Noi expo luglio

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LUGLIO 2015

LE BUONE PRATICHE PER RISPETTARE LA CASA COMUNE A pagina 9

LA CHIESA IN CAMPO PER DIFENDERE POPOLI E AMBIENTE Alle pagine 10 e 11

LA DIETA GIUSTA CONTRO I RISCHI DELL’OBESITÀ Liverani a pagina 29

VANGELO E CINEMA CON IL CIBO ANDIAMO A NOZZE Calvini a pagina 39

RILEGGIAMO L’ENCICLICA

LA BELLEZZA DEL MONDO CONTRO LE INGIUSTIZIE UNA PREGHIERA PER TUTTI Fulvio Scaglione

ella stupenda e sorprendente "Preghiera per la nostra terra", che papa Francesco ha posto in chiusura dell’enciclica "Laudato si’", s’incontrano tre affinché. È una congiunzione, direbbero i linguisti, che indica un fine, uno scopo. E in tutti e tre i casi, gli affinché della preghiera riguardano la bellezza del mondo. Che di volta in volta, e in crescendo, siamo chiamati a curare, proteggere e, infine, incrementare. Fino a "seminare bellezza", dice il Papa. Il messaggio è chiaro: ci è stato donato un mondo bellissimo. Abbiamo il dovere di non deturparlo e il compito di lasciarlo migliorato alle generazioni che verranno. Il terzo numero di Noi Expo si apre con un’articolata rilettura dell’enciclica, a cominciare dall’intervento dell’arcivescovo di Milano cardinale Scola, per compiere una ricognizione sugli esiti di quell’impegno. Storie e personaggi della prima linea, laici e religiosi dall’Italia all’America Latina all’Asia. Con una conclusione in comune: il vero nemico della bellezza del mondo non è lo smog ma l’ingiustizia. Quella che spinge i flussi dei migranti o anima la finanza che specula sul cibo, quella che emargina i giovani, i piccoli contadini, gli onesti produttori che resistono nelle zone a rischio. I dimenticati di questa terra, come scrive papa Francesco, così cari al cuore del «Dio dei poveri».

PUPI AVATI

CIBO E SALUTE

INCHIESTA

DIECI AZIONI

NOSTRA

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IL CARDINALE ANGELO SCOLA

DA PAPA FRANCESCO UNA CHIAMATA ALLA CONVERSIONE Commento a pagina 2 LA CHIESA SUI SOCIAL Condividi la tua esperienza al padiglione della Santa Sede o all'edicola della Caritas con @expoholysee e con @caritasinexpo #nondisolopane. Su Facebook: https://www.facebook.com/chiesainexpo

TERRA


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IDEEI NELLA LAUDATO SI’ L’INVITO A RICONOSCERE CHI SIAMO VERAMENTE

DA PAPA FRANCESCO UNA CHIAMATA ALLA CONVERSIONE Angelo Scola, arcivescovo di Milano

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uò sembrare paradossale ma, per parlare dell’ecologia, il Papa, con l’enciclica Laudato si’, ci chiama alla conversione: a riconoscere chi siamo veramente per capire in modo adeguato le circostanze storiche in cui la Provvidenza ci pone e aprire una strada alla nostra personale libertà e al bene della vita in comune. Non cogliere la chiamata alla conversione nell’enciclica ne precluderà inesorabilmente la recezione. Qual è questa verità di noi stessi che siamo chiamati a riconoscere? L’uomo è pienamente se stesso QUAL È LA RADICE UMANA DELLA solo se è in relaCRISI ECOLOGICA? SI TRATTA DI zione: con se SUPERARE IL PARADIGMA stesso, con gli alTECNOCRATICO DOMINANTE IN tri, con il creato e POLITICA E IN ECONOMIA. NON È con Dio. Sulla UNA CRITICA AL PROGRESSO scia di quanto TECNOLOGICO. UNO «SGUARDO proposto dai preINTEGRALE» PERCHÉ LA QUESTIONE decessori – FranAMBIENTALE TOCCA L’UOMO E LA cesco riprende SOCIETÀ, LO SPAZIO E IL TEMPO gli insegnamenti di san Giovanni XXIII, del beato Paolo VI, di san Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI (i riferimenti a questi ultimi due pontefici sono numerosi) – il Papa ha voluto offrirci un atto di magistero sociale, espressione della saggezza della fede cristiana, in merito a quella che, con insistenza, definisce ecologia integrale. Un insegnamento, il Suo, che non si rivolge solo ai cristiani, ma a «a tutta la famiglia umana nella ricerca di uno sviluppo sostenibile e integrale, poiché sappiamo che le cose possono cambiare». Conversione a un’ecologia

integrale: così potremmo sinteticamente esprimere l’insegnamento pontificio dell’enciclica Laudato si’. Inquinamento e mutazioni climatiche, questione dell’acqua, deterioramento della qualità della vita umana e degrado sociale, inequità planetaria, debolezza delle relazioni... Passando in rassegna questi argomenti, il Papa propone un approccio integrale, in grado di vedere sia il nesso oggettivo tra degrado ambientale, situazione dei poveri, cultura dello scarto e predominio della tecnocrazia, sia la responsabilità nei confronti delle prossime generazioni. Uno sguardo integrale, appunto, perché la questione ambientale tocca l’uomo e la società, lo spazio e il tempo. Infatti «un vero approccio ecologico diventa sempre un approccio sociale, chiamato ad integrare la giustizia con la salvaguardia dell’ambiente, per ascoltare tanto il grido della terra quanto il grido dei poveri». La descrizione del Papa non nasconde che «su molte questioni concrete la Chiesa non ha motivo di proporre una parola definitiva» e, nello stesso tempo, afferma che se, da una parte, «c’è un grande deterioramento della nostra casa comune», dall’altra «c’è sempre una vita d’uscita, possiamo sempre cambiare rotta». A favorire il cambiamento di rotta ci spingerà l’annuncio del Vangelo della creazione. A quanti accusano la fede cristiana di favorire un atteggiamento predatorio nei confronti del creato il Papa risponde che è proprio l’incomprensione della fede biblica nel Dio creatore a portare a un antropocentrismo esasperato. La fede infatti ci fa riconoscere che «noi

non siamo Dio. La terra ci precede e ci è stata data». Nello stesso tempo, la rivelazione ci ha permesso di demitizzare la natura e di riconoscere sia il valore di ogni essere creato (senza cedere a indebiti biocentrismi), sia la novità specifica dell’essere umano. La fede che da Dio Creatore ci conduce fino alla «ricapitolazione» finale di tutti e di tutto in Gesù Cristo Risorto apre il nostro sguardo a riconoscere la comunione universale con tutti gli esseri umani e con il creato. Essa trova la sua espressione paradigmatica nella destinazione comune dei beni. Qual è la radice umana della crisi ecologica? Si tratta di superare il paradigma tecnocratico, oggi dominante sia in politica sia in economia. Non si tratta, ovviamente, di una critica al progresso tecnologico: «Il problema fondamentale è un altro, ancora più profondo: il modo in cui di fatto l’umanità ha assunto la tecnologia e il suo sviluppo insieme ad un paradigma omogeneo e unidimensionale». Un paradigma non integrale, appunto. O, in altre parole, un paradigma che tende a ridurre tutto ciò che non sia l’io individuale a oggetto sottomesso al proprio dominio. In questo modo dilaga un riduzionismo individualista e un relativismo pratico, incapace di uno sguardo integrale sulla realtà, che porta a «perdere il senso della totalità, delle relazioni che esistono tra le cose, dell’orizzonte ampio, senso che diventa irrilevante». Per questo Papa Francesco, in continuità con l’insistenza di Benedetto XVI sulla necessità di allargare la ragione, invita ad «allargare nuovamente lo sguardo». © RIPRODUZIONE RISERVATA

DIBATTITO ALL’EXPO SULL’ENCICLICA SCIENZA, LA SFIDA DELLA RESPONSABILITÀ Un documento che riporta a unità il pensiero ecologico, sfidando la frammentazione dell’umano provocata dal dominio delle tecnoscienze e della finanza. È l’enciclica di papa Francesco Laudato si’ nelle parole del cardinale Angelo Scola, intervenuto il 30 giugno in Expo a un incontro moderato da Enrico Mentana del Tg La7. «Chiave di volta» dell’enciclica con la sua proposta di una «ecologia integrale» è la «responsabilità», ha detto il rettore della Cattolica Franco Anelli. «Responsabilità verso il bene comune che interpella la scienza», ha sottolineato Pier Sandro Cocconcelli, biologo della Cattolica, direttore di Expolab, ma anche l’economia e la finanza, come ha riconosciuto Carlo Fratta Pasini, presidente del Banco Popolare. Ed è documento ricco di implicazioni bioetiche, ha sottolineato Laura Palazzani, docente di biogiuridica alla Lumsa. (L.Ros.)

NOIEXPO Supplemento di

Avvenire Nuova Editoriale Italiana SpA Piazza Carbonari, 3 20125 Milano - Tel. 02.67801

Coordinamento Redazionale Massimo Calvi

del mese di Luglio 2015

Direttore Responsabile Marco Tarquinio

Coordinamento Redazionale Fulvio Scaglione

Realizzato in collaborazione con Famiglia Cristiana

Progetto Grafico Angelo Fiombo Antonio Talarico Registrazione Tribunale di Milano n. 227 del 20/06/1968

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IIDEE

L’INVITO DEL PAPA

ALLA FINE DELL’ENCICLICA LAUDATO SI’ PAPA FRANCESCO PROPONE DUE PREGHIERE: «UNA CHE POSSIAMO CONDIVIDERE TUTTI QUANTI CREDIAMO IN UN DIO CREATORE ONNIPOTENTE, E UN’ALTRA AFFINCHÉ NOI CRISTIANI SAPPIAMO ASSUMERE GLI IMPEGNI VERSO IL CREATO CHE IL VANGELO DI GESÙ CI PROPONE»

Prendiamoci CURA di questo mondo Preghiera cristiana con il creato

Preghiera per la nostra terra

Ti lodiamo, Padre, con tutte le tue creature, che sono uscite dalla tua mano potente. Sono tue, e sono colme della tua presenza e della tua tenerezza. Laudato si’!

Dio Onnipotente, che sei presente in tutto l’universo e nella più piccola delle tue creature, Tu che circondi con la tua tenerezza tutto quanto esiste, riversa in noi la forza del tuo amore affinché ci prendiamo cura della vita e della bellezza. Inondaci di pace, perché viviamo come fratelli e sorelle senza nuocere a nessuno. O Dio dei poveri, aiutaci a riscattare gli abbandonati e i dimenticati di questa terra che tanto valgono ai tuoi occhi. Risana la nostra vita, affinché proteggiamo il mondo e non lo deprediamo, affinché seminiamo bellezza e non inquinamento e distruzione.

Figlio di Dio, Gesù, da te sono state create tutte le cose. Hai preso forma nel seno materno di Maria, ti sei fatto parte di questa terra, e hai guardato questo mondo con occhi umani. Oggi sei vivo in ogni creatura con la tua gloria di risorto. Laudato si’! Spirito Santo, che con la tua luce orienti questo mondo verso l’amore del Padre e accompagni il gemito della creazione, tu pure vivi nei nostri cuori per spingerci al bene. Laudato si’! Signore Dio, Uno e Trino, comunità stupenda di amore infinito, insegnaci a contemplarti nella bellezza dell’universo, dove tutto ci parla di te. Risveglia la nostra lode e la nostra gratitudine per ogni essere che hai creato. Donaci la grazia di sentirci intimamente uniti con tutto ciò che esiste. Dio d’amore, mostraci il nostro posto in questo mondo come strumenti del tuo affetto per tutti gli esseri di questa terra, perché nemmeno uno di essi è dimenticato da te. Illumina i padroni del potere e del denaro perché non cadano nel peccato dell’indifferenza, amino il bene comune, promuovano i deboli, e abbiano cura di questo mondo che abitiamo. I poveri e la terra stanno gridando: Signore, prendi noi col tuo potere e la tua luce, per proteggere ogni vita, per preparare un futuro migliore, affinché venga il tuo Regno di giustizia, di pace, di amore e di bellezza.

Tocca i cuori di quanti cercano solo vantaggi a spese dei poveri e della terra. Insegnaci a scoprire il valore di ogni cosa, a contemplare con stupore, a riconoscere che siamo profondamente uniti con tutte le creature nel nostro cammino verso la tua luce infinita. Grazie perché sei con noi tutti i giorni. Sostienici, per favore, nella nostra lotta per la giustizia, l’amore e la pace.

«O Dio dei poveri, aiutaci a riscattare gli abbandonati e i dimenticati di questa terra»

Laudato si’! Amen EXPO2015MILANOEXPO2015MILANOEXPO2015MILANOEXPO2015MILANOEXPO2015MILANOEXPO2015MILANOEXPO2015MILANOEXPO2015MILANOEXPO2015MILANOEXPO2015MILANOEXPO2015


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CUSTODIAMOI

LEGGERE L’ENCICLICA

LA CURA DELLA CASA

COMUNE È UNA SFIDA URGENTE, E PASSA DALLA NECESSITÀ DI UNIRE TUTTA LA FAMIGLIA UMANA NELLA RICERCA DI UNO SVILUPPO SOSTENIBILE E INTEGRALE. COSÌ LO SGUARDO "ECOLOGICO" DI FRANCESCO DIVENTA INVITO ALLA CONDIVISIONE E ALL’ATTENZIONE VERSO I POVERI

per fare pace

La dignità di CONDIVIDERE amare nella logica di Dio > Alberto Chiara

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ella Laudato si’ gli esempi concreti sono più d’uno. «L’educazione alla responsabilità ambientale – si legge ad esempio al numero 211 – può incoraggiare vari comportamenti che hanno un’incidenza diretta e importante nella cura per l’ambiente, come evitare l’uso di materiale plastico o di carta, ridurre il consumo di acqua, differenziare i rifiuti, cucinare solo quanto ragionevolmente si potrà mangiare, trattare con cura gli altri esseri viventi, utilizzare il trasporto pubblico o condividere un medesimo veicolo tra varie persone, piantare alberi, spegnere le luci inutili». Condividere è un imperativo evangelico. È il respiro della prima Chiesa apostolica. È l’orizzonte indicato dai Padri della Chiesa. Ed è una parola chiave dell’enciclica. «Fa parte – spiega il Papa – di una creatività generosa e dignitosa, che mostra il meglio dell’essere umano»; è «un atto di amore che esprime la nostra dignità». Non è solo patrimonio cattolico. Il verbo condividere, infatti, è porta d’accesso della Laudato si’, laddove – novità assoluta – al numero 9 il Pontefice fa proprie le parole del patriarca ecumenico di Costantinopoli: «Bartolomeo ha richiamato l’attenzione sulle radici etiche e spirituali dei problemi ambientali, che ci invitano a

cercare soluzioni non solo nella tecnica, ma anche in un cambiamento dell’essere umano, perché altrimenti affronteremmo soltanto i sintomi. Ci ha proposto di passare dal consumo al sacrificio, dall’avidità alla generosità, dallo spreco alla capacità di condividere, in un’ascesi che "significa imparare a dare, e non semplicemente a rinunciare. È un modo di amare"». Francesco ha più volte richiamato nella sua predicazione l’esigenza di condividere. In particolare ne ha parlato il 3 agosto 2014. Una domenica. Commentando all’Angelus il Vangelo della moltiplicazione dei pani e dei pesci, papa Francesco ha invitato a «confrontare la reazione dei discepoli, di fronte alla gente stanca e affamata, con quella di Gesù». «Sono diverse», ha osservato Jorge Mario Bergoglio. «I discepoli pensano che sia meglio congedarla. Gesù invece dice: date loro voi stessi da mangiare. I discepoli ragionano secondo il mondo, per cui ciascuno deve pensare a sé stesso. Gesù ragiona secondo la logica di Dio, che è quella della condivisione». Nella Laudato si’, il concetto viene ripreso e declinato a più riprese, con dovizia di dettagli. È feconda radice per l’«ecologia integrale», complesso intreccio di tutela dell’ambiente, difesa dei diritti dell’uomo, giustizia, buona politica, economia riformata, finanza umanizzata. © RIPRODUZIONE RISERVATA

Prendersi cura dell’ambiente come un Perché sono i POVERI a pagare il costo > Annachiara Valle

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overi e degrado ambientale: due facce della stessa medaglia, due termini che si alimentano a vicenda. Lo dice chiaramente papa Francesco nella Laudato si’. Citando l’episcopato bolivariano Bergoglio scrive che «Tanto l’esperienza comune della vita ordinaria quanto la ricerca scientifica dimostrano che gli effetti più gravi di tutte le aggressioni ambientali li subisce la gente più povera ». E continua scendendo nel concreto: «Per esempio, l’esaurimento delle riserve ittiche penalizza specialmente coloro che vivono della pesca artigianale e non hanno come sostituirla, l’inquinamento dell’acqua colpisce in particolare i più poveri che non hanno la pos-

sibilità di comprare acqua imbottigliata, e l’innalzamento del livello del mare colpisce principalmente le popolazioni costiere impoverite che non hanno dove trasferirsi». Impossibilità di accedere all’acqua, scarsità di cibo e di igiene, precarietà di abitazioni, sovraffollamento. Non sorprende dunque che, quando c’è qualche catastrofe naturale siano proprio le persone meno attrezzate e che vivono in stato di fragilità a riportare le conseguenze più gravi. «Non ci sono due crisi separate», ci avverte papa Francesco, «una ambientale e un’altra sociale, bensì una sola e complessa crisi socio-ambientale. Le direttrici per la soluzione richiedono un approccio integrale per combattere la povertà, per restituire la dignità agli esclusi e nello stesso tempo per prendersi cura della natura».

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ICUSTODIAMO

lo stile di vita con madre Terra

atto di solidarietà dei danni ecologici Politica ed economia devono smetterla di incolparsi a vicenda, l’una in cerca del potere e l’altra del profitto e dare una mano per il bene comune. Per aiutare i poveri che non hanno conoscenze tecniche e mezzi economici a ridurre l’impatto ambientale dei propri comportamenti. Ad aiutare a «integrare i quartieri disagiati in una città accogliente», a non «corrompere i comportamenti» di Paesi impoveriti dove però si coltiva droga, a valutare le conseguenze dei comportamenti dei Paesi ricchi su quelli in via di sviluppo e, all’interno dei Paesi più poveri, a differenziare le responsabilità. E per i «poveri», citati nell’enciclica 47 volte, il Papa torna a chiedere lavoro. Per consentire loro una vita degna, in cui non sia il dio denaro a dettare legge. «Rinunciare ad investire sulle persone per ottenere un maggior

profitto immediato è un pessimo affare per la società», ci ricorda l’enciclica. Che rimette al centro il lavoro dei piccoli agricoltori, i sistemi alimentari di piccola scala che continuano «a nutrire la maggior parte della popolazione mondiale, utilizzando una porzione ridotta del territorio e dell’acqua e producendo meno rifiuti, sia in piccoli appezzamenti agricoli e orti, sia nella caccia e nella raccolta di prodotti boschivi, sia nella pesca artigianale». Le economie di scala, specialmente nel settore agricolo, finiscono per costringere i piccoli agricoltori a vendere le loro terre o ad abbandonare le loro coltivazioni tradizionali». Con danni all’ambiente e all’uomo. Un costo che sopportano sempre di più i poveri e le future generazioni. © RIPRODUZIONE RISERVATA

ECOLOGIA INTEGRALE vera chiave dell’enciclica > Mimmo Muolo

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ettiamola così. Se in cucina ci fosse un incendio o in bagno un allagamento, potremmo starcene tranquilli a vedere la tivù in soggiorno o a dormire in camera da letto? E allora perché quando quella casa si chiama Terra, facciamo finta di niente di fronte a cambiamenti climatici, inondazioni, siccità, deforestazione, scioglimento dei ghiacci polari, che alla fine diventano cause scatenanti di povertà, malattie, migrazioni, guerre, anche se abitiamo nella parte "fortunata" del pianeta? Ecco, se si vuole capire fino in fondo l’enciclica sociale di Francesco, bisogna partire proprio da qui. Cioè dalla molla che lo ha spinto a scrivere la Laudato si’. «Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra madre Terra». Il documento, infatti, va dritto allo scopo: «Questa sorella protesta per il male che le provochiamo, a causa dell’uso irresponsabile e dell’abuso dei beni che Dio ha posto in lei. Siamo cresciuti pensando che eravamo suoi proprietari e dominatori, autorizzati a saccheggiarla». E invece dobbiamo cambiare registro, scrive il Papa. Perché custodendo il creato custodiamo noi stessi. Come del resto aveva intuito san Francesco d’Assisi, dal quale non a caso Bergoglio ha tratto il titolo di questa enciclica, e non solo. Il testo è complesso e articolato, ma possiede una precisa chiave di lettura nel concetto di «ecologia integrale». Un’autentica novità nel magistero di Bergoglio. «Quando parliamo di "ambiente" – scrive il Papa – facciamo riferimento anche a una particolare relazione: quella tra la natura e la società che la abita. Siamo inclusi in essa, siamo parte di essa e ne siamo compenetrati». In sostanza Francesco ricorda a tutti che ogni elemento nel mondo è intimamente connesso e che la difesa degli ecosistemi e

della biodiversità, la conservazione delle specie non saranno mai realmente efficaci se disgiunte da questioni apparentemente distanti come la politica e l’economia, le migrazioni, l’urbanistica e le relazioni sociali. Perfino la cultura e i comportamenti individuali rientrano in questa globalizzazione ecologica, come è scritto a chiare lettere nell’enciclica. Il passo avanti rispetto al passato è evidente. Ai suoi albori il movimento ecologico sorse per contrastare soprattutto singole derive inquinanti: il Ddt e la diossina ad esempio. Poi una prima evoluzione portò a comprendere che l’azione doveva essere più sistemica: fiumi, laghi, mari, la stessa aria che respiriamo, sporcati dagli scarichi industriali; oppure la battaglia contro il nucleare e i relativi rischi (Chernobyl insegna). Una visione ancora parziale del problema che spesso portava a considerare la protezione dell’ambiente più importante di quella dell’uomo, considerato anzi come un nemico. In questo panorama è stato Paolo VI a introdurre la nozione di «ecologia umana», poi ripresa anche da san Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, e a ricordare che un ambientalismo a senso unico, sarebbe certamente incompleto, inefficace e forse anche dannoso. Ora papa Francesco in un certo senso chiude il cerchio. La "sua" ecologia integrale non solo ricomprende salvaguardia del creato ed ecologia umana, ma va oltre, mettendo in luce le diverse interazioni tra scienze esatte, politica, economia, cultura, organizzazione sociale e in definitiva visione antropologica. Scelte economiche sbagliate danneggiano anche l’ambiente. E quando l’ambiente si deteriora, cresce anche la povertà. Non ascoltare la voce del Papa è come restare a dormire in camera, quando in cucina è scoppiato un incendio. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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CUSTODIAMOI

La rapina delle terre che spinge a migrare

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etteralmente "accaparramento delle terre", il "land grabbing" è una nuova forma di subdolo neocolonialismo che, di fatto, altro non è che una vera e propria "rapina delle terre". Un fenomeno iniziato 15 anni fa e che ha raggiunto dimensioni inquietanti. Recenti dati parlano di oltre cento milioni di ettari rapinati (l’Italia ha una superficie di circa 31 milioni di ettari), ma si tratta di sottostime perché di molte acquisizioni non è nota l’esatta estensione. Di queste, il 70% è nell’Africa subsahariana, il resto nel Sudest asiatico e in America latina. Ma chi sono i "proprietari" di questi territori? Si tratta di industrie agroalimentari, fondi sovrani, governi e speculatori privati (americani, europei, cinesi, ecc.) con la complicità dei governi dei Paesi "rapinati" a fronte di veri e propri assalti a villaggi rasi al suolo, con tanto di deportazione degli abitanti. Molti di loro sono i disperati migranti che ogni giorno giungono sulle nostre coste. Massimo Iondini © RIPRODUZIONE RISERVATA

IL MONDO CHE SOFFRE

L’occasione persa con la crisi finanziaria

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n questi anni tra Europa e Stati Uniti gli Stati hanno messo a disposizione oltre 6mila miliardi di euro in capitali e garanzie per salvare il sistema bancario. Eppure, nonostante le strategie speculative sconsiderate delle banche siano state all’origine della crisi finanziaria del 2007-2008, una volta che la situazione si è stabilizzata i governi hanno fatto poco per impedire che i giganti della finanza possano creare nuovi danni. La crisi, ricorda Francesco, «era l’occasione per sviluppare una nuova economia più attenta ai principi etici, e per una nuova regolamentazione dell’attività finanziaria speculativa e della ricchezza virtuale». Ma la stretta regolatoria, soprattutto in Europa, ha interessato i coefficienti patrimoniali, cioè il rapporto tra i fondi che una banca può "rischiare" e il suo capitale di partenza, mentre pochissimi passi avanti sono stati fatti sulla separazione dell’attività di banca tradizionale da quella speculativa. Pietro Saccò © RIPRODUZIONE RISERVATA

IL CLIMA CHE CAMBIA E COSTRINGE INTERE POPOLAZIONI AD EMIGRARE, L’ACQUA CONTESA CHE DIVENTA RAGIONE DI CONFLITTO, LA

SPECULAZIONE SUI PREZZI CHE AFFAMA INTERI PAESI. SONO DI TIPO AMBIENTALE, MA INEVITABILMENTE ANCHE SOCIALE E UMANO LE PIAGHE CHE RENDONO IL PIANETA PIÙ FRAGILE E MENO OSPITALE, METTENDO A RISCHIO LA PACE E LA CONVIVENZA TRA I POPOLI

Se il pianeta viene ridotto a deposito di immondizia

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a Terra, nostra casa, sembra trasformarsi sempre più in un immenso deposito di immondizia». Le parole del Papa sono confermate dai dati. Oggi nel Mondo vengono prodotte ogni anno circa 4 miliardi di tonnellate di rifiuti. Metà sono rifiuti urbani, mentre l’altra metà sono rifiuti speciali, provenienti da attività industriali e produttive. Nel giro dei prossimi 10-15 anni si potrebbe arrivare a un aumento del 50%; quindi oltre 6 miliardi di tonnellate. La situazione appare del tutto preoccupante, soprattutto alla luce del fatto che circa la metà della popolazione mondiale (3,5 miliardi di persone), non ha accesso ai più elementari servizi di gestione rifiuti. Così montagne di scarti vengono abbandonate soprattutto nelle periferie delle metropoli di Terzo Mondo, già colpite da altri gravi inquinamenti, come lo smog e quello delle acqua per gravi carenze nei sistemi di depurazione. A.M.M. © RIPRODUZIONE RISERVATA

Le colpe dei potenti su gas serra e CO2

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uesto secolo potrebbe essere testimone di cambiamenti climatici inauditi». Un rischio che il Papa lega al forte aumento della concentrazione di gas serra nell’atmosfera, in particolare l’anidride carbonica (CO2) che contribuiscono all’aumento della temperatura. Fino all’inizio della rivoluzione industriale la concentrazione della CO2 era di 280 parti per milione, per giungere oggi a circa 400 ppm, con un incremento del 35% fino agli anni ’60 e di un ulteriore 20% negli ultimi cinquanta anni. Col Protocollo di Kyoto del 1997 i 180 Paesi firmatari si erano impegnati a ridurre le emissioni di CO2 per mantenere la concentrazione al di sotto dei 450 ppm, impegno non rispettato. Così si rischia di superare questo livello d’allarme nel 2030. Fondamentale sarà la prossima Conferenza sul clima a Parigi. «La riduzione dei gas serra - scrive il Papa - richiede onestà, coraggio e responsabilità, soprattutto da parte dei Paesi più potenti e inquinanti». A.M.M. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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ICUSTODIAMO

Animali e vegetali Biodiversità a rischio

Gli spostamenti causati dal degrado del clima

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l Papa dedica alla "perdita di biodiversità" un intero capitolo e scrive: «Ogni anno scompaiono migliaia di specie vegetali e animali che non potremo più conoscere, che i nostri figli non potranno vedere, perse per sempre». Fino a oggi sono state descritte oltre 1 milione e 700mila specie, tra vegetali e animali, ma in realtà si ipotizza che ne possano esistere oltre 12 milioni. Ma, come avverte l’enciclica, molte scompaiono prima di essere conosciute. Alcune per naturale evoluzione, altre per responsabilità umana. Il tasso complessivo di estinzione delle specie viene oggi stimata da 10 a 1.000 volte superiore al tasso di estinzione naturale. Dal 1970 al 2008 le popolazioni di vertebrati siano in media diminuite di un terzo e si evidenzia come i crescenti tassi di estinzione delle specie descritte e delle specifiche popolazioni di queste siano indiscutibilmente legate alla pressione esercitata dalle moderne attività umane. A.M.M.

l degrado ambientale, ma anche la desertificazione, le inondazioni e il clima estremo causano ogni anno lo spostamento di centinaia di migliaia di persone verso ambienti più ospitali. Una massa di individui in movimento che, ricorda il Papa nell’enciclica, non sono riconosciuti come rifugiati dalle convenzioni internazionali e «portano il peso della propria vita abbandonata senza alcuna tutela normativa». Secondo l’Organizzazione internazionale per le migrazioni, nel 2008 erano 20 milioni le persone sfollate in seguito ad eventi meteorologici estremi. Ma tra il 2010 e il 2011 l’Asian Development Bank già parlava di 42 milioni di persone. Oltre all’aumento della temperatura e al cambiamento delle precipitazioni, in futuro avremo a che fare con eventi estremi sempre più frequenti, come caldo intenso, siccità, inondazioni dovute all’aumento del livello dei mari. Con implicazioni sulle colture, sulla salute e sulla crescita economica. Paolo M. Alfieri

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Le tante FERITE della casa comune Acqua risorsa limitata No a sprechi e guerre

Oceani inquinati e sfruttati A rischio il 71% del pianeta

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acqua potabile è una risorsa limitata, ricorda il Papa nell’enciclica, notando al tempo stesso che «si riscontra uno spreco di acqua» sia nei Paesi sviluppati che in quelli in via di sviluppo. Di tutta l’acqua presente sulla terra il 97,5 per cento è salata mentre del restante 2,5 per cento soltanto l’1 per cento cade sotto la definizione internazionale di "potabile". Inoltre, se durante lo scorso secolo la popolazione mondiale è cresciuta di 3,8 volte arrivando ai quasi sette miliardi di oggi, nello stesso periodo l’utilizzo pro capite di acqua non salata è cresciuto di ben nove volte: più del doppio. I bacini idrici transfrontalieri rappresentano il 40% delle risorse idriche mondiali: è spesso in questi contesti che nascono le "guerre dell’acqua". Entro il 2025 il fabbisogno di acqua aumenterà di oltre il 50%: tra i più colpiti ci saranno gli agricoltori dei Paesi a basso reddito, lì dove i raccolti dipendono molto di più da sistemi di irrigazione ad alto consumo d’acqua. (P.M.Al.)

cidificazione, pesca eccessiva, inquinamento: le minacce agli oceani, che rappresentano il 71 per cento del pianeta Terra, richiedono l’attenzione di governi, istituzioni e cittadini. L’attuale sistema di governance degli oceani non è efficace. «Benché vi siano state diverse convenzioni internazionali e regionali, la frammentazione e l’assenza di severi meccanismi di regolamentazione, controllo e sanzione finiscono con il minare tutti gli sforzi», sottolinea il Papa. Un quarto della CO2 presente nell’atmosfera va a finire negli oceani, trasformandosi in acido carbonico, con un aumento dell’acidità delle acque e gravi conseguenze per gli ecosistemi marini. La pesca incontrollata ha provocato la crescita delle specie più piccole, a fronte della decimazione dei grossi predatori, come squali, merluzzi e tonni. Secondo la University of British Columbia, negli ultimi 120 anni i grandi predatori si sono ridotti di due terzi e ciò è accaduto principalmente negli ultimi quarant’anni. (P.M.Al.)

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NOI EXPO luglio 2015

ICUSTODIAMO

Se la plastica uccide 100mila vite in mare

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a plastica è una grande scoperta che ha migliorato la qualità della vita, fino a diventare però una delle prime cause di inquinamento del pianeta. Dal 1950 a oggi la produzione mondiale è passata da un milione e mezzo a 245 milioni di tonnellate annue, ponendo sfide soprattutto per quanto riguarda lo smaltimento dei rifiuti non biodegradabili. Secondo l’Agenzia per l’ambiente dell’Onu (Unep) circa 100.000 mammiferi marini, un numero consistente di tartarughe e un milione di uccelli marini rimangono uccisi ogni anno dalla plastica, per ingestione o intrappolamento. (Al.Bon)

CAMBIARE IL MONDO

La carta riciclata inquina 95% meno

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Dalla doccia all’auto Non sprecare acqua

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er ottenere una tonnellata di carta nuova servono infatti 15 alberi, 440mila litri d’acqua e 7.600 Kwh di energia elettrica. La produzione di carta riciclata invece, oltre a risparmiare la vita agli alberi, richiede il 60% in meno di energia e l’80% in meno d’acqua rispetto alla carta vergine, e genera il 95% in meno di inquinamento atmosferico. Inoltre è possibile utilizzare carta certificata (come fa Avvenire), con i marchi internazionali che garantiscono la gestione responsabile delle foreste secondo standard ambientali, sociali ed economici. (Al. Bon.)

egli ultimi decenni i consumi mondiali di acqua sono aumentati di quasi dieci volte: il 70% è impiegata per l’uso agricolo, il 20% per l’industria, il 10% per usi domestici. Nei Paesi occidentali una persona utilizza 162 litri al giorno, di cui 80 per l’igiene personale e 24 per la nutrizione, quando secondo diversi studi ne basterebbero 50. Nell’utilizzo di lavatrici e lavastoviglie basterebbe prediligere il ciclo ecologico o quello breve. Lavare l’auto con un secchio d’acqua fa risparmiare 130 litri. Mentre fare la doccia invece del bagno significa un altro risparmio di 50 litri a volta. (P.M.Al.)

Dieci AZIONI responsabili

Con la differenziata si crea anche lavoro

Dall’uso dei condizionatori al riciclo dei rifiuti, dal trasporto condiviso al rispetto per gli animali. I «consigli» dell’enciclica

Senza sprechi di cibo sfamati in 44 milioni

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Curando gli animali si tutela il pianeta

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na volta si buttava tutto insieme, senza pensarci troppo. Oggi fare raccolta differenziata è un comportamento virtuoso e anche economicamente rilevante. Differenziare umido, carta e cartone, plastica, alluminio, vetro, metalli ferrosi, significa prima di tutto diminuire l’estrazione delle corrispondenti materie prime e dei processi produttivi collegati. Ma significa anche inquinare di meno, perché riduce i materiali che finiscono in discarica e negli inceneritori, consentendo di abbattere le emissioni di CO2 ad essi collegate. La differenziata, infine, crea occupazione (green jobs) e migliora la qualità della vita per la collettività. (A.D.T.)

Usare mezzi pubblici per "salvare" le città

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gni anno 1,3 miliardi di tonnellate di alimenti, un terzo del cibo prodotto, va perduto o sprecato (stime Fao). La gran parte degli sprechi alimentari, oltre il 40%, avvengono in casa, il resto in fase di produzione o distribuzione. In Italia si calcola che il valore del cibo buttato via ammonti a 37 miliardi di euro, praticamente 450 euro l’anno a famiglia. Secondo uno studio della Coldiretti se si riutilizzassero questi alimenti si potrebbero sfamare 44 milioni di persone. L’invito è a fare il possibile anche per rimettere in circolo le eccedenze e ridistribuirle, come fanno Caritas e Banco alimentare. (M.Ca.)

li allevamenti intensivi, fabbriche di carne dove gli animali sono tenuti in condizioni innaturali, sottoposti a privazioni e sofferenze, sono tra le attività che più contribuiscono al degrado del pianeta. Secondo la Fao l’impatto di queste strutture è insostenibile: sono responsabili del 14,5% della produzione globale di gas serra (Ghg). Un terzo della produzione di cereali viene poi impiegata come foraggio, con un rapporto svantaggioso tra "cibo consumato per produrre cibo". Elevato l’impatto sulle risorse idriche, per i consumi ma anche per l’inquinamento prodotto. (B.U.)

mezzi pubblici? Senz’altro meglio dell’auto privata. Per costi e rispetto dell’ambiente. «La qualità della vita nelle città è legata in larga parte ai trasporti - scrive il Papa nell’ultima enciclica -, che sono spesso causa di grandi sofferenze per gli abitanti». E se proprio si devono usare le quattroruote lo si può fare in modo coscienzioso. Ad esempio col car pooling: termine che indica l’utilizzo di una vettura tra un gruppo di persone allo scopo di ridurre i costi. Colleghi che abitano nella stessa zona raggiungono il posto di lavoro usando a turno una sola macchina. Che diventa così una specie di piccolo "mezzo pubblico". (M.Rin.)

Piantando più alberi si emette meno CO2

Se spegni la luce risparmi energia

Con i condizionatori serve moderazione

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iantare un albero è un gesto fondamentale per esprimere la volontà di prendersi cura del pianeta. Prima di tutto gli alberi assorbono anidride carbonica (CO2), ritenuta il principale responsabile dell’effetto serra e dei cambiamenti climatici. L’albero, insomma, "mangia" la CO2 presente in atmosfera: a seconda del contesto in cui è inserito, urbano o meno, si stima che possa assorbire tra i 10 e i 50 kg di CO2 all’anno, da moltiplicare per gli anni del suo ciclo vitale. L’albero, inoltre, è un potente fattore di rinaturalizzazione del territorio, che permette di combattere e prevenire il consumo di suolo. (A.D.T)

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uante luci utilizziamo quando siamo a casa? È una delle domande che Papa Francesco invita a porsi. Il tema è quello del risparmio energetico. Spegnere la luce quando non è necessario significa produrre meno energia, impiegare meno risorse energetiche e, siccome il mix energetico mondiale vede ancora una larga prevalenza delle fonti fossili, produrre meno emissioni di CO2. Anche alcune scelte possono essere utili. Usare le lampadine a Led, ad esempio, che abbatte fino al 90% il consumo di energia. (A.D.T.)

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n piccolo impianto di condizionamento produce il 40% delle emissioni domestiche di CO2 di un single. Anche considerando i modelli a basso consumo, l’energia necessaria per abbassare la temperatura di un grado è fino a 4 volte superiore a quella che serve per alzarla di un grado. Non a caso da diversi anni i picchi di consumo energetico si toccano in estate, non più in inverno. Il clima più caldo ci spinge a usare di più i condizionatori, i quali però fanno salire i livelli di CO2 e oltretutto emettono calore all’esterno. Nessuna condanna ai condizionatori, ma la moderazione in tanti casi è necessaria. (M.Ca.)

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CUSTODIAMOI

Francesco in America Latina: no alla distruzione del creato > Annachiara Valle

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IL VIAGGIO DI BERGOGLIO NEL "SUO" CONTINENTE HA OFFERTO MOLTI RIFERIMENTI A QUELL’«ECOLOGIA INTEGRALE» CHE È AL CENTRO DELLA LAUDATO SI’. «L’AMBIENTE NATURALE E L’AMBIENTE SOCIALE, POLITICO ED ECONOMICO SONO STRETTAMENTE CORRELATI»

L’IMPEGNO DEI SACERDOTI

l viaggio di papa Francesco in America latina è stato scandito costantemente dal richiamo all’ambiente, a quella «ecologia integrale» di cui Bergoglio parlato nell’enciclica Laudato si’. Ecuador, Bolivia e Paraguay, con le loro foreste, ghiacciai, vulcani, mare; con la minaccia costante di sparizione di interi popoli e culture, di azzeramento della biodiversità, di sfruttamento di persone e cose; con le loro bellezze e la loro disuguaglianza sono stati la cornice ideale perché il Papa potesse fa capire al mondo le paure e le speranze che devono animare l’impegno di credenti e non credenti. «Ho potuto ammirare le vette del Hayna Potosi e dell’Illimani – ha detto, per esempio in Bolivia, – ho anche visto come in maniera semplice molte case e quartieri si confondevano con i pendii e ho ammirato alcune opere di architettura. L’ambiente naturale e l’ambiente sociale, politico ed economico sono strettamente correlati. Questo ci spinge a porre le basi di una ecologia integrale, che chiaramente comprenda tutte le dimensioni umane per risolvere gravi problemi socio-ambientali dei nostri giorni – altrimenti i ghiacciai continueranno a ritirarsi

da queste montagne – e la logica della ricezione, la coscienza del mondo che vogliamo lasciare a chi verrà dopo di noi, il suo orientamento generale, il suo significato, e i suoi valori anch’essi si ritireranno come questi ghiacci», ha ammonito il Papa. I temi ambientali, la sicurezza alimentare, la difesa della foresta amazzonica, l’allarme sulla concentrazione dei semi nelle mani di pochi produttori e la scomparsa della biodiversità, la stessa attenzione con la quale, al di là dell’Oceano, la stampa latinoamericana segue le iniziative di Expo 2015, dicono di quanto i problemi siano urgenti e abbiano bisogno, come ha sottolineato papa Francesco «di una risposta creativa» e dell’impegno dei popoli, oltre che dei leader. Perché, come ha spiegato parlando al secondo incontro mondiale dei movimenti popolari a Santa Cruz, «non si può consentire che certi interessi – che sono globali, ma non universali – si impongano, sottomettano gli Stati e le organizzazioni internazionali e continuino a distruggere il creato». L’impegno della Chiesa per gli "scartati" del pianeta è ben narrato nei tre film visibili nel padiglione della Santa Sede in Expo, uno dei quali riferito proprio a progetti in Ecuador. © RIPRODUZIONE RISERVATA

La CHIESA in campo nella difesa del pianeta

Il vescovo che vuol salvare l’acqua della Patagonia > Stefano Pasta

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’acqua è un bene di Dio per tutti, non va privatizzata». Per dirlo, Luigi Infanti della Mora, friulano dei Servi di Maria, è arrivato dalla fine della Terra nella Milano di Expo, per l’incontro «Nutrire il pianeta o le multinazionali?». È vescovo della Diocesi di Aysen in Patagonia, profondo sud del Cile, una delle regioni con più acqua al mondo. Laghi, fiumi e ghiacciai. «La Costituzione in vigore – spiega – è quella del dittatore Pinochet, ispirata a politiche neoliberiste estreme. Tutta l’acqua dolce cilena, un bene comune, è privatizzata». O meglio: nelle mani di un monopolista che controlla l’82% in tutto il Cile e il 97% in Patagonia. «Così può decidere – continua il vescovo – se concedere o meno l’utilizzo di un torrente ai contadini, mentre l’acqua della zona viene venduta come bene di lusso in Canada, Usa e Cina a 20 euro la bottiglia». Da anni gli abitanti di Aysen si dividono tra favorevoli e contrari a un progetto di cinque grandi dighe per produrre l’energia idroelettrica. Tradotto, vorrebbe dire la distruzione

dell’attuale ecosistema. Spiega il vescovo: «Nelle famiglie genitori e figli litigavano perché i poteri economici, insieme a quelli politici, cercavano di comprare il favore delle persone. Ci hanno provato anche con la Chiesa in cambio di aiuti alle parrocchie, ma abbiamo preso una forte posizione contro il progetto. Pochi mesi fa il nuovo governo lo ha finalmente bloccato». Dell’acqua in Patagonia, così come della foresta in Amazzonia, si parlò anche ad Aparecida nel 2007, nella conferenza dei vescovi latinoamericani che rappresenta un faro per Papa Francesco. Monsignor della Mora è stato più volte invitato «a non immischiarsi, a tornare nelle sacrestie», ma non si è fermato e ha scritto la lettera pastorale "Dacci oggi la nostra acqua quotidiana". «Non parlo – aggiunge – a titolo personale, ma di tutti i vescovi della Patagonia, argentini e cileni insieme». Le loro riflessioni sono citate nell’enciclica Laudato si’: «Non è un caso – conclude – che un Papa sudamericano abbia voluto soffermarsi sull’ambiente e i rapporti tra Sud e Nord del mondo». © RIPRODUZIONE RISERVATA

MONSIGNOR LUIGI INFANTI DELLA MORA È PRELATO NELLA DIOCESI CILENA DI AYSEN. DA ANNI SI BATTE PERCHÉ UN BENE PRIMARIO COME L’ACQUA

NON SIA SOTTRATTO ALLE POPOLAZIONI. «IL PRIVATO PUÒ DECIDERE SE CONCEDERE O MENO L’UTILIZZO DI UN TORRENTE AI CONTADINI»

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ICUSTODIAMO

Con i popoli dell’Amazzonia per tutelare diritti e dignità > Lucia Capuzzi

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l grido di dolore dei popoli dell’Amazzonia lo ha condotto fino all’estrema «periferia dell’economia mondiale». Là dove si ammassano gli «scarti» di un modello di sviluppo incentrato sullo sfruttamento selvaggio delle risorse. Reduci di epoche remote che, spesso, taluni governanti vorrebbero bollare come «ostacoli al progresso». Pedro Barreto, arcivescovo di Huancayo, in Perù, chiama tale sistema «estrattivismo senza volto umano né etica». Lo ha ribadito il mese scorso alla Corte interamericana dei diritti umani, quando, a nome della Conferenza episcopale latinoamericana (Celam), ha presentato la denuncia sui «danni collaterali» prodotti dalle multinazionali minerarie nell’intera regione e in particolare in Amazzonia. La foresta «fonte di vita nel cuore della Chiesa», come la definisce, e i suoi 35 milioni di abitanti sono al centro delle preoccupazioni del gesuita peruviano. Il Celam l’ha nominato referente presso la Rete ecclesiale pan amazzonica (Repam), costituita su ispirazione di papa Francesco. «È uno spazio di formazione, riflessione, azione pastorale alla luce della Laudato si’ – spiega mon-

signor Barreto –. Attraverso la Repam, la Chiesa ascolta e condivide le angosce dei popoli amazzonici e ne accompagna le speranze, mettendo in pratica gli orientamenti dell’enciclica». La questione è quanto mai urgente. «L’Amazzonia è via via più devastata e minacciata. I grandi progetti di estrazione delle risorse e l’avanzare delle monoculture ne stanno mettendo a rischio la sopravvivenza. E a subirne gli effetti più gravi sono i popoli indigeni che vedono calpestati i loro diritti e dignità. Non vengono nemmeno consultati quando si decide un "mega-progetto" e spesso il tutto accade con la complicità dei governi», afferma monsignor Barreto. La Chiesa – aggiunge – non può e non deve essere indifferente al dolore di questi fratelli e sorelle in cui «riconosce la presenza di Cristo sofferente». Da qui la necessità di un’azione pastorale forte. «Come Repam, la nostra missione è sensibilizzare l’America e il mondo sull’importanza dell’Amazzonia per l’umanità. E organizzare, fra le differenti chiese locali del bacino amazzonico, una pastorale d’insieme che promuova un modello di sviluppo il cui centro siano i poveri e il bene comune». © RIPRODUZIONE RISERVATA

MONSIGNOR BARRETO, ARCIVESCOVO DI HUANCAYO, PERÙ, DENUNCIA I «DANNI COLLATERALI» PRODOTTI

DALLE MULTINAZIONALI CHE SOTTRAGGONO RISORSE ALLA FORESTA. «RICONOSCIAMO LA PRESENZA DI CRISTO SOFFERENTE NELLE DIFFICOLTÀ DEI POPOLI INDIGENI»

"Quello che siamo e abbiamo ci è stato donato per metterlo al servizio degli altri, il nostro compito consiste nel farlo fruttificare in opere buone. I beni sono destinati a tutti, e per quanto uno ostenti la sua proprietà, pesa su di essi un’ipoteca sociale". Papa Francesco, Quito, 7 luglio 2015, Incontro con la società civile

Filippine, i missionari rurali per fermare il «furto di terre» > Emanuela Citterio

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SUOR FAMITA SOMOGOD COORDINA

IL GRUPPO DI RELIGIOSI CHE DIFENDONO I DIRITTI DELLE POPOLAZIONI TRIBALI VITTIME DEL «LAND GRABBING» DI IMPRESE STRANIERE PER COLTIVARE OLIO DI PALMA O PRODURRE LEGNAME «PAPA FRANCESCO CI HA FATTO SENTIRE MENO SOLI»

i land grabbing si può morire. Ne è consapevole ogni giorno suor Famita Somogod, 47 anni, coordinatrice dei missionari rurali, un gruppo di religiosi molto attivi nel difendere i diritti delle popolazioni tribali nelle Filippine. Nell’isola in cui è nata, Mindano, seconda per estensione tra le oltre settemila che compongono l’arcipelago del Paese asiatico, l’accaparramento di terre da parte di investitori provenienti dall’estero avviene già da diversi decenni: per coltivare l’olio di palma, il più usato nell’industria alimentare, per produrre legname e per l’estrazione mineraria. Tutte attività che procedono distruggendo ettari di foresta. Nel Sud dell’isola resta meno del 20 per cento della foresta vergine che ricopriva la valle Arakan. La terra è stata sottratta pezzo per pezzo ai tribali che l’abitavano da sempre. Qui è stato ucciso nel 2011 padre Fausto Tentorio, missionario del Pime che aveva aiutato i tribali a organizzarsi in un’associazione per avere voce e rivendicare i propri diritti. Il prete italiano da tempo frequentava proprio il gruppo dei mis-

sionari rurali coordinato da suor Famita, che è invece attiva nel Nord dell’isola e continua a lavorare con le associazioni di base e alcune organizzazioni non governative per far conoscere le condizioni di lavoro nelle miniere e nelle piantagioni, e provare a difendere la foresta da ulteriori devastazioni. Nel 2013 la Commissione asiatica per i diritti umani ha aperto un dossier su di lei e l’ha posta sotto osservazione dopo ripetuti tentativi di intimidazione. «Le multinazionali dell’industria agroalimentare usano metodi violenti e chi si oppone all’espansione delle piantagioni di palma da olio è oggetto di minacce» denuncia. «A questo si aggiunge lo sfruttamento della manodopera ai limiti dello schiavismo e l’uso massiccio di pesticidi che inquinano le falde acquifere». «Nonostante i molti appelli che abbiamo rivolto alle autorità, sia a livello locale che nazionale, non c’è stato un reale cambiamento e le industrie continuano ad acquisire e sfruttare la terra ai danni della popolazione». Per suor Famita l’enciclica di papa Francesco è stata «una conferma» e «una luce capace di rischiarare la strada». «Ci ha fatto sentire meno soli», confessa. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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IIN IMMAGINI Secondo la rivista scientifica americana Science, che ha raccolto i dati da oltre 70 corrispondenti esperti da tutta Europa, il lupo, assieme ad altri grandi carnivori come l’orso, la lince e il ghiottone, è ricomparso e sta ripopolando i paesaggi fortemente antropizzati del Vecchio Continente dimostrando che questi animali e l’uomo possono condividere lo stesso territorio, sia pure a certe condizioni.

Gli antichi Greci e Romani lo associavano al dio Apollo, mentre i Galli a Belanu, il cui nome potrebbe derivare dalla parola bretone, bleiz, per lupo. Gli scandinavi credevano che il sole fosse inseguito dal lupo celeste Sköll mentre in Giappone è considerato un animale divino perché la dea Amaterasu si è incarnata in un lupo bianco. Popola le favole più famose e amate della tradizione europea vestendo quasi sempre i panni del tentatore e del male da evitare.

E in Italia? Il ritorno del lupo su tutto l’arco alpino potrebbe attestarsi ai livelli di due secoli fa con una crescita della popolazione che la rivista Science stima dell’11 per cento l’anno. I dati del 2012 parlano di 35 branchi, per un totale all’incirca di 180 esemplari distribuiti soprattutto sulle Alpi Occidentali. "Fratello lupo" è tornato sulle Alpi Occidentali negli anni Novanta, giunto "per dispersione" dagli Appennini con l’ambizione di diventare animale alpha. Oggi nel solo Piemonte, grazie al programma di protezione e coabitazione con gli allevatori, ci sono almeno 80 esemplari.

> Antonio Sanfrancesco

Fratello LUPO è tornato

Oggi probabilmente Esopo e Fedro dovrebbero cambiare repertorio visto che le cifre elaborate da Science attestano un fatto sorprendente: nonostante i mugugni degli allevatori e i tuttora frequenti casi di bracconaggio (21 i cadaveri causa avvelenamento scoperti negli ultimi due anni solo sulle Alpi Marittime), infatti, la coabitazione "strategica" tra il lupo e la pecora sta già avvenendo.

Al ritorno dell’animale è stata dedicata la mostra "Tempo di lupi", organizzata dal parco nazionale Val Grande, che si è svolta a Intra (Verbania). Racconta la lunga storia della scomparsa, con il successivo ritorno su tutto l’arco alpino, dalla Carnia alle Marittime. È la prima tappa dell’esposizione organizzata dal Museo di Trento: dopo Verbania farà il giro delle Alpi occidentali con il progetto Live WolfAlps. Vi erano esposti documenti, trappole, fotografie e anche alcuni esemplari imbalsamati come quello travolto da un treno nel 2001, a Prata di Vogogna, nella bassa Ossola. EXPO2015MILANOEXPO2015MILANOEXPO2015MILANOEXPO2015MILANOEXPO2015MILANOEXPO2015MILANOEXPO2015MILANOEXPO2015MILANOEXPO2015MILANOEXPO2015MILANOEXPO2015



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INEL CUORE DELL’EXPO

> Lorenzo Rosoli

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Expo 2015 non è fatta solo dai padiglioni delle archistar, dai politici in passerella, dalle performance da ufficio turismo o dalle manifestazioni dei poteri forti dell’agrobusiness e dintorni. L’Expo lascerà il segno se riesce a diffondere la coscienza dei volti dei poveri e degli affamati del mondo, aveva chiesto papa Francesco all’inaugurazione. Una missione affidata a realtà come l’edicola di Caritas Internationalis. Col suo messaggio forte, «Dividere per moltiplicare». Col suo breve, provocatorio percorso espositivo. Con i suoi volontari, sempre pronti ad accogliere, a spiegare. A tutti. Come Letizia Gualdoni, 26 anni, di Cuggiono (Milano), laureanda in scienze dei beni culturali in Cattolica e collaboratrice di un giornale dell’Altomilanese.

IL NUMERO DELLA FAME «Sono catechista e educatrice impegnata in oratorio – racconta Letizia –. In quell’ambito avevo già partecipato ad un progetto della Caritas, "Giovani e carcere". Saputo della presenza di Caritas in Expo, mi è sembrato bello poter dare una mano perché dentro un grande evento come questo potesse "abitare" anche il messaggio del diritto al cibo, della lotta allo spreco, del consumo sostenibile, della condivisione dei beni che moltiplica le possibilità per tutti. Papa Francesco ci ha chiesto di dare voce a chi ha fame o non può mangiare in modo degno di un essere umano. Ebbene: davanti all’ingresso del nostro padiglione c’è un numero formato con piccoli sassi disposti sull’erba: 795. Sono i milioni di persone che al mondo soffrono la fame, secondo gli ultimi dati della Fao. È un numero che colpisce molto i visitatori. Ai quali spieghiamo che il nostro pianeta ospita 7 miliardi di abitanti e ne potrebbe sfamare 12, ma ne lascia 795 milioni alla fame». UN PERCORSO INTENSO L’edicola Caritas è cosa piccola, rispetto ai big dell’Expo. «Ma lascia il segno. Così ci dicono molti visitatori, delle provenienze, culture, religioni le più diverse, fra i quali c’è anche chi non ha mai sentito parlare di Caritas, tutti invitati alla fine a lasciare un loro messaggio – prosegue Letizia –. Il percorso di visita è breve: 10-15 minuti. Tanti sono affascinati dalla "torre delle monetine", l’installazione che esprime con grande efficacia l’ingiusta distribuzione delle ricchezze fra la popolazione mondiale. Lo stesso accade davanti a "Energia", l’installazione di Kurt Vostell, la Cadillac foderata di forme di pane e con fucili nell’abitacolo, che sta al centro dell’edicola: tutti ne sono provocati, alcuni – pochi, in realtà – fino al rifiuto. E nessuno si sottrae alla decifrazione dei significati, cercando di metterli in relazione con la propria vita, la propria condizione, le proprie responsabilità

CARITAS, lo spazio che lascia il segno Letizia Gualdoni, guida dell’Edicola Caritas, davanti all’installazione "Energia" di Kurt Vostell, una Cadillac foderata con forme di pane e con fucili nell’abitacolo

L’«EDICOLA» ALL’INIZIO DEL DECUMANO HA COME TEMA «DIVIDERE PER MOLTIPLICARE». SI VISITA IN 10 MINUTI, MA

MESSAGGI E INSTALLAZIONI AIUTANO A RIFLETTERE SUI TEMI DELLA FAME E DELLA SOLIDARIETÀ. LETIZIA, GUIDA VOLONTARIA: «NEI BAMBINI IL MESSAGGIO SI FA SUBITO VITA»

di fronte alle sfide della fame, della giustizia, della solidarietà. A partire dai bambini – ne sono arrivati tanti, prima con le scuole, poi con gli oratori: mi colpisce sempre la loro semplicità e spontaneità, unita alla capacità di attenzione ad ogni particolare e di recezione del messaggio. Che si fa subito vita, nei gesti più semplici. Com’è condividere la merenda con un compagno». © RIPRODUZIONE RISERVATA

#LaudatoSi, l’encliclica è social ExpoBlog Caritas, una campagna sulla «lettera» del Papa > Marta Zanella

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gni giorno una frase e un’immagine per riflettere sulla «cura della nostra casa comune, la Terra», con le parole dell’Enciclica Laudato Si’. Una "campagna social": è l’ultima iniziativa in ordine di tempo lanciata in rete dall’ExpoBlog (expoblogcaritas.com), uno spazio virtuale dove la Caritas racconta la propria presenza di coscienza critica all’Esposizione Universale di Milano. Lo fa soprattutto attraverso le immagini, le storie e le voci delle "persone comuni", di chi ha un’esperienza da raccontare e proporre nell’ottica del mes-

saggio ConDividere per moltiplicare, dagli oratori e scuole che da un anno lavorano sul tema del diritto al cibo per tutti, alle famiglie milanesi che hanno fatto della condivisione la loro parola d’ordine, fino alle buone prassi dal Kenya, dal Burundi e dal Giappone. Dal 19 giugno ogni mattina, dunque, l’ExpoBlog pubblica un passaggio dell’Enclica "verde" di Papa Francesco accompagnato da uno degli scatti della parete fotografica del padiglione della Santa Sede, un’onda di immagini che rappresentano i problemi a cui va incontro l’uomo quando rompe l’alleanza con il Dio creatore: la fame dell’uomo, materiale e spi-

rituale, le ferite del corpo, del cuore, della mente, del creato. Attraverso l’hashtag #LaudatoSi i contenuti dell’Enciclica e dei temi che la Chiesa sta portando all’Expo sono così presenti e condivisi su Facebook e Instagram (sulla pagina ufficiale Chiesa in Expo) e su Twitter (con gli account @caritasinexpo e @expoholysee). La campagna avrà vita anche sulla carta, grazie alla collaborazione con la Fisc, la Federazione italiana della stampa cattolica, che ogni settimana proporrà sui settimanali diocesani d’Italia una delle immagini abbinata a un passaggio dell’Enciclica. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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INEL CUORE DELL’EXPO

Crowdfunding, così si aiuta il «Refettorio»

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GESTO SEMPLICE E SOBRIO Gli uni accanto agli altri. Senza distinzioni: un gesto semplice, sobrio e, certo, provocatorio, come sapevano esserlo i comportamenti del Poverello di Assisi. Una piccola spina nel fianco di che vorrebbe che Expo fosse solo una festa per gli occhi e per i sensi, nascondendo sotto il tappeto le contraddizioni che NEL GIORNO DI SAN vivono sulla propria pelle FRANCESCO L’ESPOSIZIONE non soltanto i cittadini di INCONTRERÀ «I VOLTI DI CHI paesi poveri più o meno NON MANGIA IN MODO lontani, ma anche gli abiDEGNO», COME AUSPICATO tanti dei quartieri meno DAL PAPA. DIECI EURO PER lussuosi delle nostre città. PRANZARE INSIEME A LORO. «Vogliamo portare le perL’INIZIATIVA PROMOSSA DA sone in difficoltà a traDUOMO VIAGGI E C ARITAS scorrere una giornata di spensieratezza a Expo e vorremmo che queste presenze siano visibili a tutti, ma non esposte come in un acquario. Per questo non abbiamo voluto fare una "mensa dei poveri", ma appunto una "mensa dei popoli" aperta a tutti», ha spiegato il direttore di Caritas Ambrosiana, don Roberto Davanzo.

l Refettorio Ambrosiano cercherà sostenitori attraverso il crowdfunding, la pratica di micro-finanziamento dal basso resa possibile dalla rete, che rapidamente sta diventando uno strumento molto utilizzato per promuovere campagne e progetti. La piattaforma è stata sviluppata da una start-up specializzata in raccolte fondi alternative per aziende, enti non profit, università e istituti di ricerca. «Siamo convinti che questa bellissima iniziativa incontrerà il favore del popolo di internet, perché è capace di parlare un linguaggio universale che travalica le barriere culturali, proprio come il web», osserva il presidente di Up, Gianluca Ciccolunghi. La campagna a favore del Refettorio Ambrosiano avrà come slogan «Ama il prossimo tuo un po’ più spesso». Sul sito www.upeurope.com si potrà fare una donazione e ricevere in cambio, in proporzione alla generosità dell’offerta, u- AL VIA UNA CAMPAGNA na ricompensa. Nel frattempo il DI MICRO Refettorio Am- FINANZIAMENTI brosiano, che ha a- IN RETE PER LA perto i battenti nel NUOVA MENSA quartiere milane- DEI POVERI DOVE se di Greco il 4 CUCINANO giugno, è in piena GLI CHEF attività. Gli chef internazionali chiamati da Massimo Bottura si danno il turno in cucina. Il 18 e il 19 giugno è stata la volta di Yoshihiro Narisawa. Lo chef giapponese ha cucinato una zuppa di latte in stile nipponico come primo, un hamburger farcito con salsa teríyaki a base di soia per secondo, un dessert fatto di pane secco intinto nel cioccolato, una macedonia guarnita con gelato, realizzati con prodotti destinati ad essere buttati via. Il menu è stato molto apprezzato a mezzogiorno dai bambini e dagli adolescenti e la sera dagli ospiti della mensa, 90 persone seguite da Caritas Ambrosiana. «Questo progetto ha due anime: una didattica, rivolta ai ragazzi, e una sociale per le persone in difficoltà. Stiamo cercando di farle crescere insieme», racconta il parroco di Greco don Giuliano Savina. Un incoraggiamento all’iniziativa è venuto anche dalla presidente della Camera, Laura Boldrini, che ha chiuso la sua visita ad Expo, cenando al Refettorio: «Con il vostro approccio partecipativo, aperto al quartiere, state dimostrando che l’accoglienza è possibile» Francesco Chiavarini

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Una tavola record per chi è ESCLUSO Il 4 ottobre all’Expo 5mila utenti delle mense di carità Con loro un «pasto comune» lungo un chilometro > Franvesco Chiavarini

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na tavolata di condivisione e solidarietà lunga un chilometro, proprio sul Decumano, per non dimenticare tra i padiglioni scintillati di Expo «i volti di chi non mangia in modo degno», proprio come aveva auspicato il Papa all’inaugurazione dell’esposizione. L’iniziativa sarà realizzata da Duomo Viaggi, l’agenzia specializzata in pellegrinaggi della Diocesi, con la collaborazione della Caritas milanese e di quelle lombarde.

CINQUEMILA OSPITI L’evento avverrà in un momento particolare, il 4 ottobre, data in cui si celebra la memoria di San Francesco di Assisi. Quel giorno dunque, mentre i fedeli lombardi porteranno l’olio sulla tomba del Santo – quest’anno è il loro turno – chi rimarrà a Milano potrà sedersi a tavola con persone in difficoltà che sarebbero rimaste escluse proprio dall’Expo voluta per ragionare su come sfamare il pianeta. Gli "ospiti", così li definiscono alla Duomo Viaggi per non stigmatizzarli, dovrebbero essere 5 mila. Tanti almeno sono i biglietti che l’agenzia è disposta mettere a disposizione per gli utenti delle mense di carità cittadine. Entreranno nel sito, si mescoleranno alla folla fra gli altri visitatori e si siederanno a tavo-

Dalle mense dei poveri all’Expo, per un pranzo condiviso lungo il Decumano. L’iniziativa è promossa dalla Duomo Viaggi

la nelle isole che saranno disposte lungo l’arteria principale che taglia per il lungo l’esposizione. Insieme a loro ci saranno i cittadini disposti a spendere 10 euro per condividere il pasto con chi è meno fortunato.

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INEL CUORE DELL’EXPO

Tanta NATURA nei padiglioni Ambienti, immagini, design e architetture: nello spazio comune dell’Expo per ritrovare le storie di una vita rispettosa della vita. Tra legno e tecnologie > Leonardo Servadio

riale privilegiato dal rapporto tra uomo e natura. Ben graficizzato nel padiglione della Bielorussia: una collina a struttura lignea coperta da un manto erboso attraversato dalla ruota di un mulino. Un esempio che mette assieme i temi a tutti comuni dell’acqua, dell’architettura verde, della produzione di alimenti, della tecnologia appropriata e del risparmio energetico.

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a caldo. C’è quell’afa tipicamente padana che rende pesante l’aria. Ma nei vialoni del cardo e del decumano, pur stetti tra la folla si passeggia gradevolmente: le "vele" che li ombreggiano sono disposte, come panni tesi, in modo tale da invitare refoli e diffondere soffi di brezza. È lo spazio comune da cui si osservano nel grande recinto di Expo 2015 le architetture e gli apparati espositivi che rappresentano 143 Paesi e tante associazioni, imprese, aziende. Tutto il mondo raccolto in uno spazio circoscritto ma che diviene illimitato. L’argomento è spiegato all’ingresso, nel Padiglione Zero: una zolla di dune, un cluster di trulli, un insieme di colline di lame lignee sovrapposte. Al suo interno ecco la parete di un’immensa biblioteca i cui cassetti, disposti tra maestose arcate e sontuose colonne, simboleggiano non solo il sapere ma anche l’agire e il pervivere della specie nel suo rapporto con la natura. Mentre un immenso tronco che sfora il soffitto esprime l’afflato del creato – esseri umani e ambiente assieme – verso la trascendenza.

OPERE DA CATALOGO Su queste note la sinfonia si dipana nelle leggere, lunghe coperture del padiglione cinese, che ricordano i cappelli di paglia dei contadini; e attraverso le agili tensostrutture che formano quello che forse è il più tecnologico dei padiglioni: il tedesco, specie di enorme carlinga che consente di volare sopra i diversi panoDall’alto: il Padiglione Zero, quello della Bielorussia con una ruota di mulino multimediale, l’edificio a carlinga della Germania e il padiglione "arboreo" di Shangai

UNITÀ NELLA DIVERSITÀ Così si dà il "La" alla sinfonia di ambienti, immagini, strutture, congregati assieme e ordinatamente squadernati gli uni accanto agli altri, in un ambito di pace e di collaborazione che ritrova l’essenza del vivere nel tema dell’alimento inteso nella piena complessità dei significati, materiali e spirituali. Per dimensioni risalta all’incrocio dei due viali il Padiglione Italia, viluppo arboreo che ingloba su diversi piani espressioni di alta tecnologia. Natura e cultura, elettronica e design e, soprattutto, le tante regioni italiane collegate da un unico sistema linfatico, come l’albero che attraverso molteplici radici e capillari nutre i tanti rami del medesimo tronco. L’argomento dell’unità nella diversità si dipana in tutta l’Expo. E con particolare enfasi nel padiglione del Vaticano: tanto piccolo quanto essenziale, incentrato su parole di saggezza ripetute più e più volte, con l’imperturbabile costanza di un messaggio destinato a vivificare in ogni latitudine: «Non di solo pane...». Parole graficamente esplicitate dall’Ultima Cena del Tintoretto e complementate dall’Istituzione dell’Eucaristia di Rubens. E il linguaggio della poesia si fa impegno attivo nell’edicola della Caritas che UNA SINFONIA DI AMBIENTI, presenta l’opera contempora- IMMAGINI, STRUTTURE, nea Energia di Wolf Vastell CONGREGATI ASSIEME, mentre invita a «Dividere per SQUADERNATI GLI UNI moltiplicare». Ovvero condi- ACCANTO AGLI ALTRI, videre, come le decine di Pae- IN UN AMBITO DI PACE si condividono questo spazio E COLLABORAZIONE CHE e questo tempo dell’Expo. E RITROVA L’ESSENZA DEL il legno la fa da padrone, qua- VIVERE NEL TEMA si ovunque inteso quale mate- DELL’ALIMENTAZIONE

rami del Centro Europa. Spagna e Francia dispiegano con orgoglio i tanti linguaggi delle loro produzioni agricole, mentre la Lettonia rende ancora più esplicito il tema dell’albero dal ricco fogliame. E la Polonia presenta l’immagine di un "monolite" emergente dal suolo con le pareti composte da origami lignei: vi traluce l’impegno allo scambio tra culture e colture, per lontane che siano. Se vi sarà, com’è auspicabile, un catalogo di tutte queste opere, esso resterà come testimonianza di un momento in cui il mondo s’è unito e affratellato attorno ai chicchi di caffè della Malesia, alle facciate verdi di Shanghai, agli hamburger americani, agli aromi orientali, ai pannelli solari degli Emirati Arabi, a una sterminata sequela di videoschermi che, verticali, orizzontali, inclinati, piccoli e grandi ovunque raccontano le storie di una vita rispettosa della vita, in ogni parte del mondo. Passeranno i padiglioni, tra qualche mese saranno rimossi. L’auspicio è che ne resti il messaggio, leggero come le tensostrutture che ombreggiano gli spazi comuni dell’Expo, ma duraturo come tutto ciò che è vero. E non svanisce con le mode. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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NEL CUORE DELL’EXPOI

> Antonio Sanfrancesco

CARITÀ DEL PAPA

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ell’eterna saga italica delle polemiche e della diffidenza sui grandi eventi, un dato importante è passato forse inosservato. Arriva dall’indagine "Giovani ed Expo" condotta su un campione di 1.783 giovani tra i 19 e i 32 anni, nell’ambito del Rapporto Giovani (www.rapportogiovani.it) e promossa dall’Istituto Giuseppe Toniolo in collaborazione con l’Università Cattolica e il sostegno di Fondazione Cariplo e Intesa Sanpaolo. Interrogati sulle potenziali ricadute positive dell’Esposizione di Milano, il 36,5 per cento degli intervistati si è detto sicuro che l’evento contribuirà a risolvere il problema della nutrizione del pianeta. «Sono più di un terzo, non è poco», sottolinea giustamente Alessandro Rosina, coordinatore del Rapporto Giovani e professore di Demografia alla Cattolica di Milano. Certo, una larga parte è scettica ma questo dato è sintomatico di un sentimento diffuso tra i giovani che guarda all’evento con interesse e persino ottimismo. Oltre il 90% lo considera in sintonia con i propri valori personali e con la propria visione del mondo (si sale oltre il 95% per le ragazze e i laureati) mentre oltre alla sensibilizzazione sul tema un altro obiettivo giudicato auspicabile è la possibilità di generare nuovi posti di lavoro. Un’esigenza, questa, comprensibilmente, molto sentita tra i Neet, (i giovani che non studiano e non lavorano), che indicano tale aspetto al primo posto nel 31% dei casi mentre la sensibilizzazione sul tema scende al 20%.

UN EVENTO MULTIETNICO Altri due dati interessanti riguardano la "multi etnicità" dell’evento. Per il 66 per cento dei giovani, l’Expo favorirà una conoscenza multietnica sull’alimentazione mentre per il 53 per cento favorirà l’integrazione tra diverse culture. «È il segno che le nuove generazioni, nativi digitali e abituati a scambi culturali, vedono positivamente e con curiosità un evento in cui l’Italia si apre al mondo e al confronto con le culture altre». Ovviamente nelle risposte ha influito, e non potrebbe essere altrimenti, la propria situazione personale a cominciare dalla difficoltà a trovare un lavoro e dalla sfiducia nei confronti della politica e delle istituzioni. «All’interno del mondo giovanile», è la riflessione del prof. Rosina, «quelli che hanno risorse culturali e studi più elevati sono più portati a cogliere l’occasione del confronto interculturale mentre un’altra parte più in

Santa Sede, le offerte nel Padiglione ai bambini profughi presenti in Giordania

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GIOVANI c’è fiducia nell’Expo Per il 36,5% aiuterà a risolvere il problema della nutrizione Piace il confronto interculturale Fame nel mondo e integrazione multietnica: per i ragazzi italiani l’evento dell’Expo può avere un impatto positivo

difficoltà indica unicamente come effetti positivi di Expo un miglioramento e la speranza di trovare un’occupazione. I giovani più in difficoltà non solo si trovano a gestire problemi economici, ma questo riduce anche la loro capacità di aderire ad azioni positive e collettive e a riconoscere alcune opportunità che possono venire da eventi mondiali come questo».

fondi raccolti all’interno del Padiglione della Santa Sede all’Expo saranno destinati ai bisogni dei bambini e delle famiglie di profughi presenti attualmente in Giordania, le fasce più deboli colpite dal conflitto in Medio Oriente. Lo ha voluto papa Francesco, in collaborazione con il Pontificio Consiglio Cor Unum. La Giordania ospita al momento circa 700 mila profughi, che hanno abbandonato i loro Paesi di origine e le loro case. In particolare, i profughi provenienti dall’Iraq, al momento registrati, sono circa 50 mila, dei quali oltre il 34% sono bambini. La somma raccolta al termine di Expo (ottobre 2015), che verrà ripartita attraverso la Chiesa locale nelle aree dove i profughi vengono ospitati, sarà destinata in particolare per il finanziamento di progetti nel campo dell’educazione e del sostegno alle prime necessità delle famiglie. I visitatori del Padiglione della Santa Sede possono dunque contribuire ad aiutare la carità del Santo Padre lasciando un’offerta direttamente al termine del percorso espositivo, oppure utilizzando le informazioni disponibili sia sul sito www.expoholysee.org sia sul sito di "Cor Unum" www.corunumexpo.va, con la causale «La carità del Papa per la Giordania». Un’immagine di Papa Francesco, con la frase evangelica che dà il titolo al padiglione «Non di solo pane… Dacci il nostro pane quotidiano», e che spiega il senso della carità cristiana come aiuto allo sviluppo integrale della persona, viene donata a tutti i visitatori all’uscita dal padiglione. © RIPRODUZIONE RISERVATA

© RIPRODUZIONE RISERVATA

IL RAPPORTO PROMOSSO DALL’ISTITUTO GIUSEPPE TONIOLO METTE IN LUCE LE ASPETTATIVE DEGLI «UNDER 32» SULL’EVENTO MILANESE. PER IL 66% FAVORIRÀ UNA CONOSCENZA MULTIETNICA SULL’ALIMENTAZIONE. ROSINA (C ATTOLICA): «CHI È IN DIFFICOLTÀ ECONOMICA FATICA A RICONOSCERE LE OPPORTUNITÀ»

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INEL CUORE DELL’EXPO

> Rolla Scolari

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el 1999 i vertici europei si riunirono a Tampere, in Finlandia, durante il semestre di presidenza di Helsinki. Fu allora che l’Europa al termine di quel summit deliberò «che sarebbe stata aperta all’immigrazione e che avrebbe stabilito rapporti con i Paesi di origine per eliminare i problemi della povertà, causa delle migrazioni economiche», ha ricordato Giuliano Amato, giurista, politico ed ex presidente del Consiglio durante il convegno "I Volti della Terra", tenutosi l’11 giugno in Expo in occasione del National Day della Santa Sede. Sono passati 16 anni da quel Consiglio europeo, e nelle stazioni ferroviarie italiane si ammassano oggi gli immigrati approdati con barconi di fortuna sulle coste della Sicilia; a Ventimiglia si consuma lo scontro politico tra Francia, Italia e il resto dell’Unione sulle responsabilità della gestione degli sbarchi di stranieri; nel Mediterraneo continuano a morire essere umani. «Oggi noi europei abbiamo condannato i migranti per ragioni economiche a essere un clandestino da buttare in mare – ha detto ancora l’ex premier con toni di sdegno – perché prendiamo quei pochi e solo quelli che hanno titolo all’asilo politico».

Amato: i MIGRANTI e le nostre colpe cibo – ha detto riferendosi all’evento internazionale di Milano – c’è una parte della comunità internazionale che sta trattando l’immigrazione come peggio non si potrebbe fare». Tuttavia «una volta che si mette assieme il mondo, ha senso farne un’occasione per parlare» di molti temi come ambiente, nutrizione, immigrazione, «anche se il mio timore è che possa diventare una parentesi chiusa, e che non si metta a profitto ciò che sarà detto in questi mesi».

L’EX PRESIDENTE DEL CONSIGLIO AL NATIONAL DAY SANTA SEDE: «NON È

SUFFICIENTE ESSERE BUONI A VOLTE LE NOSTRE POLITICHE NON RAGGIUNGONO IL LORO OBIETTIVO PERCHÉ TARPATE DA CECITÀ E INTERESSI CONTRARI»

LA CARITÀ NON BASTA Expo può servire a rendere più consapevoli dei problemi di ciascun Paese, ha spiegato, ma il dibattito non è sufficiente da solo a trovare so-

luzioni pratiche a problemi interconnessi tra loro come nutrizione, distribuzione delle risorse, flussi migratori. «Non basta essere buoni», ha spiegato al convegno organizzato dal Cortile dei Gentili, in cui hanno parlato anche S.E. il cardinale Gianfranco Ravasi, commissario del padiglione della Santa Sede, e l’ecologista francese Nicolas Hulot. «Non serve soltanto essere caritatevoli, occorre anche saper organizzare la vita collettiva e individuale», «adottare comportamenti all’altezza del nesso che c’è e che si vede con evidenza» – ci ha spiegato nell’intervista. «A volte le nostre politiche – non raggiungono il loro obiettivo perché tarpate da cecità e interessi contrari. Chi oggi rifiuta assistenza agli immigrati ed è pronto a distribuire a chi non l’ha il cibo di troppo nei supermercati è un ipocrita che non merita il Paradiso». © RIPRODUZIONE RISERVATA

NO ALL’IPOCRISIA È dal palco di un’Esposizione universale incentrata sulla nutrizione e sul cibo che Amato chiede di respingere «la commozione davanti alla fame nel mondo degli ipocriti che pensano che chi arriva in Europa vada ributtato da dove è venuto». In un’intervista a lato del convegno, il professore ci ha detto come si auguri che Expo possa aiutare a «sottolineare i nessi essenziali che altri possono essere portati a dimenticare», come quello tra cibo e immigrazione, anche se «qui a far commuovere parlando di

«Fare di più, in Italia non c’è un’invasione» > Filippo Magni

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Se continuiamo a non dotarci di strutture adeguate, anche qualche migliaio di arrivi dà la percezione dell’emergenza». Inquadra così il fenomeno migratorio a Milano don Roberto Davanzo, direttore di Caritas ambrosiana. Nel capoluogo lombardo sono passati circa 63mila migranti, da ottobre 2013 ad oggi. Di questi, 12mila (un terzo i minori) hanno ricevuto una prima accoglienza nella strutture gestite dalla Caritas, rimanendo in media 4 giorni prima di partire per altre nazioni, in genere nel Nord dell’Europa. «Milano è zona di passaggio – sottolinea don Davanzo – così come l’Italia non è il punto d’ar-

rivo per chi attraversa il Mediterraneo sui barconi: puntano quasi tutti ad altri Paesi, dove hanno già famiglia, amici, parenti: una rete di sostegno pronta ad accoglierli». Le immagini viste in Stazione centrale a Milano e al confine francese a Ventimiglia parlano però di un transito complesso: «La meschinità di alcuni Paesi europei, che rifiutano una distribuzione dei migranti – rileva il sacerdote – ha causato una brutta figura all’Europa e niente più. Il fenomeno non conosce confini, non è circoscrivibile». È però necessario aggiungere, precisa il direttore, «che se leggiamo i numeri degli ultimi anni, l’Italia non è certo la nazione più affollata. Protestiamo giustamente contro i Paesi "egoisti", però poi valutiamo con obiettività la storia recente».

DON DAVANZO (C ARITAS): «IL FIUME DI

PERSONE IN TRANSITO SI PUÒ RIDURRE CON UNA MIGLIORE RIDISTRIBUZIONE DELLE RISORSE»

Secondo l’esperienza di don Davanzo, il fenomeno migratorio «ci imputa il dovere di una risposta immediata per tutelare i diritti delle persone che fuggono da casa e per tutelare la sicurezza degli italiani. Poi però è necessario uscire dagli strilli da campagna elettorale per sviluppare una riflessione ampia». Anche a partire dall’Enciclica Laudato si’ di Papa Francesco: «La riflessione del Pontefice – commenta Davanzo – non chiede di rispettare la natura in sé. Ma di porre le condizioni affinché, con la cura del Creato, ogni uomo e ogni donna possano vivere bene nel luogo dove sono nati. Il fiume di persone in transito si riduce solo creando le premesse per una migliore ridistribuzione delle risorse». © RIPRODUZIONE RISERVATA

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> Pietro Saccò

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ino a qualche anno fa il mercato dei derivati finanziari sulle materie prime alimentari era un Far West. Per qualche motivo i legislatori, sia in Europa che negli Stati Uniti, avevano deciso di non applicare a questi strumenti finanziari le stesse regole che si applicano, per esempio, ai derivati sulle materie prime energetiche. Lasciato in balìa di troppi soggetti dagli interessi puramente economici, questo mercato ha dato il suo peggio nel 2007-2008, quando le quotazioni delle materie prime alimentari sono schizzate verso l’alto per poi precipitare nel giro di pochi mesi, mettendo in ginocchio i contadini di mezzo mondo e creando drammatiche situazioni di crisi alimentari in molti Paesi in via di sviluppo, come ha ricordato anche papa Francesco nell’enciclica Laudato si’. La situazione, da allora, è migliorata. «Oggi crisi del genere è molto più difficile che si ripetano» spiega Antonella Sciarrone Alibrandi, docente di Diritto dell’Economia all’Università Cattolica di Milano e tra gli organizzatori del convegno su finanza e sicurezza alimentare che a inizio luglio ha riunito nell’Ateneo milanese economisti e studiosi di livello internazionale per discutere del rapporto tra finanza e sicurezza alimentare. Ormai sono diversi anni che il mercato delle materie prime alimentari sta vivendo una progressiva "finanziarizzazione", con la diffusione di strumenti derivati sui prodotti agricoli. Quali sono stati gli effetti di questo processo sui prezzi finali del cibo? Non abbiamo evidenze empiriche del fatto che i derivati abbiano reso più volatili i prezzi delle materie prime alimentari, ma nemmeno del contrario. Sicuramente, però, la crisi del 2007-2008 ha confermato quanto fosse pericoloso lasciare questo mercato in balìa di se stesso. Per questo negli ultimi due anni in Europa e in America il legislatore è intervenuto con una serie di norme. Sono leggi molto recenti e non entrate in vigore del tutto. Quelle europee sono contenute nella Mifid II, il pacchetto di regole adottato nel 2014 che riguarda tutti i mercati finanziari, e che prevede alcune regole specifiche per le merci agricole. Che cosa prevedono le nuove norme europee? Intanto finalmente i derivati sui prodotti agricoli devono sottostare alle regole che valgono per gli altri derivati, diventate particolarmente stringenti con la Mifid II. Per i derivati sulle merci agricole c’è una norma specifica che punta a limitare l’intervento nel mercato di soggetti non direttamente coinvolti nella filiera agroalimentare, quelli che comprano e vendono derivati non per coprirsi dal rischio di volatilità, ma con finalità speculative. Per loro sarà stabilito un limite di posizione, una soglia di cifra investita che non potranno superare. Questa soglia è stata fissata a un livello tale da assicurarne l’efficacia? Ancora non si può dire, perché la norma va ancora implementata, è una delle tantissime regolamentazioni dei mercati finanziari che dovranno trovare specifiche attuazioni da parte della autorità europee e nazionali. La soglia sarà legata a una serie di variabili, non sarà fissa, e quindi c’è in effetti il timore che il "tetto" all’uso di derivati sia fissato a un li-

APPUNTAMENTI COLLOQUIUM

DIRITTO AL CIBO, PACE E DEMOCRAZIA

«Regolare i DERIVATI del cibo» Oggi la finanza sui prodotti agricoli fa meno paura. Sciarrone Alibrandi: «Più tutele, ma anche opportunità» La docente di Diritto dell’Economia alla Cattolica, Antonella Sciarrone Alibrandi

vello così alto, anche rispetto alle attuali posizioni dei mediatori finanziari nel mercato agricolo, da non essere poi davvero protettiva. Infine è chiaro che se Stati Uniti ed Europa si danno certe regole mentre in altri mercati – come quello asiatico, che è particolarmente esposto al rischio di volatilità – si continua ad operare liberamente, allora a livello globale il problema non si risolve. Quali sono i prossimi passi avanti da compiere? Io ne vedo due, in particolare. In Europa c’è un problema di dialogo tra i vari direttorati. Quello per l’Agricoltura ha preparato la nuova Politica agricola comunitaria, che ha un approccio più liberista, quindi protegge meno gli agricoltori dai rischi del mercato agricolo, e nel suggerire ai coltivatori diversi meccanismi per proteggersi ricorda l’esistenza delle assicurazioni mentre stranamente non fa nessun riferimento ai derivati, sui quali sta lavorando il direttorato per le Finanze. Eppure su questo punto, e questo secondo me è il secondo passo avanti da fare, bisognerebbe fare più eduPER LA DOCENTE DI DIRITTO cazione, per spiegare agli DELL’ECONOMIA DELLA agricoltori, che sono spesC ATTOLICA È PIÙ DIFFICILE CHE so imprese di taglia molto CRISI COME QUELLA DEL 2007- piccola, come usare bene 2008 POSSANO RIPETERSI. strumenti finanziari utili a MA OCCORRE FARE DI PIÙ. proteggerli dai rischi del E AIUTARE GLI AGRICOLTORI mercato. © A USARE BENE LA FINANZA

«Diritto al cibo. Pace e democrazia. Ricerca e Educazione in prospettiva etica». È il tema di un Colloquium internazionale che si terrà a Milano dal 17 al 19 settembre. L’evento rientra fra le iniziative promosse dalla Santa Sede per Expo 2015 ed è organizzato dall’Università Cattolica del Sacro Cuore con la Congregazione per l’Educazione Cattolica e la Federazione Internazionale delle Università Cattoliche (Fiuc). Il 19 settembre il Colloquium si concluderà con un evento presso il sito Expo durante il quale verranno presentati i risultati delle giornate di lavoro precedenti, dando rilievo alle analisi e alle proposte più innovative pervenute da tutto il mondo in tema di lotta alla povertà e alla malnutrizione, accesso al cibo e politiche di cooperazione e sviluppo. CONVEGNO

A TAVOLA CON DIO E CON GLI UOMINI

«A tavola con Dio e con gli uomini: il cibo fra antropologia e religione». È il titolo del secondo evento coordinato dall’Università Cattolica del Sacro Cuore fra le iniziative individuate dalla Santa Sede per Expo 2015, organizzato dal Progetto «Filosofia ed esperienza religiosa», promosso dal Dipartimento di Filosofia dell’Università Cattolica e dal Servizio Nazionale per il Progetto Culturale della Cei. Il Convegno si aprirà il 7 ottobre 2015 presso il sito Expo e sarà inaugurato dall’intervento di Sua Eminenza il Card. JeanLouis PierreTauran. I lavori proseguiranno nei due giorni successivi, 8 e 9 ottobre, presso la sede di Milano della Cattolica.Filosofi, teologi cattolici e ortodossi e studiosi esponenti delle comunità ebraiche e islamiche si confronteranno sul rapporto ricco, complesso, e talvolta problematico, tra uomo e cibo, in dialogo con esperti provenienti da altre discipline come la psicologia e il diritto.

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> Lucia Capuzzi

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are del buon formaggio è il nostro orgoglio». La scritta spicca sull’edificio giallo della "quesera", come gli abitanti di Salinas di Guaranda chiamano Producoop, la prima impresa comunitaria, nata 37 anni fa. Ormai, in questo paesino sospeso fra le Ande, a quasi 4mila metri d’altezza, se ne contano 33. Salinas è un pullulare di attività economiche che producono di tutto, dalle marmellate, ai tessuti, al cioccolato. E garantiscono pieno impiego ai 4mila abitanti, quasi tutti indigeni quechua. Non poco in una nazione – l’Ecuador – in cui, nonostante i progressi degli ultimi anni, sottooccupazione e lavoro nero sono realtà drammaticamente diffuse.

L’IDEA DEL VESCOVO Questa cittadina incastonata sul monte Chimborazo lo ha sperimentato sulla propria pelle: fino agli anni Settanta i residenti erano costretti ad "accontentarsi" dei 20 centesimi al giorno offerti dai padroni della terra e delle sue saline: i Cordobez. «Poi, un vescovo, tornato entusiasta dal Concilio, ha avuto l’idea di liberare i poveri attraverso il risparmio. Per questo fondò, con una donazione di 2mila dollari, il Fondo ecuatoriano Populorum Progressio (Fepp)», racconta Bepi Tonello. Originario di Careano San Marco, nel trevigiano, questo signore dalla vitalità contagiosa vive nello Stato latinoamericano da 45 anni. Vi è arrivato da giovane laico salesiano insieme all’amico sacerdote, don Antonio Polo, su richiesta proprio di quel vescovo appassionato del Concilio, monsignor Cándido Rada, per un periodo di volontariato. Mai interrotto. Nel luglio del 1971, Salinas era un pugno di capanne di paglia e fango, l’8 per cento della popolazione sapeva leggere e scrivere, un bimbo su due moriva di fame prima di compiere cinque anni. Il motore della "rivoluzione senza armi" è racchiuso nell’edificio numero 1, un fabbricato verde di due piani che ospita Coacsal, la Cooperativa di risparmio e credito. LA CHIAVE PER EMANCIPARSI «Nessuno è così povero da non poter risparmiare almeno uno spicciolo. Tutto sta nello spiegare ai poveri che quelle briciole da sole non valgono niente, unite insieme sono la chiave per emanciparsi», spiega Bepi. Carmita è stata tra le prime, con il fratello Germán, a dare retta all’italiano. Poi sono arrivati i parenti, gli amici… Ora Coacsal ha 4mila soci ed eroga prestiti annuali per un totale di quasi 4 milioni a interessi inferiori a quelli "standard". Senza considerare, poi, che ai piccoli agricoltori indigeni nessuna banca farebbe credito. Sbagliando: Coacsal ha un tasso di insolvenza inferiore al 3 per cento. «Si tratta solo di dare fiducia ai poveri per farli cominciare. Poi vanno avanti da soli», afferma Tonello. Da questi soldi è nata la "quesera" e le altre fabbriche di Salinas. «Fin da subito abbiamo pensato che fosse importante aggiungere valore all’intera catena produttiva. Vendendo, cioè, non soltanto la mate-

Il formaggio che nasce dal CREDITO Salinas, in Ecuador, è un piccolo distretto di produzione alimentare Nato dall’intuizione di un vescovo, sostenuto dalla banca cooperativa ria prima ma il prodotto trasformato. Così sono arrivate le imprese comunitarie dove nessuno è padrone ma il capitale resta sociale e viene reinvestito nella comunità», dice Bepi. «L’idea ci è venuta quando è arrivato lo svizzero Joseph Dubach e ha iniziato ad insegnare alle persone a fare il formaggio – aggiunge don Antonio Polo –. È venuto bene, e abbiamo continuato». Il "modello Salinas" è stato esportato: le banche di villaggio sono quasi 400. Nel 1998 dal Fepp è nata Codesarrollo (oggi banCodesarrollo), una banca dedicata a rafforzare e offrire servizi alla rete di tali realtà. È di questa rete, e in particolare di banCodesarrollo, che da oltre 13 anni le Banche di Credito Cooperativo italiane sono partner, attraverso il progetto Microfinanza Campesina in Ecuador, con l’obiettivo condiviso di contribuire allo sviluppo della finanza popolare nel Paese. «Per innescare sviluppo non sono sufficienti i soldi. Si devono innescare i processi», conclude Tonello. Questo è Salinas: un laboratorio di sogni che, pian piano, si avverano. © RIPRODUZIONE RISERVATA

Produzione di formaggi nel caseificio di Salinas, villaggio sulle Ande dell’Ecuador

L’UTILE IMPRESA

Dal passeggino alla lavatrice La vita comune della "social street" > Giulia Cerqueti

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è la coppia che trova, gratuitamente, il passeggino per il figlio appena nato, chi offre l’uso della propria lavatrice a chi, nel suo edificio, non ce l’ha in appartamento, chi si offre di riparare il lavandino al vicino di casa e in cambio riceve un aiuto per spostare dei mobili. C’è chi deve affrontare un viaggio in un’altra città e trova delle persone del suo quartiere con cui condividere l’auto e le spese; c’è chi scambia in forma di baratto oggetti o vestiti con il dirimpettaio. Storie delle "social street", strade o quartieri che creano spazi di condivisione e di aggregazione mettendo in contatto fra di loro, attraverso gruppi su Facebook, gli abitanti, i vicini di casa. L’idea della "strada sociale" si ispira ai fondamenti della "sharing economy", l’economia fondata sulla forza della condivisione: incontrarsi tra vicini permette di condividere bisogni, scambiarsi professionalità e competenze, mettere in comune conoscenze e progetti, secondo principi di solidarietà e reciprocità. La "strada sociale", in fondo, riproduce a livello cittadino il modello del paese tradizionale dove tutti si conoscono e si aiutano. La prima "social street" è stata via Fondazza a Bologna, lanciata a settembre del 2013. Dal successo di quella prima iniziativa l’esperienza si è diffusa rapidamente in tutta Italia, a Bologna, Milano, Roma, Firenze, Palermo. Ogni strada si organizza in modo autonomo. Si promuovono incontri, feste, iniziative culturali e solidali, magari anche coinvolgendo gli esercizi commerciali del quartiere. Occasioni di condivisione e anche di socializzazione, per conoscersi tra vicini, tra inquilini dello stesso edificio, per stringere amicizie, per vivere il proprio quartiere come una comunità. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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> Antonio Maria Mira

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l più grande è moderno impianto per la selezione dei rifiuti si trova nella "terra dei fuochi". Esattamente nell’area industriale di Carinaro, proprio a fianco della Whirlpool. Ma mentre la multinazionale anche dopo l’accordo migliorativo sta mandando a casa centinaia di operai, l’italianissima Sri (Società recupero imballaggi) ne fa lavorare 70, alcuni dei quali persone svantaggiate. A guidare l’azienda campana sono i due fratelli gemelli (ma diversissimi, non solo fisicamente...), Antonio e Nicola Diana, 48 anni appena compiuti. Una storia difficile e drammatica quella della loro famiglia, da quel 26 giugno 1985 quando il loro papà Mario, imprenditore legato a Montefibre, venne ucciso da un commando camorrista dei "casalesi" costituito dall’allora giovanissimo Antonio Iovine ’o ninno, diventato poi uno dei boss del clan, e dai killer Dario De Simone e Giuseppe Quadrano, il materiale esecutore dell’omicidio di don Peppe Diana, il parroco di Casal di Principe ucciso il 19 marzo 1994.

UN LAVORO IN MEMORIA Mario Diana era invece di Casapesenna, altro paese simbolo del potere camorrista, soprattutto di quello imprenditoriale. Ma lui, come emerso nei processi che hanno portato alla condanna dei camorristi (De Simone e Quadrano, oggi collaboratori di giustizia, hanno avuto un forte sconto), «era una brava persona». Lo disse in una conversazione intercettata una donna del clan. Già allora Mario Diana aveva capito l’importanza di una gestione corretta dei rifiuti e del loro recupero e riciclaggio. I figli, Antonio, Nicola e le sorelle Teresa e Luisa, ne hanno portato avanti la memoria e le idee, prima con l’Erreplast, sempre a Carinaro, la più importante azienda del Sud che ricicla le bottiglie e i contenitori in Pet (acqua, bibite, shampoo, ecc.) per trasformarli in scagliette, plastica cosiddetta "materia prima seconda" per fare nuovi contenitori, ma anche abbigliamento (pile), parti di auto, imbottiture. Poi con la Sri che seleziona i rifiuti della raccolta differenziata, il cosiddetto multimateriale: plastiche, vetro, metalli, carta e cartone. Da poche settimane è entrato in funzione il nuovissimo impianto, il più grande e moderno d’Europa. Una struttura gigantesca (tecnologia tedesca), un vero "mostro" della buona gestione dei rifiuti. Realizzato in appena 75 giorni lavorativi, combina le più innovative tecnologie di selezione, integrando automatismi e lavoro artigianale. Ha una capacità di trattamento di 14 tonnellate l’ora grazie a due va-

«Ricicliamo RIFIUTI liberi dalle mafie» Nella Terra dei fuochi un moderno impianto di riciclaggio Lo gestiscono i figli di un imprenditore vittima di camorra UOMINI E NATURA

Legalità in fattoria e attenzione per l’ambiente È la buona Calabria

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Figli di Mario Diana, imprenditore ucciso dai casalesi, Antonio e Nicola sono al fianco di iniziative di Libera, Comitato don Peppe Diana, Legambiente

gli balistici, nove detector ottici per la selezione automatica, 15 postazioni di selezione, 15 contenitori automatici, due presse.

LA BOMBA EVITATA Davvero una struttura fantascientifica che seleziona in base a materiali, peso, colore. Lunghi nastri trasportatori che si incrociano, rifiuti che scompaiono per poi ricomparire ben separati, grande tecnologia ma sempre accompagnata dall’occhio dell’uomo. Operai ben tutelati (il rumore è assordante...) alcuni dei quali hanno trovato in questo lavoro un’occasione di riscatto. Lo stesso motivo per il quale i fratelli Diana, da sempre al fianco di iniziative di Libera, Comitato don Peppe Diana e Legambiente, hanno dato vita due anni fa alla Fondazione Mario Diana con lo scopo di valorizzare e sostenere iniziative in campo sociale, culturale e ambientale. Scelte non facili in terra di camorra. Tentativi di "avvicinamento", minacce ricorrenti fino alla grande bomba d’aereo della seconda guerra mondiale inserita tra i rifiuti inviati nel vecchio impianto. Scoperta in tempo, evitando una strage. Ma i fratelli Diana non mollano e rilanciano col nuovo impianto e nuove iniziative per la loro terra. Perché, dicono, «superare NELL’AREA INDUSTRIALE DI C ARINARA I FRATELLI DIANA SONO l’emergenza rifiuALLA GUIDA DELLA PIÙ GRANDE ti in Campania AZIENDA DEL SUD CHE RICICLA vuol dire sopratBOTTIGLIE DI PLASTICA E DI UN tutto un’assunzioIMPIANTO MODELLO IN EUROPA PER ne di responsabiGESTIRE LA RACCOLTA lità collettiva con DIFFERENZIATA. «SUPERARE l’obiettivo di curaL’EMERGENZA RIFIUTI IN C AMPANIA re e salvaguardare VUOL DIRE ASSUMERSI UNA GRANDE il Creato». © RESPONSABILITÀ COLLETTIVA»

ormaggi di altissima qualità ma anche energia pulita prodotta con gli scarti dell’agricoltura, in un territorio ad alto rischio legalità. E ancora attività didattica. È la "Fattoria della Piana", di Candidoni in provincia di Reggio Calabria, al confine col Vibonese, terra di clan potentissimi. Nata nel 1936, si è trasformata negli ultimi anni in una modernissima azienda fortemente legata al territorio e alla sua tradizione. Un vero simbolo di qualità e impegno, al punto da rappresentare la "buona Calabria" nel Palazzo Italia dell’Expo. Cooperativa di allevatori, la più grande fattoria della provincia, produce formaggi della tradizione calabrese col latte delle proprie mucche (900 capi in stalle modernissime con "massaggiatori" automatici e pannelli fotovoltaici), e di pecore e capre di pastori dell’Aspromonte, del Monte Poro e della Sila crotonese. Qualità dei prodotti e grande attenzione all’ambiente. La Fattoria è, infatti, energicamente autonoma e totalmente ecosostenibile. Questo grazie all’impianto di biogas e alla centrale agroenergetica da 998 kw, la più grande del Centro-Sud. Il letame, i liquami, il siero, gli scarti agricoli, propri e di altre aziende, vengono trasformati in gas poi bruciati producendo energia elettrica e termica. Un vero ecosistema autosufficiente. Anche perché i resti della traformazione in biogas diventano ottimo concime biologico per la produzione di foraggi. Un vero "laboratorio all’aperto" che ospita scuole e gruppi che vi possono svolgere tante attività didattiche. (A.M.M.) © RIPRODUZIONE RISERVATA

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UN POSTO A TAVOLA

Il ritorno alle origini in cucina e nel piatto è anche un momento da vivere insieme > Renata Maderna

I rischi dell’OBESITÀ si vincono nel piatto Essere sovrappeso espone al rischio di malattie infiammatorie > Luca Liverani

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rasso da bruciare o grasso che brucia? Che i chili di troppo non creino solo problemi estetici lo sappiamo tutti. Che l’obesità invece sia uno "stato infiammatorio cronico" forse è meno noto. Proprio così. Il sovrappeso grave porta con sé il rischio di molte malattie: di tipo infiammatorio, dunque, ma anche degenerative. È un campo di studio in cui i ricercatori della Cattolica di Roma sono attivissimi: sotto la lente ci sono i meccanismi molecolari che trasformano l’azione infiammatoria dei chili di troppo.

IL DECALOGO DEI CIBI ANTINFIAMMATORI Quali sono allora gli alimenti con proprietà antinfiammatorie e antiossidanti, che aiutano cioè a dimagrire e a proteggere dal rischio infiammatorio e vascolare? Quelli ricchi di sostanze antiossidanti: come il pesce, l’olio extravergine di oliva, i broccoli, i latticini, il pane integrale, l’aglio, l’ananas, le nocciole, le ciliegie. E per finire il té verde. «L’incidenza delle malattie infiammatorie e di quelle degenerative è in progressivo aumento nel mondo occidentale – spiega la dottoressa Elisa Gremese, del dipartimento di Scienze mediche del Policlinico Gemelli – e va di pari passo con l’aumento di obesità». ARTRITE REUMATOIDE E OBESITÀ L’obesità è ormai riconosciuta come una condizione di infiammazione cronica. Tutta colpa del tessuto adiposo: come un organo endocrino, il grasso in eccesso produce molecole coinvolte, oltre che nei processi metabolici, nei processi infiammatori cronici ed immunitari. Le ricerche evidenziano che pazienti obesi con artrite reumatoide, messi a dieta e senza modificazioni della terapia di fondo, riscontrano anche un netto miglioramento dell’infiammazione.

DIMAGRIRE FA BENE AL CUORE È sempre l’infiammazione a giocare un ruolo centrale nello sviluppo dell’aterosclerosi – forma di arteriosclerosi caratterizzata da infiammazione cronica delle arterie – e di conseguenza delle malattie cardiovascolari, prima causa di mortalità a livello globale. Alla Cattolica hanno osservato che un calo di peso significativo, dopo interventi di chirurgia sull’apparato digerente, favorisce anche un rimodellamento cardiaco positivo.

Un’alimentazione più attenta riduce il pericolo di patologie legate al peso eccessivo

PIÙ MAGNESIO NEL PIATTO Tra le sostanze importanti da assumere c’è sicuramente anche il I RICERCATORI DEL magnesio. «Una ricerca preclinica GEMELLI HANNO della nostra Università sulle ma- ANALIZZATO IL lattie infiammatorie croniche inte- LEGAME TRA I CHILI DI stinali – aggiunge la dottoressa TROPPO E LA SALUTE. Gremese – mostra che una caren- COME DIFENDERSI za di magnesio, implicato nella re- MANGIANDO ALIMENTI golazione di processi infiammato- RICCHI DI SOSTANZE ri e autoimmuni, accentua la gra- ANTIOSSIDANTI vità della malattia di Crohn». Che migliora con una dieta ricca di magnesio: crusca, cioccolato fondente, frutta secca, mais e bieta. FLORA INTESTINALE DA SELEZIONARE Oggetto di ricerca è anche lo studio del microbiota intestinale, comunemente nota come flora batterica: anche questa è implicata nelle malattie infiammatorie croniche. Studi preliminari di diversi gruppi di ricerca della Cattolica mostrano che pazienti con patologie simili hanno una peculiare composizione del microbiota. La conoscenza approfondita delle popolazioni batteriche del nostro intestino può modularle in maniera precisa, tramite la dieta o l’utilizzo di pre o pro-biotici.

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ra i ricordi più belli dell’infanzia di molti ci sono sicuramente quei momenti in cui si osservavano i propri nonni preparare un cibo speciale, anzi un piatto che era speciale perché "ricorrente" come tutti quelli che si ripetevamo uguali ogni anno in determinate occasioni. Natale, Pasqua o una domenica di festa per il Santo Patrono o il compleanno di un familiare… non importa quale fosse l’occasione, perché quel che contava era perdersi nel lavoro sicuro di quelle mani che facevano agnolotti o mescolavano il ragù o mettevano al fuoco il bollito o facevano scivolare nel piatto la frittura dolce. Ed era proprio la ripetitività, intrecciata alle tradizioni familiari, non scritte ma non per questo meno certe, che regalava la sicurezza del cordone degli affetti e della gioia dei momenti buoni, indelebili nella memoria. Si parla tanto oggi di ritorno alle origini culinarie e al rispetto del succedersi delle stagioni e dei ritmi della natura (che non contemplano certo il trasporto aereo dal Perù dei mirtilli d’inverno o degli asparagi in autunno) ma forse uno dei ritorni da assaporare nel profondo sarebbe proprio ricostruire quei momenti, magari con l’aiuto dei bisnonni, una fortuna che ormai molti bambini hanno oppure (anche se gli anziani sono andati per sempre a proteggere i piccoli di casa da altrove) riproporli ai bambini in prima persona, coinvolgendoli nella fattura, a scapito magari del risultato, che comunque non potrà assomigliare mai a quei cappelletti o a quella torta. Anche perché gli ingredienti della vita avranno aggiunto tanto, troppo, realismo e tolto un pizzico di sogno… Ma il calore, lo stare insieme, il far festa che sa apprezzare la ripetizione e rinunciare all’originalità a tutti i costi, c’è da scommettere che regalerà se non uguale gioia, sicuramente altrettanta serenità. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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Il pranzo di Babette, del 1987, è tratto dall’omonimo racconto di Karen Blixen. È tra i film preferiti da papa Francesco

CINEMA & CIBO

La febbre dell’Oro, film muto del 1925 scritto e diretto da Charlie Chaplin

Il pranzo al CINEMA ha un gusto sacro Nei film la tavola diventa servizio, amore, giustizia, verità Dall’«Albero degli zoccoli» al «Pranzo di Babette» > Alessandro Zaccuri

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on c’è stato bisogno di attendere la pubblicazione dell’enciclica Laudato si’ per scoprire che tra i film preferiti di papa Francesco ce n’è uno in cui il cibo la fa da padrone. In senso evangelico, però, ossia nella prospettiva per cui mettersi al servizio degli altri rappresenta la più alta forma di regalità. È quello che insegna la parabola del film che il Papa ama: Il pranzo di Babette, ineguagliata novella della danese Karen Blixen portata sul grande schermo nel 1987 dal suo connazionale Gabriel Axel. Le brume del Nord, una governante che viene accolta per dovere di carità da due pie sorelle, figlie di un rigoroso pastore protestante nei cui insegnamenti il cibo non è che una necessità del corpo e, come tale, va tenuta in sospetto. Fino a quando Babette, la serva, non ha l’occasione di rivelare la regina che si nasconde in lei, la grande cuoca che un tempo incantava Parigi e che adesso, sia pure per una sola sera, porta la gioia sulla tavola delle sue benefattrici.

CIBO E COMUNITÀ Il cibo è una presenza costante nella storia del cinema. Si va dalla fame atavica rappresentata da Charlie Chaplin nella Febbre dell’oro (1925), con il vagabondo Charlot che, in mancanza di meglio, aggredisce una scarpa con forchetta e coltello, fino al capolavoro Pixar Ratatouille (2007), cartone animato a più strati di farcitura: divertente per i bambini, divertente e profondo per gli adulti, e via combinando gli ingredienti. Proprio come fa il protagonista Remy, un topo che non si accontenta di trangugiare quel che capita sotto i denti, ma sperimenta accostamenti, ricette, invenzioni degne dello chef

All'Edicola della Caritas in Expo si può vedere la mostra fotografica “Italian Film Food Stories”, organizzata dalla Fondazione Ente dello Spettacolo in collaborazione con il Centro Sperimentale di Cinematografia

che sogna di essere. Il cibo può indicare un nuovo orizzonte comunitario, come accadeva in Indovina chi viene a cena (1967), dove il banchetto tra futuri suoceri è complicato dal colore della pelle dei promessi sposi: bianca lei, nero lui (l’attore era la star afroamericana Sidney Poitier). Prima di mettere le gambe sotto il tavolo passa un bel po’ di tempo, praticamente l’intero film, dominato dal carisma dei padroni di casa. La madre della ragazza è Katharine Hepburn, il padre un magnifico, crepuscolare Spencer Tracy. Il finale è storia nota (e comunque sì: si sposano), ma quello che qui interessa è che mangiare insieme significa sempre e comunque essere insieme. Comprendersi, allearsi, addirittura amarsi.

POVERTÀ E DIGNITÀ Altro che il nichilismo gastronomico di Marco Ferreri nell’autodistruttivo La grande abbuffata (1973), altro che le smancerie di Julia Roberts davanti ai supplì in Mangia prega ama (2010). Anche quando il lieto fine viene negato, nel cibo rimane qualcosa di misterioso, e misteriosamente prossimo al sacro. Si pensi a un bellissimo film di qualche anno fa, cioè Cous Cous del franco-tunisino Abdellatif Kechiche (2007) e, più ancora, all’Albero degli zoccoli di Ermanno Olmi (1978), drammatica elegia di MANGIARE INSIEME un mondo contadino per il quaSIGNIFICA SEMPRE E le il pasto comune, nella sua COMUNQUE ESSERE frugalità, si trasforma in una INSIEME. COMPRENDERSI, cerimonia silenziosa e solenne, ALLEARSI, ADDIRITTURA dignitosa nella sua povertà. AMARSI. ANCHE Qualcosa che riguarda la giuQUANDO IL LIETO FINE stizia, qualcosa che riguarda la VIENE NEGATO, NEL CIBO verità. Qualcosa, in ogni caso, RIMANE QUALCOSA che riguarda il Vangelo. © DI MISTERIOSO

Indovina chi viene a cena, pellicola del 1967 sui pregiudizi razziali degli americani

L’albero degli zoccoli, 1978, regia di Olmi Storia di 4 famiglie della Bassa Bergamasca

Cous Cous, (2007) padre licenziato apre un ristorante per garantire un futuro ai figli

Ratatouille, lungometraggio del 2007 con il topo Rémy e il suo sogno di cucinare

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«Tutto il bello dell’ITALIA» Marco Balich ha ideato l’Albero della Vita e la mostra sul nostro Paese. «I mercati rionali laboratori a cielo aperto» > Giusi Galimberti

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eneziano, classe 1962, Marco Balich si definisce «un produttore, un semplice imprenditore». In realtà è regista, maestro di cerimonie, scenografo. E uno dei più grandi esperti al mondo nei giochi di suoni e luci. Non per niente può vantare di aver organizzato concerti di artisti come Pink Floyd e U2. Un talento che il mondo ci invidia e che ha cercato di rubarci in più di un’occasione. Dopo aver curato la cerimonia di chiusura dei Giochi olimpici invernali di Torino è stato nominato dal Comitato olimpico internazionale responsabile del Protocollo per i Giochi di Pechino del 2008. Poi ha curato la direzione artistica della cerimonia di chiusura dei XXII Giochi olimpici invernali 2014 di Sochi. E in questi mesi è già al lavoro come produttore esecutivo per le celebrazioni delle Olimpiadi di Rio de Janeiro 2016, in Brasile. Nel 2012 è stato nominato direttore artistico della presenza italiana per Expo 2015 e tutti ormai lo conoscono come il creatore del vero simbolo dell’esposizione universale: l’Albero della Vita. Si dice che Lei lo volesse molto più imponente… «In effetti lo immaginavo ancor più alto dei suoi 37 metri e svettante nel cielo, a rappresentare lo slancio italiano verso il futuro. Ma come per ogni cosa, c’era un limite di budget... L’Expo doveva avere un simbolo e qualcuno all’inizio non era d’accordo con me. Ma l’ho voluto a tutti i costi e adesso eccolo lì, al centro di Lake Arena, un monumento alla vita, comune a molte culture. Nello stesso tempo monumento, installazione, centro di attrazione dell’esposizione milanese specie per chi viene la sera. Dopo il tramonto, lo spettacolo di giochi di acqua, luce e musica incanta davvero un po’ tutti». Balich si ferma a guardare quel gigante con i poderosi intrecci di legno e acciaio e i suoi occhi azzurri si perdono nel vuoto, come ad aspettare anche un nostro giudizio. Uno sguardo vivace, quasi da bambino. E conclude: «Padiglione Italia con la sua mostra e l’Albero della vita sono tra le cose più visitate di Expo. Per me non potrebbe esserci gioia più grande». A proposito di mostre: Vivaio Italia è una mostra davvero speciale. Qual è stata la sua filosofia nel concepirla? «Non sono mai stato un curatore di mostre», dice Balich mentre ci fa da guida nelle sale di Palazzo Italia, «e per celebrare le bellezze e le eccellenze del nostro Paese non sarei stato capace di creare qualcosa di simile a un museo, almeno nella accezione tradizionale del termine. Così ho cercato di non guardare al passato ma

L’albero della Vita è il simbolo dell’Esposizione Universale di Milano Sotto, l’architetto Marco Balich

di spingere lo sguardo avanti. Anche con alcune provocazioni». Per esempio? «Il plastico dell’Europa e del bacino del Mediterraneo da cui è stato cancellato il nostro Paese. E la domanda, una sfida, posta anche ad alcuni personaggi internazionali, come il designer francese Philippe Starck e lo chef spagnolo Ferràn Adrià: come sarebbe il mondo senza l’Italia? E poi le sale delle bellezze italiane, con immagini e filmati di paesaggi, palazzi e interni che sembrano tridimensionali o frazionati e ingranditi come attraverso un caleidoscopio. Ogni Regione italiana ha selezionato i suoi luoghi di eccellenza e noi, dopo averli filmati e grazie a giochi di specchi, siamo riusciti a creare qualcosa di insolito e affascinante. Qui arrivano ogni giorno migliaia di ragazzini e volevo usare un linguaggio fatto di immagini e musica che parlasse soprattutto a loro». All’ingresso di Palazzo Italia ci

«A VISITARE PADIGLIONE ITALIA ARRIVANO OGNI GIORNO MIGLIAIA DI RAGAZZINI E VOLEVO USARE UN LINGUAGGIO FATTO DI IMMAGINI E MUSICA CHE PARLASSE SOPRATTUTTO A LORO»

sono dei video che mostrano immagini di mercati. Perché questa scelta?

«I monitor sono collegati in diretta con tre mercati italiani: la Vucciria di Palermo, Rialto a Venezia e Campo dei Fiori a Roma. I mercati rionali sono uno spazio di visibilità per l’eccellenza agro-alimentare italiana, ma anche luoghi dove da secoli le comunità, raccolte intorno al cibo, scambiano esperienze e conoscenze. Sono spazi vitali, laboratori a cielo aperto». Chi sono i personaggi "parlanti" che si incontrano invece al primo piano? «Il piano è dedicato al "saper fare" all’italiana, alla capacità di uomini e donne di modificare il territorio, in modo amorevole e sostenibile, per renderlo produttivo. Una serie di sculture prende vita e racconta delle storie, quelle di altrettanti personaggi che ci sono stati segnalati dalle Regioni italiane per ingegno, creatività – e capacita – appunto di "fare". Si va dallo chef, Niko Romito, tre stelle Michelin, per l’Abruzzo a Francesco Cucari, digital maker del dizionario dei rifiuti per la Basilicata, fino a Pina Amarelli, calabrese, la cui azienda produce la migliore liquirizia del mondo». Si parla di Vivaio Italia e in effetti ci sono anche delle piante… «Abbiamo creato una vera Italia in miniatura, dove sono piantati erbe, arbusti, alberi più rappresentative dei territori di ogni regione italiana». © RIPRODUZIONE RISERVATA

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INUTRIAMO LO SPIRITO

RICETTE DI SANTITÀ

La «kremowka» di papa Wojtyla: mangiò 18 porzioni ma perse la gara > Matteo Liut

I CRISTIANI insieme «Expo per svoltare» > Giacomo Gambassi

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icordano che il «pane è elemento essenziale per la vita dell’uomo». E che occorre «rimuovere le cause delle diseguaglianze» per arginare il «dramma della fame e della sete». Poi citano alcuni passi del Vangelo: «Non di solo pane vive l’uomo»; «Io sono il pane che dà la vita»; e il richiamo di Gesù agli apostoli: «Date voi qualcosa da mangiare a questa gente». Le Chiese cristiane di Milano scrivono ai visitatori di Expo: per dare loro il benvenuto, ma soprattutto per dire che l’Esposizione universale non è solo padiglioni o eventi. Va, piuttosto, considerata un’occasione per offrire «una svolta sulla scena mondiale» guardando al tema dell’evento (“Nutrire il pianeta, energia per la vita”).

EMERGENZA PLANETARIA La lettera aperta è firmata dalle diciassette confessioni – di tradizione occidentale e orientale – che formano il Consiglio delle Chiese cristiane di Milano, l’esperienza di dialogo ecumenico e di comunione nata nel 1998. Oltre la Chiesa cattolica, ne fanno parte Chiesa anglicana, Chiesa apostolica armena ortodossa, Chiesa copta ortodossa d’Egitto, Chiesa cristiana protestante, Chiese battiste, Chiesa metodista, Chiesa valdese, Chiesa luterana svedese, Chiesa ortodossa bulgara, Chiesa ortodossa di Eritrea, Chiesa ortodossa etiope, Chiesa ortodossa greca, Chiesa ortodossa romena, Chiesa ortodossa russa, Chiesa ortodossa serba ed Esercito della salvezza. Nella missiva si spiega che la mancanza di beni essenziali alla vita e le gravi disparità nella «distribuzione del cibo e delle risorse» rappresentano un’«emergenza planetaria» e le Chiese di Milano «si sentono interpellate perché è uno scandalo che un miliardo di fratelli e sorelle non abbia cibo sufficiente o accesso all’acqua». Il Consiglio ecumenico si dice pronto a «cogliere l’occasione» di Expo per «ricordare innanzitutto a noi stessi l’importanza dell’amore per il prossimo» che si esprime anche nella «condivisione del ci-

È rivolta ai visitatori dell’Expo la lettera delle chiese cristiane milanesi

bo». Le Chiese richiamano al «rispetto per la vita», alla «tutela e la promozione della dignità umana», all’«uguaglianza» e alla «giustizia» come basi per una «globalizzazione della speranza». E chiedono che l’Expo diventi una ribalta per impegnarsi a «rimuovere le cause delle disuguaglianze».

UN CAMMINO COMUNE Nella lettera viene offerta anche una lettura dell’Esposizione universale alla luce della Sacra Scrittura. Così il verbo “nutrire” si lega al pane, elemento centrale nella Bibbia, e rimanda alla «fraternità». E l’“energia” non è solo quella fisica, ma c’è anche «la grazia dello Spirito Santo» che «regge l’universo». Sempre il testo denuncia le «cattive pratiche» che hanno accompagnano l’appuntamento: arresti, tangenti, ritardi. La missiva ricorda che, di fronte al dolore delle popolazioni, «nessuno può pensare di salvaguardare il pianeta da solo». C’è bisogno di un «cammino comune». E serve che «ciascuno di noi non resti alla finestra» cominciando dalle «piccole realtà quotidiane» in cui possono essere proposte «opere di trasformazione delle nostre società» verso la «giustizia», la «solidarietà», la «tutela del creato». Le Chiese di Milano hanno messo a punto anche un calendario di iniziative. Nelle 26 settimane di Expo vengono promossi "incontri di lode e condivisione", una volta alla settimana, il giovedì alle 19, in un diverso luogo di culto delle varie comunità. All’interno del sito dell’esposizione, tutte le domeniche alle 8.30, viene celebrata la Messa nell’auditorium di Cascina Triulza. Invece in città le Chiese protestanti organizzano ogni giorno momenti di acL’ESPOSIZIONE COME OCCASIONE coglienza e prePER «UNA SVOLTA SULLA SCENA ghiera, mentre la MONDIALE» CAPACE DI Chiesa valdese ha «RIMUOVERE LE CAUSE DELLE in programma ogni DISEGUAGLIANZE». LO SCRIVONO seconda domenica IN UNA LETTERA APERTA AI del mese il culto eVISITATORI LE 17 CONFESSIONI vangelico in due DEL CONSIGLIO DELLE CHIESE lingue. © CRISTIANE DI MILANO

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nche il cibo può essere un mezzo per portare il Vangelo nella vita quotidiana se vissuto nella gioiosa condivisione di un piacere semplice. Ne è stato testimone un santo del calibro di Giovanni Paolo II, un testimone della fede che è entrato nel cuore dei fedeli grazie alla sua profonda umanità. Su questo aspetto di papa Wojtyla gli aneddoti potrebbero essere migliaia, ma ce n’è uno che mette al centro il cibo, anzi, un dolce, per essere precisi. L’anno è il 1999 e il contesto è la visita papale in Polonia: il 16 giugno Giovanni Paolo II visita i luoghi della sua infanzia a Wadowice e non nasconde la nostalgia per quei tempi lontani. Il legame profondo con la sua terra emerge chiaramente fin dalle prime parole pronunciate quel giorno. Poi il pensiero del Pontefice si rivolge verso un giorno particolare, dopo l’esame di maturità: con i compagni, racconta Wojtyla, si festeggiò in una pasticceria con una gara. Il premio sarebbe andato a chi avrebbe mangiato più porzioni di "kremowka", una torta fatta di pasta sfoglia e di crema. Una vera delizia, da concedersi solo per le occasioni speciali, prodotta da Karol Hagenhuber, pasticcere viennese, proprietario del locale frequentato da intellettuali e ufficiali nel centro di Wadowice. La torta è nota anche con il nome di "napoleonka", perché simile al millefoglie francese, il "Napoleone" appunto, costituito da tre strati di pasta sfoglia e un ripieno di crema pasticcera o panna o confettura. Ovviamente il 17 giugno 1999 a Wadowice non si trovava più una fetta di questo dolce subito ribattezzato "kremowka del Papa". Anche grazie a racconti come questi la figura di Karol Wojtyla, con tutta la sua eredità spirituale e teologica, è entrata nel quotidiano di milioni di fedeli, che lo hanno sempre considerato santo. Anche se, per la cronaca, non vinse la gara di "kremowka" con i compagni, nonostante le 18 porzioni mangiate. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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INUTRIAMO LO SPIRITO LE FORME DALLA LUCE

È uno dei grandi padri del Rinascimento, Giovanni Bellini. Artista raffinatissimo e innovatore fino agli ultimi anni di una vita particolarmente lunga (a Venezia nacque nel 1433 e lì morì nel 1516), compone con i più giovani Giorgione e Tiziano la "trinità" della pittura veneta. La sua carriera si sviluppò in ambito familiare, padre (Jacopo) e fratello (Gentile) pittori. Ma al linguaggio austero di un suo illustre cognato, il grande Andrea Mantegna, guardano i capolavori degli esordi. È nello studio di Bellini che nasce la "pittura tonale", ossia la linea – tutta veneta – che usa ogni possibile gradazione di colore e di luce per costruire le forme. Una pittura che si esalta con il paesaggio, ripreso dal vero e indagato nei suoi valori atmosferici, in cui spesso immerge le proprie figure: come nel capolavoro della Madonna del prato (1505). (A.Bel.)

E il deserto divenne GIARDINO L’«ora et labora» monastico insegnava anzitutto a trattare le cose come pegni ricevuti dalle mani del Creatore. Non siamo padroni, siamo solo custodi > Gloria Riva

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a Vergine s’impone allo sguardo dello spettatore con la sua enigmatica iconologia. Bellini ha voluto conferire a questa Madonna con il Bambino un non so che di definitivo, di stabile, dal quale lo sguardo vorrebbe solo fuggire e rifugiarsi nel paesaggio retrostante. I colori del manto e dell’abito (azzurro e rosa) la qualificano come la Vergine della Natività, ma lo sguardo mesto e la postura del Bambino la trasformano in una dolorosa pietà. La Madonna tiene sulle ginocchia il Cristo come se tenesse il libro della Torah, forse per questo l’artista la colloca in un prato. Come affermano i rabbini, la legge fu data a Mosè nel deserto, terra di nessuno, per affermare che era il dono di una legge per tutti. Anche Cristo è un dono per tutti, un corpo dato senza riserve che, tuttavia, chiede la risposta della nostra libertà.

IL CONTADINO INOPEROSO Nel Bimbo già si profila il Cristo morto, deposto dalla croce e dato in grembo alla Madre. Egli si tocca con la mano il costato, quasi a indicare la ferita dalla quale nascerà una nuova creazione. E l’urgenza di questa nuova creazione si contempla là, dietro le spalle di Maria. A sinistra vediamo un ibis che lotta contro un serpente, mentre un rapace, appollaiato

sull’albero secco, osserva minaccioso il duello. Poco oltre ecco un contadino inoperoso, appesantito dal sonno, lascia i campi incolti e gli animali da tiro inattivi. È l’accidia che così facilmente assale l’uomo quando non comprende la dimensione "altra" della vita. All’uomo è possibile sfruttare la terra o totalmente abbandonarla quando s’irrigidisce nel "qui ed ora", senza curarsi del fine. In realtà anche la creazione, come afferma Paolo, geme e soffre per le doglie del parto, in attesa di essere liberata dalla corruzione ed entrare nella gloria dei figli di Dio. Cristo è quell’ibis vittorioso che ha già vinto la lotta col male, rappresentato dal serpente, eppure senza la libera adesione dell’uomo a lui, tutto resta come sospeso, come sull’orlo di un precipizio. Del resto il male con la sua rapacità è sempre in agguato e, benché abbia già perso la guerra, il maligno tenta di vincere ogni più piccola battaglia. La gamba destra del Bambino sembra valicare il dipinto, sembra voler lasciare il confortante grembo materno e tornare alla passione; quasi non reggesse nel constatare la devastazione della creazione e l’incuria dell’uomo. Il movimento di questa gamba segna un divario, un punto di rottura tra il paesaggio di sinistra, appena contemplato e quello di destra. Sul lato destro, l’operosità umana è evidente: le torri di un antico castello con il

Giovanni Bellini, Madonna del prato, 1505 circa, Olio su tavola trasportato su tela, 67,3×86,4 cm. National Gallery, Londra

monastero e la Chiesa, dicono la perfetta interazione fra sacro e profano, fra tempo cronologico e tempo di salvezza. Gli animali sono attivi, gli steccati ben ordinati e diritti e un monaco zelante, attende al lavoro.

ORA ET LABORA Qui c’è qualcuno che ha preso sul serio la Torah e ha deciso in cuor suo di trasformare il deserto in un giardino. Qui c’è qualcuno capace di dirigere lo sguardo verso un disegno più ampio. L’ ora et labora monastico insegnava anzitutto a trattare le cose come pegni ricevuti dalle mani del Creatore. Non siamo padroni, siamo solo custodi e come tali dovremmo riconsegnare il podere del mondo ben ordinato e fiorente. Edifica il mondo però, solo chi edifica se stesso, chi al labora unisce quell’ora capace di tenere alto il fine e la fine di tutte le cose. Ci sovviene davanti a quest’opera un verso di Luigi Serenthà che, parafrasando Quasimodo, scriveva: Natale, ed è subito Pasqua. Sì, viviamo con lo stupore del Natale e l’urgenza della Pasqua, il nostro rapporto col Creato, consapevoli che nulla di ciò che è piccolo o provvisorio rimane senza approdo ultimo. Il più piccolo gesto, fatto dentro la certezza del proprio destino, conoscerà una profondità senza eguali. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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NOI EXPO luglio 2015

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L’INTERVISTA

L’AMORE E IL MATRIMONIO, L’ACQUA CHE SI TRASFORMA IN VINO, LA C ALABRIA COME LA GALILEA DI DUEMILA ANNI FA, IL LEGAME TRA UN BRACCIANTE AFRICANO E UNA RAGAZZA ITALIANA. È IL MODO CON IL QUALE IL REGISTA ITALIANO RIPORTA IL VANGELO AI GIORNI NOSTRI. COSÌ IL TEMA DELL’ALIMENTAZIONE SI INTRECCIA CON QUELLO DELL’EQUITÀ SOCIALE. PERCHÉ «DARE DA MANGIARE È COME DARE UN BACIO»

Pupi Avati: col cibo andiamo a NOZZE «Quello che dice il Vangelo andrebbe recuperato come modello ispiratore nei comportamenti sociali»

CHI È

DAL JAZZ ALLA REGIA Scrittore, produttore e regista, Pupi Avati nasce a Bologna nel 1938. Dopo gli inizi come musicista jazz accanto a Lucio Dalla, negli anni 70 si cimenta con la regia di film horror. Negli anni 80 e 90 dirige fiction e per il cinema commedie ambientate nella Bologna del dopoguerra ("Festa di Laurea", "Regalo di Natale","Storia di ragazze e di ragazzi"...). Dopo il 2000 convince ancora con film come "Il cuore altrove" o "Il papà di Giovanna". Di recente si è impegnato in lavori su Raiuno dedicati ai temi dell’immigrazione e della famiglia. Oggi è sul set per il film tv "Le nozze di Laura".

> Angela Calvini

L

e nozze di Cana del Terzo millennio si svolgono non in Galilea ma fra gli agrumeti della Calabria di oggi, fra i braccianti africani spesso irregolari che per pochi soldi si spaccano la schiena a raccogliere arance. Il miracolo non sarà quello dell’acqua che si trasforma in vino, ma l’amore sincero, e il matrimonio, fra un ragazzo di colore e un’italiana. I temi dell’alimentazione e dell’equità sociale, in linea con Expo 2015, sono al centro del nuovo lavoro per la tv di Pupi Avati, Le nozze di Laura che il grande regista bolognese sta preparando per Raiuno. «Porto il Vangelo in tv, trasportato ai giorni nostri, perché oggi tornare alla grande lezione evangelica è tutt’altro che inutile, anche per i non credenti» spiega Avati dal set. Un film che nelle intenzioni del regista dovrebbe diventare una serie in più puntate dal titolo La buona novella. «Abbiamo trasposto l’episodio evangelico fra i raccoglitori di agrumi subsahariani che arrivano da quell’altrove così tanto temuto e deprecato per lavorare e vivere in condizioni mortificanti». Per Avati, il tema dell’accoglienza e della condivisione è diventato sempre più importante: «Quello che dice il Vangelo andrebbe recuperato come modello ispiratore nei comportamenti sociali, di tutti, credenti e non. Amare il prossimo tuo come te stesso, considerare gli ultimi come primi. Oggi siamo arrivati agli antipodi, si vive all’opposto della lezione evangelica, l’unico metro di giudizio è quello economico».

UNA SVOLTA GLOBALE Avati, cantore di delicate storie familiari della sua Emilia, da qualche tempo rivolge la sua cinepresa verso Sud, come nel film tv per Raiuno Il sole negli occhi con Laura Morante che accoglie un piccolo profugo proveniente da Lampedusa. «Parlo di accoglienza contro la "cultura dello scarto" come la definisce papa Francesco. Questi esseri umani nelle mie storie riassumono una identità, sono individui, non una massa». Per Avati sarebbe il momento di una svolta globale radicale. «Se le riforme si ispirassero al Discorso della montagna avremmo una legislazione all’avanguardia che guarda con un occhio disincantato e onesto alla distribuzione dei beni della terra che sono tanti». Tutti temi al centro di questa Expo milanese, anche se Avati è disincantato. «L’alimentazione e la condivisione sono un tema centrale nell’esistenza nei riguardi del presente. Purtroppo questi grandi della terra

trovano una situazione del globo al loro arrivo e quando se ne vanno la lasciano peggiore. Vedere che le sperequazioni aumentano, avere depredato dei continenti nell’incoscienza che qualcuno si sarebbe presentato prima o poi alla cassa, con una violenza che si deve anche in qualche modo capire, avere distrutto un continente come l’Africa... Le responsabilità sono tante, non bastano le tavole rotonde fatte molto di parole e pochissimo di investimenti. Occorrerebbe una volontà comune, che gli Stati egemoni si mettessero d’accordo per risolvere questi grandi temi: povertà, fame, paura. Allora il mondo tornerebbe a essere praticabile, felice e non esposto a questi rischi crescenti. Mi auguro che Expo proponendo incontri e conoscenza reciproca diminuisca un po’ le diffidenze».

CIBO COME AMORE C’è anche, per Avati, un aspetto legato al cibo e alla sua terra natale, l’Emilia. Si ricordano i banchetti conviviali di tanti suoi film da Festa di laurea a La cena per farli conoscere. «Ho fatto un film che si fondava tutto sul cibo, Storie di ragazzi e di ragazze – racconta Avati –. Era la storia del fidanzamento di mio padre e mia madre, l’incontro fra due famiglie di estrazione diversa: mia madre arrivava da un mondo contadino e operaio, mio padre da una famiglia di antiquari un po’ snob. Per il fidanzamento organizzarono un pranzo di contadini che si fondava su 28 portate. Lo so perché ho ritrovato il quadernetto di una delle cuoche dell’Appennino che faceva banchetti per i matrimoni. Addirittura le portate per il matrimonio diventavano 23 a pranzo a casa di lui e 23 alla sera a casa di lei. Questa gente era abituata a mangiare polenta tutto l’anno. Al momento della festa occorreva mangiare abbondante, il cibo era lo strumento più comunicativo». I ricordi personali si affastellano affettuosi: «Mia madre ha sempre avuto affetto per le persone che accoglieva in casa. Quando arrivava qualcuno, per prima cosa andava in cucina: al posto di fare un caffè diceva "un attimo che vado a fare due tagliatelle". Faceva due sfogliette al volo, impastando acqua e farina: erano meravigliose. Per mia madre l’ospitalità era tutto: era offrirti da mangiare e da dormire. Era una che ti riempiva continuamente il piatto, non riuscivi a dirle di no. Perché il cibo doveva essere apprezzato, era l’elemento di comunicazione primario. Dare da mangiare era come dare un bacio, un abbraccio, fare una dichiarazione d’amore, aveva una forte componente affettiva. E io faccio lo stesso: certe volte anche mia moglie mi dice di non insistere...». © RIPRODUZIONE RISERVATA

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