MAGGIO 2015
RAVASI: IL CIBO LINGUAGGIO DELL’UMANITÀ Zaccuri 4-6
LAND GRABBING CHI TOGLIE I CAMPI AI CONTADINI Scalettari e Iondini 14-15
TERRA DEI FUOCHI LA SPERANZA NON BRUCERÀ Patriciello 17
«LA BELLEZZA DEL MONDO... PER MIA FIGLIA» Pelizzoni 39
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PARLA LICIA COLÒ
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TESTIMONIANZA
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INCHIESTA
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INTERVISTA
IL NOSTRO CONTRIBUTO
CONDIVIDERE E CUSTODIRE MISSIONE POSSIBILE n mondo ancora più bello, più pulito, più giusto. È quello che desiderano le persone di buona volontà e chi crede che la via per migliorare le cose sia mettersi in gioco in prima persona, lavorando per costruire e non per distruggere. È un discorso che vale sempre, a maggior ragione nel caso di Expo 2015, evento ricco di spunti e contraddizioni. L’esposizione può essere molte cose: un grande luna park zeppo di ristoranti e architetture affascinanti; o anche un’occasione di conoscenza e confronto per riflettere sulla capacità delle persone di condividere il pane senza sprecare le risorse e di custodire quanto ci è stato affidato. "Noi Expo" è il nostro contributo. È un mensile gratuito realizzato dai giornalisti di Avvenire e Famiglia Cristiana con il sostegno dell’Ufficio comunicazione Chiesa in Expo della Diocesi di Milano, che cerca di interpretare il tema "Nutrire il pianeta, energia per la vita" raccontando storie di impegno, offrendo spunti di riflessione, sviluppando inchieste su questioni cruciali per la convivenza tra i popoli, e cercando di mostrare i "volti" delle persone che soffrono la fame, come ha invitato a fare papa Francesco il giorno dell’inaugurazione. Un lavoro sui contenuti affinché l’opportunità dell’Expo si arricchisca di senso e significati. L’impegno, la missione che crediamo possibile, è offrire uno sguardo sulla realtà per continuare a nutrire la speranza. Insieme.
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I COMMENTI A PAGINA 2
ECCO PERCHÉ SIAMO ALL’EXPO di Angelo Scola
UN’ALLEANZA TRA UOMO E NATURA di Marco Tarquinio
L’IMPEGNO DI TUTTI CONTRO LA FAME di Antonio Sciortino
Nutriamo la speranza
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IDEEI SANTA SEDE, IL SIGNIFICATO DELLA PRESENZA
NON BASTA NUTRIRE IL CORPO SIAMO ALL’EXPO PER RICORDARLO Angelo Scola, arcivescovo di Milano
a ragione per cui la Santa Sede partecipa a Expo può essere identificata con la natura dell’esperienza cristiana: siamo figli di un Dio incarnato perciò, a certe condizioni, tutte le manifestazioni dell’umano ci interessano. Gesù ha detto di essere Via alla Verità e alla Vita e di fronte a un tema così importante, "Nutrire il pianeta, energia per la vita", era impossibile che la fede non si sentisse provocata. Le iniziative che la Chiesa mette in campo sono favorite dal fatto che il tema non è astratto. E non solo per la tragedia della fame. Partendo dall’alimentazione, dall’energia
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per la vita, per arrivare fino all’ecologia, come ha ricordato Papa Francesco, siamo portati a far emergere interrogativi decisivi per l’uomo. Queste domande sono state concentrate dalla Chiesa italiana nel tema del nuovo umanesimo. L’umanesimo pone l’uomo al centro, ma in una società in forte transizione è "nuovo" perché deve saper affrontare processi inediti. A partire dall’esperienza del nutrirsi il padiglione della Santa Sede, l’edicola Caritas e le centinaia di iniziative nelle parrocchie stanno a significare il desiderio di accompagnare l’uomo ad assumere con responsabilità il destino proprio, congiunto a quello di tutta la famiglia umana. Espressione di questo compito sarà il gesto in programma in piazza del Duomo la sera del 18 maggio intitolato "Tutti siete invitati". Cercherà di documentare, mediante letteratura, musica, arte e giungendo fino all’Adorazione eucaristica, il "genio" cattolico del Sacramento istituito da Gesù nell’ultima cena e
la sua straordinaria incidenza nel quotidiano. Un’altra realtà che incarna il senso dell’impegno della Chiesa per i temi di Expo è "Refettorio Ambrosiano". Aprirà nella parrocchia di San Martino di Greco, a Milano, alla fine di maggio. Sarà un lascito importante. Siamo grati agli chef, agli architetti e a coloro che con Caritas Ambrosiana lo hanno realizzato. Lo scopo è creare a Milano un’altra realtà che, a partire dal bisogno elementare del cibo - un dramma per un numero crescente di persone - accolga la persona per quello che è, accompagnandola a crescere in tutte le sue dimensioni, compresa quella spirituale, fino all’incontro con Dio. L’affermazione biblica "non di solo pane", che è il tema del Padiglione della Santa Sede, dice questo: per dare energia all’uomo non basta nutrirne il corpo, ma occorre pensare alla totalità del suo Io: al rapporto con se stesso, con gli altri e con Dio. © RIPRODUZIONE RISERVATA
VERSO UNA NUOVA CONSAPEVOLEZZA
LA VERA SFIDA PER IL FUTURO
UN’ALLEANZA TRA UOMO E NATURA PERCHÉ NESSUNO SI SALVA DA SOLO
CONTRO LO SCANDALO DELLA FAME È NECESSARIO L’IMPEGNO DI TUTTI
Marco Tarquinio, direttore di Avvenire
Antonio Sciortino, direttore di Famiglia Cristiana
a fame e la sete più grandi del nostro tempo sono la fame e la sete di giustizia e di pace. Una mancanza tutt’altro che metaforica e che riguarda tutti, e dilaga in un mondo più che mai segnato da guerre, persecuzioni, sperequazioni e sfruttamenti resi più duri e feroci dagli strumenti offerti dal progresso tecnologico. Eppure per troppi esseri umani – uomini, donne e soprattutto bambini – questa grande fame di giustizia e pace è niente rispetto alla fame propriamente detta, alla nuda fame di chi manca dell’acqua e del cibo minimamente necessari e vede consumare a morte la propria carne e la luce negli occhi dei propri figli. Se violenza e sopraffazioni sono un incubo che inquieta e indigna ma che (sbagliando) diamo tristemente per scontato, la fame dei poveri è uno scandalo che non lascia in pace le nostre coscienze, dei cristiani, di ogni altro credente e di chi non crede. È così, anche quando tentiamo di girare gli occhi da un’altra parte (e, infatti, checché se ne dica, noi italiani troviamo sempre modo di fare almeno un gesto buono per chi è disperato e nel bisogno). È così, anche quando facciamo di tutto per non imparare, o per dimenticare, che un quinto dell’umanità – il nostro quinto – oggi si nutre dei quattro quinti delle
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NOIEXPO Supplemento di
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risorse del pianeta. Expo 2015 può e deve far crescere la consapevolezza di tutto questo grazie al tema che si è data: "Nutrire il pianeta, energia per la vita". Perché man mano che la consapevolezza cresce diventano meno tollerabili ingiustizia e guerra e prende corpo l’idea di un mondo più equo e solidale che condivida il bello e il buono che è frutto di «sora nostra madre terra la quale ne sustenta et governa» oltre che delle nostre fatiche e dei nostri slanci. È dentro questo progresso, esso sì autentico, che si capisce meglio che c’è una terza fame, sintesi delle prime due. E che anche da questa fame nessuno si salva da solo. Tutta l’umanità – nel Sud come nel Nord del mondo – è infatti accomunata da una stessa inesausta ricerca di cibo buono e sicuro e di energia pulita e amica. Cibo buono e sicuro per la sua qualità, per il modo in cui viene "estratto" dall’ambiente naturale e dal lavoro umano, per la sua equa distribuzione a ogni donna e a ogni uomo. Energia sprigionata non per distruzione, ma per alleanza tra intelligenza umana e forze della natura. Questa fame è fame di civiltà e di umanità. Per chi crede è fame di Dio. Della giustizia e della misericordia di Dio per tutti i suoi figli. E del conseguente dovere degli uomini e delle donne di buona volontà verso il mondo, verso se stessi e verso i più poveri. © RIPRODUZIONE RISERVATA
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utrire il pianeta. Energia per la vita" è davvero un tema stimolante per il nostro vivere quotidiano e il futuro dell’umanità. Ma se Expo 2015 dovesse smarrire questa consapevolezza del cibo e della terra che lo produce, e risolversi in una piacevole e spettacolare kermesse di cucina e gastronomia, avrà mancato il suo vero obiettivo. Anche se avrà soddisfatto i milioni di visitatori che arriveranno a Milano da ogni parte del mondo. L’obiettivo è quello di una seria riflessione sulla fame del mondo, dove più di ottocento milioni di persone soffrono di malnutrizione: situazione ingiusta e inaccettabile nell’era della globalizzazione. A maggior ragione – come confermano i dati della Fao – perché sappiamo che il cibo per tutti ci sarebbe, anche se non tutti vi possono accedere perché non hanno i soldi per acquistarlo, essendo poveri. Quando il cibo perde la sua "sacralità" ed è trattato come una semplice merce o un "carburante" per vivere, allora, inevitabilmente sarà svilito e assoggettato alle leggi di mercato e del consumismo, dalla produzione alla distribuzione. Il pane è frutto della terra e di chi l’ha seminato, lavorato e raccolto. Ma esprime anche il bisogno di ciò che è davvero necessario per vivere, oltre a
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Progetto Grafico Angelo Fiombo Antonio Talarico
favorire l’incontro tra i popoli e una globalizzazione della solidarietà e non dell’indifferenza. Più "pane condiviso", quindi, è l’impegno cui siamo chiamati, per evitare il "pane abusato", che è l’immenso spreco che ne facciamo ogni giorno. Più di un terzo del cibo finisce nella spazzatura. Assieme ad esso gettiamo nella pattumiera un terzo del lavoro e della fatica dei contadini e di quanti l’hanno portato sulle nostre mense. Un vero furto anche nei confronti dei più poveri e di chi soffre la fame. Le risorse appartengono a tutti, sono beni comuni essenziali per vivere, sono un capitale naturale che non va dilapidato ma alimentato e restituito. Papa Francesco ci ricorda, infatti, che «la terra non è un’eredità che noi abbiamo ricevuto dai nostri genitori, ma un prestito che fanno i nostri figli a noi. La terra, che è madre per tutti, chiede rispetto e non violenza o peggio arroganza da padroni. Dobbiamo riportarla ai nostri figli migliorata, custodita». Dal rispetto che avremo per il cibo discende la correttezza dei nostri comportamenti, perché come ci ricorda il Vangelo: «Non di solo pane vive l’uomo». Da Milano è partita una sfida per garantire il futuro all’umanità. I padiglioni, dopo sei mesi di esposizione, saranno smantellati. L’importante è che non venga meno l’impegno di tutti per cancellare lo scandalo della fame nel mondo.
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IIDEE
L’ANALISI
L’EXPO COME OCCASIONE DA NON SPRECARE PER IMPARARE A NUTRIRE IL PIANETA NEL RISPETTO DELL’AMBIENTE E SMETTERE DI ABUSARE DEL GIARDINO CHE CI È STATO AFFIDATO. NEL MESSAGGIO CHE PAPA FRANCESCO HA CONSEGNATO IL GIORNO DELL’INAUGURAZIONE ALCUNE DELLE QUESTIONI CHE SARANNO TRATTATE NELL’ORMAI IMMINENTE ENCICLICA SOCIALE DEDICATA AI TEMI AMBIENTALI
Perché dobbiamo custodire il CREATO > Mimmo Muolo
«Non lasciamo che segni di distruzione e di morte accompagnino il cammino di questo nostro mondo»
DA SAPERE
L’ECOLOGIA UMANA
Nella dottrina sociale della Chiesa ecologia e dignità dell’uomo sono da sempre connesse. Il primo a parlare di "ecologia umana" fu Paolo VI nell’udienza del 7 novembre 1973. Giovanni Paolo II nella Centesimus Annus (1991) ricordò che oltre a "preservare gli "habitat" naturali delle diverse specie animali", bisognerebbe impegnarsi di più "per salvaguardare le condizioni morali di un’autentica ’ecologia umana’". Benedetto XVI nel 2007 a Loreto disse: "Prima che sia troppo tardi, occorre adottare scelte coraggiose, che sappiano ricreare una forte alleanza tra l’uomo e la terra". Un magistero fatto proprio da Francesco che ha invitato a prendersi cura sia dell’ambiente che dell’uomo. (M.Mu.)
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Expo è proprio un’«occasione da non sprecare». Anzi da «valorizzare pienamente» per ascoltare la voce di chi ha fame e avere coscienza dei loro «volti», per rilanciare il grande progetto di «nutrire il pianeta nel rispetto dell’ambiente», e «smettere finalmente di abusare del giardino che Dio ci ha affidato» (cioè il mondo). Insomma «un’occasione per globalizzare la solidarietà». Le parole che Papa Francesco ha pronunciato qualche giorno fa all’inaugurazione della grande esposizione milanese vanno ben oltre il cliché del discorso di circostanza. Disegnano, anzi, un percorso che l’Expo stessa e tutti quelli che vi sono coinvolti – governi, operatori economici e ricercatori scientifici – sono chiamati a intraprendere se davvero si vuole evitare il pericolo che lo spettro agitato dagli oppositori della kermesse diventi una triste realtà. Sempre per usare le espressioni di Bergoglio: «contribuire alla cultura dello spreco, dello scarto» e «non incrementare un modello di sviluppo equo e sostenibile».
CAMBIO DI MENTALITÀ Ciò che in sostanza Francesco ha chiesto con il suo discorso è «un cambiamento di mentalità profonda». In altri termini «smettere di pensare che le nostre azioni quotidiane – ad ogni grado di responsabilità – non abbiano un impatto sulla vita di chi, vicino o lontano, soffre la fame». Adottare invece l’atteggiamento di chi si prende cura: del creato, delle creature e in primo luogo dei propri simili. In tal senso possiamo davvero considerare questo intervento come una sorta di prologo della sua ormai imminente enciclica sociale, dedicata ai temi ambientali. È, infatti, abbastanza facilmente prevedibile che i temi presenti nel discorso del 1° maggio troveranno posto anche nell’atteso documento di magistero (persino il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon ha espresso interesse a nome delle Nazioni Unite). La salvaguardia del creato è, del resto, uno dei temi portanti dell’insegnamento di Francesco. Nella Messa di inizio ufficiale del pontificato, il 19 marzo 2013, il Papa disse: «Vorrei chiedere, per favore a tutti coloro che occupano ruoli di responsabilità in ambito economico, politico o sociale, a tutti gli uomini e le donne di buona volontà: siamo "custodi" della creazione, del disegno di Dio iscritto nella natura, custodi dell’altro, dell’ambien-
te; non lasciamo che segni di distruzione e di morte accompagnino il cammino di questo nostro mondo». Quello della custodia è dunque il concetto fondamentale intorno al quale dovrebbe girare tutta l’enciclica. Un concetto che Bergoglio trae direttamente dalla Bibbia e in speciale modo dal Libro della Genesi, dove si afferma che Dio mise l’uomo e la donna sulla terra perché la coltivassero e la custodissero. Ma ecco le domande che Francesco pone al mondo contemporaneo (si veda ad esempio l’udienza generale del 5 giugno 2013): «Che cosa vuol dire coltivare e custodire la terra? Noi stiamo veramente coltivando e custodendo il creato? Oppure lo stiamo sfruttando e trascurando?».
DENARO E SCARTI E qui si innesta il secondo concetto base del suo insegnamento. Abusare di questo giardino, trasformarsi da custodi in sfruttatori (si pensi alla deforestazione, all’inquinamento da gas serra, alla desertificazione), è causa non solo di squilibri ecologici, ma anche e soprattutto di tragedie come fame, povertà, sottosviluppo e malattie da esse causate. Ciò avviene soprattutto, ha ricordato più volte il Papa, quando al posto di Dio, viene messo il denaro. Per cui tutto ciò che non serve al dio denaro viene scartato: si scartano i bambini, attraverso la denatalità o l’aborto; si scartano gli anziani perché non più produttivi; si scartano i giovani attraverso il precariato e la disoccupazione; si scartano i lavoratori quando le aziende, inseguendo solo il profitto, decidono di licenziare. «Non lasciamo che questa cultura dello scarto – ha detto qualche settimana fa il Papa a un gruppo di fedeli ricevuti in Vaticano – ci scarti tutti e scarti alla fine lo stesso creato, perché il creato ogni giorno viene distrutto di più». ESSERE CUSTODI Si comprende dunque che il tono dell’enciclica sarà etico più che scientifico. Il Papa è un pastore. Il suo fine è annunciare Cristo e convertire i cuori alla vita buona del Vangelo. E se c’è un ambito in cui oggi tutto o quasi dipende dal cambiamento della mentalità e degli atteggiamenti conseguenti, quello è proprio l’ecologia. Ecologia ambientale ed ecologia umana. Perché nella visione di Francesco non è "senza" o addirittura "contro" l’uomo che ci si salverà dalla catastrofe. Ma recuperando in ogni uomo la consapevolezza dell’essere custode. Anche l’enciclica, come l’Expo, è un’occasione da non sprecare. © RIPRODUZIONE RISERVATA
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NEL CUORE DELL’EXPOI
L’INTERVISTA Il presidente del
Pontificio Consiglio della Cultura illustra il significato della presenza della Santa Sede all’Expo2015
RAVASI: «Cibo linguaggio dell’umanità» > Alessandro Zaccuri
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l dubbio che ci sia stato un equivoco dura solo un istante. «No, guardi: ha capito bene. È proprio Feuerbach», rassicura il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura. Il padiglione con cui la Santa Sede è presente a Expo porta la sua impronta inconfondibile di biblista e grande comunicatore, di intellettuale elegante e appassionato uomo di Chiesa. Il motto che campeggia sulle pareti è l’evangelico «Non di solo pane» ma, a sorpresa, il cardinale sceglie di partire da un’altra citazione. Il materialista Feuerbach, appunto, e il suo proverbiale «l’uomo è ciò che mangia». Ravasi non si scompone e suggerisce un’interpretazione del tutto controcorrente: «Se proviamo a riflettere – dice – ci rendiamo conto che una frase come questa può avere un profondo significato spirituale». Quale? Il rimando al valore simbolico del cibo, che rappresenta uno dei linguaggi originari dell’umanità, in ogni tempo e in ogni cultura. Mi viene in mente quello che scriveva Brillat-Savarin nella sua Fisiologia del gusto: gli animali si nutrono, l’uomo mangia, l’uomo di spirito pranza. Non è un caso che in tutte le culture i momenti più solenni, dalla nascita alle nozze fino alla morte, siano scanditi da un banchetto. Già nella Bibbia, del resto, l’importanza del cibo è sottolineata con chiarezza. La parola ebraica lechem, che indica il pane e più in generale il nutrimento, ha la stessa radice di milchama, che significa "guerra". Un modo per affermare che il cibo può unire e dividere, creare comunità oppure ostilità, diseguaglianza.
E con questo arriviamo a «non di solo pane».
Un’espressione che ricorre per la prima volta in Deuteronomio 8,3 e viene poi ripresa da Matteo 4,4, nell’episodio delle tentazioni di Gesù nel deserto. È parola dell’Antico come del Nuovo Testamento, dunque. In quanto tale ci aiuta a comprendere come il pane sia sufficiente, ma non necessario all’uomo. C’è, nel cibo, una dimensione trascendente, che non può mai essere dimenticata. Ma dal cibo bisogna pur partire, no? Certamente, e infatti l’altro riferimento evangelico da tenere presente è l’invocazione del Padre Nostro, quel «dacci oggi il nostro pane quotidiano» che vorrei rappresentasse un richiamo costante per i visitatori di Expo. Si tratta di una polarità che permette di ricordare come, da una parte, il pane sia impastato di acqua e farina, ma sia anche un nutrimento spirituale. D’altro canto, tuttavia, il pane si contrappone alla mancanza di pane, «LA TAVOLA È AL CENTRO aprendo allo scenario DELL’EUCARESTIA E IL MONDO drammatico della fame È UNA TAVOLA CHE DIO HA e, sul piano simbolico, IMBANDITO PER TUTTA L’UMANITÀ. del digiuno. Una prati- NEL PADIGLIONE ABBIAMO ca, questa, che svolge VOLUTO CHE FOSSE EVIDENTE un ruolo fondamenta- LA DIMENSIONE TRASCENDENTE le dell’annuncio di I- DEL CIBO. saia (penso, in partico- "NON DI SOLO PANE" È PAROLA lare, al capitolo 58), ma DELL’ANTICO COME DEL NUOVO che costituisce anche TESTAMENTO. "DACCI OGGI IL uno dei cinque pilastri NOSTRO PANE QUOTIDIANO" VORREI RAPPRESENTASSE UN dell’islam. Quale direttrice le sta RICHIAMO COSTANTE più a cuore? PER I VISITATORI DELL’EXPO»
Nel padiglione della Santa Sede abbiamo voluto che fosse molto evidente la dimensione trascendente del cibo. Il mistero dell’Eucaristia ci porta a intuire come, ogni volta che siedono a tavola tra di loro, gli uomini in realtà siedano a tavola con Dio. Una consapevolezza che investe di straordinaria dignità ogni persona umana e che porta, in modo pressoché naturale, alla seconda contrapposizione, oggi forse più visibile agli occhi dell’opinione pubblica. Il pane e la sua mancanza. Esatto. La tavola è al centro dell’Eucaristia e, nel contempo, il mondo stesso è una tavola che Dio ha imbandito per tutta l’uma-
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INEL CUORE DELL’EXPO NON DI SOLO PANE: IL PADIGLIONE DELLA SANTA SEDE All’esterno, sottili e leggere, in acciaio, due scritte in tredici lingue: "Non di solo pane" e "Dacci oggi il nostro pane". All’interno: una parete fotografica, una cinematografica, un tavolo interattivo, due opere d’arte. E un team di persone, ad accompagnare i visitatori al cuore del messaggio evangelico. Al cuore del tema, forte, vero, provocatorio, scelto dal padiglione della Santa Sede: "Non di solo pane". Il padiglione, uno dei più piccoli in Expo, progettato dallo studio milanese QuattroAssociati, ha una base di 15 metri per 25, per una superficie di 360 metri quadrati ed è situato quasi al centro del sito di Rho-Pero. Lo hanno realizzato e lo gestiscono insieme il Pontificio Consiglio della cultura, la Conferenza episcopale italiana e l’arcidiocesi di Milano (che vi hanno speso un milione di euro a testa), col contributo del Pontificio Consiglio Cor Unum. Università Cattolica e Ospedale pediatrico Bambino Gesù sono i partner scientifici che aiutano a sviluppare i temi della riflessione. La Santa Sede è presente in Expo come Paese espositore. Il tema "Non di solo pane" è declinato in un percorso
organizzato in quattro "capitoli": un giardino da custodire; un cibo da condividere; un pasto che educa; un pane che rende presente Dio nel mondo.Vi si intrecciano così quattro dimensioni: quella ecologica; quella economico-solidale; l’educativa; la religiosa e teologica. La parete fotografica (86 foto proiettate
nità. Come sappiamo, però, non tutti i commensali sono serviti allo stesso modo. Nel nostro padiglione abbiamo cercato di mostrare come la sovrabbondanza di cui dispone il Nord del mondo, talmente immerso nella disponibilità di cibo da doversi porre il problema della dieta, non lasci che qualche scarto al resto del pianeta. Qui la questione del pane quotidiano si fa più che mai concreta, assumendo una connotazione sociale e politica che va al di là delle frontiere nazionali, per imporsi in tutta la sua urgenza universale. Com’è possibile fare sintesi di tutti questi elementi? Suggerisco di seguire il filo di cui intessuta la Bibbia, che quasi a ogni pagina offre occasione di meditare sul significato del cibo. Mi limito ad alcuni spunti: il frutto buono da mangiare e gradevole agli occhi che in Genesi 3,6 provoca la caduta di Eva, e poi il banchetto pasquale nell’Esodo, i sacrifici di comunione
Il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, è commissario generale del Padiglione della Santa Sede all’Expo2015
su schermi, 91 stampate, di autori diversi) restituisce volti e storie delle nuove povertà nel mondo. La parete cinematografica racconta, in tre brevi film, la risposta della Chiesa alla povertà. Il tavolo interattivo trasforma in esperienza il messaggio di condivisione. Spazio alle nuove tecnologie, dunque. Ma anche al linguaggio universale
che, nel cuore dell’Antico Testamento, rappresentano quasi un annuncio dell’Eucaristia, a sua volta evocata dal banchetto messianico di Isaia 25, con vini generosi e carni grasse. Proverbi 9, inoltre, mette in scena il duplice ban-
dell’arte: nei primi tre mesi di Expo con "L’Ultima Cena" del Tintoretto proveniente dalla chiesa veneziana di San Trovaso; negli altri tre con l’arazzo con "L’Istituzione dell’Eucaristia" di Rubens, dal Museo diocesano di Ancona. A ricordare qual è, per i cristiani, l’evento d’amore all’origine di tutto, e che tutti chiama. (L.Ros.)
chetto di Donna Sapienza e Donna Follia, cibo autentico contro cibo rubato. Nel racconto evangelico, infine, Gesù è il rabbi che ama i banchetti e che per questo, prima che si compia l’evento eucaristico, viene addirittura criticato e contestato. L’ultima immagine ce la suggerisce l’Apocalisse, ed è il banchetto mistico delle nozze dell’Agnello. (continua a pagina 6)
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NEL CUORE DELL’EXPOI
CHE COSA CI FA UNA CADILLAC ALL’EDICOLA CARITAS? Una Cadillac rivestita da forme di pane. Uno status symbol della società dei consumi cinto dall’abbraccio dell’alimento fondamentale per antonomasia. Cibo del quale intere moltitudini, costrette alla fame, faticano ad avere anche solo le briciole. Ecco cosa trovano i visitatori al cuore del percorso offerto dallo spazio espositivo di Caritas Internationalis, ospitato nel sito di Expo vicino all’ingresso ovest. Il piccolo padiglione, battezzato "edicola", realizzato dallo studio Piuarch, si presenta come un cubo spezzato che declina, anche architettonicamente, il messaggio di condivisione e fraternità che identifica la presenza di Caritas nell’Expo 2015, la prima aperta alla società civile. «Dividere per
moltiplicare. Spezzare il pane», è infatti il tema del percorso multimediale dell’edicola – ispirato al segno evangelico della moltiplicazione dei pani – e il denominatore comune delle iniziative promosse da Caritas nei sei mesi di Expo, fra cui undici convegni con un centinaio di esperti e testimoni da tutto il mondo su temi che vanno dalla fame al diritto al cibo e all’acqua, dai "paradossi alimentari" ai rapporti tra povertà, fame, migrazioni, guerre. Un palinsesto aperto
dall’Expo Caritas Day del 19 maggio, quando con i rappresentanti delle 164 Caritas del mondo, riuniti a Milano, si porteranno i risultati della campagna internazionale «Una sola famiglia umana, cibo per tutti» e si presenteranno sette progetti modello contro la fame. Una trama di significati, denunce, proposte, che si fa "incontro" a tutti nell’edicola Caritas, dove ogni ambiente è dedicato ad un’esperienza specifica. Al centro, la Cadillac e le forme di
pane. Che il talento visionario e irriverente del tedesco Wolf Vostell ha trasformato in un’opera d’arte, intitolata "Energia". Realizzata nel 1973, è arrivata a Milano dal museo di Malpartida, in Spagna, voluto dallo stesso Vostell. Al termine del percorso, il visitatore potrà registrare un proprio videomessaggio. Montato con quelli degli altri visitatori, formerà un collage di racconti in tutte le lingue del mondo. Da condividere con tutti. (Lorenzo Rosoli)
(segue da pagina 5) Nel padiglione della Santa Sede ci sarà posto anche per l’arte.
Questo è nella tradizione della partecipazione del Vaticano ai grandi eventi internazionali. Pensi che la Pietà di Michelangelo ha viaggiato una sola volta, da Roma a New York, per l’Expo del 1964. A Milano si alterneranno due capolavori, e cioè una straordinaria Ultima Cena del Tintoretto, proveniente dalla chiesa veneziana di San Trovaso, e un magnifico arazzo di Rubens sullo stesso soggetto, ora conservato presso il Museo Diocesano di Ancona. In entrambi i casi, al centro c’è e rimane l’Eucaristia nel suo portato fisico e metafisico. Permette una domanda più personale? Mi dica. Lei è nato in Lombardia, a Milano è stato prefetto della Biblioteca Ambrosiana: Expo 2015, in fondo, si svolge nella sua città. Che ne pensa? Quello che ho sempre pensato di Milano, città che amo e dalla quale mi sono riamato: è una metropoli di spiccata vocazione internazionale, ma può dare di più, perché nasconde dentro di sé potenzialità creative molto più alte di quelle che riesce normalmente ad esprimere. Da questo punto di vista Expo potrebbe dare una scossa capace di cancellare le ultime tracce di provincialismo e, oserei dire, di egoismo. Una manifestazione di questa portata non si realizza pienamente se non nell’esperienza diretta di culture e realtà differenti dalla nostra, con le quali occorre mettersi in relazione in una prospettiva che non sia solo di mero vantaggio economico. Ancora una volta ragioniamo di pane e non di solo pane, di necessità primarie e di aspettative spirituali. L’Expo, come gli esseri umani, testimonia di questa complessità.
TINTORETTO, L’ULTIMA CENA IN MOSTRA PER TRE MESI Nei primi tre mesi dell’Expo nel padiglione della Santa Sede si potrà ammirare un dipinto del Tintoretto, l’Ultima Cena (olio su tela, 221 x 413 cm), proveniente dalla chiesa di San Trovaso, a Venezia. L’opera venne commissionata all’artista veneziano dalla Scuola del Sacramento tra il 1561 e il 1562. Cristo egli Apostoli sono raffigurati nel momento in cui, durante l’ultima cena, viene annunciato l’imminente tradimento. Gli elementi che compongono la scena, mossa da una forza centripeta il cui fulcro è
la figura del Cristo, sono scelti dal mondo del quotidiano, con un sapore di interno familiare: le sedie di paglia, la tavola così semplicemente imbandita, l’anziana donna che sale le scale sulla sinistra. L’ambiente si apre sul fondo con un’architettura su una chiara sera, nella quale due figure incedono appaiate e trasparenti, inserendo nel quadro un elemento onirico, un tocco di atmosfera differente da quello ben delineato nel resto dell’opera. Nei tre mesi successivi il padiglione ospiterà invece "L’istituzione dell’eucarestia" (1625, arazzo), di Pieter Paul Rubens, dal Museo Diocesano di Ancona.
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INEL CUORE DELL’EXPO
È
una drammatica realtà anche in Italia. Poveri e povertà non sono appannaggio esclusivo del Terzo mondo. Nel nostro Paese, ad esempio, oltre 4 milioni di persone (di cui il 70% cittadini italiani) sono sotto la soglia della povertà alimentare. E il loro numero è in continuo aumento. Queste persone vengono sostenute nei loro bisogni primari da quasi 15mila strutture caritative territoriali che attraverso i pacchi alimentari, le mense o altre forme di intervento più innovative offrono aiuto a chi ne ha bisogno. Ed è questa situazione che ha spinto la Chiesa italiana a rispondere «presente» all’appello dell’Expo di Milano. Soprattutto per sensibilizzare sulle necessità degli ultimi.
DIOCESI IN CAMPO Moltissime sono state, del resto, in questi anni di crisi economica le iniziative della Chiesa italiana a favore delle fasce più deboli del Paese. Si prenda ad esempio il prestito della speranza erogato alle famiglie in cui il papà o entrambi i coniugi avevano perso il lavoro. Senza contare gli aiu-
I VOLTI della fame bussano alla porta In Italia 4 milioni sotto la soglia della povertà alimentare Cibo, servizi mensa, vestiti o nuovi tipi di aiuto: così cresce l’attività delle 15mila strutture caritative della chiesa ti "classici" erogati dalle Caritas. Come sottolinea il portavoce della Cei, monsignor Domenico Pompili, l’azione ecclesiale contro la fame, passa anche attraverso 1.148 iniziative anticrisi avviate nelle diocesi. Dal 2010 ad oggi queste iniziative diocesane risultano pressoché raddoppiate (+99%). Gli empori solidali o botteghe di vendita sono presenti in 109 diocesi (+70%). Aumentano i progetti di taglio sperimentale o innovativo che passano da 121 nel 2012 a 215 nel 2013 (+77,7%). Un impegno su larga scala, che è stato recentemente riconosciuto anche dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.
Dal 2010 a oggi le iniziative diocesane di sostegno alle persone in difficoltà sono raddoppiate
COSA SI CHIEDE Quanto alla tipologia delle richieste che pervengono alle Caritas, nel 2014 esse si riferivano soprattutto a beni e servizi materiali; queste da sole rappresentano infatti il 73% del totale. Spiccano la distribuzione di viveri sotto forma di pacchi viveri o altre modalità più o meno innovative di aiuto (60,1%) e di vestiario (30,9%), i servizi mensa (18,1%) e i buoni pasto (circa 5%). Le percentuali comunque sono in crescita rispetto al 2013 e questo è un ulteriore segnale dell’estendersi dei bisogni cui si cerca di far fronte anche attraverso la generosità dei fedeli. M.Mu. © RIPRODUZIONE RISERVATA
FOTOGRAFIE D’AUTORE NEL PADIGLIONE
Alcuni degli scatti che si possono ammirare nel padiglione della Santa Sede. Foto di Luca Catalano Gonzaga Witness Image (in alto a sinistra e in basso a destra) e di Asaf Ud Daula.
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INEL CUORE DELL’EXPO
Un’esposizione di SORRISI I mezzi pubblici, le file ai cancelli, l’attesa e finalmente l’ingresso nell’area dell’Expo Dentro, la gentilezza è una costante. Portatevi buone scarpe. E, visti i prezzi, i panini > Umberto Folena
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u che sei già stato all’Expo, una due tante volte, qual è il primo consiglio che daresti a chi sta per andarci? Un consiglio solo? Ce ne sarebbero millanta che tutta notte canta. Ad esempio, non andateci con la vostra automobile, cercate di non finire ingorgati su tangenziali, svincoli e bretelle con Rho come miraggio baluginante nella canicola o sotto il monsone padano. C’è il metrò; basta non avere fretta, perché la linea 1 le fermate le fa tutte, anche al misterioso "QT8", che fa rima con la stazione "Lotto" e – perfino pochi milanesi lo sanno – si chiama così perché fu costruito in occasione dell’ottava edizione della Triennale, quindi: "Quartiere Triennale 8". Insomma, preparandosi bene, anche il viaggio in metrò può essere un’occasione culturale. Poi ci sono tanti treni che però partono un po’ ovunque, dalla Centrale, da Garibaldi, da Porta Venezia… e quando pare a loro. Se siete fortunati o buoni pianificatori, da Centrale si arriva a Rho in dieci minuti appena, e il biglietto costa 2,20 euro rispetto ai 2,50 del metrò. Comunque ci siamo capiti: si va con i mezzi pubblici.
VOLONTARI COL SORRISO Se ci arrivate al mattino appena dopo le 9, rassegnatevi a lunghe file alla biglietteria e ai controlli, identici a quelli degli aeroporti. Se avete in tasca un centesimo, toglietevi pure quello perché le macchine sono assai sensibili. Se ci arrivate di malumore non importa, perché il clima all’Expo è piacevolissimo. Merito dei volontari, facilmente riconoscibili perché hanno la scritta "volontario" stampata addosso, ma soprattutto sorridono. Incredibile, vero? In Italia qualcuno che fa il volontario e sorride pure. Chiedete un’informazione con tono titubante, vagamente ser-
vile, come si fa negli uffici pubblici dove la prima risposta è un’occhiataccia del tipo «che richiesta idiota», «e io che ne so», «non vede che ho da fare», e via di questo (sgradevole) passo. Invece il volontario sorride ed è gentile e trasmette serenità, anche se sta indicando da tre ore dov’è il bagno (la domanda più frequente del visitatore). Quanto sarebbe bella un’Italia fatta solo e soltanto di volontari… tali perché in possesso di un rendita che consenta loro di non lavorare. Purtroppo, fare volontariato è quasi sempre un privilegio per studenti e pensionati… esattamente coloro che fanno i volontari all’Expo.
CHIOSCHI E RISTORANTI I sorrisi sono contagiosi. Sorridono anche i Carabinieri, quelli che nelle illustrazioni tengono Pinocchio per le braccia, e hanno baffoni ricurvi e occhi severi che dicono: sappiamo che sei stato tu. A fare cosa? Qualsiasi cosa. Sorridono i venditori di gelati in bicicletta: in bici vanno i venditori, non i gelati riposti nell’apposita cassettina. Sorridono le addette agli stand del cioccolato e ci mancherebbe altro, tutto il giorno avvolte in quel profumino. Insomma il clima è piacevole, i gentili ospiti vedano di non guastarlo. C’è una coda, misteriosa, al padiglione della Colombia (perché tutta questa passione per la Colombia? Che ci sarà mai là dentro)? Pazienza. In attesa che si diradi, andate al padiglione brasiliano a passeggiare sulla rete sospesa sopra la Galleria verde, sempre che non soffriate di mal di mare. Se la giornata è calda, il cemento della pavimentazione non aiuta, ma le vele che proteggono il Decumano – la lunga arteria centrale – aiutano. Se avete fame, a un’esposizione dedicata espressamente al cibo potete mangiare quel che vi pare dove vi pare. I ristoranti interni ai padiglioni sono proprio dei ristoranti, rischiate di finire spennati; ma ci
Un chilometro e mezzo, in gran parte coperto da "vele" che fanno ombra o proteggono dalla pioggia: è il Decumano, il lungo viale principale dell’Expo, sul quale si affacciano i padiglioni (foto di Maurizio Maule)
sono un sacco di chioschi di street food. Una focaccina costa 5 euro? La stessa focaccina costa la metà a casa vostra? A Cascina Triulza c’è un’area pic nic, piccola ma deliziosa, con ben cinque amache dormiglione. Portatevi le focaccine da casa: libertà!
SCARPE COMODE Ma questi sono consigli secondari, alcuni tra i tanti possibili. Il primo, decisivo consiglio è: portatevi delle scarpe comode. Comodissime. Meglio se da trekking. L’Expo è esperienza per podisti. Il Decumano è lungo un chilometro e mezzo, il Cardo 350 metri. Dal metrò e dalla ferrovia c’è da scarpinare. Starete tanto in piedi. Quindi scarpe buone, occhi spalancati e voglia di sorridere a chi vi sorride. © RIPRODUZIONE RISERVATA
DA SAPERE
VENTI MINUTI LUNGO IL DECUMANO
Il Decumano è il lungo viale centrale lungo il quale si snodano tutti i padiglioni dell’Expo. Il nome deriva dal latino "decumanus", la via che correva in direzione Est-Ovest nelle città sviluppate dal castrum, l’accampamento romano. All’Expo è lungo 1.500 metri, e per percorrerlo tutto a passo normale servono almeno 20 minuti. Su di esso si affacciano i padiglioni dei paesi partecipanti e i cluster tematici. È attraversato da ben 32 viali, il principale di questi, proprio come nelle città romane, è il Cardo, lungo 350 metri, da Nord a Sud. All’incrocio tra Cardo e Decumano si trova Piazza Italia, da dove si parte per raggiungere Palazzo Italia e l’Albero della Vita.
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INEL CUORE DELL’EXPO
La Chiesa all’Expo Siete TUTTI invitati > Marta Zanella
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iù di un semplice concerto. Più di uno spettacolo sotto le stelle. Più di una serata di riflessione. Quello che accade sotto le guglie del Duomo lunedì 18 maggio è tutto questo e molto di più. "Tutti siete invitati": il titolo è già una chiamata, aperta a tutti, che dà simbolicamente il via alla presenza della Chiesa all’Esposizione Universale di Milano. È una serata di musica, teatro, arte, fede, condivisione, riflessione e preghiera, nello stesso stile dello spettacolo andato in scena sempre in piazza Duomo l’8 maggio dello scorso anno a cui avevano partecipato quarantamila persone. L’evento è organizzato dalla diocesi di Milano, la diocesi che "ospita" l’Expo, e dalla Caritas Internationalis, che proprio in questa occasione accoglie i delegati delle 164 Caritas nazionali in arrivo a Milano per il loro grande convegno internazionale del giorno dopo, il 19 maggio, in occasione del "Caritas Day" in Expo.
LA RIFLESSIONE Al centro dello spettacolo ci sono la solidarietà, il nutrimento, il rapporto con il creato e con gli uomini: le chiavi che la Chiesa vuole portare dentro l’Esposizione universale come propria risposta e proposta al tema che Expo pone al mondo: come Nutrire il pianeta. Al centro della serata c’è soprattutto l’Eucarestia: "Tutti sono invitati", dunque, a condividere con il cardinale Angelo Scola, arcivescovo di Milano, e il cardinale Óscar Andrés Rodríguez Maradiaga, presidente di Caritas Internationalis, e con i protagonisti del mondo dello spettacolo il significato profondo che rappresenta il messaggio di Expo per la vita e per la fede. «Si riflette – spiegano gli organizzatori della diocesi ambrosiana – attraverso i tanti linguaggi dell’arte, sull’esperienza che ciascuno di noi ogni giorno, più volte al giorno, compie: quella del nutrimento del corpo e del bisogno di cercare un cibo che sazi la fame più profonda di cura, condivisione, amore, senso dell’esistere. Il tema del cibo è occasione di riflessione ed educazione sulla fede, sulla giustizia, sulla pace, sui rapporti tra i popoli, sull’economia e sull’ecologia. IN SCENA Nella consapevolezza che il cibo è una risorsa che il Creatore ha predisposto per tutti, ma purtroppo non a tutti è reso accessibile a causa dell’egoismo e dell’ingiustizia». Sul palco di piazza Duomo si alternano grandi nomi della cultura, del ci-
Nella foto sotto, una donna degli indigeni Nivakle, abitanti della regione del Gran Chaco, in Paraguay. Chiedono più terre per la sopravvivenza della propria comunità (Ap)
nema, del teatro e della musica, accompagnati da un’orchestra: da Davide Van de Sfroos a Tania Kassis, da Giacomo Poretti al cardinale Angelo Scola, da Alessandro Zaccuri a Futurorchestra, da Andrea
IL 18 MAGGIO IN PIAZZA DUOMO UNA SERATA DI MUSICA, TEATRO, ARTE, FEDE, CONDIVISIONE, RIFLESSIONE E PREGHIERA. AL CENTRO DELL’EVENTO, ORGANIZZATO DALLA DIOCESI DI MILANO, LA SOLIDARIETÀ, IL NUTRIMENTO, IL RAPPORTO
Chiodi al cardinale Oscar Rodriguez Maradiaga, da Luca Doninelli a Piera degli Esposti, da Alessandro Cadario al gruppo panamense En La Roca, da Andrea Carabelli a Ferdinando Baroffio. A scrivere e portare in scena questo "moderno sacro dramma" un gruppo composto dallo scrittore Luca Doninelli, dal biblista monsignor Franco Manzi, da Giuseppe Frangi, dall’attore Giacomo Poretti, con don Davide Milani e Daniele Bellasio, dell’ufficio comunicazione Chiesa in Expo, e il lavoro del regista Andrea Chiodi.
CON IL CREATO E CON GLI UOMINI
© RIPRODUZIONE RISERVATA
«UNA SOLA FAMIGLIA UMANA» L’Expo Day «Una sola famiglia umana. Cibo per tutti» è l’evento inaugurale di Caritas in Expo, il 19 maggio. Nell’auditorium di Expo, alla presenza di personalità religiose, civili, e dei rappresentanti delle Caritas di tutto il mondo vengono illustrati i risultati della Campagna Mondiale omonima inaugurata da Papa Francesco nel dicembre 2013. Le Caritas regionali inoltre presenteranno i loro progetti e le buone prassi nel mondo.
Un CANTO contro la fame
I giovani musicisti di Panamà per le Caritas del mondo a Milano
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lzano il loro canto per chi non ha pane. Sono un gruppo di giovani musicisti vicini alla Caritas di Panamà che hanno scritto una canzone, "Levanto mi voz por quien no tiene pan", ormai diventata la colonna sonora della campagna internazionale «One human family. Food for all» («Una sola famiglia umana. Cibo per tutti» nella versione italiana). Gli artisti panamensi Maríaestelí Rios e Carlos Samaniego, a cui si sono aggiunti anche i cantanti Angélica Quintero, Evaristo Gonzalez, Annita Castillo, Niudska Beitía e Oliver Portillo, hanno
creduto nel progetto di comunicare la campagna per la lotta alla fame e di smuovere le coscienze sul tema attraverso la musica e si sono per questo riuniti sotto il cappello di "En la Roca", la pastorale della comunicazione della Conferenza Episcopale panamense e della Caritas locale, e portano ora la loro voce a Milano all’Expo. Sono anche loro, infatti, in piazza Duomo la sera del 18 maggio, quando con una grande serata di arte, musica, fede, riflessone e condivisione Milano dà il benvenuto ai delegati delle 164 Caritas nazionali in arrivo per il loro Convegno internazionale in pro-
gramma per il giorno successivo. Il 19 maggio, dunque, nell’auditorium di Expo, alla presenza di personalità religiose, civili, di istituzioni internazionali e dei 350 rappresentanti delle Caritas di tutto il mondo viene ufficialmente chiusa la campagna mondiale «One human family. Food for all», inaugurata da Papa Francesco nel dicembre 2013, e ne vengono presentati i risultati. Dopo la conferenza della mattina le Caritas regionali presentano le proposte e le misure che saranno suggerite ai rispettivi governi nazionali in tema di diritto al cibo. M.Zan. © RIPRODUZIONE RISERVATA
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IIN IMMAGINI Se muoiono gli ulivi di Puglia, muore il Mediterraneo. Non a caso, il Breviario di Predrag Matvejevic si apre con una proposta precisa: definire Mediterraneo quel luogo dove è diffusa la coltura dell’olivo. Fuscelli rachitici e tronchi tagliati. Alberi contrassegnati da una X rossa, simbolo di una sentenza di morte già emessa, e fronde rinsecchite che spuntano tra i riflessi argentei delle chiome ancora verdi. La morte degli ulivi nel Salento, in Puglia, a causa dell’epidemia causata dalla "Xylella fastidiosa" non è solo la mutilazione di un paesaggio millenario, il terremoto di un ecosistema ma il dramma corale di un popolo.
Fonte di sostentamento ma anche simbolo di pace e del dialogo tra le religioni del Libro, la pianta dell’ulivo attraversa la storia di tutti i popoli e le civiltà del Mediterraneo. La diffusero i Fenici, la sacralizzarono Greci e Romani. Gli Ebrei la rappresentarono nel racconto di Noè, il patriarca che invia una colomba a scrutare se le terre siano affiorate e l’uccello torna con un ramo d’olivo nel becco. La sura XXIV del Corano recita che «la luce di Dio è simile a quella di una lampada collocata in una nicchia, in un vaso di cristallo e accesa grazie a un albero benedetto, un olivo che non sta a oriente né a occidente».
> di Antonio Sanfrancesco
Il pianto degli ULIVI tagliati «Laudato sia l’ulivo nel mattino!», scrive D’Annunzio riecheggiando San Francesco, «Una ghirlanda semplice, una bianca/tunica, una preghiera armoniosa». Nella Bibbia, la Passione di Cristo, simbolo dell’amore più grande, inizia tra le fronde e i rami d’ulivo agitati dalle folle di Gerusalemme in segno d’accoglienza. Fuscelli rachitici e tronchi tagliati. Alberi contrassegnati da una X rossa, simbolo di una sentenza di morte già emessa, e fronde rinsecchite che spuntano tra i riflessi argentei delle chiome ancora verdi. La morte degli ulivi nel Salento, in Puglia, a causa dell’epidemia causata dalla "Xylella fastidiosa" non è solo la mutilazione di un paesaggio millenario, il terremoto di un ecosistema ma il dramma corale di un popolo. La bellezza sfuggente dell’ulivo mandò in crisi persino un genio della pittura come Renoir. «L’olivo, che brutta bestia! Non potete sapere quanti problemi mi ha causato», scriveva in una lettera del 1889 a Paul Durand-Ruel. «Un albero pieno di colori, neanche tanto grosso, e le sue foglioline, sapeste come mi hanno fatto penare! Un soffio di vento, e tutta la pianta cambia tonalità perché il colore non è nelle foglie ma nello spazio tra loro. Un artista non può essere davvero bravo se non capisce il paesaggio». EXPO2015MILANOEXPO2015MILANOEXPO2015MILANOEXPO2015MILANOEXPO2015MILANOEXPO2015MILANOEXPO2015MILANOEXPO2015MILANOEXPO2015MILANOEXPO2015MILANOEXPO2015
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L’INCHIESTAI
Chi prende la TERRA ai poveri Il land grabbing è l’accaparramento dei terreni agricoli da parte di società straniere Le produzioni vendute nei paesi ricchi, emarginati i contadini e le popolazioni locali > Luciano Scalettari
E
tiopia, confine occidentale, a due passi dal Sud Sudan. La popolazione che vi abita è perlopiù immigrata dal Paese vicino. Stesse etnie, stesso tipo di vita: seminomadi, allevatori di vacche. Intere comunità la cui vita ruota attorno al bestiame, che è anche moneta, elemento di definizione dello status sociale, dote della sposa, quando una giovane va in moglie. Un giorno in questa landa sperduta arriva una grossa multinazionale cinese. Non si sa bene come - o meglio non lo sanno gli abitanti locali - ma la società straniera ha ottenuto una concessione d’affitto per una grande fascia di territorio che costeggia l’unica strada che porta verso il confine sudsudanese: 100 km per 10. Tra i locali serpeggia, diciamo così, un certo malumore. Così, quando un intero piccolo autobus (25 persone) di dirigenti e dipendenti cinesi viene a vedere la concessione per cominciare a impostare il lavoro (agricoltura intensiva) accade che vengano ritrovati tutti uccisi. Un massacro. I responsabili mai trovati, ovviamente. E l’azienda cinese fa fagotto e se ne va, lasciando la concessione a un’altra società, questa volta indiana.
UNA SCELTA DIFFICILE Anche gli indiani arrivano, si insediano, fanno arrivare enormi e modernissime macchine agricole e assumono diverse decine di braccianti locali. A loro non accade nulla. Viceversa, si apre un acceso dibattito fra gli abitanti della zona: questo modo di fare agricoltura, dice una parte, distruggerà il nostro stile di vita e le nostre tradizioni; sì, forse, risponde l’altra parte, ma dà lavoro, porta de-
naro e ci fa vivere meglio. Chissà quale delle due tesi finirà per prevalere, fra questi etiopi di origine sudsudanese.
RISERVA PER I RICCHI L’episodio risale a un paio di anni fa, ed è un caso classico di "land grabbing", termine inglese che indica un fenomeno planetario che sta assumendo proporzioni enormi: letteralmente sta per "accaparramento" o "sottrazione" di grandi appezzamenti di territorio da parte di grosse società straniere nei confronti delle popolazioni dei Paesi poveri. «Nell’ultimo decennio», scrive l’Ong internazionale Oxfam in un approfondito rapporto intitolato "Chi ci prende la terra ci prende la vita", «un’area di terra grande quasi sette volte l’Italia è stata oggetto di compravendite a livello globale: basta questo dato a dimostrare come le vendite di terreni stiano aumentando vertiginosamente. Questa terra potrebbe nutrire un miliardo di persone, vale a dire quelle stesse persone che ogni notte vanno a letto a stomaco vuoto». Nei paesi poveri, spiega Oxfam, gli investitori stranieri comprano ogni quattro giorni un’area di terra più grande dell’intera città di Roma: «Con l’impennata dei prezzi alimentari, la terza in soli quattro anni», continua lo studio, «l’interesse per la terra potrebbe ulteriormente aumentare: i Paesi ricchi cercano di assicurarsi riserve alimentari, gli investitori guardano alla terra come a un buon investimento su cui scommettere nel lungo periodo». E PAGANO I PIÙ POVERI Le conseguenze? Spesso le pagano i contadini poveri, i più vulnerabili, con l’espulsione forzata dai terreni. Un fenomeno che ha avuto una forte escalation a partire dalla crisi econo-
A partire dalla crisi economica globale del 2008 gli accordi sulla terra per uso agricolo nei Paesi in via di sviluppo sono cresciuti del 200%. Un fenomeno all’origine di molte migrazioni
mica globale del 2008: gli accordi sulla terra per uso agricolo conclusi da investitori stranieri nei Paesi in via di sviluppo, da allora, hanno avuto un aumento vertiginoso, del 200%. Tra gli effetti del "land grabbing" non c’è solo l’espulsione dei piccoli agricoltori. I due terzi delle concessioni ottenute da investitori stranieri sono in Paesi poveri con gravi problemi di malnutrizione. E la terra quasi mai è stata usata per nutrire la popolazione locale. È stata sfruttata per coltivazioni da esportazione, per produrre biocarburanti, o lasciata incolta, per mere ragioni speculative che giocano sull’aumento di prezzo in vista di rivendere. © RIPRODUZIONE RISERVATA
CIBO LIBERO
LA
SOCIETÀ CIVILE SI MOBILITA
In tutto il mondo c’è una forte mobilitazione della società civile per fermare l’accaparramento delle terre (c’è una sessantina di associazioni attive nella difesa delle comunità locali). In Italia si sono distinte Re:Common, associazione che si propone di «sottrarre al mercato e alle istituzioni finanziarie pubbliche e private il controllo delle risorse naturali», e Oxfam Italia, in particolare attraverso la campagna "Coltiva", un progetto articolato che si propone di costruire, come recita il suo stesso slogan, un «futuro in cui tutti abbiano abbastanza cibo». (L.Sc.)
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IL’INCHIESTA
È l’Africa la più colpita
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l continente più esposto all’accaparramento della terra è l’Africa: vi si trova l’80% di tutti i terreni acquistati. A seguire America Latina, Asia centrale e Sud-est asiatico. In totale, la terra sottratta agli agricoltori locali ha un’estensione equivalente all’intera Repubblica Democratica del Congo, cioè circa 2 milioni e 350 mila km quadrati. Si tratta dell’1,4% di tutte le terre agricole del pianeta, secondo i dati del Wordwatch Institute. Lo stesso istituto di ricerca stima che tra il 2000 e il 2010 nel mondo siano stati venduti o affittati a investitori privati e pubblici 70,2 milioni di ettari di terreni agricoli, che poi sono stati utilizzati da governi o da grandi società dell’energia o del settore agroalimentare per coltivarci cereali, canna da zucchero, palma da olio, jatropha per biofuel, o ancora per attività minerarie e petrolifere. Le nostre aziende non sono immuni dal fenomeno. Secondo il dossier "Arraffa Terre" dell’associazione Re:Common l’Italia, fra i Paesi europei, è al secondo posto (dopo il Regno Unito) tra gli Stati più attivi nella pratica del landgrabbing. E anche le nostre multinazionali (una ventina) operano principalmente in Africa: in particolare in Congo, Etiopia, Madagascar, Mozambico, e Nigeria. Vi sono Paesi particolarmente colpiti da fenomeno: il 7% del territorio etiopico è stato oggetto di land-grabbig, ma per la Cambogia la percentuale è stimabile fra il 56 e il 63% di tutta la terra arabile, e per la Liberia sarebbe del 30%, spesso con gravi conseguenze per le popolazioni locali. A partire dal 2008 anche la reazione delle comunità locali e dei piccoli agricoltori si è fatta sentire: alla sola Banca Mondiale (che spesso ha finanziato le operazioni di investimento delle società d’affari) sono stati presentati 21 ricorsi, per presunte (L.Sca.) violazioni dei diritti sulla terra. © RIPRODUZIONE RISERVATA
Coltivazioni I che fanno SCAPPARE
> Massimo Iondini
L’olio di palma, usato per crackers e merendine, è tra le cause principali della sottrazione di terre, che costringe molti a fuggire
Chi acquista e chi vende terreni nel mondo
Principali paesi venditori
La top ten dei compratori Usa Malesia Emirati Arabi Regno Unito India Singapore Paesi Bassi Arabia Saudita Brasile Cina, Hong Kong Fonte: Land matrix
ettari 7.095.352 3.394.613 2.819.223 2.262.676 2.023.703 1.840.755 1.684.896 1.573.218 1.368.857 1.342.034
La top ten dei venditori Papua Nuova Guinea Indonesia Sud Sudan Rep. dem. Congo Mozambico Brasile Ucraina Liberia Sudan Sierra Leone
ettari 3.799.169 3.549.462 3.491.313 2.717.358 2.167.882 1.811.236 1.600.179 1.361.213 1.191.013 1.184.403
Dove compra l'Italia I 19 accordi più recenti 4
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l fenomeno è noto. Ed è sufficiente acquistare un qualsiasi prodotto da forno per toccarlo con mano. Si chiama "rapina delle terre". Che, nella lista degli ingredienti di grissini, crackers, merendine, ecc., equivale alla dicitura "olio di palma". È anche la coltivazione delle palme da olio, infatti, una delle cause tante del land grabbing, tra i motivi della fuga via mare di tanti africani e asiatici. Un fenomeno cominciato una quindicina di anni fa ed esploso dopo il 2010. Utilizzato, oltre che come biocarburante, dalle industrie alimentari per le sue proprietà fisico-chimiche e per i costi più bassi rispetto ad altri olii vegetali, il "palma" sta sconvolgendo gli habitat di molti Paesi in via di sviluppo. Provocando fenomeni di deforestazione in Paesi come Filippine, Indonesia e Malesia (questi ultimi due rappresentano l’87% dell’intera produzione mondiale di olio di palma) e Honduras in Centramerica.
POPOLI DEPORTATI A ciò si aggiunge in molti Paesi africani (come Camerun, Congo, Costa d’Avorio, Guinea, Mali, Niger, Senegal, Togo, Benin, Burkina Faso, Liberia, Uganda) la deportazione di intere popolazioni, "colpevoli" di abitare in terre acquistate da investitori stranieri. "Deportati" che poi cercano nei barconi della morte la speranza di un futuro di sopravvivenza. Dei 56 milioni di ettari (la dimensione della Francia) tolti alle popolazioni dei Paesi in via di sviluppo dal 2008, oltre due terzi sono quelli coltivati a palma da olio. Contro questo fenomeno è stata lanciata da Great Italian Food Trade una campagna di raccolta firme per la messa al bando dell’olio di palma per motivi umanitari oltre che salutistici (è ricco di nocivi grassi saturi). All’appello hanno risposto anche alcune catene della grande distribuzione (Coop, Esselunga, Ld Market, Md Discount e Ikea) che hanno escluso l’olio di palma dai prodotti a loro marchio. © RIPRODUZIONE RISERVATA
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ICUSTODIAMO IL TERRITORIO La "Terra dei fuochi" è quel territorio a cavallo tra le province di Napoli e Caserta, oltre 30 comuni per più di due milioni di abitanti, vittima di un gravissimo inquinamento ambientale. Il nome deriva dai roghi dei rifiuti, in gran parte prodotti da piccole e medie fabbriche "in nero" del territorio. La zona è poi stata luogo di sversamenti e interramenti illegali di rifiuti industriali, un affare gestito dalla camorra e da imprenditori ad essa collegati. In questa zona si riscontra un’incidenza elevata di gravi patologie, soprattutto tumori. (A.M.M.)
Oltre i ROGHI c’è speranza La voce del parroco della «Terra dei Fuochi»: contro il degrado ripartiamo dal bello > Maurizio Patriciello
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a fascia di territorio a cavallo delle province di Napoli e Caserta, da qualche decennio è tristemente diventata la "terra dei fuochi". Il motivo? È presto detto. La Campania è diventata lo sversatoio di tantissime tonnellate di rifiuti industriali altamente tossici e nocivi per la salute, proventiente in gran parte dal Nord e dal Centro Italia. Tutto ciò è stato possibile grazie a un patto scellerato sottoscritto tra la camorra – in particolare quella creata, incrementata e difesa dal "clan dei casalesi" –, faccendieri smaliziati e industriali disonesti che per amore di un facile guadagno non si sono fatti scrupolo – come scrivono i vescovi campani – di avvelenare la bella, unica e fertilissima "Campania felix". A dire il vero, a me questa dicitura non è mai piaciuta, perché induce a farsi una falsa idea di ciò che relmente accade. Il "fuoco", infatti, nelle nostre terre, non lo abbiamo mai visto. Intendo dire il fuoco rosso, caldo, bello, schioppiettante. Al contrario, i nostri occhi, da anni, vengono infiammati e rattristati da enormi roghi che sprigionano altissime colonne di fumo nero come il carbone e puzzolente come l’inferno.
ROGHI TOSSICI Fumi, dunque, non fuochi. Fumi alla diossina, pericolosissimi per la salute. Roghi che lasciano poi sui terreni scorie che nessuno provvede a ritirare e che, a loro volta, si disperdono nell’aria. Ma che cosa brucia sui roghi? Tutto ciò che è infiammabile e che deve scomparire per non procurare all’imprenditore disonesto problemi con la giustizia. Bruciano dunque pneumatici, ritagli di pellami e di tessuti, collanti, coloranti, diluenti, solventi, vernici e tante altre cose. L’industriale che produce in regime di evasione fiscale, ha necessità di eliminare, nel più breve tempo possi-
«La Campania – scrive don Maurizio Patriciello, nella foto – è diventata lo sversatoio di rifiuti industriali altamente tossici e nocivi per la salute, provenienti in gran parte dal Nord e dal Centro Italia»
«LA PRIMA COSA CHE L’ITALIA DEVE FARE È DOTARSI DI UNA LEGGE CHE INASPRISCA SEVERAMENTE LE PENE PER QUESTI NEMICI DELL’UMANITÀ»
bile, gli scarti della propria lavorazione. Il discorso è elementare. Se ogni per ogni chilogrammo di scarpe e borse, viene prodotto almeno mezzo chilogrammo di scarti, e se quelle scarpe sono state fabbricate in nero, è del tutto logico che gli scarti debbono essere smaltiti in nero. Ed ecco nascere una filiera invisibile che contribuisce a rendere insopportabile la vita a centinaia di migliaia di cittadini italiani. Gli scarti, infatti, vengono affidati a disoccupati, immigratri, rom, che per pochi spiccioli sono disposti a caricarli sui furgoncini, a trasportarli in aperta campagna, sotto i cavalcavia, dar loro fuoco e allontanarsi alla svelta.
UNA LEGGE INSUFFICIENTE Solo con la legge sulla " terra dei fuochi" del febbraio 2014, nata dopo le numerosissime ed estenuanti battaglie della popolazione locale, il governo provvide a tentare di porre un rimedio a questa incredibile sciagura. Rimedio tanto inefficace da far dire ai numerosissimi volontari che la legge è inutile. Infatti, mentre colpisce il malcapitato, ultima ruota di un carro di delinquenti, nulla fa per arrivare a individuare il mandante. E il mandante non può che essere un industriale. Facemmo presente a chi di competenza questa sconcezza, ma non ci fu niente da fare: la legge passò così. Poca cosa, dunque, ma pur sempre un obiettivo raggiunto. Se una legge c’è, vuol dire che il problema esiste. E questa è la migliore arma contro i negazionisti che non mancano mai, soprattutto quando hanno da coprire i loro malaffari o gli amici di cordata. Legge insufficiente anche perché prende in considerazione solo una modalità dello smaltimento illecito dei rifiuti industriali: l’incenerimento. E per gli sversamenti? Niente. l’inquinatore, pur colto in flagrante, va soggetto solo al pagamento di una multa. Se, dunque, i veleni, anziché essere bruciati, vengono interrati, non accade nulla. Paradossale. Penoso. Tocchiamo a questo punto il cuore del pro-
blema: il reato ambientale in Italia, fino ad oggi, è di tipo contravvenzionale. Per questi loschi figuri – incredibile ma vero – fino a oggi non è prevista la galera. Va da se che la prima cosa che l’Italia deve fare è dotarsi di una legge che inasprisca severamente le pene per questi nemici dell’umanità. Per la verità un disegno di legge a riguardo da mesi sta facendo il giro tra Camera e Senato. Speriamo che i nostri parlamentari comprendano l’urgenza e si diano da fare per approvarla quanto prima. Tutto ciò che non può bruciare, dunque, viene occultato. Dove? Nelle discariche per i rifiuti urbani, nelle cave, nei terreni agricoli. Nelle fogne. Nei fiumi. Nei "Regi Lagni". In mare.
NON SOLO IN CAMPANIA La maggior parte delle discariche nate per raccogliere la "monnezza della nonna", come amo definire i rifiuti urbani, sono stracolme di rifiuti delle industrie. Naturalmente non essendo nate per questo motivo fanno problema. Così le campagne, le cave, eccetera. Il percolato infatti, lentamente ma inesorabilmente, scende, scende verso la falda con le coseguenze che tutti possono facilmente immaginare. È un problema solo campano? Consiglio a chiunque di rinunciare a questa pia e pericolosa illusione. Per farlo, mi servo delle parole del presidente della nostra amata Repubblica: «Quanto accaduto in Campania, nella cosidetta "Terra dei fuochi" è emblema del degrado italiano, la rappresentazione di una drammatica situazione di uno sfruttamento cinico e senza futuro». Possiamo uscire da questo dramma? Certamente. Occorre mettere al centro di ogni interesse e di ogni politica la persona umana e i suoi inalienabili diritti. E ritornare a desiderare di contemplare il bello. Bello che non è mai separbile dal buono e dal vero. © RIPRODUZIONE RISERVATA
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LE IMMAGINI SCATTATE
DAL CIELO SONO FINITE SU INTERNET. RAFFAELLA: «DALL’ALTO ABBIAMO POTUTO VEDERE QUANTO È BELLO, MA ANCHE QUANTO È FERITO IL NOSTRO TERRITORIO». ROSA: «SIAMO UN GRUPPO DI DONNE CHE CERCA DI DARE VOCE AL MALESSERE DI UNA VITA INQUINATA»
Per la salute la MAMMA vola Nella provincia di Brescia abbondano le discariche e l’inquinamento è elevato Alcune donne di Castenedolo hanno preso un piccolo aereo e fotografato tutto > Luciano Scalettari
S
i conoscevano già tutte. In un paese come Castenedolo, alle porte di Brescia, non è difcile. Ai cancelli della scuola, o a fare la spesa, o ancora in qualche ufficio pubblico. Ma ciò che le ha messe insieme è stato – come dirlo – la voglia di una vita diversa, o meglio di uno stile di vita diverso. Ormai sono note come "Le mamme volanti di Castenedolo", anche la loro ricca pagina Facebook si chiama così. Ma è tutt’altro che folklore. Anche perché il loro essere "volanti" ha un doppio significato: non solo quello legato al sorvolo vero e proprio, che le ha portate – come raccontano – a salire su un piccolo velivolo per osservare e documentare il loro territorio «da un’altra prospettiva» e a vederne «lo scempio, che dall’alto è impressionante»; il secondo significato è che cercano di volare alto, di immaginare scelte politiche e amministrative più "pulite" e rispettose dell’ambiente e del territorio, scelte di stili di vita attenti al rispetto della natura, al "chilometro zero", a un’alimentazione più sana, al consumo critico.
RETE DI ASSOCIAZIONI Rosa, Sandra, Monica, Mara, Francesca, Caterina, le due Simona, Giovanna, Raffaella: dieci madri, donne, mogli. Non hanno sede, né strutture di supporto. Sono solo un’associazione di fatto. Soprattutto, fanno rete con le decine di associazioni (del Bresciano e non) create con obiettivi analoghi. «Tutto è nato nel 2010 – racconta Raffaella – Allora si parlava in continuazione di "patto di stabilità". Che si era tradotto in una riduzione dei fondi trasferiti dallo Stato ai Comuni, anche a Castenedolo. Ma intanto si parlava di ingenti investimenti sul nuovo polo commerciale. È co-
sì che abbiamo iniziato a riunirci, a informarci sui diversi problemi del nostro territorio».
TROPPE DISCARICHE «E i problemi sono tanti – le fa eco Rosa –. Il primo è vivere in un territorio ferito e oltraggiato. Lo sa che l’area dove viviamo era chiamata la "fascia d’oro" perché era il granaio della Pianura padana? Ci siamo chieste se davvero l’unica via allo sviluppo fosse quella di ridurla a immondezzaio. E ci siamo risposte di no, non è l’unica via. È solo la strada di chi fa un uso insensato del territorio consumando l’unica essenziale risorsa che abbiamo: l’ambiente che ci circonda». E via, le "Mamme volanti" snocciolano i dati: la provincia di Brescia ha 43 discariche, contro le 3 di Milano, e le 10 della media nazionale. È una delle province più inquinate e cementificate d’Italia, dove i bambini non giocano nei prati per l’inquinamento da Pbc, dove si sforavano fino a poco tempo fa i limiti di cromo nell’acqua (di recente sono stati messi dei filtri nell’acquedotto), dove si continuano a superare quelli del Pm10, le micro polveri responsabili di tante allergie infantili e malattie, dove i tumori sono
Stanche di vivere in un territorio che considerano ad inquinamento elevato. Ecco le donne e le mamme bresciane che si sono messe a volare per documentare la propria battaglia (Foto di Ugo Zamborlini)
troppi e nessuno spiega perché. «Così l’anno scorso abbiamo deciso che occorreva andare oltre: mostrare lo scempio», spiega Giovanna. Detto, fatto: un amico ha un piccolo aereo, perché non chiedergli di fare un sorvolo? Armate di telecamera e macchina fotografica (e messa da parte la paura di salire per la prima volta su un minuscolo monomotore), hanno documentato ogni cosa. «Dall’alto abbiamo potuto vedere quanto è bello, ma anche quanto è ferito il nostro territorio», sottolinea Raffaella. E tutto è finito in Internet, in modo che chiunque possa rendersene conto.
FOTOGRAFANO E FILMANO Perciò sono diventate le "Mamme volanti". E intendono farlo di nuovo: fotografare ancora, filmare ancora. «Siamo solo un gruppo di donne che cerca di dare voce al malessere di una "vita inquinata" e di tradurre in denuncia pubblica le cose che, come comunità, non vogliamo più accettare – spiega Rosa – collegandoci con altre associazioni». Per questo fanno parte della Rete antinocività bresciana, del Forum rifiuti Brescia, sono collegate all’Associazione dei Comuni virtuosi, partecipano al cartello "No Tav", perché ritengono che l’alta velocità provocherà altri disastri ambientali. «Non siamo crocerossine né persone votate al martirio – spiega Raffaella –. Tentiamo solo di essere documentate, cittadine attive e partecipi. La nostra non è una protesta sterile: comprendiamo le difficoltà delle amministrazioni locali, e vogliamo essere propositive con soluzioni realistiche. E ci teniamo a dire che senza il pieno supporto e la partecipazione delle rispettive famiglie, tutto quello che abbiamo fatto e che continueremo a fare non sarebbe possibile». © RIPRODUZIONE RISERVATA
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> Filippo Magni
«A
bbiamo deciso di lavorare sull’Esposizione universale perché il tema di questa edizione è straordinario». Così il docente dell’Università cattolica di Milano, Pier Sandro Cocconcelli, spiega la nascita di ExpoLab, struttura di cui è direttore. «Spesso – precisa – le Expo hanno avuto titoli generici, aperti. Questa milanese, al contrario, pone al centro l’esperienza della nutrizione, nelle sue diverse forme, in modo forte e specifico». Lungimirante, addirittura: «Nella società di oggi il mondo è sbilanciato: c’è chi soffre perché non ha cibo, o perché non può cucinarlo, andando incontro a malattie e morte. E c’è chi ne ha troppo, è sovrappeso: segno, spesso, di disagio sociale. Ecco perché fu una scelta felice quando, anni fa, il Bie dedicò Expo2015 alla nutrizione». L’approccio della Cattolica all’Esposizione è stato improntato fin dal 2011, anno di fondazione di ExpoLab, su tre direttrici principali: il coltivatore, l’ambito economico sociale, il rapporto con la religione. «Le abbiamo affrontate – spiega il docente – con un’attitudine interdisciplinare che rappresenta un’innovazione nel mondo universitario». Non è infatti semplice, afferma Cocconcelli, trovare linguaggi condivisi tra diverse facoltà: «Basti pensare alle differenze di approccio e di vocabolario presenti, ad esempio, tra un giurista e un biologo molecolare». Ma quando lo sforzo riesce, «il risultato è straordinario, il confronto porta lo studio verso punti irraggiungibili da una sola disciplina».
La ricerca sa di CACAO La pianta tropicale è stata scelta come emblema della nutrizione Così «ExpoLab» della Cattolica diventa laboratorio di innovazione
Il frutto del cacao (in foto), spiega il professor Pier Sandro Cocconcelli nell’intervista, contiene tutte le contraddizioni della nutrizione
dividuati e posti come esempio da ExpoLab nella mostra allestita in Expo. «Saremo presenti nel sito espositivo – illustra il docente – in due modi: come partner scientifico del padiglione della Santa Sede, ruolo di cui siamo particolarmente orgogliosi. E nel cluster del cacao, come curatori della mostra scientifica».
BUONE PRATICHE Attivato dall’allora rettore Lorenzo Ornaghi e sostenuto poi dal suo successore Franco AUNA GRANDE OCCASIONE nelli, ExpoLab «è stato in grado di creare uTra i diversi alimenti possibili, la Cattolica na rete – spiega il direttore – che ha coinvolha scelto proprio la pianta tropicale, to il mondo accademico, la Chiesa, l’Uspiega il professore, «perché connione europea per discutere il tema EVENTI tiene tutte le contraddizioni dell’accesso al cibo per tutto il piadella nutrizione. Ha una fineta». A partire dai «deludenti IL CIBO TRA DIRITTI, liera complessa nella risultati» del cosiddetto «oPERSONE E RELIGIONI quale si trovano i casi biettivo del millennio», L’Università Cattolica organizza due conpiù belli di cooperacioè ridurre la fame del vegni in Expo. Il primo, in programma per il zione internazionamondo, «che non è sta19 settembre, ha come titolo "Right to food, le e i casi peggiori to raggiunto a causa di Peace and democracy. Reasearch Education in an di sfruttamento: diverse dinamiche ineethical perspective". Affronta il tema del diritto al penso alla Costa renti questioni tecnicibo, sufficiente e sano per tutti, e dell’agricoltura d’Avorio, che ha che e legislative». sostenibile. Il secondo, il 7 ottobre, ha come titolo conosciuto lo Un’analisi che è pas"A tavola con Dio e con gli uomini: il cibo tra anschiavismo solo a sata attraverso «la cootropologia e religione" e vedrà la presenza del seguito dello sviperazione internaziocardinale Jean-Louis Pierre Tauran, presidente luppo della coltivanale del settore agroalidel Pontificio consiglio per il dialogo interzione del cacao. E mentare» e il tema della religioso. Sarà una riflessione filosofipoi la pianta può cre«food safety and food security». Vale a dire, spiega co-teologica sul rapporto dialettiscere tranquillamente Cocconcelli, «avere cibo sufco uomo-cibo. nel sottobosco, quindi ficiente per tutti e sano». Non è non favorisce la deforestaun miraggio: lo assicurano alcune zione, ha effetti benefici sulla buone pratiche, esempi di successo insalute, ha un ampio mercato, ha un
UOMINI E NATURA
Addio discarica In quegli «ortacci» oggi rinasce la Terra Felix > Antonio Maria Mira Ambiente, legalità, solidarietà, educazione e cibo "a km zero". Accade anche nella "terra dei fuochi", dove sembrano dominare solo rifiuti e camorra. Accade nel "casale di Teverolaccio", edificio fortificato del ’600 assegnato dal comune di Succivo al circolo di Legambiente "Geofilos". Qui nel 2009, grazie a un finanziamento di "Fondazione con il Sud", è nato l’Ecomuseo Terra felix, buone pratiche per valorizzare il territorio, la sua storia e i suoi prodotti, e recuperandolo dal degrado. Così dove c’era una discarica di rifiuti ora ci sono 18 orti sociali, gli "ortacci", dove gli anziani coltivano prodotti tipici campani e biologici. Accanto il "giardino dei sensi" con più di 40 "aromi" diversi. Luoghi di educazione per tante scuole. Dall’orto al piatto, così molti dei prodotti finiscono sui tavoli della "Tipicheria" il piccolo e accogliente ristorante ospitato nell’ex stalla, tutto completamente accessibile. Solo cibi e preparazioni campane. E spesso sono gli stessi produttori a raccontarsi agli avventori. Aperto il sabato e la domenica, sta avendo un grande successo anche tra i ragazzi, un tuffo nella storia culinaria di questa terra contro l’omologazione da fastfood. Ma non ci sono solo cibo e ambiente. Il primo assunto dalla cooperativa che gestisce il casale è Rosario, ex tossicodipendente, e grazie a un accordo con l’Arci lavorano anche alcuni rifugiati. Mentre in cucina si preparano confetture che sanno di Campania, in collaborazione con la cooperativa "Al di là dei sogni" di Sessa Aurunca dove operano persone con disagio psichico. © RIPRODUZIONE RISERVATA
forte appeal mediatico e occupa uno spazio riconosciuto nella nostra cultura». Finora ExpoLab ha avuto la capacità di mobilitare «tantissimi colleghi, non solo docenti universitari, ma anche studiosi – rivela Cocconcelli – che hanno contribuito, ciascuno secondo la propria competenza, allo sviluppo della riflessione, lasciandosi anche contaminare dall’interdisciplinarietà». Buona parte degli esiti degli studi saranno esposti in convegni nei prossimi mesi. «Expo sarà una grande occasione – conclude il direttore – se riuscirà a superare gli approcci ideologici e di contrapposizione (chilometro zero contro globalizzazione, biologico contro Ogm) per diventare un vero ambito di discussione aperta». © RIPRODUZIONE RISERVATA
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ICONDIVIDIAMO LO CHEF BOTTURA
«Recupero il pane, atto di cultura e di solidarietà» > Francesco Chiavarini
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Al ristorante della DIGNITÀ
Da vecchio teatro di periferia a «cenacolo» per i poveri È il Refettorio Ambrosiano, un’idea tra arte e carità > Lorenzo Rosoli
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ella città dell’Ultima Cena di Leonardo è nato un nuovo "Cenacolo". Lo hanno chiamato "Refettorio Ambrosiano". Non lo trovate in centro come l’altro, quello che richiama turisti da tutto il mondo, ma in periferia. A Greco, storico quartiere operaio di Milano, grumo di condomini e superstiti case di ringhiera cinto da tutti i lati da una trama di binari, orgogliosamente piantato fra la Stazione Centrale e la Bicocca, dove tutto era industria e oggi è tutto terziario, università, nuove residenze. Qui, dove il rumore dei treni è incessante colonna sonora, c’è un teatro parrocchiale chiuso e dismesso da anni. Sorge sulla piazza di Greco, accanto alla chiesa di San Martino. Quella vecchia sala risalente agli anni ’30, ora è rinata. Ha un volto nuovo. Un cuore nuovo. Grazie all’iniziativa della diocesi di Milano. E alla generosa, accogliente intraprendenza della comunità parrocchiale guidata da don Giuliano Savina.
UN NOME ANTICO Questa novità ha il nome antico e bello di "Refettorio Ambrosiano". Un’opera concepita e avviata in occasione dell’Expo e che verrà inaugurata entro la fine di maggio. Ma che rimarrà oltre l’Expo, come segno eloquente del "modo" cristiano di concepire il cibo, di condividerlo; di fare, del pasto, un’energia di rigenerazione del rapporto con gli altri, con la città, con sé. Con Dio. Perciò non sarà solo una mensa per i poveri, ma un luogo di accoglienza integrale della persona. Qui potranno avere un pasto caldo, a sera, persone in difficoltà seguite da Caritas Ambro-
siana e dalla sua rete di servizi, accolte dentro percorsi di promozione umana e integrazione sociale. A portare avanti il Refettorio, assieme a una cooperativa sociale, una cinquantina di volontari, in gran parte del quartiere. Una novantina i posti a disposizione degli ospiti, in una struttura tornata nuova grazie al lavoro del Politecnico di Milano, grazie al talento e all’opera – gratuiti – di artisti fra i maggiori d’oggi: come Mimmo Paladino, autore del grande portale all’ingresso, o Maurizio Nannucci, cui si deve la scritta al neon "No more excuses" sulla parete esterna. All’interno, altre opere d’arte. E dodici grandi tavoli, tutti diversi, tutti concepiti da designer del calibro di Mario Bellini, Michele De Lucchi, Fabio Novembre.
CARITÀ E BELLEZZA Cosi il Refettorio unirà carità e bellezza. E bontà, grazie anche alla quarantina di chef internazionali che nei mesi di Expo prepareranno menù speciali utilizzando le eccedenze raccolte ogni giorno fra i padiglioni dell’esposizione universale. A mobilitarli, lo chef Massimo Bottura, cui si deve (col regista Davide Rampello) la prima idea del Refettorio, accolta dalla diocesi. In prospettiva il Refettorio sarà anche spazio di animazione culturale per il quartiere, mentre un altro stabile parrocchiale inutilizzato a fianco della chiesa è pronto a diventare "Palazzina solidale", luogo di vita e di riscatto per persone e famiglie "fragili". A pochi minuti da qui, nei tunnel della Stazione Centrale, dove per trent’anni ebbe sede lo storico rifugio di fratel Ettore, ecco il Rifugio Caritas per senza dimora. Così Milano rinasce. Dalle sue periferie. © RIPRODUZIONE RISERVATA
Sopra: l’ex teatro che ospiterà il Refettorio Ambrosiano nel capoluogo lombardo Sotto: lo chef Massimo Bottura
MOLTO PIÙ
DI UNA MENSA: PER LE PERSONE SEGUITE DALLA C ARITAS A MILANO UN VERO SPAZIO DI RISCATTO
n un vecchio teatro parrocchiale abbandonato nel quartiere Greco di Milano, dalla fine di maggio sarà aperta una mensa che è al tempo stesso un’opera di solidarietà e una provocazione culturale. Per i sei mesi di Expo, a turno, grandi chef provenienti da tutto il mondo cucineranno con le eccedenze alimentari per gli utenti dei servizi di Caritas Ambrosiana. Finita l’esposizione, il Refettorio Ambrosiano, questo il suo nome, continuerà a offrire un pasto a chi si trova in difficoltà e diventerà anche uno spazio d’arte dove si terranno iniziative culturali legate all’alimentazione e aperte a tutta la cittadinanza. Lo chef tristellato Massimo Bottura, con il direttore artistico Davide Rampello, è stato l’ideatore del progetto. Bottura, perché cucinare proprio con gli avanzi e per persone in difficoltà durante Expo? Perché sono due messaggi fondamentali. Il rispetto per il cibo passa dalla necessità di recuperarlo integralmente utilizzando ogni sua parte, di ogni animale e di ogni verdura, così come di ogni formaggio o di ogni frutto. Le persone in difficoltà mettono sovente in dubbio la propria dignità di esseri umani e credo che con un piccolo gesto possiamo cominciare restituirgliela come quello che faranno i migliori chef del mondo che cucinano per loro fra le mura del Refettorio Ambrosiano, circondati dalle opere d’arte di grandissimi artisti italiani e seduti ai tavoli dei migliori designer. C’è chi potrebbe dire che forse si sarebbe potuto fare a meno di tanta bellezza per compiere un’opera di solidarietà. Rispondo così: "Non di solo pane...". Quando parliamo di dignità dell’individuo, del recupero del valore della persona, non possiamo prescindere dal donare qualcosa che non sia solo la risposta alla stringente necessità fisiologica. Ha già deciso che cosa preparerà, o si affiderà all’intuizione del momento? Lavorerò sul recupero del pane così come faceva mia nonna per creare i passatelli. Recuperare il pane secco e farne un dessert con latte e zucchero come la zuppa che noi bambini mangiavamo 50 anni fa. Secondo alcune stime, lo spreco alimentare annuo pro capite degli italiani è di 140 chili annui, per metà dovuto agli avanzi domestici. Eppure abbiamo una tradizione culinaria povera ancora molto popolare. Dobbiamo tornare alla sapienza dei nostri nonni? La cultura è l’ingrediente più importante per approcciarsi a questo tema: abbiamo dimenticato quali erano le vere tradizioni della nostra gastronomia. Ma non solo, la cultura genera la conoscenza e, di conseguenza, la coscienza da cui viene il senso di responsabilità. Quel senso di responsabilità che dovrebbe farci capire il valore di comprare meno cibo, di migliore qualità imparando a usarlo integralmente. © RIPRODUZIONE RISERVATA
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VOLONTARI anima dell’Expo Studenti, manager, pensionati: ecco l’esercito di chi offrirà il proprio tempo La metà è alla prima esperienza, uno su quattro straniero. E c’è chi va col nonno > Antonio Sanfrancesco
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iffany è un’americana d’Italia. Lavora all’Istituto neurologico "Carlo Besta" di Milano dove è direttore generale del "Besta NeuroSim Center", primo centro in Europa dove si addestrano, attraverso simulazioni virtuali che riproducono il cervello umano, i "top gun" della chirurgia. Paola Manca, 49 anni, milanese doc, lavora per una società di carte di credito e ha fatto la volontaria alle Olimpiadi invernali di Torino 2006. Paola Raffaella Cerrato, origini torinesi, vive in Australia. Ha studiato a Roma Relazioni internazionali e da 15 anni lavora a Canberra al Dipartimento della Difesa australiano dove si occupa di servizi e politiche per assistere le famiglie dei militari in servizio. Con i suoi due figli di 10 e 12 anni («che parlano un ottimo italiano nonostante non siano nati qui», precisa) arriverà a Milano il 7 luglio per l’Expo. Non come semplice visitatore ma per fare la volontaria dal 9 al 22 luglio.
DESIDERIO DI INCONTRARE «Per me – racconta – è un grande investimento dal punto di vista finanziario e di tempo, ma sono molto entusiasta perché sarò ambasciatrice del mio Paese nel mondo». Volontaria, dunque, come Tiffany e Paola. E come Giorgio Bernardini, 73 anni, vigile del fuoco in pensione, e Marco Pusinanti, 21, studente universitario al secondo anno di Economia e commercio all’Università di Pavia. Sono nonno e nipote, arrivano da Vigevano e insieme hanno deciso di fare i volontari a Expo 2015. «Se vai tu, vengo anch’io», ha detto Marco. E nonno Giorgio non s’è fatto pregare, «anche perché – dice – è un’esperienza
affascinante per la possibilità che offre di incontrare persone di tutto il mondo». Paola Manca, ex scout con la passione per i viaggi, è entusiasta: «Quale migliore occasione di questa per valorizzare e far conoscere la nostra bellissima città?». Per Tiffany, che già faceva la volontaria negli Stati Uniti, questa esperienza all’Expo «è una sfida nuova ed eccitante perché mi permette di offrire il mio contributo umanitario». Dice proprio così: contributo umanitario. Quasi una lezione (inconsapevole) di senso civico e orgoglio tricolore. Quello che manca al nostro Paese, che persino sui volontari dell’Expo s’è inventato una polemica da strapaese rilanciata a colpi di cinguettii su Twitter attraverso l’hastag #iononlavorogratisperexpo.
UN SERVIZIO AUTENTICO Secondo i gruppi No Expo quello dei volontari è lavoro mascherato. Le storie (e i numeri), però, raccontano una realtà diversa. Non ci sono solo giovani che si trascinano nelle spire di un precariato infinito. Ma anche tanti studenti, pensionati, stranieri, persone con carriere prestigiose. Molti dei quali fanno già volontariato e vanno là dove tutti scappano: carceri, ospedali, monumenti minacciati o abbandonati, mense per i poveri. Ciessevi, il Centro servizi per il volontariato della Città metropolitana di Milano, ha selezionato l’esercito di volontari che saranno sul Cardo e sul Decumano, cioè fuori dai padiglioni. Ne cercavano 9.000, sono arrivate, in totale, 15.829 candidature da 128 paesi diversi. Sul podio, considerando il paese di nascita dei volontari, c’è ovviamente l’Italia (77%) seguita da Cina (11%) e Francia (1%). Quanto alle regioni, la parte del leone la fa la Lombardia, da dove arriva il 53% dei volontari, se-
Divisa bianca, i colori dell’Expo, e tanta voglia di fare un’esperienza offrendo un servizio ai visitatori. Col sorriso
guita da Piemonte, Sicilia ed Emilia Romagna. L’età media è di 27 anni mentre i più numerosi sono gli studenti (62%), seguiti da lavoratori (full e part time, 16%) e pensionati (4%). Per quanto riguarda la presenza di esperienze di volontariato pregresse il 50% non ne ha fatta nessuna, il 32% sì mentre il 18% ha fatto qualche esperienza occasionale. Numeri che fanno ben sperare Ivan Nissoli, presidente del Ciessevi: «Il nostro impegno è far sì che questi cittadini volenterosi diventino preziosa risorsa per la città e le sue associazioni una volta che Expo sarà concluso». Ci sono anche i 1.000 volontari ambasciatori di Caritas, i 1.500 della Fondazione Pime, quelli dell’Avis e dell’Agesci che animeranno lo spazio di Cascina Triulza dove saranno presenti le organizzazioni non profit, i 140 volontari del Servizio Civile Nazionale e i 1.000 del Touring Club per ampliare gli orari di apertura dei siti "Aperti per Voi", dalla chiesa di San Fedele alla Casa del Manzoni a Palazzo Litta.
GENERAZIONE ERASMUS Ciessevi ha anche selezionato i volontari per il padiglione dell’Unione Europea. Gli ambasciatori della (vecchia) Europa sono per lo più giovani, universitari o SONO CIRCA 20MILA LE con un master (il 14%), ad PERSONE CHE SI SONO MESSE alta carica rosa (il 67% soA DISPOSIZIONE PER SVOLGERE no donne) e in genere alla UN SERVIZIO DI prima esperienza nel soVOLONTARIATO. L’ETÀ MEDIA ciale. Arrivano da Italia, È 27 ANNI, GLI ITALIANI SONO Spagna, Francia e GermaLA MAGGIORANZA (77%), nia. È la "generazione EraI CINESI IL GRUPPO PIÙ smus". Che ha dato forma NUMEROSO TRA GLI STRANIERI al sogno europeo più di tan(11%). «IL NOSTRO NON È ti burocrati di Bruxelles... © LAVORO MASCHERATO» RIPRODUZIONE RISERVATA
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«Don Franco» dei Castelli romani un vino rosso molto sociale > Giulia Cerqueti
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Dall’alto in basso, nelle foto a sinistra, Paola Cerrato, Tiffany, Paola Manca. Sono tre volontarie tra i circa 20mila che si alterneranno nei sei mesi di Expo2015
Un pasto che nasce dal dono
Grottaferrata, nella campagna dei Castelli romani, a pochi passi dal monastero di San Nilo, quasi quarant’anni fa un giovane prete, don Franco Monterubbianesi, promosse la fondazione di una cooperativa agricola dove accogliere persone con disabilità psico-fisiche inserendole in percorsi di integrazione sociale e lavorativa. Nel 1966 don Franco aveva dato vita nelle Marche alla Comunità di Capodarco, che opera contro l’emarginazione sociale dei disabili e dei più deboli. Negli anni Settanta fu fondata la sede di Roma. Da lì la strada proseguì verso i Castelli: il locale convento delle suore francescane missionarie di Maria donò un terreno. Nacque così la cooperativa sociale Agricoltura Capodarco (www.agricolturacapodarco.it). «Siamo una quarantina di soci, il 40% composto da persone disabili», spiega Salvatore Stingo, 47 anni, presidente della cooperativa dal 1998. «Una trentina di persone, poi, partecipa ai nostri laboratori». Come il VivaIO, a Grottaferrata, e le attività della fattoria sociale della Tenuta della Mistica, nella zona est di Roma. «Siamo un punto di riferimento per il territorio e un importante modello a livello nazionale per l’agricoltura sociale». L’azienda agricola è dedita alle produzioni biologiche, offre un ristorante e due punti vendita. Fra i prodotti principali il vino, bianco e rosso, molto richiesto anche in Germania. E alle etichette tradizionali, ora se ne aggiunge una fortemente simbolica: "Don Franco", un rosso senza solfati, dedicato a Monterubbianesi, il fondatore. © RIPRODUZIONE RISERVATA
Padre Annoni (Osf): «Così siamo vicini ai poveri di Milano» > Filippo Rizzi
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ltre 800mila pasti distribuiti, 40mila visite mediche effettuate, più di 12mila cambi di vestiario, oltre 60mila ingressi alle docce in tutto il 2014. Sono i dati di un anno di attività a fianco degli ultimi di Opera San Francesco per i poveri di Milano, gestita dai cappuccini di viale Piave. Ed è questo il bilancio con cui questa istituzione caritativa si presenta all’appuntamento di Expo. Cifre mai
raggiunte da quando nacque questo centro diurno, nel lontano 1959, su intuizione del cappuccino fra’ Cecilio Cortinovis e dell’avvocato Emilio Grignani. «Sono cifre da primato – spiega il responsabile dell’Opera San Francesco per i poveri, padre Maurizio Annoni – che ci danno il polso delle emergenze di questa città, ma anche dell’avanzare delle nuove povertà visto il crescente aumento di italiani che accedono alle nostre mense». E aggiunge un particolare: «Con l’aiuto del Comune di Milano ci siamo tro-
vati anche a offrire una particolare rete di aiuto ai migranti eritrei garantendo, in pochi mesi (maggio novembre 2014) più di 65mila pasti a queste persone». Ma saranno proprio i temi legati a "nutrire il Pianeta" e al cibo l’asse portante dell’azione dell’Opera San Francesco per i poveri all’insegna soprattutto del dono per l’evento di Expo. «Per noi quest’evento – spiega padre Maurizio – diventa l’occasione privilegiata per ribadire il valore del diritto al cibo a chi non ne dispone e per continuare nel nostro servi-
zio di aiuto nel quartiere della nostra città, senza il quale forse aumenterebbe il degrado. Il tema «nutrire il pianeta, energia per la vita» lo viviamo soprattutto come un imperativo categorico vissuto con pari impegno dai nostri oltre 700 volontari e anche dai benefattori per dire ai nostri ospiti: «Non siete soli» e «vi siamo vicini». Un appuntamento, quello dell’esposizione universale del 2015, che verrà vissuto dalle varie anime dell’Opera San Francesco per i poveri grazie alla sua rete capillare di servizi (dall’ambula-
torio alla mensa, dal servizio di ascolto a quello psichiatrico) con grande senso di appartenenza. «Il rapporto con questa città è antico e forse per questo siamo spesso associati alla memoria che il Manzoni fa di noi cappuccini nei Promessi Sposi – confida padre Annoni – cioè quello di essere sempre al fianco degli appestati, i colerosi, i dimenticati. Credo che proseguiremo sempre su questa strada cercando di dare soprattutto una mano all’uomo di tutti i giorni». © RIPRODUZIONE RISERVATA
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ATTUALITA I
> Daniela Fassini
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ilano non avrà la sua Tour Eiffel, come Parigi, o un altro Traforo del Sempione, come lasciò in eredità nel lontano 1906. Expo Milano 2015 non lascerà ai posteri nulla di tutto questo: l’eredità dell’esposizione universale milanese sarà la Carta di Milano. Un lascito immateriale che è anche e soprattutto un impegno e un dovere condiviso. Quello di contribuire ad eliminare la fame nel mondo e a rendere il pianeta più sostenibile. Sottoscrivendo la carta (che sarà disponibile a Palazzo Italia, nell’area espositiva di Rho, e scaricabile online sul sito www.carta.milano.it) i visitatori dell’Expo, ma anche quanti non potranno venire a Milano, accettano infatti di impegnarsi «per il diritto a un cibo sano, sufficiente e nutriente per tutti».
SFIDA PER IL FUTURO Oggi, nel mondo, circa 800 milioni di persone soffrono di fame cronica e più di due miliardi di persone sono malnutrite. Eppure ogni anno 1,3 miliardi di tonnellate di cibo viene sprecato, mentre le risorse della terra, le foreste e i mari sono sfruttati in modo insostenibile. La grande sfida per il futuro dell’U-
La nostra Tour Eiffel è di CARTA L’esposizione universale di Milano non lascerà una grande opera in eredità, ma un documento per vincere la fame nel mondo manità è quindi quella di nutrire una popolazione in crescita, in modo equo e sostenibile per tutti. La Carta di Milano vuole rispondere a queste sfide. Al tavolo di redazione del documento hanno preso parte oltre a esperti, studiosi e rappresentanti del mondo civile e del lavoro i ministeri delle Politiche Agricole, degli Affari Esteri, dell’Ambiente e della Salute, Onu, Fao e i Commissari dei Paesi Partecipanti che hanno condiviso il lavoro coordinato da Laboratorio Expo - il progetto di Ex-
L’obiettivo è ambizioso, la società civile fa pressione per modifiche fondamentali. La «Carta di Milano» è la vera sfida di Expo2015
po Milano 2015 e Fondazione Giangiacomo Feltrinelli curato da Salvatore Veca, nato per studiare le tematiche legate al tema "Nutrire il pianeta, energia per la vita". Le linee guida della Carta verranno affinate nel corso dei sei mesi attraverso incontri, dibattiti e approfondimenti con i Paesi partecipanti.
CONFRONTO APERTO A pochi giorni dalla sua prima pubblicazione, però, c’è già qualcuno che "storce il naso" e invita l’Italia e i cattolici a far sentire la propria voce. Le associazioni "Sulla fame non si specula" e "005" hanno criticato il documento perché non si fa più accenno al tema della speculazione finanziaria sui prezzi delle materie prime alimentari e perché non compare il "land grabbing", l’accaparramento delle terre. Il riferimento era invece contenuto nella prima stesura del Protocollo di Milano, promosso dal Barilla Center for Food and nutrition. Poi, se ne sono perse le tracce. La Carta di Milano sarà consegnata al segretario dell’Onu, Ban-Ki-Moon a ottobre, nel corso della sua visita all’Expo. Per quella data i contenuti e testi potrebbero così ancora cambiare e rappresentare la vera eredità dell’Expo, un impegno globale che, sono in molti a credere, vale 100 volte la Tour Eiffel. © RIPRODUZIONE RISERVATA
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«Diciamo addio ai RIFIUTI» Rossano Ercolini, maestro elementare toscano, è il padre del progetto Zero Waste «Basta sprechi, basta rifiuti e niente più inceneritori. Il pianeta è nelle nostre mani» > Paolo Perazzolo
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ben guardare l’Expo è già iniziata da tempo, e ben in anticipo sul primo maggio 2015, con l’attività dell’associazione Zero Waste, il cui ispiratore è Rossano Ercolini, un maestro toscano di scuola elementare che nel 2013 ha ricevuto il Goldman Environmental Prize, il "Nobel per l’ambiente e l’ecologia". Tutto cominciò nel lontano 1976, quando fu stabilito di costruire un inceneritore a Capannori, il paese in provincia di Lucca dove Ercolini viveva. Nacque allora un comitato dentro il quale il maestro condusse la sua prima battaglia, che definire semplicemente ecologista è riduttivo.
IL CONCETTO DELLA RIDUZIONE DEGLI SCARTI NASCE NELL’INDUSTRIA AUTOMOBILISTICA E DIVENTA UNA PRATICA CIVILE IN AUSTRALIA E NEGLI STATI UNITI IL COMUNE DI CAPANNORI, IN PROVINCIA DI LUCCA, È STATO IL PRIMO IN EUROPA AD ADOTTARE UNA NORMATIVA "ZERO RIFIUTI". ALL’INSEGNANTE CHE LO HA SOSTENUTO IL "NOBEL PER L’AMBIENTE"
PROGETTO DI DIGNITÀ Fra i contenuti e le finalità del progetto Zero Waste e "Nutrire il pianeta, energia per la vita", tema di Expo 2015, esiste una forte affinità. «Un messaggio certamente condivisibile», afferma Ercolini. «Ogni essere umano deve avere il cibo necessario per una vita dignitosa, condizione essenziale per partecipare di ogni altro diritto. Nutrire il pianeta, dunque, è un imperativo. Ora, la questione del cibo va inquadrata in quella più ampia dell’uso del suolo che, appunto, va destinato ad attività agricole che diano cibo all’umanità. Quello che sta accadendo oggi, invece, è che le multinazionali stanno acquistando terreni non per produrre alimenti, bensì per la filiera agroenergetica. In altre parole, fanno incetta di suolo per produrre combustibili, energia. La Fao ha definito questo fenomeno land-grabbing, che altro non è che l’espropriazione dei e Nuova Zelanda, poi si diffuse negli Stati Upiccoli appezzamenti di terreno dal quale diniti, mentre l’Europa restava ai margini, finpende il sostentamento delle comunità locaché il Comune di Capannori fu il primo, in Ili. E in contemporanea, è intensa la speculatalia e nel Continente, ad adottare una zione sulle materie prime. Nutrire la ternormativa "Zero rifiuti" grazie alla ra, come annuncia Expo, deve siCHI È battaglia contro l’inceneritore». gnificare allora anzitutto salvaL’EDUCATORE L’obiezione non ha tardato a guardare i terreni agricoli dalCHE DIFENDE IL FUTURO farsi sentire: una società a la cementificazione e reRossano Ercolini, maestro elementare, vive a zero rifiuti è un’utopia. stituirli all’originario imCapannori (Lucca). È presidente dell’associazione «È invece un obiettivo piego agricolo. Nutrire «Zero Waste Europe» e coordinatore del Centro di idealistico, in tempi il pianeta è un impeRicerca Rifiuti Zero. Nel 2013 ha ricevuto il Goldman realistici», ribatte Ergno di giustizia ecoEnvironmental Prize, il maggior riconoscimento mondiale colini. «Capannori logica, la sola che sui temi della sostenibilità e dell’ambientalismo, che dal punta ai rifiuti zero può intervenire, fra 1998 non veniva assegnato a un italiano. Questa la motivanon entro domani, l’altro, sui flussi mizione: «Quando sentì parlare dei progetti di edificazione ma entro il 2020. Il gratori». dell’inceneritore nel suo Comune, ritenne di avere la re2025 può essere la Zero Waste letteralsponsabilità, come educatore, di proteggere il benesdata per chi parte amente significa sere degli studenti e di informare la comunità in desso. La cosa fonda"spreco zero" ma anmerito ai rischi e alle soluzioni per la gestione mentale è che si vada che "rifiuti zero". «La sostenibile dei rifiuti domestici». Nel 2014 nella direzione della ridefinizione fu coniata per Garzanti ha pubblicato il saggio duzione dei rifiuti, che odalla Toyota, che aveva «Non bruciamo il futuro». gni giorno se ne produca lo intuito che quanto più una (P.P.) 0,01 in meno. D’altra parte, anproduzione è inefficiente, tanche voler eliminare la povertà o la to più produce rifiuti. Il primo sidisoccupazione è un’utopia, eppure gillo normativo fu posto in Australia
non rinunciamo a queste battaglie».
LOTTA AGLI SPRECHI Diventa evidente che la strategia "Zero Waste" ha una valenza etica, oltre che ambientale ed economica. «A un incontro davanti a un migliaia di persone, fra cui il vescovo di Lucca, mi esortarono a trovare una sintesi del nostro lavoro. La espressi così: gli inceneritori avallano un sistema che si basa sullo spreco; lo spreco priva una parte del mondo dei beni necessari; bruciare rifiuti è amorale. Mentre una minoranza sperpera, la maggioranza vive nella penuria. Se l’intera l’umanità consumasse come il cittadino americano, occorrerebbero quattro pianeti». Zero Waste, allora, è un viaggio da compiere. Un viaggio soprattutto culturale, in cui l’educazione ha un ruolo decisivo. «Il pianeta è nelle nostre mani», conclude Ercolini, che continua a fare il maestro, «se le usiamo per separare l’organico dagli altri rifiuti, aumentiamo le risorse primarie, attorno alle quali oggi si scatenano molte guerre. Zero Waste è un progetto educativo a tutto tondo, che ci orienta nella giusta direzione». © RIPRODUZIONE RISERVATA
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> Antonio Maria Mira
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ducare attraverso l’agricoltura, l’antimafia sociale, il lavoro. Un lavoro tre volte pulito, perché sui terreni confiscati alle mafie, rispettando tutte le regole (al Sud non è sempre facile...) e privilegiando le culture biologiche e i prodotti di territorio. È "Libera Terra" il progetto di cooperative nato su iniziativa di "Libera", l’associazione fondata da don Luigi Ciotti nel 1995. Attualmente sono dieci: 1 in Campania, 1 in Puglia, 2 in Calabria e 6 in Sicilia. Cinque sono nate e vengono sostenute anche grazie al Progetto Policoro della Cei per l’imprenditorialità giovanile al Sud. Una rete che dà lavoro a oltre 150 giovani che coltivano più di 1.500 ettari, e che coinvolge migliaia di ragazzi di scuole e associazioni che frequentano le cooperative durante l’anno o nei campi di lavoro estivi.
DOPPIA ANIMA «I prodotti Libera Terra – spiega don Ciotti – hanno una vitamina in più che è quella della legalità, della giustizia e della libertà. Olio, pasta, vino che insieme ai nostri sforzi, al nostro impegno, alle nostre energie diventano segni della speranza. So-
Le «vitamine» di don CIOTTI
di energie sane, pulite della società responsabile». Ma l’importanza educativa è anche verso l’esterno, in quei più di settanta prodotti che raggiungono botteghe e supermercati di tutta Italia. «I prodotti di Libera Terra – aggiunge don Luigi – sono diversi, sono sicuri e trasparenti nel loro Nella foto: processo produttivo ed il loro gusto riveDon Luigi Ciotti. la l’importanza del lavoro sui beni confi«I prodotti delle scati, il valore del "Noi" come contributo nostre cooperative al cambiamento ma soprattutto ci dimo– dice – hanno una stra che chi semina raccoglie i frutti del doppia anima: proprio impegno». la giustizia STORIE DI RISCATTO e il gusto, l’etica Gli stessi nomi di alcune cooperative soe l’estetica» ciali – di tipo "B", che integrano soggetti svantaggiati – parlano, insegnano: don Peppe Diana, Beppe Montana, Placido Rizzotto, Rita Atria, Rosario Livatino, Pio La Torre. Vittime delle mafie, martiri della resistenza contro i clan, storia del nostro Paese.
L’agricoltura sui terreni confiscati alle mafie Così «Libera Terra» educa e alimenta no tutti prodotti dalla doppia anima, la giustizia e il gusto, l’etica e l’estetica». Messaggi antitetici alla non-cultura mafiosa, e per questo educativi. In primo luogo per i territori dove sono nate e per i cittadini di quelle terre, a lungo, e in parte ancora, sotto il potere mafioso. «Sono prodotti sani – sottolinea don Luigi – perché non contaminati dalla violenza criminale, da quei sistemi di interessi e connivenze che fanno marcire le radici di un territorio. Quelle terre a lungo ferite, umiliate, impoverite sono oggi fertili di opportunità e diritti. Sono la fotografia dell’Italia che vorremmo: bella, giusta e solidale, capace di offrire ai giovani un lavoro pulito e a tutti un’economia trasparente e sana. E sono prodotti sani perché frutto della collaborazione tra magistratura, istituzioni e forze dell’ordine ma soprattutto perché sono espressioni
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iovanni e Rita ogni quindici giorni vanno a fare la loro spesa. Ma a differenza di un normale supermercato, dove vanno loro accanto ai prodotti non c’è il prezzo di vendita, ma un punteggio. E devono fare bene i conti perché la tessera con la quale pagano è caricata ogni mese di un gruzzolo di punti e devono bastare: allora si punta sui generi alimentari fondamentali per un famiglia che deve crescere anche due bambini. «Ma almeno ora possiamo mangiare tutti i giorni» commenta la giovane coppia, una delle molte famiglie – italiane e straniere – che lungo la Penisola italiana le varie Caritas diocesane seguono mensilmente. Famiglie in difficoltà, spesso senza lavoro o cariche di debiti, a cui l’organismo della carità promosso dalla Chiesa italiana cercano di dare risposte concrete. L’«emporio della solidarietà», il supermercato dove fa la spesa la coppia di cui abbiamo parlato, è una delle risposte che diocesi e parrocchie cercano di dare anche sul fronte dell’alimentazione.
OLTRE IL PACCO MENSILE «Abbiamo pensato di superare la logica del pacco mensile consegnato alla famiglia – spiega don Adolfo Macchioli responsabile diocesano della Caritas di Savona-Noli in Liguria – introducendo un meccanismo che da una parte continui a fornire un sostegno alimentare alle famiglie in difficoltà e dall’altro punti anche a responsabilizzare sul tema». Ecco allora la tessera a punti e "l’emporio della solidarietà", che con forme differenti è la strada scelta da moltissime Caritas. «Fare la spesa – spiega ancora il sacerdote savonese – significa anche "pensarla", cioè comprando prodotti utili anche a lungo termine». Un esempio? Sugli scaffali ci sono anche le merendine pronte, ma forse è meglio domandarsi cosa serve davvero ai propri figli nell’alimentazione. «Magari è meglio prendere un pacco di farina, dell’olio, delle uova e cucinare questi ingredienti, anche perché si ottiene molto di più». Insomma fare la spesa "educando" all’acquisto e soprattutto al non sprecare. SCATTA LA SOLIDARIETÀ Quest’ultima è la logica che guida il cammino della Caritas di Rieti, nel Lazio, che ha promosso una forte sensibilizzazione presso supermercati, pizzerie, panifici, negozi di alimentari, affinché, spiega il responsabile diocesano don Benedetto Falcetti, «si possa raccogliere quanto non venduto, evitando che finisca in discarica perché non più vendibile nonostante sia ancora commestibile». Sono circa trecento le famiglie che la diocesi del Lazio sta seguendo attualmente, «colpa anche una grave crisi occupazionale, che ha falcidiato le attività produttive del territorio». E così scatta la solidarietà, che in questo caso è anche «una battaglia contro lo spreco alimentare». Un’educazione all’acquisto senza sprechi da una parte e un’educazione contro lo spreco per coloro che producono cibo e ne gettano molto perché "non più commercializzabile". Una generosità che spesso trova qualche ostacolo burocratico e amministrativo, in particolare con le grandi catene di supermercati, segnalano i responsabili diocesani. «Anche per questo – racconta don Luciano Di Silvestro, direttore della Caritas di Caltagirone in Sicilia – nella nostra realtà promuovia-
UN POSTO A TAVOLA
Il pasto insieme in famiglia? È l’amore la vera ricetta > Renata Maderna
Al mercato usiamo la TESTA Scegliere la spesa è il primo passo per risparmiare e non sprecare Così le Caritas aiutano le famiglie oltre la logica del pacco mensile mo nel corso dell’anno ben tre raccolte straordinarie di cibo da destinare al nostro emporio della solidarietà: una raccolta la facciamo in Avvento (il periodo di preparazione al Natale), una seconda in Quaresima (in cammino verso la Pasqua) e una terza attorno a giugno. In questo modo cerchiamo di coprire con questi contributi l’intero arco di attività». Ma anche in questo caso si tratta di educazione a non sprecare: infatti «mentre promuoviamo la raccolta – racconta il sacerdote siciliano – diamo anche indicazioni sui generi alimentari di cui abbiamo effettivamente bisogno. Nessun obbligo, una indicazione. Ma anche così si può insegnare a stare vicino al prossimo senza "sprecare" il nostro aiuto».
La povertà si sconfigge anche con scelte oculate nella scelta degli alimenti e in cucina
NIENTE SPRECHI Una cultura alimentare senza sprechi che, nei prossimi mesi, potrebbe vedere la Caritas di SavonaNoli persino impegnata in cucina con un corso di "cucina sostenibile". «In passato abbiamo fatto corsi dedicati alle badanti e alle colf straniere che seguono i nostri anziani perché imparassero la cucina italiana in modo da essere d’aiuto ai loro assistiti – racconta don Mac- LA TESSERA A PUNTI chioli –. Ora abbiamo un progetto ri- E L’«EMPORIO DELLA volto alle famiglie in difficoltà, pro- SOLIDARIETÀ» prio perché possano usare al meglio RAPPRESENTANO IN MOLTE quanto acquistano all’emporio». Ma DIOCESI UN MODO PER questo corso, forse, dovrebbe essere SOSTENERE LE PERSONE IN STATO DI BISOGNO ANCHE rivolto a tutte le famiglie. © ATTRAVERSO L’EDUCAZIONE
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no dei Proverbi della Bibbia (15,17) ricorda che «Un piatto di verdure con l’amore è meglio di un bue grasso con l’odio». Per quanto scontato possa parere, racconta una grande verità sulle tante scene di vita vissuta che vengono alle mente se, provocati dal tema dell’Expo 2015, coniughiamo le parole cibo e famiglia. Chi ha figli, o comunque solo per essere stato a sua volta figlio, sa bene quanto la cena (perché il pranzo ormai, almeno nelle grandi città, viene consumato separatamente, i genitori in mensa o al bar e i figli il più delle volte a scuola se bambini o soli in casa se ragazzi…) si riveli un momento tutto da vivere o, per contro, da dimenticare. Non tanto per la qualità del cibo, ma per quella dell’atmosfera che si viene a creare a tavola. Le immagini si sdoppiano: da una parte quei momenti speciali in cui – quasi naturalmente – si snoda una conversazione vivace o una riflessione che tesse un bel rapporto tra generazioni e uno scambio di opinioni che arricchisce e fa crescere; dall’altra quei litigi e battibecchi, punteggiati di toni accesi e rivendicazioni, da cui affiorano solo gelosie e rancori. Certo, un buon manicaretto aiuta, ma, più che per la bravura degna di uno chef, per l’amore che tante mamme e tante nonne (e non dimentichiamo i molti uomini abili ai fornelli!) sanno impastare nelle ricette più amate, soprattutto dai piccoli di casa. Se al ristorante, infatti, si cerca l’originalità, dentro le mura di casa si finisce per prediligere una certa ripetitività, capace di tessere il filo delle tradizioni familiari e tramandare, insieme ai ravioli fatti in casa, la bellezza dello stare insieme. © RIPRODUZIONE RISERVATA
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INUTRIAMO LO SPIRITO IL SIGNIFICATO DEGLI ALIMENTI Nel dipinto di Vincenzo Campi, «Cristo in casa di Maria e Marta», sono raffigurati molti alimenti. Dal pescato alla selvaggina agli ortaggi, ogni cosa in tavola ha un significato simbolico, come ci spiega Suor Maria Gloria Riva.Ad esempio il maiale allude a una vita licenziosa, il crostaceo è simbolo di eresia e tradimento, il fagiano è simbolo di risurrezione, la pernice indica la sequela a Cristo, ma anche le ricchezze acquisite illecitamente. L’uva è invece un simbolo eucaristico, la mela ricorda il peccato originale, la pera è segno della verginità feconda di Maria.
Il cibo della SALVEZZA Una tavola pantagruelica e opulenta ci invita a riflettere sul cammino dell’uomo > Maria Gloria Riva
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una tavola pantagruelica, quella dipinta da Vincenzo Campi nell’opera «Cristo in casa di Maria e Marta». Difficile, però, vedere la scena evangelica di riferimento. In primo piano domina la figura di Marta i cui abiti tradiscono il significato stesso del nome, ella è la Signora. Il rosso del corpetto fa bella mostra di sé e si accosta degnamente alle cibarie esposte sul desco di cucina. Marta non sembra indispettita per essere sola a cucinare, eppure selvaggina, pesci e crostacei, o gli animali d’allevamento, gettati distrattamente sul desco, sembrano appena uccisi e necessitano di preparazione. Marta ci guarda dritto negli occhi tenendo una fetta di salmone e un cesto di verdura, sollevato con ostentazione.
I MESSAGGI NASCOSTI Il suo volto abbozza un sorriso mentre ci interroga. Che cosa vogliono dire quei cibi, spesso non kosher, gettati sul tavolo? Perché Marta preferisce salmone e verdura a tutto quel ben di Dio, difficile persino da elencare? Nel XVI secolo, sotto il bodegón (pittura di genere) o il trompe-l’œil (pittura realistica apparentemente tridimensionale) o sotto talune nature morte si celavano messaggi precisi. Qui, accanto ai pesci, leciti in quaresima, si vede carne di maiale e selvaggina d’ogni tipo. Il maiale è allusione a una vita licenziosa, il crostaceo, specie il gambero, ma anche l’aragosta, camminando all’indietro, è simbolo di eresia e tradi-
Il dipinto: Vincenzo Campi, Cristo nella casa di Maria e Marta, 1580 ca., olio su tela, Modena, Galleria Estense
mento. Le anatre erano variamente interpretate: per il loro migrare rimandano al viaggio della vita, inoltre, poiché galleggiano sull’acqua, sono segno di superficialità e maldicenza. Per contro il fagiano, scambiato spesso con l’araba fenice, è simbolo di risurrezione, mentre la pernice indica da un lato la sequela a Cristo e dall’altro, a causa della sua abitudine a impadronirsi di uova altrui, le ricchezze acquisite illecitamente.
TUTTO È PURO PER I PURI Anche verdura e frutta non sono escluse da quest’universo simbolico. Le fragole rappresentano un potente afrodisiaco, mentre le ciliegie, per la polpa rosso sangue e il nocciolo di legno, indicaIL LINGUAGGIO ALLUSIVO CI no la passione del SalSPRONA AD ANDARE OLTRE LE vatore. Nel canestro APPARENZE: L’ABBONDANZA DI tenuto da Marta vi è MEZZI, COME LE COPIOSE VIVANDE solo frutta scelta: l’uDESCRITTE NEL DIPINTO, POCO va simbolo eucaristico CONTANO SENZA LA LARGHEZZA per eccellenza; la meDEL CUORE. UNA SIMILE TELA la, rimando al peccato NON SFIGUREREBBE NEI originale, vinto apPARLAMENTI DEI PAESI EUROPEI punto dalla vita sacramentale del credente; la pera, per la sua forma e i suoi fiori bianchissimi, è segno della verginità feconda di Maria. Al contrario cavoli e carote sono simboli erotici. Insomma quella tavola tanto fornita invita a considerare attentamente il cammino dell’uomo costantemente tentato dalla concupiscenza, dai desideri della carne e dalla cupidigia, al punto da disperare della salvezza. Grazie a Cristo, però, le tentazioni sono
vinte e le pulsioni umane redente. Dietro questa tavola, in filigrana, scorgiamo la tovaglia che vide Pietro sulla terrazza di Giaffa, colma di cibi puri e impuri. Come Pietro ricevette il comando di uccidere e mangiare, così la Marta del Campi invita a considerare quanto tutto sia puro per i puri. Alle sue spalle tre animali denunciano i vizi e la fragilità dell’uomo di fronte alla persuasione del male: il maiale, l’anatra e un pollo già spennato. Più sotto però un pesce, simbolo di Cristo, sporge dalla cesta sfidando faccia a faccia il porco. Tali elementi ci accompagnano a vedere, oltre la signorile Marta, fin dentro la sua casa dove Cristo siede accanto a Maria.
UN SENSO NELL’OPULENZA I due non sembrano interessati alla cena, solo gli apostoli, infatti, sullo sfondo siedono a mensa in attesa. Maria ascolta il Maestro con in grembo il libro della Parola. Il Campi, allievo di Pieter Aertsen, amava il linguaggio allusivo e ci sprona così ad andare oltre le apparenze: l’abbondanza di mezzi, come le copiose vivande qui descritte, poco contano senza la larghezza del cuore. Solo la rinuncia al peccato regala uno sguardo lungimirante, capace di discernimento. Una simile tela non sfigurerebbe nei Parlamenti dei paesi europei che di discernimento e acutezza di giudizio hanno estremo bisogno. In mezzo all’opulenza occidentale, significata dalla tavola di Marta, l’ascolto di Maria emerge come unica via per ritrovare senso e luce di tutte le cose. © RIPRODUZIONE RISERVATA
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INUTRIAMO LO SPIRITO
> Primo Mercanti
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etti un sabato sera a cena in un quartiere popolare di Londra che ha visto insediarsi la prima comunità di Italiani nell’800, nel cuore di quella Saffron Hill citata in "Oliver Twist" come zona malsana. Oggi, però, l’aria è cambiata e anche gli aromi. Dietro le tende delle finestre, sopra il "Terroni of Clerkenwell", una tra le più antiche gastronomia italiane nel cuore del Regno Unito, un gruppo di giovani originari del Bel Paese sta gustando una serie di pietanze di sapore biblico, alternando la lettura di brani della Scrittura alla degustazione del cibo. Lo spunto per organizzare questa serata originale è giunto dall’Italia, via web, e precisamente dall’iniziativa pastorale "Un attimo di pace" progettata dalla diocesi di Padova per raggiungere soprattutto gli adulti che hanno poca confidenza con la pratica cristiana e proporre percorsi non convenzionali di spiritualità.
UNA COMUNITÀ ON LINE «Durante la settimana si corre parecchio – spiega Davide Lo Coco, palermitano – e potersi dedicare del tempo per gustare il cibo, scoprendo anche il suo legame con la Bibbia è stato un dono inaspettato. Lo racconterò sicuramente agli amici». La diffusione virale di messaggi legati ai percorsi di fede è proprio uno degli obiettivi principali di "Un attimo di pace" che nel corso dei suoi tre anni di attività ha visto progressivamente infoltirsi una comunità on line di circa trentamila utenti che, in Avvento e Quaresima, ricevono quotidianamente un frammento di vangelo accompagnato da una breve riflessione dal sapore molto concreto e attuale. «Nell’edizione della scorsa Quaresima – spiega don Marco Sanavio, coordinatore del progetto – abbiamo trattato il tema del nutrimento, consapevoli che Expo Milano 2015 avrebbe allargato l’orizzonte da noi dischiuso. Il cibo, nella Sacra Scrittura, è un potente veicolo di connessioni profonde con l’umano, ma anche con il divino. L’uomo desidera stabilire un contatto con Dio attraverso gli alimenti, ma il canale viene spesso utilizzato anche nell’altro senso, come nell’ultima cena». ALTERNATIVA ALLE FESTE Una delle esperienze centrali dell’ultima edizione di "Un attimo di pace" è stato proprio un corso di cucina a tema biblico tenuto da don Andrea Ciucci, prete di origine milanese autore di diverse pubblicazioni che trattano il legame tra gli alimenti e la Sacra Scrittura. La preparazione delle varie pietanze, ripresa e diffusa tramite Youtube, ha destato l’in-
Se la cena è BIBLICA Un corso di cucina dedicato alle ricette delle Sacre Scritture L’iniziativa «Un attimo di pace» coinvolge già migliaia di persone
IL LIBRO
Piatti sacri, tutti a tavola con Abramo
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ome preparare una cena con piatti ispirati alla Bibbia? Non è difficile, basta visitare il sito www.unattimodipace.it e cliccare sul banner di destra "La Bibbia in cucina". Si aprirà una sezione che descrive quattro ricette tratte dal libro di Adrea Ciucci e Paolo Sartor «A tavola con Abramo» (edizioni San Paolo) che sono, per la precisione: minestra di lenticchie di Esaù o "del desiderio e della fame", spezzatino di vitello alla zucca o "dell’accoglienza generosa", pane azzimo o "della libertà e della schiavitù", macedonia di Gioele o "della pace e della guerra". Oltre alla descrizione testuale delle ricette sono disponibili quattro video tutorial che descrivono passo passo la preparazione delle pietanze e riportano i brani della Sacra Scrittura ad esse collegati. Sempre dallo stesso sito possono essere scaricate le quattro cartoline che descrivono la preparazione dei piatti di ispirazione biblica da inoltrare e diffondere con pochi clic mediante posta elettronica e social network. © RIPRODUZIONE RISERVATA
Esaù vende la sua primogenitura a Giacobbe in cambio di un piatto di lenticchie. Dipinto di Matthias Stom (1600–1652), olio su tela, Museo dell’Hermitage, San Pietroburgo
teresse anche dell’Associazione provinciale pubblici esercizi di Padova che ha stampato e diffuso in decine di locali della provincia una serie di cartoline con la descrizione delle ricette. Alcuni partecipanti al corso hanno già organizzato un laboratorio di cucina biblica all’interno della festa patronale e in in altre parrocchie del Veneto si sta pensando a questi piatti come alternativa a spaghetti e salsicce, all’interno delle feste. Bibbia, cucina e web, ingredienti di una ricetta dallo straordinario potenziale che promette di riservare ancora molte sorprese e possibilità inesplorate. © RIPRODUZIONE RISERVATA
IL PROGETTO NASCE DALLA DIOCESI DI PADOVA PER RAGGIUNGERE GLI
ADULTI CHE HANNO POCA CONFIDENZA CON LA PRATICA CRISTIANA E PROPORRE PERCORSI NON CONVENZIONALI DI SPIRITUALITÀ. DOPO TRE ANNI È ATTIVA UNA COMUNITÀ ON LINE DI CIRCA TRENTAMILA UTENTI
LA «MADUNINA» ACCOGLIE I VISITATORI Sarà lei ad accogliere i visitatori, "vigilando" sull’Expo. Una copia fedele della Madonnina è stata collocata nello spazio della Veneranda Fabbrica del Duomo, a ridosso dell’ingresso Est e del padiglione Zero. La statua è stata realizzata a Nola, dalla Fonderia Nolana della famiglia Del Giudice, dinastia campana della fusione secondo il metodo della cera persa, quello antichissimo, usato anche per i Bronzi di Riace.Alta 4,6 metri, copia fedele dell’originale in scala 1 a 1, pesa 14 quintali, è costituita da 26 pezzi e ricoperta da 4750 fogli d’oro 24 carati. La Veneranda Fabbrica ha inoltre deciso di donare per sei mesi il pane a tutti i bisognosi, ogni venerdì sera, nel padiglione e nella chiesa di Santa Maria Annunciata in Camposanto (piazza Duomo 18). Cinzia Arena
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NOI EXPO maggio 2015
INUTRIAMO LO SPIRITO
> Tonino Lasconi
«N
on di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio» (Mt 4,4), dichiara Gesù al tentatore. Quel "vivrà" sa di profezia, e lascia immaginare un futuro nel quale il mondo saprà soddisfare la fame non soltanto con il pane che esce del forno, ma con nutrimento altro che scaturisce dalla parola di Dio. Questo futuro diverso non comincerà mica con l’Expo, visto che si propone di risolvere la fame del mondo con una cultura diversa dell’alimentazione? Sarebbe troppo bello, ma non sarà così, a meno che contribuisca, anche senza volerlo espressamente, a sospingere il mondo verso la convinzione che il problema della fame non si risolve partendo dalle esigenze dello stomaco, ma «da ciò che esce dalla bocca di Dio». Cos’è che esce dalla bocca di Dio? Quale sarebbe la soluzione? Potremmo rispondere seccamente: l’Eucaristia, la Messa, ma la risposta risulterebbe talmente provocatoria che molti smetterebbero di leggere.
IL PANE CONDIVISO Partiamo allora da un’altra domanda: cos’è l’Eucaristia, la Messa. Gesù, nell’ultima sua cena, volendo riassumere la sua vita, passata facendo del bene a tutti fino a quella sera, e la successiva, da quella sera alla donazione suprema sulla croce, prese un pane, lo spezzò, lo diede ai suoi amici, dicendo: «Questo è il mio corpo che è dato per voi». Poi lasciò loro una consegna: «Fate questo in memoria di me» (Lc 22,19). Cos’è quel "questo"? Non è solo il gesto, ma ciò che esso raccoglie e significa: spezzare il pane, non tenerlo tutto per sé, condividerlo. L’Eucaristia, la Messa, è rispettare questa consegna, non solo nel rito, ma nella vita. I primi cristiani l’avevano capito bene: quando si riunivano per "spezzare il pane" (così era chiamata la Messa) portavano pagnotte di pane che, terminata la celebrazione, andavano a distribuire ai poveri. Adesso è inevitabile un’altra domanda: la Messa è questo, ma questa è la nostra Messa? Purtroppo, il rischio di ridurla a vuota cerimonia è sempre in agguato. Succedeva già al tempo di san Paolo. Se la riduciamo così, noi cristiani diventiamo un ostacolo al "non di solo pane vivrà l’uomo", e, al di là delle belle parole, diventiamo complici di coloro che non spezzano il pane, ma lo arraffano, lo accaparrano, lo sprecano. «DACCI OGGI» Per evitare questa triste deriva, nella celebrazione della Messa, dobbiamo essere molto attenti alla preghiera di Gesù, obbligatoria prima di condividere il "pane spezzato" (prima di fare la comunione). Essa ci fa pregare: «Dacci oggi il nostro pane quotidiano». Perché quel "quotidiano", se prima c’è "oggi"? Non è pleonastico e inutile? No. "Quotidia-
SANTE VITE
Così San Francesco ci ha insegnato a dire grazie per la terra ricevuta > Matteo Liut
Quel pane SPEZZATO è per tutti L’Eucaristia è rispettare la consegna della condivisione anche nella vita. I primi cristiani dopo la celebrazione portavano pagnotte ai poveri no" significa quello che basta oggi, senza caSe la Messa non è condivisione renza e senza sprechi, per una vita dignitosa. diventiamo È importantissimo non pronunciarlo con la complici di bocca senza prenderlo come un impegno. Il coloro che non pane che basta oggi c’è – non solo per me, spezzano il pane, ma per tutti. Gesù non ci fa dire: «dammi», ma lo arraffano, ma «dacci»; Padre «nostro», non «mio» – se lo accaparrano, ieri, se nei giorni precedenti non è stato aclo sprecano caparrato, sprecato, rubato da pochi con l’ingiustizia, con lo sfruttamento, con arricchimenti stolti. Il pane che basta oggi ci sarà domani, se oggi non viene sprecato e gettato nei rifiuti con spese e consumi sconsiderati. Nel padiglione della Santa Sede all’Expo si lascia ammirare l’ultima cena del Tintoretto. Potrebbe essere – non si sa mai – come il pugno di lievito che fa lievitare, almeno un po’, la grande massa di affari verso l’affare veramente necessario: spez- «QUOTIDIANO» SIGNIFICA zare il pane per assicurarlo, o- QUELLO CHE BASTA OGGI, gni oggi, a tutti. Chi celebra la SENZA CARENZA E SENZA Messa quella cena ce l’ha den- SPRECHI, PER UNA VITA tro, non come immagine, ma DIGNITOSA. come energia potente per rea- IL PANE CHE BASTA OGGI lizzare la profezia: «Non di so- CI SARÀ DOMANI, SE OGGI lo pane vivrà l’uomo, ma di o- NON VIENE SPRECATO gni parola che esce dalla bocca E GETTATO NEI RIFIUTI CON SPESE E CONSUMI di Dio». © SCONSIDERATI
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on c’è dubbio che nel lungo catalogo dei testimoni riconosciuti dalla Chiesa come modelli di santità è san Francesco il miglior candidato a diventare patrono dei valori che animano Expo 2015. Troppo spesso ridotto a un esempio di pauperismo, il santo di Assisi, patrono d’Italia, in realtà porta con sé un forte messaggio di giustizia sociale basata sulla equa distribuzione dei beni della creazione. Impossibile, considerando il tema dell’esposizione universale di Milano, non tornare alle parole del Cantico delle creature, il testo poetico di Francesco d’Assisi noto anche come Cantico di Frate Sole e considerato il più antico della letteratura italiana. «Laudato si’, mi’ Signore – si legge nel Cantico –, per sora nostra matre terra, la quale ne sustenta et governa, et produce diversi fructi con coloriti flori et herba». La terra, afferma il patrono d’Italia, ci sostiene e ci nutre con i suoi frutti e per questo è necessario ringraziare il Creatore. In questo passaggio si coglie l’intera teologia francescana, basata sulla logica del dono e quindi della gratitudine per tutto ciò che appartiene alla vita umana. Il messaggio che arriva dritto dal XIII al XXI secolo è chiaro: la Terra, con i suoi beni, le sue risorse – anche alimentari – non appartiene a nessuno ma a tutti è data in custodia, per cui nessuno ha il diritto di sfruttarla a svantaggio degli altri. Anche nel campo dell’alimentazione e della giusta distribuzione delle risorse sperimentiamo, quindi, la duplice via: da un lato quella della logica del possesso e quindi della rottura del rapporto con Dio e i fratelli, cadendo nel peccato; dall’altro la via del rispetto della creazione, degli altri e di noi stessi, diventando così veri segni efficaci della presenza di Dio in mezzo agli uomini. © RIPRODUZIONE RISERVATA
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LICIA COLÒ
LA CONDUTTRICE DI «IL MONDO INSIEME» SU TV2000: «RACCONTO LA VITA NEL RISPETTO PER GLI ALTRI, CON PERSONE COMUNI CHE FANNO COSE IMPORTANTI ED ECCEZIONALI PER IL PROSSIMO». E, SUL COMPITO DI ESSERE GENITORE: «MI IMPEGNO A RACCONTARE A MIA FIGLIA CHE ESISTE ANCHE UN MONDO BELLISSIMO, FATTO DI DI ATTI DI GENEROSITÀ E PERSONE CHE TI ALLUNGANO LA MANO»
«Insegno a mia figlia la BELLEZZA del mondo» > Chiara Pelizzoni
«L’Expo può essere una bella occasione per insegnare a nutrire la nostra persona in senso più ampio»
CHI È Licia Colò è nata a Verona 53 anni fa, è sposata con Alessandro Antonino e ha una figlia di 9 anni. Conduttrice televisiva, dal 1982 ha ideato e condotto diverse trasmissioni tv e documentari sulle reti Mediaset e Rai.Tra queste, Bim Bum Bam, Festivalbar, Buona Domenica, L’Arca di Noè, Geo & Geo, Il pianeta delle meraviglie, Alle falde del Kilimangiaro. Oggi conduce su TV2000 Il mondo insieme.
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na vita dedicata a raccontare agli altri il mondo anche nei suoi angoli più sperduti e meno fortunati. È questa la vocazione professionale di Licia Colò che ha incominciato a Mediaset nel 1989 con l’"Arca di Noè", ha continuato in Rai fino allo scorso anno con "Alle falde del Kilimangiaro" e oggi conduce, su Tv2000, "Il mondo insieme". Titoli evocativi che sanno di una passione che anima il lavoro e la vita di tutti i giorni, se la conduttrice stessa ricorda che era ancora ragazza quando iniziò a lavorare in Tv, dove entrò dalla porta dello Spettacolo, con la volontà e la speranza di inseguire un sogno.
IL PIANETA CONDIVISO «Avevo circa 25 anni. Pensando che quel lavoro poteva durare per anni, tentai di coniugarlo con le cose che amavo. Da sempre innamorata della natura e degli animali, proposi di raccontare i contesti di interazione uomo-animali. Non essendoci in Italia realtà di alto livello, il viaggio fu una naturale conseguenza». Che ha determinato anni di trasferte, la scoperta «allargando gli orizzonti che il rapporto non è solo uomo-natura, ma soprattutto umanità in un pianeta che è condiviso». E un racconto che oggi trova sul canale della Cei la sua giusta dimensione: «L’ingresso a Tv2000 mi ha restituito la possibilità di ritornare sui valori che hanno sempre fatto parte della mia vita: raccontare il mondo nel rispetto degli altri, con persone comuni che fanno cose importanti ed eccezionali per il prossimo». PASSIONE PER GLI ULTIMI Valori come l’attenzione al prossimo, il rispetto dell’ambiente «la nostra prima casa», la predilezione per una vita sobria, la giusta distanza dai beni materiali e una innata passione per gli ultimi. Se tra i ricordi di Licia bambina spicca indelebile il ritrovamento all’asilo di una cesta di gattini abbandonati «e la consapevolezza di non poterne portare nessuno a casa perché mia madre non me lo avrebbe permesso. Tutti i miei compagni di classe ne presero uno, io rimasi
colpita da quello più bruttino e senza coda. Che diventò il mio primo animale». Una mamma da cui mutuò la sua passione ecologista: «Abitavamo a Roma, ma nel verde. A volte non serve vivere in campagna, basta un genitore che ti insegna. Io amo stare nella natura, respirare a pieni polmoni. Amo in sostanza godermi la vita». Ma senza eccessi: «La predilezione per la sobrietà non è un merito o una scelta fatta con spirito di sacrifico. È preferire certe cose. Non amo vestiti appariscenti, non uso gioielli. Amo vivere in un ambiente pulito e non ho bisogno di cose eccezionali. Sono una privilegiata, ma non per il denaro: perché faccio ogni giorno ciò che mi piace. I soldi servono per provare a invecchiare meglio, per curarsi la salute e io, figlia unica di genitori anziani molto malati, ne so qualcosa. A mia figlia Liala, che ha 9 anni, vorrei insegnare questo: a dare il giusto valore alle cose».
EXPO SFIDA PER L’ITALIA Un compito arduo, quello di educare, che richiede tempo. «Il vero lusso della nostra società. Educare un figlio è il mestiere più difficile. Servono tempo, attenzione e tanta pazienza. Oltre al coraggio di prendere posizioni scomode perché è molto più facile dargliele tutte vinte. E controcorrente, se bombardati come siamo da notizie negative, io mi impegno a raccontarle che esiste anche un mondo bellissimo, fatto di di atti di generosità e persone che ti allungano la mano. Quanta cura e amore responsabile richiede far crescere diritta la propria piantina». Gli stessi che Licia mette ogni giorno, citando Expo ormai in corso, per "nutrire - a modo suo - il pianeta". «Tento di prendermene cura anche con il mio lavoro e con quello che cerco di insegnare a mia figlia che sarà abitante del pianeta di domani. Sono una persona normale che prova a essere coerente con le cose in cui crede. Expo? Credo che sia una bella occasione, da cui mi piacerebbe che il nostro Paese uscisse valorizzato per le sue eccellenze storiche, artistiche, culturali e alimentari. Con cui nutrire la nostra persona in senso più ampio perché "non di solo pane"… vive l’uomo». © RIPRODUZIONE RISERVATA
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