Kire, l'esaltazione dei difetti - Tesi di Laurea Triennale - Fashion Design - Politecnico di Milano

Page 1

kire

L’esaltazione dei difetti

Beatrice Beretta



POLITECNICO DI MILANO Anno accademico 2019/2020

tesi di laurea triennale Corso di studi in Design della Moda

kire

L’esaltazione dei difetti

laureando:

Beatrice Beretta 872918 relatore:

Prof. Maria Grazia Soldati


2

indice

Indice dei contenuti...


3

indice

Introduzione

ABSTRACT SOCIAL BACKGROUND Il consumo come valore...

6 10

9 39 14

Aria di cambiamenti...

20

La riscoperta dell’identità...

28

FILOSOFIA PROGETTUALE Una finestra sul Giappone...

40

63 44

Abbracciando la transitorietà...

52

Alla ricerca di nuovi percorsi...

58

Ricerca

MARTIN MARGIELA

L’eccesso degli anni Ottanta...

66

119 70

Maison Martin Margiela...

76

Dentro l’artista...

90

Passato, presente e futuro...

102

Un designer immortale...

114

Progetto KIRE

Tra moda, arte e filosofia...

122

165 124

Rivelare ciò che viene nascosto...

130

Dicotomie trasformative...

136

Meravigliosamente imperfetto...

154

Veicoli di memoria ed eredità generazionale...

158

Bibliografia

174


Introduzione 4

1


5

6

9

10

39

ABSTRACT SOCIAL BACKGROUND Il consumo come valore...

14

Aria di cambiamenti...

20

La riscoperta dell’identità...

28

Legittimazione del desiderio Consumare per consumare Sepolti dai vestiti Pretendiamo di meglio Con calma e più a lungo Destini intrecciati

Economia della conoscenza Come il rifiuto diventa ricchezza Vestire per scoprirsi In sintesi

FILOSOFIA PROGETTUALE

40

63

Una finestra sul Giappone...

44

Abbracciando la transitorietà...

52

Alla ricerca di nuovi percorsi...

58

Empatia come attitudine alla vita Esaltazione delle ferite Dis-continuità La libertà si trova nell’autentico

Come il decadimento diventa valore Ciò che è dismesso da un uso non è per forza privo d’uso Piccoli momenti di reminiscenza tattile Trovare il futuro nella memoria Materia dismessa Distruggere per creare Design di emozioni Discorso sull’estetica


6

abstract

ABSTRACT

6

9


7


8

abstract

Kire, dal giapponese “taglio”, è una collezione ispirata a diverse correnti estetico filosofiche nipponiche, che hanno come punto in comune l’esaltazione dell’imperfezione e dell’invecchiamento. L’idea alla base del progetto è quella di costruire una collezione partendo da indumenti vecchi e usati per creare qualcosa di bello proprio per la sua autenticità, in una celebrazione del vissuto. Tutti i materiali utilizzati, tranne la fodera, sono infatti di scarto, scampoli derivati da tessuti dismessi, rovinati dal tempo e dall’usura, poiché, secondo la visione Wabi Sabi delle cose, bisogna celebrare il fiorire del decadimento, la naturale progressione dell’aspetto, la patina di antico e dimenticato. Davanti alla reinterpretazione di questi capi cresce infatti negli occhi di chi guarda il Mono no Aware, un malinconico pathos che unisce l’apprezzamento verso il bello con l’accettazione dello scorrere del tempo. Ed è proprio grazie alla fodera che i capi hanno la possibilità di questa nuova vita.

introduzione

Come nel Kintsugi, riparando gli strappi e le ferite, la fodera raccoglie i pezzi e li riunisce, si fa collante e portatrice di armonia, disegnando un intreccio di linee per sottrazione che ornano il capo e lo rendono unico e irripetibile.


introduzione

abstract

9


10

social background

SOCIAL BACKGROUND

10

39


11


12

social background

Questo capitolo si propone di fornire una visione comprensiva del sistema moda, illustrando le caratteristiche della società moderna nel passaggio dal consumismo all’iperconsumismo e finalmente al consumo impegnato. Documento infatti i limiti e le complessità all’interno dell’industria della moda e del suo complesso ecosistema, nello specifico il suo rapporto con la sostenibilità. Individuati i fattori che formano e guidano la moda oggi, tramite il vaglio delle problematiche ambientali provocate dall’industria e l’impoverimento sociale frutto di pratiche sterili, elenco le pratiche di consumo e produzione virtuose che gli si oppongono. In seguito, descrivo il cambio di paradigma che vede l’avvicinamento ai concetti di lentezza, eticità ed ecologia nelle sue declinazioni ai diversi livelli. Prendo quindi in esame l’inversione di tendenza del modo di percepire e utilizzare il prodotto moda, che sfocia in pratiche di design più attente, considerate e collaborative.

introduzione

Infine, catalogo le trasformazioni in corso in uno dei settori preponderanti dell’economia globale prese in considerazione nello sviluppo del progetto e della collezione.


introduzione

social background

13


14

social background

introduzione

Il consumo come valore...


15

il consumo come valore

1 La legittimazione del desiderio capitolo uno

Un tempo si comprava per necessità. Di fronte alla mancanza, si compiva una scelta d’acquisto nei limiti del proprio reddito, per soddisfare il bisogno nel miglior modo possibile. Procedendo secondo la logica del problem solving, il consumatore agiva razionalmente, nella consapevolezza dei propri vincoli e con un occhio di riguardo alla qualità del bene. La grande accelerazione nell’attività industriale e la crescita della popolazione derivate dalle rivoluzioni industriali danno il via ad una trasformazione globale dell’economia, consumo e società. Con l’avvento della modernità si riconferma attuale la teoria del “consumo vistoso” di Veblen1, secondo la quale le persone compiono le loro scelte d’acquisto per indicare il loro status. Il valore percepito della persona è direttamente proporzionale al valore di ciò che possiede. Questa nostra società di consumi nasce da una frattura culturale. Nel XX secolo si passa da una cultura di classe alle culture segmentate, per le quali la moda è adesione ad uno stile di vita2. La propensione a spendere di più in beni non necessari modifica il comportamento del consumatore, guidato ora da motivazioni non più funzionali ma di soddisfazione del capriccio. Nel passaggio da un regime di scarsità a quello dell’abbondanza, si è trasformata la percezione dell’atto d’acquisto, supportata dalla legittimazione del desiderio. L’aumento di reddito fa sì che aumenti l’imprudenza. Da un accesso limitato alle risorse il consumatore si è ritrovato circondato da una sovrabbondanza di prodotti e opportunità di consumo. Incoraggiato alla spesa sconsiderata e tentato dalla crescente attrattività di marchi e prodotti, compra ben oltre le sue reali necessità. L’appagamento non è più legato alla soddisfazione delle necessità ma dal possesso e consumo dell’oggetto. L’acquisto, in questa nuova ottica, viene estremizzato a meta esistenziale e scopo di vita. La cultura consumistica domina la nostra esperienza d’uso della moda al punto tale da aver normalizzato ai nostri occhi l’assurda brevità del ciclo di vita dei suoi prodotti. Questa esasperazione di velocità e rinnovo ci fa percepire l’abbigliamento come un prodotto quasi svincolato dall’uso. Acquistiamo prodotti a breve scadenza, li indossiamo un paio di volte, li gettiamo perché ormai fuori moda. E non ci rendiamo conto del paradosso.

introduzione

La fine della Seconda guerra mondiale porta con sé maggiore ricchezza e con essa consumi più elevati. I capi fatti di nuovi materiali sintetici dalla facile manutenzione sono sempre più economici e accattivanti. La qualità degli abiti continua a diminuire, così come l’impegno speso nella loro manutenzione. Cambia quindi il paradigma economico e si enfatizza il consumo sopra la produzione. La capacità manipolativa dell’industria nella creazione di desideri e l’affermarsi della pratica dell’obsolescenza programmata promuovono un consumo sfrenato, fuori dai limiti d’uso effettivo. In una società che vede il consumo come valore, il passo allo stato odierno di società iperconsumistica è breve e scontato.

1 Thorstein Veblen, sociologo ed economista statunitense formula la teoria del ‘conspicuous consumption’ nel saggio del 1899, Theory of the Leisure Class

2 Diana Crane, Questioni di moda. Classe, genere e identità nell’abbigliamento, a cura di E. Mora, F. Angeli, Milano,2004, cit. in M. Pedroni, L. Ruggerone, 2007


16

social background

2

Consumare per consumare capitolo due

La moda cheap ha cambiato fondamentalmente il modo in cui ci vestiamo. Gli store offrono i trend più nuovi a prezzi sempre più bassi. I retailer producono abiti in enormi volumi per abbassare i costi e aumentare il profitto. Radicano la nostra ossessione per l’affare, l’offerta e i prezzi stracciati. La pressione per l’economicità ha fatto sì che i nostri abiti vengano impoveriti di dettagli, rendendoli uniformi basiche di bassa qualità. Ma nonostante ciò, imboccati a forza dall’industria e dalla comunicazione, continuiamo a consumarli. La qualità non è più un problema perché i vestiti sono fatti per durare solo fino all’arrivo del prossimo trend. Lo spreco incoraggiato dal consumo di questi indumenti ‘usa e getta’ ha dei costi nascosti ancora più cari. L’eliminazione del superfluo fa parte della manutenzione personale, il mettere in ordine sé stesso e i propri spazi. È solamente naturale il desiderio di buttare gli eccessi e fare dell’accumulo il nostro nemico. Ma allora perché continuiamo a comprare? Le tendenze dinamiche del capitalismo sono improntate alla produzione del surplus. Per fare spazio al nuovo bisogna scartare il vecchio. La velocità di sostituzione delle mode fa sì che il processo decisionale impiegato nel discernere cosa manteniamo e cosa no diventi obsoleto, perché è l’industria stessa a imporcelo. Il consumatore odierno è addirittura sopraffatto dalla quantità di oggetti a sua disposizione per essere acquistati e consumati -più che utilizzati- visto che la produzione illimitata di beni ha ormai superato abbondantemente la sfera della mera utilità. Con l’abbondanza di commodities è inevitabile l’espulsione dai nostri armadi e dalle nostre vite degli artefatti vecchi, appartenenti ad un passato sempre più recente, per evitare l’accumulo. E il legame tra moda e consumo di materiali appare inesorabile.

« I problemi sociali sono sempre maggiori.

introduzione

L’ambiente sta soffrendo. I consumatori acquistano di più e usano sempre meno. Gli stock di magazzino crescono. Una rivoluzione è oggi necessaria per poter avere un’industria della moda più responsabile. » — Francesca Romana Rinaldii Rinaldi, F. R., Fashion Industry 2030. Reshaping the future through sustainability and responsible innovation, EGEA, 2019


17

il consumo come valore

introduzione

Qui es-tu?


18

social background

3

Sepolti dai vestiti capitolo tre

Una massa di rifiuti galleggianti si è accumulata negli oceani. Il Great Pacific Garbage Patch si estende per quasi tutta la larghezza del Nord Pacifico 3. Visibile relitto di materiali sintetici, incarna la problematica dell’onnipresente plastica. I tessuti come l’acrilico, il poliestere e il nylon celebrano il loro centenario, e con essi l’inquinamento di cui l’industria tessile si è resa responsabile. Questi sono infatti diventati materiali imprescindibili nell’industria del fast fashion, impareggiabili per il loro basso costo di produzione e la loro versatilità. Il lavaggio troppo frequente di questi vestiti rilascia mezzo milione di tonnellate di microfibre di plastica ogni anno negli oceani4. Lo spreco è incoraggiato dall’economicità delle offerte e dai trend passeggeri, creando una sorta di visione degli abiti come rimpiazzabili. E l’appetito del consumatore per la novità crea vaste quantità di rifiuti ’prematuri’. Il sistema di produzione immette migliaia di tonnellate di materiale tossico nell’acqua, aria e terreno ogni anno e risulta in un gigantesco accumulo di rifiuti e materiale di valore in discariche di tutto il mondo, senza poter essere recuperati. I problemi che rendono la produzione dei vestiti ad oggi non sostenibile sono: l’uso eccessivo delle risorse idriche, l’utilizzo di pesticidi e elementi chimici tossici nella produzione di fibre e nei processi successivi di tintura e finissaggio, il consumo copioso di risorse non rinnovabili, uno spreco vistoso e l’inquinamento legato al trasporto delle merci. Gli indumenti di scarto vengono sotterrati, inquinando il suolo, oppure bruciati, disperdendo nell’aria particelle plastiche, o ancora abbandonati in discariche, dove, non riuscendo a decomporsi, rilasciano gas metano che riduce lo strato di ozono. L’industria mondiale del fashion è sotto attacco anche per le problematiche sociali che la delocalizzazione comporta. In uno scenario di sovrapproduzione, le aziende, per stare al passo con i competitor e inserire nel mercato prodotti ad un price point accattivante, spostano le loro produzioni in paesi sottosviluppati. In questi luoghi il sistema di produzione, non essendo controllato da leggi che proteggono l’ambiente e la forza lavoro, permette alle aziende di produrre ad un costo molto minore e scandito da ritmi ancora più veloci.

introduzione

Questo capitalismo accelerato necessita infatti per sostenersi di una produzione continua, rapida e a basso costo. Per stare al passo con i ritmi e contenere i costi di produzione l’abuso dei diritti umani, il lavoro forzato e le condizioni lavorative rischiose sono diventate pratiche diffuse. L’industria moda si associa così a lavoro minorile e sfruttamento della manodopera. I lavoratori nelle industrie tessili di questi paesi sono troppo spesso costretti a lavorare orari lunghissimi in ambienti pericolosi senza protezioni, rimanendo quindi esposti a sostanze chimiche altamente tossiche. Queste sostanze possono causare diversi tipi di cancro, dal cervello ai polmoni, o avere comprovate ripercussioni sulla salute se inalate o assorbite per contatto attraverso la pelle. Anche il rumore prolungato è un serio rischio per gli operai a lungo termine 5.

3 Il Great Pacific Garbage Patch, noto anche come Pacific Trash Vortex, è una massa di rifiuti galleggianti. L’ammontare della plastica stimato dalla Marina deli Stati Uniti si aggira intorno a 3 milioni di tonnellate.

L’accumulo si è formato a partire dagli anni ‘80 grazie all’azione inquinante dell’uomo. 4 Ellen MacArthur Foundation. 5 Oecotextiles,2013.


19

il consumo come valore

« What counts as trash depends on who’s counting. » — Susan Strasser

introduzione

L’origine del capo e le condizioni di lavoro degli operai che lo producono, si sono aggiunte alle preoccupazioni del consumatore moderno, affiancando quelle ecologiche. Lo spostamento della produzione in Asia e America Latina, la proliferazione dell’obsolescenza programmata, il declino della qualità del capo, l’accelerazione del ciclo di consumo e delle sue stagionalità, la scarsa regolamentazione e supervisione dei pesticidi e componenti chimiche tossiche dipingono uno scenario allarmante che coinvolge il pianeta intero.

Strasser, S., Waste and Want: A Social History of Trash, 1999, cit. in Brantlinger P., Higgins R., 2006


20

social background

introduzione

Aria di cambiamenti...


21

aria di cambiamenti

4

Pretendiamo di meglio capitolo quattro

Ormai è chiaro che l’industria della moda è uno dei maggiori fattori che contribuiscono all’inquinamento ambientale. La paura per i danni irreversibili che abbiamo causato e continuiamo a causare ha fatto sì che nascessero richieste di soluzioni alternative all’industria tradizionale. La comparsa della moda etica è infatti direttamente collegata alla coscienza del consumatore nella sua esigenza di pratiche più consapevoli e socialmente responsabili. L’investimento emotivo che I problemi ambientali riescono a sollecitare nella gente è straordinario. Purtroppo, le aziende vedono in questo attaccamento dei consumatori un’opportunità di profitto e rivolgono il loro impegno e risorse nell’attirare i più sensibili a queste cause ecologiche, piuttosto che reinvestire in strategie sostenibili ed efficaci. Per molto tempo il sistema moda e i comportamenti ambientalisti sono sembrati concetti conflittuali. L’enviromentalism è visto come un ostacolo alla crescita economica e produzione. Perché l’industria diventi sostenibile, andrebbero apposte regolamentazioni e restrizioni che ne rallenterebbero inevitabilmente la produzione. I marchi sono messi sotto pressione dalla domanda di eticità che non riescono a soddisfare senza compromettere i ricavi. Non disposti a rivoluzionare le loro filiere produttive impiegano spesso disonesti sotterfugi per far sì che, agli occhi del consumatore, risultino sostenibili. Lo straordinario investimento emotivo legato alle problematiche ambientali che scaturisce nel consumatore viene percepito da queste aziende come un’occasione per attirare i più sensibili. Investono in grandi campagne green, slogan fraudolenti e statement veri solo in parte, facendo leva sulla mancanza di una definizione precisa dei termini che descrivono le pratiche e i comportamenti sostenibili. Queste operazioni di mistificazione per apparire green sono atte a creare una percezione positiva del brand e dei suoi valori. Ma perché non rivolgere questi sforzi nella ricerca di soluzioni veramente innovative?

introduzione

Prendiamo ad esempio il cotone, una delle fibre più coltivate ed usate. Materiale naturale, viene spesso pubblicizzato come ecologico. Il cotone rappresenta il 30% del consumo mondiale di tessuto, secondo solo al poliestere6. La produzione del cotone è responsabile dell’utilizzo del 25% del consumo globale degli insetticidi e dell’11% di pesticidi7. Per produrre un chilogrammo di cotone, approssimativamente l’ammontare necessario per realizzare un t-shirt o un paio di jeans, si impiega una quantità d’acqua che va da 10 a 20 mila litri8. Promosso come organico, healty e sostenibile dalle grandi aziende, che non hanno nessun interesse a rivelare l’ingente esaustione delle risorse che la sua produzione comporta, il capo in cotone viene percepito dall’ignaro consumatore, con poche risorse e conoscenze, come un acquisto consapevole ed eticamente corretto.

6 ICAC, 2008, cit. in Occhio del Riciclone, ‘Indumenti usati: una panoramica globale per agire eticamente’, Centro di Ricerca Economica e Sociale, 2013 7 Cheung, K., Sirur, G. & Anderdon, J., ‘ Agrochemical

service. Fungicides’, Cropnosis, 2006, pp. 1-41, cit. in Rinaldi, F. R., 2019 8 F. Camargue, 2006; ‘Drought in the mediterranean’ WWF Policy Proposal, cit. in Rinaldi, F. R., 2019


22

social background

Raggirato dalle troppo facilmente propugnate operazioni di green wash, il cittadino ha bisogno di prodotti che garantiscano i comportamenti responsabili delle aziende, oltre a chiare classificazioni che le certifichino. Il soddisfacimento di queste domande non è più un’opzione. Deve diventare la norma pretendere che vengano applicati strumenti trasparenti per certificare l’eticità promessa dai prodotti che compra. L’etica non si potrà più tradire, diventerà ago della bilancia per la percezione della credibilità. La necessità di informare meglio il consumatore sulle pratiche sostenibili è imprescindibile per spingere le aziende a fare la cosa giusta. Se i consumatori saranno capaci di riconoscere i suoi tentativi di camuffamento, le aziende dovranno fare dei cambiamenti reali nel loro modo di agire. Si passerà quindi da produzione indiscriminata, svincolata da qualsiasi istanza morale in favore dell’accrescimento monetario, ad una fashion practice sostenibile, che riduca l’impatto del comportamento umano sull’ambiente, dominato da un interesse lungimirante. Dagli squilibri dell’iperconsumismo nasce il consumo impegnato. I nuovi consumatori selezionano un nuovo modo di mostrare il loro status, con azioni d’acquisto improntate alla filantropia o alla sostenibilità. I consumatori di oggi sentono il bisogno di rifocalizzare la loro attenzione su ciò che è per loro più importante. Questo gruppo di consumatori è disposto a pagare di più per un prodotto che rispetti il loro credo etico. Cancellando beni generalisti, l’acquisto si indirizza su quegli oggetti che sanno soddisfare i criteri personali del consumatore e permettano loro di sentirsi gratificati dalla consapevolezza di aver fatto la scelta migliore. Le caratteristiche fisiche passano quindi in secondo piano rispetto alle considerazioni di carattere etico. La qualità sociale del bene è la discriminante.

introduzione

Questi valori hanno assunto una valenza prima inimmaginabile. La scelta del consumatore attento ricadrà non sull’offerta migliore o il prodotto più nuovo, ma sul prodotto in grado di rispondere alle loro istanze morali. Si riconosce l’importanza della qualità e responsabilità sociale, il recupero di valori originari e fondanti. Lentezza, misura e genuinità sono i nuovi desideri da soddisfare. In uno scarto prioritario che privilegia il benessere individuale e collettivo, il richiamo al dovere diventa la logica di consumo. Si sente come necessaria l’autolimitazione e la ricerca di prodotti che siano soluzioni alternative. Il benessere ricercato non è solo fisico, ma volto ad assicurare una serenità interiore. Un consumo non più urlato, ma meditato. Vicino alle tradizioni e al territorio, nella tutela delle risorse, incontra le esigenze della persona.


23

aria di cambiamenti

«

We used to spend our money showing people how much money we have got; now we are spending our money on supporting

introduzione

our moral concerns.

»

—The independent

The Independent, 2008


24

social background

5

Con calma e più a lungo

capitolo cinque

Consumo compulsivo, esaustione delle risorse naturali, sfruttamento dei lavoratori, surriscaldamento globale, cambiamento climatico ed effetto serra sono solo alcuni dei campanelli d’allarme derivati dalla insostenibilità della nostra moderna società consumistica. Non si riesce e non si deve più chiudere un occhio davanti ad esse. Le aziende devono per prime farsi carico di queste preoccupazioni e rispondere in modo propositivo verso un futuro realmente sostenibile, senza scadere nel green wash di facciata. Basta con le false promesse e politiche fasulle, si rivendica un comportamento onesto, atto alla realizzazione di forme di consumo alternative accettabili. Come antidoto all’apocalittico scenario dal consumo sfrenato si propone lo “Slow Fashion”, locuzione coniata da Kate Fletcher9 nel 2007. Il termine slow fashion è l’applicazione al settore moda delle caratteristiche del movimento Slow Food di Carlo Petrini10. L’idea di base è la difesa e la promozione di buone pratiche che si pongono come controproposta alle derive della produzione industriale. A differenza di quanto il nome potrebbe suggerire, lo slow fashion non incolpa la velocità come entità astratta, ma la sua strumentalizzazione da parte dell’industria per far impennare la crescita economica e massimizzare le opportunità di vendita. Lo slow fashion invoca un’andatura più misurata che incentivi interazioni significative attraverso il design. Permette alla moda di sostituire l’inarrestabile successione di immagini senza significatotramite la creazione di prodotti più profondi che parlano di durabilità e qualità. Apre le porte ad una relazione più sana con i problemi sistemici del settore, propulsiva di cambiamento. I suoi benefici sono molteplici. L’attitudine degli utenti vira verso la ricerca dell’esperienza, l’esplorazione e la rielaborazione degli oggetti di consumo e il loro utilizzo nell’ottica della durata. La ricerca verso un futuro più umano ed etico trova nella realizzazione di prodotti longevi, senza tempo, autentici. Questi prodotti sono frutto di un sistema che da priorità al processo di design piuttosto che al prodotto finale. Un nuovo modo di praticare design intriso di responsabilità, che fonda le sue radici nella maggior attenzione, cura e partecipazione. La capacità creativa è ora votata ad assicurare la possibilità di un mondo migliorie alle generazioni future. Una forma di resilienza contro il mindset del sistema moda convenzionale. Come risultato si stanno affermando nuovi mercati che rivendicano una maggiore connessione con il prodotto, una qualità artigiana e trasparenza.

introduzione

Lo slow fashion infatti sfida le gerarchie di designer, produttore e consumatore. Invita ad una pratica della moda come lavoro cooperativo. Cambia la narrativa, connettendo le persone con l’artefatto. La connessione tra consumo e scarsità di risorse ha spinto il consumatore a fare scelta d’acquisto più consapevoli. Educa i cittadini a pensare ai bisogni della società, spinge a rivalutare l’impatto dell’azione umana e promuove una ideologia di utilizzo ponderata. Lo slow movement insiste sull’irriducibilità del tempo. Pretende infatti una sacralizzazione della vita dell’oggetto, delle persone, dell’ambiente.

9 Kate fletcher, Research Professor of Sustainability, Design, Fashion presso Centre for Sustainable Fashion, University of the Arts, Londra. 10 Lo Slow Food Movement nasce a Bra, Cuneo, nel

1986. Si propone come soluzione al dilagare del fast food e delle abitudini frenetiche della vita moderna e si impegna a difendere e divulgare le tradizioni agricole e enogastronomiche locali


25

aria di cambiamenti

«

Per come la vedo io, il potere della natura

deriva dalla nostra comprensione del suo valore, che è maggiore della sua utilità per noi. L’alfabetizzazione che questo ci dà — la conoscenza che offre ai designer — si colloca nel profondo e ha il potenziale di definire tutte le nostre idee e azioni in un modo straordinariamente potente.

»

—Kate Fletcher

introduzione

Reintroduce il gusto per l’autentico e per il valore perduto. Insiste sulla concezione dell’oggetto nella sua qualità di prodotto da fruire, non solo da acquistare. L’empatia sostituisce l’efficienza. Loda il coraggio di quegli atteggiamenti propositivi che puntano a trovare soluzioni alternative, in grado di guardare al futuro senza rinnegare la tradizione e rielaborare in un modello dinamico conoscenze e know-how.

Fletcher, K., Moda, design e sostenibilità, a cura di Alessandro Castiglioni e Gianni Romano, Postmedia Books, 2018


26

social background

6

Destini intrecciati capitolo sei

In un colossale cambio di paradigma del modo di creare e pensare la moda, i consumatori diventano soggetti partecipi del processo produttivo e decisionale, assumendo il ruolo di co-designer. In un insieme di azioni collaborative e solidali atte allo sviluppo di un sistema più sostenibile, il consumatore acquisisce maggiore controllo sulle istituzioni e tecnologie che impattano la sua vita, e quindi maggiore fiducia nel sistema. Le strategie di produzione partecipata offrono un’alternativa ai modelli tradizionali producercentred, grazie ad una relazione più interattiva con l’utente in una innovazione collaborativa. L’assenza di comunicazione tra produttori e consumatori rende il designer un indispensabile intermediario nella costruzione di pratiche partecipative. La progettazione diventa il medium per coinvolgere l’utilizzatore. Idee e suggerimenti arrivano infatti dal consumatore stesso, normalmente inaccessibili al produttore. Questa partecipazione nei processi di design attiva nel territorio una creatività altrimenti inespressa. Riducendo la divisione tra produttore e consumatore, il pubblico viene chiamato a svolgere la propria parte, creando un prodotto aperto. Questo scambio bilaterale permetto al fruitore di costruire una relazione con il produttore e il prodotto prima ancora che esso sia creato, una connessione emozionale in potenza. Designer e cliente lavorano quindi insieme, condividendo idee in una comunicazione face-to-face. Il progetto è frutto della collaborazione, in un design aperto fatto di trasparenza e inclusione. Questa esperienza alimenta il legame con i capo, con sé stessi e con la comunità. Il consumatore, ora in uno stato di coinvolgimento, passa infatti da una ‘vita di consumo’ dominata dal possesso, ad una ‘vita di azione’11.

introduzione

Consapevole e coinvolto il consumatore ha la possibilità di intervenire nella creazione dell’oggetto. Questo sentimento di partecipazione è fondamentale nell’accrescimento del valore del bene, perché lo rende ancora più personale. Non è più soltanto un prodotto materico, ma un prodotto culturale. L’accumulo di capitale identitario prodotto dall’esperienza porta ad un arricchimento dell’oggetto stesso. Più in grande questa pratica agisce nel tessuto locale, più il contesto sociale in cui si sviluppa vede rivitalizzata la partecipazione comunitaria. È un processo virtuoso che connette artigiano, consumatore e comunità. Promuove, in un flusso di materiali, artigianalità e soddisfazione del bisogno, una condivisione di risorse e sapere.

11. Ivan Illich, filosofo austriaco naturalizzato statunitense e intellettuale radicale del XX secolo, esercita il suo pensiero critico sulle forme istituzionali, eco-

nomiche e ideologiche che caratterizzano la modernità. Illich, I., Tools for Conviviality, 1975, cit. in Gwilt, A., Rissanen, T., 2011


27

aria di cambiamenti

regarder à

introduzione

l’intérieur de soi...


28

social background

introduzione

La riscoperta dell’identità ...


29

la riscoperta dell’identità

7

Economia della conoscenza capitolo sette

Nella società postmoderna il lusso è un mezzo per accrescere il proprio benessere. Ci affidiamo sempre di più alle emozioni nelle nostre scelte. Che sia un piacere edonistico, sentimentale o nostalgico, la sua ricerca diventa indispensabile. Non acquistiamo solo perché è bello, economico o utile. Acquistiamo perché ci gratifica. Il processo di valutazione oggettivo di un bene secondo le logiche utilitaristiche e funzionali, come il rapporto qualità-prezzo, viene messo da parte davanti al conseguimento di un appagamento emotivo. Sono i valori intangibili di cui i beni sono portatori ad essere preponderanti. La valenza simbolica, emozionale ed estetica crea un lusso che non è ostentato ma rientra nella sfera del privato. Il legame con il passato, cultura e territorio concorrono a creare beni intimisti e gratificanti. E questa ricerca di valori aggiunti trova nell’artigianato la sua massima espressione. La maestria artigiana si acquisisce nel tempo, con la ripetizione e il perfezionamento di gesti, le condivisioni dei saperi all’interno di una comunità e la familiarizzazione con la cultura in cui si è immersi. Il suo processo creativo è quindi espressione territoriale. Frutto della comunità e tradizione in cui è inserito, il bene artigiano ha una forte componente culturale, accumulo dell’identità locale e delle persone che la compongono. Emerge oggi la cultura del saper fare, un’economia della conoscenza e dell’immateriale. Non è una statica attenzione a preservare il patrimonio preesistente, lasciandolo immutato, ma una spinta propulsiva che fonde creatività e cultura per la creazione del nuovo. Nel rispetto delle tradizioni, fonte inesauribile di conoscenza, si instaurano nuovi meccanismi di costruzione identitaria. Queste iniziative etiche acquisiscono credibilità nel territorio in cui operano per la trasparenza e pulizia dei loro processi, nonché le scelte votate al beneficio della comunità locale.

introduzione

In un’era in cui i prodotti offerti sono generici, seriali, prodotti in massa, è proprio la cura a fare la differenza. Il bello non è più solo estetico, ma soprattutto significato. Un rinnovato network di relazioni caratterizzato da una interazione più profonda tra designer, cliente e vestito apre le porte ad un nuovo modo di pensare la progettazione. Il cliente riceve un prodotto di altissimo valore, che è stato manufatto con perizia e tecnica artigiana, secondo i suoi suggerimenti. Il contatto con il sarto, che soddisfa le specifiche richieste con maestria ed eccellenza, aumenta la percezione del valore del prodotto finale. Il cliente viene ascoltato, accudito e guidato nella creazione dell’indumento che più si avvicina ai suoi desideri. Questa partecipazione permette al cliente di appropriarsi dei contenuti e dell’esperienza di un lavoro artigianale, garante di qualità. Dall’ideazione all’esecuzione il consumatore viene reso partecipe, assistendo e scoprendo l’antica abilità sartoriale. Il prodotto rifletterà quindi l’esperienza da lui vissuta e il senso di sicurezza derivato dalla conoscenza del procedimento. L’upcycling, socialmente inclusivo per natura, riesce a dare un ulteriore senso a questa manualità quasi dimenticata. Utilizzando materiali recuperati localmente e forniti dalla comunità, si va producendo abbigliamento ricco di significato


30

social background

Linear Economy estraction RESOURCES manufacture PRODUCT retail PEOPLE consumption USED ITEM disposal

Circular Economy retail PRODUCT

PEOPLE

manufacture

consumption

RESOURCES

USED ITEM repurpose

introduzione

estraction

disposal


31

la riscoperta dell’identità

culturale e sociale, intrinsecamente connesso con il territorio e le sue persone. Si innesca un circolo virtuoso di materia che vede nella collaborazione attiva di tutti gli utenti coinvolti nel processo un modo per recuperare risorse e creare beni nel rispetto dell’ambiente, della trasparenza e dell’inclusività. L’erosione e perdita della memoria culturale e collettiva dovuta alla mancanza di una produzione transgenerazionale nel mercato globalizzato viene contrastata da queste pratiche cooperative. Viene così rinnovata la tradizione artigiana locale, caduta nell’oblio a causa dell’esponenziale standardizzazione della produzione industriale. La vitalità del contemporaneo e la solidità della tradizione si uniscono nella creazione di un prodotto innovativo. Il suo valore sta nella capacità di veicolare messaggi legati alla storia personale, culturale e comunitaria del consumatore, in grado di immedesimarsi ed emozionarsi nel prodotto. Valori esistenziali quindi, che diventano espressione del soggettivo approccio alla vita.

Les pensées

introduzione

mélangées...


32

social background

8

Come il rifiuto diventa ricchezza capitolo otto

L’industria della moda fa della veloce ed efficiente manifattura di prodotti trend driven il suo cavallo di battaglia per attirare il consumatore nell’odierno mercato iper-competitivo. Questo ciclo continuo di acquisto, uso e prematuro rifiuto degli item di moda da parte del consumatore è promosso dalle strategie comunicative di aziende insensibili alle conseguenze ecologiche delle loro campagne. Il consumatore è legittimato nelle sue pratiche noncuranti di accumulo di indumenti dall’economicità dell’offerta e dalla facilità d’acquisto. I vestiti vengono indossati troppo poco, lavati troppo spesso e buttati troppo facilmente. Ammassati nei nostri armadi, intonsi, aspettano pazienti di passare di moda. E quando la capienza dei nostri cassetti raggiunge il limite, abiti in condizioni praticamente perfette vengono buttati. Sono ancora pochi i consumatori che scelgono di immetterli nel mercato di seconda mano o di scambiarli attraverso piattaforme di compravendita. Dal momento in cui il proprietario decide che l’indumento non è più desiderabile e non sopperisce al fine per cui è stato comprato, questo diventa rifiuto. Con la diminuzione dei prezzi di vestiario risulta sempre più facile al consumatore disfarsi di un capo e rimpiazzarlo. Secondo un report di McKinsey ci sbarazziamo di oltre la metà del fast fashion che compriamo entro un anno dal momento d’acquisto e, in media, un capo viene indossato solamente 7 volte prima di essere scartato. La pericolosa crescita del fast fashion ha fatto sì che il numero di articoli prodotti dal 2000 sia raddoppiato e nel 2014 ha superato i 100 milioni12. Questi dati allarmanti urlano il bisogno di instaurare un legame più profondo tra consumatore e prodotto. Negli anni recenti la preoccupazione per l’ambiente ha visto crescere un picco di interesse per la reintroduzione dei rifiuti nell’economia. La circolazione delle risorse, riassunte nel modello delle 4 R (Reduce, Reuse, Recycle, Regulate) promuove una relazione sistematica tra risorse e prodotti di consumo.

introduzione

Secondo Bain & Company, il mercato di seconda mano sta esplodendo, con un tasso di crescita del 9%. Dai 17 miliardi di euro del 2015 si è passati a 22 nel 2018. I millenials dominano questo mercato, percependo la necessità di re-immissione e togliendo lo stigma associato agli indumenti di seconda mano13. Gli indumenti usati non sono più percepiti come sporchi o fuori moda, come mostra un recente report di ThredUp, nel quale si stima che la vendita di seconda mano sia cresciuta 21 volte più velocemente rispetto al mercato tradizionale14. La carbon footprint, uno dei peggiori problemi legati alla produzione di fibra, è ridotta al minimo grazie al riciclo dei prodotti di moda. La scomposizione degli indumenti per realizzarne altri, il downcyle dei suoi materiali o la loro re-immissione nel mercato sono alcuni dei modi per far fronte al problema della sovrabbondanza dei rifiuti tessili. Tra tutti i segmenti di proposte di mercato ecofriendly, l’upcycle è sicuramente uno delle strategie più efficaci per affrontare la gestione dei rifiuti e salvaguardia di energia. L’obiettivo dell’upcycling è prevenire lo spreco di materiali. Usando materiali di scarto, non solo si sottraggono alla discarica, ma si riduce la domanda per materiali grezzi e il conseguente uso di energia, emissioni di gas e inquinamento 12 McKinsey & Company, The state of fashion, 2018. 13 Brain & company - Altagamma Luxury Study 2018; Goldman Sachs Gllobal Investment research,

2019 14 ThredUp, 2019, Resale Report


introduzione

la riscoperta dell’identitĂ

33


34

social background

dell’acqua, imprescindibili dalla loro produzione. L’upcycling può avvenire con scarti pre consumer, post consumer o una combinazione delle due. Scarti di produzione, rimanenze di magazzino, tessuti rovinati appartengono alla prima categoria, indumenti usati alla seconda. A differenza del recycle e downcycle, che sono processi di scomposizione del materiale nelle sue componenti e implicano un declino del valore, l’upcycling è arricchimento. Come scrive Murray nel suo libro Zero Waste: “Is not merely conserving the resources that went into the production of particular materials, but adding to the value embodied in them by the application of knowledge in the course of their recirculation”.15 L’uso di materiali post-industriali (pre-consumer) è più diffuso per la sua maggiore adattabilità alla standardizzazione. I tessuti sono infatti più consistenti e di qualità. Il processo di pattern making può essere industrializzato, rendendo più facile la linea di produzione. Nell’upcycling di materiali di seconda mano invece, l’imprevedibilità delle risorse è fattore di rischio. Ogni capo deve essere trattato individualmente, in un processo di prototipazione totalmente artigianale. La grandezza dei pezzi, la natura dell’indumento, l’uniformità della mano, la loro selezione e archiviazione sono i fattori aleatori che ne rendono impossibile la ripetibilità su grande scala. Gli ostacoli di manifattura relegano quindi questa pratica ad un mercato di nicchia, adatto alla produzione di un basso numero di unità. Un processo che necessita un grande saper fare accostato ad un’intelligenza creativa notevole. Come afferma Payne: “These upcycling businesses are often small artisan led enterprises and are producers of niche products that rely on local sales and customers”.16 La singolarità del capo come punto di partenza può essere però un punto di forza. Ogni capo viene trattato individualmente grazie all’astuzia di chi conosce il mestiere. Il designer ascolta il capo, si lascia da esso ispirare e condurre. Frammenta, distorce e strappa il tessuto secondo i suoi suggerimenti. I risultati sono imprevedibili e inaspettati. Riassembla e ricuce questi pezzi accidentali in un’opera unica, che non può essere ripetuta. Un patchwork di materiali differenti che esprime la potenza della creatività. In un mondo di cose materiali, l’upcycling va controcorrente. Produce articoli originali, pezzi unici, grazie a creatività e pensiero innovativo, in un’operazione chirurgica di restyling. Un design rigenerativo che accresce il valore del materiale originario. È dalla sapiente simbiosi di antico e moderno che nasce un prodotto contemporaneo.

introduzione

L’upcycling è una sfida ai codici culturali. Bello o brutto, spazzatura o moda, nuovo o vecchio. Non ci piace pensare ai rifiuti: sono manifestazioni esemplari del consumo senza fine, prodotto del capitalismo, immagine delle nostre scelte sbagliate. Incarnano le dinamiche corrotte del sistema e del nostro stile di vita. Nel rifiuto si trova però una moltitudine di allegoriche potenzialità. Sono immagine cristallizzata di pezzi di vita. Oggetti ordinari, quotidiani, nostri. Dismessi da un uso, apparentemente non hanno più ragione di esistere. Ma la loro storia può cambiare. Ogni oggetto ha infatti il valore che gli occhi di chi guarda gli attribuisce. Quello che per qualcuno è spazzatura, per un altro può essere un tesoro. I confini tra cosa non è prezioso e cosa invece lo è sono confusi, labili. In un atto di fede, essi possono essere salvati, scomparendo dalla categoria di rifiuto per fare ritorno come commodity.

15 Murray, Zero Waste, 2002, 16 Alice Payne, ‘A., The Life-Cycle of the Fashion Garment and the Role of Australian Mass Market

Designers’, in The International Journal of Environmental, Cultural, Economic and Social Sustainability, 7(3), 2011, pp. 237-246., cit. in Hans, S.L.C, 2017.”


35

la riscoperta dell’identità

« The value of these objects does not derive only from the materials they are made in or the way in which they are made, but from a special relationship between those factors and the cultural significance of the context in which they are produced and received. »

introduzione

—Luca Marchetti

Luca Marchetti, Victims of banality, pg 43 in Brand, J & Teunissen, J (eds), Fashion & Accessories, d’jonge Hond & ArtEZ Press, Arnhem, 2008, pp.41 – 47, cit. in Bigolin, R., 2012


36

social background

9

Vestire per scoprirsi capitolo nove

La moda oggi è diventata quasi un’incombenza. Ci sentiamo costretti a modificare continuamente la nostra apparenza per stare al passo con trend passeggeri privi di valore. Questa moda a breve termine promuove immagini senza significato, incoerentemente alternate tra loro, sradicate dal loro contesto di riferimento e incapaci di comunicare identità. La scarsità di contenuti è sopperita dalla quantità della proposta. La moda di oggi fa affidamento sull’attrattiva immediata dell’immagine, proponendole una dopo l’altra, bombardando il consumatore che, sopraffatto, non è in grado di realizzare le sue mancanze. Il consumatore odierno è frastornato dalla quantità di oggetti e scelte vestimentarie a propria disposizione. Si ritrova pertanto ad accumulare oggetti nel tentativo di dare un’immagine di sé al passo con i trend. Acquistando oggetti il cui consumo è transitorio, costruisce un’immagine frastagliata e inconsistente, che non lo rappresenta. Secondo l’analisi di Svendsen17, la moda, abbreviando progressivamente i suoi cicli, si avvicina sempre più alla sua essenza. Prendendo spunto da qualsiasi tradizione, decontestualizzando e contestualizzando, fabbrica un prodotto che si propone come solo contemporaneo. La moda è diventata un gioco di cambiamento continuo che prescinde dai contenuti e valori che diffonde. Questa logica sostitutiva impedisce una relazione stabile con ciò che indossiamo. Come afferma Cline: “People crave connections to their stuff”.18 Non siamo infatti connessi al nostro guardaroba. I nostri capi non hanno storia perché non sono vissuti. Una parati di indumenti a malapena toccati, un museo di cadaveri della moda. Non dicono niente, se non ricordarci come il momento in cui li abbiamo acquistati sia già passato, e per questo non hanno più valore. Perché nel fast fashion i capi sono rilevanti solo nel qui e ora.

introduzione

La necessità di creare e definire la nostra identità con i vestiti è primordiale. Tolto il contesto sociale tradizionale di appartenenza siamo chiamati ad individuare il nostro stile personale. È quindi fondamentale la costruzione di una pratica del design in grado di creare prodotti riempiti di concetti. Attraverso la creazione di relazioni significative con gli abiti che indossiamo si avvicina la distanza che separa il nostro io e l’immagine di noi che proiettiamo. Per questo è necessario che il consumatore abbia a sua disposizione un’offerta di prodotti carichi di contenuto. Il valore simbolico dell’abito deve esprimere le qualità che sono più coerenti e più si avvicinano a quelle del futuro proprietario. Il prodotto deve essere riempito di quei concetti di sostenibilità, eticità e trasparenza conformi con quello che il consumatore di oggi pretende. Più questi valori si avvicineranno a quelli del consumatore, maggiore sarà la connessione fra l’abito e la persona. Una connessione affettiva si instaura infatti tra indumento e chi lo indossa, se quest’ultimo si sente rappresentato nei suoi valori e nel suo credo. L’affinità con l’oggetto promuove anche pratiche d’uso e conservazione del capo più premurose, promuovendo la longevità dello stesso. Uno stile di vita che trova la sua attuazione nella sobrietà di consumi e implica l’attenzione al riutilizzo e alla cura dei beni di cui si è già in possesso.

17 Lars Fr. H. Svendsen, Filosofia della moda, 2006,

18 Cline, E. L., Overdressed: The Shockingly High Cost of Cheap Fashion, 2012


37

la riscoperta dell’identità

Come suggerisce il critico Peter Stallybrass, momenti di connessione emotiva con i nostri indumenti sono rari nei ritmi accelerati della società contemporanea: “I think this is because, for all our talk of the ‘materialism’ of modern life, attention to material is precisely what is absent. Surrounded by an extraordinary abundance of materials, their value is to be endlessly devalued and replaced”.19 Aderendo ad uno stile di vita mantenuto con coerenza avviene la realizzazione estetica del sé. La creazione di uno stile unico, personale, è essa stessa un passo verso la sostenibilità e il consumo controllato. Le scelte d’acquisto votate alla creazione di un guardaroba coerente con il proprio gusto, che ci rappresenti appieno, pongono un freno all’accumulo dettato dalla disperata ricerca identitaria. Non una sostituzione continua di stili e di identità. Poche scelte ma durature. La moda è un prodotto culturale, espressione decisiva della nostra identità. Questa identità deve essere immediatamente comprensibile a chi ci guarda. Il nostro costume, che per secoli ha dettato il nostro ruolo nella società, oggi più che mai deve riuscire ad esprimere quei valori nascosti che ci rendono noi stessi. E i tessuti in particolare hanno una enerme capacità comunicativa. Sono la nostra seconda pelle. Velo che ci copre, protegge e distingue, in grado di trasmettere informazioni identitarie imprescindibili.

« Our aesthetic judgments based upon perfection and imperfection almost invariably have consequences that affect the quality of life, the social and political climate of a society, and the state of the world. »

introduzione

— Yuriko Saito

19 Peter Stallybrass, “Worn Worlds: Clothes, Mourning, and the Life of Things”, in The Yale Review vol. 81. no. 2, , 1993cit. in Barnett, P., 2015

Saito, Y., The Role of Imperfection in Everyday Aesthetics, «Contemporary Aesthetic», 2017


38

social background

introduzione

imaginaire ou rĂŠel?


39

la riscoperta dell’identità

In sintesi Viviamo in un’epoca di grandi cambiamenti. La moda si sta trasformando. Lentamente, ma per il meglio. È compito nostro orientare il verso dei comportamenti etici e dei consumi ponderati. La preoccupazione crescente nei confronti delle conseguenze disastrose di questa società iper-consumistica ha fatto sì che nascesse un nuovo modo di approcciarsi al prodotto. L’attivismo sociale del consumatore attento cresce al crescere della consapevolezza che così non si può continuare. Questa tendenza critica di una società sempre più presente e consapevole porta a fare delle scelte sulle basi valoriali, non più utilitaristiche. Pretendendo, in qualità di consumatori, un nuovo tipo di moda trasparente e sostenibile spingiamo le aziende ad adottare comportamenti alternativi finalizzati ad una produzione responsabile e pulita. In un futuro sempre più vicino possiamo immaginare soluzioni progettuali che portino ad una decrescita dei consumi. Basata su modelli sostenibili, in questa nuova società la crescita economica super omnia verrebbe in secondo piano rispetto alla ricerca del benessere collettivo. Un nuovo modo di fare business che impieghi strategie etiche e sostenibili. Consumatore e produttore devono comunicare i propri bisogni in modo aperto e collaborativo, nella creazione di un circuito di innovazione caratterizzato da una forte impronta morale. Un ritorno a valori fondanti, basilari, nel rispetto delle origini e recupero della tradizione sarà alla base per la creazione di un tessuto imprenditoriale dinamico. L’investimento etico risulta in un prodotto giusto, di qualità e trasparente. Il rispetto della dignità umana e dell’ambiente si fanno capisaldi di prodotti sostenibili e ad elevato valore sociale. In quest’ottica, i comportamenti da adottare e verso cui tendere sono il recupero, riuso, riciclo e ristrutturazione.

introduzione

Il consumatore punta sempre di più a vedere il consumo come adesione al proprio stile di vita. Si interroga sulla compatibilità del prodotto con le proprie esigenze personali e modelli valoriali. Per troppo tempo la moda e la conservazione ambientale sono sembrati concetti distanti e conflittuali. Oggi si vedono nascere controtendenze che promuovono una maggiore connessione emozionale con i nostri capi, nella speranza di rallentare i ritmi di consumo correnti. Un modello caratterizzato da una relazione più stretta tra consumatore e produttore, consumatore e prodotto. Cambiando la temporalità della moda, senza compromettere l’estetica, si suggerisce un modo più intimo di relazionarsi all’abito. Sono questi i fattori presi in considerazione nello sviluppo del progetto Kire.


40

filosofia progettuale

FILOSOFIA PROGETTUALE

45

63


41


42

filosofia progettuale

Il concetto estetico primario della cultura giapponese è la ricerca del valore armonico delle cose. La visione del mondo infatti avviene attraverso la natura e riguarda la bellezza della semplicità. Il mondo si presenta come un flusso ai nostri sensi, unica realtà fatta di cambiamenti. Gli ideali gemelli della coltivazione della semplicità e la celebrazione di ciò che è antico suggeriscono la natura transitoria ed evanescente della vita. L’estetica giapponese si esprime attraverso una delicatezza nelle forme, un modo di concepire l’arte caratterizzato da modestia e maestria. Lontano dalla bellezza della grandiosa ostentazione occidentale, quella tradizionale nipponica fa sorgere un sentimento quasi melanconico, riflessivo.

introduzione

A differenza della nostra visione che riconosce il piacere estetico, indipendentemente dai valori che trasmette, positivi o negativi che siano, come prevalente nell’esperienza della bellezza, nella cultura orientale essa è strettamente legata alla morale, alla verità, alla giustizia. Il raggiungimento della bellezza si accompagna sempre ad una ricerca di autenticità. È infatti radicata la nozione che la scoperta e il nutrimento del sé non sia prettamente artistico ma soprattutto spirituale.


introduzione

filosofia progettuale

43


44

filosofia progettuale

introduzione

Una finestra sul Giappone...


45

una finestra sul giappone

10

Empatia come attitudine alla vita capitolo dieci

Il termine Mono no Aware (物の哀れ), coniato da Motoori Norinaga 21 nel XVIII secolo, si traduce letteralmente nel pathos delle cose. Questa espressione incarna la tendenza della cultura giapponese a valorizzare i sentimenti profondi, la sensibilità emozionale, la consapevolezza della sfuggente bellezza della vita. In netta opposizione agli ideali greci che hanno formato la cultura occidentale, fatta di potere, controllo e felicità costruita, il Mono no Aware celebra il lasciarsi andare. È nella transitorietà delle cose che si può trovare il sublime. La bellezza è assoluta, trascende il tempo, libera da costruzioni. Scaturisce effimera dalle cose che svaniscono. Si esprime nel fluire spontaneo di processi naturali. Fa sorgere una struggente malinconia nell’animo di chi guarda le cose nel loro trascorrere. Colori stinti e tenui, la patina che ricopre gli oggetti, l’ossidazione e corrosione dei materiali donano personalità e bellezza ad una vita transitoria e fuggevole. La consapevolezza della fugacità del tempo dissotterra emozioni latenti. Essere presente e disposto a cogliere attimi di bellezza nella quotidianità diventa una pratica di coltivazione del sé, la chiave per un modo di vivere sereno, accogliendo con gratitudine lo spirito del momento. È un paziente apprezzamento dei fenomeni di passaggio che si ripercuotono nelle nostre emozioni e realtà. Questo stupendo concetto invoca “l’essere presente” e guardare con più attenzione. La bellezza può essere provata solo grazie all’empatia, compassione, pietà. Un turbamento che unisce l’apprezzamento del bello e la tristezza derivata dalla consapevolezza che è destinato a svanire. Come la bellezza effimera dei ciliegi in fiore. Gli indumenti sono fatti di pigmenti, superfici, tessuti e fili, ognuno dei quali ha differenti modalità di invecchiamento, ognuno dei quali si trasforma secondo i suoi tempi e modi. Così intesi, questi indumenti vivono con noi, si trasformano con noi, cambiando nel tempo per diventare qualcosa di leggermente diverso dall’attimo precedente. Se scegliamo di accettare queste parti nella loro continua evoluzione, non possiamo far altro che ammirare e riflettere sulle loro meravigliose possibilità.

introduzione

Anche l’esperienza di artefatti nudi, non decorati, disadorni può quindi diventare arte. La ruvidità di un materiale naturale, la modestia di un oggetto artigianale, la sobrietà del comportamento e l’imperfezione dell’errore rendono l’artefatto un‘opera in connessione con la natura. Non è la perfezione artificiosa di oggetti realizzati meccanicamente ad avere il posto d’onore nella scala valoriale giapponese, ma le cose vere nella loro onestà. Sta all’osservatore percepire quegli istanti di straordinaria ordinarietà, la bellezza derivata dall’essere in vita. Un modo di amare e comprendere gli altri, di relazionarsi al mondo naturale. Un nuovo modo di connettersi alle cose e alle persone.

21. Motoori Norinaga, 本居宣長 , (1730-1801), uno de piu grandi pensatori e letterati giapponesi. Ha contribuito allo sviluppo del campo della filologia

del suo paese. La sua filosofia della trasparenza vede il linguaggio percepito come suono immediato dei segni trascendenti.


46

filosofia progettuale

11

Esaltazione delle ferite capitolo undici

Nata nel XV secolo, la pratica giapponese del Kintsugi - 金継ぎ, o Kintsukuroi - 金繕い significa letteralmente “riparare con l’oro”. L’origine della tecnica del Kintsugi risale al periodo Muromachi, sotto lo shogunato di Ashigaka Yoshimasa (1435-1490). La leggenda narra che fu proprio l’ottavo shogun Yoshimasa, innamorato della bellezza delle tazze Wabi Sabi create dagli artisti locali per la cerimonia del thè, a dare inizio a questo nuovo modo di recupero. La lacca Urushi è una linfa appiccicosa, inizialmente usata per riparare le armi, poi introdotta nella arte della ceramica. Alla rottura di un vaso, invece che buttarlo o ricostruirlo attraverso i chiodi di metallo, se ne riassemblano i cocci con questa sostanza, per recuperare la sua integrità. La lacca dorata va a creare un intreccio di linee unico e irripetibile per la sua casualità. Le sue fratture, impreziosite nella loro operazione artigianale di saldatura, compongono trame preziose. Oggetti ordinari diventano così capolavori. La filosofia profonda del Kintsugi, però, va ben oltre la semplice pratica artistica, e ci parla di guarigione e resilienza: la rottura dell’oggetto non ne segna la fine. Apre invece un mondo di bellezza nella celebrazione delle sue ferite. Nella cura e salvaguardia dell’oggetto si crea un artefatto ancora più prezioso dell’originale. Come le cicatrici di un guerriero, queste linee dorate sono segno delle battaglie combattute, delle vite vissute, dei dolori a cui si è sopravvissuti. Mentre in Occidente ci sentiamo obbligati a nascondere i difetti e mimetizzare l’integrità perduta con soluzioni occultative, nella filosofia giapponese la loro ricomposizione accentuata ne esalta la bellezza. Vede nobiltà e unicità dove un tempo c’erano solo frantumi e sbeccature. Queste gloriose vene dorate sono il frutto di un minuzioso lavoro di recupero che parla d’amore, attenzione e cura.

introduzione

Kintsugi è una potente metafora della vita. Noi siamo la somma delle nostre esperienze. È solo umano vivere una vita fatta di gioie e tristezze. Come indossare le ferite che ci lascia, sta però all’individuo. La celebrazione delle nostre cicatrici, portandole con orgoglio, significa accettare il viaggio che ci ha condotto dove siamo e le lezioni che ci ha insegnato. La vita inevitabilmente porta con sé integrità e rottura, un dualismo imprescindibile che spinge alla crescita. Le ferite ci rendono forti. Tutti le abbiamo. Sono evidenza fisica dell’esistenza. È un processo molto più doloroso il cercare di nasconderle piuttosto che rammendarle.


47

una finestra sul giappone

« Out of suffering have emerged the strongest souls; the most massive characters are seared with scars. »

introduzione

—Kahlil Gibran

Gibran, K., Broken Wings, Kindle Edition, trad. di Juan R. I. Cole, White Cloud Press, Oregon, 2017 [1912]


48

filosofia progettuale

« Ammiriamo i fiori di ciliegio solo quando sono in piena fioritura, e la luna solo quando è senza nuvole. (...) Desiderare la luna, mentre si guarda la pioggia, abbassare le persiane per non rendersi conto della primavera che se ne va questo è ancor più intimamente commovente.

Rami in procinto di fiorire o giardini cosparsi di fiori appassiti sono più meritevoli della nostra ammirazione. »

introduzione

— Kenko Yoshida

Yoshida, K., (吉田兼好), Saggi sull’ozio, 1283 ca.


49

una finestra sul giappone

12

La libertà si trova nell’autentico capitolo dodici

Una bellezza modesta, quieta, sussurrata. Che aspetta di essere scoperta. Questo è il Wabi-Sabi. L’ espressione deriva dall’unione di due caratteri 侘 Wabi e 寂 Sabi. Wabi si riferisce alla sfera delle cose in armonia, pace e equilibrio. Originariamente triste e solitario, il suo significato è stato poeticamente trasformato in umile, semplice e in sintonia con la natura. Opposto a tutto ciò che è pretenzioso, sfarzoso e urlato, Wabi è rustica naturalezza. Sabi è lo sbocciare del tempo. Indica la naturale progressione delle cose, lo splendore svanito di ciò che un tempo brillava. Sono Sabi le cose che portano il fardello dei loro anni con dignità e grazia. La solitudine e desolazione che entrambi i termini suggeriscono sono caratteristiche positive, poiché rappresentano la liberazione del mondo materiale e la trascendenza verso una vita più semplice. Una bellezza austera e malinconicamente chiusa in sé. Opaca e polverosa nella sua elegante imperfezione. Se la condizione di base è l’impermanenza, privilegiare come perfetti solo certi momenti, nell’enormità del flusso eterno, tralasciandone altri, è considerato come una incomprensione della transitorietà del tempo. Wabi Sabi è una profonda coscienza estetica che ci permette di apprezzare la moderazione e le qualità sommesse di ciò che non vuole essere ostentato. La sobrietà e frugalità Wabi si fondono con la malinconica patina di vissuto e conoscenza Sabi in un oggetto che provoca dentro di noi un ardore spirituale e una serena malinconia.

introduzione

Così Leonard Koren interpreta il concetto di Wabi Sabi: «Wabi-Sabi si riferisce al delicato equilibrio tra il piacere che otteniamo dalle cose e il piacere che si ottiene dalla libertà dalle cose»22. In fondo Wabi Sabi è anche un inno ad apprezzare ogni fenomeno in cui incorriamo. Saper valutare momenti e oggetti nella loro transizione naturale. Smettere di preoccuparci del successo, status e ricchezza per godere una vita senza incombenze. Avere una vita semplice significa fare delle scelte difficili. Viviamo in un mondo di cose materiali, bisogna trovare un equilibrio nel discernimento tra cosa è indispensabile e cosa invece non lo è.

j’aime aussi les fleurs fanées... 22. Koren, L., Wabi-Sabi: Per artisti, designer, poeti e filosofi, trad. Guido Calza, Ponte alle Grazie, 2002


50

filosofia progettuale

« Devi essere pronto a mollare la presa quando sei appeso a un picco su un precipizio, a morire e tornare di nuovo alla vita »

introduzione

— Hakuin Ekaku

Hakuin Ekaku, 1971, Cit. in ‘Estetica Giapponese’, Cultor College, http://www.cultorweb.com/J/F.html


51

una finestra sul giappone

13

Dis/continuità capitolo tredici

Il vuoto può essere considerato una delle categorie estetiche per eccellenza. Solo grazie alla sua presenza le opere d’arte possono realizzarsi nel pieno del loro potenziale estetico e semiotico. Come il resto delle cose, anche il vuoto è da considerarsi nel suo percorso. È il superamento della dualità pienovuoto. Non è possibile pensare ad uno svincolato dell’altro. Si sottolineano ed esaltano a vicenda e sono imprescindibili nella creazione dell’arte. Visibile e invisibile, nulla e tutto, frammentato e intero. È l’alternarsi di concetti opposti nella loro dinamicità a dare un significato ai singoli. Come una melodia sta nelle pause di silenzio tra una nota e l’altra, così la bellezza è nel vuoto tra un’apparizione e l’altra. Un esempio è l’haiku (俳句)23, componimento semplice in tre versi che richiede una grande sintesi di pensiero e di immagine. Questa estrema concisione dei versi lascia spazio ad un vuoto ricco di suggestioni. All’interno della struttura dei versi è infatti presente un kireji 切れ字 (“parola che taglia”), ossia una cesura, una figura retorica che ha la funzione di segnalare un ribaltamento concettuale, un capovolgimento di significato. Un’immagine viene “tagliata fuori” nello stesso tempo in cui si lega a quella successiva. È proprio questo salto logico, questo vuoto, a rendere potente la composizione. Più è illogico, più sembra ampliarsi lo spazio vuoto tra i versi, più la loro contrapposizione creerà stupore e riflessione. Un intervallo vuoto riempito dei significati che suggerisce. Un ideale che si discosta leggermente dai modelli tradizionali di estetica giapponese è quello del “taglio” (切れ kire) o “taglio-continuo” (切れ続き kiretsuzuki). Metafora importante della scuola Rinzai del Buddismo Zen, il taglio significa essere ‘tagliati fuori’, svincolati dalla vita di tutti i giorni e dalle sue superficialità. Viene esemplificato negli insegnamenti del maestro Hakuin che osserva come l’obiettivo di “vedere nella propria natura” può essere realizzato solo se si è “tagliata la radice della vita”. 24 Il concetto di kire trova la sua espressione anche nell’arte di disporre i fiori chiamata Ikebana, nella quale la vita biologica del fiore viene, come dice Nishitani (1995), “tagliata fuori per lasciare che si esprima la vera natura del fiore stesso”.25 L’ikebana inoltre prova che i fiori non sono “oggetti” statici, ancorati a terra, ma che essi possono essere spostati e tagliati nella loro condizione di impermanenza. La composizione risulta in un equilibrio di forme dove lo spazio vuoto è indispensabile per la creazione della composizione. Attraverso l’intervento dell’arte, la “naturalezza” viene apparentemente tagliata via, ma in modo tale che la sua essenza originaria, più profonda ed intima, venga alla luce.

introduzione

c’est tout et rien, en meme temps...

23 Componimento poetico creato in Giappone nel XVII secolo di tre versi, caratterizzati da cinque, sette e cinque sillabe. Elimina fronzoli e congiunzioni traendo la sua forza dalle suggestioni della natura e dalle sue stagioni.

24 Hakuin Ekaku 白隠慧鶴, (1686–1769) è stato un monaco buddhista e maestro zen giapponese. 25 Keiji Nishitani (西谷 啓治, 1900-1990) filosofo giapponese della scuola di Kyoto, dicepolo di Nishida Kitaro. Cit. in ‘Estetica Giapponese’, Cultor College, http://www.cultorweb.com/J/F.html


52

filosofia progettuale

introduzione

Abbracciando la transitoriet­à ...


53

abbracciando la transitorietà

14

Come il decadimento diventa valore capitolo quattordici

In un mondo di ordine normativo e perfezione forzata, negli effetti disordinati del deterioramento si trova una fragile bellezza. Nel suo inarrestabile flusso, il tempo riverbera negli oggetti. La sua azione perpetua non è per forza causa di brutture, né rende gli oggetti che tocca corrotti. Crea proprietà estetiche alternative. Preannunciatori di eventualità future, i segni del decadimento modificano la fisionomia e l’indole della materia. Il tessuto si smaglia, perde di densità, si macchia e assottiglia. Diventa impalpabile e fragile, ombra di sé stesso.

introduzione

Queste modificazioni della materialità evocano immagini di un passato che non tornerà più e allo stesso tempo visioni profetiche dei cambiamenti a venire. I fantasmi dell’archetipo abitano questi materiali, vaghi ricordi di splendore. Ma è nel caotico manifestarsi del decadimento che questi materiali si ritagliano un posto nel mondo. Lo status di oggetto in rovina è infatti transitorio. In bilico tra divenire qualcos’altro o essere trasformati nel nulla, lottano nella loro condizione precaria.


54

filosofia progettuale

15

Ciò che è dismesso da un uso non è per forza privo di uso capitolo quindici

Ammettendo il potenziale trasformativo della materia nella sua condizione di instabilità, gli effetti dell’usura e degradazione divengono evoluzione benvenuta. L’espressione del tessuto è qualcosa che evolve durante tutto il suo ciclo di vita. I vari stimoli, accadimenti, eventi che hanno contraddistinto il suo uso concorrono a creare effetti unici sul tessuto. La qualità di reminiscenza intessuta negli artefatti usati necessita un confronto e comprensione del passato. Gli oggetti in uno stato di rovina evidenziano lo stato di indecifrabilità del passato, il suo mistero. Questi oggetti infatti hanno delle capacità involontarie di significazione potenziali nelle loro qualità tattili e immaginifiche. Gli indumenti dismessi non appartengono a nessuna categoria. Non sono organizzati, identificabili come esemplari del loro genere o inseribili negli schemi ordinati come tipici. La loro forma non rispecchia più l’originale. I colori sono stinti, le cuciture disfatte. Sopperiscono queste mancanze con una ricchezza di fantasia, desideri e congetture. Le memorie che custodiscono implodono nel presente, sconvolgendo l’immaginario diffuso, tormentando l’apparato normativo e confondendo le riconosciute certezze di bellezza.

16

Piccoli momenti di reminiscenza tattile capitolo sedici

Il prodotto moda è sfaccettato e multidimensionale. Un artefatto estetico, pratico e simbolico. L’abbigliamento è infatti in grado di comunicare quanto un gesto, un’espressione, una postura. Metafora visiva identitaria, l’abito è percepito come un mosaico di messaggi e intenzioni espressive. Le qualità intrinseche al prodotto non si limitano infatti a quelle visive e tattili che colpiscono i sensi, ma soprattutto a quei fattori che permettono una stratificazione di significati attribuiti. Stimoli per rivivere il passato, input nostalgici e veicoli di emozioni dimenticate.

introduzione

Abbiamo amato questi capi, li abbiamo voluti, comprati e usati allo sfinimento. Sono stati importanti quanto i momenti a cui hanno assistito. Ora, anche se logori e fuori moda, non riusciamo a separarcene. Sentiamo di avere una responsabilità nei confronti degli oggetti a noi cari. Un istinto di protezione. Perché gli abiti in fondo sono pezzi di memoria.


55

abbracciando la transitorietĂ

introduzione

mĂŠlancolie...


56

filosofia progettuale

« The emotional attachment between human beings and clothes offers potential for designers wanting to explore fashion

introduzione

as a sustainable practice. » — Hazel Clark Clark, H., ‘Slow+Fashion- an Oxymoron- or a Promise for the Future...?’. in Fashion Theory, vol. 12, n. 4, Berg Publishers, 2008, pp. 427–446


57

abbracciando la transitorietà

17

Trovare il futuro nella memoria capitolo diciassette

I tessili usati sono imbevuti di memorie personali. Portano con sé la loro storia. Attraverso l’upcycling, il designer ha l’opportunità di rielaborare la narrativa del capo, nel rispetto del suo vissuto, riconferendogli il valore e la dignità perduti. Con la sua scomposizione, esso viene liberato dalla sua forma e funzione originaria. Ogni passo del processo decostruttivo è volto all’apertura, esposizione, espansione e complicazione del contenuto originario, permettendo all’abito di rilasciare le sue inimmaginabili possibilità future. Liberandolo della sua forma, il capo si rivela nella sua essenza e complessità, nella sua storia e nei suoi sogni. Sogni di rinascita, sogni di scenari futuri, sogni di riappropriazione del sé. Così, grazie alla decostruzione, il capo dismesso si mostra per quello che può essere.

introduzione

L’esperienza del vecchio indumento rimane, l’apparenza si adatta al tempo, per assicurarne la contemporaneità. Nella consapevolezza che un oggetto è soggetto alla transitorietà e non può rimanere desiderabile in perpetuo, tramite una attenta abilita sartoriale ne viene rinnovata l’attrattiva secondo i gusti e canoni della modernità.


58

filosofia progettuale

introduzione

Alla ricerca di nuovi percorsi...


59

alla ricerca di nuovi percorsi

18

Materia dismessa capitolo diciotto

Troppo spesso le persone praticano un’economia lineare scandita dalle fasi di acquisto, utilizzo ed eliminazione. Questo sistema contribuisce a creare milioni di tonnellate di scarto tessile che va a riempire le discariche di tutto il mondo, rendendo la moda la seconda industria più inquinante dopo quella del petrolio. Una efficiente gestione delle eccedenze è la chiave per un’industria più sostenibile, etica e consapevole. Il mercato italiano dell’usato vale 23 miliardi di euro 26. Ogni anno circa 10mila tonnellate di vestiti finiscono nei cassonetti gialli presenti su tutto il territorio. Una volta ritirati, i tessili vengono processati e selezionati. In Italia il materiale tessile proveniente dalla raccolta differenziata è destinato mediamente per il 25% ad azioni di recupero che hanno l’obiettivo di reimpiegare la materia prima dei prodotti obsolescenti; il 68% è destinato al riutilizzo; il rimanente 7% a smaltimento27. La strada dei capi di seconda mano è gerarchica: i pezzi migliori sono venduti nei mercati occidentali, quelli di qualità più bassa nell’Est Europa e Africa Subsahariana e i restanti riciclati, inceneriti o gettati nelle discariche.

introduzione

I materiali sono selezionati per ragioni estetico funzionali. La loro qualità crea la percezione del lusso. Le loro caratteristiche la sensazione dell’oggetto indossato. E i tessili, incapaci di invecchiare con decoro, vengono dismessi senza battito di ciglia. Tessuti stanchi, deteriorati, deperiti, sfiniti ed esausti non trovano posto nella società del nuovo e performante. Non hanno una funzione, uno scopo, non rientrano negli schemi. Scarto alla norma, vengono soppressi da un sistema che non ammette deviazioni.

26 ‘Second Hand Economy.’BVA DOXA per Subito, Osservatorio 2018

27 ‘Indumenti usati: come rispettare il mandato del cittadino’, in HUMANA People to People Italia, 2015


60

filosofia progettuale

19 Distruggere per creare capitolo diciannove

Oggetti che, per disinteresse, degrado, noia, vengono considerati privi di valore e gettati con noncuranza, agli occhi di un designer attento possono rivelare infinite possibilità. Piccoli patrimoni latenti che aspettano solo un’opportunità di riscatto. Nella bruttezza dell’incuria si intravede la potenzialità. Portatori di identità e memorie nascoste, racchiudono in sé un ventaglio di possibilità. Seppur da una prospettiva commerciale perdono valore, poiché ne è compromessa la consistenza qualitativa, il degrado e i segni del logorio infondono fierezza al tessuto, ferite di guerra di una vita vissuta strenuamente. I vestiti sono troppo spesso presentati come sacrosanti, intoccabili, simbolo di una moda passiva che scoraggia alterazioni e modifiche. La chiave per il nuovo design sta nell’abbracciare il disordine del cambiamento, interferendo su un prodotto considerato finito e restituendolo in una forma alterata. Il designer nel suo atelier crea luoghi di transizione da uno stato all’altro. Intercettando indumenti sulla via per l’inceneritore, il designer li apre, frammenta e ricostituisce, reimmettendoli nel mercato come nuovi prodotti. In rottura con la linearità del fashion, crea un nuovo circuito che si autoalimenta. Un processo circolare di uso e riuso che costruisce valore ad ogni rivoluzione.

20

Design di emozioni capitolo venti

L’appeal di questo prodotto è la connessione emotiva con il capo originario, che si trasferisce sul nuovo prodotto, riportato nella sfera della modernità. Riutilizzando abiti appartenenti ad un tempo passato, le memorie vengono incorporate nella cultura del design contemporaneo. In una sovrapposizione di significati, vecchio e nuovo si incontrano e concorrono a creare un prodotto dal forte contenuto emozionale e simbolico. Un indumento di seconda mano che viene dal sarto ristrutturato in qualcosa di rilevante oggi.

introduzione

La moda è un processo che implica una revisione costante dei significati che attribuiamo agli oggetti e situazioni, “un circuito comunicativo, un luogo di elaborazione e trasformazione dei significati”28 . Gli abiti hanno la capacità di catturare un momento del tempo. Prodotto materico e culturale, la forza dell’abito sta nel far percepire qualcosa di materialmente assente. È un’esperienza di evoluzione narrativa.

28 Bovone, L., Comunicazione: pratiche, percorsi, soggetti, F. Angeli, Milano, 2000, cit. in Pedroni, M., Ruggerone, L. ,2007


61

alla ricerca di nuovi percorsi

introduzione

te sentir près de moi...


62

filosofia progettuale

define the concept

engage in an open dialogue empathy understand the need trust identify the solution knowledge

introduzione

build the prototype

CO-DESIGNED PRODUCT


63

alla ricerca di nuovi percorsi

21

Discorsi sull’estetica capitolo ventuno

Il prodotto-servizio che offre quella che Pine definisce “la personalizzazione collaborativa”29, per la quale il sarto stabilisce le caratteristiche specifiche del prodotto insieme con il consumatore, soddisfa i suoi bisogni in base alle informazioni ricevute. Questo livello di comunicazione fra producer e user permette di creare prodotti su misura ad un livello di intimità e collaborazione tale da creare valore. In un rapporto di fiducia reciproca si procede a realizzare insieme un prodotto che non è solo materiale ma soprattutto esperienza. Una moda sostenibile, creata da materiali di scarto, per avere successo non può prescindere da un design attento e intelligente, che non ne comprometta l’estetica. Un prodotto etico, trasparente e longevo fatto di forme semplici e colori naturali. Una collezione di capi senza tempo, che lasciano spazio alla creatività e all’interpretazione personale di chi li indossa. Questo sistema di costruzione collaborativa offre al cliente un indumento di altissima qualità sartoriale, lavorato individualmente a mano, progettato per incontrare tutte le necessità estetiche e personali del cliente. Non deve infatti basare il proprio lavoro su un concetto astratto di stile ma lavorare a stretto contatto con il cliente per creare abiti contemporanei in cui esso si sentirà forte e a suo agio. Tramite la conversazione aperta tra sarto e utilizzatore, vengono soddisfatti i suoi bisogni più intimi.

« Participatory design

introduzione

has changed the role of the designer: from an author of finished products, like books or furniture, into a developer of frameworks or structures of ‘open works’. » — Deanna Herst 29 Pine, J.B., Mass Customization: dal prodotto di massa all’industriale su misura. Il nuovo paradigma manageriale, 1997

Herst, D., Participatory design, the open form and art education, «Open Design Now», 27 maggio 2011


Ricerca 64

2


65

MARTIN MARGIELA

66

119

L’eccesso degli anni Ottanta...

70

Maison Martin Margiela...

76

Dentro l’artista...

90

Tra mode e antimode

Evoluzione della Maison Decostruire per rinascere Tra realtà e immaginazione

Il designer senza volto L’importanza della memoria in Artisanal e Replica Dressmaker o Dada? Parallelismi tra Duchamp e Margiela

Passato, presente e futuro...

102

Un designer immortale...

114

Rei Kawakubo John Galliano Demna Gvasalia

La celebrazione della creatività Eredità per un futuro sostenibile


66

martin margiela

MARTIN MARGIELA

66

119


67


68

martin margiela

Martin Margiela è stato uno dei pionieri dell’upcycle. Ciò che per altri è spazzatura, senza valore, indegno di attenzioni, per lui è un tesoro e una fonte di ispirazione. Con una pratica artigianale finissima è in grado di trasformare rifiuti e oggetti di scarto in abiti haute couture. Si muove con consapevolezza e rispetto della tradizione per creare capi unici. Seguendo la stessa filosofia progettuale del progetto Kire, Margiela agisce in nome del recupero, salvando indumenti e oggetti abbandonati dall’oblio della dimenticanza, donandogli una nuova vita. Nel rispetto della storia e del tempo passato, crea, attraverso una lavorazione sartoriale, indumenti che esaltano la patina del vissuto.

ricerca

I difetti vengono celebrati, gli errori benvenuti e i tagli diventano strumento di creazione. La sua pratica di frammentazione e ricostruzione del capo ne fa un maestro della decostruzione, la sua passione per la storia un cultore di memorie, la sua particolarissima modalità espressiva un creatore di identità.


ricerca

martin margiela

69


70

martin margiela

ricerca

L’eccesso degli anni Ottanta...


71

l’eccesso degli anni ottanta

22

Tra mode e anti-mode capitolo ventidue

Gli anni Ottanta sono stati un periodo di grandi cambiamenti sociali ed economici. I nuovi leader mondiali hanno inaugurato una politica neoliberista che ha favorito la globalizzazione, dando un impulso all’economia mai sperimentato prima. Nel 1989 cade il muro di Berlino e termina la guerra fredda. Le nazioni dell’Europa dell’est conquistano l’indipendenza con il collasso del comunismo, portando ad una massiccia occidentalizzazione. La Gran Bretagna festeggia nel 1981 il matrimonio reale del principe Carlo con Lady Diana, evento “globale” seguito da 750 milioni di persone. Il progresso tecnologico porta il www, il World Wide Web, rendendo i personal computer accessibili e le televisioni in tutte le case, la norma. Il boom economico di metà decade fa sì che le generazioni più giovani vengano messe da parte, perdendo influenza e impatto sul mercato, a favore delle generazioni più mature. Stabili finanziariamente e influenzati dalle news della politica internazionale, si lasciano ispirare dal guardaroba dei leader mondiali. Le power suit tinta unita di Margaret Thatcher, accompagnate da cappello abbinato e collana di perle, diventano una sorta di divisa per le donne in carriera, un simbolo per esprimere potere e autorità recentemente acquisiti. Anni che segnano un passaggio epocale per le donne, che da una condizione di subordinazione rispetto all’uomo, relegate al ruolo di moglie e madre, rivendicano un inserimento nel mondo lavorativo, un ruolo economicamente attivo nella società, come individui e professioniste. Il termine power dressing viene coniato da John T. Molloty, Dress for Success, 1975, nella quale l’autrice fa riferimento ad un codice vestimentario che rappresenta un fattore di sicuro successo. Suggerisce completi, indossati come un’armatura che dà forma al corpo femminile, in un contesto lavorativo dominato dall’uomo. Si adattano quindi le caratteristiche e i segni del potere maschile al corpo della donna, dando vita ad una versione tutta al femminile della “grande rinuncia”30, un’uniforme che ne segnala la neo acquisita libertà sociale. La rappresentazione della donna di successo - dalle performance di Melanie Griffith nel film Working Girls, 1986, di Lizzie Borden al potente personaggio di Alexis Colby nella longeva serie Dynasty - promuove l’emulazione delle apparenze maschile attraverso l’abbigliamento, per prendere il controllo del proprio futuro. Le spalle si gonfiano, i tessuti si fanno più robusti, le linee più severe: questi sono i nuovi codici stilistici della donna in carriera.

ricerca

Decade di eclettismo, gli anni Ottanta offrono una diversità di stili a cui aderire, mai vista prima. Lavoro e lifestyle si riflettono nella scelta del vestiario, in un vortice di personalità, in un gioco di molteplici identità: le donne vestite per il successo di giorno si trasformano la sera in scintillanti apparizioni. Alle spalline marcate dei completi strutturati per l’ufficio, si alternano la sera abbaglianti mises in paillettes e voluminosi abiti in taffetà. La crescita di popolarità delle serie tv, seguite da milioni di persone, diffonde i trend: acconciature voluminose, spalline esagerate, colori intensi e stampe eccentriche. In particolare, le soap opera come Dallas e Dynasty giocano un ruolo fondamentale nella creazione della cultura di massa della decade, promuovendo codici di ricchezza esibita 30. J.C. Flugel nel 1930 pubblica il saggio The Psycology of Cothes nel quale spiega come gli uomini rinunciarono al loro diritto alle forme di decorazione più brillanti, sfarzose, eccentriche ed elaborate, cedendolo completamente alle donne,

e facendo perciò dell’abbigliamento maschile un’arte tra le più sobrie ed austere. Dal punto di vista sartoriale, questo avvenimento dovrà essere considerato come la “Grande rinuncia” del sesso maschile.


72

martin margiela

attraverso gioielli e vestiti. Il look naturale tramonta, a favore dell’over-the-top: rossetti rosa, arancioni e rossi con lip liner scuro a contrasto, vistose pennellate di blush, capelli testurizzati da permanenti, bigodini e arricciacapelli. L’ensemble è completato da accessori appariscenti: vistose collane, orecchini enormi, tintinnanti braccialetti indossati uno sull’altro e spille che catturano l’attenzione. Parola d’ordine: eccesso come espressione di status. La moda negli anni Ottanta gira attorno a valori materialistici e sfoggio di ricchezza. Al centro di tutto, l’apparire. La corsa alla griffe è rappresentata al suo massimo nel fenomeno milanese dei cosiddetti paninari. Risultato di una società consumistica, ossessionata dalle apparenze, questi gruppi di ragazzi fanno del prodotto firmato un nuovo dio da idolatrare. Il logo diventa uno status symbol, l’ostentazione dei prodotti di marca uno stile di vita. Il culto del successo e dell’efficienza caratterizza questa decade, ponendo una nuova enfasi sull’importanza del fitness e dello stile di vita salutare. La cura del corpo diventa ossessione collettiva, resa popolare dai video di aerobica di Jane Fonda. Tutine aderenti in lycra, scaldamuscoli e collant dai colori sgargianti, fascette per capelli in spugna: questo abbigliamento è un must per tutte le donne che aspirano ad ottenere quel corpo tonico ideale promosso da film come ‘Fame’ e ‘Flashdance’. L’abbigliamento casual e da allenamento, conquista anche le strade, con marchi come Reebok, Nike, Adidas e Fila che promuovono tute e sneakers. La donna sportiva e ambiziosa entra nell’immaginario collettivo come prototipo da imitare, a discapito della ragazza fragile e iper-femminile promossa nelle decadi precedenti. Non a caso gli anni Ottanta sono lo scenario di supermodels come Elle Machpherson, Cindy Crawford, Linda Evangelista che diventano famose, come e più delle attrici. Anche gli stilisti vengono inglobati nello star system, trasformandosi da artigiani a showman. Il consumismo diventato fenomeno globale, la pubblicità sempre più pervasiva, l’immagine diventa strumento di marketing. Così il designer si rende marchio. La cultura dell’apparire regna. L’attribuzione di una rinnovata importanza alle apparenze anche da parte degli uomini dà vita allo stile Yuppie. Acronimo di Young Urban Professional, vede come protagonisti giovani rampanti e ambiziosi che, senza scrupoli, si fanno strada nel mondo del business. Nell’aggressivo ed estenuante ambiente della finanza, il lavoro è inteso come stakanovismo a fini edonistici, mezzo che permette loro di godersi la “bella vita”, vestire Armani, avere i giusti status symbol. Lo stile di chi, invece, negli agi è nato, è costituito da shorts khaki e camicie polo con il colletto alzato. Sono questi i codici vestimentari dei rampolli americani di buona famiglia, studenti dei prestigiosi college Ivy League, comunemente chiamati Preppy31. Izod Lacoste, Brooks Brothers e Ralph Lauren si fanno portatori di questo stile, di questa eleganza rilassata e mai ostentata, fornendo una divisa dallo stile classico e conservatore inspirato agli anni ‘50. Completi in lino, bretelle, maglioni a treccia e corduroy spopolano per i vialetti dei campus.

ricerca

L’avvento di MTV nel 1981 ha un enorme impatto su giovani e giovanissimi su scala globale, dando addirittura il nome ad una generazione. Per la prima volta il mondo della musica entra nella dimensione visuale: grazie ai videoclip, gli artisti diventano pop star. Queste nuove celebrities, che propongono moltitudini di stili differenti, ispirano giovani di tutto il mondo a emularli ad 31 Jonathan Roberts, Carol McD. Wallace, Mason Wiley, and Birnbach, The Official Preppy Handbook, 1980


73

l’eccesso degli anni ottanta

ogni costo. Si diffondono così il New Wave, il New Romantic e soprattutto lo stile Pop. Icona indiscussa per i teenagers di tutto il mondo è la cantante italoamericana dall’improbabile nome d’arte, Madonna, la Material Girl. Dopo la release del suo singolo Like a Virgin nel 1984, migliaia di ragazzine veneranti cercano disperatamente di assomigliarle. Leggings in lycra, minigonne in pelle, cascata di braccialetti, guanti di pizzo e crocifissi al collo compongono il cosiddetto “street urchin look”. Sono tante le controculture che nascono in opposizione all’abbigliamento mainstream, con l’intento di scandalizzare i gruppi culturali dominanti. Derivato dalla scena Punk, il New Romantic è caratterizzato da un’estetica drammatica, fatta di balze, fronzoli e seducenti tessuti. Vivienne Westwood, con la sua prima collezione ‘Pirates’ (FW1982) che evoca dandy, banditi e bucanieri, influenza grandemente questa corrente. Scolli asimmetrici, calzoni alla zuava, ispirazioni unisex, creano un ensemble lussurioso che non nasconde l’intento narcisistico e la devozione all’apparenza dei suoi adepti. Si fanno strada anche altre mode sovversive come il Glam Metal, derivato dell’Heavy Metal, che aggiunge al look tradizionale denim su pelle, colori sgargianti e abiti teatrali sotto forma di platform boots, spandex e accessori borchiati. In questa società consumistica, devota agli eccessi, agli sfarzi, agli sprechi, si crea un terreno fertile per la nascita delle antimode. Simbolicamente più potente della controcultura, sfida in maniera più diretta l’egemonia della moda imperante, invece che proporre un’alternativa specifica. La condanna da parte di alcuni artisti sovversivi alla vanità, all’ostentazione, allo spreco vistoso -teorizzato dal sociologo Veblen32della società contemporanea, fa sì che nascano correnti avanguardiste. Ed è proprio questa la definizione che viene data ai designer giapponesi che sconvolgono la capitale francese a fine decade.

« The Japanese designers were the key players in the redefinition of clothing and fashion, and some even destroyed the Western definition of the clothing system »

ricerca

—Yuniya Kawamura 32 T. Veblen in Teoria delle classi agiate, 1899, sostiene che la proprietà privata non risponde solo a necessità di sussistenza, ma va interpretata come un segno di distinzione e di prestigio sociale. Per questo la ricchezza non viene solo accumulata, ma mostrata in società attraverso l’ostentazione di beni costosi, ciò porta anche ad un singolare gusto, per cui il valore estetico di un oggetto è legato strettamente al suo costo economico.

Kawamura, Y., ‘Japanese fashion’, in V. Steele (ed.), The Berg Companion to Fashion, Oxford/New York: Berg, 2010, pp. 435–500, cit. in Zborowska, A., 2015


74

martin margiela

Yohji Yamamoto 1983

« They stretched the boundaries of fashion, reshaped the boundaries of fashion, reshaped the symmetry of clothes, introduced monochromic clothes, and let wrapped garments respond to the body’s shape and movement. Issey Miyake ‘Seaweed Dress’ 1987

They destroyed all previous

Rei Kawakubo FW 1982

definitions of clothing and fashion. Their concepts were undoubtedly different, original, and new compared with the rules of fashion set by orthodox legitimate designers. »

Issey Miyake ‘Pleats Please’ 1989

ricerca

—Yuniya Kawamura Yohji Yamamoto ‘Shape and cut’ SS 1997

Kawamura, Y., The Japanese Revolution in Paris Fashion, Oxford/New York: Berg., 2004, cit. in Zborowska, A., 2015


75

l’eccesso degli anni ottanta

Issey Miyake, Yoshi Yamamoto e Rei Kawakubo, triade giapponese, impropriamente chiamati “Figli di Hanae Mori”33, ridefiniscono gli ideali prestabiliti di moda. Il 1981 è l’anno che dà inizio a quella che verrà definita la rivoluzione giapponese. In contrasto con il glamour e la sensualità del fashion degli anni Ottanta, i tre designer propongono collezioni dai volumi ampi, colori scuri e lunghezze maxi. I fashionisti occidentali rimangono attoniti. Abiti sottili, monocromatici, senza tempo si accostano a maglieria scultorea, tessuti maltrattati, fili tirati, forme distorte e rigonfiamenti innaturali, in un tributo al pauperismo e l’imperfezione. Lontani anni luce dall’estetica dominante, irrompono nel sacro tempio della moda occidentale con una forza dirompente. Questa invasione è accolta dalla critica negativamente. Vengono infatti usati per descrivere le loro collezioni termini denigranti. Questo nuovo stile, in rottura con tutte le convenzioni esistenti e ideali prestabiliti dal monolite che è la moda occidentale, è definito dalla stampa come Anti-fashion, Hiroshima Chic e Survivalismo post-nucleare. Nonostante le proposte siano molto diverse tra di loro e non ci sia un diretto legame con gli elementi appartenenti alla tipica tradizione giapponese, vengono accomunati e riuniti sotto lo stesso ombrello di stilisti radicali orientali. I tre esplorano i confini del buon gusto, giocando con tecniche innovative e un’estetica dettata da colori scuri, strappi, buchi e volumi mal piazzati. Creano abiti che esprimono valori in antitesi con quelli della tradizionale Haute Couture. Il loro approccio concettuale sfida la concezione canonica del corpo e dei mezzi per valorizzarlo, ricordando al pubblico che è una mera costruzione. Non si ricerca la bellezza e la perfezione, il corpo viene messo in secondo piano. Il loro è un modo di procedere altamente concettuale e astratto, svincolati dal sistema rigido di regole imposte dalla moda. Yamamoto si muove tramite asimmetrie e semplicità estrema, Miyake introduce un nuovo modo d’uso del tessuto e ricerca nei tagli, Kawakubo critica l’idea di femminilità passiva deformando le silhouette con proposte disturbanti. Il contenuto delle loro collezioni, in così netto contrasto con il corollario occidentale, viene quindi assimilato all’estetica decostruttivista e definito ‘Radical Fashion’.

ricerca

Radicale perché mettono in dubbio le abitudini e i taciti principi del mondo della moda, operando all’interno del suo sistema. Sfidano le convenzioni del mondo del fashion nei suoi stessi luoghi e usando gli stessi mezzi che fornisce loro. Il lavoro di questi artisti incarna il malcontento nei confronti della moda mainstream degli anni Ottanta, il modo in cui essa viene prodotta e distribuita, nonché il ruolo dell’artista. I look austeri, sgualciti e scuri sono una rinuncia al finito, un richiamo alla sottrazione, un inno di guerra. La forza distruttiva di questi capi mette in discussione il rapporto tra corpo e capo, ridefinisce il significato di bellezza, fa riflettere sul rapporto tra transitorietà e permanenza. La critica al consumismo accomuna tutti questi designer. Non lasciandosi trascinare nella spirale distruttiva della continua ricerca della novità, il loro lavoro non procede secondo il rapido susseguirsi di trend ma seguendo un processo creativo ponderato e concettuale. Ed è proprio in questo contesto sociale di mode e antimode che arriva Martin Margiela, uno dei designer più atipici e avanguardisti della moda contemporanea.

33. Hanae Mori è una stilista giapponese che presenta le sue collezioni a Parigi dal 1961. Il suo

design tuttavia è femminile e sensuale, valorizza il corpo della donna alla maniera occidentale.


76

martin margiela

ricerca

Maison Martin Margiela...


77

maison martin margiela

23

Evoluzione della Maison capitolo ventitre

Martin Margiela è un designer belga considerato un nome di riferimento nel campo della moda d’avanguardia. Una figura misteriosa, che fa dell’anonimato e della riservatezza estrema uno stile di vita. Prevalentemente associato alla corrente decostruttivista, utilizza spesso un linguaggio astratto e concettuale. La sua predilezione per materiali inusuali e tessuti di scarto lo rende un pioniere del riciclo. Trasformazione, reinterpretazione e recupero, uniti ad un’altissima tecnica sartoriale, danno vita ad abiti volutamente incompiuti e imperfetti. Martin Margiela nasce ad Hosselt il 9 aprile 1957. Laureatosi nel 1979 presso la Royal Academy of Fine Arts di Anversa, ha la fortuna di frequentare il suo dipartimento negli anni di maggior fermento creativo. Contemporaneo del collettivo avanguardista degli Antwerp Six, composto da Walter Van Beirendonck, Ann Demeulemeester, Dries van Noten, Dirk Van Saene, Dirk Bikkembergs e Marina Yee, viene generalmente considerato il settimo membro simbolico. Molto vicini per poetica ed estetica, condivide con i sei di Anversa lo stile innovativo e l’influenza della designer giapponese Rei Kawakubo. Dopo la laurea, lavora per due anni come designer freelance prima di diventare nel 1985 assistente di Jean Paul Gaultier, fino al 1987. Gaultier dichiara in un’intervista per i-d VICE: «He was my best assistant. When after a few years he wanted to leave and start his own collection, I could only be happy for him and wish him good luck».

ricerca

Nel 1988 fonda la sua casa di Moda, Maison Martin Margiela, con la sua business partner Jenny Meirens, proprietaria di una boutique di Bruxelles che ha lanciato innumerevoli artisti emergenti. Jenny lo descrive come il più talentuoso giovane designer mai visto. Margiela è affascinato dall’idea di poter dare una seconda vita agli abiti vintage, rimodellandoli grazie alla sua abilità sartoriale. Crea una moda ricca di provocazioni, sinonimo di rinascita. Lontano anni luce dalla neobarocca estetica dominante e dell’ostentato lusso tipico del periodo, i suoi abiti dalle linee pulite proiettano l’idea di essenziale. Il processo di costruzione del vestito prende forma attraverso una finissima lavorazione artigianale che celebra il difetto. La casa produce collezioni artigianali di Haute Couture nonché collezioni ready-to-wear ad esse ispirate. Margiela viene assunto come direttore creativo della storica etichetta di lusso francese Hermès nel 1997. Portando contemporaneamente avanti il suo lavoro da MMM, questo nuovo incarico gli dà la possibilità di confrontarsi con la lunghissima tradizione della Maison. Qui infatti sperimenta la costruzioni degli abiti classici e forme minimali infondendo il suo particolarissimo tocco, in modo sottile e quieto. Questa chiacchierata collaborazione termina nel 2003, dopo sei anni di collezioni senza tempo, mal percepite dalla stampa. Nel 2002 Maison Martin Margiela diventa pubblica e viene incorporata dal gruppo di Renzo Rosso, Only the Brave. Margiela si dimette dal ruolo di direttore creativo nel 2009, al picco del successo, dichiarando di non riuscire più a sostenere la pressione nel produrre collezioni, data dai ritmi della moda e dalla pressione dei social media. Dopo il ritiro dalla scene del suo fondatore, il team della Maison Martin Margiela continua a creare collezioni anticonformiste e avanguardia nel rispetto della visione del suo fondatore. Nel 2014 Renzo Rosso annuncia la scelta di un nuovo direttore creativo, John Galliano. A simboleggiare il passaggio di testimone al nuovo head designer, Maison Martin Margiela perde la seconda M.


78

martin margiela

24

Decostruire per rinascere capitolo ventiquattro

Il termine decostruttivismo è un movimento di analisi letteraria introdotto a metà del XX secolo dal filosofo francese Jacques Derrida nel suo libro Of Grammatology, 1967. Può essere inteso come una serie di mosse che includono lo smembramento di opposizioni concettuali in sistemi di pensiero gerarchicamente definiti. La terminologia derridiana è di difficile comprensione, soprattutto nell’ambito moda, dal momento che l’autore non ne definisce la sua applicazione. La decostruzione infatti non va trattata come metodo, procedura o risultato. E non è nemmeno un set di teoremi, regole e tecniche. In Letter to a Japanese Friend, 1988, spiega in chiari termini l’impossibilità di definire qualcosa decostruttivista: “All sentences of the type «deconstruction is X» or «deconstruction is not X» a priori miss the point, which is to say that they are at least false”.34 Nella moda il termine “decostruttivismo” può quindi solo avere la funzione di metafora, cioè rendere visibile ciò che prima era nascosto, assente dal discorso. Infatti, il fine della decostruzione è la rottura con gli schemi rigidi del discorso filosofico, la critica all’ordine prestabilito. Nella moda i gesti non conformisti di esporre la struttura del capo possono avere un parallelismo con il cambiamento della struttura del modo di pensare e percepire. È un moto contro l’omogeneità, la sterilizzazione dell’immaginario, la standardizzazione del prodotto. È una demolizione critica che non prevede però la negazione. L’azione di smantellamento del designer utilizza il sistema moda sia come metodo che come oggetto. Attraverso il processo decostruttivo mostra infatti l’arbitrarietà delle fondamenta del mondo della moda, paradossalmente diventandone partner silente per aver utilizzato il suo stesso linguaggio e strumenti. Apparso per la prima volta, come suggerisce Mary McLeod35, a seguito dell’esibizione al MOMA del 1988, ‘Deconstructivist Architecture’, il termine decostruttivismo esce dal suo sistema di riferimento che è la letteratura e si diffonde nei campi dell’arte, architettura e design. Frank Gehry viene definito decostruttivista per le modalità con il quale sfida l’estetica funzionale dell’architettura moderna attraverso i suoi design dalle geometrie radicali, forme irregolari e costruzione dinamicamente complesse. Gehry non si è mai riconosciuto come parte del movimento e anzi è sempre stato contrario all’associazione di questo titolo alla sua persona. Come lui, quando questa definizione ha iniziato a diffondersi nel mondo della moda, sia Martin Margiela che Rei Kawakubo si sono opposti all’applicazione di questo termine filosofico ai loro lavori.

ricerca

Il termine decostruttivismo è stato apposto alla moda dall’esterno, perpetrato da critici e commentatori che cercano di inserire i designer avanguardisti in una cornice interpretativa specifica e riconoscibile. Si diffonde questo termine come utile modalità di classificazione di tutti gli elementi estetici e soluzioni di design che rompono gli schemi predefiniti, per mancanza di definizioni più appropriate. Le proposte di Margiela e Kawakubo, così lontane dall’estetica 34 Derrida, J., ‘Letter to a Japanese Friend’, 1988, in D. Wood and R. Bernasconi (eds), Derrida and Difference, Evanston: Northwestern University Press, pp. 1–5., cit. in Zborowska, A., 2015

35. McLeod, M. (1994), ‘Understanding architecture: Fashion, gender, and modernity’, in D. Fausch, P. Singley, R. el-Khoury, Z. Efrat (eds), Architecture: In Fashion, Princeton: Princeton Architectural Press, pp. 39–123. cit in Gill, A., 1998


79

maison martin margiela

« Martin Margiela, formerly a Gaultier assistant,

in this, his second collection on his own, provided quite a different vision of fashion of the 1990s: a beatnik, Existentialist revival […] The construction of the clothes suggests a deconstructivist movement, where the structure of the design appears to be under attack, displacing seams, tormenting the surface with incisions. All suggest a fashion of elegant decay. » — Bill Cunningham

ricerca

Details, September 1989

Cunningham, B., The Collections, «Details», Settembre 1989, cit. in Granata, F., 2012

Bill cunningham, immagini e testo sulla collezione F/W 1989 di Martin Margiela, in «Details», Settembre 1989


ricerca

80

martin margiela


81

maison martin margiela

« We think the most important similarity between fashion and architecture is that they share the same starting point:

‘Stockman’ Collection SS 1997

the human body. Both disciplines have a function of protecting-if not shelteringthe body, the flesh, and skin, itself. Then, regarding the process, fashion designers and architects both have to think in terms of proportion, structure, volume, and material. »

ricerca

— MMM Studio, J.K., Maison Martin Margiela, «Interview Magazine», 29 novembre 2008


82

martin margiela

diffusa, sono spesso causa di oltraggio, dissenso o semplice sgomento. Ci vuole un po’ di tempo prima che venissero assimilati dal sistema moda e trasformati in prodotti da una certa attrattiva. Acquisendo legittimazione e diventando uno stile riconoscibile accettato dal sistema, la decostruzione nel fashion diventa il metodo contro cui Derrida stesso ci aveva avvisato. La decostruzione nella moda è una sorta di autocritica al sistema. Proiettando immagini di decadimento e povertà, sembra farsi gioco dei canoni della moda. Gli indumenti di Margiela rivelano però una tecnica sartoriale altissima e un cura al dettaglio minuziosa. Non è anarchia, non è distruzione fine a sé stessa. In un continuo strutturare e destrutturare il capo, rivela ironicamente il processo artigianale del sarto, lasciando il prodotto “non finito”. Il designer è inserito nel sistema moda ma ne espone i segreti, tradendolo. Nella collezione Kire la decostruzione è un elemento fondamentale. Non solo il capo originario viene scomposto in pezze e scampoli ma viene anche ricostruito rivelandone le modalità di ri assemblamento delle stesse. La decostruzione, in questa mia versione, rende visibile ciò che prima era assente, cioè il processo di modellazione nonché l’interno del capo stesso. Come nei capi di Margiela, nella collezione Kire tramite la distruzione e costruzione si rivela l’indumento nella sua forma più autentica, gli strumenti e metodi usati per ricomporlo in maniera creativa e il lavoro manuale dietro esso. Cuciture, tagli, rifiniture lasciati esposti rompono gli stereotipi calcificati di cosa ci si dovrebbe aspettare da un prodotto moda, sconvolgendo la percezione dell’osservatore. Il capo perde quell’aura di perfezione, di finito, di ideale con cui è solito essere presentato. Gli elementi lasciati visibili, la fodera che si rivela, i difetti in bella mostra sono segni di cosa era e cosa è, segni di rivoluzione di forma e significato, segni di metamorfosi. Sono segni del processo di risemantizzazione avvenuto tramite l’azione di design. Spesso assimilato al movimento punk per l’estetica comune, il lavoro di Margiela viene male interpretato come una riflessione nichilistica della moda, una reazione contro la realtà economica e sociale del momento. Bill Cunningham arriva addirittura a suggerire che il decostruttivismo nella moda è una risposta culturale ed espressione delle condizioni politiche e sociali del tempo, affermando che la scelta della location e i vestiti devastati fanno eco al collasso dell’ordine politico-sociale dell’Europa dell’est36.

ricerca

Soprannominata “La Mode Destroy”37 per ll’esplicito riferimento all’estetica e sensibilità del punk di strappare e bucare abiti nel tentativo di raggiungere un aspetto trasandato, nel lavoro di Margiela sono presenti imperfezioni, tracce di non finito ed elementi rovesciati, sovrapposti e replicati, regolati da un magistrale equilibrio. Il processo punk prevede la distruzione dei capi fino a renderli inutilizzabili, quello margeliano la creazione di contenuti. In un tentativo di ricerca di nuovi significati, gli elementi vengono spostati dal loro contesto originario e oggetti appartenenti a categorie differenti sono giustapposti. Questa decontestualizzazione e sovrapposizione crea effetti inusuali, inaspettati, sorprendenti. Margiela utilizza materiali provenienti da contesti al di fuori della moda, deprivandoli della funzione originaria e piegandoli al suo volere. L’azione di Margiela può essere descritta come “object trouvé” del fashion38. La decisione arbitraria dell’artista trasforma la funzione e il significato originario dell’oggetto.

36. Cunningham,. B,.Fashion du Siècle, «Details», 8, no. 8, 1990, 177-300, cit in Gill, A., 1998

37. “La mode Destroy”, Vogue (Paris), Maggio 1992, cit in Gill, A., 1998


83

maison martin margiela

Gli elementi di incompletezza, l’estetica sgualcita e l’aspetto rovinato caratteristici del lavoro di Margiela non possono quindi essere interpretato come vera ribellione. Non c’è un messaggio di rivolta dietro i suoi abiti, piuttosto spunti di riflessione sulla funzione dell’abito e del sistema moda che lo produce. Non vuole distruggere la moda, ma salvarla. Allo stesso modo, l’obiettivo del progetto Kire è aprire la strada per una moda più sostenibile e fornire uno spunto di riflessione sul nostro modo di consumare gli abiti. La collezione, creata con materiali di scarto o indumenti usati, si propone come alternativa al veloce ed economico fast fashion e le sue pretese di perfezione e bellezza normativa. Questi indumenti infatti sono fatti di tessuti logori e sgualciti, vissuti e forse anche bistrattati, ma impreziositi dall’azione di recupero. Margiela combinando tessuti spaiati e rilavorando indumenti buttati, ci porta a riflettere sullo spreco e sulla riduzione drammatica di risorse. Può infatti essere considerato il primo vero designer ambientalista, mosso dall’imperativo ecologico di riuso e riciclo come resistenza all’obsolescenza programmata. Gli indumenti riciclati sono rivoltati dentro e fuori, rivelano il loro scheletro e il loro legame con il passato. L’impossibilità della moda di essere innovativa, nonostante sia la sua retorica e falsa promessa, risiede proprio nella sua dipendenza dalla storia. Margiela crea un dialogo da presente e passato, scardinando il mito dell’innovazione che l’industria perpetua. Debo e Loppa dichiarano infatti che Margiela è decostruttivista perché non prende in considerazione solo l’abito in sé, ma anche il sistema che lo produce39. La decostruzione di Margiela è una semplice forma di critica all’ordine esistente. Questa sua estetica del “non finito” rientra nella cornice del decostruttivismo per le sue radici, mezzi di espressione artistica e modalità comunicativa divergente dalla norma.

SS 1993

ricerca

AW 1993

38. Stephen O’Shea, Recycling: An All-New Fabrication of Style, «Elle», no. 2, 1991, 234-239 cit. in Gill, A., 1998

AW 2000

39. Debo, K. and Loppa, L., ‘Margiela, Martin’, in V. Steele (ed.), The Berg Companion to Fashion, Oxford/New York: Berg, 2010, pp. 498–500, cit. in Zborowska, A., 2015


84

martin margiela

25

Tra realtà e immaginazione capitolo venticinque

Margiela è il primo a mettere in questione la modalità di presentazione della sfilata, anticipando di due decadi il format di show esperienziale, molto decantato fino ai giorni nostri, portando l’audience fuori dalla zona di comfort. Maestro nel creare eventi che sfruttavano il gioco, l’ironia e la provocazione, ogni sfilata crea curiosità e sgomento. La radicalità del suo concepire la moda si traduce infatti nella composizione di queste sfilate che sfidano la sacralità del défilé, diventato rituale standardizzato. Gli addetti ai lavori infatti sono arrivati a guardare alle sue sfilate con attesa reverenziale. Margiela gioca con le apparenze. Il suo è un desiderio di voler distorcere i confini tra realtà e finzione. A partire da quel Café de Guerre che nel 1988 a Parigi sceglie come luogo dove proporre la primissima collezione, in cui le modelle si sono trovate a camminare barcollanti su panche in legno, negli anni si susseguono una stravagante varietà di spazi inusuali. Il cimitero di Montmartre, il corridoio di un grande magazzino, il deposito del Salvation Army, la tromba delle scale di una vecchia casa a Pigalle e un supermercato vuoto sono solo alcune delle location che Martin usa per mostrare le sue collezioni, definite dal New York Times come “alternately electrifying or humorous or sexy or just plain weird”.40 Il suo terzo show, tenutosi in un derelitto parco giochi della periferia parigina, è stato così monumentale che Raf Simons lo ricorda come il momento moda che ha avuto il maggior impatto formativo sulla sua vita. Agendo secondo la logica “chi prima arriva meglio alloggia”, le prime file riservate solitamente alle celebrities sono invece riempite dai bambini locali. Durante la sfilata spinti dall’impulso e dalla freschezza giovanile, questi bimbi del quartiere, affascinati da quello che stava succedendo intorno a loro, hanno iniziato a correre sulla passerella, interagendo con le modelle e giocando tra di loro. Tra muri scoloriti decorati da graffiti si susseguono giacche dalle cuciture esposte, cappotti smembrati con maniche aperte e completi di plastica trasparente tenuti insieme da nastro adesivo. Margiela non schernisce solo le ambientazioni lussureggianti delle sfilate delle casa di moda, ma anche la pomposità degli inviti all’evento. Nessuna calligrafia o grafica curata, gli spettatori ricevono un rettangolo di cartone disegnato da uno dei bambini delle scuole del vicinato, a cui è stato dato il compito di riprodurre la loro personale interpretazione di una sfilata di moda.

ricerca

Sullo sfondo di un desolato parcheggio per la sfilata SS89, le modelle dagli occhi bistrati e i volti imbiancati, camminano su una passerella fatta di tela bianca. Ai piedi indossano i Tabi boots41, imbevuti di tintura rossa. Ad ogni passo l’impronta di questi zoccoli viene impressa sul tessuto creando un pattern unico. Questo stesso tessuto è stato recuperato e riusato nella collezione successiva per creare cappotti, giacche e capispalla. Questa sfilata così concettuale suscita una risposta incerta da parte della stampa, a metà tra lo sconcerto e il confuso, a partire dall’invito stampato in un trafiletto di giornale, come fosse un annuncio pubblicitario. 40. Wilson, E., Fashion’s invisible man, «The New York Times», 1 ottobre 2008 41. Nel XV secolo in Giappone furono inventate delle calze con l’alluce separato dalle restanti dita per poter essere indossate con i tradizionali sandali a infradito. Nel Novecento sono state dotate di suole di gomma per poter essere utilizzate all’esterno e nominate Jika-Tabi. Ancora oggi vengono indossate

come scarpe da lavoro. Ispirato da questa calzatura giapponese Margiela propone per la prima volta la sua versione dei Tabi boots nella sfilata del 1989. Il suo design è stato riproposto stagione dopo stagione fino a diventare pezzo iconico altamente richiesto da collezionisti e appassionati. Il loro aspetto surreale che ricorda lo zoccolo di un animale fa sì che chi li vede la prima volta, rimanga sconcertato.


85

maison martin margiela

Sketch di un outfit della stagione successiva creato con il tessuto steso sulla passerella e stampate dalle impronte delle modelle

SS 1989

ricerca

SS 1989 AW 1989


86

martin margiela

Sfilata collezione Spring/Summer 1990, Parigi

« After seeing Martin’s first show in 1988 I didn’t know what to think. We watched it open-mouthed. It was like I had to erase what I thought and knew about fashion. »

ricerca

— Geert Bruloot

O’Mahoni, R., Remembered: The Game-Changing Martin Margiela Show of 1989, «Business of Fashion», 16 febbraio 2016


87

maison martin margiela

Close-up dei motivi del tessuto dipinti sul corpo delle modelle

ricerca

Sfilata collezione Spring/Summer 1992, Parigi

Saint Martin Metro Station, Paris


88

martin margiela

Uno show misteriosamente affascinante si è tenuto nella stazione metro SaintMartin, abbandonata dal 1939. Nella semi oscurità quasi totale gli ospiti assistono ad una sfilata magica e spettrale, presentazione della collezione SS92. Illuminate solo dalla luce delle 1.600 candele fissate sui corrimano metallici, le modelle scendono le tre scalinate sfilando nella penombra, con dipinti sui volti motivi tratti dai capi che indossano, creando un effetto trompe l’œil. Sfidando ancora una volta ogni etichetta, questo display ha costretto le personalità della moda ad assistere alla sfilata in piedi, ammassati contro le pareti sudicie. Per la presentazione della collezione FW 94 Martin rifiuta di attenersi al tradizionale calendario della moda, svicolandosi dall’imposizione della sfilata programmata. Non c’è passerella ma solo il lancio retail di settembre, direttamente nei negozi, nella logica del see now, buy now. Le modelle posano nelle vetrine delle sue boutique di Parigi, Londra, New York, Milano, Tokio e Bonn, creando una simultanea e pubblica opportunità di shopping. Per questa trovata gli viene conferito da Vogue, nel commentario della sfilata il soprannome di Bad boy della moda.42 La duplice ossessione di Margiela per la dissezione e ricostruzione raggiunge il suo apice nel collezione ‘Stock Man’ SS 97, nella quale introduce quello che sarebbe diventato uno di suoi pezzi più iconici. Questo top di lino fa diretto riferimento al manichino da sarto, per riportare l’attenzione sul processo di costruzione dei capi e sul lavoro artigianale che ci sta dietro. Giacche composte di carta da cartamodello, cuciture visibili e look sovrapposti tenuti insieme da spille da balia svelano il risultato della sua ricerca radicale sulla struttura dell’abito. Margiela rivoluziona la narrative, trasformando il manichino, strumento di modellazione dei capi che funge da simulacro del corpo umano, in abito, che a sua volta è indossato dal corpo reale della modella. Questa ambigua correlazione tra corpo artificiale e reale assume un ulteriore significato per la sfilata FW97, nella quale buste di plastica utilizzate per contenere gli abiti sono incollate sui manichini, indossati poi come cappotti a diretto contatto con la pelle. Il contenuto simbolico e concettuale che Margiela rivela in queste collezioni è enorme. Il manichino, emblema delle proporzioni ideali e dittatore della norma, nei confronti del quale il corpo reale è da sempre sottomesso, viene finalmente spodestato dal suo ruolo. In una critica all’ideale di perfezione dettato dalla società, il più tradizionale simbolo della canonicità delle taglie e proporzioni, il manichino, è subordinato al corpo vero di donne reali.

ricerca

Per le due stagioni successive il focus di Margiela si concentra sulla struttura dell’abito, prescindendo il corpo reale. “Quando non indossati, questi pezzi sono completamente piatti’” recita la scritta sul retro dello stage dello show SS98. Uomini in camice bianco da laboratorio presentano gli abiti appesi a delle grucce, come battitori d’asta, mentre nello sfondo viene proiettato un video degli stessi capi indossati. In questa sfida geometrica i capi bidimensionali quando non indossati da un corpo reale cadono perfettamente piatti, come fossero solo superficie. La stagione successiva è il turno delle marionette create appositamente dalla stylist Jane How. Bambole di legno, in sostituzione a modelle in carne e ossa, vengono manovrate da burattinai, come coreografi che orchestrano la presentazione, in una performance allegorica con il chiaro intento di far riflettere lo spettatore sui principi del fashion system e di chi ne tira le fila. 42. Laird Borrelli-Persson, Vogue Paris, Ottobre 1994


89

maison martin margiela

‘Stock man’ Collection SS 1997

‘Flat’ Collection SS 1998

‘Oversize’ Collection FW 2000 FW 1994 ‘Barbie doll’ Collection

ricerca

Per la collezione SS94 Margiela gonfia ironicamente i vestitini delle bambole fino al raggiungimento della misura umana. Mantenendo le proporzioni invariate ma riproponendoli in scale reale, svela le discrepanze tra realtà e rappresentazione. Zip gigantesche, bottoni enormi e tessuti esageratamente spessi decoravano questi capi da Barbie Dolls, resi grotteschi nella trasposizione fedele alle dimensioni della modella. Questo concetto è riproposto nella ‘Oversize Collection’ del 2000, per la quale Margiela presenta dei capi giganteschi modellati su una 78 - taglia italiana, che avvolgono e sovrastano gli esili corpi delle indossatrici. Gioco, ironia, anonimità si sono intrecciati a creare un evento senza precedenti, un mix perfetto di quello che è lo spirito della Maison Martin Margiela. La sfilata FW99 sconvolge tutte le convenzioni. I buyers e la stampa ricevono gli inviti via fax, semplici righe stampate da una macchina. Nessun contatto, nessuna voce, nessun volto per volere di Margiela. Il culto dell’invisibilità rimane così intatto. La consegna fisica da parte di un corriere del classico invito cartaceo romperebbe l’anonimato. L’identità del corriere diventerebbe per traslazione quella di chi invita, cioè Margiela stesso. I riceventi di questo invito hanno la possibilità di accedere per mezz’ora all’area di presentazione della collezione, aperta per un settimana. Non ci sono modelle o passerella, ma un cinema bianco semivuoto nella quale viene proiettato un video low-budget. Immagini di donne che indossano la nuova proposta Margiela o nell’atto della vestizione si susseguono sullo schermo, con i volti rigorosamente tagliati fuori dall’inquadratura. Sono serviti soft drink e popcorn, in netto contrasto con la più tradizionale offerta di champagne. Proponendosi come antitesi del solito fashion show, la visione di Margiela si riconferma coraggiosamente controcorrente.


90

martin margiela

ricerca

Dentro l’artista...


91

dentro l’artista

26

Il designer senza volto capitolo ventisei

In un’epoca in cui tutto è sovraesposto, la cultura popolare rende i fashion designer delle mega star. Margiela guarda con sospetto queste stratificazioni di immagini che si sovrappongono agli oggetti moda. Profondamente irritato all’idea che i media possano appropriarsi della sua persona, si ribella alle tattiche comunicative standard della modazione. Fermamente convinto che la moda debba rimanere ancorata al suo oggetto, combatte con tutte le forze per riportare attenzione sugli abiti. In un industria che pone un’enorme attenzione all’immagine e accessibilità delle sue personalità, dal momento che non propone solo un prodotto materiale ma un contenuto simbolico ispirazionale, Margiela si pone ancora una volta controcorrente. Si rifiuta di rilasciare interviste, non si lascia fotografare, non chiude le sfilate con il tradizionale inchino. Per la sua incredibile elusività viene definito dal New York Times Fashion’s Invisible Man43. Un creatore senza volto, impenetrabile enigma. Margiela tace, sono i vestiti che devono parlare. Di questo anonimato Margiela ne fa una filosofia. La ricerca estrema dell’anonimato si riverbera nella comunicazione del marchio stesso. Il rapporto con la stampa è minimo, limitato a comunicati via fax. Per sottolineare la collaborazione e la collettività di pensiero di tutti i membri del team e togliere l’attenzione dall’identità personale del singolo, la Maison parla in prima persona plurale. La progettazione è un processo collettivo, ogni membro ha la stessa importanza e diritto ad avere una voce. Anche nelle sfilate la spersonalizzazione gioca un ruolo fondamentale. I posti alla sfilata seguono la filosofia del first-come first-served. Sfida le regole gerarchiche convenzionali che prevedono di far sedere nelle prime file le personalità di spicco dello star system. Per la stessa ragione i volti delle modelle vengono resi anonimi. Coperti da veli, nascosti da maschere, schermati da occhiali o semplicemente dipinti da una striscia nera sugli occhi, a questi volti viene tolta l’identità. Le modelle stesse sono spesso sconosciute o addirittura ragazze comuni, cercate tra le strade parigine. In opposizione al culto delle supermodelle diffuso in quegli anni e alla generazione dell’hype, attira attenzione solo con le sue creazioni.

ricerca

Questo culto dell’impersonalità crea anche l’estetica del marchio. I negozi non compaiono negli elenchi telefonici, le insegne non sono immediatamente visibili. Il bianco se ne fa simbolo. Un colore vuoto, assoluto, astratto. Un colore democratico, che mostra i segni del tempo e rivela la caducità. Un colore che racchiude mille sfumature. Bianca è la sua prima etichetta, anonima, carica di significati. Bianco i colore delle boutique e negozi. Bianca la sede centrale e i suoi arredi. Bianco il packaging dalla grafica essenziale. Bianchi i camici da laboratorio ispirati agli atelier tradizionali, la cosiddetta blouse blanche. Come conseguenza non intenzionale della sua scelta radicale, l’interesse da parte dei consumatori non fa che crescere e scaturire ondate di curiosità. Come per primi affermano gli studiosi della scuola di Palo Alto, nella società dell’informazione, la non-comunicazione non può realmente esistere44. L’assenza di Margiela personaggio quindi non lascia un vuoto ma focalizza l’attenzione sulla sua assenza, provocando adesioni che sconfinano nel fanatismo.

43. Wilson, E., Fashion’s invisible man, «The New York Times», 1 ottobre 2008

44. Watzlawick, P., Beavin, J.H., Jackson, D.D., Pragmatica della comunicazione umana, 1967, Palo Alto.


92

martin margiela

All-White Atelier

Incognito sunglasses SS 2008

Stock man

Team di designer di Maison Martin Margiela, 2001, Annie Leibovitz, US Vogue

ricerca

SS 1989


93

dentro l’artista

Il contenuto simbolico presente all’interno degli abiti Margiela eccede abbondantemente il suo valore materiale. Il valore viene costruito dall’imposizione della firma del designer, in questo caso l’imposizione dell’etichetta bianca. Questo rettangolo immacolato di cotone viene fissato con i caratteristici quattro punti di cucitura, a mano, agli angoli, per le linee Artisanal e Replica. Per il ready-to-wear invece Margiela introduce nel 1997 l’utilizzo della numerologia per identificare le categorie e sottocategorie di riferimento. Assegna ad ogni serie di prodotti un numero da 0 a 23 come codice referenziale, senza un ordine preciso. Sull’etichetta, appuntata ora a macchina tra le scapole, sotto il logo della maison i numeri sono disposti su tre file in cui viene cerchiata la cifra che ne indica la linea di appartenenza. Una firma anonima questa etichetta, che deve essere staccata al passaggio di proprietà tra creatore a utilizzatore finale. Uno strappo che rende il capo unico, un gesto che segna il distacco dal dominio dello stilista. La firma bianca ha un potente significato sovversivo in un’epoca in cui il logo è tutto. Come Bourdieu e Delsaut affermano, il valore della griffe è infuso nel prodotto tramite strategie di conservazione e sovversione che passano attraverso una costruzione attenta dell’immagine che circonda il marchio45. L’imposizione della firma è quindi un’operazione arbitraria fondata sul potere magico del creatore. Essa si rende garante del capitale percepito di un prodotto. Nel caso di Margiela, che non offre il suo privato per la costruzione della “vita d’artista”, è proprio questo completo anonimato e l’aura di mistero che lo circonda a garantire la qualità del suo prodotto e amplificare la percezione del suo genio. La rarità di uno rispecchia quello dell’altro.

« Leave it where it is, and it makes a mess of your jacket. Remove it and no one will ever know your clothes are designer »

ricerca

— The Independent

45. Bourdieu, P & Delsaut, Y 1975, ‘La couturier et sa griffe: contribution à une théorie de la magie’, Actes de la recherché en science sociale, vol. 1, cit. in Bigolin, R., 2012

The Independent Saturday Magazine, 1999


94

martin margiela

27

L’importanza della memoria in Artisanal e Replica capitolo ventisette

Autenticità è la parola chiave per la Maison. Martin Margiela non segue le mode. Non imita i successi degli altri. Attinge alla storia per creare un concept di estetica atemporale. Così nasce la linea Replica, iniziata nel 1994. La modesta pratica della riproduzione diventa il punto focale di quello che può essere considerato il suo progetto più radicale. Abiti di seconda mano, provenienti da differenti periodi storici e dagli stili più disparati, vengono copiati e proposti insieme alla collezione. Le riproduzioni sono esatte, fedelissime copie degli indumenti primigeni. Questi simulacri tessili vengono dotati di un’etichetta esplicativa che riporta tutte le informazioni relative alla provenienza dell’originale. Mettendo in discussione l’obsolescenza delle mode e combattendo la dittatura del nuovo, propone copie totali di abiti storici, insieme alle sue innovative creazioni. “Mi piacciono gli abiti che non ho inventato io” confessa lo stilista. Il ruolo del designer come autore dei capi viene quindi messo in discussione, reso virtualmente inutile dal momento che viene tagliato il processo creativo. Esso si fa quindi un semplice tramite di conoscenza, permettendo a questi abiti di continuare a esprimersi, così come sono. Come fosse un catalogo di reperti del passato, una antologia vestimentaria di ciò che era, una collezione di immagini di mode cristallizzate, la linea Replica promuove la storia. Mettendo in passerella abiti del passato, Margiela li ricontestualizza, liberandoli dall’incombenza dell’oblio. Non lascia che questi abiti scivolino nel dimenticatoio, ma li trasforma nell’ultima novità. Stagione dopo stagione la moda si ripropone diversa ma sempre legata a sé stessa, in un perpetuo recupero dal passato, come un uroboro che si morde la coda. Margiela riflette su come non si possa prescindere dal tempo e che una delle maggiori problematiche della società contemporanea sia proprio l’insistenza nel negarlo. Gli abiti selezionati per la linea Replica sono stati assimilati dal sistema moda, e poi ripudiati. Completato il loro tradizionale ciclo di vita, Margiela gli dona una seconda vita. Questa selezione e recupero da parte dello stilista, permette loro di superare la prova del tempo. Similarmente, la filosofia del progetto Kire, in cui decostruzione ed eredità si intrecciano a creare significati, vede come punto focale il vissuto. Nella continua ricerca del nuovo, viene ignorato quello che è stato. E gli elementi fondanti della nostra cultura e tradizione vengono persi in questa corsa sfrenata. Ripescando indumenti che hanno concluso il loro ciclo ne viene preservata l’essenza. Il loro carico identitario non muore con loro ma viene riportato nel presente, reso attuale e contemporaneo. I materiali portano nella nuova forma la storia e la tradizione in loro insita. I capi originari sono investiti di una rinnovata importanza in questa trasformazione. Sono selezionati, recuperati e salvati, per creare un capo ibrido, a cavallo tra passato e futuro.

ricerca

L’impellenza di ritorno all’autentico, al vero, al vissuto, spinge Margiela ad un atto così radicale. Rifiuta di assecondare la richiesta dell’industria del “new, now”. Rimarca il debito che il processo di produzione ha nei confronti della tradizione e storia della moda. Il suo nuovo è il ritorno al livello zero, alle fondamenta. Solo per poi poter ricostruire. In una società che sembra


95

dentro l’artista

‘Replica’ Collection FW 2004

‘Replica’ Collection FW 2005

« The fashion world is so willing to forget that true

‘Retrospective’ Collection SS 1994

innovation is only possible when founded upon a total command of the craft and a rigorous historical knowledge » — Kaat Debo

ricerca

dimenticare che l’innovazione può esistere solo grazie a quelle che l’hanno preceduta, Margiela istruisce lo spettatore, riportandolo alla realtà. Gli abiti si ripetono tra di loro attraverso la storia della moda, ogni volta ascrivendo ulteriori significati. La ripetizione cambia sia il significato dell’originale che della sua nuova manifestazione. Margiela si fa quindi tramite di conoscenza. Il suo non è semplice storicismo, il tempo è oggetto di indagine profonda nella sua transitorietà. Attuando un simile processo di reminiscenza, nel 1999 rivista i pezzi più salienti della sue collezioni precedenti, combinando fogge, forme e stoffe, in un “già fatto” by Martin Margiela. Una retrospettiva che ripropone i design della decade passata nelle tonalità del grigio. Le modelle sfilano marchiate su braccia e collo dalla data del di produzione dell’originale. Ennesima espressione dell’importanza del tempo per Margiela, che dichiara che la bellezza è permanente. Ricontestualizza il passato nel tempo corrente, rendendolo creatività. Non è una bellezza ideale o artistica, è la bellezza della memoria. Debo, K., Maison Martin Margiela ‘20’ The Exhibition, Antwerp: MoMu – Fashion Museum Province of Antwerp, 2008


96

martin margiela

Se all’inizio del Novecento la dimensione dell’arte è strettamente legata alla produzione artigianale, questi schemi hanno iniziato a perdere significato con la riproducibilità illimitata. Le creazioni vestimentarie della linea Artisanal di Margiela tuttavia possono essere annesse nella sfera dell’arte. Numerata Linea 0, viene introdotta per la SS06 da Margiela in qualità di membro corrispondente della Chambre Syndicale de la Haute Couture (sarà solo nel 2012 che questa collezione riceverà il titolo ufficiale). Il suo lusso non proviene da materiali preziosi ma dal lavoro umano impiegato per trasformare materiali di scarto in oggetti di alta moda. I sarti e modellisti che creano i pezzi della linea Artisanal vengono infatti pagati a cottimo, cioè in base alle ore spese per la realizzazione del capo. Queste ore vengono poi riportate nella scheda illustrativa in dotazione al capo, a sottolineare il valore aggiunto del lavoro umano. La visione intellettuale di Margiela concorre con la manualità esperta e introspettiva del suo team per creare arte da indossare. L’artigianalità della prototipazione fa sì che ogni pezzo sia irripetibile, prendendo vita sul manichino grazie al know-how del modellista, comprendendo quindi l’errore umano. I difetti e gli sbagli entrano così a far parte dell’intento creativo. Questo processo personale è un percorso fatto di errori che producono disuguaglianze e unicità. Grazie alla linea Artisanal, Margiela si ritaglia uno spazio in cui si dà la possibilità di riciclare forme del passato senza compromettere la ricerca e sperimentazione che lo contraddistingue. Lavora abiti dismessi con l’incorporazione di oggetti trovati per offrire nuove soluzioni funzionali. Mercatini dell’usato, second-hand shops, negozi vintage per Margiela sono fonte inesauribile di scoperte e illuminazione. Recuperando in atteggiamento quasi reverenziale ciò che altri hanno considerato spazzatura, imbeve questi oggetti di un contenuto emotivo ed emozionale impareggiabile. La sua selezione fa sì che questi oggetti scartati vengano benedetti con la possibilità di una seconda occasione. Questa accozzaglia di vecchie chincaglierie appartenenti a soffitte impolverate trova salvezza nella rielaborazione avanguardista dello stilista. In una ascesa valoriale incommensurabile, diventano alta moda. Margiela con la sua linea Artisanal è stato di grande ispirazione per il mio progetto. Il suo rispetto e reverenza della storia lo inserisce in un ruolo a metà tra archivista e creativo, nella consapevolezza che la moda è ciclica e autoreferenziale, allude a sé stessa e si cita costantemente.

ricerca

Come Margiela scompone e combina oggetti nuovi e vecchi per creare opere uniche, bizzarre sorprendenti, nel progetto Kire vengono inglobati frammenti di memorie lontane in una identità tutta nuova, proiettata verso il futuro. I capi che ne derivano sono infatti moderni, funzionali, pensati per le donne di oggi. Forme classiche e sartoriali si uniscono a tessuti usurati e finiture frastagliate, in uno scontro estetico di concetti opposti. Questa tensione binaria percorre tutta la collezione. Nuovo e vecchio, perfetto e imperfetto, finito e non finito. Incongruenze e difetti che aggiungono significato al prodotto finale, accumulandosi l’uno sull’altro e dandosi valore a vicenda. E sta a chi li indossa vedere in questi paradossi una bellezza inaspettata.

Studio, J.K., Maison Martin Margiela, «Interview Magazine», 29 novembre 2008


97

dentro l’artista

FW 2011 ‘Artisanal’ Collection

SS 1994 ‘Retrospective’ Collection

SS 1990 Artisanal Collection

« We wanted to do

Tank top ingigantito del 200%, costretto da una maglia a rete invisibile

something more than take our creative ideas and develop them through an industrialized process. That’s why we launched our Artisanal line. Its concept was-and still is-to reconstruct new garments by using other garments or accessories, used or new. » — MMM

ricerca

FW 2001

FW 2005 ‘Artisanal’ Collection Ball gown dress from three vintage wedding dresses


98

martin margiela

28

Dressmaker o Dada? Parallelismi tra Duchamp e Margiela capitolo ventotto

Il movimento dadaista si fonda come deviazione della pratica artistica della Resistance, che ha alla base il rifiuto e diniego dell’artista dell’esistente sistema di valori. Il dadaismo fa un passo oltre, proponendo un assoluto individualismo, la messa in dubbio di ogni cosa e la distruzione delle norme preimpostate. Gli ideali fissati vengono sostituiti da azioni casuali, espressione più pura di ciò che l’autore vuole che sia. Quasi un secolo dopo la nascita del movimento Dada, Martin Margiela riporta nel fashion alcuni dei suoi principi e modalità, rendendo possibile un dialogo produttivo tra arte e moda. Incoraggiato da un modo di pensare non sistematico, svincolato dall’appartenenza a una classificazione, tramite l’upcycling si riappropria di quella ironia e volontà di espressione dadaista. Nel suo bricolage vestimentario riscopre il readymade concettualizzato da Marcel Duchamp. Materiali insoliti come cocci di porcellana, carte da gioco e nastri adesivi vengono ricontestualizzati in un contesto di lusso che non appartiene loro. Tramite la sua artigianalità fa di questi objects trouvé elementi desiderabili. Margiela non usa mai il dadaismo come ideologia, ed è proprio questo a renderlo un artista dadaista. Seguendo lo stesso percorso di significazione dell’orinatoio di Duchamp i materiali perdono l’accezione di oggetti di consumo, vengono strappati da loro contesto mondano di appartenenza per essere inseriti nel mondo dell’arte. Sono ora opere uniche, svincolate dal concetto della temporalità. Non è solo l’apposizione della firma che legittima questo ritrovato plus valore, ma anche la volontà concettuale dell’artista e il suo processo di costruzione. La semplice azione della scelta fa sì che si sovrappongano una serie di significati prima estranei, che ne elevano lo status. Ponendo oggetti al di fuori della loro posizione, separa la funzione dalla forma, e viceversa. La linea ‘Artisanal’ è l’esempio più lampante della correlazione delle modalità di pensiero di questi due creatori d’arte.

ricerca

Anche il rifiuto dell’idea di velocità dell’industria moda e dell’introduzione di nuove tecnologia nel processo di produzione crea un parallelismo con il dadaismo. Si concentra sullo studio e analisi della funzione degli abiti e come questi vengono indossati, piuttosto che utilizzare materiali nuovi per crearli. Questa diffusione dell’utilizzo dei materiali tecnologicamente innovativi e di avanzati processi manifatturieri da parte dei suoi contemporanei viene vista da Margiela come l’ennesima illusione di novità perpetrata dal sistema moda. Come quella dada nei confronti del futurismo, questa negazione scaturisce infatti dal ripudio nei confronti dei valori della società e l’attitudine sconsiderata a lodare qualsiasi nuova tecnologia che permette di abbreviare i tempi di produzione.


99

dentro l’artista

‘Duvet coat’ Collection FW 2000

Wig coat and Wig ‘Artisanal’ Collection SS 2005

FW 1990 ‘Artisanal’ Collection Wire and Broken Plates Vest

‘Stock man’ Collection

SS 1997

« To me, Martin is an artist.

‘Artisanal’ collection

FW 1994

Waistcoat Made Of Playing Cards

He uses fashion as a way to express himself, but he could just as easily be a conceptual artist, a great artist. »

ricerca

— Jenny Meirens O’Mahoni, R, Remembered: The Game-Changing Martin Margiela Show of 1989, «Business of Fashion», 16 febbraio 2016


100

martin margiela

fotografie di vestiti stampate su tessuto fluido

Atelier Maison Martin Margiela Arredo Trompe l’oeil

SS 1996

ricerca

‘Trompe l’oeil’ Collection SS 1996

FW 1995


101

dentro l’artista

Non limita la sua passione per l’upcycling e il riciclo alla creazione dei suoi lavori, ma cerca di suggerire un nuovo modo di “agire la moda”. Nel 2004 un articolo firmato MMM appare su A Magazine. Composto da 15 step, viene illustrato ai lettori come trasformare calzini in una maglietta. Questo progetto DIY (do-it-yourself) proposto dallo stilista stesso, che ricorda la descrizione dadaista di come comporre un poema, rompe gli schemi della tradizionale distribuzione moda. Non solo suggerisce al lettore come realizzare i suoi capi direttamente da casa, bypassando le dinamiche di mercato, ma legittima l’utilizzo di un materiale astratto, un oggetto trovato, per la produzione di un oggetto moda. Margiela utilizza anche un altro mezzo tipico dadaista: il trompe-l’œil. Questo effetto ottico permette di trasportare significati da un oggetto ad un altro. Confonde la vista. Carica di significati che non gli appartengono l’oggetto su cui viene stampata l’immagine significante. Sostituisce l’oggetto fisico con l’idea dell’oggetto, fa vincere la rappresentazione astratta sulla materialità del reale. Con ironia e maestria mostra quello che non c’è. Nella collezione 1996 ‘Photoprint’, presenta un completo, t-shirt e gonna di semplice jersey, con impresso un vestito in paillettes. Questa illusione ottica schernisce l’aspettativa dell’osservatore e fa scaturire questioni sulla funzione della moda e del lusso. Un effetto trompe-l’œil che si prende gioco della pretesa originalità creativa della moda.

« The human body as the structure of the garment is something we have been exploring for quite some time now. But fashion is a craft, a technical know-how and not, in our opinion, an art form. »

ricerca

— MMM

Studio, J.K., Maison Martin Margiela, «Interview Magazine», 29 novembre 2008


102

martin margiela

ricerca

Passato, presente e futuro...


103

passato, presente e futuro

29

Rei Kawakubo capitolo ventinove

L’atto moda che più ha influenzato il lavoro di Martin Margiela è stato indubbiamente quello appartenente alla designer giapponese Rei Kawakubo, fondatrice del marchio Comme des Garçons. Entrata nel mondo della moda in tarda età, porta però con sé una sferzante ventata di innovazione. Forte dei suoi studi filosofici, le sue creazioni sono più arte concettuale che vestiti da abitare. Il suo approccio intellettuale e la grandissima qualità artigianale fanno sì che il suo lavoro sia spesso comparato a quello di Margiela. Artista sfuggente, indecifrabile, tagliente, raramente concede interviste, riducendole a risposte sibilline di difficile interpretazione. Come Margiela, Rei Kawakubo lascia che siano i suoi abiti a parlare. L’etica di lavoro che guida Rei Kawakubo e Martin Margiela è la consapevolezza che ciò che è presente si riferisce sempre al passato e che il processo creativo non avviene mai da zero. La continua e veloce sostituzione di immaginario del fast fashion, che recupera e immediatamente scarta elementi appartenenti al passato, estrapolandoli dalla loro storia e tradizione e snaturandoli della loro identità, viene dai due designer visto come un atto di violenza. Rifiutano l’idea che la moda debba essere in costante movimento, attingendo senza scrupoli da ogni possibile ispirazione per reinventarsi. Il loro design ignora ogni trend e stile passeggero. Rende invece vivida la tensione tra precarietà e permanenza, includendo in sé una cruda considerazione del debito che la moda ha nei confronti della sua stessa storia. Nel replicare abiti del passato e riassemblare tessuti diversi mostrano che non esiste un punto di vista oggettivo, fuori dalla storia. Come Margiela, Kawakubo non ascolta le tendenze, si oppone al fenomeno del fast-fashion proponendo la propria idea: i capi sono lavori unici e ognuno di loro esprime una diversa emozione.

ricerca

La discontinuità con l’estetica prevalente si esprime attraverso irregolarità, colori scuri, asimmetrie, tagli sbiechi, volumi ampi. In netto contrasto con i colori sgargianti, i tessuti lucenti e tagli sensuali caratteristici della moda anni Ottanta, lo stile di Rei rifiuta i canoni di genere, occasione e soprattutto bellezza. La sua rinuncia al finito, il richiamo alla sottrazione, la celebrazione del difetto costruiscono il suo immaginario. Rei si pone come opposizione alla mancanza di immaginazione dell’attualità della moda. Spunto fertile di riflessione, la sua moda scuote le fondamenta della concezione di come corpo e capo dovrebbero relazionarsi, ridefinendo la funzione di entrambi. Mentre Margiela muove e disfa le pinces nel suo processo di sovrapposizione e assemblaggio, scomponendo il capo in atteggiamento minimale con modifiche sfuggenti, Kawakubo sembra spingere i limiti dell’interferenza nella costruzione corretta dei capi, stravolgendone le architetture al punto da non capirne più l’origine. Le collezioni Comme des Garçons richiamano un collage di elementi liberamente combinati, un incastro caotico di maniche, tasche e risvolti. Frammenta i capo e lo riassembla attraverso un procedimento di accumulo disordinato. I suoi piazzamenti sorprendenti creano indumenti disturbanti, che dell’abito tradizionale mantengono solo un vago sentore.


104

martin margiela

« Mi interessano le persone. La mia fonte d’ispirazione Advertising Campain

sono le persone che mi circondano. Bello o alla moda sono giudizi personali. Non ho una definizione di bellezza. » — Rei Kawakubo

FW 2015

FW 1982

ricerca

FW 2018 I-d con Rei Kawakubo, «i-d VICE», 28 aprile 2017


passato, presente e futuro

105

Rei crea opere d’arte, che non devono per forza essere capi, lasciando il corpo sullo sfondo. Nella sua concezione di design, l’abito lo prescinde, lo domina. Non lascia che le forme del corpo siano un limite alla sua creatività, anzi, attraverso la sua strutturazione architettonica dei capi, le annulla. Ridefinisce la nozione di corpo ideale, rifiutandosi categoricamente di aderire alla perenne ricerca della perfezione perpetrata della cultura occidentale. La sua decostruzione non si limita all’indumento ma al concetto di moda stesso e alla sua storia. Il corpo della donna non è voluttuoso, sensuale o intrigante. La donna di Rei è forte, indipendente, non si veste per piacere. Fa riferimento alla storia della moda femminile, in particolare alla pratica della deformazione del corpo attraverso gli indumenti, riprendendo elementi strutturali simbolo del destino di schiavitù della figura umana, piegato e maltrattato per assecondare un paradigma estetico etero-imposto. Crinoline, corsetti e bustier vengono quindi riproposti, svincolati dalla loro funzione in una allegorica distruzione del giogo del perseguimento di canoniche proporzioni. Stravolgendone l’uso e la motivazione originaria, toglie a questi elementi il carattere oppressivo che li definisce. Imbottiture, stecche e corsetti vengono così usati per creare bruttezza. Utilizza queste rigidezze per creare deformità sul corpo, stravolgerne le forme, allontanarsi il più possibile dalla figura umana. Innaturale, grottesco e repellente è l’effetto che scaturisce la visione delle sue collezioni. Queste collezioni surreali esprimono valori antitetici rispetto a quelli fondanti alla moda occidentale. Metaforicamente annientati i costrutti culturali, Rei gioca con le forme e i volumi per ricordare all’audience che i prototipi ideali sono solo convenzioni e possono quindi essere sfidati. Margiela invece si muove con l’intenzione di rivoluzionare il concetto stesso di capo, svincolandolo dal sistema rigido della moda fatta da regole specifiche e taciti principi. Con la sua artigianalità combatte le abitudini stazionarie del fashion e ne contesta i metodi standardizzati. Non viene messo in discussione la costruzione dell’abito in sé ma il contenuto della costruzione. Non crea per soddisfare un codice corporeo, ma per un fine estetico estraneo alle regole di movimento e proiezione di corpo nello spazio. Determinato a ridisegnare le forme femminili attraverso la sovrapposizione di strati, Margiela sperimenta forme, stravolge proporzioni, aumenta le dimensioni.

ricerca

La loro strategia di dissonanza rispetto all’estetica diffusa e di disturbo del bello ideale mina lo status della moda. Operano nel sistema stabilito essendone simultaneamente in opposizione. La critica di questi due designer è quindi concettuale. Il suo fine non è la negazione del sistema ma far sorgere interrogativi sulle sue pratiche e istituzioni. Usano il linguaggio istituzionale della moda per creare i loro design, mettendo in dubbio le sue fondamenta.


106

martin margiela

30

John Galliano capitolo trenta

John Galliano è l’epitome del designer diventato celebrità che Margiela ha a tutti costi cercato di non diventare. Completamente immerso nel sistema moda, sempre sotto i riflettori, crea di sé l’immagine d’artista stravagante e glamour. Sempre sopra le righe, circondato da super modelle e attrici, vive una vita di eccessi che non fanno altro che rafforzare la sua immagine di eccentrico stilista. L’inevitabile crash arriva nel 2011, quando viene diffuso un video di Galliano sotto l’effetto di sostanze che rivolge insulti antisemiti a una coppia seduta in un bar parigino. Immediatamente licenziato dal ruolo di design director presso Dior, Galliano si ritira dalle scene per leccarsi le ferite, ripulire sé stesso e la sua immagine. Quando inaspettatamente viene annunciato il suo ingresso alla guida della Maison Margiela, John Galliano sembra assumere lo stile dell’anonimato del suo predecessore. Si mostra in pubblico raramente e centellina le interviste con la stampa. Dichiara infatti: “Ho passato la vita a spingere me stesso e gli altri oltre i limiti, in nome della moda. Ora basta, voglio solo essere un creatore di vestiti”.46 In un’ironica legge del contrappasso, la Maison senza volto viene destinata al designer dalle mille personalità. Maison Margiela si propone come un nuovo capitolo, pagina bianca in cui ricostruire e ritrovare sé stesso. Una rinascita. La scelta inconsueta di Galliano come successore di Martin Margiela ha lasciato attoniti i critici e esperti nel mondo della moda. Lo stile eccentrico di John Galliano, caratterizzato da collezioni oltraggiose e provocanti, sfilate stravaganti over-the-top e un eccesso di lusso, colori, fogge per creare le sue ambientazioni da favola, è lontano anni luce dallo stile concettuale di Margiela. Ma a guardarli da vicino questi due artisti hanno più punti in comune di quanti se ne potrebbero inizialmente immaginare. Il nome di Margiela è sempre stato affiliato alla corrente decostruttivista per la sua esposizione degli stadi intermedi della produzione di un capo, dei microrganismi interni ed elementi strutturali. Galliano invece, nonostante il suo lavoro provi il contrario, non è mai entrato a far parte del novero degli stilisti conosciuti per questa pratica estetica. Non solo ha lavorato su vestiti scomposti e riassemblati fin dal principio della sua carriera, come dimostra la collezione ‘Les Incroyables’ con la quale si è diplomato al Central St Martin nel 1984, fatta di forme storte e proporzioni esplose di abiti dagli infiniti layers, ma soprattutto il suo storicismo si colloca nel decostruttivismo metaforico. La collezione SS86 intitolata ‘Fallen Angels’ viene da lui così descritta: “It was all to do with deconstruction. Removing the mystique and showing the reality. I piped the seams on the outside with gaffer tape”.

ricerca

Entrambi hanno un approccio estremamente inventivo e meticoloso nei confronti delle presentazioni delle collezioni, sconvolgendo i preconcetti relativi alle sfilate e creando un mondo studiato in ogni particolare per dare vita alle loro visioni. Con la selezione dei luoghi, lo staging attento e meticoloso, l’utilizzo delle modelle come mezzo per avvicinare il vestito e chi lo indossa, si pongono in netto contrasto alla consuetudine anni Novanta. Margiela e Galliano 46 . Rossi, E., John Galliano, il Napoleone della moda tornato dall’esilio, «Esquire magazine», 2 luglio 2018


107

passato, presente e futuro

« I felt that I could not cope any more with the worldwide increasing pressure and the overgrowing demands of trade.

SS 2016 SS 2020

I also regretted the overdose of information carried by social media, destroying the ‘thrill of wait’ and cancelling every effect of surprise, which was so fundamental for me. » — Martin Margiela

ricerca

‘Artisanal’ Collection SS 2017 Martin Margiela, ANDAM Fashion Award, 2019


108

martin margiela

scelgono di impiegare spazi inusuali, annebbiando i confini che separano i fashion show e le performance artistiche. Galliano, da sempre affascinato dalla teatralità e dalla retorica narrativa, trasforma luoghi comuni in mondi incantati. Misticismo teatrale e coinvolgimento dei sensi fanno sì che lo spettatore venga trasportato in un mondo in cui è impossibile distinguere la linea di confine tra effettiva realtà e finzione. Sempre provocatore e perennemente contro tendenza, punta di diamante del suo repertorio di collezioni è la sfilata ‘Clochard’, per l’estate 2000, nella quale si ispira all’estetica logorata degli indumenti dei senza tetto che popolano le strade parigine, portando la bruttezza e il degrado della povertà in una dimensione di lusso e sfarzo. L’utilizzo dei suoi abiti come commentario del mondo che lo circonda procede con un processo simile alla critica margieliana. Si pone domande complicate e esplora le possibili risposte attraverso il suo processo di ricerca. Come Galliano, Margiela è interessato alla interpretazione individuale dello spettacolo, unendo elementi letterali e metaforici in una dimostrazione del suo pensiero critico. La passione per l’autentico e il vissuto porta Margiela a scegliere spazi urbani malridotti come scenario delle sue collezioni. In questi ambienti poveri e desolati le sue sfilate, tutt’altro che sfarzose, lanciano una sottile critica all’industria. Tramite funzioni teatrali ingegnose, presenta sfilate più simili a performance artistiche concettuali che a parate mondane. I meccanismi con cui Margiela rivoluziona l’arcaico concetto di défilé sono infiniti e spesso impensabili, come quando fa sfilare le modelle per le strade parigine, facendo sì che si confondano con la folla di passanti attoniti, che si gira a guardarle piene di stupore. In uno spettacolo che richiama il metateatro, pubblico e modelle si confondono, la scena si estende a tutta la location, i presenti non sono solo spettatori ma attivi partecipanti. Comune a entrambi i designer è il desiderio di costruire immaginari totalizzanti, affascinanti scenari che trascinano lo spettatore in un viaggio di mondi lontani, disconnessi dalla realtà. Anche se il risultato visivo dei loro processi può essere definito contrastante, l’intento ultimo per entrambi è svelare i problemi radicati nella relazione tra pensiero creativo e costrizioni sociali.

ricerca

Galliano, moderno maestro di couture, è capace di creare come per magia inebrianti e innovative collezioni da pagine impolverate di storia. La sovrapposizione di strati e maestosi intrecci di tessuti comunica il suo amore per il costume. La tecnica sartoriale altissima gli permette di dare vita a creazioni sbalorditive, che lasciano di stucco gli spettatori grazie alla loro teatralità. Anche l’analisi della relazione complicata tra moda e passato, infatti, ha un ruolo importante nella pratica del design di entrambi. Il paradosso e l’ironia della ciclicità della moda sono costanti punti di riferimento nella poetica di Margiela e Galliano. Mentre il primo integra design di collezioni passate, utilizza abiti di seconda mano, copia e reinventa sé stesso nelle sue collezioni con un approccio immediato e letterale allo scorrere del tempo, il secondo trova ispirazione in ogni epoca e parte del mondo, facendo dialogare contemporaneo e antico in una viaggio di immaginari. Manipolando metri e metri di materiali in fogge sontuose dai colori vivaci è in grado di evocare l’opulenza di epoche antiche e contemporanee, civiltà lontane, racconti millenari.


109

passato, presente e futuro

Nonostante in superficie sembrino appartenere a mondi opposti, i due condividono similitudini fondamentali che fanno sì che Galliano sia un inaspettato ma perfetto successore di Margiela. I sogni escapisti delle sfilate, l’importanza attribuita alla creazione di spettacoli allegorici sensazionali, il trattare il fashion show come un’entità piuttosto che un mero mezzo per mostrare la collezione, sono solo alcuni degli aspetti che rendono le pratiche di questi due designer concettualmente parallele. L’eclettismo artistico di Galliano raccoglie elementi storici e culturali del passato per reinterpretarli in modo nuovo. La curiosità storica di Margiela lo spinge ad un utilizzo e riutilizzo del passato stesso sotto forma di oggetti tangibili. Il punto di partenza è sempre lo stesso: entrambi riconoscono l’importanza della storia, intrigante, necessaria e fondamentale. Galliano, come direttore creativo per Maison Margiela, ha approfondito e cercato di mantenere l’ideologia della label. Grazie alle sue abilità e creatività, nonché la profonda conoscenza della storia, ha prodotto capolavori unici, in una perfetta ibridazione di minimalismo ed eccesso, con qualche tocco di grottesco.

« Martin isn’t a minimal designer. If you look at his early work, it’s full on. The layering, the intricate cuts, the messages. It’s really full on. » —John Galliano

ricerca

SS 2017

SS 2017

Fury, A., The Seduction of Touch: Why Fashion’s Current Fixation is Fabric, «AnOther Magazine», 19 aprile 2018


110

martin margiela

31

Demna Gvasalia capitolo trentuno

Concettuale, decostruzionista, antisistema sono le categorie critiche utilizzate per descrivere la pratica creativa di Margiela, tra le più influenti della moda contemporanea. Phoebe Philo, Marc Jacobs, Alexander McQueen, Raf Simmons, Thom Browne, Jacquemus e Acne sono solo alcuni dei designer e brand la cui produzione artistica fa eco alla filosofia ed estetica del designer belga. Ma primo tra tutti spicca Demna Gvasalia. Nato nel 1981 a Sukhumi, nella Georgia sovietica, cresce in un contesto di povertà e violenza. Con il crollo del regime la sua famiglia è costretta a sfuggire alla pulizia etnica dei separatisti abkhazi per trovare finalmente rifugio in Germania. Rinuncia agli studi finanziari e decide di iscriversi all’Accademia di Belle Arti di Anversa. Al conseguimento del diploma, approda a Maison Margiela subito dopo il ritiro dalle scene del suo fondatore e vi rimane fino al 2012. Si affianca a Marc Jacobs come senior designer di Luis Vuitton prima di avviare il proprio brand, Vetements, nel 2014. Composto da un collettivo di designer anonimi, legati dalla formazione ad Anversa e dall’esperienza a Maison Margiela, Vetemens sconvolge il mondo della moda grazie al forte contenuto culturale delle coraggiose proposte innovative. Dopo solo un anno viene notato dal gruppo Kering e nominato direttore artistico di Balenciaga, storica casa di moda francese. Non nasconde la sua ammirazione per Margiela e anzi le sue collezioni rendono più volte omaggio all’operato dello stilista. Accetta volentieri i parallelismi con lui, consapevole dell’impronta che ha lasciato sul suo modo di concepire e lasciarsi ispirare dai vestiti. Così lo spirito di Margiela, il suo modo di amare i vestiti e il suo scovarci significati nascosti, si materializzano nelle costruzioni di Demna. I riferimenti sono evidenti, e Demna non cerca di nasconderli. Le T-shirt “Elephant in the room” disegnate dai bambini delle elementari sono un chiaro riferimento agli inviti per la sfilata Maison Martin Margiela 89 e l’elefante in questione è la sua onnipresente influenza. Dall’illusione ottica del top “tatuato” alla riproduzione degli iconici Tabi boots, la collezione FW18 di Vetements è un inno quasi letterale all’eredità margeliana, così esplicitato: “Ho voluto analizzare le mie radici in quanto stilista, e quindi sono tornato a pensare agli anni in casa Margiela (…) Tutto è appropriazione, viviamo in un mondo zeppo di riferimenti ai quali ispirarci per creare qualcosa di nuovo. Questa è la sfida che affronto in quanto stilista ogni singolo giorno”.47 Come Margiela condivide la sfuggente nostalgia per il disordine estetico. La passione per le proporzioni oversize, l’interesse per la costruzione e la manipolazione della forma, il suo trasporto per il riciclo di vecchi abiti sono solo alcuni dei campi di ricerca che li accomunano. Annoiato dalla proposta moda, cerca di scuoterne le fondamenta stravolgendo i suoi capi più tradizionali. Fa utilizzo del trompe l’œil, della frammentazione, spostamenti e slittamenti di senso per scardinare l’istituzione così regolamentata.

ricerca

Descritto come rules breaker per la sua esuberanza e azzardi formali, Gvasalia si propone come designer del reale. Rigetta la concezione del brutto. Distrugge

47. Lanigan, R., Vetements accusato di plagio da @ diet_prada, «i-d VICE», 22 gennaio 2018


111

passato, presente e futuro

Vetements Trompe l’œil tattoo mesh top SS 2019

Vetements ‘Elephant in the room’ shirt FW 2018

Maison Martin Margiela Trompe l’œil tattoo mesh top SS 1989

Maison Martin Margiela inviti alla sfilata SS 1990

« Margiela mi ha fatto ‘pensare’ i vestiti. Il suo approccio mi ha spiegato che la creatività non deve avere limiti. Lavorando da Margiela ho imparato che si può fare un vestito stupendo partendo

ricerca

da una vecchia borsa della spesa. » — Demna Gvasalia


112

martin margiela

Balenciaga SS 2020

« Ho anche scoperto la creatività immensa che si sprigiona quando non si possiedono troppi mezzi. In questo modo ho definito la mia identità creativa. Da Margiela ho imparato molto di più sui vestiti, su come innamorarmici, rivoltandoli dentro-fuori, sopra-sotto. Da Margiela ho imparato che devi essere disposto a distruggere un abito, per crearne uno nuovo. Questa è forse una delle cose più importanti che mi ha lasciato in eredità Margiela: distruggere per poter creare. »

ricerca

—Demna Gvasalia Murk, N., L’impareggiabile eredità di martin margiela, spiegata da chi lavorava al suo fianco, «i-d VICE», 26 settembre 2019


passato, presente e futuro

113

e ricuce i capi per creare silhouettes insolite e spiazzanti. Porta in passerella il disordine e la povertà. I suoi vissuti personali influiscono fortemente sulla sua estetica, che riesce a indurre quel sentimento di inquietudine e malessere che ha caratterizzato la sua infanzia. Nella non perfezione trova pace, si identifica. Rifiuta l’immaginario onirico della moda, fatto di eccessi e glamour ostentati. Crea un’estetica del repellente, familiare ma allo stesso tempo anomala. Riesce ad avvistare nell’ordinario lo straordinario e lo traduce in prodotto moda stravolgendone la semantica. Fortemente legato al suo passato fa della strada la sua filosofia. L’autenticità per lui sta nel tornare a quello che conosce. Non inventa niente di nuovo, non rompe con il passato ma attinge esplicitamente dalla realtà che gli sta di fronte. In un’estetica iperrealista, Vetements racconta la cultura urbana, con schiettezza. Incarnazione del mondo contemporaneo, le sue collezioni parlano onestamente di realtà. Alle top model preferisce far sfilare amici, parenti, giovani ragazzi assoldati in mezzo alla strada. Con un approccio ribelle e ironico rinnova il mondo moda, riportandolo con i piedi per terra. Demna con Vetements dà libero sfogo alla sua volontà artistica e alla dimensione creativa. Il brand viene sviluppato da zero, non ha una eredità da onorare, ha la libertà di costruire la sua storia. Le sue tendenze anarchiche si riconfermano nella scelta di violare il tradizionale calendario della moda, non sottostando a quelle regole centenarie che sente non appartenergli. La moda di Demna è infatti critica e protesta. In tutte le sue collezioni troviamo un accenno di dissenso per la società contemporanea e in particolare il sistema moda. Sfarzi e sprechi del settore entrano nel mirino del collettivo, a partire dalle magliette che recitano lo slogan “Il pezzo di carta che controlla tutta la tua vita” in riferimento al dio denaro. Come Margiela prima di lui, fa spesso riferimento a problematiche sociali e ambientali legate al consumismo. Più diretto e immediato, il suo messaggio è immediatamente visibile. Non cerca di nascondere il suo intento. Per la sfilata SS20 ricostruisce il parlamento in una spirale di velluto blu Europa. Inebria gli spettatori con le nuove quattro fragranza appositamente create: Sangue, Soldi, Antisettico e Benzina. Questi profumi dai nomi auto esplicativi sono simbolo del potere, come lo sono la parata di abiti di immediata interpretazione, palesemente ispirata agli indumenti d’ufficio di banchieri, politici e burocrati.

ricerca

Nella sua collezione in collaborazione con DHL, l’azienda di trasporti e consegne express, crea felpe e t-shirt nella sua iconica tonalità di giallo con il logo impresso. Gvasalia cita così il mondo del lavoro behind-the-scene. Un omaggio ai corrieri e operai nella supply chain, perno fondamentale dell’industria troppo spesso dimenticato, che permettono all’industria della moda di procedere mantenendo intatta la sua immagine patinata. La protesta della sfilata AW 21 si rivolge invece all’impatto negativo che il sistema di produzione ha sull’ambiente. Allaga lo studio cinematografico di Saint Denise, portando in passerella la minaccia incombente del cambiamento climatico. La passerella e le prima file sono inondate dall’acqua, in uno scenario catastrofico immagine dell’innalzamento dei livelli del mare. Rivediamo in lui un approccio alla creazione dello show molto simile a quello del suo mentore: sfilate fatte per stupire, far riflettere e sconvolgere. Il suo fine, dichiara, è creare capi che facciano sentire felice chi li indossa.


114

martin margiela

ricerca

Un designer immortale...


115

un designer immortale

32

La celebrazione della creatività capitolo trentadue

L’impatto culturale che il designer belga ha avuto e ha tuttora sulla moda non si limita all’influenza su giovani designer. Il genio di Margiela viene infatti immortalato e riconosciuto in innumerevoli dichiarazioni di ammirazione. Esposizioni museali, documentari, film e mostre raccontano la vita e l’estro di questo designer che è stato capace di trasformare qualcosa di così fugace e materialista come la moda, in opera d’arte, astratta e concettuale. Martin a riguardo dichiara: “Molti dicono che la moda ha una memoria corta e che è ossessionata con l’attualità e la novità. Ma alcune mostre recenti riguardo il mio lavoro hanno espresso proprio l’opposto”.48 La mostra allestita all’ interno del museo Boijmans van Beuningen di Rotterdam nel 1997 è sicuramente la più sensazionale e racchiude in sé la vera essenza di Martin Margiela. Realizzata in collaborazione con il microbiologo A.W.S.M van Egeraat, la mostra 4/9/1615 permette a Margiela di giocare con la concezione del tempo, della rovina, della vitalità della moda e la sua capacità generativa. Margiela crea diciotto vestiti, riproduzioni fedeli di creazioni passate, in una scala di bianchi e grigi. Questi vengono inseriti in box di legno situati all’esterno del museo ma visibili solo dall’interno. Ognuno di questi outfit viene trattato con differenti colture di batteri, lieviti e muffe, creando dei microsistemi, isolati dall’esterno, che intervengono attivamente sui capi, modificandone colore, trama e consistenza. In una metamorfosi metaforica e letterale, gli abiti prendono vita. La curiosità di Margiela lo spinge a osservare da vicino come il tempo agisce sulla materia, e quanto la perfezione sia effimera e fragile. Distruggendo i suoi stessi abiti con muffa e batteri, Margiela mette in parallelo il ciclo naturale di creazione e decomposizione della materia a quello consumistico di acquisto e scarto. Ma non solo. Grazie al posizionamento esterno al padiglione che ne permette la vista solo dall’interno, la mostra problematizza la presenza dell’abito nel museo nonché le difficoltà di conservazione che i musei devono affrontare. “La sua influenza nella moda è stata immediata” dichiara Alexandre Samson, curatore dell’esibizione Margiela / Galliera, 1989-2009. Per questa retrospettiva al palazzo Galliera di Parigi, Margiela lo affianca nel ruolo di direttore artistico. La mostra ripercorre i punti più salienti della storia della Maison, dall’origine fino al suo ventesimo anno di vita. In una passeggiata autografica fra i ricordi, Margiela mostra i suoi primi studi sull’ingigantimento delle proporzioni oversize, i suoi esperimenti con materiali inconsueti, le sue reintroduzione nell’haute couture di abiti di seconda mano e rimanenze di magazzino. Tra cappotti fatti di parrucche (FW97), abiti da ballo smembrati indossati sui jeans (SS91) e turbanti vintage diventati vestiti (SS92) non si può fare altro che percepire il suo amore per il riciclo e l’innovazione.

ricerca

Il Mode Museum di Anversa celebra invece nel 2017 con la mostra Margiela, Hermès Years, il suo operato al gigante del lusso francese. Non compresa dalla stampa, questa accoppiata all’apparenza controversa è stata derisa e molto spesso mal interpretata. A contrasto con l’estetica avanguardista che contraddistingue i prodotti di MMM, le collezioni che Martin produce per Hermès sono incredibilmente piacevoli e “modeste”. 48. Murk, N., Exploring the legacy of martin margiela from the people who knew and worked with him, «i-d VICE», 10 settembre 2019

t


116

case study: martin margiela

Giugno-Settembre 1991 4/9/1615, Rotterdam

« All of Martin’s clothing put everything else out of fashion. »

— Carine Roitfeld

Carine Roitfeld, In His Own Words, Reiner Holzemer, 2019


un designer immortale

117

Concentrandosi sulla qualità, Margiela fa dialogare in un vasto guardaroba di alta sartoria, i suoi due contrastanti mondi di appartenenza, lusso e avanguardia. L’incredibile rispetto per le donne e la sua volontà di farle stare bene nei vestiti che indossano fa sì che Margiela metta da parte il suo sperimentalismo per soddisfare le necessita delle clienti tipo della Maison. Non disegna abiti azzardati e stravaganti per amanti del rischio, ma indumenti solo vagamente decostruiti per donne naturali, di tutte le taglie e età. Non solo crea indumenti ricchi, lussuosi e confortevoli, ma si riscopre artigiano nella costruzione dei capi in armonia con il corpo che vestiranno. Da sempre innamorato della sartoria e dell’abbigliamento maschile tradizionale, continua il suo processo di traduzione e significanza nel rispetto del suo credo ma rimanendo nei confini dell’immaginario di Hermès. La deformazione infatti non va oltre i limiti del buon gusto, le imperfezioni sono centellinate. Rispetta cosi l’identità di Hermès, attingendo dal suo vocabolario per creare abiti contemporanei, che guardano al futuro senza essere futuristici, senza strafare. Con un occhio di riguardo nei confronti dell’immensa eredità e storia di questa Maison, Margiela crea abiti destinati a durare. Collezioni di qualità e fattura senza tempo, si pongono come alternativa all’onnipresente consumo copioso. Ancora una volta il suo lavoro ha un risvolto sovversivo, seppur sussurrato. Nel 2015 esce un docu-fim che cerca di spiegare l’essenza di Margiela. Diretto da Alison Chernick, The Artist is absent svela il suo percorso creativo attraverso la testimonianza dei protagonisti del fashion system che lo hanno incontrato. Susy Menkez, Jean Paul Gaultier, Raf Simons sono alcuni delle celebrities che offrono il ritratto del più schivo dei fashion designer. Appena due anni dopo, segue il documentario We Margiela nella quale la regista Menna Laura Meijer raccoglie interviste e aneddoti dei collaboratori di Martin, in un racconto commovente e inedito della travagliata storia della Maison. In un documentario del 2019, In His Own Words, diretto da Reiner Holzemer, Margiela rompe il silenzio, dando voce alle immagini che si susseguono sullo schermo. Vent’ anni di carriera sintetizzati in 70 capi, un percorso a ritroso che si conclude con la sua sfilata d’esordio. La sua storia viene svelata, ma non la sua identità. Il volto rimane nascosto, si vedono solo le sue mani. Mani da artigiano che hanno creato cosi tanti capolavori e che ora giocano con oggetti della sua infanzia. Lo vediamo tirare fuori scatole bianche, una dopo l’altra, per svelare la ricchezza dell’archivio della Maison. Al suo commentario si uniscono critici, esperti e colleghi designer, a celebrare il suo incredibile lascito. La sua prima onorificenza arriva agli esordi, nel 1989, anno in cui riceve l’ANDAM Fashion Award nella sua edizione inaugurale. Trent’anni dopo viene invitato a parteciparvi in qualità di giudice. È stato onorato per la sua intera carriera e il suo impatto nella storia della moda anche nell’ottobre 2018 con il Jury Prize al Belgian Fashion Awards. Senza rompere il suo anonimato, invece del tradizionale discorso manda un lettera nella quale ringrazia il Belgio, la sua terra madre, che è stato il primo Paese ad onorare il suo lavoro con l’esposizione al MOMU, e poi Parigi, città di adozione, per le retrospettive già citate a Palais Galliera e al Musée des Arts Décoratifs.


118

case study: martin margiela

33

Eredità per un futuro sostenibile capitolo trentatre

Margiela è stato un maestro e un pioniere nel cambiare il modo in cui pensiamo ai rifiuti. Grazie alla sua abilità artigianale e alla passione per il riciclo è riuscito a modificare la percezione del pubblico nei confronti degli oggetti appartenenti alla categoria dell’usato di seconda mano, rimuovendo la loro associazione con la classe operaia, in una operazione di riposizionamento gerarchico nella sfera della Haute Couture. Umili materiali, scarti e rifiuti nelle sue mani si sono trasformati in qualcosa di estremamente desiderabile, connotato da un incredibile valore simbolico e commerciale. Mi ha ispirata nella creazione del progetto Kire con il suo modo di combatte l’obsolescenza programmata e l’iperconsumismo a colpi di strappi e cuciture. Promotore ignaro dello slow fashion, reinventa il modo di percepire e produrre abbigliamento, nel rispetto dell’ambiente e della tradizione. Recupera degli oggetti inusuali che sono ormai giunti alla fine del loro percorso di vita, consumati velocemente e ancora più velocemente scartati, per incorporarli nel mondo moda. Nel progetto Kire invece sono proprio gli indumenti che un tempo appartenevano a quel mondo a cui viene data una seconda vita attraverso la frammentazione, creando brandelli portatori delle memorie e vissuto dell’originale. Questi vengono poi ricomposti in una sovrapposizione di significati, rispettandone la storia mentre se ne aggiunge al contempo una nuova. L’ibrido che esce da questo processo dal caritatevole intento, racchiude in sé storie passate, presenti e future, in un messaggio di speranza. Se Margiela gioca con la manipolazione dei materiali, forzandone l’usura e l’aspetto rovinato, nel progetto Kire invece è il degrado naturale che l’inevitabile scorrere del tempo porta ad essere celebrato. Difetti e incrinature sono segni del tempo, la realtà del capo, simboli del vissuto. Come Margiela non nasconde il procedimento sartoriale di recupero, non cerca di ingannare nessuno con l’illusione della perfezione, così nel mio progetto le finiture incomplete diventano l’elemento protagonista. L’atto decostruzionista è lo stesso: l’abito viene aperto per rivelarne lo scheletro. L’essenza del capo, cioè il lavoro manuale di costruzione, è sotto gli occhi di tutti. Come lo è la sua potenza trasformativa. Margiela è stato il primo a riportare l’attenzione su una grande verità: il prodotto moda non esiste solo nella sua luccicante completezza. Il prodotto finito è solo la fine di un lungo processo creativo, fatto di errori, sbagli e mancanze. Ed è proprio questa consapevolezza che mi ha portato a sviluppare questa collezione. Fodera in bella vista, bordi sfilacciati e finiture non ultimate, sono il mio atto di sfida all’idea di perfezione. Il mio affronto artigianale a quei canoni di inaccessibile bellezza che non sono miei e che non posso accettare. Quello di Martin Margiela è un lascito prezioso, una proposta senza tempo che sovrasta tutte le regole e leggi, un modo emozionale di pensare la moda che continuerà ad ispirare designer per generazioni a venire.


un designer immortale

119


Progetto 120

3


121

KIRE

122

165

Tra moda, arte e filosofia...

124

Rivelare ciò che viene nascosto...

130

Dicotomie trasformative...

136

Meravigliosamente imperfetto...

154

Veicoli di memoria ed ereditĂ generazionale...

158

Moodboard Conceptboard

Figurini illustrativi Disegni tecnici

Cartella materiali

Shooting fotografico


122

kire

KIRE

122

165


123


124

kire

progetto

Tra moda, arte e filosofia...


tra moda, arte e filosofia

125

Il progetto Kire si ispira alle filosofie estetiche giapponesi che promuovono semplicità e l’armonia con la natura. È infatti insito nella cultura orientale il considerare il tempo e la natura come un flusso inarrestabile. Questo scorrere del tempo porta con sé una serie di bellezza inaspettate. Lontani dagli ideali di perfezione promossi dalla società occidentale, i concetti di Mono No Aware e Wabi Sabi raccontano le bellissime conseguenze del divenire. L’accettazione della patina del tempo, il meravigliarsi di fronte agli effetti della transitorietà, il cogliere scorci di bellezza nelle cose più ordinarie. Sono questi i sentimenti malinconici che sorgono nell’animo di chi sa guardare con attenzione la realtà nella sua fugacità. Kire è una pratica letteraria, artistica e spirituale che vede nel ‘tagliare fuori’ un modo per avvicinarsi alla verità. Eliminato il superfluo ci si avvicina all’essenza. Il taglio nel progetto Kire diventa atto di ribellione all’oppressione del possesso, del consumo, del materialismo. Rivendica un intimità con ciò che ci rappresenta veramente. Il taglio non è distruttivo, ma rigenerativo. Attraverso il taglio infatti si costruiscono forme, significati, storie che parlano del passato e del futuro. La condizione di caducità che permea tutte le cose spinge animi compassionevoli ad attuare pratiche salvifiche potentissime. L’arte del Kintsugi è un inno alla resilienza. Tecnica artigianale antichissima prevede la ricomposizione di vasellame distrutti, raccogliendone i cocci per ricomporli con l’oro. Rammenda le fratture disordinate di un artefatto in una trama unica e irripetibile, rinnovandone la bellezza. In questa nuova estetica che ne celebra le ferite risiede la volontà di riscatto e la forza di reagire. Un intreccio di linee, che una volta erano imperfezioni, ora è simbolo di salvezza e seconde possibilità.

progetto

Ed è proprio con questa attitudine che nasce il progetto Kire, un’operazione di recupero di indumenti usati e materiali dismessi. Questi tessuti nella loro condizione di degrado, consumati dall’uso e dalla vecchiaia, vengono rivalutati per le loro nuove qualità estetiche e simboliche. Immagine opaca di ciò che erano un tempo, la patina di invecchiamento non fa che renderli malinconicamente suggestivi. In un sentimento di compassione ed empatia questi indumenti vengono tagliati, frammentati, per essere ricostruiti in una nuova forma. Forti delle ferite che li hanno ridotti alla categorizzazione di spazzatura, mostrano orgogliosi la trama di vuoti derivati dalla frammentazione.


126

moodboard

PANTONE P 179-16 U PANTONE P 169-1 U

PANTONE P 178-1 U

PANTONE P 178-5 U

PANTONE P 179-16 U

progetto

PANTONE P 179-14 U


tra moda, arte e filosofia

127


128

concept board

taglio ferita

progetto

usura


tra moda, arte e filosofia

memoria

nostalgia imperfezione bellezza

129


130

kire

progetto

Rivelare ciò che viene nascosto...


rivelare ciò che viene nascosto

131

Il progetto Kire nasce in collaborazione con Aiuffass, International Association of Users of Artificial and Synthetic Filament Yarns and of Natural Silk. La richiesta IN &OUT ha come obiettivo la valorizzazione della fodera. Elemento imprescindibile per la costruzione del capo, è garante di comfort e vestibilità. La fodera, data la sua allocazione nascosta, viene troppo spesso dimenticata, resa sterile dalla noncuranza. Nella realizzazione di questa collezione mi sono quindi concentrata sulla sua esaltazione, tentando di restituire dignità a questo materiale così facilmente trascurato. Tramite un processo di frammentazione ho fatto a pezzi indumenti preesistenti per poi ricomporli in una nuova forma. Ed è qui che entra in gioco la fodera. Ha infatti l’incarico di sostenere i pezzi e tenerli assieme. Diventa parte fondamentale della collezione, tassello imprescindibile senza la quale non ci sarebbe unità. Solo elemento strutturale in grado di reggere il capo, la sua mansione è ora architettonica. Questo nuovo incarico nodale la investe di una rinnovata importanza. La fodera non è più nascosta dal tessuto, ma ne raccoglie i brandelli.

progetto

Il ruolo della fodera non si limita alla funzione pratica, ma è veicolo che permette di percepire l’originale nella sua interezza. La stretta relazione tra il nuovo capo e la memoria degli indumenti originali si manifesta attraverso la trama di tagli. Questo pattern unico rivela la bellezza della fodera sottostante. La separazione dei layer, nella sua evidenziata visibilità, crea un motivo che concorre a creare l’unicità del capo. Non più nascosta e umiliata, la fodera esce allo scoperto nella fierezza della sua vivacità.


progetto

132

figurini illustrativi


progetto

rivelare ciò che viene nascosto

133


progetto

134

figurini illustrativi


progetto

rivelare ciò che viene nascosto

135


136

kire

progetto

Dicotomie trasformative...


dicotomie trasformative

137

Il taglio implica un’accettazione del vuoto. Solo tramite la creazione della mancanza si può rivalutare ciò che invece è pieno. Il vuoto infatti non è simbolo di perdita o distruzione ma emblema del percorso di rinascita. Gli spazi negativi indicano infatti il processo di trasformazione e risemantizzazione dell’abito. Ciò che è stato e ciò che è ora. Rammendate in un patchwork irripetibile, i frammenti degli abiti di recupero esprimono tutta la loro nostalgica bellezza in un gioco di vuoti che si riempiono di significati. In uno stato di assenza in presenza, la struttura in fodera sottostante permette alla mente di completare l’intero. Così viene chiamato alla memoria quello che non è più qui. Il taglio degli indumenti usati annulla la loro condizione di subordinazione rispetto al nuovo. Estrapolandoli dall’originale e ricucendoli sotto una nuova forma, vengono salvati dalla dimenticanza. Attraverso la decostruzione del capo e la sua frammentazione, le pezze di tessuto ricavate acquisiscono una nuova funzione performativa. Hanno ora la possibilità di essere indossati e vissuti ancora una volta.

progetto

Reinterpretati in nuovi abiti moderni, creati per il presente con i materiali di un passato che si vuole proteggere gli abiti sopravvivono, e con loro le storie che custodiscono nei propri orditi. L’autenticità non viene compromessa, ma tradotta con rispetto nella nuova esperienza sensoriale che è il loro rinnovato aspetto.


138

kire

1

2

SELEZIONE DEL CAPO DA RECUPERARE

MAPPATURA DELL’INDUMENTO E PROGETTAZIONE DEL CARTAMODELLO

3

progetto

CREAZIONE DEL PROTOTIPO E SDIFETTAMENTO

4

FRAMMENTAZIONE DEL CAPO SEGUENDO LA SUA STRUTTURA


139

dicotomie trasformative

Per la realizzazione del capospalla ho voluto utilizzare un indumento di grande valore affettivo per me. Questa è infatti la giacca che mio padre ha indossato al mio battesimo. Ventidue anni dopo può aver perso il suo valore commerciale, può non essere più alla moda, può apparire stinta e logora, ma rimane per me un simbolo, una memoria, un sentimento. Un pezzo della storia della mia famiglia che non sono disposta a lasciar andare. E per questo ho deciso di donargli una seconda vita. Ho mappato questo capo, dimesso e da tempo abbandonato sul fondo di un armadio, per poi scomporlo e riassemblarlo in una nuova narrativa, una collezione di pezzi di memoria sostenuti dalla fodera. Tagliando lungo le sue cuciture originali, scontornando i volumi e aprendo le pinces ho utilizzato le sue ‘ferite’ come linee guida per la realizzazione del nuovo indumento. I nuovi frammenti, tenuti insieme dalla fodera, ricordano così la costruzione originaria, sono i segni della sua vita precedente. Il taglio, strumento di distruzione e frammentazione, diventa fondamentale per la costruzione della nuova identità. Grazie ad esso infatti la storia legata a questo capo non viene perduta, ma si sovrappone a tutte quelle che verranno. La fodera non solo ha il necessario compito strutturale ma, attraverso il contrasto della dicotomia assente-presente, diventa elemento decorativo preponderante. Distruggendo il vecchio abito, separandolo nelle sue parti strutturali e ricomponendolo in un nuovo design, si crea un collage artistico di nuovi significati da indossare. Un capo da vivere nel presente, ricordando il passato.

5

progetto

ASSEMBLAGGIO DELLE PEZZE E DELLA FODERA

6

CONFEZIONE, FINITURA E FITTING DEL CAPO


140

disegni tecnici

DAVANTI

DIETRO

fodera intera struttuale toppe applicate tagliate al vivo

tasca applicata nascosta

progetto

dritto tessuto rovescio tessuto dritto fodera rovescio fodera


141

dicotomie trasformative

scollo con solino e reverse classico dentellato

fodera intera strutturale doppiata e intelettata

progetto

toppe in tessuto gessato di recupero tagliate al vivo e applicate su fodera


142

disegni tecnici

tessuto gessato di recupero proveniente da giacca da uomo usata

toppe applicate tagliate al vivo

giacca monopetto oversize costruita su taglia 48 uomo

progetto

orlo rifnito da finte paramonture applicate

fodera intera strutturale intelettata e doppiata


143

dicotomie trasformative

ESPLOSO INTERNO

tasca applicata nascosta toppe applicate tagliate al vivo

ESPLOSO ESTERNO

sacco tasca

finte paramonture applicate

fodera intera struttuale

Fodera fornita dall’azienda Gianni Crespi Foderami s.r.l., associazione Aiuffass progetto

dritto tessuto rovescio tessuto dritto fodera rovescio fodera


144

disegni tecnici

DAVANTI

DIETRO

tasca a filetto

progetto

dritto tessuto rovescio tessuto dritto fodera rovescio fodera


145

dicotomie trasformative

fascia in fodera doppiata

spallina a fascetta con chiusura a clip nascosta

corpino asimmetrico strutturato da tagli

impuntura che unisce i lembi di tessuto

orlo ripiegato con angolo a cappuccio unito alla fodera

progetto

spacco tra i lembi di tessuto in lino foderati


146

disegni tecnici

taglio passante impunturato

sacco tasca in fodera inserito nello spacco tra i lembi di tessuto

pence

tasca a filetto

progetto

risvolto con angolo a cappuccio


147

dicotomie trasformative

ESPLOSO INTERNO paramontura

Tessuto in lino fornito dall’azienda Monnalisa S.p.A.

risvolto con angolo a cappuccio taglio passante impunturato

sacco tasca in fodera inserito nello spacco tra i lembi di tessuto

DAVANTI

DIETRO sacco tasca in lino nascosto tra fodera e tessuto esterno zip invisibile impuntura che unisce i lembi di tessuto

progetto

dritto tessuto rovescio tessuto dritto fodera rovescio fodera

risvolto con angolo a cappuccio


148

disegni tecnici

DAVANTI

DIETRO pezze di tessuto increspato applicato secondo pattern asimmetrico

zip invisibile

fodera intera strutturale

progetto

dritto tessuto rovescio tessuto dritto fodera rovescio fodera


149

dicotomie trasformative

DIETRO

DAVANTI fodera intera strutturale

pezze di tessuto assemblate secondo pattern simmetrico di cuciture esposte

tasca applicata

progetto

dritto tessuto rovescio tessuto dritto fodera rovescio fodera


150

disegni tecnici

DAVANTI

DIETRO chiusura con bottone

pezze di tessuto assemblate secondo pattern geometrico di tagli e cuciture

progetto

dritto tessuto rovescio tessuto dritto fodera rovescio fodera


152

dicotomie trasformative

DAVANTI

DIETRO gancio strutturale

cuciture strutturali esposte a sandwich tra le pezze di tessuto e di fodera tagliati al vivo

pezze di tessuto assemblate secondo pattern simmetrico di cuciture esposte

progetto

dritto tessuto rovescio tessuto dritto fodera rovescio fodera


152

disegni tecnici

DAVANTI

DIETRO fodera esposta con cucitura strutturale

zip invisibile

tessuto doppiato con taglio asimmetrico

zip invisibile

gancio strutturale

progetto

dritto tessuto rovescio tessuto dritto fodera rovescio fodera


153

dicotomie trasformative

DIETRO

DAVANTI

chiusura a gancio pezze di tessuto assemblate secondo pattern asimmetrico di cuciture esposte

cuciture strutturali esposte a sandwich tra le pezze di tessuto e di fodera tagliati al vivo

progetto

dritto tessuto rovescio tessuto dritto fodera rovescio fodera


154

kire

progetto

Meravigliosamente imperfetto...


meravigliosamente imperfetto

155

Gli elementi poetici che l’estetica del rovinato intrinsecamente possiede fanno scaturire sentimenti nostalgici negli occhi di chi guarda. In una profonda manifestazione visiva della temporalità, la patina dell’antico vela tutto il vissuto. Il tessuto è capace di portare con sé la propria eredità, è perenne allusione alla sua stessa memoria. La sua capacità di trasformarsi, la sua dinamicità e fragilità devono essere concepite come una qualità imprescindibile e per questo rispettate. L’espressione del tessuto è qualcosa che evolve durante tutto il suo ciclo di vita. I vari stimoli, accadimenti, eventi che hanno contraddistinto il suo uso concorrono a creare effetti unici nella loro personalissima azione. In questa collezione viene rivalutato il naturale processo delle cose. L’invecchiamento e le imperfezioni sono conseguenza del tempo, fautore di bellezze. Abbracciando il credo spirituale giapponese del Wabi Sabi, si può vedere valore anche nella corrosione prematura della materia, nel logorio dell’usato, negli effetti della dimenticanza. Il vecchio tessuto non è corrotto e deturpato, macchiato e usurato. È vissuto. Trasformato dall’esperienza, la sua estetica si compone di decadimento e imperfezione. Il progetto Kire è una celebrazione delle imperfezioni. Tutti i tessuti di questa collezione sono infatti tessuti di recupero, scampoli e frammenti di vestiti usati. I capi dismessi e dimenticati, rovinati dall’usura e dal tempo, ormai alla fine del loro ciclo di vita vengono recuperati e salvati per essere reinterpretati in un nuovo abito. Trasformati grazie al processo di upcycling, trovano un nuovo scopo e vitalità. Per questo motivo, i tessuti presentati nella cartella materiali sono ipotetici. Sono infatti scampoli ricavati da abiti smessi che ho recuperato dal mio guardaroba personale. Su di essi ho ipotizzato e costruito la collezione, immaginandoli riproposti nei capi che sono andata poi a disegnare. La fodera Amber Gold - FAD -, fornita dall’azienda Gianni Crespi Foderami, è l’unico tessuto di tutta la collezione a non essere di recupero, o usato. La fodera nel progetto Kire ha una estrema importanza dal momento che è l’elemento decorativo principale di tutta la collezione, oltre ad avere una funzione strutturale imprescindibile. Il progetto Kire nasce infatti dall’invito del consorzio delle aziende di foderame italiano Aiuffass, che ci ha posto come obiettivo la valorizzazione della fodera, un materiale povero e dimenticato.

progetto

Il lino bianco - LNB - è invece un tessuto di recupero, rimanenza di magazzino fornita dall’azienda Monnalisa S.p.A. Questo tessuto, destinato ad essere buttato, mi è stato invece regalato per la confezione dell’outfit. Tolto dalla sua condizione precedente di rifiuto, è stato da me trasformato in un prodotto nuovo e funzionale. Questa collezione è progettata per dare la possibilità a qualsiasi tipo di tessuto di essere riutilizzato. Gli outfit proposti prevedono l’utilizzo di materiali di diversi pesi, trame, rigidità e texture. Sono impiegati tessuti leggeri e pesanti, trasparenti e opachi, texturizzati o dalla mano liscia, rigidi o elastici. Abbracciando un così ampio range di tessuti, il design degli abiti permette a ogni tipologia di materiale di scarto di essere riutilizzato per la loro confezione..


156

cartella materiali

Cartella Materiali... DMB

GBG

Denim Bianco 98% Cotone 2% Elastan

LCM

Gabardine Gessato Grigio Scuro 65% Poliestere 35% Viscosa Tessuto di recupero proveniente da giacca uomo tg 50, Dolce&Gabbana JBS

Lanacotta Melange 50% Lana 50% Viscosa 340 g/m2

progetto

GCB

Jersey Bianco Stretch 96% Cotone 4% Elastam SPN

Gabardine Canaria Bianca 100% Cotone

Similpelle Nera 100% Poliuretano


157

meravigliosamente imperfetto

RCN

RSG

Raso Grigio 100% Viscosa

Rasone Cady Nero 100% Poliestere CGN

PPG

Crepe Georgette Nera 100% Poliestere

LBM

FAD

Lino Bianco 100% Lino Rimanenze di magazzino Monnalisa s.p.a. SPB

progetto

Popeline Grigio 100% Cotone

Similpelle Bianca 100% Poliestere 500 g/m2

16-1139 TPX 835 Fodera Amber Gold 60% Viscosa 40% Acetato Gianni Crespi Foderami s.r.l.


158

kire

progetto

Veicoli di memoria ed ereditĂ generazionale...


progetto

veicoli di memorie ed ereditĂ generazionale

159


progetto

160 kire


veicoli di memorie ed eredità generazionale

Siamo in qualche modo disconnessi da noi stessi, abbiamo perso di vista cosa è vero e genuino in questa corsa all’accumulo, senza considerare quali sono i nostri reali bisogni. Soddisfiamo i nostri capricci con l’abbondanza, riempiamo il vuoto lasciato dalla mancanza di connessione e significato con l’ennesimo indumento sterile, alterniamo stili su stili solo perché così ci dicono. La leggerezza con cui reinventiamo noi stessi, stagione dopo stagione, attingendo da un guardaroba infinito di indumenti copia l’uno dell’altro, impoverisce la nostra forza identitaria. Solo grazie alla realizzazione di quali sono i nostri bisogni potremo arrivare alla creazione di indumenti di valore.

161

Usiamo i vestiti per rappresentare la nostra interiorità, per identificarci, per dimostrare appartenenza, per renderci singolari. Gli abiti sono immagine di chi eravamo e chi vogliamo essere. Invece che sbarazzarsi del vecchio e deteriorato, gli indumenti di questa collezione celebrano le macchie e le smagliature del tessuto. Sono infatti risultato di esperienze preziose. La trasformazione che quello che rimane del capo ha subito, attraverso gli accadimenti della vita, non fa altre che accrescerne il valore.

progetto

Il materiale grezzo viene salvato, recuperato dagli stessi che lo hanno indossato per anni e lo hanno logorato con l’uso. La manipolazione di un tessuto che è pezzo di storia implica la massima cura e attenzione, il rispetto delle sue origini e la presa coscienza delle sue sofferenze. Il capo infatti è intrinsecamente connesso alle sue memorie, ci fa connettere con le nostre radici. I vestiti sono oggetti intimi, a contatto con la pelle, imbevuti del nostro odore. Portano con sé i posti che hanno visitato, le persone che hanno conosciuto, gli eventi di cui sono stati partecipe.


progetto

162 kire


progetto

veicoli di memorie ed ereditĂ generazionale

163


progetto

164 kire


progetto

veicoli di memorie ed ereditĂ generazionale

165


166

kire

progetto

Ăˆ insito nelle persone il desiderio di rielaborare continuamente la propria esperienza. La memoria non è sono un archivio di fotogrammi del passato ma terreno fertile da esplorare. Il recuperare le risorse dal guardaroba personale per poi creare una nuova narrativa relativa all’indumento, fatta di ricordi e affetto, crea un sentimento di connessione e attaccamento emotivo che nessun oggetto nuovo di zecca può farci provare.


veicoli di memorie ed eredità generazionale

progetto

Incorporando nel nostro presente oggetti del passato, antichi cimeli, pezzi di storia, gli restituiamo vitalità. Tesori di famiglia che possono avere la forma di gioielli, foto, diari, ricette di cucina, armadi vintage e collezioni di monete, sono da noi conservati con cura e considerati dal valore inestimabile. Rappresentano vittorie, amore, successi, trionfi, fallimenti o addii. Qualsiasi sia la loro origine o narrativa, se hanno una connessione con il nostro passato ci sentiamo in dovere di preservarli. E perché non fare lo stesso anche con gli abiti?

167

Adolf Loos, nel suo articolo del 1908, In Praise of the Present, dichiara: “Every piece of furniture, every object, every thing had a story to tell, the story of our family. Our home was never finished, it developed with us, and we with it”.49 Similarmente a quello che succede alle componenti d’arredo della sua casa, i ricordi delle esperienze si materializzano negli oggetti che ci circondano. I nostri vestiti in particolare sono potenti veicoli di significati. Gli abiti sono protezione, proiezione, espressione. Oggetti che ci abbracciano, imprescindibili, che non possiamo non portarci dietro. Dalla straordinaria potenza nostalgica, gli indumenti si fanno narratori silenti di emozioni perdute. Traccia di un passato che si vuole cristallizzare e preservare per sempre.

49. Adolf Loos, ‘Ornament and Crime: Selected Essays’, trans Michael Mitchell, Ariadne Press, 1998, cit. in McBride


progetto

168 kire


progetto

veicoli di memorie ed ereditĂ generazionale

169


164

kire


veicoli di memorie ed eredità generazionale

165

Il progetto Kire si propone come alternativa sostenibile alla produzione e al consumo esasperati. Utilizzando materiali di scarto e indumenti di recupero nella creazione della collezione non solo si evita il dannoso impatto ambientale che la produzione di nuove fibre comporta ma si salvano dei tessuti dall’incenerimento e abbandono in discariche. Tramite un’azione di upcycling, i materiali che sono ormai alla fine del loro ciclo di vita vengono reinventati in prodotti moderni, acquisendo valore. Seguendone le linee e gli elementi sartoriali, il capo viene aperto e suddiviso in pezzi, per poi essere riunito grazie ad un uso strutturale della fodera. Quest’ultima infatti tiene assieme i frammenti di tessuto, riempiendo i vuoti tra essi e ricucendone le ‘ferite’. Come nell’arte del Kintsugi, pratica che prevede che i cocci dei vasi rotti vengano uniti da una lacca dorata, la fodera ricompone le pezze di tessuto creando un intreccio di linee unico e irripetibile. La decostruzione e frammentazione degli indumenti usati non sono più sinonimo di distruzione, ma il taglio diventa quindi salvifico. Gli indumenti che scaturiscono da questo processo di design che parla di resilienza sono un perfetto equilibrio tra vecchio e nuovo. Il tessuto usato è infatti imbevuto di memorie e ricordi e porta con sé la propria storia. Il nuovo aspetto, caratterizzato da questo gioco di vuoti e pieni, non solo restituisce importanza alla fodera ma anche dignità ai tessuti di quei capi ormai dimenticati ma ancora pieni di vitalità e bellezza. Questa collezione celebra il passato, invita ad accogliere gli effetti che il naturale scorrere del tempo ha sulla materia ed esalta le ferite e le imperfezioni, lascito prezioso e inevitabile di una vita vissuta. Il progetto Kire è volontà di rinascita.


172


173


174

kire

Bibliografia Barthes, R., Il senso della moda. Forme e significati dell’abbigliamento, a cura di Marrone G., Einaudi, Torino, 2006. Cline, E. L., Overdressed: The Shockingly High Cost of Cheap Fashion, Portfolio/ Penguin, New York, 2013 Conti, G. M., Cross fertilization: un approccio al progetto per la Moda, Mondadori Università, Milano, 2012 Conti, G. M., Fiorani, E., Oltre l’abito. Iridescenze della moda contemporanea, Deleyva, Monza, 2017 Conti, G. M., Soldati, M. G., Fashion e textile design. Percorsi paralleli ed evoluzioni storiche., Lupetti, Milano, 2009 Granata, F., Experimental fashion: Performance Art, Carnival and the Grotesque Body, I.B. Tauris, New York, 2017 Gwilt, A., Rissanen, T., Shaping sustainable fashion: changing the way we make and use clothes, Earthscan, UK, 2011 Fletcher, K, Moda, design e sostenibilità, a cura di Alessandro Castiglioni e Gianni Romano, Postmedia Books, 2018 Koren, L., Wabi Sabi. Per artisti, designer, poeti e filosofi, (trad. it. di Guido Calza), Ponte alle Grazie, 2002 Margiela, M., Maison Martin Margiela, Rizzoli, New York, United States, 2009. Morini, E., Storia della moda XVIII-XXI secolo, Skira, Milano, 2017 Muñoz Viñas, S., Contemporary Theory of Conservation, Routledge, UK, 2011 Navarro, T., Wabi Sabi: Scoprire nell’imperfezione la bellezza delle cose, (trad. it. di Grande, A.C.), Giunti Editore, Milano, 2019 Rinaldi, F. R., Fashion industry 2030. Reshaping the future through sustainability and responsible innovation, EGEA, Milano, 2019 Simmel G., La moda, Mondadori, Milano, 1998 Svendsen, L., Filosofia della moda, (trad. it. di Cristina Falcinella), Guanda, Parma, 2006 Volonté P. (a cura di) La creatività diffusa. Culture e mestieri della moda oggi, F. Angeli, Milano, 2003

testi di consultazione Barnett, P., Cloth, Memory and Loss, in Harris, J. (a cura di), ART_TEXTILES, The Whitworth Art Gallery, The University of Manchester, Manchester, 2015 Bartoletti, R., Grossi, G.,‘Pratiche culturali e reti di consumo. Luoghi plurali e nuove forme di partecipazione’, in Pic-Ais. Cultura e Comunicazione, N°2, 2011 Bigolin, R., Undo Fashion: Loose Garment Practice, Tesi di Dottorato, RMIT University, School of Architecture + Design, College of Design and Social Context, Febbraio 2012

bibliografia bibiografia

Brantlinger P., Higgins R., ‘Waste and Value: Thorstein Veblen and H. G. Wells’, in Criticism, vol. 48, n. 4, Wayne State University Press, Fall 2006, pp. 453-475 Clark, H., Slow+Fashion- an Oxymoron- or a Promise for the Future...?. in Fashion Theory, vol. 12, n. 4, Berg Publishers, 2008, pp. 427–446.


175

bibliografia

Dritsopopoulou, O., ‘Conceptual Parallels in Fashion Design Practices: A Comparison of Martin Margiela e John Galliano’, in The Journal of Dress History, vol. 1, n. 2, The Association of Dress Historians, 2017 Evans, C., ‘The Golden Dustman: A critical evaluation of the work of Martin Margiela and a Review of Martin Margiela: Exhibition (9/4/1615)’, in Fashion Theory, vol. 2, n 1, Berg Publications, 1998, pp.73-94. Eluwawalage, D., ‘Dress Theory: Exploring Critical Issues’, in Trending Now: New Developments in Fashion Studies, Critical Issues Inter-Disciplinary Press, Oxford, United Kingdom, 2013, pp. 105-114 Gill, A., ‘Deconstruction Fashion: The Making of Unfinished, Decomposing and Reassembled Clothes’, in Fashion Theory: The Journal of Dress, Body & Culture, vol. 2, n. 1, Berg, UK, 1998 Granata, F., ‘Deconstruction fashion: Carnival and the grotesque’, in Journal of Design History, vol. 26 n. 2, 2012, pp. 182–198. Han, S.L.C., Chan, P.Y.L., Venkatraman, P., Apeagyei, P., Cassidy, T. & Tyler, D.J., Standard vs. Upcycled Fashion Design and Production, in Fashion Practice, 9(1), 6994, January 2017 Herst, D., ‘Participatory design, the open form and art education’, in Open Design Now, Open Design Lab, Waag Society, 27 maggio 2011 Calcagno, M., ‘Trend emergenti nelle produzioni artistiche. Logiche partecipate e creazione del valore’, in Il Montella, M. (a cura di), Capitale Culturale: Studies on the Value of Cultural Heritage, in Journal Of The Department Of Cultural Heritage, University of Macerata, Vol. 4, 2012, eum McBride, P. C., ‘“In Praise of the Present”: Adolf Loos on Style and Fashion’, in Modernism/modernity, vol. 11, n. 4, Johns Hopkins University Press, Novembre 2004, pp. 745-767 Miller, M., Koji, Y., ‘Japanese Aesthetics and Philosophy of Art’, in The Oxford Handbook of World Philosophy, Edelglass, W., Garfield, J.L. (a cura di), cap. 35, Settembre 2011 Pedroni, M., Ruggerone, L., ‘La moda nelle discipline sociali’, in P. Bertola, G. Conti (a cura di), La moda e il design. Il trasferimento di conoscenza a servizio dell’innovazione, Poli.Design, Milano, 2007, pp. 41-50. Piersanti, V., L’autorità dell’invisibile: l’anonimato come strategia simbolica nella produzione artistica e nella moda, Tesi di Laurea, Università di Bologna, Scuola di lettere e beni culturali, 2013 Purgaj, J., Jevšnik, S., ‘Dadaist Elements in the Works of Martin Margiela’, in Petican, L., Esseghaier, M., Nurse, A., and Eluwawalage, D. (a cura di), in Trending Now: New Developments in Fashion Studies, Critical Issues Inter-Disciplinary Press, Oxford, United Kingdom, 2013, pp. 125-132 Reinach, S.S., Manuale di comunicazione, sociologia e cultura della moda, in Calefato, P. (a cura di), Fashion Theories: The Journal of Dress, Body & Culture, Vol IV Orientalismi, Meltemi editore, Roma, 2006

bibliografia

Zborowska, A., ‘What Is Clothing Hiding, but Fashion Can Make Visible? The Connection between Deconstruction and Surrealism’ in Petican, L., Esseghaier, M., Nurse, A., and Eluwawalage, D. (a cura di), Trending Now: New Developments in Fashion Studies, Critical Issues Inter-Disciplinary Press, Oxford, United Kingdom, 2013, pp 133-142 Zborowska, A., 2015, Deconstruction in contemporary fashion design: Analysis and critique, in International Journal of Fashion Studies, 2: 2, pp. 185–201


176

kire

Sitografia <http://www.amagazinecuratedby.com/issues/maison-martin-margiela/.>[24/04] <https://www.anothermag.com/fashion-beauty/10289/the-team-who-put-the-weinto-we-margiela>[26/04] <https://www.anothermag.com/fashion-beauty/10774/the-seduction-of-touch-whyfashions-current-fixation-is-fabric >[26/04] <https://www.anothermag.com/fashion-beauty/7769/extraordinary-creatures-johngalliano-for-maison-margiela>[11/05] <https://www.artuu.it/2017/08/21/demna-gvasalia-terrific-fashion/curiosita/>[11/05] <https://www.bain.com/contentassets/8df501b9f8d6442eba00040246c6b4f9/bain_ digest__luxury_goods_worldwide_market_study_fall_winter_2018.pdf>[16/05] <https://www.businessoffashion.com/articles/bof-exclusive/remembered-the-gamechanging-martin-margiela-show-of-1989>[07/04] <https://www.bva-doxa.com/il-mercato-dellusato-vale-23-miliardi-di-euro/>[27/04] <http://www.catwalkyourself.com/fashion-history/1980s-1990s/>[09/04] <https://contempaesthetics.org/newvolume/pages/article. php?articleID=797>[06/04] <http://www.cultorweb.com/J/F.html>[06/04] <https://www.dazeddigital.com/fashion/article/46773/1/maison-martin-margiela-inhis-own-words-reiner-holzemer-documentary-2020>[03/06] <https://www.ecologycenter.org/iptf/recycling/zero%20waste%20murray>[19/05] <https://www.ellenmacarthurfoundation.org/publications/a-new-textiles-economyredesigning-fashions-future>[16/05] <https://www.esquire.com/it/stile/moda-uomo/a22016854/john-gallianobiografia/>[10/05] <https://i-d.vice.com/en_au/article/d3a7nw/martin-margiela-legacy-andam-jeanpaul-gaultier-demna-gvasalia-antwerp-retrospective>[05/04] <https://i-d.vice.com/en_us/article/kzw85n/a-meeting-of-minds-john-galliano-timwalker-and-grace-coddington>[27/05] <https://i-d.vice.com/it/article/d3a7nw/citazioni-collaboratori-martinmargiela>[05/04] <https://i-d.vice.com/it/article/zmnx53/i-con-rei-kawakubo>[30/04] <https://www.interviewmagazine.com/fashion/maison-martin-margiela>[06/04] <https://katefletcher.com/>[03/04] <https://www.maisonmargiela.com/it>[22/03] <https://www.mckinsey.com/search?q=renewed%20optimism%20for%20the%20 fashion%20industry>[16/05] <https://www.mywhere.it/50297/martin-margiela-paris-galliera.html>[14/04]

bibliografia

<https://www.nytimes.com/2008/10/02/fashion/shows/02MARGIELA.html>[22/05] <https://oecotextiles.wordpress.com/tag/greenhouse-gas/>[16/05] <http://opendesignnow.org/index.html%3Fp=444.html> [15/06]


177

bibliografia

<http://raccoltavestiti.humanaitalia.org/wp-content/uploads/2016/01/Indumentiusati-come-rispettare-il-mandato-del-cittadino-15.05.2015.pdf - > [27/04] <https://www.thefashioncommentator.com/it/2012/11/martin-margiela-one-andonly.html>[21/04] <https://www.thepearlsource.com/blog/the-complete-guide-to-80s-fashion/>[28/04] <https://www.thredup.com/resale/2018?tswc_redir=true>[ 16/04] <https://www.vogue.com/fashion-shows/spring-1995-ready-to-wear/maison-martinmargiela#all-seasons>[02/05]

Filmografia Martin Margiela: In His Own Words, Reiner Holzemer, Film, 2019, 1h 30m, < https:// www.martinmargielafilm.co.uk/> We Margiela, Menna Laura Meijen, Documentario, 2017, 1h 43m, <https:// wemargiela.com/#documentary>

bibliografia

The Artist is Absent: A Short Film On Martin Margiela, Alison Chernick, Cortometraggio/Documentario, Yoox, 2015, <https://www.yoox.com/it/project/ theartistisabsent>


Ringrazio l’azienda Gianni Crespi Foderami s.r.l. per aver fornito gratuitamente il tessuto fodera Amber Gold per la realizzazione del capospalla e dell’outfit. Ringrazio l’azienda Monnalisa s.p.a. per aver fornito gratuitamente il lino bianco usato per la realizzazione dell’outfit. Ringrazio la mia famiglia per avermi sostenuto nei momenti di sconforto.




Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.