Che Spettacolo 2014 - Numero 11 - Dicembre

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Anno II - Numero 11 - Dicembre 2014

Euro 4,50

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Periodico di Musica, TV, Cinema, Teatro e Arte

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il magazine che non t'aspetti (tutti i colori dell'intrattenimento)

Il coraggio di essere artisti: Nino D'Angelo e le sue continue «metamorfosi», fra successi nazionali e un «world-tour» nel 2015 Col suo «Concerto Anni '80...e non solo» sta mettendo a punto autentici «sold out» nei teatri italiani (il 27 dicembre farà la sua rentrée al «Palapartenope» di Napoli), affiancato da una nutrita band di musicisti (Gargiulo, Mennella, Rosso, Ponzo, Langella e vocalist Alcolese), conquistando anche «le generazioni dei ventenni»: incontro «a cuore aperto» con un'icona della napoletanità canora, da 40 anni «made in talento»

LE SIGNORE DELLA CANZONE ITALIANA

MUSICA I TALENTI IN ASCESA

Iva Zanicchi Paola Folli

Marco Selvaggio Manuel Rinaldi Dicembre 2014


Anno II - Numero 11 - Dicembre 2014 FONDATORE, DIRETTORE EDITORIALE E RESPONSABILE Gianluca Doronzo GRAFICA E IMPAGINAZIONE Benny Maffei - Emmebi - Bari HANNO COLLABORATO Ivan Noviello, Vincenza Petta, Raffaele Rossi, Emanuela Schintu, Sara Bricchi, Martina Roncoroni, Alessandra Placidi, Tatiana Corvaglia, Valentina Marturano, Marta Falcon e Tatiana Lo Faro. SI RINGRAZIANO Nino D'Angelo, Alberto Fortis, Amedeo Minghi, Iva Zanicchi, Paola Folli, Marco Selvaggio, Manuel Rinaldi, Daniele Ronda, Riky Anelli, Romina Falconi, Immanuel Casto, i Blastema (nello specifico il leader Matteo Casadei), Anila, Giuseppe Capuana e Barbara Pozzo per le interviste concesse; “Daniele Mignardi Promopressagency”; “Parole & Dintorni”; “MN Italia”; Bruno Ruggiero per gli scatti di Paola Folli; Elena Gioia e Fabio Florio per quelli di Marco Selvaggio; Maurizio Montani per Manuel Rinaldi; Alessio Pizzicannella per Daniele Ronda; Tania Alineri per le immagini di Riky Anelli; Ilario Botti per il primo piano di Romina Falconi; Marco Piraccini e Vincenzo Nicolello per il racconto visivo del “Sognando Cracovia tour”; Jarno Iotti per Barbara Pozzo; Anna Bonavista, Emanuela Milia, Arianna Masiello, Bibi Guarnieri e Anna Rosa Ricci per l'organizzazione, la presenza e il supporto durante il “Pomarico Celebra Vivaldi 2014”, le cui testimonianze fotografiche, ad epilogo del magazine, appartengono a Nicola Meneghella e Anna Maria Saponaro. INDIRIZZO REDAZIONE Via Monfalcone, 24 – Bari gianlucadoronzo@libero.it tel. 347/4072524 FACEBOOK E la notte un sogno Autorizzazione del Tribunale di Bari n. 16 del 26/09/2013 © RIPRODUZIONE RISERVATA

E il 2014 sta per andare via. Un anno vissuto con tutti voi, per undici edizioni di fila. Se mi guardo indietro, non mi sembra possibile. Senza un euro di sponsor, da solo, contro tutto e tutti, credendo profondamente nella bontà di 64 pagine a colori, al servizio dei migliori (dal mio punto di vista) personaggi della tv, teatro, cinema, musica, danza e letteratura. Sacrifici immensi, conti da far quadrare, neanche un centesimo di pendenza con alcuno e immense rinunce. Rinunce alle vacanze, ad una pizza con gli amici (ringrazio apertamente Annalisa Di Tano, Mariangela Santamaria, Angela De Marzo, Mariantonietta Colucci, Saverio Tomasicchio e Donatella Loconsole per aver festeggiato, con bellissime torte, il primo compleanno della rivista), riconoscendomi “l'umile realizzazione di un sogno, diventato finalmente realtà”. Sì, un sogno diventato realtà. Perché “Che spettacolo – il magazine che non t'aspetti (tutti i colori dell'intrattenimento)” mi ha consentito di tornare al mio primo amore, al giornalismo per la carta stampata, per il quale ho dato tutto me stesso in 14 anni. E vorrei, ancora una volta, denunciare quanta indifferenza io abbia riscontrato da parte dei miei colleghi per due anni e mezzo, proprio nel momento in cui dichiarava fallimento il quotidiano per il quale avevo dato tutto me stesso e le persone più impensabili mi deludevano, voltandomi le spalle. In me un grande, enorme e antifrastico “dolore che non c'è”, essendo stato privato della mia linfa vitale. Avrei voluto esplodere, ingiustamente vittima di un sistema che puniva proprio me, lavoratore instancabile, motivato da una smodata passione, maledetta per certi versi, ma connaturata nel mio dna, nel mio animo, nella mia identità. E “deridere un'anima”, come diceva nel “De Profundis” il buon Oscar Wilde, “è cosa spaventevole: la vita di chi lo fa è senza bellezza”. Sono rimasto in silenzio, a darmi da fare per essere “vivo” su più versanti: tanti spettacoli sono stati tratti dai miei libri; numerosi “talenti” hanno avuto una ribalta a lungo desiderata; ho fatto tournée e davvero ho pienamente speso le mie energie per il prossimo, valorizzandolo. Perché, come dice Paola Folli in questo numero, “se si è generosi, non se ne può fare a meno”. E poi un giorno, nel settembre 2013, dopo aver ricevuto continue porte sbattute in faccia, ho preso (come mio solito) il coraggio a quattro mani e ho ideato “il magazine che non t'aspetti”, investendo su me stesso, ricominciando da zero. Una sfida, in apparenza impossibile, soprattutto per chi, come me, non ha potuto nella sua vita che contare sulle proprie finanze, sulle proprie forze, non avendo alcuno alle spalle, non scendendo a compromessi e, soprattutto, venendo da umili origini. Oggi, senza falsi buonismi, avversando la retorica spicciola del “Natale”, siamo qui, “nuda verità, dopo infinite incognite” (come sostengo in una mia lirica, contenuta in una silloge del 2007, che mi ha consentito di essere annoverato fra i “Poeti italiani contemporanei” a soli 27 anni), a condividere la 14esima uscita della mia e, soprattutto, vostra rivista. E, di mese in mese, siete stati voi, solo voi, a darmi sostegno, acquistando il cartaceo, con tanto di riconosciuto prezzo di copertina (non facendomi “cacciare” per inattività dall'Ordine), attraverso il passaparola, consentendomi di avere puntualmente l'entusiasmo del “primo giorno”, che non si può mai perdere se si AMA profondamente quello che si fa (come Romina Falconi ribadisce nella sua intervista, che vi consiglio di leggere in maniera approfondita). E sapete perché vi racconto tutto questo? Non per autoreferenzialità, per piagnistei, egocentrismo o altro (chi mi conosce realmente sa qual è la mia vera natura. Che sia chiaro una volta per sempre: firmare tutti i pezzi è una provocazione verso il sistema nepotistico che attanaglia la mia categoria, nella quale “se non conosci qualcuno, sei fuori”). Ma perché bisogna denunciare l'indifferenza di chi ci è accanto, quando siamo nel momento del bisogno: io ho sempre dato una mano, una chance a chi ho ritenuto valido, senza mai chiedere nulla in cambio. Per questo, “col coraggio delle idee” sto cercando di vivere al meglio la mia vita, “senza padroni e padrini”, fosse anche l'ultima volta in cui mi leggete. Allo specchio (metafora che tanto adoro), so di riflettermi in maniera pulita, sincera e onesta, stanco di chi vuole farsi pubblicità sulle mie ossa. E la schiettezza di questa “confessione” non può che motivarmi a giustificare la copertina dedicata a Nino D'Angelo, attualmente in tournée col suo “Concerto Anni '80….e non solo” (prima di iniziare un “world-tour” nel 2015), vittima per anni di “pregiudizi”, perché “un uomo venuto dal Sud”, come se essere di cultura popolare “fosse una felix culpa”. Io, in antitesi, sfidando qualsiasi luogo comune di “belle pose da cover”, subdole pretese di “andare in copertina” e ricatti del cavolo, ho deciso stavolta, nella mia piena libertà, di puntare su un esponente perbene, su una persona straordinaria (vi emozionerete per quello che mi ha dichiarato, essendoci ritrovati a distanza di molti anni dall'ultimo incontro), che “ha sudato” e ha fatto una gavetta smisurata, prima di assaporare il gusto del successo. Il tutto, rimanendo fedele a se stesso, contro ogni stereotipo, combattendo l'idiozia di chi lo ritiene ancora vittima del suo “caschetto biondo”. Sapete che vi dico? Io mi riconosco in lui, nella sua purezza e semplicità, perché so cosa significhi “venire dal nulla e farsi il mazzo”. Con un esponente del genere, capace di essere “artista a 360°”, anche spiazzando il pubblico, “Che spettacolo” raggiunge l'apoteosi della sua genuinità, dichiarando apertamente di essere davvero “fuori dal coro”, facendo delle scelte controcorrente, avulse dal “patinato”, finto e stucchevole, fra bellone e belloni di turno, in cerca di visibilità. E, fateci caso, tutti i nomi selezionati per il mese di dicembre, sono caratterizzati dall'essere se stessi, senza maschere e filtri, spiazzando anche per la variegata gamma di scelte che ho messo a punto. Da Alberto Fortis, Amedeo Minghi ed Iva Zanicchi, agli emergenti Marco Selvaggio, Manuel Rinaldi, Anila e Giuseppe Capuana, fino ai più consolidati Daniele Ronda, Riky Anelli, Blastema e Immanuel Casto. Con una chiosa dedicata a Barbara Pozzo (moglie di Luciano Ligabue), con un libro arrivato in pochi mesi alla quinta ristampa (ricco di spunti sul bisogno di capirsi e sapersi ascoltare). Che sia chiaro, una volta per tutte: questa è la cifra perseguita dal mio giornalismo nell'ambito della cultura e dello spettacolo. Arrivare al cuore, alla verità, al nocciolo della questione, senza essere accondiscendente col più forte e, soprattutto, senza che nessuno, e ribadisco nessuno, metta in discussione o, peggio ancora, calpesti la mia dignità di essere umano, di lavoratore, col mio “poliedrico universo”. Nessuno potrà mettermi a tacere, mentre tante coscienze dovranno fare i conti con i propri rimorsi. Riflettendosi a quello specchio, che tante volte “inserisco” nelle mie interviste, arrivando nel profondo dell'interlocutore. Buona coscienza a tutti. Al prossimo anno. Se vi pare. Gianluca Doronzo

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Periodico di Musica, TV, Cinema, Teatro e Arte

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il magazine che non t'aspetti (tutti i colori dell'intrattenimento)

«Da ben 35 anni do veramente l'anima nella musica: oggi mi sembra di essere tornato alle origini, quasi ai miei esordi, avendo messo a punto un album attento alle liriche e melodie»

IL DUO DEL SOGNANDO CRACOVIA TOUR

Romina Falconi Immanuel Casto I GIOVANI CANDIDATI A SANREMO 2015

La rentrée di Alberto Fortis, a quasi due lustri di distanza dagli ultimi inediti, con 12 canzoni «intense, vere ed emozionali», in una sorta di «quadratura del cerchio» nella sua carriera (col desiderio di andare, per la prima volta, in gara al «Festival di Sanremo»)

Daniele Ronda Riky Anelli

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Sommario IL PERSONAGGIO IN COPERTINA Nino D'Angelo «Nella mia carriera ho faticato tanto per raggiungere la popolarità, avversando il pregiudizio: con questo spettacolo mi sono tolto uno sfizio, facendo una dichiarazione d'amore al mio pubblico, a cui devo tutto»

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IL PERSONAGGIO IN COPERTINA Alberto Fortis Alberto e la sua «quadratura del cerchio», in un percorso «sonoro» scandito da «vivacità, idee, coerenza e passione»

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IL PERSONAGGIO IN COPERTINA Amedeo Minghi «Un tempo i ragazzi mi fermavano per strada, chiedendomi l'autografo per le mamme: oggi, grazie ad Internet, sono diventati i miei primi sostenitori e ne sono pienamente entusiasta»

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LA SIGNORA DELLA CANZONE ITALIANA Iva Zanicchi «Nella mia carriera non ho avuto un autore che scrivesse esclusivamente per me: nel 2015 mi piacerebbe ricevere un bel brano da Zucchero o da altri grandi della musica italiana»

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L'ANIMA VOCALE DALLE IMMENSE SFUMATURE Paola Folli «Sono in una fase di rinascita: in questi anni ho avuto il tempo di guardarmi attorno ed ascoltarmi in silenzio. Oggi, raccolte le idee, sono finalmente pronta a tornare con un album di inediti» 20 MUSICA - IL TALENTO IN ASCESA Marco Selvaggio Marco e la sua anima cosmopolita fra pop, modernità, atmosfere sonore originali e un leggero retrogusto elettronico MUSICA - IL TALENTO IN ASCESA Manuel Rinaldi «Essere cantautori oggi vuol dire avere la libertà di esprimersi, senza imposizioni di mercato e case discografiche: credo ci sia davvero un enorme fermento da scoprire»

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IL CANDIDATO FRA I GIOVANI A SANREMO 2015 Riky Anelli Le «considerazioni notturne» di Riky, con la speranza «di tornare a Sanremo» e un profondo desiderio di «ascoltarsi, per capirsi e migliorare quello che non va nella società» 36 SANREMO, X FACTOR E WEB L'ESCALATION DI UN'ARTISTA Romina Falconi Un'anima vocale capace di spaziare nei registri, dando spessore alle corde dell'anima: Romina Falconi e le sue molteplici vite fra «Sanremo, X Factor, il tour di Ramazzotti e i duetti con Immanuel Casto»

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DAL FENOMENO WEB AL SUCCESSO DEL SOGNANDO CRACOVIA TOUR Immanuel Casto «Avere talento vuol dire essere unici, con uno stile inconfondibile: in troppi oggi credono di possederne. Io ritengo non si debba mai perdere di vista l'umiltà»

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MUSICA - IL GRUPPO RIVELAZIONE Blastema I Blastema? Per dirla alla Pratolini: «Un gruppo d'altri tempi come ce ne sono in ogni tempo»

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MUSICA - LA GIOVANE PROMESSA Anila «Trovo che ci siano tanti bravi esponenti canori in giro: emergere è difficile, ma è importante che qualcuno creda in loro, dando messaggi positivi e incoraggiamenti»

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MUSICA - IL POLIEDRICO CANTAUTORE Giuseppe Capuana «Mi piace l'idea di avvicinare le canzoni ad una visione pittorica: nel mio disco ci sono tanti piccoli quadretti che, uno accanto all'altro, narrano una storia»

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I LIBRI PER NATALE LA SCRITTRICE DELLA GIOIA Barbara Pozzo «È necessario tornare ad ascoltarsi, ritrovando in ciascuno la componente più intima e umana, per vivere al meglio i propri giorni e capirsi»

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IL CANDIDATO FRA I GIOVANI A SANREMO 2015 Daniele Ronda Il momento d'oro di Daniele Ronda: dal disco «La rivoluzione» al «Concerto di Natale» su Raidue, non perdendo di vista il suo folk e la dimensione «live» in tutt'Italia 32

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il magazine che non t'aspetti (tutti i colori dell'intrattenimento)

Amedeo Minghi e il fascino di «suoni tra ieri e domani», con la consapevolezza che «musica e poesia» siano intimamente unite da sempre Il celebre cantautore romano sta animando un tour teatrale, tratto dal suo ultimo album, con tappe il 21 dicembre al «Colosseo» di Torino e il 22 al «Nuovo» di Milano, fra aneddoti, racconti, complicità al pianoforte del maestro Luca Perroni e brani scritti per i suoi colleghi negli anni

LE RIVELAZIONI FRA ROCK E POP

Blastema Anila FRA CANTAUTORATO E LETTERATURA

Giuseppe Capuana Barbara Pozzo Dicembre 2014


Nino D'Angelo Dicembre 2014


IL PERSONAGGIO IN COPERTINA

Nino D'Angelo, interprete istrionico e ricco di pathos, sta vivendo il successo in tutt'Italia del suo «Concerto Anni '80...e non solo», raccontando l'affetto incondizionato dei fan negli anni in un'intervista «umana e sensibile», delineando i tratti salienti di un percorso «in attesa di un tour internazionale il prossimo anno» (e chissà che presto non possa esserci un ritorno a «Sanremo»)

«Nella mia carriera ho faticato tanto per raggiungere la popolarità, avversando il pregiudizio: con questo spettacolo mi sono tolto uno sfizio, facendo una dichiarazione d'amore al mio pubblico, a cui devo tutto»

Il coraggio di essere artisti. E Nino D'Angelo ne ha da vendere, alla luce di un percorso scandito da 40 anni di “sangue, sudore e lacrime”, avendo faticato (nel vero senso del termine) per raggiungere la popolarità, avversando “qualsiasi pregiudizio” nei confronti di un “esponente del Sud”. Milioni di dischi venduti, continue “metamorfosi” sonore, interpretazioni teatrali (da ricordare il suo “Zingari” di Raffaele Viviani) e tournée da autentici “sold out”. Come sta, ancora una volta, dimostrando nel suo “Concerto Anni '80…e non solo”, conquistando il pubblico più traversale (“si sono avvicinati al mio universo i ventenni, che hanno imparato a conoscere le mie canzoni dai film che ho fatto”), fino a richiedere numerose repliche (il 27 dicembre sarà la volta della rentrée al “Palapartenope” di Napoli), prima di iniziare un “world-tour” nel 2015, nei “più illustri politeama internazionali”. Ad affiancarlo: Massimo Gargiulo (piano e tastiere), Agostino Mennella (batteria), Guido Rosso (basso), Franco Ponzo (chitarre), Mimmo Langella (chitarra elettrica) e Milly Alcolese (vocalist). Fra una domanda e una risposta, a voi l'incontro “a cuore aperto” con un uomo (prima che personaggio pubblico) dall'estrema sensibilità, pronto ad arricchire chi l'ascolta con l'umiltà e la vis genuina del suo universo interiore. Domanda – Signor Nino, è un piacere ritrovarla a distanza di qualche anno dall'ultima volta in cui abbiamo chiacchierato, ai tempi della sua tournée di “Zingari” al “Piccinni” di Bari: ricordo che venni a scambiare due battute con lei in camerino. Alla fine, mi disse: “Che bello! La categoria dei giornalisti è migliorata. Non mi si fanno più domande sul caschetto biondo o su quante volte alla settimana mi lavassi i capelli, ma si ha più spessore nei miei confronti”. Mi auguro, sinceramente, di non deluderla anche questa volta. Risposta – (Dopo una risata in comune al telefono, ndr) Sa che mi ricordo di lei? Il piacere di ritrovarla per un'intervista è tutto mio: vedrà che anche in quest'occasione non mi deluderà. Ne sono certo. E poi lei ha visto anche il mio aspetto interpretativo teatrale: “Zingari” è stato uno spettacolo bellissimo. D . – Assolutamente: le sue corde drammatiche hanno avuto piena manifestazione in quella pièce, con cambi di registri e spessore. Stavolta, però, l'input della nostra chiacchierata è dettato dal suo “Concerto Anni '80….e non solo”, con cui sta girando tutt'Italia (dieci appuntamenti da Napoli a Torino, passando per Roma, Milano e Bari) in un autentico “sold out”. R . – Questo è uno spettacolo che non toglie né aggiunge nulla al mio percorso: lo ritengo uno “sfizio”. Si tratta di un regalo che faccio a tutti quei ventenni che hanno imparato a conoscere le mie canzoni del passato dai numerosi film che ho fatto: oggi me li ritrovo a teatro entusiasti, pronti a stringermi la mano e a chiedermi autografi. Con tutto il mio pubblico, anche con quello più giovane, ho un bel rapporto di stima, amicizia e passione. Ho voluto dedicarmi un attimo di sano e puro divertimento, facendo contenti i miei fan con questa tournée, che toccherà anche l'estero. D . – Ecco, subito, emergere la sua generosità: a motivarla è un atto d'amore nei confronti del pubblico. R . – Quelle tratte dai miei film sono canzoni che non moriranno mai: quando ho iniziato il mio percorso non è stato facile. Ho faticato per raggiungere il successo, che oggi mi si

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riconosce. Alla gente non potevo non fare questo regalo, riproducendo i suoni e le atmosfere dei miei brani d'allora. Mi vogliono davvero dappertutto. Non ha idea, caro Gianluca, cosa possa accadere durante le serate dello spettacolo. D . – Lo immagino, lo immagino. Non è un caso che stia facendo “sold out” in ogni città, tanto da aver messo a punto una doppia replica al “Palapartenope” di Napoli il 27 dicembre. R . – Giusto: ci sarà una doppia replica. Ma non si esclude possano aggiungersi altre date e città. Non mettiamo limiti alla provvidenza: siamo qui per questo (e ride, ndr). D . – Si sarebbe, in tutta onestà, mai aspettato un percorso come quello vissuto in decenni e decenni di carriera? R . – Guardi, io devo dire la verità: non mi sarei mai immaginato di poter fare tutto quello che ho messo a punto in 40 anni, ritrovandomi oggi qui a parlare con lei, in questa intervista, facendo un po' un piccolo bilancio. Quando tu sei il primo a fare delle cose, non hai il polso della situazione e non sai per quanto potrà durare tutto. Io ho anticipato i tempi con la mia musica: intere generazioni di cantautori napoletani si sono rifatte a me. Non posso che esserne lusingato. D . – Come dire: lei è stato un “precursore”, un vero e proprio “avanguardista” e antesignano della linea melodica napoletana contemporanea. R . – Grazie, Gianluca: mi piace essere ritenuto un

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avanguardista. Vuol dire che ho guardato prima di altri in una certa direzione, con lungimiranza e passione. Sono cambiati i tempi del ragazzo dal caschetto biondo, ma quello è stato fondamentale per arrivare fin qui e, anche se per molti la mia immagine si è fermata a quell'epoca, a me non interessa. M'importa continuare ad essere un artista completo, come spero di esserlo diventato. D . – Il discorso relativo al “Nino caschetto biondo” è solo legato ad un pregiudizio: lei ha saputo dimostrare negli anni cambiamenti, messa in discussione in imprese sempre diverse e aspetti “world” nella sua musica. R . – Il pregiudizio io me lo porto sempre in tasca: l'esame lo devo superare quattro volte, prima di andare avanti nell'immaginario collettivo. Secondo molti io sono quello che ha avuto successo senza essere colto, senza aver studiato, venendo da una terra nella quale non c'è nulla. Sbagliano, perché a noi del Sud hanno proibito la cultura a lungo, volendoci succubi di un certo sistema nel quale non decidere. Siamo cresciuti facendo esperienza sulla nostra pelle, senza che alcuno ci aiutasse. E non è stato giusto. D . – Triste dover evincere ancora quelle differenze di cui lei parla, affermando frasi del tipo “noi del Sud”. R . – Esatto, Gianluca. È triste. Noi siamo per molti, ancora oggi, quelli del Sud, non considerando che l'Italia deve essere unita per andare avanti, soprattutto in un momento di crisi,


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come quello nel quale ci troviamo. C'è tanta disperazione in giro e questi, dall'alto del loro potere, vengono a parlarci di differenze. Ma per favore! D . – Quanto lei sostiene, mi fa venire in mente una massima del celebre drammaturgo britannico Arnold Wesker: “L'ignoranza e la stupidità hanno potere soltanto in un mondo in cui la maggior parte delle persone le riconoscono come proprio linguaggio”. R . – E aveva pienamente ragione. Per dirgliene una: io sono stato in teatro a Forcella. Purtroppo hanno dovuto chiudere i battenti, per svariate ragioni. Così facendo, andando nelle periferie, io volevo portare la cultura dove non c'era. Io sono fiero di appartenere ad un popolo, che sogna ancora di cambiare l'andazzo delle cose, facendo valere i propri meriti. D . – Ecco il bello delle interviste: raccontare gli aspetti umani degli artisti, come sta accadendo stavolta con lei. R . – Eh, Gianluca, ma non sempre è così: il merito è suo. Mi creda. D . – Che dire del trentennale della scomparsa di Eduardo, celebrato di recente in tv con la messa in onda in diretta de “Le voci di dentro”, dal “San Carlo” di Napoli, con i fratelli Servillo? R . – Eduardo meritava questo ed altro. È stato un grande della nostra drammaturgia. Ha fatto bene la Rai a dare spazio a “Le voci di dentro”: è un servizio pubblico e deve soddisfare le esigenze dei contribuenti, anche teatrali, che pagano il canone. Gli anniversari sono importanti e vanno onorati. D . – Musicalmente nel suo percorso cosa sta accadendo ora, dopo la svolta “world”, ricca di suoni e contaminazioni? R . – Questo è per me un momento di riflessione: il “Concerto Anni '80…e non solo” nasce proprio per rilassarmi un po'. In generale credo che la musica italiana oggi sia dominata dai rapper e dal pop: il che va anche bene, ma bisogna saper scegliere per andare verso il meglio. Io sono in pausa. D . – E se ci fosse il “Festival di Sanremo”? R . – Magari! Io non sono snob, come molti miei colleghi che si rifiutano di parteciparvi. Il “Festival” non serve a cambiare la musica italiana, bensì a presentare una bella canzone (se c'è), in una settimana nella quale milioni e milioni di spettatori ti seguono. A me ha dato molto, facendomi conoscere a tutti quando l'ho animato per la prima volta diversi anni fa. Se ci fosse un bel pezzo, ci andrei. Eccome! D . – Cosa vuol dire, dal suo punto di vista, avere talento? R . – Il talento è una cosa che si ha e non si impone. Si nasce cantante, giocatore e molto altro. La passione senza talento non va da nessuna parte. D . – Cosa le piacerebbe potesse rimanere della tournée, ad epilogo del suo “Concerto Anni '80…e non solo”? R . – I ventenni apprezzano quello che faccio oggi, avendomi scoperto attraverso i miei film. Io ho rivisitato tante canzoni, rendendole molto attuali: il tutto sta piacendo e non potrei chiedere altro al momento. D . – Siamo, purtroppo, quasi arrivati alla conclusione della nostra chiacchierata: metaforicamente, Nino D'Angelo come si rifletterebbe oggi allo specchio? R . – Io penso di essere cresciuto molto, soprattutto negli ultimi 20 anni, grazie ad atmosfere sonore alla Peter Gabriel e ai lavori di Raffaele Viviani. Credo di aver fatto una buona musica, imparando a contaminarmi. Certo, farsi apprezzare da tutti è un'ardua impresa: per molti sarò sempre quello “col

caschetto biondo”, che ha cantato “nu jeans e na maglietta”. Quasi fosse uno sbaglio, una condanna: ma non sanno che per me è stato ed è un privilegio. Io grazie a tutto questo sono stato per 7-8 mesi primo in classifica in Romania, fra l'altro, cosa che non è accaduta a tanti miei colleghi, spesso presenti all'estero, con numerosi incontri musicali. D . – Lei è un artista allo stato puro e non ci sono pregiudizi che tengano. Ci lasciamo, signor Nino, con un'ultima domanda: secondo Longanesi “un'intervista è un articolo rubato”. Cosa le è stato sottratto, sinceramente, durante questa chiacchierata? R . – Lei, caro Gianluca, è stato molto carino e disponibile. Mi ha veramente messo a mio agio e questo non può che farmi un enorme piacere. Tra l'altro, c'eravamo già conosciuti e non posso che avvalorare la tesi di quanto lei sia grande. Sta facendo strada, amico mio. Ci sono tanti suoi colleghi che spesso e volentieri intervistano, senza sapere nulla dell'artista, brancolando nel buio. Lei è venuto pure a vedermi a teatro anni fa in “Zingari”, cogliendo gli aspetti della mia personalità a livello teatrale. La ringrazio di cuore e l'attendo alla prossima. Gianluca Doronzo

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Alberto Fortis Dicembre 2014


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Nuovo album di inediti per il celebre cantautore Fortis («Do l'anima», etichetta «Formica» e distribuzione «Sony Music»), con ottime attestazioni di pubblico e critica, cogliendo gli aspetti più sinceri della «parola» e delle «melodie», in attesa di un tour nel 2015 da vivere con «atmosfere magiche»

Alberto e la sua «quadratura del cerchio», in un percorso «sonoro» scandito da «vivacità, idee, coerenza e passione»

Alberto Fortis sente di essere in una sorta di “quadratura del cerchio”. A confermarlo il nuovo album, pubblicato a quasi dieci anni di distanza dagli ultimi inediti, programmatico fin dal titolo: “Do l'anima” (etichetta “Formica”, distribuito da “Sony Music”). E, quasi fosse un fiume in piena, al telefono ne racconta, con estrema disponibilità, la genesi (“assieme a Lucio Fabbri abbiamo fatto una selezione fra circa 40 canzoni, dando importanza ad aspetti legati a liriche e linee melodiche”), i gradimenti del pubblico (“sto ricevendo lusinghiere attestazioni”), gli auspici (“il prossimo anno metteremo a punto un tour: adoro la dimensione live”) e i tanti, tantissimi progetti che ancora si dovranno realizzare (“ho scritto un musical, che presto potrebbe andare in scena e, perché no, mi piacerebbe partecipare al prossimo Festival di Sanremo, visto che per me sarebbe la prima volta in 35 anni di carriera”). Con una chiosa molto particolare: alla luce della estrema vivacità espressiva e del suo “ritorno alle origini”, metaforicamente allo specchio oggi vedrebbe “una figura poliedrica, in grado di armonizzare tutti i suoi aspetti, come non mai”. Chapeau. Domanda – Signor Fortis, a distanza di quasi dieci anni dal suo ultimo album di inediti, eccola nuovamente protagonista della scena musicale italiana con “Do l'anima”: un titolo che, in un certo senso, rappresenta un po' il manifesto programmatico del suo percorso, in una sorta di quadratura del cerchio. Vero? Risposta – In effetti l'album costituisce, un po' come ha giustamente detto lei, una sorta di quadratura del cerchio di quanto vissuto negli anni, facendomi ritornare quasi alle origini, sia da un punto di vista lirico che melodico. Condivido la sua affermazione nel ritenerlo un mio “manifesto programmatico”, visto che ho puntualmente dato me stesso in quello che ho fatto finora. C'è da aggiungere un elemento non indifferente: il disco è nato da una selezione di circa 40 brani, fatta assieme al maestro Lucio Fabbri. Ne abbiamo scelti 12, a nostro avviso i più rappresentativi e freschi per una mia rentrée nello scenario odierno. Di sicuro abbiamo perseguito la cifra della melodia e credo proprio che non abbiamo sbagliato, alla luce delle numerose attestazioni che stiamo ricevendo. Sa, oggi c'è tanto ma, forse, c'è una specie di “trascinarsi” in quello che si fa, seguendo mode e istanze déjà vu. Musicalmente si può fare molto di più… D . – In virtù di quello che ha appena sostenuto, l'aspetto melodico è, dunque, ciò che oggi manca nello scenario musicale? R . – Direi che è una delle componenti di cui si deficia, gioco forza, nello scenario contemporaneo. Credo, in un certo senso, si sia persa la piacevolezza del suono, fondamentale per apprezzare un buon brano. In “Do l'anima” mi sembra ci sia una sorta di vis intrigante in quello che si sussegue, partendo spesso dalla volontà di mettere a punto una precisa melodia e determinati codici con radici ben consolidate nella musica, nella tradizione. Ecco spiegata, per così dire, la quadratura del cerchio con un “ritorno alle origini”. E poi ritengo sia importante far passare un “messaggio”, termine attualmente forse un po' brutto, ma necessario a rendere viva l'idea di quello che si vuol trasmettere con un preciso lavoro: abbiamo conferito aspetti fondamentali alle parole, avendo una voglia di “confessarsi” dopo ben quasi dieci anni d'assenza dagli

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inediti, raccontando il vissuto, gli stati d'animo e il nostro vivere, come se ogni canzone fosse un dipinto, un principio esistenziale da cui non poter prescindere. D . – Se dovesse, in un certo qual modo, fare un primo bilancio dei riscontri dell'album, cosa sentirebbe di rispondere? R . – A me sembra si stia premiando il coraggio della scelta fatta nella selezione dei brani: il pubblico sta trovando un Alberto Fortis fresco, contemporaneo, rispettoso della sua cifra, con un vivace entusiasmo verso la musica. Dalle prime presentazioni la gioia la sta facendo da padrona. Ad esempio, “Buonamore”, pezzo che conclude l'album, è stato scelto da una campagna pubblicitaria e non posso che esserne contento. Poi ci sono stati diversi giornali che hanno ben recensito il mio lavoro e, fra l'altro, Vincenzo Mollica mi ha dedicato un bel servizio nella sua rubrica all'interno del Tg1. Davvero un bel momento, caro Gianluca. D . – A che punto del suo percorso è arrivato “Do l'anima”, signor Fortis? R . – Stando a tutte le coordinate che abbiamo delineato finora, non posso che ribadire il concetto di aver messo a punto un lavoro quasi fosse a “chiusura del cerchio” di quanto elaborato negli anni. È un po' come se fosse il disco arrivato al giro di boa, ricordandomi le mie prime tracce, in un mix di sperimentazione, esperienze maturate in Inghilterra e negli USA. Inutile dirle come ci siano dei periodi nei quali un artista ha stimoli e vuole contaminarsi, andando per addizione ed altri nei quali, sottraendosi, desidera procedere per essenzialità. Io ho fatto tesoro di tutte le esperienze che hanno arricchito il mio viaggio nella musica e so benissimo di aver animato i miei codici, il mio stile e la mia cifra. In “Do l'anima” sono pienamente me stesso, nuda verità allo specchio. D . – E, dove c'è la verità, va sempre bene. Andando avanti nella nostra chiacchierata, mi interessava sapere cosa pensasse dei “talent show” e, dal suo punto di vista, che volesse dire realmente “avere talento”? R . – Bene, bene, bene. Questa domanda ha talmente un ampio respiro, che non saprei quasi da dove iniziare (e ride, ndr). Partiamo dal presupposto che si sa come oggi sia cambiata la comunicazione con l'avvento del web e il moltiplicarsi dei media, in

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generale. La musica ha sofferto molto di tutto questo, soprattutto perché spesso la si scarica gratuitamente e non si comprano più i dischi: è stata, per così dire, saccheggiata. Da un lato c'è stata questa pirateria incondizionata, dall'altra si è aperta una giungla infinita “sdoganando” il rapporto col pubblico, per intenderci. Ovviamente lo “sdoganare” i confini ha alimentato, spesso e volentieri, un certo dilettantismo. Un saggio diceva che “l'uomo, a volte, inventa grandi cose”: con questo sistema di internauti, dove tutti possono fare la propria musica, cosa è accaduto? Che l'industria discografica non ha più consentito, a causa della mancanza di investimenti, di far decollare delle carriere, come accadeva una volta, quando esistevano contratti per cinque anni e almeno 3 album da far uscire, avendo i giusti tempi di maturazione delle idee. Oggi si è alimentato il gusto del “tutto e subito”, di conseguenza i ragazzi hanno visto nei “talent” la loro isola felice, la chance con la quale esibirsi e mostrarsi a milioni di italiani. Si è visto che, televisivamente parlando, i contesti funzionavano e si sono inflazionati, spesso a discapito di gavette, duri sacrifici e carriere da far decollare. Ad esempio, se consideriamo “X Factor”, io ci sono stato ospite per un paio di occasioni negli ultimi quattro anni e non posso dire che non sia fatto bene, però mi sento di suggerire a chi vi partecipa di avere i piedi ben saldi per terra, ritenendolo solo un punto di partenza e non


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d'arrivo. Altrimenti è la fine. È come se un genitore dicesse ad un figlio di fare attenzione perché, durante la via, incontrerà tanti ostacoli da superare. Va da sé che non tutto sia deleterio: qualcosa di buono viene sempre fuori e mi sembra che anche in questa edizione stia accadendo. Giusto per tirare le fila del nostro discorso, per chi fa musica oggi in Italia altro non esistono che i “talent” e “Sanremo”. D . – E lei parteciperebbe al “Sanremo” di Carlo Conti nel 2015? R . – Certamente: direi subito di sì. A mio avviso, però, si tratterebbe di un miracolo, visto che è molto difficile essere scelti fra i 20 che andranno in gara. La vedo dura, ma non dispero. Io stimo molto Carlo Conti e sono sicuro che metterà a punto un gran bel cast. Per quel che mi riguarda sarebbe, alla luce di “Do l'anima”, un gran bel segnale per la quadratura del mio cerchio professionale, soprattutto perché non l'ho mai fatto. Esserci dopo tanti anni di carriera mi piacerebbe molto. D . – La sua eventuale partecipazione al “Festival” sarebbe un bel riconoscimento nell'ambito della sua carriera. R . – Beh, certamente questo sarebbe vero. Tutto dipenderà dalla valutazione dei brani e dai criteri con cui la commissione sceglierà gli ammessi all' “Ariston”. Incrociamo le dita e quel che sarà, sarà. D . – Pensando alla preparazione della nostra chiacchierata nei giorni scorsi, mi veniva in mente una domanda: che ricordi ha dell'esperienza vissuta a “Music Farm” nel 2006, dove si è classificato terzo? R . – “Music Farm” è stata un'esperienza umana sorprendente: poi, se proprio vogliamo dirla tutta, è stata un po' la mamma di “X Factor”. Pensi che noi partecipanti demmo suggerimenti alla produzione, dicendo di far diventare il programma meno reality e più musica. E così fu nel tempo. Ciò che più mi disarmò, fu il non aspettarmi di poter arrivare fino alla fine, ottenendo addirittura un terzo posto. Si è trattato di un'avventura vera, bellissima, molto forte. Una chance che ha dato una gran rispolverata alla mia popolarità, con un prime time che andava molto bene su Raidue: decisamente forte. Io, ad esempio, subito dopo misi a punto il mio album di inediti. Ovviamente per me è stata una sorta di “una tantum”, ma ne serbo un ricordo indelebile. Subito dopo iniziò l'epopea di “X Factor” e la musica, assieme alla spettacolarità delle esibizioni, ne è diventata l'autentica protagonista. D . – Stiamo, pian piano, arrivando alla conclusione della nostra intervista: cosa vorrebbe potesse emergere dall'album “Do l'anima”? Quale elemento le piacerebbe venisse apprezzato? R . – Il mio auspicio è che questo album possa piacere sempre di più e se ne possa parlare in maniera esponenziale. C'è in previsione per il prossimo anno un tour, che stiamo mettendo a punto proprio in queste settimane. Mi piacerebbe, come le dicevo prima, partecipare al prossimo “Sanremo”, proprio a mo' di coronamento del mio percorso in tanti anni. Di sicuro non abbandonerò mai la dimensione “live” e poi, nel cassetto, c'è il progetto di un musical scritto, che potrebbe ben presto realizzarsi. Da non omettere, infine, la dimensione dei video: proprio per “Do l'anima” ne ho fatto uno bellissimo, con tanti supporti di tecnici e di un regista, che collabora al “Teatro alla Scala” di Milano con Roberto Bolle, per farle un esempio. Davvero tanta delicatezza e poesia.

D . – Se a questo punto dovesse metaforicamente specchiarsi, quale immagine verrebbe fuori di Alberto Fortis? R . – Oggi vedrei una figura poliedrica: ho affrontato diversi territori nel mio vissuto, dando veramente l'anima, ed ora vedo numerosi siparietti con diversi me. Con una spiccata peculiarità: questa figura riesce ad armonizzare il percorso fatto, in una sorta di quadratura del cerchio. Sono in una dimensione armonica. E le aggiungo che questa stessa sensazione l'avevo vissuta ai tempi di “Universo Fortis” nel 2004, con 19 canzoni che mi rappresentavano pienamente. Ho ben impressi in mente i miei esordi ed è come se oggi, in una specie di viaggio nel tempo, fossi tornato a quell'epoca con una consapevolezza datami dalla maturità e dalle esperienze vissute. Si sente spesso parlare di crisi: solo in simili situazioni si ha il coraggio di andare avanti, paventando una carrellata di idee, dando alla luce “creature” totalizzanti. Io sto vivendo a pieno gusto le mie soddisfazioni e non potrei farne a meno. Dicendo un bel “grazie” alla vita. Gianluca Doronzo

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Amedeo Minghi Dicembre 2014


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Amedeo Minghi, vivace e propositivo più che mai («mi sono affacciato solo di recente sui social e i miei video hanno visualizzazioni pazzesche»), è protagonista del tour teatrale «Suoni tra ieri e domani», dall'omonimo album pubblicato di recente, con prossime tappe a Torino e Milano, rispettivamente il 21 e 22 dicembre

«Un tempo i ragazzi mi fermavano per strada, chiedendomi l'autografo per le mamme: oggi, grazie ad Internet, sono diventati i miei primi sostenitori e ne sono pienamente entusiasta»

“Un tempo i ragazzi mi fermavano per strada, chiedendomi l'autografo per le mamme. Oggi, grazie ai social e al web, si sono avvicinati al mio mondo, diventando miei grandi sostenitori. Ed io sono lusingato dal loro affetto”. Amedeo Minghi, storico esponente della sfera cantautoriale “made in Italy”, sta vivendo una delle fasi più vivaci della sua carriera: ha esordito in quel di Bologna col tour “Suoni tra ieri e domani” (accompagnato dal pianista Luca Perroni), dall'omonimo album di recente pubblicazione (“La Sanbiagio Produzioni srl/ Terre Sommerse/ Artist First – Made in Etaly”), conquistando una platea trasversale (come ha “postato” sulla sua pagina Facebook), dimostrando l'entusiasmo delle nuove generazioni nei suoi confronti, grazie ai video in Internet. E così, in attesa di essere il 21 dicembre a Torino (al “Colosseo”) e il 22 a Milano (“Teatro Nuovo”), trova lo spazio per chiacchierare amabilmente in un'intervista, al termine della quale ancora oggi, dopo numerosi decenni di onorata carriera, “si stupisce” di quanto messo a punto nel tempo, prendendone consapevolezza “dalla preparazione di un app” per Internet. Ecco spiegata, in sintesi, la modernità dei grandi, puntualmente al passo con la metamorfosi dei mezzi di comunicazione, senza esitazione di sorta. Domanda – Signor Minghi, di recente ha esordio a Bologna col suo tour teatrale, dal titolo “Suoni tra ieri e domani”, tratto dall'omonimo album pubblicato qualche mese fa. Com'è stato il riscontro? Risposta – Il riscontro è facilmente controllabile attraverso la mia pagina Facebook: le tante foto testimoniano il pubblico presente e l'affetto, avendomi conferito un'accoglienza bellissima. Ho avvertito calore, in maniera trasversale, da parte di tante persone. Le nuove generazioni si stanno avvicinando al mio mondo, scoprendone tutte le sfumature. Io poi sono legato ai recital fatti in teatro: tanti anni fa ne animai uno, che totalizzò ben 160 repliche. Un dato davvero memorabile. Mi ha fatto, inoltre, enorme piacere tornare a Bologna, dove ho avuto modo di esserci in passato. Nel cuore

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riadattato un mio pezzo: non è escluso che io possa mettere a punto qualcosa proprio per esponenti internazionali. Chissà! D . – La dimensione teatrale è quella che le appartiene da sempre: vero? R . – Di sicuro è quella nella quale mi riconosco da sempre. Io ho debuttato in teatro nell'89 e vi ho portato davvero di tutto: orchestra, gruppi, grandi elementi nel '92. Ne ho fatte, come si suol dire, di cotte e di crude. Alla fine, sa qual è la verità? La gente ha voglia di ascoltare le canzoni, esattamente come sono, senza orpelli e sovrastrutture. Ci sono illustri personalità a cui ho affidato gli arrangiamenti di alcuni miei pezzi e davvero non posso che esserne entusiasta. D . – Col suo ultimo disco si è, dunque, riappropriato dei suoi pezzi, signor Minghi. R . – Direi proprio di sì: ho fatto nuovamente diventare mie tutte quelle canzoni che sono state accompagnate da gloria, ma anche da tanti altri aspetti attorno. “Suoni tra ieri e domani” mi appartiene. D . – Dal suo punto di vista, cosa vuol dire essere cantautori oggi? R . – Per me, una volta come oggi, è ancora uno status, concependolo a metà fra musica e poesia. Di sicuro in passato si era cantautori sul serio, facendo in modo che le canzoni rimanessero davvero nel cuore della gente. Oggi, a mio avviso, i pezzi sono molto più radiofonici, paventando una dimensione meno romantica, ma c'è ancora tanto da fare: non basta un bel motivetto per arrivare al successo, consolidando la propria carriera nel tempo. Per questo tanti ragazzi si sono affacciati a scoprire il mio mondo, facendolo diventare

ho le immagini di un esordio fantastico, vissuto con tanto amore. D . – Cosa rappresenta nel suo percorso l'album “Suoni tra ieri e domani”? R . – Si tratta di un tracciato, di una sorta di documento, di una retrospettiva: mi sono riappropriato di dieci brani che avevo affidato a miei colleghi illustri, vivendone pienamente la genesi e le dinamiche musicali. Come dirle: si tratta di un salto nel passato, nel tempo che c'era, condividendolo col mio pubblico. Oggi, a mio avviso, in troppi stanno sulle torri d'avorio, convinti della bontà del proprio mondo. Io, in realtà, non faccio l'autore di mestiere: se ho scritto per altri, è perché me l'hanno chiesto. Del resto compongo solo per me stesso. Il mio “Suoni tra ieri e domani” è una sorta di libro/disco, che propone il meglio di quanto accaduto, attraverso il mio filtro: ci sono motivi messi a punto per la Martini, per Bocelli e la Pavone, per farle un esempio, dei quali illustro la genesi e gli sviluppi successivi. Un gran bel momento nel mio percorso. D . – Per chi le piacerebbe scrivere oggi? R . – In tutta onestà ci sono molti nomi: in Italia, tuttavia, non saprei come muovermi, considerando l'andazzo dei giorni nostri. L'anno scorso, ad esempio, Justin Timberlake ha

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proprio: ad esempio, il 30 ottobre alla “Sapienza” di Roma in molti hanno realizzato nuovi arrangiamenti dei miei pezzi che, ben presto, saranno registrati. Sono stati davvero bravissimi. C'è tanto fermento nelle nuove leve. D . – A proposito di giovani: qual è il suo punto di vista sui cosiddetti “talent show”? R . – A dire la verità non mi piacciono in un senso: le carriere, come le ribadivo prima, si costruiscono in maniera sana nel tempo e mi sembra che, molto spesso, ci siano basi fragili da parte di questi ragazzi. D'altro canto, però, mi rendo perfettamente conto che non hanno alternativa: non esistono più i discografici, i produttori e i talent scout. Un tempo si facevano contratti per la durata di 5 anni, avendo la chance di elaborare e maturare idee. Oggi non è più così, quindi si è costretti a fare i conti con quello che la realtà propina. Come diceva il buon Morandi: “Uno su mille ce la fa”. Anche se, attualmente, a me sembra “uno su centomila”. Vedremo quello che il futuro ci riserverà. D . – Tornerebbe in gara al “Festival di Sanremo”? R . – Guardi: io ho dato tanto a “Sanremo” e mi è stato dato tanto. È una parte integrante di me. In questo momento non ci tornerei, in quanto sono soddisfatto dei risultati del mio disco e di come stanno andando le cose. Mi sono, tra l'altro, affacciato al mondo del digitale e ho scoperto che le

visualizzazioni dei miei video raggiungono cifre pazzesche. Nella vita mai dire mai. Non posso preventivare quello che il futuro ha in serbo per me. D . – Cosa le piacerebbe potesse emergere dal suo tour? Quali attestazioni vorrebbe ricevere? R . – Di attestazioni ne sto ricevendo davvero tante e molto belle: mi sono affacciato su Facebook solo la scorsa estate e ho moltiplicato i contatti a dismisura. C'è una gran fetta di pubblico che mi sostiene: un tempo i ragazzi mi fermavano per strada, chiedendomi l'autografo per le mamme. Oggi sono i giovani stessi ad essersi avvicinati al mio mondo, grazie ad Internet, gratificandomi col loro affetto. Ne sono lusingato. D . – Arrivato a questo punto, alla luce delle esperienze maturate, s'immagini metaforicamente allo specchio: come si rifletterebbe oggi Amedeo Minghi? R . – Ho un'immagine sorpresa di me: proprio qualche tempo fa, preparando un app da inserire in Internet, mi sono reso conto di averne fatte tante. Davvero un enorme mole di lavoro caratterizza il mio percorso e ne sono stupito. Ma, ben inteso, io continuo ancora: ho tantissime idee e non mi fermo, proponendo progetti e realizzando avventure nelle quali credo con tutto me stesso. Gianluca Doronzo

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LA SIGNORA DELLA CANZONE ITALIANA

Iva Zanicchi, attualmente in giuria nella kermesse «Ancora volare» all'interno di «Domenica in» su Raiuno, vorrebbe tornare in tv con un programma tutto suo («ho diverse idee: speriamo che Mediaset le accolga»), auspicandosi che Carlo Conti la chiami «per un'ospitata» al prossimo «Festival di Sanremo»

«Nella mia carriera non ho avuto un autore che scrivesse esclusivamente per me: nel 2015 mi piacerebbe ricevere un bel brano da Zucchero o da altri grandi della musica italiana»

Con la sua voce ha fatto vibrare “le corde delle emozioni” della canzone italiana. In tanti hanno scritto per lei, anche se “non ha avuto un autore che le cucisse pezzi su misura in maniera esclusiva”. Oggi, però, le piacerebbe interpretare un motivo di “Zucchero o di un altro illustre esponente della nostra musica”. Sarebbe una bella rentrée al “suo primo amore” per Iva Zanicchi, attualmente fra i giurati della kermesse “Ancora volare”, all'interno di “Domenica in” (Raiuno, ogni pomeriggio festivo alle 16.40, con oltre 2milioni di spettatori in media). Amabilissima al telefono, ripercorre i tratti salienti della sua carriera, formulando un sincero “in bocca al lupo” a Carlo Conti per il prossimo “Festival di Sanremo”, a cui parteciperebbe molto volentieri “per un'ospitata, niente di più”. E in pentola bollono “tante idee”, fra le quali l'auspicio di “un programma Mediaset” e, perché no, “un ritorno d'attrice in una fiction”. Per la serie: signori, l'avventura è solo agli inizi. Domanda – Signora Zanicchi, attualmente è fra i giurati della kermesse “Ancora volare” all'interno della nuova edizione di “Domenica in” (Raiuno, ogni pomeriggio festivo alle 16.40, con oltre 2milioni di spettatori in media). Che bilancio sentirebbe di fare? Risposta – Sto facendo la giurata soltanto per quattro puntate, essendo una cara amica di Paola Perego, con la quale ho avuto modo di lavorare in passato. Onestamente a me, come principio, non piace molto giudicare, men che meno i miei colleghi: ovviamente si tratta di un gioco e stiamo lì per divertirci. Ma tengo a ribadire che ho un grande rispetto di tutti, tanto che il mio 8 è diventato politico: i Big sono unanimemente rispettabili e i giovani so quanti sacrifici facciano per affermarsi. D . – Dal suo punto di vista, quale direzione sta prendendo la nuova annata di “Domenica in”? R . – Non voglio esprimere giudizi in merito, in quanto non mi sembra giusto e carino. Dico solo una cosa: se si crede in un progetto, bisogna portarlo avanti fermamente, senza avere alcuna esitazione. C'è la gara canora all'interno: se la si inframezza, dando poi spazio ad interviste ed ospiti, tutto diventa un po' più discontinuo. E non va bene così. Io porterei avanti prima la kermesse, per mezz'ora o quaranta minuti, e poi darei vita a tutto il resto dell'intrattenimento. D . – Essendo stata protagonista di numerose domeniche televisive, sia Mediaset che Rai, in quale modo ritiene siano cambiate negli anni? R . – Onestamente non credo l'intrattenimento sia cambiato tanto: un tempo la “Domenica in” di Corrado e Baudo era animata non solo da grandi conduttori, ma aveva enormi contenuti. Erano trasmissioni carine, che aspettavi, seguendole con piacere assieme alla famiglia fra un ospite e l'altro, con garbo ed eleganza. Oggi si cerca ugualmente di fare spettacolo, ma si perseguono spesso altre strade: ad esempio, va di moda la politica. Per carità: io non ho nulla contro, in quanto l'ho fatta per 6 anni, ma non se ne può più di sentirne parlare anche la domenica, quando ci si dovrebbe rilassare un po'. O, peggio ancora, si fanno i processi sui delitti, fra ipotetici assassini e ricerca del particolare, del segreto della vittima. Non va bene così: questi aspetti non mi piacciono. Sono seguiti da milioni di persone? Per forza, ragazzi: la gente prende quello che dai, non altro. D . – Infatti, il problema è proprio questo: con simili

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contenuti, l'indomani è facile farsi grandi di aver totalizzato quasi 4milioni di spettatori, con percentuali “pazzesche” di share. R . – Lasciamo stare, lasciamo stare. Sorridiamo e sorvoliamo, altrimenti potremmo aprire un capitolo enorme in materia. Credo che nella vita un po' di buon senso non faccia mai male: d'accordo che l'audience sia fondamentale. Nessuno sostiene il contrario. Ma non puoi fare dei processi televisivi, attribuendoti delle competenze che non hai, quando ci sono i magistrati e le aule di tribunale ad hoc. D . – Tornando alle sane domeniche televisive, ripensavo qualche giorno fa alla sua partecipazione in quella di Carlo Conti agli inizi del 2000: certo che di strada ne è stata fatta dal conduttore toscano, fino al “Festival di Sanremo” il prossimo anno. R . – Verissimo. Io sono sempre stata convinta che Carlo meritasse da tanto tempo il “Festival di Sanremo”: è un ragazzo colto, simpatico, professionale e vicino alla gente. Ha avuto, a mio avviso, un percorso straordinario. Lui è uno sempre attento al dettaglio, instancabile: avendoci lavorato assieme, posso testimoniarlo con tutta me stessa. Vuole sapere ogni cosa ed è molto curioso. Gli voglio un gran bene. Che ben venga il “Sanremo” di Carlo Conti. D . – Come se l'aspetta?

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R . – “Sanremo” è cambiato nel tempo: negli Anni '60-70-80 era il “Festival della canzone italiana”. A quei tempi si lavorava un anno per calcare quel fatidico palco. Non c'erano ospiti, ma era una manifestazione con la sua pura identità. A mio avviso, rimane una vetrina importantissima per la nostra nazionale musicale, diventando un grande spettacolo televisivo. Oggi si punta all'effetto del nome straniero, al grande show, allo stupore di un comico. Carlo, secondo me, farà un buon “Festival”: di sicuro starà scegliendo i “Campioni” con grande cura, facendo anche attenzione ai giovani. C'è poi da aggiungere un elemento: si seleziona fra quello che si ha a disposizione. I grandi cantautori italiani non vanno più, sbagliando. In molti lo snobbano. E alla fine il cast si fa fra quello che si propone, non fra quello che non c'è. D . – E lei tornerebbe in gara? R . – Io ho giurato anni fa che non sarei più tornata in gara. In un'altra veste sì: ad esempio, nel “Sanremo” di Carlo Conti ci andrei per un'ospitata. In quel senso sì. D . – Invece lei dovrebbe tornare, perché avrebbe ancora molto da dare a quel palco. R . – La ringrazio, lei è molto gentile. D . – È la verità: le ultime edizioni sono state animate da tanti ragazzi venuti fuori dai “talent”, i cui brani quasi nessuno ricorda più.


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R . – Questo è anche vero: che significa creare il girone dei “Campioni”, quando poi si mettono assieme giovani e non? A quel punto si fa un'unica categoria e finisce la storia. Spesso ci sono stati tanti venuti dai “talent”, assieme a nomi illustri del nostro panorama. D . – Sa che in questi giorni si stanno facendo i nomi di Masini, Ruggeri, Tatangelo, Dear Jack e Dolcenera? R . – Ah, però: se Dolcenera propone un bel brano, sarebbe bello vederla su quel palco. D . – E c'è anche chi parla di ritorni clamorosi della Bertè e Rettore. R . – Guardi, la sua osservazione mi offre lo spunto proprio per parlare della Bertè: riflettevo l'altro giorno su quante canzoni bellissime le siano state date negli anni in cui era all'apice. Non l'abbiamo valorizzata abbastanza, ma è stata davvero una grande. D . – Pensando alla nostra chiacchierata, mi è venuta in mente l'imitazione che le ha fatto Rita Forte nell'ultima edizione di “Tale e quale show”: le piace il programma, dal successo sempre più esponenziale? R . – Mi piace, mi diverte. Dico la verità: non conoscevo la vincitrice Serena Rossi, ma ha una voce portentosa. Una ragazza fantastica. Bisogna ora vedere, al di là delle imitazioni, cosa potrà fare da solista. Di sicuro ha un grande talento. “Tale e quale show” ha lanciato belle voci. L'idea è giusta. Ad esempio, l'imitazione che fece di me lo scorso anno la Noschese era tremenda, quasi da denuncia. Rita Forte è stata misurata. C'è, però, da dire che io ho una voce non facile da imitare. Patty Pravo e Mina, per citarle alcune, sono più riconoscibili di me, nel senso che hanno delle peculiarità che le rendono più facilmente imitabili. Rita Forte è stata brava, pur cantando con la sua voce, ad imitarmi. Mi ricordo che la Noschese mi imitava cantando in emiliano: ma io non sono così marcata, canto in italiano. Spesso si rasenta il caricaturale e non va bene. D . – Cosa le piacerebbe fare oggi in tv? R . – Di idee ne ho a iosa. A Mediaset, per dirgliene una, dovevo fare un programma scritto da me, ma non se n'è fatto più niente. Chissà che non accada in futuro. Dal mio punto di vista, basta che ci siano lo spazio e i palinsesti giusti. Magari si potrebbe fare qualcosa legato alla musica, visto che è il mio mondo. Oppure un bel talk show. Qualcosa accadrà. D . – E se le proponessero una parte in una fiction, come accaduto in passato? R . – Certo, perché no? L'esperienza vissuta in “Caterina e le sue figlie” è stata fantastica: ho avuto modo di conoscere Virna Lisi. Era bello il cast: l'altro giorno ho ritrovato Attilio Fontana, che vestiva i panni di mio figlio proprio in quella serie. D . – Da chi le piacerebbe ricevere un pezzo per un prossimo album d'inediti? R . – Questa è una domanda molto difficile: può anche trattarsi di uno sconosciuto. Io, purtroppo, non ho avuto un autore che abbia scritto solo per me: non sono stata molto fortunata in questo senso. Lucio Battisti ha composto per me “Il mio bambino”, assieme a Mogol, ma ho sempre detto, scherzando, di aver ricevuto proprio la sua canzone più brutta. Non sono stata fortunatissima. Anche Paolo Conte, agli inizi

della mia carriera, mi diede “Sleeping”, un blues, ma non fu un gran successo. Zucchero mi ha anche dato qualcosa, ma io vorrei che scrivesse per me l'illustre Zucchero di oggi o qualcun altro dei grandi. Io sono qui (e ride, ndr). D . – Bene, bene: vedrà che con questa intervista Zucchero si metterà subito all'opera. Arrivata a questo punto del suo percorso, se dovesse metaforicamente specchiarsi, quale immagine verrebbe fuori di Iva Zanicchi? R . – Verrebbe fuori l'immagine di una donna che, nonostante il successo, ha lottato sempre, fin dalla nascita. Io sono del segno del capricorno: ho dovuto puntualmente far fronte a periodi altalenanti, come tutti gli esponenti del mio segno. Pensi, ad esempio, a Celentano: anche per lui è così. Ho vissuto stagioni oscillanti, pur riuscendo a fare delle cose straordinarie. Io, comunque, mi diverto molto e non mi lascio mai andare, anche se talvolta vorrei farmi prendere dalla pigrizia. Sono una donna che ha dato qualcosa, ma ha anche ricevuto tantissimo, con estrema curiosità e passione. Gianluca Doronzo

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Paola Folli Dicembre 2014


L'ANIMA VOCALE DALLE IMMENSE SFUMATURE

Paola Folli, vocal coach da quattro stagioni ad «X Factor», sta per tornare ad essere protagonista della scena musicale con un nuovo lavoro nel 2015 (attualmente è online il video della sua versione remix di «Woodstock» di Joni Mitchell), sperando di calcare il palco dell'«Ariston» al prossimo «Festival di Sanremo» di Carlo Conti

«Sono in una fase di rinascita: in questi anni ho avuto il tempo di guardarmi attorno ed ascoltarmi in silenzio. Oggi, raccolte le idee, sono finalmente pronta a tornare con un album di inediti»

Un'anima vocale in grado di spaziare nei registri, con una consolidata esperienza alle spalle. Paoli Folli è molto, ma molto di più di quello che, ormai da quattro stagioni, siamo abituati a vedere come coach ad “X Factor”: ha lavorato con i più illustri esponenti della scena italiana (Mina, Rossi, Ramazzotti, Zero, Fiorello ed Elio, per citarne alcuni); ha partecipato per ben due volte al “Festival di Sanremo” (nel '9798) ed ora, dopo anni di silenzio, sta per tornare con un nuovo disco di inediti, in una sorta di “rinascita”. Ecco la sua parola chiave: sarà solo questione di mesi e si scoprirà quanto si è “ascoltata in questo lasso di tempo di silenzio”, per dare “rigenerata linfa” alla sua immensa arte. Attualmente, fra l'altro, è online il video della sua versione remix di “Woodstock” di Joni Mitchell (“un'artista molto contemporanea”), per la realizzazione di Francesco “Franz” Contadini aka Keejay Freak, noto pianista, compositore e produttore, che ha lavorato con personalità del calibro di Jovanotti, Anastacia, Zucchero e Crystal Waters, fra gli altri. Non vi resta, a questo punto, che “sentirne la voce” in un'intervista ricca di divertimento, passione e tanta voglia, con sincerità, di “mettersi allo specchio”. Domanda – Paola, poterla incontrare per una chiacchierata è un estremo onore, in quanto ritengo lei sia una delle voci più straordinarie nel panorama contemporaneo italiano. E non le nascondo che, ogni volta in cui vengo a conoscenza di una sua nuova avventura, faccio apertamente il tifo per lei. Risposta – (Lusingata ed emozionata al telefono, ndr) La ringrazio davvero, di cuore: lei mi gratifica con le sue parole. D . – Nessun ringraziamento: è quello che penso. E, tra l'altro, sono uno che difficilmente fa complimenti agli artisti. Per cui, nel mio piccolo, prenda tutto questo preambolo come un valore aggiunto. R . – Assolutamente. Ancor di più le sono grata per le sue parole. Lei mi commuove, Gianluca. D . – Bene: iniziamo il nostro percorso attraverso il suo ultimo impegno lavorativo. In questi giorni è online il video della versione remix di “Woodstock”, dall'omonimo pezzo di Joni Mitchell, realizzato da Francesco “Franz” Contadini aka Keejay Freak. Cosa ha rappresentato per lei? R . – L'idea nasce dal mio grande amore per Joni Mitchell, artista che adoro a 360°, a mio avviso molto, ma molto contemporanea, nonostante il passare degli anni. La scelta di “Woodstock” non è causale: approfondendo tempo fa la sua vita attraverso un libro, ho voluto mettere in evidenza quanto sia stata grande ad aver parlato di un evento che, in fondo, ha cambiato la storia della musica mondiale, pur non essendoci mai stata fisicamente. D . – La Mitchell, in questo senso, è stata visionaria. R . – Sì, sì, esatto: è stata visionaria. E, tra le altre cose, io condivido i principi messi a punto nel pezzo, come il desiderio di pace, essendo in un momento di vita in cui sto bene con me stessa e con le persone semplici, vivendo pienamente quello che mi capita. In sostanza, abbiamo messo a punto un liric video, nel quale non compaio, ma diamo una grande importanza alle parole, così come si dovrebbe fare nelle canzoni per fruirne a pieno il senso. D . – Paola, dalle prime risposte sembrava quasi avesse percepito dove volessi arrivare: ha appena sostenuto di “stare

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bene, in un desiderio di pace, assieme alle persone semplici”. Questa, in sintesi, la fase che sta attraversando? R . – Caro mio, partiamo da un presupposto: un artista, in generale, attraversa sempre dei periodi vari, di alti e bassi, considerando anche il momento storico nel quale stiamo vivendo, non facile da ogni punto di vista. A volte, però, siamo anche un po' noi stessi a fasciarci la testa, non godendo fino in fondo quello che facciamo e siamo. Premesso ciò, posso dirle senza ombra di dubbio che sono in una fase di rinascita, di rimessa in discussione. In questi anni, ad esempio, sono stata in silenzio con i dischi, non pubblicando inediti: ho osservato, mi sono ascoltata e, alla resa dei conti, ho capito che non avevo da dire qualcosa di nuovo. Avevo bisogno di stare in silenzio, raccogliendo le idee. La mia presenza ad “X Factor” come coach mi ha fatto bene, aiutandomi di sicuro ad avere nuovi stimoli, venendo fuori con una mia creatura. Ed ora, caro Gianluca, siamo qui a parlare della sua genesi (e ride, ndr). D . – Come dire: lei è stata in questi anni “spettatrice”, in attesa di tornare ad essere “protagonista” della scena musicale. R . – Sì, mi piace questa sintesi: “spettatrice” per tornare ad essere “protagonista”. Io credo sia importante fermarsi e ascoltarsi per un po': in questo lasso di tempo ho visto e sentito talmente tanto, da aver metabolizzato ispirazioni per essere nuovamente in scena. Tra l'altro, ho incontrato moltissimi giovani che mi hanno stimolato: c'è un gran bel fermento in

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giro e sarebbe bello discuterne pienamente. D . – Ha parlato dell'importanza della sua presenza come coach ad “X Factor”: quali incontri le sono rimasti nel cuore? R . – Tanti, davvero tanti: da Francesca Michielin fino ad Ilaria in questa edizione del “talent”. Li ritengo tutti nuovi astri della scena canora, a cui credo di aver dato tanto della mia esperienza. Io sono fatta così: sono generosa di natura. D . – Bell'aspetto quello della generosità. R . – Per me è fondamentale: anche quando ero ragazzina. Sono sempre stata così. Oggi con Internet e i social abbiamo il mondo a portata di mano, in un “tutto e subito” pazzesco: possiamo far circolare il nostro lavoro in tempo reale e il promuovere l'estro altrui, quando valido, credo sia un dovere morale di tutti noi. A me piace tanto dare e condividere. D . – Tra l'altro, se vogliamo, i “talent” oggi hanno sostituito quello che un tempo era il lavoro dei cosiddetti “talent scout”, pronti ad andare nei luoghi più disparati per scoprire emergenti. R . – Diciamo che, come sosteneva il buon Gianni Morandi, “uno su mille ce la fa”. Conosco tantissime persone talentuose che non hanno la maniera di farsi ascoltare e apprezzare: sono sempre molto dispiaciuta per gli innumerevoli cantautori che non ce la fanno, pur avendo qualcosa di prezioso da comunicare. In tanti non hanno scenari e giuste opportunità. Dico sempre che nella vita ci vogliono una grande perseveranza, pazienza e dedizione. In fondo, però, se pensiamo un attimo ai grandi, veniamo a scoprire che non si tratta mai di persone improvvisate: ad esempio, qualche giorno fa, parlavo con una persona legata al tour di Jennifer Lopez e mi diceva quanto lei ogni giorno provi per ore ed ore, senza un attimo di pausa. In relazione ai “talent” c'è, tuttavia, da dire una cosa: se si esce alla prima puntata, non si ha purtroppo grande possibilità di farsi notare. Più si va avanti, più ci si fa pubblicità. Io suggerisco sempre di considerarli un punto di partenza e mai d'arrivo: quel che verrà, verrà poi. D . – Lei ha collaborato con i più illustri esponenti del panorama canoro nazionale (e non solo): da Mina a Renato Zero fino a Vasco Rossi, Ramazzotti ed Elio. A chi sente di essere più legata, con un ringraziamento particolare? R . – Veramente a tanti. L'incontro più determinante è stato


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quello con Elio e le Storie Tese: grazie a loro dal 2008 ad oggi sono stata protagonista di una crescita esponenziale. Mi hanno accolta veramente a braccia aperte, coccolandomi e dandomi il massimo. Torniamo al discorso della generosità: loro lo sono stati molto con me. Non potrò mai ringraziarli abbastanza. D . – Proprio bello che ritorni il discorso sulla generosità nella sua intervista. R . – Ma è proprio così, Gianluca. E poi c'è stato l'incontro con Dario Fo: un Premio Nobel per la Letteratura ti dà una visione diversa della vita. Parli con una persona del genere, estremamente colta e illuminante, e ti viene subito voglia di tornare a studiare, per approfondire tutti gli aspetti che non hai avuto modo di vivere debitamente nel tuo percorso. D . – E poi c'è stato il “Festival di Sanremo” nel '97-98. R . – Esatto. Ecco, questo è stato un altro incontro fondamentale per la mia carriera da solista. Si è trattato dell'inizio di un'altra parte della mia vita artistica, capendo quanto la voce ti consenta di fare davvero tantissime cose. Io ho iniziato come vocalist e, andando indietro nel '96, grazie all'exploit di “Domani” con gli Articolo 31 è arrivata la grande popolarità. Un pezzo che è stato un tormentone in quell'estate fantastica. Quante cose mi sta facendo ricordare questa intervista: ne ho fatte davvero tante nel tempo! D . – Tornerebbe in gara sul palco dell' “Ariston”? R . – Immediatamente, da subito. È un palco bello, la gente ti ascolta e hai la possibilità di confrontarti con tanti altri colleghi. Si tratta di uno scenario importante. Io mi sento di dirle che ho presentato un pezzo per l'edizione del 2015 e, se non dovesse andare bene, mi riproporrò per il 2016. D . – Con la promessa che, se dovesse andare in gara il prossimo anno, ci risentiremo per un'intervista esclusiva. R . – Di sicuro. Assolutamente. Promesso (e scoppia una risata comune, ndr). D . – Paola, ci stiamo pian piano avvicinando alla conclusione della nostra chiacchierata: cosa vorrebbe potesse emergere dal suo nuovo album? O, meglio, cosa le piacerebbe potesse essere compreso: la sua rinascita in primis? R . – Sicuramente quello che ha appena detto: la rinascita, che arriva dopo tanti anni di silenzio, avendo raccolto un bel po' di idee mettendole in musica. Vorrei che fosse apprezzata proprio la mia fatica artistica e il desiderio di far arrivare la nuova Paola che c'è. Nel disco, fra l'altro, ci saranno brani di Rocco Tanica, scritti da me, alcuni di Fabio Treves e diversi featuring. D . – Quando è prevista l'uscita? R . – Adesso vedremo un po' come andrà per “Sanremo”, sperando di essere selezionata. A gennaio, comunque vadano le cose, ci sarà un nuovo singolo e poi un altro ancora, fino alla conseguente uscita del disco. D . – Bene, Paola, in bocca al lupo per tutto. R . – Crepi, crepi. D . – Infine Longanesi sosteneva che un'intervista fosse “un articolo rubato”: cosa le è stato sottratto durante questa chiacchierata? R . – (Dopo una risata comune, ndr) No, non mi è stato rubato niente: è stata condivisa la musica e, quando questo accade, va sempre bene. Grazie di cuore, Gianluca. Gianluca Doronzo

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Album d'esordio («The eternal dreamer») per il cantautore catanese Selvaggio, con la produzione artistica di Toni Carbone (storico bassista dei Denovo), in un mix di pezzi in inglese, francese e strumentali, con l'utilizzo dell'hang (di matrice idiofonica svizzera)

Marco e la sua anima cosmopolita fra pop, modernità, atmosfere sonore originali e un leggero retrogusto elettronico

Al telefono non riesce a contenere l'entusiasmo per l'uscita del suo album d'esordio. Per realizzarlo ci sono voluti “sacrifici, un grande investimento e tanto amore”. Ma, alla luce dei risultati riscontrati finora, non potrebbe che ritenersi pienamente soddisfatto. Marco Selvaggio, catanese ad hoc, è una delle giovani promesse del cantautorato di respiro internazionale: a dimostrarlo il suo “The eternal dreamer” (Waterbirds Records/ Cd Baby), per la produzione artistica di Toni Carbone (storico bassista dei Denovo), con numerosi ospiti del calibro di The Niro, Anne Ducros, Hazel Tratt e Haydn Cox, fra gli altri. Tracce scritte in inglese, francese e “strumentali”, scandite da una peculiarità: l'utilizzo dell'hang, di matrice idiofonica svizzera, con cui ha suonato in tutto il mondo. Ad un ascolto complessivo, non si può che evincere una dimensione pop eterea e sognante, moderna ed originale, con un leggero retrogusto elettronico. Istanze che, ben armonizzate, fanno ben sperare per il proseguimento del suo percorso. Con un preciso obiettivo: “Fare musica, dando puntualmente il meglio di sé”. Domanda – Marco, sta vivendo un gran periodo di fermento: il 1° dicembre è uscito il suo album d'esordio, dal titolo “The eternal dreamer”, con la produzione artistica di Toni Carbone, storico bassista dei Denovo; l'11 è stato al “Centro Zo” di Catania, per la presentazione ufficiale, con intervento di ospiti illustri come The Niro, con cui ha collaborato nel disco; numerose altre tappe si stanno delineando per i “live” e un pubblico sempre più ampio sta conoscendo l'hang, strumento idiofonico svizzero, che rappresenta la peculiarità delle sue opere. Come dire: dopo tanto lavoro, il sogno è diventato realtà. Risposta – “The eternal dreamer” arriva davvero in un momento in cui artisticamente mi sento formato, avendo maturato decine e decine di esperienze nel tempo. Non si tratta di un disco messo su nel giro di un mese: io sono almeno 5 anni che suono l'hang in tutto il mondo e, senza ombra di dubbio, posso dire di essermi fatto le ossa. Ho costruito il mio percorso tassello dopo tassello, con tanta determinazione e voglia di farmi ascoltare: mi piace anche il fatto che il mio disco esca a ridosso del Natale, uno dei periodi più belli della nostra vita. Tutti i pezzi mi rappresentano, grazie alla produzione artistica di Toni Carbone, come ha giustamente anticipato lei, storico bassista dei Denovo. D . – Tra l'altro, è un momento in cui gli ex e i componenti dei Denovo tornano nelle mie interviste: pensi che il personaggio di copertina del numero di novembre di “Che spettacolo” è stato Mario Venuti e, nella stessa edizione, ho ospitato l'attore Gabriele Greco che nel 2008 ha pubblicato un cd, messo a punto dagli Arancia Sonora di Venuti. R . – E le dirò di più: Luca Madonia dei Denovo ha animato le tracce di alcuni pezzi di “The eternal dreamer”: per cui tutto torna (e scoppia una risata in comune sulle coincidenze evinte, ndr). Ora, io non posso che essere entusiasta di tutto quello che sta accadendo, dopo un anno e mezzo di lavoro in studio per registrare il disco, considerando gli enormi sforzi e un investimento non indifferente. D . – Ad affiancarla nel disco ci sono tantissimi esponenti illustri del panorama internazionale, a conferma della sua formazione e del respiro ampio di quanto ha messo a punto nel tempo.

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dell'utilizzo dell'hang, una sua peculiarità: lei, se non erro, è l'unico in Italia a suonarlo? R . – Proprio l'unico no: ci sono anche altre persone, pochissime, che lo suonano. Di sicuro, però, c'è un aspetto da rilevare: l'hang per la prima volta in assoluto è applicato ad un disco di matrice pop, a livello internazionale. Il che non è poco. Ogni canzone mi appartiene, ogni racconto lo vivo sulla mia pelle, non dimenticando mai la mia passione per l'arte. D . – Com'è nato il suo incontro con l'hang? R . – Casualmente mentre ero per le strade di Roma: ho visto un musicista suonarlo e mi sono avvicinato per chiedergli di cosa si trattasse. Immediatamente sono andato a comprarlo e, da allora, è diventato parte integrante di me, soprattutto a livello internazionale. D . – Fra gli ospiti del suo album figura anche The Niro, che ha partecipato all'ultimo “Festival di Sanremo”. R . – The Niro è l'unico italiano presente in “The eternal dreamer”: è stato scelto innanzitutto perché amico dei produttori esecutivi ma, in particolar modo, in relazione alla sua padronanza con la lingua inglese. Davvero un grande talento che stimo molto. D . – Lei non scrive in italiano, ma se un giorno dovesse accadere, “Sanremo” potrebbe essere nei suoi progetti? R . – Sono un po' scettico e spiego il perché: “Sanremo” mi piace guardarlo e reputo che sia animato da artisti estremamente validi, di anno in anno. A me, onestamente, piace scrivere in inglese, perché ne ho facilità e trovo molto musicale la lingua. Magari per altri non è così. Se, però, un domani dovessi decidere di scrivere in italiano, mi piacerebbe fare una collaborazione con un artista sul palco dell' “Ariston”,

R . – Ha ragione: ce ne sono davvero tanti. Uno viene dall'America, uno dall'Inghilterra, uno dalla Francia. C'è stato un enorme lavoro di selezione: pensi che ho ascoltato centinaia e centinaia di voci, prima di scegliere quelle più opportune per il mio album. Il risultato credo possa ritenersi più che soddisfacente. D . – Cosa si auspica possa essere compreso di Marco, essendo avvenuta la pubblicazione del disco? O, meglio, cosa le piacerebbe potesse emergere di “The eternal dreamer”? R . – Il mio sogno, dico la verità, è stato già raggiunto con la pubblicazione del cd. Sono realmente innamorato di questo progetto, dal forte respiro internazionale, come ha ribadito anche lei. Le canzoni sono in inglese, francese e strumentali: ce n'è da scoprire da ogni punto di vista. D . – E torna prepotentemente la sua ispirazione cosmopolita in quello che dice. R . – Molte canzoni sono nate in viaggio, nella capacità di ascoltarmi nei momenti di silenzio e nei luoghi più disparati. L'ispirazione è anche e soprattutto la vita: ci sono incontri fondamentali che caratterizzano il nostro percorso e molte esperienze da vivere con estrema resa emozionale. D . – All'inizio della nostra chiacchierata abbiamo parlato

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magari accompagnandolo con l'hang. Ad esempio, ho suonato con Arisa di recente ed è stata un'esperienza molto, ma molto stimolante. Per il futuro: mai dire mai. D . – Musica e tv: un binomio possibile? Qual è il suo punto di vista sui “talent”? R . – Diciamo che anche su quel versante sono abbastanza scettico: io credo che il successo arrivi nel tempo, non da simili contesti. Ci vogliono fatica, sudore e perseveranza per arrivare ad ottenere degli ottimi risultati nella vita. La gavetta è ben altro rispetto ad un “talent”. Si combatte per mettere a punto le proprie opere e, dal mio punto di vista, i percorsi si valutano alla lunga, nel tempo. Ma, ben inteso, ognuno sceglie la propria strada. D . – Con quale artista le piacerebbe collaborare? R . – In Italia mi piacciono molto Arisa e i Tiromancino, con i quali si sposerebbe molto bene l'hang. Di nomi a livello internazionale ce ne sono davvero tanti, soprattutto del cantautorato. Chissà che molti altri sogni non si realizzino. D . – Ecco che ricorre la tematica del sogno, fondamentale nel suo disco: tra l'altro, in questo preciso momento storico ce n'è davvero urgenza. R . – Il mio non è un disco scontato, ma affronta attraverso la metafora vari aspetti della nostra vita: io l'ho lavorato molto nel tempo, con attenzione alla grafica e al dettaglio. Il tema del sogno è affrontato da diverse prospettive, come l'amore: c'è una bella carica di speranza e mi piace portare avanti simili auspici. E poi si respira un dato, dal mio punto di vista, non indifferente: l'ascoltatore può interpretare il senso delle canzoni a proprio modo, senza che ci sia un'unica chiave di lettura. D . – Siamo, Marco, quasi in dirittura d'arrivo: s'immagini, metaforicamente, allo specchio. In che modo si rifletterebbe oggi? R . – Dico sempre questo: bisogna guardare in cielo, avendo i

piedi ben saldi per terra. Io so di portare avanti un progetto molto ambizioso e non nascondo che all'inizio c'era un po' di scetticismo: si è investito tanto e forse si temeva di non farcela. Sono andato avanti, con tutto me stesso, formulando i giusti incontri nel mio cammino e dando il meglio. Il mio sogno si è avverato ed ora proseguo ininterrottamente, anche a livello internazionale. D . – Bell'esempio il suo per molti giovani, spesso demotivati nell'andare avanti, a causa della crisi e della mancanza di budget nei propri progetti. R . – Bisogna crederci sempre, senza mai lasciarsi andare. Alla lunga i risultati arrivano, col cuore. D . – Longanesi sosteneva che un'intervista fosse “un articolo rubato”: cosa le è stato sottratto durante questa chiacchierata? R . – Smentisco quello che diceva Longanesi: non sono d'accordo. Dipende dalla maniera in cui si fa un'intervista. A me non è stato sottratto nulla: concludo solo ringraziando tutti coloro che hanno collaborato con me, i produttori e la mia casa discografica. Vado avanti, dando il massimo. Gianluca Doronzo

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Manuel Rinaldi Dicembre 2014


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L'emiliano Manuel Rinaldi ha fatto il suo esordio sulla scena nazionale con l'album «10 minuti», per la produzione artistica di Fabio Ferraboschi (bassista de «I Rio» e autore di «Invisibili», presentata da Cristiano De Andrè all'ultimo «Festival di Sanremo») e collaborazione alle chitarre di Cris Maramotti (ex musicista di Piero Pelù): in primo piano un sound brit-rock e ispirazioni generate da un viaggio made in UK «alla ricerca di sé»

«Essere cantautori oggi vuol dire avere la libertà di esprimersi, senza imposizioni di mercato e case discografiche: credo ci sia davvero un enorme fermento da scoprire»

Manuel difende la libertà dei cantautori. E lo fa, svincolandosi da qualsiasi diktat del mercato, proponendo la propria arte in un lavoro d'esordio brit-rock, messo a punto “dopo un viaggio in Inghilterra” e “un momento di riflessione, elaborando precise idee per il futuro”. Il risultato, d'impatto e immediato, non poteva che intitolarsi, ironia della sorte, “10 minuti” (Zimbalam/Goodfellas), per la produzione artistica di Fabio Ferraboschi (bassista de “I Rio” e autore di “Invisibili”, presentata da Cristiano De Andrè all'ultimo “Festival di Sanremo”) e collaborazione alle chitarre di Cris Maramotti (ex musicista di Piero Pelù). Così, in una chiacchierata “quasi tra amici di sempre”, l'emiliano Rinaldi traccia le linee guida del suo “viaggio sonoro”, fra incontri avvenuti nella sua vita, ispirazioni, schiettezza (non condividendo pienamente i “talent”), preparazione di un nuovo progetto (“ho già un altro mezzo album pronto”) e definizione, ad epilogo, di se stesso “a mo' di gatto”. Siete curiosi? Non vi resta che leggere! Domanda – Manuel, l'album “10 minuti” cosa rappresenta all'interno del suo percorso? Risposta – “10 minuti” nasce innanzitutto da un momento di riflessione, fondamentale per focalizzare bene la strada da percorrere, mettendo a fuoco delle precise idee e sonorità che fossero mie e mi appartenessero, senza alcun tipo di condizionamento. Il mio è stato un itinerario molto particolare: se andiamo a ritroso, ricordiamo che nel 2009 ho messo a punto un singolo pop-dance, assieme a tante altre cose realizzate successivamente. Fatto sta che, ad un certo punto, mi sono fermato e sono andato in Inghilterra: lì mi si sono accese diverse “lampadine” e, in maniera del tutto spontanea, ho iniziato a scrivere i pezzi contenuti in questo album. Una genesi, direi, proporzionale ai suoni e alle atmosfere vissuti in quel mio viaggio. D . – Sono, dunque, consequenziali le sue ispirazioni britrock, con sound molto incisivi. R . – Sa cos'è il bello dell'Inghilterra? Entri in un negozio di musica e puoi veramente ascoltare di tutto: da noi si fa un po' fatica ad accettare tutti i tipi di ispirazione, con una playlist completa. C'è poi da aggiungere che le sonorità rock fanno anche parte del nostro passato: per cui nel mio stile c'è un po' una fusione di richiami a ciò che è stato e di innovazione, con un respiro cosmopolita. D . – E non dimentichiamo che i suoi testi sono scanditi da una vis ironica e provocatoria. R . – Beh, direi che questo è un punto fondamentale della mia cifra stilistica. A me piace dire le cose che penso, perseguendo la verità, mettendo a punto i messaggi a modo mio, secondo la mia arte. A volte la musica italiana ti dà tanti cliché, non consentendoti di essere pienamente te stesso: io scrivo ciò che sento, nella modalità che ritengo più opportuna per il mio gusto. E poi, ragazzi, mai prendersi troppo sul serio: con questo album avverto di essere riuscito a comunicare istanze importanti come non mai, senza condizionamenti di case discografiche e diktat di mercato. Ho trovato sostanza, come piace a me. D . – Tra l'altro, la produzione artistica di “10 minuti” è di Fabio Ferraboschi (bassista de “I Rio” e autore di “Invisibili”, uno dei due pezzi presentati da Cristiano De Andrè all'ultimo “Festival di Sanremo”): com'è nato il vostro incontro? R . – Io e Fabio ci conosciamo dal 2001, quando firmai un

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contratto discografico con una band. Si tratta di una persona fantastica da un punto di vista umano. Per più di dieci anni ci siamo, per così dire, persi di vista, avendo ciascuno maturato esperienze nei propri ambiti. Quando ho iniziato la produzione di “10 minuti” mi sono avvalso di un gruppo di lavoro che, onestamente, ad un certo punto mi sono accorto non fosse quello opportuno per me: non mi convinceva. Allora ho preso i file dallo studio di registrazione e su suggerimento di Cris Maramotti, ex chitarrista di Piero Pelù, siamo andati a trovare Fabio, decidendo di affidare a lui il proseguimento del nostro lavoro. I risultati, a mio avviso, sono stati più che soddisfacenti. D . – Bene, bene. Manuel, alla luce del suo percorso e di quanto maturato nel tempo, cosa vuol dire essere cantautori oggi? R . – Questa è una bella domanda e, se mi consente, le rispondo proprio a ruota libera, visto che mi sta molto a cuore la questione.

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R . – Nessun problema: ha piena libertà. Sono al suo servizio. D . – Partiamo dal presupposto che il mio, in fondo, è un disco autoprodotto: io mi sono staccato dalle etichette discografiche, in quanto diventa un problema se non ti lasciano fare quello che vuoi, nel rispetto della tua pienezza artistica. Detto questo, oggi ritengo sia in atto un grosso cambiamento: visto che molti progetti si clonano l'un l'altro, io perseguo quel grande fermento che dimora nel sottosuolo, di estrema vivacità, in grado di dare una virata rispetto all'omologazione dell'andazzo delle nostre cose. C'è una dimensione hindi molto sincera e vera, portatrice sana di idee, suoni puliti e messaggi da dare al pubblico. Io faccio parte di questo schieramento, pronto a dare vita ad una grande metamorfosi del cantautorato. In tempi bui come quelli nei quali ci troviamo, se tutti assieme impariamo ad ascoltarci, forse le cose potranno arrivare a modificarsi rispetto a ciò che i media ci propinano.


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D . – Anche perché molti pensano che l'unica strada da perseguire oggi, per fare musica, sia quella dei “talent”: in realtà c'è, come dice lei, tanto fermento da avere solo l'imbarazzo della scelta nell'andarlo a scoprire. R . – Sono perfettamente d'accordo con lei. Io cerco di stare alla larga dai “talent” e simili contesti: sono, a mio avviso, dei piccoli bluff, perché se le cose non vanno bene, creano conseguenze deleterie in chi vi partecipa, anche a livello psicologico. In Italia, caro Gianluca, senza nasconderci possiamo dire che abbiamo tv e radio: due grosse potenze che fanno un po' il bello e il cattivo tempo. Se andiamo avanti così, solo fermandoci all'immagine o alla tendenza modaiola, si corre il rischio di lasciare a casa tantissimi veri talenti, che non riescono a passare dai canali ufficiali di comunicazione della musica. Il “live”, ad esempio, è una dimensione da cui non può prescindere un cantautore: la gente non è stupida e non si ferma solo a ciò che vede in apparenza, ma vuole approfondire. Se alla prova del nove non ti fai trovare preparato, è la fine e ti bruci. Io credo che il talento sia connaturato e lo si alimenti col lavoro, col sudore, con la perseveranza. Dal mio punto di vista, credo sia ora di staccarsi dai cliché mediatici, facendo vivere la sostanza. Di talenti attualmente ce ne sono tanti, ma spesso non hanno la ribalta giusta e di questo sono un po' arrabbiato: c'è davvero tanta gente che ha molto da dire. All'estero si sta già vivendo un grande cambiamento in questa direzione, dando spessore al cantautorato e facendo venire fuori le istanze più disparate: l'Inghilterra, dove io sono stato, ne è un esempio. Da noi ce la possiamo fare, se vogliamo. D . – Parteciperebbe mai al “Festival di Sanremo”? R . – Adesso come adesso direi di no. Non mi piacciono, sinceramente, le competizioni. “Sanremo” è una grandissima vetrina, importante per la musica italiana e per chi vi partecipa. Un giorno, molto probabilmente, se riuscissi ad andarci senza compromessi, portando il mio universo, potrei anche calcare il palco dell' “Ariston”: perché no? D . – E noi, Manuel, non possiamo che augurarglielo. Siamo quasi alla fine della nostra chiacchierata: cosa vorrebbe potesse essere recepito di “10 minuti”? O, meglio, c'è qualcosa che le piacerebbe il pubblico comprendesse del suo lavoro, in particolare? R . – Intanto l'album è uscito da poche settimane e per me è stato già un successo averlo visto, dopo soli 8 giorni, in vetta alle classifiche di iTunes. Ora vorrei godermi la promozione, dando il meglio di me. Spero in un tour il prossimo anno, mettendolo a punto con determinate condizioni. Voglio dare il meglio di me nei “live”, facendomi conoscere in tutte le mie sfumature, senza deludere alcuno. Ci tengo. Suonare è il massimo, dal mio punto di vista. Un altro mezzo album è già scritto: di conseguenza, alla fine del prossimo anno potremmo ritrovarci, se vorrà, per parlarne (e ride, ndr). D . – (Ad epilogo della risata, ndr) A sua disposizione, Manuel: io sono sempre stato al fianco dei giovani talentuosi, che hanno qualcosa da dire, come lei. R . – La ringrazio, Gianluca: ne sono lusingato. D . – È la verità: faccio con amore il mio lavoro e mi do, esattamente come lei, completamente. Una curiosità: se, metaforicamente, dovesse specchiarsi, che immagine verrebbe fuori di Manuel Rinaldi oggi? R . – (Dopo un'altra risata, ndr) Direi che verrebbe fuori

l'immagine di un gatto che, ogni tanto, dorme beato sul divano, ma quando poi si sveglia e si incazza, allora dà il meglio di sé. In quel caso non ce n'è più per alcuno (e scoppia l'ennesima risata in comune, ndr). Quel gatto, quando è bello attivo, ha una gran voglia di fare. E non potrebbe essere altrimenti. D . – Longanesi, infine, sosteneva che un'intervista fosse “un articolo rubato”: cosa le è stato sottratto durante il nostro incontro? R . – A me non è stato sottratto assolutamente niente. Ho detto quello che penso e ne sono soddisfatto. Mi sono pienamente sentito a mio agio e il merito non può essere che suo. La ringrazio di cuore. A presto. Gianluca Doronzo

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IL CANDIDATO FRA I GIOVANI A SANREMO 2015

Per il cantautore piacentino, fra i più affermati nella scena nazionale, continua il gradimento di un album ricco di «suoni, atmosfere e contenuti» (in rotazione radiofonica è il singolo «Gli occhi di mia nonna»), fra una candidatura al prossimo «Festival di Sanremo» nella sezione «Nuove Proposte», il tour (il 26 dicembre al «Babalula» di Crema e il 24 gennaio allo «Spazio Musica» di Pavia) e il sogno di «scrivere per Guccini, Mina e la Mannoia»

Il momento d'oro di Daniele Ronda: dal disco «La rivoluzione» al «Concerto di Natale» su Raidue, non perdendo di vista il suo folk e la dimensione «live» in tutt'Italia

È uno degli esponenti più autorevoli del cantautorato folk “made in Italy”. Sta vivendo un momento davvero intenso, fra l'uscita del terzo disco, intitolato “La rivoluzione” (attualmente in tutte le radio è il singolo “Gli occhi di mia nonna”) e la candidatura al “Festival di Sanremo 2015” nella sezione “Nuove Proposte” (col pezzo “Non mi passerai mai”). Il suo nome? Daniele Ronda, fra i protagonisti del prossimo “Concerto di Natale” su Raidue (condotto da Max Giusti), con all'attivo partecipazioni allo storico “1° maggio” in Piazza San Giovanni a Roma e apertura, fra l'altro, del tour di Ligabue. Raggiunto al telefono proprio il giorno in cui si stavano mettendo a punto le audizioni per i prescelti sul palco dell' “Ariston”, è in giro con i suoi “live”, affiancato da Sandro Allario (fisarmonica, pianoforte e organo hammond), Carlo Raviola (basso) e Luca Arosio (batteria) in tutt'Italia. Prossime tappe: il 26 dicembre al “Babalula” di Crema e il 24 gennaio allo “Spazio Musica” di Pavia. Domanda – Daniele, per lei davvero un bellissimo periodo: l'uscita del terzo album, dal titolo “La rivoluzione”, con attestazioni di pubblico e critica; il video e la rotazione radiofonica del singolo “Gli occhi di mia nonna” e una probabile partecipazione al prossimo “Festival di Sanremo”, nella sezione “Nuove Proposte”, con “Non mi passerai mai”. Cos'altro volere? Risposta – (Dopo una risata comune, ndr) Quello che sto vivendo è di sicuro un momento molto pieno, entusiasmante e ricco di avventure. Da quando è stato pubblicato il mio ultimo disco, lo scorso 25 marzo, sono accadute talmente tante cose, da non sembrarmi quasi possibile. Sono stato, fra l'altro, al concertone del 1° maggio a Roma e ho aperto il tour di Ligabue: esperienze memorabili. Adesso, finite le performance estive con un ritmo incalzante, pensavo fosse il periodo giusto per realizzare quanto accaduto e fermarmi un attimo. Niente da fare: per fortuna si stanno presentando occasioni inaspettate e sto cercando di viverle pienamente, al massimo. Lei ha citato il singolo “Gli occhi di mia nonna”: io ci tengo molto, perché nel

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brano racconto un po' tutte quelle tappe del vissuto che ti fanno maturare, facendo diventare una “rivoluzione”, appunto, il tuo universo interiore. Aggiungo che sono molto legato alla figura dei nonni: credo che mettano d'accordo un po' tutti e, a mio avviso, difficilmente se ne parla. Invece sono fondamentali per ciascuno. A tutto ciò, si è aggiunta la mia partecipazione al “Concerto di Natale” il 13 dicembre, che sarà trasmesso la sera della Vigilia su Raidue, per la conduzione di Max Giusti: un appuntamento tradizionale e prestigioso, al quale sono onorato di aver preso parte, in un'atmosfera magica, assieme a nomi illustri e, spesso, internazionali del panorama musicale. E poi c'è il fatto di essere stato selezionato fra i 60 candidati al prossimo “Festival di Sanremo”, nella sezione “Nuove Proposte”: un palco che ho sempre desiderato di calcare, per una ragione ben precisa. Io sono un esponente del folk e credo che manifestazione più folcloristica in Italia non ci sia. Sono puntualmente stato del parere che, prima o poi, le nostre strade si sarebbero dovute incontrare. Speriamo avvenga quanto prima. D . – Certo che la sua partecipazione alla prossima edizione del “Festival” sarebbe, per così dire, un po' la quadratura del cerchio di un anno speciale. R . – Direi che non sarebbe proprio male: mi piacerebbe davvero esserci, vivendo con tutto me stesso una di quelle

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occasioni importanti per un cantautore, soprattutto se esponente della nuova generazione italiana. Incrociamo le dita e facciamo tutti gli scongiuri del caso (e scappa un'altra risata, ndr). D . – Com'è nato il pezzo con cui si è presentato alle selezioni, dal titolo “Non mi passerai mai”? R . – Le dico la verità: a mio avviso è un pezzo che dà adito a tantissime sensazioni, da poter condividere con chi l'ascolta. Molti penseranno che ruota attorno ad una storia d'amore, ma non è detto: può essere sentimentale, d'amicizia, di respiro più universale. Chi lo fruisce ha un ruolo attivo, non passivo, decidendo di viverne i contenuti, a seconda del proprio stato d'animo e di come vuole. Io so qual è il mio significato del brano, ma non lo svelo: a ciascuno il suo, proiettandosi verso il futuro, diventando protagonista. Sono del parere che non si debba solo recepire la musica o un motivo: farlo diventare parte integrante della propria “pelle” a me sembra un bisogno, un'urgenza non solo espressiva in merito a chi lo compone, ma soprattutto per quel che riguarda il destinatario. D . – Daniele, “La rivoluzione” a che punto del suo percorso si colloca? R . – Si tratta del mio terzo disco in carriera: credo che ogni “creatura” arrivi sempre in un momento particolare. Quando lavori “on the road”, con impegno costante e


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approfondimento, mattone dopo mattone, ritengo debba essere necessario, a volte, fermarsi a riflettere, facendo dei bilanci. Noi siamo sempre in movimento. Io sento di aver messo a punto un disco con una grande libertà, essendo puntualmente in metamorfosi, guardando gli occhi di chi mi affianca, ad iniziare dai musicisti che mi accompagnano in maniera fidata, esaustiva e gratificante. Mi piace tutto quello che sta accadendo. D . – Si sarebbe mai aspettato, ad uscita avvenuta del disco, un seguito e una serie di successi così esponenziali? O meglio: cosa si auspicava potesse essere compreso e valorizzato del suo lavoro? R . – Questa domanda ha molto a che fare con quello che ho anticipato prima, a proposito dell' “essere in movimento”: solo ora mi rendo conto che, dalle poche persone che mi riconoscevano per strada anni fa, adesso si sono moltiplicate senza che me ne accorgessi. Come dirle: sto realizzando quanto fatto, mentre sono “in viaggio”. Dai pub a Piacenza, agli esordi, oggi abbiamo fatto concerti con un grosso seguito, in manifestazioni molto importanti. Di conseguenza, non mi sarei mai aspettato sarebbe potuto accadere tutto quello che sto vivendo, ma mi piace e continuo con una gran voglia, attraverso i miei “live”, i suoni, la ricerca e le contaminazioni. L'amore per il mio lavoro mi porta davvero a superare ogni confine, nel migliore dei modi possibili. D . – Essere cantautori cosa vuol dire oggi? R . – Ultimamente ne ho sentite dire di tutti i colori a proposito. In realtà io credo che debba essere superato ogni stereotipo, non dando delle definizioni. Il cantautore è quello che esprime ciò che ha dentro, mettendolo nero su bianco. È colui che propone il suo mondo, decidendo di condividerlo con chi lo fruisce. Dal mio punto di vista è colui che offre uno spiraglio sul futuro, attraverso il suo sentire e il suo modo di vedere, cucendosi addosso un abito che gli sta a pennello, perché è il suo e di nessun altro. Spesso mi trovo a parlare di tutto ciò con i miei amici o con i musicisti che mi accompagnano nei tour, ad esempio: tutti conveniamo sul principio secondo cui la musica è sinonimo di libertà e non può essere diversamente. Chi scrive e fa della propria cifra una maniera per dichiarare la propria identità, non può che ascoltarsi e capire le voci di dentro, rendendole di tutti. D . – Lei ha scritto per Nek (“Lascia che io sia” e “Almeno stavolta”), fra gli altri: per chi le piacerebbe mettere a punto un

pezzo oggi? R . – Vorrei collaborare con Francesco Guccini, un grande: peccato, però, che si sia ritirato. Ci sono, tuttavia, altri nomi illustri con i quali mi piacerebbe lavorare: parlo di Fiorella Mannoia e Mina, un'icona che racchiude in sé benissimo la tradizione e la modernità. Potrebbe davvero essere divertente scrivere per una vera e propria Signora, con la maiuscola, della canzone italiana. D . – Bene, bene. E noi glielo auguriamo. Come vorrebbe, a questo punto, potesse proseguire il suo percorso, caro Daniele? R . – Io mi sono sempre posto un obiettivo grande, che non dico. Se mi guardo indietro, pensando a quando 3 anni fa eravamo a fare concerti in un pub di Piacenza, non posso fare a meno di constatare quanto il mio percorso stia crescendo in maniera esponenziale, cercando di vivere al meglio ogni mia avventura. Dando, puntualmente, il massimo. Pertanto vorrei proseguire il mio cammino, sperando in tante soddisfazioni e nella condivisione delle mie canzoni con chi mi ascolta, rendendole proprie. D . – Se metaforicamente dovesse specchiarsi, quale immagine verrebbe fuori di Daniele oggi? R . – Probabilmente verrebbe fuori un'immagine in un mix di fermezza, coerenza, decisione, tenacia e voglia di portare avanti un obiettivo da raggiungere, contornata da un po' di confusione, dettata dal momento storico nel quale si trova a vivere la nostra società. Io credo che quando si raggiungono momenti molto forti, la gente sia portata a rialzarsi e a rimboccarsi le maniche. Io nelle mie canzoni parlo spesso di radici e legami al territorio: da qui, a mio avviso, bisogna ripartire per capire in quale direzione andare, dando il meglio di sé. Non bisogna mai perdere di vista nella vita i punti fermi, basilari per ogni percorso che si rispetti. Gianluca Doronzo

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Riky Anelli Dicembre 2014


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Attento ai testi, al racconto della vita e al bisogno di arrivare «dritti al cuore del fruitore»: l'universo del giovane Anelli «allo specchio», fra istantanee sonore sui giorni nostri, auspici per il futuro e uno stile «del tutto personale»

Le «considerazioni notturne» di Riky, con la speranza «di tornare a Sanremo» e un profondo desiderio di «ascoltarsi, per capirsi e migliorare quello che non va nella società»

Nei suoi testi c'è il racconto della vita, in tutte le declinazioni di fondo, spaziando dalla gioia alla solitudine. Ha avuto il coraggio, ad un certo punto del suo viaggio musicale, di “ripartire da zero”, mettendosi nuovamente in discussione come solista. I viaggi, il respirare la dimensione “on the road” e, soprattutto, l'ascoltarsi sono diventati il suo motivo conduttore. Oggi Riky Anelli è “un uomo nuovo”, rigenerato nella linfa sonora, come ben dimostra nell'album “Considerazioni notturne” (attualmente è in rotazione radiofonica il singolo “Una mattina che vale”). Fra i 60 candidati alla sezione “Nuove Proposte” al prossimo “Festival di Sanremo” (con un brano folk, dal titolo “Ti porterò”), al telefono (in attesa di prendere un aereo) descrive il suo poliedrico universo, esprimendo il suo punto di vista sul cantautorato, sui “talent” e, soprattutto, su ciò che oggi realmente significhi “essere artisti”. Il tutto all'insegna del cuore. Domanda – Riky, ho il piacere di chiacchierare con un potenziale concorrente del “Festival di Sanremo 2015” nella sezione “Nuove Proposte”: non mi resta che augurarle di essere nella rosa degli otto prescelti. Risposta – Spero vivamente di figurare fra i protagonisti del prossimo “Festival di Sanremo”: sarebbe bello tornarci, dopo quella che io ritengo la mia “falsa partenza” vissuta nel 2001, quando ho calcato fra i “Giovani” il palco dell' “Ariston”. Oggi vivrei la kermesse con una consapevolezza maggiore, credendo profondamente nel mio progetto. D . – Incrociamo le dita per lei: come sono andate le audizioni del 1° dicembre a Roma? R . – Innanzitutto posso dirle che sono andate, a mio avviso, molto bene. Ho vissuto un'atmosfera abbastanza tranquilla, dando il meglio di me: attorno c'erano, tuttavia, tanti cantanti agitatissimi, forse non pronti ad un “live”. Io ne ho fatti talmente tanti, da non essere per nulla preoccupato. Adesso vedremo quali saranno i risultati. D . – Il pezzo con cui si presenta s'intitola “Ti porterò”: qual è stata la sua genesi? Di che si tratta? R . – Si tratta di una canzone folk, non di una ballad. Il ritmo è molto incalzante e lo vesto perfettamente su misura, nelle mie corde. Per quel che riguarda il testo, affermo che l'anestetico contro tutto quello che di brutto stiamo vivendo oggi è nel ballo: si parla di esseri umani e di bisogno di arrivare dritti al cuore, senza orpelli e sovrastrutture. La musica è tutto, mio caro. D . – Dalle sue dichiarazioni, sembrerebbero esserci ottime premesse per una sua eventuale partecipazione: che ricordi ha della presenza all' “Ariston” nel 2001? R . – Ricordo che allora la pensavo esattamente come oggi: ovvero “Sanremo” è una grande vetrina, un'enorme possibilità per un cantante sconosciuto ai più. Si tratta di un palco che consente davvero a carriere di decollare, diventando importanti. In merito al 2001 ho memoria di essere stato catapultato, però, in una dimensione più grande di me, quasi in maniera traumatica: ero giovanissimo, avevo solo 18 anni e non conoscevo il mestiere. Per questo oggi, con la consapevolezza di 13 anni di esperienza in più, ho deciso di ripresentarmi col mio mondo, con una canzone ed uno stile che mi appartengono. Allora non era così. A me a quei tempi non interessava fare la boy band, ma essere un cantautore. Per

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questo poi, nel mio percorso, ho messo a punto delle scelte ben precise, anche andando per sottrazione rispetto a tante avventure, arrivando all'essenziale. Non posso, tuttavia, nasconderle che mi sono sentito, giovanissimo, un privilegiato: ero appena maggiorenne, mi riconoscevano per le strade e facevo delle cose che i miei coetanei si sognavano semplicemente. Nel tempo ho ricominciato da zero, andando anche “on the road”, imparando dal vissuto e raccontando storie vere. Oggi siamo qui a parlarne. D . – Bella profondità la sua e una vis molto sincera. Non è da tutti ammettere di aver “ricominciato da zero”, procedendo per sottrazione, andando per le strade del mondo alla ricerca di sé. R . – Io, caro Gianluca, sono sempre stato un sostenitore della musica come sublime forma d'arte: per me diventa fondamentale essere a contatto con la verità, con la quotidianità del nostro vissuto, per raccontarne tutte le declinazioni filtrate da sé. Mi sono ascoltato e sono arrivato a crescere e maturare. D . – Nei suoi testi, infatti, si percepisce molto il racconto di storie di vita, di strade, di momenti di solitudine, di difficoltà e risalite, fino a toccare tematiche di impegno sociale. R . – A me piace quando le persone che ascoltano i miei testi sostengono quanto lei sta mettendo in evidenza nella sua splendida intervista: sento, in questa maniera, di aver

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raggiunto l'obiettivo di arrivare dritto al cuore con la mia musica. L'artista, secondo il mio punto di vista, deve accompagnarsi a momenti di silenzio e di grande spiritualità, formulando come in una sorta di fermo immagine il minuto nel quale vive, lanciando un messaggio, non facendo in modo che tutto passi incondizionatamente, senza un'intima ragione. D . – E le sue “Considerazioni notturne” a che punto sono arrivate? R . – L'album “Considerazioni notturne” è arrivato nel momento del ritorno da solista, dopo aver messo a punto tre dischi con una band in questi anni, dal taglio post-punk. Mi sono rimesso in gioco, raccontando me stesso, avendone un estremo bisogno, paventando un'urgenza espressiva non indifferente. D . – Riky, qual è il suo punto di vista sui cosiddetti “talent show”? R . – Dico la verità: non li guardo tanto, non mi piacciono molto, ma rispetto chi vi partecipa. Io sono l'esempio vivente di come, senza un “talent”, si possa alla lunga creare un percorso artistico che, secondo me, è ciò che spesso manca ai ragazzi d'oggi nella musica e cantautorato. Non le nascondo, però, che a volte mi fanno tenerezza i tanti concorrenti che animano simili programmi, perché mi sembrano un po' spaesati, in cerca di una direzione che non riescono a trovare altrove. Io, però, ribadisco di non aver mai avuto l'esigenza di


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esserci. I “talent” danno di sicuro una grande visibilità, ma poi bisogna vedere fuori cosa accade. D . – Ecco, allora approfondiamo: cosa vuol dire “avere talento”, dal suo punto di vista? R . – Per come la vedo io il vero talento non è l'intonazione o la dizione perfetta: io faccio anche l'insegnante di canto e lo ribadisco spesso e volentieri a chi viene a prendere lezioni da me. Il talento è colui che, anche con poche note, ti tocca le corde dell'anima, lasciando una traccia profonda in te. Lo sono Battisti, De Gregori e De Andrè: voci non eccelse o potenti, ma grandi sensibilità a livello comunicativo. Fra una popstar alla Beyoncé e un grande del cantautorato, io non avrei dubbi nell'optare per la seconda ipotesi. D . – Ed essere cantautori oggi cosa vuol dire? R . – È una scommessa che, a volte, sai benissimo di poter perdere, ma se ci credi la vivi pienamente. Io, ad esempio, non ho canzoni di impatto pop immediato: magari al primo ascolto non ti dicono nulla. Dopo la seconda e terza volta non ne puoi fare a meno, perché le recepisci pienamente. Una sfida la mia. D . – Cosa vorrebbe, Riky, potesse accadere nel suo percorso? R . – “Sanremo” o no, io ho già scritto altri due nuovi album di inediti e, pertanto, vedo il mio percorso proiettato nei “live”, sul palco, continuando a suonare serenamente, senza alcun

problema. D . – Se, metaforicamente, si dovesse oggi specchiare, che immagine verrebbe fuori di Riky? R . – L'immagine di quello che sono oggi: esattamente ciò che avrei voluto essere, sin dal primo momento in cui ho iniziato il mio percorso nella musica. Io sto dimostrando di avere maturato esperienze, mettendo in primo piano il cuore, condizione imprescindibile per essere se stessi. Quello che a me dicono oggi di respirare nei miei testi (e atmosfere sonore) è il senso di un'estrema verità. Io sono così, pane e salame, quello che vedi: senza filtri o maschere. D . – Longanesi, infine, sosteneva che un'intervista fosse “un articolo rubato”: cosa le è stato sottratto durante la nostra chiacchierata? R . – Lei è stato fantastico e non mi ha sottratto proprio nulla: quando le interviste, una volta pubblicate, sono fedeli alle dichiarazioni rilasciate dall'artista, non può che rendersi un ottimo servizio in merito. In realtà io credo che il lavoro dei giornalisti sia esattamente come quello di tutti: ci sono quelli bravi e meno, non distanziandosi dai medici, dagli avvocati, dai cantanti e dai piloti, per farle un esempio. D . – Infatti, Riky. Lei è un sostenitore della verità ed io dell'amore per quello che si fa: con simili coordinate nella vita non si bluffa mai. R . – Bravo, Gianluca. Tutto ciò che è fatto con amore paga. Bukowski sosteneva che “lo stile è una risposta a tutto”. Esattamente con un simile principio ho scritto il mio album, rimanendo fedele e coerente ai miei principi. Troppa gente brontola e non vive la vita con passione: noi giovani dobbiamo fare in modo che le cose cambino. Io sono un musicista passionale, sanguigno, di pancia. Non è vero che le nostre generazioni fanno schifo: se facciamo i contestatori a prescindere, non andiamo da nessuna parte. Dobbiamo volerci bene, essere l'uno con l'altro e costruire i nostri percorsi assieme. Come lei ha fatto in questa splendida chiacchierata. Grazie di cuore. Gianluca Doronzo

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Romina Falconi Dicembre 2014


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Ha fatto impazzire migliaia di fan nel «Sognando Cracovia tour» ed ora, nella speranza che Carlo Conti la voglia sul palco dell' «Ariston», per la cantante romana è la volta dell'uscita del terzo ep («Un filo d'odio»), anticipato dal singolo «Maniaca»

Un'anima vocale capace di spaziare nei registri, dando spessore alle corde dell'anima: Romina Falconi e le sue molteplici vite fra «Sanremo, X Factor, il tour di Ramazzotti e i duetti con Immanuel Casto»

Le molteplici anime di Romina. Soul, ironica, r&b e pop: un universo ricco di sorprese ruota attorno alla Falconi, in queste settimane protagonista del “Sognando Cracovia tour” assieme ad Immanuel Casto (un duo diventato un fenomeno del web), con “migliaia di fan sotto il palco a cantarne le canzoni”, donandole una delle “emozioni più belle della sua carriera”. In un'intervista “schietta e sincera”, scandita dall'amore per l'essere artisti, racconta i tratti incisivi del suo itinerario, dal “Sanremo” del 2007 al tour con Ramazzotti, fino alla partecipazione ad “X Factor” qualche anno fa, essendosi rimboccata le maniche più volte, senza esitazione di sorta. Ma, puntualmente, con la meraviglia di interpretare quello che le piace, avendo fatto la gavetta più dura “dalla periferia romana alla popolarità”. Oggi festeggia, fra un impegno e l'altro, l'uscita del suo terzo ep il 19 dicembre (“Un filo d'odio”), preceduto dal singolo “Maniaca”, in attesa che presto arrivi un album tutto suo. Bando alle parole: il suono della sua voce vi aspetta in queste righe, scoprendo una ragazza profonda come poche nel panorama canoro italiano. Domanda – Romina, che bilancio sentirebbe di formulare del suo “Sognando Cracovia tour”, vissuto assieme ad Immanuel Casto in questi mesi? Risposta – Il tour è andato benissimo: pensi che abbiamo avuto anche richieste per il nuovo anno, aggiungendo una data il 30 gennaio. È stato bello riscontrare l'affetto del pubblico, vedendolo entusiasta sotto il palco a cantare i miei pezzi: un'emozione unica. Tra l'altro, in questo progetto si sono uniti i sostenitori di Immanuel con i miei, per cui c'è stata la fusione di universi, con grande carineria. Sul palco siamo stati accomunati da una grande teatralità, senza mai essere scontati, allontanandoci da filtri e sovrastrutture. Per noi che, in fondo, siamo nati e cresciuti nel web, si è trattato di una bellissima gratificazione. Elemento non indifferente per quel che mi riguarda è stato il fatto di aver presentato, per la prima volta in un mio tour, i miei inediti. Abbiamo confezionato uno spettacolo attento al dettaglio, con video, ballerine. Immanuel è un grande professionista e, a dispetto di quello che può sembrare, nella vita privata è molto timido e di una grande disponibilità. Aspetti non comuni nei colleghi. D . – A proposito di Immanuel: com'è nata la vostra collaborazione? R . – Per noi questa è la terza collaborazione e le dico anche una cosa: abbiamo provato a presentare un brano al prossimo “Festival di Sanremo”, con molta teatralità e spessore nel testo, visto che si parla di violenza. Vedremo quali saranno le decisioni maturate da Carlo Conti, dal momento che a giorni ci sarà l'ufficializzazione del cast. Fatto sta che stimo molto il conduttore e la sua voglia di fare scelte coraggiose: il nostro pezzo, senza che il mio possa sembrare un paragone presuntuoso, ricorda un po' le atmosfere del “Signor tenente” di Faletti. Ci piacerebbe essere in gara, dando un preciso messaggio. Tra l'altro, per Immanuel a fine anno arriverà anche un libro: stiamo davvero vivendo un periodo intenso di avventure. D . – Ha parlato di Carlo Conti e della sua “voglia di fare scelte coraggiose nel cast”: questo, dunque, s'aspetta? R . – Sicuramente Carlo Conti saprà stupirci: è un professionista e conosce la musica. È la persona giusta al posto giusto e si meritava il “Festival di Sanremo” da tempo. Lui non

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vuole creare le solite formule festivaliere, ma qualcosa di più. Credo nella sua lungimiranza e, soprattutto, nel suo saper fare spettacolo e intrattenimento. I suoi programmi hanno dimostrato costanti successi, cuciti su misura per lui. D . – E la vostra presenza sarebbe la dimostrazione della coerenza in merito a “scelte coraggiose”. R . – Esatto: se coraggio deve essere, che coraggio sia. Io e Immanuel siamo pronti e crediamo nel nostro progetto. Per il resto si vedrà. D . – Sempre in tema di “Sanremo”: che pensa della probabilità che Emma e Arisa affianchino Conti nella conduzione? R . – Per me non ci sarebbe nessun problema: in fondo, anche Baudo ha fatto talmente tante scelte particolari in passato. Secondo me Emma e Arisa sarebbero simpatiche sul palco dell' “Ariston”: si tratta di ragazze vere, spontanee, professionali. Conti è lungimirante e sa che si tratterebbe di una scelta vincente, accogliendo le simpatie di un pubblico trasversale. Sono fiduciosa in una gran bella edizione del “Festival” a febbraio. Non vedo l'ora. D . – Romina, a che punto del suo percorso sente di essere oggi? R . – Guardi, Gianluca, io sono una molto schietta e sincera: le risponderò senza alcun filtro. Io mi sento una miracolata: sono passata da “Tor Pignattara” a Roma alla sagra della porchetta e matrimoni, fino ad essere stata catapultata sul palco di “Sanremo” nel 2007, facendo successivamente un tour per il mondo con Ramazzotti e “X Factor”, fra l'altro. Ho fatto il bello e il cattivo tempo: mi sono puntualmente messa in discussione e ho incontrato anche Immanuel Casto sul mio cammino, fino a portare avanti diverse collaborazioni. La cosa incredibile è che, venendo fuori da un prodotto web con Immanuel, non credevo di poter avere tutto il seguito riscontrato, con una visibilità notevole. Nel momento in cui ho messo a punto il mio primo ep, sono subito stata in vetta alle classifiche su iTunes. Nel “Sognando Cracovia tour” abbiamo ottenuto all' “Alcatraz” di Milano ben 1200 persone: una cifra pazzesca di fan. Io non posso che essere molto fiera del percorso che ho fatto, avendo davvero spaziato nelle avventure e generi. È bello quando si respira indipendenza rispetto a quello che si fa: nel momento in cui c'è alle spalle spesso una casa discografica, si è costretti a sottostare a certi diktat che non vuoi. Io mi sento libera e ho miti come Zero, Zucchero e Rossi, che si sono fatti il mazzo per arrivare dove sono oggi. Tanto di cappello. In loro ho sempre percepito tenacia. La verità è che se ci si mettesse assieme nei progetti, potrebbero venire fuori cose fantastiche e ambiziose, anche sul web, che vivrà per sempre dal mio punto di vista. Ho fatto di tutto e anche la tv non mi dispiace, avendola conosciuta. E poi mi piacciono i video. Molto. D . – Essendo, dunque, soddisfatta del suo percorso, cosa le piacerebbe fare oggi? R . – Ci sono tante cose ancora da fare: un film, ad esempio, non mi dispiacerebbe. Io sono fondamentalmente una persona molto curiosa, ricca di idee, con una gran voglia di divertimento. L'unica opportunità che abbiamo nella vita è questa. D . – Ben detto. E di soddisfazioni ne ha vissute, come quella con Eros Ramazzotti in un tour mondiale. R . – Anche lì mi sono sentita molto fortunata: ho girato il

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mondo con un uomo e un grande artista, pronto a dare tutto se stesso per raggiungere il massimo. Quel tour mi ha insegnato che più i professionisti sono tali, dei veri numeri uno, più sono umani e umili. Eros è una persona molto generosa. D . – A proposito di grandi: dal suo punto di vista, cosa vuol dire avere talento? E dei “talent” cosa pensa? R . – Avere talento è come essere alti 1 metro e 80cm. e avere gli occhi belli. Fa parte della tua natura: ci nasci. Da solo, però, non basta e bisogna sacrificarsi molto. Dietro una porta aperta ci sono almeno 1600 no. Nella vita bisogna lavorare duro, senza abbattersi mai. In quanto ai “talent” io rifarei l'esperienza vissuta ad “X Factor”: ovviamente lì ci sono tempi televisivi e non hai possibilità di scelta, in quanto devono guidarti fino alla fine. Io consiglio di provarci: in fondo oggi non ci sono grandi chance per un emergente, televisivamente parlando, se non “Sanremo” e i “talent”. Tante carriere hanno preso il volo da contesti alla “X Factor”: è innegabile. Ciascuno può avere delle possibilità, a seconda della propria anima, rock, leggera o r&b. A prescindere dalle classifiche finali, uno deve cantare per se stesso, allontanandosi da concezioni da “tritacarne” e gogne mediatiche, dando il meglio di sé. D . – Anche perché spesso c'è una sorta di pregiudizio nei confronti di chi viene fuori da un “talent”. R . – Dico la verità: i giornalisti, per fortuna, non ne hanno. Per molti addetti ai lavori invece sei marchiato a vita. Io sono nata come cantante prima e poi mi sono fatta le ossa sul campo: la partecipazione ad un “talent” è arrivata in un secondo momento. Per me, tuttavia, l'importante è rimanere me stessa, fedele al mio mondo. Il resto non conta. Vado avanti lo stesso. D . – Cosa vorrebbe, Romina, potesse accadere a questo punto? R . – Io vorrei far sentire a tutti il mio terzo ep, in uscita il 19 dicembre, anticipato dal singolo “Maniaca”, in rotazione dal 15. Mi piacerebbe molto fare un video e poi, perché no, per il 2015 mi auguro un album di inediti, senza essere monotematica, ma con grandi sorprese. Io adoro parlare di tanti argomenti in quello che faccio: l'importante è che io faccia l'artista per tutta la vita, con la consapevolezza che i fan mi abbiano capito. Mi piace far passare tanti messaggi attraverso il canto ed esperienze come quella vissuta con Immanuel. Ne sono entusiasta. D . – Cara Romina, eccoci quasi in dirittura d'arrivo nella nostra chiacchierata: metaforicamente, come si rifletterebbe oggi allo specchio? R . – Io mi odio molto, nel senso che sono davvero tanto esigente con me stessa. Allo specchio, però, oggi vedo una ragazza che ha cambiato tanto di sé, rimanendo fondamentalmente una bambina. Sto imparando a volermi bene, nonostante le particolarità che mi contraddistinguono. Benedico chi dall'alto mi ha dato un talento, consentendomi di scoprirlo e di farne tesoro. Sono del parere che nella vita nulla accada per caso: da una cosa negativa spesso viene fuori una positiva. Ho cercato di portare avanti un percorso dignitoso, senza mai scendere a patti con alcuno. Ecco, sa come mi vedo oggi? In volo, con le ali (anche di Icaro, non importa). Nessuno può privarci del diritto di sperare. L'amore spassionato per la vita mi appartiene. Esattamente come quello che ho evinto dalla sua intervista: si vede che lei è uno che ama la sua

professione, essendo ferratissimo. D . – Senza amore, Romina, non si va da nessuna parte. Per questo è importante volersi bene. R . – Col sacrificio, l'amore e la perseveranza si costruiscono sani percorsi: ne sono convinta. L'esperienza ti consente di crescere, di metterti in discussione e di non mollare mai. A quanti artisti, anche famosissimi, è andata male alla prima, seconda e terza? Il tempo, però, ha dato le giuste risposte. E così sarà anche per tanti ragazzi talentuosi: non mollare mai è un imperativo categorico. Davvero. Gianluca Doronzo

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Immanuel Casto, re del «porn groove», racconta il «sold out» del «Sognando Cracovia tour» assieme a Romina Falconi (con nuove date nel 2015), rivelando il desiderio di partecipare al prossimo «Festival di Sanremo» (in attesa dell'uscita di un suo libro a giorni), con un pezzo sulla violenza, fra spessore e teatralità

«Avere talento vuol dire essere unici, con uno stile inconfondibile: in troppi oggi credono di possederne. Io ritengo non si debba mai perdere di vista l'umiltà»

Avere talento? Dal suo punto di vista vuol dire “essere unici, possedere personalità e una cifra peculiare, non perdendo di vista l'umiltà”. Immanuel Casto è ritenuto, fra goliardia e trasversalità, “il re del porn groove”, ma chiacchierando con lui al telefono, si scopre una persona molto profonda, riservata, schietta ed estremamente cordiale, segno che nella vita bisogna sempre “andare al di là della maschera”. Ha vissuto mesi intensi accanto a Romina Falconi nel “Sognando Cracovia tour”, realizzando continui “sold out” dall' “Alcatraz” di Milano all' “Estragon” di Bologna, paventando nuove date il prossimo anno (il 30 gennaio, ad esempio). E, in virtù di questa collaborazione, ha pensato di presentare un duetto al prossimo “Festival di Sanremo” nella sezione “Campioni”, facendo del connubio fra teatralità e testo una precisa caratteristica, affrontando il tema della violenza. Carlo Conti, cosa aspetti? Domande – Immanuel, che dire dell'esperienza vissuta con Romina Falconi nel vostro “Sognando Cracovia tour”? Risposta – Sicuramente le posso affermare che abbiamo vissuto un'avventura estremamente positiva, con costanti “sold out” e una crescita esponenziale di consensi, attraverso tutti i canali di comunicazione. Io e Romina abbiamo unito i nostri seguiti e davvero, avvalendoci di una grande teatralità, abbiamo messo a punto un bello spettacolo, attento al dettaglio. D . – Tra l'altro, si è aggiunta la data del 30 gennaio, segno di un gradimento davvero esponenziale. R . – Esattamente. Io e Romina era da tempo che accarezzavamo questa idea, cercando di animare uno

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spettacolo che ci rappresentasse: l'abbiamo finalmente realizzato. Entrambi non possiamo che esserne entusiasti, senza ombra di dubbio, anche dell'aggiunta di una nuova data nel 2015. D . – Dal momento che avete avuto modo di collaborare assieme in passato, avete anche pensato di presentare un brano al prossimo “Festival di Sanremo”, sperando di essere ammessi fra i “Campioni”. R . – Ben detto. La nostra è più che altro una sfida: abbiamo provato a scrivere qualcosa che fosse d'effetto, che parlasse di violenza, unendo la nostra teatralità e le nostre cifre. Abbiamo lanciato alla commissione la nostra proposta: speriamo che Carlo Conti in primis l'accetti. Sarebbe un bel colpo per il “Festival” avere Immanuel Casto e Romina Falconi assieme, soprattutto dopo il successo del “Sognando Cracovia tour”. D . – Proprio nella chiacchierata con Romina, presente in questa edizione di “Che spettacolo”, evincevamo quanto potesse essere coraggiosa la vostra scelta da parte di Carlo Conti. R . – Abbiamo tutti bisogno di cambiamenti, “Festival” incluso: con noi sarebbe un bella atmosfera.

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D . – A che punto, Immanuel, sente di essere all'interno del suo percorso? R . – Sono in un punto in cui, se mi guardo indietro, mi rendo davvero conto che rispetto a 10 anni fa ho fatto tantissime cose, molto importanti, con estrema gratificazione. Mi sento appagato dalle scelte artistiche messe a punto e ho la consapevolezza di essere cresciuto, con gli auspici di migliorare giorno dopo giorno. D . – A fine anno, se non erro, uscirà un suo libro: di che si tratta? R . – Lei è ben informato. È un libro che racconta il mio percorso, attraverso la cifra musicale. Mi piacerebbe, in un secondo momento, fare un ep un po' drammatico, che viri registro rispetto alla mia goliardia, spiazzando anche il pubblico. In futuro, inoltre, vorrei dirigere un film: sarebbe un bel traguardo raggiunto. D . – E non ci resta che augurarglielo, Immanuel. Vorrei confrontarmi con lei sulla questione talento: oggi sembra essere un termine bistrattato, a causa soprattutto dei cosiddetti “talent show”. Averne, dal suo punto di vista, cosa vuol dire? E cosa pensa di simili contesti televisivi?


DAL FENOMENO WEB AL SUCCESSO DEL SOGNANDO CRACOVIA TOUR

R . – La sua è una domanda molto interessante e le rispondo volentieri. Avere talento è qualcosa che rende unico chi lo ha, sia nell'ambito artistico che nella vita di tutti i giorni. In particolar modo, rispetto ai “talent” che ben vengano i ragazzi con grandi potenzialità: ora, c'è da fare una discriminante. Partecipare ad un simile programma televisivo non vuol dire essere automaticamente un artista: chi lo è ha un suo stile, una cifra personale, una sua peculiarità. Tra l'altro, io sono uno che persegue la trasversalità: di conseguenza per me un artista è colui che spazia a 360° nelle discipline, senza esitazione di sorta. Se si fa un disco, ad esempio, bisogna pensare ai contenuti e non ad un successo di una stagione e via: da un “talent” spesso c'è il rischio che vengano fuori progetti poco interessanti, senza slanci vitali, se non lungimiranti. Con Romina Falconi è stata tutta un'altra cosa: lei ha partecipato ad “X Factor” quando già aveva una carriera alle spalle, avendo persino fatto “Sanremo”. Di conseguenza è una grande, un esempio di come avere talento significhi essere in possesso di un “dono di Dio”. D . – Televisivamente cosa le piacerebbe fare? R . – Ammetto di non essere un grande estimatore della tv: anzi, da quando hanno messo il decoder, le confesso di non averla in casa. Ormai online c'è tutto il mondo e si può vedere qualsiasi cosa sul web: io credo che col coraggio che abbiamo di essere noi stessi, non si possa chiedere altro rispetto ai nostri progetti in rete e al seguito che hanno. Per cui sono soddisfatto dei miei canali di diffusione dell'arte. D . – Immanuel, nello scenario dell'intrattenimento italiano, come si colloca con la sua esperienza? R . – Io, onestamente, penso di occupare una nicchia abbastanza vuota: da un lato c'è una goliardia innata, avendo molti dei miei brani una satira spiccata; dall'altro c'è la volontà di affrontare grandi temi, come il pezzo che io e Romina vorremmo portare a “Sanremo”, stupendo e perseguendo la teatralità. Io, per così dire, ricordo il primo Renato Zero, Ivan Cattaneo e altri grandi, che hanno fatto della curiosità la loro cifra espressiva. D . – Dunque, la sua cifra rivela personalità e colma il vuoto di un tassello oggi inesistente nello spettacolo. R . – Esatto, ma senza grandi pretese. Solo essendo me stesso. D . – Dopo il “Sognando Cracovia tour” cosa vorrebbe potesse accadere? R . – Sono contento di quello che ho realizzato con Romina: a me piacerebbe continuare ad esprimermi, dando ampio spazio alla libertà del mio personaggio, senza esitazione alcuna. Essendo me stesso. D . – Immanuel, metaforicamente allo specchio: come si rifletterebbe oggi? R . – Questa è una domanda molto interessante. Non è facile darle una risposta. Direi che vedrei un artista nella sua integrità, pronto a rappresentare il suo universo pienamente, con possibilità di crescita, mettendosi in discussione con tutto se stesso. D . – Longanesi, infine, sosteneva che un'intervista fosse “un articolo rubato”: cosa le è stato sottratto durante la nostra chiacchierata? R . – Nella sua non mi è stato sottratto proprio nulla: mi è piaciuta molto. In generale, se penso alla mia esperienza, spesso mi sono ritrovato mie risposte farcite dai giornalisti,

mentre procedevo per sottrazione e sintesi. Ma ci sta tutto. A me poi piacciono domande un po' come le ha formulate lei, ad ampio respiro, avversando quelle che mi coinvolgono nello specifico del mio lavoro, dove talvolta mi trovo a disagio perché sono modesto e non mi piace parlare di me. Gianluca Doronzo

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Blastema Dicembre 2014


MUSICA - IL GRUPPO RIVELAZIONE

La band romagnola (capitanata da Matteo Casadei), nota per aver partecipato a «Sanremo» nel 2013 fra i «Giovani» (piazzandosi al quarto posto), è attualmente in tutt'Italia con «I morti tour» (il 21 dicembre al «Raindogs» di Savona), in attesa dell'uscita del nuovo album nella primavera del 2015

I Blastema? Per dirla alla Pratolini: «Un gruppo d'altri tempi come ce ne sono in ogni tempo»

Come si collocano i Blastema nello scenario odierno? Per dirla alla Pratolini: “Un gruppo d'altri tempi come ce ne sono in ogni tempo”. Da una simile risposta, si evince lo spirito vivace e ricco di humour di Matteo Casadei, voce della band rock romagnola (composta da Alberto Nanni, Michele Gavelli, Luca Marchi e Maicol Morgotti), nota per la partecipazione al “Festival di Sanremo” nel 2013 (con un bel quarto posto), alle prese con l'uscita del terzo disco nella prossima primavera. Attualmente in tutt'Italia con “I morti tour” (il 21 dicembre saranno al “Raindogs” di Savona), dall'omonimo singolo in rotazione radiofonica, consapevoli di essere diventati “più scavati, essenziali ed interessanti”, non si risparmiano sui “talent” (definendoli “inceneritori che bruciano spazzatura rilasciando scorie, che penetrano nell'organismo fino a comprometterlo e ammalarlo”) e sul panorama musicale contemporaneo (“inconsistente, privo di coordinate e di originalità”). Nella speranza che il tempo “possa confermare il proseguimento del loro percorso”. Aprite bene le orecchie: a tutto volume. A tutta musica, signori. Domanda – Matteo, il singolo “I morti” anticipa l'uscita del vostro nuovo disco (il terzo in carriera), previsto per la

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prossima primavera: cosa aspettarci? Quali cambiamenti rispetto al passato? Risposta – Sicuramente sarà un progetto sospinto dalla grande volontà di vederlo nascere, con una profonda attenzione per la fase produttiva e con brani molto eterogenei. Poi nemmeno noi sappiamo cosa aspettarci: i motivi che lo comporranno ci piacciono davvero tanto, hanno caratteristiche diverse rispetto ai precedenti lavori, ma sono contigui e pertinenti. Probabilmente in essi si avverte una capacità compositiva più matura. In definitiva, vorremmo piacessero sia alle persone che ci seguono da tanto, sia a quelle che non ci conoscono: in questa sublime angoscia noi ci sentiamo vivi. D . – L'attenzione ai testi è una peculiarità che vi contraddistingue da sempre: dal vostro punto di vista, oggi è un po' la dominante nel panorama leggero italiano oppure si predilige il suono? R . – Né l'uno né l'altro. La verità è che il panorama musicale “mainstream” italiano è poverissimo di idee formali e contenuti. I dischi suonano tutti uguali e, alle volte, suonano male. L'unica cosa che interessa a chi li produce è di avere un nome da spendere per la promozione: per cui basta scrivere Abbey Road nei credits per avere l'anima in pace. I testi ormai

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non contano: anzi! Più sono banali e sentimentalmente innocui, più sono adatti allo scopo. I cantanti sono talmente impegnati a fare quello che pensano il mercato richieda loro, che le canzoni sono completamente spersonalizzate e prive di qualità autoriali. D'altra parte: cosa aspettarci quando gli autori di brani sono anche quelli dei reality musicali? D . – Quale fase, in sostanza, sta attraversando il nostro panorama musicale? R . – Inconsistente, priva di coordinate e di originalità. La nostra musica ha perso il coraggio nazionalpopolare che la contraddistingueva nel mondo e in Europa (penso a Modugno, Celentano, Branduardi e, perché no, Al Bano e Romina o ai Ricchi e Poveri) e si è dispersa nel mare dell'internazionalizzazione, negli stereotipi scopiazzati male delle produzioni americane e inglesi, senza averne, però, la capacità d'innovazione e i talenti. D . – Ad ottobre è iniziato il vostro “I morti tour”: come sta andando? Quale la tappa più suggestiva finora, legata magari ad un ricordo in particolare? R . – Siamo contenti di quello che ci sta succedendo. Ovunque otteniamo una grande risposta del pubblico, che partecipa al concerto quasi senza fiatare per un'ora e mezza e poi esplode al momento della chiusura, fino a non volere la fine. Questo per


MUSICA - IL GRUPPO RIVELAZIONE

noi è molto importante, denota intelligenza, rispetto e sensibilità, facendoci sentire orgogliosi di quello che facciamo. Teniamo molto al concerto inteso come spettacolo univoco e non come insieme di frammenti incollati. Lo spettacolo inizia al primo pezzo e si conclude all'ultimo: il tempo degli applausi e del chiacchiericcio viene dopo. Il momento più intenso di questo tour? Non saprei. Mancano ancora un po' di date. Preferisco non stilarne un bilancio. D . – Che dire dell'esperienza vissuta a “Sanremo” nel 2013, con un bel quarto posto? R . – Diciamo quello che ripetiamo sempre: che il gioco vale la candela, ma non è tutt'oro quello che luccica. “Sanremo” è utilissimo per fare promozione e ottenere visibilità. Di certo, però, non è uno spettacolo dedicato alla musica. È incentrato sulla musica, ovvio, ma rimane un varietà, coi tempi della televisione e le esigenze del piccolo schermo, che ben poco hanno a che fare con la musica. D . – Tornereste in gara all' “Ariston”? R . – Ad oggi, no. D . – Come si collocano i Blastema nello scenario odierno? R . – (Dopo una risata, ndr) Bella domanda. Rubando a Pratolini: “Un gruppo d'altri tempi come ce ne sono in ogni tempo”. D . – Musica e tv: un binomio possibile? R . – Binomio possibile, a patto che lo spettacolo sia preparato

nei minimi dettagli: i materiali e i tecnici impeccabili, i tempi irreprensibili e non vi siano più di quattro artisti. In Italia la vedo dura. D . – Il vostro punto di vista sui “talent”? R . – Sono come inceneritori che bruciano spazzatura, rilasciando scorie che penetrano nell'organismo, fino a comprometterlo e ad ammalarlo. Meglio evitarli. D . – Delle nuove generazioni cantautoriali, chi stimate maggiormente e per quale ragione? R . – Maria Antonietta, MaDeDoPo, Marta sui Tubi e Zen Circus: hanno tutti creato una miscela interessante tra sound ed espressività, legata alla parola. D . – Come vorreste potesse proseguire il vostro percorso? R . – Vorremmo riuscire a fare un quarto e quinto album. Ma questo solo il tempo potrà confermarlo. D . – I Blastema, metaforicamente, allo specchio: in che modo si riflettono oggi? R . – Più scavati, più essenziali, più interessanti. D . – Longanesi sosteneva che un'intervista fosse “un articolo rubato”: cosa vi è stato sottratto, alla resa dei conti, in questa chiacchierata? R . – Beh, qualche considerazione, un po' di tempo e un bel po' di veleno (e la chiacchierata si conclude con una sonora risata, ndr). Gianluca Doronzo

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Anila

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MUSICA - LA GIOVANE PROMESSA

Anila («mi piacerebbe collaborare in futuro con Fiorella Mannoia»), giovane interprete calabrese cresciuta con la passione per il canto, è attualmente in promozione col singolo «Due anime», scritto da Giovanni Volpentesta (lo stesso autore del precedente «Sensi»), convinta che «più bella cosa non c'è» della musica, per nulla critica nei confronti dei «talent» e di «Sanremo»

«Trovo che ci siano tanti bravi esponenti canori in giro: emergere è difficile, ma è importante che qualcuno creda in loro, dando messaggi positivi e incoraggiamenti»

Anila ha i piedi ben saldi per terra, tanta determinazione e voglia di lasciare una traccia di sé “col canto dell'anima”. Calabrese ad hoc, si sta pian piano affacciando sulla scena musicale, col singolo “Due anime”, scritto da Giovanni Volpentesta (lo stesso del precedente “Sensi”), non disprezzando un'eventuale partecipazione ad un “talent” e, come ogni buona interprete che si rispetti, auspicandosi un giorno di calcare il fatidico palco dell' “Ariston”. L'intervista (a suo dire “per nulla un articolo rubato”) le consente di “guardarsi dentro”, prendendosi un po' di tempo per sé, riflettendo su quanti giovani promettenti siano in giro, bisognosi di “qualcuno che creda in loro, attraverso esempi positivi e grandi incoraggiamenti”. Con la convinzione che “più bella cosa non c'è” della musica. Vi sentireste di darle torto? Domanda – Anila, che rappresenta nel suo percorso l'uscita del singolo “Due anime”, scritto e composto da Giovanni Volpentesta, stesso autore del precedente “Sensi”? Risposta – Il singolo “Due anime” rappresenta una presa di coscienza di me stessa sia come Artista che come donna. Sulla scia del precedente “Sensi” coglie molte sfaccettature del mio carattere. Giovanni Volpentesta con i suoi brani mi ha permesso di dare sfogo alla mia personalità. “Due anime”, in particolare, è proprio la trasposizione in musica del mio modo di affrontare le situazioni più difficili. D . – Qual è il suo punto di vista sulla generazione di giovani esponenti della musica leggera italiana? R . – Tanti sono i giovani che vorrebbero intraprendere un percorso musicale. Il fatto di poter emergere deriva dalla capacità di farsi capire dagli esperti che lavorano con serietà nel mondo della musica e dello spettacolo, in quanto rispetto al passato la scelta è molto più difficile, soprattutto perché le nuove promesse brave e talentuose sono veramente tante. La cosa più importante è che i giovani abbiano qualcuno che creda in loro e dia, comunque, messaggi positivi e di incoraggiamento. D . – Parteciperebbe ad un “talent”? R . – Certo, se ci fosse l'occasione valuterei una serie di elementi prima di decidere. Se poi dovesse accadere, perché no? La prenderei come un'esperienza di vita e cercherei di divertirmi tanto. D . – Musica e tv: un binomio possibile? R . – Musica e tv alla fine è un binomio che è sempre esistito: non amo che si sfrutti la musica solo per fare televisione, ma se vista come un mezzo che la aiuti e rispetti, certo che sì. D . – E il “Festival di Sanremo”? R . – Il “Festival di Sanremo” è il sogno da bambino di ogni cantante. Io mi ricordo i “Festival” che guardavo da piccola e devo dire che è un'emozione intramontabile già solo il pensiero. Anche se riconosco l'enorme differenza fra i “Festival” di tempi meno recenti e quelli degli ultimi anni… D . – Nonostante l'oggettiva crisi del mercato discografico, sempre più giovani promesse si “affacciano” sulle scena, fruendo di canali spesso alternativi come il web. Un segno del cambiamento dei tempi: vero? R . – Il web, nel bene e nel male, ha preso un posto fondamentale nella vita di tutti, specialmente in quella dei giovani. Certo, può dare delle speranze in più, visibilità immediata e tanti “consensi”. Ma, come in tutte le cose,

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bisogna avere la giusta misura e sfruttare ogni mezzo come tale e come “fine” da raggiungere… D . – Quanto è stato difficile, alla luce del suo percorso, emergere venendo dal Sud? R . – Sicuramente partire da un piccolo paese da adolescente, per andare a vivere da sola con l'obiettivo di laurearsi, è già difficile di per sé. Se poi, in realtà, tu hai il desiderio di fare musica e basta, ma non puoi per tanti motivi, la difficoltà è

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doppia. Devo dire che i risultati della caparbietà e dell'amore per quello che si fa si vedono nel lungo termine forse e adesso, fortunatamente, ho un po' più approvazione rispetto agli inizi. D . – Cosa si sentirebbe di suggerire ad un giovane, che volesse fare del canto la sua vita? R . – Prima di tutto gli direi bravo, perché “più bella cosa non c'è”. Per cantare non serve nemmeno comprarsi uno strumento, perché lo strumento diventi tu, sei tu che “suoni”.


MUSICA - LA GIOVANE PROMESSA

Gli direi sicuramente di avere molta pazienza, di studiare tanto e di non perdere la semplicità e il rispetto per la musica, pensando solo all'arrivo. Ma di “godersi” il percorso. D . – Un insegnamento di un suo Maestro, volutamente con la maiuscola, interiorizzato nel tempo? R . – Sembra banale, ma è quello di non mollare mai e di non pensare mai di non farcela o di non essere all'altezza. Sono poche parole, ma ci vuole tanta forza per metterle in pratica. D . – Quando un album di inediti? R . – Spero molto presto, magari in questo nuovo anno. Lavorando con cura, pazienza e dedizione. E, soprattutto, all'insegna della passione. D . – Con chi le piacerebbe collaborare oggi? R . – Penso che tutte le collaborazioni arricchiscano, specialmente nella musica, che non si può pensare di non condividere o tenere solo per sé. Sicuramente se potessi scegliere, vorrei collaborare con qualche grande icona della musica italiana, che mi possa insegnare qualcosa e dare un'emozione unica. Fiorella Mannoia mi piacerebbe molto, ad esempio. D . – Come vorrebbe potesse proseguire il suo percorso? R . – La cosa che vorrei di più è un maggiore contatto con il pubblico. Quando stai sul palco, le emozioni sono miste e indescrivibili, hai una grande responsabilità nei confronti di chi ti ascolta, speri di non deludere le attese e, nello stesso tempo, ti senti nel posto più bello dove vorresti essere. Sicuramente la cosa più importante è continuare a fare ciò che amo e farlo sempre meglio, ovvero cantare. D . – S'immagini, metaforicamente, allo specchio: in che modo si rifletterebbe oggi Anila? R . – Vedrei una ragazza semplice, che rimane con i piedi per terra, ma determinata a darsi nuovi obiettivi da raggiungere in futuro. Soddisfatta di avere iniziato un qualcosa di bello e sicura di sé nel voler continuare. D . – Longanesi sosteneva che un'intervista fosse “un articolo rubato”: cosa le è stato sottratto durante la nostra chiacchierata? R . – Più che sottratto mi è stato donato qualcosa, ovvero la possibilità di avere un po' di tempo per guardarmi dentro e comunicare agli altri particolari in più rispetto a quello che sono. È stato un bel momento. Gianluca Doronzo

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Giuseppe Capuana Dicembre 2014


MUSICA - IL POLIEDRICO CANTAUTORE

Ha origini siciliane, vive nella campagna toscana, ma il suo cuore appartiene a Milano: ritratto del cantautore Giuseppe Capuana, all'insegna di un viaggio musicale scandito dall'album «Il sangue di Giuda», arrivato «al momento giusto», proprio quando aveva bisogno «di concretizzare ciò che prima erano solo foglietti sparsi per casa»

«Mi piace l'idea di avvicinare le canzoni ad una visione pittorica: nel mio disco ci sono tanti piccoli quadretti che, uno accanto all'altro, narrano una storia»

Il suo album è arrivato “nel momento giusto, proprio quando aveva bisogno di concretizzare ciò che prima erano solo foglietti sparsi nei cassetti di casa”. Gli piace avere una “visione pittorica delle canzoni, quasi fossero piccoli quadretti che narrano una storia”. Dei “talent” ne ha sentito parlare: “Gran brutta malattia che colpisce i giovani. Spero che i medici ne trovino presto una cura”. Giuseppe Capuana è una sintesi pura di humour, simpatia e sfera poetica, ponendosi fra le personalità più innovative del cantautorato contemporaneo. Originario della Sicilia, da anni vive nella campagna toscana, ma “il suo cuore” appartiene a Milano: ha appena pubblicato “Il sangue di Giuda”, mostrando pienamente la sua verve testuale, in concomitanza ad ottimi arrangiamenti (“sebbene si definisca un menestrello di ieri”). Se voleste entrare nel suo mondo, non vi rimarrebbe che “bussare alla sua porta”: si alzi, pertanto, il sipario dell'intervista. Domanda – Giuseppe, all'interno del suo viaggio artistico, a che punto arriva l'album “Il sangue di Giuda”? Risposta – È arrivato nel momento in cui avevo più bisogno di produrre qualcosa, di concretizzare ciò che prima erano solo foglietti sparsi nei cassetti di casa e nei vani portaoggetti dell'auto. Tutti pieni di pensieri e accordi che, col tempo, avrei sicuramente perso. Quindi direi: al momento giusto. D . – Da un punto di vista testuale, che tipo di ricerca sta portando avanti?

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MUSICA - IL POLIEDRICO CANTAUTORE

R . – Forse, inconsciamente, quella di avvicinare le parole a una visione quasi pittorica di ciò che canto. “Vicolo Carlotta”, che è un brano dell'album, ne è una dimostrazione: sembra una canzone composta da tanti piccoli quadretti, che uno accanto all'altro narrano una storia. D . – Essere cantautori oggi cosa vuol dire? R . – Oggi come ieri un buon cantautore è chi rende visibile nella mente di chi ascolta le storie che canta. D . – Lei ha sostenuto di essere “nato e rinato” negli ultimi 15

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anni, sotto diversi profili artistici: ed ora in che fase è? R . – In una fase tardo adolescenziale, visto che per me il mondo musicale è ancora tutto da scoprire. D . – Come vive le sue radici siciliane nella campagna toscana, nella quale dimora da più di sei anni? R . – Ho radici siciliane, ma ho vissuto sempre a Milano, città di cui mi faccio “over dosi” di passeggiate quando vado a trovare amici e parenti, che mi servono (appunto) per ricaricare le batterie del cuore. Ho sangue siciliano, orgoglioso


MUSICA - IL POLIEDRICO CANTAUTORE

di esserlo, ma il mio cuore appartiene a Milano. D . – Lei in che modo si colloca nello scenario musicale di oggi? R . – Tolti gli arrangiamenti, mi sento come un menestrello di ieri. D . – Alla luce della sua versatilità, verrebbe voglia di farle una domanda: cosa vuol dire essere artisti? R . – Non lo so, ma mi sarebbe piaciuto esserci quando hanno inventato la parola “arte”, così giusto per capirci qualcosa in più. D . – Superato “il mezzo del cammin”, come si vede proiettato nel futuro? R . – Spero come un buon padre, prima di tutto. La musica per me non è una questione di vita, mio figlio sì. Per quanto mi sia stato cucito addosso il termine di “poeta”, sono una persona dannatamente con i piedi per terra. E la musica non puoi sapere dove ti porterà. D . – Dal suo punto di vista, che fase stiamo vivendo e come verremo fuori da questo “pessimismo”, dettato dal “terrorismo psicologico” della crisi? R . – In Italia sarebbe bene che qualcuno pensasse di creare un telegiornale di notizie positive, che durasse almeno il doppio di un notiziario che mandano in onda normalmente. La gente ha bisogno di notizie positive ed io sono sicuro che di messaggi buoni ce n'è tantissimi da divulgare. Mi piacerebbe tanto che i media televisivi evitassero di mettere colonne sonore struggenti di sottofondo a notizie già di loro devastanti. Ecco cosa farei: delle leggi per evitare l'uso inappropriato della musica nei telegiornali. D . – Fra le nuove leve della musica italiana, chi apprezza maggiormente? R . – In questo momento Dente. D . – Il suo punto di vista sui “talent”? R . – Sì, ne ho sentito parlare. Gran brutta malattia, che colpisce soprattutto i giovani. Spero che i medici trovino presto una cura. D . – Avere realmente talento cosa vuol dire? R . – Mia mamma ha un talento innato per fare le pulizie: quando le persone entrano in casa, lo notano subito! E le fanno i complimenti. Ecco cosa vuol dire avere talento. D . – Secondo il drammaturgo britannico Arnold Wesker “l'ignoranza e la stupidità hanno potere soltanto in un mondo in cui la maggior parte delle persone le riconoscono come proprio linguaggio”. Che dire a proposito? R . – Che allora è meglio essere riconosciuti pazzi. D . – Come vorrebbe, Giuseppe, potesse proseguire il suo viaggio esistenziale? R . – Proprio come se fosse un viaggio, pieno di cose da scoprire. D . – S'immagini, metaforicamente, allo specchio: in che modo si rifletterebbe oggi? R . – Come quando avevo dieci anni: ricordo che non avevo mai voglia di lavarmi la faccia, perché era una perdita di tempo e avevo troppo da fare. D . – Longanesi sosteneva che un'intervista fosse “un articolo rubato”: cosa le è stato sottratto durante questa chiacchierata? R . – Circa 27 minuti (ma glielo dico col sorriso). Gianluca Doronzo

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Barbara Pozzo Dicembre 2014


I LIBRI PER NATALE - LA SCRITTRICE DELLA GIOIA

Barbara Pozzo (moglie di Luciano Ligabue) è arrivata alla quinta ristampa in soli due mesi col libro «La vita che sei. 24 meditazioni sulla gioia» (Bur Rizzoli), raccontando i suoi 30 anni di esperienza come terapista corporea, studiando le correlazioni fra «anima e corpo» (il 29 gennaio sarà alla «Mondadori Multicenter» di Milano per incontrare i lettori)

«È necessario tornare ad ascoltarsi, ritrovando in ciascuno la componente più intima e umana, per vivere al meglio i propri giorni e capirsi»

“Bisogna ascoltarsi per potenziare il bene che è in ciascuno di noi, ritrovando la componente più intima e umana. Oggi più che mai si ha necessità di esempi positivi, avversando la crisi e ciò che ci circonda in maniera deleteria”. Barbara Pozzo (moglie di Luciano Ligabue) è una stimata terapista corporea, in attività da ben 30 anni: nel tempo, con l'approfondimento degli studi e della medicina alternativa, ha messo a punto le profonde interazioni fra “anima e corpo”, motivando intimamente la conoscenza di se stessi. Da poche settimane ha raccolto la sua esperienza professionale in un libro, andato a ruba, già alla quinta ristampa: “La vita che sei. 24 meditazioni sulla gioia” (Bur Rizzoli). Un successo inaspettato, con attestazioni unanimi da parte dei lettori, che “finalmente si sentono capiti”. E il 2015 inizierà sotto i migliori auspici, visto l'incontro col pubblico e con gli utenti del suo sito www.somebliss.com alla “Mondadori Multicenter” di Milano (ore 18.30) il 29 gennaio. Da non perdere. Domanda – Signora Barbara, in soli due mesi il suo libro, dal titolo “La vita che sei. 24 meditazioni sulla gioia” (Bur Rizzoli), è arrivato alla quinta ristampa. Un risultato eccezionale per un esordio nell'editoria: se lo sarebbe mai aspettato? Risposta – A dire la verità, nel momento in cui ho scritto il libro, non sapevo cosa aspettarmi e non avevo minimamente idea di quello che sarebbe potuto accadere. Di sicuro, alla luce dei risultati entusiastici, oggi posso dire che la mia creatura sta facendo davvero un'ottima strada. Sostengo questo perché la mia non è soltanto una soddisfazione personale, ma soprattutto è bello capire quanto la gente, leggendo, dimostri di avere bisogno di ritrovarsi, guardandosi dentro, capendo e comprendendo quello che accade. Mi piace anche il fatto di dare un segnale positivo agli altri con la mia pubblicazione, proprio in un momento in cui ce n'è davvero bisogno. Oggi si fatica a mettere a punto parole come cuore, amore, purezza, presenza e sentimento. Mi piacerebbe ci si tornasse ad ascoltare gli uni con gli altri. D . – Giusto: ascoltarsi sembra essere diventata una missione quasi impossibile. R . – E invece non lo è: ce la possiamo e dobbiamo fare. Abbiamo un po' perso l'abitudine e l'attitudine ad ascoltarci e ad ascoltare, a causa dei ritmi spesso frenetici della nostra quotidianità. Non viviamo in uno dei momenti più felici, ma non si deve demordere. Mai. È necessario riappropriarsi delle capacità singole per andare avanti, altrimenti non si vive più e si alimenta solo una stupida (e insensata) paura. In ciascuno di noi bisogna ritrovare la componente più intima e umana, potenziandola al meglio. D . – Il suo libro e i suoi studi non solo motivano in questa direzione, ma dichiarano quanto sia inscindibile il legame fra anima e corpo, spesso sottovalutato da molti. R . – Anima e corpo sono un tutt'uno: sono talmente uno parte integrante dell'altro che spesso e volentieri non ce ne accorgiamo, sottovalutando i segnali a cui siamo sottoposti. L'anima è uno strumento meraviglioso in cui si veicolano tutte le nostre emozioni e il nostro sentire, in modo del tutto particolare. Il corpo non mente mai, la mente, per sua definizione, direi proprio di sì. Non sempre noi abbiamo la capacità di ascoltare i segnali di malessere che il nostro corpo ci comunica, perché non riusciamo a dare voce alla nostra interiorità. A mio avviso, bisogna procedere all'unisono per

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I LIBRI PER NATALE - LA SCRITTRICE DELLA GIOIA

rendere luminosa e splendente una componente e l'altra. D . – Quali le attestazioni ricevute in questi mesi? O, meglio, cosa l'ha sorpresa maggiormente? R . – Ciò che ricorre nelle lettere, nelle e-mail e nelle comunicazioni di fondo, una volta letto il mio libro, è: “Finalmente ho sentito di essere capito”. Un'esclamazione che non può fare a meno di lusingarmi. Purtroppo, come dicevo prima, spesso non ci fermiamo ad ascoltare quello che sta accadendo: se una lettura può portarci in una simile direzione, che ben venga. Detto questo, tengo a precisare che il mio testo non ha in sé alcuna verità nuova, per carità. Semplicemente, analizzando quello che non va, cerca di offrire delle strade, delle chance per sentirsi “a casa”, coccolati e capiti, proiettando positività. D . – In fondo per ciascuno ci sono delle grandi possibilità nella vita: bisogna solo sentirsi “protetti” e “capiti”, per continuare sulla strada giusta. R . – Assolutamente, ben detto. In ognuno di noi c'è un grande potenziale, ci sono delle enormi cose da dire. Spesso, magari, ci prefiggiamo degli obiettivi troppo alti e ambiziosi rispetto alle nostre facoltà: si sta, di conseguenza, male se non si raggiunge quello che si vuole. Nel momento in cui miglioriamo il nostro universo interiore, miglioriamo tutto quello che ci circonda e lo viviamo con luce. Dobbiamo andare tutti verso una ripresa, avversando le negatività con amore. D . – Ecco una parola chiave: amore. Ci si vuole sempre meno bene e ognuno sembra quasi essersi un po' inaridito, non cogliendo la trasversalità dei sentimenti. R . – Molto vero quello che lei sostiene. Purtroppo è così: ci si vuole sempre meno bene, come se volersene fosse una sorta di atto egoistico. È innegabile che oggi dobbiamo far fronte a tante difficoltà, ma se non riusciamo a tenere vivo il canale “cuore”, assieme alla propria anima, non

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I LIBRI PER NATALE - LA SCRITTRICE DELLA GIOIA

riusciremo ad andare mai da nessuna parte e saremo costretti a vivere una condizione di limbo. Noi siamo pieni di energia, anche in merito alle nostre reazioni rispetto a quanto accade: è verso questa luce interiore che dobbiamo andare, predisponendoci al meglio. D . – In virtù della sua attività trentennale, si sarebbe mai aspettata un percorso come quello fatto nel tempo? R . – Ho scelto di fare questa professione, perché è stata sempre nelle mie corde, una vera e propria passione. Inizialmente ho lavorato nella fisioterapia della riabilitazione: nel tempo, con gli studi e con la scoperta della medicina alternativa, mi sono appassionata al rapporto fra anima e corpo, lavorando sull'universo interiore di ciascuno. Il mio libro, in fondo, racconta proprio questo percorso, ascoltando tante storie di pazienti negli anni. Una missione. D . – È al lavoro per una seconda opera? R . – (Dopo una risata, ndr) Adesso è ancora un po' prematuro dirlo: la scrittura di sicuro mi piace e ho anche un mio blog, nel quale “mi sfogo”. Vediamo come continuerà il percorso di questa prima pubblicazione e, per il resto, mai dire mai. Non mi precludo alcuna possibilità. D . – In quale maniera, infine, vorrebbe potesse proseguire il suo percorso? Esattamente come in questo momento? R . – Diciamo che mi sto godendo questo periodo con estrema sincerità e ne sono entusiasta: il libro e il blog mi danno tante belle soddisfazioni. Mi piacerebbe che tutto potesse andare in questa direzione. Ho sempre con me l'immagine dall'alto di tante lucine che si accendono: una metafora che mi rappresenta pienamente, portandola nel mio cuore. Sono sempre più aperta e disponibile verso l'ascolto degli altri e lavoro affinché ciascuno veda dentro di sé il bello che c'è, facendone tesoro e continuando nel bene. Gianluca Doronzo

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POMARICO CELEBRA VIVALDI 2014

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Buon Natale e Felice Anno Nuovo 66

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