Baskettiamo Magazine #2 - Gennaio 2012

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LE I NT ERV I ST E V ALE RI E ST I LL

P I ERO BUCCHI

S C U S AT E I L R I TA R D O Mi ritorni in mente

O lt reoc eano

Una canzone per te

L’alfabeto


BASKETTIAMO.COM ...il p

www.baske


portale di chi ama il basket!

ettiamo.com


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R EP O RT E R DREA M T E A M

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Are you a b a s k e t b a l l f a n ? Wo u l d y o u l ik e t o w r ite articles, conduct interviews (audio / video), making movies of games? So, don’t waste time, enters the lock e r ro om , w e a r i n g o u r re p o r te r s j e r s e y a nd get on the court with the colors of the Dream Team B a s k e t t i a m o . c o m We a re l o o k i n g f o r re p o r t e r s f ro m p a rq u e t t h ro u g h o u t t h e w o r l d . G e t i n t o u c h with our editorial and write a mail to reporte r @ b a s k e t t i a m o . c o m

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è cer to l’Olimpia la princi-

pale candidata a togliere lo

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scettro di regina a Siena. Lo

diverrà? Forse sì o forse no,

il tempo, galantuomo, ce lo

i ro di boa per il cam-

pionato, tempo di

primi verdetti, con

conferme, sorprese e delusioni. Le 4 sconf itte incas-

sate da Siena fanno rumore

ma non tolgono alla Piani-

dirà! Intanto mentre chiu-

diamo questo secondo nu-

mero di Baskettiamo

Magazine giunge, neanche

tanto inaspettata, la notizia dell’abbandono, a f ine sta-

gione, di Toti. Basta con il

basket, ha tuonato il patron

giani band lo scettro del co-

capitolino. E prima di lui

e dif f icoltà di ogni genere,

tre da più franchige si odono

lore alle prossime Final Eight

basket è davvero alla canna

banchieri senesi l’avversario

si alza sempre di più ed in

mando. Nonostante infor tuni comanda sempre Siena. E aldi Torino saranno proprio i

da battere. Scorrendo la

classif ica applausi vanno tri-

l’aveva fatto Benetton, mengrida disperate. Ma questo

del gas? Il livello di allarme

tutto questo dai “palazzi” non

si percepiscono segnali posi-

butati a Pesaro che ritorna ai

tivi. La rinuncia a Meneghin,

secondo posto. Per trovare la

nestro tricolore, sarà la pa-

piani alti e chiude l’andata al

maglia nera non c’è molto da pensare... sf ido chiunque a

uomo simbolo della pallacanacea dei mali della palla a

spicchi nostrana? Magari

non indicare nella Milano di

fosse così, il buon Dino

mandato in panne gli scom-

due e anche tre passi indie-

Scariolo la squadra che ha

mettitori. Oggi come oggi non

avrebbe già fatto non uno ma tro.

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DIRETTORE RESPONSABILE

Hanno collaborato:

CONDIRETTORE

Alessandro Delli Paoli

Salvatore Cavallo Andrea Ninetti N inetti REDAZIONE

Vincenzo Vincen zo Centore PROGETTO GRAFICO ItalRe porter ItalReporter

www.baskettiamo.com redazione@baskettiamo.com

Filippo Alessi Lilly Mazzone

Giusepe Mazzone Francesca Mei

Eugenio Simioli Per le fotografie Ciamillo&Castoria

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BORDO CAMPO

Intervista a Mustafa Shakur a cura di Salvatore Cavallo

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FOCUS

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L’ALFABETO DI GENNAIO

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Scatti imperdibili

Il basket dalla G alla O

a cura di Vincenzo Centore DONNE E CANESTRI

Intervista a Valerie Still

a cura di Francesca Mei OVERTIME

Intervista a Piero Bucchi

a cura di Lilly Mazzone

UNA CANZONE PER TE Gentile, tocca a te

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NUMBERS

I numeri della Lega A

a cura di Vincenzo Centore

MI RITORNI IN MENTE

Roma – Milano finale scudetto 1983

a cura di Eugenio Simioli UP&DOWN

Il meglio e il peggio in Lega2

a cura di Giuseppe Mazzone

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OLTREOCEANO

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TIME OUT

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INDOVINA CHI

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a cura di Francesco Alessi a cura di Andrea Ninetti

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a cura di Alessandro delli Paoli

Baskettiamo Magazine è una pubblicazione di:

Per la tua pubblicità su Baskettiamo Magazine scrivi a marketing@baskettiamo.com oppure contatta Arielcom.it tel 0823/354381 Testata giornalistica in attesa di registrazione


B O R D O

C A M P O :

M U S T A F A

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SHAKUR E CASALE VOGLIA DI STUPIRE

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di Salvatore Cavallo

n Italia si è presentato sul parquet di Avellino segnando 30 punti con 11/16 al tiro e 31 di valutazione, firmando così il primo storico successo in serie A di Casale Monferrato. Era il 20 novembre e Mustafa Shakur sbarcava nel pianeta Lega A. Da quel momento il play di Philadelphia si è imposto all’attenzione come una delle più piacevoli novità del panorama cestistico del Bel Paese, attestandosi ai vertici della classifica marcatori ma anche di valutazione complessiva. Ora in Piemonte sognano di non essere semplici meteore nell’universo della massima serie 20 gennaio 2012

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e con Mustafa Shakur nulla è impossibile. Polonia, Spagna, Grecia, Francia ed ora finalmente Italia: come giudica il basket italiano? “In Italia ci sono tanti giocatori di talento e squadre competitive. Il basket italiano è senza dubbio al top in Europa”. Quali differenze ha notato tra il basket italiano e quello degli

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altri campionati europei?

“È duro il confronto perché in Europa l’ultima volta ci ho giocato 2 anni fa. Le Leghe e il talento cambiano notevolmente da paese a paese, mentre il paragone con la Francia è impossibile perché lì non ho giocato abbastanza.”

Immaginava di avere un impatto così importante sul rendimento di Casale Monferrato che

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prima del suo arrivo non aveva mai vinto?

“Sono felice di aver contribuito a migliorare le prestazioni della squadra, immaginavo, tuttavia, di poter aiutare la squadra a vincere”.

I tifosi hanno già visto il miglior Shakur oppure possono aspettarsi di più? “Non credo di aver giocato al meglio, ma lo farò molto presto”.

Quali sono i tuoi

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punti di forza e di debolezza?

“Cerco sempre di aiutare la squadra a dare il massimo quando gioco playmaker o in difesa”.

Un assist o un tiro: con l’ultimo pallone tra le mani cosa faresti? “Qualunque cosa sia utile a vincere la partita”.

Con chi dividi la camera quando vai in trasferta? “Condivido la stanza con

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Stefano Gentile. Penso che sia un giovane play-guardia molto brillante e sono sicuro che un giorno potrà essere un allenatore. È un ragazzo davvero intelligente dentro e fuori dal campo”. È su Facebook e Twitter: quanto le piacciono i social network? “È un grande sbocco per condi-

videre le cose che sono positive e le notizie meritevoli. Ma cerco di non investire troppo del mio tempo nei social media. È un modo per interagire con i miei fan e amici, ma anche per dare gli aggiornamenti ma non una gran parte della mia giornata”.

Il suo sito è dedicato alla fondazione Part of the solution: ci parli di quest’iniziativa?

“È un programma destinato ad aiutare i giovani di Philadelphia attraverso lo sport e i docenti universitari. Speriamo che un giorno possa diventare più di un marchio globale aiutando in una varietà di modi a cambiare la vita”.

Nel suo futuro c’è ancora il sogno Nba?

Sì, la NBA è sempre in cima alla mia lista. Ma non escludo di continuare a giocare all’estero”.

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DAVID ANDERSEN Siena forse non sarà più il rullo compressore delle scorse stagioni ma poi guardi la classifica e i biancoverdi sono sempre in vetta, anche grazie all’esperienza di un campione come il biondo australiano.



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ANDRE COLLINS

Dopo un inizio sopra le righe, la

Caserta di Sacripanti ha vissuto un periodo balbettante che ne ha fatto precipitare le

quotazioni: Collins & company

saranno in grado di rialzarsi?


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DANIELE CAVALIERO Un mese ad alta quota per la Scavolini Siviglia che ha preso a volare chiudendo l’andata al secondo posto in classifica. Saranno i biancorossi la mina vagante in coppa Italia e nei prossimi playoff?


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GIANLUCA LULL I Capitan Lulli come tutta Teramo non ha voglia di vestire i panni della vittima predestinata; gli innesti in corsa sembrano poter garantire agli abruzzesi quel salto di qualitĂ per la lotta salvezza.



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YAKOUBA DIAWARA “Kuba”, parigino di origini senegalesi, è un valore aggiunto per Varese. L’esperienza dell’ex Fortitudo e Brindisi, con tanto di pedigree NBA, servirà per centrare i playoff e provare a superare il primo turno.


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TEO SORAGNA La caduta libera dei piemontesi, passati dalla lotta primato all’esclusione dalla F8 in un mese, potrebbe essersi arrestata con il successo su Milano. Da capitan Soragna è arrivato il buon esempio.



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SZYMON SZEWCZYK Venezia è la 5ª neopromossa a centrare le Final Eight, un’impresa possibile anche grazie al lungo polacco dal nome quasi impronunciabile ma senza dubbio perno di una matricola terribile.


L’alf ab eto d i G E N N A I O L’alfabeto

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di Vincenzo Centore

GENTILE - Mentre papà Nando cerca la quadratura del cerchio a Veroli, il figlio Alessandro ha firmato il contratto più importante della sua pur giovanissima carriera con Milano che, dopo la fine del lock out Nba, ha puntato dritto sulla classe e il talento del figlio di Nandokan per rimpiazzare Gallinari. EMPORIO ARMANI - Partiti con i favori del pronostico, i meneghini faticano a trovare l’amalgama. Dopo una soffertissima qualificazione in Eurolega, 3 sconfitte di fila in campionato la relegano a 4 punti dalla Mps capolista. Scariolo necessita ancora di tempo per sferrare l’attacco ai pluricampioni d’Italia. NONOSTANTE un avvio di stagione da cenerentola della massima serie, la BancaTercas di coach Ramagli ha saputo invertire la rotta e con quattro successi di fila ha lasciato l’ultima, peraltro scomodissima, posizione. Della serie il lavoro (e qualche piccolo aggiustamento di mercato) paga…. NEOPROMOSSA - Coach anagraficamente giovane ma navigato. Tradizione ed entusiasmo della piazza. L’identikit è dell’Umana Venezia, la bella sorpresa di metà stagione. I lagunari hanno assimilato il salto di categoria giocando un basket di estrema qualità meritando anche di staccare il biglietto per le Final Eight. ALEXANDER DJORDJEVIC – Tra infortuni e vicissitudini varie, come la cessione di Gentile e la perdita di Scalabrine, ha dovuto ridisegnare il volto della sua Benetton. Eppure ha saputo firmare un’impresa come quella di espugnare Milano ed ora è atteso dalla prova in Europa per le Last 16 di Eurocup. Timoniere indomito. INDOMITI i campioni in carica. Siena, per la prima volta con volto umano e apparentemente più raggiungibile, si conferma ancora una volta in vetta al giro di boa. Le 4 sconfitte e le difficoltà incontrate dicono che ci sarà un equilibrio maggiore, ma per ora è ancora la compagine di Pianigiani a guardare tutti dall’alto. OTTO le squadre che si giocheranno la Coppa Italia quest’anno in programma a Torino. L’ultimo turno di campionato ha sciolto le riserve e delineato gli accoppiamenti per il lungo week end piemontese. Riusciranno le avversarie a spezzare l’egemonia senese?La prima a provarci sarà la Dinamo di coach Sacchetti.

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“AMO L’ITALIA VORREI TORNARE” DONNE E BASKET: VALERIE STILL

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alerie Still, pioniera del basket professionistico femminile, una storia che ti verrebbe da scriverci un libro. Intanto, un libro, il primo di Valerie come autrice, uscirà a fine mese. E' stata la pioniera assoluta della storia del basket femminile professionistico, ha ottenuto premi e riconoscimenti di ogni genere. In Italia, dove ha giocato nella Pool Comense degli anni d’oro, ha lasciato il cuore e una parte di sé, oltre che tanti amici. E' qui che vorrebbe tornare un giorno non molto lontano. Nel frattempo ha fatto tanto, ha sofferto tanto ma ha anche gioito tanto, perché “godersi ogni attimo” è la sua filosofia di vita. Il suo primo pensiero ora è suo figlio quindicenne, ma buona parte del tempo lo dedica al prossimo, ai più giovani, grazie alla sua fon-

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di Francesca Mei

dazione e alla sua attività con il fratello: il suo “contributo per un mondo migliore”, come lei stessa dice. Giocatrice, musicista, allenatrice, autrice, mamma...cosa fa Valerie Still esattamente adesso

nella vita? “Prima di tutto sono la mamma e il coach di mio figlio Aaron!!! Lui è la gioia della mia vita. E poi sono una autrice, ho appena scritto un libro per ragazzi che uscirà proprio alla fine di gennaio. Sono particolarmente emozionata per questa cosa. Inoltre io e mio fratello Dennis gestiamo un business insieme: una palestra, un campo di allenamento, dove alleniamo giovani e adulti, sia a livello individuale che di squadra. Infine, ho appena iniziato a condurre uno show televisivo a Kansas City. Si tratta di uno show sullo sport dedicato alle donne. E sto anche lavorando a un reality show per lo sviluppo delle prossime star NBA e chissà non possa esserlo proprio mio figlio Aaron. Credo sarà divertente e curioso per gli appassionati seguire in tv la

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nostra vita di tutti giorni e vedere come alleniamo Aaron in vista di una possibile carriera NBA. Detto questo, quello che davvero faccio è prendere il meglio che viene dalla vita, e vivere ogni momento consapevole del fatto che ogni attimo che viviamo è prezioso”. Giochi ancora ogni tanto? “No, non gioco più. Negli ultimi anni della mia carriera professionistica negli Stati Uniti mi sono rotta una caviglia e questo mi ha creato alcuni problemi. Ora più che altro mi piace guardare mio figlio giocare. Ma comunque resto attiva e mi piacciono un po’ tutti gli sport, specie se permettono di stare all’aperto”. E a proposito della tua attività di allenatrice? E' vero che alleni tuo figlio? “Si, sto allenando mio figlio e gli insegno tutto quello che so sul basket, e non solo. Gioca nell’high school, in una piccola scuola privata a Lawrence, nel Kansas. Ha 15 anni e deve ancora crescere e svilupparsi. Ma è alto già 2.05 metri e porta il 49 di scarpe. Adoro guardarlo crescere e svilupparsi come giocatore e come persona”. Esiste una Valerie Still Foundation. Di cosa si tratta? “La Valerie Still Foundation è una organizzazione cui ho dato vita quando ancora giocavo a livello professionistico. E' dedicata a giovani ragazze e ha l’obiettivo di aiutarle ad avere maggiore fiducia nei propri mezzi ed essere a proprio agio con se stesse. Ho voluto in questo modo dare il mio contributo per un mondo migliore, aiutando gli altri appunto. Con questa fon-

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dazione sviluppiamo programmi e organizziamo eventi che aiutano i giovani a crescere e diventare adulti sani ed essere fiduciosi nei confronti della vita. Perché ho creato questa fondazione? Perché amo i bambini e penso sia molto importante aiutarli a raggiungere il loro pieno potenziale”. Qual è la cosa più importante che hai imparato nella tua vita e che vuoi trasferire ai giovani? “La cosa più importante che ho imparato dalla vita è che devi godere di ogni momento ed essere orgoglioso di ciò che sei. Devi trovare la tua passione e non permettere a nessuno di convincerti che c'è qualcosa che tu non sappia fare. Che non bisogna pensare al passato o preoccuparsi del futuro. Che bisogna essere sicuri di dare e di ricevere amore. E anche di non realizzare solo all’ultimo, quando ormai le persone non ci sono più, di quanto poco amore abbiamo dato”. Alleni tuo figlio, segui la fondazione, scrivi, ma lavori anche con tuo fratello. Cosa fate insieme e quanto è importante Dennis per te? “Adoro mio fratello Dennis. Quando mia madre morì, nel 2010, Dennis era con me finché mia madre non esalò gli ultimi respiri. Mia mamma allora rimaneva in vita solo grazie alle macchine e a un certo punto dovetti prendere la dolorosa decisione di interrompere questa procedura. Mio fratello è rimasto con me per tutto il tempo. La morte di mia mamma è stata la peggiore cosa che mi sia mai capitata. E' stata inaspettata. Lei è stata una persona incredibile e ho ancora un vuoto immenso nel mio cuore che mai si rimarginerà. Dopo la sua morte, ho deciso di trasferirmi in Kansas per stare vicino a mio fratello. Lui aveva un campo di allenamento e ora vi lavoriamo insieme per aiutare la gente a soddisfare i propri bisogni di allenamento. Aiutiamo le persone a essere più attive e a godersi il gioco del basket.

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Anche Dennis è stato un giocatore professionista di basket, ha giocato in Francia, in Sud America e nelle Filippine”. Nonostante gli anni trascorsi, detieni ancora due record nell'Università del Kentucky come miglior scorer e miglior rimbalzista. Come ci si sente ad essere una parte importante del storia del basket? “Credo che detenere dei record in uno dei più grandi college per il basket sia un vero onore. Nonostante questo, sono molto più orgogliosa di essere stata una pioniera del basket femminile in generale. Quello che io ho fatto come giocatrice di pallacanestro ha permesso a tante donne di divertirsi giocando e di realizzare I propri sogni di giocare a livello professionale. Ha anche cambiato la prospettiva della nostra società nei riguardi del ruolo della donna. Nel 1982 ho fatto parte del primo campionato NCAA femminile, sono stata una delle prime giocatrici americane a giocare a livello professionistico in un paese straniero, proprio l'Italia, ho fatto parte della prima squadra professionistica femminile di basket ad essere accolta alla Casa Bianca, nel 1982 la squadra femminile dell'Università del Kentucky vinse il campionato SEC e io fui la prima donna ad essere inserita nella Hall of Fame dell'Università, sono stata la prima giocatrice professionista di cui l'Università del Kentucky ha ritirato la maglia, sono stata membro della prima lega professionistica che diede vita al basket professionistico femminile negli Stati Uniti. Insomma, anche se I risultati che ho ottenuto rappresentanto per me tutti un grande onore, sono ancora più orgogliosa dei miei antenati, che hanno lottato contro la schiavitù, contro il bigottismo, contro il razzismo, l'elitarismo, il sessismo, e mi hanno permesso di gettare le basi per diventare quella che sono oggi...” In una intervista hai detto che nonostante I tanti anni passati, ti senti ancora una “Wildcat”...cosa intendi? “Dopo aver studiato all'Università del Kentucky (ho una laurea in veterinaria) ho viaggiato tantissimo per il mondo e ho ottenuto anche il mio master e il dottorato all'Università dell'Ohio. Ma in tutto questo tempo, con l'Università del Kentucky e le WildCats con cui ho giocato, ho sempre avuto un legame speciale. Perché speciale è stato il periodo trascorso lì. Ho ancora tanti amici lì e lì c'è ancora la mia famiglia di Lexington. Ora vivo nel Kansas, vicino all'Università del Kansas, ma amiamo le Wildcats!” Fra tutte le tue esperienze e I tuoi risultati,

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c'è anche la tua parentesi di vita in Italia. Quali sono I tuoi ricordi? Sei ancora in contatto con qualcuno? “I miei anni in Italia sono stati I migliori della mia vita. Ho fatto un sacco di cose incredibilmente pazze, ma ho vissuto la vita in pieno, così come dovrebbe essere vissuta la vita da ognuno di noi. Ho amato uomini incredibilmente sexy che mi hanno fatto sentire altrettanto sexy e bellissima, ho mangiato i cibi più deliziosi, ho bevuto il vino più prezioso, ho visitato alcuni dei luoghi più belli del mondo, ho stretto amicizia con le persone più altruiste e disponibili, ho giocato il basket più incredibile, ho ballato (talvolta per tutta la notte) nei più divertenti club, ho trascorso momenti in cui ho riso tanto e momenti passati a piangere, sapendo che questi mi avrebbero insegnato vivere. I ricordi che ho dell'Italia saranno per sempre impressi nel mio cuore. Quando sto male e sono giù, penso all'Italia e mi sento meglio.

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Ho così tanti ricordi dell'Italia. Come la mia prima esperienza amorosa, che resta ancora molto speciale per me, anche se fu molto complicata, ma mi aiutò a capire tante cose della vita, compreso il fatto che potevo essere amata. La mia famiglia italiana, la famiglia Grossi di Sesto San Giovanni, mi accolse come fossi stata parte della loro stessa famiglia, a loro voglio un gran bene e sono loro riconoscente. Davide Dezan per me è come un fratello, il padrino di mio figlio Aaron. E' stato adorabile nei miei anni italiani e io adoro lui. In Italia ho lasciato tanti amici che mi hanno aiutata a crescere. Proveniendo da una fami-

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glia un po' disastrata e da una America con la sua estrema forma di razzismo, la vita in Italia mi ha insegnato che potevo essere bellissima, amata, importante. Il mio sogno è quello di tornare a vivere in Italia non appena mio figlio avrà terminato l'high school. Molti dei miei amici sono in Italia. L'Italia è magica. Ha fatto di me ciò che io sono oggi. In Italia ho imparato finalmente ad accettarmi per quello che sono”. E gli appassionati di basket italiani ti adorano e ti ricordano con grande affetto. Cosa diresti loro? “Amo l'Italia!!! Devo ritornare!!! Grazie, Grazie, Grazie per tutti i bei ricordi...Ritornero’! Seguitemi su Facebook e fatemi sapere come state!” Fra le tante cose che fai e che hai fatto, suoni anche il

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piano. Hai anche tenuto concerti e fai parte di una band. Come è nata questa passione? “Quando ero molto giovane, mia mamma si rese conto che ero musicalmente dotata e al mio settimo compleanno iniziai le mie prime lezioni

di piano. Ho anche imparato a suonare la tromba, il corno francese, il sassofono, la chitarra e anche il basso. Adoro la musica e suonare strumenti. Mia madre voleva diventassi una musicista. Ho suonato n e l l a b a n d della mia h i g h school e ho iniziato a suonare per cori, tenendo concerti e scriv e n d o

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canzoni quando ancora ero molto giovane. Ho suonato con diverse band, ma l'ultima con cui ho suonato è stata quando vivevo a Columbus, nell'Ohio. Il nome della band è “State of Mind”, suoniamo jazz, R&B, pop e musica cristiana. S u o n o ogni tipo di mus i c a , anche se sono cresciuta con la classica. In Italia a v e v o anche registrato dei dischi...fu molto div e r tente!! Quando suono il pianoforte mi sento vicina a mia mamma. E penso sempre a quanto lei amerebbe ascoltarmi suonare. Era così orgogliosa del mio talento musicale”. Ora però hai appena iniziato una nuova avventura. Sta per uscire il tuo primo libro. Cosa puoi dire in proposito? “Uscirà alla fine di gennaio e sono particolarmente eccitata per questo. Ho iniziato a scrivere questa serie nel 2004, quando stavo attraversando un momento difficile con il mio matrimonio e avevo bisogno di

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fare qualcosa che mi aiutasse a sentirmi meglio. Ho scoperto la storia della mia famiglia ed è stato incredibile. Sono tornata al college e ho preso il diploma in Studi Afro-Americani e anche la laurea in Sports Humanities all'Ohio State University, di cui sono anche stata insegnante per un po'. Dopo la storia della mia famiglia, fra un anno uscirà anche la mia autobiografia”. Hai appunto sposato un ex giocatore della tua stessa università, conosciuto in Italia, Rob Lock, ma hai divorziato e hai cresciuto tuo figlio da single. Come sei riuscita a gestire tutto? “Una delle cose più dure della mia vita è stata la distruzione della mia famiglia in seguito al divorzio. E mio figlio è cresciuto senza l'interesse e l'attenzione da parte del padre. Io stessa sono cresciuta con un padre che non era coinvolto nella mia vita. So bene cosa significa e cosa questo implica. Non volevo succedesse anche ad Aaron ma è successo. Quando sono tornata negli Stati Uniti, che poi fu la decisione del mio ex marito, scoprii che la sua famiglia non era felice che noi due stessimo insieme perché avevo un colore di pelle un po' più scuro rispetto al loro. Quando ci siamo sposati, diventò sempre peggio. E' davvero difficile non essere accettati solo a causa del colore della propria pelle. Questa è una delle ragioni per cui lotto tanto contro il razzismo. So come ci si sente. Quando il mio ex marito abbandonò Aaron e me, fu così doloroso per me vedere Aaron cercare di darsi delle risposte e non trovarle. Ho deciso che finché Aaron non avrà terminato l'high school sarò sempre disposta a fare sacrifici e a ri-

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nunciare a qualsiasi cosa pur di assicurarmi che la sua vita non venga toccata negativamente dal divorzio. Sono rimasta nella stessa casa e nello stesso quartiere finché mia madre è morta, perché pensavo che Aaron avesse bisogno di vivere in maniera stabile e vicino ai suoi amici il più a lungo possibile. Siamo passati attraverso momenti davvero tanto difficili, ma questo ci ha resi ancora più forti. Ci siamo trasferiti nel Kansas dopo la morte di mia mamma per stare più vicini a mio fratello. Dennis per me è stato di grande supporto oltre che una figura paterna per mio figlio. Allena Aaron a basket e lo aiuta a svilupparsi e a diventare un uomo meraviglioso e forte. Adora Aaron come un figlio e lo aiuta in ogni aspetto della vita. Ora Aaron ha ancora due anni di high school e sta frequentando un'ottima scuola che lo preparerà al college oltre che alla vita. Così, io sto iniziando a preparare la mia vita “dopo-Aaron”. Come tu sei importante per tuo figlio Aaron, così tua madre, come spesso hai dichiarato, è stata fondamentale per te. Quali sono I valori che ti ha trasmesso e quanto è stata importante proprio nella crescita di tuo figlio? “Mia mamma era una delle persone più meravigliose al mondo. Ogni cosa io faccia, ogni cosa io abbia ottenuto, ogni cosa di buono che io riesco a produrre è grazie a lei. Mia mamma ha vissuto una vita di lotta e di sfida. Non aveva molto dal punto di vista materiale ma ha cresciuto 10 bambini in una situazione molto disagiata. E sebbene non possedesse nulla dal punto di vista materiale, ai suoi figli ha dato e lasciato le cose più preziose, la convinzione di un mondo in cui tutto è possibile. Mi ha insegnato che ero in grado di fare tutto quello che mi

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mettevo in testa di fare. Mi ha insegnato che non sono mai sola, che c'è un Dio che ci ama e che provvede ai nostri bisogni. Mi ha insegnato che ho avuto tutto e che sono stata la figlia di un re, proprio perché nulla mi mancava. Ha vissuto la sua vita dando l'esempio agli altri. E' stata la più affettuosa, la più disponibile, la più saggia, la più amorevole e bella persona che conosco. E' stata la mia migliore amica, la mia mentore, la mia fan, mia mamma, la mia insegnante, e una nonna incredibile. La persona più forte che abbia mai conosciuto. Quando è morta si è creata nel mio cuore una vera voragine che non potrà mai più guarire. Penso a lei ogni giorno e mi manca molto. Dopo la sua morte, per un po' ho pensato di non potercela fare ad andare avanti, ma ora so che il mio compito è quello di tramandare, attraverso ciò che faccio ogni giorno, tutto quello che mi ha lasciato in eredità. Potrei dire ancora così tante altre cose su mia madre che non basterebbe il tempo e lo spazio per esprimere quello che mia madre ha rappresentato per me. Credo che, se sono una buona mamma per

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Aaron, lo sono solo grazie all'esempio che ho avuto io con la mia di madre”. E il basket? Cosa ha rappresentato per te? Cosa ti ha insegnato? “ L a pallacanestro mi ha i n s e gnato c h e nella vita bisogna seguire la prop r i a p a s sione. Quando ero una ragazz i n a , amavo giocare fuori e amavo giocare a bas k e t . Molti mi dicevano che dovevo fare qualcosa che fosse più “appropriato” per una femmina ma io amavo giocare a pallacanestro. Anche se molto giovane, sapevo cosa mi avrebbe reso felice o volevo farlo nonostante tutto quello che mi dicesse e pensasse la gente. Oggi incoraggio I giovani a seguire il proprio cuore e la propria passione per conseguire I loro scopi sulla Terra. Il basket mi ha insegnato che

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va bene sognare ed è ancora meglio essere consapevoli che un sogno è un sogno, qualcosa che non è così irreale che nessuno può immaginare possa

realizzarsi. Il basket mi ha insegnato cosa

è importante, cosa ti fa sentire vivo e to-

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talmente consapevole del momento che stai vivendo”. A che punto è il basket femminile negli Stati Uniti? “Credo che la palla-

canestro femminile negli States stia facendo bene. Io e mio fratello alleniamo tante ragazze che giocano a basket. Ma la cosa più importante è che queste ragazze facciano qualcosa che amano, che le appassiona e le aiuta a stare bene. Tutto il resto ha poca importanza”.

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OVERTIME: PIERO BUCCHI

BRINDISI RIPARTIAMO INSIEME

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“Qui c’è un progetto serio, rispetto per chi lavora e grande amore per il basket” di Lilly Mazzone

iero Bucchi riparte con entusiasmo da Brindisi alla conquista di un nuovo impor-

tante traguardo: riportare la stella del Sud nell’olimpo del basket. Chiusa a dop-

pia mandata l’esperienza in casa Olimpia Milano, ha scelto in estate un obiettivo

prestigioso ma allo stesso tempo impegnativo, in una piazza da sempre alimentata a

pane e basket che, seppur ferita dalla retrocessione della scorsa stagione, senza un attimo di esitazione, ha rinnovato ad occhi chiusi il patto di sangue con il pala Pentassuglia. Quell’arena che può farti diventare un eroe, ma che può sfollare anticipatamente o con-

testarti sonoramente dopo una sconfitta. Dopo cinque mesi in riva all’Adriatico Bucchi

ha già provato tutto questo. Ha attraversato il tunnel buio delle sconfitte in avvio di sta-

gione, ha dato un calcio alla crisi inanellando sei vittorie consecutive, ha masticato

amaro per tre giornate in fila, prima di riaccendere la luce proprio nella “sua” basket city.

Con l’eleganza e la determinazione che lo contraddistinguono si è calato nella realtà brindisina divenendo un perfetto direttore d’orchestra tanto sugli spalti, pronti ad esplodere ad un suo cenno dal parterre, che per suoi uomini.

Dopo la sua firma in biancoazzurro, nonostante la retrocessione, 2500 brindisini hanno deciso di rinnovare l’abbonamento a occhi chiusi, ignari del roster che sa-

rebbe stato costruito di li a poco. 20 gennaio 2012

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“Sono consapevole di avere una grossa responsabilità nei loro confronti. Questa è l’ennesima prova di fiducia e di amore dei brindisini nei confronti della pallacanestro, della Società e di chi ha sposato questo progetto”.

Perché sentiva la necessità di calarsi nuovamente in una realtà del sud?

“Al sud c’è rispetto per chi lavora. C’è grande amore per il basket, c’è passione, entusiasmo. Il calore di questa gente ti aiuta ad ambientarti immediatamente”. Tra tutte, perché la scelta è caduta su Brindisi?

“Perché il progetto era serio e interessante. C’era voglia di ripartire con una Società solida. In questo periodo di crisi ritengo che sia giusto optare a favore di una realtà solida piuttosto che avventurarsi in situazioni affascinanti ma meno concrete”. Sposando il progetto Brindisi ha scelto di vivere una sfida nella sfida: riportare l’Enel in tempi stretti in serie A con una squadra ‘futuribile’ nuova per 10/10?

ling con il pubblico e la città sembra perfetto?

“Credo che il pubblico abbia capito che la squadra lavora e combatte. Certo, non siamo ancora perfetti perché per tanti ragazzi il contesto è ancora nuovo così come il dover giocare per centrare subito una promozione. E’ necessaria una concen-

“E’ una scelta rischiosa e stimolante allo stesso tempo perché non ci si conosce. E’ la difficoltà

che abbiamo incontrato noi e tutte le squadre ricostruite da zero. Credo ci occorrerà ancora un mese di lavoro prima di colmare completamente questa lacuna, che ci vede svantaggiati al cospetto di chi è potuto ripartire dallo zoccolo duro ereditato la scorsa stagione”. Dopo un avvio tutt’altro che semplice, segnato dagli strascichi della retrocessione, ora il fee-

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trazione e uno sforzo diverso, maggiore, quotidiano. Non tutti sono allenati per questo. E’ il difetto emerso dopo le sei vittorie consecutive: un involontario rilassamento ci ha privato di quella giusta cattiveria che ci avrebbe aiutato a vincere un paio di gare”. Quanto la promozione di Venezia in serie A ha condizionato il campionato di Lega Due?

“Credo tanto, perché molti club hanno co-

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struito squadre competitive ma non così agguerrite per tentare subito il salto di categoria. La promozione della Reyer ha aumentato la pressione sulle contendenti, che di conseguenza hanno più voglia di provarci”.

E’ un campionato ‘anomalo’ quello che stiamo vivendo composto di 15 squadre. Quanto può aiutare o svantaggiare il turno di riposo? “Il turno di riposo è anti-

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patico ma non compromettente per nessuno. In alcuni casi – come successo a noi – ti permette di perfezionare dettagli di gioco e di recuperare un giocatore importante come Matteo Formenti”.

Il campionato di Lega Due è al giro di boa con Reggio Emilia incoronata “regina d’inverno”. Resta l’unica favorita alla promozione diretta o tutto da qui alla fine può ancora cambiare?

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“Credo che tutto possa ancora cambiare. Barcellona è in fase ascendente. Pistoia è una buona squadra ma dovrà trovare nuovi equilibri con l’innesto del nuovo play”. Brindisi ha chiuso in cassaforte la partecipazione alla Final Four, ma quanto le è pesato non vedere la sua squadra in vetta alla classifica al termine del girone di andata? “Non mi è pesato per 39

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presunzione o perché era obbligatorio esserci, quanto perché abbiamo lasciato qualche punto per strada. Con un pizzico di cinismo e di esperienza in più probabilmente l’avremmo evitato. Dispiace, ma sono processi di maturazione che un gruppo nuovo deve affrontare per migliorare e crescere”. Cosa manca a questa squadra oltre al cinismo ed un pizzico di continuità per diventare una perfetta macchina da guerra? “Una squadra che vuole vincere necessita di concentrazione e determinazione in tutti gli allenamenti e nelle partite. E’ quello che ci è mancato sino ad ora sul quale stiamo lavorando”. Qual’ è stata la vittoria più bella e sconfitta più amara di questa stagione? “Le sconfitte sono tutte amare. La vittoria più bella è stata sicuramente quella contro Scafati che ci ha liberati della scimmia che ci portavamo addosso”. Dove può arrivare l’Enel? “Mi piacerebbe creare una mentalità vincente, che è la cosa più difficile da insegnare in questo momento oltre al giocare e difendere bene”. Quali sono gli elementi che conducono una squadra dritta alla promozione?

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“La determinazione, la concentrazione quotidiana, il cinismo”. Come si insegna ad una piazza affamata di basket ad aver pazienza? “Non si insegna. Puoi solo impegnarti a far capire che quello che stai facendo è il massimo”. Brindisi contro Scafati ha conquistato un tesoretto importante che potrebbe diventare prezioso all’ultima giornata (al Pala Mangano l’Enel festeggiò la promozione in serie A)? “Non so di cosa stai parlando!”.

Le foto di questo servizio sono di DAMIANO TASCO fotografo ufficiale dell'Enel Basket

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GENTILE, TOCCA A TE

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e lo ricordate il vecchio gioco del “Se fosse” di Raffaella Carrà? Proponendo una serie di domande, i concorrenti dovevano riuscire ad indovinare il personaggio basandosi su paragoni più o meno indecifrabili.

Ecco, ‘se fosse un film’ sarebbe certamente “Nel nome del Padre”, pellicola del 1993 interpretata da Daniel Day Lewis, che fece incetta di premi Oscar.

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‘Se fosse una canzone’, invece, sarebbe un brano di Luciano Ligabue, neanche a farlo apposta datato 1993, come il film di cui sopra, dal titolo “Quando tocca a te”.

Se non avete ancora capito di chi stiamo parlando, completiamo il quiz indicando la sua ultima città di arrivo: Milano.

Si, stiamo parlando proprio di Alessandro Gentile, l’ultimo talento prodotto dal basket italiano che ha deciso di lanciarsi tra le fila dell’Emporio Armani.

Classe ’92, fratello di Stefano, giocatore della Novipiù Casale e di Imma, giocatrice di A1 e, soprattutto, figlio di Nando Gentile, un pezzo di storia del basket italiano ed europeo e capitano della Phonola JuveCaserta che conquistò il tricolore nel 1991.

Ne sta facendo di strada il ‘piccolo’ Gentile. Da Maddaloni, città natale, seguendo la passione del padre, fino ad arrivare alle giovanili della Virtus Bologna. Dalle ‘V’ nere ai biancoverdi di Treviso con i quali conquista ben due titoli nazionali, il primo con l’Under 18 ed il secondo con l’Under 19, dominando la finale contro Siena con 33 punti. Un talento così promettente non sfugge agli occhi di coach Sacripanti, tecnico della Nazionale Under 20 che conquista, proprio con Alessandro a ricoprire lo spot di guardia-ala, la medaglia d’argento agli Europei del 2010. Gentile cresce sempre di più, perfeziona il proprio gioco ed acquisisce la personalità propria dei grandi giocatori. Quando il padre non è impegnato a svolgere la

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professione di allenatore, è in tribuna a guardare e sostenere il suo ragazzo.

Il passaggio dal settore giovanile alla prima squadra è automatico. Alessandro debutta in serie A con la Benetton e, tra le sue prime partite memorabili, c’è proprio quella giocata al PalaMaggiò.

Nel tempio in cui il padre veniva adorato con un Dio, Gentile segna ben 23 punti mettendo in mostra doti balistiche invidiabili.

La stagione in corso è quella della definitiva consacrazione ma gli orizzonti di Treviso sono troppo ristretti.

“La scelta è o resti fuori o corri per davvero”. Danilo Gallinari ritorna in NBA e coach Scariolo chiama Gentile. La risposta non si fa attendere. “Quando tocca a te, tocca a te” sono le parole del cantautore di Correggio che, evidentemente, sono ben fisse nella mente di Alessandro.

Per crescere e diventare una stella, la destinazione Milano non poteva essere scelta migliore. Un campionato di vertice, un squadra ricca di campioni dai quali attingere esperienza e professionalità, il confronto con i più grandi giocatori continentali, vista la partecipazione all’Eurolega, e la scelta è compiuta. ”Per ogni ora passata in campo e non ti sporchi neanche la maglietta. Ci vuol sudore e un minimo di cuore se non vuoi lo zero a zero”. La sfida è lanciata. Ora è tutto nelle mani di Gentile. Alessandro, ‘tocca a te’.

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di Vincenzo Centore

pionato seppur con

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i punti messi in carniere dalla Montepaschi Siena che le valgono il primo posto al giro di boa del cam-

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sconfitte; miglior attacco della graduatoria quello della Sidigas Avellino che con gli

punti rifilati a Venezia si attesta al primo posto con una media di oltre

71

a partita; in fondo alla

classifica di specialità invece la Vanoli Cremona con una bottino di poco al di sopra dei

punti a gara.

come le sconfitte consecutive per l’Armani Jeans Milano che con lo scivolone di Biella si vede raggiun-

9/9

5

gere da Cantù e Pesaro. Alla squadra di Scariolo non basta la grande prestazione di Fotsis autore di un pre-

gevole

della Otto Caserta negli ultimi

0

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da due punti che coincide con il record dell’intera stagione;

0/17,

incontri e record negativo stagionale gli appena

l’intero secondo quarto della sfida persa a Sassari. come

Bell di Caserta a Sassari

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-7

punti realizzati nel-

la disastrosa statistica al tiro dal campo fatta registrare dalla coppia Usa Collins-

35

la valutazione complessiva dei due mentre di contro miglior performance

della giornata quella di Andre Smith con di

4

invece le battute d’arresto

di valutazione, sebbene ancora lontana dal record stagionale

fatto registrare all’undicesima di campionato da Marques Green di Avellino contro l’Acea Roma.

35

In quella stessa occasione sempre Green balzò al primo posto nella classifica come miglior realizzatore in

40/76

una singola gara con

punti.

al termine del girone di andata la statistica che conferma Nicolas Mazzarino della Bennet

52,6%

Cantù come il re nel tiro dalla lunga distanza. La guardia a disposizione di coach Trinchieri, infatti, con un

ottimo

guida di gran lunga la classifica della specialità seguito dalla coppia trevigiana com-

5/5

posta da Becirovic e Moldoveanu. In una singola partita, invece, resiste ancora in vetta la performance fatta

181

registrare alla tredicesima giornata da Kakiouzis con

dall’arco dei 6,75.

161 151 10,5

i punti totali messi a segno da Giuseppe Poeta, il miglior realizzatore italiano sebbene nel rapporto

16,1

tra partite giocate e punti realizzati è Luigi Datome a guidare la graduatoria con

168

equivalenti a

a partita, seguito a ruota da Alex Righetti fermo a quota

17

i rimbalzi totali conquistati da Viktor Sanikidze leader della specialità con

detentore del record di

punti in 10 gare .

a partita e

rimbalzi difensivi in un solo incontro e conquistati nel match vinto alla penultima

giornata di andata contro la capolista Montepaschi.

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MI RITORNI IN MENTE

BANCOROMA - BILLY MILANO FINALE SCUDETTO 1983 di Eugenio Simioli

Il basket italiano ha vissuto tanti campionati esaltanti, alcuni molto incerti e diverse sono state le sfide diventate poi storia. Gli spareggi Varese – Milano, l’interminabile Milano – Cantù, i derby bolognesi del ’98 e del 2001, ma la “madre di tutte le partite” è certamente gara-3 della finale scudetto del 1983: Roma – Milano. Lo scontro tra le due metropoli assicurò audience e visibilità mediatiche che travalicarono la pur notevole importanza dell’evento sportivo per assumere valenze socio-culturali che erano, sino ad allora, appannaggio esclusivo del calcio in ambito sportivo. I cestisti di quella leggendaria serie erano, ogni giorno, sulle pagine dei quotidiani non solo sportivi, ai due coach – Bianchini e Peterson – veniva concesso il proscenio e la loro opi-

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nione contava anche se si parlava di moda, politica o qualsiasi altro argomento d’attualità. Nella primavera del 1983 la Roma di Falcao, Bruno Conti, Di Bartolomei e dell’Ancelotti calciatore vinse lo scudetto con quattro punti sulla Juve seconda davanti all’Inter; sul parquet Bancoroma e Billy si contesero il titolo in una delle finali più memorabili della storia, riedizione della sfida infinita tra la capitale politica e quella economica, dunque ancora la Roma del ponentino contro lo strapotere del ricco Nord. Reduce dai trionfi di Cantù, all’ombra del Colosseo

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era arrivato il “Vate” Valerio Bianchini, un milanese di Bergamo che aveva già condotto la Stella Azzurra Roma di Sorenson e Lazzari ad ottimi campionati, un personaggio, scrittore e poi libraio, che sfoggiava la sua cultura classica infinita, quindi l’unico in grado di contrastare efficacemente – soprattutto sul piano mediatico e della personalità – Dan Peterson, il grande mini-coach che aveva condotto il Billy al tricolore

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l’anno precedente. In quegli anni il nostro basket non era alle prese con visti, improbabili comunitari di passaporto USA, passaportati ed altre amenità del genere; i due stranieri non offuscavano gli italiani e le uniche bombe note erano (purtroppo) quelle delle stragi terroristiche frequenti in quel periodo. La serie A era divisa in A1 e A2 che, di fatto, interagivano e grazie all’osmosi di fine stagione una formazione di A2, in

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teoria, poteva anche vincere lo scudetto (Rieti ci andò molto vicina, nel 1977, eliminata da Varese in semifinale), mentre retrocedere non era “il” dramma. Diversamente da oggi - che gridiamo al miracolo per i tre accessi alle Top 16, anche se sappiamo che non arriveremo all’atto finale - l’Italia dominava in Europa: la Cantù di Marzorati e del giovanissimo Antonello Riva non aveva “Devotion”, ma vinceva nel 1982 la Coppa dei Campioni battendo il Maccabi Tel Aviv e persino la minuscola Rieti poteva permettersi di trionfare sul Cibona Zagabria nella finale di Korac del 1980.

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Ma ritorniamo a Banco – Billy ed al 1983. Nella primavera dell’82, con il “gruppo dei romani”, il Banco aveva chiuso la sua seconda stagione in A1 con un decimo posto, tutto sommato, deludente. La stagione, iniziata dal compianto Giancarlo Asteo (coach di riferimento del basket capitolino), fu conclusa dal giovane Paolo Di Fonzo cui però non bastò il 53,8% di vittorie per conquistare i playoff. La filosofia societaria nella costruzione della squadra rimase comunque la stessa anche l’anno successivo: in primis la romanità espressa da un nucleo di giovani cestisti, cresciuti nei playground della Capitale, che rispecchiava la stessa natura e mission dello sponsor e che poteva consentire anche ai ragazzi delle borgate di identificarsi pienamente. Il roster fu completato con l’inserimento, dall’A2 di Brescia, di Marco Solfrini, 25enne ala grande, già nel giro azzurro, dalla mostruosa apertura alare. Il capitano era Enrico Gilardi, core de Roma e bandiera della squadra per più di un decennio. La corpulenta guardia – quasi 4.000 punti e leader incontrastato della Virtus – aveva già vinto l’argento olimpico a Mosca nell’80 e avrebbe coronato il suo “anno perfetto” con l’oro europeo di Nantes; Gilardi (oggi 55enne) era il tiratore designato che completava, in modo perfetto, il back – court dei bancari. Sotto canestro c’era Fulvio Polesello, tra i più consistenti di quel periodo, uno dei pochi che si opponeva validamente allo strapotere degli USA e di Dino Meneghin. Centro di 204 cm. da oltre 2.000 punti e 1.200 rimbalzi in A1 in una carriera iniziata a Bologna, sponda Fortitudo, proseguita a Vigevano, ed approdata finalmente nella sua

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città dove, tuttora, dedica la sua vita al basket delle minors. Oltre all’asse play – pivot de noantri i romani del roster erano i… “Roberti”, Castellano e Sbarra, ed una nidiata di giovanissimi che, salvo Valente, in futuro non sarebbero assurti agli onori delle cronache cestistiche (Grimaldi, Prosperi, Scarnati, Sacripanti e appunto Valente). Castellano, il gioiello di Montesacro, l’ala del ’58 che aveva portato il Banco dalla B alla massima serie producendo bottini sempre esaltanti, si ritagliò un ruolo da sesto uomo consistente e con 8,5 punti in 22’ contribuì alla trionfale stagione romana. Sotto le plance Bianchini utilizzò per parte

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ria…oltre che con i dollari, ovviamente!

della stagione Kim Hughes prima di firmare il massiccio (ed anche grassoccio) Clarence Kea: troppo basso per essere pivot e troppo lento per essere ala, ma essenziale per vincere il titolo. Il vero jolly però Bianchini lo pescò durante l’estate convincendo il “folletto nero” Larry Wright, mago del ball – handling, a trasferirsi a Roma dalla Capitale USA (dove aveva vinto l’anello e disputato 343 gare nelle NBA con medie di 8,2 punti in 20’). Con l’uomo di Monroe, n.14 dei Bullets nel draft del ’76, un crack – NBA, che sarebbe stato il direttore d’orchestra ed artefice di tutti i trionfi del Banco in Italia e nel mondo, il Vate sfoderò tutta la sua cultura e lo ammaliò con la sto-

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L’avvio di stagione fu bruciante: sei vittorie consecutive (con un +14 casalingo contro i campioni d’Europa della Ford Cantù), prima del k.o. interno con la neopromossa Cidneo Brescia; l’equilibrio fu il trademark del torneo, ma il Banco tenne botta e chiuse con un record di 22 – 8 che valse il primato ex aequo con Milano. Lo snodo cruciale di una stagione regolare, dominata dall’incertezza e da continui botta e risposta fra le pretendenti al titolo, fu però il doppio confronto con la Billy di Meneghin e D’Antoni a quel tempo USA a tutti gli effetti (fu naturalizzato solo molti anni dopo). All’andata, al PalaEur, la truppa di Bianchini prevalse per 85 – 74 undici, preziosi, punti di scarto solo parzialmente ribaltati a Milano (71 – 63 per il Billy) che portarono in dote la “bella” in casa nella finalissima. Roma e Milano chiusero la regular a 44 punti, con Cantù, Pesaro e Virtus Bologna a 42, ma capaci di qualsiasi impresa nei playoff. La capolista e la sua antagonista, Milano, entrarono in gioco solo nei quarti di finale, giocati al meglio delle tre gare. Il Banco si sbarazzò 2 – 0 della San Benedetto Gorizia di Mario De Sisti che con Ardessi, Mayfield e Tommy Lagarde riuscì a impensierire i romani solo in gara – 2 (6365). Analogo epilogo della sfida lombarda tra Milano e Varese: 2 – 0 per il Billy che a Masnago passò con qualche patema (80 – 81) con la Cagiva della “bestia” Kevin Magee e dell’attuale gm Cecco Vescovi. Il tabellone delle semifinali oppose Bianchini al recente passato (Cantù) e Milano a Pesaro. L’immediato passo falso del Banco – che in gara – 1 uscì sconfitto 67 – 70 dalla Ford di Marzorati e Jim Brewer – pose ine-

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vitabili interrogativi sulle reali possibilità e sulla maturità del team di Bianchini, mentre il Billy maramaldeggiò subito (93 – 71) con la Scavolini slava di Skansi, Kićanović e Jerkov. In gara – 2 però Wright e soci violarono Cucciago con una prova d’orgoglio tipica dei grandi collettivi (66 – 74) e la Scavolini riuscì ad esprimere tutto il suo notevole potenziale con il solito “Kića”, Sly Silvester, Zampolini, Jerkov ed il golden boy Magnifico; le semifinali erano quindi entrambe sull’1 – 1 . Nella bella a Milano Peterson diede una lezione a Pero Skansi (87 – 73), mentre il Banco conquistò la finale trascinata dal folletto di Grambling State (82 – 75); lo scudetto 1983 si sarebbe dunque deciso in sei giorni sull’asse Roma – Milano.

I tre giorni intercorsi tra gara – 3 di semifinale e l’opener dell’atto finale furono segnati da proclami, chiamate a raccolta delle rispettive tifoserie, interviste a tifosi – VIP, ma soprattutto dalla guerra psicologica tra Peterson e Bianchini. Il mattatore di Evanston, usando ogni mezzo, non perdeva occasione per sottolineare le diverse culture, anche sportive, e la naturale propensione ai playoff sua (vantava un record del 62,5% di vinte contro il 52,3% del rivale) e dei suoi Guerrieri, mentre il Vate dava fondo a tutte le sue skills per gestire un roster che, a parte Larry Wright, stava per vivere sensazioni forti ed emozioni inedite. Gara – 1, a Roma, va ai padroni di casa 88 –

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82, ma il retour – match è appannaggio dei biancorossi meneghini che (malizia psicologica) sottolineano il +13 finale (86 – 73) come segno di maggiore consistenza; si arriva così alla finale più sentita di sempre.

19 aprile 1983: da alcune ore 14.348 anime (tuttora record assoluto di spettatori per una gara di basket in Italia) assiepavano il PalaEur. L’impianto ideato e progettato nel 1956 dall’architetto Marcello Piacentini e dall’ingegnere Pier Luigi Nervi – un gigante da oltre 13.000 posti realizzato per le Olimpiadi del 1960 – era un catino incandescente che ribolliva di speranze e timori, di passione e di un mix di sensazioni da shock emozionale. C’è Mike D’Antoni che insieme a Meneghin segnerà tanti record nei playoff tra cui le 27 partite di finale per il baffino di Mullens e le 19 vittorie dell’attuale presidente federale; c’è John Gianelli un paisà brutto da vedere, ma tremendamente concreto; ci sono i gemelli Franco e Dino Boselli (i primi e gli unici a giocare una finale); c‘è l’”ariete di Spresiano”, al secolo Roberto Premier, uno dei più efficaci animali da playoff di sempre e c’è anche il Gallo, il papà di quello NBA, molto più brutto da vedere, ma terribile arma tattica di 2,05 spesso usata dal Dan nei mismatch con i piccoli avversari. Dall’altro lato del campo c’è però un gruppo di uomini che è consapevole di vivere la storia, la gloria e comunque parte della propria stessa vita non solo sportiva; il gruppo indigeno si fonde in modo unico con i due USA

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e Roma diventa un meccanismo perfetto, soggetto ideale di un film sportivo alla “Colpo vincente”. La pancia dei milanesi è piena, ma le motivazioni sono, ovviamente, egualmente forti, lo psicologo Bianchini riesce però a canalizzare meglio le sensibilità dei suoi e Roma prende subito il pallino del gioco. L’identificazione con i tifosi al Palazzo e le centinaia di migliaia che aspettano il trionfo davanti alla tv è totale; nel finale Milano prova a riaprire la partita con un pressing feroce, ma ormai almeno tremila persone hanno invaso il parterre e Gilardi fatica di più a contenerli che a giocare, mentre l’istrione Wright – in campo per tutti e 120’ delle tre finali (record, ad oggi, ineguagliato – ha anche l’ardire di protestare per una palla contestata sul +12 a pochi secondi dalla fine, e Castellano rischia di farsi sommergere dalla marea umana a bordo campo per siglare in contropiede il canestro finale che ferma l’orologio della storia sul 97 – 83 nel tripudio finale. La partita è finita, Roma ha vinto, Milano non ha perso, il boato finale è assordante e scuote il basket italiano che vive un momento esaltante che, purtroppo, non si è ancora ripetuto.

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di Giuseppe Mazzone

Reggio Emilia merita la piazza d’onore di questa speciale rubrica non solo per essere riuscita a laurearsi campione d’inverno del torneo 2011/12 Lega Due - Eurobet: 11-3 è il ruolino di marcia che al momento permette ai reggiani di occupare la prima posizione in classifica con due punti di vantaggio su Brindisi e Pistoia e quattro su Barcellona, in attesa di recuperare la gara interna contro Piacenza. Il merito di questo exploit è da riconoscere a Max Menetti chiamato alla guida della Trenk dopo l’addio di Fabrizio Frates partito in direzione Milano. Gruppo sol i d o , d u e a m e r i c a n i d i s i c u r o a f f i d a m e n t o ( R o b i n s o n e Ta y l o r ) c u i si sono aggiunti italiani di qualità hanno: eccolo il mix che ha r e s o l a f o r m a z i o n e b i a n c o r o s s a i m m u n e a g l i i n f o r t u n i ( Va l e n t i ) e pronta a puntare sui giovani (Giovanni Pini e Riccardo Cervi) per cullare il sogno della serie A.

Barcellona Pozzo di Gotto dopo una partenza a freddo la Sigma del presidente Immacolato Bonina è tornata a viaggiare alle altezze stimate alla vigilia del torneo. Diciotto punti in classifica, una gara da recuperare, cinque vittorie in fila dopo il blitz compiuto a Pistoia servito a suonare la carica a Cesare Pancotto e tutta la sua truppa. 6-1 è il record nel fortino del Pala Alberti ben diverso dal 3-4 collezionato on the road. E’ questo il dato sul quale l’allenatore marchigiano dovrà ragionare per approcciare l’immediato futuro con una nuova dimensione da trasferta, più solida e capace di graffiare indelebilmente gli avversari oltre che il campionato. James Thomas occupa il primo posto assoluto nella collezione delle carambole (166 in 15 giornate, Diliegro in seconda posizione è a quota 124), secondo nella classifica di valutazione (22,67) dietro al compagno di squadra Marigney e la ciliegina

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sulla torta della doppia-doppia 20+20 firmata contro Forlì certificano lo strapotere fisico dell’armadio newyorkese, colonna portante della Givova Scafati imbattibile in casa (8 su 8) ma fragilissima lontano dal pala Mangano (1-7). Infine, il 70.4% s o m m a t o d a l l ’ e x Te r a m o n e l t i r o d a d u e p u n t i e q u i v a l e a m e t t e r e la palla spicchi in cassaforte. Le sirene della serie A si sono fatte subito sentire: Roma attende un segnale da Scafati per far divent a r e g i a l l o r o s s o l ’ e x Te x a s U n i v e r s i t y. C h i v i v r à v e d r à .

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Zare Markovski dopo sedici turni non è riuscito ancora a comprendere quali siano i mali della sua Conad Bologna. La formazione del presidente Romagnoli è giunta al giro di boa con l’etichetta di squadra peggiore del campionato, confermando il t r e n d n e g a t i v o a n c h e n e l l a p r i m a d i r i t o r n o c o n t r o l a T e z e n i s Ve rona. Sei sconfitte consecutive, undici in tredici uscite e l’ultima con quel Robert Hite, scelto per tirare fuori la “Effe” dalle sabbie mobili dell’ultima posizione.

“Markovski è un ottimo allenatore ma lo deve dimostrare ”, ha detto Romagnoli. Dichiarazione che tradotta potrebbe significare, o v i n c e c o n t r o Ve r o l i o p p u r e p a r t i r a n n o i t i t o l i d i c o d a . I n c a l d o c i s o n o g i à Te o A l i b e g o v i c , G i a n c a r l o S a c c o , L u c a B e c h i e i n f i n e Vi n c e n z o E s p o s i t o , c h e p a s s e r e b b e a p i è p a r i d a l l a T v a l l a p a n china!

P r i m a Ve r o l i p a r t i t a p e r v i n c e r e i l c a m p i o n a t o s i r i t r o v a o r a a n a vigare in acque veramente agitate a due punti di distanza dal fondo e con all’orizzonte il primo vero scontro salvezza contro la C o n a d B o l o g n a . L’ a v v i c e n d a m e n t o d i D e m i s C a v i n a c o n N a n d o Gentile, alla fine, ha confermato che il problema dei ciociari non era la guida tecnica, ma solo ed esclusivamente l’assenza d’identità, di reazione, di voglia di vincere dimostrata dai giocatori giallorossi. Con la firma di BJ Elder e le due vittorie consecutive tutto sembrava essere tornato nei binari giusti. Poi, però, il brutto stop contro Sant’Antimo ha rispedito il morale del presidente Zeppieri nuovamente sotto i tacchi. Ci s’interroga sul futuro: i tifosi verolani anche sulla possibilità di poter tifare il prossimo anno per la loro squadra.

Alexander Simoncelli è partito dall’Enel per approdare alla Morpho Piacenza dopo un inizio di campionato da brividi sia nei numeri sia per i ricordi lasciati in dote al pubblico del pala Pentassuglia. Appena arrivato alla corte di Fabio Corbani, non ha perso tempo per dire di tutto e di più ( in negativo) riguardo alla sua ex squadra, per poi ritrattare e affermare che Brindisi è uno dei posti più belli dove poter giocare a basket. Qualcuno gli ha ricordato che ha firmato un biennale? Forse sì!

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TYRON MUGGSY BOGUES Un gigante di 1 metro e 60 di Francesco Alessi

Sappiamo tutti quanto sia importante l’altezza nel basket, almeno a carattere gen e r a l e p e r ch é per qualcuno il discorso è, oppure è s t a t o , l e g ge r m ente diverso. Basti pensare all’attuale playmaker della Sidigas Av e l l i n o , t a l e M a r q u e s Green da Philadelphia, Pennsylvania, che con i suoi 165 cm domina nel campionato nostrano con cifre attorno ai 15 punti e 7 assist ad allacciata di scarpe con l’aggiunta di 4.3 rimbalzi portati giù 20 gennaio 2012

ogni domenica. Gli esempi non si fermano qui e possiamo far riferimento ad un’altra vecchia conoscenza dei nostri parquet, ovvero Earl Boykins, visto a l l a Vi r t u s B o l o g n a n e l l a stagione 2008/2009, che con lo stesso numero di centimetri dell’avellinese h a a v u t o u n a s i g n o r a c a rriera in NBA con numeri che parlano di 644 partite complessive giocate a 8.9 punti e 3.2 assist di media. Uno dei piccoli grandi uomini che ha fatto la storia

dello sport inventato da James Naismith è sicuram e n t e s t a t o Ty r o n C u r t i s B o g u e s , d e t t o M u g g s y. I l personaggi o in quest i o n e è nativo di Baltimore, Maryland, dove vide la lu c e il 9 gennaio del 1965 ed è a l t o , s e c o n d o d a t i u ff i c i a l i , a p pena 1 metro e 60, anche se alcuni gli attribuisco no a ddirittura 2 cm in meno. La sua carriera cestistica parte dalla Dunbar High School, dove si trova al fianco di futuri giocatori NBA come R e g g i e Wi l l i a m s e R e g g i e 54

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L e w i s e d l ì c he gli viene a ff i b b i a t o i l s o p r a n n o m e d i M u g g s y, u n p e r s o n a gg i o m o l t o d u r o e ostinato di uno dei film dei Bowery Boys, molto popol a r i ol t r e oc e ano. Dopo alcune stagioni trionfali con i Poets, nel 1 9 8 3 a p p r o d a a l l a Wa k e Forest University (che sarà poi frequentata a n c h e d a Ti m D u n c a n e Chris Paul), giocando tu tte e q u at tr o le stagioni n el l ’ a t e n eo d el North Carolina con le cifre di 11.3 p u n t i e 8 . 4 a s sist n ell’anno d a j un i o r e 1 4 .8 + 9.5 assist nell’ultimo anno universitar i o . N e l 1 9 8 6 Muggsy si tog l i e a n ch e l a soddisfazione d i v i n c e r e l ’ o ro a i mondiali di Spagna battendo in finale l’URSS per 87-85 e l’anno seguente inizia finalmente la sua avventura fra i professionisti. B o gu e s v e nn e scelto con la 12esima chiamata assoluta d ai Wa s h i ng t on Bull ets con cui mise insieme 5 punti e altrettanti assist a partita nell’anno da rookie, in poco p i ù d i 2 1 m i n u t i s u l p a rquet. Ai Bullets ha come c o m p a g n o M anute Bol, 231 c m , c o n c u i a ppare anche in tre copertine di magazine che volevano sottolineare l ’ e n o r m e d i ff er enz a di cen t i m e t r i f r a i due. Nel 1988 Muggsy lascia la capitale per approdare 20 gennaio 2012

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agli Charlotte Hornets, che lo scelgono appena arrivati in NBA. Il piccolo uomo arrivò nel team del Nor th Carolina per effetto dell’expansion draft, ovvero una sorta di draft speciale per i team che accedevano al campionato per la prima volta (anche M i a m i e n t r ò c o n C h a rlotte), con i Bullets che lo lasciarono libero di essere scelto da uno dei due team. Con le vespe giocò 10 stagioni mettendo al servizio del proprio team le sue grandi qualità di passatore, ruba palloni e la sua incredibile velocità e raggiunse tre volte la post season con 15 par tite complessive giocate nei p l a y o ff c o n l a c a n o t t a degli Hornets, dopo la sua unica apparizione nel post season nell’anno da rookie con i Bullets. Inoltre

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chiuse due stagioni in doppia cifra nel computo degli assist con 10.7 nell’89/90 e 10.1 nel 93/94, annata in cui non solo mise a segno anche 10.8 punti, chiudendo l’intera stagione con una “doppia doppia” di media, ma riuscì anche nella clamorosa impresa di piazzare una d elle sue 39 stoppa t e e f f ettuate in carriera n i e ntemeno che a Patrick Ewing, pivot dei New York Knicks alto 2 metri e 13 centimetri. Dopo Charlotte dispu t ò d u e annate a Golden State, dove a r r i v ò ( c o n To n y D e l k ) i n cambio di BJ Armstrong, e a l t r e d u e s t a g i o n i a To ronto. Ed è proprio in Canada che Bogues chiuse la propria carriera NBA dopo 889 partite complessive in cui ha scritto 7.7 punti e 7.6 di media, pur essendo stato spedito prima a New Yo r k e p o i a D a l l a s s e n z a però giocare neppure un minuto in entrambe le esperienze. Muggsy è quindi l’esempio vivente di come qualsiasi limite possa essere superato e lui sicuramente è riuscito nell’impresa alla grande prendendo slancio da quei miseri 160 centimetri .

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di Andrea Ninetti

E’

andato in archivio un girone

ha letteralmente preso a volare andando

brato e combattuto come

piazza

d’andata mai così equili-

quest’anno. Certo, come già spesso sot-

a conquistarsi con assoluto merito la d’onore.

Degna

di

citazione

anche la Reyer di Andrea Mazzon, che

tolineato, si tratta di un livellamento

non solo onora la ritrovata serie A ma

quelle che dovevano essere le forze

Eight, quinta neo promossa a riuscire

verso il centro, con l’imbarbarimento di

centra anche il traguardo delle Final

trainanti del torneo, Siena e Milano, che

nell’impresa. Certo, la compagine lagu-

con qualche problemino interno e con

tivo salvezza ma per qualità di gioco

invece si ritrovano a dover fare i conti

nare naviga sempre puntando all’obiet-

una pattuglia di agguerrite rivali che in

espressa e solidità mostrata, si può pro-

prio livello di competitività, arrivando a

preventivato ad inizio stagione.

quest’ultimo periodo hanno alzato il prosfiorare anche il primato dei toscani. E’

il caso di Bologna che persi Homan e Mc

nosticare qualcosina in più di quanto

Tutto sommato assistiamo quindi ad un

Intyre ha trovato in Vitali e Lang due

campionato combattuto, dove le tre

mente in orbita il play Poeta e l’ex capi-

anche per via delle tossine accumulate

buone alternative lanciando definitivatolino Gigli. Se si aggiunge poi il buon

rendimento di Gailius, Douglas–Roberts

e la consacrazione di quella che perso-

nalmente reputo la miglior ala della serie A, il georgiano Sanikidze, ecco che

il cocktail a disposizione di coach Finelli

può risultare ubriacante per molte avver-

sarie.

Pioggia di complimenti anche per la

scintillante Pesaro che nell’ultimo mese

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grandi non sono irraggiungibili, forse in Europa, mentre non esiste una vera e

propria squadra materasso in coda e la

lotta per non retrocedere potrebbe tra-

volgere, di qui a breve, anche le formazioni che occupano la classifica dal nono posto in giù. tronfio

Il nostro movimento però non può

andar fiero solo perché tre club hanno

centrato le “Top 16” di Eurolega o per-

ché la corsa tricolore si è fatta improvvi-

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samente intrigante. Come ha eviden-

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serie A con la formula del “5 + 5”, ossia

ziato recentemente il Presidente del

senza più distinzione fra comunitari ed

ormai siamo giunti ad un punto di non ri-

verso tema dell’eleggibilità, un problema

Coni, Gianni Petrucci, si capisce che

torno ed è scoccata l’ora di guardare in

faccia ai problemi piuttosto che rifugiarsi

extra cancellando al contempo il controche in Spagna hanno già superato attri-

buendo lo status di “formato” a tutti quei

dietro soluzioni protezionistiche che pe-

giocatori (teoricamente di qualsiasi na-

chiedendo spiegazioni alla nostra Fede-

fascia d’età compresa fra i 14 ed i 20

raltro l’UE ha sonoramente bocciato, razione circa i regolamenti imposti in

tema di eleggibilità dei giocatori per la Nazionale.

La Commissione Europea infatti, con la

nota recapitata in Fip ad inizio del nuovo

anno, ha etichettato come discriminato-

ria nei confronti degli atleti, comunitari e

italiani, la regola che prevede l’utilizzo

obbligatorio di 5 giocatori italiani di formazione, cioè con 4 anni di trafila nei

settori giovanili, ed eleggibili per la Na-

zionale; norma selettiva, parafulmine utilizzato per proteggere i talenti nostrani

(nemmeno si trattasse di panda in via di estinzione) che però non regge davanti

all’evidente conflitto con la libera circo-

zionalità) che abbiano maturato, nella

anni, un minimo di 3 stagioni nelle giovanili di un qualsiasi club iberico. Altra

idea paracadute potrebbe essere l’allargamento del roster da 10 a 12 giocatori

con 5 italiani, 4 comunitari e 3 extraco-

munitari, ma sono già in molti a preve-

dere poi un massiccio utilizzo dei soli 7 giocatori non indigeni, in barba allo

sbandierato protezionismo degli italiani,

un sistema che ha avuto un impatto decisamente nullo nelle ultime stagioni, almeno a giudicare dai risultati ottenuti sia in campo internazionale (Nazionale e club), che in termini di puro minutaggio dei nostri cestisti.

In questo clima di indecisione, l’unica

lazione dei lavoratori nell’Unione Euro-

certezza sarà il Consiglio Federale del

per i giocatori extracomunitari rischia di

vertici della Federazione e della Lega

pea. Inoltre attribuire una quota limitata

penalizzare tutti gli atleti dei Paesi stra-

nieri che hanno accordi di pari trattamento lavorativo con la stessa UE.

Come si esce da questo pastrocchio?

Una soluzione, caldeggiata dalla Federazione e appoggiata anche dalla GIBA,

l’associazione dei giocatori, prevede una

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prossimo 3 e 4 febbraio, incontro in cui i dovranno addivenire ad un compro-

messo che garantisca alla Commissione

Europea le risposte adeguate per chiudere la querelle salvando il patrimonio

nazionale, ma finalmente nel pieno rispetto delle regole.

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INDOVINA CHI


INDOVINA CHI…?

22.3.66 sembra una moltipli-

cazione ma è più semplice-

mente la sua data di nascita;

attuale vice allenatore in una franchigia NBA, il nostro personaggio misterioso è

stato un grande campione del parquet indossando diverse canotte di prestigio, da

quella dei Celtics a quella di

Miami, passando per Orlando e Philadelphia fino a vestire

la mitica giallo viola dei Lakers, squadra con cui ha vinto per ben tre volte

l’anello NBA. Nel suo ricco

passato tinto principalmente a stelle e strisce c’è anche

una parentesi italiana o, per L nUaZ vI O m e g l i o LdAi rSe O , u a cNaEn zAa r o m a n a … a vPeAt eG cI N a pAi tXo Xd i c h i s i tratta?

B R I A N

S H O W


Sul prossimo numero online il 16 febbraio 2012 da non perdere uno Speciale Final Eight


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