dentro il suo alveare. È l’esperienza che il padiglione del Regno Unito all’Expo fa vivere ai suoi visitatori. Il progetto è dell’artista Wolfgang Buttres. Un modo originale per declinare il tema dell’evento. Il percorso inizia tra 45 tipi di piante che crescono in periodi diversi durante Expo, ovviamente viste ad altezza d’ape. Poi si arriva all’alveare, costruito con 170.000 componenti, forme matematiche che riflettono quelle della natura.

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ICON NOI

LISA CASALI

CUCINARE CON GLI AVANZI E LE PARTI DEL CIBO SCARTATE, PER EVITARE SPRECHI E PROPORRE UNA DIETA SANA, EQUILIBRATA E SOSTENIBILE. È LA PASSIONE E LA SFIDA DI UNA GIOVANE APPASSIONATA DI CUCINA, SCRITTRICE, BLOGGER E CONDUTTRICE TELEVISIVA. «THE COOKING SHOW», A GIUGNO SU RAI3, SI REGISTRA ALL’EXPO

«Il piatto più buono è fatto di SCARTI» > Orsola Vetri

«L’idea? Mi è venuta pulendo i carciofi: di questo ortaggio si butta via una parte consistente»

LA

CHI È RIVOLUZIONE IN CUCINA

Lisa Casali è nata a Forlì nel 1977. Scrittrice, blogger e appassionata di cucina sostenibile si è laureata in scienze ambientali e si è poi trasferita a Milano dove ha frequentato un Master in Economia e Management Ambientale alla Bocconi. Collabora come esperta di cucina senza sprechi con riviste e quotidiani ed è autrice di libri di successo. La sua ultima fatica è «Tutto fa brodo. Dagli scarti alle scorte: la mia rivoluzione in cucina» (Mondadori)

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a K maiuscola è d’obbligo per «The cooKing show - Il mondo in un piatto» in onda dal 1 giugno alle 12.45 su Rai3. Una trasmissione di cucina che dal 10 maggio è anche una delle attrazioni di Expo: chi vuole può assistere alla registrazione che verrà poi montata e trasmessa in Tv. Per ogni puntata due grandi chef: uno italiano e uno straniero testimonial del proprio Paese. In coda la conduttrice, Lisa Casali, che in soli 5 minuti prepara una ricetta con avanzi e scarti dei piatti precedenti. Trasmettendo così quella che è la sua filosofia culinaria. Cosa ha cucinato durante le trasmissioni? Improvviso sempre. Una volta ho utilizzato le verdure stracotte del brodo (un porro, una cipolla e una carota), un avanzo di cotoletta di vitello. Ho insaporito e saltato tutto e ho servito su un letto di crema di fave avanzata. In un’altra puntata uno chef aveva usato solo le punte degli asparagi e io ho utilizzato i gambi, che sarebbero stati gettati, per un tortino a più strati. Avanzi e scarti, qual è la differenza? I primi mi interessano meno nella ricerca di nuovi piatti. Il loro utilizzo è già presente nella nostra cucina regionale. Preferisco utilizzare gli scarti. Come le è venuto in mente questo tipo di cucina? Da bambina amavo le verdure. Le raccoglievo nell’orto e cercavo di cucinarle per curiosità e per gioco. Da grande, laureata in scienze ambientali, mi è venuto spontaneo fondere la passione per il cibo, che avevo coltivato attraverso corsi professionali, con le mie competenze scientifiche. Ma l’idea di una cucina dedicata agli scarti mi è venuta pulendo i carciofi e rendendomi conto che di questo ortaggio si buttava via un parte davvero consistente rispetto a quella che si mangia. Mi si è aperto un mondo fatto di prodotti denigrati e parti meno nobili degli ortaggi. Un patrimonio incredibile nascosto in tutto quello che solitamente non consideriamo. La sua è una cucina tradizionale? I nostri nonni erano attenti ma non avevano gli strumenti e le urgenze di sostenibilità che ha il mondo di oggi. Per me è il momento di voltare pagina. Tutto quello che abbiamo imparato dalla tradizione va bene. Ma bisogna andare oltre. Mangiare più legumi e meno carne e dare più chance al mondo vegetale, scarti compresi. Si tratta di

un modo di cucinare e mangiare che parte dalle nostre radici, ma più moderno, responsabile e proiettato al futuro. Un esempio di una facile ricetta con gli scarti? I bacelli delle fave sono buonissimi si possono sbollentarli e poi stufare con olio e aglio e un po’ di vino bianco. Se aggiungiamo le tagliatelle è un piatto unico semplice ed economico. Per non parlare dell’acqua di cottura dei fagioli o dei ceci: basta montarla con una frusta per ottenere una spuma compatta e densa, come quella di un albume, con cui preparare una meringa o una fantastica maionese vegetale. Il suo ingrediente preferito? Sono un’amante dell’olio extravergine. Lo colleziono cercandolo in tutta Italia tra i piccoli produttori. È il tocco che trasforma completamente un piatto (verdure o minestre). Il nostro patrimonio di oli è sottovalutato. Ed è un peccato che le famiglie, quando fanno la spesa, si accontentino di sceglierlo in base al prezzo. Per una bottiglia di olio extravergine si può anche accettare di spendere 10-12 euro. Ma preferiamo spendere questa cifra per il vino che tra l’altro dura molto meno. Abitualmente frequenta i ristoranti? Ne esploro molti per tutta l’Italia e li recensisco dal punto di vista ambientale e del recupero alimentare. Se devo fare una critica: è scarsa la proposta vegetariana. Èd è ancora difficile trovare un buon secondo di verdure che non sia un semplice contorno. Cosa le è piaciuto di più tra le attrazioni dell’Expo? Sono qua tutti i giorni e mi capita spesso di andare in giro a esplorare i padiglioni. Il più efficace nel messaggio è quello della Svizzera. Spiega bene e in modo simpatico che le risorse del pianeta non sono infinite. Toccando un tasto che per noi italiani è davvero sensibile. Ha già visitato anche il padiglione della Santa Sede? Certo. E mi è sembrata un’idea bellissima, con un importante valore simbolico, il fatto di combinare un’opera d’arte storica come l’Ultima cena del Tintoretto alla moderna e lunga tavolata multimediale, il tutto con il filo conduttore della condivisione. Molto divertente per me è anche la collocazione vicino all’Olanda, che ha un padiglione molto ludico. Dà un’idea di Chiesa che sa stare in mezzo alla gente e si apre a tutti i visitatori. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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