Balibar - Cittadinanza

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Attiva, passiva, politica, sociale, etica, universale:

BALIBAR ( ITTADINANZA

gli aggettivi che la qualificano sono altrettanti indicatori delle connotazionr che può assumere la cittadinanza, mai come oggi dibattuta e reinterpretata.

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L' espressione " cittadinanza

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Se la comunità

funziona come un "club" nel quale si può essere ammessi o dal quale ci si può veder rifiutare lrir'I '

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l'accesso, ci si deve domandare come

<Ci troviamo in un momento in cui diventa (di nuovo) visibile che f interess e nazionale o l'identità nazionale non sono, in quanto tali

fattori di unità della comunità dei cittadini, e che l'equazione tra cittadinanza e

e in assoluto,

nazionalità è essenzialmente precaria>> (p. :t).

politica

i "membri di diritto"

siano

stati cooptati, come abbiano stabilito le regole di ammissione e come si traduca la loro

partecipa zione attiv a nella

preservazione di quelle regole>

(p. roz).


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Étienne Balibar

Cittadin anza Traduzione di Fabrizio Grillenzoni

@ Bollati Boringhieri

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Indice

Cittadinanza II

I.

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Democrazia, cittadinanza: una relazione antinomica Politeía La costituzione di cittadinanza e I'invenzione della democw:ra, Autonomia o autarchia del politico, 3z Lapoliteía e il deperimento dello Stato, 36 La società civile, nuovo luogo della politela?, 4o

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Prima edizione giugno 2or2 @ zorz

Aequa libertas

4t

Insurrezione e costituzione, 47 Cittadinanza e nazionalità, yo Politica e andpolitica: il dilemma dell'istituzione, 54 Stato, rappresentanza, istruzione, Democrazia e lotta di classe, 6r

Bollad Boringhieri editore

Torino, corso Vittorio Emanuele II, 86 Gruppo editoriale Mauri Spagnol

56

rsnN 978-88-339 -2269-o Schema grafico della copertina: Bosio.Associati www. bollatiboringhieri.

it

64

4.

Dalla cittadinanza sociale allo Stato nazional-sociale Diritti 3ociali e cittadinanza s ociale, 67 Costituzione materiale,

7r

Socialismo nazionale e democrazia, T6

Lantinomia del progresso, 8r Stampato in Italia da Press Grafica - Gravellona Toce (VB)


85

t.

Cittadinanza

Cittadinanza ed esclusione Esclusione, disuguaglianze, discriminazioni, 86 Politica La questione del udiritto ai dirittio, Regole di inclusione, e territorialitĂ : le frontiere,

89

97

9z

Concetto del politico ro5 cittadinanza, della e antropologia regole di esclusione,

III

6.

Laporia di una democrazia conflittuale Violenza e controviolenza,

rr3 Liberalismo,

pluralismo, rapPresentanza del conflitto, rr6 Democrazia come dominio illegittimo e pluralismo agonistico, rz3 Istituzione del conflitto come rapporto asimmetrico, r3o

r)4

7.

Neoliberalismo

flt

8.

D emo cr atizzare la democrazia

17)

e de-demo cr atizzazioĂŽe \Wendy Brown, r35 Escatologie IJargomentazione di Dall'individualismo r4z positive e negative, al populismo, r45 Crisi della raPPresentanza e nconĂşodemo ctaziar, t5o

Riferimenti bibliografi ci


I.

Democtazia, cittadinanz : ufia rclazione antinomica

Cittadinanza e democrazia sono due nozioni indissociabili, ma che si rivela difficile mantenere in un rapporto di perfetta reciprocità . Il lettore di un'opera intitolata sempliceme nte Cittadinanza potrebbe arrivare alla conclusione che la prima nozione prevale sulla seconda, e che la <<democrazia>> ne rappresenta soltanto una qualificaziofle, alla quale si attribuirà successivamente un peso piÚ o meno grande nella sua definizione. Simili considerazioni gerarchiche o, come direbbe John Rawls, <<lessicografiche>>, non sono affatto secondarie. Sono le considerazioni che percorrono i dibattiti che oppongono una concezione repubblicana (o neorepubblicana) della politica ^una diconcezione democratica (liberale, o sociale). Ne pende la comprensione stessa della filosofia politica, e dunque la sua critica, come hanno recentemente sottolineato, ciascuno a suo modo, Jacques Rancière (ll disaccordo) e Miguel Abensour (Hannah Arendt contro k filosofia politica?). Per parte nostra, non solo non intendiamo subordinare la considerazione della democmzia a quella della cittadinanza, ma sosteniamo che la democrazia - o meglio, il <paradosso democratico>>, secondo la felice formulazione di


La cittadinanzahaconosciuto diverse forme storiche, impossibili da ridurre le une alle altre. Ci si deve

tlttaviaci preme riprendere un tema che, con diversi accenti, si dipana in tutta wa tradizione che va da Aristotele a Matx, passando per Spinoza. Aristotele nel libro III della Politica (1275 a 3z) aÍferma che ogni regime politico nel quale esistono dei cittadini che esercitano anche la <.<magistratura indetermin tar> o <(magistratura in generale>> (arché aóristos)

però domandare quello che viene trasmesso sotto questo nome e attraverso le sue <<traduzioni>> successive. Dall'una all'altra corre sempre un'analogia, che riguarda il rapporto antinomico che la cittadinanza intrattiene con la democrazia in quanto dinamica di trasformazione del politico. Quando definiamo antinomico questo rapporto costitutivo della cittadin^nza, che al tempo stesso la mette in crisi, ci riferiamo a una tradizione filosofica occidentale che ha particolarmente insistito su due idee: r) quella di tensione permanente tra il positivo e il negativo, tra il processo di costruzione e di distruzione, e z) quella di coesistenza tr^ un problema che non si può mai risolvere definitivamente e I'impossibilità di farlo scomparire. La nostra ipotesi di lavoro sarà per I'appunto che al centro delf istituzione della cittadinanza la contraddizione nasce e rinasce incessantemente dal rapporto con la democrazia. E cercheremo di individuare i momenti di una dialettica, in cui compaiono al tempo stesso i movimenti e i conflitti di una storia complessa e le condizioni di un'articolazione della teoria con la pîatic . Quello che intendiamo sottolineare è che non c'è niente di naturale >> nell'associ azione di cittadinanza e democrazia. Tutto è storicamente determinato. E

contiene un elemento democratico che non può essere eliminato avantaggio di altre forme di governo. Il suo obiettivo è tuttavia di scongiurarne i pericoli trasformando la democrazia in <<timocrazia>> (così definita nell'Etica a Nicomaco).Il senso dell'argomentazione sarà ribaltato in epoca moderna da Spinoza, per il quale (nel Tractatus politicus incompiuto del ú77) la democrazia non è tanto un regime particolare quanto la tendenza a conferire il potere alla moltitudine, che travaglia i regimi monarchici o aristocratici, e dal giovane Marx nella sua Critica delk filosofia begeliana del diriuo pubblico del r843, in cui viene indicato esplicitamente che la democrazia - o i1 potere legislativo - è la <<verità di tutte le costituzioni>>. Rancière (L'odio per la dernocrazia) oggi riprende questa tesi argomentando che nessun regime può scongiurare il rischio rappresentato dalla necessità, in ultima analisi, di farsi accettare dal popolo, il quale può decidere di obbedire o no. Toni Negri (I/ potere costituente) fa di questa tesi il filo conduttore di una teoria affermativa del potere costituente della moltitudine, al quale uno Stato che monopolizza gli strumenti del potere cerca costantemente di sostituire le forme del potere costituito.

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Chantal Mouffe (The Democratic Parador) - rappresenta I'aspetto determinante del problema attorno al quale gravita la filosofia politica, proprio in quanto è la democrazia che rende l'istituzione della cittadiflanz^ problernatica.

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Noi crediamo che si debba interpretare questa formula fondamentale in modo alquanto differente dagli autori citati, assumendo il punto di vista della dialettica: è I'antinomia situata al cenro delle relazioni ffa cittadinanza e democrazia che costituisce, nella successione delle figure, il motore delle trasformazioni dell'istituzione politica. Per questo, I'espressione citta dinanza democratica )> può, s toricamente, definire soltanto un problema ricorrente, un insieme di conflitti e di definizioni antitetiche, un enigma senza soluzione definitiva, anche se accade periodicamente, nel contesto di una invenzione decisiva, che si proclami la soluzione <finalmente trovata> (Marx), un <(tesoro perdutor> da riffovare o da riconquistare (Arendt). Formulazioni di questo tipo implicano una determinata concezione della filosofia politica, di cui si dovrebbero esaminare a fondo i presupposti e le obiezioni che solleva. Preferiamo non addentrarci direttamente in una discussione del genere. Non che sia puramente speculativa: compoÍta al contrario implicazioni pratiche. Ma noi preferiamo far emergere queste implicazioni a partire da un'ipotesi diversa, che è la seguente: vi sono delle situazioni e dei momenti in cui I'antinomia diviene particolarmente visibile, in quanto la doppia impossibilità di ricusare ogni figura della cittadinanza e di perpetuarne una certa costituzione, sfocia nell'esaurimento del significato stesso della parola <<politica>>, i cui usi dominanti appaiono allora o obsoleti o perversi. Sembra che oggi ci troviamo in una situazione di questo tipo. Il che scuote profondamente non solo

definizioni e quallficazioni che per lunghissimo tempo erano sembrate indiscutibili (come quelle di <cittadi flanza nazionale>> o di <cittadinanza sociale>), ma anche la categoria stessa di cittadinanza, I cui potere di trasformazione, cioè la capacità di reinventarsi storicamente, sembra improvvisamente annientato. E sullo sfondo di questo problema pieno di incertezze che esamineremo il modello della governance neoliberale in quanto processo di de-democntizzazione della democrazia, di cui si tratta di stabilire se sia irreversibile. Per pafte nostra, vediamo in questo processo una espressione dell'aspetto distruttore insito nelle antinomie della cittadinanza, e dunque I'indicazione di una sfida di fronte alla quale si ffova, nell'epoca contempot^nea, ogni tentativo di ripensarcla capacità poli tica collettiva. Ci proponiamo di affrontare diversi aspetti di questa dialettica. Il primo riguarda la portata, ancora rintracciabile nei dibattiti contempotanei, di quello che i greci antichi (in particolare gli ateniesi, delle cui istituzioni, a posteriori, Aristotele si era fatto il teorico) chiamavano <<costituzione di cittadinanza>> (politeía). Questa concezione precede I'apparizione di una divisione tra società civile e Stato, che collocherà ireversibilmente il corpo politico nel regime della scissione. Ma pone anche la doppia questione del poteîe come <<magistratura illimitata> dei cittadini e degli obblighi reciproci di questi come condizione della loro autonomia. Il secondo aspetto riguarda la traccia delle rivoluzioni borghe sí rcalizzate in nome deIT' eguale libertà (o egalibertà) nella storia della cittadinanza moderna,

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definita come cittadínanza nazionale (o cittadinanza dello Stato-nazione). Identificheremo questa traccia come un differenziale Úa insurrezione e costituzione, che pone incessantemente la questione dell'istituzione dell'universale nella forma (e nei limiti) di una comunità organizzata dallo Stato. Le contraddizioni di questo processo sono particolarmente visibili nello scontro tra differenti teorie e differenti pratiche della rappresentanza, nella misura in cui questa non è soltanto una' autorizzazione dei rappresentanti, ma un potere, owero un'azione, dei rappresentati. Il terzo aspetto risiede nella contraddizione interna alla cittadinanza sociale, così come si è costituita - essenzialmente in Europa - nel quadro dello Stato nazional-sociale (definzione che, per scrupolo di precisione, preferiamo a quelle di < Stato-Provvidenza>>, di Y(/ e lfare State o di Sozia lstaat, utilizzate nei diversi paesi europei). Intendiamo che questa figura della

delf individualismo e dell'utilitarismo e laprivatizz,azione delle funzioni e dei servizi pubblici. In che misura si può dire che questa risposta contenga un pericolo mortale per la cittadinanza, non solo nelle sue figure passate, ma anche in quelle future? In che misura si può immaginare che questa risposta contenga, quanto meno negativamente, le premesse di una nuova configurazione della cittadinanza al di là delle sue istituzioni tradizionali (e in particolare della democrazia rappresentativa, alla quale il neoliberalismo tende a sostituire diverse forme di governance e di comunicazione di massa)? Noi contiamo di dimostrare, al contrario, il carattere ineludibile della dialet tic a cittadinanza f demo cr azia, delineando un' alt er nativa tra de-demo $atizzazione e democra tizzazione della democrazia stessa come risorsa della cittadin nza. Sulla seconda nozione si concentrerà la nostra conclusione prowisoria.

cittadinanza rappresenta storicamente una conquista

democratica, sebbene entro certi limiti, i quali a loro volta impediscono paradossalmente un ulteriore avanzamento, mentre I'idea di progresso è tuttavia insita nella figura stessa. E importante esplorare questi limiti (e ampliarne il significato concettuale) in due direzioni complementari: quella del rapporto tra cittadinanza ed esclusione sociale e quella del rappoîto tra cittadinanza e conflitto civile. Il quarto aspetto concerne, di conseguenza, quello che ci si è abituati a considerare come la risposta neoliberale alla crisi dello Stato nazional-sociale (o, se si preferisce, il contributo del neoliberalismo allo scoppio della crisi), e cioè la promozione illimitata r7


) Politeía

L'epoca in cui alcune nazioni euîopee o nate dall'eqpansione europea si percepivano.come il centro del mondo è finita. Diversi critici della prospettiva eurocentrica si sono dati il compito di dimosuare che le problematiche della filosofia politica classica ttott ii applicano più alla <(gran parte del mondo> (Partha Chatterjee, Oltre la cittadinanza). Tuttavia, dev'essere ancor^possibile attribuire a costruzioni politiche appartenenti alla tradízione occidentale il carattere dell'universalità. Non nel senso di una universalità estensiva, territoriale e inglobante, ma piuttosto nel senso di una universalità intensiva, chè fa idealmente delle istituzioni politiche lo strumento di una universalizz azione dei rapporti sociali, ilmezzo per ridurre le barriere che separano i cittadini . per io'o.tciare le dominazioni che li assetviscono. Anche se, chiaramente, le due prospettive non possono essere del tutto indipendenti I'una

tengono a uno spazio storico e culturale comune. Il termine più immediatamente evidente è quello di <costituzione>, se si pensa che sorge periodicamente Ia questione di adottare, secondo differenti proceclure nazionali, una costituzione per I'Europì e di scgnare in tal modo solennemente la sua trasformazione in un insieme autonomo, con caratteristiche nuove, senza precedenti nella storia. La parola italiana <<costituzione>> (equivalente di constitution in lrancese e in inglese) corrisponde in tedesco aVerfastunge in greco moderno a sjntagrna: tuttitermini che nìettono I'accento sufla costruzione del corpo politico, la riunione delle sue parti e la produzionè ttitut,ionale dell'unità o dell'interesse pubblico. Ci sono però buone possibilità che una m.nte di formazione lilosofica europea si senta spinta, al tempo stesso .lallo spirito linguistico e dalla sroria dei dibattiti s.ull'essenza

delpolitico e sulla sua raduzione giuri-

dall'altra. L'attualità conferisce a questi interrogativi un improwiso carattere di urgenza e li concentra attorno àd alcuni termini nevralgici, che non sono i più facili da tradurre da una lingua all'altra, anche se appar-

tlica, verso un altro termine originariament. coniato ,.lalla Grecia antica: quello di politeía, che i latini lranno <(tradotto)> in res publica e gli inglesi dell'età classica in polity e poi in contrtonrDealth, adottando rrlternativamente le due etimologie antiche. È uttorno a questi termini che si è costituita la rappresent'tzione, ancora oggi ampiamente condivisa, di una rrniversalità della forma politica e giuridica e del suo rrrovimento di estensione progressiva, dalla pótis allo Stato-nazione, e da questo agli insiemi postnazionali o anch€ allo spazio cosmopolita. Ma contemporanearnenre si pone in modo acuto la duplice questione di stabilire in quale misura una simile catègoria conrcnga un nocciolo di significato invariante, e se il suo

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trasferimento al di fuori del quadro ormai assai remoto della sua elaborazione iniziale non contenga in realtà una enorme componente di illusione e di misti ficazione ideologica. Sbno queste, tra le altre, le ragioni che ci spingono a delineare una riflessione íu['attualita dè['idea dipoliteía, in particolare nella sua acceziÒne aristoteliCa, e sulla natura e i limiti della sua universalità. Forse per la prima volta, da quando- Aristotele aveva teitato didescrivere le forme dell'otganizza' zione delle póleis della Grecia antica e di attribuire loro una noima di equilibrio interno al tempo stesso ruzionalee conformó alla natuta, si presenta la possibilità di pensare come due facce di un unico problema, . drrttqr.r. in definitiva come un solo concetto che porebbi definirsi <<costituzione di cittadin ni^rr, i due aspetti che erano stÎettamente intrecciati nella nozioìe greca di politeía. Si trattava da una parte della reciprocità, la distribuzione e la circolaiione del <potere>>, dell'<<autorità> (arché), tta i titolari del diritto di cittadinanza, e dall'aItra dell'organizzazione delle funzioni di amministrazione e di lou.tto (o magistrature) in un sistema di istituzioni

ipotesi di lavoro, una possibilità nel quadro di quella che viene chiamata <<globalizzazione> e deile cóstruzioni politiche postnazionali. Una possibilità chiaramente non

è una necessità, e

forse neppure una probabilità, perché oggi non è questa la tendenza dominante. C'è il caso piuttosto di assistere a una proliferazione e a un ulteiiore rafforzamento delle frontiere, il che determina anche un mutamento della loro natura. Ma potrebbe essere anche la questione che, in modo insiitente, fa emergere le conraddizioni e le aporie della deterritorializzazione e della riterritorializzazione dei rapporti di potere. La questione che sottende l'alternàtiva rnultiforme ai processi di neutralizzazionee in ultima istanza di annientamento del politico legati aldominio dell'economia capitalistica di mercato e della tecnologia delle comunicazioni. La questione che ripropone il <bel rischio > (kalós kíndynos diceva phtóne, lìedone, r r4 d) di una continuazione della politica in quanto rinnovamenro o ricostituzionó al di là dell'esaurimento relativo delle sue forme specifica-

gruppamento delle popolazioni in entità etniche o ieligiote esclusive, pressoché ereditarie. Ecco però che quella coincidenza si presenta di nuovo come una

rnente moderne. .lareSi tratta di una ipotesi che va esplorata in particodomandandoci come si può sostenere, senza essere irrealisti, il paradosso di una costituzione di cittadinanza al tempo stesso apeîta, transnazionale o cosmopolita, ed evolutiva, espansiva, per riprendere Ia categoria di Gramsci a proposito della democrazia (Quademi d.el carcere), o ancora <<a venire>>, secondo la formulazione ricorrente in tutti i lavori diJacques l)errida. E dunque anche conflittuale. Una cittàdinanza che sarebbe aîcoîa ispirata al modello della

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2t

Quàsta coincidenza lap,oliteía greca I'aveva leahzzatadawero, sebbene entro limiti estremamente ristretti e con esclusioni massicce. Ma la successiva evoluzione dello Stato aveva irrimediabilmente port^to a una dissociazione dei due termini, a seguito della costituzione di sovranità territoriali e del rag-

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politeía, ma scontando il rovesciamento o I'inveriione della maggior parte dei presupposti su cui quest'ultima si fondava. La costituzione di cittadinunza e l'irutenzione della dernouazia

Ripartiamo dal significato che assumeva la politeía nel càntesto dellapólis grec , e tentiamo ditrzcciare a grandi linee alcune delle tensioni che la carutteîizz^íano, in particolare nella presentazione che ne fa Ari ,tot.i.. tra gli ellenisti, i filosofi e gli storici del diritto è praticimente un luogo comune indicare come il signifióato della parola erecapoliteía non soltanto cor-

riípondu a conteìuti diÍferenti da un autore all'altro, Si ffatta -" din.tgu tra due semantiche eterogenee.Aristotele chiaramelnte di un anacronismo. Quando usa due volte il termine politeía in due contesti differenti il termine assume forse un significato complesso, evolutivo, ma chiaramente non corrisponde a concetti radicalmente diversi. Questo anacronismo è rivelatore

del fossato che si è scavato tra l'istituzione del politico nel contesto della pólis greca, in particolare ateniese, a

cui si riferisce Aristoiele, e nella situazione dello

ropéen des philosopbies, sctive: <<La pólis non è né la razioîe, né lo Stato né la società ... Ciò che costituisce la pólis è I'identità della sfera del potere (che per

noi appartiene allo "Stato") e della sfera della comurrità (che per noi si organizza in "società"), ed è a cluesta unità che ciascuno si sente effettivamente legato (e non alla "nazione") ... Per questo, lapólis non è né 1o Stato né la società, ma la "comunità politica". Questa particolarità spiega anche la dicotomia dei significati di politeía. Se 1l polítes è colui che parrecipa alla pólis,la politeía può essere o il legame soggettivo del polítes con la pólis, ovverosia il modo in cuila pólis come comunità si distribuisce tra coloro che essa riconosce come suoi partecipanti (la "cittadinanza" ), o l' or ganizzazione oggeitiva delle funzioni di governo e di amminisrazione, cioè il modo irr cui il potere della pólis viene assicurato collettivanlente (il "regime", la "costituzione")>>. Wolff si rilerisce alla nota tripartizione dei regimi politici, a scconda che il potere sia esercitato da un sólo indivi,luo, da diversi individui o da tutti i cittadini, che ha Iungamente dominato la filosofia politica. L'autore cvoca implicitamente la fluttuazione, carica di giurlizi di valore, delle definizioni di ciascun regimelrlrannia o rnonarchia, aristocrazia o oligarchia, democra-

Francis \X/olff, eminente specialista del pensiero dello Stagirita, nella voce Pólis del Vocabulaire eu-

::ia o isonornia). Cilò lo porta a sottolineare il problema cruciale rispetto alf interpretazione del pensiero di Aristotele, ovverosia il fatto che questi utilizza ant'ora il termine politeía, assegnandogli dunque, alrrieno in app^Íenza, un terzo significato, ridondante ,r riflessivo, per indicare il regime costituzionale <<per t'ccellenza>>, che distribuisce il potere tra tutti i ciita-

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Stato-nazione moderno, compresa la sua forma democîatica, rispetto alla quale noi intendiamo sviluppare la nostra analisi per identificare ciò che distingue specificamente un corpo politico da altti raggruppamenti o associazioni.


dini secondo la norma del <bene comune)>

(prós tó

koinón symphéron). Ma si-pu-ò propore un'altra lettura. Il terminepoIiteía noiha-mal un unico significato, anche se, in francese o in italiano moderni, siamo costretti a renderlo con un'espressione composta, per esempio

<<co-

stituzione di cittadinanzar>, dando al termine <<costituzione>> il suo significato completo: non solo quello che si può trovare in un testo giuridico, ma altresì

ouello di un processo storico costituente, o di una fàrmazione sóciale e istituzionale. Si tratta sempre di <<formare>> o di <configurare)> il cittadino, portatore dell'agire politico, definendo un insieme articolato di diritti diàoveri e di po.teri, e prescrivendo le modalità del loro esercizio. E di questo che si tî^tt^ oggi più che mai, per esempio quando si parla di dotare i'Ertopu fedelale o confederale di una costituzione, quali che siano le forme più o meno insoddisfacenti in cui questo obiettivo è perseguito per il momento' In ultiÀa analisi, la validità, la coerenza e la solidità temporale di un simile progetto potranno essere giudicaìe sulla base del modo in cui esso definirà nuovi diritti, nuovi doveri e nuovi poteri, e a seconda che riesca o meno a dar vita a una nuova figura storica del cittadino. Non è aff.atto certo che I'Europa riesca in questa impresa: è il minimo che si possa dire, se non-altro pefh fragilità del quadro geopolitico all'interno del quale si iolloca, della potenza degli interessi che le si oppongono e della violenza delle tensioni sociali chJla iondizionano nel quadro della globalizzazione economica. Ma è evidente che se ii-pt.tu riuscisse, qualcosa della potenza, dell'ener24

gia intrinseca del vecchio concetto dipoliteía si troverebbe in un certo qual modo a essere úattivato, anche se con un contenuto e in un contesto del tutto

differenti. Ma ritorniamo al modo in cui Aristotele presentaya il significato della politeía antica, in pariicolare rrel libro II della Politica (Politikó), dove questo concetto viene definito in tre tempi, secondo una progressione dialettica, o un'approssimazione successiva, assolutamente ammirevole. Questa progressione cnuncia le tre caratteristiche seguenti: r. In primo luogo (la definizione più generale, più Àstratta, data per esempio in rz75 a 3o),unapoliteía csiste, ovverosia vi sono effettivamente dei <<citta-

dini> e di conseguenzatî<diritto di cittadinanza>>, là dove gli individui che la cosrituiscono e che si avvicendano tra le differenti posizioni di potere esercitano un' aóristos arché:un <<potere illimitato)), perdurante nel tempo, ma anche indefinito nel suo oggemo e nelle sue modalità, il che li rende i <<sovrani>>, i,,padroni> della comunità alla quale apparrengono (kjrlol o kyriótatoi). z. In secondo luogo (definizione principale, discriminante, data per esempio in rz77 a z5), c'è politeía per coloro che, alternativamente, a seconda dèlle circostanze, sono nella posizione o di dare degli ordini (rírchein) o di riceverli (órchesthai), owero di volta in volta comandano o obbediscono: per coloro in sostanz^ tra cui circola liberamente il potere. 3. In tetzo luogo (definizione finale, data per csempio in rzSz 2j sgg. e ripresa nel libro V, in ^ là dove i poteri, o <(magistrar3or z5) c'è politeía ^ 25


tuîe> (ancora archuí) sono distribuiti <propotzional' mente> (ísos) trai cittadini a seconda delle loro comDetenze o capacità, e conformemente alla <legge> o inónos). Arisiotele in questo esprime cjò che crede pólis, della stabile, figuraiorr.t.tu, la ì"àt. .h. sia che consente a quest'ultima di raggiungere fattivamente il suo scopò natutale, owerosia il bene comune o la possibilità àe[a <<buona vita>> per i suoi membri' Cias.uno dei momenti di questa progressione, evidentemente orientata dalla <prefeteîzal> politica che oer Aristotele va fondata al tempo stesso in ragione à in nurrrru - il che può essere definito il suo partito preso ideologico - apre problemi fondamentali' Esaminiamoli schemàticamente' prima di passare all'analisi delle ragioni per le quali una simile formulazione sintetica del pioblema della cittadinanza è andatain un certo quàl modo perduta quando è uscita dal quadr o della pólls, pur continuando a proiettat. ù t"à ombra sufo spazio politico come un ideale o qualcosa di rimosso. Per quanto riguarda I'idea della <<magistratura indeterminata >> (arché aóristos), essa è associata a una delle tesi più radicali di Aristotele, che lo- pone in continuità con le riforme che nell'Atene classica si inscrivevano nella categoria della isononía,lo avvicina ad alcuni sofisti e lo contrappone nettamente a ptu,ot.' I'idea cioè che I'essenza, o il fondamento, di qualsiasi regime politico è la sovranità dei suoi cittaàlrri. Srt.bÉe coàtraddittorio, dice Aristotele, che il potere non appartenesse in ultima istanza a coloro a Leneficio deì quali è istituito. Questa tesi non ha cessato di porre dei problemi: è stata sistematica.

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rnente attaccata dalle tradizioni politiche autoritarie in nome di una variante ol'altra dell'idea secondo la .1uale la massa dei cittadini è incapace di autogoverrrarsi. Ma è stata anche periodicamente riaffermata: cla Machiavelli, da Rousseau, dal giovane Marx, da 'l'ocqueville, e in tempi più recenti da Arendt, e ha

linito per apparire indissociabile dall'idea

stessa

di

universalismo politico. Si può dire che questa tesi ,rbbia un carattere utopico, oppure puramente formale e simbolico? Non è escluso, ma Aristotele le conferisce comunque un contenuto preciso, affernrando che si traduce per la massa dei cittadini nella lnrtecipazione effettiaa alle due grandi responsabilità clre sono da una parte il bouleúein,la discussione e la rlecisione nel quadro dell'assemblea del popolo, e tl'altra parte il krínein, ovverosia I'esercizià delle Lrn

Iunzioni giudiziarie. Aristotele apre in questo modo rigor di termini, della divi sione dei poteri, quanro della possibile esistenza di eomparti <<riservari>> della vita politica che sfuggireblrero per natura alla competenza deicittadini. E d'alI fa parte pone la questione se la sovranità del popolo ros sa diventare puîamente rappresentativa >>, trasl'ormarsi in una finzione giuridica, o se debba seml)re contenere una parte di patecipazione reale, di eittadinanza <<attiva>> o di autogoverno. Aristotele :rpre dunque, senza dare una risposta definitiva, la (tuestione di come si distribuiscono il reale e il virtLrale nelf idea di sovranità democratica. Riguardo all'idea dell'alternanza dei governanti e ,lci governati (tó djnasthai kaí órchein kaí tírcltesthai, t 277 z) e alla corrispettiva idea morale secondo ^ la questione non tanro, a

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1

27


cui è obbedendo che si impara a comandare ed è esercitando le responsabilità o I'autorità che si imparu a obbedire ft277 b 8-ro) - il che costituisce la <<virtù>> (areté)

ínt.tt*

ptoptio del cittadino -,

esse collocano

al centro della cittadinar:zai meccanismi della recipro-

cità. Questa costituisce già un'affermazione forte di quanto più oltre, in un linguaggio piuttosto romano, definiremo l'uguale libertà, non soltanto come status ma anche comè pratica. fuistotele in questo modo ribalta in una capacità positiva I'enunciazione neg.ativa, polemica, che-Erodoto (allievo dei so{isti) nelle sue Stori" [II,8,.,, z) aveva messo in bocca al principe oersiano Otanet se non c'è una disffibuzione uguale à.1potere non voglio più né comandare né obbedire @tiíe eór órchein oúte tírchesthai etbélo). In altri termini: o la democrazia o I'anarchia! Ma questa concezione dell'uguale libertà in quanto reciprocità dei poteri e degli obblighi si accompagna immediatamente a una hmúazione iadicale della cittadi îanza. In effetti la reciprocità può esistere soltanto tra coloro che sono ugualfper nulutu.Il che, nell'interpretazione di Arisótele-e dei suoi contemporanei, inserisce nel cuore della politica un meccaniJmo di discriminazione fondato iulla difÍ.ercnzaantropologica: la differenza dei sessi, la differenzad'età, la dilfercnza tra le capacità manuali e intellettuali, la quale giustifica in particolare I'istituzione della schiavitù (fuistotele sapeva perfettamente che ad Atene una parte rilevante di cittadini era composta da contadini e artigiani, ma mantiene I'idea aristocratica' poîtata alle estreme conseguenze da Platone, seiondo cui nel lavoro manuale inluanto tale vi è un qualcosa di <servile>>). z8

Si apre qui non solo un problema, ma un abisso.

Il

principio che istituisce I'universalità intensiva, o qualitativa, del dénzos contiene un meccanismo di csclusione quantitativo appafentemente insormontabile. E noi sappiamo che, lungi dall'attenuare quesra tensione, la trasformazione da parte dell'univèrsalismo moderno dell'uguale libertà dei cittadini in diritti dell'uomo e del cittadino nel quadro nazionale,la porta al contrario all'estremo. Indubbiamente questo rron impedisce che, al prezzo di lotte e movimenti sociali, intere categorie di esclusi, come le donne e gli

operai, finiscano per diventare o ridiventarc cjtladini; ma d'altra pate avviene che gli esclusi dalla cittadinanza (e ce ne sono sempre di vecchi e di nuovi) siano riproposti, e per così dire <<prodotti>>, attraverso tutta una serie di meccanismi istituzionali e disciplinari, come esseri umani imperfetti, degli <anormali>> o dei mostri che si collocano ai margini dell'umanità. Non siamo ancora usciti, e probabilmente siamo lontani dall'uscire, da questa c-ontraddizior.. È ,r.cessaria una rivoluzione politica, ma anche morale e lilosofica - ben lontana dall'esserc rcalizzata, anche se il suo fondamento è chiaramente enunciato in oper_e come quella di Hannah Arendt (Le origini del lotalitarisftzo) - per arcivarc all'idea del <diiitto ai diritti> universale, e meglio ancora all'idea che la pctliteía non consiste nell'istituire la reciprocità sulla lra-se di una uguaglianza data, preesistentè o supposta tale, ma nell'estendere la sfera dell'uguaglianàa, nel lrrodurla attivamente come imma ginizioie, rrasgre.lendo costantemente ai limiti imposti dalla naturà (o


da quello che si presenta con questo nome, owerosia la tradizione). Éorse non è un caso che questo ribal-

,à-..rro diaiettico della formulazione ttadízionale dei diritti dell'uomo e del cittadino, nel suo enun-

ciato filosofico, sia venuto da una donna, per di più grande conoscirice dei greci e della loro opposizione

ffa nónzos e Phi'sis. Infine, pèr quanto riguarda la concezione della proporzionale < legge > t"Z*oíl .o*. u iiputtizione >. defJ magistrature o delle responsabilità civiche, emeîge u-na tensione analoga, che nella-pratica non può ónsiderarsi indipendentedalla tensione tra recinon idenirocità ed esclusione, ma che è necessario quest'ulticon semplicemente e puramente iifi.ur. *". Arittotele qui sembra ritotnare su quello che già

aveva concesso a proposito dell'arché aóristos: accett^ cioè di limitare gú efietti della sovranità delnómos in

,rorn. d.ll. esigénze razionalidel bene comune e del buon governo- Per riprendere I'efficace argomentazione"diJacques Rancière: non soltanto non tutti i cittadini, nominalmente sovrani, hanno una parte usuale nell'esercizio dei poteri istituiti, e in particola"re dei poteri di decisione, ma in tale quadro vi sono .t...ttutìu-ente dei ((senza parte>, o degli individui . d.ll. categorie la cui parteè îeg ta, e per i quali le occasioni dlobbedienzà prevalgono semple sulle occasioni di comando e di iniziativa, la passività pre,ral. srrll'^ttività. Questo sembra essere il ptezzo da pig t" per la rcaliìzazíone del consenso, dell'equili btió o àe\La hornónoia, della stabilità politica' O piuttorl" C il prezzo da pagarc per la rcalizzazíone del consenso irru... del-conflitto (la lotta di classe in

to

lalotta tta maggiotanze e rrrinoranze di ogni tipo), e dunque per la rinozione di ,luesti conflitti al di fuori dello spazio pubblico. Senza contare però - abbiamo imparato a vederlo - che il scnso generale, ma anche

conflitto rimosso risorge sempre, finisce per affernrarsi di nuovo, se necessario spostandosi sù altri terreni, in modo produttivo o disffuttivo. Forse, entro certi limiti e in certe forme, l'accettazione e il riconoscimento del conflitto nella sfera pubblica cosrituiscono una condizione di possibilità dell'equilibrio istituzionale stesso, e comunque di un equilibrio dirramico. Era quanto meno la tesi di Machiavelli, alla ,1uale la congiuntura att:uale, su scala nazjonale o t'ontinentale, ma soprattutto mondiale, sembra dare rìuova attualità. Tuttavia, anche qui bisogna osservare che la tensione inerente al concetto éella potitcía, quello che potremmo definire il suo <diffèrenz,iale>> di attività e passività, o di democmzia e oliriarchia, non è stata in alcun modo risolt a dallateoria ,lclle costituzioni moderne, ma piuttosto poîtata a rrn livello superiore. In realtà tutto dipende dal modo in cui si istituisce positivamente la sovranità del popolo. Il costituziorralismo moderno ha avuto la tendenza non soltanto .r fare della sovranirà un principio di legittimazione lrer í meccalismi rappresentativi di delega del poterc, ma a subordinarla nel suo esercizio, i .arrr" d.i r ischi di anarchiae di perversione totalitaria che essa (1)rnpotta, a norme fondamentali metagiuridiche, de,lorte da_principi di equilibrio tra i potéri o da garunzic dei diritti individuali, evidentèmenre necèssari rìì2ì presentati come acquisiti una volta per tutte. 3r


Bisogna dire tuttavia che esiste forse un altro modo ii concepire la questione delle regole e delle garunziealle quàli h sovranità delpopolo deve sottoirettersi, in una sorta di attolimitazione della propria potenza che è la condizione della propúa ruzio' na[tà (in opposizione a una concezione teologica o mistica dellà sovranità)' Questa alternativa è per esempio suggerita da Claude Lefort in termini di lz,rnrùnr rlùinuo della democrazia. Non si tratta di ribaltare I'idea di costituzione avarfiaggio di quella di insurrezione, ma di far vivere la potenza insurrecostituzionale dell'emancipazione -tîatta alf interno della dunque di concepire le zione politica. Si uCarte dei diritti fondamentali> (tra cui in primo luogo la Dichiarazione unirtersale dei diritti dell'uonto) coÀe l'e.pressione simbolica dell'insieme dei poteri acquisiti àal popolo nel corso della propria storia, il coÀples.o déi iuoi movimenti di emancipazione e il punto di appoggio di nuove invenzioni, piuttosto .h^e.o-e lo iihermo di protezione di un ordine stabilito, che limita a priorile lotte future per la libertà el'ugtaghanza. Autononia o uutarchit delpolitico Prima di compiere un ultimo passo, può essere utile a questo p.t.tto inserire una considerazione epidescritte non rapstemologica. le tendenze ^ppeîadi costituzione del móào un soltanto Dresent;no oolitico nella modalità dell'universale e - dialettica'À".rt. I'indizio di tensioni estremamente profonde )2

insite nell'universalità stessa. Esse esprimono anche rrn'idea dell'autonomia del politico. Ma la esprimono nella forma, e nella condizione, dell'autarchia della

pólis, della <<comunità dei cittadini>>. E questa implica a sua volta due aspetti asimmetrici, che una certa tradizione critica, in particolare marxista,ha teso a percepire come il dritto e il rovescio di uno sresso movimento di idealizzazione della politica. Manonèaf f attocertocheidueaspettiprocedanoesattamente allo stesso passo. Fino a che punto si può riuscire

dissociarli? Da una parte, I'autonomizzazione della politica colIoca quest'ultima su un <<piano di immanenza>>, che corrisponde a una rudicale deteologizzazione e a vfia critica di qualsiasi fondazione rascendente. La politcía è un sistema di rapporti che i cittadini stessi stabi,r

liscono tra loro, in quanto rapporti derivanti dallo sviluppo dei loro conflitti di interessi e di valori. Questo sistema di rapporti non è sottomesso ad alcuna :rutorità rascendente, sia essa I'Idea del Bene (Platone), o l'Idea dell'Umanità,ipostatizzata in <grande lissere>> (Comte) o

in <<comunità dei fini> (Kant),

e

,.lunque a nessun principio di unità che si impone a tutti e non appartiene a nessuno. O, più esattamente,

il solo principio emergente è la conunità

stessa,

in

(luanto totalità,lapólis alla quale i cittadini appartenrlono perché la istituiscono. Per questa via scivoliamo però nell'aspetto simmet

rico: I'autarchia deve essere intesa nel senso di un

isolamento quanto meno relativo rispetto al mondo ('sterno, al kósrnos, e alla oikournéne (<,,terra abitata>>) ,rll'interno della quale le comunità storiche si disper)1

ffi, \e"


dono e si individualizzano, ma deve intendersi anche

nel senso di una indipendenza o di una liberazione culturale rispetto alle condizioni materiali della vita, della produzione e della riproduzione umana - salvo riservarsi eventualmente di confinare queste condizioni materiali, con tutte le pratiche corrispondenti (il lavoro, la sessualità e la maternità, I'educazione dei bambini) in una sfera domestica di esclusione interna, che coincide storicamente con I'istituzione del paftiarcato e della schiavitù. Va osservato che, sul piano filosofico, la costruzione di questa autonomia del politico nella figura stringente dell'autarchia corrisponde esattamente allo sdoppiamento del nómos e della phisis che è al centro del pensiero greco, e attorno al quale si dispongono le sue diverse tendenze, come attorno a un punto di eresia. La vita pubblica attiene al nórnos o all'istituzione, mentre le attività domestiche ne costituiscono una condizione naturale. Osserviamo d'altra parte che con il fenomeno della cosiddetta <<globalizzazione>>, i due significati dell'autarchia si sono in qualche modo fusi: parlare delle condizioni materiali dell'esistenza di una politeía, che riguardino I'economia del lavoro e degli scambi o la bioeconomia e la biopolitica delle popolaziortt e la soprawivenza de77a specie vma;na, significa ipso facto parlarc del rapporto che ciascuna comunità di cittadini intrattiene con l'insieme delle alre società umane (comprese le più <<primitive>>) che la determinano ormai dall'interno - riguardo sia alla sua composizione di classe e i suoi conflitti sociali, sia ai suoi modi di comunicazione e di sviluppo culturale. In altri termini, nella misura in

le diverse comunità di cittadini tendenzialmente fondono, le limitazioni autarchiche della politeía 'i ,'splodono irrimediabilmente in quanto frontiere. Nessuna società, nessuna pólis nel senso metaforico ,lcl termine, può più costruirsi (se mai ha potuto l:rr1o) all'interno di questi limiti, salvo in modo immarqirrario: ormai può esistere soltanto come città apeîte,Lrlle sue differenti esteriorità, che la condizionano irrternamente, il che sembra essere una contraddi.,ione in termini. O se si preferisce, I'idea dell'autono,'ria del politico, in quanto autonomizzazione ,lell'azione collettiva, e in quanto rappotto radicalrrrente secolare, immanente al corpo politico (sistema ,li rapporti sociali e dinamica dei conflitti interni), ,,ggi non può avere senso che a condizione di rinunr'irrre ufla volta per tutte al mito dell'autarchia e agli ,rltri che lo accompagnano (dall'autoctonia fino alla pecificità intraducibile di ciascuna cultura). Il polir ico deve lanciarsi senza garanzie né cettezze nell'av\ \rntura di una formazione della comunità dei citta,lini che per principio non può che essere apeîta,, ma , lre flon per questo rinuncia all'idea di diritto, né a ,1uella di dovere, né a quella di distribuzione dei poreri e di patecipazione collettiva o self-goaemrnent. t ,ome dimosrano i dibattiti sull'ecologia e la <<planerrrrietà>>, ne risulta altresì una profonda trasforma,i..rne, chiaramente incompiuta, dell'opposizione ffa lrr naturd e I'istituzione (tra pltjsis e nórnos), che al, rrne filosofie politiche tendono a operare nel senso ,ii un nuovo naturalismo, mentte altte, al conttario, r(' ffaggono partito a sostegno di un artificialismo ,'l:rcralizzato.

)4

)5

, tri


La <<politeía> e il deperirnento dello Stato

Ritorniamo dunque alla questione enunciata alI'intzio. Ancora una volta, non si tratta dipropore delle ricette o di fornire delle risposte, ma di {ormulare un interrogativo che ci servirà da filo conduttore Posnello sviluppo della nostîa ^îgomerLt^zione. siamo supporre che la messa in discussione delle figure statuali nazionali della cittadinanza a cui assistiamo sia destinata a tiaprire, paradossalmente, le dialettiche interne al concetto dipoliteía, o in altre parole a riattivare la questione di come tenere insieme le esigenze di reciprocità nel riconoscimento di diritti - che saremmo tentati di definire, anticipando, la <<pressione di uguale libertà> - e le esigenze di regolazione del conflitto sociale, di autolimitazione dell'esercizio del potere? Niente sembra più lontano dalle nostre attualiprospettive europee, e tuttavia è possibile avanzare due ordini di argomenti, negativi e positivi. In negativo, dobbiamo osservare che abbiamo compiuto un lunghissimo ciclo storico, attraverso le formazioni imperiali, urbane e infine statuali, nelle quali il principio della cittadinanza si è alternativaÀente perduto e ricostituito, identificandosi con la costruzione nazionale - come dimostra l'uso di termini come citizenship in anglo-americano e di Staats'

bùrgenchaftin tedesco moderno. Nella forma urbana medievale e rinascimentale, il principio della cittadi-

n^îza nell'accezione antica è sopravvissuto come eccezione storica: lo dimostrano le analisi di Max \Meber (Econornia

e

società) a proposito della <città>

$

l.\tadt), che viene definita come una forma di <dorninazione illegittima>, owerosia una istituzione del

l)otere seîza <<garanzia>> trascendentale, sempre ('sposta all'imminenza dell'insurrezione. Ma questo ,'iclo storico, in tutta la sua complessità, ha comuntlue contribuito fondamentalmente a tradurre la citt'tdinanza nel linguaggio dello Stato, owero a subor,linarla al funzionamento dello Stato. Il popolo diviene .lunque tendenzialmente una funzione dello Stato. (ìli è incorporato, o se si vuole assimilato: <<Io, lo Stato, sono il popolo>, ha scritto Nietzsche con terribile ironia all'inizio di Così parlò Zarathustra, nel rnomento stesso in cui la <<divisione del mondo>> tra rlli imperialismi europei viene sancita dal Congresso

,li Berlino. I costituzionalisti moderni (attaccati su (

Iuesto punto da Toni Negri) hanno preso l'abitudine

,li definire il potere costituente non come una potcnza insurrezionale, ma come una funzione statuale, prende per esempio la forma del diritto di emen,.lare la costituzione nelle forme e nei limiti che essa ..'he

\tessa stabilisce, o

di rinnovare periodicamente il

I'crsonale politico.

Naturalmente questa evoluzione presuppone un collettivo estremamente profondo, che fa identificare gli individui e corpi sociali intermedi con la ('omunità statuale superiore. Ciò non comporta solrrrnto aspetti repressivi e patologici, ma rappresenta irrnegabilmenteun'alienazione - nel senso che la filosofia attribuisce al termine - anche negli Stati più uliberi>. E questa alienazione, con le sue due facce ..li protezione e di prescrizione, raggiunge il suo apice ..'on la forma più evoluta dello Stato-nazione euroscnso

37


peo, in quanto cornunità di cittadini passiua: lo Stato ài d.-o.ruzía sociale o, come diremo più oltre, 1o Stato nazional-sociale, anche se sappiamo che un simile Stato - dove esiste e nella misura in cui è esistito - è stato anche la risultante di uno scontro secolare con movimenti sociali e politici che rappresentavano forme di cittadinanzaattiva, quando non forme di rive ndicazio ne insurr ezionale. La rivendic azione

attiva della cittadinanza traduceva la permanenza del conflitto all'interno della sfera statuale formaliz'

zata. Questo potrebbe condurci a sostenere, al Iimite, che nella configurazione statuale del politico non c'è democrazia nel senso puro e ideale del termine, ma possono sempre esserci processi di democratizzazione - il che nella realtà è forse ancora più importante. Ma fino a che punto, fino a che momento, e dunque entro quali limiti, c'è democratizzazione? E estremamente difficile dirlo. Sembra chiaro comunque che ciò dipende dalla capacità di sopravvivenza di qlt.sto insieme, nel quale I'identificazione collettiva con lo Stato, lo sviluppo della burocrazia come intermediario tra i cittadini e le loro pratiche, si combinano con le pratiche dei movimenti di lotta sociale organizzata, nella maggiorunza dei casi in un quadro nazionale. I risultati sono necessariamente ambivalenti. Da questo punto di vista è estremamente rivelatore il fatto che le istituzioni del movimento operaio rivoluzionaúo abbiano semple iniziato con I'internazionalismo per finire con il nazionalismo. Neppure i movimenti di solidarietà con le lotte di emàncipazione anticoloniali hanno cambiato le cose 38

in modo duraturo. Ma oggi questo insieme forse ha t()ccato i suoi limiti, e comunque manifesta improvvisamente una estrema debolezza interna, mal mascherata dalla proliferazione delle burocrazie e delle

strutture giuridiche sovranazionali. Lo si è visto (luando I'Unione Europea ha chiesto ai suoi cittadini rrominalmente sovrani (ma in secondo grado) di eser,'itare la loro funzione costituente secondo i codici statuali - quando essa stessa è soltanto il fantasma di rrno Stato, in quanto non possiede nessun elemento ..li identificazione collettiva veramente efficace e ,l'altra parte, malgrado la crisi economica, non deve ( onfrontarsi con nessun movimento sociale generalizzato capace di transnazionalizzare il conflitto polit ico. Una simile struttura prefigura forse la forma di

dell'istituzione statuale della cittadi'opravvivenza \y,rnza che è nel nostto futuro, e che rappresentercbbe di fatto, con il nome di goaemance, rrna forma ,Ii statalismo senza Stato. Se questa è la tendenza, ci ,ono ottime probabilità che I'indebolimento della ,'ittadinanza statualizzata nella forma nazionale sfoci rcl vuoto, oppure in una reazione antipolitica di pol,ulismo e nazionalismo esacerbati. In altri termini, assistiamo al vacillare dell'equa.rione secolare trala politeía elo Stato (o l'imperiun), (' questo vacillare per il momento non dà luogo ad ,rlcun rinnovamento della dinamica democratica: in ( )sní caso, non apre la sttada a un ritorno puro e sem1,lice alle forme autarchiche e comunitarie prestarrrali. Corrisponde piuttosto a una fase di estremo l,ericolo per la tr adizione democ î atica, che potrebbe r rcCupzre il nostro orizzonte per un periodo molto 39


lungo. Ma, va ribadito, quello che la crisi non rende necissario, e probabilmente non favorisce, non lo impedisce neppure fatalmente. E in un certo senso ,r.iu.-.rg.t. piU vistosamente I'urgenza. È dr-tnqo. la condizione negativa di un rilancio della questione dellapoliteía.

trasporla a un livello superiore, mentre la società civile è percepita e si dispiega in modo transnazionale, :rttraverso le frontiere, in quanto società di <comnrercio>> in tutti i sensi del termine classico, malgrado

gli ostacoli posti dalla eterogeneità delle lingue

e

.lelle culture (ma anche facendo leva su forme nuove

di comunicazione). La società ciaile, nuoao luogo della <politeía>>? Quale può essere la condizione positiva? Qui è ne-

cessario essere ancoîapiù problematici, per non dire

speculativi. Bisogna chiedersi quali forme possono prendere, o stanno prendendo, dei processi costiiuenti o degli elemeÀti di cittadinanza poststatuale neces s ariamente dis giunti, o addirit tut a atomizzati alle estremità dello spazio politico, ma che hanno una vocazione a riunirsi, o sui quali si può lavorare perché finiscano per riunirsi. Dove trovare, o cercare, questi elementi? Una risposta a lungo in voga, sulla quale concordavano almeno verbalmente filosofi marxisti o postmarxisti, teorici dei <movimenti antisistemici> e pensatori liberali, si chiamav a società ciaile. E innegabile che questa risposta ha permesso di mettere in luce dei fènomeni caratteristici della nostra epoca e in particolare alcune nuove dimensioni della cittadii^n"u attiva, non riducibili al formalismo statuale e al quadro nazionale. A questo proposito è estremament. importante sottolineare ll d.écakge che consiste nel fatto che lo Stato rimane essenzialmente rinchiuso nella forma- nazione o tenta semplicemente di

Naturalmente ci si può domandare se in questo contesto la categoria della <moltitudine>>, così come viene utilizzata da Michael Hardt e Toni Negri, non sia una pura radicalizzazione (e anche unaidealizzazione) della risposta, come suggerisce d'alffonde la sua simmetria con la nozione dí imperiun. Tuttavia, .1uello che contrasta con una lettura così semplice è il f'atto che i due autori inscrivono nel loro concetto di rnoltitudine una divisione tra forze costituenti e l'orme sociali imposte dallo sviluppo capitalistico, configurando dunque una decomposizione piuttosto che un'autonomizzazione della società civile. C'è poi il fatto che per Hardt e Negri l'<<impero>> a cui si oppone (<<resiste>>) la moltitudine non è una struttura puramente <<privata>> o <(corporativa>>, ma ingloba lo Stato (anche se, secondo unatradizione marxista alla cluale, su questo punto, gli autori sono interamente fedeli, lo Stato non è nient'altro che una funzione della struttva capitalistica). Stato e società civile non sono esterni I'uno all'altra. C'è infine il fatto che il principio della resistenza e della potenz^ proprie della moltitudine viene ricercato in ultima istanza al di qua dei rapporti e delle istituzioni istitutivi della società civile, in una <ontologia delle forze produttive> di carattere vitalistico o, secondo la definizione 4f


di Hardt e Negri estrapolata dalla terminologia di Foucault, <biopolitico>. La potente e suggestiva elaborazione dei due autori contribuisce dunque a pro-

blematizzare I'idea di società civile come nuovo luogo della politica piuttosto che a imporla come evidenza.

L'identificazione della politeía futura con una potenza della società civile in quanto nuova società politica, verso la quale spingono al tempo stesso realtà attuali e parole antiche, presenta diversi inconve-

nienti. Il primo è che la categoria di società civile comprende anche forze, istituzioni e tendenze che non soltanto non hanno nulla di democratico, ma non hanno neppure nulla di politico nel senso che abbiamo cercato di dare al termine a partire dalla sua origine. Si tratta in primo luogo delle forze e delle strutture del mercato capitalistico, che oggi hanno inglobato non solo la produzione e la commercializzazione dei beni materiali, ma anche quelle della vita (o della <<cura>>, care) e della cultura. Queste forze che dominano la società civile costituiscono la matetia, ma evidentemente anche l'antitesi o I'ostacolo dei movimenti civici futuri. Non si tr^tta tanto di distruggerle quanto di dominarle, e dunque di contrastarle, in modo da canalizzare le potenze economiche al servizio del bene comune della società e, più oltre, delle diverse società che compongono I'umanità. Quello che dovremmo inscrivere positivamente, tra i fattori di ricostituzione della politeía, al di là dello Stato o piuttosto del monopolio dello Stato e della crisi dello Stato, non è dunque la società civile in quanto tale, ma il differenziale delle ten42

.lcnze all'interno della società civile, e in particolare

lo scontro delle logiche dell'interesse pubblico

e

,lell'interesse privato di cui la società civile è sede. il riferimento alla società civile intesa come una sorta di feticcio o di Scibboleth, ha poi un altro inconveniente, che si può comunque tentare di trasforrnare in v^ntaggio o suggerimento positivo. Questo t'onsiste nel fatto che vengono escluse, o sembra vensano escluse, forme istituzionali e organizzazioni che rìon sono infrastatuali o private, ma al contrario sovrastatuali. Non pensiamo alle alleanze,le federazioni o le confederazioni di Stati, ma piuttosto alle or ganizzazioni giuridiche, economiche, ecologiche o ,aàitarie mondiali incaricate della sicurezza colletriva e della lotta contro lo sviluppo ineguale, dalle Nazioni Unite all'Organizzazione Mondiale della Sarrità, ai Tribunali Penali Internazionali, passando per l,r Banca Mondiale o il Fondo Monetario Internaziorrale. Naturalmente, per poter inscrivere potenzial' rìrente nella prospettiva di una costituzione di citta,.linanza istituzioni di questo tipo - che incarnano ,rlmeno virtualmente una sorta di <<comunità senza eomunità>>, anaistanzadi regolazione dei conflitti di i rrteresse dell'umanità non f ondata sull' apparte îenza ,: l'autarchia, ma sulla reciprocità genetalizzata -,bi,ognerebbe concepire una loro radicale democtatizzazione, dalla quale siamo ben lontani' Una democraúzzazioneche presuppone non certo il dissolvimento .lel legame di queste istituzioni con gli Stati di cui oggi continu no a essete essenzialmente I'emanat,ione, ma un passo decisivo <<al di 1à del Leviatano>> ((liacomo Mirramao,Dopo ilLeaiatano), verso la di4)


stribuzione e la relativizzazione della sovranità statuale. Non è difficile vedere quali potenti forze sono destinate a resistere in modo accanito, se non violento, a una simile inversione di marcia della cinghia di trasmissione tra irnperium statuale e auctoritas internazionale o planetaria. In altri termini, questo presuppone che le organizzazioni internazionali acquisiscano un'autorità cosmopolita indipendente da quella degli Stati, e dunque mdicatain pratiche, procedure di intervento, modalità di cooperazione, partecipazione, delega di poteri e îappresentanza che attraversano il livello statuale, scendendone al di sotto per ativare alle comunità di cittadini, dalle quali ricevono una parte del loro impulso, nel momento stesso in cui, giuridicamente, si collocano al di sopra del livello statuale stesso. Oggi si può solo porre questa questione, non la si può risolvere. Ma la storia non (si) pone soltanto questioni che può risolvere... O forse potrà risolverle solo ponendole in modo diverso.

44

3.

Aequa liberus

Avendo tentato, in un primo percorso ipotetico, di rrffrontare le questioni contemporanee spingendo alle rrltime conseguenze l'idea di una politeía in quanto

<costituzione di cittadinanz^>>, possiamo ota occuparci di una seconda genealogia delle antinomie della 'cittaditanza democràtica: quella che abbiamo defirúto la traccia dell'egalibertà, intendendo con questa cspressione-conteniìore I'ideale civico delle rivoluziòni borghesi che scandiscono storicamente la modernità. Non va dimenticato che <<borghese>> e <<cittadinor> all'origine sono due termini sinonimi, con una stessa etimológia (un bùrgerèun cittadino nel quadro di una città li6era). La loro distinzione, sottolineata da Rousseau (I I c ontratto socia Ie) e poi da Hegel (Linea' nenti di filosofia del diritto), non abolisce affatto puramente e semplicemente la loro correlazione. Marx, che aveva giustamente portato la scissione roussoviana e hegeliana tra borghese e cittadino fino al punto di rottura, af.ferma a più riprese che la modeinità politica avaîza sulla scena storica <(vestita all'antica>>, e piùr precisamente <<alla romanat>. Questo deve farcitenire presente chel'aequa libertas e l'aequum ius sono due nozioni romane, di cui Cice45


rl rone in particolare si serviva per indicare l'essenza del regime a cui dava il nome di res publica: <<E tale è ciascuno Stato, quale è I'indole o la volontà di chi lo

governa. Pertanto in nessun'altra città, se non in quella in cui è massimo il potere del popolo, risiede in alcun modo la libertà; della quale certamente nulla vi può essere di più dolce, ed è tale che se non è eguale per tutti nemmeno è libertà> (Cicerone, lo Stato,I, 3r, 47).Va detto che il pensiero politico di Cicerone si inscriveva in una tradizione giuridica propria alle istituzioni romane, ma anche in una teorizzazione dell' hurnanitas proveniente dal cosmopolitismo stoico, il quale, attravetso la sua riformulazione cristiana, è sfociato in epoca moderna nelle filosofie del diritto narurale. Ciò che è cruciale tuttavia nell'evoluzione di questa linea di pensiero, è il momento di rivoluzione che inaugura la modernità politica, attraverso il quale il diritto eguale diventa il concetto di una universalità di tipo nuovo. La teotia allora è essenzialmenre costruita come una doppia unità di contrari: unità dell'uomo e del cittadino, che appaiono come due nozioni coestensive malgrado tutte le restrizioni pratiche che gravano sulla distribuzione dei diritti e dei poteri, e unità (o reciprocità) dei concetti stessi di Iibertà e di uguaglianza, percepiti come le due facce di un medesimo potere costituente, malgrado la tendenza permanente delle ideologie politiche borghesi (genericamente riunibili nella categoria del liberalismo) a conferire al primo rermine una priorità epistemologica o addirittura ontologica, facendone il diritto naturale per eccellenza, tendenza alla quale 46

risponde quella opposta socialista a privilegiare l'úguagliaiza. La prima tendenza può essere illu,trlnAa quello chè John Rawls definisce <<l'ordine Iessicografico>> inerente al principio di uguale libertà, 1,, secoìrda dal pensiero diJacques Rancière, che delinisce una opposizione radicale tta la democrazia come af{ermirionrdel <potere di chiunque> e le istiruzioni educative e rappresentative, viste come altrettanti tentativi di limitare il principio della prima'

Insunezione e costituzione

Quel che è particolarmente interessante è I'elernento di tensione derivante da questa doppia unità r-lei contrari: esso permette di comprendere perché le livendicazioni di maggiori poteri per il popolo o I'emancipazione dal dominio che si traduce in nuovi .liritti ur irr-rno inevitabilmente un cata;ttere insurre-

zionale. Rivendicando contemporaneamente l'uguaglianza e la libertà, si riafferma I'enunciazione che è

,rll'origine della cittadin nza universale moderna' E chiaramente è quando il potere politico viene conrluistato in modo rivoluzionario, con un conseguente ,:ambiamento di regime (per esempio il passaggio dalla monarchía alla repubblica) o il ridimensionarnento di una classe dominante costretta a rinunciare ei propri privilegi, che questa úaff.ermazio,ne trova la ,uà espressione-simbolica privilegiata. Ma la petitio ìuris, àvvero il movimento di emancipazione legato alla rivendi cazione dei diritti, può manifestarsi in un'infinità di modi, attraverso movimenti popolari, 47


il I

campagne democratiche, formazione di partiti duraturi o effimeri. Essa comporta un confronto traf.orze diverse, violento o non violento a seconda deile condizioni, I'uso o il rifiuto delle forme giuridiche e delle istituzioni esistenti. Basti pensarc alla diversità del-

insurrezionale così caratterizzato guarda, al tempo s[esso, verso il passato e verso il futuro: verso il passaro in quanto rinvia al fondamento democratico di ogni

bene comune o dalla volontà generale. Emerge qui una incornpletezza essenziale del popolo in quanto corpo politico, un processo di universalizzazione che passa peî il conflitto, e per la negazione dell'esclusione fondata sulla dignità, la proprietà ,la sicurezza, e in generale sui diritti fondamentali. Il momenro

costituzione che non derivi la sua legittimità dalla tradizione, da una rivelazione, o dalla ptrz eÍficacia burocratica, per quanto determinanti siano queste lorme di legittimazione nella costruzione degli Stati; verso il futuro, in quanto di fronte alle limitazioni e ,ri dinieghi che si oppongono alla rcalizzazione della tlemocrazia nelle costituzioni storiche, il ritorno ,rlf insurrezione (e il ritorno dell'insurrezione, più o nreno a lungo scongiurata) rappresenta una possibilità permanente. Che questa possibilità si concretizzi () merìo owiamente è un'altra questione, che non può ('ssere oggetto di nessuna deduzione a priori. Ma se la comunità politica si fonda sull'articolazione della cittadinanza con differenti modalità insLrrrezionali di emancipazione o di conquista dell'universalità dei diritti, essa assume inevitabilmente una lorma paradossale: escludendo qualsiasi consenso, rron è né rcalizzabile come unità omogenea dei suoi rnembri, né rappresentabile come totalità compiuta. Né d'altra parte può dissolversi nella forma indivi.lualistica di un aggregato di soggetti economici e sociali il cui solo legame sarebbe la <<mano invisibile> .lell'utilità, o I'interdipendenza dei bisogni, o nella f orma opposta di una <(guerra di tutti contro tutti>>, ,'ioè di un antagonismo generalizzato degli interessi che, in quanto tale, sarebbe il <<comune>>. In un certo dunque, i cittadini (o i concittadini) dell'egali'cnso lrertà non sono né amici né nemici. La loro relazione ,'di tipo agonistico. Ci avviciniamo qui a quello che

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49

le storie nazionali in Europa riguardo a1la conquista dei diritti civili, politici e sociali, o alla molteplicità delle forme che ha assunto la decolonizzazione nel

xx secolo, o al succedersi di episodi di guerra civile e di movimenti per i diritti civili durante più di un secolo negli Stati Uniti sulla questione mzziale ecc. Malgrado la diversità di questa fenomenologia, si constata che il conflitto è sempre determinante in ultima istanza, in quanto l'egalibertà non è valore originario, e i dominanti non cedono mai i loro privilegi o il loro potere volontariamente, anche se accade loro, sotto la pressione degli awenimenti, di essere presi dall'ebbrezza della fraternità (come nell'esempio simbolico della notte del 4 agosto r789: ma I'episodio è mai accaduto veramente così come è stato mitizzato nell' immaginario repubblicano?). Dunque sono necessarie delle lotte, e ancora di più è necessario

che si affermi una legittimità della lotta, quello che Jacques Rancière chiama <ia pafte dei senza-parte>>, che conferisce un significato universale alla rivendicazione di coloro che in precedenza erano esclusi dal


t

Chantal Mouffe ha proposto di definire il

f <<para-

dosso democratico>, su cui ritorneremo, ma stiamo

anche intravedendo le forme sotto le quali una istituzione della cittadinanza che permane es s enzialmente antinomica può manifestarsi nella storia, via via che cambiano i nomi, glt spazi e i territori, le narrazioni storiche e le formàzioni ideologiche associati al suo

riconoscimento da parte dei soggetti che vedono in essa il loro orizzonie politico e la loro condizione di esistenza.

Cittadinanza e nazionalità

Perché questa connotazione sostanzialmente instabile, protlematica, contingente della comunità dei cittadini non è più apparente (o non si manifesta più spesso)? E percihé, q,tittdo si manifesta, viene facil..nt. indicata come un crollo della cittadinanza? Probabilmente ciò è dovuto, in particolare, alÎatto che nell'epoca moderna le nozioni di cittadinanza e di nazionàlità sono state praticamente identificate, in quella che si può considerare come I'equivalenza fonàatrice dello-Stato repubblicano moderno, tanto pir) indiscussa e - appatè.tt.-ente -- indjstruttibile in qo^rrto lo Stato tt*to non cessa di rafforzarsi e le sue giustificazioni mitiche, immaginarie e culturali 'oroliferano. È possibile tuttavia immaginare che il ciclo storico della-sovranità dello Stato arrivi a un termine, come oggi sembra stia awenendo, di modo che il carattere uilh'.rro contingente di questa equazione (ri)diventi 5o

i

l I I

, r'idente? Si

tratta in effetti di un'equazione storica-

rrrcnte determinata, relativa ad alcune condizioni lo-

rrli e temporali, esposte alla decomposizione o alla rrrutazione. E innegabile che la sovranità assoluta ,lcl1o Stato-nazione in quanto potenza economica e ,rrilitare, o anche come capacità di conffollare i movirrrenti e Ie comunicazioni dei propri cittadini, nel ,rrondo attuale sia pesantemente messa in discus,itrne, ma non è certo che i processi di transnazionalv,zazione in corso rivestano lo stesso significato do' unque, e che la percezione che se ne ha in Europa i.r generalizzablle. E molto probabile per esempio , lrc, dal punto di vista della Cina, nel momento in , rri questa sta tentando di affermarsi come una nuova rrrrziore egemonica regionale o mondiale, la prospetriva appaia molto diversa, tanto sul piano semantico ,lrranto sul piano storico. Comunque sia, ci troviamo rì rrn momento in cui diventa (di nuovo)visibile che 'in i leresse nazionale o I'identità nazionale non sono, ,rì cluanto tali e in assoluto, fattori di unità della co'''rrnità dei cittadini, e che I'equazione tra cittaditiltnza e nazionalità è essenzialmente precaria. Ma la riflessione non può fermarsi qui. Perché, per , trrirnto efficace possa essersi dimostrata la forma naione nella storia moderna, essa è soltanto una delle r,,r'rne possibili della comunità dei cittadini, di cui ,

tutte le funzioni e non neututte le contraddizioni. È necessario soI'rrìttutto comprendere che la cittadinanza in gene1,r'r'altro non assorbe mai

rr;rLizzamai

,,rlc, in quanto idea politica, comporta indubbiamente

liferimento alla comunità (poiché, così come una trtadinanza senza istituzioîe,l'idea di una cittadi-

,rrr

5r


rl

î^flza senza comunità è di fatto una contraddizione in termini), e tuttavia non può avere la sua essenza nel consenso dei suoi membri. Di qui la funzione strate' gica che svolgono nella storia termini come res publica o cornftzonuealth, ma anche la loro profonda equivocità. Dei cittadini sono sempre deí con-cittadini (o dei co-cittadini, che si conferiscono reciprocamente i diritti di cui godono): la dimensione di reciprocità è costitutiva. Nel secolo scorso, in un celebre àrticolo (Due rnodelli linguistici d'elk città), Emile Benveniste ha dimostrato che, dal punto di vista filologico, questa priorità della reciprocità sull'appaîte' nenza è esptessa meglio dal binomio latino ciais-ciuitas che dal binomio greco pólis-polítes, in quanto nel primo la radice semantica è 1o statuto dell'individuo in relazione (il concittadino), mentre nel secondo è la preesistenza nominale del tutto rispetto ai suoi mem' bri. Questa diff.erenzaha conseguenze politiche e simboliche notevoli, leggibili anche nella posterità mo' derna dei due discorsi. Ma bisogna interpretarla soprattutto come una tensione interna, presente do' vunque e all'origine di una oscillazione permanente. Allora, i cittadini come possono esistere al di fuori di una comunità, che sia o meno territoriale, immagínata come un fatto di narua o una eredità culturale, definita come un prodotto della storia o come una costruzione della volontà? Già fuistotele, si è vi sto, ne aveva proposto una giustificazione fondamentale, inaugurando in tal modo la filosofia politica: quello che lega tra loro i cittadini è una norma di reciprocità dei diritti e dei doveri. O meglio ancora: è il fatto che la reciprocità dei diritti e dei doveri im52

lrlichi al tempo stesso Ia lirnitazione del potere dei got'crnanti e I'accettazione della legge da parte dei gooerttuti. Per Aristotele, la gannzia di questa reciprocità

di posizione di di <<governato> (archónze,rr.,s), anche se questo principio gli appaúva per I'aprisiedeva nello scambio periodico

'(governante>> (tírclton) e

punto gravido di pericoli ultrademocratici. Successivlrmente, e di conseguenza,la tradizione politica non lra mai smesso di tentare di elaborare I'idea di una ( ()stituzione mista nella quale la reciprocità e la gerrrrchia si trovassero conciliate o composte. I magi',trati sono dunque responsabili di fronte ai loro comrnittenti, e i semplici citadini obbediscono alla legge , he hanno contribuito a elaborare, o direttamente o l)cr interposti rappresentanti. T uttavia, questa inscrizione della cittad inanza rrell'orizzonte della comunità non è in alcun modo ';inonimo di consenso o di omogeneità. Al contrario: I'crché i diritti che la cittadinanza garantisce sono rtati conquistati, cioè sono stati imposti malgrado la rcsistenza opposta da detentori di privilegi, di intercssi personali e di poteri che esprimono altrettante ,krminazioni sociali. Perché sono stati (e devono es',ere continuamente) inoentati (come dice Lefort, i ontrappon€ndosi su questo punto alla corente dorrrinante del liberalismo e del repubblicanesimo), e i [rro contenuti, come quelli dei doveri e delle respon,,rbilità corrispondenti, si definiscono sulla base di I Iuesto rapporto conflittuale.

53


fi I

Politica

e

antipolitica: il dilemma dell'istituzione

Se non fosse così, saremmo , lre

Arriviamo così a una caratteristica fondamentale della cittadinanza moderna, che è anche una delle

ragioni per le quali la sua storia non può che presentaisi come un movimento dialettico incessante' Chiaramente è molto di{ficile accordare I'idea di una comunità né disgre gata né unificata con una definizione puramente giuridica o costituzionale: ma non è impossibile concepire questa idea come un processo itorico governato da una legge di riprodudi interruzione e di ttasfotmazione perma"ion". .r.rrt.. È d'altronde I'unico modo per comprendere la temporalità discontinua e la storicità della cittadi istituzione politica. Non soltanto la nun ^-inquanto cittadinanza dev'essere attraversata da crisi e da tensioni periodiche, ma è intrinsecamente fragile o vulnerabile: in ragione di questo, nel corso della sua storia, è stata disirutta e ricostruita varie volte, in

un nuovo quadro istituzionale' In quanto costituzione di citiadinanza, essa è minacciata e destabiliz' visto bene Max zata, o delegittimata (come \X/eber), dalla stessa potenza ^veva che ne forma il potere costituente (o di cui è la figura costituita): la capa' cità insurezionale dei movimenti politici universa' listi che intendono conquistare diritti ancora ine' sistenti o ampliare i diritti esistenti, in modo da realizzare neifatti l'egalibertà' Ecco perché è ne' cessario parlare di un dif.fetenziale tra insurre' zione e costituzione, che nessuna rappresentanza puramente formale o giuridica della politica può riassumere. 54

costretti a immaginare

le invenzioni democratiche, le conquiste di

diritti,

lc ridefinizioni della reciprocità tra diritti e doveri in lrase a concezioni più ampie e concrete, derivano da

idea eterna, dataunavolta per tutte, della cittadi E contemporaneamente satemmo tenuti a so',tituire all'idea diun'inuenzione quella di una conserrtrzione della democrazia. Ma una democrazia cheha r ome funzione quella di conservare una certa defini,ione della cittadinanza è anche, proprio per questa ',ua caratteristica, incapace di resisterc allapropria de,lemocratizzazione.In effetti, nella misura in cui la l,olitica deve far fronte alla trasformazione delle realtà rrrra

n',tnza.

csistenti, al loro adeguamento a contesti in mutanìcnto, alla formulazione di alternative all'interno di ,'voluzioni storiche e sociologiche, un concetto di con',t'rvazione non sarebbe politico ma antipolitico. E necessario dunque dimostrare, contîo ogni defirizione prescrittiva o deduttiva, che la cittadinanza ,ron ha mai cessato di oscillare ffa distruzione e ricot ruzione, a partiîe dalle sue proprie istituzioni stori, lrc. Il momento insurrezionale associato al principio ,lcll'egalibertà non è soltanto fondante, ma anche ne,rrico della stabilità delle istituzioni. E se ricono,ciamo che esso rappresenta, attraverso le sue realizt.trzionipiù o meno complete, I'universale all'interno ,lclla sfera politica, dovremo convenire che non esi,tc nella storia niente di simile a un'appropriazione o ,r un'installazione nel regno dell'universale, come t)r'nsavano i filosofi classici, per i quali l'avvento dei ,liritti dell'uomo e del cittadino rappresentava un 1'rrnto di non ritorno, il momento in cui l'uomo di,

55


vent^vanei

per

fatti il portatore dell'universale che tt^

destinazione.

Il fl

poi combiniamo I'idea di questo differenziale f, tra iniurrezione e costituzione con la rappresenta- { / zione di una comunità senza unità, in via di riproduzione e di trasformazione,la dialettica alla quale I arriviamo non è puramente speculativa' I conflitti I che essa implica possono essere estremamente vlolen' ! ti. E soprattutto coinvolgono tanto lo Stato quanto, { di fronte allo Stato o al suo intetno, i movimenti di { emancipazione stessi' Per questo motivo non possiamo neppure rimanere alla nozione di istituzione, ancora .àito generale, di cui ci siamo serviti fin qui, perché elude ancora la contraddizione principale' Ri iorneremo su questo punto tentando di riflettere in modo più appro{ondito sui rapporti tra istituzione e conflitìo. Pti-" però è necessario precisare ciò che risulta, .on.r.tuti.nte, dal fatto che I'istituzione nelI'epoca moderna si sviluppa innanzitutto nella forma deilo Stato nazionale e dei suoi diversi app^îati' Se

Stato, rappresentanzt,

is

truzione

finora abbiamo fatto assai poco ri{erimento allo Stato, non è perché si sia voluto evitare di prendere in esame istiìuzioni specificamente statuali, ma al contrario per meglio individuare quanto aggiunga ' alle antinómie della cittadinanza I' identif ic azione delle istituzioni politiche con una costruzione statua' le nazionale. L'aìsoggettamento della politica all'esi stenzae al potere diun apparato statuale non fa che Se

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irrtensificare quelle antinomie, senza peraltro murirrne la natura? Oppure bisogna ammettere che tale .rssoggettamento sposta le antinomie su un terreno ,lcl tutto diverso, nel quale la dialettica dei diritti e ,lci doveri, del comando e dell'obbedienza, non si l)rcsenta più negli stessi termini, di modo che le catert rrie eredit ate dalT' antichità svolgerebbero soltanto ,rrra funzione di mascheratrtta, una <<finzione del poi t ico >? Nel solco di Hegel, Marx non era lontano dal r

I

Itcnsarlo.

Come già si è visto, la nozione stessa di costitu.,ione ha subito pro{onde evoluzioni nel corso del suo

,viluppo storico nel quadro nazionale,legate alTa cre,('cnte importanza dello Stato e del suo potere sulla ,.cietà, sia prima sia dopo che si generalizzasse il

,lominio del modo di produzione capitalistico, al , rale lo Stato stesso contribuisce direttament e attîa1t t'..'rso un'<<accumulazione primitiva>> estremamente violenta (Marx). Le costituzioni antiche erano incent r ate sulla distribuzione dei diritti tra le categorie ,lella popolazione,le regole dell'esclusione e dell'in, lrrsione, le modalità della scelta e della responsabilità dei magistrati, la definizione dei poteri e dei con-

tropoteri. Dunque erano essenzialmente delle ,

rrstituzioni materiali che producevano un equilibrio

,lt'i poteri ma mancavano della neutralità trascendenr'

r

le conferita dall'universalità della forma giuridica.

distinzione tra costitu zione forraale (fondata sulla lcrarchia delle leggi, delle norme e delle loro fonti) e , {)stituzione materiale (l'equilibrio dei poteri e dei , orpi sociali e politici, il conflitto regolato ra le , lassi e gli attori politici) ha una lunga storia che si Lrr

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può far risalire alle critiche delle teorie contrattualiite (Hume, Montesquieu, Hegel) e, aÍrcoîa prima, alle discussioni sulla costituzione mista. In epoca moderna questa distinzione è stata ripresa e difesa in

particoiare da Carl Schmitt (Dottrina della costitu' Tione) e da alcuni suoi lettori soprattutto italiani (Mortati, Negri). Le costituzioni moderne sono invece costituzioni formali, scritte nella lingua della legge, il che corrisponde - come ha ben visto il positivismo giuridico - alI'autonomiz zazionedello Stato e al suo monopolio di rappresentanza della comunità, cosa che consente allo Stato stesso di esistere contemporaneamente <<in idea>> e <<in pratica>>, al di là delle sue divisioni e della sua incompittezz^ (Hans Kelsen, La dernouazia). Tl costituzionalismo nazionale moderno combina dunque la dichiarazione performativa dell'universalità dei diritti (ela garanzía giudiziatia contto la loro vioIazione) con un nuovo principio di separazioîe tra governanti e governati, che Catherine Colliot-Thé' l'ène (nel ,rroio-*.nto alla tesi weberiana che afferma la supremazia tendenziale della legittimità burocratica súile altre forme di legittimità) definisce il principio dell' ignora nza delpopolo >. -Si p-otrebbe anche pàrlare, sul vetsante istituzionale, di incornpe' tunzà sostanziale del popolo, di cui la capacità di rap' presentanza è il prodotto conraddittorio. La genealogia di questo principio risale fino almeccanismo t"pprèt"nt"tivo dell' au torizzazione del sovrano in qlruttto .rtti.o attore politico, che è al centro della costruzione di Hobbes nélLeuiatano (capitoli 16-17). E lo stesso principio si ripropone nell'idea hegeliana se<<

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trndo la quale la rappresentanza della società civile ,rcilo Stato richiede l'intervento organico di una , l,rsse universale costituita dagli intellettuali, siano , ssi funzionari pubblici o portavoce degli interessi .lt'lla società (Hegel, Lineamenti di filosofia del dir,,1/o). Questa idea si avvicina alla concezione liber,rle, che fa della proprietà e della capacità (fondata ,rrlla conoscenza) \e due fonti della cittadinanza atriva, come ha indicato in particolare Pierre Rosan(ll popolo introuabile).In epoca più vicina a ',rllon rr,ri, e in modo più borghese e dunque più pragmar ico, il principio di incompet enza è stato sistematiz,,rto dai teorici della democrazia elitaúa (in particol;rle Schumpeter), che hanno dominato la scienza ;','litica a partfte dall'inizio del xx secolo (in risposta rlla grande paura delle masse provocata dal sociali,rrro e dal comunismo) e hanno identificato il regime ,lt'rnocratico non soltanto con la delega di potere, ma , ()n la concoîrenza tra politici di professione sul mer,

,

rrlo della rappresentanza.

Tutto ciò fa risaltare quanto le contraddizioni tra l,rrrtecipazione e rappresentanz^, e tra rappîesentan;r e subordinazione, siano acute nella cittadinanza nroderna, e perché il differenziale tra insurrezione e , ostituzione si sposti in particolare nel funzionamenr,, dei sistemi di istruzione nazionale. Molti nostri , ()rìtemporanei, pur senza ignorare le sue imperfeioni eclatanti, considerano lo sviluppo di un sistema ,

li pubblica istruzione un'acquisizione democîatic^

lrrndamentale e una condizione preliminare alla detpcratizzazione della cittadinanza. Ma noi sappiamo .,rrche che democtazia e meritocrazia si trovano 59

in


II I

questo campo in un rapporto stJaordinariamente teso. Lo Stalo borghese che combina la rappresentanza politíca con l'istruzione di massa si apre virtualmànte alla partecipazione dell'uomo comune o del cittadino qullsiasi al dibattito politico, e di con' seguenza alla contest azione del proprio monopolio d.i potere. A seconda della propria efÍicacia nella riduzione delle disugu aglianze, 1o Stato contribuisce all'inclusione di categorie che in precedenza non avevano accesso alla sfera politica, e dunque all'instaurazione di un <diritto ai diritti> (secondo la famosa formula arendtiana). Ma il principio meritocratico che regge questi si stemi di istruziott. (e che si identifica con la forma scolastica stessa: cosa sarebbe infatti un sistema di istruzione generulizzato non meritocratico? I'utopia 'i scolastica Éu ,.-pr. inseguito questo enigmatic-o obiettivo) è di peisé un principio di selezione delle élite e di'esclusione della-massà da qualsiasi possibilità di controllare realmente le procedure ammini'' strative e di parteciparc agliaffari pubblici' La mag' ' sioranza deiìittadini non è comunque mai in grado éi putt..ip"re agli affari pubblici su un piano di pa' riti con i nmagistratit> reclutati (e <riprodotti>) sulla base del loro-sapere e della loro competenza, che Pierre Bourdieu,ha definito <la nobiltà di Stato>' Creando una gerarchia di sapere, che è anche gerar' chia di pot.ré, eventualmeìrc ruff.otzata da altú meccanismi oligarchici, lo Stato esclude legittima' mente la possibilità per la nazione sovrana di governare se stessa. E in questo modo opera una fuga in avanti in cui la rappresentanza celebra costante'

1

i

6o

nìcnte le proprie îozze conl'elitismo e con la demaliogia. Come è noto, questo è stato il punto forte ,lclle teorizzazioni sull'oscillazione dei partiti di rnassa (socialisti) ra la dittatura dei capi e il monopolio dei quadri, alle quali Gramsci tentò di rispondere ( on la sua teoria degli intellettuali organici, che ribalrrrva contro lo Stato borghese la tesi hegeliana della ,lasse universale e delle sue funzioni egemoniche.

Dernocrazia e lotta di classe

Mettendo in rilievo alcuni dei meccanismi che conIt'riscono un carattere di classe alle costituzioni di tittadinanza del mondo contemporaneo, non inten,liamo soltanto indicare I'esistenza di un fossato ffa 1'r incipi democratici e realtà oligarchiche, ma anche ,,,llevare la questione del modo in cui i movimenti rrrsurezionali vi sono essi stessi coinvolti. Non seml,r'a necessario dilungarsi in questa sede su come la I,rtta di classe abbia svolto un ruolo democratico es',cnziale nella storia della cittadiîanza nazionale mo,lcrna. Ciò è dovuto alf.atto che le lotte organizzate .l,rlla classe openia (attraverso tutta la gamma delle Lrro tendenze storiche, riformiste e rivoluzionarie) lrrnrio portato al riconoscimento e alla definizione da lrrrrte della società borghese di alcuni diritti sociali lordamentali, che lo sviluppo del capitalismo indu,triale rendeva al tempo stesso più urgenti e più diflicili da imporre, contibuendà .o., .iò alla nascit.rdi una cittadinanza sociale. Ma si è dovuto anche, rr un rapporto diretto con quanto abbiamo chiamato 6r


il la <(traccia dell'egalibertà>>, al fatto che quelle -lotte hunio trnlarutoílo,o modo un' artic o laziòne' de Il' im ;;s,'';;;;;;tdùÈ, a'i*oii*r"io cottetliuo, che è il

îI

.,-,ót. stesso dell'idea di insurrezione' E un aspetto tipico della cittadinanza modetna, il cui valore è indissociabilmente etico e politico, che i diritti del cittadino siano attributi a soggetti individuali, ma siano conquistati attraverso móvimenti sociali capaci di inventare, in ogni circostanza, le forme e i linguaggi appropriati della solidarietà. In modo simmetrico, è

.tr.ttri"l-.nte nell'azione collettiva

\ i '

per la conquista

o I'estensione dei diritti che si determina la soggettivazioneche autonomizzaf individuo e gli conferisce ' una potenza di azione. Tutto questo I'ideologia do' minante fa mosffa di ignorarlo, oppure lo presenta in ' forma invertita, suggirendo che l'attività politica collettiva è per natuia alienante, per non dire fattore ' di asserviménto alla dimensione totalitaúa' Pur contrapponendoci a questo pregiudizio, non possiamo.ornonqo. cullarci nell'illusione che la lotta ài.brr. oryanizàata sia immunizzat^ contÎo I'auto' ritarismo interno che deriva dalla sua trasformazione in contro-Stato, e dunque in contropotere e contfo' violenza, o che rappresenti un principio di universa' lità illimitata o incondizionata. Non è certo un caso che nella sua maggioranzatl movimento operaio eu' ropeo e le sue otganizzazioni di classe siano rimasti ciÉchi ai probleml deil' oppressióne coloniale, dell' op' pressionà domestica dellè donne, del dominio che si

rnenifestati come insumezione nell'insurrezione. È ,r,i qualcosa che bisogna spiegare non soltanto con Iuesta o quella situazione materiale, con questa o ,1rrella coruzione o degenerazione, ma con il fatto , Ire la resisterLz^ e la protesta contto forme determirrrrte di dominio o di oppressione si basano sempre ,rrll'emergere e la costruzione di controcomunità che lirrnno propri principi di esclusione e di gerarchia: Sappiamo che I'oppressione e il dominio hanno ,'rolti volti e che non tutti sono il risultato diretto o , scìlusivo del capitalismo globale ... È possibile che ,lcune iniziative, le quali si presentano come alternarivc al capitalismo globale, siano esse stesse una l,rrma di oppressione>>, scrive oggi Boaventura de :r()rsa Santos, uno dei principali teorici dell'alter,,rirndismo (Democratizing Dernocracy). La storia le lla lotta di classe - spesso drammatica - richiama l,ì nostra attenzione sulla finitezza dei movimenti in,rrrrezionali, in altre parole sul fatto che non esiste ,rrlla che assomigli a universalità emancipatrici assolrtamente universali che sfuggono ai limiti dei loro ,'rrgetti. Le contraddizioni della politica di emancipaione che si ispira all'egalibertà si traspongono e si r il.le ttono all'interno delle costituzioni di cittadinan.r più democratiche, contribuendo in questo modo, , lrranto meno passivamente, come vedremo, alla posi lrilità della loro de-democratizzazione.

àsercita sulle minoranze culturali (quando non è stato direttamente î^zzistz, nazionalista e sessista), malgrado questi problemi si siano ricorrentemente 6z

63


4.

Dalla cittadinanza sociale allo Stato nazional-sociale

Tentiamo ora di esplicitare il nexus di contraddi' al problema ,i;;;;iii.h..h. si annodano attornonella cittadisociali lU irr.orpoîrrzioîe dej diritti che l'importanza ;;;;;;Ttx ,..olo. È evidente sociale.' della sua ;;ii;;;;;,i""e della cittadinanza nella forma dello storica e della sua crisi

I

,rutLriuri""e ^Sìri" ' *-ri""a-sociale, oggi non è percepita negli -stessi ' che sillnsidtti l" polit it a nel N ord i.t À"i Jll.. ha " "a" o nel Sud. Da una parte lo Stato nalional-sociale corrispet' un ;;; t.lt^ se.onda metà del xx secolo tica dello svi' neoli' contesto nel irrppo ("rr.h'esso esposto alla crisi 'b"fii.i. sociali diritti dei E;'iliiu-purt la questione JiiÀr* tin a ina sob règione del mondo' Si può "à" tul. questioie si {accia.sentire' anche differenti, dovunque lo sviluppo del capitufitrno ha come coniropartii" ott-approfondimento costi&1ilil;"rg1ianze. E óomunque lacritica deldemo' della solleva la questione

,i*;;i-i;Jnella forma della problem

;td.;lÀ. ;;;f;;

;;;;ilil?ot*ul.

che è necéssario esaminare in modo universale, e cioè comparativo'. Partiamo dalla relazione tra la crttadffLanz so' rappresenta' ciale e le trasformazioni della funzione

*^a-li"iriittrrul",

6q

riva dello Stato, ovverosia dai modi di otganizza,,ione della politica stessa. È r.m" questioné di una , omplessità affascinante, che per questo è all'oririne di un dibattito di cui siamo ben lungi dal ve,lcre la fine. E gli sviluppi recenti della crisi econo,'rico-finanziatia, e le sue ripercussioni possibili o 1'r'obabili sulla composizione sociale e i rapporti polirici nelle diverse regioni del capitalismo globaliz,rrto, arrivano a proposito per metterci in guardia , rrrtro le conclusioni af.flettate o speculative. Il dil,irttito riguarda in particolare l'interpretazione ,lclle trasformazioni nella composizione di classe ,lclle società di capitalismo av^nzato in cui i diritti ,,rciali erano stati ampliati e codificati nel corso del 'r secolo, e delle loro ripercussioni politiche più o reversibili. Non è facile rispondere alla do'rcno rrrirnda se la nozione di cittadinanza sociale, fatico,;unente riconosciuta e lungi dall'essere genemliz:rrta, appzrtenga già definitivamente al passato, e in ,luale misura la crisi in cui ha precipitato quella noitrne 1o sviluppo della globalizzazione liberale abI'irr ormai distrutto le capacità dei sistemi sociali di rt'sistere all'avanzata di quello che Robert Castel rl,u rnetarnorfosi della questione sociale) chiama le I orme negativer> dell'individualità e l'<<individualrsrno negativo>. Così come è tutt'altro che facile ,lilc se quest'ultimo coincide con una interruzione l,'l'initiva dei progressi della democratizzazione o, ;'iìr dialetticamente, con una intensificazione dei ,,rrri conflitti e della sua incertezza interna, dovuta rllt crescente difficoltà di una rivendicazione dei lrlitti di organizzarsi in forme collettive di massa. 65


I I

Si può considerare la cittadinanza sociale, che si è I sviluppata nel xx secolo soprattutto il Europa occi ; dentàie (e in misura minore negli Stati Uniti) come una $ innovazione o invenzione potenzialmente universaliz' I zabtfe. che appartiene alla storia della cittadinanza tn t

g"n.rul.? Èi'irrt.rrogativo posto in particolarell àa['op.ru di Thomas Humphrey Marshall e dai suoi

, r

.o*tn.ntutori: Sandro Mezzadra (che colloca la que' stione della cittadiîartza nel quadro delle migrazioni ' tnternazionali) in Ttalia, ma anche Margaret Somers' (che combína la visione di Marshall con una nozione, arendtiana di <diritto ai diritti>) negli Stati Uniti' La, nozione di cittadinanzasocialeè stata definita da Mar'l shall alf indomani della seconda guerra mondiale, nel{ contesto della grande trasformazione dei diritti del la'1 voro organiz zaTo e deisistemi di protezione degli indi'i vidui contro i rischi caratteristici della condizione pro'Í

letaúa: insicu ezza e paupetizzazione,

"

esclusione (rischi chc' sociale dall'istruzione e dal riconosòimento

riguardano in forme diverse tuttala popolazione che, vie di lavoro salariato, la cui esisterlza îon è social' mente g raîtit^dai proventi della proprietà)' Tale problem atica rirnanà qui parzialmente apeîta, in quanio una risposta esaustiva dipende da un'analisi degii sviluppi stòrici del capitalismo che va oltre le poisibilità & questo saggio. Presupporremo tuttavie ihe vi sia nella traiettoria della cittadinanza sociale, in ragione del modo in cui essa cústallizza una tendenza inicritta nella forma stessa della lotta di classe tra ca' pitale e lavoro, una questione irriducibile la cui por' ìata è di ordine g.t.ral.. Si può dire che si tratta della questione dei ri-inizi della cittadiî rlza in rapporto ai 66

[i politici del capitalis.o. È tale questione che la attuale acutizza, e di cui spinge a ricercare le ralit'i per immaginarne le evoluzioni possibili. Tre punti rLrt'ritaho di essere esaminati. Il primo riguarda I'emer,r'r(: di una cittadinanza sociale distinta dal semplice r i('onoscimento dei diritti sociali, il che le conferisce , ra dimensione univers alista. Il secondo riguarda la ',r,,dalità in cui, incorporandosi in una forma statuale dello Stato nazional-sociale), le lotte che ac',1rrella ' rrmpagoafìo la rivendicazione di tali diritti sono , rrrterrìporzneamente politicizzate e dislocate, cioè rrscritte in una dinamica di dislocamenti dell'antago,isrno di classe, che permette una regolazione (ma , lrc può anche s{ociare in una crisi). Il terzo punto 'r,qrrarda la complessità dei rapporti storici che in tale , ,rrìteSto si determinaîo tra I'idea del socialismo (in ( rìso generale) e la democrazia, là dove le poste in ioCo Sono in primo luogo la rappresentazione del pro,r('sso come progetto politico e il valore dell'azione l,rrbbiica come modalità di istituzione del collettivo. I questione non sempre è stata esaminata nel suo 'rle ,rt)porto con il problema della cittadinanza (salvo da rlt rrni socialisti revisionisti come Eduard Bernstein). It rìterefiio nelle pagine seguenti di mostrare perché ,trcsto è l'approccio che può gettare maggiore luce rrlla tematica di cui ci occupiamo. r,

, r isi

Diriui sociali

r

e cittadinanza sociale

i,'elemento forse più importante nel modo in cui i' costituita la cittadinanza sociale alla metà del xx 67


il fatto che non è stata concepita come un semplice meccanismo di protezione o di assicura' zionè contro le forme di povertà più drammatiche (o contro l'esclusione dei poveri dalla possibilità di ac' cedere a una vita familiare decente secondo i canoni borghesi, che aveva ossessionato la critica sociale del xrx secolo), ma come un meccanismo di solidarietà universale su scala del corpo politico dello Stato. Il dibattito cruciale tîa lJtraconcezione particolaristi' ca e patetnalistica e una concezione universalistica egtaittariaè ben riassunto dagli storici della socialde' mocrazia(Donald Sassoon, Cento anni di socialisrno)' Un dibattito che segna il punto di arrivo di violente conffoversie, i cui termini risalgono alle discussioni" dell'epoca della Rivoluzione industriale sull'articola' zione'della filantropia o della carità con le strategiel borghesi destinate a disciplinarela f.ona lavoro. Irt Nalcita detk biopolitica,Foucaalt ricorda che nelle polemiche dell'epoca il Piano Beveridge del r94z è itato assimilato àl nazismo dai precursori del neoli berismo come Friedrich Hayek' Si vedrà se antago' nismi altrettanto violenti si formeranno a proposito del reddito di cittadinanza, che alcuni teorici con' temporanei propongono di istituire per rispondere alla generalizzazione del precariato e prendere atto della separazione tra diritti sociali e I'assegnazione degli individui a una identità professionale unica. In effetti, il meccanismo di solidarietà creato in misura più o meno estesa dalwelfare State rigtardava virtualÀente tutti i cittadini e copriva tutta la so" cietà, cioè ne avevano ugualmente diritto tanto i ric' chi quanto i poveri. Questo punto è simbolicamente, secolo è

:

68

,,ra anche economicamente,

di impoftanza capitale.

Anziché dire che i poveri erano ormai trattaticome i r icchi, è più corretto dire che i ricchi erano trattati r trrre i poveri, in base a una univercalizzazione della r rrtegoriÍr antîopologica di <<lavoro>> in quanto carattt're specifico dell'umano. La maggioîanz^dei diritti ',trciali gaîantiti o conferiti dallo Stato erano infatti , trndizionati all'appanenenza più o meno stabile delli individui attivi a una professione, che dava loro rrno status riconosciuto nella società. In un certo (lual modo il lavoro diventava così la base della so,

ictà al posto della f.amiglia (o in concorrenza con

,'ssa). Questo punto è fondamentale anche per spieriirre perché parliamo di citudinanza sociale, introdu-

cndo nel concetto una componente democtatica, e lron puramente e semplicemente di denocrazia so,'iule. Naturalmente le divisioni di classe rimangono, , il capitale (privato o pubblico) conserva il controllo ,lelle operazioni di produzione e di investimento. Va notato per inciso che uno dei problemi pir) acuti che l)one questa estensione della cittadina;îz^ associata a urìa vera e propria rivoluzione antropologica riguarda l'rrguaglianza dei sessi, dato che la maggioranza delle ,lonne alla metà del xx secolo erano ancora << socializzate>>, sia in Europa sia negli Stati Uniti, come mogli ,li lavoratori attivi, e pertanto soggette a questi ulrimi. L'accesso all'attività professionale è diventato ,

,lunque una delle vie maestre dell'emancipazione lemminile. Ma ha anche inaugurato il supersfruttanìento delle donne, con la doppia giornata di lavoro, l,rofessionale e domestica, e il loro svilimento attîaverso I'istituzione di professioni femminili come I'in69


t ;

segnante elementaÍe, il mestiere di infermiera, dit ,eir.taúu ecc., che ,íprodo.e la segregazione all'in- q teino dello spazio pubblico: quello che Geneviève I Fraisse ha chiamato il sistema dei <due governi>>. f È opportuno inoltre notare il legame almeno indi r.tto, tà.tto economico quanto ideologico, che associavalaprotezione sociale e la prevenzione dell'insicurczza dàlla vita (di cui Marx aveva fatto una delle

caratteristiche centrali della condizione proletaria) a un programma politico generale di riduzione delle dituguugliun"e. Questo legame era così potente che, fino all'emergere del neoliberalismo' nessun partito

poteva, almeno verbalmente, metterlo-da parte. Il pro' gru-mu comprendeva 1o sviluppo delle-pari op.portu'

iità, l'"n-"nto della mobilità sociale degli individui attraverso la generulizzazione dell'accesso dei futu' altri termini lo del la delegittimazione o smantellamento simbolico gata;fitivzi, che monopolio culturale della borghesia, pro' alle che oltre srro aò.esto esclusivo alle capacità prietà) e I'istituzione dell'imposta progressiva, sia sui redditi da lavoro sia sui redditi da capitale. Il capitali' smo classico aveva totalmente ignorato questo mecca' nismo di redistribuzione che, com'è noto, oggi viene eroso sempre di più, provocando quella che è stata chiamata la <<crisi fiscale dello Stato> $ames O'Con' peî giustifinor), la quale a sua volta viene utilizz ^ta carclalimitazione o I'eliminazione dei diritti sociali' Sono queste correlazioni che facevano sì che il nuovo sistema politico (tendenzialmente creato in stretto rapporto con i programmi socialdemocratici, anche qrruttdo le decisiòni erano prese da dirigenti di

ri cittadini

al iistema di istruzione (in

7o

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i ì

,;

,le

stra) non si riducesse a un insieme quantitativo di

,liritti sociali, e meno

ancore- a un sistema pateîî^listico di protezioni sociali concesse dall'alto a indi-

vidui vulnerabili, visti corhe beneficiari passivi ,1cll'aiuto sociale (anche se gli ideologi liberali non ,i stancavano di presentarli in questo modo, per ar,ivare alla conclusione che era necessario sorvegliare ( ()stantemente gli abusi della sicurezza sociale e ge', t irne l'attribuzione con parsimo nia) . La questione è ,rabilire quel che resta oggi di questo universalismo, ncl momento in cui non solo il suo principio viene ,lenunciato dai teorici del neoliberalismo, ma è mirrrto da due fenomeni intrecciati tra loro: 7a relativiztrzione delle frontierc nazionali all'interno delle ,ltrali il principio era tendenzialmente istituito (in al, ulri paesi del Nord), e dunque I'accrescimento della , r)rlCorr€rìza mondiale trailavorutori, e la destabilizttzione del rapporto professionale ra lavoro e indiidualità (o, se si vuole, il regresso della categoria ' rrìtropologica dell'<<attività> come fondamento del r iconoscimento sociale, avaîtaggio delle categorie di rìrpresa e di comunicazione, oppure di cura). Co

s

tituzione

nzateria Ie

Le istituzioni della cittadinanza sociale facevano ,lclf insieme dei diritti sociali da questa legittimati , rrme diritti fondamentali una realtà fluttuante, più lragile di altre conquiste democratiche, in ^ncoîa , luanto dipendeva da un rapporto di forza storico e Lirnaneva soggetto a possibilità di avanzamento o di 71


regresso, all'interno

di un orizzonte di asimmetria

stiutturale tra il potere del capitale e quello del lavoro, alla quale nòn è mai stato dato di mettere fine' Va osservato che in nessuno degli Stati dell'Europa

occidentale governati in un momento o nell'altro da paîtiti sociJdemocratici il sistema completo dei diritti sociali è mai stato inscritto nella <<norma fondamentale>> nel senso di Kelsen, ovverosia all'interno della costituzione formale che garantisce i diritti

fondamentali. Questa valutazione chiaramente va sfumata , ,..ot àu delle singole storie nazionali:\e costituzioni francese e soprattutto italiana del do' poguerra contengono un liferimento ai diritti del iuu"oto e alla protezione sociale, nell'ambito di una concezione ampia del potere pubblico' Il caso in' glese è particolàre, in quanto in Inghilterra non c'è óostituiione scritta, anche se è proprio in questo paese che si è avuta la concettualizzazione più spinta del nuovo tipo di cittadinanza. Il caso tedesco è par' ticolarmentè complesso e interessante: Ia polilica sociale risale a Bismarck e, al di là delle vicissitudini tragiche della Repubblica di \leimar, del nazismo e deía spartizione àel paese durante la guerra fredda, dividela cittadinanza sociale tra un modello di coge' stione liberale del capitalismo e un modello di socia' lismo autoritario. È opportuno dunque fare di nuovo appello atna noziott. di costituzione materiale applicata alla citta' dinanza,la quale istituisce un equilibrio dei poteri tra le classi sàciali che è indirettamente sancito dalla legge (o più in generale dalla norma) a diversi livelli, ma rappresenta essenzialmente un rapporto contin' 72

diritti e movimenti sociali, essi stessi più o rneno istituzionalizzati. E fuori di dubbio che esista

sente tra

Lrn notevole nocciolo di verità nell'idea largamente condivisa dai marxisti secondo la quale il comprornesso keynesiano consisteva nello scambio tra i dilitti sociali e la rappresentàîz^ istituzionale del movimento operaio nelle istanze di regolazione da una parte, e dalT'altrala moderazione delle rivendicazioni salariali e la rinuncia della classe operaia alla prospettiva di rovesciamento del capitalismo (il che in un certo senso corrispondeva all.afine del proletariato in senso soggettivo, quello che in Marx era portatore rlelf idea e del progetto rivoluzionari). Come aveva visto molto bene lo stesso Keynes, le possibilità di realizzazione di tale compromesso erano al tempo stesso interne ai paesi di capitalismo avaîzato ed 6teî7xe (o geopolitiche), nella misura in cui erano conc{izionate dalla paura del comunismo nutrita dalla borghesia occidentale dopo la Rivoluzione d'ottobre .lel r9r7 e I'instaurazione del <<socialismo in un solo l)aese

)>.

La conseguenza di questo equilibrio storico era rrna relativa neuftalizzazione della violenza del conllitto sociale, ricercata costantemente, ma che era soltanto una delle facce della medaglia. Oggi vediano, grazie al distanziamento e alla luce dello scont lo che provoca il nuovo ciclo di proletaúzzazione (delinito da Castel, Negri e altri <<precariato>>), nel tluale lo squilibrio tralef.orue sociali su scala mon..liale si combina con I'ossificazione del sistema della ,:ittadinanza sociale, che le lotte non erano purarnente e semplicemente scomparse. Da questo 7t


punto di vista, bisogna sottolineare il carattere eteiogen.o del <<momento 68>>, che contiene al tempo stesso una dimensione antisistemica e una trasversalità antiautoútaúa. Le grandi lotte di classe degli anni settanta hanno segnato I'inizio della {ine dell'equilibrio di cui sopra, e al tempo stesso l'avvio di una nuova rivoluzione tecnologica e di una spinta verso I'egemonia del capitalismo finanziatio, prima ancoradel crollo del socialismo reale e dell'accelera' zione della globalizzazione economica. Ma è indub' bio che la violenza delle lotte ha avuto anche la tendenza a spostarsi su altri tetreni, evitando lo scontro politico diretto tra le classi: quello della guerra tiale nazioni, quello dei conflitti culturali postcoloniali e quello dell'anomia sociale in senso àurkhe i m i a no, ovv ero s ia della v iole nz a ir ruzio nale individuale o collettiva, conrappunto dell'imposizione di tutto un sistema micropolitico di norme di moralità e di nzionalità comportamentale. Ma è a un livello ancora più generale che bisogna inscrivere il funzionamento della cittadinanza sociale in un ambito di spostamento dell'antagonismo, il cui operatore (e per un certo tempo il beneficiario) è lo Stato nazional-sociale. Il fenomeno peculiare dell'au' tolimitazione della violenza delle lotte (nel quale si può vedere un effetto di civiltà borghese) si spiega ion la rclativa efÍicacia di un modello di oryanizza' zione politica nel quale si combinano I'azione parla' mentaie ed extrapadamentare. Ma a sua volta questo modello può essere compreso soltanto nel quadro di un doppio spostamento tendenziale, determinato dalle possibilità del sistema politico'

r. Spostamento delle definizioni dei diritti fondanrcntali dalla sfera del lavoro propriamente detto o, rrr termini marxisti, dalla sfera della produzione verso , qLrella della riproduzione della {.orzalavoro (cioè ver,,r forme e condizioni dell'esistenza individuale e farrriliare, che oggi vanno sotto il nome di <(cuîa)>, o care, nìentre una volta si padava di <<servizi>>). Questa se, onda sfeta in effetti può essere oggetto di una comlrrrsizione consensuale, mentre la púrna può essedo

74

75

,lifficilmente, o entro un rapporto di forze sempre 1'recario. Per questo è fondamentale riflettere sul ,rrodo in cui le lotte che hanno come posta in gioco l't>rganizzazione del lavoro, le forme dell'autorità tayIrrrista, la resistenza dei collettivi operai all'atomizzar,ione capitalistica de77a f.orza lavoro si sono sviluppate 1'lima e dopo il r968. Il capitale ha definitivamente

Jcstabilizzato

il rapporto di forza in proprio favore

l:rnciando la <<globalizzazione dal basso>>, cioè ricorrcndo massicciamente alla forza lavoro immigrata, rrrarginale o non inquadrata nelle organizzazioni stori,'lre della classe operaia, in un quadro di concorrenza postcoloniale. Da questo punto di vista la stessa decoI onizzazione antimperialista diventa funzionale. z. Spostamento dell'antagonismo sociale al livello ,.leile relazioni internazionali, tra sistemi statali. La ipaccatura del mondo in due campi nella guerra fredda rrgiva in modo ambivalente: da un lato collegava le lotte per i diritti sociali al pericolo, reale o immaginario, di una rivoluzione di tipo sovietico in Occidente, i cui attori sarebbero stati gli operai, ma anche i conradini, gli impiegati e gli intellettuali ideologicamente r,iuadagnati al comunismo, pericolo che spingevairap-


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presentanti politici del capitalismo nazionale a ricercare un compromesso con la classe

1i

operaiaotgatizzata

e, più in generale, a sviluppare un proprio modello di progresso sociale (secondo le raccomandazioni di Keynes, di Roosevelt e di altri strateghi storici della borghesia); dall'altro lato, quella spaccatura permetteva I'affermazione di una divisione ideologica all'interno del movimento operaio, tra comunismo e anticomunismo, che riprendeva e inglobava alfte divisioni (sindacalismo laico e cristiano, operai qualificati e non

qualificati, nativi e immigrati ecc.). Owiamente il carattere antidemocratico sempre più evidente del sistema sovietico rcÍ.f.orzava enormemente la divisione. Con la fine della guerra fredda e l'affermazione della globalizzazione f.inanziaúa, ta paura sociale cambia campo: non sono più i capitalisti che hanno pau-

ra della rivoluzione, ma sono gli operai che hanno paura della disoccupazione e della concorrenza degli immigrati. In questo modo, i rapporti di forza che sottendevano dall'esterno la costituzione dello Stato nazional-sociale si ffovano a essere destabrlizzati, facendo apparire alf interno i limiti dell'universalismo della costituzione stessa.

Socialisno nazionale

e democrazia

Questa rassegna molto schematica dei problemi che si possono ricondurrc alla categoria della

cittadi

n^nza sociale ci fanno approdare dunque alla tensione tra conflitto e istituzione: in effetti è questa tensione che esprime la persistenza di una dimen76

.I

,ione politica, la continuazione con altri rnezzí della r'ontraddizione tra insurrezione e costituzione. Per (luanto possano essere innegabili le preoccupazioni sociali e morali della borghesia, è del tutto insuffit' iente rappresentare I'emergere della cittadinanza sociale come una concessione filantropica dello Stato borghese in nome della necessità di riparare agli eflctti patologici della Rivoluzione industriale e dello

sfruttamento capitalistico illimitato, oppure come una conseguenzalogica della necessità per il capitali smo stesso di regolare il libero gioco del mercato, che rriinacciava di distruggere l'integrità della forzala' ,,oro, da cui dipende la produzione di plusvalore. ()uesto forse è il limite delle analisi di Robert Castel: ispirandosi sostanzialmente a una concezione sociologica (durkheimiana) della società come un organisrno incalzato dai processi di disgregazione e di anornia generati dal capitalismo selvaggio, Castel esalta la reazione regolatrice della potenza pubblica e mininizzala dinamica del conflitto di classe, e dunque il contributo specifico del movimento operaio all'istiluzione della cittadinanzasociale. E vero d'altrapafie che il marxismo ortodosso nega la possibilità stessa di figure di equilibrio costituzionale della lotta di classe. Ci sono per la verità eccezioni di grande valore a questa cecità: per esempio Nicos Poulantzas in lìrancia e Claus Offe in Germania, che tuttavia per I'appunto non sono più dei marxisti ortodossi. Non c'è dubbio dunque che questi due fattori, insurrezione e costituzione, abbiano agito efficacernente sulle trasformazioni del contenuto della cittatlinanza nei paesi capitalistici avanzati dove aveva


T

ciente di autonomia e di indipendenza economica. Ma, simmetricamente, vuol dire anche che 1o Statonuiion ha potuto sormontare le proprie contraddizioni, interne ed esterne, soltanto a cond'izione di uniuersalizzare i diritti sociali. Ciò si è verificato in particolaîe nei momenti di crisi acuta nei quali la politica in quanto ,r1. ,t2silla, come è stato quello di g,r.ttu totale del xx secolo. In Europa è fondamen' ialmente l'esperienza della guerra che ha fatto var carc almovimento operaio la soglia decisiva nella sua

|rìppresentatività e nella sua capacità di negoziato. Iìeclamata da lungo tempo dal movimento operaio, la l,roclamazione dei diritti sociali come diritti fondainentali è intervenuta soltanto all'indomani delle due riuerre mondiali, nelle quali i lavoratori erano caduti ,r milioni combattendo gli uni contro gli altri. C'è in (lrlesto una profonda ironia o astuzia della storia, in quanto I'obiettivo del socialismo europeo all'oririine era stato di impedire la guerra. Sí spiega così il nesso che si stabilisce ra i due atsociale >) e che fa r r ibuti dello Stato (< nazionale >> e ',ì che ciascuno di essi diventi il presupposto dell'altro. Ma bisogna f.are at passo ulteriore. L'elemento .rocialista della politica moderna incatna una parte, e l)cr un certo tempo, il lato insurrezionale della citta,,linanza. Trovandosi integrato in un orizzonte di nazionalismo, non si confonde puramente e semplicenrente con esso - tranne quando del1e congiunture di , risi sociale e morale acuta fanno emergere un di,r'ofSo e una politica totalitaú. E questa distanza, o differenza, che si mantiene ,rll'interno dello Stato nazional-sociale che ha consenrito - per un periodo - al socialismo nato nel xrx se, rrlo dicontribuire alla f.ormazione di una sfera pubbli ea e politica relativamente autonom^ taruto rispetto ,rllo Stato e alle sue funzioni parlamentari quanto ri,ipetto alla società civile e alle sue transazioni merr rrntili o contrattuali. I1 socialismo in questo senso è 'involucro comune a tutta una serie di conffaddizioI rri evolutive. Non avendo mairealizzato i suoi obietti vi ultimi di superamento del capitalismo, il socialismo i' rimasto un progetto o un programma di riforme,

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79

luogo la lotta di classe, ma è stato necessatio anche un terzo elemento concoÍrente con essi per provocarelaloro combinazione. Oggi si può dire che questo terzo elemento è stato il socialismo, nelle sue varie correnti, formulazioni e organizzazioni. Il so' cialismo infatti non è soltanto una ideologia, e ancor meno una pura dotffina teorica. E un insieme storico

istituzionale all'interno del quale, nel xIx e xx se' colo, si manifesta un ventaglio di tendenze: socialismo consen)atore o autoritario (la cui forma compiuta

coinciderà con i partiti-Stato del blocco comunista), socialismo riforrnista (o socialdemocratico), socialismo utopistico o rnessianico (che critica i due precedenti e ha un fondamento oistiano o libertario). Lo Stato che ha istituito più o meno completamente la cittadinanza sociale dev'essere definito storicamente come uno Stato al tempo stesso nazionale e sociale.Intendiamo con questo che il suo programma di riforme sociali era per definizione concepito e realizzato all'interno delle frontiere nazionali, in un ambito di sovranità nazionale, il che vuol dire che lo Stato stesso non poteva esistere senza un grado suffi-

<<


V

contestato sia dall'interno sia dall'esterno. D'altra patte, in quanto otizzonte di attesa interiorizzato dalle masse, il socialismo ha continuato a riaccendere il conflitto all'interno dell'istituzione che afiicola capitale e lavoro, proprietà privata e solidarietà , razionalità mercantile e statuale, e ha contribuito dunque a far sì che la sfera pubblica fosse una sfera politica in senso forte. Oskar Negt e Alexander Kluge hanno dato una interpretazione radicale di questa antinomia nel loro eccellente libro sull'esperienza politica del movimento operaio (Sfera pubblica ed esperienza), in risposta alla teoúa habermasiana della sfera pubblica borghese. La funzione del socialismo si è svolta tuttavia entro determinati limiti, poiché, come si è visto, la cittadinanza sociale doveva integrarsi con la riproduzione dei rapporti capitalistici di proprietà, e le lotte politiche dovevano inscriversi nel quadro di una relativa neutralizzazione dell'antagonismo - il che comportava che lo Stato si dotasse di apparuti di riproduzione del consenso politico, e impedisse agli awersari di diventare nemici (salvo ricorrere alla repressione diretta quando I'autonomia operaia assumeva proporzioni incontrollabili su scala dell'intera società). Questo vuol dire anche che la società doveva essere riconfigurata come processo di normalizzazione generalizzata dei comportamenri individuali. Ma al tempo stesso il sistema tendeva a congelare i

rapporti di forua sociali e a bloccarli in un compromesso destinato a risultare insostenibile tanto per i dominanti quanto per i dominati.

8o

L' antinonzia

de I

pro gresso

È oppottu.to ripartire da questo punto per comprendere quello che oggi si presenta come una vera e propria antinonia del progresso, di cui la storia della cittadinanza ci propone un'illustrazione quasi perfetta. In effetti soltanto la prospettiva di un pro-

illimitato, ovverosia il desiderio collettivo idealizzato di arrivare effettivamente a una situazione di pari opportunità di tutti nella società, ha potuto mantenere la pressione che tendeva a eîo.lere i privilegi e a tenere in scacco le forme di dorninio più radicate, ampliando gli spazi di libertà per le masse. Per converso, i limiti del progresso sono inscritti nella costituzione materiale, nella ,1uale si combinano il nazionale e il sociale, la riprotluzione delle capacità di accumulazione del capitale e la generalizzazione dei diritti sociali, I'etica .1e11'azione collettiva e il conformismo maggioritario. Nel quadro dello Stato nazional-sociale le conquiste democratiche sono state reali, e hanno costituito altrettanti momenti progressivi della costruzione dello Stato stesso (alle volte in forme tluasi insurrezionali, si pensi al Fronte popolare del r936 in Francia). Ma quelle conquiste sono state regolarmente seguite da una úaÍÍ.ermazione dei Iimiti strutturali dello Stato nazional-sociale, con controriforme striscianti o repressioni decisamente violente. È fondamentale, per la nosra analisi della crisi odierna della nozione stessa di cittadinanza sociale e delle forme assunte dallo smantellamento programsresso

8r


matico dello Stato sociale, definire a cosa è dovuta questa crisi, che colpisce sia la sicurezza del lavoro 4 sia la copert ura sanitaúauniversale, la democtattzza- f zione dàil'accesso alf istruzione superiore, la liberazione domestica e professionale delle donne e lo {

rrppi.s"ntativo. E soprattutto il risultato di un attacio sferrato dall'esterno dalcapita' stesso principio

lismo, facendo leva sui bisogni di un'economia sempr. più transnazionale, in cui la logica finanziariaha Îa meglio sulla logica industriale? Oppure è il prodotto delle contraddizioni interne della cittadin nza sociale e del fatto che questa ha raggiunto i propri limiti storici? In questa seconda ipotesi, la prospettiva di un progresso óontinuo sulla srada dei diritti fondamentali, in particolare per quanto riguatdal'atti' colazione tra llautonomia dell'individuo e la solida' rietà, verrebbe a scontrarsi non soltanto con gli interessi dei gruppi sociali dominanti e del sisterna di sfruttamento che intende contrastare, ma anche con limiti immanenti. i propri Si può sostenere che il socialismo del xIX e xx se' colo è prigioniero di una fusione tîà progressisnzo,e statalisrno-. Esso cade nell'aporia della democtazia conflittuale, sulla quale ritorneremo: indissociabile dalla permanenza dèl conflitto, ma anche dall'istituzionalizzazione delle sue forze, delle sue organizzazioni edei suoi discorsi in quanto componenti di una sfera pubblica che viene identificata con la comunità naziojnale. Il risultato è del tutto paradossale rispetto marxiana dellapolitica, ma anche tale ^llatopogrztfia crit iche lib erali : la p oliticiz z azio ne le sue da úbàharc denunciata come un degrado questioni sociali, delle 8z

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,1cll'autonomia della politica da neorepubblicani an, he ostili al capitaliimo come Arendt, non aboli-

rce rilz nffona il dualismo tra politica e polizia tlìancière). Con la conseguenza, in particolare, che I'e stensione dei campi di invenzione e di intervento ,lc11a politica non avviene tanto sul versante del lavuro, al quale rimangono simbolicamente legati i diritti, quanto sul versante della riproduzione: famirqlia, cultura, servizi pubblici. E su quest'ultimo lriano che avverrà l'offensiva del neoliberalismo, ,lopo avere spezzato la resistenza openia nei luoghi ,ìi produzione con una combinazione di nuove tecnol, gie, di rior ganizzazione individualistica del sistema ,lclle professioni e di circolazione della manodopera ir r [ravetso le frontiere. Chiaramente, questa ipotesi che cerca di essere pirì 'lialettica non abolisce in nessun modo la considerazione degli antagonismi sociali, ma ci allontana dalla riìppresentazione di una cospirazione di capitalisti rrralevoli (o, variante molto popolare in tutta una t,rrrte dell'Europa latina, del modello anglosassone ,lel capitalismo d'impresa). Si tîatta anche di un'ipor,.rsi più politica, nel senso che propone degli schemi ,li intelligibilità nei quali intervengono non soltanto ,lr:lle strutture ma anche delle azioni collettive: le , hssi popolari del Nord che hanno beneficiato di iml,ortanti conquiste sociali (in quanto classi salariate) r' oggi si ritrovano viavia private della sicurezza e di 1,,,ssibilità di miglioramento, non figurano in questo ripo di processo storico semplicemente come vittime. lrsse sono state e sono ancora, in una certa misuta, ,ìegli attori, la cui capacità di influire sulla propria r

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i

storia dipende da condizioni interne ed esterne mutevoli, e in particolarc dal modo in cui rappresentano i; a se stesse il sistema nel quale agiscono, e dagli stru- I menti collettivi che forniscono loro nella pratica il potere di agire. L'ipotesi dunque ci sembra quella iorrett* vedremo immediatamente come ci permette di individuare alcuni aspetti di quello che oggi viene chiamato neoliberalismo. In questa analisi ci baseremo sull'interpretazione che ne ha proposto \X/endy Brown nel saggio Neolibetalism and the End of Denouacy,Ia ctsi influenza è fortemente riscontiabile nel dibattito in corso all'interno della tendenza critica della teoria politica' Ma, dopo questa prima serie di inchieste genealog-iche, è necessatio Îur. t.rttu pausa per esaminare e illustrare due que- i stioni di port^tagenerale: quella del rapporto tra cittadinania ed esclusione e quella della democtazia conflittuale, già ripetutamente evocata.

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5.

Cittadinanza ed esclusione

Se è vero che la tensione intrinseca alle categorie

tuttala di democrazia e di cittadinanz^ storia dell'istituzione politica, ne^tttaveîs^ consegue che una tale configutazione fa emergere costantemente la rluestione delle esclusioni dalla cittadinanza (come si ò visto a proposito degli schiavi, delle donne, degli

operai salariati, dei soggetti coloniali). Contemporaneamente, però, il riscontro di questa tensione non basta per sviluppare un'analisi generale del problema. In effetti non rivela compiutamente se conisponde a una sommatoria arbitraria di casi storici indipendenti gli uni dagli altú, eterogenei, o al contrario a un fenomeno unico, che si ripresenta e si sposta da una struttura sociale a un'altra. Sta di fatto comunque che nei dibattiti contemporanei sulla politica dell'era postnazionale e postliberale, per ragioni che bisogna tentare di capire, la categoúa deli'esclusione sociale ha teso a soppiantare quella della disut1uaglianza e a essere generalizzata, contribuendo al tcmpo stesso a oscurare le questioni della cittadiÌaÍrza e a concîetizzatle. Vogliamo concentrare la nostra attenzione in particolare sul rapporto paradossale che si instaura in

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85


t^i I

,lico del termine. Castel preferisce la categoria di

difierenze di regimi politici e di tradizioni cultura- | li - e determinate forme di esclusione interna. Qu.- t ste ultime appaiono al tempo stesso costitutive e 9ol- i, traddittorie àal punto di vlsta della definizione della j cittadinanzu. Là loto abolizione richiede dunque i qualcosa di più della semplice scomparsa di una re- [ sirizione nell'applicazione di un diritto: richiede una $ mutazione nell'interpretazione dei principi stessi. I

tgant (Parias urbains) sostiene che le banlieues non .ono dei ghetti nel senso americano, nella misura in r'ui le comunità di origine sffaniera non occupano rrno spazio storicamente separato dalla città. Castel (l,a Discrinination négatiue) scrive: <<Così come la l,anlieue non è un ghetto, il giovane immigrato di l,anlieue non è un "escluso", se si vuole dare al conr'ctto il suo vero significato: I'esclusione in senso .;rretto implica una divisione della popolazione in tlLre categorie che non comunicano, il che fa sì che gli "esclusi" siano fuori dalla dinamica sociale, non ab-

rna

tÍauri concetto di cittadina",* epoca mode versalizzato - al tempo stesso nel senso che si fonda I su principi universaÎi e nel senso che attraversa le I

Esc lusione, disuguaglianze,

disuirninazioni

,, d i

s

crimina zione ne gativ a . D a parte sua Loic \X/ac>>

lriano né i diritti, né le capacità, né le risorse necessari per svolgere un ruolo nella collettività ... I gio-

ginà africana o maghrebina che si scontravano con la 'poliziaerano di cittadinanzafrancese nel senso giuri'

,'ani della banlieue beneficiano invece di diverse rrerogative attinenti all'apparten enza alla nazione I rancese: la cittadinanza politica e la cittadinanza so, iale. Indipendentemente dalle loro origini etniche, lir maggioranza dei giovani delle cités di periferia sono cittadini {rancesi, e dunque in teoria godono ,lei diritti politici e dell'uguaglianza davanti alla lcgge. Tocqueville ripeteva che i diritti civici rappresentano una forma di nobiltà conferita al popolo in rluanto tale. Sappiamo che ci sono voluti secoli di lotte per ottenerli, e non subito e non per tutti. Le tlonne in Francia hanno avuto il diritto di voto solo nel 1945, molto dopo che nella maggioranza degli ,r1tri paesi industriali>. Dunque i giovani francesi di rrrigine straniera, anche se sono vittime di discrimirrazioni di classe, di età e di razza, non sarebbero ,legli esclusi nel senso proprio del termine, in quanto

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87

I dibattiti

sull'esclusione dalla cittadrnanza non

sono recenti. Jacques Rancière (ll disaccordo) cita una frase di LouiJ de Bonald in cui si affetma che <<alcune persone sono nella società senza essere della socíetà>>' i\on si potrebbe esprimere meglio il concetto. In Occidentà questi dibattiti sono ripresi con maggiore intensità a seguito delle rivolte provocate o favorite negli ultimi anni dalla segregazione etnica-nelle ban'

lieles o nei ghetti urbani in grandi città del Nord o del Sud (in particolare Parigi e Londra; cfr. Etienne Balibar, LaProposition d'e l'égaliberté) . Natualmente bisogna guardarsi dalla generalizzazione sociologica' Ne[à sui analisi delle rivolte del zoo5, Robert Castel esprime I'opinione che il termine <<esclusione)> non sia pertinente, in quanto i giovani disoccupati di ori

1


rimangono beneficiari dei diritti fondamentali il cui insieme costituisce la cittadinanza sociale. Castel ttttaviaha dovuto riconoscere che esisteva un rischio di equivoco. Indubbiamente, in confronto a popolazioni che, in alri luoghi del pianeta, sono esposte alla carcstia o alla deportazione, i giovani immigrati sono pur sempre relativamente protetti dal risihio sociale. Anche dal punto di vista culturale, non si collocano, propriamente parlando, all'esterno della società: al contrario, contribuiscono a crearvi un ibridismo culturale. Ma se una simile argomentazione serve a metterci in guardia contro gli usi approssimativi ed enfatici della categoria di esclusione, è in particolare contro quelli che suggeriscono che le contiaddizioni della cittadinanza attuale non fanno che riprodurre le vecchie opposizioni ra cittadini e soggeiti negli imperi coloniali, essa non può cancel' lare il carattere strutturale di tali contraddizioni. A questo proposito ci si può riferire alla definizione fornita da Geneviève Fraisse, dieci anni púma, a proposito della condizione delle donne nello spazio

i.pubbli.utto, peraltro ripresa dallo stesso Castel: quella di <<democrazia esclusiva>> (A[use de Ia raison). Fraisse ne tracciava la genealogia risalendo ai conflitti della Rivoluzione francese a proposito dell'assegnazione delle donne alla cittadinanza passiva, in

óontrapposizione alla cittadinanza attiva degli uo' mini (che coincideva con I'istituzione della rappre' sefitanz^del popolo come fondamento dello Stato), i cui effetti continuano a farsi sentire malgrado I'accesso delle donne alla cittadiÍLaîz^ formalmente uguale. Il fatto che durante un lunghissimo periodo 88

discriminazione sia stata inscritta in seno alle istitLrzioni politiche ha lasciato una tîaccia profonda in prarticolare nella forma di una separazione igida fta l:r sfera pubblica e la sfera domestica, assegnando ai l,r

/.

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rlue sessi un ruolo sociale differente e negando di latto al sesso {emminile la capacità di governo (e o{lrendogli come compensazione il comando della casa). Non siftattadunque di esclusione esterna, ma rli esclusione interna, là dove questo concetto non si liferisce soltanto a uno status giuridico, ma alla sua t'ombinazione con delle rappresentazioni e delle prariche. L'impoîtanza dei diritti formali è innegabile, rna il loro rapporto con I'uso e la disponibilità del potere, con il <<potere di agire>> (enzpouerment), non lo è di meno.

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La questione del < diritto ai diritti

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In base a quanto detto, possiamo proporre di cstendere la nozione arendtiana di <diritto ai diritti>>, superando i limiti che Hannah Arendt le aveva rrrbitrariamente imposto. In effetti, ormai da tempo l'uso politico di questa formula ha superato la definizione strettamente normativa, passando da un'idea di potere costituito (il diritto ai diritti deriva dall'appaîtenenze- a una comunità politica esistente, in particolare a uno Stato-nazione) a un'idea di potere costituente: si tratta della capacità attiva di rivendicare dei diritti in uno spazio pubblico, o meglio ancora, dialetticamente, della possibilità di non essere cscluso(a) dal diritto di baaersi per i propri diritti. Ed è 89


I î proprio con questo ostacolo che si scontrano molti l gruppi sociali nelle nostre democrazie, anche liberali, ì, sperimentando il limite fluttuante ra la resistenza'1 (che si può definire come un diritto minimo) e I'esclu- l sione (che è il non-diritto). Se non ci fosse la resistenza, nelle sue diverse forme (non necessariamente violente), gli individui in questione potrebbero trovarsi completamente esclusi, <<deportati>> al di fuori dei territori dove hanno acquisito dei diritti formali e delle protezioni giuridiche, insediati in territori dove non c'è cittadinanza attiva, oppure ricondotti in situazioni in cui la libertà e la sopravvivenza sono in gioco. E in effetti, anche nelle democrazie questi individui si incontrano spesso in campi di rifugiati o in stutture per migranti clandestini. Ma più generalmente li si trova sul limite, dove ciò che è in gioco è per I'appunto la possibilità di esprimersi e di rivendi care, cioè di esistere politicarnenle. E questo l'orizzonte della riflessione di Arendt sulla condizione degli individui e delle collettività senza Stato, sulla quale si è fondata la sua elaboruzione dell'idea di <diritto ai diritti>. L'esistenza come resistenza non sempre è possibile, o piuttosto non sempre è possibile senza dover ricorrere a una violenz^ aîtistituzionale, che punta a Íorzarc I'ingresso in uno spazio di cittadinanza e di riconoscimento sociale. La violenza protestatafia può d'altronde rivelarsi del tutto controproducente, dati certi rapporti di fsrua e per gli effetti che può avere sul senso di appartenenza degli esclusi stessi. Nel caso delle rivolte urbane, i cui protagonisti sono soprattutto i giovani, le discriminazioni di classe e di 9o

,

; :

rtzza si cumulano: la prima assume la forma di quella , lre viene definita ironicamente <<disoccupazione 1,r'eferenziale>, della scelta alienante tra disoccupazione e precarietà che ricostituisce il proletariato in ';enso tradizionale; la seconda assume la forma di uno ,'chema genealogico in virtù del quale i discendenti di r,tranieri continuano a essere considerati stranieri (o inimigrati), in flagrante contraddizione con la legge ,cpubblicana.E a tutto ciò vengono ad aggiungersi ,rli effetti di un immaginario collettivo che fa del gior',rne immigrato un potenziale nemico interno, che rrrinaccia la comunità nella sua sicutezza così come rrella sua identità culturale e religiosa (anche se querta identità religiosa è ufficialmente la laicità). L'efIt'tto combinato delle esclusioni interne di classe e ,li razza illustra dunque perfettamente quello che t,astel ha definito l'<individualismo negativo> risultanre dallo smantellamento dello Stato nazional-sociale ,la parte delle politiche neoliberali: una situazione in , tri si esige dagli individui che si comportino come ,,imprenditori> della propria vita, alla ricerca della rrrassima ef{icienza, privandoli al tempo stesso delle L ondizioni sociali che permetterebbero loro di svilrrppare la propria autonomia. A ciò si deve aggiunsere il fatto che, se esistono forme di indiaidualità ttt:gatiua, esistono anche chiaramente forme di cornunità negatiua che si manifestano quando, in un circolo rrimetico, la rivolta contro la violenza dell'esclusione ;ìssume a sua volta caratteristiche violente che ne neutralizzano I'e{ficacia o che il sistema dominante pLrò facilmente manipolare e sfruttare per giustifirare la propria politica di ordine pubblico. LaFmnr

91


forma del politico. Ciò che ricerchiamo infatti è un'ipotesi di lavoro che ci consenta di capire quello che giustifica (e in quali termini) l'estensione della categoúa di esclusione fino a farle abbracciare tutti i fenomeni di negazione della cittadinanza che vanno dalla discrintinazione all' e lininazione. Può essere utile iniziare esplicitando la metafora territoriale soggiacente a questo ordine di questioni. Come hanno sottolineato in particolare, con orientamenti molto diversi, Gilles Deleuze e Félix Guattari (Mille piani) da una parte e Carlo Galli (Spazi politici)

,lall'altra, qualsiasi pîatica politica è tenitoria lizzata. lissa identifica o classifica degli individui o delle popolazioni sulla base della loro capacità di occupare rrno spazio o di esservi ammessi. D'altra parte, però, l'incorporazione in un territorio ha come condizione tluasi trascendentale una situazione di riconoscinzento leciproco degli individui o dei gruppi, o nel senso clell'apparteîeîza a una stessa comunità, o nel senso della partecipazione a un <<commetcio>>, owerosia ,r delle comunicazioni e a degli scambi, sia pure, al limite, nel senso dello scontro all'interno di uno stesso conflitto o di una stessa lotta. In virtù di questa doppia determinazione di territorio e di riconoscimento, l'esclusione in quanto fenomeno politico generale ha una rlatute- prossima a quella della frontiera, che isola e protegge le comunità, ma che rende rrnche possibili le comunicazioni e cristallizza i conllitti. E come la frontiera, l'esclusione costituisce per eccellenza, nella sfera del politico, un fenomeno a .{oppia f.accia, storico e simbolico. Ma contiene anche, sotto questo aspetto, un elemento anfibologico, nel senso che le due facce si sovrappongono costanLemente I'una all'altra. Fenomeni empirici, storici, di territorializzazione e deterritor ializzazione (come gli spostamenti di popolazioni, le migra zioni, la fortifi cazione delle frontiere, le barriere alle comunicazioni) si trasformano in determinazioni dell'universale, cioè in regimi di diritto e di accesso al diritto. I)istinzioni che appartengono alla sf.era simbolica, come le differenze antropologiche di sesso, di età e di cultura, il cui insieme car^tterizza l'umanità come specie, si rasformano in strumenti materiali (più o

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93

cia (e in generale I'Europa) postcoloniale fornisce un'illustrazione quotidiana di tutto ciò: vi si rirovano al tempo stesso, ffasformati più o meno completamente in differenze di classe, i prolungamenti delle discriminazioni secolari esercitate contro il soggetto del dominio coloniale e le nuove varietà di cittadinanza pas siva che derivano dall' indebolimento dei movimenti sociali e dalla loro incapacità di tra' sformare la società. La categoria dell'esclusione è dunque irrimediabilmente complessa, eterogenea' ma rappresenta anche un luogo privilegiato di sovra' determinazione per le contraddizioni attuali della cittadinanza.

Politica e tertitorialità:

le

frontiere

A questo punto è necessaria una digressione teorica che permetta al tempo stesso diaÍf.erarcla dimen' sione filosofica dell'idea di esclusione interna e di inscriverla in una teleologia della cittadinanza come


tI

meno costringenti) per assegnare gli individui e i $ gruppi a determinati territori e regolare la loro circo- $ lazione. Approdiamo così al Î.atto epistemologico i fondamentale che alcune categorie spazialt come il

t.rriiorio,

la residenza, la propii.tà deì suolo,

un' \

^u che, simmetricamente, il viaggio, il nomadismo e la sedentarietà, sono al tempo stesso determinazioni costitutive della cittadinanza. Il fatto che esse circolino in modo imprevedibile tra I'empirico e il trascendentale, lo storico e il simbolico, deve dunque 'i essere incorporato nella nostra definizione delf isti- i tuzione politica. ; Si tratta di considera zioni astratte, ma il cui signi i ',

ficato risalta immediatamente quando si vogliono f studiare dei fenomeni di esclusione interna: nella sua $ definizione più generale, quest'ultima significa che ií una frontiera esterna si tràva a essere raddoppiata ''! da una frontiera interna, o che una condizione di ,; straniero si trova proiettata all'interno di uno spazio , politico o di un territorio nazionale, in modo tale da . .r.u.. un'alterità inassimilabile (come nel caso degli ', schiavi o degli immigrati), oppure al contrario che una categoria antropologica si vede assegnato un sup'

plemento di internità e di appartenenza, in modo iale da escludere lo straniero (come nel caso delle donne presentate come portatrici dell'identítà nazio' nale, della sua riproduzione, della sua purezza ecc'). In entrambi i casi, per dirla con Foucault, degli spazi altri, o eterotopie, vengono a disturbare I'omogeneità dello spazio comunitario, o al contratio aruÍforzatlo, in modo da contrassegnare la posizione specifica oc' cupata dall'altro u.onto, e da premunirsene simbolica' 94

:

urcnte e istituzionalmente. Il che nella pratica può .rvvenire soltanto con I'intervento di regole di inclusione e di esclusione. E al livello di queste regole (in prrte implicite, in parte dichiarate) che bisogna porsi lc questioni sempre difficili della continuità e delle r,'ariazioni tra le varie {igure dello straniero, del paria, del mostro, del sottouomo, del nemico intetno, ,le

11'esiliato.

..

A partire da questo ordine di questioni possiamo rornare in modo critico sulle nozioni di appartenenza ,' di essere in comune, che sono, fin dalle loro formulrrzioni antiche, presupposte dall'idea di cittadi1)Ltrrza, ma si trasformano costantemente. Sembra , rvvio che I'esclusione politica (o I'esclusione politicizota) è l'altra faccia della costituzione di una con2uttità inclusiua. Ma la diversità degli esempi da consi,lerare è variegata in modo inquietante: non tutti irrfatti assumono visibilmente la forma di una separazione operat a da una {rontiera. Per esempio, quando , i si

trova esclusi dal <<commercio>> stesso, o dalla corrrunicazione, dalla raduzione, dalla mobilità - f.atttrri che nel mondo contemporaneo carattetizzato

.ialf intensificazione dei flussi di informazione, di ,'ircolazione dei beni e delle persone, appaiono altretr.rnto discriminatori dell'impossibilità di accedere a rrn territorio o di esserne espulsi. Tutti questi elementi non rinviano tanto al fenomeno statico dell'esilenza delle comunità politiche e della loro relazione .,Lorica con teritori determinati, quanto a un fenorrreno di secondo grado, più dinamico, che è la rela,rione ra le comunità, lo scambio reciproco di beni, ,li segni e di individui e la pir) o meno grande libertà 95


w lt

individui rispetto ale àppartenenze comunitarie, tra i poli estremi di tn'aderenza immutabile e di un'ad.esione volontaría' il Il che testimonia, spesso peraltro in una dimensione t, di alienazione e di violenza, del fatto che I'esistenza delle comunità politiche non implica soltanto una relazione con se stesse, cioè un principio di appar' tenenza o un diritto di partecipazione alla vita collettiva, ma anche un riconoscimento esterno dell'altro e da parte dell'altro, con o seîza una reciprocità che questo scambio conferisce agli

perfetta. Questa considerazione è chiaramente fondameni tale per comprendere in che senso gli Stati-nazione moderni hanno dovuto, per affermare il loro carat' I tere di comunità politiche sovrane, non soltanto intrattenere gli uni con gli altri rapporti commerciali

lrc circola (o meno) tra

,

i teritori

e

gli Stati. E dun-

tlile

SU

1'rrò

risultare contraddittoriamente

questa base che bisogna interrogarsi su cosa

-

quali nuove

1',rssibilità di riconoscimento, quali nuove violenze rìterne ed esterne - dalle trasformazioni contemporrrnee del commercio o del diritto internazionale, nel rrromento in cui la circolazione delle persone, la di,pcrsione delle comunità culturali, I'inversione dei llrrssi di popolazione rispetto a quelli coloniali divenr:uro fenomeni

di massa.

Regole di inclusione, regole di esclusione Se è vero dunque che nel rapporto con il territoio, in quanto lo spazio politico più astratto che co,r ituisce l'orizzonte della cittadinanza, esiste sempre

r

e fondare un diritto internazionale che regolasse le alternanze tra pace e guerra, ma (come si vede in particolare nell'elaborazione proposta da Kant) co' itruire su questa doppia base ún cosmopolitismo di tipo nuovo, dotato di una funzione metagiuridica. Il uiittudino del mondo> (1Y/eltbùrger) che costituisce il contrappunto concreto (in quanto commerciante, in' tellettuàle della <Repubblica delle Lettere>>, o anche esiliato o rifugiato politico-religioso) della costitu' zione giuridica degli Stati-nazione (quello che Carl Schmitt chiamava lo lus publicum Europaeum, cheha come condizione di esistenza il dominio europeo e la spartizione coloniale del mondo), non è il membro immaginario di una ciuitas o di una pólis senza esterno, i cui limiti coinciderebbero con quelli dell'universo, ma al contrario vî essere di relazione,

,()mmercio, essere in comune ed essere in relazione, ,i devono pensare I'inclusione e I'esclusione come gli rndizi di una instabilità sostanziale della comunità ,lci cittadini, che richiede incessantemente nuove garrrnZie che la mettono a loro volta in pericolo, in , uanto le condizioni di possibilità sono sempre infi,ìitamente vicine alle condizioni di impossibilità. Più lrrecisamente, si possono formulare tre tesi riguardo ,r ll'inclusione e all'esclusione in generale. Tesi t. Non esiste una procedura istituzionale di , sclusione senz^ un^ regola, che sia una regola di diritto o un dispositivo pratico, sociologico. Ma la relola di esclusione dev'essere I'inverso di una regola o ,li un sistema normativo di inclusione. Dal che di-

96

97

,rrra

reciprocità problematica

f

fta appaîteneîza e


la potata strategica delle nozioni di appa,t flenza. di putt..ipazlone: quello che i poli chiamano a volte, con il loro caratteristico cinis ammissione al <club> della cittadinanza' E impor' (ai tante tenere a mente questa correlazione di regole di inclusion. . di esclusione per evitare dli'

scende

1

""t-.1 pensare che la violenza, onnipresente

in questa s-feta,'

si collochi soltanto sul versante dell'esclusione'

L'in'

essere altrettanto aiolenta, nella forml'." à.ttu.o"u.rsione o dell'assimilazione fotzata (e co{ munque obbligatoria, se si vuole evitare la morte so' ;trl.ii ,o*írtt, ,oí intro* non è scomp",,o ton il, declino del potere politico delle Chiese di <cosringere'l ul'udariott. per la salvez za>>, teoîizzato da-sant'Ago"'' rti". , p"ttire da una {rase del Vangelo: ha solo as' ,nnto iot.. più secolari o più quotirliane' L'antropQi logia culturale ci ha insegnato a individuare questoî elemento di violenza, coscientemente oÎgannzato Q,' meno, che si ritrova in ogni processo di colonizzar zione (interna o esterna), ma anche di acculturazioné . drrnqu. di educazione, in quanto assimilazione dq g[ indìvidui a,ana cultura socialmente dominante o

clusione può

comune.

In realtà, occorre tenere conto di una duplice vio' Ienza intinseca alla correlazione tra inclusioni ed .rll"tio"i. E dunque bisogna porre il problema dl una civiizzazione àela civiltà stessa, cioè di una ci' viltà che affronti moralmente e politicamente il pro' prio disagio (Freud), il proprio-elemento di violenza o ài butbuii.. Da questo puÀto di vista si porebbe dirc ;h; i" cittadínaizaè una regolazione politica di talc violenza, che le concede uno spazio piri o meno 98

'qrande, ma non la sopprime mai del tutto. Chiararrrcnte è fondamentale analizzare e valutare le forme ,le lla violenza in questione, più o meno simmetriche. L possibile che le condizioni che definiscono l'appar-

t(nenza identifichino di per sé la non-appaîtenenz^ trome nello scenario ideale del rapporto tra <<loro> e noi>>). Si porebbe immaginare una situazione in cui Stati moderni la nazionalità funzionasse in que-

'rcsli ,to modo semplice, che istituisce I'equivalenza tî^ ,ittadinanza e nazionalità, che in precedenza abbia,'ro definito <<fondatrice>. Ma nella realtà le cose sono ,,rolto pir) complicate, perché nella cittadinanza atriva ci sono livelli di ogni tipo (anche nei casi in cui ,ron esistono ufficialmente cittadinanze diminuite e

iLtadinanze di serie B come nei regimi di apartheid coloniali in generale), e soprattutto esiste uîazonà lrigia nella quale si trovano individui che non sono Lrtl completamente inclusi né completamente esclusi t( ()sì come ci sono stranieri non espellibili da un dato r('rritorio, e tuttavia non regolarizzablli, per esempio lì('r ragioni di legami familiari). Il che significa che le ,,'uole di inclusione non sono puîamente e semplicerrt'nte I'inverso delle regole di esclusione. E che imt,r'ovvisamente il rapporto costitutivo tra comunità , ,l esclusione può cominciare a funzionare in senso r)lrerso: invece di corrispondere a una definizione ,

1'rcesistente della comunità, che porta semplicelncnte a discriminare i cittadini e i non-cittadini, la ,, rrltà si presenta come un conflitto non risolto, in , ()rtinua evoluzione, che si sviluppa essenzialmente ,lictro le quinte della cittadinarnza (o su una scena dit lsa da quella della politica), e che ha come contenuto 99


ry 'l

le violenze discriminatorie, le disuguaglnnze di statu$ e di diritti, la cui materia antropologica è sessuale , îaz' '; ziale, rcltgiosa, culturale' Attràverso questo conflitto, t la comunftà istituzionale si abbina a una <<comunitai immaginata> (Benedict Anderson), così come la fron'

tiera

e.-sterna si abbina a una

frontiera interna (Fichte,

Discorsi. alla nazione tedcsca), ma al tempo stesso si tra' sforma politicamente, nel senso o di una restrizione o di un ampliamento. Tesi z. Da quanto sopra deriva una conseguenzn che non ha nulla di speculativo' ma che si riscontr8 quotidianamente nellr esp erienza politica : esclusionÉ e inclusione non descrivóno tanto regole o situazionl

fisse, quanto risultati di conflitti attraverso i qualiiì in quaLhe modo, la cittadinanza úflette le propric:

conàizioni di possibilità. Se qualcuno è escluso dallt cittadinanzain modo radicale, in particolare in forzl: di quelle che abbiamo chiamato <<esclusioni interneril qo.ìto non significa semplicemente che viene messo flori dalla coÀunità, .o.. tto sraniero può vedenl negare un visto o una nattJt^lízzazione (cosa chel' coÀe sappiamo, si applica sempre in modo differen{ ziale). Vúol dire piutìosto che è escluso d'all'inclu', sione, e cioè da uno status, e più significativamento da un potere o da una capacità' La formula arendtianl del <diritto ai diritti> Éuna riflessione non sulf isti' tuzione della cittadi Ítanza ma stil'accesso alla cittadh nanz , o meglio aîcota salla cittadinanzt cotze 4c' (Herman cesso ecome insieme di procedure di accesso Citizenship). of Van Gunsteren, A Theory È dunqo. chiaro che la cittadinanza va intesl come unità di contrari in senso dialettico. Quello cho roo

Arendt ha sviluppato soprattutto, c trsa delle circo'tt"anze (e delle analogie arrischiate ^che tentava di stalrilire tra diversi tipi di dominio e di eliminazione

tratteristici della modernità), è il lato negativo: il lrrtto che gli individui senza Stato sono privati con la lorza deldiritto fondamentale (o della <<personalità>>) ,'lre è la prerogativa di tutti gli altri. Ma c'è anche un lrrto positivo o piuttosto affermativo: quello che noi r

rrrdividuiamo quando definiamo la cittadinanza attiva come una forma di partecipazione che si manife,ta già nella rivendicazione di accesso (o di apparteienza). La cittadinanza che non si fonda dunque su ,rn diritto esistente, ma 1o costituisce o ne impone il riconoscimento. Per simmetria con la formula prece,lcnte, potremmo dire che si ha in questo caso una ,'sclusione dall'esclusione, o úîa inclusione che im1,lica una negazione della negazione. Tesi A sua volta, però, I'individuazione

j.

di una

rclazione dinamica tra inclusione ed esclusione, al re mpo stesso conflittuale e riflessiva, ci porta a consi,lcrare I'aspetto più concretamente politico di questo ,lilemma: quello che implica l'entratain scena dei sog-

letti e delle relazioni tra i soggetti. Le variazioni ,lclf inclusione

e dell'esclusione non sono processi imt,ersonali: sono il risultato di rapporti diforza ffa istitrrzioni e da una parte e soggetti individuali ^pp^î^ti , collettivi dalf'altra. La questione che questi rappofti ' ,li forza sollevano non è mai soltanto: chi è escluso da , lrc (da quale apparteneîza, da quali diritti), ma sem1'r'e anche: chi esclude (da cosa, da dove)? Naturalmente in questo ambito le esperienze della ,('gregazione razziale e del sessismo assumono un'im-

IOI


I

poîtaîz^ p^r^digm tica. Se la comunità politica, Îunziona.ò-. ,ttt <.club>> nel quale si può essere am' À.rrl àa quale ci ti;;; t.a." tiri"r"te I'accesso, ci ì si deve" domàndare come i <<membri di diritto> siano I

stati cooptati, come abbiano stabilito le regole di am' missione e come si traduca la loro pafiecipazione attiva nella preservazione di quelle regole. In altre pa' role, si deve fare la storia politica della comunità dei cittadini dal punto di vista dei suoi momenti di aper' tura e di chiusura. Le implicazioni pratiche sono evi' denti: non c'è esclusione delle donne dalla cittadi' nanz^completa (che implica l'esercizio delle funzioni politiche è professionali), o da certi diritti civili, senzalacostituzione di una cittadinanzache ha fun'I zionato (e continua afiinzionarc) come un oclubo di' maschi, di cui degli individui (maschi e non) si impe+ gnano quotidianamente a far rispettare le regole, col' i locando I'uguale libertà dentro una frontiera interna { presentata come naturale, tradizionale o socialmentof necessaria. La stessa considerazione si applica , /nuta',:; tis mutandi.s, ai fenomeni di discriminazione ruzzíalc e culturale che creano una barriera (alle volte simbo' lica, alle volte materiale) che impedisce a determinati esseri umani l'accesso alla cittadin^nz^, o al pieno godimento dei diritti, fenomeni che riguardano l'isti' iuzione politica in tutti i paesi del mondo, compîese le nazioni democratiche liberali. Tutto ciò vuol dire che è Ia conunità stessa chc esclude, non soltanto nella forma di regole e proce' dure burocratiche, ma anche nella forma di un con' senso dei suoi membri, più o meno politicamente motivato. In termini chiari, si deve dire che sono S€tnî' "

l,ra dei cittadini che, sapendosi o immaginandosi tali, ,'scludono dalk cittadinanza e in questo modo produ-

ono dei non-cittadini, in modo da poter rappresenrlrre a se stessi la propria cittadinanza come un'apl)xrtenenza comune. A questa constatazione radicale, ,'lre implica che la cittadinanza in quanto esclusione ,1all'esclusione sia sempre il risultato di una lotta, bi,,ogna però apportare due precisazioni, se non due r

,rrtenuazioni. In primo luogo, il grado di partecipazione dei cittadini di una comunità all'esclusione dei rron-cittadini non è mai uniforme: manifesta dei gradi

. arche delle eccezioni, delle proteste o delle trasgres,ioni al consenso. In secondo luogo, lapartecipazione ,lcgli uni all'esclusione degli altri è raramente diretta, rrra piuttosto essenzialmente indiretta, delegata in ,lrralche modo alle istituzioni della cittadinanza che lirppresentano i cittadini o derivano dawaloro autori'zzazione - il che vuol dire anche che la gestione ,lclle esclusioni costituisce una clausola implicita di , luesta rappresentanza o delega di potere. Il più delle volte, come sappiamo, nell'istituzione democratica ,lclla cittadiîa;Írza spetta alla legge fornire una sanricrne trascendentale a ogni sorta

di

categorizzazione

,,rciale e alle varie procedure amministrative, o tra,lormare delle differenze culturali, ideologiche e so-

in regole universali, normative. Arriviamo qui a un altro aspetto della conflittualità rrrscritta nell'equilibrio instabile del processo di inclu,ione e di esclusione, nella misura in cui queste ultime rìcttono in gioco i rapporti ffa la società, lo Stato e la l, gge. Poiché la partecipazione dei cittadini all'esclu,ione dei non-cittadini passa per una delega di potere

, iologiche

r03


V {

allo Stato, la linea di demarcazione tra i due tipi dl uomini viene santif icatao santuatízzata. Ma poiché lo l, Stato e la legge incaricati di operare la discriminazioncl sono a loro vólta delle autoritàÍragli,la cui legittimitl ' può essere contestata, o la cui sovranità può vacillatel ia regola di esclusione è costantemente esposta a uol pervérsi. Lo si vede in particolare nelle società con' i.*por"n.., in cui il ruLzismo e la xenofobia sono il proàotto non tanto di conflitti di interessi reali n*i comunità culturalmente o storicamente estranect. quanto di meccanismi di proiezione delle angosce so. .i"U aaU maggionnz. P.t esempio, ciò che doman', dano più o meno esplicitamente i cittadini quandd reclamano un indurimento delle misure di esclusionG nei confronti degli immigrati, o quello che I'estreml' destra chiama la <<preferenza nazionale>>, è un'assicu'1, razione apriori coitro la discriminazione o il degrado'1 dello statùs sociale di cui temono di poter essere vit1,' time a loro volta, soprattutto se sono poveri o socialtl mente svantaggiati. bwiamente esistono enormi dif'f ferenze di intensità in questi fenomeni, che non sond': mai automatici ma sono abbastanza rcgolari, e pericir dicamente riattivati da circostanze di crisi, da potervl vedere f indizio di una inquietante affinità tra il popu' lismo e la stessa cittadinanza democratica . La zona dunquc grigia di cui si è parlato in precedenza ^ppme I'inclusionc ioi solo .om. onu zona diincettezza ffa e I'esclusione, ma come una zoÍrr- in cui l'esclusione è indirettamente reclamata allo Stato rappresentativo dapanedi una semicomunità di semicittadini, cioè dl citàdini incerti dei loro diritti e del riconoscimentÓ '

dei medesimi. ro4

Concetto del politico e antropologia della cittadinanza

Le considerazioni fatte fin qui forse aiutano una illessione storica esauriente sui rapporti trala citrrdinanza e I'esclusione. Si può sperare comunque ,lre avviino una riconsiderazione del <<concetto del l,olitico>>, la cui famosa definizione schmittiana rlata nel saggio del ry32 Il concetto del <<politico> ( ostituisce per noi uno dei riferimenti obbligati e il negativo. In effetti non si tîatta di genera',rodello li'zzare o di aggiornare l'idea secondo la quale la di;tinzione tra amico e nemico definirebbe la specifi, ità del politico in opposizione ad altre sfere ,lcll'attività umana, ma piuttosto di spiegare per,lré, in circostanze determinate, questa distinzione ( sprima la totalità dei dispositivi in cui si articolano r omunità ed esclusione, pur non riuscendo a tenere in considerazione tutto il sistema di differenze che (lueste ultime contengono. Per precisare questi due ,rspetti, descriveremo quello che costituisce, pel ec, cllenza, ilparadosso dell'antropologia politica spe,'ificamente associata allo sviluppo della cittadiv',nza nazionale moderna. r. Come spiegare che la cittadinanza moderna, riIondata su principi universalistici, non soltanto non rnette fine a ogni forma di esclusione interna, ma tcnde a crearne di nuove e a conferire loro una giustificazione universale, o trascendentale? Il principio ,lell'uguale libertà presuppone che, entro i limiti ,lclla propria comunità o del proprio popolo costituiro politicamente, ogni individuo sia uguale, o simile, r

t

r05


! il discorso fondante del diritto naturale cede il passo :r un costituzionalismo puramente giuridico, nel

altro, e nessuno possa esercitare su un altro un'autorità arbitraúa, discrezionale. Ma la storia dei codici civili e delle costituzioni borghesi è una storia di discriminazíoni fondate non soltanto sull'<utilita a ogni

comune)> (secondo I'espressione della Dichiarazione

dei diritti dell'uorno e del cittadino del ry89, articolo

primo: <Gli uomini nascono e rimangono liberi e uguali nei diritti. Le distinzioni sociali non possono ch..ss"r. fondate sull'utilità comune>>), ma su una emargínazione all'interno dell'umanità stessa. Il ri fiuto della disuguaglianza di status, tradizionale o convenzionale, in questo quadro si paga con une esclusione arlcoîa più radicale, in quanto è legitti mata nella concezione stessa

dell'universale.

.

,

l

z. Bisogna dunque supporre che I'estensione del principio dei diritti del cittadino a <(tutto quello che ha volto umano>> (Fichte, Contributo per rettificare ì giudizi del pubblico sulla Rittoluzione francese) e le .l loro fondazione su dei diritti dell'uomo che non rap presentano una origine naturale bensì una garunzia. trascendentale dell'accesso alla cittadinanza, non co' stituisce soltanto una giustificazione per I'elimina' zione delle discriminazioni (o per la lotta per questa eliminazione), ma anche una causa della riprodu' zione delle discriminazioni e della loro estensione al di là dei limiti precedenti, anche se in forme nuove, Se degli individui o dei gruppi non possono essere esclusi dalla cittaditrarrzz- in base al loro status o alla loro origine sociale, devono essere esclusi in quanto uomini: in quanto tipi umani diversi dagli altri. Ciò che colpisce è che questo meccanismo di esclusione, esso stesso universalistico, non scompare via via che ro6

iluale le pratiche di governo rinviano a fondamenti ,'lre appartengono alle sfere del diritto o della scienza t,r il pìrì delle volte a una combinazione delle due). Al r'ontrario, il meccanismo di esclusione si diversifica e ,liventa coestensivo alla società, nel quadro di quella ,'he Foucault ha chiamato <biopolitica>>.La sola spiergazione di ciò è che esiste una corelazione stÍutturale tra il modo di costituzione delle comunità politiehe moderne universalistiche (in primo luogo la rrazione) e la trasformazione delle differefize antîo1'rologiche in generale (differenza dei sessi, dlff.ercnza .i'età, differenza di capacità intellettuali, dtffercnza tra normale e patologico ecc.) in principi di esclu;ione, il che conferisce all'umanesimo moderno un exrattere fortemente contraddittorio. Come ha dimostrato Foucault in una serie di studi .li cui si può (e si deve) discutere il dettaglio delle rrnalisi, ma che rappresentano in generale una cesura L'pistemologica irreversibile, I'universalità trascen.llntale della specie e la funzione discriminante e di-

scriminatoria delle dif{erenze antropologiche non sono incompatibili, ma costituiscono le due facce di u11o stesso discorso che inizia con la filosofia e la politica dei Lumi (come si vede già nella costruzione rlell'antropologia kantiana). Ma Foucault (GIi anortuali) mostta anche, in particolaîe con I'esempio ,.1e11'<<anormalità>, che questa correlazione è sempre l-.roblematica: non soltanto perché I'universalismo rlei diritti dell'uomo è un ricorso ideale di cui possono impadronirsi tutte le categorie vittime dell'escluf07


tf i

rrian, questa tendenza nichilistica e radicalmente anriumanistica non è estranea all'umanesimo moderno, nìa ne costituisce piuttosto l'alffa f.accia (o scena), rrormalmente più o meno rimossa. Sotto la sfem po'

sione, ma perché il racciato della linea dell'esclusio. ne è intrinsecamente instabile, e in ultima istanza introvabile. Ne è prova il fatto che la categoria dell'<<anormale> oscilla continuamente tra la sfera della psichiatria e quella della criminologia, e che il

compito dell'emarginazione degli <<anormali>> è ter. reno di disputa tral'apparato sanitario e quello giu. diziaúo. Sarebbe utile, a questo proposito, tentare un confronto con le analisi di Arendt (Le origini del totalitarisrao) sulla rclazione conraddittoria che esi. ste nel xrx e xx secolo trala chiusura della cittadi. nanz^ istituita in un quadro nazionale el'uniuersalisrno dell'accesso ai diritti proclamato dallo Stato-na. zione (a eccezione del suo prolungamento imperiale e coloniale, in cui non esistono più cittadini ma sud. diti o sublect races). Di qui la posizione estrema e tuttavia rivelatrice che occupano a tale riguardo nella storia degli Stati moderni gli Stati ruzzisticome la Germania nazistao il Sudafrica dell'apartheid, in quanto tendono (local. mente, provvisoriamente, ma con conseguenze ster. minatrici drammatiche) a comprimere la conuaddi. zione su uno solo dei suoi termini, sviluppando un programma di purificazione o di segregazione radi. cale della specie. Sappiamo che i programmi eugenetici (per esempio la stefilizzazione foruata degli individui <<anormali>) sono stati attuati durante tutto il xx secolo sia nelle socialdemocrazie nordiche sia in numerosi Stati degli usA (tra cui la California). Come hanno fatto osservare i teorici della Scuola di Fran. coforte (Theodor !f. Adorno e Max Horkheimer) o alcuni critici della modernità come Zygmunt Bauro8

litica c'è sempre una sfera irnpolitica (Roberto Esposito, Noue pensieri sulk politica). Questo ci porta a suggerire che si può avere ten.l.nzialmentè una sovrapposizione dei modelli di csclusione che si giustificano in termini idealistici, rifat'endosi a una definizione dell'uomo che lo rende lrredestinato alla cittadinanza, e dei modelli che si iiustificano in termini materialistici e positivistici, r

'

ìdentificando le caratteristiche fisiologiche o psicolociche che segnerebbero l'<<inferiorità> delle capacità .li determinati esseri umani (a seconda delle epoche: rlonne, lavoratori manuali, anormali, stranieri, col<-:nizzati, immigrati). Nella situazione attuale, che sottopone la rappresentazione classica della citta,Iinaiza nazionalè a violente tensioni, alcune condizioni di esclusione illustrano bene il modello di <<stato di eccezione normalizzato>> teoîizzato da Giorgio Agamben (Stato di eccezione) rifacendosi a Schmitt, ,.,-rà altre rinviano semplicemente a una impossibilità ,-1uasi trascendentale di rappresentarela comunità (o ii<,comune>>), sia in termini di interessi sia in termini di diritti e di doveri reciproci (Jean-Luc Nancy, La comunità inoperosa). La questione centrale è stabilire se gli attori collettivi dila globalizzazione, che si potrebbero definire come i citiadini futuri dello spazio cosmopolita, cercheranno prevalentemente di far evolvere la globalizzazione verso un modello di governance ffansnazior09


ry

nale delle discriminazioni e delle esclusioni, o al contrario verso un nuovo universalismo quanto più possibile egualitario. E per questo che alcune questioni concrete come il diritto di circolazione e di residenza (che va al di là dell'ospitalità, di cui Kant faceva il contenuto principale del cosmopolitismo) hanno una portata determinante nell'evoluzione del concetto stesso di cittadino. O questi diritti essenzialmente transnazionali sono riconosciuti non soltanto come diritti dell'uomo (come già f.a, con qual. che precauzione, la Dichiarazione uniuersale dei diritti dell'uorao del r948), ma anche come componenti della cittadinanza politica, o la governance postnazionale si traduce in una maggiore segregazione e repressione dei nomadi e delle popolazioni diaspori. ctie. Ciò vorrebbe dire che la sovranità degli Stati si concentrerebbe in una funzione precipuamente poli' ziesca di controllo delle frontiere e di respingimento delle popolazioni, lasciando eventualmente agli orga- , ' nismi internazionali e alle oNc il compito di gestire I'enorme problema umanitario della crescente massa ' di non-cittadini che, in quanto tali, non sono né di qui né di altroae. Si arriverebbe in questo modo a une forma particolarmente violenta, e con tutta probabilità instabile, di trasformazione dell'universalità intensiva in universalità estensiva, nella quale si co. struisce una cittadin anz^ postrtazionale fondata sulle reti di comunicazione e di commercio globalizzate (come propone in particolare Saskia Sassen), ma al pîezzo di una generalizzazione simmeffica della regola di esclusione. ,

,

6.

L' apoúa di una democrazia conflittuale

Se si mette in discussione I'idea di unacittadinanza londata sul consenso, o che ricerca una forma super iore di consenso comunitario, ci si trova a dover rillettere sui rapporti che intercorrono tra la democrat.ia elalotta ó il conflitto. Non è aÍfatto escluso che l1ì nozione di una <<democrazia conflittuale>> sia destin^ta rimanere ineluttabilmente aporetica, quanto rììeno^se la si considera unicamente dal punto di vista

istituzionale. Ma questo vorrebbe dire, per I'apprrnto, che essa rende possibile un esame critico del ruolo delle istituzioni in politica. La principale fonte di riflessione su questo punto rregli ultimi ànni è statalarilettura, apattuedall'opera l<rÀdamentale di John Greville Agard Pocock (ll rno' tttento rnachiauelliano), delle analisi che, nel Discorsi trpra la prima Deca di Tito Liuio, Machiavelli dedica ,J rafforzamento della forma repubblicana atffaverso un processo di sviluppo e di rappreserltafiza del contlitio sociale alf interno delle istituzioni romane ,Iell'epoca repubblicana. Quando, al termine di suc.cssive rivolie contro i patrizi e I'ordine stabilito, i poveti, o il basso popolo, si vedono concessa una rapl,resentanza ,pe-ificu in seno allo Stato, che per-


mette loro di bloccare più o meno completamente delle politiche contrarie ai loro interessi, atraveîso il meccanismo del tribunato della plebe, si viene a determinare un nuovo tipo di costituzione materiale, non più assimilabile alla costituzione mista dei teo. rici antichi. E che in un certo senso ne è addirittura I'opposto. Tentando di interpretare il tipo di Stato che si viene a costituire a metà del xx secolo nei paesi europei (in particolare la Franciael'Italia), nei quali la cittadinanza sociale è imposta dalla pressione dei partiti comunisti, ufficialmente rivoluzionari ma che nella realtà lottano per imporre delle riforme, il poli tologo francese Georges Lavauhautilizzato per l'ap. punto I'espressione <<funzione tribunizia>, che è di ventata classica nella scienza politica. L'esercizio del potere tribunizio moderno contribuisce in ultima istanza alla stabilizzazione dello Stato-nazione, ma attraverso una forma specifica di organizzazione della lotta di classe. Non lo si deve liquidare dunque sbrigativamente come un tradimento o come un doppio gioco. Bisogna piuttosto analizzarlo come un esempio caratteristico degli effetti non intenzionali della pratica politica. Senza la prospettiva utopica rivoluzionaria (o il suo equivalente paniale socialdemocratico, che si può definire <<spirito di scissione>), lalotta di classe non è né abbastanza vasta né abbastanza duratura per poter cosffingere la borghesia al compfomesso, e soprattutto la sfera politica non di. venta il luogo di un vero conflitto. Il compromesso, più o meno vantaggioso per una della parti, è un risultato aleatorio, non un obiettivo deliberato. Non presuppone la conveîgenza degli interessi.

In realtà questa idea machiavelliana è stata ripresa periodicamente dalla filosofia politica, a volte per descrivere I'essenza delle fasi di transizione, o di instabilità, tra regimi e domini eterogenei, a volte per tentare di comprendere la ragione per cui la democrazia non è un regirne come gli ahri, sia dal punto di vista dei suoi critici sia da quello dei suoi difensori. Ilssa in effetti si trova a confrontarsi con alcuni dei dilemmi più profondi interni al concetto di una costituzione di cittadinanza o di una forma repubblicana clella politica.

Vio lenza e controaiolenza

Va osservato innanzitutto, in continuità con il calritolo precedente, che tra I'idea di esclusione e quella cli conflitto esiste un rapporto complesso. Molte forrne di esclusione sono immediatamente o potenzialrnente conflittuali, nella misura in cui generano delle lesistenze, delle rivendicazioni di uguaglianza e dellc politiche di repressione. D'alffo canto, I'esclusione .lalla sfera politica, dove si decide la legittimità delle nioni collettive, è un modo molto efficace di neutralizzarc il conflitto, o di reprimerne le forme che mettono in discussione la distribuzione del potere e il suo uso. Quanto meno prowisoriamente (ma questa provvisorietà può durare molto a lungo) I'esclusiorre riduce all'impotenza coloro che sfidano i detenrori del potere. Ciò risulta particolarmente evidente ,luando le procedure di segregazione o di apartheid, .li emarginazione e di sorveglianza si combinano per \

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tr3


limitare la partecipazione politica ai membri di una élite o di una comunità dominante, o a livello nazio' nale o in un quadro imperiale o ftansnazionale. Quello che I'antropologa Philomena Essed chiamala <<preferenza per I'identico>> (Racisme et préférence pòur I'identique), spesso legato al nazionalismo e al mzzismo postcoloniale, funziona nella pratica nello stesso senso. Non si tratta semplicemente di escludere dalla patecipazione politica singoli casi o singoli sudditi, ma di esercitare :una contrortiolenza pteuentiaa, e dunque di impedire al conflitto sociale (o culturale) di raggiungere la forma politica vera e propria, mantenendola al livello di quella che Gramsci chiamav a la f orma corporativa )>. A questo punto emergono alcune questioni tanto complesse quanto importanti. r. La questione di come si configura il rapporto tra il conflitto e la uiolenza, nella teoria ma anche nella storia. Non soltanto la repressione preventiva del conflitto il più delle volte è essa stessa estrerna' mente violenta, cioè compo rta l' utilizzazione asimmetrica di tutti gli strumenti (polizieschi, giuridici, ideologici) del potere istituzionale, ma implica anche (in modo più rischioso) la nanipolazione della ttio' lenza che non può essete interamente impedita, espo nendola alla prnizione <<legittima>> (come si è visto nella maggiorunza deírecenti avvenimenti di violen' zaurbana). z. La questione di come si può pensare e organizzare I'esclusione in uno spazio senza frontiete, che non ha un esterno, o meglio è pura esteriorità, come lo spazio planetario nell'epoca della globalizzazione del <<

rt4

nrercato, dove gli Stati tendono sempre di più a mettersi al servizio della circolazione delle merci e degli interessi Íinanziaú. Forse è proprio in queste .ondizioni che I'esclusione interna è destinata a trasformar:;i di nuovo nella produzione di <<uomini usa e getta> (Bertrand Ogilvie, L'Honznze ietable) o di <<non-persone > (Alessandro Dal Lago, N on -pers one), espàsti rrostantemente al pericolo dell'eliminazione in una lorma o in un'altra. Comunque sia, si tratti della manipolazione della violenza degli esclusi o della eliminazione di questi ultimi attraverso un processo di ..lepersonaliz zazione, è la possibilità stessa dell'azione irolitica che viene neuftalizzata o distrutta, in un per.'crrso che va dal livello collettivo al livello individuale . Situazioni del genere corrispondofio indubbiamen, te a un limite estremo della democra,zia, rnarivelano ;rnche, in negativo, che l'essenza della democrazia è ,irassimizzarela capacità di azione politica dei citta,.lini. <Cittadinanza attiva>> è l'espressione tautolo-

.:ica che designa questa capacità.

Sullo sfondo di questa condizione negativa, pos.iamo dunque esaminare le tre aporie insite nell'idea .ii una democraziaconflittuale: r) l'aporia del rapporro ta conflitto e legittinzità dell'istituzione; z) laporia dei dffirenti tipi di conflitti politici in grado di rirolgere una funzione costituente, a seconda che si ltesentino come simmetrici o asimmetrici in termini ,li potere e di interessi; 3) l'aporia delle forme stori, lre di regolazione o di neutralizzazionedel conflitto, ,' del rapporto che queste forme hanno con le figure ,rntitetiche della servitù volontaria e della disobbe,lienza civile. II5


5

Liberalisrno, pluralismo, del conflitto

rappresentanza

, 1i

l

incom' t oleto. è necessario ,itorrr"r. sulla questione di prin' { iipio'rott.ta all'apotia di una istituzionalizzazione dél conflitto, in qìranto in tale questione si trova la Anche

se

il

suo esame non potrà che essere

.

'

chiave delle ragioni per cui in un certo senso la demo' ,iuiiu - se è uriregióe nel senso proprio del termine - ' deve apparire come un regime <impossibile>>, ma ' anche,'faradossalmente) come un regime inelimina' : bil.. 5i pottebbe sicuramente affermare che la derno' '

in generale, è il regime che rende,il col'flittg iig'its;*o, -'.i;;ii. à'n.he se con moiivazioni e gra.di molto di " îor,o dip."d;,-;-hiii^^ryyi, dalle forme, I ii daíI. caus., dalle modalità del conflitto, e dai mezzi .À. p.rr."o essere il;i;;r;ip;; iiÀiru'ro o neutra' ;f lizzirlo. Si è dunque tentati di pensare che la dtTg' j crazia possa diventare un regime politico solo nella cîazia,

\y

11

legittimare il conflitto entro cer''

misurain ti limiti, in modo da evitare che il conflitto stesso por' ti all'autodistruzione della comunità, nella forma orivilesiata. reale o metaforica, della guerra civile' In i.r"rto"qn"dro I'antitesi tta pólis e sttísis diventa il modello ricorrente. Ma a sua volta questa dinamica nella sua concre' tizzazione è apertà a notevoli variazioni, che rive' stono una evidente impofianza teorica' Queste va' riazioni non riguardano soltanto l'ampiezza delle al conflitto, ma soprattuttolafina,' possibilità "p.tt. tità della sua regolazione, a seconda che si ratti di fuuorirne l'espràssione come realtà costitutiva della cui riesce a

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vita democratica o, al contrario, di comprimerla quan[o necessario per arrivare all'imposizione di una regola (in particolare una regola di diritto) e a17a mani-

festazione di un'autorità. In altri termini, la democrazia si presenta come la macchina istituzionale che trasfurna i conflitti senza abolirli puramente e semplicemente, facendoli passare da una funzione distruttiva a una costruttiva, o semplicemente da rrna forma selvaggia a una civilizz^ta o civile, controllabile dall'interno o dall'esterno (il conflitto ciaile di Machiavelli, contrapposto alla guema civile). Va osservato che le due formulazioni non esprirnono esattamente lo stesso concetto: la prima è più f orte logicamente, in quanto evoca un conflitto relativo a interessi e ideologie che può essere definito come un contributo all'esistenza della democrazia, di cui è in ultima istanza il momento propriamente politico, mentre la seconda è più debole in quanto si limita all'idea negativ^ che delle regole democratiche (in opposizione a regole autoritarie, o totalitalie) sono le più adatte a garantire a lungo termine la rnoderazione delle lotte sociali (il che tende a corrispondere logicamente e politicamente a un circolo: le lotte democratiche sono per I'appunto quelle che si prestano a una moderazione istituzionale, ovve-

losia che hanno già neutralizzato i loro eccessi). ()ui chiaramente diventa decisivo distinguere tra ,.liversi tipi di conflitti (come fanno storici e socio-

logi quali Charles Tilly o Ralf Dahrendorf, e filosofi come Chantal Mouffe, senza dimenticare le analisi l'ondamentali di Georg Simmel), in base non soltanto al loro carattere più o meno violento, ma anf17


F

che al tipo di forze e

di attori che introducono in

'politica. A qrl"rto punto è essenziale

rammentare che úna sia - del conflitto che forte o debole nozione simile liberale' ttadizione alla estranea è assolutamente non proprio al ne sviluppa questa ffadizione Al contrario,

I

(lLlesto proposito mostrafe come, da Spinoza fino a lìawls e Habermas, il discorso politico liberale in un certo senso ha costantemente ristîetto la portata e il campo dei conflitti che possono entrare nel gioco del

maginario o nel mito, il liberalismo m€tte fine' Si .ro"ir.. così perché il liberalismo oscilla ra l'ider .,&timistao secottdo la quale il pluralismo contienc un valore positivo, o una virtù espansiva, che fa del conflitto (ìn particolare del confútto di opinioni) il mezzo della éreazione della libertà politica, e I'ides <pessimistar> secondo la quale il pluralismo va pfo' tetto costantemente contro i pericoli che 1o minac' ciano dall'interno o dall'esterno (che corrisponde sostanzialmente alla visione di Karl Poppet, La socie' tà aperta e i suoi nemici). Sarebbe fondamentale a

pluralismo e del suo intrinseco agonismo, finché (lllest'ultimo non è diventato molto più incerto a sequito dell'irruzione sulla scena delle questioni legate ,rl <<multiculturalismo>> Nlill Kymlicka, La cittadittdnza muhicuhurale). N el T rattat o te o lo gic o -p o litic o del r 6 7 o, Spinoza l)ropone una strategia democratica che implica che tLltte le convinzioni religiose possano essere concelrite come altrettanti metodi di cui si servono gli in,lividui per disporsi all'<obbedienza>>, cioè al ricono.cimento del primato degli interessi comuni, così ('ome enunciati dalla repubblica, sulle ambizioni particolari o private. Si tratta chiaramente di una regola limitativa, che però non prescrive nulla riguardo alla rìatura delle ideologie che si combattono reciprocarrrente e degli interessi che esprimono (e in questo la t'oncezione di Spinoza si distingue nettamente ,lalf idea ditollerunzasostenuta da Locke nello stesso lrcriodo). InJohn Rawls (Liberalisrno politico) troviamo l'idea che la comunità dei cittadini presupl)one un <<accordo per sovrapposizione>> (oaerlapping ,'onsensus), che istituisce delle regole intese alla mo,ierazione dei conflitti derivanti dall'opposizione tra ('oncezioni sostanziali del bene (in altre parole corrcnti di opinione, laiche o religiose, che non si limi r ano a ricercare il bene o la virtù seguendo dei criteri lormali, come la possibilità di trasformare una massima personale in legge universale dell'umanità, alla

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'

interno una molteplicità di interpretazioni' In

ouanto dottrina politica (come ha sottolineato in par' ticolare Raymoni Aron, Teoria dei regimi politici),1'\ liberalismo si canttetizza per la propria insistenze sull'importa nza de! pluralisrno in politica: ma se non si vuolÉ che il pluralismo sia un concetto vuoto, privo ; ài realtà, e diificile pensarlo indipendentemente de ! ,

una certo grado di antagonismo' o meglio di ago.ni"i srno, che sia nella forma di una concortenza tra ldeo'' logie rivali o in quella di un conflitto di interetti t9','t ciíli. g,t.sto principio non coincide con quello dells i rappresentafiza, ma non ne è estraneo. Storicamente t, I'i'rrsirtenra sul pluralismo è legata alle figure antite" tiche del dispotismo (anche illuminato), dell'assoluti' smo e del to^talitarismo, ai quali nella realtà, nell'im'


tF rirr

maniera di Kant, ma intendono attribuirgli un con' ' ,.ttoro determinato, in particolare nella forma di un modo di vita <<buonoo J*gi"t,oo). Per Rawls qu9slo I I a itq"i"ut.nte mJral. di una certa idea della ".."ta" ,Jniit"a, ó d.[u giustizia come realiziazione di I una tazionalità colleitiv^i ma a sua volta ha bisogno ' Ji.tt.t. garantito o riprodotto, il che corrisponde ullu fnnrótte della legge e soprattutto dell'educa' ' zione. Infine, in Habermas troviamo una descrizione i ;;ú-1t"1ú; anch'essa di natura normativa: il.plu' t ralismo ha come condizione della propria rcalizza' ;

,io". il fatto

''

che i partiti del conflitto sociale e ideo' r

logico accettino tut;i-di sottomettersi alle rtgole $ à.ii*go-.ntazione politica, in quanto è questa ar' *] gomeniazione nello spazio puh.blico.chepermette di ',9 óurrur. da un antagonismo irriducibile, che porta alla f soualificazione di una delle posizioni in gioco (e pos' $ ;ibih*";; ail'eliminazione di coloro che la sosten' i gono), a un regime di dibattito e di comunicazione, -tl !,ri ideul" etióo è l'accordo di tutti i cittadini sulla iegittimità di questa o quella politica.(eventualmente it!"rri.di comprom.rri u.i.ttuti da questo o quel ' parrito). ' In Rutl, come in Habermas, e forse già nello stesso Spirroru, tutti razionalisti malgrado la distanza che ,Éouru le loro concezioni di <iagione>, troviamo il pr.rupporto implicito che il consenso (o quanto meno i" tuu possibitiìà sempre preservata) deve finire per t" meglio ,rrllu -uttif.stazione della contraddi"

^r.t. zione, o d.ie

trasformare, sormontare, questa mani' f.rtarione. Di qui l'espressione di cui si serve Spinoza nelTrauato poiitito (fII, z): in una libera repubblica Í20

il potere in ultima analisi appartiene a una <libera moltitudine>>, che agisce <(come se guidata da una Il <<come se>> (ueluti) è chiaramente fondamentale: è quello che segna la distanza tîa vna; unanimità imposta o immaginata senza conflitto e una comunità risultante dalla regolazione del conflitto sotto la guida della ragione. Ma la conseguenza di ciò è la riproposizione all'infinito di un'aporia propria del liberalismo: nel punto critico, quando il conilitto eccede le forme di espressione puramente simsola anima>>.

boliche, le convenzioni del dibattito collettivo, i canali istituzionali esistenti di rappresentanza degli interessi contraddittori, e dunque le possibilità di governo e di obbedienza,lanzionalità,politica non è più sostenibile, e si ritorna all'alternativa della neurralizzazione o della repressione del conflitto. Un conflitto che minaccia I'ordine costituzionale, per quanto flessibile e aperto questo sia, non rientra più nelle <regole del gioco>> pluralistiche: di conseguenza è incompatibile con il liberalismo. Questa contraddizione è indipendente dalla questione se I'origine del conflitto stia nei rapporti di classe, negli antagonismi religiosi, nelle differenze di cultura o di <<razza>> o in

combinazione sovradeterminata di questi fattori, come awiene nella maggiorafrza dei casi. Ma, all'opposto, si può dire che un conflitto canalizzato attraverso regole che gli impongono di contribuire al consenso, o di ffadursi in uno scambio di argomentazioni, continui a essere un conflitto reale, e non si trasformi in una finzione giuridica? Il conflitto limitato, o anche autolimitato, non esclude a priori tutto cluello che, in una società data, corrisponde alle vere Lrna


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poste in gioco politiche: le lotte di liberazione, le ri-

u.rrdicaÀni eÀancipatrici, le rivolte con*o

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stizie o le disuguaglianze, cioè le ftasformazioni

ricamente

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signi{icative?

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Tale argom entazíone deve però €ssere precisata' in quanto rischia di trascurare la differenza tta so' cialà e politico. In realtà questa díff.ercnza nell'epoca moderàa è sempre sottintesa nei diversi modelli di irtitrrziorr. del conflitto. Il liberalismo, che da tale come una forma estrema, sug' punto di vista ^ppaîe gerisce che gli àlèmenti di conflittualità - tîa inte' iessi o, sopràttutto, tra opinioni - provengono d4l1 ", societi civile: sono cioè radicati nelle attività sociali j deeli individui, e dunque devono essere espressi e ,uipr.r.rrtuti nel linguàcgio I nelle forme della so- ; .iàia politi.a per permettere la loro soluzione, cioè i rendeie compàtibili tendenze inízialmente incompa' i tibili. La funzione principale dello Stato è dunque f esattamente quella di sovrintendere a questa-trastor' ''i mazione. Ma, anche qui, si può obiettare che desfi i attori collettivi impegnati in un conflitto sono stori' la minimo .u*.nt. decisivi q"undo hanno ridotto al di"run u tra i loro interessi sociali e i loro obiettivi politici (o quando hanno tlovato una espressione po' iitica diretia dei loro interessi sociali), e non danno più per scontato che lo Stato esistente svolgerà una iunjio". di arbitrato tra opínioni o interessi sociali antagonisti. N on appena I' antagonis m o políticizza il soiiale, e I'invetso, come avviene chiaramente nella lotta di classe, lo Stato non è più imparuíale, ma emerge come parte in causa del conflitto' o quanto meno come soggetto predisposto ad alcune soluzioni ;

piuttosto che ad altre (per I'appunto quelle che preservano la sua forma e le sue istituzioni): fa dunque parte del rapporto di forua. Più esplicitamente, gli rrttori storici sono quelli che cambiano il rapporto tra il sociale e il politico, impongono il riconoscimento rli interessi e bisogni non solo in quanto interessi particolari ma come interessi generali della società potenzialmente universalizzabili, e in questo modo trasformano le procedure di determinazione del conscnso, i criteri di nzionalità politica, la funzione sressa dello Stato. L'emergere della cittadin^nza sociale al termine di una lunga fase storica di lotta di ,:lasse e di scontro tra il movimento operaio e lo Stato borghese (o anche liberale) ne è un esempio illirminante. Un conflitto che si vuole reale o effettivo rron si limita mai al rispetto delle regole stabilite, in (luanto il suo bersaglio non può che essete per l'ap1-runto la costituzione e il contenuto stesso del lrluralismo.

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D em ep

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crazia c om e dorninio i I le gittirn o

lura lisrno agonistico

Ma allora bisogna ammettere che ogni conflitto politico effettivo contiene un elemento di illegittimità. Ir se la democrazia e il conflitto si trovano in un raplrorto costitutivo, si deve affermare che la democrazia i', per quanto in un senso ben delimitato, un <<regime ,li potere illegittimo> (il che equivale a sostenere che ron è un regime nello stesso senso di altri). Questa ( ra per I'appunto la tesi delineata da Max \X/eber in r23


rK

diversi passaggi della sua opera postuma incompiuta Economia e società (che di fatto è un trattato generale di anropologia e di teoria politica)' Da una parte lX/eber definisce la <legittimità> (Geltung) di un dominio o di un potere quale che sia come la uprobabilità> (Chance) di farsi obbedire, o di vedere i suoi comandamenti eseguiti o la sua autori' tà rispettata (il che vale in particolare per I'autorita della legge). Questa definizione è già di per sé di na' tura conflittuale o agonistica, in quanto suggerisce che la legittimità deriva da un equilibrio instabile ra tendenze all'obbedienza e tendenze alla disobbe' dienzao, più in generale, è composta da una determi' nutu propotzioÀe di casi di obbedienza e di disob'l, bediénza. Perché Ia parola <legittimità> abbia un senso, è necessario chiaramente che i primi siano pre:', valenti (o normali) e i secondi residuali (o eccezio' nali). Ma la specificità di una rclazione di questo tipo i è che in determinate circostanze può ffovarsi a essere ': úbaltata, quando l'eccezione diventa la regola. Pet i questo una simile definizione appartiene a una tradi' zione realist o pr^gm^tica, di cui fanno parte anchc ^ Spinoza (del quale scopriamo qui pensatori come per il quale l'obbedienza è un obiet' faccia, e I'altra "

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tivo pragmatico dello Stato indifferente ai motivi che ú pioducono tra i sudditi, il che corrispondc anche, ii" d.tto per inciso, a un modo di ampliare il campo della libertà di coscienza) o, in tempi più vi' cini a noi, come Foucault, per il quale ogni potere corrisponde a un rapporto instabile con dei contro'

poteri o delle tesistenze, di cui il potere stesso si ierue p.r rafÍ.oruarsi, ma che possono in determinate r24

circostanze prevalere su di esso e produrre una nuova

igura istituzionale. Ma non è tutto, perché rMeber - come si sa - inscrive la sua definizione formale in una tipologia storica delle forme di dominio che rientra anch'essa nella ;rroblematica della modernizzazione delle società poIitiche. Va sottolineata in proposito l'importanza del Lipo di dominio che \X/eber chiama <<burocratico>>, non soltanto perché viene associato allo sviluppo del diritto e dell'economia capitalistica (che genenlizzarl calcolo nzionale dei costi e dei benefici delle azioni individuali e collettive), ma perché il suo presupposto ò specificamente l'ignoranza del popolo, il quale - il più delle volte senza esserne consapevole - delega agli csperti la sua capacità di valutare la realtà (salvo eventualmente rivoltarsi contro le conseguenze delle loro decisioni). Anche se, come si è visto in precedenza, (luesta fratfiua è compensata da sistemi di isffuzione e di selezione meritocratica degli esperti, o anche .lalla pubblicità delle loro decisioni (raramente completa nelle nostre democrazie borghesi e sempre più lidotta nel quadro della governance globalizzata), permane sempre un elemento di contraddizione tra il senso egualitario dell'idea di democrazia e le carattelistiche <oligarchiche> dell'esperto: ciò permette di comprendere il fatto che se per un verso i cittadini rrormalmente si sottomettono alla burocrazia dello Srato, per un alro in condizioni di crisi, di sfiducia popolare e di delegittimazione dei poteri costituiri f

..luegli stessi cittadini creano nuovamente il conflitto, rconfessando <<itrazionalmente>> gli esperti che pre-

tendono di incarnare la nzionalità.. r25


Soprattutto, bisogna aggiungere alle nozioni esami' nat. Íin qui la descrizione - in parte storica, in pa-rte allegorica - di una democrazia come <<dominio ille' gittlmo, del popolo (o della massa del popolo), che \X/eber propon. nella sua descrizione delle città-Stato, dalle ciìtààntiche (greche e romane) fino alle citta italiane del Medioevo e del Rinascimento. Questa de' scrizione si basa implicitamente sull'interpretazione che Machiavelli aveva proposto nei suoi Discorci sopra Ia printa Deca di Tito Liuio circa il ruolo e le azioni deila plebe o del popolo minuto: al tempo-stesso mi' nacciareale per ilmònopolio del potere politico dete' nuto dall'oligarchia o daipatrizi (una minaccia che si trasforma occasionalmente in veîe e proprie insurre' zioni) e, in positivo, costruzione di un contropotere che'fa ortu.àlo a\la tirannia di una minoranza. In ef' fetti, per Machiavelli il popolo minuto non aspira a eserciiare esso stesso il potere, ma soltanto a non es' sere dominato o oppresso' Dal punto di vista di \X/e' ber, questa storia illustra a contrario le implicazioni del súo concetto di legittimità: un dominio che, in quanto tale, non può escludere la disobbedienza (o le cui leggi hanno ulttettuttt. possibilità di essere obbe' dite ctre sfidate, discusse, trasformate) è per defini zione illegittimo. Il che equivale, sia pure in modo arrischiató, a introdurre nelf idea stessa di democra' zia un elemento di cittadinanza <<anarchica>>, che è tattaviala condizione della possíbilità della sua istitu' zione. Un tale elemento è ihiaramente quello che il costituzionalismo moderno tenta costantemente di escludere o di ignorare: la mani{estazione periodica o permanente , apeîtao latente, di una conflittualità che tz6

rron si riduce alle regole della rappresentaîza o della ,,omunicazione, ma che si pone sempre in eccesso rispetto a qualsiasi consenso, o spinge I'agonismo al di

li

dei limiti di un pluralismo coerente. Tale eccesso rron controllabile apriori è però la condizione dell'istiluzione della democtazia, in quanto permette ai conrlitti di entrare in un ciclo di legittimazione e delegitrimazione del potere. E evidente dunque che si tratta ili una formulazione notevolmente realista, ma anche cstremamente ambivalente: in lil/eber, la cui antropologia politica è peraltro fondata sull'idea di una lotta io <<guerra>) permanente ttai valori, essa traduce al rempo stesso un'ammirazione per le rivoluzioni o le iusurrezioni e una messa in guardia contro i pericoli di clestabiTizzazione dello Stato insiti in una democratiz,'.trzione radicale che libera le forze antagoniste. Sappiamo che Weber derivava la sua preoccupazione non ,,oltanto dall'analisi della storia antica, ma dalla crisi politica contemporanea che si esprimeva nella guerra rnondiale e nelle rivoluzioni socialiste. Ritroviamo .lunque I'idea proposta da Chantal Mouffe: la demoe razia è una forrna paradossab della politica, in quanto rrn agonismo puro in un certo senso è impossibile, o insostenibile. Quello che I'agonismo cerca disperata-

di inscrivere nella cittadinanza stessa non è tna cornplenentarità del conflitto (o della lotta) e (o ma piuttosto una im'lelf istituzione dell'ordine), /ìÌanenza di ciascun terrnine nell'altro, il che costringe a .tefinire ciascuno dei termini con il suo conttario: ,rgni conflitto può essere sussunto in una istituzione, t' ogni istituzione è al tempo stesso il luogo potenziale nrente

,

I

i un'insurrezione futura. r27


Mouffe a questo proposito si riferisce a Schmitt e al suo .,cottcètto del politicor> fondato sulla distin' zione permanente tra amico e nemico. Ma in realtà è piùr vièina a rff/eber, e di conseguenza -aFoucault, là àove quest'ultimo (in Bisogna diftndere -la società) ,,rgg"rir.. di rovesciare la famosa formula di Claur.últ, (<<la guerra è la continuazione della politica con altri mezzi>>) e di vedere nella politica la <<continuazione della guerra con altri mezzi>>.I1 criterio schmittiano è un criterio dipoliticizzazione delle at' tività umane, che in linea di principio può essere ap' plicata in tutti i campi (compresi quelli della religione è dell'arte). Schmitt parte dall'antagonismo per tracciare una linea di demarcazione tra i campi, in modo che risultino massimi tanto la solidarietà o I'effetto di comunità interna per ciascuno di essi, quanto l'ostilità o l'incompatibilità tra di essi. Ovviamente, questa concezione del conflitto (fondata su un con" frorrto tralalottadi classe e i, nazionalismo) ha anche un significato istituzionale' Essa postula che la fun' zione-dello Stato sia quella di intemalizzare tutte Ie

f'litto al di sopra dello Stato e del suo potere separato) ma si rovescia rapidamente nel suo contrario, per fare dello Stato l'attore sovrano incaricato di di-

plica in primo luogo la subordinazione di ogni con' dell'unità nazionale e in secondo ilitto "ll'imperativó luogo l'istituzione, ogni volta che si riveli necessario, di ùno stato di eccezione grazie al quale i nemici in' terni possono essere identificati, eliminati o quanto meno ricondotti nei ranghi dell'unanimità. Lo schema schmittiano comincia dunque con I'affermare un pri' mato o un'autonomia del politico che mette il con'

stribuire la gluelra o I'ostilità tra i suoi due teatri inrerconnessi: quello della guerra interna e quello della guerra esterna. In questo rovesciamento, che assume la forma di un processo infinito se si rivela che la l'rontiera tra I'interno e l'esterno non è definibile una volta per tutte, il pluralismo in quanto tale evidenternente non ha posto. Mouffe vorrebbe evitare questa conseguenza, e perciò tenta di proporre una interpretazione temperata di Schmitt, nella quale l'idea di rrgonismo serve a rettificare una concezione liberale della politica come regno dell'argomentazione e della rìorma giuridica seîza veî^ altetnativa politica, e viene relegato al margine il momento decisionista in eui 1o Stato si appropria del conflitto, per definirne l'esito nel senso di un determinato ordine politico, conservatore o conttorivoluzionario. In Foucault le cose sono pir) complesse. Negli anni settanta era partito da una nffigvazione puramente rrgonistica, che applicava f idea della politica come rnetamorfosi della guerra a tutte le sfere del potere (o .[e1 potere-sapere), ugualmente plasmate dallo sconrro tra il potere e le resistenze, le legalità e le illegalità, le istanze di autorità e trasgressione, ma che non rinviavano a nessun potere arbitrale ultimo. Tuttavia, probabilmente non a caso, il pensiero di Foueault successivamente è evoluto nel senso di una prolrlematica più generale della <(governamentalità>>: (luesta, significativamente, si esercita al tempo stesso ,rl livello dell'individuo e al livello collettivo di un

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solidarietà (nella forma privilegiata di un popolo omo' geneo, che il fascismo cercherà addirittura di creare) é di estemalizzare tutte le forrne di ostilità: il che im'


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di fatto del suo contenuto. Bisognl dunquè rimanere all'idea di una democrazia conflitl' tuale, che si presenta come un otizzonte che indic' t rggiiu.ottuttt.rn.nte davanti alla propria determl'

nazione. Ma ciò comporta anche alcuni insegnarnenti positivi. r. Lo schema politico-metafisico della sussunzione d.i una materia in una forrna politica (ancora tttllizzato da Machiavelli) è inoperante. Il solo schema di cui ci si può servire è quello dell'unità d.ei contrari, o dell'equilibrio aleatorio, che oscilla ra i clue poli astratti di una cittadínanza senza conflitto civile e di un conflitto senza istituzione (che corrisponde, in tutte le epoche, ai messianismi rivoluzionari o apocalittici). z. Considerando questa oscillazione interminabile che deriva dall'unità dei contrari, siamo condotti a riformulare e a comprendere meglio il significato .lelle polarità inerential concetto di politica: insurrezione e costituzione, potere costituente e costituito, Itrtte sociali spontanee e otganizzate ecc. Nessuna di (lueste formulazioni si identifica esa;ttameÍtte con le ,rltre, in particolare perché provengono da storie filo(la tradizione rivoluzionaúa,le anti',rfiche diverse nomie della cosffuzione statuale che intende incarrrare la sovranità del popolo, le vicissitudini delle rivolte antiautoritarie ecc.). Ciò non impedisce però ,. he abbiano in comune un rapporto caratteristico tra rl possibile e i7 reale (o, come direbbe Hegel, l'effetriuo).In ogni caso, passare dai possibile al reale signiI ica anche passare da una cittadinanzadispersa a una ;ittadinanza intensificata o attiv^ta, modificare le rnodalità del conflitto per dargli una forma politica o tlamutarlo in una formazione sociale storica. E in questo senso che il conflitto è costitutivo ,lclla politica: non esiste una forma unica e neppure

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r3r

sociale che include lo Stato, ma non può essere mai assorbito nel suo monopolio del potere. In tale nuove

concezione, sembra che la conflittualità pura non trovi più spazio. Ciò corrisponde anche all'idea che la forma nella quale identiiichíamo un elemento di conflitto costituìivo della politica è sempre indirettal è attraverso I'analisi della trasformazione dei rap' porti di potere indotti dalle resistenze, necessarie peraltro à[a costituzione di quei rapporti, che iden' iifi.hiu-o quello che Foucault ha chiamato <<il ru' more della battaglia>> (Soraegliare e punire). Si può dire che la sostanza della posizione di Foucault è questa: il conflitto è irriducibile, ma non è maipuro estÍaneo a qualsiasi regola o a qualsiasi o ^rroluto, gioco. E neppure rimane entro i limiti di unag,ón.Pa

quanto le società oscillano trl Àomenti di pluralismo, ó di riconoscimento delle dif i f.etenze, e momenti di normalizzazione, che impon' gono modelli di condotta omogenei, costrittivi.

[u.rto, tanló i soggetti

lstituzione del conflitto cotne rapporto asintmetrico La nostra analisi non ci permette dunque di uscirt da17'apoúa. Ma ci fornisce un risultato filosoficamentl signifìcativo: non abbiamo scoperto nessuna possibi' liià miracolosa di identi{icare I'istituzione e il conr flitto, o di ricondurre I'uno sotto I'impero dell'altro senza privarlo


tipica della conflittualità sociale e della SUa espr€s' sióne politica. Per questo i modelli proposti da Ma' chiavélli (idea di potestà tribunizia del popolo mi'' nuto o dei governati), da Hegel (idea di una lotta pef il riconoscimento da cui si fa derivare tutta una prù blematica sulla giustizia), daMarx (idea della lotta dl classe come principio di sovversione dell'ordine sta' tuale da parte dell'antagonismo sociale), da tX/eber (idea di un dominio illegittimo che sottende i dominÍ legittimi), da Foucault (idea di una resistenza inttin' s."ca ul pót.t., del quale deve ogni volta governare h potenziàlità diautonomia) e anche da Schmitt (idea di un effetto di ritorno della distinzione amico-nemico, sulla costituzione stessa della comunità politica) of' frono tutti qualche elemento per pensafe questa trai sformazione incessante, che impedisce al politico di trovare una forma de{initiva. L'impossibilità dell'istii tuzione del conflitto come soluzione del problemr, della cittadinanza democratica non impedisce cot' munque che la storia della cittadinanzasia una storil di coÀflitto delle istituzioni, che evolve da una rego' lazione a un'altra, a volte in modo progressivo (am* pliando I'uguale libertà), a volte in modo-regressivo

1'

contiene al suo interno un pericolo mortale di neutralizzazione della politica e della cittadinanza attiva sressa. Lo si è visto nella storia del socialismo contemporaneo , che inizia con lo sforzo del movimento operaio (e della classe operaia) di uscire dalla sua posizione subalterna e dall'esclusione (rispetto ai diritti sociali elementari o alla rappreseîtanza politica) per iìpprodare alla simmetria della lotta <<classe contro classe>> e soprattutto degli <<Stati borghesi> conro sli < Stati proletari> costituiti in campi simmetrici su scala internazionale. Buona parte delf interesse che rrlcuni teorici contemporanei che si richiamano alla tlemocrazia radicale mostrano per Machiavelli, deriva evidentemente dagli strumenti sia concettuali sia simbolici che egli fornisce per pensare un divenire tlemocratico nel quale la simmetria è indefinitamente

.lifferita. Dobbiamo ora considerare, prendendo spunto dalla tesi di \X/endy Brown sulla de-democr^tizzazione operata dal neoliberalismo, la costante difficoltà che trggi incontra la cittadinanza a mantenere apertala ,.lialettica

ra istituzione e conflitto.

iriducendo o eliminando le proprie possibilità, e duil" que la cittadínanza stessa). Si può poi aggiungere che tutte quest€-figure- frc' qrr.nirt. dai filosofi hanno in comune il fatto di in' ùrivere nel conflitto che teoúzzano una fondamen' tale asirnrnetria: non c'è conflitto politico uguale, 0 questo vale soprattutto per il conflitto per I'uguan gliun u. La sinr-metria, sia essa degli awersari o dellc lstanze dello spazio politico (la società, lo Stato), r32

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IU 'q

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L'argomentazione di V/endy Broun

7.

Neoliberalismo e de-dem octatizzazione

Ricordiamo innanzitutto la tesi di Wendy Brown'

(Neoliberalisrn and the End of Democracy): ra il libe' ralismo e il neoliberalismo c'è una diff.etenza fonda' mentale. L'autonomi a relativa della sfera economica

insormontabile per il liberalismo' classi-co in quanto {.ondavaa sua volta la tesi dell'este', riorità relativadello Stato - <<guardiano notturnot) o <<gendarme>> - rispetto all'economia, è ormai chiarr. m"ente obsoleta. bi .ottt.guenza, diventa possibilc combinare la deregolazione del meîcato con perfiÍ' nenti interventi dello Stato o di altre agenzie del po' tere nel campo della società civile e anche nelf intin mità dei soggetti, interventi che tendono a creare un cittadino completamente nuovo, unicamente govef' nato dalla logica del calcolo economico. Lo Stato si disimpegna dalla produzione, dalla manutenzionc delle infiastruttur;, dai servizi sociali e dalla ricerca scientifica, ma è più che mai impegnato in una <<an'

. ai q.ff"poliri.",

troponomia>> che tende a normalizzarcla societa, *liizzandoa questo scopo la mediazione di tutta unr serie di organlzzazioni della società civile'

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Brown ci propone un ritratto delle combi nazioni tli discorso libertario e programmi di moralizzazione c di sottomissione della vita privata ai dettami reliriosi applicati più o meno brutalmente in Occidente rr partire dalla úvoluzione thatcheriana e reagariana degli anni ottanta. Questa parte dell'analisi di Brown lruò essere completata da altri conributi alla critica ..lel paradigma neoliberale, provenienti da orizzonti molto diversi. Tutte le critiche si fondano comunque sullo studio del modo in cui vengono genemlizzatii criteri di redditività ad attività private o anche publrliche che, nel modello capitalistico classico, e amagg,ior ragione nello Stato nazional-sociale, si presuppo-

rreva che dovessero rimanere estranee al calcolo cconomico: per esempio I'istruzione, la ricerca scientifica,la qualità dei servizi pubblici o le prestazioni Jell'amminisrazione, il livello della salute pubblica c della sicurezza,la funzione gi:udiziaria (e l'elenco potrebbe continuare). Ma non basta accordarsi su questa descrizione, bisoqna discutere la tesi filosofica a cui si accompagna, e cioè: il neoliberalismo non è soltanto una ideologia, e una mutazione della î^t:ura stessa della politica, r,eicolata da attori che si collocano ín tutti i comparti della società. In realtà si tratta della nascita di una lorma altamente paradossale dell'attività politica, qrerché non soltanto tende a neutralizzare quanto più possibile l'elemento di conflittualità insito nella sua ligura classica, ma vuole privarla preventivamente di ,rgni significato, e creare le condizioni di una società

t35


in cui le azioni degli individui e dei gruppi (anchc quando sono violente) rientrano ormai in un unico criterio: quello dell'utilità quantificabile. Non si

smo sposta

"la competenza regolatoria dello Stato

verso individui'respons abrli',' r azionali', fallo scopo

tlil incoraggiare gli individui

tratta dunque tanto di politica quanto di antipolitica, di nettralizzazione o di abolizione preventiva dell'an. tagonismo sociopolitico. Per descrivere questa situa. zione, Brown propone di genenlizzare la categoria di governamentalità, così come elaborata da Foucault nel quadro di una genealogia del potere nell'epoca moderna, e di portarla alle estreme conseguenze: <<Questa {orma di governamentalità ... istituisce un soggetto "libero" che decide razionalmente tra di. verse linee diazione, opera scelte e porta la respon. sabilità delle conseguenze di queste scelte. In tal modo ... "lo Stato dirige e controlla i soggetti senzl essere responsabile per essi"; in quanto "imprendi. tori" individuali in ogni aspetto della vita, i soggetti diventano interamente responsabili del loro benes. sere e la cittadinanzaviene ridotta al successo in que. sta attività imprenditoriale. I soggetti neoliberali sono controllati attraaerso la loro libertà, non sempli. cemente ... perché la libertà nel quadro di un regime di dominio può essere uno strumento del dominio stesso, ma in virtù della moralizzazione delle conse. guenze della libertà. Ciò significa che il ritiro dello Stato da alcune aree e lapúvatizzazione di certe funzioni statuali non corrispondono a un annullamento del governo, ma piuttosto costituiscono una tecnict di governo, anzí il sigillo tecnico della governance neoliberale, nella quale l'azione economica nzionale, kradiata nell'intera società, sostituisce l'azione statuale diretta di governo o normativa. Il neoliberali.

stessi a dare alle loro vite una specifica forma imprenditoriale"> (\X/endy lìrown, Neoliberalisrn and. the End of Demouacy). Va rammentato cosa bisogna intendere per <(governamentalità> in senso foucaultiano: si tratta di tutto I'insieme delle pratiche attraverso le quali un comportamento spontaneo degli individui può essere nrodificato, il che corrisponde all'esercizio di un potcre sul loro potere di resistenza e diazione, o con il ricorso a metodi disciplinari (e dunque inevitabilrìrente tanto costrittivi quanto produttivi), o con la ,liffusione di modelli di comportamento etici, e dun..1ue culturali. Perché sostenere che a tale riguardo il rreoliberalismo sfida le definizioni tradizionali della politica? Come giustificare questa idea di un superarìrento della politica di classe, nonché del liberalismo stesso, superamento che Brown definisce <<de-democratizzazione>>, e che costituisce una minaccia di morte anche per I'idea di cittadinanza attiva del republrlicanesimo classico? La risposta è che il neolibelalismo, secondo Brown, non si è accontentato di :rgire nel senso di una itkata del politico, ma si è irnpegnato a ridefinire il politico stesso tanto sul suo versante soggettivo quanto su quello oggettivo. Poi ,'hé le condizioni di possibilità dell'esperienza politica collettiva, i condizionamenti economici che pesano su un numero crescente di individui di tutte le , lassi sociali, e il sistema di valori o le concezioni del lrene e del male in base alle quali gli individui giudir ano le proprie azionivengono chiamati in causa con-

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temporaneamente, Brown può padare di una <<nuova ruzionalità>> nel senso filosofico del termine.

dell'adattamento dei sogge tti ù capitalismo, owero del-

gli sviluppi più contraddittori. imprevedibile, -Btort, in accordo con l'idea foucaultiana dellr produttività o della posítività del potere, propendc piuttosto per un'altra interptetazione: non si tratta tanto di una dissoluzione quanto di una inaenzionc, quella cioè di un'altra soluzione storica ai probleml

deguamento del comportamento indivi daale alla politica del capitale. L'ipotesi che desuivevamo più sopra, quella di una crisi della cíttadinanza sociale in quanto modello di configurazione del politico - crisi che non deriva soltanto dalla rivincita dei capitalisti, o dal deterioramento del rapporto di f.orza tra il socialismo e i suoi avversari, ma anche dallo sviluppo delle contraddizioni interne alla cittadinanza sociale -, rivela in questo quadro tutto il suo significato. Una simile ipotesi può indurci a concepire la possibilità di regimi politici che non sono soltanto ntediocrernente demo*atici (nei limiti compatibili con una riproduzione delle strutture di disuguaglianza: ciò che lloaventura de Sousa Santos chiama <<democrazia a bassa intensità>), o antidemouatici (sulmodello delle dittature, dei regimi autoritari o del fascismo storico), ma, inrealtà, aderuocraticl, nel senso che i valori inerenti alle rivendicazioni di diritti universalizzabili (che abbiamo riunito sotto il nome di egalibertà) non svolgono pir) nessun ruolo nel loro funzionamento e nel loro sviluppo (neppure in quanto f.orue di resistenza o di contestazione). È per questo motivo che il discorso sui valori dernocratici e la diffusione della democrazia (o della sua csportazione) è diventato così invasivo ai giorni nostri? Ufficializzato ebanalizzato, questo discorso non ira più nessuna funzione discriminante, ed è parte i ntegrante della decomposizione della cittadinanza. Se un simile cambiamento è effettivamente in corso, bisognerebbe parlare dell'ingresso in una poststoria c al tempo stesso in una postpolitica, da prendere

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rJ9

Una simile genemlizzazione solleva tuttavia di' versi problemi. In primo luogo, bisogna guardare da vicino la dia' gnosi della crisi che investe i sistemi politici tradizio' nali, liberali o autoritari. L'analisi di Brown implicr che questa crisi non sia un semplice episodio di ma' lessere in un processo ciclico, come già se ne sono

visti numeroii,

-a un fatto

irreversibile, dopo il

quale non sarà più possibile ritornare a modalità di azione precedenti. Anche concordando su questo punto, ci sono però almeno due modi di interpretare le figure della soggettività che ne derivano. In una prima ipotesi, si ratterebbe di un sintomo negativo, corispondente alla decomposizione di sffut' ture tradizionali di dominio e di resistenza al dominio (anche se la tradizione di cui parliamo di fatto è dl origine recente, cioè un prodotto della modernizze' zione delle società industriali). Di per sé, questa de' composizione non porta a nessuna forma di vita in società che sia sostenibile, porta piuttosto a una situe' zione instabile (che si potrebbe definire <<anomicar

secondo la scuola durkheimiana, o descrivere in ter' mini di <(stato di eccezione>> in una prospettiva sch' mittiana), nella quale diventano possibili, in modo

1' a


molto più seriamente delle visioni di fine della storia popolaúzzate da Francis Fukuyama al momento del crollo del sistema sovietico in Europa, che si fondavano al contrario sull'idea di un trionfo del liberali smo nella sua forma classica. Ma non è affatto certo che la discussione possa li. mitarsi a questa diagnosi. Per un verso si pone la questione se I'interpretazione del fenomeno di dedemocratizzazione non rifletta una particolarità della società e della storia americana che non è generalizzabile: Brown stessa indica che la sua analisi si fonda sul valore pandigmatico del caso ameticano. Si è tentati per I'appunto di ricondurre il tipo di analisi sviluppata da Brown al,fatto che gli Stati Uniti - per ragioni geopolitiche (l'egemonia che hanno eserci-

tato nel mondo capitalistico durante attala seconda metà del xx secolo) nonché culturali (che risalgono alle origini della loro ideologia della frontiera, e dunque al loro carattere di società individualistica colo. niaie) - non sono stati il luogo tipico di formazione della cittadinanza sociale e dello Stato nazional-so. ciale (malgrado I'importanza delle tendenze egualita.

rie sottolineate da Tocqueville e I'intensità delle lotte di classe nel periodo del New Deal, che oggi si tendono a dimenticare). In particolare, negli Stati Uniti il principio dell'universalità dei diritti sociali non è mai stato riconosciuto. Al contrario (come indica tra gli altri Margaret Somers, Genealogies of Citizenship), le oscillazioni tra fasi di regolazione e di deregolazione sono state straordinariamente brutali. Owiamente non si può rimproveîare Brown di non ^ finanziaia aver tenuto conto in anticipo della crisi f40

che, a partire dal zoo8, rivela I'esistenzadifattori di

instabilità e di contraddizioni radicali nel cuore del modello neoliberale thatcheria n o -r eaganiano (adot tato più o meno integralmente dalle politiche di<<tel:,a via>> che gli sono succedute). In realtà oggi constatiamo non una stabilizzazione del capitalismo contemporaneo, bensì una crisi perffianente o una crisi come stato normale. Cosa che ci riporta tendenzialmente all'altra ipotesi di interpretazione: quella di un sintomo di dissoluzione. Il saggio di Brown, va ricordato, nella sua forma originale è del zoo3. Precede dunque le riflessioni più recenti di economisti critici sulla costituzione di una società interamente fondata sull'indebitamento come pure le reazioni politiche provocate dai primi sviluppi della crisi. Per esempio, Fréderic Lordon mostra come si intrecciano, a partire dagli Stati Uniti, la politica dititolaúzzazione dei crediti insolvibili, che permette di ottenere le superendite degli investimenti finanziari, e la liberalizzazione completa del credito al consumo, che permette di trasformare in debitrici avitale famiglie senza redditi stabili. Con lo sviluppo delle crisi dei debiti sovrani in Europa, e in particolare in Grecia, questa esposizione al rischio finanziaúo viene a colpire gli Stati e la loro capacità di governo. Il che ci poît^ a esaminare un'altra difficoltà che incontrano le critiche della novità neoliberale in quanto origine dell'antipolitica, nella misura in cui assegnano all'idea di de-democratizzazione una dimensione apocalittica.

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Escatologie positiue e negatiae

Quello che colpisce sono le analogie percettibili, a circa un secolo e mezzo di distanza, tra le tesi di Wendy Brown e quello che potremmo chiamare l'<<incubo di Marx>. Sappiamo che nel sesto capitolo inedito del Capitale, poi non incluso al momento della pubblicazione (r8ó7) nel libro I dove doveva figurare, Marx aveva abbozzato la definizione di <<sussunzione reale> (o <<sottomissione teale>>, reale Subsuntion) della f.orua lavoro al rapporto capitali' stico. Perché Marx decise di mettere da parte questa analisi, dal momento che portava alle estreme conseguenze una ipotesi centrale della sua analisi del capi. tale in quanto îapporto sociale? Probabilmente per ragioni sia politiche sia scientifiche. Ne sarebbero infatti derivate implicazioni disastrose per I'idea di ' una politica proletaria. Abbandonando qualsiasi prospettiva di oryanizzazione rivoluzionaria e di co. scienza collettiva della classe operaia, Marx avrebbe dovuto ripiegare sull'alternativa tr^ un deperimento della politica e una soluzione messianica prodotta dall'annientamento delle condizioni della politica, da cui si era andato viavia allontanando a partire dalle sue consideruzioni giovanili sulla decomposizione della società civile-borghese. La <<sottomissione re' ale> prospettata da Marx nel sesto capitolo inedito significa che il capitalismo non è soltanto un sistema di consumo della forza lavoto, il cui obiettivo è mas' simizzarc la produttività attraverso lo sviluppo di vari metodi di sfruttamento degli operai o di estor' sione di pluslavoro, ma diventa un sistema di (rùpro-

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tluzione delk foua laooro stessa in quanto rnerce, che tende a plasmarne le qualità per renderle utúizzabili e gestibili in un sistema di produzione determinato, condizionando le capacità, i bisogni e i desideri degli individui. Sappiamo che Marcuse, in L'uorno 4 ufltt cliruensione, ha tentato di fornire il corrispettivo psicosociologico di questa tesi marxiana, sostenendo che la previsione molto generale di Marx era ormai entrata nella realtà quotidiana, in particolare nella civiltà dei consumi di tipo americano.

In questo caso, la visione di Marx è indubbiamente apocalittica: I'estinzione della politica, dimensione costitutiva della storia passata, è il prodotto di

una logica economica spinta all'estremo. In modo il discorso sulla de-democîatizzazione, oggi ispirato a Foucault, considera lo stesso fenomeno come il risultato di una determinata logica di potere e <lell'invenzione di una nuova mzionalità culturale. Chiaramente entrambe le rappresentazioni sono ossessionate dalla questione di come le società moderne producano la seruitù uolontaria: non - secondo la de?iniriorr. classica di Étienne de La Boétie (Discorco sulla seruitù uohntaria) - in quanto effetto del fascino esercitato da una figura sovrana dell'autorità (l'Uno o il Monarca), ma in quanto effetto ruzíonale o razio' nalizzabiledi tecnologie anonime, di micropoteri e di comportamenti quotidiani sia dei dominanti sia dei

analogo,

dominati, collocati all'interno di una determinata normalità. Di qui il cortocircuito che si viene a pîodurre tra le analisi della quotidianità e le analisi dell'eccezione (o dello stato di eccezione).

r43


Per questo vediamo nella teoria critica contempo, ranea un generale ritorno ai temi apocalittici, ispirati

da una cefia tradizione marxiana o anche da riferi. menti del tutto diversi: dall'idea che la storia ormai

si^ entîata nel regno del simulacro ontologico o del virtuale, all'idea che la politica, uasformata in biopolitica, abbia assunto una dimensione autodistruttiva che fa della nuda vita l'orizzonte di ogni assoggettamento al potere. Sono le tematiche, rispettivamente, diJean Baudrillard e di Giorgio Agamben. In un certo senso, Michael Hardt e Toni Negri (lrnpero e poi Mohitudine e Cornune) rappresentano il tentativo più interessante di rovesciare in positivo questi temi apocalittici, a partire da un'interpretazione del virtuale come immaterialità del lavoro, ma al prezzo di una estensione illimitata della categoria del biopolitico. L'analisi dei processi storico-politici in corso si ffova dunque a essete intrappolata tra due escatologie, una nichilistica el'alúaredentrice. Si è reticenti a richiamarsi ancora alle lezioni analitiche di Machiavelli, di Marx o di Weber. Ma la questione dei processi contemporanei di dedemocratizzazíone rende necessarie altre considemzioni che appaiono cruciali nella prospettiva che abbiamo assunto di una decomposizione dello Stato nazional-sociale, che la si veda come un fenomeno individualizzabile o come una situazione di crisi emergente sfruttata a proprio vantaggio da determinate fone. E innegabile che esista un legame intrinseco tra I'inversione del corso della rivendicazione democratica e I'intensificazione delle procedure di controllo dell'esistenza individuale, della mobilità r44

geografica, delle opinioni, dei comportamenti sociali, procedure che ricorrono a tecnologie sempre più sofisticate, a livello territoriale o comunicativo, nazionale o transnazionale. Gilles Deleuze a questo proposito ha parlato, nel saggio omonimo, della costituzioqe di una <<società del controllo>>. Pensiamo alle tecniche di <<marcatura> e di <<schedatura>> degli individui denunciate in particolare da Agamben. Queste tecniche si stanno estendendo a una sorta di censimento generalizzato, in tempo reale, degli utenti di Internet (anche con la collaborazione dei social network come Facebook e Twitter, che cominciano a vendere i profili degli utenti alle società commerciali). Ma pensiamo anche ai metodi di classificazione psicologica

applicati all'osservazione dei bambini dal punto di vista della loro <<pericolosità> futura, che in Francia si è proposto di generalízzare nelle scuole (non senza suscitare polemiche), o alle nuove forme di diagnostica psichiatrica comportamentale adottate a detri mento della diagnostica clinica. Sono tecniche tanto più distruttive in quanto minacciano la <proprietà di se stessi>>, che costituiva il fondamento della soggettività del cittadino classico.

D

a

I I' indioidua lisn o

a

I p opu lisrno

Soprattutto non va dimenticato che esiste una contropartita positiva allo sviluppo di queste procedure di controllo: ma che in un certo senso non è meno incompatibile con la forma politica della citta' dinanza. Si tratta dello sviluppo di una nuova etica f45


r L

individualistica della <<cura di sé>> (self-carò, in base alla quale i soggetti devono moralizzarc la propria ' condàtta sottomettendosi al criterio della massima I utilità o del divenire produttivo della loro individua' lità. Non si sottolinea mai abbastanza che Foucault nei suoi ultimi anni ha sviluppato ironicamente il tema della cura di sé, al tempo stesso in un ultimo gesto di rottura con la sua formazione filosofica giovanile e in una prospettiva critica rispetto alla proliferazione che vedeva delle <tecnologie del sé>>. Non ' tenendo presente questo elemento, si rischia di asse' gnare abusivamente I'opera di Foucault all'etica neoliberale, postpolitica. E la posta in gioco di una battaglia tra diverse eredità che a lui si richiamano. Foucault non è certo un socialista, ma non per questo il suo individualismo radicale può essere fatto rien' trare in una dimensione di utilitarismo (che d'al' i tronde è a suo modo una forma di conformismo, se non di collettivismo, in quanto la sua molla è il com' , portamento imitativo dei consumatori e degli oscuto di questa etica mette in evidenza quello che Castel ha definito <<individualismo negativo>>, associato secondo lui allo smantellamento e alla rovina delle istituzioni di sicurezza sociale e delle forme di solidarietà o di socializ' zazione che rendevano possibile l'affiliazione degli individui, attraverso le generazioni, a una comunità di cittadini. L'individuo < disaffiliato >> (o disincorporato>>) - per esempio un giovane proletario senza lavoro né prospettive di un lavoro stabile, migrante o meno - è un soggetto a cui vengono indirizzate

continuamente delle ingiunzioni contraddittorie: deve comportarsi come un imprenditore di se stesso secondo il nuovo codice dei valori neoliberali, dimostrando così un'autonomia di cui tutte le condizioni di possibilità gli sono contemporaneamente negate o inaccessibili. Suzanne de Brunhoff ha ricordato che si deve a Friedrich Hayek la riformulazione del principio dell'óonto oeconomicus nella forma: ogni individuo deve comportarsi come una piccola banca. Wendy Brown da pane sua riprende I'idea di una razionalità neoliberale che incoraggia gli individui a <,dare alla propria vita una forma imprenditoriale>. E lecito chiedersi se lo sviluppo della cittadinanza etica e del volontariato che, per esempio in Italia, tende a compensare, a livello locale, lo smantellamento della sicurez za sociale rifacendosi in molti casi alle tradizioni di carità e di solidarietà cattoliche e anche comuniste, basterà a invertire le tendenze in corso, soprattutto se aggravate da un peggioramento della congiuntura economica e uno spostamento delle attívità produttive verso altre regioni dell'economia-mondo. Da tutto ciò nasce la disperazione, ma anche una e strema violenza contro se stessi e contro gli altti: la violenza della sualorizzazione. E nasce anche una ricerca di comunità compensatorie, spesso fondate sull'immaginario dell'onnipoteîza collettiva (o, come direbberoJacques Derrida e Roberto Esposito, de11'<<autoimmunità>). Comunità del genere sono a|trettanto negative e impossibili delle individualità prodotte dallo smantellamento della cittadinaîza sociale e di quello che sono diventate tendenzialmente

f46

r47

r

,

speculatori).

Il riconoscimento del lato

<<


le comunità statuali. Possono essere costruite su base locale, nella forma di <bande> etnoculturali o micro.

tenitoriali. Oppure possono proiettarsi in uno spazio mondiale, attraverso le reti di comunicazione che le controllano mentre vengono utilizzate, globalizzando I'immaginario religioso o razziale (postcolo. niale). A meno che a dialettizzarc le loro forme di opposizione non intervengano rivolte locali spontanee (ma che comunicaîo tîa loro nella rete di Internet e fanno tesoro dell'esperienza delle generazioni precedenti di militanti). Si ripropone qui anche la questione delle forme che assume e deila funzione che svolge il populismo nello spazio politico contemporaneo. Ernesto Laclau (La ragione populista) ha ragione a sostenere che il populismo in generale non va stigmatizzato o assimilato al fascismo: non soltanto perché ricorrendo a questo termine tipicamente proiettivo in genere si vuole ostacolare la panecipazione delle masse alla politica, ma perché in un certo senso, bisogna ammetterlo, non ci sarebbe popolo in politica senza un populismo, così come non può esserci nazione senza nazionalismo o comune senza comunismo. In tutti questi casi, è l'ambivalenza di questi nomi assegnati alf'azione collettiva che costituisce un problema. Alcune forme di populismo, malgrado la loro equivocità o forse grazie a essa, appaiono come la condizione di una generalizzazione del discorso politico che supera (o integra) la particolarità delle rivendica-

che tenta di riformulare così quello che Gramsci ave-

va chiamato <<egemonia>>. Laclatt ne fa il concetto stesso della politica democratica, e se ha ragione su questo punto bisognerà ammetteîe che lo spettro del populismo ha sempre abitato la dialettica tra insurrezi6ne e costituzione, per il meglio e per il peggio. È piùr che possibile. E forse è, a ben vedete, una delle ragioni che portanoJacques Rancière a diffidare di alcune conseguenze o impieghi della sua formula che definisce la democrazia come <<rivendicazione da parte dei senza-parte>>. Ma ci si deve porre anche la questione opposta, alla quale non esiste una risposta universalmente valida al di fuori delle congiunture: a quali condizioni una modalità populista di identific azione con la co-

munità assente, o comunità immaginaria, diventa (e rimane) un quadro di mobilitazione a favore di obiettivi democratici? Cosa distingue I'uguaglianza (o l'egalibertà), anche utopica, da una logica di equivalenza ra i discorsi e le immagini di cui si servono differenti gruppi per identificarsi in uno stesso blocco di potere? Quando ci si dirà, al contrario, che il populismo in quanto <finzione di comunità> è semplicemente lo schermo su cui vengono proiettate le compens azioni o le rivincite immaginarie figlie della pauperizzazione o della desocializzazione, della produzione di <individui negativi>, della stigmatizzazione e dell'esclusione dei portatori di alterità o di estraneità? Ma si può dire che i due termini dell'al-

zioni proprie a diversi movimenti di emancipazione che mettono in discussione una molteplicità eterogenea di forme di dominio. Questa è la tesi di Laclau,

ternativa si presentino mai veramente separati, di modo che la pratica politica collettiva non si rovi a doverli dissociare praticamente, dando prova di una

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r4g


capacità di mobilitazione e una capacità dí civilizza.

zione grazie a un immaginario determinato dalla

sto proposito possiamo tentare di completare e di attialiizarc le argoment azioni avanzate nei capitoli

Non è possibile separare una discussione sugli efe di. saffiliazione, inclusione comunitaria ed esclusione interna, individualismo negativo e positivo, da quella sulla crisi della rappresentanza nei sistemi politici contemporanei. Incontriamo qui un altro aspetto delle trasformazioni del politico che si possono attribuire al neoliberalismo. Sono state scritte miglíaia di pa. gine a proposito di quello che probabilmente è diven. tato il luogo comune privilegiato della scienza politica contemporanea. Non tutte le àîgomentazioni sono trascurabili, anzitutt'altro, dal punto di vista di una critica della politica nell'era della <fine della politica>>. Sarebbe infatti affrettato, e riduttivo, come in una certa vulgata marxista (o roussoviana), confon. dere la questione della rappresentanza in generale con quella del parlamentarismo, che ne costituisce soltanto un aspetto e una forma storica possibile. E in quanto garanzia dei sistemi politici pluralisti che la rappfesentanza patlamentare è stata pfesen. tata dalla scienza politica liberale come pietra angolare della democrazia, in opposizione alle diverse vaúanti di totalitarismo che cercano di incarnare I'unità organica della comunità in un mitico <<popolo del popolo>: la nazione o la razza o la classe. A que-

precedenti. L'interesse del lavoro di Pierre Rosanvallon (La Contre-d.ernocratie), per esempio, sta nello studio sistematico dei presupposti e dei limiti dell'applicazione della rappresentaîz parlamentare, in particolare nel caso francese. La sua ricerca porta Rosanvallon a tentaîe di incorporare nella democtazia parlamentare, sostanzialmente incompiuta, tutte le forme di <<controdemocrazia>> fondate sulla partecipazione diretta dei cittadini all'amministrazione o alla decisione, in quanto meccanismi correttori, compensatori della sfiducia dei cittadini (o della perdita di legittimità della rappresenta nza parlamentare). Esattamente opposta è la posizione di teorici come Yves Sintomet (II potere al popolo) o James Holston (Insurgent Citizenship), i quali, a p^îtiîe da esempi provenienti sia dal Sud sia dal Nord (i <giurì di cittadini> di Berlino, i <bilanci partecipativi> di Porto Alegre, le <<municipalità di squatter>> di San Paolo), t".riano di esplorare le vie concrete di una <<cittadinanza insorgente>> (insurgent citizenship), di cui I'istituzione rappresentativa è soltanto un polo, anche se indispensabile. D'altra p^rte, è proprio in quanto meccanismo di espropriazione della capacità politica diretta dei cittadini (la loro competenza generale, il loro diritto allaparola,la loro capacità di decisione: tutto ciò che Aristotele chiamava la <<magistratura illimitata>), che la rappresentafiz^ è stata criticata in quanto tale dal comunismo e dall'anarchismo. La crisi del parlamentarismo comunque non ha niente di nuovo, e alcuni dei suoi sintomi sono anti-

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r5r

cittadinanza?

Cri s i d e I la rapp re s e n tan z a e << c o n tro d.en

oc

ruzi a >>

fetti ambivalenti dell'intreccio tra afÍiliazione


chi quanto la sua nascita (in particolarela corruzione dei iappresentanti del popolo che si trovano nella

posiziòne di intermediaù tra i loro rnandatari, i gruppi di interesse economico, le amministnzioni e i éetèntori del potere statuale, e le reazioni antipatla' mentari, cosiddette per I'appunto populiste, che la corruzione genera). Viene da pensare ai rotten bor' ougbs della storia parlamentare inglese del xvrrr secolo quando si leggono gli sviluppi della vicenda delle appr opúazioni indebite di parlamentari brit annici. O all'aÍf.aredi Panama (r8gz) quando si scopre che i partiti politici francesi di destra e di sinistra sono itati fiianziati dalle <( retrocommissioni >> sul traf f ico d'armi o sullo sfruttamento petrolifero in Africa o nel Sud-est asiatico. Ben più interessante, dal punto di vista di una riflessioni sulle antinomie della cittadinanza, sarebbe una discussione sulla crisi d'ella rappresentanza in quanto tale, al di là del meccanismo parlamentare, e èioè come capacità collettiva dei cittadini di delegare il loro poterè a dei rappresentanti ai diversi livelli istituziònali in cui si concretizza il bisogno di una funzione pubblica (quello che gli antichi chiamavo giustamente una <<magistratura> o un <ufficio>), e di controllare i risultati di questa delega. Perché tale capacità di delega fa palte dei diritti fondamentali del cittadini <liberi e uguali> inventati o generalizzati dalla modernità attravetso le rivoluzioni borghesi (Nadia Urbinati, Dernocrazia rappresentatioa). in altri termini, bisogna ritotnare, in una prospettiva democratica , cioè dal basso, allaquestione fondamentale che Hobbes, aLl'alba della filosofia politica mor52

derna, poneva in una prospettiva dallaho, dal punto

di vista cioè di una completa identificazione trala <,sfera pubblica> (comnonweabh) e la potenza so-

vîanai la questione cioè di una procedura collettiva di acquisizione della potenza nella forma del suo trasferimento, o della sua comunicazione.Il che corisponde a ritrovare la dialettica tra potere costituente e potere costituito, tra insurrezione e costituzione, ma questa volta al di là dello Stato, o meglio per sottrazione al suo monopolio politico piuttosto che con il riconoscimento della sua posizione di fondamento. Non è possibile fissare a priori nessun limite e nessuna {rontiera interna a questa dialettica che rimette fondamentalmente in discussione il postulato dell'<ignoranza delpopolo>. Il popolo che non si accontenti di eleggere i propri rappresentanti, ma li controlli effettivamente, è necessariamente il depositario di una competenza, e non soltanto di un'opinione. Non dimentichiamo che nella tradizione repubblicana un insegnante, un poliziotto o un giudice, che siano o meno funzionari dello Stato, sono dei rappresentanti del popolo quanto un deputato, posto che le modalità della loro selezione e gli effetti della loro azione possano essere sottoposti a un conffollo democratico (il che, va riconosciuto, si realizza in modo molto disuguale). Ma una simile rappresentanza eîtîa a far pafte di una costituzione di cittadin nz^ soltanto se, da parte loro, i cittadini in quanto massa hanno una reale capacità di discussione e di giudizio sull'azione dei magistrati>>. La crisi dell'istituzione politica definita con il termine generale di <de-democratizzazione>> non consi<<

r53


ste dunque soltanto nella svalorizzazione di questa o

quella forma di rappresentanza, ma nella squalificazione del principio stesso della rappresentanza. Perché da un lato si presuppone che la ruppresentanza sia diventata inutile, ktazionale, a fronte dell'emergere di forme di governance che dovrebbero consentire di ottimizzare i programmi sociali e le procedure di riduzione dei conflitti, sempre che si considerino utili, e dall'altro lato si proclama più che mai che la rappreseflt^nza è una forma politica impraticabile, pericolosa, nella misura in cui la responsabilità del cittadino soggetto si definisce innanzitutto in termini di conformità rispetto alla norma sociale o di devianza da controllare, ma in nessun modo come qualcosa che si deve esprimere o lasciar esprimere dandole voce (il che equivale a dire che l'<<odio della rappresenta'nza>

è anche una forma di <odio della democnzia>>). La governance neoliberale non si interessa alla riduzione del conflitto in quanto tale: al contratio, tende a relegarlo in zone marginali perché (momentaneamente) non sfruttabili, dove sono stipati gli <<uomini usa e getta>> (Bertrand Ogilvie, L'Honzrne ietable). Piutto-

sto che a riduffe

il conflitto,

questa governance a esacerbarlo, in e dunque tende a strumentalizzatlo, dunque a reprimere alcune zone, e a cúminalizzarlo, in istanza il conflitto ultima lo, in alre. In tal modo e in e rimosso, viene al tempo stesso individualizzato ruolo costituente, ogni caso spogliato a forua del suo che implica I'accesso di tutti gli antagonismi e dei loro portatoi alla sfera pubblica.

r54

B.

Democratiz zarc la democt azia

Nelle pagine precedenti abbiamo utilizzato più volte 1'espressione <<democratizzazione della democrazia>>. E un'espressione che oggi viene adottata da teorici molto diversi tra 1oro, dai sostenitori della <<terza via>> tra liberalismo e socialismo (Anthony

Giddens, Ulrich Beck) ai poîtavoce dell'altermondismo (Boaventura de Sousa Santos). Ma I'espressione ha origini più lontane, e può indicare il movimento che, ricollegandosi alla genesi insurrezionale della cittadinanza (la magistt^tuta illimitata del popolo, la proposta dell'egalibertà, la rivendicazione del <di

ritto ai diritti> contro I'esclusione in tutte le sue forme, la <<funzione tribunizia> dei conflitti e delle lotte), le conferisce la forma di un divenire istituzionale. Un'espressione che si presenta anche come il nome generico di una resistenza attiva ai processi di de-democratizzazione in corso, che costituiscono un rnodo di richiudere la storia della cittadinanza e del concetto della politica che essa designa. Dunque è arrivato il momento, in conclusione di questo saggio, di tentare di sintetízzare tale prospettiva. Per cominciare, ritorniamo alla questione di partenzai perché associare strettamente le nozioni di r55


cittadinanza e di democrazia, in un momento in cui la loro rclazione sembra portare soltanto a problemi senza soluzione? E il paradosso non si amplifica ulteriormente nella misura in cui il termine <<democrazia>> si è completamente banalizzato, arrivando a

coprire praticamente tutte le politiche interne ed esterne (e tutte le <polizie>), e coincide in particolare con I'esaurimento delle capacità e delle virtù tradizionalmente associate con la figva storica del cittadino? Bisogna allinearsi con questo consenso verbale in nome di una democrazia vera, o di una essenza della democrazia che va titrovata, contro le sue perversioni e le sue versioni rattrappite? Sotto la copeîtura di una terminologia dominante che ha finito per soppiantare tutti i nomi dell'emancipazione o della resistenza all'ordine costituito, si tratta di contrabbandare qualche altra categoria (come socialismo, o addirittura comunismo, ma anche populismo o nazionalismo)? Oppure, al contrario, si deve tentare di ribaltare il significato dominante? Bisogna riconoscere che sono tutte domande legittime, e le proposte in questa conclusione vanno viste ^v^nzate come delle sperimentazioni sul senso delle parole e la libertà del loro uso. La situazione si complica ulteriormente se si ammette, come abbiamo fatto in precedenza, che alcuni dei problemi cruciali della democrazia (in particolare quello della distanzafluttuante tra pluralismo e conflitto) riguardano anche la tradizione liberale, e che di conseguenza non è possibile tracciare una linea di demarcazione netta tîa i due atteggiamenti civici democratico e liberale. r56

È ,r.to che oggi una critica dell'ordine costituito, diretta in particolare contro la concentrazione del potere nelle mani di una oligarchia finanziaria, può avere ottime ragioni di di{endere il liberalismo, o di sostenere che il riferimento dominante alliberalismo si è ormai rivolto contro gli obiettivi indicati dai suoi teorici classici (si tratti di Tocqueville, di Stuart Mill, o anche di Montesquieu o di \X/eber). Per un verso, si può constatare una svolta autoritatia o sicuritaria nel funzionamento dei regimi che si presentano come democrazie liberali, svolta che colpisce al

tempo stesso I'esercizio dei diritti civili e il pluralismo, che aveva costituito il punto d'onote del liberalismo come società apeîta (Karl Popper, La società aperta e i suoi nemici): basti pensare alle leggi e alle procedure di eccezione negli Stati Uniti dopo I'rr settembre 2 oo r , o alle restrizioni generaliz zate al diritto di libera circolazione e alla invenzione di popolazioni <illegali> di fronte ai flussi migratori (Alessandro DalLago, Non-persone). Per un altro verso, all'interno del liberalismo ufficiale si ricostituiscono le tematiche del conservatorismo sociale e politico (come quella dell'< individuo pericol oso >> analizzata da Foucault), in nome della di{esa della società e

della moltiplicazione dei rischi, il che porta a confondere di nuovo le categorie del delinquente e del ribelle o dell'indignato. Allo stesso modo, il plurali smo viene messo in discussione in nome della sua difesa, in particolare in campo culturale e religioso, spesso riattivando la vecchia idea secondo cui la libertà non deve favorire i nemici della libertà. Buona parte delle ideologie critiche storiche (in particolare r57


il marxismo) è criminalizzata. Ma soprattutto, a partire dalla tesi di Samuel Huntington (Lo scontro d.ellc ciaihà e il nuouo ord.ine mondiale), secondo cui la parola d'ordine apparentemente conciliante del multi culturalismo nascondeva in realtà uno scontro di civiltà potenzialmente distruttivo per i valori occidentali e la libertà individuale, una buona parte delle religioni universali (e in primo luogo I'islam) si ritrova esclusa apriori dalla molteplicità delle opinioni tollerabili nello spazio pubblico (e a maggior ragione dalle fonti legittime della partecipazione politíca). L'ondata di intolleranza è chiarumente mondiale, e anche se su questo terreno I'Occidente non è sicuramente in prima fila, è lui che pretende di diffondere il modello di una società democratica. La crisi del liberalismo (che come abbiamo visto viene presentata da molti nella forma dell'awento di un neoliberalismo) non è estranea dunque alle riflessioni sui rapporti tra cittadinanza e democrazia, anzi ci riporta direttamente a essi; ma ci suggerisce di inserirli in una prospettiva strategica, piuttosto che in u na pro spet tiva co s titu zionale e s s enzializzant e, propria della vecchia tradizíone della tipologia dei regimi politici, che risale a Platone e Aristotele e che oggi si è spostata sull'opposizione tra democrazia e totalitarismo. La pada <<strategia> non vuole essere un espediente, un gioco retorico o un semplice rovesciamento dell'uso delle categorie contro il loro impiego dominante (come avveniva, in una certa misura, nella tradizione marxista quando si parlava di conquista della democrazia), ma piuttosto un tentativo di comprendere il senso dello spostarnento pet-

riferimenti istituzionali del termine democrazia. Si tratta dunque di un tentativo di far evolvere I'uso dominante del termine, prendendo sul serio le alternative storiche che indica. E più che lecito non credere a una essenz^ etetna della cittadinanza, la cui forma sarebbe stata <<invetrtata>> una volta per tutte dalla rivoluzione dei diritti dell'uomo, e sostenere che esiste un filo conduttore tra un uso e l'altro della cittadirlanza, come pure un legame tra i movimenti di democratizzazione della democrazia che si mani{estano oggi (per esempio il movimento degli indignados spagnoli, o quello deila <<primavera araba>>, o di occupy \Y/all Street) ela <<ffaccia> lasciata dalle insurrezioni del passato, comprese quelle dell'antichità. Le insurrezioni del passato costituiscono in un certo senso dei condizionamenti simbolici che sovradeterminano i condizionamenti materiali delle situazioni attuali (in particolare le situazioni sociali). Per questo, I'abbandono dei termini di <<democrazia>> e di <<cittadinanza>> non corrisponderebbe tanto a un rinnovamento della politica quanto a un ripiegamento di fronte ai compiti a cui la politica si trova di fronte oggi per individuare le forme di autonomia collettiva adeguate alle condizioni della globalizzazione. Su questo punto si può essere d'accordo conJacques Rancière, che dimostra f indissolubilità del rapporto tra concetto di politica e concetto di democrazia. Ma da Rancière ci si deve separare (o inserire le sue intuizioni radicalmente egualitarie in un quadro più dialettico) affermando che l'antipolitica (a cui Rancière, giocando abilmente con l'etimologia, riserva il nome di <polizia>) non è

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rnanente dei


una realtà estranea alla politica (e dunque alla democrazia), ma una sua controtendenzainterna, da cui la democrazia tenta continuamente di dissociarsi e dif-

di compromesso tra I'ordine costituito in fatto di proprietà e di rappresefttaîza e la trasformazione

troviamo qui, ci sembra, qualcosa di analogo all'asimmetria del conflitto, che riguarda al tempo stesso I'esercizio del potere e la forma delle istituzioni, di cui abbiamo sottolineato I'importanza in Machiavelli e nei suoi interpreti contemporanei. Tutto ciò ci porta a incorporare sffategicamente nell' idea di democrat izzazione della democ razia una dimensione di cittadinanza riflessiva, rcIativa alle lotte della propria storia. L'idea in questo modo acquista la validità di un concetto della politica in potenza, ma a condizione di distinguersi chiaramente da altri usi contemporanei dell'espressione, che ne fanno piuttosto una <<teîza via>> o una formulazione

rivoluzionaria. In questo senso, tenteremo ora di de' finire una concezione critica della cittadinanza fondata sulla formula della <democî^tizzazione della democrazia> delineando sette tesi o proposizioni teoriche. Proposizione t. La democratizzazione della democrazia non indica né un processo di perfezionamento del regime democratico esistente, né uno stato che trascende virtualmente qualsiasi regime possibile (nel modo, per esempio, in cui il Derrida di Stati canaglia suggerisce che la democrazia è sempre da venite, il che ne fa un sinonimo della giustizia incondizionata la cui attesa eccede ogni possibilità giuridica o istituzionale); essa indica invece una differcnza rispetto alle pratiche attuali della politica, o meglio ancora: un differenziale che disloca le pratiche politiche in modo da af.kontare ^pertamente la carenza di democrazia delle istituzioni esistenti e da trasformarle più o meno radicalmente. Il cittadino attivo è I'agente di questa trasformazione. Per questo egli mantiene sempre un legame con le nozioni di insurezione e di rivoluzione, non soltanto nel senso di un avvenimento, violento o pacifico, che interrompe la continuità istituzionale, ma anche in quello di un processo che ricomincia continuamente e le cui forme e i cui obiettivi dipendono da condizioni storiche anch'esse in costante mutamento. Proposizione z. Senza una simile trasformazione permanente, non può esserci una veîa democtazia

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rGt

ferenziarsi. È la realtà del conflitto interno, le cui forme evolvono in continuazione, che giustifica ai nostri occhi il ricorso alla cittadinanza, in sovrappiù della democrazia, o meglio in stretta correlazione con questa.

Sotto molti aspetti, il problema terminologico che si pone qui è simile a quello che si poneva a Marx (e lo faceva esitare) nel periodo chiave della sua critica della politic a (trala Critica delk filosofia hegeliana d'el diriuo pubblico del r 843 e il Manifesto del Partito cornunista del r8+8): il nesso tra I'idea di un conflitto politico (o lotta di classe), teso alla conquista della democrazia, e I'idea di un movimento sociale essenzialmente apolitico che avrebbe messo fine allo Stato

politico in quanto potere sepaîato dalle attività e dalle rivendicazioni della popolazione o démos. Ri-


tout court, tranne come ricordo, come mito o come strumento di propaganda. Ma una simile Úasforma. zione deve, a sua volta, trasgredire i limiti e le forme istituzionali riconosciute. Deve, secondo l'espressione di Claude Lefort, contenere una <<invenzione democratica>>. Sul terreno della cittadinanza non esiste dunque nulla che possa assomigliare a uno statu quo: o la cittadinanza avaîza, nel senso che enuncia nuovi diritti fondamentali, al tempo stesso diritti dell'uomo e diritti del cittadino, e li fa entrare più o meno rapidamente nella sfera delle istituzioni (come la sicurezza sociale, il diritto al lavoro, la cittadinanza degli stranieri ecc.), oppure regredi. sce) owerosia perde dei diritti acquisiti (compresi i diritti dell'uomo), o questi si trasformano nel loro contrario, con diverse modalità antipoiitiche autoritarie, burocratiche, discriminatode, assistenziali. Si ftatta di una realtà tanto materiale quanto ideologica, che interessa il rapporto segreto tra i dispositivi di potere e le ideologie di massa (che vanno dal popuiismo alla servitù volontaria), così come le altefi:rar;ze di pohticizzazione e di depoliticizzazione della cittadinanza. Questo significa, in termini chiari, che un dispositivo costituzionale nuovo ha un contenuto civico soltanto nella misura in cui poît^ più diritti e più partecipazione o rappresentanzd degli interessi e delle opinioni dei cittadini di quello che sostituisce: oggi in Europa si vede in modo drammatico la pofiata di questo bisogno. Ma significa anche che la democrazia, nella misura in cui si identifica con la propria continua democratizzazione, esige una decostruzione delle separazioni e

delle esclusioni che erano state istituzionalizzate in suo nome (di nuovo, l'esempio delle donne e degli stranieri è il primo che va menzionato). E questo il problema che si trovano ad affrontare in ogni epoca i nuovi movimenti sociali ancora non riconosciuti o che fluttuano tra la sfera privata e quella pubblica. Ed è anche il problema con il quale

r6z

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si devono misurate i vecchi movimenti sociali (ai giorni nostri il sindacalismo e, più in generale, le organizzazioni del movimento operaio) che si battono per difendere una forma di cittadinanza democratica minacciata (la cittadinanza sociale e le sue ricadute in termini di protezione sociale universale o di diritto al

lavoro, che <politicizzano>> il sociale e <<socializzano>> il politico). Più fondamentale ancora è il problema che riguarda la ffas{ormazione delle frontiere nazionali in un senso anch'esso democratico (cioè in particolare nel senso di una circolazione dei programmi e degli attori tra i diversi territori), e dunque il superamento della sovranità puramente nazionale non soltanto come sovranità statuale ma come sovranità del popolo. È inutile insistere di nuovo lungamente sulf importanza che riveste questa trasgressione della segmentazione territoriale e comunitaúa pet Íat entrare veramente sul terreno della politica (e non soltanto della governance) questioni planetarie ugenti come quelle dell'ambiente, delle migrazioni, dell'utilizzazione delle risorse o dei beni comuni, della pre-

venzione dei conflitti etnici ecc. Proposizione

j.

La lezione comune delle due pro-

posizioni precedenti può essere riassunta riprendendo una {ormula nata dai dibattiti della socialde-


possa essere costîetto a incorporare dei

mocîzrzi^ nel xrx secolo e poi screditata dalle critiche sia dei sostenitori del liberalismo sia dei marxisti

il capitalismo

Bernstein (il padre del revisionismo marxista), nel suo

zione dei îapporti diÍ.orza può spingersi fino a dar luogo a rapporti non mercantili non residuali o compensatori (come la nuova beneficenza neoliberale), ma espansivi: se non addirittura a delie isole di comunismo nel senso classico di un modo di produzione che organizza la totalità della società (e abolisce la politica), o quanto meno a ciò che Hardt e Negri in particolare chiamano <<comuni>> (che non corrispondono semplicemente a dei beni comuni ma a pratiche della società). Il che equivale a inserire nella problematica della cittadiîanz^un elemento di critica del capitalismo che proviene dalla tradizione marxista, ma rovesciando il suo modo di inserimento nel corso delle trasformazioni storiche, facendolo passare dalla condizione di <<risultato>> a quella di <<mezzo>>, o meglio di <<Íona motrice>>. In questo quadro, si potrebbe essere tentati di rifarsi all'idea di una <<rivoluzione nella rivoluzione>>, di cui Régis De-

ri

voluzionari. La formula fu coniata da Eduard libro del 1899 I presupposti del socialismo e i conpiti d.ella socialdcnouazia, in questi termini: <Lo scopo finale ÍEnd.zie4 è nulla, il movimento lBewegungl è tutto>. Questa tesi non era molto dissimile da quella della <<rivoluzione permanente> fugacemente sostenuta da Marx negli anni immediatamente successivi alle Rivoluzioni democratiche (nazionah e socialiste) del 1848 e al loro fallimento, dal quale Marx sperava che i popoli europei si risollevassero rapidamente. A ben vedete, Bernstein non eta un riformista nel senso che cercava un compromesso con il capitalismo (e comunque non più di quanto lo sarà Lenin nel periodo della Nuova politica economica), ma piuttosto un teorico della trasformazione dei rapporti di Í.ona tra le classi. La sua formula per noi è interessante in quanto stabilisce un legame tra la questione della so-

glia di trasformazione e{fettiva di un determinato regime sociale e politico e quella dell'articolazione delle lotte per la democrazia e contro il capitalismo (questione che Gramsci, più tardi e a livello ideologico, doveva definire in termini di egemonia). La formula di Bernstein propone cioè di prendere in considerazione il rapporto storicamente ambivalente che esiste tra lo sviluppo del capitalismo e quello della cittadinanza in alcune specifiche parti del mondo (e forse progressivamente in tutte, tenendo conto delle situazioni concrete: Partha Chatterjee, OIne k cittadinanza), tna avaîza anche, più radicalmente, l'idea che

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che contraddicono la sua logica. La difficoltà sta comunque nello stabilire se una simile ffasforma-

diritti

bray si è servito per caratterizzarc la Rivoluzione cubana all'epoca in cui sembrava promettere un nuovo inizio delle lotte di liberazione dei popoli latinoamericani. Proposizione 4. La democratizzazione della democrazia implica dunque, in senso stretto, che si dia

priorità all'obiettivo positivo di trasformazione del concetto e delle pratiche della cittadiÍr ttza, di invenzione democratica, rispetto all'obiettivo negativo di resistenza e di opposizione ai regimi e alle legislazioni non democratici. Ma questo chiaramente non vuol

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dire che la democratizzazione della democnzia debba essere indifferente a cambiamenti di regime o di rappoîti di forza che facciano aîterare la de-democra-

tizzazione. Con più precisione: paradossalmente, è sempre l'elemento inventivo, affermativo (una nuova concezione della cittadi ttanza, un cambiamento delle

forme di lotta individuali e collettive che costituiscono I'attività politica) che condiziona I'elemento negativo, o la capacità di resistenza alle politiche antidemocratiche e agli attacchi istituzionali contro l'uguaglianza dei diritti e delle libertà. Riroviamo qui una delle lezioni fondamentali dei movimenti insurrezionali del 1968 in tutto il mondo (spesso occultata tanto dai critici quanto dai protagonisti), che si può tentare di riprendere in questo modo: a) La democtazia non si importa dall'esterno in nessuna società, in nessuno Stato, ma si crea o ricrea se stessa a paîtire da pratiche politiche o - secondo I'espressione proposta da Engin Isin e Greg Nielsen (Acts of Citizenship) - da <<atti di cittadinanza> che la fanno esistere materialmente. Tuttavia, citcostanze storiche eccezionali (guerre, crisi economiche, sconfitte, rovesciamenti di una dittatura o di un regime totalitario ecc.) costituiscono condizioni negative nelle quali l'urgenza degli atti di cittadinanza sifa sentire con maggiorc f.orza, e il loro contrasto con la cittadinanza passiva, o la passività senza cittadi' naîa , diventa più evidente. b) La trasf.ormazione democratica di una società o di un sistema economico (come il capitalismo) at' traverso mezzi o procedure non democratiche o.an' tidemocratiche è assolutamente impossibile. È h r66

lezione delle tragedie della storia del comunismo e del socialismo del xx secolo (e dei dibattiti sulla dittatura del proletariato, nei quali il conflitto politico è stato proiettato in una dimensione di simmetria, facendo emergere una teoria e una pratica che istituiva un contro-Stato contrapposto allo Stato), così come dei movimenti di liberazione nazionale antimperialisti. Si ripropone dunque l'idea che una forza o un movimento politico possano democratizzare \a società soltanto se sono, tendenzialmente, pir) democratici del sistema al quale si oppongono, dal punto di vista sia dei loro obiettivi sia del loro

funzionamento interno. c) Sebbene quest'ultima formulazione possa sembrare puramente negativa, in particolare riguardo ai suoi riferimenti storici, in realtà è fondamentalmente positiva o affermativa, in quanto indica che una lotta per la democtaziaè al tempo stesso una esperienza di cittadinanza democratica e un tentativo di allargare gli spazi di libertà e uguaglianza. Questa è una dimensione essenziale dei movimenti insurrezionali o dei processi rivoluzionari del passato, che si riffova nelle lotte di oggi di diversi gruppi subalterni: la loro <capacità di agire> (enzpowernzent) non è soltanto il rovesciamento di un rapporto dif.orua estetno, è anche la capacità interna di liberarsi dei vincoli della disciplina e di prefigurate tîa i (le) militanti I'egualitarismo di una comunità di cittadini che discute, decide e agisce.

5.

Una democratizzazione della democrazia dunque non vuol dire soltanto una trasformazione delle istituzioni, delle strutture o dei rapProposizione

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comunque problematico nella sua realizzazione. Nella terminologia di Foucault (II soggetto e ilpotere), corrisponde al passaggio dall'<< assoggettamento > alla <soggettivazione>> in quanto modalità del governo di se stessi, che nulla dice debba rimanere puramente individualistico. E in ultima analisi implica un superamento della <<servitù volontaria>>, descritta da Étienne de La Boétie.rispetto al governo repubbli' cano, ribaltando conro il suo obiettivo iniziale la critica platonica della tirannia. La servitù volontaria può essere causata dallapaura, che costituisce sicuta' mente uno degli srumenti più potenti: si pensi alla descrizione che fa Hobbes del terrore e del timore religioso (aue) ispkati dal potere sproporzionato del sovîano. Mala paura rischia sempre di trasformarsi in rivolta. La servitù volontaria può anche essere origínata dall' ideo logia, a partire dall'influenza dell'edu' cazione fino a quella degli apparati di propaganda e dei media che condizionano I'opinione pubblica. E infine può derivare dalla libertà stessa, o piuttosto da ceîti uii della libertà che separano l'individuo dalle condizioni della propriaazione, sul modello della de-

scrizione di Marx della libertà del lavoratore salariato, che si può pensare di estendere a tutti gli effetti dell'individualismo nella politica contempo îartea, moltiplicati dal f.atto che sono a loro volta indissociabilì da un conformismo di massa, coltivato dal mondo del consumo e dei media commerciali (come avevano sostenuto già prestissimo i teorici della Scuola di Francoforte). E questo rapporto intrinsecamente conflittuale tra democrazia e servitù volontaria che spiega perché tanti teorici della cittadin^nza democratica abbiano fatto della disobbedienza civile uno degli elementi fondamentali della virtù del cittadino - salvo naturalmente distinguere tra diverse circostanze: la disobbedienza civile infatti contiene contemporaneamente la capacità, di rigenerare la libertà politica e quella di annientarla, in modo antinomico, in particolare quando passa (come indica Hannah Arendt, La disobbedienza ci.uile) dall'esercizio di un diritto individuale a una strategia collettiva di resistenza alla tirannia. Proposizione 6. Una democratizzazione della democrazia è dunque essenzialmente una lotta su due fronti o, in una terminologia meno bellicosa, è un'attività che si svolge contempoîaneamente su diverse scene. L'interesse di un'analisi della cittadinanza come quella che abbiamo proposto, che fa intervenire in successione l'insurrezione, la conquista della cittadinanza sociale e le aporie dell'istituzione del conflitto, sta nel fatto che suggerisce una compresenza di diversi movimenti la cui convergenza non è automatica: i movimenti per la cit-

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porti di potere, ma anche ufl laaoro dei cittadini su se itessi in una situazione storica data. Tende a elimi' nare gli ostacoli esterni, oggettivi, ma anche interni, soggettivi, all'azione e alla partecipazione politica. Anche Marx si dimostrava sensibile a questa dimen' sione dell'emancipazíone quando, dopo la sconfitta delle Rivoluzioni del 1848, nella sua conispondenza scriveva che gli operai avrebbero avuto bisogno di tempo per <<educarsi alla rivoluzione> che intende' vano fare. Questo processo può sembrare circolare, e


{ tadinanza attiva, la partecipazione politica ela tt, mozione delle esclusioni, quelle dei poveri o quelle j che sfruttano le differenze antropologiche; i movi. j menti per la <<controdemocîazia>> (Rosanvallon), o i: 'i, meglio aîcoîa contro gli effetti antidemocratici del monopolio delle conoscenze e della rappresen- j-;, tanza; infine i movimenti che tendono a rasfor. mare in conflitto aperto (e di conse guenza in ri- ! chiesta di riconoscimento) le resistenze e le riven- I dicazionidi giustizia dei gruppi sociali esclusi daila j distribuzione del potere dal canttere monopoli- ? stico di quest'ultimo. Tutti questi movimenti, che li siano basati su una condizione di classe o sulla con- | testazione di altri rappoîti di dominio, diventano <<costituenti>> soltanto se sono al tempo stesso <<in- ,, sorgenti>>. Agiscono in qualche sott; in modo opposto alle garanzíe costituzionali sulle quali insiste continuamente il liberalismo, in quanto puntano a scongiurare il rischio inerente a una sovranità popolare troppo limitata e non eccessiva. i Di qui ú proposizione di sintesi: i Proposizione 7. L'insurrezione, nelle sue diverse i, forme, è la modalità attiva della cittadinaflz^: quella * che la inscrive negli atti. Si può dire dunque che il <<risultato finale> è una funzione del <<movimento>, i. che è la vera modalità di esistenza dellapolitica. E d I tempo stesso non si può pensare che esista un giusto I mezzo tra I'insurrezione e la de-democtatizzazione, o la degenerazione della politica. Insurrezione vuol I dire conquista della democrazia o diritto ad avere ,'i dei diritti, ma ha sempre come contenuto la ricerca (e il rischio) dell'emancipazione collettiva e della po-

tenza che questa conferisce ai suoi partecipanti, in contrapposizione all'ordine costituito che tende a reprimeià questa potenz^.Il momento che oggi viiir-o della storià delle istituzioni della cittadinanza illustra alla per{ezione la radicalità di questa alternativa e l'inceîtezza che comPorta.

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