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Cannabis e scienza Il cannabidiolo c’è anche nelle piante non di cannabis? Sembra di sì

IL CANNABIDIOLO C’È ANCHE NELLE PIANTE NON DI CANNABIS? SEMBRA DI SÌ

STUDI HANNO RILEVATO CBD NEL LINO, NEL TREMA ORIENTALIS E NELLA STEVIA: SI APRONO NUOVI SCENARI

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Redazione

Negli ultimi anni la ricerca scientifica ha spostato l’attenzione dal tetraidrocannabinolo (THC), psicotropo e spesso considerato illegale, al più accettabile socialmente cannabidiolo (CBD), passepartout del sistema endocannabinoide, prendendo alle volte in considerazione anche il cannabigerolo (CBG).

Il riscontro positivo sulle proprietà del Cannabidiolo e i benefici derivati dall’assunzione dello stesso per mammiferi e uomo, nonché la presenza di fitocomplessi simili alla cannabis in altre varietà botaniche, hanno sollecitato gli studiosi alla ricerca di soluzioni alternative alla sintesi di laboratorio. La presenza del THC nella cannabis è tutt’ora il principale ostacolo all’utilizzo e alla lavorazione della pianta per scopi medici, nonostante la scarsità di dati sui disturbi da uso umano.

Il Dipartimento di Scienze del Farmaco di Novara in collaborazione con il Dipartimento di Farmacia dell’Università di Napoli Federico II e il Departamento de Biologia Celular, Fisiología e Inmunología dell’Università di Córdoba, hanno cercato di capire se il CBD è presente anche in altre piante.

Gli studiosi hanno rilevato “i rapporti sulla presenza di cannabidiolo (CBD) nelle piante non di cannabis” e sono stati esaminati nelle varietà di luppolo (Humulus Kriya), Trema orientalis, un arbusto della famiglia delle cannabacee, della stevia, nonché nel lino. Mentre il CBG è stato ricercato nell‘Helichrysum umbraculigerum, “ma questa pianta merita ulteriore attenzione per il possibile accumulo di fitocannabinoidi in chemotipi selezionati”.

PERCHÉ QUESTO STUDIO?

Come spiegato nell’introduzione della pubblicazione stessa, ultimamente l’FDA e l’EMA hanno approvato l’uso del cannabidiolo per la gestione di 2 rare forme genetiche di epilessia (sindromi di Lennox-Gastaut e Dravet), il che “ha innescato un sostanziale spostamento di interesse nella comunità medica dal fitocannabinoide narcotico Δ-tetraidrocannabinolo ( Δ 9 -THC) al suo analogo strutturale non narcotico cannabidiolo (CBD).” le applicazioni mediche. Il CBD al momento è presente nella cosmesi quanto nell’alimentare ma è l’incidenza nel campo medico a stimolare e arenare la ricerca scientifica stessa.

“Secondo la FDA, – spiegano i ricercatori – il CBD naturale della canapa è un ingrediente farmaceutico attivo (API) e quindi non un ingrediente dietetico. Tuttavia, nonostante il suo status normativo poco chiaro, il CBD è diventato un nome familiare nel mercato degli integratori alimentari negli Stati Uniti, al punto che un sondaggio Gallup del 2019 ha rivelato che un adulto americano su sette stava usando un prodotto a base di CBD.”

L’estrazione dei cannabinoidi dalla pianta di cannabis implica la concentrazione di THC e questo è un ostacolo al chiarimento del quadro normativo. “L’ottenimento del CBD mediante isolamento dalla canapa (Cannabis sativa L.) – spiegano – è complicato dai vincoli legali associati alla co-occorrenza di Δ-THC.” Trovare una nuova origine naturale salvaguarda il consumatore dall’assunzione di CBD di sintesi in laboratorio che ha diverse criticità tra cui il fatto che “La sintesi può fornire CBD a un prezzo inferiore rispetto all’isolamento dalla Cannabis, ma il CBD sintetico è un composto Schedule 1 negli Stati Uniti (ma non nell’UE). A causa di questioni legali relative al CBD sintetico e alla cannabis in generale, l’identificazione di una fonte botanica alternativa di questo composto potrebbe essere utile per sezionare il CBD.”

CONCLUSIONI: PROSEGUIRE CON RICERCHE ANALOGHE

Nonostante non sia unica nella cannabis la presenza di cannabinoidi, la logica biosintetica alla base della produzione di fitocannabinoidi da parte della Cannabis sativa è assimilabile al’ “Helichrysum Humbraculigerum, che rimane l’unica altra pianta da cui sono stati isolati composti di questo tipo. La rilevazione del CBD nel lino, nel Trema orientalis e nella stevia necessita di ulteriori studi di conferma, mentre l’intera questione di Humulus Kriya è semplicemente una storia di avidità e falsificazione scientifica. Un’ultima questione degna di attenzione è la configurazione di un ipotetico CBD non-Cannabis” per cui è necessario valutare criticamente le specie Radula.

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