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C.E.N. BULLETIN « EUROPEAN CENTRE FOR NUMISMATIC STUDIE S » « CENTRE EUROPÉEN D’ÉTUDE S NUMISMATIQUE S » VOLUME 50

N° 2

MAI – AOÛT 2013

Ermanno Arslan ‒ Astri e potere nel mondo romano

duti nel passato, quando si aveva la certezza incrollabile che negli astri si determinasse il destino di ciascuno e si governasse il destino del mondo tutto.

L’impulso a tentare una lettura iconologica [1] di un tipo monetario gallienico, cui è stato fino ad oggi dato un significato iconografico del tutto sviante, con una rappresentazione del segno zodiacale del Sagittario interpretata come Centauro, mi deriva da due occasioni. La prima è rappresentata dalle belle lezioni di Archeoastronomia di un collega astronomo, Elio Antonello (operante presso l’Osservatorio Astronomico di Brera e Presidente della Società Italiana di Archeoastronomia [2]). Questi mi ha convinto della necessità, per una corretta ricerca storica, di guardare il cielo non con gli occhi di oggi, di norma indifferenti (quando non sono di un collega astronomo o archeoastronomo)), ma con gli occhi di quanti ci hanno prece-

La seconda è rappresentata dall’incarico avuto dalla collega Laura Simone, della Soprintendenza ai Beni Archeologici di Milano, che ringrazio, di schedare e studiare un ripostiglio di monete recuperato nel 2008 a Corneliano di Truccazzano (MI) [3].

1

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__________ [1]

Una prima versione di questo piccolo contributo è stata letta nel 2010 al IX Convegno della Società Italiana di Archeoastronomia, 1416/9/2009, riunito presso l’Osservatorio Astronomico di Arcetri (Firenze). [2] L’Osservatorio Astronomico di Brera, è uno storico osservatorio costituito nella seconda metà del Settecento nel palazzo di Brera, a Milano. Agli inizi degli anni venti del Novecento la sezione osservativa ﬔ distaccata a Merate, in Brianza. Le due sedi condividono a tutt’oggi l’amministrazione e la direzione, e talvolta la designazione.

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__________ [3]

Una prima segnalazione in Arslan 2011. Il complesso è stato edito in CD in Arslan & Simone Zopfi 2011. Il prodotto, realizzato con la necessità di rispettare scadenze immediate, presenta numerose manchevolezze redazionali ed omissioni per l’affrettata preparazione del CD, anche se il materiale è riprodotto integralmente. Tale aspetto del prodotto viene segnalato in Crisafulli 2012, p. 261, che, senza prendere in considerazione il saggio introduttivo, si rifiuta di allineare il ripostiglio agli altri 27 ripostigli italiani (molti dei quali ben più inaffidabili relativamente alla composizione e alla schedatura analitica dei materiali), che pone alla base delle sua ricostruzione delle scelte di emissione di Aureliano e del significato della sua riforma. Considerando la fondatezza delle osservazioni della collega, è in corso una riedizione del CD, con l’emendamento della schedatura. Inalterata rimane l’integrale riproduzione delle monete e il saggio di commento, che propone un tentativo di analisi dei progetti di comunicazione di Gallieno e Claudio Gotico tramite i tipi monetari, considerati in termini statistici, con la percentualizzazione delle presenze.

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Premetto che un ripostiglio (meglio definibile come un complesso associato di monete) è un nucleo di monete (o di monete e di altri oggetti o di altre classi documentarie) smarrito o occultato in un momento preciso, che non sia stato successivamente manomesso, fino al recupero in età moderna. Un ripostiglio monetale, che può avere infinite modalità di formazione (cioè di accumulo delle monete e degli altri oggetti che lo costituiscono), che non è il caso di trattare in questa sede, quando si sia formato in tempi brevi e ci giunga integro [4], ci propone un’immagine fedele della circolazione monetaria dalla quale è stato ritirato, cioè della massa monetaria disponibile per l’utenza nel luogo di formazione al momento della sigillatura. Naturalmente in relazione al mercato nel quale quelle specifiche monete circolavano, che era quasi sempre differenziato per metallo e con caratteri talvolta diversi nei vari luoghi.

la morte, la moneta più antica [6], e 1.012 antoniniani in argento povero [7] (fig. 1), dispersi nel terreno dopo la rottura (o il disfacimento) di un contenitore perduto (in terracotta o materiale organico), che vennero recuperati con il cerca-metalli. Il complesso, ritrovato sulle rive dell’Adda a Corneliano di Truccazzano (MI) nel corso di scavi regolari, va comunque considerato sostanzialmente integro ed affidabile. 6

7

4

I ripostigli ci forniscono quindi informazioni preziose su molti aspetti dell’economia antica, per i quali le fonti spesso tacciono completamente, e si propongono come uno strumento indispensabile per la ricerca storica, specie di storia economica. Nel nostro caso si trattava di un complesso comprendente un denario suberato [5] di Faustina I, moglie dell’imperatore Antonino Pio, divinizzata dopo 5

__________ [4] Nelle condizioni in cui era al momento della scoperta, senza aver subito manomissioni, selezioni o dispersioni. [5] I Denari suberati erano monete in metallo vile (di norma rame) ricoperte con una sottile lamina in argento. Se riconosciuti venivano di norma gettati via o omologati a nominali di valore inferiore. Sul tema si ha abbondante bibliografia, sia tecnica che storico-numismatica. Cfr. ancora Crawford 1968, per l’ipotesi che fossero prodotti da falsari, e Serafin 1988, per l’ipotesi di emissioni speculative nelle zecche ufficiali.

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Fig. 1

Gli Antoniniani del ripostiglio di Truccazzano si distribuiscono, come data di emissione, dal 255-256 al 272 ca. al massimo, con rappresentati gli imperatori romani dell’epoca : Valeriano (253260), Gallieno (253-268), Salonina, moglie di Gallieno (254-268), Claudio Gotico, in vita (268-270) e divinizzato (post 270), Quintillo (270), fratello di Claudio, Aureliano (270-275). Nel Ripostiglio erano presenti anche monete degli usurpatori gallici, Postumo (260269) e i due Tetrici, padre e figlio (271post 274 e 273-274). La data di occultamento è definita dalle monete più recenti, di Aureliano, precedenti alla riforma da lui attuata. Le ragioni dell’occultamento possono essere diverse : si può ipotizzare che il __________ [6] Con al Rovescio Cerere, del 141 d.C. e ss.; ric iii, p. 71, n. 358. [7] Moneta in argento povero, definita anche come “radiato”, per la corona a raggi sul capo dell’Imperatore sul Diritto, indicativa di nominale doppio rispetto all’unità, emessa per la prima volta da Caracalla nel 214 d.C. Quindi nominale da due Denari.

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gruzzolo sia stato nascosto nel 271, quando Aureliano venne duramente battuto dagli Alamanni a Piacenza ; ma si può anche pensare alla minaccia, l’anno successivo, dopo la vittoria [8] di Aureliano a Pavia, sempre sui medesimi Alamanni, di qualche gruppo germanico sbandato, che poteva essere ancora presente intorno a Milano. Ma è possibile anche pensare alla paura di briganti o di contadini insorti [9]. Oppure alla volontà di nascondere monete che Aureliano voleva venissero ritirate, perché non ostacolassero la collocazione sul mercato delle proprie emissioni riformate, di maggior valore intrinseco, calcolato come metallo a peso [10]. 8

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10

__________ [8] Gli Alamanni erano un gruppo barbarico germanico che venne affrontato in Italia da Gallieno, Claudio II e Aureliano. Dagli Alamanni si sviluppò, culturalmente e linguisticamente, l’attuale Svizzera tedesca. [9] Cfr. il simile complesso recuperato a Grumello e Uniti (CR) (Grumello 1985) con 10 kg di monete, ora ridotte a 3.413, da Treboniano Gallo a Aureliano, quest’ultimo con 84 esemplari, il 2,46% dell’intero nucleo conservato, quasi tutti di Mediolanum. Le monete di Aureliano sono tutte precedenti la riforma e quindi sono indicative per la data di occultamento. Aureliano è presente a Truccazzano con una bassissima percentuale di monete, l’1,08%, che può quindi indicare una sincronia per la data di occultamento, che potrebbe essere riferita ad eventi simili e concomitanti. [10] Per la legge monetaria che portava al ritiro dal mercato, da parte dei privati, e alla tesaurizzazione della moneta « buona », e al mantenimento in circolazione della moneta « cattiva » cfr. Legge di Gresham 2006, con contributi di autori vari. L’imperatore Aureliano affrontò nel 272 la crisi economica e monetaria ereditata da Gallieno e da Claudio II, reprimendo nel sangue la rivolta del personale della zecca di Roma, che aveva intrapreso l’emissione di cattiva moneta in proprio, chiudendo le zecche che emettevano moneta nelle province orientali, decentrando la produzione di una moneta con tipi ovunque identici in alcune poche zecche collocate nell’immenso territorio dell’Impero e imponendo un nuovo tipo di Antoniniano, argentato, con la sua immagine

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In questa sede, premettendo come la moneta, unico multiplo disponibile nel mondo antico, assumesse un’enorme importanza nei programmi di comunicazione del potere imperiale, mi riferirò solo ad alcune emissioni di Gallieno, databili genericamente tra 260 e 268, presenti nel ripostiglio di Truccazzano, per le quali si hanno strumenti per la classificazione molto imprecisi [11]. 11

Si tratta degli Antoniniani con al Rovescio una figura di Centauro, che viene sempre descritto come tale, senza ulteriore specificazione. In realtà si hanno due immagini con attributi ben distinti, che impongono una valutazione in termini storici molto differenziata. Alcune emissioni, in una prima fase del regno (258-259) [12], propongono il Centauro (fig. 2), a destra o a sinistra, con la clava, eloquente simbolo di forza militare, e con talvolta il globo, simbolo del potere universale. La leggenda è illuminante e suona come LEG[IO] II PART [HICA] V (o VI, o VII) P[IA] V (o VI, o VII) F[IDELIS], che è possibile tradurre con « legione seconda partica cinque (o sei, o sette) volte pia e fedele », con i due cognomina attribuitile da Gallieno tra 257 e 259. 12

__________ sempre radiata, ma con peso e contenuto metallico più alti e programmaticamente stabili. E’ molto probabile che abbia imposto il ritiro coatto di tutta la moneta circolante da sostituire. Per la riforma di Aureliano si ha un dibattito tuttora aperto, per il quale si rimanda al recentissimo Crisafulli 2012, da utilizzare con prudenza ma con ottima bibliografia. [11] ric v, i è ormai strumento catalogico molto invecchiato. Si utilizzano di norma Cunetio 1983, Normanby 1988 e Giard 1995, quest’ultimo meno facile da usare per la mancanza di indici. Su aspetti specifici delle emissioni gallieniche si hanno numerosi e ottimi contributi, non essenziali in questa sede. Praticamente inutilizzabile, per la mancanza di un apparato valido di indici, è Giard 1995. [12] Cohen 5, p. 388-389, nn. 478-486 ; ric v, i, p. 94, nn. 332-338.

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Fig. 2

non sono rappresentate nel nostro ripostiglio, con monete raccolte certamente nel territorio milanese, dove finora non sono attestate nei ritrovamenti in scavo (purtroppo scarsi). Sono invece discretamente presenti a Cunetio, in Britannia [19], in un complesso con circa il doppio di monete gallieniche rispetto a quelle presenti nell’intero ripostiglio di Truccazzano. Ciò può forse significare una errata attribuzione delle emissioni alla zecca di Milano, oppure può essere riferito ad una circolazione circoscritta all’ambito militare : la moneta era quindi più presente là dove era stanziata la Legione. Va però ricordato come le monete precedenti al 260 siano rare nel nostro ripostiglio, 19

Il tipo rientra nelle « serie legionarie » di Antoniniani gallienici, con tipi destinati a sollecitare il lealismo dei corpi militari [13], nella logica di una strategia di comunicazione molto trasparente. La legione secunda parthica era stata creata da Settimio Severo nel 197, era stata stanziata a lungo ad Albano, unica legione sul territorio italiano, a garanzia della sicurezza dell’Imperatore, ed era stata di grande importanza nel complesso e sfortunato periodo del regno congiunto di Valeriano e Gallieno. 13

Il Centauro era il simbolo della Legione e non sembra avere avuto riferimenti zodiacali [14] : comparve anche più tardi sulle emissioni dell’usurpatore Carausio (286-293), in Britannia, dove la legione era stanziata, in emissioni della zecca di Londra [15], con attributi vari, clava, globo, lira, timone, scettro, trofeo, mai arco e frecce. Il tipo venne emesso anche a Camulodunum, sempre in Britannia, sia per la parthica secunda [16], che per la quarta flavia [17]. 14

Fortemente rappresentata nel nostro ripostiglio è invece un’altra serie di emissioni, più tarda (260-268), pure con al rovescio il Centauro (fig. 3), a destra, ma con arco e freccia [20], oppure, a destra o a sinistra, con il globo nella destra e il timone sulla spalla [21] (fig. 4). 20

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Fig. 3

Le monete di Gallieno con il Centauro in onore della legio secunda parthica e ad essa probabilmente destinate, sono proposte come emesse a Milano [18], ma 18

__________ [13] Per le emissioni in onore delle Legioni, ric

v, i, p. 34. [14] Comunque l’eventuale riferimento astrale, cioè alla costellazione omonima e ai miti relativi, poteva riguardare la Legione e non la persona dell’Imperatore. [15] ric v, ii, p. 468, n. 61 ss. [16] ric v, ii, p. 487, nn. 269-271. [17] ric v, ii, p. 480, n. 187. [18] Cfr. nota 11.

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Fig. 4 __________ [19] Cunetio 1983, nn. 1452-1457, 1494-1495. [20] Cohen 5, p. 354, nn. 72-73 ; ric v, i, p. 145, n. 163. [21] ric v, i, p. 145, n. 164, emesse a Roma ; a Siscia viene emesso un tipo con il Centauro a sinistra, al galoppo, che tende l’arco a d. ric v, i, p. 180, n. 558.

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La leggenda – APOLLINI CONS[ERVATORI]AUG[VSTI] – si riferisce ad Apollo, il dio arciere, che raggiunge l’avversario da lontano con le frecce e che preserva e protegge l’imperatore. Diodoro Siculo [22], in una versione ben nota del mito, ci indica come Apollo fosse padre del Centauro, che dal dio derivava evidentemente la qualifica di « arciere », con i corrispondenti attributi, l’arco e le frecce. Il Centauro-Sagittario trasmette, esercitando il suo influsso astrale, all’imperatore il Globo, simbolo del potere universale, e custodisce il Timone, simbolo della protezione e della guida divina. 22

La corretta interpretazione del tipo, già presente nella letteratura cinquecentesca [23], è quindi quella che vede nel Centauro del tipo monetale con la leggenda riferita ad Apollo il segno zodiacale del Sagittario, con un riferimento astrale all’omonima costellazione, ben diversa dalla costellazione del Centauro (fig. 5), che non corrisponde ad alcun segno zodiacale. Il Centauro dell’omonima costellazione sarebbe invece quello presente con la clava sulle monete per la Legio Partica Secunda. 23

corrente [24] e non viene più citata, sottraendoci quindi un prezioso strumento per l’interpretazione del programma di comunicazione che Gallieno sviluppava con la scelta e l’elaborazione dei tipi collocati sulla moneta, unico multiplo dell’antichità, con diffusione universale e controllata. 24

La scelta gallienica quindi con il tipo del Sagittario si inquadrava in una strategia che non riguardava più solo la volontà di lusingare un corpo militare, al quale forse erano destinate quelle emissioni, ma desiderava segnalare alla totalità dei sudditi, e non solo ad un gruppo limitato di interlocutori, gli influssi astrali che qualificavano colui che rivestiva la carica di imperatore. Influssi che egli deteneva per volontà divina, apollinea, dall’istante del concepimento, quando era stato collocato « nel segno del Sagittario », con una evidente predestinazione alla dignità imperiale. Il segno infatti si riferiva non alla data di nascita di Gallieno, ma a quella del concepimento, come è stato interpretato per le rappresentazioni del Capricorno nelle monete (fig. 6) e nei cammei di Augusto (fig. 7), concepito sotto l’influsso di questo segno zodiacale [25]. 25

__________ [24] Il

Fig. 5

La distinzione tra le due immagini si è perduta nella manualistica numismatica __________ [22] Diodoro Siculo, iv, 69. Cfr. Carradice 1983, p. 192. [23] In Agustin 1592 : dialogo v, p. 98.

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riferimento a due costellazioni diverse sﬔggì anche al Carradice 1983, p. 192, che segnalava solo come il Centauro fosse più frequentemente (« more usually ») associato a Dioniso, mentre in questo caso era raffigurato come « cacciatore ». [25] Svetonio (De vita caesarum, ii.94), indica come Augusto fosse nato sotto il segno del Capricorno. Ciò contrasta con la sua effettiva data di nascita, indicata come il 22-23 settembre 63 a.C., sotto il segno zodiacale quindi – allora – del Leone, come certo ci viene ricordato dalla stessa denominazione di un mese dell’anno come « agosto ». L’indicazione quindi di Svetonio si riferisce al momento del concepimento, nove mesi prima, sotto il segno appunto del Capricorno. Una diversa tradizione astrologica vuole che gli influssi astrali

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Tanto importante era l’influsso del segno zodiacale al momento del concepimento, tale da predestinare la vita successiva di ogni essere umano, che il Capricorno ritornò successivamente nei tipi delle monete anche di altri imperatori tutte le volte che ci si ricollegava alla figura di Augusto, come modello politico ed ideologico. Ciò anche con Gallieno [26] (fig. 8). 26

Fig. 6

Fig. 8

E’ da ricordare come gli imperatori romani non ottenessero il potere per diritto divino, o ereditariamente, come in altre realtà politiche o, successivamente, nella tarda antichità. Essi conquistavano, già con Augusto, il titolo sul campo, in termini oggi di difficile comprensione, acquisendo e sommando tutte le cariche civili e militari repubblicane che lo giustificavano (compresa quella di « Imperatore »). In realtà erano tutti « signori della guerra », che venivano nominati (e anche eliminati) dai loro eserciti. Era quindi essenziale che curassero con grande impegno il « consenso » dei sudditi tutti e in particolare delle strutture militari, che di norma li avevano chiamati al potere. In un mondo che attribuiva importanza decisiva agli influssi astrali, dimostravano la loro predisposizione al comando supremo, civile e militare, come determinata dal loro « oroscopo » al momento del concepimento, più importante di quello della nascita.

Fig. 7 __________ agissero al momento del parto. Si veda, per la nascita di Alessandro, che Nectenabo ritarda fino alla constatazione di una ottimale collocazione delle orbite celesti degli astri (Il Romanzo di Alessandro 2007, i, pp. 143-144. [26] Serie legionarie del regno congiunto con Valeriano : ric v, i, p. 92, nn. 314, 318, 328 ; p. 96, nn. 361-364 ; p. 97, nn. 366-367. Il tipo p. 152, nn. 244-246, con leggenda NEPTVNOCONSAVG, sembra proporre l’Ippocampo e non il Capricorno.

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Gallieno si proponeva così come concepito sotto un segno fortemente positivo, il Sagittario, ed era predisposto e destinato, ancor prima di nascere, per volere di Apollo, ad essere buon amministratore della giustizia, dispensatore di benessere o di punizioni agli uomini, con gli attributi naturali della potenza e dell’autorità. Con tali attitudini quali ancor oggi si leggono nell’elenco delle prerogative del segno zodiacale del Sagittario, era quindi degno e capace di guidare l’Impero. Egli indicava ciò ai sudditi con la moneta, onnipresente a tutti i livelli sociali,

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rappresentando il Centauro-Sagittario, figlio e « strumento astrale » del dio, con gli attributi del globo, il potere universale, e del timone, strumento per la guida nella navigazione, metafora del buon governo e attributo costante della personificazione della Fortuna, di norma appoggiato sul globo [27] (fig. 9). 27

Il Sagittario nei tipi monetali sembra apparire con Gallieno e nessuno degli altri imperatori del suo secolo lo propose, ad eccezione degli usurpatori dell’Impero Gallico. Il tipo, con il Centauro a d. o a s. e con la leggenda APOLLINICO[NSERVATORI], riappare infatti in emissioni irregolari con Tetrico I [31] e con Tetrico II, queste ultime con la leggenda SOLICONSER[VATORI] e il Centauro con l’arco [32]. Il riferimento apollineo è sicuro, come pure il riconoscimento del Sagittario nell’immagine erroneamente attribuita al Centauro. Improbabile invece sembrerebbe invece un riferimento ad influssi astrali in tipi che appaiono a carattere imitativo dalle emissioni gallieniche ufficiali. 32

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Fig. 9

Qualche anno più tardi, in una dimensione ideologica che ormai prescindeva dalla ricerca del consenso, nelle monete di Aureliano, il globo veniva consegnato all’imperatore da Giove in persona [28] o dal Sole, in quel momento divinità orientale di primo piano [28]. Tipi che si articolano in una sequenza programmatica già molto diversa di comunicazione, che non pare il caso di analizzare in questa sede. 28

29

Nei manuali del passato il timone, sulla spalla del Centauro, non veniva riconosciuto e veniva indicato come « trofeo » [29]. Solo nella bibliografia più recente viene descritto correttamente [30]. 30

31

__________ [27] ric v, i, p. 134, nn. 42-43 : Aurei con la Fortuna stante con cornucopia e timone sul globo. [28] ric v, i, p. 289, n. 225 e passim, con leg-

genda IOVICONSER[VATORI]. Appare significativo come il globo, da intendere rappresentazione della terra come elemento centrale nella concezione astronomica di quell’epoca, venisse proposto correttamente di forma sferica. [29] ric v, i, p. 297, n. 283 e passim, con leggenda SOLICONSERVATORI. [30] ric v, i, p. 145, n. 164 e passim. [31] Giard 1995, nn. 4262-4391.

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Nelle emissioni del secolo successivo il tipo è assente. Esso si riferisce quindi – a mio avviso – proprio al giorno del concepimento di Gallieno, evento squisitamente personale, fortemente significativo in una dimensione culturale di totale fiducia negli influssi astrali. La sottovalutazione nella bibliografia di supporto alla catalogazione di tale scelta tipologica per i tipi monetari indica come nel tempo si sia perduta non solo la sensibilità per la ﬔnzione fondamentale della moneta nella formazione del « consenso », che abbiamo visto modificarsi già con Aureliano, con la proposta di tipi ﬔnzionali a definire in senso positivo l’immagine del potere, ma anche la coscienza dell’importanza decisiva data nel mondo romano agli influssi astrali al momento del concepimento. Sensibilità ancora viva nell’alto medioevo, se troviamo, nel ix secolo, le immagini di Centauro e Sagittario ben distinte nella decorazione nello schienale della Cattedra di San Pietro a Roma, con __________ [32] ric v, ii, p. 412, n. 151. [33] ric v, ii, p. 425, n. 292

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evidenti ricadute simboliche relative al potere della Chiesa, ma ormai spenta nel xix secolo, con una lettura della moneta – ad esempio nel Cohen – aridamente iconografica e quasi mai iconologica. Le monete non sono più documenti per la storia ma esemplari più o meno rari da allineare in una collezione. bibliografia Agustin 1592 = Antonio Agustin, Discorsi del S. Don Antonio Agostini sopra le medaglie et altre anticaglie divisi in XI Dialoghi, Roma, 1592. Arslan 2009 = E.A. Arslan, Spunti per la rilettura della crisi monetaria di età gallienica, in “Mala Tempora Currunt”, Atti Giornata di Studi, Arona, 24/11/ 2007, Gravellona Toce, 2009, p.41-57. Arslan 2011 = E.A. Arslan, Truccazzano (MI). Frazione Corneliano Bertario. Ripostiglio monetale, in Notiziario 2008-2009. Sopr.BB.AA.Lombardia, Milano, 2011, p.194-199. Arslan & Simone Zopfi 2011 = E.A. Arslan & L. Simone Zopfi, Il Ripostiglio Monetale di Corneliano Bertario (Truccazzano-Milano). 1.013 Antoniniani dall’Imperatore Valeriano all’Imperatore Aureliano, Milano, 2011. In CD. Carradice 1983 = I. Carradice, Appendix 5. ﬈e Animals on the “cons aug” Coins of Gallienus, Cunetio 1983, p. 188-194. Cohen = H. Cohen, Description historique des monnaies frappées sous l’empire romain communément appelées médailles impériales, 8 vol., Paris, 1880-92. Crawford 1968 = M.H. Crawford, Plated Coins, false coins, Numismatic Chronicle, 1968, p. 55-59. Crisafulli 2012 = C. Crisafulli, La riforma di Aureliano e la successiva circolazione monetale in Italia, in M. Asolati & G. Gorini (curr.), I ritrovamenti monetali e i processi storico-economici nel mondo antico, Padova, 2012, p. 255-282. Cunetio 1983 = E. Besly & R. Bland, ﬈e Cunetio Treasure. Roman coinage of

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the ﬈ird Century ad, London, 1983. Diodoro Siculo = Diodorus Siculus, Bibliotheca historica, I. Bekker, L. Dindorf, F. Vogel & C.T. Fischer (ed.), 6 vol., Bibliotheca Scriptorum Graecorum et Romanorum Teubneriana, Leipzig 1888-1906 (rist. 1985-1991). Giard 1995 = J.-B. Giard, Ripostiglio della Venèra. Nuovo Catalogo illustrato. Vol. I, Gordiano III-Quintillo, Roma, 1995. Grumello 1985 = M. R.-Alföldi, J. Gorecki, H.-Chr. Noske, H. Schubert & K. Stribrny, Grumello ed Uniti (CR), 1927, rmisa (Ripostigli Monetali Italiani, Schede Anagrafiche), Milano 1985. Legge di Gresham 2006 = M. Asolati & G. Gorini (cur.), I ritrovamenti monetari e la legge di Gresham. Atti del III Congresso Internazionale di Numismatica e di Storia Monetaria, Padova, 2829 ottobre 2005, Padova, 2006. Normanby 1988 = R. Bland & A. Burnett, Normanby, Lincolnshire: 47.909 radiati to 289, ﬈e Normanby Hoard and other Roman Coin Hoards, London, 1988, p. 115-215. ric iii = H. Mattingly & E.A. Sydenham, ﬈e roman imperial coinage, vol. III, Antoninus Pius to Commodus, London, 1926. ric v, i = P.H. Webb, ﬈e Roman Imperial Coinage, vol. V, Part. I, London, 1927. ric v, ii = P.H. Webb, ﬈e Roman Imperial Coinage, vol. V, Part II, London, 1933. Il Romanzo di Alessandro 2007 = R. Stoneman (cur.), Il Romanzo di Alessandro, traduzione di T. Gargiulo, I, Trebaseleghe, 2007. Serafin 1988 = P. Serafin, Ripensando ai suberati…, Rivista Italiana di Numismatica, xc (1988), p. 131-139. Weingel 1990 = R.D. Weingel, Gallienus’ “animal series” coins and roman religion, Numismatic Chronicle, 1990, p. 135-143. BCEN vol. 50 no 2, 2013


Philip TORDEUR * ‒ Le quinaire de Jules César du type Crawford 452/3 (48 av. J.-C.)

Parmi les monnaies les plus rares émises par César figure le quinaire d’argent « au trophée » que M. Crawford catalogue sous la référence 452/3 [1]. Cette petite dénomination, valant la moitié du denier, n’avait plus été émise depuis les alentours de 85 av. J.-C. [2]

et à dr., une épée. Il est surmonté d’un casque hémisphérique orné d’un bouton et muni de deux larges paragnatides. Dans le champ à g., une couronne de laurier ; à dr., un ancile. De part et d’autre, la légende CAE/SAR.

Fig. 2 – Le quinaire de César dessiné par Dardel dans l’ouvrage de Cohen (1857)

Fig. 1 – Paris, BnF AF 2807 (cat. no 1)

Le quinaire de César, frappé dans un atelier itinérant, se décrit de la manière suivante (fig. 1) : a Buste féminin drapé et voilé à dr.

(Vesta ?). Derrière, au dessus d’un simpulum (anse à dr.), le numéral II à lire de haut en bas.

r Trophée d’armes constitué d’une

cuirasse placée sur une hampe verticale ornée de deux globules latéraux. Il supporte à g., un bouclier macédonien rond orné de globules

__________ *

Nous remercions pour leur précieuse collaboration Jean-Marc Doyen (umr 8164, halmaipel, Université de Lille 3), le Prof. Michael Crawford, M. Dominique Hollard, conservateur à la Bibliothèque nationale de France ainsi que M. Ian Leins, conservateur des monnaies romaines au British Museum à Londres. Nicolas Tasset a révisé les données historiques et Vincent Geneviève à revu le texte, ce dont je les remercie.

[1] M. Crawford, Roman Republican Coinage, Cambridge, 1974, p. 467 et pl. liii. [2]

H.A. Grueber, Coins of the Roman Republic in the British Museum, London, 1910, vol. 1, p. 507, note 1.

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Le type est connu de longue date et catalogué dans les recueils anciens : Cohen (fig. 2) [3], Babelon [4], Grueber [5], Sydenham [6], Seaby [7]. Il figure également dans les collections du Musée Kestner à Hanovre [8]. L’atelier à l’origine de ce quinaire a été localisé à Apollonia d’Illyrie, mais la frappe est attribuée par M. Crawford à une officine militaire itinérante voyageant avec César et son armée [9]. __________ [3] H. Cohen, Description générale des monnaies de la République romaine, communément appelées médailles consulaires, Paris, 1857, no 16 et pl. xx, no 14. [4] E. Babelon, Description historique et chronologique des monnaies de la République romaine vulgairement monnaies consulaires, Paris { London, 1885-1886, t. ii, p. 18-19, Julia 29. [5] Grueber, op. cit., p. 507, no 3961 et pl. xlix, no 16. [6] E.A. Sydenham, ﬈e coinage of the Roman Republic, London, 1952, p. 168, no 1012. [7] H.A. Seaby, Roman silver coins. Revised by D.R. Sear & R. Loosley, London, 1978, p. 108, no 16. [8] F. Berger, Die Münzen der Römischen Republik im Kestner-Museum Hannover, Hannover, 1989, p. 480-481, no 3560. [9] Crawford, loc. cit. : “Mint – moving with Caesar”.

153


Fig. 3 – Les mouvements de César en Grèce en 48 av. J.-C. (dao Ph. Tordeur)

Nous pensons pouvoir le localiser à partir des donnés historiques en déterminant où séjournait César en 48 av. J.-C. lors de son séjour en Grèce.

Dyrrhachium (Durrës moderne) où ils ont construit de grandes forteresses se faisant face (fig. 4).

Ainsi, les faits historiques se chargent de faire parler la monnaie et dans ce cas précis, de retrouver peut-être l’atelier à l’origine de ce quinaire. Alors que l’ensemble des monnaies « itinérantes » frappées par César en Grèce sont attribuées à l’atelier d’Apollonie dont les ruines sont situées dans l’actuel Albanie, près de la ville de Pojani, il semble utile de suivre les mouvements du proconsul lors des activités militaires menées en Grèce cette année-là (fig. 3). Après avoir traversé la mer Adriatique, César parvient en Grèce en janvier 48 av. J.-C. [10] Pendant une période de six mois, César et Pompée sont restés à __________ [10] Caes. Commentarii de Bello Civili, 3.2-19,

23-31, 39-7 ; J. Carcopino, Histoire romaine. Tome II, César, Paris, 1950, p. 896. Internet/ livius/UNRV.com 2003.

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Fig. 4 – Les campements de César à Dyrrhachium (d’après Jona Lendering2[11]) __________ [11] Dans Livius.Org, 2005, revision : 26 May

2008.

154


Après un assaut des troupes de Pompée le 7 juillet, César et son armée ﬔrent contraints de marcher vers l’intérieur du pays. Cependant, ils passèrent d’abord par Apollonia car il ne restait plus d’argent pour payer les troupes. C’est en effet à Apollonia que César a pu se procurer les fonds nécessaires, en imposant une nouvelle contribution de guerre à cette riche cité [12]. 3

Les monnaies émises pendant cette période mentionnent toutes II (52), soit l’âge de César [13]. Comme le 52ème anniversaire de César eut lieu le 13 juillet de l’an 48 av. J.-C., on estime depuis longtemps que les monnaies qui mentionnent II ont été frappées après son anniversaire, donc à Apollonie, ou juste après, lors de la traversée des monts Pinde (Pindos) vers Pharsale [14]. 4

Le quinaire, qui mentionne au droit l’âge de César II et au revers la victoire [sur Pompée] à dû être frappé après la bataille de Pharsale, donc après le 9 août de l’an 48 av. J.- C., sans doute non loin de cette ville. Le quinaire a fait office de monnaie commémorative après Pharsale. Le revers montre en effet un trophée avec un bouclier macédonien à gauche, une couronne de laurier placée en-dessous ainsi qu’un bouclier romain à droite. Les monnaies frappées en Grèce à cette époque sont de quatre types (fig. 5-8).

5

César voulait pouvoir combattre Pompée dans un endroit approprié. Le choix s’est porté finalement sur Pharsale où, le 9 août, ses soldats expérimentés ont vaincu l'armée de son rival. Comme à l’issue de la bataille Pompée s’était échappé en Égypte, César a quitté la Grèce à sa poursuite. Le proconsul arriva à Alexandrie le 30 septembre de l’an 48 av. J.-C., deux jours après l’assassinat de Pompée par le jeune roi d’Égypte, Ptolémée XIII, le frère de Cléopâtre. L’émission des quinaires se place certainement avant cette date. Mis à part ses déplacements rapides avant et après les batailles en Grèce, César a séjourné la plupart du temps à Dyrrhachium, et plus précisément de janvier à juillet. C’est à cet endroit que le campement principal a pu abriter l’atelier de frappe destiné au paiement de la solde des légionnaires. __________ [12] G. Walter, César, Verviers, 1964, p. 321. [13] K. Christ, Caesar, München, 1994, p. 35.

Fig. 5 – Denier Crawford 452/2 (H.D. Rauch, Auktion 85, 26/xi/2009, no 316). Masse théorique : 3,96 g ; titre : 950‰ ; taille 1/82e de livre ; valeur : 16 asses

Fig. 6 – Quinaire Crawford 452/3 (BnF AF 2807). Masse théorique : 1,98 g ; titre 950‰ ; taille : 1/164e de livre ; valeur : 8 asses

Fig. 7 – Denier Crawford 452/4 (Numismatica Ars Classica 70, no 157). Masse théorique : 3,96 g ; titre : 950‰ ; taille 1/82e de livre

[14] Caes. B.C. iii, 3.89.

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155


masse théorique de 1,98 g, pour une masse globale de 1.366 kg d’argent.

Pour cette brève série, nous pouvons estimer une production globale de 23#30.000 pièces (valeur moyenne des monnaies produites à partir d’une paire de coins) [16] soit 690.000 quinaires d’une 7

__________ [15] Ch.

Carcassonne, Méthodes Statistiques en Numismatique, Louvain-la Neuve, 1987. [16] La littérature à ce sujet est beaucoup trop vaste pour être évoquée ici.

156

4

>=1,95

0

[1,90 à 1,95[

1

[1,85 à 1,90[

2

[1,80 à 1,85[

3

Fig. 9 – Histogramme des masses du quinaire Crawford 452/3 [1,75 à 1,80[

À partir de notre propre documentation et en pratiquant les statistiques6[15] à partir du nombre d’exemplaires retrouvés (23 pièces) et le nombre de liaisons de coins observé (10 coins de droit et 12 coins de revers) nous estimons le nombre de coins de droits entre un minimum de 10 et maximum de 23, et celui de coins de revers entre 12 et 23.

Métrologie 5

[1,70 à 1,75[

Le denier d’argent du type Cr. 452/2 (fig. 5) est le plus courant de cette période ; il a servi pour le paiement de la solde des légionnaires. M. Crawford estime son nombre de coins à 63 pour le droit et 70 pour le revers. En revanche, on constate que le quinaire, du type Crawford 452/3, est beaucoup plus rare. Pour ce dernier, M. Crawford estime le nombre de coins de droit à moins de 10 et celui des revers à moins de 11. Il s’agit de statistiques se fondant sur un nombre d’exemplaires limité, tenant compte du nombre de combinaisons observées entre les matrices. Ces monnaies militaires ont souvent été frappées de manière décentrée, ce qui rend plus difficile la comparaison des coins.

Ce quinaire rare, connu par 25 exemplaires seulement (dont 23 illustrés), doit certainement être présent dans d’autres collections privées. Nous espérons pouvoir recevoir d’autres photos et les données techniques d’exemplaires non répertoriés afin de compléter notre étude.

[1,65 à 1,70[

Fig. 8 – Denier Crawford 452/5. Masse théorique : 3,96 g ; titre : 950‰ ; taille 1/82e de livre

[1,60 à 1,65[

< 1,60

On peut envisager une distribution de ce quinaire après Pharsale, sur la base de 50 exemplaires par soldat.

La masse théorique du quinaire s’établit à 1,98 g. La masse observée pour notre série est nettement plus faible, à savoir 1,78 g pour 20 exemplaires dont les données pondérales ont été relevées (fig. 9). Cette masse, anormalement légère, est en quelque sorte due à la rareté. En effet, la valeur commerciale de ces petites monnaies fait qu’elles sont archivées quel que soit leur état de conservation. Or, beaucoup sont très usées, voire légèrement ébréchées, ce qui fait tomber la moyenne pondérale de 10%. BCEN vol. 50 no 2, 2013


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158

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Catalogue a₁|r₁ a₁|r₂ a₂|r₃

q BnF AF 2807 : 1,72 g ; 0. w BM 2002, 0102.4 : 1,92 g ; !. e Bank Leu ag – Münzen und Medaillen ag, Sammlung Walter Niggeler. 2. Teil, Basel, 11-12/x/ 1966, no 922 : 1,84 g ; .. r Baldwin’s 42, 2005, no 94. Non pesé. t Kestner Museum (Hannover), no 3560 : 1,97 g ; .. y BnF d’Ailly 10909 : 1,72 g ; 6. u Andrew McCabe coll. : 1,6 g. a₃|r₄ i Triton ix, 10-11/i/2006, no 1330 : 1,88 g ; # = Nummorum Auctiones 10, 24-25/iii/1998, no 659. o Numismatica Ars Classica 40, 16/ v/2007, no 541 : 1,88 g = Sternberg xxxii, 28-29/x/1996, no 498. a Numismatica Ars Classica 63, 17/ v/2012, no 356 = Coin Galleries iv, 1985, no 246 : 1,86 g. a₃|r₅ s Adolph E. Cahn, Auktion 75, 30/v/ 1932, no 765. Non pesé. a₄|r₆ d BnF d’Ailly 10908 : 1,81 g ; 2. f BM 1843, 0116.715 : 1,89 g ; . = Sotheby’s 30/v/1842. a₅|r₆ g Sammlung Leo Benz. Lanz, Auktion 88, 23/xi/1998, no 755 : 1,79 g = Schweizerische Kreditanstalt, Auktion 3, avril 1985, no 449 = Numismatic Fine Arts vi, 27-28/ii/ 1979, no 530. h Sammlung Haeberlin. A.E. Cahn & A. Hess, 17/vii/1933, no 2691 : 1,80 g. a₆|r₆ j Ars Classica (Genève), 27-29/vi/ 1928, no 1008 : 1,60 g. a₇|r₆ k Giessener Münzhandlung 79, 14/x/ 1979, no 509 : 1,82 g. a₇|r₇ l Coll. Ph. Tordeur : 1,65 g ; . = cng 302, 8/v/2013, no 330. a₇|r₈ ; cng 75, 23/v/2007, no 908 : 1,89 g ; . = Lanz 78, 25/xi/1996, no 468. a₈|r₉ 2) Numismatica Ars Classica, Auction M, 20/iii/2002, no 2518 : 1,64 g. a₈|r₁₀ 2! Sammlung Haeberlin, A.E. Cahn & A. Hess, 17/vii/1933, no 2690 : 1,94 g. a₉|r₁₁ 2@ cgb - Monnaies 45, 2010, no 257 : 1,39 g ; 2. a₁₀|r₁₂ 2# E. Bourgey, 4/xi/1913, no 677. Non pesé. a?|r? 2$-2% Ars Classica (Genève), 27-29/vi/ 1928, no 1009 : lot de deux ex. non illustrés et non pesés.

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Rudi SMITS – Un sesterce inédit de Julia Domna (Rome, 212 apr. J.-C.) Plusieurs monnaies de Julia Domna émises à Rome portent au revers la représentation de Cérès. Nous avons relevé les légendes et les types suivants : CERES S/C ▪ as (ric [1] 870 [Cérès debout] ; Hill [2]

346 : 198 ad)

▪ sesterce (ric 848 ; Hill 348 : 198 ad) ▪ sesterce (ric 849 [Cérès assise] ; Hill

1023 : 209 ad)

▪ médaillon de bronze (Gnecchi [3], ii/ 76/1 ; Toynbee [4], pl. xliv, 2 ; Banti [5]

2 : Cérès debout, fig. 1).

Fig. 1 __________ [1]

H. Mattingly & E.A. Sydenham, ﬈e Roman Imperial Coinage. Vol. IV. Part I. Pertinax to Geta, London, 1936. [2] P.V. Hill, ﬈e coinage of Septimius Severus and his family of the Mint of Rome ad 193217, London, 1977. [3] F. Gnecchi, I medaglioni romani, Milano, 1912. [4]

J.M.C. Toynbee, Roman medallions. With and introduction to the reprint edition by William E. Metcalf, New York, 1986. [5] A. Banti, I grandi bronzi imperiali, IV/1, Firenze, 1986.

159


CERERI FRVGIF ▪ denier (ric 546 ; Hill 424 [Cérès assi-

se] : 200 ad).

CEREREM S/C ▪ dupondius

(ric Caracalla 596 ; Hill 1319 [Cérès tenant sceptre] : 212 ad) ▪ dupondius (ric – ; Hill 1320 [Cérès tenant torche] : 212 ad) ▪ as (ric 596 ; Hill 1322 : 212 ad). On connaît également d’assez nombreuses représentations de Cérès dans le monnayage impérial émis en Orient, avec des légendes fort variées. On relève à Emèse CERE FRVG, CERERE AVG, CERERE AVGVS [6] ; à Laodicée ad Mare : CERERI FRVGIF [7]. Un sesterce inédit de style romain est apparut récemment dans le commerce numismatique [8].

Fig. 2

Cédric WOLKOW ‒ Une variante inédite d’un antoninien de Gallien frappé à Milan (265 apr. J.-C.) Il nous paraît utile de publier ici une monnaie (fig. 1) apparemment non répertoriée [1]. Il s’agit d’un antoninien de Gallien frappé à Milan en 265 apr. J-C. 10

Description IVLIAPIA/FELIXAVG

Fig. 1

Buste drapé à dr. CEREREM S/C

Cérès debout à g., tendant deux épis au-dessus d’un modius et tenant un sceptre vertical.

Sesterce: 26,99 g – Ì – 30 mm (fig. 2). De part sa titulature, typique de l’époque du règne seul de Caracalla (212217), la nouvelle monnaie ne pose aucun problème de classement. Elle vient s’ajouter au deux dupondii et à l’as déjà connus. L’ensemble est attribué par Ph. V. Hill à une émission monétaire spécifique, celle célébrant la 7ème libéralité impériale (denier au revers LIBERALITAS AVG VII [9]). __________ [6] ric 616a-618. [7]

ric 636. [8] JHE Auctions 3/2013. [9]

Hill 1313.

160

Fig. 2

IMPGALLIENVSAVG

Tête radiée à dr., un pan de draperie (visible à l’avant et à l’arrière) sur l’é– paule g. Un ruban passe sur le cou. PA/X AVG –/S/–

Pax courant à g., tenant un rameau et un sceptre oblique. Antoninien: masse non relevée – Ì. __________ [1]

Coll. H. Ex coll. C. Wolkow.

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Robert Göbl [2] a recensé, dans sa cinquième émission de l’atelier de Milan, cinq types d’antoniniens portant les mêmes titulature de droit et légende de revers que l’exemplaire décrit ci-dessus. Il s’agit des variétés suivantes : 11

sans marque d’officine (1226c) ▪ avec marque d’officine P à l’exergue (1227e) ▪ avec marque d’officine S à gauche (1228e) ▪ avec marque d’officine S à l’exergue (1229d et 1229e) Cependant, une interrogation subsistait pour la monnaie mir 1226c sur laquelle apparaît, à droite, la trace probable d’une marque d’officine illisible (fig. 2). Il semble dès lors que la monnaie que nous publions aujourd’hui corresponde à celle-ci. Notons que d’après les travaux de JeanMarc Doyen, qui s’appuyent sur l’étude des coins et sur l’activité des graveurs pour proposer un classement plus précis [3], notre exemplaire appartiendrait à la 9ème série, phase II, groupe D (antoniniens marqués P et S), datée d’août 265 ‒ second semestre 265. 12

Avec cette légende et ce buste, nous trouvons chez J.-M. Doyen le numéro d797 (S/– : 9 ex., 7 coins de droit, 7 coins de revers), le d798a et d798b (avec –/–/S ; d798a : 24 ex. de 19 coins de droit et 16 coins de revers ; d798b : 3 ex. issus de 3 paires de coins différents). __________ [2]

R. Göbl, Die Münzprägung der Kaiser Valerianus I./Gallienvs/Saloninus (253/268), Regalianus (260) und Macrianus/Quietus (260/262), Wien, 2000 (mir 36, 43, 44). [3]

J.-M. Doyen, L’atelier de Milan (258-268). Recherches sur la chronologie et la politique monétaire des empereurs Valérien et Gallien (253-268), thèse de doctorat, Louvain-la Neuve, 1989, 7 vol. Abrégé ci-après en d.

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Notre monnaie pourrait donc être intégrée sous le no d797(b) de ce catalogue. Il reste donc à retrouver la monnaie sans marque d’officine décrite par R. Göbl sous son no 1226c, pour autant qu’elle existe. Michel THYS ‒ Le type AEQVITAS dans le monnayage de Marius (269 apr. J.-C.) armi les antoniniens frappés par l’usurpateur gallo-romain Marcus Aurelius Marius (269), ceux au revers de l’Aequitas sont de loin les plus rares. En fait, le dossier est particulièrement mince puisqu’il ne comporte que trois exemplaires bien avérés.

P

La description de cet antoninien est la suivante :

Fig. 1

Fig. 2

Fig. 3

a IMP C M AVR MARIVS AVG

Buste radié et cuirassé à dr., vu de trois-quarts en avant.

r AEQVITAS AVG

Aequitas debout à g., tenant une balance dans la main dr. et une corne d’abondance dans la main g. 161


Cohen 2 [1], ric 15 [2], Elmer 641 [3], agk 10 [4].

Cohen. Dans le cas contraire, le nombre d’exemplaires serait porté à quatre.

Ce revers est courant dans le monnayage de Victorin (269-271) [5], successeur de Marius, qui le frappe abondamment dans l’atelier de Cologne lors de son avènement. La question est de savoir si ce type est un hybride dans le monnayage de Marius, associant un droit de ce dernier empereur à un revers propre à Victorin, ou si Marius est le vrai initiateur de ce revers qui sera ensuite repris par Victorin.

G. Elmer considère que cette monnaie appartient pleinement au monnayage de Marius qui est l’initiateur de ce type. En effet, le numismate viennois a systématiquement écarté de son corpus les exemplaires qu’il considérait comme des hybrides [7].

13

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Au contraire, Schulski le considère comme un hybride dans l’agk, un avers de Marius étant associé à un revers propre à Victorin [8]. Dans sa critique minutieuse de l’agk, Weder n’aborde pas ce point, se ralliant implicitement à l’opinion de Schulski [9]. 20

Les trois exemplaires connus de Marius sont les suivants, tels que signalés dans l’agk [6] : 18

1. Collection Walla (Wien), cité par G. Elmer ( fig. 1). 2. Collection Allote de la Fuye (vente Florange & Ciani du 4 mars 1925, no 452) ( fig. 2). 3. Collection J.-M. Kruchten (citée par agk sous la mention « collection privée ») ( fig. 3) : 2,38 g – Í – 18,3#20,9 mm. Cet exemplaire a été acquis au début des années 1980 auprès du marchand parisien S. Boutin. Il pourrait s’agir de l’exemplaire de la coll. Le Comte cité par __________

21

Pour notre part, nous considérons que c’est bien Marius l’inventeur de ce revers repris ensuite tel quel par Victorin. Nos arguments reposent sur les éléments suivants : 1. Les exemplaires connus proviennent de trois paires de coins différentes. Une telle variété pour les trois exemplaires existants suffit à rejeter l’hypothèse de monnaies hybrides. La rareté de ces antoniniens s’expliquant par le fait que l’émission a rapidement été interrompue par la mort de Marius.

ric : P.H. Webb, ﬈e Roman Imperial Coinage, vol. v, part 2, London, 1933.

2. Pour le même atelier, un cas similaire existe entre Lélien et Marius, où ce dernier reprit le dernier type de son prédécesseur (VICTORIA AVG) pour sa première émission d’avènement [10].

[3]

G. Elmer, Die Münzprägung der gallischen Kaiser in Köln, Trier { Mailand, Bonner Jahrbücher 146, 1941. [4] agk : H.J. Schulski, Die Antoninianprägung der gallischen Kaiser von Postumus bis Tetricus, Bonn, 1996.

__________

[5]

agk 10. M. Weder, Münzen und Münzstätten der gallisch-römischen Kaiser, Teil I, Revue suisse de Numismatique, 76 (1997), p. 103-133.

[1]

H. Cohen, Description historique des monnaies frappées sous l’Empire romain, 2e édition, Paris, 1886. [2]

Voir agk 1a à 1e. [6] Nous avons écarté du catalogue la monnaie décrite par Cohen sous le no 1, d’après Tanini et d’Ennery. La légende d’avers IMP C M AVR MARIVS PF AVG est propre à l’autre atelier de Marius. Il s’agit sans doute d’une mauvaise lecture du droit.

162

22

[7]

À titre d’exemple, Elmer a écarté de son corpus l’antoninien de Postume au revers HERCVLI INVICTO réhabilité par Bastien dans son article, Les travaux d’Hercule dans le monnayage de Postume, rn, 1958, p. 60-78. [8] [9]

[10] H. Gilljam, Laelianus. Ergängzungen zur Materialsammlung, Verwendung seiner Reversstempel unter Marius, Köln, 1986.

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Le cas qui nous occupe a donc un antécédent bien avéré venant encore renforcer notre interprétation. Remarquons enfin que la reprise de ce revers lors de la première émission de Victorin sur des antoniniens où le nom du nouvel empereur est associé à des portraits de son prédécesseur montre combien l’atelier secondaire a été livré à lui-même au début du règne de Victorin. Manifestement, cette période de transition aura été relativement longue (quelques semaines ?), vu le nombre d’exemplaires qui nous sont parvenus. Ceci prouve aussi que Victorin devait se trouver assez éloigné de Cologne lors de sa prise de pouvoir, son portrait ayant mis quelque temps à parvenir auprès de la Moneta Coloniensis. Livré à lui-même, l’atelier a simplement repris le type de la dernière émission monétaire de Marius dans l’attente d’instruction provenant du nouvel imperator. L’urgence de faire connaître auprès des troupes du limes le nom de ce dernier ayant également entraîné une frappe d’aurei aux mêmes caractéristiques [11]. 23

Sergio Boffa* ‒ La Sententia de cambio et imaginibus denariorum du 30 avril 1231 a-t-elle influencé l’administration de la frappe de la monnaie dans le duché de Brabant au xiii siècle ?? Le document

De la fin avril au début mai 1231, Henri (VII) de Souabe (1211-1242) se trouve à Worms. Fils aîné de l’empereur Frédéric II de Hohenstaufen (1220-1250), il a été intronisé roi des Romains en 1220 et c’est à ce titre qu’il interfère dans les affaires de l’Empire. Il sera déposé en __________ [11]

Kölner Münzkabinett 42, 10/xi/1986, no 475 (denier frappé avec des coins d’aureus).

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1235 pour cause d’insoumission [1]. Pendant ce séjour, il scelle plusieurs actes dont deux règlements sur le change et la frappe des monnaies. Le premier d’entre eux, connu parfois sous les noms de Sententia de cambio et imaginibus denariorum ou de Sententia de cambiis et denariis civitatum, est l’objet de notre petite étude [2]. 24

25

Le contenu du document se résume en quatre dispositions : 1) Henri accorde aux villes d’Empire possédant une monnaie propre le droit d’exiger que toutes les transactions effectuées au marché soient acquittées en deniers locaux. 2) Il ordonne que les ateliers monétaires identifient le produit de la frappe par un emblème caractéristique qui puisse faciliter la différenciation des différents monnayages. 3) Le change ne pourra s’opérer que par le monétaire du lieu ou par un officier muni d’une autorisation spéciale de la part du seigneur. 4) Les personnes trouvées en possession de fausses monnaies seront punies selon la loi sauf si la somme en leur possession n’excède pas les neuf deniers. __________ * Avant toute chose, j’aimerais remercier MM. Raymond Horbach et David Guilardian pour leurs aides, conseils et suggestions. [1]

Chr. Hillen, W. Stürner & P. Thorau, Der Staufer Heinrich (VII.). Ein König im Schatten seines kaiserlichen Vaters, Göppingen, 2001 (Schri﬇en zur staufischen Geschichte und Kunst, 20). [2] L’acte est édité dans G.H. Pertz, Monumenta Germaniae Historica, Legum, II, Hanovre, 1837, p. 281 et dans L. Weiland, Monumenta Germaniae Historica, Constitutiones et acta publica imperatorum et regum, Tomus II. Inde ab a. mcxcviii. usque ad a. mcclxxii, Hanovre, 1896, p. 415-416, no 301. Voir aussi S. Boffa, Liste provisoire des sources éditées de l’histoire monétaire brabançonne jusqu’en 1430, rbn, cxlvi, 2000, p. 31-137, pp. 40, no 37.

163


La problématique Malgré le nombre important d’historiens et de numismates qui se réfèrent à notre document [3], son importance, du point de vue de l’histoire monétaire brabançonne, reste toujours à démontrer. En effet, rien ne prouve que l’acte fût d’application dans le duché de Brabant. 26

À notre connaissance, Jean Baerten est le premier historien à avoir douté de son intérêt. Malheureusement son raisonnement n’est pas basé sur une étude de l’acte même. Il est purement circonstanciel. Il pense simplement qu’ « après avoir montré que le monnayage dit local est également ducal [4] et qu’il débute non pas au xiiième mais au xiième siècle, il n’est nullement besoin de réﬔter longuement la thèse de De Witte selon laquelle ce numéraire devait son origine à la sententia de cambio et imaginibus denariorum qui date de 1231 » [5].

semble utile de présenter succinctement l’opinion de quelques-uns de nos illustres prédécesseurs. Alphonse De Witte, dans son remarquable travail sur les monnaies brabançonnes, divise le monnayage d’Henri II (1235-1248) et de ses successeurs en monnayage « ducal » et « local ». Il n’explique malheureusement pas les éléments qui l’ont motivé à établir une telle distinction. Notre document a certainement joué un rôle déterminant dans l’élaboration de sa théorie, bien qu’Alphonse De Witte semble n’y voir qu’une confirmation de l’existence du double monnayage :

27

28

Nous partageons les conclusions de Jean Baerten. Nous pensons néanmoins que le caractère particulier de la frappe de la monnaie au xiiième siècle est tel, qu’une simple comparaison avec la situation au xiième ou au xivème siècle ne suffit pas pour prouver que l’édit de 1231 ne ﬔt pas appliqué en Brabant.

« Peut-être faut-il chercher l’origine de ce second monnayage [c’est-à-dire le monnayage local] dans une charte impériale, donnée à Worms, le 30 avril 1235 [6] (...) Or, chose digne de remarque, la promulgation du décret impérial coïncide avec l’apparition du monnayage local… » [7]. 29

30

Alphonse De Witte, sans clairement l’admettre, pense donc que l’édit de 1231, puisqu’il ﬔt d’application en Brabant, est la cause de la multiplication des ateliers monétaires et du type particulier qu’auront les petits deniers à la croix brabançonne [8]. 31

La position de nos prédécesseurs Avant de nous attaquer à la sententia de cambio et imaginibus denariorum, il nous

__________

__________

[7]

[3]

Voir ci-dessous.

[4]

Selon Alphonse De Witte, il existait un double monnayage : l’un ducal, qui circulait dans tout le Brabant, et l’autre local qui avait un cours limité à une zone restreinte (A. De Witte, Histoire monétaire des comtes de Louvain, ducs de Brabant et marquis du Saint Empire Romain, I, Anvers, 1894, p. 36-37). [5] J. Baerten, Villes et monnaie dans le duché de Brabant (xiie et xive siècles), Bulletin de la Société d’histoire et d’archéologie de Louvain, 1965, p. 7-22, pp. 20.

164

[6]

Alphonse De Witte date par erreur notre document de 1235 au lieu de 1231.

A. De Witte, op. cit. [n. 4], I, p. 36. En Brabant, les deniers ducaux se reconnaîtraient au cavalier et à l’écu au lion, tandis que les deniers locaux seraient identifiables grâce au donjon crénelé flanqué de deux tourelles (Anvers) ; à la projection horizontale d’un pont (Bruxelles) ; à l’aigle bicéphale (peut-être Halen) ; au lion rampant (Louvain) ; au buste de lion (pas d’attribution) ; à l’agneau pascal (peut-être Tirlemont) ; à la porte de ville (Vilvorde) et à l’aigle monocéphale (pas d’attribution) (A. De Witte, op. cit., [n. 4], I, p. 38-65, 372-375). [8]

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Victor Tourneur, une autre grande figure de la numismatique belge, semble ne pas avoir eu un avis définitif sur la question. Il adopte tout d’abord la théorie d’Alphonse de Witte [9]. Ensuite, cependant, il ne pense plus que « la charte de Worms ait eu la moindre influence sur le monnayage brabançon » [10]. Avant de changer à nouveau d’avis puisqu’il affirme qu’un denier d’Anvers ﬔt frappé « en exécution d’une charte donnée par Henri de Souabe à Worms » [11]. 32

33

34

me acte pour contrer les idées de JeanRené De Mey. Joseph Ghyssens, qui s’est aussi beaucoup intéressé aux petits deniers brabançons, ne semble pas s’être occupé de notre document. À notre connaissance, aucun de ses nombreux articles n’y fait référence [14]. Il n’en fait pas mention dans son choix de textes relatifs aux monnaies des Pays-Bas méridionaux, ce qui semble montrer le peu d’intérêt qu’il y portait [15]. 37

38

Jean-René De Mey a soigneusement étudié le revers des petits deniers brabançons. Il présente une nouvelle classification basée non par sur le droit des monnaies, mais plutôt sur les différents types de croix brabançonnes. En fonction de celles-ci, il attribue les deniers aux villes d’Anvers, de Louvain, de Bruxelles, de Tirlemont et de Vilvorde. Jean-René De Mey justifie ce nombre réduit d’ateliers monétaires par l’acte de 1231 [12]. Il est piquant de lire que le regretté Mark Blackburn [13] utilise le mê35

36

__________ [9] V. Tourneur, De la nature du monnayage dénarial au nom et aux armoiries des villes de Flandre au xiiième siècle, Congrès international de Numismatique, Bruxelles, 1910, Bruxelles, 1910, p. 301-311, pp. 307. [10] V. Tourneur, Le monnayage dans les villes de Flandre et de Brabant au xiième siècle et au xiiième, Bulletin de l’Académie royale de Belgique, Classe des Lettres, 5e série, 26, 1940, p. 34-48, pp. 47. [11] V. Tourneur, L’atelier monétaire d’Anvers des temps mérovingiens au xiième siècle, in H. Ingholt (éd.), Centennial Publication of the ans, New York, 1958, p. 683-690, pp. 690. [12] J.-R. De Mey, Les petits deniers à la croix brabançonne, Bruxelles, 1982, p. 14. L’auteur n’avait pas défendu cette théorie dans son premier travail sur les monnaies des ducs de Brabant (Id., Les monnaies des ducs de Brabant (1106-1467), Watermael, 1966, p. 14-26). [13] M. Blackburn, Mint attributions of the “petits deniers à la croix brabançonne”, Actes du xie congrès international de numismatique, Bruxelles, 8-13 septembre 1991, III, Louvainla-Neuve, 1993, p. 105-111, pp. 110.

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À l’exception de Joseph Ghyssens, nombreux sont les numismates, influencés par l’opinion d’Alphonse De Witte, qui utilisent l’édit de 1231. Et cela, même lorsqu’il s’agit de défendre des théories contradictoires. Remarque générale sur la sententia de cambio et imaginibus denariorum [16] 39

Les éditeurs des Monumenta germaniae historica ont choisi d’intituler notre document Sententia de cambio et imaginibus denariorum ou Sententia de cambiis et denariis civitatum. Pour eux, il s’agit donc d’une sentence, c’est-à-dire un acte produit après un jugement [17]. 40

__________ [14] Par ex., J. Ghyssens, Essai de classement chronologique des monnaies de Brabant depuis Godefroid Ier jusqu’à la duchesse Jeanne (10961406), bcen, 20, 1983, p. 55-59 ; J. Ghyssens, Le denier de Brabant des xiie et xiiie siècles. Première partie: les données, bcen, 13, 1976, p. 9-13 ; J. Ghyssens, Le denier de Brabant des xiie et xiiie siècles. Deuxième partie : la vérification, bcen, 13, 1976, p. 32-37. [15] J. Ghyssens, Choix de textes antérieurs à

1400 relatifs aux monnaies des Pays-Bas du sud, Louvain-la-Neuve, 1997. [16] Avant de poursuivre la lecture de ce travail, nous conseillons aux lecteurs de parcourir l’édition de l’acte de 1231 qui se trouve en annexe 1 ou sa traduction en annexe 2. [17] Le terme « sentence » apparaît bien dans le document.

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Pourtant, la charte suivante, avec exactement la même teneur, mais qui s’adresse exclusivement à la Saxe, est nommée Mandatum de cambiis et denariis in Saxonia ou Mandatum regis ad Saxones [18]. Il concerne uniquement les lieux où la monnaie de Magdebourg avait cours. Pourquoi les éditeurs de ces deux actes pratiquement identiques ont-ils qualifié le second de mandement? Sans doute parce que dans le second des documents, un passage supplémentaire donne le pouvoir de faire exécuter ses décisions par Hermann, comte de Herzberg, et par Gozelon, son dapifer [19]. 41

42

La relation qui existe entre ces deux documents reste à éclaircir, d’autant plus qu’ils ont été scellés le même jour. Le premier, sans précision de lieu, a peutêtre servi de modèle au second. C’est ce que pourrait laisser supposer le passage mentionnant la monnaie du prince « … in omnibus locis in quibus moneta principis frequentatur et habetur » qui est corrigé ainsi « … in omnibus locis, in quibus moneta Magdeburgensis frequentatur et habetur ». Quoiqu’il en soit, nous pouvons déjà nous interroger. Si les dispositions de la Sententia de cambio et imaginibus denariorum avaient été appliquées en Brabant, n’aurions-nous pas dû retrouver un mandement semblable à celui qui existe pour la Saxe ? Analyses des articles présents dans l’édit du 30 avril 1231 Il est temps de se pencher sur les dispositions de l’acte. L’article premier insiste sur le fait que le document est d’appli__________ [18] L’acte est édité dans G.H. Pertz, op. cit. [n.

2], II, p. 281-282 ; L. Weiland, op. cit. [n. 2], p. 416-417, no 302. [19] “Damus etiam potestatem nobili viro Hermanno comiti de Hartesberg, et fideli nostro Gunzelino dapifero...” (G.H. Pertz, op. cit. [n. 2], II, p. 282).

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cation dans « les cités et autres lieux où un droit de monnayage propre et correct existe habituellement ». Il est intéressant de noter que l’on ne parle pas explicitement de principauté ou de seigneurie, mais seulement de « cités » et d’« autres lieux ». Relevons tout d’abord que cette formulation, qui n’est sûrement pas innocente, convient mal à la situation qui régnait en Brabant. Le duc jouissait de l’exercice du droit régalien de frapper monnaies. Il pouvait battre librement monnaies n’importe où dans ses possessions. Il n’existait donc pas, a priori, dans la principauté de lieux où un droit de monnayage existait « habituellement ». Ensuite, les places où l’on avait déjà frappé monnaies en Brabant, du moins avant le début du xiiième siècle, sont limitées. Seules Anvers, Bruxelles, Louvain et Maastricht semblent être concernées [20]. Bien entendu, notre connaissance des monnayages des comtes de Louvain et des premiers ducs de Brabant est encore fragmentaire. Il est possible que d’autres localités brabançonnes aient accueilli un atelier monétaire, mais le nombre de ceux-ci devait être réduit et ne pouvait en aucun cas correspondre à la petite dizaine de localité où les petits deniers brabançons seront frappés dans le courant du xiiième siècle [21]. 43

44

__________ [20] Nivelles et Gembloux ne font évidemment

pas partie de cette liste puisque ce sont les autorités religieuses qui détenaient le droit de frapper monnaies dans ces localités (J.-J. Hoebanx, Nivelles est-elle brabançonne au Moyen Âge, rbph, 41, 1963, p. 361-396 ; J. Ghyssens, Trésor de deniers de Nivelles du xiiie siècle, bcen, 18, 1981, p. 58-67 ; P. Lucas, Monnaies seigneuriales mosanes, Walcourt, 1982, 12.112.3). [21] S.

Boffa, Les petits deniers brabançons, États de la question, réflexions et pistes de recherche (c. 1210-c. 1295), Jaarboek voor middeleeuwse geschiedenis, 10, 2007, p. 141-177, pp. 155-158.

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L’ouverture de ces ateliers ne serait pas, si l’on se fie aux termes de notre document, une conséquence de l’application de ce règlement puisque l’on n’avait pas l’« habitude » d’y frapper monnaies avant 1231. Le même article stipule encore que «personne ne doit accomplir la moindre transaction au moyen d’argent, sinon avec les deniers de son propre monnayage ». Si nous rencontrons fréquemment des mentions précisant l’origine de la monnaie à utiliser (monnaies de Bruxelles, de Louvain ou d’Anvers) [22], nous n’avons rencontré aucun document local interdisant l’utilisation des monnaies étrangères au duché ou à une ville en particulier. Cela aurait sûrement été le cas si cette disposition avait été d’application. 45

Le second article traite du change ou Wehsel [23]. Aucun marchand ne sera autorisé à le pratiquer sauf le monnayeur du lieu et toute personne ayant reçu la permission expresse du seigneur. Nous sommes encore mal renseignés sur les opérations de change en Brabant [24]. Si l’acte de 1231 nous apprend qu’elles pouvaient être accomplies par le monétaire, cette pratique n’a rien d’exceptionnel puisqu’au xiiième siècle, elle est attestée tant en France qu’en Angleterre [26]. 46

47

48

__________ [22] Voir les différents documents référencés dans S. Boffa, op. cit., [n. 2], passim. [23] Pas très différent du Wechsel actuel. [24] G. Bigwood, Le régime juridique et écono-

mique du commerce de l’argent dans la Belgique du Moyen Âge, I, Bruxelles, 1920, p. 389-437 ; R. Van Uytven, Geldhandelaars en wisselaars in het middeleeuwse Brabant, in H.F.J.M. van den Eerenbeemt (éd.), Bankieren in Brabant in de loop der eeuwen, Tilburg, 1987 (Bijdragen tot de geschiedenis van het zuiden van Nederland, lxxiii), p. 1-20. [25] M. Bompaire & Fr. Dumas, Numismatique médiévale, Turnhout, 2000 (L’atelier du médiéviste, 7), p. 426 ; M. Allen, Mints and Money

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Nous n’avons malheureusement pas conservé de documents administratifs ou comptables sur la gestion des ateliers brabançons. Il n’est donc pas possible de savoir si le change y était effectivement pratiqué. Si c’était le cas, il faudrait probablement y voir un usage généralisé à l’époque et non l’exécution de l’article présent dans notre document. Il est probable qu’un changeur ait été en activité dès 1182 à Nivelles, puisqu’un privilège de Frédéric confirme au chapitre de cette ville différents droits dont le change (cum moneta et mensis concambiorum) [26]. Dans le duché, un ou plusieurs changeurs sont présents à Léau en 1253 [27]. À Bruxelles, nous rencontrons à partir des années 1250 une famille ayant pour patronyme Cambitor, Campsor ou Wisselere. Deux de ses membres étaient échevins de la ville, mais agissaient aussi comme financiers. Nul doute qu’ils aient pratiqué le change [28]. Un certain Gilbert s’occupait de ce commerce à Maastricht en 1260 [29]. 49

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__________ in Medieval England, Cambridge, 2012, p. 238294. [26] A. Wauters, De l’origine des libertés communales en Belgique, Preuve, Bruxelles, 1862, p. 40-42 ; G. Bigwood, op. cit. [n. 24], p. 406. [27] H. Pirenne, Le livre de l’abbé Guillaume

de Ryckel (1249-1272), Polyptyque et comptes de l’abbaye de Saint-Trond au milieu du xiiie siècle, Bruxelles, 1896, p. 12, 14, 17, 23, 25, 84 ; C. Tihon, Aperçus sur l’établissement des lombards dans les Pays-Bas aux xiiie et xive siècles, rbph, 39, 1961, p. 334-364, pp. 339-340. [28] A. Wauters, Les plus anciens échevins de la ville de Bruxelles. Essai d’une liste complète de ces magistrats pour les temps antérieurs à l’année 1339, asra, 8, 1894, p. 315-331, 426441 ; 9, 1895, p. 59-76 ; P. Bonenfant, Cartulaire de l’hôpital Saint-Jean de Bruxelles (actes des xiie 2 xiiie siècles), Bruxelles, 1953, p. 278, n. 4. [29] J.H. Hennes, Urkundenbuch des Deutschen Ordens, II, Mainz, 1861 (Codex diplomaticus ordinis Sanctae Mariae ﬈eutonicorum), p. 137, no 149.

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Nous ne savons pas à quel titre officiaient ces différents personnages et comment ils avaient obtenu le droit de pratiquer le change. Sûrement suite à une autorisation accordée par le duc de Brabant, peut-être dès avant 1284 [30]. 53

Malheureusement, ce n’est qu’au début du xivème siècle que les premiers documents concernant un arrangement entre princes et financiers ont été retrouvés. À Malines, c’est en 1301, que les autorités communales autorisent tous les bourgeois de la ville, membre de la gilde, à l’exception des foulons et des orfèvres, à pratiquer le change [31]. À Anvers, il faut attendre 1306 pour qu’un privilège ducal reconnaisse le droit pour tout bourgeois d’y tenir publiquement une table de change [32]. 54

55

L’image de l’office de changeur que nous offrent les archives est encore très nébuleuse. Les premières mentions font leur apparition dans la seconde moitié du xiiième siècle. Les autorisations princières ou communales sont encore plus récentes puisqu’elles datent du début du xivème siècle. Dans les deux cas, nous nous trouvons plusieurs décennies après 1231. Cela ne signifie évidemment pas qu’il n’y avait pas de changeurs en activité au début du xiiième siècle. Le contraire est même vraisemblable. Mais, rien n’indique que leurs activités et leur statut aient été établis en fonction de __________ [30] C. Tihon, op. cit. [n. 27], p. 349 ; M. Mar-

tens, Actes relatifs à l’administration des revenus domaniaux du duc de Brabant (1271-1408), Bruxelles, 1943, p. 21-23, no 1. [31] G. Bigwood, op. cit. [n. 24], p. 405 ; J. Lae-

nen, Les Lombards à Malines, 1295-1457, Bulletin du Cercle archéologique, littéraire et artistique de Malines, 15, 1905, p. 23-47, pp. 26-27. [32] Fr. Verachter, Inventaire des anciens char-

tes et privilèges et autres documents conservés aux Archives de la ville d’Anvers, 1193-1856, Anvers, 1860, p. 24, no lxxx ; G. Bigwood, op. cit. [n. 24], p. 401.

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cette sentence, et il est probable que ce n’est pas le cas. Selon le troisième article, les deniers devaient porter des images distinctives les rendant prima facie reconnaissables. Dans un précédent travail, nous avions montré que plusieurs motifs (l’aigle bicéphale, l’écu au lion, le lion rampant et la plante ou arbrisseau pour les nommer) se trouvent déjà sur des monnaies frappées au tournant du xiiième siècle (proto petits deniers, c. 1190-c. 1210) ou durant les deux décennies qui suivirent (petits deniers anciens, c. 1210-c. 1235) [33]. La présence de motifs semblables au droit de monnaies frappées entre la fin du xiième et la fin du xiiième siècle montre clairement une continuité dans le type de certains petits deniers, une continuité qui n’a visiblement pas été perturbée à partir de 1231. 56

L’article sur les « signes » et les « images » que l’on devait apposer sur les deniers pour que l’on puisse facilement les différencier soulève une autre remarque. Comment Jean-René De Mey peut-il utiliser notre document pour justifier la mise en œuvre d’une classification des petits deniers basée non sur le droit, mais sur le revers et les variantes de la croix brabançonne. Ce système d’une extrême complexité est en totale contradiction avec la troisième disposition de l’acte. L’article quatre concerne la possession de fausse monnaie. Ce passage nous laisse perplexes. Pourquoi la détention d’une somme de moins de dix deniers n’est-elle pas immédiatement condamnable? Pourquoi devient-elle punissable à la troisième offense? Il est surprenant d’apprendre que la fausse monnaie n’est pas confisquée dès la première infraction et que le contrevenant n’est pas immédiatement poursuivi. Répondre à ces __________ [33] S. Boffa, op. cit. [n. 21].

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questions sort du cadre de notre enquête. Nous ne nous y attarderons donc pas [34]. 57

Enfin, nous savons que le duc de Brabant connaissait l’existence de l’acte de 1231 puisqu’il était présent lorsqu’Henri (VII) scella le document. Henri Ier (1190-1235) est d’ailleurs nommément cité dans la liste des témoins (Heinricus Brabancie) [35]. 58

Cela non plus ne suffit pas pour affirmer que la teneur de l’acte était d’application dans le duché. Le rôle des témoins n’est pas anodin. La présence de grands personnages lors des discussions, de la prise de décision et de sa mise par écrit rendent les décisions du roi des Romains incontestables. Elle permet à l’acte d’avoir une valeur juridique. C’est pourquoi, le duc est aussi témoin de plusieurs autres documents donnés entre le 29 avril et le 1er mai et n’intéressant en rien le Brabant : un diplôme du 29 avril pour l’évêque de Spire, notre document sur le change et la frappe des monnaies ainsi que l’acte semblable adressé aux Saxons donnés le 30 avril et une constitution en faveur des princes datée du 1er __________ [34] Nous sommes encore mal renseignés sur la

répression de la fabrication de la fausse monnaie au xiiième siècle et sur les peines encourues par les faux monnayeurs. Signalons néanmoins qu’en 1279, l’archevêque de Cologne, le duc de Brabant, et les comtes de Gueldre et de Clèves avaient conclu une convention par laquelle ils s’engagèrent à poursuivre les faux monnayeurs (﬈.J. Lacomblet, Urkundenbuch für die Geschichte des Niederrheins, II, Düsseldorf, 1846, p. 427-428, no 728). Pour les siècles suivants, voir G. Cumont, Faux monnayeurs en Brabant (fin du 14ème et commencement du 15ème siècle) : III. Supplice de deux faux monnayeurs à Haelen en 1404, asrab, 15, 1901, p. 319-324 ; P. Cnops, Valsmunters in Steenokkerzeel, Eigen Schoon en De Brabander, 90, 2007, p. 23-26. [35] G. Smets, Henri I, duc de Brabant, 11901235, Bruxelles, 1908.

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mai [36]. Sa présence au bas de l’acte de 1231 prouve seulement que le duc de Brabant était à Worms en compagnie d’Henri (VII) et de la cour royale. 59

La présence de l’acte dans les archives brabançonnes L’original de la sententia de cambio et imaginibus denariorum n’a pas été retrouvé. Les éditeurs de la Monumenta germaniae historica ont découvert le document dans une ancienne publication du tout début du xixème siècle [37]. Précisons qu’ils ne doutent pas de son authenticité. 60

La sentence ne se retrouve ni dans le chartrier, ni dans les cartulaires des ducs de Brabant [38]. Elle semble aussi absente des fonds d’archives des autres princes de nos régions [39]. L’absence, en original ou en copie, de cet acte tant dans le duché de Brabant que dans les principautés voisines est un autre indice significatif. 61

62

Par ailleurs, Jean Baerten a déjà relevé que les principaux documents administratifs qui jalonnent l’histoire monétaire __________ [36] G.H. Pertz, op. cit., [n. 2], II, p. 280-283 ;

G. Smets, op. cit. [n. 35], p. 207.

[37] P. Oesterreicher, Inhalt einiger noch nicht

bekannten Gesetze des ehemaligen teutschen Reiches, Erlangen, 1809, p. 20-22, no ii. [38] A. Verkooren, Inventaire des chartes et car-

tulaires des duchés de Brabant et de Limbourg et des pays d’Outre-Meuse, Première partie, Chartes originales et vidimées, I, Bruxelles, 1910 ; Id., Inventaire des chartes et cartulaires des duchés de Brabant et de Limbourg et des pays d’Outre-Meuse, Deuxième partie, Cartulaires, I, Bruxelles, 1961. [39] Le

document est présent dans la version électronique du ﬈esaurus Diplomaticus, mais il n’y est fait mention d’aucun original ou d’aucune copie (Ph. De Monty, ﬈esaurus Diplomaticus, Version préparatoire de la Commission royale d’histoire pour les années 12001250).

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du Brabant ignorent totalement notre acte [40]. Qu’il s’agisse des documents organisant le serment des monnayeurs (juillet 1291 et 22 juillet 1298) [41], de la charte wallonne (12 juillet 1314) [42], de la Joyeuse Entrée de Jeanne de Brabant et de Wenceslas de Bohème (3 janvier 1356 (n.st.)) [43] ou de l’acte du 1er octobre 1396 par lequel la duchesse cède aux villes pour une durée de dix ans son droit régalien de frapper monnaies [44].

Conclusions

À première vue, les circonstances de la frappe des petits deniers pourraient paraître résulter de l’application de l’acte de 1231. En effet, si nous comparons la situation de la fin du xiième avec celle de la fin du xiiième siècle, nous remarquons effectivement le rôle important joué par les villes, l’apparition de signes distinctifs sur le droit des monnaies et un nombre croissant de changeurs dans la Nous savons que les villes brabançonnes principauté. Nous savons aussi que la ont toujours défendu leurs privilèges frappe des petits deniers subit une imde la manière la plus virulente, qu’elles portante réforme vers 1235, une période n’ont jamais hésité à s’opposer au prince très proche de la date à laquelle la sen[46] lorsque leurs intérêts le dictaient et tence royale ﬔt donnée . qu’elles s’intéressaient de très près aux Pourtant, une analyse approfondie de affaires de la monnaie [45]. Nous pouchacune des dispositions du document vons être sûrs que si les dispositions de montre clairement que la situation qui la sentence de 1231 avaient été mises en régnait en Brabant n’a jamais été façonœuvre dans certaines villes ou franchinée par l’une d’entre elles. Nous remarses du Brabant et si elles avaient offert quons que les changements qui auront un quelconque bénéfice à l’une de ces lieu dans le courant du xiiième siècle, localités, ce fait aurait été rappelé à la sont déjà en germe bien avant 1231 ; mémoire du duc. Le silence des archicertains remontant même à la fin du ves urbaines est tout aussi révélateur. xiième siècle. 63

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__________

[40] J. Baerten, op. cit. [n. 5], p. 9-11. [41] A. Anselmo, Placcaeten ende ordonnantien

van de hertogen van Brabandt, princen van dese Nederlanden, I, Anvers, 1648, p. 246-249 ; Ch. Piot, Ancienne administration monétaire de la Belgique, rbn, 1, 1845, p. 26-76, pp. 44-47, no 4 ; S. Boffa, op. cit. [n. 2], p. 47, nos 63, 65. [42] É. Lousse, Les deux chartes romanes brabançonnes du 12 juillet 1314, bcrh, 96, 1932, p. 1-47 ; S. Boffa, op. cit. [n. 2], p. 50, no 77. [43] R. Van Bragt, De Blijde Inkomst van de

hertogen van Brabant Johanna en Wenceslas, Een inleidende studie en tekstuitgave, Louvain, 1956, pp. 99-100; S. Boffa, op. cit. [n. 2], p. 61, no 116. [44] H. Laurent, La loi de Gresham au Moyen Âge, Essai sur la circulation monétaire entre la Flandre et le Brabant à la fin du xive siècle, Bruxelles, 1933, p. 197-208, no 38 ; S. Boffa, op. cit. [n. 2], p. 89, no 204. [45] A. Uyttebrouck, Le gouvernement du duché de Brabant au bas Moyen Âge, 2 vol., Bruxelles, 1975, I, p. 538-544.

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Un regard plus appuyé montre que la conjoncture du duché n’était guère différente, toute proportion gardée évidemment, de ce qui se déroulait dans les principautés ou les royaumes voisins. Plusieurs de ces territoires étaient situés en dehors de la juridiction de l’empereur ou du roi des Romains ; donc hors de la zone d’exercice de la sentence de 1231. La situation que nous rencontrons en Brabant, loin d’avoir été générée par notre document, est la simple conséquence de la révolution monétaire qui s’est déroulée en Europe occidentale tout au long du xiiième siècle [47]. 70

__________ [46] S. Boffa, op. cit. [n. 2], p. 149-151. [47] P. Spufford, Money and its Use in Medieval Europe, Cambridge, 1988, p. 240-263 ; Ph. Contamine, M. Bompaire, St. Lebecq &

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Enfin, l’absence de toute référence à cet acte dans les textes et les archives brabançonnes, qu’elles soient ducales ou urbaines, ne fait que renforcer l’idée qu’il n’eût aucun impact sur la politique ou l’administration monétaire du duché au xiiième siècle.   

Annexe 1 – L’acte du 30 avril 1231 H. Dei gracia Romanorum rex et semper augustus nobilibus, ministerialibus, civitatibus, oppidis, castris, villis, et universis imperii fidelibus graciam suam et omne bonum. Sepius coram domino et patre nostro serenissimo Romanorum imperatore et nobis sentencialiter diffinitum est, quod [1] in civitatibus et aliis locis, ubi propria et iusta moneta esse conswevit, nemo mercatum aliquod facere debeat cum argento, sed cum denariis proprie sue monete. [2] Cambium quod vulgo dicitur wehsel neque institor neque alius quivis mercatorum, sed ipse monetarius exercere debebit vel is cui dominus permiserit ex indulgencia speciali. [3] Denarii preterea unius monete ita manifestis signis et ymaginum dissimilitudinibus distingwi debent a denariis alterius monete, ut statim prima facie et sine difficultate aliqua ipsorum ad invicem discrecio et differencia possit haberi. [4] Ad hec, si aliquis cum falsis denariis ﬔerit deprehensus, penam falsarii sustinebit; nec proderit ei, si dicat, se eos in publico et communi foro recepisse, nisi summa adeo modica ﬔerit ut novem denarios non excedat. Hic si eciam tercio cum predicta summa vel citra inventus ﬔerit, tunc poterit quasi falsarius sine predicta excepcione vel excusacione iudicari. Hec igitur sicut iuste et rationaliter diffinita sunt, sub optentu gracie nostre inviola__________ J.-L. Sarrazin, L’économie médiévale, 3e éd., Paris, 2004, p. 251-267.

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biliter observari precipimus in omnibus locis in quibus moneta principis frequentatur et habetur. Ad perpetuam denique firmitatem hanc nostre diffinicionis sive sentencie et protestacionis paginam sigilli nostri appensione fecimus communiri. Huius rei testes sunt: ﬈eodericus Treuerensis, Heinricus Coloniensis, Sifridus Maguntinus, Albertus Magdeburgensis archiepiscopi; Hermannus Herbipolensis, Bertoldus Argentinensis, Heinricus Wormaciensis, Sifridus Ratisponensis et imperialis aule cancellarius, [...] Spirensis, Siboto Augustensis, Bertoldus Curiensis, Bonifacius Lausanensis episcopi; Sancti Galli, Cono de Wizenburg abbates; laici vero: Otto Meranie, Heinricus Brabancie, [...] Lutharingie, Heinricus de Limpurg duces; Poppo de Hennenberc, Hermannus de Hartsburg, Guntherus de Keuernberg, Albertus de Wie, ﬈idericus de Honstein, Fridericus de Bichelingen, Heinricus de Swarzburg comites; Gunzelinus dapifer, Cunradus pincerna, Everhardus de Walpurg, Cunradus de Winterstete pincerna, et alii quam plures. Data Wormacie, II. Kalen. Maii, indictione quarta.

Annexe 2 – Traduction partielle de l’annexe 1 Condamnation relative au change et aux effigies des deniers […] Assez souvent il a été arrêté par jugement en faveur de notre seigneur et père, le sérénissime empereur des Romains, et en notre faveur que, [1] dans les cités et autres lieux où un droit de monnayage propre et correct existe habituellement, personne ne doit accomplir la moindre transaction au moyen d’argent, sinon avec les deniers de son propre monnayage. [2] Le change, qu’on appelle partout « Wehsel », aucun négociant ni aucun autre marchand ne devra le faire, si ce

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n’est le monnayeur même ou celui à qui le seigneur l’aura permis par une autorisation spéciale. [3] Surtout, les deniers d’un monnayage particulier doivent se distinguer des deniers d’un autre monnayage par des signes et des images avec des différences si évidentes que d’emblée, au premier regard et sans la moindre difficulté, il puisse exister distinction et différenciation réciproques. [4] Ajoutons à cela que, si quelqu’un est pris en possession de faux deniers, il subira le châtiment du faussaire, et il ne lui sera d’aucun secours, le cas échéant, d’affirmer qu’il les aurait reçus dans un marché public et commun, à moins que la somme ne soit à ce point modique qu’elle n’excède pas neuf deniers. Si, de surcroît, cet homme est découvert une troisième fois en possession de la somme ci-dessus mentionnée ou plus ou moins de même valeur, dès lors il pourra être jugé comme un faussaire, sans aucune des exceptions ni excuses mentionnées précédemment. Ainsi donc, attendu que ces dispositions ont été ordonnées justement et raisonnablement, nous enjoignons, en raison de notre pouvoir discrétionnaire, qu’elles soient inviolablement observées dans tous les lieux dans lesquels le monnayage du prince existe habituellement. Enfin, pour assurer l’éternelle validité de notre injonction ou, si l’on veut, de notre condamnation et déclaration solennelle, nous avons fait renforcer (l’autorité de) cette page par l’apposition de notre sceau...

Abréviations

RECENSIONS K.-P. JOHNE (éd.), avec la collaboration de U. HARTMANN & ﬈. GERHARDT, Die Zeit der Soldatenkaiser. Krise und Transformation des Römischen Reiches im 3. Jahrhundert n. Chr. (235-284), Berlin, Akademie Verlag, 2 vol. in-8°, 1.400 p., 1 carte, 7 pl., cartonnés dans boîtier. isbn 978-305-004529-0. Prix :  178. l pouvait sembler superflu d’éditer une telle somme – 1.400 pages ! – trois ans à peine après la sortie du monumental volume collectif intitulé ﬈e Crisis of the Empire, ad 193-337 de la Cambridge Ancient History *. Toutefois, cette période dite de l’anarchie militaire et son histoire extrêmement troublée, est en pleine effervescence depuis de nombreuses années. De plus, les mêmes faits historiques observés par des historiens latins, germaniques ou anglo-saxons reçoivent des éclairages souvent fort différents. Et finalement, les deux forts volumes édités par P.-K. Johne et ses collaborateurs (U. Hartmann et ﬈. Gerhardt) couvrent des aspects fort différents de l’Ancien Monde au iiième s. de notre ère, puisque des chapitres importants sont consacrés aux peuples et états extérieurs à l’Empire romain. Ce sont eux, qui finalement, ont en quelque sorte modelé la politique impériale au cours de la crise du iiième siècle même si les causes profondes doivent en être recherchées à l’intérieur même des frontières.

I

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I. Sources et historiographie L’ouvrage fait tout d’abord le point sur nos sources. Elles sont soit littéraires : orientales (Sassanides) ou occidentales, avec en tête Hérodien et l’Histoire Auguste et sa problématique si spécifique, mais également bien d’autres sources primaires (épigraphie, papyrologie, numismatique). On notera une remarquable et très détaillée biographie de quarante-trois auteurs occidentaux, écrivant en grec ou en latin,

asrab : Annales de la Société royale d’archéologie de Bruxelles – bcen : Bulletin du Cercle d’Études numismatiques – bcrh : Bulletin de la Commission royale d’histoire – rbn : Revue belge de numismatique – rbph : Revue belge de philologie et d’histoire.

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Cambridge University Press, 2005, réimpr. 2009.

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ayant vécu entre le iiième et le xiième s., mais encore ceux (p. 89-107) qui nous sont conservés dans d’autres langues comme le syriaque (9 attestations), le « moyen perse » (3), le « nouveau perse » (3), l’arabe (13), l’hébreu (5) et finalement l’arménien ou le géorgien (7). Le chapitre historiographique (p. 125157) nous détaille les apports des siècles précédents, d’où émergent, comme on s’en doute, les noms des grands historiens classiques, de Le Nain de Tillemont (16371698) à X. Loriot et D. Nony, en passant par E. Gibbons, M. Rostovtzeff, A. Alföldi et F. Altheim. II. Les événements et l’histoire de l’Empire Le 2ème chapitre de l’ouvrage (p. 161-423) constitue une monographie à elle seule. Elle compte sept articles différents, traitant successivement des règnes de Maximin le ﬈race à Émilien (V. Huttner), Valérien et Gallien puis Claude II et Aurélien (U. Hartmann), l’Empire gaulois (A. Luther), l’Empire palmyrénien (U. Hartmann), Tacite (K.-P. Johne) et finalement Probus et Carus (G. Kreucher). Le chapitre le plus développé est celui consacré aux règnes de Valérien et Gallien (253-268). L’a., d’une grande érudition, y fait preuve de sa parfaite connaissance des sources littéraires, épigraphiques mais également numismatiques. On est toutefois surpris de voir le peu de place laissée à la recherche française, italienne ou espagnole. III. Les peuples du nord-ouest de l’Empire Le 3ème chapitre (p. 424-580) s’intéresse aux peuples et états situés au-delà des frontières de l’Empire. À côté de populations bien connues comme celles occupant les régions rhénanes ou du moyen et du bas Danube jusqu’à la Mer Noire (A. Goltz), nous trouvons des chapitres très détaillés concernant les Maures (A. Gutsfeld) et les royaumes du Caucase – Arménie, Ibérie (Géorgie orientale), Colchide, Albanie et petites principautés méconnues – la plupart documentées essentiellement par les inscriptions sassanides. Viennent ensuite

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la Mésopotamie septentrionale (A. Luther), avec le grand centre que ﬔt Hatra, la Characène et les Juifs de Babylone (M. Schuol), ces derniers constituant le groupe issu de la Diaspora le plus important au-dehors des frontières de l’Empire. Les Arabes sont étudiés par U. Hartmann, et les Sassanides, principaux concurrents de Rome à l’Est, par J. Wiesehöfer. Quelques pages sont consacrées aux zones infiniment moins documentées que sont le royaume méroïtique, sur le Nil, et les nomades connus sous le nom de Blemmyes. IV. L’État romain L’importante partie relative à l’État romain couvre les p. 583 à 712. K.-P. Johne s’intéresse à l’origine sociale des empereurs qui ont accédé au pouvoir entre 235 et 285. Il relève que jusqu’à l’époque sévérienne, les princes sont issus de l’ordo senatorius. L’a. examine les modifications qui apparaissent par la suite. Il décrit le rôle des impératrices, la représentation que l’empereur veut offrir de lui-même au travers des titulatures impériales et des titres militaires dont il se pare à plus ou moins bon escient. Vient se greffer sur ce canevas l’importance croissante du culte solaire, qu’on finit par retrouver dans les titulatures impériales à partir du règne d’Aurélien qui se proclame dominus et deus. L’origine géographique des lieux de proclamation des différents empereurs est elle même lourde de sens. Ainsi, de 235 à 285, seize acclamations ont lieu sur le Rhin, dix sur le Danube, quatre dans l’hinterland frontalier (Italie du Nord), neuf sur la frontière euphratique, trois en Afrique, trois en Égypte et finalement six à Rome. Encore faut-il noter que les éphémères Balbin et Pupien, suivis de Gordien III, comptent pour la moitié de ces prises de pouvoir dans l’Urbs. K.-P. Johne décrit ensuite la famille impériale, par exemple les postes occupés par les frères des empereurs. La situation est complexe par exemple dans le cas du cadet de Gallien, dont le rôle est plutôt effacé. Elle est plus claire en ce qui concerne C. Iulius Priscus, le frère de Philippe I, qui occupe d’importantes fonctions en Orient.

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Mais certains puinés succèdent à leurs aînés à la tête de l’Empire ; c’est le cas pour Quintille, frère de Claude II, ou de Florien, frère (ou plutôt demi frère ?) de Tacite. Le rôle des femmes semble considérable : Salonine, Zénobie, Sévérine sont à mentionner, mais également Sulpicia Dryantilla, épouse de l’éphémère Régalien qui se proclama à Carnuntum en 260, ou encore Magna Urbica (épouse de Carus), à la fin de la période couverte par l’ouvrage. Un intéressant paragraphe est consacré aux titres portés par les différents empereurs, par exemple ceux de caesar, de pius, de pontifex maximus, de pater patriae, de mentions de consulat ou de cognomina ex virtute, tels Persicus, Carpicus, Germanicus Maximus ou Gothicus Maximus. M. Schuol examine pour sa part le droit romain au iiième s. Il relève, dans le Codex Iustianianus, pas moins de 500 « constitutions » émises au cours des règnes des « Soldatenkaiser », contre 800 sous les Sévères, et plus de 1.200 sous Dioclétien. La répartition est parfois très anormale : on connaît 100 rescrits datés de 223, sous Sévère Alexandre, contre un seul, en 235, à l’extrême fin du même règne. Gordien III est responsable de 271 documents légaux, Philippe de 78 ; Valérien/Gallien de 89, dont 22 en 260, avant un trou de plusieurs années. L’a. insiste sur le fait qu’il est clair que tous les rescrits n’ont pas été conservés. Il est par exemple peu vraisemblable que Probus n’en ait promulgué que quatre au cours de ses sept années de règne. La gestion des provinces est un domaine complexe. Nous trouvons ainsi (p. 642 puis p. 669) une liste des provinces avec les titres et grades des gouverneurs, legati Augusti pro praetore de rang consulaire ou prétorien, proconsules des mêmes catégories, praefecti, procuratores, praeses ou autres correctores. L’armée fait l’objet d’une courte notice du grand spécialiste qu’est Michael P. Speidel (p. 673-690). Vu l’importance du sujet, nous nous serions attendu à un travail

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beaucoup plus développé et nous restons en quelque sorte sur notre faim. La gestion des villes et l’évergétisme sont traités par ﬈. Gerhardt. C’est à ce niveau qu’intervient pour le première fois la numismatique et plus précisément le problème des contremarques faisant passer la grande pièce de bronze (à légende grecque) de quatre assaria (4 as = 1 sesterce) à 5 assaria sous Philippe puis, à partir de la fin des années 250, à 6, 7, 8, 9, 11 et finalement 12 assaria. Mais il faut relever que la situation diffère d’une ville à une autre. V. La société romaine Le 2ème volume débute par une étude de la société romaine au iiième s. Le rôle déclinant du Sénat est particulièrement remarquable. Il fait l’objet d’une synthèse de M. Heil, qui s’appuie sur les travaux d’A. Chastagnol et ceux, plus anciens, de nos compatriotes P. Lambrechts (1937) et S.J. De Laet (1941), ou plus récents comme le livre de M. Christol (1986). L’empereur retire aux sénateurs la plupart de leurs prérogatives antérieures. Dès le milieu du iiième s., nous ne trouvons plus aucun légat de légion, ni d’ailleurs de tribun militaire, appartenant à l’ordre sénatorial, mais certains personnages de haut rang émergent encore, tel L. Petronius Taurus Volusianus, qui après une brillante carrière dans la cavalerie, est accueilli dans le Sénat sous Gallien, avant d’atteindre le consulat ordinaire en 261 puis occuper la préfecture urbaine. Au contraire, le iiième s. est la grande époque de l’equester ordo comme le souligne M. Heil. Les chevaliers occupent de très nombreux postes, mais il convient de se souvenir de la différence quantitative entre les 600 sénateurs face aux quelques 20.000 membres de l’ordre équestre. ﬈. Gerhard aborde ensuite la problématique des couches sociales inférieures et des conflits sociaux. L’a. montre l’importance des ivvenes, une mention que l’on retrouve dans la numismatique de Gallien, de Claude II ou de Tacite par exemple. Il insiste particulièrement sur l’importance quantitative des esclaves, qui re-

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présentent près de 6 millions d’individus, soit 10% de la population totale de l’Empire. Les mouvements sociaux les plus connus sont les Bagaudes, qui se développent dans les années 285/286, mais d’autres rébellions sont attestées ailleurs et à d’autres moments par les sources littéraires. Ainsi deux chapitres (F. Herklotz) concernent deux régions spécifiques, l’Isaurie et l’Égypte, qui ont connu au milieu du siècle d’importants troubles. VI. L’économie et la monnaie La recherche moderne, depuis les travaux de Rostovtzeff, eux-mêmes influencés par l’œuvre de Gibbons, a largement discuté du caractère de la crise économique du iiième s., opposant cette période à un « Âge d’Or » qu’aurait constitué l’époque antonine. K. Ruffing (p. 817-820) montre l’importance du contexte social dans lequel les historiens modernes vont développer leur point de vue sur cette « crise ». Cet aspect historiographique de la recherche est fort intéressant : il montre que chacun en a recherché les causes en fonction de son acquis personnel. L’a., pour sa part, réduit la problématique à trois facteurs : l’inflation, la démographie, les impôts et le budget de l’État. Rappelons que sous Caracalla, le budget annuel de l’Empire avoisine 1,5 milliard de sesterces ! K. Ruffing ne croit pas trop à la crise et il nous fournit de nombreux exemples de prospérité économique au cours des années 235-284. Ceux-ci sont variés ; citons parmi bien d’autres : l’exportation de l’huile d’olive d’Espagne, le développement topographique des agglomérations secondaires de Gaule septentrionale, la fondation de villes nouvelles en ﬈race et en Mésie Inférieure, l’aisance des cités du nord de l’Asie Mineure grâce au commerce à travers la Mer Noire. À cette époque d’ailleurs, nous notons le développement maximum des émissions monétaires de villes de Bithynie, sous les Sévères, sous Gordien III et finalement sous Valérien/ Gallien. La supposée crise ne touche pas non plus le commerce international. Ainsi, l’absence de monnaie de cette époque en Inde

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est interprétée par le fait que l’argent monnayé a toujours constitué, pour ces régions, une marchandise comme une autre. L’a. relativise finalement deux arguments clefs en faveur d’une crise économique généralisée au iiième s., à savoir que l’avilissement de la monnaie implique automatiquement de l’inflation, et d’autre part, que nous assistons à une régression démographique généralisée. La monnaie fait l’objet d’un court mais fort dense chapitre de K. Ehling (p. 843860). L’a. distingue d’abord les émissions impériales des frappes des cités grecques, qui arrivent à leur terme sous Gallien, même si quelques émissions municipales se prolongent sous Claude II (Cyzique), Aurélien (Sidé) et même Tacite (Pergé). K. Ehling reprend brièvement les données traditionnelles relatives au fonctionnement de l’atelier monétaire de Rome quant à l’organisation des officines. Il se fonde, comme toujours, sur les mêmes inscriptions connues depuis bien longtemps (cil vi, 44 et 239). Mais les sources complémentaires sont finalement rares : sur les 18 procuratores monetae attestés entre les règnes de Trajan et de Valentinien I, seulement 4 sont attribuables au iiième s. À côté de la production officielle de la capitale, on relève de très nombreux ateliers répartis dans les provinces. On notera à ce sujet que l’a. situe à Cologne l’atelier germanique de Gallien, et non à Trèves comme c’est actuellement la mode. Les conditions de la création par Caracalla, en 215, de l’antoninianus, sont désormais bien connues. On retrouve dans l’ouvrage le classique diagramme montrant la chute du pourcentage d’argent au sein de cette monnaie surévaluée dès le départ. Mais là aussi, l’a. s’insurge contre la vision – une metallistischer Irrtum estime-t-il –, que la diminution du pourcentage d’argent fin dans la monnaie est automatiquement un élément forcément négatif, que le procédé entraîne ipso facto une hausse des prix et qu’il entretient finalement l’inflation. La valeur de la monnaie, selon le droit romain (Dig., 18, 1, 1)

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n’est pas fondée sur la substantia (« Stoffwert »), sa valeur métallique, mais bien sur la quantitas (« Nennwert ») qui dérive de la forma publica, c’est-à-dire la valeur nominale garantie par l’État. L’a. évoque ensuite le problème du monnayage au type du DIVO CLAVDIO / CONSECRATIO, série à laquelle les sources de l’époque utilisent les termes éloquents de vitiare et de corrodere. Au sujet de leur fabrication par des employés indélicats de l’atelier romain, K. Ehling reprend les termes de R. Göbl, à savoir que c’est l’œuvre d’une « véritable Maffia »... La réforme d’Aurélien est décrite avec minutie. Alors qu’une certaine unanimité émerge actuellement en faveur de l’interprétation de la marque XXI comme une indication de la composition métallique de la monnaie (1/20ème d’argent fin), l’a. considère qu’il s’agit en réalité du taux de reprise des anciens antoniniens : 20 mauvaises pièces antérieures à la réforme (Gallien, Claude II, empire gaulois) contre un seul « antoninien réformé », ce dernier surévalué de 150%. On notera que n’apparaît nulle part le néologisme d’aurelianus pour désigner ces monnaies réformées, essentiellement utilisé par les numismates français ; Ehling préfère le terme d’aurelianische Reformantoninian. L’émission de cette nouvelle monnaie aurait cette fois des conséquences politiques négatives car elle semble favoriser l’inflation. La preuve en serait le retour rapide à un taux de change diminué de moitié : la marque XI, utilisée sous Tacite et Carus dans certaines zones limitées de l’Empire, est ici interprétée comme l’indication d’un nouveau taux de change de 10 anciennes monnaies contre une nouvelle, issue de la réforme. Ces hypothèses, résumées ici en quelques lignes, sont soigneusement argumentées à partir de sources anciennes. Elles méritent en tout état de cause une lecture extrêmement attentive. VII. L’enseignement et les sciences L’enseignement (au sens large) est étudié par K. Pietzner. Les sources antiques ne manquent pas. On apprend par exemple

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la création d’une nouvelle bibliothèque située près du Panthéon, à Rome, sous Sévère Alexandre. Elle est l’œuvre de Sextus Iulius Africanus, un chrétien. Elle s’ajoute aux deux autres bibliothèques déjà présentes dans les thermes de Caracalla. Les œuvres littéraires à caractère historiques sont un domaine particulièrement travaillé par la recherche moderne, sans doute à cause de l’indigence des sources contemporaines des faits. Les chapitres postérieurs à Sévère Alexandre de l’ouvrage d’Hérodien, mort au milieu du siècle, sont perdus. Il se composait à l’origine de huit livres, publiés sous Philippe ou Trajan Dèce. L’autre grand historien de l’époque, l’Athénien P. Herennius Dexippus, dont la chronique allait jusqu’à la mort de Claude II en 270, n’est connu que par des fragments. Cette partie consacrée aux sources historiques complète en quelque sorte le chapitre I de l’ouvrage. Quelques pages sont ensuite consacrées aux philosophes de l’époque, Longin et surtout Plotin, dont Gallien ﬔt un ardent défenseur. VIII. Les religions Nous n’entrerons pas dans le détail des aspects religieux, qui traitent successivement du paganisme, du judaïsme, du christianisme, du manichéisme et surtout du culte impérial (F. Herklotz). Cette dernière contribution est peut-être un peu brève à notre goût : 12 p. seulement pour traiter des rites spécifiquement liés à la personne de l’empereur, aux cérémonies et anniversaires (decennalia par ex.), au culte des divi et surtout à l’assimilation progressive du Prince à Sol invictus. IX. Crise en transformation de l’Empire au iii s. Cette remarquable encyclopédie de l’Empire entre 235 et 284 s’achève par un texte synthétique (p. 1025-1053) coécrit par K.P. Johne et U. Hartmann, résumant les informations évoquées ci-dessus, en les replaçant dans leur contexte.

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L’ouvrage se clôture par des fasti du plus haut intérêt car extrêmement détaillés (empereurs, consuls, préfets urbains, préfets du prétoire, gouverneurs, évêques, monarques orientaux et finalement princes barbares), couvrant pas moins de 142 pages, et par une bibliographie de 160 p., totalisant environ 5.300 titres ! La longueur inusitée de cette recension montre l’importance que nous attribuons à cette œuvre magistrale. Les nombreux numismates et historiens travaillant sur les prémices de l’Antiquité tardive pourront difficilement se passer de recourir à ce monument de l’érudition allemande. Jean-Marc Doyen L. TRAVAINI, Philip Grierson, Irish Bulls and Numismatics, Roma, Edizioni Quasar di Severino Tognon, 2011, 12, 120 p.,  18 ’est avec plaisir que nous ferons mention ici du petit ouvrage édité par notre ancienne lauréate du Prix Quinquennal de Numismatique, Mme Lucia Travaini. Il s’agit d’un hommage à Philip Grierson (1910-2006), spécialiste mondialement reconnu de la numismatique médiévale. Mais Mme Travaini, au lieu d’un traditionnel volume biographique, édite quelques textes « mineurs » du prof. Grierson dont une étonnante étude (Irish Bulls, 1938) tendant à prouver que « Everyone knows that an Irish bull possesses some rare ethereal quality denied to bulls of other nations », et s’achevant par le monumental apophtegme de Sir Boyle (+ 1807) « that it was hereditary in his family to have no children ».

C

Plus sérieusement, l’ouvrage est complété par une bibliographie de Philip Grierson, totalisant 277 entrées. Jean-Marc Doyen

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Larissa BARATOVA, Nikolaus SCHINDEL & Edvard RTVELADZE : Sylloge Nummorum Sasanidarum Usbekistan, Wien, Verlag der Österreich. Akad. der Wissenscha﬇en (Veröff. der numismatischen Kommission, Bd. 51), 2012, a4, 199 p., 47 pl., 647 n. our un numismate intéressé par la période sassanide, la parution d’un nouveau volume dans la série des Sylloge Nummorum Sasanidarum est toujours un événement.

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En effet, cette série avait pour but initial de combler un vide abyssal dans ce domaine oublié de la numismatique : publier quelques grandes collections publiques (Paris, Berlin, Vienne) sous forme de Sylloge et, par la même occasion, proposer une nouvelle définition, bien plus complète que celle proposée par Göbl, des différents types utilisés et une identification des ateliers en activité aux différentes époques. Les trois premiers volumes se sont donc penchés sur la publication de ces collections jusqu’au règne de Kawad I (488-531 ad). Il reste encore à publier les monnaies des derniers règnes, certes bien plus nombreuses que celles des règnes précédents mais avec moins de types monétaires et une frappe bien plus structurée et centralisée. Entretemps, le projet s’est élargi, incluant d’autres collections nationales (SNS Israël et le présent volume) et une importante collection privée sera également publiée très prochainement. Le volume Sylloge Nummorun Sasanidarum – Usbekistan est en fait très différent des précédents. En effet, il regroupe les monnaies de type sassanide (sassanides, imitations de type sassanide et arabo-sassanides) se trouvant dans différentes institutions d’Uzbekistan. De plus, la plupart du matériel publié provient de trouvailles locales bien répertoriées. Il ne s’agit donc pas d’une collection unique essayant de donner une image relativement complète du monnayage sassanide mais plutôt d’un groupe de monnaies illustrant assez clai-

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rement la circulation monétaire dans ce pays aux périodes sassanide et post-sassanide. Un total de 647 monnaies nous est présenté dont seulement 383 sont sassanides (incluant déjà certaines imitations sous le règne de Wahram V et de nombreuses drachmes contremarquées localement). Le reste se compose de 3 drachmes arabosassanides, 4 hémidrachmes du Tabaristan, 50 drachmes des Bukharkudat (imitant le type sassanides de Wahram V), 105 drachmes des Huns hephtalites (la plupart imitant les drachmes sassanides de Peroz I) et enfin, 102 drachmes du royaume Chaganian, imitations basées sur le monnayage sassanide de Khusro I. La répartition des monnaies sassanides est la suivante :

males pour ce règne, et la plupart du temps bien lisibles. Plusieurs drachmes de ce dernier groupe pourraient, en fait, être le prototype purement sassanide de la série (voir, par exemple, la monnaie no 71 avec un style remarquable et une calligraphie soignée du sigle monétaire). Une drachme de Peroz, décrite comme provenant de l’atelier de AT pourrait, à notre avis, être attribuée à l’atelier de GWM, non décrit jusqu’à présent (généralement attribué erronément à l’atelier AM ou AT). La monnaie représentée cidessous ( fig. 1) illustre un exemplaire sans ambiguïté aucune concernant la lecture de l’atelier. Une autre drachme est décrite comme étant de l’atelier de GWL, nous pensons qu’il faut probablement lire GWD comme sur l’exemplaire de la figure 2.

Ardashir I–Ohrmazd II (224-309 ad) 19 Shapur II (309-379 ad) Shapur III-Yazdgerd I (382-420 ad)

17 3

Wahram V (420-438 ad)

39

Yazdgerd II (438-457 ad)

3

Peroz (457-484 ad)

184

Kawad I (488-531 ad)

30

Khusro I (531-578 ad)

34

Ohrmazd IV (578-590 ad)

10

Khusro II (591-628 ad)

44

Comme déjà mentionné, le contenu de la collection est loin de nous offrir une distribution du monnayage sassanide tel que nous la trouvons dans les musées occidentaux ; certains rois sont absents et d’autres sont sur-représentés suite aux circonstances historiques. Ce sont bien entendu les types de ces derniers empereurs que l’on retrouve dans les imitations locales. Parmi les drachmes sassanides de Wahram V, certaines, qui sont attribuées à l’atelier de Marw (nos 43-45), pourraient déjà être considérées comme des imitations, vu leurs légendes généralement illisibles et courtes. Quant aux monnaies du même atelier décrites comme imitations, elles présentent des légendes longues, nor-

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Fig. 1

Fig. 2

Nous nous retrouvons donc, sous le règne de Peroz avec au moins trois sigles monétaires commençant par GW : GW (no 181), GWD (no 183) et GWM (no 109). Les trois pourraient peut-être représenter l’atelier GWDMY trouvé, écrit en entier et partiellement (GW), sur certaines émissions de Yazdgerd I et attribué à la ville de Qum par Rika Gyselen [1]. Mais rien n’est sûr à ce niveau et il est difficile d’accepter cette latitude dans l’écriture de l’abréviation d’un atelier à un moment où la frappe était très contrôlée et systématisée. Faut-il attribuer le sigle GW à la ville de Gurgan, comme par le passé, GWD à Qum et GWM à un autre atelier ? Des recherches plus poussées sont ici nécessaires mais il est néanmoins curieux de trouver dans cette 72

__________ [1]

R. Gyselen, De quelques ateliers monétaires sassanides. I. Un prétendu atelier de Gurgan, Studia Iranica 12/2 (1983), p. 235-238.

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partie de l’Asie des drachmes avec les sigles GWM et GWD, relativement rares pour ce règne.

numismates et historiens sont au rendezvous pour assurer une cohésion de ces domaines jusqu’alors cloisonnés.

Une des grandes richesses de ce volume réside certainement dans les quelques trésors d’imitations de monnaies sassanides qui seront très utiles pour des recherches ﬔtures.

La revue omni est semestrielle. Elle connaît une diffusion internationale, principalement dans les pays francophones et hispanophones (incluant donc la majorité des pays d’Amérique du Sud). Sa diffusion au format papier et numérique permet de compter sur le soutien de plus de 12.000 lecteurs dans 97 pays. Depuis le premier numéro, plus de 60 auteurs ont contribué à ce projet.

En résumé, il s’agit d’un excellent ouvrage de référence pour les numismates spécialisés dans la numismatique de cette région à cette époque. On peut juste regretter l’absence d’un résumé en anglais. François Gurnet omni, revue scientifique de numismatique, éditée par l’association omni Comité Scientifique : Carlos Alajarín Cascales, Eduardo Dargent Chamot, Georges Depeyrot, Jean-Albert Chevillon, Jean-Marc Doyen, David Frances Vaó, Ginés Gomariz Cerezo, Serge Le Gall, Cédric Lopez, Jean-Louis Mirmand, María Paz García-Bellido Garcia de Diego, Pere Pau Ripollès, Ramón Rodríguez Pérez, Pablo Rueda Rodríguez-Vila. Soutenue par l’association omni (Objets et Monnaies Non Identifiés) fondée en 2005 par Cédric Lopez (docteur en sciences, Université de Montpellier 2) et comptant aujourd’hui plus de 7.000 membres, la revue scientifique omni a été créée en 2009 dans le but de satisfaire une communauté souhaitant enrichir la numismatique par des liens historiques et archéologiques. Ce projet est mené par un comité scientifique international qui compte aujourd’hui 14 membres bénévoles (dont 5 professeurs d’université) représentant chacun sa spécialité à travers différents pays tels l’Espagne, la France, la Belgique, et le Pérou. Ainsi, dans omni, archéologues, BCEN vol. 50 no 2, 2013

Les thèmes couverts par omni sont très variés puisque la revue publie des travaux de numismatique à la seule condition qu’ils soient validés scientifiquement par le comité, avec une attention particulière aux travaux portant sur les périodes antiques et féodales, domaines dans lesquels les recherches demeurent rares et doivent être encouragées. omni met un point d’honneur aux publications de nouvelles idées, théories, ou de monnaies inédites. En fait, omni se veut être une revue innovante dans le domaine de la numismatique, quelle que soit l’époque concernée. Concernant les prochains numéros (publication du no 6 en avril 2013), nous pouvons d’ores et déjà annoncer la participation de Pere Pau Ripollès (Professeur d’archéologie à l’université de Valencia en Espagne), Georges Depeyrot (Directeur de recherche au cnrs), Jean-Albert Chevillon (chercheur indépendant), JeanClaude Richard Ralite (directeur de recherche honoraire au cnrs), Eduardo Dargent Chamot (Professeur à l’Université de San Martín de Porres au Pérou), parmi tant d’autres. Revues en PDF disponibles sur http:// www.identification-numismatique.com/h1revueomni Contact : revueOMNI@gmail.com

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Mise en ligne de la collection des billets de nécessité de la Première Guerre mondiale du Musée de la Banque nationale de Belgique (communiqué de presse) Le Musée de la Banque nationale de Belgique possède une grande collection de monnaie de nécessité datant de la Première Guerre mondiale. Ces moyens de paiement sont apparus à cause de la pénurie accrue de monnaie dans la cohue de la guerre 1914-18. Plusieurs conseils communaux, comités locaux d’aide et autres entreprises ont émis leurs propres billets et, en moindre quantité, leurs propres pièces. L’argent de nécessité constitue une BCEN vol. 50 no 2, 2013

source intéressante pour les recherches sur la Première Guerre mondiale. À l’approche du centième anniversaire de la Grande Guerre en 2014, le Musée a dévoilé sa collection. Sur le site nbbmuseum.be, sous la rubrique Catalogue, on peut cliquer et parcourir cette base de données. En outre, on trouve une brève introduction avec une bibliographie complémentaire pour mettre les chercheurs et historiens locaux sur la voie.

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