Numero 0 - Giugno 2017
JOE BASTIANICH Scoprire l’America in Italia
In questo numero:
Antonino Cannavacciuolo Francesco Facchinetti Luigi De Laurentiis Mariù De Sica Domenico Vacca Mario Biondi Vittorio Sgarbi
La rivista che state leggendo racconta le persone, le loro vite e i loro successi. La comunicazione è sempre stata importante nella società umana. Ho pensato che fosse necessario far raccontare ai protagonisti le loro vite perchÊ anche in questo modo possiamo imparare qualcosa da utilizzare nelle nostre. La mia rivista è come la lingua e il linguaggio: in continuo cambiamento. Io e i miei collaboratori siamo sempre alla ricerca di nuovi modi di veicolare un messaggio. Quindi il prossimo numero potrebbe essere fatto di sole immagini o scritto come una poesia, potrebbe capitarvi di leggere una intervista in cui si narra una vita come una ricetta o come un dipinto surrealista. Vi ho scelti ad uno ad uno come lettori. Spero siate incuriositi, arricchiti e forse anche interessati a farci lavorare con voi. Beatrice Gigli
Officine Adda Via degli Zingari 37 Roma
C OfficineAdda
FRANCESCA MAFFUCCI Nasce a Roma nei primi anni ‘70. Nel 1996, dopo la laurea in lettere, frequenta la prestigiosa scuola di decorazione d’interni “Van Der Kelen” di Bruxelles, ottenendo all’esame finale la medaglia d’argento con distinzione. Per il giubileo del 2000, lavora al restauro di diversi alberghi storici della capitale. Da 15 anni lavora, senza interruzione, sia per privati che per diversi studi di architettura. Nel 2013 crea il marchio “Officine Adda”, studio di design specializzato nel restyling dei mobili e degli oggetti di modernariato. OFFICINE ADDA Studio di decorazione e design, è l’occasione per dare una seconda possibilità, una nuova vita, a mobili ed oggetti dalla forma o dalla memoria interessante. Lo studio propone pezzi unici propri, quasi opere d’arte, e d’altro canto si offre per la personalizzazione ed il restyling di mobili ed oggetti proposti dal cliente; il tutto in un’ottica ecologica antispreco, ma anche di estrema raffinatezza.
In questo numero: JOE BASTIANICH Scoprire l’America in Italia
04
ANTONINO CANNAVACCIUOLO “E a chi non piace lavorare nel bello?”
06
FRANCESCO FACCHINETTI Elogio della cantina
10
MAURIZIO MARINELLA E la tradizione di svegliarsi alle cinque e un quarto
14
LUIGI DE LAURENTIIS Domande sullo stato attuale del cinema
17
CORTINAMETRAGGIO 2017 Il Festival che scopre i nuovi talenti
21
PARLAMI D’AMORE (E DI STILE) MARIÙ Una stilista in casa De Sica
22
DOMENICO VACCA Il lusso a New York è ancora una volta “Made in Italy”
27
COME TUTTO EBBE INIZIO Vittorio Sgarbi si racconta
28
VI RACCONTO LA TOGNAZZA AMATA E LA MIA PASSIONE PER IL VINO
32
UN SIGNORE D’ALTRI TEMPI Intervista a Pier Francesco Pingitore
36
CATANIA SOUL Un’Intervista a Mario Biondi
38
DUE ITALIANI DA STIMARE
40
LA RINASCITA DEL RINASCIMENTO
42
RISATE VICINO AL CIMITERO La Casa della Famiglia Addams
43
SUSTAINABLE LUXURY
44
MICHETTA’S PANINI MILANO La bocca l’è minga stracca se la sa nò prima de... Michetta
45
JOE BASTIANICH Scoprire l’America in Italia
di Antonio De Rosa
Lei è il “restaurant man" più famoso al mondo. Quali sono le strategie e le idee per raggiungere un tale risultato? Passione, costanza, ricerca e sacrifici sono imprescindibili. È necessario avere ben chiaro qual è l'obiettivo e usare tutto ciò che si ha a disposizione per raggiungerlo. Non è comunque sempre facile ma avere una buona conoscenza del settore e un buon livello di problem solving aiuta nello scopo.
PASSIONE, COSTANZA, RICERCA E SACRIFICI SONO IMPRESCINDIBILI.
Come ha capito che le sue idee imprenditoriali fossero vincenti? Diciamo che mi sento nato con il fiuto per gli affari anche se alcune volte ho preso qualche batosta anche io. Personalmente capisco di aver raggiunto un'idea vincente a progetto avviato quando il pubblico – e allo stesso tempo la critica del settore – apprezza il nostro lavoro ma, senza una grande ricerca e un business plan prima, il salto nel vuoto che si rischia di fare toglie sicuramente il fiato. Ha mai avuto una delusione lavorativa e come ha reagito? Senza ombra di dubbio la mia breve esperienza a Wall Street. È stato strano perché era il punto di arrivo, il traguardo che mi ero sempre immaginato ma quando mi ci sono trovato dentro… diciamo che non faceva per me. È stato per quello che una sera ho deciso di mollare tutto e partire per un anno sabbatico in Italia… Ha investito in aziende vinicole in Italia oltre che nei ristoranti. Ci parli del business enogastronomico e delle sue dinamiche. La mia è una famiglia che da sempre si dedica alla ristorazione, io posso dire di essere cresciuto in un risto-
rante. I miei genitori, dopo la fuga dall'Istria sotto regime, hanno trovato nel cibo un'occasione di riscatto. Io dopo un periodo di rifiuto in cui mi ero tuffato nel mondo della finanza ho invece ritrovato la mia strada perdendomi – per più di un anno – in giro per l'Italia enogastronomica degli anni '90 ed è stato quello il momento in cui ho realmente capito che quel mondo faceva parte di me. Da li poi sono arrivati i vigneti della nostra azienda agricola di Cividale del Friuli, diversi ristoranti tra Stati Uniti e Oriente, la partecipazione come socio di Oscar Farinetti in Eataly, i progetti televisivi, i libri e tanto altro ma tutto questo è sempre in un'ottica di qualità e di rispetto delle tradizioni e dei prodotti che hanno fatto dell'Italia un punto di riferimento per tutto il mondo. A Gagliano, frazione di Cividale del Friuli, ha aperto il ristorante Orsone, con lo scopo di portare nella sua terra d'origine la cultura gastronomica che ha appreso in tutto il mondo e a Milano, in società, il ristorante Ricci. Da cosa sono nate queste scelte imprenditoriali? Orsone è nato dalla voglia di creare un luogo – molto personale - per me e la mia famiglia. È stato il primo Ristorante aperto in Europa e racchiude un po’ un nostro sogno di lunga data. Il Ricci è invece un locale che unisce ristorazione, divertimento, bella gente, musica… è come aver trasportato, insieme ai mei soci, un pezzo di New York a Milano. Lei è un giudice severo. Come seleziona lo staff per i suoi ristoranti, dallo chef ai membri del personale? Come seleziona i prodotti e le materie prime? Non sono poi così severo… è solo che pretendo l'eccellenza.
Immaginiamo che io voglia aprire un piccolo locale di ristorazione ma senza investire tanto. Non potrei permettermelo ora, come tanti altri giovani. Cosa mi consiglierebbe per sviluppare low cost un'idea vincente? Consiglierei un'apertura con un food truck o con un pop up temporary restaurant che hanno sicuramente meno costi fissi di un locale tradizionale e che se ben pensati sono anche molto cool. L'Italia, nazione meravigliosa. Cosa ama della sua terra di origine, cosa cambierebbe e quanto è stata importante nella sua crescita imprenditoriale? L'Italia ha una cultura, delle tradizioni e delle bellezze che molti altri Paesi al mondo si sognano. Forse gli italiani non hanno ancora del tutto capito che questo è un loro punto di forza immenso e in grado di portare ricchezza al Paese. Comunque per la mia carriera l'Italia è stata decisiva, tutto quello che ho portato negli Stati Uniti l'ho imparato qui.
ANTONINO CANNAVACCIUOLO “E a chi non piace lavorare nel bello?”
di Beatrice Gigli ph. Alessandro Pizzi
Antonino Cannavacciuolo nasce a Vico Equense il 16 aprile 1975 e ha sempre saputo che il suo destino l’avrebbe portato a vivere in cucina. Tra i suoi primi ricordi sono quelli di risvegli fragranti nella casa di famiglia, grazie al profumo del sugo che aleggiava in casa quando sua nonna, che si alzava presto al mattino per prepararlo, deliziava i suoi cari soprattutto al pranzo della domenica. Suo padre era un autentico artista della decorazione, professore di cucina all’Istituto alberghiero di Vico Equense dove Antonino ha studiato e poi conseguito il diploma di maturità, buttandosi poi in varie esperienze lavorative nella provincia napoletana prima di lasciare la sua sorridente terra mediterranea per intraprendere la strada verso il nord e nuove avventure nel Piemonte. Seguono periodi di stage presso rinomati tristellati francesi nella regione dell’Alsazia. La sua, sin da subito, è una carriera ricca di conoscenze nuove, cultura varia, ispirazioni e grandi soddisfazioni. Insieme a Cinzia Primatesta, sua futura moglie, nel 1999 inizia la gestione di Villa Crespi, una splendida villa storica sul Lago D’Orta che è sia hotel con 14 camere e suite che ristorante con 50 coperti. Presto arrivano i primi riconoscimenti, la prima Stella Michelin, i Tre Cappelli della Guida dell’Espresso e le tre forchette della Guida Gambero Rosso nel 2003, la seconda Stella Michelin nel 2006. Ne seguono molti altri, tra cui il posizionamento tra i Foodie Top 100 Restaurants Europe nel 2013, troppo numerosi per nominarli
tutti, ma ognuno fonte di orgoglio ed ispirazione per raggiungere sempre nuove mete nel mondo affascinante dell’ospitalità e della grande cucina. Nel frattempo si sposa e con Cinzia crea la sua famiglia che ora conta due figli, legandosi profondamente alla sua terra adottiva, il Lago D’Orta, non solo nella sua innovativa cucina creativa che sposa il sud e il nord, ma anche nelle radici e nel cuore. La partecipazione attiva a numerosi eventi nel corso degli anni, fanno sì che diventi uno degli chef più conosciuti ed amati d’Italia, grazie non solo all’autorevolezza ma anche alla sua forte personalità ed innegabile carisma. Alcune prime comparse in TV rivelano una capacità comunicativa che “buca lo schermo” e nel 2013 gira per Sky la prima serie di episodi della versione italiana di Cucine da Incubo, dove, avendo sperimentato sulla propria pelle il percorso di apprendimento, pratica e poi il successo, scopre una nuova missione appassionante: quella di aiutare gestori di ristoranti in difficoltà a ritrovare organizzazione, complicità e passione, risollevando i propri locali e imparando a collaborare insieme per raggiungere nuovi successi. Sempre nel 2013, scrive il proprio libro di ricette, “In cucina comando io” pubblicato dalla Mondadori ed è protagonista di una pagina del celebre calendario Lavazza. Così, con innato altruismo ed amore per il prossimo, in-
segna ad altri quello che ha fatto con maestria nella propria vita, scoprendo nuove appaganti successi come “Celebrity Chef” a servizio del suo settore. Villa Crespi, reminiscenza orientale con la architettura moresca e il minareto, un’influenza radicata anche nella tua natia costiera, con le cupole sferiche e le decorazioni arabe bizantine, dovuta ai rapporti commerciali tra Amalfi e il mondo Orientale. Quasi un filo conduttore simile che lega te a Villa Crespi. Raccontaci il tuo viaggio fisico e gastronomico dalla Campania felix al regno Sabaudo. La decisione di un’esperienza in Piemonte, è stata inizialmente una scelta lavorativa. Volevo conoscere una terra diversa dalla Campania, una terra ricca di prodotti, ed avevo preventivato di fermarmi solo un paio di mesi…sono passati anni... e non me ne sono più andato. Grande cuoco che si distinse a Napoli tra il 700 e l’800 fu Vincenzo Corrado. Nel suo libro “Il cuoco galante” scritto nel 1773 , la presentazione estetica, oltre al gusto, acquista la sua importanza in cucina dedicando grande spazio alle decorazioni, all’impiattamento e al modo di imbandire i banchetti. Tu me lo ricordi tanto. Sapori, freschezza dei prodotti e presentazione sono complementari anche per te. Qual è stata la tua evoluzione culturale-gastronomica a riguardo? La mia evoluzione, ha seguito e segue tutt’ora il mio istinto: mi lascio ispirare da quanto le materie prime trasmettono. Mi piace “sentire” i prodotti, credo tantissimo nel valore delle materie prime, protagoniste indiscusse del risultato finale di ogni preparazione. Decorazioni, impiattamento, consistenze, un insieme
di elementi fondamentali per personalizzare e rendere propria ogni creazione. Io mi ispiro così…. Ai piedi dei monti Lattari, Gragnano. Famosa nel mondo per la produzione dei “maccheroni” dalla fine del sedicesimo secolo, per non parlare del famoso piennolo e dei pomodori san marzano coltivati poco lontano. Sei nato e cresciuto in una zona florida di specialità gastronomiche. Quanto ha influito questo bagaglio di prelibatezze nella tua cucina? Tantissimo: io sono quello che sono in cucina grazie alla tradizione gastronomica Campana con la quale sono cresciuto. Lo so che può sembrare scontato, ma il mio rapporto con il cibo, l’amore per la cucina, e le materie prime, sono ricordi indelebili che hanno accompagnato passo dopo passo la mia infanzia e la mia crescita. A casa nostra non mancava mai l’occasione per un pranzo o una cena in famiglia, amici, sapori del territorio, questo, il condimento perfetto che ha favorito le basi di quello che è stato il mio percorso futuro. Nel mio immaginario la tua cucina casalinga è quella tipica costiera-napoletana, maioliche di Vietri, magari diverse, legno vissuto e rovinato dal tempo, piennolo onnipresente appeso nell’angolo più fresco, fornelli in funzione continua con ragù che “pippia”, la cuccumella sempre pronta e melanzane tagliate sotto sale prima di friggerle (2 volte) per la parmigiana. In realtà com’è la tua cucina e cosa cucini per la tua famiglia ? Mi piace una cucina pensata ai miei figli. Cerco di fargli assaggiare il più possibile, perché credo sia importante avvicinare i bambini al cibo, proprio come hanno fatto i miei genitori con me.
Personalmente preferisci più il dolce o il salato? Delizia a limone o mozzarella ? (difficile) Delizia al limone, e poi mozzarella…. L’oro giallo, l’olio, è il tuo ingrediente fondamentale. Perché e come lo selezioni (C’è un mondo dietro l’olio e essendomi spesso imbattuta in assaggi e degustazioni ho sempre le idee più confuse per la scelta finale; quale per cucinare, per condire, dolce, robusto, vergine, nuovo, vecchio, un grattacapo!). L’olio è come il vino. Ogni annata è diversa. Difficile affezionarsi ad uno piuttosto che un altro, è un prodotto del quale non posso fare a meno e che utilizzo in tutte le varianti possibili. Dal mar Mediterraneo al lago d’Orta. Come ti sei approcciato alle materie prime di acqua dolce e di montagna? Il mio primo approccio verso le materie prime trovate in Piemonte, è stato l’assaggio. Ho imparato a conoscere i gusti e le consistenze delle materie prime protagoniste in questa regione, questo il mio punto di partenza per la loro lavorazione ed impiego nei piatti che propongo nella carta del mio Ristorante. Qual è la cosa più preziosa che possiedi ? La mia famiglia. Parlando di FELICITÀ, quando e dove sei stato più felice? Cosa è per te la felicità? Il momento più felice per me è stata la nascita dei miei figli, Elisa ed Andrea.
Il ricordo più bello in cucina con le donne della tua vita, mamma e nonna. Qual è? Ho tantissimi ricordi delle donne della mia infanzia in cucina, intente nelle preparazioni di pranzi e feste interminabili, dove il cibo era il protagonista indiscusso di fantastiche giornate. Ricordo me e i mie cuginetti intenti ad aiutare la nonna spezzettando le “candele” con le mani. Ci divertivamo a spezzettare la pasta nelle misure che lei chiedeva. La cucina italiana, soprattutto la campana è stata spesso protagonista di polemiche: la mozzarella di bufala con il latte inquinato, le verdure della terra dei fuochi, la pizza cancerogena a causa del la cottura in forno a legna. A mio avviso tentativi di boicottaggio. Cosa ne pensi a riguardo? Penso che non sia giusto “fare di tutta l’erba un fascio”.
DOVE IL CIBO ERA IL PROTAGONISTA INDISCUSSO DI FANTASTICHE GIORNATE.
Di quale utensile non puoi fare a meno in cucina ? La pinzetta. Di quale tuo piatto o tuoi piatti vai più fiero ? Come detto in più occasioni, i miei piatti trasmettono le mie emozioni, e non riesco a definirne uno meglio di un altro. Sarebbe un po’ come chiedere ad una mamma quale il suo figlio preferito. Non me la sento proprio…. Anche la cultura francese ha attraversato Napoli e gli influssi sono molto forti soprattutto in cucina, basti pensare al ragù da ragout , al gattò da gateau ed ai crocchè da croquettes. Raccontaci la tua esperienza lavorativa in Francia. La mia esperienza in Francia è stata arricchita soprattutto dalla scoperta di quei prodotti che caratterizzano il paese, e dalla forte tradizione, che anche in Francia è fortemente radicata. Ho appreso nozioni e tecniche di preparazione a me sconosciute, e ne ho fatto tesoro per arricchire il mio personale bagaglio culinario. Credo sia fondamentale per ogni cuoco, sportarsi e ricercare nuove esperienze, in terre straniere, per confrontarsi con differenti culture gastronomiche. Capri. Il Quisisana. Gualtiero Marchesi. Un trinomio Eccellente. Quali ricordi e cosa hai imparato ? I ricordi sono tantissimi. La comunicazione televisiva aiuta voi Chef e le vostre aziende ? La televisione ha dato modo di avvicinare maggiormente il grande pubblico alla realtà della ristorazione. Programmi televisivi dedicati al cibo, alle preparazioni
e al mondo gastronomico, hanno contribuito a mettere in risalto la figura degli chef e dei loro collaboratori. Grazie al piccolo schermo, chef e aziende del settore, vengono maggiormente considerate come i luoghi dedicati alla scoperta delle idee creative e le emozioni di chi vi opera. Villa Crespi, location meravigliosa. Gli ambienti, l’architettura, l’arte ispirano il tuo lavoro? Ti piace lavorare nel bello? E a chi non piace? Diciamo che oltre al bello, ho cercato negli anni di “abbellire” e rendere il più confortevole ed attrezzata possibile la mia cucina… possiamo dire che nel tempo lei è cresciuta con me… e non dimentichiamo, che oltre al bello, è per me fondamentale lavorare nel pulito.
FRANCESCO FACCHINETTI Elogio della cantina
di Michele Vigorita
Sei socio, fondatore e hai quote in diverse società sparse nel mondo. Sei il direttore creativo dell'italiana Stonex e sei tra gli ideatori dello smartphone Stonex One, oltre a curarne il marketing sui social. Quanto è importante per te il valore di un'idea? Il valore dell'idea è tutto. Gli americani la chiamano la “Reason Why”, la ragione per la quale tu fai qualcosa. In questo momento storico avere un'idea è difficile ma non perché le idee non ci siano, questa è una bugia, ma ci hanno detto ripetutamente e per noi sembra la verità assoluta che per avere un'idea devi essere il numero uno… e invece no, per me tutti possono avere delle buone idee. Una pubblicità di Diesel diceva“Be Stupid”, intendendo che se sei “stupido” hai le idee che nessuno ha. Se dovessimo pensare che tutte le scoperte del mondo sono già state fatte… non andremmo più da nessuna parte ma invece dobbiamo pensare a migliorare quello che già c'è. Se il Dr. Who, di cui sono fan, venisse a casa mia con una macchina del tempo, io gli chiederei di inventare una macchina del tempo che non consuma energia. Prendiamo già quello che c'è e cerchiamo di migliorarlo. Importante è anche la forza delle idee, “la Regola di Ingaggio” la regola per cui tuoi acquirenti sono uniti a te. Nokia 10 anni fa era la terza o seconda azienda al mondo con il marchio con più valore, ora forse non è nelle prime 80. Il motivo è che la loro regola d'ingaggio, chiamato volgarmente Claim, era lo slogan “Connecting People”, metti in connessione la gente, e la gente ha comprato perché effettivamente ti metteva in connessione. Dopodiché è arrivato lo smartphone, loro hanno continuato a investire su tecnologia obsoleta, sugli sms e non su tutto quello che invece lo smartphone ti da la possibilità di fare e sono morti. Invece un'altra azienda che ha una regola di ingaggio talmente forte che, nonostante al giorno d'oggi
non valga quasi più dato che tutti hanno i suoi prodotti, ma chi compra ci crede ancora in quello slogan, che è “Think Different”, è Apple. Perché era diversa dagli altri e ancora oggi uno che ha un iphone in mano si sente diverso dagli altri. In verità tutti noi abbiamo in mano un telefono Apple ormai. Sei un moderno mecenate, molti ti hanno definito lo Steve Jobs italiano. Sviluppi start up e dai la possibilità ai giovani di far fruttare le loro idee. Quanto è giusto e importante investire sui giovani e sulla loro creatività? Steve Jobs mi piace da morire come tanti altri che hanno segnato la storia della tecnologia e segnato un po' la storia di questo mondo. I giovani sono il motore da cui ripartire perché sono un motore fresco, nuovo, diverso dagli altri in commercio. Un motore che consuma meno, scattante, prestante e inquina meno per cui sono esattamente il motore da cui ripartire. Quello che dobbiamo fare è mettere la benzina. I giovani oggi sono come delle Ferrari chiuse dentro un garage. Sanno di poter correre un Gran Premio e vincerlo ma non li fanno uscire da quel garage. Tu pensa quanto uno si deve sentir depresso. Io a 18 anni volevo conquistare il mondo ma perché faccio parte di un'altra generazione, perché i miei mi hanno dato la possibilità di fare, seppur poca. Perché dopo il 68, chi ha fatto il 68 col c**** che poi ha dato il posto di lavoro che ha conquistato con la forza alle generazioni dopo e questo ha castrato la generazione degli anni 80, anni 90… Bisogna investire tempo, voglia e soldi nei giovani. Il mio progetto è “la Città dei Giovani”:poter dare un posto fisico ai ragazzi per poter sviluppare progetti. Io rappresento una società (La Stonex N.d.R) che ha circa 300 collaboratori in Italia, 3000 in tutto il mondo. Tanti sono giovani. È una bella cosa.
È un momento difficile in Italia per il lavoro. Cosa si dovrebbe fare per incentivare il lavoro dei giovani e dargli, quindi, la possibilità di partire e sviluppare i loro progetti? Sì siamo in un momento di crisi che io chiamo “la Terra di Mezzo” cioè quando tu sei in un posto e non sai dove andare. L'Italia io direi non è in crisi, la crisi è già un'emozione “sono in crisi”. Le emozioni portano sempre da qualche parte ma invece il momento in cui siamo adesso è la Stasi, la Terra di Mezzo. In questo momento ognuno dovrebbe, almeno questo è quello che è successo a me, ritornare in “Cantina”. Non è una punizione, anzi, è il momento quando la festa della tua vita finisce. Li avevi invitati a una festa e sono tutti andati. L'unica cosa che puoi fare è tornare in cantina e ricominciare da zero. Io lo trovo un grande momento quello, veramente creativo, in cui le emozioni positive, negative, la gioia… ti portano ad essere molto creativo e quando tu non hai responsabilità e non hai nessun tipo di confini, sei libero di pensare quello che vuoi, fare quello che vogliamo, perché nella nostra testa in questo momento non abbiamo niente da perdere. La festa della mia vita è iniziata e finita un sacco di volte e mi son trovato un sacco di volte in quella situazione e sensazione. Dico ai Giovani: “Se aspettate che qualcuno vi incentivi a fare qualcosa, non arriverà mai nessuno. I Grandi hanno i loro problemi esistenziali; soprattutto quelli della generazione degli anni 70 e 80. La politica ha altri problemi da risolvere e non è così illuminata da capire che sono proprio i giovani quelli che hanno bisogno di benzina. Quindi dovete rimboccarvi le maniche e giocare la vostra partita. Sarà un viaggio incredibile. La cosa più bella in assoluto è il viaggio. Non fate delle cose per arrivare, non fate delle cose per essere, non fate delle cose per definirvi, che palle la definizione nel 2017. Fate delle cose per fare.”
DOVETE RIMBOCCARVI LE MANICHE E GIOCARE LA VOSTRA PARTITA. SARÀ UN VIAGGIO INCREDIBILE.
Sviluppi start up ma hai anche scoperto e lanciato diversi personaggi del web. Come capisci che la scelta fatta sia un'idea vincente? Uno dei tanti, il talentuoso Frank Matano. Questa è stata una mia esigenza. A un certo punto della vita ho capito i miei limiti e questa è una cosa che dovrebbe succedere a tutti perché tutti noi abbiamo dei limiti. Ho avuto la fortuna di capire i miei limiti in un momento della “cantina”. Ed incazzarmi molto perché mi credevo comunque un superuomo, mi credevo un divo, mi credevo Mick Jagger. Quando sei giovane credi veramente di poter fare tutto. Però la fortuna mi ha fatto molto curioso, sono una persona molto egocentrica ma allo stesso tempo molto curiosa, e mi sono detto: “andiamo a cercare qualcuno che ti può portare laddove tu non sei in grado di andare.” A quel punto ho come “un fratello maggiore” cercato questi grandi: il primo è Frank, che aveva 18 anni. Sono andato a casa sua a prenderlo, a Carinola, 700 abitanti, davanti a casa c'è un carcere di massima sicurezza della camorra con più persone dentro rispetto al paese. L'ho portato a Milano. Un viaggio incredibile, che mi ha portato ad oggi ad avere una Media Company, quindi ancora più grande di una normale agenzia di management, e a poter realizzare il sogno di questi ragazzi. Ecco questo è l'unico vero talento che ho: riesco a vedere la casa finita, quando io vedo un ragazzo 18 anni, vedo già che cosa potrebbe fare.
MAURIZIO MARINELLA E la tradizione di svegliarsi alle cinque e un quarto
di Daniela Napolitano
Marinella è una teca di eleganza inglese nel cuore di Napoli. Eugenio Marinella getta le basi, agli inizi del XX secolo, di quella che diventerà a livello mondiale il nome della cravatta di eccellenza. Come è cominciata questa scalata al successo? Facciamo una brevissima storia. Il negozio è stato fondato da mio nonno Eugenio nel 1914. Il sogno era quello di creare un piccolo angolo di Inghilterra. Questo perché in quei tempi, i primi del 1900, l’uomo elegante si vestiva all’inglese mentre la donna elegante si vestiva alla francese. Questi erano i due punti di riferimento. Così mio nonno andò a Londra, in nave, e iniziò a importare quelli che poi sono diventati grandi marchi. Inizia ad importare gli impermeabili di Aquascutum, i profumi di Floris, le scarpe Dawson, la maglieria Braemar, gli ombrelli Brigg ed i pregiati tessuti che venivano lavorati successivamente a Napoli. Nel 1914 Matilde Serao, che scriveva una rubrica sul Mattino che si chiamava “api, mosconi e vespe”, il giorno dell’inaugurazione paragonò il negozio Marinella ad una farmacia di Paese, che, a quel tempo, rappresentava il punto di ritrovo del nobile, del maresciallo, del sindaco, del notaio e dove si parlava sia del più e del meno, sia delle sorti del paese. Mio nonno, inoltre, si specializzò nel fare il corredo da uomo, così come la donna, che comprendeva dodici camicie bianche, dodici camicie azzurre, i colli e i polsi di ricambio, che andavano lavati ogni volta si lavasse la camicia per non avere un colore diverso una volta sostituiti, le mutande fatte dello stesso tessuto delle camicie. Ben presto il negozio diventò un punto di riferimento anche perché era l’unico ad avere questi accessori e abbigliamento inglese di grande qualità. Un cambiamento è avvenuto dopo la seconda guerra mondiale a causa delle sanzioni che impedivano l’importazione di articoli dall’Inghilterra. L’ordine era “produrre italiano, consu-
mare italiano”. Quindi, dopo che per due anni il negozio rimase completamente vuoto, mio nonno ha iniziato a fornirsi anche di articoli italiani. Successivamente ha avuto il cinquanta per cento di merce italiana ed il cinquanta per cento di merce inglese. Le tre generazioni Marinella, don Eugenio, Luigi e Maurizio. Qual è l’eredità etica che ti ha lasciato tuo nonno? Mio nonno prima e mio padre dopo mi hanno lasciato una grande educazione commerciale, una grande onestà nei confronti dei clienti, ma principalmente un progetto da portare avanti. Quando mio nonno morì mio padre mi chiamò in disparte e mi disse: “Maurizio cerchiamo di far capire alla gente che, in fondo, si possono fare delle cose importanti partendo da Napoli e principalmente restando a Napoli”. Questa è una cosa che io continuo a fare. Il legame con la mia città, l’emozione che vivo e ho vissuto nei venti metri quadri del negozio storico Marinella, sono tutta la mia vita. Marinella è un marchio famoso a livello mondiale, ma ha sempre conservato il suo valore di prodotto di nicchia. Raccontaci questa tradizione. Sì, l’azienda ha un credo che io cerco sempre di trasmettere: siamo degli artigiani. Ciò ci consente di fare più qualità che quantità, proprio per questo non possiamo fare grandi numeri. Per me, per noi, è importante trasmettere l’accoglienza, la gentilezza, la disponibilità, ma principalmente una Napoli diversa, che lavora, che si impegna. Per noi è importante il commercio inteso anche come rapporto con i clienti. Ogni mattina ci svegliamo alle 5.15 e alziamo la serranda alle 6.30 e viviamo due momenti commerciali diversi. Il primo è fatto di grande aggregazione con i clienti dove offriamo il caffè,
le sfogliatelle, dove non è importante l’acquisto della cravatta o dei pullover, ma importante è il momento di intimità. Il secondo, dalle nove del mattino in poi, è più meccanico, le persone vanno di corsa, la macchina in terza fila perché in seconda è normale, il traffico. Prima delle 9.30 è un rapporto molto bello che io vivo con la gente, con la mia città e riesco così a trasmettere questi miei valori.
Evitare sempre di avere un aspetto d’insieme troppo curato e lezioso ed optare per un’eleganza decontractee, dal famoso decalogo di don Eugenio, mi ricorda Coco Chanel che diceva “prima di uscire di casa guardati allo specchio e togli qualcosa”. Oggi vige quasi il contrario. Cosa ne pensi al riguardo? La moda è molto cambiata, prima il gusto era d’obbligo e le gente sapeva come doveva vestirsi. Ci si vestiva in un determinato modo al mattino, in un altro modo il pomeriggio e in un altro ancora la sera. Oggi, forse per mancanza di tempo, ma anche di conoscenza, ci vestiamo di blu e di grigio uscendo la mattina per poi tornare a casa la sera. Devo dire con grande dispiacere che c’è stato un po’ un appiattimento nella moda e la tecnologia in continua evoluzione non ha aiutato in questo senso, rendendo più insicure le persone che acquistano. Quando vendiamo un pullover, un paio di scarpe, una cravatta, bisogna fare la foto con lo smartphone e mandarla per vari ed eventuali consigli e approvazioni. Così viene a mancare la sicurezza, la personalità, il gusto, il piacere di poter scegliere perché oramai è una scelta condivisa. Devo dire che noi cerchiamo, attraverso il nostro negozio, di educare i clienti, di dare delle regole per non sbagliare senza però imporre il nostro gusto.
Dal piccolo scrigno di Chiaia la cravatta Marinella ha adornato i colli degli uomini più famosi della storia sia a livello nazionale che internazionale. Come è avvenuta la sua diffusione? Io mi ritengo una persona fortunata. Un altro miracolo di Marinella è che non è stata mai fatta pubblicità, comunicazione o spinto determinati incontri che sono sempre avvenuti in modo naturale. Immediatamente, specialmente con le cravatte, siamo arrivati al collo di grandi personaggi che ci hanno fatto da testimonial; tutti i Presidenti della Repubblica da Enrico De Nicola, tutti i Presidenti americani dalla famiglia Kennedy in poi, Luchino Visconti, Eduardo De Filippo, Totò, Mastroianni, Vittorio De Sica, Andreotti, Craxi, Cossiga. Facevamo le cravatte a Kohl, Cancelliere tedesco, altissimo, che ogni volta che faceva una dichiarazione in Germania diceva: “Sì. Io faccio le cravatte da Marinella, questo piccolo negozio di Napoli, perché finalmente le riesco ad avere sessanta centimetri “più lunghe”. Il Presidente Cossiga, già nostro cliente, decise di portare un cofanetto di sei nostre cravatte ogni volta che andava in visita da un Capo di Stato. Dalla Presidenza della Repubblica ci comunicavano le misure della persona in questione e noi le confezionavamo. Durante il G7 a Napoli, ci fu affidata la realizzazione della cravatta ufficiale da parte di Ciampi. Il Presidente Napolitano, napoletano e nostro cliente, ogni volta cercava di promozionare il nostro prodotto. Silvio Berlusconi è stato per noi il cliente più forte in assoluto. C’è stato un periodo che ha comprato quattrocento cravatte al mese e gli venivano confezionate con l’etichetta “Marinella per Silvio Berlusconi”. Sì! È stato un miracolo! Siamo riusciti a far parlare di Marinella senza, in fondo, fare niente.
La donna di Marinella. È chiaro che, quando si parla di Marinella, viene solamente in mente la cravatta, che è diventata talmente tanto forte che ha cannibalizzato tutti gli altri articoli, la pelletteria, le scarpe, i profumi, gli impermeabili, che abbiamo sempre avuto dal 1914. La cosa più recente è stato pensare al mondo femminile. Fino a circa venti anni fa avevamo esclusivamente articoli maschili e capitava che, dopo aver comprato quattro o cinque cravat-
te, chiedessero foulard per le proprie mogli o fidanzate. Da qui l’esigenza ed il piacere di creare una piccola linea femminile: foulard, profumi, portafogli, borse, che ci sta dando grandi soddisfazioni.
Personalmente indosso cravatte, rigorosamente di Marinella. Ti propongo di produrre cravatte femminili, speculari alle maschili, ma con dimensioni ridotte. Il mio sogno diventerà realtà? Assolutamente sì, Beatrice! Le facciamo sfoderate, più corte, leggere, sono molto carine. Non ne facciamo tantissime, ma devo dire che quando capita ci divertiamo a fare le cravatte anche da donna.
Come gestisci la Maison Marinella, oggi? Come è strutturata l’azienda? Che progetti hai per il futuro? L’azienda ha avuto una specie di onda lunga. Gli ultimi trent’anni sono stati pieni di grande successo ed emozione. L’anno scorso Marinella ha festeggiato i 100 anni ed io mi sono un po’ fermato a riflettere su cosa fare nei prossimi 100. Mi sono reso conto che il mondo è cambiato, prima si consideravano solo Londra, Parigi, New York, mentre, adesso, il mondo è la Corea, la Cina, il Sudafrica, il Kazakistan, il Brasile. Di conseguenza, per affrontare una nuova crescita, con uno sguardo più attento all’estero, bisogna guardare dentro l’azienda. Ci stiamo riorganizzando, strutturando, stiamo creando un’informatizzazione più sostanziosa per poi avviarci verso questo progetto di internazionalizzazione. Mi ricordo che all’Università lessi una frase: “Di crescita si muore” e con l’esperienza ho capito che quella frase, che mi sembrava tanto strana, aveva colto nel segno. Per crescere ci vuole sacrificio, tenacia, forza e non è affatto facile e scontato. In questo periodo sono corteggiato da investitori esteri, gruppi olandesi, francesi, americani, giapponesi, che vogliono comprare il marchio Marinella. Anzi, c’è una specie di lotta a chi fa la migliore offerta. Sono offerte veramente importanti e la motivazione che mi hanno dato è che il marchio Marinella è conosciuto in tutto il mondo, ma in fondo non è presente da nessuna parte. I marchi importanti sono praticamente scomparsi e dal momento che se ne individua uno, bisogna lavorarci su quasi venti anni. Marinella racchiude tutte le positività e dal momento in cui viene acquistato già vanta una grandissima forza commerciale. Io però continuo così, vivo un’emozione e un’emozione non riesco ancora a venderla.
LUIGI DE LAURENTIIS Domande sullo stato attuale del Cinema
di Michele Vigorita
Lei appartiene ad una famiglia che da generazioni produce film. Quale film della storia del Cinema le sarebbe piaciuto produrre? Sono tantissimi i film che avrei voluto produrre nella mia vita. Ci si innamora continuamente di film che restano nella propria memoria come bagaglio culturale. Di quelli che risalgono agli ultimi vent'anni c'è un film in particolare che ricordo con grande ammirazione che è Leaving Las Vegas di Mike Figgis. Un film senza tempo che racconta una struggente storia d'amore tra un alcolizzato ed una puttana di Las Vegas. Girato in super 16 il film ha una colonna sonora poetica bellissima. Forse uno dei primi film che mi conquistò per l'aspetto umano molto dark ma commovente al tempo stesso. Una storia d'amore molto contemporanea. Quei film che ti trovi a guardare durante la fase adolescenziale e che ti accompagnano per mano verso un mondo più adulto e complesso. Lasciandoti sulla pelle delle sensazioni importanti. A quell'età Ti lasciano un senso di crescita esistenziale. Lei ha studiato Produzione Cinematografica all'University of South California. Che differenza c'è tra produrre un film in America e in Italia? In verità differenze non ce ne sono. La vera differenza sono i budget e l'enorme quantità di risorse umane che lavorano nell'industria cinematografica. La parola Industria in America è difesa a denti stretti visto che il solo Box Office è in grado di generare 11 Miliardi di dollari l'anno. Noi in Italia siamo fermi intorno ai 600 milioni di Euro. In America hanno più scuole ed un mercato florido che gli permette grossi investimenti. Gli americani che visione hanno dell'Italia? Gli Americani hanno sempre rispettato il nostro cine-
ma che negli anni d'oro è stato in grado di portare a casa tante statuette. Grazie al nostro cinema ed a quello Europeo lo stesso cinema Americano si è evoluto nella metà degli anni 60 vivendo una seconda giovinezza. Poi noi siamo rimasti un po' indietro mentre loro hanno messo le ali e continuato a far bene. “Vacanze di Natale” del 1983 ha generato, col suo enorme successo, numerosi seguiti. Negli anni, secondo lei, quali sono stati i cambiamenti più evidenti alla formula iniziale? Il cosiddetto “Film di Natale” è finito per diventare un Guinness World of Records come il più lungo Franchise a tema natalizio del mondo. Ogni anno il guinness ci aggiorna la targa che puntualmente arriva in ufficio. Negli anni, che sono quasi 35, è cambiato moltissimo. Ha rappresentato l'evoluzione di decenni della società italiana e si è sempre adeguato seguendo le mode del momento. Oggi per gli italiani è diventata una tradizione andare al cinema sotto le feste per andare a vedere in famiglia “Il film di Natale”. E li rivede continuamente in televisione per il grande ricordo che ogni film è in grado di generare nello spettatore. Una canzone, una moda, un periodo politico specifico o anche attori che rievocano in chi li guarda i ricordi dell'infanzia o gioventù. Quale attore o attrice che ha conosciuto, l'ha maggiormente affascinato? Sicuramente Christian De Sica che considero una persona di Famiglia e che ha rappresentato per me la professionalità fatta persona. L'attore di successo che ha sempre vissuto bene la sua celebrità e che non ho mai visto arrivare in ritardo sul set od essere impreparato sul copione. Oltre che un grande professionista è una persona con cui ho condiviso bellissimi viaggi profes-
sionali e non. Ha il fascino di chi ha convissuto con il grande cinema di una volta seguendone l'evoluzione attraverso la sua personalità ed adeguandosi al grande Cinema commerciale. Lei ha prodotto con Il Centro Sperimentale di Cinematografia “Il Terzo Tempo”, un film sul rugby, dando visibilità a un giovane regista e a giovani attori. Quali attori, attrici e registi giovani ritiene interessanti nel panorama italiano? Oggi tra i miei coetanei da Menzionare sono sicuramente Gabriele Mainetti, Sidney Sibilia, Fabio Resinaro e Fabio Guaglione, Matteo Rovere, Nicola Guaglianone, Luca Marinelli e tra i produttori Marco Belardi. Dopo un film sul rugby, non avrebbe voglia di produrre un film sul calcio? Non ho mai creduto ai film sul calcio. Hanno sempre trovato le loro difficoltà d'interesse da parte del pubblico. Forse non mi è mai stata proposta un'idea che potesse essere di interesse globale. Ritiene che la sala cinematografica sia ancora centrale, o invece in un periodo in cui il film è fruibile in molti modi, pensa che non abbia più questa importanza? Lo è ancora e si vede come in America quest'anno c'è stato un record di biglietti venduti. Ho un certo timore di come stanno crescendo le nuove generazioni. Per un certo verso hanno a disposizione sempre più contenuti. Questo vorrebbe dire un'alfabetizzazione maggiore del nostro pubblico. Dall'altra esiste una frammentazione totale delle azioni che avvengono durante la giornata di un individuo. Per cui si è sempre meno concentrati a guardare un unico prodotto in silenzio e per due ore. Ciò che è certo e che resterà ancora per molto tempo è il bisogno di evadere e socializzare. Il cinema è ancora un luogo in cui potersi incontrare e con una spesa economicamente ristretta condividere un prodotto fil-
CIÒ CHE È CERTO E CHE RESTERÀ ANCORA PER MOLTO TEMPO È IL BISOGNO DI EVADERE E SOCIALIZZARE.
mico. Un dato importante invece è di come solo alcuni film “Evento” riescano a portare molti spettatori in sala. Oramai gli studios non fanno altro che produrre Sequels, Prequels, Spin off di Franchise affermate che gli permettono di avere un fatturato annuale più sicuro. Non le interesserebbe produrre una serie televisiva? Insieme a mio padre stiamo sviluppando cinque serie televisive. Quattro sono serie internazionali che stiamo scrivendo con nove sceneggiatori a Los Angeles ed una serie completamente Italiana. Lo scenario televisivo è completamente cambiato negli ultimi dieci anni. I contenuti si sono modificati come le stesse piattaforme ed ancor di più il modello di fruizione da parte del pubblico. Ne vedremo delle belle. Ha prodotto una web-serie: “Lo Staggista”. Ritiene che il web possa essere una forma di business perseguibile? La serie che ho prodotto era un primo esperimento per promuovere un contenuto alternativo che promuovesse un nostro film. La serie era ambientata proprio sul set del film stesso che stavamo girando. È stato davvero divertente come esperienza.Oggi più che il web generico mi interessano le serie per il Mobile che ha lanciato Vivendi con Studio Plus e che anche Luc Besson sta producendo per la sua piattaforma Mobile che deve lanciare.
CORTINAMETRAGGIO 2017 Il Festival che scopre i nuovi talenti
“Thriller” di Giuseppe Marco Albano e “Bellissima” di Alessandro Capitani sono i due cortometraggi vincitori di Cortinametraggio nel 2015 e nel 2016. Maddalena Mayneri, che ideò questo festival nel 1997, è riuscita col tempo a farne una tappa obbligata per chiunque filmi cortometraggi comici in Italia. “Thriller” e “Bellissima” sono stati premiati anche ai David di Donatello come migliori corti, il che evidenzia che la giuria di Cortinametraggio è preparatissima e sa premiare il meglio. Questo festival anni fa premiò anche Paolo Genovese e Max Croci che sono diventati poi due registi di successo nell'ambito del Film d'Autore e della Commedia. I corti partecipanti sono in continuo aumento: nel 2016 ben 400 cortometraggi hanno cercato di partecipare a questo importante concorso. Sempre numerosissima la presenza del Pubblico, di giornalisti specializzati, critici e addetti del settore Cinema alla ricerca di nuove promesse. Se Cortina, luogo magico, è la perla delle Dolomiti, Cortinametraggio è sicuramente la perla dei concorsi per cortometraggi comici. L'Edizione del 2017, la dodicesima, ha avuto un parterre di ospiti e giurati d'eccellenza: gli attori Alessandro Preziosi e Giorgio Pasotti, l'attrice e produttrice Mariagrazia Cucinotta, Tosca D'Acquino, Gabriella Pession e moltissimi altri. Quattro le categorie in concorso: Corty Comedy: un concorso che vuole premiare cortometraggi che seguano la scia del genere “Commedia all'italiana”, che ha reso famoso il cinema italiano nel mondo e che piace sempre al pubblico. Corti che siano spassosi e divertenti ma con anche spesso una punta amara e attenta al sociale. Direttore artistico: Vincenzo Scuccimarra, sceneggiatore e giornalista. Web Series: un linguaggio filmico diverso in quanto cre-
ato per il web. Un diverso tipo di fruizione. La possibilità di finali multipli. Saranno premiate le novità più interessanti trasmesse online nel corso del 2015 e 2016. Le candidate finaliste si contenderanno cinque menzioni: premio per la Migliore Web series, Miglior Regia, Miglior Attore, Migliore Attrice e Migliore Sceneggiatura. Video Clips Musicali: questa è una novità della dodicesima edizione. I videoclip, soprattutto se indipendenti, sono da sempre un terreno di prova per i giovani registi. Il videoclip permette di sperimentare e fare conoscere le proprie capacità tecniche. Direttore Artistico, Cosimo Alemà, regista che da vent'anni si occupa di pubblicità e videoclip (ne ha realizzati oltre 600 per tutti i maggiori artisti: Ligabue, Gianna Nannini, Max Pezzali, Mina, Fedez, J-Ax, etc.) oltre al cinema (è uscito nelle sale nel 2016 “Zeta”, suo terzo lungometraggio). Miglior Colonna Sonora: un premio che mette in risalto quanto sia importante la musica e non solo l'immagine per creare un buon cortometraggio. Inoltre, è stata presentata la Mostra fotografica“CIAO MASCHIO” di Adolfo Franzò che a Cortina ha portato foto inedite di alcuni degli interpreti maschili del nostro cinema più conosciuti da lui ritratti: da Alessandro Preziosi a Giorgio Pasotti, Raoul Bova, Valerio Mastandrea… Il 25 marzo sono stati asseganti i premi: BUFFET di Santa de Santis e Alessandro d’Ambrosi è risultato il vincitore nella sezione CORTI COMEDY. Per la sezione WEBSERIES è risultato vincitore UNISEX di Francesca Marino. Per la neonata sezione VIDEOCLIP hanno vinto FUCK TOMORROW di Edoardo Carlo Bolli dell’artista Rkomi & The Night Skinny e ELEFANTI di Daniele Magliulo dell’artista Gomma. Vince il Premio per la Miglior Colonna Sonora AMIRA di Luca Lepone.
PARLAMI D’AMORE (E DI STILE) MARIÙ Una stilista in casa De Sica
di Michele Vigorita
Maria Rosa De Sica appartiene ad una famiglia che ha segnato la storia del Cinema Italiano. Il nonno Vittorio De Sica e il padre Christian sono famosissimi, eppure è una donna poco conosciuta che ha trasmesso a questa giovane stilista l'amore per la Moda: la sua tata Violetta, che a 13 anni faceva la bustaia. Una moda anni 50, in cui le donne vestivano in modo molto femminile con busto, sottoveste e abito. Mariù è il nome d'arte che Maria Rosa si è scelta, un nome che ricorda la celebre canzone cantata dal nonno “Parlami D'Amore Mariù” e che è sempre stato il suo nomignolo. Mariù, inizialmente decise di fare la costumista ma non le è bastato vestire i personaggi del cinema, lei voleva vestire le donne. Dopo un internship presso Salvatore Ferragamo, questa volta l'amore di suo marito Federico Pellegrini l'ha spinta a creare una sua linea di Moda. Federico, uomo dai modi all'antica, connubio di classe e eleganza, per Mariù cura la parte commerciale.
ABITI DELICATI COME FIORI... FIORI DI CAMPO, FIORI NON AGGRESSIVI MA BELLISSIMI
La Collezione Primavera-Estate 2017 di Mariù rappresenta appieno lei e la sua idea di donna: romantica, elegante, leggera, educata, anche audace all'occorrenza ma mai aggressiva. Una donna naturale nella sua bellezza, riflesso della natura stessa nel suo sbocciare all'arrivo della primavera: abiti delicati come fiori grazie a materiali quali l'organza e altri tessuti finissimi, fiori di campo, fiori non aggressivi ma bellissimi. Pennellate di giallo ravvivano la tuta in denim strutturata da rouches voluminose, trasparenze di seta nude su un miniabito che richiama quasi il vento... Mariù ha disegnato una collezione capace di esaltare la femminilità in una donna sicura di sé, cercando di donarle leggerezza ed eleganza.
Credits photographer - Angelo Lamparelli art direction and styling - Alessia Caliendo muah -Serena Congiu talent - Elin @Indipendent
MANINI: IL LUSSO NEI PREFABBRICATI Il professor Stefano Zecchi nel suo saggio “Il Lusso” osserva che si tratta di una naturale aspirazione alla bellezza e che desiderarlo è una chiara testimonianza della volontà di migliorare la propria esistenza. Vivere in un ambiente piacevole è dunque un'aspirazione giusta ed un diritto per ognuno. La pluralità delle persone trascorre la maggior parte del suo tempo nei luoghi di lavoro: filosofie aziendali di wellbeing e welfare attestano come sia fondamentale il raggiungimento del benessere non solo fisico ma soprattutto emotivo e sociale all'interno del contesto lavorativo. La Manini Prefabbricati, da sempre, è impegnata nella realizzazione di edifici industriali o commerciali che, oltre a soddisfare tutti i parametri tecnico costruttivi ai massimi livelli, utilizzando le tecnologie più all'avanguardia del settore, hanno delle peculiarità estetiche e di confort straordinarie. L'unicità della Manini Prefabbricati risiede nella varietà e personalizzazione delle soluzioni offerte, mai uguali a se stesse, approdando ad una poliedricità traducibile in capacità di essere compiutamente originali ed eleganti. Un'attenzione precisa e meticolosa viene posta nella composizione di ogni dettaglio, creando atmosfere nelle quali non si potrà non sentirsi a proprio agio. Azioni ed energie vengono spese ogni giorno nella sperimentazione e nell'innovazione, attraverso la ricerca di nuovi materiali e mediante lo studio di sistemi volti al miglioramento continuo delle prestazioni degli edifici. Molti brand del lusso made in Italy hanno scelto l'azienda assisana per la realizzazione delle proprie sedi, realtà che spaziano dalla moda al design, dall'automotive all'alta tecnologia. Per Dolce & Gabbana è stato realizzato a Rignano sull'Arno un edificio che richiama l'architettura courbuseriana riscaldata dall'uso del colore e dal “giardino siciliano” che lo circonda. Horacio Pagani ha scelto di costruire una struttura che fosse anche un museo per le sue auto straordinarie ad altissimo contenuto tecnologico, con caratteristiche aerospaziali, come la sua ZONDA. Salvatore Ferragamo ha preferito i sistemi prefabbricati Manini per la realizzazione del Centro Direzionale di S. Giustino Valdarno, dove il rapporto tra esterno ed interno, tra ombre e luci conferisce leggerezza alla struttura, nella sapiente combinazione tra acciaio, vetro e cemento. Nell'ambito del Design il Progetto per Pedini Cucine (nella foto in basso) è un connubio tra alta tecnologia, attenzione per l'ambiente e composizioni ergonomiche dal sapore futurista: la ricerca del minimalismo è quasi totale nel susseguirsi di linee pulite e nell'uso del bianco totale. Ogni edificio è, dunque, una storia a sé che è il risultato dei desideri di chi lo commissiona, l'estro di chi lo progetta e gli strumenti che la Manini offre per la realizzazione di un'idea, o meglio, di un sogno condiviso.
DOMENICO VACCA Il lusso a New York è ancora una volta “Made in Italy”
di Beatrice Gigli
Caro Mr Vacca,
New York grazie a Lei è ancora una volta palcoscenico del gusto e del lusso Made in Italy. Ad Aprile è stato Lei è un imprenditore e stilista italiano, che ha fatto inaugurato un building di 10 piani interamente profortuna in America nell'alta sartoria. Ha vestito da Da- gettato da lei, dal design degli interni alla suddivisioniel Day Lewis agli Oscars a Forest Whitaker passan- ne dei piani per attività: negozio, barber shop, beauty do per Blake Lively, Sharon Stone, Dustin Hoffman, Al salon, caffè, appartamenti luxury agli ultimi piani e adPacino, Denzel Washington e tanto altri. Come è ini- dirittura un Club esclusivo! Mr Vacca, faccia vivere ai ziata la sua ascesa lavorativa? Come ha cominciato? lettori il The Domenico Vacca. Li accompagni nelle suPer mia fortuna sono nato in una famiglia di sarti e crea- ite, nella SPA e nella meravigliosa boutique. Ci porti tori di moda. Mia nonna aveva un atelier con 30 sarte con la mente in questo magnifico palazzo del lusso già nel 1930. Quindi mi considero un po’ figlio d'arte. tutto Made in Italy. Nel 1998 sono entrato nel mondo della moda investen- Abbiamo sempre avuto tre negozi Domenico Vacca a do in una azienda leader nella sartoria napoletana e New York, sulla Fifth Avenue, sulla Madison Avenue e a successivamente nel 2002 ho lanciato il mio marchio. SoHo. Dopo 15 anni volevo creare uno spazio speciale, Sono sbarcato subito a New York con un negozio Do- un conceptstore del lusso e del made in Italy. Il nostro menico Vacca sulla Fifth Avenue nel maggio del 2002 e cliente entra in negozio, fa shopping, si siede al caffè quasi subito in un articolo de La Repubblica siamo stati per un cappuccino che è stato già nominato il miglior definiti la “Ferrari dell'abbigliamento". Da lì l'apertura di cappuccino a New York, sale al secondo piano per una dieci negozi monomarca nel mondo e ad Aprile del barba o taglio capelli nella nostra barberia o, se una don2016 l'apertura de The Domenico Vacca, un palazzo di na, per farsi taglio, colore e extensions, passando attradieci piani sulla 55esima strada e Fifth Avenue dedica- verso la nostra galleria d'arte e fermarsi nel nostro club to al nostro brand e al lusso made in Italy. privato per un incontro di lavoro e la sera per un po' di musica dal vivo o un po' di divertimento con uno dei nostri dj. E volendo trasferirsi a vivere al The Domenico Vacca in uno dei nostri appartanti tutti arredati… Domenico Vacca. L' orgoglio per un italiano che vive o semplicemente visita NEW YORK è avere un connazionale come Domenico Vacca. Italiano, pugliese che con determinazione e grinta ha scalato la vetta del successo imprenditoriale. Domenico Vacca però non è solo un grande imprenditore, ma un grande uomo che lascerà il segno.
COME TUTTO EBBE INIZIO Vittorio Sgarbi si racconta
di Beatrice Gigli
IL MOMENTO PIÙ EROTICO È IL MOMENTO DELL’APPLAUSO PERCHÈ GLI INTERLOCUTORI PENSANO “FINALMENTE HAI FINITO”
Lei è un narratore dell’arte. Non è difficile incontrare un bravo critico o uno storico preparato. È assai difficile, invece, trovare un comunicatore, qualcuno che sappia raccontare, istruire, appassionando l’interlocutore. Lei lo è. È una cosa che ha imparato o è innata? L’innato esiste poco. Chiunque abbia una dote innata la deve coltivare per cui la componente di formazione ed educazione dell’innato supera l’innato stesso, l’atleta può avere una forza fisica, ma deve comunque allenarla e svilupparla, un cantante deve studiare. Nel mio caso di innato c’è probabilmente la voce. Il tono della voce è importante per essere un bravo comunicatore ed è una delle ragioni principali della mia capacità seduttiva. Questo è sicuramente innato, poi bisogna mettere i contenuti. Per educare, per parlare in maniera chiara devi capire anche un po’ chi ti ascolta. C’è chi parla o c’è chi parla dentro come se davanti non avesse nessuno, parla come un miope senza occhiali e di quello che dice non importa niente a nessuno e rispettosamente fingono di essere interessati. Ecco, in questo caso il momento più erotico è il momento dell’applauso perchè gli interlocutori pensano “finalmente hai finito” e quanto più sono contenti che abbia finito, più applaudono. Io guardo sempre chi c’è in sala, cerco di coinvolgere e credo sia un’abilità. La sua infanzia. Molti già da bambini hanno la propensione ad un determinato lavoro, ad una passione. Quando e come ha deciso che l'arte sarebbe stata una costante nella sua vita? Nel 1970. Giugno. Prima frequentavo il liceo e avevo la mia professoressa di storia dell’arte che era grassa e noiosa ed io odiavo la storia dell’arte, totalmente. Era l’unica materia che non mi appassionava anche per i li-
bri in bianco e nero e per il fatto che la professoressa parlava sempre di Giovanni Pisano, che di conseguenza odiavo. La cosa determinante che ha fatto della storia dell’arte il mio lavoro è stata che dal liceo all’università ho trovato un professore, si chiamava Arcangeli, che era molto appassionante, ricordava il personaggio de “l’attimo fuggente”, e tutto quello che mi era sembrato noioso con l’altra insegnante con lui l’ho riscoperto. Da qui sono arrivato alla convinzione che la vita non sia fatta di regole, norme e riforme, ma di persone, una buona scuola e un bravo insegnante. Una riforma non conta niente. Un buon giudice non agisce perchè c’è una buona legge, ma perchè è bravo lui. Una cattiva legge con un buon giudice diventa buona. Una buona legge con un cattivo giudice diventa cattiva. Io per questo sono un individualista assoluto, contro ogni regola, contro ogni legge. Da adolescente, qual è la prima opera d’arte che l’ha colpita? La prima opera d’arte che mi ha colpito è una donna. Ilaria del Carretto di Jacopo della Quercia. Appena presi la patente andai a Lucca a vedere questa scultura e toccandola sentii che non era pietra, ma una persona viva, parlante. Ecco, da quel momento ho visto l’arte in una nuova luce.
Lei è un grande collezionista. C’era un famoso piccolo libro “Quei maniaci chiamati collezionisti”, è vero. Il collezionista è ossessionato dal possedere. Lei colleziona opere d’arte, senz’altro per un buon investimento, ma sono una necessità, perché le adora, perché la fanno sentire bene o c’è un altro motivo? È evidente che compro quello che è conveniente, perchè essere conveniente vuol dire che è conveniente che io ce l’abbia. Se io devo prendere un Picasso a 10 milioni di dollari non lo compro, però se trovassi un Picasso a 500 lo comprerei perchè è giusto che io tragga qualche beneficio dalla cosa che capisco meglio di un altro. Che compri autori contemporanei è difficile, ma comprerei quello la cui imperfetta conoscenza mi consente di capirlo meglio di altri, quindi è come una gara. Tutto quello che tu compri e che io non compro, mai è quello che sai che c’è. Io non compro mai una giacca, delle scarpe, queste cose me le faccio regalare, non compro quello che esiste, io compro tutto quello che non esiste. Dov’è in questo momento un dipinto di Tiziano? Non lo sappiamo, però, quando apparirà, io vo-
glio quello, voglio quello che non so che c’è. Io non vado a cercare quello che voglio, ma quello che trovo. Girando antiquari, gallerie, luoghi e vedo una cosa che non mi aspettavo che ci fosse, la voglio.
Cosa pensa del superfluo? Penso che è l'unica cosa che mi è necessaria. L’Italia è uno dei più grandi cantieri di opere d’arte, architettura, design, ma storicamente siamo anche produttori di oscenità: case popolari, opere edili abbandonate che hanno distrutto lo skyline di perle del nostro territorio. Come è possibile essere così geni e allo stesso tempo così distruttivi? Intanto occorre ripartire le epoche. Ci sono delle epoche in cui le cose prodotte erano prodotte da pochi per pochi o da molti per pochi e quindi non rientravano in necessità materiali che hanno condotto in età democratica a produrre molto e tutto per molti. Questa necessità indotta ha determinato una serie di brutture. Cosa pensa della street art e della urban art ? Gli street artist sono diventati delle vere celebrità dell’arte. Io ne sono parte in causa perchè sono stato il primo assessore d’Italia che, quando ero a Milano, ho legittimato la street art andando anche incontro a mille polemiche con la Moratti. Ho legalizzato gli street artists, gli ho dato uno spazio con l’idea di fargli fare la medesima cosa non in maniera arbitraria e illegale. Tutto sommato però, questo attutisce la creatività, perchè il bello dello street artist è che non risponde alle regole, si sceglie il muro che più soddisfa la sua arte. Può darsi che quel muro venga migliorato come imbruttito. Occorre, quindi, una norma che stabilisca che se l’edificio ha meno di sessant’anni, al novanta per cento verrà abbellito, ma se l’edificio ha trecento anni un suo intervento potrebbe rovinarlo. È la differenza che c’è fra un taglio di Fontana, che è una tela tagliata, e un dipinto di Caravaggio su cui si faccia un taglio. Quello che ha una peculiarità storica non deve essere violato. Bisognerebbe, allora, normizzare che si possa intervenire soltanto su muri che non abbiano pregio storico. Cosa c’è di bello nella sua vita? Cosa non cambierebbe mai? Non voglio cambiare niente.
La Beatrice Gigli è onorata di aver gestito le Media Relations, per questo straordinario evento, in occasione del 65° compleanno di Vittorio Sgarbi. Ringraziamo Finarte, Alessandro Cuomo e Giampaolo Cagnin che è stato un grande mecenate. Un ringraziamento particolare a Franco Maria Ricci che ha ospitato l'evento nel suo meraviglioso Labirinto della Masone.
ph. Stefano Dall’Asta
PERCHÉ IL VINO È PIACERE E PER SAPERLO APPREZZARE BISOGNA SAPER AMARE I PIACERI DELLA VITA.
VI RACCONTO LA TOGNAZZA AMATA E LA MIA PASSIONE PER IL VINO
di Gianmarco Tognazzi
Per me il vino è gioco, amicizia, convivialità. È sempre stato così a casa nostra, da quando mio padre faceva il suo vino e lo usava per i suoi “mangiarini” e le sue cene che avevano come protagonisti amici, registi, attori. In quei momenti, che io vivevo da bambino, si respirava la passione per la cucina, l'amore per il buon cibo e il piacere di stare insieme anche con goliardia. La tavola e il vino, soprattutto, li ho sempre interpretati così e anche oggi per me sono questo, forse più di ieri, perché crescendo li ho scoperti con gusto. Raccontare La Tognazza Amata è come raccontare una storia, non a caso il nostro claim è oltre al vino una storia da raccontare. Ma in questo caso la storia non è solo quella di ieri, è anche quella di oggi, che ci vede protagonisti di un nuovo modo di parlare del vino, di comunicarlo con brio e giocosità, con quel giusto senso dell'umorismo che è la mia eredità, ma che in verità rompe gli schemi nel sistema vino, un po' troppo serioso secondo me. La Tognazza Amata è un luogo fisico, che per me è diventata una filosofia di vita e oggi un brand enogastronomico che punta all'eccellenza italiana, alla qualità e fare grandi vini pensando la tradizione in modo contemporaneo e innovativo. Erano gli anni ‘60 quando Ugo si trasferisce a Velletri. Cercava un posto in campagna, con vigne e terreni dove creare il suo orto e dare libero sfogo alla sua passione culinaria. Questo era il suo sogno, che col tempo divenne un'azienda agricola vera e propria, a uso personale o come piace dire a me a scopo “Ugoistico”, La Tognazza. Nella Tognazza c'era tutto: la vigna per il vino, gli ulivi per l'olio, l'orto e il pollaio, che Ugo gestiva con l'aiuto di Lino e Maria, i suoi “santi protettori”, come amava definirli. Il resto, che serviva per le sue ricette, andava a recu-
perarlo con meticolosa attenzione in giro per l'Italia, insieme all'amico Benito, ristoratore di Velletri, alla ricerca di casari, norcini, pescatori e contadini. Questo è il mondo dove sono cresciuto e dove sono tornato a vivere, con la passione per la terra, il vino e le cose buone, a cui tra un film e una fiction mi sono dedicato con impegno. Sono convinto che mio padre per i suoi tempi era stato un grande innovatore in campo gastronomico e di questa innovazione ne ho fatto tesoro. È il punto di partenza, la nostra tradizione. È la voglia di essere nuovi e diversi che ci fa essere non solo un brand, ma anche un life style. La Tognazza Amata è un progetto, una scommessa che ci appassiona, insieme con il mio team, dall'agronomo agli enologi in cantina, fino al marketing e alla comunicazione, cerchiamo di far crescere, divertendoci anche e facendo divertire gli altri. Perché il vino è piacere e per saperlo apprezzare bisogna saper amare i piaceri della vita. E poi come non divertirsi già solo leggendo le nostre etichette. Tapioco, Come Se Fosse, Antani, questi i nomi dei tre vini, un bianco e due rossi, un omaggio alla Supercazzola e ad Amici miei, ma soprattutto la nostra interpretazione di amicizia e convivialità. A questi se ne aggiungeranno presto altri su cui stiamo lavorando e che non vedo l'ora di avere in bottiglia. Tutto ciò con la massima cura e l'utilizzo di professionisti e alte tecnologie, ma soprattutto senza tradire mai la qualità, le caratteristiche delle nostre uve, aromatiche e profumate e il piacere di un buon bicchiere di vino.
www.latognazza.net
Il Beauty Club è insediato presso il “Centro Torri Bianche”, in Vimercate. È stata scelta questa location dopo una app r o f o n d i t a a n a l i s i , v a l u t a n d o i l c o m p l e s s o u r b a n i s t i c o p e r l ’e l e g a n z a e l ’a v a n g u a r d i a . La clientela è esigente ed attenta ai particolari e la mission di Beauty Club si fonde perfettamente con la ricerca di un “Luxury Service”: creare un percorso di cura tagliato su misura al singolo cliente grazie ad un servizio di altissima qualità. La ricerca e lo sviluppo sono i pilastri che animano il nostro lavoro; il personale in continuo aggiornamento è attivamente impegnato in corsi e convention internazionali al fine di garantire sempre il massimo della professionalità e l’utilizzo di macchinari di ultima generazione. Beauty Club si rivolge a chiunque desideri trovare benessere fisico e mentale, offrendo una vasta gamma di soluzioni personalizzate con un team competente e motivato, utilizzando le migliori apparecchiature disponibili sul mercato, in costante e continua evoluzione. Il successo duraturo nel tempo di un centro estetico si ottiene quando il management ha le capacità professionali di dedicarsi all’eccellenza sui luoghi dell’azione, senza mai accontentarsi, specializzandosi in quei segmenti non ancora appieno soddisfatti. Questo permette di proporre trattamenti ogni volta unici, performanti e di creare un sistema di benessere a 360°, dove il cliente ha il ruolo centrale e la possibilità di ottenere benefici imparando “la cultura al wellness” in cui l’azienda crede fermamente e che ha come fine ultimo il miglioramento della qualità della nostra vita.
Beauty Club via Torri Bianche 22 - Vimercate
Tel: 039 6083590 E-mail: beauty@gclubtorribianche.it
UN SIGNORE D’ALTRI TEMPI Intervista a Pier Francesco Pingitore
di Carmen Renata Acierno
Il teatro di varietà, o più comunemente Varietà, è un genere di spettacolo teatrale di carattere leggero nato alla fine del XIX secolo a Napoli come imitazione del Cafè Chantant francese. L'avanspettacolo deriva storicamente dal varietà e varia dai numeri comici agli spogliarelli. Quanto ha tratto ispirazione per i suoi lavori? In Italia, oltre all'avanspettacolo, forma d'arte piuttosto povera, si sviluppò il Teatro di Rivista, che fu invece unarappresentazione più fastosa, con decine di ballerine e ballerini, comprimari,cantanti, fantasisti, soubrettes e soubrettine, su cui primeggiavano il Comico e la Primadonna. La Rivista ebbe fortuna in tutta l'Europa pre-bellica e immediatamente post-bellica. In Italia furono celebri quelle di Wanda Osiris, di Totò, di Macario e gli allestimenti della ditta Garinei e Giovannini, tanto per fare qualche esempio. Ma ce ne sarebbero tantissimi altri. Poi fatalmente il genere decadde, e di ciò fu largamente responsabile la Televisione. Che offrì spettacoli di rivista e varietà gratuiti, e fruibili senza neanche uscire di casa. Quando demmo inizio al Bagaglino, con Mario Castellacci e altri amici, mettemmo in scena, in cantina e su una modestissima pedana, uno spettacolo che fu definito di cabaret, ma di una particolare forma di cabaret, che ben poco aveva a che spartire con altre esperienze italiane e straniere. In pratica il nostro fu uno spettacolo di satira politica e di costume, legato all'attualità. Con in più il recupero della canzone più nostra, originale e di grande repertorio, legato allo straordinario talento di Gabriella Ferri. La fortuna ci fece incontrare artisti eccezionali come Oreste Lionello, Pino Caruso, Enrico Montesano, Pippo Franco e tanti altri. Il tempo della cantina però dopo qualche anno finì. Il Bagaglino si trasferì (1972) nei sontuosi ambienti dello
QUANDO DEMMO INIZIO AL BAGAGLINO... METTEMMO IN SCENA, IN CANTINA E SU UNA MODESTISSIMA PEDANA, UNO SPETTACOLO...
storico Salone Margherita, e subito dopo (1973) approdò in televisione. Il resto è abbastanza noto e non è certo il caso di rievocare cinquant'anni di spettacolo. Quanto all'ispirazione al varietà e all'avanspettacolo, qualche parentela c'è. Ma se vogliamo trovare un ispiratore a noi più vicino, forse bisognerebbe fare il nome – tante volte citato a sproposito – del grandissimo Ettore Petrolini. Come altri generi teatrali minori, anche il varietà patì la concorrenza di cinema e televisione: scomparso dai teatri per confluire nell'avanspettacolo, conserva oggi nei varietà televisivi unicamente il nome. Cosa ne pensa? I varietà televisivi di ogginon hanno nulla a che vedere con il vecchio glorioso varietà, che merita rispetto. Base dell'avanspettacolo è la macchietta, il cui inventore fu Nicola Maldacea, e che consisteva in una caricatura di "tipi" presi dalla realtà, per poi ampliarsi con numeri di balletto, prestidigitazione, trasformismo ed altri ancora. I suoi spettacoli sono stati trampolino di lancio per molti attori e soubrette italiani. Come sceglie i suoi artisti? Come costruisce i loro personaggi? La scelta degli artisti spesso è casuale. Si esaminano cinquanta provini e trovi tante figure di artiste e di artisti, magari anche bravi. Ma che non ti suggeriscono nulla. Poi un giorno incontri quella o quello che ti accende. E non è solo questione di talento, dal quale comunque non si può prescindere, ma di un qualcosa in più (o quello che a te sembra qualcosa in più), che oggi si chiama “carisma”, ieri “magnetismo” o “fascino”, e domani chissà come si chiamerà, ma che solo taluni sprigionano. E
si vede subito... In questa cernita non mi sono sbagliato troppe volte, nella mia ormai lunghissima vicenda… La prima soubrette della storia fu senza dubbio la Bella Otero. Debuttò nel cabaret nel 1888 e fu la star indiscussa dei palcoscenici; si presentava in scena con abiti sontuosi e gioielli che ne esaltavano le forme a sostegno della sua fama di donna conturbante e fatale. Ci parli della figura della soubrette in teatro e nei suoi spettacoli. Tra tante belle donne che si propongono, che sanno cantare, ballare, recitare, come si fa a trovare quella che è per natura destinata a diventare primadonna, o soubrette? L'artista dotata di quel fascino particolare, che non è dato solo dalla perfezione fisica o dal talento? Come si fa, mi chiedete? E quello che, pur avendone trovate tante, ancora mi domando anch'io. Un sistema sicuro non c'è.È un dono che ogni tanto ti arriva. Di cui però devi prendere tutto: talento, fascino, presa sul pubblico, ma anche capricci, bizze, pretese, che a volte non ti fanno proprio benedire il momento in cui quel “dono” ti è arrivato. Ma in genere, tra attivo e passivo, il saldo è sempre positivo. Almeno se ricordo bene…
POI UN GIORNO INCONTRI QUELLA O QUELLO CHE TI ACCENDE. E NON È SOLO QUESTIONE DI TALENTO
CATANIA SOUL Un’intervista a Mario Biondi
di Michele Vigorita
Nel 1991, lei partecipò al Festival della Nuova Canzone Italiana, con il brano “L'amicu è”. La sua voce era diversa. Come ha lavorato sulla sua voce per arrivare alla sua voce attuale? Era forse solo una questione di interpretazione? Avevo 19 anni. Io, tendenzialmente, ero molto affascinato dalle voci molto acute e facevo le lotte per cantare lassù dove cantavano un po' tutti. Poi diciamo un'altra cosa: è che i bassi naturali come me si formano molto avanti con l'età. La voce prende la forma definitiva addirittura anche vicino ai 30 anni ed infatti così è stato. Lei ha fatto molta gavetta e ha fatto il turnista di molti cantanti. Cosa ha imparato da loro? Cosa le hanno insegnato? Tante cose. Se parliamo degli Incognito (gruppo Acid Jazz inglese NdR), "Bluey" il loro leader mi ha sicuramente insegnato prima di tutto a credere di poter fare questa professione anche a livelli internazionali, senza nessun tipo di remore.Io non ho mai dato per scontata questa cosa ma non ero così certo di avere un riscontro mondiale come sono poi sono riuscito ad avere. Bluey mi ha aiutato anche ad affinare l'inglese, a migliorarlo, a capirci qualcosa in più. Molto importanti per la sua crescita artistica sono stati i fratelli Gianni e Marcella Bella. Vuole parlarci del suo rapporto con loro? Sì, la famiglia Bella, essendo catanesi come me, hanno in un certo qual modo condizionato i miei ascolti perché quando ero ragazzino, ascoltavamo spesso le canzoni di Gianni, le canzoni di Marcella Bella. Poi ho avuto la fortuna nel 1995 di andare anche in Tournée con loro.È stata una bella esperienza, aprivo lo spettacolo e poi facevo anche il loro corista. Ora, a distanza di 25 an-
ni, mi trovo a produrre un progetto per Marcella insieme a Max Greco, che spero veda la luce in primavera. Mi sento in famiglia con loro. “This is what you are” l'ha fatta diventare famoso ma lei era già un Artista prima. Quanto oltre alla fortuna è stato importante l'impegno nella sua carriera? Nella vita ci vuole fortuna ma si deve riuscire a mantenerla. Non vorrei sminuire la fortuna che ha tutto un suo percorso particolare. Ho avuto una vita fortunata perché nel mio peregrinare per pianobar e locali di musica dal vivo, dal 1986, ho faticato sì ma ho avuto la fortuna, forse, di creare un artista, un professionista. Probabilmente non ho avuto tutti i treni dei miei amici che fanno ancora i musicisti, che hanno avuto 80 possibilità e sono andati nei musical, in band già famose, hanno avuto produzioni importanti, ma poi purtroppo, lo dico anche con dispiacere, non hanno avuto la fortuna di emergere come avrebbero voluto. Io ne ho avuta una sola di fortuna, che è stata di credere, ma devo dire neppure così tanto, in una canzone. Essendo stato abituato a essere un professionista quando l'ho cantata ci ho speso l'anima. Poi ha fatto molto Norman Jay, il DJ che l'ha fatta diventare famosa ma soprattutto ha fatto molto la canzone stessa. Così come ha fatto molto “Love is a temple", brano nel quale ci credevo in maniera molto intima perché era una canzone molto mia personale e non credevo potesse divenire un singolo. Invece in Francia funziona molto bene, in Inghilterra la amano, in Italia ha fatto un discreto successo. Le canzoni sono come i figli, hanno la loro personalità e di conseguenza non sappiamo bene cosa faranno, come diventeranno. Ci vuole spiegare cos'è per lei lo “Spaghetti Soul”? Mi sono ispirato allo spaghetti western e ho parlato di Spaghetti soul. Non so se già esisteva o l'ho coniata. Ricorre il decennale della sua straordinaria carriera ed è uscito un doppio disco “The best of”, ci vuole parlare del disco e della sua evoluzione stilistica? Non si vede la crescita stilistica ma ci sono degli elementi che mi riportano un po' a quello che è stato il mio l'inizio. È un progetto di celebrazione e quindi "Best of soul" doveva un po' ricalcare "Handful of Soul". Poi mi sono permesso di mettere all'interno un brano che forse sì rappresenta la crescita stilistica che è "Gratitude", che ho voluto dedicare al pubblico ma anche a tutti quelli che veramente mi hanno sostenuto finora: gli addetti ai lavori e i musicisti che hanno creduto in me.Loro hanno permesso in questi 10 anni di avere una “rettitudine”. Così come Renato Zero chiama i suoi fans “Sorcini”, lei chiama i suoi “Biondini”. A breve terrà una tournée in U.K. e poi in Italia. I “biondini” come cambiano nei vari luoghi in cui va? I biondini si sono autonominati "Biondini". Nel fan club circa 10 anni fa, questa ragazza che si chiama Patrizia ha fondato il fan club che circa due anni dopo aveva già un nutrito numero di iscritti e da soli si sono chiamati
LE DATE DEL TOUR 11 luglio al Castello Sforzesco di Vigevano (PV) 18 luglio in Piazza Vittorio Emanuele II a Varallo Sesia (VC) 6 agosto in Piazza Leopardi a Recanati (MC) 19 agosto in Piazza Libertini a Lecce 20 agosto all’Arena del Mare a Bisceglie (BA) 24 agosto al Teatro Antico di Taormina (ME) 27 agosto alla Summer Arena di Soverato (CZ) 29 agosto al Jazz Festival - Arenile del Porto di Peschici (FG) così. E io quindi li chiamo così. I miei fans sono diversi già da Genova a Torino, siamo persone. Poi sì, può anche darsi che la provenienza della località può influenzare ma il pubblico che incontro è un bel pubblico. Un pubblico che ha voglia di condividere, che vuole divertirsi. I social networks quanto sono importanti per un artista? Io non sono un artista da web ma la possibilità di contattare ed essere contattato in maniera massiva dai fans è un grande servizio che ci dà la Rete. Lei è un gran ascoltatore di musica. Ci può consigliare 3 dischi per i nostri lettori? Il primoè un disco della fine degli ‘80 che mi ha dato una botta incredibile: è “Heat Wave” di Cal Tjader e Carmen McRae ed è un disco tendenzialmente di stile latino americano, quasi cubano come andamento ma con il canto di Carmen McRae, che è quasi la figlia putativa di Billie Holliday. La McRae ha una un soul fuori misura, una visione di swing jazz incredibile, con un sound latino americano che è estremamente solare. Secondo disco: "Live in Rio" degli Earth Wind and Fire. L'apoteosi dell'energia, funk brasilian soul. Terzo disco: a me non dispiaceva negli anni 90 "Positivity" degli Incognito.
DUE ITALIANI DA STIMARE
di Beatrice Gigli e Michele Vigorita
Massimiliano Pani è un famoso compositore e produttore discografico mentre Marco “Cerbero” Cerbella è stato un famoso falsario d'opere d'arte. Sono noti al grande pubblico per il loro programma televisivo “Italia da Stimare”, in cui girano la penisola a caccia di opere artistiche. Gli abbiamo chiesto di parlarci d'oggetti d'arte.
CI SONO OGGETTI DI SCARSO VALORE ECONOMICO MA CHE HANNO PER ME UN VALORE AFFETTIVO DAI QUALI NON VORREI SEPARARMI
Oggi è molto di moda il Decluttering, lo sbarazzarsi di oggetti superflui. Ma quali oggetti d'antiquariato di vostra proprietà non potreste mai dare via? Massimiliano: Dipende…ci sono oggetti di scarso valore economico ma che hanno per me un valore affettivo dai quali non vorrei separarmi, e altri che hanno un valore economico ma che possono essere scambiati o venduti se dovessi trovare qualcosa che mi interessa maggiormente. Cerbero: Non riuscirei mai a separarmi dalle mie cornici antiche, soprattutto quelle in foglia d'oro e da qualche antico ritratto femminile, proveniente dalla mia famiglia. Quale oggetto avreste voluto comprare, ma dopo estenuanti trattative, non siete riusciti ad ottenere? Massimiliano: Un cartone preparatorio di un quadro di Rosso Fiorentino. Meraviglioso, emozionante…ma troppo caro per me. Cerbero: Una collezione di piccoli dipinti su rame: il signore con cui stavo trattando, morì improvvisamente e gli eredi, vendettero in blocco ad un antiquario la collezione. Un Falso creato da Michelangelo Buonarroti può ancora essere considerato un Falso? Quando un oggetto d'arte non è più una mera copia, non sarebbe corretto
pensare il suo falsario come un vero artista? Massimiliano: In accademia insegnano a copiare i grandi maestri per impadronirsi della tecnica e dell'uso del colore… Una copia di qualità è frutto del lavoro di un artista di talento. Cerbero: All'epoca di Michelangelo, forse sì. Il vero problema è che un falso, non dura come tale che per un breve arco temporale perché il suo stile (indipendentemente dalla sua qualità) tradisce sempre i “segni” della sua epoca. È per questo che si parla di Stile Neoclassico, Neo Gotico o Post Moderno. Quale opera d'arte amate così tanto, da essere disposti da averne una copia, pur consci che non sarebbe l'originale? Massimiliano: Molte sinceramente. Io amo particolarmente i futuristi. Mi piacerebbe trovare una bella copia di un quadro di Balla o Boccioni. Cerbero: Una domanda che, posta ad un ex falsario è improvvida: tutte le opere che desideravo le ho copiate; mi rimane però una nota dolente: non ho mai potuto firmarne nessuna con il mio nome… Spesso, cercare e trattare oggetti d'antiquariato è in parte anche un gioco. Qual era il vostro giocattolo preferito quando eravate bambini? Massimiliano: Dalle macchinine io sono passato ai dischi. Poi con la patente alle moto e macchine d'epoca, poi orologi, e…sto ancora giocando… Cerbero: Trenini elettrici ed automobiline; credo fosse lo stesso per quasi tutti i bambini degli anni '60. Il Collezionista, secondo voi, spesso travisa il valore reale ed anche quello estetico di un oggetto? Massimiliano: Non sono un collezionista “mono ma-
niaco” amo il bello sotto qualunque forma. Mi piacciono molti oggetti. Non possiedo collezioni numerose, ma alcuni begli oggetti. Diversi tra di loro. Sono un ammiratore del bello più che un esperto collezionista di una particolare categoria di oggetti. Cerbero: Per mia fortuna, molto spesso si!! A parte gli scherzi, un collezionista serio, non dovrebbe mai fidarsi ciecamente del suo intuito o delle proprie conoscenze (culturali o tecniche). Affidarsi ad esperti specifici per ogni ramo dell'antiquariato sarebbe una prassi auspicabile: spesso si cade in errore quando si è troppo sicuri della propria valutazione. Pensa che io qualche anno fa, acquistai a Londra una statuetta in bronzo falsa che (me ne accorsi solo una volta a casa) avevo fatto io molto tempo prima! Il Kintugi è una pratica giapponese di riparazione d'oggetti in ceramica, saldando i pezzi rotti con oro o argento. Ci sono oggetti d'antiquariato rotti a cui siete affezionati? Massimiliano: Ho dei giocattoli antichi che, anche se rotti, non butterei via. Dei libri rovinati, dei dischi in vinile…tutti danneggiati. Ma non li riesco a buttare. Hanno una storia da raccontare anche così… Cerbero: Nessuno in particolare ma aggiungo che non sempre la rottura ed i segni di usura del tempo sono la garanzia di autenticità di un oggetto, anzi, spesso tali danneggiamenti, vengono imitati alla perfezione dai falsari. Ricordo che i più bravi imitatori di vasellame etrusco, dopo aver eseguito vasi bellissimi, li gettavano a terra mandandoli in mille pezzi, per poi rimetterli insieme a mo' di restauro. Quale oggetto d'antiquariato avete regalato ad una persona a cui volete bene? Massimiliano: A mio figlio Axel un orologio da polso degli anni '40. Cerbero: Un orologio “vintage” di una marca prestigiosa. Cosa ne pensate della scomparsa dell'insegnamento della Storia dell'Arte dalla scuola italiana? Massimiliano: Io amo la storia antica e anche la storia dell'arte. Per me non si può studiare solamente le materie scientifiche e le lingue. La formazione passa necessariamente attraverso la conoscenza della storia dell'uomo e di cosa l'uomo ha saputo inventare. Cerbero: La diretta conseguenza dell'essere governati da politici più interessati ai propri privilegi, piuttosto che alla cultura. La Bellezza salverà il mondo? Circondarsi di cose belle ci aiuta a sopportare la durezza del vivere? Massimiliano: La cultura è l'unica difesa. La bellezza è una valida alleata. Come la Musica. Cerbero: L'arte, la cultura e la capacità di elaborare pensieri astratti sono le uniche cose che distinguono l'uomo dagli animali. Senza la bellezza di una musica, di un dipinto, di una poesia, di una preghiera o di una scultura, saremmo solamente una comunissima specie animale sul nostro pianeta.
LA RINASCITA DEL RINASCIMENTO
di Leonardo Del Piccolo - Architetto
Ad Amelia, ubicato tra l'antico nucleo urbano e la vallata, sorge dal progetto di Antonio da Sangallo il giovane, Palazzo Farrattini che fu voluto dal Vescovo Bartolomeo II Farrattini, già commissario della fabbrica di San Pietro. Il palazzo di grande pregio storico ed architettonico, costruito dall'anno 1514, poggia le fondamenta su terme romane. È un esempio pittoresco e raro di architettura nobiliare con i caratteri architettonici di una fortezza. Il valore di questo luogo, già reso inestimabile da queste prime note, diviene ancor più palpabile con l'esposizione del progetto che viene attribuito al San-
gallo, visibile su richiesta, al museo degli Uffizi di Firenze. Suggestivo nel suo insieme, Palazzo Farrattini con i suoi ampi saloni ed affreschi ottimamente conservati racconta una storia intensa di Nobili Casate. Questa costruzione è un archetipo rinascimentale e volano principe della storia di Amelia. La società moderna ormai ci rivela che tali dimore di prestigio restano dimenticate e chiuse con le loro preziose antiche vicende, senza essere parte integrante di questo mondo e lasciate ad un lento decadimento. Già all'inizio del XVI sec. la città di Amelia fu un'importante fucina di Aristocratici, Nobili ed alti Prelati, tanto che, la ora conosciutissima e culturalmente commerciale Piazza di Spagna, un tempo si chiamava piazza d'Amelia. Questo nome gli fu attribuito durante la costruzione in Roma di Palazzo Farrattini, oggi Propaganda Fide, voluto e commissionato nel 1571 dal Cardinale Bartolomeo III Farrattini, con la realizzazione della pertinente via Farrattina, ora popolare via Frattina. Un esempio di recupero storico e culturale sarebbe sicuramente investire in Palazzo Farrattini, ripensando alla sua funzione ed inventandone una nuova, da dimora a casa museo, per non disperdere tutta la storia che racchiude e rappresenta. La rivalutazione di un patrimonio al centro di eventi culturali importanti, mostre ed iniziative in grado di risvegliare tutto quello che da molto tempo rimane immobile e dimenticato, come in uno stato criogenico, in attesa di uno scongelamento per poter finalmente rivivere e raccontare. La rinascita di questa antica dimora e delle sue mura, dovrà avvenire con la stessa densità dei racconti e della storia dei personaggi che vi hanno vissuto e che hanno reso Amelia una piccola Roma, più intima. Per informazioni: beatricegigli@beatricegigli.com
RISATE VICINO AL CIMITERO La Casa della Famiglia Addams
di Michele Vigorita
Il postino ha sempre paura a consegnare la posta all'indirizzo di Vicolo del Cimitero 0001. Qui vive una delle più terrificanti e divertenti famiglie americane, The Addams Family (la Famiglia Addams). Creata e disegnata da Charles Addams per il magazine New Yorker nel 1938, questa bizzarra famiglia, che è il ribaltamento della classica famiglia americana, abita in un enorme maniero: la classica casa infestata. Addams si ispirò alle antiche case gotiche vittoriane e i vecchi cimiteri di Westfield, New Jersey, la sua città natale. La casa della famiglia Addams che però quasi tutti ricordano è quella della celebre sit-com del 1966. Nella sit, il maniero è abbastanza differente da quello delle illustrazioni, non è più così gotico e fatiscente e dentro sembra un museo degli orrori, riempito com'è di statue, armature e altri oggetti assurdi. Forse è un depotenziamento della componente horror, che non sarebbe stata adatta ad un pubblico televisivo, ad opera dell'Art Director Edward L. Ilou e della set decoretor Ruby R. Levitt (poi famosa per “Chinatown” e “The Sound of Music”). Ma è più probabile che fossero solo esigenze produttive e di budget. Il maniero che vediamo in tv, non è neppure una vera casa o una costruzione scenografica, ma un unione tra i primi due piani di una casa di Los Angeles con un terzo piano e una torre disegnati, aggiunti utilizzando la tecnica del “Matte Painting” o “Glass Shot”(è una tecnica che consiste nel disegnare su lastre di vetro e posizionarle poi davanti all'obiettivo in modo di avere come risultato un immagine mixata) Non si era voluto spendere dollari nel ricreare la facciata, dato che poi tutto accade in interni. Questa immagine venne utilizzata infatti solo per i titoli di testa. Poi non vediamo mai la casa nella sua interezza. Un'altra cosa buffa è che il set della sit-com era quanto di meno horror ci si potesse aspettare, infatti per poter avere una buona scala di grigi e
contrasti tra oggetti, la Levitt dovette optare per colorare il set di rosa, rosso e turchese.
SUSTAINABLE LUXURY
di Francesco Masciarelli - Architetto
Qual è il possibile futuro del lusso in un mondo dove la crisi ambientale, sociale ed economica è sempre più grave? In un mondo sempre meno sostenibile? Secondo uno studio dell'IFOP (Institut Francais d'Opinion Publique), la maggior parte dei consumatori francesi associa il lusso a valori negativi, ostentazione e superficialità, mentre associa la sostenibilità a valori positivi, moderazione ed etica. Non resta che ricomporre la dicotomia abbinando lusso e sostenibilità. “1618 Sustainable Luxury” è la vetrina internazionale del lusso sostenibile, dove chic fa rima con etico, che dal 2009 si tiene a Parigi: la sostenibilità è certamente un'arma di comunicazione, ma è ormai un valore di riferimento per il mercato del lusso. Secondo l'ultimo rapporto del True Luxury Global Consumer Insight, per il quale il settore passerà dai circa 400 milioni di consumatori del 2015 ai 500 del 2022 per un valore di mercato superiore ai 1.110 miliardi, quasi il 20% degli utenti del lusso ritiene che la sostenibilità sia un valore fondamentale di un prodotto di alta fascia. Le grandi star di Hollywood non fanno eccezione: Leonardo di Caprio è un testimonial del lusso sostenibile. Usa automobili ibride e gira in bicicletta per New York, dove vive nel complesso residenziale Riverhouse, la punta più avanzata dell'architettura sostenibile di lusso. Materiali ecologici e naturali, energia da fonti rinnovabili solari e geotermiche, servizi e dotazioni con scopi sociali e culturali, mobilità dolce e alternativa. L'architettura sostenibile è una frontiera del lusso, dove i valori del bello e dell'esclusivo si accompagnano a quelli dell'etica e dell'ecologia, in un rapporto (finalmente) equilibrato con ambiente, società ed economia: impatto sull'ambiente quasi nullo, basso impatto sociale, minori costi.
Per informazioni: beatricegigli@beatricegigli.com
PASSIVHAUS FONTANA Passivhaus Fontana, complesso residenziale a Perugia, è un esempio di eccellenza italiana nel campo dell'architettura sostenibile. Recensita da prestigiose testate (Corriere della Sera Ambiente, Sole24Ore, Edilizia e Territorio, RAI 3, Style.it e molti altri) abbina consumi di energia minimi (casa passiva certificata Passive House International database n° 2929) ad un impatto sull'ambiente quasi nullo (Life Cycle Assessent in Energy and Buldings n°64/2013), all'utilizzo di materiali naturali, riciclati e riciclabili, alla produzione di energia da fonti rinnovabili on-site a totale copertura dei costi di riscaldamento, raffrescamento naturale (senza condizionamento) ed acqua calda (elettrodomestici inclusi). Al design innovativo ed esclusivo, unisce interni di alto profilo, esterni naturali ed un livello della qualità della vita indoor elevatissimo: aria fresca, pulita e filtrata 24 ore su 24, con un livello costante di temperatura ed umidità, eccezionale isolamento termico (protezione dal caldo e dal freddo) ed acustico, domotica ed innovazione tecnologica. Il tutto nel più assoluto rispetto dell'ambiente, dei valori etici e della drastica riduzione dei costi.
MICHETTA'S PANINI MILANO La bocca l’è minga stracca se la sa nò prima de… Michetta
di Michele Vigorita
Sono un milanese snob. Quando ho saputo che a Milano avrebbe aperto una paninoteca chiamata “Michetta's Panini Milano”, non ho potuto esimermi d'andare ad assaggiare con un amico. La particolarità del locale è di utilizzare la Michetta, pane milaneseDoc. Niccolò Gallivanoni, uno dei soci, ci ha consigliato il panino del giorno: salsiccia fresca, pomodoro, insalata iceberg e cipolla. Un ottimo panino con una buonissima salsiccia come materia prima e la cipolla adeguatamente trattata, per smorzarne il sapore forte. Ingolositi abbiamo deciso di prendere un altro panino, il Valentino: culatello, burro, ricotta dura salata, spinaci e uvetta. Decisamente un buonissimo panino in cui dolce e salato, freddo e caldo sono mixati alla perfezione. Infine l'Artemio: Maiale Sfilacciato, stracchino, avocado e cipolla. Un altro capolavoro in cui il maiale sfilacciato, leggermente piccante, viene contrastato dalla freschezza dell'avocado.
La Michetta, nella sua semplicità, è un pane complesso da farsi. Dove vi procurate una michetta così buona? Abbiamo cercato tanto un panificio che potesse far rivivere la tradizione del pane semplice ma fragrante e gustoso che identifica le caratteristiche della Michetta, lo abbiamo trovato vicino a noi, proprio in un quartiere vivo di tradizioni come Lambrate. Devo anche dirti che assieme ai miei soci abbiamo trovato giusto regalare ai senza tetto del quartiere i prodotti da forno avanzati durante la giornata. Non amiamo gli sprechi e crediamo giusto vivere il tessuto sociale in tutte le sue sfaccettature.
Come avete studiato i perfetti accostamenti di sapori dei vostri panini? Come prima cosa abbiamo cercato di proporre nei nostri Panini il nostro gusto personale, ma il tocco finale, la "ricetta segreta" la dobbiamo al nostro mastro paninaro Beppe, che con sapienza ed esperienza ha creato, migliorato e affinato il gusto di ogni singolo ingrediente.
di puntare sulla qualità, sia alimentare che lavorativa, un sistema globale di fare impresa. Un'ultima domanda: qual è il suo panino preferito? Sono un goloso e tradizionalista, Michetta con il salame felino, ne vado ghiotto.
I vostri panini sono farcitissimi. Nel caso uno voglia mangiare di meno come può fare? Abbiamo lasciato al cliente là possibili di inventarsi il panino a suo gusto, puoi creare, abbinando gli ingredienti. Anche solo usando gli affettati di primissima scelta, come ad esempio il prosciutto crudo che disossiamo noi direttamente al locale, o il nostro salame felino, oppure la Mortadella. Volendo alzare il tiro possiamo anche suggerire la Michetta con il culatello o con il Pata Negra, ma se cedi alla tentazione di assaggiare le nostre "speciali" possiamo servirtele nella versione mignon, ovvero in una Michetta con tanto di bottone, che è dimensionalmente la metà di una classica. Più piccola ma ugualmente gustosa, che di solito usiamo anche per proporre quelle dolci, quelle tipo burro e zucchero o cioccolato bianco e fragole oppure il grande classico, Michetta e Nutella! La vostra è un'idea originale. Avete intenzione di farne un Franchising? Abbiamo intenzione di crescere, ma abbiamo la volontà di farlo in maniera innovativa. Il Franchising sarà adottato per le aperture all'estero, mentre per le aperture in Italia, per le prossime aperture che già abbiamo programmato, useremo un sistema contrattualistico che ci veda partecipi dei nostri partner. Abbiamo deciso
Michetta's Panini Milano è a Milano in via Ambrogio Campiglio n.13 e in viale Cenisio n.55
Testata giornalistica fondata da Beatrice Gigli Direttore Responsabile Antonio De Rosa Creative Director Luigi Ferrante Coordinatore Redazionale Michele Vigorita Marketing Sabrina Svetoni Hanno collaborato a questo numero: Daniela Napolitano Carmen Renata Acierno Gianmarco Tognazzi Leonardo Del Piccolo Francesco Masciarelli. La foto di copertina è di Angelo Trani f Society-Well Done Per informazioni: beatricegigli@beatricegigli.com www.beatricegigli.com Stampa Giannini Presservice - Nola (Na) Tribunale di Perugia - Numero 0
offriamo sempre, ai nostri clienti, un caffè e una “buona idea” !