Psicomagia dell'abito

Page 1

PSICOMAGIA DELL’ABITO

I miti nordici, le fiabe, oggi.


Accademia di Belle arti di Firenze Scuola di Pittura Prof. Gianantonio Stefanon

“PSICOMAGIA DELL’ABITO: I miti nordici, le fiabe, oggi” Tesi di laurea di Michela Bottoni Matricola n: 4232 Cattedra di Anatomia Artistica Relatore prof. Angela Nocentini


Sommario

INTRODUZIONE I VICHINGHI, ACCENNI STORICO-CULTURALI

• • •

Organizzazione Abbigliamento Tradizioni e riti YGGDRASYL, GLI DEI, IL RAGNAROK • Ginnungagap • Yggdrasil • Ragnarok ABITI PORTENTOSI • Bersekr e Úlfhéðnar • Odino • Il mantello • Thor • La cintura • Loki • Freya • La collana • Heimdall • Le calzature • L’anello MILLE E UN ABITO Facciamo ordine I SEI CIGNI, I FIGLI DI LIR I figli di Lir I sei cigni POLLICINO • Pollicino IL VESTITO NUOVO DELL’IMPERATORE PROTEGGERSI LA CRESCITA E LA STORIA MODA E PSICOLOGIA CONTAMINAZIONI PERÓ IL NERO SFINA

• • •

I 2 3 3 9 9 12 16 19 19 20 20 21 21 21 21 22 22 22 23

26 27 29 30 32 35 35 40

45 49 52 56

62


INTRODUZIONE


Ero solo una bambina quando, seduta davanti alla tv col mio bisnonno, che amava i documentari, mi ritrovavo sempre ad immaginare le antiche civiltà a partire dall’abbigliamento. Con mia sorella e mia cugina, che avevano due anni meno di me, nei lunghi pomeriggi passati insieme, eravamo solite organizzare dei piccoli spettacoli teatrali. Io non recitavo mai, ero sempre regista, sceneggiatrice e costumista. La nonna si dilettava, come tutte le donne del paese, nel cucire tende e cose semplici per noi bambine, come gonne e piccoli grembiuli, e la nostra vicina, Sesè (Teresa) faceva la sarta, per cui in casa c’era sempre qualche scampolo di tessuto che si prestava alle nostre messe in scena. Bastavano quei piccoli travestimenti a portarci in un altro tempo, in chissà quale posto. Greta, mia sorella aveva anche un sacco di Barbie, ed io, più che giocarci mangiavo loro i piedi e passavo molto tempo a creare per loro dei vestiti di carta, o di tessuto, tagliando all’occasione anche i capelli, e costringevo Greta ad ambientare i suoi giochi in scenari paradossali in cui i dinosauri di plastica interagivano con le bambole vestite come Wilma Flinstones. Per un certo periodo ci mandarono a scuola di danza. A me non piaceva. L’unica nota positiva di quella esperienza furono i tutù, in particolare non mi riferisco a quello rosa, tradizionale, con il gonnellino in tulle, quanto ad uno giallo, a maniche lunghe, con dei velini morbidi che ricadevano sulle gambe. Io lo indossavo ed andavo a trovare la mamma al negozio di generi alimentari; mia nonna mi giustificava con i paesani :- aì chessa ch’ s’è uluta mett’- (guarda questa che s’è voluta mettere) ed io sentivo di avere la forza (e anche la missione) di un Power Ranger (quello giallo era anche il mio preferito). Ricordo anche che gli armadi di tutti, in casa, erano a mia disposizione. Rubavo le cravatte di mio zio e ne facevo delle cinture, le maglie da lavoro di mio padre diventavano vestiti e giocavo a fare la diva con gli abiti dismessi della nonna, oppure immaginavo pic nic sul pavimento indossando i vestiti svolazzanti di mia mamma, quand’era una ragazza; quando, per tradizione, la terra era ambiente di lavoro e non di sollazzo ed il pic nic stesso si riduceva, nella realtà, al massimo, in una merenda agricola in periodi, come la raccolta delle olive, in cui bisognava passare l’intera giornata fuori casa. Alle recite scolastiche non volevo, invece, mai partecipare, un po’ per timidezza, un po’ perché non amavo la sensazione che mi dava il travestirmi da ciociara, costume che nella mia testa, probabilmente, associavo all’anzianità.

I


Non ero una bambina socievole (non mi reputo una persona socievole) e preferivo stare sola e fantasticare. Passavo ore, nel giardino sotto casa, a fare intrugli con l’acqua ed i fiori, a dondolarmi sull’altalena o a guardare cosa si nascondeva nei tronchi degli alberi. Ero magrissima, con i capelli sottili, pallida, distratta, avevo la testa sempre altrove e non mi dispiaceva essere diversa, tutto sommato, anzi, non facevo niente per esserlo meno, tanto che disdegnavo i giochi degli altri bambini, caratterizzati da una fantasia stereotipata, come “mamma e figlia” o “il lupo mangia frutta” e durante l’intervallo disegnavo, sui fogli che mio nonno mi portava da lavoro, con i fiori. I vestiti li sceglieva per me mia madre, alcuni mi piacevano, ma ricordo bene quanto mi frustrasse il doverne indossare altri, che non mi rappresentavano affatto. Durante il periodo delle scuole medie ricordo che avrei voluto sembrare più simile a tutti, ma all’epoca ero abbastanza robusta e ciò che andava di moda non mi si addiceva affatto. Ero molto insicura. Il liceo furono l’inerzia e la svogliatezza a prendere il sopravvento, ma devo dire che mi sentivo abbastanza in pace indossando qualsiasi cosa fosse nero (per quanto riguarda le maglie) o di jeans (parlando di pantaloni). Quando veniva Natale e mio nonno mi vedeva con la gonna esprimeva la sua gioia con un:- Mò ci!- (adesso si) speranzoso che io avessi ritrovato la femminilità perduta. Però avevo dei cappotti strani, e uno, dai richiami militari, a doppiopetto lo uso tuttora.

I


Una considerazione a parte devo farla per quanto riguarda le scarpe. Non ricordo un momento della mia vita in cui io non abbia posseduto degli stivali di pelle, pesanti e resistenti con cui affrontare l’inverno e che non avrei tolto nemmeno d’estate, se non me l’avessero imposto. E non c’è niente che mi faccia sentire forte (perché coperta nella mia vulnerabilità) come uno stivale. Invece, scalza, riesco a stare solo in casa, mi fa sentire indifesa, intimorita all’avvicinarsi di un animale o all’approssimarsi, sulla strada, di un sasso. Questo, forse, perché in un episodio che ho completamente rimosso, ma che mi è stato raccontato un cane mi morse il dito di un piede. Posso quindi dire di essere stata da sempre affascinata dal mondo del vestito e dalla sicurezza che poteva donare a chi lo indossasse, la capacità di ampliare le facoltà umane, di donare fiducia in se stessi, di far sentire chi lo indossa invulnerabile. Ho cercato, in questo mio lavoro, di avvalorare la mia tesi collegandomi alle storie di vestiti magici che si trovano nella tradizione mitico-fiabesca dei popoli di tutto il mondo. Ho scelto il mito nordico per un mio particolare interesse nei confronti della civiltà vichinga, composta da uomini che furono capaci di sopravvivere ad un clima rigido con determinazione, sfruttandone tutte le risorse; concetto racchiuso nel termine bòndi, che designava ogni uomo delle terre del nord che fosse abile nella caccia e nella pesca, buon agricoltore, mercante e guerriero. Vichingo era colui che prendeva parte alle spedizioni marittime, che fossero di carattere commerciale, o volte alla conquista di nuovi territori. I vichinghi furono abili artigiani e non si può negare che ebbero un grande senso artistico; furono, da sempre molto attenti all’abbigliamento: i capi erano abbondanti, data la rigidità del clima, ma anche coordinati, e numerosi accessori di metallo finemente lavorato arricchivano il costume. Ammirabile era anche l’apertura di questi popoli al cambiamento ed alle influenze esterne: i vichinghi sposarono spesso donne appartenti ad altre civiltà e la vocazione mercantile portò a numerosi scambi.

II


Non dimentichiamo che parte del Pantheon norreno era composto da dei di origine indoeuropea e che, giunti in Europa, dalla fine del X secolo, i vichinghi, accettarono di convertirsi al cristianesimo. Inoltre i popoli del nord avevano valori molto alti: coltivavano tra loro amicizie fraterne, avevano molto rispetto del sentimento amoroso e della donna, tenevano fede ai giuramenti, agivano secondo la legge ed aveavo un profondo legame con la natura che nelle terre del nord si manifesta (tutt’ora) in tutta la sua potente bellezza, tanto che anche gli dei, che non sono immortali, devono sottostare ad essa ed andare incontro al loro destino. In attesa del Ragnarok essi vivono un’esistenza non esattamente tranquilla. Godono si di grandi agiatezze, ma hanno dovuto faticosamente conquistarle, Odino, il padre degli dei, dona un occhio per dissetarsi alla fonte della saggezza, ed apprende il segreto delle rune e della divinazione restando per nove notti (il tempo nella cultura nordica si conta in notti e non in giorni) appeso a testa in giÚ all’albero del mondo Gli dei sono inoltre sempre impegnati a bisticciare tra loro e nella lotta contro i giganti. Riuscire nelle loro imprese non sarebbe cosÏ facile senza i loro oggetti magici e gli abiti portentosi...

IV


Dal mito alla fiaba il salto è breve, e non a caso gli scrittori di fiabe più famosi sono nord europei; i vestiti di queste storie sono così presenti nelle nostre vite che nemmeno ci facciamo più caso. Io, che ribadisco il mio amore per gli stivali mi sono spesso sentita chiedere, da qualche amico in vena di battute, se fossero quelli delle sette leghe, e non dimentico la battuta d’una mia amica, che una sera, vedendo una ragazza non particolarmente alta indossare un paio di grossi stivali disse:- Ecco il gatto con gli stivali!- e tutte le ragazze (beh, tranne me) avranno sognato di conquistare il loro principe, rigorosamente azzurro, indossando un vestito bello quanto quello di Cenerentola. In fondo è la sicurezza in noi stessi, che quasi ossessivamente ricerchiamo in ogni indumento e chi può dire che sia il luogo sbagliato in cui cercare. Si può cambiare vestito, alla ricerca di quello adatto, sceglierlo secondo l’umore o le proporzioni fisiche o anche, farsi cambiare dal vestito.

V


VI


ACCENNI STORICO-CULTURALI Invero la violazione di un giuramento getta sempre una lunga ombra sul proprio cammino, poichÊ in tal modo ci si è difesi dal male con un male peggiore, e chi tradisce la parola data arriva prima o poi a versare sangue che dovrebbe considerare sacro.

Vikings - Tom Lovel

I miti nordici - Gianna Chiesa Isnardi

I VICHINGHI


Nell’immaginario comune i vichinghi sono dei rudi guerrafondai, in realtà, quella in cui vivevano era più verosimilmente una società di uomini possenti e individualisti, consapevoli però che la loro forza non poteva prescindere dalla comunità. D’altra parte questo popolo occupava territori aspri e dal clima rigido nei quali era impensabile sia la sopravvivenza di uomini deboli in grandi insediamenti, sia quella di un uomo forte ma isolato. Non a caso in tutta l’arte e l’artigianato nordico si ripete il tema dell’intreccio, emblema della forza nell’unione: il filo, fragile da solo, trova la sua forza annodandosi agli altri. Basti pensare che bandire un individuo dal proprio villaggio e abbandonarlo alla furia della natura era la pena per alcuni gravissimi reati. Sui manuali di storia i vichinghi compaiono per la prima volta nelle cronache dell’8 giugno del 793 d. C. data del saccheggio dell’Abbazia di Lindisfarm in Northumbria in cui erano conservate le reliquie di San Curberto. Già da anni però, i popoli nordici commerciavano con l’Europa e la Russia percorrendo le rotte fluviali. In realtà, gli insediamenti umani nella penisola scandinava risalgono a diecimila anni prima di Cristo ed aveva subito, tra il 4000 e il 3000 a.C. influenze indoeuropee dal punto di vista religioso e culturale ed introdussero l’utilizzo dell’ascia, che divenne la più tipica tra le armi vichinghe. Gli abitanti della scandinavia avevano uno spiccato senzo dell’ordine ed erano abili osservatori e guerrieri, ma erano anche raccoglitori, pescatori, cacciatori, abilissimi artigiani che produssero manufatti sin dall’età del bronzo (1500-400 a.C.). Avevano il culto del sole e numerosi dei della fertilità e praticavano la magia. All’età del ferro (400 a.C.-800d.C.) risalgono le rune, che seppure utilizzate nella divinazione, erano più che altro una forma di scrittura; organizzate in un futhark, un alfabeto, di 24 segni, che poi si ridussero a 16. Le navi, per le quali i vichinghi sono celebri risalgono alla stessa epoca, senza queste imbarcazioni, note come knörr, skeidh o langskip e erroneamente definite drakkar permisero loro di compiere lunghe traversate e senza di esse i contatti con la società continentale sarebbero stati marginali. Furono così importanti per lo sviluppo di questo popolo che ne cambiarono radicalmente le abitudini tanto, come vedremo meglio in seguito, non è certo che e i vichinghi, come li conosciamo noi, esistessero prima dell’invenzione di tali navi. Questi uomini divennero infatti essenzialmente mercanti e navigatori L’Islanda divenne colonia celtica e vichinga tra l’ 874 e il 930, mentre l’invasione vichinga in Europa si protrasse fino al 1050.ca. La comunità vichinga vantava diverse etnie; data la loro vocazione mercantile non era difficile trovare dei nordici mori o fulvi insieme agli altissimi ed algidi biondi. Certo, gli uomini del nord terrorizzarono per brutalità e potenza gli europei, ma, erano essenzialmente privi di una vera e propria organizzazione militare e di abilità strategica; furono più che altro protagonisti di irruzioni e saccheggi e finirono in molti casi con l’entrare a far parte della comunità in diversi paesi europei. In particolare i re si avvalsero delle qualità di questi uomini per potenziare il proprio esercito ed essi si adattarono alla società feudale, ricevendo persino il battesimo.

1


• Organizzazione I territori erano divisi in land, insediamenti ben distinti tra loro con una propria organizzazione politica. L’anno, data la rigidità del clima, cominciava verso la metà di aprile ed era diviso in sole due stagioni. Il tempo si calcolava in inverni e notti. In un anno si tenevano almeno tre assemblee, dette thing della durata di un paio di settimane. A queste assemblee, nelle quali si prendevano decisioni di interesse comune, si scambiavano terreni, si prendevano accordi per sposare le proprie figlie e si decidevano spedizioni. Vi partecipavano unicamente gli uomini. Il thing era inoltre un’occasione per diffondere notizie, tra individui che vivevano a distanze ragguardevoli per il resto dell’anno; basti pensare che in lingua islandese il nostro “come stai?” corrisponde più ad un “che c’è di nuovo?” ed il norreno antico somiglia molto all’islandese moderno. I thing si tenevano all’aperto, in un luogo che presentasse una spaccatura o un pendio ben pronunciato, era molto forte il legame con la natura. In questo periodo gli uomini, vivevano nei pressi del luogo designato, nelle tende. Lo lögsögumadhr era colui che presiedeva l’assemblea, aveva il compito di recitare la legge affinché tutti la conoscessero, dirigere le discussioni per prendere decisioni di carattere legislativo ed eseguire la sentenza; veniva eletto ogni tre anni. I conti: gli jarl (grandi conoscitori delle rune), e i re sækoungr (letteralmente “re del mare”) governavano su un territorio relativamente poco vasti; erano eletti su una pietra sacra e destituiti, a volte anche impiccati, nel caso non fossero stati di gradimento agli uomini del land. I Jón erano esempio di disciplina guerriera: vivevano la loro vita in una fortezza, sempre allenandosi, dalla quale non potevano allontanarsi per più di tre notti consecutive, durante le quali non potevano incontrare donne. Il termine bòndi, bœndr al plurale, significa, letteralmente “colui che è capace di preparare il terreno” designa un qualsiasi uomo libero nella società vichinga. Ogni uomo, doveva essere capace di affrontare qualsiasi evenienza gli si presentasse, ed essere quindi abile in qualsiasi campo. Quindi non si era vichinghi in quanto nordici. Il vikingr, era, nello specifico colui che decideva di intraprendere dei viaggi, principalmente per commerciare. Era un ribelle, eppure figura essenziale in una società che viveva in terre nelle quali, non sempre era facile sopravvivere senza risorse esterne. L‘etimologia del termine “vikingr” è incerta. Si pensa possa derivare dal termine vik, il fiordo nel quale l’uomo del nord viveva, oppure da “vicus”, il mercato nel quale il vichingo faceva i suoi affari. L’equipaggiamento del vichingo consisteva in un’ascia, una spada, una lancia, un elmo, uno scudo, un arco con delle frecce ed una cotta di maglia. L’ascia era l’arma tipica del vichingo, ne esistevano diversi tipi, ma non godeva dello stesso prestigio della spada. Lo scudo, skjöldr era anche fondamentale per la difesa in battaglia, dato che i vichinghi agivano in formazioni molto serrate; al centro recava un bugno tondo di metallo decorato, era solitamente in legno di tiglio, a volte ricoperto di metallo e istoriato.

2


• Abbigliamento Per quanto riguarda il vestiario, i pantaloni erano l’indumento principale, ne esistevano di larghi, stretti, lisci o pieghettati. Sopra i pantaloni, la tunica, con scollatura quadrata, scendeva fino a metà coscia, stretta in vita da una cintura di cuoio o di bronzo. Le calzature, anch’esse di cuoio, erano strette sul collo del piede, con delle corde, e spesso avevano le suole rinforzate. Un ampio mantello era fissato sulla spalla destra con una spilla ovale finemente lavorata, ciò permetteva al vichingo di avere libero accesso alla spada, appesa alla cintura sul fianco sinistro e teneva su il mantello nelle cavalcate. La veste femminile era lunga e pieghettata. Si apriva su entrambi i seni, per favorire l’allattamento, considerando che la donna che viveva in casa aveva numerose gravidanze. Due fibbie ovali, da entrambi i lati, tenevano i lembi di tessuto, sulle spalle o all’altezza dei seni. Sopra la veste si indossava un grembiule rettangolare, al quale erano assicurati gli attrezzi per il cucito. Le donne amavano poi ornarsi con gioielli di ogni foggia, il metallo più prezioso era l’argento. Anche l’abbigliamento femminile prevedeva un grande scialle, sempre fermato da una spilla. I colori prevalenti erano quelli naturali, il beige, il marrone, il nero, ma si usavano anche semi tintori e conchiglie per ottenere delle varianti. I tessuti erano il lino e la lana, ma con i frequenti commerci, anche la seta ebbe una sua diffusione. I vichinghi erano molto attenti al loro aspetto esteriore. Nelle grandi saghe, le vesti degli eroi sono descritte molto dettagliatamente. Inoltre, quello nordico era un popolo molto aperto alle mode straniere, dalle quali prendevano spunto; copiarono ai Celti cappucci e scolli rotondi, dai russi gli ampi pantaloni. Uomini e donne riservavano un’attenzione particolare a barba e capelli, che venivano pettinati con corna di cervo e intrecciati in elaborate acconciature rifinite con preziosi ornamenti.

• Tradizioni e riti Durante il parto le donne venivano assistite da alcune levatrici. Il bambino veniva lavato con dell’acqua, dopo essere stato accolto dalla terra e levato al cielo, in un rituale che era una sorta di dono alle forze della natura. Il padre doveva dargli un nome, aspetto fondamentale in una società dove non averne uno significava non avere una propria identità, come un animale. La scelta del nome doveva essere molto oculata, perché si riteneva determinasse la personalità dell’individuo; per questo si sceglievano nomi che si riteneva portassero fortuna, magari perché erano appartenuti ad eroi o avi. Spesso, il nome era preceduto da quello di un dio, per ingraziare il nascituro alla divinità, come Thorgestr, Thorgils, Thorkell o i nomi zoofori Björn: orso; Ari o örn: aquila; Hurùlr: ariete; Ornr: serpente; ùlfr: lupo. Nessuno aveva un cognome, mentre diffusissimi erano i soprannomi, Eric il rosso, Ragnar Lothbrok (braghe pelose) ma il nome, ed il nome del proprio padre, restavano i mezzi più validi di identificazione. Un essere umano non esisteva giuridicamente se non era capace di ricostruire il suo lignaggio per diverse generazioni. Gli infanti deformi venivano esposti alle fiere, secondo la pratica dello ùthurdr. Il rito della nascita era affidato ai Disir, che avevano potere sulla fecondità e sul destino, a loro erano consacrati anche i sacrifici d’inverno. Il loro nome era disablöt: sacrificio ai Disir.

3


Era molto frequente che si decidesse far vivere il proprio figlio per alcuni anni presso un amico, favore che sarebbe stato poi ricambiato. Questa pratica aveva il nome di fòstr, e contribuiva a creare legami affettivi tra i membri di un clan. I fratelli adottivi divenivano fratelli giurati, dopo aver partecipato ad un rito magico. L’amicizia, soprattutto quella virile, era uno dei valori più forti tra gli antichi popoli nordici. I bambini, intorno ai 13 anni erano già considerati adulti, ed il matrimonio era uno degli eventi più importanti nella società vichinga. Ovviamente in primo piano c’erano questioni sociali ed economiche, lo sposalizio serviva a sedare delle contese, spesso le famiglie coinvolte appartenevano allo stesso ceto, ma non era raro che due giovani si sposassero per amore. Ogni sposa aveva una heymanfilgja, la dote “che la segue d’ora in avanti”, ma anche lo sposo doveva averne una (tilgjÖf) e in più, versare alla famiglia della ragazza una somma stabilita dalla legge (mundr). Il fidanzamento durava un anno, e in occasione dei festeggiamenti veniva preparata una birra speciale, la festaröl. La ragazza veniva condotta a casa dello sposo e lì aveva luogo “il bagno della sposa”, una lunga sauna, alla quale partecipavano anche le damigelle. Si creavano delle ghirlande di fiori e vi si adornava il capo della ragazza, che, dopo il matrimonio, avrebbe dovuto legare i capelli, portati sciolti sin dall’infanzia, ad indicare la sua nuova condizione di hÙsfreyja.

Il velo aveva un duplice significato; da un lato copriva la fanciulla fino al momento in cui non sarebbe divenuta sposa, dall’altro era un amuleto contro il malocchio, rimosso, infatti, solo quando la cerimonia fosse stata conclusa, e il matrimonio non più a rischio di maledizioni. Alla cintura, da ora in poi, avrebbe dovuto portare le chiavi dei mobili che in casa custodivano i beni più preziosi. Si teneva un grande banchetto con centinaia di invitati, si facevano sacrifici agli dei e agli sposi veniva augurato “un anno fecondo e la pace”, secondo un’antica formula. til àrs ok friðhar - per un anno fecondo e per la pace. Tacito sa che i matrimoni fra i Germani si fondavano sui doni che venivano scambiati fra lo sposo e i parenti della sposa, ma le asce e le armi che passano di generazione in generazione diventano, nella sua interpretazione, una sorta di sacra, misteriosa consacrazione, un segno del fatto che la donna è chiamata a dividere col marito vita e morte, pace e pericolo.

La consumazione delle nozze, secondo alcune fonti era assicurata dalla supervisione di alcuni esperti, ma non è una notizia certa. Al risveglio il marito doveva porgere alla sua novella sposa il “dono del mattino” che consisteva in una veste pregiata o un gioiello finemente lavorato.

4

Miti e leggende del nord - Vilhelm Grombech

Non esistevano dei sacerdoti veri e propri, ma, ogni capofamiglia poteva, in alcune occasioni officiare riti sacri assumendo il ruolo di godhi.


Le donne godono inoltre di grande considerazione, sicché vengono trattate come una sorta di esseri superiori, la cui parola ha sempre un grosso peso e talvolta valore di presagio; in alcune circostanze esse si elevano al rango di veggenti, i cui consigli e vaticini determinano la politica della tribù. Non mancano, nelle leggende donne forti quanto uomini, come le Valkirie, o astute come Goðhrunn, che vendicò prima l’assassinio del suo amato Sigurð e poi quello della sua famiglia. Il tempio di Uppsala era uno dei più grandi e famosi, ma in realtà i popoli nordici svolgevano le proprie cerimonie per lo più all’aperto, in grandi foreste o in luoghi dove la natura era maestosa. Tradizionalmente non esistevano neppure delle statue votive, ma i norreni avevano numerosi amuleti, diffusissime erano delle medaglie incise, che avevano valenza magica. Esse recavano le scritte alu: fortuna; lathu: invito; laukar: cipolla e porro, che erano tra le piante più utilizzate dai maghi. C’era una sorta di scambio reciproco: il vichingo recava doni al suo dio preferito, ed egli ricambiava con fortuna e protezione. Ad Uppsala pare si svolgessero anche dei sacrifici umani. Blòt è il sacrificio, che può essere pubblico, ma anche privato, seguito dalla consumazione degli animali sacrificati, in un banchetto durante il quale si facevano giuramenti vincolanti. Ogni vichingo sceglieva tra gli dei un proprio protettore e conservava una statuetta che riproduceva il suo fulltrùi insieme a delle monete in un sacchetto che portava con sé. I continui scambi con i lapponi introdussero in scandinavia la fede nella forza del cosmo e della natura, profondamente connessa con le pratiche magiche, attraverso le quali si tentava di entrare in contatto con essa. Il Seidr, la magia, era praticata più dalle donne che dagli uomini. Il mago seidmadr o la maga seikona sedeva su una particolare impalcatura, circondata dai suoi aiutanti che rullavano i tamburi finché “l’anima non lasciava il corpo”. Questa pratica serviva a sbloccare, in modo positivo oppure nefasto la situazione di una persona; a dominarne la volontà a proprio vantaggio o a prevedere il futuro. Ogni uomo era sacro, anche per questa ragione insulti e offese non potevano essere tollerate, in quanto lesive della Potenza che ognuno aveva in sé. Gli dei, come gli uomini, andavano incontro ad un destino ineluttabile che conoscevano grazie agli indovini e che poteva rivelarsi in sogni e visioni. Ognuno doveva sapere bene chi era, cosa faceva, di cosa era capace e avere un’idea di come le Potenze desideravano fosse. La vita era un viaggio verso il proprio destino.

5

Miti e leggende del nord - Vilhelm Grombech

La società vichinga non era affatto maschilista, rispetto a società coeve; certo il ruolo della donna non era al pari di quello dell’uomo ma ella era custode delle tradizioni familiari, allattava personalmente i propri figli e non prendeva parte alla vita politica quasi unicamente per questioni di inferiorità fisica, in un popolo in cui per ottenere giustizia bisognava spesso associare la forza bruta alla legge. L’accettazione delle concubine è attestata, ma i loro figli erano illegittimi e la padrona di casa continuava ad avere un ruolo privilegiato nell’amministrazione del focolare.


Non c’è peggior pena per un uomo saggio che non esser soddisfatto di sé

Sigurð, eroe per eccellenza nella tradizione nordica, non compie nessuna grande prodezza. Non è eroica nemmeno la sua morte, eppure incarna le virtù massime del vichingo: conosce dall’inizio il suo destino, lo assume, è fedele alla parola data. Astuzia, intelligenza, abilità, per i vichinghi erano virtù molto più apprezzabili che la forza. I poemi dell’Edda narrano di mille modi astuti che gli eroi adoperarono per risolvere i conflitti.

6

Edda Poetica - AA.VV. Edda Poetica - AA. VV.

Muoiono i beni, muoiono i genitori, e tu stesso morrai, ma la reputazione non muore mai e la buona reputazione è acquistata una volta e per sempre. Muoiono i beni, muoiono i genitori, e tu stesso morrai, ma una cosa io conosco il giudizio che si dà di colui che è morto


Il rito funebre doveva essere celebrato con molta attenzione, ed in onore del morto andava consumato un banchetto in cui gli eredi brindavano in onore della sua eredità. In norreno antico esistono ben cinque vocaboli per la parola “anima”: sòl, hamr, hungr, fylgja e önd. L’ultima è stata certamente introdotta con il cristianesimo. Hamr, hungr e fylgja, oltre a voler dire “anima” indicavano anche la membrana che avvolge il feto, e viene espulsa durante il parto, perché erano entrambe forma (hamr) e “essenza che segue” (fylgja) Hungr era, invece l’anima del mondo. Le tombe erano delle vere e proprie imbarcazioni, o ne ricalcavano la forma. Il corpo era posto nella tomba seduto, o in posizione fetale e poteva essere sepolto, o anche bruciato in una pira funeraria; in questo caso la barca contenente il defunto veniva lasciata andare in mare e il parente più prossimo aveva il compito di accendere il rogo scoccando una freccia incendiaria. Insieme al vichingo poteva essere seppellita o bruciata una sua concubina. Il regno dei morti si chiamava Hel, come la dea che lo governava, figlia di Loki, fanciulla per metà nera e per metà azzurra.

Miti e leggende del nord - Vilhelm Grombech

Ogni giorno Odino manda le Valkirie sui campi di battaglia per proteggere gli eroi o per portarli ad Asgarð dopo la loro morte. I guerrieri più valorosi, si ricongiungono ad Odino per combattere al suo fianco il giorno del Ragnarök “consumazione del destino delle Potenze”. Egli li ospita nel Walhalla (Walhöll), una meravigliosa fortezza con bene cinquecentoquaranta porte con il tetto rivestito di scudi, le panche di corazze e i pilastri costituiti da lance. Fuori dal palazzo, alla porta occidentale è impiccato un lupo e un’aquila sorvola su di essa, il bosco d’oro che lo circonda è detto Glasir e nessuno che non sia stato invitato vi può avere accesso grazie al cancello Valgrind. Gli eroi, che nel Walhalla prendono il nome di Einherjar si svegliano al canto del gallo Salgofnir, poi combattono tra loro riconciliandosi al momento del pasto e così faranno fino alla fine del mondo. La birra e l’idromele che scorre dalle mammelle della capra Heiðrun vengono serviti ininterrottamente. Ogni giorno il cuoco Eldhrìmnir cuoce per gli eroi il maiale Sæhrìmnir, che è di nuovo intero al pasto successivo. Odino, che si nutre di solo vino, dà il cibo a lui riservato ai due lupi Geri e Freki. Il confine tra il mondo dei morti era molto labile; Odino resuscita una veggente per avere notizie di suo figlio Baldr ed in molte saghe i defunti parlano con i viventi, soprattutto in sogno. Ragnarr Lodhbròk pronuncia la celebre frase: - Io muoio ridendo- quando vede la morte sopraggiungere, gettato in una fossa piena di serpenti. I vichinghi amano la vita, ma, come si può ben capire, non hanno una visione desolata della morte.

7


Vikings (Serie Tv) - Michael Hirst-

8


YGGDRASYL GLI DEI IL RAGNAROK

Dalle sue sopracciglia fecero gli dèi benedetti Miðgarðr per i figli degli uomini; dal suo cervello furono tutte le tempestose nuvole create.

Ragnarok - Emil Doepler

Edda Poetica - AA. VV.

Dalla carne di Ymir fu fatta la terra, dal suo sangue il mare, dalle ossa le montagne. gli alberi dalla chioma, dal cranio il cielo.


Abbiamo già parlato dell’invasione indoeuropea della Scandinavia, tralasciando però, che il loro contributo più grande alla civiltà vichinga fu di tipo religioso. Gli æsir divennero gli dei vichinghi, molto probabilmente essi non erano altro che grandi guerrieri, le cui gesta conquistarono a tal punto i popoli del nord che li elessero a divinità. Gli dei del Pantheon nordico non sono infatti immortali, ma solo molto longevi, grazie anche a qualche “aiutino”, di cui parleremo in seguito e al momento del Ragnarok molti di essi periranno per lasciare il posto ad un nuovo ordine dell’universo.

• Ginnungagap

9

All’alba dei tempi, prim’ancora che nascessero la terra o il cielo, prima che il mare lambisse le scogliere con le sue onde, il centro del mondo era occupato da un’immensa voragine: questa voragine si chiamava Ginnungagap. A nord di essa sorgeva il gelido Nifheim, nelle cui tenebre infuriavano violente tempeste; e a sud splendeva l’ardente Muspelheim, così infocato e rovente che nessuno, a parte chi dimorava fra le sue fiamme, vi si poteva accostare. Surt è il nome della vedetta di Muspelheim, e la sua spada è una terribile lingua di fuoco; sarà lui, un giorno, a distruggere il mondo con le fiamme e a condurre gli Dei alla rovina. Ma all’epoca in cui gli Dei non erano ancora nati, Ginnungagap traboccava di gelida brina. Dal baratro immane, infatti, scorrevano rapidi torrenti, che si riversavano impetuosi nella nebbia e nel nevischio di Nifheim, trasformandosi in una pioggia di ghiaccio e ricadendo in pesanti macigni di gelo, alla stessa stregua in cui, da un rogo, colano i residui delle fiamme; e la bruma che si depositava sul ghiaccio, a poco a poco congelò, stratificandosi in brina. Tuttavia, da Muspelheim soffiava un vento caldo in direzione della coltre di ghiaccio; ivi si fermava e prendeva a vibrare come in un afoso giorno d’estate. Al tepore del vento, gli strati di ghiaccio si sciolsero e cominciarono a colarne gocce che parevano vive: queste gocce assunsero infine una forma umana. Nacque cosi il mostruoso Ymir, padre di tutti i Giganti del Gelo. Mentre Ymir giaceva ancora assopito, gli schizzò sudore da tutto il corpo. Dall’ascella sinistra nacquero un uomo e una donna, e il piede destro generò un figlio col piede sinistro; da essi ebbe origine una nutrita progenie, tanto che il mondo pullulò in un baleno di orribili giganti. Dalla coltre di ghiaccio continuavano a scorrere gocce; le gocce generarono la vacca Audhumbla, dalle cui poppe Ymir succhiava il latte. Mentre il gigante si nutriva, la mucca leccava le pietre salate del ghiacciaio. Il primo giorno, verso sera, spuntò da una pietra la capigliatura di un uomo; il secondo giorno la chioma divenne una testa, e il terzo saltò dalla pietra la persona intera, che prese a vagare per i campi libera e felice. L’uomo era di bell’aspetto, forte e robusto; Buri era il suo nome. Egli si moltiplicò e, per metà da lui, per metà dalla stirpe dei Giganti del Gelo, nacquero le tre divinità Odino, Vile e Ve. Quando gli Dei, crescendo, si resero conto della propria forza, uccisero Ymir; il sangue che prese a scorrere dal suo corpo, si riversò su tutta la terra in flussi cosi impetuosi, che la sua progenie ne fu sommersa. Solo il gigante Bergelmir si salvò, insieme alla moglie: egli riuscì a restare in vita aggrappandosi a un mulino. I due generarono una nuova stirpe di Giganti, ed è questa che continua a devastare il mondo. Gli Dei, d’altro canto, presero il cadavere di Ymir e lo gettarono nella voragine di Ginnungagap, e dal suo corpo crearono la terra. I fiotti scroscianti del sangue di Ymir generarono il mare e i fiumi, la sua carne divenne terra, le sue ossa si tramutarono in montagne, i denti e i monconi, in pietre e detriti. Gli Dei spinsero poi le acque verso l’esterno, in modo che esse formassero un anello attorno alla terra; cosi gli Dei la circondarono col grande mare. Poi sollevarono lo scalpo di Ymir al di sopra della terra, e ne fecero la volta del cielo; misero un nano a guardia di ciascuno dei suoi quattro angoli, a nord e a sud, a oriente e a occidente; sotto il cielo volteggia il cervello di Ymir, ed è per questo che le nuvole sono fredde e sinistre come i pensieri del gigante. Ma gli Dei catturarono tutte le scintille che sprizzano da Muspelheim e vorticano nell’aria, e le lanciarono su nel cielo, affinché illuminassero la terra. Esse tracciano i percorsi dei corpi celesti, che scivolano dolcemente l’uno dopo l’altro, cosi come il giorno


10

Miti e leggende del nord - Vilhelm Grombech

succede al giorno, e l’anno succede all’anno. Ecco, dunque, come è avvenuto che la terra si trovi in mezzo al mare selvaggio. Al di là della grande distesa d’acqua, gli Dei collocarono le dimore dei Giganti. Nel cuore della terra, invece, consacrarono una landa e la circondarono con una siepe formata dalle ciglia di Ymir: questo recinto fu chiamato Midgàrd. Un giorno, mentre passeggiavano lungo la spiaggia, i tre Dei trovarono due tronchi d’albero che il mare aveva scagliato sulla costa. Li foggiarono a mo’ di esseri umani e ne soffusero le gote di rossore. Il primo dio donò loro respiro e vita, il secondo arguzia e membra snelle, il terzo la vista, l’udito e tutti gli altri sensi. Poi ricoprirono gli esseri di vestiti, e imposero loro un nome: Ask fu chiamato l’uomo, Embla la donna. Costoro generarono le stirpi che ancora vivono a Midgàrd. Dopo che gli Dei ebbero collocato gli uomini a Midgàrd, ne ricavarono al centro un assiepamento per sé, e lo chiamarono Asgàrd. Nel cuore di Asgàrd si stendeva una vasta e bella pianura, Idavang; ivi gli Dei costruirono le proprie abitazioni e sale Essi fabbricarono una fucina, e costruirono un martello, una tenaglia, un’incudine, e altri utensili di cui potevano aver bisogno. Con questi arnesi gli Dei forgiavano il bronzo, spaccavano le pietre, abbattevano gli alberi, e avevano oro in cosi grande quantità che potevanocostruire i vasi e tutti gli altri oggetti in oro puro. Sulla pianura, allunga la sua ombra il frassino Yggdrasil: è un albero talmente grande che i suoi rami ricoprono tutta la terra, e le sue radici si protendono fin negli abissi della terra. Una delle radici affonda nella dimora dei Giganti del Gelo, quella che un tempo era Ginnungagap; un’altra ramifica a Nifheim; la terza, però, giace saldamente nel regno degli Dei. Presso la radice di Nifheim, c’è la sorgente di Hvergelmir; dalla radice dei Giganti del Gelo scaturisce la sorgente di Mimir, che custodisce nelle sue acque l’astuzia e la saggezza umana. In questa sorgente abita Mimir: egli ne beve il liquido dal corno di Gjallar, e possiede perciò saggezza e lungimiranza. Ma la più sacra delle sorgenti, si trova presso la radice degli Dei: essa si chiama Urdsbrond. Ai suoi piedi si incontrano gli Dei quando convocano il consiglio. Vicino alla sorgente sotto il frassino abitano anche le Norne, le tre fanciulle Urd, Verdandi e Skuld, che impastano il destino di ciascun essere umano di felicità e dolore, a seconda del compito cui è chiamata la sua stirpe: grande e solida fortuna spetta ai figli dei principi, vita piana e regolare ai contadini.


Morte di Ymir

Erwan Seure

11


Io conosco un frassino, che si chiama Yggdrasil, alto albero irrorato bianco d’argilla; di là provengono le gocce di rugiada, che cadono nelle valli, sta sempre verde, sulla fonte di Urðr.

Edda Poetica - AA.VV.

• Yggdrasil

Tra i rami di Yggdrasil si agita la vita. Un’aquila è appollaiata tra i rami più alti ed un falco di nome Veðrfönir. Cinque cervi saltano tra i rami: Dàinn, Dvalinn, Duneyrr, DuraÞròr e EikÞyrnir, dalle cui corna stillano gocce tanto enormi da formare il pozzo Hvergelmir, che dà origine a tutti i fiumi del mondo. Dall’albero si ciba la capra Heyðrùn che nutre i guerrieri nel Walhalla. La rugiada che cade da Yggdrasil è detta dagli uomini stilla di miele e nutre le api. In cima all’albero c’è il gallo ViðÒpnir, nemico dei giganti, che annuncerà il crepuscolo degli dei. Il serpente Midhghardhsomr o Jörmungarder mordendosi la coda forma un cerchio perfetto, che trattiene le acque del mondo e Yggdrasil lo sorregge verticalmente. Molte bestie ed esseri soprannaturali maligni si nutrono del frassino. Nella sorgente di Hvergelmir si trova il drago Nidhug, che ne rosicchia la radice, e intorno a lui pullulano più serpenti malvagi di quanti se ne possano contare; uno scoiattolo, Ratatosk, corre su e giù per il tronco del frassino, e i cervi ne mangiano le foglie. Ma le Norne che vivono a Urdsbrond, versano acqua sul frassino e ne cospargono la radice col terriccio inumidito dalla sorgente, affinché non accada mai che i rami inaridiscano o marciscano. Al confine con Asgàrd, i campi celesti sono attraversati dal ponte dell’arcobaleno, Bifrost. Esso risplende di tre colori: il rosso scaturisce dal fuoco che infiamma il ponte affinché nessun essere soprannaturale maligno possa percorrerlo. Bifrost conduce fino ad Asgàrd al di sopra di acque tumultuose e profonde. Attorno a Urdsbrond, gli Dei hanno costruito le proprie dimore. Fra queste, la più sontuosa è la sala di Odino, Valaskjalf, che è ricoperta da un tetto di argento lucente. La sala ospita Paltò seggio di Odino, Hlidskjalf; lo scranno è fatto in modo tale che quando il dio vi si asside, il suo sguardo avvolge la terra intera, e nulla di ciò che accade gli viene celato. Fra gli Dei che abitano ad Asgàrd, Odino è il migliore, l’eccelso, e molti degli altri Dei lo considerano loro padre. Egli possiede più nomi di quanti ne possa conoscere un essere umano, tante sono le gesta potenti che gli uomini gli attribuiscono. Odino circola spesso fra la gente, talvolta a piedi sotto le spoglie di un vecchio orbo, talaltra a cavallo del suo destriero a otto zampe, Sleipnir. Egli determina la sorte delle grandi guerre, dove potenti sovrani e validi conquistatori si contendono potere e ricchezza, e decide chi dovrà vincere e chi dovrà restare sul campo di battaglia. Odino è saggio e riflessivo; si intende di poesia e di rune, e conosce tutti gli eventi del passato. C’è un carme in cui si racconta che egli apprese il segreto delle rune passando per atroci sofferenze. Odino in persona canta i versi:

12

“Io so che pendetti da un albero scosso dal vento per nove notti intere, da una lancia ferito e consacrato a Odino, io a me stesso; pochi sanno dove tale albero affondi le sue radici. Nessuno mi nutrì, nessuno placò la mia sete col corno; io guardavo in basso di soppiatto, e cosi appresi il segreto delle rune; le appresi con urla di dolore, e tornai in vita.”


[...]Odino ha un occhio solo: si dice che abbia dato l’altro come pegno a Mimir perché gli concedesse di dissetarsi alla sua fonte di saggezza, Mimirsbrond. La moglie di Odino si chiama Frigg; ella pure è saggia e conosce tutti gli eventi che devono

13

accadere, ma è anche muta, e non svela mai il futuro. Il più forte di tutti gli Dei è Thor, che viene chiamato figlio della terra (JÒrdh) ; si riconosce dal suo martello, Mjolnir. Quando lo solleva, tremano tutti i Troll e i Giganti, poiché molti dei loro amici si sono ritrovati con la testa spaccata, al sibilare del martello nell’aria. Mjolnir è un’arma talmente capace da colpire senza fallo il bersaglio che le indica Thor; inoltre, ritorna sempre nella sua mano, dopo essere stata lanciata. Le mani di Thor sono protette da un paio di guanti di ferro, e quando li indossa, non gli sfugge mai la presa sull’impugnatura del martello. Thor si cinge la vita con Megingjord, la cintura della forza, e in tal modo accresce del doppio la sua divina potenza. Monta spesso su una carrozza cui sono attaccati i suoi due caproni, Tanngnjostr e Tanngrisnir. Un grande dio è anche Tyr: egli è un valoroso combattente, ed è proficuo invocarlo per ottenere la vittoria. Viðar è il nome del dio muto: avanza deciso con pesanti scarpe ai piedi, e sarà lui, un giorno, a ricacciare il Lupo nell’abisso col suo piede possente. Ull è il dio lesto sugli sci e sicuro nel tirare l’arco: molti lo invocano, prima di scendere in un duello. Hod è il nome di un altro dio, che però è cieco; di lui si racconta una cosa soltanto, che abbia provocato la morte di Balder: questa fu la più grande sciagura mai accaduta agli Dei. Davanti al ponte Bifrost, il dio Heimdall veglia affinché le dimore degli Dei siano protette dagli attacchi dei Giganti. Egli vede con la stessa chiarezza sia di giorno che di notte, e il suo sguardo si estende per cento leghe. Ha la facoltà di avvertire l’erba crescere nei campi e la lana svilupparsi dal dorso delle pecore. Nessun troll può sgattaiolare eludendone la sorveglianza, poiché il suo sonno è più leggero del sonno di un uccello. Al suo fianco ha il Corno Risonante, e quando vi soffia dentro, ne esce uno squillo che risuona nel mondo intero. Un dio amabile è Balder: egli è talmente bello e luminoso, che gli uomini hanno intitolato a lui l’erba più candida che cresce nei campi, chiamandola «sopracciglia di Balder». Balder possiede anche il dono della saggezza: le sue parole sono foriere di pace, e dolci come il miele; tuttavia, dei consigli che dispensa, si dice che non trovino mai ascolto. Balder ha un figlio, Forseti; egli è abile nel dare suggerimenti agli uomini che vivono in reciproca discordia; quando emette il suo giudizio su una questione, infatti, la gente si riconcilia e riprende a vivere in pace. Bragi è il dio che si intende di poesia ed eloquenza. Sua moglie si chiama Idun; essa custodisce, nel suo rifugio, certe mele che gli Dei mangiano quando si sentono oppressi dall’età, e grazie a questi frutti si mantengono giovani per l’eternità. Tutti gli Dei che abbiamo presentato si chiamano Asi: da qui deriva il nome della loro fortezza, Asgàrd. A una stirpe diversa appartengono invece i grandi Dei Njord e Freyr, che hanno caratteristiche proprie. Njord possiede tanto oro e tanta fortuna, che viene invocato dai mercanti che attraversano il mare affinché dia loro vento favorevole e ricchezza come ricompensa per la fatica che sopportano. Si racconta che Njord appartenesse a una stirpe i cui membri erano chiamati Vani. Un tempo gli Asi e i Vani erano in lotta fra loro, ma ora alcuni credono che tale conflitto dividesse in realtà il popolo che adorava gli Asi e un altro popolo, i Vani. Poiché costoro adoravano altri Dei, questi venivano chiamati Dei dei Vani, o semplicemente Vani. E cosi accadde, come è facile immaginare, che quando questi due popoli scesero in guerra, i rispettivi Dei combattessero al loro fianco, perciò si poté sostenere che Asi e Vani lottavano gli uni contro gli altri. Quando la guerra ebbe fine, gli Asi e i Vani stipularono un’alleanza e scelsero ciascuno un proprio uomo come ostaggio. Gli Asi inviarono Honir nelle file dei Vani, e questi, in cambio, mandarono ad Asgàrd Njord, che da allora vi rimase per sempre. Freyr è il figlio di Njord: egli governa la pioggia e il sole e la fertilità della terra, e il popolo lo invoca affinché dia annate feconde nei campi. Come Odino monta Sleipnir e Thor circola con i suoi due caproni, allo stesso modo anche Freyr ha un


animale preferito, che è il grosso cinghiale Gullinbursti o Gyldenborste. Talvolta monta lui stesso il cinghiale, tal’altra lo attacca davanti al carro. Freyr ha una sorella, Freyja. Su di lei circolano molte voci, gran parte delle quali la dipingono come una dea che nutre una passione smodata per gli uomini. Freyja guarda con benevolenza gli uomini e le donne che si desiderano con amore. Aveva un marito che si chiamava Odd, ma su di lui c’è ben poco da dire. Si racconta che si allontanasse spesso per lunghi viaggi, e che durante la sua lontananza Freyja piangesse lacrime cocenti, che le cadevano in grembo trasformandosi in gocce di oro puro. Freyja viaggia con una carrozza a cui sono attaccati due gatti; ma scende anche nei campi di battaglia, e al suo arrivo lei e Odino prendono ciascuno metà dei caduti per sé. Il suo gioiello più prezioso è una collana che ha per nome Brisingamen; si racconta che una volta Heimdall e Loki, assunta la forma di foche, si sfidassero a raggiungere a nuoto un’isola in mezzo al mare per conquistare il gioiello; Heimdall arrivò primo, sicché viene chiamato anche « il dio che riuscì a prendere il gioiello di Freyja». Altri dicono che Brisingamen provenga dal laboratorio dei Nani, come molti altri oggetti preziosi degli Dei e degli uomini. Freyr viene anche chiamato Elfo, e la sua casa Elfhjem. Sappiamo che in certe zone la gente chiama gli Dei che adora Elfi, cosi come altre tribù e razze chiamano i propri Asi. [...]

14

discendesse dalla stirpe dei Giganti. Il suo nome era Loki. Gli Asi lo temono molto, poiché è perfido e gode infinitamente nel tessere intrighi e nel mettere gli altri nei pasticci. Ha un eloquio licenzioso e lingua biforcuta, percorre a malincuore la retta via, ma profonde a piene mani consigli insidiosi, affinché le sue bricconate vadano a buon fine. Benché discenda dai Giganti, è bello e luminoso, e abile nel piegare il suo eloquio alle esigenze del momento. Assai di frequente ha portato gli Asi sull’orlo della più grande sciagura; tuttavia, quando è necessario, egli sa sempre come toglierli dai guai con le sue trovate ingegnose. Ma la sua astuzia è più pronta del solito, quando si rende conto che potrebbe pagare il male che ha fatto con la propria testa. Si può dire che, in lui, fra il coraggio e l’astuzia, prevalga l’astuzia. Dalla parte degli Dei ci sono tutte le entità che sprigionano luce e determinano l’ordine nel mondo. All’alba dei tempi gli Asi si procurarono la luce, il cielo e la terra dalle scintille che uscirono vorticando da Muspelheim; con queste, gli Dei fabbricarono carri, cui assegnarono dei condottieri affinché potessero correre per il cielo. Il Giorno viaggia col cavallo Skinfaxe, la cui splendente criniera irradia luce sul mondo intero. La Notte viaggia con Rimfaxe, dalla cui morsa cola la rugiada che al mattino brilla nelle valli profonde. Il Sole dispone, per il suo carro, di due destrieri: Arvakr, il Guardiano, e Alsvinn, il Veloce. Viaggia portando davanti a sé uno scudo chiamato il Refrigerante: esso difende la terra dai raggi cocenti. Ci sono molte altre Norne, a parte quelle che abitano nei pressi della sorgente di Yggdrasil. Ciascun bimbo, nel giorno della nascita, riceve la visita di una Noma, che ne consacra la vita. Le Norne sono assai diverse fra loro, poiché possiedono la potenza e la fortuna che vengono loro conferite dalla stirpe cui appartengono. Alcune discendono dagli Dei, altre fanno capo agli Elfi, e se ne trovano persino certe che sono imparentate con i Nani. Gli uomini che si procurano con le proprie mani sfortuna e disonore, sono dominati da Norne malvagie. Le Norne sono parte integrante della stirpe, e vengono considerate le sue Fylgjiar. Ogni stirpe aveva le sue Fylgjiar, spesso chiamate semplicemente le Disir, o donne, della stirpe. Esse seguivano i congiunti dalla culla alla tomba, vegliando sulle loro sorti. Era una gran fortuna avere Fylgjiar forti e sagge, ma la loro potenza dipendeva da quanto la stirpe si prendesse cura del proprio onore, e da quanto le donne e gli uomini che vi appartenevano si sforzassero di accrescere la stima che avevano ereditato dai padri, compiendo costantemente gesta degne dei progenitori. Talvolta le Disir si manifestavano ai loro congiunti, apertamente o in sogno, per dispensare buoni consigli o per avvertirli di minacciosi pericoli, e nulla andava per il verso giusto, se non si rispettavano le loro parole.

Miti e leggende del nord - Vilhelm Gronbech

Fra gli Asi, c’era un essere che veniva annoverato nel gruppo degli Dei, malgrado che


Yggdrasil

Autore Sconosciuto

15


• Ragnarok Il tanto temuto quanto atteso Ragnarok, nordica apocalisse, è da considerarsi un’occasione di cambiamento più che la fine di ogni cosa.

16

Quando si avvicinerà il Ragnarok, l’ultima lotta degli Dei, si verrà a sapere che per tre anni di fila arriverà il Mostruoso Inverno, che durerà tutto l’anno senza lasciar spazio all’estate. Nel corso dei tre inverni, la neve scenderà fitta in ogni angolo della terra, il vento soffierà freddo e tagliente, tutto sarà ricoperto dal gelo, e il sole non produrrà calore. Questi inverni saranno preceduti da altre tre annate terribili, durante le quali il mondo si trasformerà in un campo di battaglia: e la guerra non sarà più, come soleva essere un tempo, un leale conflitto fra nemici da cui sia il vincitore che il vinto uscivano con onore. Nei tempi che precedono il Ragnarok, gli uomini smarriranno la ragione, e dimenticheranno l’antico onore e modestia di una volta, e si piegheranno alla loro sorda cupidigia; e allora i fratelli si nutriranno l’uno del sangue dell’altro, e il padre non potrà proteggere il figlio, né il figlio il padre. In queste sciagurate circostanze, il lupo dei Giganti acquisterà tanto potere da poter ingoiare il sole, e gli uomini sulla terra si distruggeranno, e il fratello del lupo sbranerà la luna, facendo precipitare negli abissi tutte le stelle del firmamento. E a quel punto anche la terra comincerà a essere scossa da tremendi sussulti, gli alberi saranno divelti dalle radici, le rupi si spaccheranno con un boato, e tutti i lacci e le catene che imprigionavano i Giganti andranno in frantumi. Il lupo Fenrir correrà libero con le fauci spalancate, sicché l’una sfiora la terra e l’altra spazza il cielo, mentre gli occhi e le narici emanano lingue di fuoco. Il Serpente di Midgàrd emergerà dagli abissi del mare e comincerà a strisciare sulle scogliere, e la sua coda schiaffeggerà il mare con violenza, e tutta la terra ne verrà scossa spaventosamente. Fra le fiamme avanzerà una nave carica di spettri: si chiama Naglfar ed è fatta con le unghie dei morti, e al timone c’è il gigante Hrym. Ora arrivano a raccolta i Giganti da tutti gli angoli del mondo. Il Serpente di Midgard avanza avvolto in una nuvola di veleno, che riempie l’aria e si ferma sul mare. Al suo fianco correrà il Lupo; e anche il cane Garm, finora incatenato nella grotta di Gnipe, si precipiterà in avanti con spaventosi latrati. Hrym regge saldamente il timone di Naglfar, e a bordo con lui ci sono tutti i Giganti. Il cielo si squarcia, e dalle sue crepe sbucano i Figli di Muspell, avvolti dalle fiamme. Avanti a tutti cavalca Surt, reggendo in pugno una spada che manda bagliori più accecanti del sole. Quando attraversano Bifrost, il ponte freme ed esplode con uno scoppio fragoroso. Loki è alla testa di tutti i morti di Hel. Tutti insieme si radunano sulla piana di Vigrid, talmente vasta che ogni suo lato è lungo cento miglia. Quando Heimdall vedrà avanzare la terribile spedizione, prenderà il corno Gjallar e vi soffierà dentro con tutte le sue forze. Gli Dei si riuniranno in consiglio. Odino scenderà alla fonte di Mimir e chiederà consigli per sé e per le sue schiere. Yggdrasil, il Frassino del Mondo, comincerà a tremare, e il terrore si diffonderà fra tutti gli esseri del cielo e della terra; persino i Nani, sbucati dai crepacci, boccheggeranno dalla paura. Gli Asi indosseranno in fretta le armi, e la stessa cosa faranno gli Einherjar; poi avanzeranno dietro a Odino verso la piana di Vigrid, pronti alla battaglia. Odino va incontro al Lupo con in pugno la lancia Gungnir, ma il Lupo lo divorerà, mentre nello stesso istante si farà avanti Vidar e infilerà un piede nelle fauci della fiera (ora può mettere alla prova la sua possente scarpa): con una sola mano afferra la mascella superiore del lupo e ne squarcia la gola vorace, ed è cosi che Fenrir muore. Thor non potrà correre in aiuto di Odino, poiché dovrà difendersi dal Serpente con tutta la forza che ha in corpo; gli infliggerà la ferita mortale, ma non avrà fatto neppure nove passi verso la vittoria, che stramazzerà al suolo, morente, per il veleno che il mostro gli alita in faccia. Freyr si scontrerà con Surt, e il gigante dovrà affrontare una dura lotta prima di atterrare il dio; ora Freyr non può che rimpiangere con amarezza d’aver regalato, un tempo, la sua preziosa spada. Intanto Tyr affronterà il terribile


Miti e leggende del nord - Vilhelm Gronbech

cane Garm: e mentre costoro si uccidono a vicenda, da qualche altra parte Loki e Heimdall infliggeranno I’uno all’altro il colpo letale. Alla fine Surt, il solo rimasto sul campo di battaglia, scaglierà sulla terra una nuvola di fuoco, e il mondo intero sarà avvolto dalle fiamme. Quando le fiamme si saranno placate, e la quiete avvolgerà ogni cosa, la terra risorgerà, incontaminata, dall’acqua, verde e splendida, e sui suoi campi oscilleranno, cullate dal vento, le spighe di grano, benché nessuno ne abbia piantato il seme. L’acqua riprenderà a zampillare giù per i fianchi delle montagne, e l’aquila sorvolerà le cascate per scrutare i pesci. Il sole, prima che il Lupo lo inghiottisse nelle fauci spalancate, generò una figlia ugualmente splendida, e ora che gli Dei sono morti, il nuovo astro percorrerà l’orbita che fu di sua madre. I due Asi Viðar e Vali, scampati al fuoco e alle onde, cammineranno sui campi, e al loro seguito ci saranno i figli di Thor, Modi e Magni, liberi e integri, e porteranno con sé il martello del padre. Balder e Hod torneranno dal regno dei morti. Si stabiliranno tutti a Idavang, dove un tempo sorgeva Asgàrd. E siederanno sui prati, e in mezzo all’erba troveranno pezzi delle tavole d’oro di un tempo, e parleranno dei formidabili eventi che sono accaduti, e ricorderanno come il Serpente di Midgàrd stritolò la terra, e il coraggio di Thor, e l’infinita saggezza di Odino. E infine risorgerà la vita nella foresta di Hoddmimir: fra i suoi alberi si nascondono due esseri umani, Lif e Lifthraser, che si dissetano con la rugiadadel mattino. Essi genereranno una nuova stirpe, cui spetterà il compito di ripopolare la terra. Da ultimo Nidhug, il drago celato sotto spoglie d’aquila, si alzerà in volo dal Nidhafjoll, trasportando i morti sulle ali: e sorvolerà la terra, cupo e pesante, e quando sprofonderà nell’abisso sconfinato dell’orizzone, le sue piume sprigioneranno bagliori d’un livido azzurro.

17


Ragnarok

Stuart Patience

18


Combattevano senza cotta di maglia come cani o lupi infuriati, mordevano il loro scudo e avevano la forza di un toro o di un orso. Massacravano gli avversari e nè ferro e nè fuoco avevano presa su di loro. E’ quello che si chiama furore del berserk”

Úlfhéðnar- Vikings (Serie tv)

Edda in prosa - Snorri Sturluson

ABITI PORTENTOSI


• Bersekr e Úlfhéðnar É impossibile, in questo ambito, non citare i Berserkr (camicie d’orso) e gli Úlfhéðnar, (pelli di lupo), guerrieri consacrati ad Odino che devono la loro fama alle pelli che indossavano che si credeva infondessero in loro la ferocia degli animali a cui erano appartenute. Da lei ebbe dodici figli, che crescendo divennero indomiti berserkir, sempre in mare nelle spedizioni vi­chinghe. Talvolta accadeva che l’impetuosità li travolgesse prim’ancora di raggiungere la meta: in tal caso, dovevano approdare e calmare i propri bollori sradicando grossi alberi o ribaltando enormi macigni, altrimenti potevano arrivare al punto di fare a pezzi la loro stessa imbarcazione e di uccidere i loro compagni d’avventura uno per uno. Combattevano senza cotta di maglia come cani o lupi infuriati, mordevano il loro scudo e avevano la forza di un toro o di un orso. Massacravano gli avversari e né ferro e né fuoco avevano presa su di loro. E’ quello che si chiama furore del berserk Non ci è chiaro se questi guerrieri agissero sotto l’effetto di funghi allucinogeni (ma ciò non spiega per quale ragione, come riportato nelle saghe la furia potesse coglierli in qualsiasi momento) oppure se soffrissero di una qualche malattia genetica o disturbo neurologico. É impossibile determinare quanto, nel mito degli “uomino orso”, corrisponda al vero e quanto sia frutto della suggestione, sia del guerriero che del nemico, pervaso dal terrore, che giunse, come si narra nelle saghe, persino a pensare che questi uomini prendessero le sembianze delle belve di cui portavano le pelli. Le cronache dell’epoca li ritraggono come guerrieri indomiti, capaci di ingoiare carboni ardenti, impossibili da sconfiggere nello stato di furore detto berserksgangr a meno che non si tagliasse loro la testa o si asportasse il cuore, ma tornati alla lucidità i Berserkr erano spossati e avevano bisogno di alcuni giorni per riprendersi, spesso i nemici approfittarono di questa condizione di svantaggio per vendicarsi dei compagni uccisi.

19

Miti e leggende del nord - Vilhelm Gronbech Edda in Prosa -Snorri Sturluson

La mitologia scandinava è piena di riferimenti a indumenti capaci di rendere colui che aveva il privilegio di indossarli inumanamente forte e conferendogli doti magiche.


E’ sempre coperto da un ampio mantello, che varia nel colore, ma è più spesso grigio, e celato sotto un cappello. Il mantello grigio è, nel costume nordico, portatore di cattivi presagi, messaggero di morte. Il trapasso che è però un premio per il guerriero, che viene scelto per entrare nel Valhalla. Avvolto da un logoro mantello, e col capo coperto da un cappello dalle ampie falde, Odino piomba nel bel mezzo di una battaglia e decreta la vittoria dell’uno o dell’altro contendente. Colui che perde sul campo è in realtà il vero prescelto, il vero campione (Enberjar), poiché andrà a infittire la schiera dei guerrieri del Valhalla. La sera, mentre gli ospiti vuotavano i corni e la sala era rallegrata da un fuoco scoppiettante, entrò un uomo che nessuno conosceva. Era avvolto in un mantello variopinto, da cui spuntavano i piedi nudi, aveva un occhio solo e pareva piuttosto avanti negli anni. Gli sguardi di tutti si posarono sul vecchio, che nel frattempo avanzava lungo la sala, ma a nessuno passò per la mente di dargli il benvenuto. L ’uomo raggiunse il fu­sto della quercia e vi conficcò la spada, cosi da farla affondare fino all’elsa. Quindi disse: - Chi riuscirà a estrarre questa spada dall’al­bero la riceverà da me in dono, e stia pur certo che mai potrà bran­dire arma migliore-. L’uomo era avvolto in un mantello azzurro e si chiamava Grimnir; niente di più disse di sé, sebbene venisse interrogato.

• Il mantello Il mantello è un indumento mistico a prescindere dal suo proprietario. I mantelli scuri erano oggetti di grande valore. Nella “Saga di Oddr della freccia” egli si nasconde in un mantello scuro per impedire ad una veggente di leggere il suo destino. Þorgeirr ne “La saga degli Islandesi” si rifugia in silenzio, nel suo mantello, per un giorno e una notte, per decidere se introdurre o meno il culto cristiano nelle sue terre, decidendo poi, con molta saggezza. Þorgrimir recuperò miracolosamente le proprie forze dopo essersi nascosto sotto un mantello. Un mantello rosso è simbolo di regalità, ma nella “Saga dei valligiani di Vatsdalr” è connesso col tema del sacrificio. Anche il cappello che Odino indossa per nascondere la propria identità è un indumento magico. Nella “Saga di Eric il Rosso” la maga Þorbjörn avvolgendosi in un cappuccio nero di capretto e pelliccia di gatto fece calare l’oscurità. Nel “Libro dell’insediamento” al guerriero Ljòtr, gravemente ferito, viene calato il cappuccio sulla testa, di modo che gli altri non possano essere danneggiati dallo sguardo del moribondo.

20

Miti e leggende del nord Vilhelm Gronbech

Il suo nome significa dio del furore, con riferimento a quello stato di trance in cui l’uomo può spingersi molto al di là delle sue normali capacità.

Miti e leggende del nord - Vilhelm Gronbech

Come i guerrieri a lui consacrati anche Odino possiede delle vesti magiche. É ritratto come un vecchio, orbo, appare spesso nei campi di battaglia determinandone le sorti. Il padre degli dei a volte collabora per il successo dell’impresa di un eroe, come nel mito di Sigurð, nel quale dona al giovane un cavallo, Grani, figlio di Sleipnir e gli suggerisce preziosi consigli per sconfiggere il drago.

Miti e leggende del nord - Vilhelm Gronbech Il canzoniere eddico a cura di Piergiuseppe Scardigli

• Odino


• La cintura La cintura, presente anche in altri miti che non riguardano il dio è strumento catalizzante delle forze di chi la indossa. Nel mito di Sigurð, anche la valchiria Brunilde possiede una cintura che rende invincibile per qualsiasi uomo tranne che colui che avrebbe conquistato il suo cuore.

• Loki

Loki indossava infatti certe scarpe che gli permettevano di camminare sia sul mare che in cielo. Loki, spesso compagno di avventure di Thor è un personaggio di cui non ci si può fidare, ma grazie alla sua astuzia trova delle ingegnose soluzioni ai pasticci in cui si cacciano gli altri dei. La sua figura è per alcuni aspetti simile a quella di Mercurio nella civiltà classica: Della valenza magica delle calzature parleremo più avanti perchè dobbiamo ora occuparci della connessione del dio con la dea Freya, che è spesso bersaglio delle sue beffe.

• Freya La dea possiede delle piume di falco*, che permettono a chi le indossa di volare. Queste vengono spesso prese in prestito da Loki. Una volta Loki rubò le penne di falco a Frigg, se le mise indosso e volò a spassarsela in giro per il mondo. Ancora una volta entra in azione Loki, cui Thor si rivolge quando scopre che il suo martello è stato rubato. Sospettando che fautore del furto sia il gigante Trym, Loki indossa le penne di falco di Freyja e vola da lui. Trym gli conferma di aver sottratto il martello a Thor, e dice che se gli Asi vogliono rientrarne in possesso de­vono dargli in sposa Freyja. Tornato ad Asgàrd, Loki riferisce il messaggio del gigante; ma Freyja, piena di sdegno, si rifiuta di seguirlo a Jotunheim. A quel punto un altro potente Ase, Heimdall, suggerisce che sia Thor a recarsi con Loki da Trym, vestito da sposa. Co­stretto dagli eventi, Thor acconsente a mettere in pratica questo piano, e dopo un esilarante incontro-scontro con Trym, il «promesso sposo», riesce finalmente a riprendersi il martello. Indossate le penne di falco di Frigg, Loki vola fino alla dimora del gigante Geirrod. Preso da un’irrefrenabile curiosità, cerca di intrufolarsi nella casa del mostro, ma uno dei suoi servi lo scopre e lo cattura immediatamente. Messo in ca­tene e tenuto a digiuno per tre mesi, Loki riesce a ottenere la libertà da Geirrod so­lo dopo avergli promesso di attirare colà Thor con un sotterfugio. Loki riesce a rag­giungere il suo scopo, ma Geirrod si pentirà amaramente di aver voluto un incon­tro con Thor.

21

Miti e leggende del nord Vilhelm Gronbech

Nel mito di “Thor e Geirrodhr” il dio, sprovvisto dei suoi magici accessori ne indossa di analoghi, datigli in prestito dalla gigantessa, sua amica Gridhr.

Miti e leggende del nord - Vilhelm Gronbech

Thor si cinge la vita con Megingjord, la cintura della forza, e in tal modo accresce del doppio la sua divina potenza.

Miti e leggende del nord - Vilhelm Gronbech

La figura del dio Thor è inscindibile dal suo martello, il Mjolnir. Per impugnare la sua arma, però, sono indispensabili dei guanti di ferro che gli consentono di avere sempre una presa solida. Il dio possiede anche un altro strumento magico, che raddoppia la sua forza, già immensa: la sua cintura Megingjord.

Miti e leggende del nord - Vilhelm Gronbech

*non è certo che le piume di falco appartengano a Freya, in alcuni miti esse vengono attribuite a Frigg, moglie di Odino. Le due dee vengono spesso confuse. Probabilmente in principio le caratteristiche dell’una e dell’altra erano unite in un’unica figura.

• Thor


• La collana Freya indossa una preziosa collana, o forse una cintura di nome Brisingamen, forgiata dai nani

Mentre Freyja riposa tranquilla nella sua camera da letto, il dio Loki vi si in­troduce di soppiatto e deruba la dea della sua collana. Quando Freyja si accorge del furto, si reca subito da Odino e, in preda all’ira, gli intima di obbligare Loki a restituirle il maltolto. Odino, che è sempre in cerca di valorosi guerrieri da rin­chiudere nel Valhalla in attesa del Ragnarok, risponde a Freyja che riavrà la sua collana solo se riucirà a mettere due potenti sovrani l’uno contro l’altro. Freyja ob­bedisce [...]sotto le spoglie della bellissima Gondul, appare a Hedin in una radura boscosa, e con l’astuzia delle sue parole lo convince a battersi con Hogni per stabilire chi dei due sia il sovrano più valente. Comincia così fra i due un’aspra lotta [...]che non avrà mai fine. Freyja viaggia con una car­rozza a cui sono attaccati due gatti; ma scende anche nei campi di battaglia, e al suo arrivo lei e Odino prendono ciascuno metà dei caduti per sé. Il suo gioiello più prezioso è una collana che ha per nome Brisingamen; si racconta che una volta Heimdall e Loki, as­sunta la forma di foche, si sfidassero a raggiungere a nuoto un’isola in mezzo al mare per conquistare il gioiello; Heimdall arrivò primo, sicché viene chiamato anche « il dio che riuscì a prendere il gioiello di Freyja». Altri dicono che Brisingamen provenga dal laboratorio dei Nani, come molti altri oggetti preziosi degli Dei e degli uomini.

• Heimdall Heimdalll, guardiano del Bifrost, il ponte dell’arcobaleno, che collega tra loro i mondi, possiede un corno, il Gjallarhorn, che suonerà al crepuscolo degli dei per metterli in allerta, ha un suono così forte che può essere udito in tutti i mondi. Gjallarhorn è il«Corno Risonante», i cui squilli si sentono in tutto il mondo. Nel giorno del Ragnarok, il dio Heimdall lo suonerà per chiamare a raccolta tutti gli Dei e coloro che lottano per il bene contro i Giganti.

• Le calzature Un’usanza diffusa tra i popoli vichinghi era quella di gettare avanzi di pelle o calzature nelle tombe dei morti, per donarli al dio Viðar che, con il suo stivale, costituito dagli scarponi di tutti i più grandi guerrieri ucciderà il lupo Fenrir, figlio di Loki, nel giorno del Ragnarök. Anche la sposa di Odino, Frigg, possiede delle calzature molto preziose di cui si prende cura la sua ancella Fulla.

22

Gli scaldi a cura di Ludovica Koch

Una volta Freyja passò davanti a una rupe in cui si apriva una fessura: diede un’occhiata dentro la crepa e vide quattro nani at­torno al focolare, intenti a forgiare una collana. Subito fu colta dal­la brama di possedere il gioiello, e pur di ottenerlo offrì ai nani un’immensa quantità d’oro: ma essi non l’avrebbero ceduto a nes­sun prezzo se non a quello del suo amore. Più Freyja osservava la collana, più aumentava il desiderio di entrarne in possesso, e andò a finire che la dea concesse ai nani quello che avevano richiesto. Si fermò dunque a dormire nella caverna per quattro notti, e al mo­mento del commiato i nani le consegnarono la collana.

Miti e leggende del nord - Vilhelm Gronbech Miti e leggende del nord - Vilhelm Gronbech

che è al centro di molte vicende.


L’anello è un simbolo forte in tutte le culture, la sua forma circolare e per il materiale prezioso di cui è fatto. Nella sua forma contiene l’inizio e la fine, ricalcando il cilo della vita. Gli anelli, come i bracciali, sono simbolo di un patto, i vichinghi ricevevano un bracciale dagli jarl e ciò voleva dire che facevano finalmente parte della comunità come uomini adulti. L’anello, nel matrimonio era tramite per stringere un patto di fronte agli dei. Nei miti nordici si parla di molti anelli, i due più celebri sono: Draupnir, fabbricato dai nani. Andwaranaut è invece un anello che porta sventura a colui che lo possiede, maledetto dal suo primo possessore Andwar. É parte del tesoro di Fafnir, il drago sconfitto dall’eroe Sigurð. Poi Brokkr presentò i suoi doni. Diede a Óðinn l’anello Draupnir, dicendo che ogni nove notti ne sarebbero scaturiti otto anelli di uguale peso.

23

Prose Edda - Snorri Sturluson

• L’anello


Odino e Fenrir Odino Freya

Arthur Rackham

24


Northlanders

Massimo Carnevale

25


Un giorno sarai grande abbastanza per ricominciare a leggere le fiabe.

Abito di piume - Alexander Mcqueen

Charles Spencer Lewis

MILLE E UN ABITO


C’è una veste magica in ogni regno di fiaba. Ci sono vestiti che se li indossi nessuno potrà toglierti gli occhi di dosso e mantelli che rendono invisibili. In una fiaba, avvolgendoti in un mantello puoi arrivare ovunque tu desideri in un battito di ciglia; in un’altra indossando dei magici stivali potrai farlo in due passi...impiegherai qualche istante in più, ma di certo non dovrai fare il check-in. Altro che Ryanair! Del resto il tempo conta poco, tre anni possono passare in tre righe o poco più, se accade poco o niente; per scampare, invece, a mille pericoli e raggiungere l’amata, o un tesoro, o entrambi, possono volercene una ventina (di righe) ma poi le cose belle durano...per sempre! Durante il viaggio, o la fuga, o quello che più t’aggrada, puoi riporre, vestiti belli che non t’immagini quanto, in un solo guscio di noce e sfoderarli ad un ballo senza che si siano minimamente spiegazzati. Qualora ti dimenticassi di fare “i bagagli” non disperare...puoi sempre confidare nell’aiuto di una fata madrina, che non fa altro, nella vita, che preoccuparsi di te, e che, con una bacchetta più rapida di certe cucitrici cinesi portatili (e parlo di oggetti, non di persone) possa vestirti a nuovo con scarpe cristalline e abiti di stelle e renderti tanto bella che neppure tua mamma (o la tua matrigna) sarebbe capace di riconoscerti! Oppure, se tu fossi un imperatore (e allora? Non posso mica escludere che un re possa un giorno leggere la mia tesi!) potresti considerare l’idea di andare in giro nudo, con la panza al vento...tanto non riceveresti che complimenti! In queste storie nessuno si meraviglia se un gatto indossa un bel paio di stivaloni e se tu volessi spacciarti per un animaletto del bosco non avresti altro da fare che indossarne la pelliccia (come se io domani cercassi di convincere mia mamma che sono un’oca mettendomi il piumino) e conciata in quel modo riusciresti pure a trovare lavoro (beh che i fratelli Grimm erano tedeschi...) Parlando di piumini, occhio che oche e cigni, riservano delle belle sorprese! Ce n’erano una volta, infatti quattro o sei, o forse dodici, che invece erano dei principi, sotto l’effetto di uno stupefacente...incantesimo. La loro unica sorella passò sette anni a tessere delle camicie d’ortica per farli tornare alle sembianze originali, e questi ingrati le indossarono solo per farla felice...e contenta, visto che c’aveva lavorato tanto ma (io c’ero e) facevano delle facce... Mi pare adesso la ragazza abbia un negozio su Etsy, se siete interessati “dice che” non prudono per niente e costano così poco che per acquistarne una vi basterà la moneta che trovate ogni giorno infilando la mano nella tasca della giacca!

26


• Facciamo ordine

Ma la cosa che maggiormente stupiva i forestieri, che venivano a visitare quelle belle scuderie, era che nel bel mezzo di esse e nel luogo più vistoso, un signor Somaro faceva sfoggio delle sue grandi e lunghe orecchie. Né si può dire che questo fosse un capriccio; se il Re gli aveva assegnato un posto particolare e quasi d’onore, c’era la sua ragione. Perché bisogna sapere che questo raro animale meritava davvero ogni riguardo, a motivo che la natura lo aveva formato in un modo così straordinario e singolare, che tutte le mattine la sua lettiera, invece di essere sporca, era ricoperta a profusione di bellissimi zecchini e napoleoni d’oro, che venivano raccattati, appena egli si svegliava.

I racconti delle fate - Charles Perrault

Le fiabe che narrano di vestiti sono davvero innumerevoli, l’argomento si presta così bene che nessun autore ha potuto sottrarsi, tantomeno i fratelli Grimm. Nella fiaba de l’insalata magica non è solo l’ortaggio ad essere fatato; la fiaba si apre con la presentazione di uno straordinario mantello conteso tra gli uccelli di uno stormo, che ha la capacità di portare chi lo indossi, in qualunque posto desideri e che condurrà un cacciatore tra le grinfie d’una megera e poi tra le braccia dell’amata figlia di lei. Pelle d’orso narra invece l’avventura di un soldato speruto, dopo la guerra, che accettò di trattare col demonio che gli propose di vivere per sette anni sotto la pelliccia d’un orso, con l’aiuto di una giacca che gli avrebbe assicurato soldi ogni qualvolta avesse messo la mano nella tasca. Se fosse sopravvissuto avrebbe avuto una vita felice e ricca, se invece fosse morto il diavolo si sarebbe preso la sua anima. Il giovane, grazie alla sua generosità riceve in sposa una donna di buon cuore, e il diavolo, anzichè un’anima ne ottiene ben due: quelle delle due sorelle avide e invidiose. Nella storia del gatto con gli stivali, le calzature non hanno nessun merito, è il micio, che furbissimo costruisce in un sol giorno la ricchezza del suo padrone, che diventa persino principe! Come non hanno nessun merito nè colpa le scarpe che il padre di dodici principesse trova logorate dal ballo, sotto il loro letto, ogni mattina. Un giovane soldato, facendola in barba ai principi che l’avevano preceduto salverà le principesse da quello che era un inganno del demonio, grazie ad un mantello magico capace di renderlo invisibile e ne avrà una in sposa.

Una principessa, per sfuggire alle brame di suo padre, impazzito per la morte della moglie chiederà per sé vestiti stupendi e per ultima, la pelle di un asino straordinario, pensando finalmente di non essere accontentata. Quando invece il re acconsente è costretta a scappare. Proprio quando sembra che la povera ragazza, ormai soprannominata Pelle d’asino, debba rassegnarsi a fare la sguattera in una fattoria, un principe la scorge, nella sua piccola camera, vestita di stelle e si ammala d’amore per lei. La regina, esaudendo un desiderio del suo pargolo malato, le ordina una torta e l’anello della fanciulla cade nell’impasto; è tanto piccolo e delizioso da andare alla perfezione solo alla bella principessa, che vestita a nuovo convola a nozze con il giovane. Simile è la storia della famosa scarpetta di Cenerentola, che conquista il suo principe con un ballo. Pare che anche Andersen fosse un appassionato di calzature. Una povera fanciulla è, in una sua fiaba, costretta a danzare incessantemente, da un paio di malefiche scarpette rosse, e non avrà altra possibilità che farsi mozzare i piedi, per liberarsene. Più felice è il destino del piccolo Pollicino, che astuto, riuscirà a rubare ad un gigante affamato i suoi stivali delle sette leghe (o di trenta miglia) che saranno la sua fortuna e quella dei suoi fratelli. Ma lo scrittore si occupò anche di tessuti...particolari...invisibili, che furono i vestiti nuove dell’imperatore di un regno lontano! Questi, incapace di vedere la pregiata stoffa si ritrovò a “tesserne le lodi”, non trovando il coraggio di dire nulla, come tutti intorno a lui, che, truffati da due furbi mercanti erano convinti che la stoffa fosse invisibile agli srupidi. E se non fosse stato per un bimbo sarebbe ancora oggi convinto di essere vestito!

27


Pelle d’asino Anne Romby

28


I SEI CIGNI

antica leggenda irlandese

Jacob e Wilhelm Grimm

Con rumor d’ali, i cigni calarono accanto a lei, sicché ella potè buttare loro addosso le camicie: appena sfiorate, le pelli di cigno caddero e i suoi fratelli le stettero innanzi vivi e sani: solo il più giovane, invece del braccio sinistro, aveva un’ala di cigno attaccata alla schiena.

I sei cigni - Eleanor Hallowell Abbott

Tutte le fiabe - Jacob e Wilhelm Grimm

I FIGLI DI LIR


Sono fermamente convinto che tutte le fiabe della nostra raccolta, con tutte le loro particolarità, venivano narrate già millenni fa [...] in questo senso tutte le fiabe si sono codificate come sono da lunghissimo tempo, mentre si spostano di qua e di là in infinite variazioni [...] tali variazioni sono come i molteplici dialetti di una lingua e come quelli non devono subire forzature. Scrive Jacob Grimm in una lettera all’amico Achim von Arnim, ed è proprio così per la fiaba dei ragazzi tramutati in cigni che affonda le proprie radici nella storia dei Figli di Lir, un re dei Tuatha De Danaan, le antiche divinità irlandesi, e non è a lieto fine, o meglio, non ne ha uno tradizionale, perchè lo sciogliersi della maledizione toccata ai ragazzi coincide con la fine del paganesimo e delle sue stregonerie, e la conversione dei cigni (e di tutta l’Irlanda) alla fede cristiana. Yeats riprende il mito in una raccolta di racconti celtici seminando un lume di speranza: la sorella dei cigni diviene nel suo racconto causa e soluzione della malaugurata sorte toccata ai ragazzi e la tessitura è simbolo della sua penitenza, seppure la ragazza paghi la colpa della madre. A questa seguono altre due versioni del racconto: quella di Andersen, di impronta profondamente cattolica, adorna di preghiere e libretti sacri e quella, forse più popolare, dei fratelli Grimm nella quale le camicie sono due: le prime, quelle della matrigna invidiosa che lanciano il sortilegio; le seconde, liberatorie, intrecciate dalla bella Elisa che, dopo anni di sacrificio giunge alla meritata felicità.

29


• I figli di Lir

Lir aveva tre figli: Aed, i gemelli Fiachra e Conn ed una figlia di nome Fionnuala, questi erano molto belli ed ammirati da tutti. Aeb, sua moglie, figlia del re delle isole di Aran, morì ed egli per non lasciare orfani i bambini prese in moglie la sorella della defunta, la bella Aoife. Questa era molto invidiosa delle attenzioni che il re riservava ai suoi figli, così un giorno, mentre questi facevano il bagno in un lago ella decise di ucciderli, ma non ne ebbe il coraggio, così lanciò su di loro una maledizione: avrebbero vagato, sotto le sembianze di cigni bianchi: - Non tornerete alle vostre sembianze se non dopo aver passato trecento anni nel lago Derryvaragh, trecento nello stretto di Moyle e altri trecento sull’Atlantico e l’incantesimo si scioglierà solo quando un principe del nord sposerà una principessa del sud!Bodb, loro nonno non potendo porre fine al sortilegio trasformò la sua figlia malvagia in un corvo gracchiante. Quando Lir seppe della maledizione pregò i suoi figli di restare con lui, ma essi avevano ormai il cuore di cigni selvatici ed erano destinati a vagare, come aveva predetto la loro matrigna, ma continuarono a ricordare le canzoni che avevano imparato da ragazzi e a cantarle tra le isole e le baie. Lir promulgò una legge: nessuno avrebbe mai dovuto uccidere un cigno, in tutto il regno d’Irlanda, e così è ancora. Passarono intanto i 900 anni ed i cigni, che erano belli e giovani come il primo giorno, poterono finalmente tornare nella loro terra natìa, ma, al posto del castello che era stato un tempo la loro casa trovarono dei cumuli verdi e le campane d’una chiesa rintoccavano in lontananza. Come predetto la principessa Deoca del Munster aveva sposato Lairgnen del Connacht e voleva in dono i meravigliosi cigni dal canto soave di cui aveva tanto sentito parlare. Questi furono portati a lei, ma proprio al momento delle nozze si spogliarono delle bianche piume, e su di loro cadde il peso di tutti gli anni che avevano vissuto come cigni. Vennero battezzati e a Finnuala restò solo il tempo di chiedere a Caomhòg, l’eremita che sempre era stato con loro dal momento del ritorno in Irlanda, di essere seppellita insieme ai suoi fratelli, in circolo, mano nella mano, come erano soliti stare per ripararsi dal freddo. Quella notte Caomhòg li sognò ancora bambini, di nuovo insieme al loro padre e alla loro madre.

30


Abiti di piume Alexander Mcqueen

31


• I sei cigni Una volta un re che cacciava in una gran foresta inseguì la preda con tanto ardore, che nessuno del suo seguito, riusciva a tenergli dietro. Quando si fece la sera, il re si fermò e si guardò attorno: e vide che si era smarrito. Cercò una strada per uscire dal bosco, ma non la trovò. Ed ecco, vide avvicinarsi una vecchia tutta curva e con la testa tremante; era una strega. «Non potreste indicarmi la strada che traversa il bosco?», disse il re, «Oh sì, Maestà», rispose, «certo che posso, ma a una condizione; «Che condizione?», domandò il re. «Ho una figlia», disse la vecchia, «bella come nessun’altra al mondo, e merita bene di diventare vostra sposa; se volete farne Sua Maestà la Regina, v’indicherò la strada per uscire dal bosco altrimenti morirete di fame.» Impaurito, il re acconsentì e la vecchia lo condusse alla sua casetta; e lì, accanto al fuoco, sedeva la figlia, che accolse il re come se l’aspettasse. Egli vide bene che era molto bella, ma non gli piaceva; e non riusciva a guardarla senza un intimo ribrezzo. Quando l’ebbe messa sul cavallo, la vecchia gli indicò la strada, ed egli tornò alla reggia, dove furono celebrate le nozze. Il re era vedovo, e aveva sette figli avuti dalla prima moglie, sei maschietti e una bambina, e li amava sopra ogni cosa al mondo. Temendo che la matrigna non li trattasse bene e magari facesse loro del male, li portò in un castello solitario, in mezzo a un bosco. Era così nascosto ed era così difficile trovarne la strada, che neppure lui l’avrebbe trovata, se una maga non gli avesse regalato un gomitolo di filo prodigioso. Quando lo gettava davanti a sé, si svolgeva da solo e gli indicava la via. Ma il re andava così spesso dai suoi cari bambini che le sue assenze diedero nell’occhio alla regina: le venne curiosità di sapere che cosa andasse a fare solo solo nel bosco. Corruppe i servi ed essi le svelarono il segreto e le dissero anche del gomitolo, il solo che potesse indicare la strada. Ella non ebbe pace finché non scoprì dove il re lo custodiva; poi fece delle piccole carnicine di seta bianca e, perché aveva imparato la magia da sua madre, vi intrecciò un incantesimo. E una volta che il re era andato a caccia, prese le carnicine ed entrò nel bosco, e il gomitolo le indicò la strada. I bambini, vedendo arrivare qualcuno da lontano, pensarono che fosse il loro caro babbo e gli corsero incontro pieni di gioia. Allora ella gettò una carnicina su ciascuno, e appena questa n’ebbe sfiorato il corpo, eccoli trasformati in cigni e volar via per la foresta. La regina tornò a casa tutta contenta, credendo d’essersi liberata dei figliastri; ma la bambina non le era corsa incontro coi fratelli e di lei la matrigna non sapeva nulla. Il giorno dopo il re andò a vedere i suoi figli, ma trovò soltanto la bambina. «Dove sono i tuoi fratelli», le chiese. «Ah, caro babbo», ella rispose «se ne sono andati e mi han lasciata sola.» E gli raccontò che dalla sua finestrina aveva visto i fratelli volar via per la foresta, sotto forma di cigni; e gli mostrò le penne, che avevan lasciato cadere nel cortile e che lei aveva raccolto. Il re ne fu molto addolorato, ma non pensò che la regina avesse compiuto quella cattiva azione, e, temendo che gli rapissero anche la figlia, voleva portarla con sé. Ma lei aveva paura della matrigna e pregò il padre di lasciarla per quella notte ancora nel castello del bosco. La povera fanciulla pensava: «Qui non posso più restare; voglio andare a cercare i miei fratelli». E quando si fece buio fuggì e si addentrò nel bosco. Camminò tutta la notte e anche il giorno dopo senza fermarsi mai, finché fu presa dalla stanchezza. Allora vide una casetta, entrò e trovò una stanza con sei lettini; ma non si coricò in un letto e vi si cacciò sotto, sdraiandosi sul duro pavimento per passarvi la notte. Ma al calar del sole udì un rumor d’ali e vide sei cigni entrare a volo dalla finestra. Si posarono in terra si soffiarono addosso l’un l’altro, facendo cadere tutte le penne; e la pelle di cigno si tolse come una camicia. La fanciulla li guardò, riconobbe i suoi fratelli e piena di gioia sbucò fuori da sotto il letto. Né essi furono meno felici, quando scorsero la loro sorellina; ma per poco tempo. «Qui non ti puoi fermare», dissero, «questo è un covo di briganti: se tornano a casa e ti trovano, ti uccideranno.» «Non potete proteggermi voi?», domandò la sorellina. «No», risposero, «soltanto per un quarto d’ora, ogni sera, possiamo deporre la nostra pelle di cigno e riprender figura umana; ma poi ci trasformiamo di nuovo.» La sorellina disse piangendo:

32


Tutte le fiabe - Jacob e Wilhelm Grimm

«Non potete essere liberati?». «Ah no», risposero, «le condizioni sono troppo dure. Per sei anni non dovresti parlare né ridere, e intanto dovresti cucire per noi sei carnicine di ortica. Una sola parola che ti sfuggisse dalle labbra, e tutto il lavoro sarebbe perduto.» Detto questo, il quarto d’ora era passato, ed essi volarono fuori dalla finestra sotto forma di cigni. Ma la fanciulla prese la risoluzione di liberarli, anche a costo della vita. Lasciò la capanna, andò in mezzo al bosco e salì su un albero, dove trascorse la notte. La mattina dopo andò a cogliere ortiche e si mise a cucire. Non poteva parlare con nessuno, e di ridere non aveva voglia: sedeva tutta presa dal suo lavoro. Era già passato molto tempo, quando il re del paese andò a caccia nel bosco e i suoi cacciatori giunsero presso l’albero su cui era la fanciulla. La chiamarono e dissero: «Chi sei?». Ma lei non rispose. «Scendi», le dissero «non ti faremo niente.» Lei scosse il capo. Poiché continuavano ad infastidirla con le loro domande, gettò loro la sua catenella d’oro, pensando di accontentarli. Ma quelli non la smettevano; lei gettò loro la sua cintura, e poiché neppur questo servì, le giarrettiere e, a poco a poco, tutto quello che aveva indosso e di cui non poteva fare a meno, sicché alla fine rimase in camicia. Ma i cacciatori non si contentarono, salirono sull’albero, la presero e la condussero dal re. Il re chiese: «Chi sei? Cosa fai sull’albero?». Ma lei non rispose. Glielo chiese in tutte le lingue che sapeva, ma lei rimase muta come un pesce. Pure era tanto bella che gli toccò il cuore ed egli se ne innamorò perdutamente. L’avvolse nel suo manto, se la mise davanti sul cavallo e la portò nella reggia. Le fece indossare ricche vesti; e nella sua bellezza ella sfolgorava come la luce del giorno, ma non si potè farle aprir bocca. A tavola il re la fece sedere al suo fianco e la sua modestia e il suo garbo gli piacquero tanto che disse: «Questa sarà la mia sposa, e nessun’altra al mondo!». E dopo alcuni giorni si celebrarono le nozze. Ma il re aveva una madre perfida, che non era contenta di quel matrimonio e parlava male della giovane regina. «Chissà da dove viene quella ragazza che non sa parlare!», diceva, «non è degna di un re.» Dopo un anno, quando la regina diede alla luce il suo primo nato, la vecchia glielo portò via e, mentre essa dormiva, le spalmò la bocca di sangue. Poi andò dal re e l’accusò di essere un’orchessa. Il re non volle crederlo e non permise che le torcessero un capello. Intanto lei continuava a cucire le sue camicie e non badava ad altro. La seconda volta, partorì di nuovo un bel maschietto, e la perfida suocera usò lo stesso inganno; ma il re non potè decidersi a darle retta. Disse: «È troppo buona e pia per fare una cosa simile; non fosse muta e potesse difendersi, si rivelerebbe la sua innocenza». Ma la terza volta, quando la vecchia rapì il neonato e accusò la regina, che non disse una parola in propria difesa, il re dovette per forza consegnarla al tribunale, che la condannò a morte sul rogo. Venuto il giorno dell’esecuzione, ecco trascorso anche l’ultimo giorno dei sei anni, durante i quali ella non poteva né parlare né ridere: aveva liberato i suoi cari fratelli dalla forza dell’incantesimo. Le sei camicie erano pronte, all’ultima soltanto mancava la manica sinistra. Quando la condussero al rogo, ella si mise le camicie sul braccio e di lassù, mentre stavano per accendere il fuoco, si guardò attorno: ed ecco sei cigni giungere in volo per l’aria. Ella vide che la loro liberazione era prossima e il cuore le balzò di gioia. Con rumor d’ali, i cigni calarono accanto a lei, sicché ella potè buttare loro addosso le camicie: appena sfiorate, le pelli di cigno caddero e i suoi fratelli le stettero innanzi vivi e sani: solo il più giovane, invece del braccio sinistro, aveva un’ala di cigno attaccata alla schiena. Si baciarono e s’abbracciarono e la regina andò dal re, che guardava sbalordito; lei cominciò a parlare e disse: «Carissimo sposo, ora posso parlare e dirti che sono innocente e ingiustamente accusata». E gli raccontò l’inganno della vecchia, che le aveva rapito e nascosto i suoi tre bambini. Allora li mandarono a prendere, con gran gioia del re, e per castigo la cattiva suocera fu legata al rogo e incenerita. Ma il re, la regina e i sei fratelli vissero a lungo, felici e contenti.

33


Le dodici oche selvatiche Anne Yvonne Gilbert

34


Hans Christian Andersen

Videro l’Orco che andava di montagna in montagna e traversava i fiumi come se fossero ruscelletti.

Pollicino - Gustave Dorè

Tutte le fiabe - Hans Christian Andersen

POLLICINO


35

Pollicino

C’era una volta uno spaccalegna e una spaccalegna, che avevano sette bimbi, tutti maschietti. Il maggiore avea solo dieci anni e il più piccolo sette. Come mai, direte, tanti figli in così poco tempo? Gli è che la moglie andava di buon passo e non ne faceva meno di due alla volta. Era poverissima, e i sette bimbi gl’incomodavano assai, visto che nessuno di essi era in grado di buscarsi da vivere. Per giunta di cordoglio, il più piccino era molto delicato e non apriva mai bocca, sicchè si scambiava per grulleria quello che era un segno di bontà di cuore. Era piccolissimo, e quando venne al mondo non era mica più grosso del pollice, ed è però che lo chiamarono Pollicino. Questo povero bimbo era il bersaglio della casa, e sempre a lui si dava il torto. Era però il più sennato e fine di tutti i fratelli, e se poco parlava, ascoltava molto. Venne una gran brutta annata, e tanta fu la carestia, che quella povera gente decise di sbarazzarsi dei piccini. Una sera che questi erano a letto, lo spaccalegna disse tutto afflitto alla moglie, seduta con lui davanti al fuoco: “Tu vedi che non possiamo più dar da mangiare ai piccini; vedermeli morir di fame sotto gli occhi non mi dà l’animo, e ho deciso di menarli domani al bosco perchè vi si sperdano. La cosa sarà facile; quando li vedremo occupati a far fascinotti, tu ed io ce la svigneremo. - Ah! esclamò la moglie, e avrai proprio cuore di far smarrir i figli tuoi?” Aveva un bel parlare di miseria il marito, la poveretta non si faceva capace; era povera sì, ma era la loro mamma. Se non che, considerando quanto avrebbe sofferto a vederli morir di fame, finì per acconsentire e se ne andò a letto, piangendo. Pollicino aveva intanto udito ogni cosa, perchè essendosi accorto che discorrevano di affari, era sgusciato fuori dal suo letticciuolo e s’era insinuato sotto lo sgabello del padre. Andò subito a ricoricarsi, nè chiuse più occhio, pensando a quel che avesse da fare. Si alzò di buon mattino e se n’andò sulle rive d’un ruscello, dove s’empì le tasche di pietruzze bianche, e poi se ne tornò a casa. Si misero in cammino, e Pollicino non disse niente ai fratelli di quanto sapeva. Entrarono in un bosco foltissimo, dove a dieci passi di distanza non si vedevano l’un l’altro. Il padre si mise a spaccar legna, e i piccini a raccoglier frasche per farne fascinotti. Vedendoli così occupati, il babbo e la mamma si allontanarono a poco a poco e poi, per una straducola di traverso, via di corsa. Quando si videro soli, i bambini si dettero a gridare e a piangere il più che potevano. Pollicino li lasciava gridare, ben sapendo per che via ritornare a casa; poichè cammin facendo, avea lasciato cader per terra le pietruzze portate in saccoccia. “Non abbiate paura, disse, fratelli miei; il babbo e la mamma ci han lasciati qui, ma io vi ricondurrò fino a casa: seguitemi.” Lo seguirono, e per lo stesso cammino, guidati da lui, traversarono il bosco e tornarono a casa. A bella prima, non osarono entrare, ma si fermarono davanti alla porta, per sentire quel che la mamma e il babbo dicevano. Arrivati a casa dal bosco, lo spaccalegna e la moglie ricevettero dieci scudi, che da un pezzo doveano riscuotere dal signore del villaggio e sui quali non contavano più. Si sentirono rinascere, tanta era la fame che li tormentava. Il marito mandò subito la moglie dal beccaio. E poichè da molto tempo si stava digiuni, la donna comprò tanta carne che poteva bastar per sei persone non che per due. Saziati che furono, disse la poveretta: “Ahimè, dove saranno ora quei poveri piccini! Che festa farebbero di questi avanzi. Colpa tua, Guglielmo, che volesti perderli; io te lo dissi che ci saremmo pentiti. Che faranno ora nel bosco? O Dio! chi sa che i lupi non gli abbiano mangiati! Sei proprio cattivo tu di aver così perduto i figli tuoi!” Lo spaccalegna, dalli e dalli, gli scappò la pazienza, e minacciò di batterla, se non si stava zitta. Non già che non fosse più addolorato di lei; ma la moglie ciarliera gli rompeva la testa ripetendogli che l’avea detto, ed egli era come tanti altri, cui piacciono le donne che dicono bene, ma che non possono soffrire quelle che hanno sempre ben detto. La moglie si struggeva sempre in lagrime e badava a ripetere: “Ahimè! dove saranno i miei figli, i miei poveri figli!” E così forte disse queste parole, che i piccini gridarono di fuori: “Siamo qui! siamo


qui!” Subito corse ad aprir la porta ed esclamò abbracciandoli: “Come son contenta di rivedervi, anime mie! Dovete essere stanchi ed affamati; e tu, Pietruccio, come sei inzaccherato! Vien qui, che ti lavi”. Pietruccio era il maggiore dei figli, il beniamino suo, perchè era rosso di capelli come lei! Si misero a tavola, e mangiarono con una fame che facea piacere al babbo e alla mamma, ai quali raccontarono la paura che aveano avuto nel bosco, parlando quasi sempre a coro. La contentezza dei genitori fu grande, ma durò solo fino a che durarono i dieci scudi; finiti questi, ricaddero i poveretti nella disperazione di prima, e da capo decisero di perdere i figli, portandoli, per non mancare il colpo, molto più lontano della prima volta. Per segreto che fosse il complotto, Pollicino ne afferrò qualche parola, e subito contò di cavarsi d’impaccio come la prima volta; ma, benchè si alzasse di buon mattino per raccoglier pietruzze, non riuscì nell’intento, perchè trovò chiusa a doppia mandata la porta di casa. Non sapea che fare, quando, avendo la mamma dato a ciascuno un pezzo di pane per la colazione, ei pensò di servirsi del pane invece che delle pietruzze, sbricciolandone la mollica lungo la strada che avrebbero fatto; epperò se la cacciò bene in saccoccia. Il babbo e la mamma li menarono nel punto più fitto e scuro del bosco, e poi, infilata una scorciatoia, li piantarono soli. Pollicino non se n’afflisse gran che, credendo di poter ritrovare la via di casa per mezzo del pane sbricciolato cammin facendo; ma fu molto sorpreso, quando non riuscì a trovarne nemmeno una briciola: gli uccelli erano venuti e aveano mangiato ogni cosa. Figurarsi la loro afflizione! Più camminavano, più si sperdevano e si sprofondavano nel bosco. Venne la notte, e un gran vento si levò, che faceva loro una paura terribile. Da tutte le parti parea loro di sentire gli urli dei lupi che venivano per mangiarli. Non osavano quasi parlare nè voltar la testa. Sopravvenne un acquazzone, che li bagnò fino all’osso; sdrucciolavano ad ogni passo, ruzzolavano nella mota e si rialzavano tutti inzaccherati, non sapendo che fare delle loro mani. Pollicino si arrampicò in cima ad un albero, per vedere se gli riuscisse di scoprir qualche cosa; voltò la testa di qua e di là, e scorse alla fine un piccolo chiarore come d’una candela, ma lontano assai, di là dal bosco. Discese dall’albero, e quando fu a terra non vide più niente, purtroppo. Nondimeno, dopo aver camminato ancora, un po’ coi fratelli verso la parte del chiarore, lo rivide uscendo dal bosco. Arrivarono finalmente alla casa dov’era la candela, non senza molta paura; perchè spesso la perdevano di vista, quando scendevano in qualche sentiero più basso. Bussarono alla porta. Una buona donna venne ad aprire, e domandò che cosa volessero. Rispose Pollicino che erano dei poveri bambini sperdutisi nel bosco, e che domandavano per carità un posticino per dormire. La donna, vedendoli tutti così bellini, si mise a piangere. “Ahimè! disse, poveri piccini, dove siete capitati! Sapete voi che questa è la casa d’un Orco, che si mangia i bimbi? - Ahimè! signora, rispose Pollicino, che tremava tutto come i fratelli, e che faremo noi? Se non ci date ricovero, non può mancare che stanotte stessa non ci mangino vivi i lupi del bosco. Se così dev’essere, meglio è che ci mangi il signor Orco; può anche darsi che abbia pietà di noi, se voi vi compiacerete di pregarlo”. La moglie dell’Orco, credendo di poterli nascondere al marito fino alla mattina, li lasciò entrare e li fece scaldare davanti a un bel fuoco; perchè c’era un montone intiero allo spiedo per la cena dell’Orco. Cominciarono a scaldarsi, quando udirono tre o quattro colpi bussati forte alla porta: era l’Orco che tornava. Subito la donna li fece nascondere sotto il letto, e corse ad aprire. L’Orco domandò prima se la cena era pronta e se il vino era spillato, e senz’altro si mise a tavola. Il montone era ancora sanguinolento, ma egli lo trovò squisito. Fiutava intanto a dritta e a sinistra, dicendo che sentiva odore di carne fresca. “Dev’essere, disse la moglie, quel vitello, che or ora ho apparecchiato per cucinarlo domani. - Io sento la carne fresca, ti ripeto, riprese l’Orco guardando di sbieco alla moglie. Gatta ci cova! E così dicendo, si alzò dalla tavola e andò diritto al letto. “Ah! esclamò, ecco come mi vuoi infinocchiare, strega maledetta! Non so chi mi tenga dal mangiar te per la prima. Fortuna per te che sei una bestia vecchia. Ecco della caccia che mi arriva a proposito per trattare tre Orchi amici miei, che verranno fra giorni a farmi visita”. Li tirò uno dopo l’altro di sotto al letto. I poveri piccini si gettarono in ginocchio, domandando pietà: ma pur troppo avean da fare col più feroce di tutti gli Orchi, il quale, non che impietosirsi, li divorava già

36


con gli occhi, e diceva alla moglie che sarebbero stati con una buona salsa manipolata da lei altrettanti bocconi appetitosi. Andò a prendere un coltellaccio, e avvicinandosi ai bimbi, lo andava affilando sopra una lunga pietra che teneva nella mano sinistra. Ne avea già agguantato uno, quando la moglie gli disse: “Che volete fare a quest’ora? Non avrete forse tempo domani? - Zitto là! le gridò l’Orco, saranno così più teneri. - Ma ne avete tanta della carne, ribattè la moglie: ecco qua un vitello, due montoni e mezzo maiale! - Hai ragione, disse l’Orco; dà loro una buona cena, perchè non dimagrino, e mettili a letto”. La buona donna, tutta contenta, portò loro da cena; ma nessuno di loro potè mangiare tanta era la paura. L’Orco intanto si rimise a bere, felice di aver sotto mano un bel pasto pei suoi amici. Tracannò una dozzina di bicchieri più del solito, il che gli diè un poco alla testa e lo costrinse a mettersi a letto. L’Orco avea sette figlie, tutte piccine. Queste piccole orche aveano tutte una bella carnagione, perchè mangiavano carne fresca come il padre; ma aveano degli occhietti grigi e tondi, il naso ad uncino e una boccaccia fornita di denti lunghi, puntuti e slargati. Molto cattive non erano ancora; ma davano di sè belle speranze, perché già mordevano i bimbi per succhiarne il sangue. Di buon’ora le avean mandate a dormire e tutte e sette erano distese in un gran letto, ciascuna con in capo una corona d’oro. Nella stessa camera c’era un altro letto, egualmente grande; e fu in questo che la moglie dell’Orco fece coricare i sette bambini; dopo di che, se n’andò a pigliar posto nel letto del marito. Pollicino aveva intanto notato che le figlie dell’Orco aveano in capo delle corone d’oro; e poichè temeva che l’Orco s’avesse a pentire di non averli scannati la sera stessa, si alzò verso la mezzanotte, prese il berretto proprio e quelli dei fratellini, e piano piano li andò a mettere in capo alle figlie dell’Orco, dopo aver loro tolto le corone d’oro. Queste qui poi se le misero lui e i fratelli, affinchè l’Orco scambiasse loro per le figlie, e le figlie pei ragazzi che volea scannare. La cosa andò per l’appunto come l’avea pensata; perchè l’Orco, svegliatosi sulla mezzanotte, si rammaricò di aver rimandato al domani quel che potea fare il giorno prima. Saltò dunque dal letto e, afferrato il coltellaccio: “Orsù, disse, andiamo a vedere come stanno quei biricchini: non ci pensiamo su due volte”. Salì a tentoni nella camera delle figlie, e si accostò al letto dov’erano i ragazzi, i quali tutti dormivano, meno Pollicino che ebbe una paura terribile quando si sentì toccare la testa dalla mano dell’Orco, che gíà avea toccato la testa dei fratelli. L’Orco che sentì le corone d’oro: “Stavo per farla grossa, brontolò; si vede che ho bevuto troppo iersera. Si accostò poi al letto delle figlie, e quando ebbe palpato i berretti: “Ah! eccoli, disse, i bricconcelli! Lavoriamo da bravi!” Così dicendo, e senza esitare un momento, tagliò la gola alle sue sette figlie, e tutto contento della bravura, se ne tornò da basso accanto alla moglie. Non appena udì russare l’Orco, Pollicino destò i fratelli e disse loro che si vestissero presto e lo seguissero. Discesero in punta di piedi in giardino e saltarono di sopra al muro. Corsero quasi tutta la notte, tremando sempre e senza sapere dove andassero. Svegliatosi l’Orco, disse alla moglie: “Va di sopra e apparecchiami quei furfantelli di iersera.” L’Orca si maravigliò di tanta bontà nel marito, e subito montò di sopra, dove ebbe un colpo quando vide le sette figlie scannate che nuotavano in un mare di sangue. Cominciò per venir meno, perchè questo è il primo espediente che le donne trovano in casi simili. L’Orco, vedendola tardare, andò anche lui di sopra ed ebbe a trasecolare davanti all’orribile spettacolo. “Che ho fatto! esclamò. Me la pagheranno quegli sforcati, e subito!” Gettò una pentola d’acqua nel naso della moglie, e quando la vide tornare in sè: “Dammi presto, disse, i miei stivaloni dl trenta miglia, affinchè li raggiunga”. Detto fatto, si mise in cammino, e dopo aver corso lontano di qua e di là, entrò finalmente nel sentiero dove camminavano i poveri ragazzi, che erano solo a cento passi dalla casa del babbo. Videro l’Orco che andava di montagna in montagna e traversava i fiumi come se fossero ruscelletti. Pollicino, visto non lontano una roccia

37


Tutte le fiabe - Hans Christian Andersen

scavata, vi si nascose coi fratelli, guardando sempre a quel che l’Orco faceva. L’Orco, che si sentiva spossato dal lungo cammino, perchè gli stivaloni di trenta miglia stancano maledettamente chi li porta, volle riposarsi e andò a sedere, per caso, proprio sulla roccia dove i piccini stavano nascosti. Siccome non ne poteva più, pigliò sonno dopo un poco, e cominciò a russare con tanto fracasso che i poveri bambini ebbero la stessa paura di quando l’avean visto col coltellaccio in mano, pronto a scannarli. Pollicino ebbe meno paura degli altri, e disse ai fratelli che subito scappassero a casa mentre l’Orco dormiva sodo, e che di lui non si dessero pensiero. Quelli seguirono il consiglio e in meno di niente furono a casa loro. Pollicino si accostò all’Orco, gli cavò pian pianino gli stivaloni e se li mise. Gli stivaloni erano molto grandi e larghi; ma siccome erano anche fatati, aveano il dono di allargarsi o di stringersi secondo la gamba di chi li calzava; sicchè a Pollicino andarono a pennello, come se per lui fossero stati fatti a misura. Se n’andò difilato alla casa dell’Orco, dove trovò la moglie di lui che piangeva sempre accanto alle figlie scannate. “Vostro marito, le disse Pollicino, è in gran pericolo; è incappato in una banda di ladri, e questi hanno giurato di ammazzarlo se egli non dà loro tutto il suo danaro. Nel punto che gli tenevano il pugnale alla gola, egli mi ha visto e mi ha pregato di correre ad avvertirvi e di dirvi che mi consegniate tutti i valori, nessuno escluso, se no lo scannano senza misericordia. Siccome la cosa è urgente, ha voluto anche che prendessi i suoi stivaloni di trenta miglia, sì per far presto sì perchè non m’aveste a pigliare per un imbroglione”. La buona donna, più impaurita che mai, gli diè subito quanto aveva; perchè l’Orco era un marito eccellente, con tutto che mangiasse i bimbi. Pollicino, carico di tutte le ricchezze dell’Orco, se ne tornò alla casa paterna, dove fu accolto a braccia aperte. A questo particolare molti non credono. Pollicino, dicono costoro, non ha mai fatto questo furto all’Orco; e se gli prese gli stivaloni, lo fece perchè l’Orco se ne serviva per correre dietro i bambini: questo essi sanno di sicuro, avendo anche mangiato e bevuto in casa del taglialegna. Affermano poi che quando ebbe calzato gli stivaloni dell’Orco, Pollicino se n’andò alla corte, dove sapeva che si stava in gran pensiero per un esercito che si trovava lontano 700 miglia e che avea dato battaglia chi sa con quale esito. Si presentò, dicono, al re, e gli disse che se voleva notizie gliene avrebbe portato prima di sera. Il re gli promise, dato che riuscisse, una grossa somma. Pollicino portò la notizia la sera stessa; e così, fattosi un nome per questa prima bravura, guadagnava quel che voleva; perchè il re lo pagava profumatamente per portar gli ordini ai soldati e moltissime dame gli davano quanto più volesse per aver notizie dei loro amanti, anzi fu questo il suo guadagno più grosso. C’erano anche di quelle che lo incaricavano di portar le lettere ai mariti; ma lo pagavano così male ch’ei non si degnava mettere a conto quel che guadagnava per questa mano. Dopo aver fatto un certo tempo il corriere, ammassando una bella fortuna, Pollicino tornò dal padre, dove non si può figurarsi quanto si fu contenti di rivederlo. La famiglia nuotò nell’abbondanza. Pollicino comprò altrettanti impieghi pel babbo e pei fratelli, e quando gli ebbe tutti ben collocati seguitò egli stesso a vivere in corte da gran signore. Morale: Nessuno si lamenta di aver molto figliuoli, se questi sono belli, grossi e vistosi; ma se ce n’è un solo debolino, questi è disprezzato, deriso, maltrattato; eppure qualche volta toccherà proprio al marmocchio di far la fortuna di tutta la famiglia.

38


Il diario segreto di Pollicino Rebecca Dautremer

39


IL VESTITO NUOVO DELL’IMPERATORE «Ecco i calzoni! Ecco la giubba! Ecco il mantello!» e così via. «Son leggeri come ragnatele! Sembra di non portar nulla sul corpo! Ma questo è il loro maggior pregio!»

lI vestito nuovo dell’imperatore - Autore Sconosciuto

Hans Christian Andersen

Hans Christian Andersen


40

Il vestito nuovo dell’imperatore

Molti anni or sono, viveva un Imperatore, il quale dava tanta importanza alla bellezza ed alla novità dei vestiti che spendeva per adornarsi la maggior parte de’ suoi danari. Non si curava de’ suoi soldati, non di teatri o di scampagnate, se non in quanto gli servissero di pretesto a far mostra di qualche nuovo vestito. Per ogni ora della giornata, aveva una foggia speciale, e, come degli altri re si dice ordinariamente: è al consiglio, – di lui si diceva sempre: è nello spogliatoio. Nella grande città dov’egli dimorava, la vita era molto gaia, ed ogni giorno ci capitavano forestieri. Una volta, ci vennero anche due bricconi, i quali si spacciarono per tessitori e raccontarono di saper tessere la più bella stoffa che si potesse vedere al mondo. Non solo i colori e il disegno erano straordinariamente belli, ma i vestiti che si facevano con tale stoffa avevano questa mirabile proprietà: ad ogni uomo inetto al proprio officio o più stupido di quanto sia lecito comunemente, essi rimanevano invisibili. “Ah, questi sì, sarebbero vestiti magnifici!”, pensò l’Imperatore. “Quando li avessi indosso, verrei subito a sapere quali sono nel mio regno gli uomini inetti all’officio che coprono; e saprei subito distinguere i savi dagli stolti! Sì, sì; bisogna che mi faccia tessere questa stoffa.” E anticipò intanto ai due bricconi una buona somma di danaro, perché potessero incominciare il lavoro. Essi prepararono due telai, e fecero mostra di mettersi a lavorare; ma sui telai non avevano nulla di nulla. Nel domandare, però, non si peritavano: domandavano sempre le sete più preziose e l’oro più fino. E la roba, se la mettevano in tasca e continuavano a lavorare ai telai vuoti, magari sino a notte inoltrata. “Mi piacerebbe sapere a che punto sono col lavoro”, pensava l’Imperatore; ma l’angustiava un poco il fatto che chiunque fosse troppo sciocco od impari al proprio officio non avrebbe potuto vedere la stoffa. Sapeva bene che, per conto suo, non c’era di che crucciarsi, ma, in ogni modo, stimò più opportuno di mandare prima un altro a vedere come andasse la faccenda. In città, tutti ormai sapevano la meravigliosa proprietà della stoffa, ed ognuno era curioso di vedere sino a che punto giungesse la stupidità o la buaggine del suo vicino. “Manderò dai tessitori il mio vecchio onesto Ministro”, pensò l’Imperatore. “Può giudicare il lavoro meglio di qualunque altro, perché ha ingegno e nessuno più di lui è adatto alla propria carica.” E il buon vecchio Ministro andò nella sala dove i due mariuoli facevano mostra di lavorare dinanzi ai telai vuoti. “Dio mi assista!” fece il vecchio Ministro, e sgranò tanto d’occhi. “Io non vedo nulla di nulla!” Ma però si guardò bene dal dirlo. I due bricconi lo pregarono di farsi più presso: non era bello il disegno? e i colori non erano bene assortiti? – e accennavano qua e là entro al telaio vuoto. Il povero Ministro non si stancava di spalancar tanto d’occhi, ma nulla riusciva a vedere, poi che nulla c’era. “Mio Dio!” pensava. “Ma ch’io proprio sia stupido? Non l’ho mai creduto, ma questo, già, di se stesso nessuno lo crede. E se non fossi adatto a coprire la mia carica? No, no; non è davvero il caso d’andar a raccontare che non vedo la stoffa.” «È così? Non ci dite nulla?» domandò uno degli uomini, che stava al telaio. «Oh, perfetto, magnifico, proprio magnifico!» disse il vecchio Ministro, e guardò a traverso agli occhiali: «Che disegno, che colori!... Sì, dirò a Sua Maestà che il lavoro mi piace immensamente!». «Oh, questo ci fa davvero tanto piacere!» dissero entrambi i tessitori; e indicavano i colori per nome, e additavano i particolari del disegno. Il vecchio Ministro stava bene attento, per poter dire le stesse cose quando fosse tornato con l’Imperatore; e così fece. Intanto, i due bricconi domandavano dell’altro danaro, dell’altra seta, dell’altr’oro, tutto per adoprarlo nel tessuto, naturalmente. E tutto mettevano invece nelle proprie tasche; e sul telaio non ne andava nemmeno un filo; ma continuavano come prima a lavorare al telaio vuoto. L’Imperatore mandò poco dopo un altro ottimo officiale dello Stato, affinché gli riferisse sull’andamento del lavoro, e se mancasse poco alla fine. Ed accadde anche a lui precisamente quello ch’era accaduto al Ministro: guardava e guardava, e poi che sul telaio vuoto nulla c’era, nulla riusciva a vedere. «Non è vero che è un bel genere di stoffa?» domandavano tutti e due i mariuoli; e mostravano e


spiegavano le bellezze della stoffa che non c’era. “E pure, io non sono sciocco!” pensava l’officiale. “E allora, gli è che non sono adatto al mio alto officio. Sarebbe strana! In ogni modo, bisogna almeno non lasciarlo scorgere!” Per ciò, vantò la stoffa che non vedeva e si dichiarò pienamente soddisfatto tanto dei bellissimi colori quanto dell’eccellente disegno. «È proprio stupendo!» disse poi all’Imperatore. E in città non si faceva che parlare di questa magnifica stoffa. Poi l’Imperatore stesso volle esaminare il tessuto sin che stava ancora sul telaio. Accompagnato da tutto un seguito di eletti cortigiani, tra i quali si trovavano anche i due vecchi valentuomini, che primi vi erano andati, si recò da quei furbi mariuoli. Essi lavoravano ora con più lena che mai, ma sempre senza trama e senza filo. «Non è vero che è proprio stupendo?» dissero tutti e due i probi officiali: «Si degni la Maestà Vostra di osservare questo ornato, questi colori!» ed accennavano al telaio vuoto, sempre credendo, ben inteso, che gli altri potessero vedere la stoffa. “Che affare è questo?” pensò l’Imperatore. “Io non ci vedo nulla! Questa è grossa! Fossi mai per caso un grullo. O non fossi buono a far l’imperatore? Sarebbe il peggio che mi potesse capitare...” «Oh, è bellissimo!» disse ad alta voce: «È proprio di mio pieno gradimento». Ed approvò soddisfatto, esaminando il telaio vuoto; perché non voleva confessare di non vedervi nulla. Tutto il seguito, che lo accompagnava, aveva un bell’aguzzare gli occhi: non riusciva a vedervi più che non vi avessero veduto gli altri; e però tutti dissero con l’Imperatore: «Bellissimo! Magnifico!» e gli consigliarono di indossare per la prima volta il vestito fatto con quella splendida stoffa nel corteo di gala, ch’egli doveva guidare alla prossima festa. «Splendido, magnifico, meraviglioso!» si ripeté di bocca in bocca; e tutti se ne rallegrarono cordialmente. L’Imperatore concedette ai due bricconi il permesso di portare all’occhiello il nastrino di cavaliere, col titolo di Tessitori della Casa Imperiale. Tutta la notte, che precedeva il giorno della festa, i due bricconi rimasero alzati a lavorare, ed accesero più di sedici candele. Tutti poterono vedere quanto s’affaccendassero a terminare il nuovo vestito dell’Imperatore. Fecero mostra di levare la stoffa dal telaio; tagliarono l’aria con certe grosse forbici; cucirono con l’ago senza gugliata ed alla fine dissero: «Ecco, il vestito è pronto». L’Imperatore venne allora, con i più compiti cavalieri; i due bricconi levavano il braccio in aria come se reggessero qualche cosa e dicevano: «Ecco i calzoni! Ecco la giubba! Ecco il mantello!» e così via. «Son leggeri come ragnatele! Sembra di non portar nulla sul corpo! Ma questo è il loro maggior pregio!» «Già», fecero tutti i cortigiani; ma niente riuscirono a vedere, poi che niente c’era. «Si degni la Maestà Vostra di deporre il vestito che indossa», dissero i furfanti: «e noi misureremo alla Maestà Vostra il nuovo, dinanzi a questo grande specchio». L’Imperatore si spogliò, e quei bricconi fecero come se gli indossassero, capo per capo, il vestito nuovo, che dicevano d’aver preparato; e lo strinsero ai fianchi, fingendo di agganciargli qualche cosa, che doveva figurare lo strascico; e l’Imperatore si volgeva e si girava dinanzi allo specchio. «Come gli torna bene! Divinamente!» esclamarono tutti: «Che ornati! Che colori! È proprio un vestito magnifico!». «Fuori è pronto il baldacchino di gala, di sotto il quale la Maestà Vostra guiderà la processione!» annunziò il Gran Cerimoniere. «Eccomi all’ordine!» disse l’Imperatore. «Non mi sta bene?» E si volse di nuovo allo specchio, perché voleva fare come se esaminasse minuziosamente il proprio abbigliamento. I paggi, i quali dovevano reggere lo strascico, camminavano chini a terra come se tenessero  realmente in mano un lembo di stoffa. Camminavano con le mani tese all’aria dinanzi a sé, perché non osavano lasciar vedere di non averci nulla. E così l’Imperatore si mise alla testa del corteo solenne, sotto lo splendido baldacchino; e tutta la gente ch’era nelle strade e alle finestre, esclamava: «Mio Dio, come son fuor del comune i nuovi vestiti dell’Imperatore! Che stupendo strascico porta alla veste! Come tutto l’insieme gli torna bene!». Nessuno voleva dar a divedere che nulla scorgeva; altrimenti non sarebbe stato atto al proprio

41


Tutte le fiabe - Hans Christian Andersen

impiego, o sarebbe stato troppo sciocco. Nessuno dei vestiti imperiali aveva mai suscitato tanta ammirazione. «Ma non ha niente indosso!» gridò a un tratto un bambinetto. «Signore Iddio! sentite la voce dell’innocenza!» esclamò il padre: e l’uno venne sussurrando all’altro quel che il piccino aveva detto. «Non ha niente indosso! C’è là un bambino piccino piccino, il quale dice che l’Imperatore non ha vestito indosso!» «Non ha niente indosso!» gridò alla fine tutto il popolo. L’Imperatore si rodeva, perché anche a lui sembrava veramente che il popolo avesse ragione; ma pensava: “Qui non c’è scampo! Qui ne va del decoro della processione, se non si rimane imperterriti!”. E prese un’andatura ancora più maestosa; ed i paggi continuarono a camminare chini, reggendo lo strascico che non c’era.

42


Abiti fiabeschi Alexander Mcqueen

43


Abiti fiabeschi Valentino

44


PROTEGGERSI [...] le paure più profonde dell’uomo preistorico derivavano da fenomeni inspiegabili: ciò che scendeva dal cielo, il susseguirsi del giorno e della notte, la morte.

Ornamenti - Autore Sconosciuto


E’ idea comune che l’uomo preistorico, svantaggiato rispetto ad altri animali prese spunto da ciò che lo circondava per proteggere il suo corpo dalle insidie del mondo animale e vegetale, dal freddo eccessivo e dal sole cocente. Il costume primitivo di popolazioni residenti in zone diverse del pianeta era però costituito in genere da materiale organico, posizionato per lo più sui fianchi, intorno al collo, sulla fronte e all’estremità di polsi e caviglie. Inoltre anche alcune tribù sviluppatesi in zone miti pur non avendo capi di vestiario veri e propri usavano ornarsi. Tutto ciò potrebbe portarci a pensare che la prima esigenza dell’umanità sia stata un vezzo: quello di decorare il proprio corpo. Ma questa resterebbe una lettura superficiale e poco corretta. Compiendo un’analisi più attenta si scopre infatti che le paure più profonde dell’uomo preistorico derivavano da fenomeni inspiegabili: ciò che scendeva dal cielo, il susseguirsi del giorno e della notte, la morte. Da tutto ciò cercava di trovare riparo e la magia era alla portata di pochi. Gli amuleti, invece, erano facilmente reperibili; questa spiegazione chiarisce il perchè questi primitivi orpelli adornassero zone del corpo così particolari: si credeva che la vita potesse fuggire via dal corpo tramite le sue estremità: la testa e gli arti e si cercava di trattenerla fermandola con degli anelli. Gli spiriti maligni parevano essere sempre in agguato, potevano prendere possesso di un individuo attraverso gli orifizi e quindi si cercava di coprire i buchi delle orecchie, il naso, la bocca e le zone genitali con pietre e orpelli magici. Ciò non vuol dire che il genere umano tralasciò completamente di proteggersi da pericoli più concreti, nè che i due bisogni non potessero coesistere. La conciatura delle pelli, con tecniche molto rudimentali risale infatti al Paleolitico e nei laghi di Zurigo e di Chalain sono stati ritrovati gomitoli e semi tintori per la lavorazione del lino. In una tomba dell’età del bronzo, in Danimarca è stata rinvenuta una donna abbigliata con un corsetto stretto in vita da una cintura, una sottana con delle cordicelle e delle scarpe di lana. Herbert Spencer afferma che molti elementi decorativi che adornarono i primitivi sono legati allo sfoggio dei trofei di caccia: le pelli, ma anche le corna erano un trofeo ambito, con i denti delle belve si creavano delle collane, le mandibole diventavano bracciali e più raramente venivano sfoggiati anche i genitali delle prede. Indossare la pelliccia della propria preda aveva diverse valenze: evidenziava l’abilità nella caccia dell’uomo che poteva farne sfoggio (era infatti inzialmente solo prerogativa maschile, alle donne erano riservate le fibre vegetali) era un’ottima protezione dal freddo (questa pratica era pressochè sconosciuta nelle zone temperate) si pensava che tramite la pelliccia la forza della bestia si infondesse nel guerriero che la portava indosso (in modo similare, tra i cannibali il nemico, o il parente defunto vengono mangiati per assorbirne le qualità). Ma non possiamo circoscrivere queste usanze unicamente ad un periodo preistorico, oltre ai già citati Berseker della tradizione nordica che combattevano sfoggiando pelli d’orso anche gli Indiani del Nord America usavano conservare lo scalpo del nemico ucciso, ma sono solo due esempi di una pratica diffusa in tutto il pianeta ieri, ma ancora oggi in alcune culture tribali, ed è innegabile che tracce di questa tradizione siano arrivate anche nella nostra società, nell’abitudine di idossare pellicce e piume non solo per star caldi, ma anche per sentirsi predatori del mondo selvaggio nella giungla urbana.

45


Nel tardo Paleolitico esisteva anche la pratica del tatuaggio permanente. questo poteva essere segno di sdegno, un marchio indelebile per un ladro, uno stupratore o un adultero, oppure evidenziare una virtù, ad indicare una mirabile impresa. In altre culture il tatuaggio esaltava, in generale, la virilità dell’uomo, mentre nella donna segnalava il raggiungimento della maturità sessuale. Si narra che i celti combattessero nudi, solo coperti dai loro tatuaggi, tanto da guadagnarsi l’appellativo di ‘popolo blu’, dal colore del pigmento usato, e che questa usanza si ripetesse anche durante i riti propiziatori.

46

Elisabetta Benelli

Già nel Paleolitico si diffuse anche la pittura corporale. Anche questa aveva la funzione di indicare un’appartenenza, ma anche uno stato di guerra, o di lutto e assumeva valore magico di difesa e protezione; da questa consapevolezza gli uomini traevano forza e riuscivano ad accrescere il loro senso di autostima e di sicurezza

Archetipi e citazioni nel fashion design

Molte tribù dipingevano in battaglia simboli propiziatori sul volto con colori minacciosi per inasprire i tratti e spaventare i nemici. Nelle civiltà precolombiane si credeva che la pittura corporale proteggesse dalle malattie.


Bibian blue

Joseph Ong

The last warrior

Roberto Cavalli

Tomaas

47


LA CRESCITA E LA STORIA

L’evoluzione della moda - Autore Sconosciuto


Vestirsi può anche non essere un piacere. Gli abiti limitano i movimenti, a volte sono stretti, scomodi o ingombranti. Restando nudi si può sentire il vento sulla pelle, entrare in contatto col mondo non solo attraverso i polpastrelli. La nudità regala un piacere epidermico, che, stando a ciò che affermano i nudisti, sostenuti nelle loro tesi anche da studiosi autorevoli, restare nudi allevierebbe tensioni e frustrazioni aiutandoci ad accettare il nostro corpo con più naturalezza. Non sarà un caso che inizialmente il bambino non ha piacere nell’essere vestito, ma, in contrapposizione a questa tendenza, i genitori sembrano ossessionati dal doverlo coprire, per proteggerlo dal freddo ma anche per renderlo socialmente accettabile. Questo atteggiamento della madre, in casi estremi si spinge fino alla prima adolescenza e può causare una forte ribellione nel ragazzo e spingerlo, in contrapposizione, a non volersi vestire affatto o molto poco, oppure al voler, molto ossessivamente, coprire il proprio corpo, di cui prova vergogna, tanto che mostrarlo diventa sintomo di cattivo gusto. Per questa ragione è bene che si presti molta attenzione agli indumenti dei più piccoli, che devono necessariamente essere comodi e confortevoli nei movimenti. É anche importante essere indulgenti se gli abiti si sporcano e in un secondo momento, permettere al bambino di scegliere i propri vestiti, assecondandone il gusto. Se durante l’adolescenza si tende a voler indossare abiti larghi e informi che, levigando le problematiche di un corpo generalmente poco armonioso, ne dissimulano anche i pregi, con l’età adulta in genere si giunge ad essere più in sintonia con esso e l’obiettivo degli abiti diventa anche quello di migliorarsi esaltando i pregi della propria figura.

Nel diciottesimo secolo, periodo artificiale per eccellenza, il corpo in sé era relativamente trascurato e inteso soprattutto come un supporto per vestiti sfarzosi. Con l’avvento del naturalismo, dopo la rivoluzione francese, il corpo fu reintegrato dei suoi diritti e lo scopo dei vestiti ritornò ad essere quello, relativamente meno importante, di mettere in evidenza la bellezza. L’abbigliamento diventò molto semplice e ridotto [...] e la biancheria intima sparì quasi del tutto. Il costume della donna alla moda doveva superare due prove: non doveva pesare più di mezza libbra in tutto [...] e doveva essere tanto flessibile e sottile da poter passare attraverso la sua fede matrimoniale. E come se ciò non bastasse, l’abito veniva inumidito prima di essere indossato, in modo che potesse aderire maggiormente al corpo. Oggi più che mai la moda dialoga col corpo, semplicemente velandolo, giocando a scoprirlo ed esaltarlo, in ciò si nasconde la necessità ed il piacere di essere visti, di sentirsi al centro. M’interessa l’interno e l’esterno del corpo, e anche nella mia ricerca dei capi penso a questo. Infatti sono convinto che anche l’interno di un capo debba essere bello, perché è questo che è in contatto con la pelle ...è una ossessione, una combinazione, una sovrapposizione...come il rapporto tra l’identità del capo che faccio e quella del corpo che lo indossa. Il nostro scopo è vestire le persone per “spogliare”! Oggi vestirsi è come andare nudi per strada, perché tu esprimi con l’abbigliamento una caratterialità, delle sensazioni, comunque delle scelte. L’abbigliamento è spesso considerato fine a se stesso, ma in realtà è la spia di un comportamento, di una sensibilità, di una scelta. L’abbigliamento è la dignità di rappresentare ed esprimere se stessi.

48

Psicologia dell’abbigliamento. - John Carl FlÜgel Jean Paul Gaultier - Virus moda - Francesca Alfano Miglietti Diesel, incontro con Franco Rosso e Maurizio Marchiori di Diesel- Virus moda - Francesca Alfano Miglietti

Quindi il primitivo, come un bambino non trae particolare soddisfazione nell’essere coperto dai vestiti, che l’adolescente cerca di nascondere il suo corpo e che l’accettazione di sè, in età adulta porta anche ad un maggiore agio nel vestirsi. Parallelamente nella storia:


Sartre, in un suo saggio, spiega il meccanismo della comunicazione tramite ciò che si indossa: la persona produce l’abito e allo stesso tempo l’abito produce la persona; trasformando, quindi l’indumento, si trasforma il proprio essere. In effetti è raro, ad esempio, che una persona introversa vesta con colori vivaci e fantasie estrose, come, da una persona di questo tipo, poco incline alla comuncazione, non ci si aspetta che si adorni con gioielli e accessori, che generalmente rivelano molto di chi li indossa, ma che abbia più auspicabilmente un abbigliamento minimal e dai toni neutri. Essere a proprio agio con ciò che indossiamo ci risparmia attenzioni sgradite ed equivoci; come vedremo queste motivazioni sono anche alla base del rifiuto dell’androgeno. Il vestito è comunicazione.

49


Jean Paul Gaultier

50


MODA E PSICOLOGIA [...] il bisogno di affetto aumenta la sensibilità al freddo. In un ambiente estraneo si tende ad alzare il bavero del cappotto, a nascondersi sotto un cappuccio, come un bambino può trovare riparo nascondendosi tra “le gonne” della mamma.

Androginia - Under the influence magazine


Abbigliarsi è anche un modo per estendere la propria corporeità, per occupare più spazio nel mondo: amplia le possibilità del corpo, la gonna, se lunga ci rende imponenti e più stabili, e l’effetto, che sembrerebbe solo visivo è più che altro psicologico. Indossando delle scarpe con il tacco ci si sente più alti, effetto ottenuto dagli uomini, ad esempio, con il cappello a cilindro. Uno scialle, o un vestito mossi dal vento possono trasmettere una sensazione di leggiadria e far sembrare il nostro corpo più aggraziato di quanto non sia. L’abito ci regala proporzioni e caratteristiche che la natura non ci ha donato. Se per ora l’imponenza è solo apparente, in futuro i vestiti riusciranno forse, anche a renderci davvero più potenti; stanno facendo il giro del web le immagini dell’abito-armatura disegnato da Anouk Wipprecht, che sembra davvero una sorta di struttura ossea esterna, come se inaugurabilmente, il corpo umano fosse destinato ad adattarsi geneticamente alla lotta alla violenza. Realizzato con la stampa 3D, l’abito permetterebbe, grazie a dei sensori, di difendersi da eventuali aggressori. La moda secondo te, progetta abiti o muove nuove frontiere corporali? Dipende da chi guarda e come guarda. Cambia da individuo ad individuo l’interpretazione dell’abito stesso. Per me non è l’abito che fa il monaco, è il monaco che fa l’abito: credo molto nell’individualità della persona. La moda per me è una forma di espressione che ha bisogno di essere capita, amata, coltivata ed apprezzata. Come per la maggior parte delle espressioni creative. L’interpretazione non è un fattore marginale ma una parte consistente del suo significato. Un abito può così essere un semplice tessuto ricombinato o una frontiera corporale...dipende da una serie di fattori, non ultimo da chi lo indossa

51

Dirk Bikkembergs - Virus moda - Francesca Alfano Miglietti

Se si vuole affermare, sbagliando, a mio parere che oramai l’aspetto magico dell’abito è sorpassato possiamo concedergli di essersi evoluto in una sorta di psicologia del vestito. Più semplicemente ognuno di noi avrà cercato, in momenti di sconforto, rifugio in un maglione, in sostituzione, magari, di un abbraccio; il bisogno di affetto aumenta la sensibilità al freddo. In un ambiente estraneo si tende ad alzare il bavero del cappotto, a nascondersi sotto un cappuccio, come un bambino può trovare riparo nascondendosi tra “le gonne” della mamma. L’indossare pochi indumenti e leggeri invece apre al mondo, ci rende più disponibili alle relazioni ed è tipico di chi si sente libero e libertino.


Storicamente la moda aveva origine nel ceto sociale medio-alto e si diffondeva poi, per desiderio di imitazione, a tutto il resto della popolazione, come se, in un certo senso, bastasse vestirsi in un determinato modo per innalzare il proprio rango sociale, ora è quasi il contrario, e tutti guardano alla strada. Il mondo della moda è in costante e veloce evoluzione ma l’antropologo statunitense Alfred Kroeber ha ridotto l’abbigliamento femminile a poche varianti, e studiando l’andamento e gli sviluppi del costume ha individuato delle ripetizioni su scala storica. In pratica la moda femminile ha, da trecento anni, un’oscillazione periodica con orli delle gonne che sia allungano ed accorciano ad intervalli regolari e proporzioni, di giacche e spalline variabili, ma pur sempre ripetitive. In tempi nemmeno troppo remoti le ragazze desideravano quanto prima imitare nel look la propria madre, raccogliere i capelli, indossare gonne più lunghe, questo perché i canoni di bellezza all’epoca prediligevano donne piuttosto prosperose, con i fianchi larghi, mentre oggi si assiste sempre più di frequente al fenomeno contrario, nel quale gli adulti si vestono come i giovani, si comportano anche come loro ed il modello femminile di successo è quello di una donna non più austera ed elegante, ma giovane e sbarazzina, filiforme, come intrappolata in una eterna adolescenza, ed è in questo fenomeno che si può rintracciare finanche l’imporsi prepotente del look androgeno, che è il trionfo dell’immaturità sessuale e questo è senz’altro un fenomeno nuovo. Dagli anni ‘80 Jean Paul Gaultier crea abiti molto particolari, in cui i sessi si fondono, annullandosi: delicati colori pastello e gonne nei modelli maschili; tinte forti ed aggressive nei suoi abiti femminili. Egli afferma che non ci debba essere alcuna distinzione, almeno nel vestito, tra i due sessi. Quest’operazione, si può ben capire, ha un grande effetto sociologico, perché va ad intaccare, non solo l’estetica, ma il ruolo stesso degli individui nella società, ancora oggi, evidentemente patriarcale. Non è infatti difficile osservare che una donna vestita da uomo è moralmente più accettabile di un uomo con la gonna. Ciò è indice del fatto che gli uomini eterosessuali, sono ancora, al giorno d’oggi molto spesso esasperati dall’affermazione della loro virilità, e si sentirebbero castrati indossando un accessorio femminile e che invece le donne restano tutt’ora ossessionate dal potere e dalla posizione sociale che potrebbero (nelle loro idee) assumere se solo appartenessero all’altro sesso. L’immediata identificazione di un individuo del sesso opposto al proprio è una delle principali argomentazioni di chi rifiuta l’androgeno. Infatti l’abbigliarsi diversamente, per secoli ha accentuato le caratteristiche sessuali valorizzandole, attirando l’attenzione su di esse e alimentando il desiderio dell’interlocutore. Non a caso molto spesso gli abiti femminili hanno delle ampie scollature mentre quelli maschili sono molto rigidi, ad ostentare (e costruire) un corpo solido e imponente. Dietro ad un rifiuto dell’androgenia si nasconde la paura di provare desiderio sessuale per individui del proprio stesso sesso e di riscoprire tendenze bisessuali represse. D’altro canto il costume degli uomini è da sempre differente da quello delle donne in ogni società, seppure in alcuni periodi storici gli uomini si sono abbigliati con molto sfarzo e talvolta con tessuti leggeri e merletti propri del vestiario femminile le differenze sono sempre state ben visibili. Con la rivoluzione francese, ed il diffondersi di ideali di uguaglianza il genere maschile ha rinunciato al decorativismo. Ogni segno di sfarzo denotava una condizione sociale agiata e fu abolito a favore di indumenti semplici che fossero alla portata di tutti e facili da indossare anche a lavoro. Da quel momento in poi fu la donna a riflettere la condizione sociale dell’uomo che aveva accanto.

52


La donna si perde per il possesso dei gioielli e l’uomo si danna per la donna, la quale indossa gli stessi gioielli per i quali si è venduta: attraverso la catena dei gioielli, la donna si da al diavolo, l’uomo si da alla donna, divenuta essa stessa pietra preziosa e dura” Scriveva Roland Barthes nel suo celebre libro Il senso della moda, anche se l’affermazione è da considerarsi piuttosto antiquata:

53


Androginia Jean Paul Gaultier

54


La contaminazione per me è l’apertura; essere aperto alle trasformazioni, a ciò che muta. Io penso di essere una persona che “mangia” molto: la contaminazione per me è come mangiare, mangio tutto e dopo digerisco. Assimilo di tutto, paesi, culture, persone di ceto sociale diverso, persone della strada, del giorno, della notte. Assorbo tutto e mi piacciono molte cose, non pongo barriere, le cose possono essere completamente diverse e più sono diverse più mi piacciono, mi interessano, e così è la musica, le parole, la lingua, le immagini, le tradizioni, assorbo tutto in una contaminazione permanente

La Justiciere - Tomaas

Jean Paul Gaultier - Virus moda - Francesca Alfano Miglietti

CONTAMINAZIONI


Non è raro che alcuni elementi, propri di uno stile, vengano adottati da stilisti in ambiti ben diversi da quelli consueti. Ne è un buon esempio l’anfibio, calzatura tipicamente militare, prediletta dai giovani, che creativi intelligenti hanno riadattato nelle loro collezioni dando vita ad outfit molto ricercati. La contaminazione per me è l’apertura; essere aperto alle trasformazioni, a ciò che muta. Io penso di essere una persona che “mangia” molto: la contaminazione per me è come mangiare, mangio tutto e dopo digerisco. Assimilo di tutto, paesi, culture, persone di ceto sociale diverso, persone della strada, del giorno, della notte. Assorbo tutto e mi piacciono molte cose, non pongo barriere, le cose possono essere completamente diverse e più sono diverse più mi piacciono, mi interessano, e così è la musica, le parole, la lingua, le immagini, le tradizioni, assorbo tutto in una contaminazione permanente.

Jean Paul Gaultier - Virus moda - Francesca Alfano Miglietti Emilio Pucci - Archetipi e citazioni nel fashion design - Elisabetta Benelli

Sempre più spesso si sente parlare di “street style” e sono i più abbienti a prendere spunto dalla gente comune. Gli uomini tendono naturalmente a formare delle tribù, e questa è una forza. Gli appartenenti ad una tribù possono dividersi, spostarsi nel mondo, ma porteranno con sè una sapienza già tramandata che sarà trasmessa alle generazioni successive. Se in passato il vincolo era quello dell’etnia, e della cultura d’appartenenza, oggi, con lo svilupparsi di nuovi e più efficienti mezzi di comunicazione si può scegliere di quale gruppo fare parte. Prendiamo l’esempio dei Punk, che sono in tutto il mondo; se era facile aderire alla tribù negli anni della sua massima diffusione, lo è ancor di più oggi, perché basta un click per avere accesso a milioni di informazioni su quella determinata cultura, che, come decine di altre a partire dalla musica, è divenuta un vero e proprio stile di vita. Gli street styles di oggi sono paragonabili alle tribù di un tempo, chi vi appartiene si contraddistingue per il tipo di musica che ascolta, per il pensiero, per gli ambienti in cui si muove e ovviamente per come si veste. Ogni tribù nata in strada dà origine a diverse sottoculture: non sono che pochi esempi lo steampunk, il dieselpunk, l’atompunk ed il cyberpunk che, in sintonia con gli ideali del “movimento genitore” si oppongono all’attuale andamento del mondo e della società umana in particolare ed ipotizzano apocalissi e cambiamenti radicali e piuttosto bizzarri, ispirati ad epoche passate: il periodo vittoriano nel caso dello steampunk, gli anni 50 americani per il dieselpunk o guardando ad un futuro cibernetico o nel quale l’energia atomica raggiunga i massimi livelli di applicazione. La radice, che nel punk era musicale è in questi casi da rintracciare nella filmografia o più spesso nella letteratura ma se, inizialmente i raduni parevano essere feste in costume, alla contaminazione, anche nelle passerelle dell’haute couture non si può restare indifferenti.

Ma il compito principale dell’abito sembra essere quello di rispettare le caratteristiche psicofisiche del suoi fruitore, la cosa peggiore che può capitarci è quella di non sentirci a nostro agio. Si può quindi dire che vestirsi in un modo piuttosto che in un altro risponda a bisogni si soggettivi, ma allo stesso tempo universali ed innati ed è su questo che la moda, come una sorta di religione dogmatica, si fonda. La moda consiste nella [...] rappresentazione estetica di un determinato momento storico ed il creatore di moda è l’interprete più sensibile del momento che vive. Di più è l’anticipatore di idee, l’antesignano di un modo di essere, quindi di una cultura.

55


Non è detto però che siano gli stilisti a lanciare le tendenze: [...] l’influenza di chi lancia la moda è efficace solo nella misura in cui le persone da influenzare possano scorgere l’incarnazione dei loro ideali Scriveva John Carl FlÜgel in Psicologia dell’abbigliamento.

L’uomo primitivo non indossava altro che la sua pelle e il perizoma, gli Egizi bendavano le mummie con garze di cotone, i Greci e i Romani fermavano il peplo con lunghi lacci. Andando a ritroso nel tempo è possibile notare quanto sia atavico legare e usare dei lacci. La voglia e la necessità di fermare e risistemare gli abiti si ritrova anche nelle più antiche tradizioni contadine. Si usavano lacci e nastri per adattare gli abiti a diverse corporature, modificandoli nel più semplice dei modi. [...] La sensualità dei lacci e dei nastri è innegabile. Nei primi anni novanta Azzedine Alaïa, mago della silhouette, ha creato microabiti anatomici fatti di puri e semplici nastri. E anche Manolo Blahnik non perde occasione per proporre sandali e scarpe che hanno dei lacci da avvolgere attorno alle caviglie, strizzando l’occhio al sadomaso. [...] Lacci, nastri e corde esprimono significati molto vicini all’uomo, in un altalenare tra semplicità pratica e sottile perversione. Legarsi, farsi su come un pacchetto o una confezione, è forse un modo insolito di offrirsi in dono agli occhi stupefatti del mondo. Nelle collezioni di Cavalli è evidentissimo, nonostante la modernità degli abiti il collegamento con un passato molto lontano in cui l’uomo è ancora cacciatore arcaico, istintivo e potente. Gli abiti rendono chi li indossa sicuro di sé, contro le convenzioni, aggressivamente felino. Teschi, corna e piume contraddistinguevano l’opera del visionario Alexander McQueen e continuano ad essere onnipresenti nel lavoro della sua maison, diretta dalla sua collaboratrice di sempre Sarah Burton, in collezioni differenti ma sempre ispirate ad un immaginario fiabesco e arcaico; Gli accessori sono pochi ed essenziali, come si addice ad una vera principessa guerriera, bracciali dorati che aderiscono perfettamente ai polsi, alte collane ed eccentrici copri capo simili a scintillanti elmetti. La donna Alexander McQueen è una vittoriosa paladina della giustizia, un’audace cacciatrice di draghi, e come una mistica divinatrice, sacerdotessa di un culto perduto, preannuncia magicamente il futuro attraverso i suoi abiti Tutto comincia da Ercole e dalla prima delle sue dodici fatiche: l’uccisione dell’invincibile Leone di Nemea, [...] trasferisce sul suo corpo il diritto di essere temuto che dà la forza delle fiere.

56

Tutt’oggi gli uomini che vogliono evidenziare la loro posizione di rilievo nella società o lasciar intendere di averne una, tendono ad indossare indumenti molto rigidi: doppiopetti e cravatte (evoluzione della spada), simbolo di autoritaria virilità che rimandano alle antiche armature tramutate da strumento di difesa in rigorosi abiti maschili, ma pure elemento strategico nel guardaroba femminile che, rimodellando il corpo, lo perfeziona, annullandone la fragilità; tra le

Lucia Abbate per Quotidianomime, primavera 2014 Quirino Conti per Giusi Ferrè - Il Corriere.it - 22 settembre 2009

La moda contemporanea prende spesso spunto dalle vesti antiche:

Fausto Caletti - Virus moda - Francesca Alfano Miglietti

In effetti molte creazioni rivoluzionarie restano in passerella perché troppo lontane dalle esigenze socio-culturali di chi dovrebbe raccoglierne i “dettami”, mentre, alcuni pezzi d’abbigliamento seppure diffusissimi in strada non hanno accesso per lungo tempo alla passerella, basti pensare che fino alla metà del secolo scorso era fuori discussione che la minigonna potesse far parte di un look d’alta moda, mentre, alcuni richiami arcaici sono sempre attuali, forse perché risvegliano l’animo selvaggio dell’uomo che resta pur sempre una creatura della natura soggetta alle regole del regno animale.


metamorfosi più note della corazza vi sono senz’altro i bustini e le sottogonne che per secoli hanno vestito le donne di tutto il mondo. Il ferro e i metalli pesanti hanno lasciato il posto, prima all’osso, poi a materiali più flessibili e leggeri, ma senza perdere potenza e forza. Il gioco che era un tempo, quello di rendersi irriconoscibili avvicinandosi all’invulnerabilità è rimasto lo stesso, l’armatura crea un’aura di mistero, d’irraggiungibilità, desiderio di scoprire cosa e chi si cela sotto la corazza. Similare è la funzione della maschera, nei suoi lati positivi, ma anche in quelli più negativi. I bambini, per primi, adorano mascherarsi da grandi. Il bambino sogna ciò che annoia l’adulto; il suo inavvicinabile quotidiano. Il travestimento permette di immaginare nuovi giochi nei quali gli abiti del papà sono simbolo delle sue abilità ed aprono nuove possibilità d’azione nel mondo dei grandi. Chi non ricorda, nell’infanzia, di aver indossato per gioco le scarpe della mamma, il grembiule della nonna, o anche la cravatta del babbo? Tutti i supereroi hanno un travestimento. La maschera, come la pelliccia delle belve regala all’uomo che cela capacità che non possiede, ma ha anche delle connotazioni negative: indossando una maschera, si nasconde ciò che normalmente è ben in vista (il volto) e si mostra ciò che invece non lo è; viene meno l’esigenza di difendere la propria reputazione. Non è più necessario tenere a freno gli istinti. Per questa ragione un volto, nascosto, crea inquietudine nell’interlocutore, che non sa cosa aspettarsi al venire meno degli importanti messaggi della comunicazione non verbale. Bastano già un cappello o degli occhiali scuri, il non poter cogliere le espressioni, lo sguardo di chi ci è davanti, a creare disagio. I rapinatori indossano una maschera, anche il boia ne ha una.

57


Punk Steampunk Dieselpunk Cyberpunk Vogue

58


La Justicere Tomaas

59


Junkfood queen Tomaas

60


PERÓ IL NERO SFINA


Dopo tutto questo parlare di vestiti ed aspetti psicologici legati ad essi mi sembra giusto mostrarvi in che condizioni ero mentre scrivevo questa tesi. Questi due “outfit” per dirla con un termine in voga, si sono avvicendati durante tutta la stesura. Oltre ad essere comodi e ad andare bene anche come pigiami, quando non avevo voglia di cambiarmi, erano oversize e questo mi permetteva di non stare troppo a preoccuparmi di restare scoperta in qualche zona; potevo assumere qualsiasi posizione il mio corpo mi permettesse, e anche se è difficile crederci, ne ho cambiate molte mentre scrivevo e alcune non erano nemmeno così scontate. I colori sono neutri, il nero, il grigio...noiosi, forse, ma non distoglievano l’attenzione dal mio intento, nè mi disturbavano come, ad esempio avrebbe fatto l’arancione, che dopo un po’ mi fa venire il mal di pancia.

VII


VII

Allo stesso modo nella stagione estiva possiamo scegliere colori pastello che, abbinati a tessuti impalpabili ci diano subito un’idea di freschezza, oppure colori brillanti e dinamici. Ci sono poi dei colori che ispirano sacralità, come il bianco puro, il blu ed il viola. Il verde trasmette tranquillità e a seconda delle nuances può essere un colore gioioso o molto sofisticato, che immediatamente ci connette con la natura. Il rosso, il giallo, l’arancio sono brillanti, carichi di energie, il rosso è strettamente legato alla passione. Di certo chi sceglie di indossarlo non desidera passare inosservato! Il grigio è il colore maggiormente utilizzato in ambito lavorativo, è associato a situazioni noiose, ma la sua neutralità e sobrietà permettono accostamenti bizzarri dai risultati sorprendenti. E il nero...che dire...il nero sta bene con tutto!*

*Non è vero, accostato al blu scuro è un abominio.

In effetti nell’ambito della moda la scelta della palette è di primaria importanza. La scelta delle combinazioni cromatiche può davvero determinare il successo o l’insuccesso di una collezione, definendone il mood generale. Nessuno compra un vestito che sia, pur se perfetto nella forma, di una nuance sgradevole. Ma non è semplice quanto sembra, perchè non esistono dei colori che vadano bene sempre, per ragioni che vanno dall’influenza psicologica al gusto personale. I colori possono essere stagionali, e quindi variare a seconda del periodo dell’anno nel quale i capi devono essere indossati; così per l’inverno andranno bene colori freddi e scuri, oppure colori che ci regalino le sensazioni di cui abbiamo bisogno, caldi ed accoglienti, che trasmettano immediatamente un’idea di calore. La scelta può avvenire anche in termini di contrapposizione: di gran moda per il look nella stagione fredda sono calze e cappotti dai colori vivaci, capaci di spazzare via il grigiore o regalare frizzantezza ad una gelida ma soleggiata giornata.


Io non sono una persona che intrapresa una strada poi la percorre senza indugio e fino alla fine, perchè intanto mi fermo a guardare il paesaggio, magari e se qualcosa m’incuriosisce, cambio rotta. D’altra parte non è del tutto colpa mia, già l’etimo del mio nome è una domanda; Michela, infatti vuol dire:- Chi è come Dio?- Non è neanche una domanda dalla risposta facile e l’argomento è insidioso. Una volta, dopo una visita l’ottico mi disse:- Signorina, i suoi occhi sono perfetti, individualmente, ma insieme, non lavorano bene-. Anche in quel caso una parte di me non era d’accordo con l’altra. Come se non bastasse sono anche nata sotto il segno della Bilancia, per cui mi becco un gran senso estetico, eleganza innata ed è meglio che non continui a farmi complimenti da sola...ma pure un’oscillazione perenne. Così sono sempre stata in bilico, quando ho scelto di fare il Liceo Artistico avrei voluto fare anche il Classico; quando ho scelto l’Accademia mi sarebbe piaciuta anche la facoltà di Psicologia. Studiando pittura, mi sono pian piano avvicinata al riciclo nell’ambito del fashion design, grazie al prezioso contributo della professoressa Angela Nocentini, che teneva bizzarre lezioni di anatomia nelle quali il corpo nudo, andava ri-vestito con materiali ecosostenibili. Ho seguito il suo corso per diversi anni nei quali abbiamo affrontato varie tematiche che toccavano diversi ambiti; non solo l’anatomia, ma anche la psicologia, la sociologia, l’alimentazione, la sacralità e non ultimo l’ambito tessile e della moda. Purtroppo, inizialmente non avevo un’opinione dell’oggetto riciclato esattamente positiva, tante volte le creazioni così ottenute apparivano ai miei occhi come agglomerati dall’utilità dubbia provenienti direttamente dal cesto della spazzatura... ed è un peccato, perchè i rifiuti sono davvero una risorsa. Lavorare con i rifiuti è invece molto stimolante, se solitamente, nel processo creativo, si pensa ad un progetto e poi si cercano i materiali adatti alla sua realizzazione, col riciclo è il contrario. Michelangelo affermava che la scultura fosse già nel marmo, anche in questo caso, sono l’oggetto, la sua forma, il suo potenziale a dirti cosa fare e in che modo.

IX


La trasparenza è un aspetto che ho ritrovato, a posteriori in tutti i miei lavori. Non posso dire di averla ricercata consapevolmente, ma è ciò che è avvenuto inconsciamente. Durante gli anni del liceo ho utilizzato chine ed ecoline, mi interessava la loro fluidità, la brillantezza vitrea. Vitrosità che è innegabilmente presente anche nel mio colore preferito, il verde: il più comune nel vetro, quando non è trasparente. Un’altra costante è per me il nero opaco, quello delle camere d’aria, che ho abbinato, in certe composizioni a colori chiari e lucenti. Mi piacciono poi le linee pulite, i tratti decisi, i contrasti forti. Un materiale che invece non ho mai tollerato è la plastica, maggiormente se usata per fini alimentari. Sono una persona che si affeziona facilmente agli oggetti, e vorrebbe che durassero per sempre, così non mi sono mai rassegnata al deterioramento. La plastica ha un po’ questo paradosso. Da un lato è difficile da smaltire, non è biodegradabile dall’altro si deteriora, non è particolarmente resistente e si opacizza facilmente. E sono finita a lavorare con la plastica, usata nell’industria alimentare e legata al cibo pop/spazzatura per eccellenza: le patatine fritte...però almeno quelle le adoro! Più genericamente, il Junk food (cibo spazzatura) che si trova nei Fast food (cibo veloce) è esattamente il contrario dello Slow food (cibo lento- che sta a designare anche un prodotto di qualità) e tutti gli oggetti che si usano per consumare il “cibo veloce” hanno vita breve, sono posate, bicchieri, tovaglie “usa e getta”. Quindi la mia scelta è ricaduta su un oggetto che “nasce per essere gettato” dato che poi generalmente le patatine si mangiano anche con le mani. Queste piccole posate calamitavano la mia attenzione, erano trasparenti, colorate, e hanno anche una bella forma. Quando a volte, me ne capitavano tra le mani, ad esempio durante le feste di paese, le mettevo da parte ed è un pò un vizio che ho, quello di accumulare cose che potrebbero essermi utili, in qualche modo, una volta o l’altra...e poi invece non servono mai a niente. Ma questa volta ho avuto una sorpresa. Fondendole, e avendo cura di non bruciarle assumono delle curvature interessanti, forme slanciate, diventano quasi dei fili che sembrano di vetro ma sono MEGLIO! Perchè il vetro è più difficile da lavorare, e ridotto in fili così sottili (molto meno che una filigrana) sarebbe troppo fragile per pensare di farne un oggetto duraturo. Invece la plastica mantiene una sua flessibilità, e di certo l’oggetto risultante non può definirsi resistente, ma se lo si tratta bene non si romperà facilmente.

X


Assemblate insieme, a partire da un centro, reale o immaginario queste piccole bacchette creano delle esplosioni multicolori, la sovrapposizione in trasparenza regala mille sfumature, apprezzabili maggiormente se si guarda l’oggetto alla luce del sole. Lo scorso anno il professor Edoardo Malagigi in collaborazione con il regista Stefano Scialotti hanno proposto agli studenti dell’accademia di lavorare per l’Expo di Milano. L’esperienza è stata indubbiamente coinvolgente. Dal desiderio di lavorare in gruppo in modo non convenzionale sono nate “Le Arti Marziane”, essendo sette artisti con diversi backrounds, abbiamo deciso di puntare sulle nostre diversità mantendoci ognuno nel proprio ambito e perseguendo un obiettivo comune: il riciclo e la salvaguardia di un pianeta di cui ci occupavamo, per la prima volta, non dal punto di vista degli abitanti, ma da quello degli invasori. Il risultato è il tg di “Good News” visibile sulla pagina web dedicata, a questo indirizzo: http://www.goodnews2015.it/arti-marziane-accademiafirenze.html

Io che, prima d’allora avevo sfruttato la mia nuova “scoperta” solo per progetti di piccole dimensioni, bigiotteria, nello specifico, che è un’altra mia passione ho avuto l’occasione per pensare in grande. Il mio lavoro per il progetto si chiama “Art loves junk” ed è il trionfo della spazzatura. Ho voluto giocare, nel video, ad appendere questo “frutto” della modernità ad un albero nel parco delle Cascine ricollegandomi anche ad un concetto che mi è caro, e che devo alla lettura di “Di più di tutto” del professor Massimo Carboni, qui si evidenzia la volontà dell’uomo di allontanarsi da ciò che non è di suo gusto: la crudeltà, gli abomini, definendoli non umani ma bestiali, cose dell’altro mondo, per distaccarsene. E così ho avvicinato alla natura un prodotto sempre naturale, perchè l’artificiale non esiste in quanto l’uomo è egli stesso creatura del mondo, travestendolo da “frutto marziano”, ai miei occhi troppo bello per essere un rifiuto umano...troppo bello per essere umano.

XI


La sfida è ora quella di unire i miei interessi. La poesia, che si cela sempre dietro un prodotto artistico ben riuscito, e spero che i miei, in quest’occasione lo siano. La passione, non per la moda in sé, ma per l’abbigliamento inteso come qualcosa che anzichè coprire serva a svelare, non tanto il corpo quanto il pensiero di chi lo indossa. L’aspetto psicologico, cercando di creare degli abiti che suscitino stupore, che regalino una bellezza algida e aliena, innovativi rispetto a ciò che si è abituati a vedere e rappresentino la volontà di guardare ad un futuro quasi fantascientifico e bionico, un mondo di cloni, ma che mantenga richiami arcaici ed arcani.

XII

L’unione del design col fashion design. L’attenzione nei confronti di materiali non nuovi, ma fuori dal loro ambito di utilizzo. Il riciclo, non come possibilità, ma come opportunità. La trasparenza vitrosa ed il colore. La luce che attraversa la plastica e sembra invece essere emanata da essa. Il tentativo di ricreare l’organico attraverso il sintetico, di simulare un minerale utilizzando la plastica, derivata del petrolio. Il connubio con materiali tradizionali, quali il cotone e la pelle, il legno. La bellezza, in generale.


Bibliografia

Opere citate: I vichinghi, accenni storico-culturali • • • • •

I miti nordici - Gianna Chiesa Isnardi - Longanesi & C. Milano - Il Cammeo - 1991 Miti e leggende del nord - Vilhelm Grombech - Einaudi Editore - I millenni - 1996 Edda Poetica - AA. VV. - http://bifrost.it/Antologia/EddaPoetica.html - 2005 Il canzoniere eddico - AA. VV. a cura di Piergiuseppe Scardigli - Garzanti - I grandi libri - 2012 Gli scaldi a cura di Ludovica Koch - Einaudi - I millenni - 1984

Mille e un abito

• I racconti delle fate - Charles Perrault AA. VV. - Newton Compton Editori - I mammut - 2013 • Tutte le fiabe - Jacob e Wilhelm Grimm - Newton Compton Editori - I mammut - 2010 • Tutte le fiabe - Hans Christian Andersen - Newton Compton Editori - I mammut - 2010 •

Proteggersi

• Archetipi e citazioni nel fashion design - Elisabetta Benelli - Firenze University Press - 2006 • Psicologia dell’abbigliamento. - John Carl FlÜgel - Franco Angeli Editore - 2012 • Il senso della moda, Forme e significati dell’abbigliamento - Roland Barthes - Piccola Biblioteca Einaudi - 2006 • Virus moda, Chic and choc, Rivestimenti: moda, modelli e mutazioni - Francesca Alfano Miglietti - Skira - 2005

Opere citate on Line: • Edda in prosa - Snorri Sturluson - Traduzione di Stefano Mazza - http://bifrost.it/Antologia/ EddaSnorri.html - 2006

• Lucia Abbate per Quotidianomime, primavera 2014 - www.quotidianomime.com • Quirino Conti per Giusi Ferrè - Il Corriere.it - 22 settembre 2009 - http://www.corriere.it/ spettacoli/speciali/2009/speciale_moda/notizie/pelle-passione-inverno-giusi-ferre_92682f6aa775-11de-84dd-00144f02aabc.shtml

Opere consultate: • • • • • • • • •

Vichinghi - F. Donald Logan - Piemme -1999 La vita quotidiana dei vichinghi (800-1050) - Regis Boyer - BUR -BUR vite quotidiane - 1994 La moda della moda - Gillo Dorfles - Costa e Nolan - I turbamenti dell’arte - 1999 Taglio e cucito per principianti - Lucia Morris De Castro - Logos Moda, corpo, immaginario, Il divenire del mondo fra tradizione e innovazione - Eleonora Fiorani - Edizioni Poli.Design -2006 Materiali innovativi per la moda - Macarena San Martin - Logos - 2010 Manuale di Storia del Costume e della Moda - Cristina Giorgetti - Cantini - 2007 Professione: stilista - Sue Jenkyn Jones - Logos Di più di tutto. Figure dell’eccesso -Massimo Carboni - Castelvecchi - Le Grandi Navi - 2009


Sitografia delle immagini

I vichinghi, accenni storico-culturali • • • • • • • •

Vikings - Tom Lovell - https://americangallery.wordpress.com/2012/12/22/tom-lovell-1909-1997/ Vikings dalla Serie Tv omonima di Michael Hirst- History Channel - 2013 - http://historyvikings. tumblr.com/ Ragnarok - Emil Doepler - http://bifrost.it/Miti/Germani.html#Museo Morte di Ymir - Erwan Seure - https://www.pinterest.com/pin/516154807268085539/ Yggdrasil - Autore Sconosciuto - https://www.pinterest.com/pin/175921929170906539/ Úlfhéðnar- Vikings dalla Serie Tv di Michael Hirst- History Channel - 2013 - http://historyvikings. tumblr.com/ Odino e Fenrir - Odino - Freya - Arthur Rackham - https://www.pinterest.com/search/pins/?q=Arthur%20Racham&term_meta%5B%5D=Arthur%7Ctyped&term_meta%5B%5D=Racham%7Ctyped Northlanders - Massimo Carnevale - DC Comics - 2008 - http://comicartcommunity.com/gallery/ categories.php?cat_id=293

Mille e un abito • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • •

Abito di piume - Alexander Mcqueen - https://www.pinterest.com/pin/151996556149793824/ Pelle d’asino - Anne Romby - https://cantafiabesmemorato.wordpress.com/2013/02/20/pelle-asino-le-illustrazioni-di-anne-romby/ I sei cigni - Eleanor Hallowell Abbott - https://freeplaytherapy.files.wordpress.com/2011/07/thesix-swans-by-eleanor-abbott.jpg?w=500 Abiti di piume - Alexander Mcqueen - https://www.pinterest.com/micasulserio/-fashion-/ Le dodici oche selvatiche - Anne Yvonne Gilbert - http://yvonnegilbert.com/ Pollicino - Gustave Dorè - http://it.wikipedia.org/wiki/Stivali_delle_sette_leghe Il diario segreto di Pollicino - Rebecca Dautremer - http://www.rebeccadautremer.com/ lI vestito nuovo dell’imperatore - Autore Sconosciuto - https://cantafiabesmemorato.wordpress. com/2014/02/06/abiti-da-fiaba/ Abiti fiabeschi - Alexander Mcqueen - https://www.pinterest.com/micasulserio/-fashion-/ Abiti fiabeschi - Valentino - https://www.pinterest.com/micasulserio/-fashion-/

Proteggersi Ornamenti - Autore Sconosciuto - https://www.pinterest.com/micasulserio/-fashion-/ Bianco Sacro- Bibian blue, Joseph Ong, Roberto Cavalli - https://www.pinterest.com/micasulserio/-fashion-/ The last warrior - Tomaas - http://tomaas.com/categories/portfolio L’evoluzione della moda - Autore Sconosciuto - http://valoriprimilab.blogspot.it/2011/04/una-storia-della-moda-in-silhouette.html Abiti Armatura - Jean Paul Gaultier - https://www.pinterest.com/micasulserio/-fashion-/ Androginia - Under the influence magazine - Šimon Kotyk by Jork Weisman -2010 - http://www. thefashionisto.com/simon-kotyk-by-jork-weismann-for-under-the-influence-magazine/ Androginia - Jean Paul Gaultier - http://www.jeanpaulgaultier.com/it La Justiciere - Tomaas - http://tomaas.com/categories/portfolio Punk, Steampunk, Dieselpunk, Cyberpunk - Vogue - http://www.vogue.it/?international La Justiciere - Tomaas - http://tomaas.com/categories/portfolio Junkfood queen - Tomaas - http://tomaas.com/categories/portfolio


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.