Anno II - Numero 7 - Luglio Agosto 2014
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il magazine che non t'aspetti (tutti i colori dell'intrattenimento)
«La mia vita come in un Truman Show: le storie raccontate nelle soap sono veri e propri libri aperti, da scrivere giorno dopo giorno» Alex Belli, dal 2010 nel cast di «Centovetrine» (su Canale 5, in ripresa nelle prossime settimane) nei panni di «Jacopo Castelli», fa un bilancio del suo percorso fra «ritmi serrati, continui copioni da studiare e tanta voglia di investire nelle idee, avversando la crisi delle produzioni»
I TALENTI DELLA TV E MUSICA
Matteo Branciamore Attilio Fontana LE SIGNORE DELLA FICTION
Nina Soldano Emanuela Tittocchia
Periodico di Musica, TV, Cinema, Teatro e Arte
Anno II - Numero 7 - Luglio Agosto 2014 FONDATORE, DIRETTORE EDITORIALE E RESPONSABILE Gianluca Doronzo GRAFICA E IMPAGINAZIONE Benny Maffei - Emmebi - Bari HANNO COLLABORATO Sante Cossentino, Gigi Campanile, Alessio Piccirillo, Barbara Riggio, Paola Bosani, Maria La Torre e Paola Spinetti. SI RINGRAZIANO Alex Belli, Dolcenera, Sergio Muniz, Matteo Branciamore, Attilio Fontana, Nina Soldano, Emanuela Tittocchia, Renato Raimo, Donatella Pompadour, Euridice Axen, Lorenzo Lavia, Karin Proia, Fabio Segatori, Giovanna D'Angi e Simona Tagli per le interviste concesse; gli uffici stampa Rai e Mediaset per le immagini degli artisti e i contatti; Carolina Amoretti per le foto di Dolcenera e Gianluca Cantone per gli scatti relativi a Emanuela Tittocchia. INDIRIZZO REDAZIONE Via Monfalcone, 24 – Bari gianlucadoronzo@libero.it tel. 347/4072524 FACEBOOK E la notte un sogno Autorizzazione del Tribunale di Bari n. 16 del 26/09/2013 © RIPRODUZIONE RISERVATA
Ve l'avevo promesso. Ed eccomi, con tutto il cuore e la passione del mondo, a ringraziarvi per l'affetto e la stima dimostrati in questi mesi, mettendovi a punto un'edizione speciale di “Che spettacolo – il magazine che non t'aspetti (tutti i colori dell'intrattenimento)”. Speciale per molteplici ragioni: innanzitutto, giunto alla decima uscita, ho deciso di accorpare i mesi di luglio e agosto in un'unica pubblicazione, dando alle 64 pagine a colori una connotazione ampiamente nazionale. Ho incontrato, cari lettori, nelle ultime settimane i migliori esponenti della tv, musica, cinema, teatro e letteratura, garantendovi 15 ritratti ad hoc, all'insegna di “pulizia, eleganza e glamour”, come piace a me, onorando quanto fatto finora con le mie sole forze (non esiste nel Belpaese realtà che sia mai durata, a livello editoriale, per così tante mensilità senza sottoporsi a “padroni e padrini”, procedendo incondizionatamente col coraggio e la forza delle idee). Speciale perché non troverete una sola copertina, ma ben tre (Alex Belli, Dolcenera e Sergio Muniz): ciascuno dei protagonisti in primo piano l'ho scelto per professionalità, spessore e “futuro in crescendo”. Avendone solo l'imbarazzo della decisione, ho optato per un “regalo che non t'aspetti”, dando a ciascuno le giuste luci della ribalta e a voi la possibilità di “gustare” le peculiarità singole, essendo delle eccellenze nei loro campi. Speciale perché, finalmente, la mia e vostra rivista ha un prezzo di copertina, quindi una connotazione, una riconoscibilità identitaria, che dà lustro al mio lavoro, al mio impegno, al mio credere fermamente in quello che faccio, dando “sangue, sudore e lacrime” senza mai chiedere nulla ad alcuno, facendo inesorabilmente parlare i fatti. E, dulcis in fundo, speciale perché non c'è attualmente giornale che abbia in un'unica edizione una carrellata di nomi così importanti, pronti a raccontarsi negli aspetti più inediti, evitando gossip, voyeurismo e pettegolezzo. Col mio modo di fare giornalismo, stando anche e soprattutto ai vostri umori, sembra essere tornata in auge “l'importanza della persona, dell'essere artista”, dimostrando quanto davvero si possa cambiare il cattivo andazzo di eventi delle stagioni più recenti. Ci si lamenta spesso della “crisi, crisi, crisi”: ma se non ci si mette in discussione, facendo qualcosa perché cambino i cattivi comportamenti, come si potrà mai avere un'inversione di tendenza rispetto all'umore “in down”, a cui ci costringono gli aspetti del vivere quotidiano? Basta, bisogna reagire: “Che spettacolo”, nel suo piccolo, ne è un umile esempio e davvero dovrebbe essere uno spunto per tutti quei giovani demoralizzati verso il futuro, in cerca di “una rotta”, senza sapere dove andare. Come avrete ben notato, spesso le mie interviste si concludono con una metafora: quella dello specchio. Stavolta mi ci rifletto io e sapete quale immagine verrebbe fuori della mia vita, “nel mezzo del cammin” dei miei giorni? Quella di un avventuriero che non s'arrende mai; di un ragazzo che fa del suo diventare uomo un principio esistenziale, da cui non poter prescindere (con valori quali la coerenza, la lealtà, il rispetto e la ricerca della giustizia); di un combattente (da buon ariete) pronto ad esplorare nuovi territori, in nome di una curiosità innata, senza la quale non avrebbe ragione tutto quello che “avete sotto i vostri occhi”. E non importa che spesso ciò comporti “l'andare contro tutto e tutti”: il sentirsi fuori dal coro e la diversità del proprio modo di operare non hanno eguali rispetto all'omologazione dilagante, a cui i media ci abituano da troppo tempo ormai. Nessuna costrizione, solo una libertà editoriale che, dopo anni di “soprusi, sfruttamenti e ingiustizie subiti”, sta rendendo finalmente onore al mio universo, alla mia espressività, al mio “vestirmi un abito su misura” (grazie alla complicità della mia anima grafica, di nome Benny Maffei). Per questo, cari amici, preparatevi a vivere 15 storie “suggestive, intense ed emozionali”, con esponenti alla Nina Soldano (una donna straordinaria nella sua essenza schietta e introspettiva), Emanuela Tittocchia (un fiume in piena), Matteo Branciamore (da “I Cesaroni” al programma “Comedy on the beach”, dal 21 luglio in prime time su Sky), Attilio Fontana (vincitore dell'ultima edizione di “Tale e quale show” su Raiuno, a settembre pronto con un nuovo disco e una tournée al “Sala Umberto” di Roma), Renato Raimo (un attore di talento, presto sul grande schermo con “L'aquilone di Claudio” di Antonio Centomani), Donatella Pompadour (storica la sua “Nina Castelli” in “Vivere”, oggi proiettata al cinema con Carlo Vanzina) e Lorenzo Lavia (prossimo al debutto il 23 al “Festival di Borgio Verezzi” con la pièce “Il vero amico” di Goldoni). E siamo appena all'inizio: troverete nella seconda parte della vostra lettura nomi alla Euridice Axen (attrice dall'espressività notevole), Fabio Segatori, Karin Proia e Giovanna D'Angi (regista e interpreti di “Ragazze a mano armata”, nelle migliori sale cinematografiche in queste settimane), con una chicca finale, dedicata a Simona Tagli, primadonna degli Anni '90 in tv, oggi imprenditrice (anche se non esclude una rentrée in una trasmissione per ragazzi, “purché in onda da Milano”). Non rimane, dunque, che augurarvi un'ottima estate, dandovi un “arrivederci” a settembre con “il magazine che non t'aspetti”. Vi lascio con una dichiarazione: siete nel mio cuore. Vi voglio bene. Gianluca Doronzo
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«Per niente al mondo farei a meno della musica, un dono che mi realizza e mi fa sentire completa a livello artistico e umano» Dolcenera è tornata sulle scene, dopo due anni d'assenza, con un singolo «epico, altisonante e di grande respiro» (subito in vetta alle classifiche radiofoniche e su iTunes), vincendo il «Coca Cola Summer Festival» (Canale 5, ogni lunedì, ore 21.15, quasi 4milioni di spettatori in media col 20% di share), preannunciando l'uscita del nuovo album nei prossimi mesi («mi piacerebbe più definirlo progetto»)
I BELLI DELLA RECITAZIONE
Donatella Pompadour Renato Raimo CINEMA E TEATRO
Euridice Axen Lorenzo Lavia
Sommario IL PERSONAGGIO IN COPERTINA Alex Belli «Bisogna far fronte alla crisi, tornando a credere nelle idee: noi attori, in fondo, facciamo spettacolo e abbiamo il dovere di divertire il pubblico» 4
LA BELLA DELLA FICTION Donatella Pompadour «Ho sempre lavorato tanto nella mia vita: oggi mi piacerebbe fare un bel film con Roberto Faenza, un regista che ritengo davvero d'autore»
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FICTION E CINEMA IL TALENTO IN ASCESA Euridice Axen Euridice e il suo essere diventata adulta: «Negli ultimi due anni sono cresciuta molto ed ora eccomi, pronta per progetti che mi coinvolgano pienamente»
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TEATRO IL SIGNORE DELLA SCENA Lorenzo Lavia «Dopo più di 20 anni di teatro credo che ogni testo da mettere in scena sia come un bambino da amare, far crescere e accudire in maniera incondizionata»
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CINEMA DALLA RECITAZIONE ALLA REGIA Karin Proia «Mi sento sempre al primo ciak, quasi in una sorta di presente perenne»
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CINEMA IL MAESTRO DELLA REGIA Fabio Segatori «Il mio obiettivo? Fare quello che non c'è nel cinema italiano, avvalendomi di cast giovani, freschi e promettenti»
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LA SIGNORA DELLA TV Emanuela Tittocchia Un fiume in piena di nome Emanuela Tittocchia: allo specchio fra tv, cinema, teatro e fiction, con tanto humour e profondità 28
CINEMA LA RIVELAZIONE Giovanna D'Angi «Ho fatto il mio debutto al cinema con un personaggio divertente e ricco di sensibilità: non potrei chiedere di più al momento»
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IL BELLO DELLA FICTION Renato Raimo «Dopo tanta gavetta e anni di sacrifici sto raccogliendo i frutti del mio percorso, all'insegna di umiltà e passione: sarebbe bello, a questo punto, interpretare una fiction Rai da protagonista»
TV LA PRIMADONNA DEGLI ANNI '90 Simona Tagli «Ricordo con affetto e tenerezza il mio percorso illuminato in tv: è stato bello lavorare con grandi professionisti, respirando la polvere di stelle»
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IL PERSONAGGIO IN COPERTINA Dolcenera Il ritorno di Dolcenera: un'anima riservata, di grande sensibilità, con un'estrema voglia di condividere emozioni e sogni col pubblico IL PERSONAGGIO IN COPERTINA Sergio Muniz «Bisogna portare avanti i propri progetti senza arrendersi mai: il cuore vince sempre, assieme a tanta determinazione» TV L'ATTORE IN ASCESA Matteo Branciamore «Ho una voglia continua di imparare e mettermi in discussione, non precludendomi alcuna strada: oggi affronto la conduzione come un ulteriore momento di crescita»
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TV E MUSICA LA CONSACRAZIONE DI UN TALENTO Attilio Fontana «Mi sento come un bambino che ha tanta voglia di giocare, cercando di scoprire continuamente il mondo, non scegliendo di fare una cosa sola» 20 LA SIGNORA DELLA FICTION Nina Soldano «Amo follemente il mio lavoro e mi piace raccontare la quotidianità attraverso i miei personaggi, creando una magica alchimia con gli spettatori»
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Periodico di Musica, TV, Cinema, Teatro e Arte
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il magazine che non t'aspetti (tutti i colori dell'intrattenimento)
Tv, musica, cinema e teatro: con Sergio Muniz «si può fare», vivendo stagioni in crescendo, senza mai dimenticare la famiglia e gli esordi L'affascinante attore spagnolo, reduce dal terzo posto nel varietà del venerdì di Carlo Conti su Raiuno, si prepara a mesi intensi di lavoro fra tournée («Tres» con Amanda Sandrelli e Anna Galiena, per la regia di Chiara Noschese), pellicole indipendenti e un ep di prossima pubblicazione con Luca «Jontom», suo insegnante di ukulele
REGISTI A CONFRONTO
Karin Proia Fabio Segatori RIVELAZIONI E REVIVAL
Giovanna D'Angi Simona Tagli
Alex Belli
IL PERSONAGGIO IN COPERTINA
Il Belli c'è: fra «Centovetrine» (in ripresa su Canale 5 nelle prossime settimane), coraggio produttivo (nel 2013 è stato fra gli artefici del film «Un'insolita vendemmia») e voglia di tornare a teatro («mi piacerebbe un bel musical»), l'Alex del piccolo schermo descrive le emozioni vissute grazie al suo «Jacopo Castelli», in un breve bilancio della soap (dal 2010 ad oggi)
«Bisogna far fronte alla crisi, tornando a credere nelle idee: noi attori, in fondo, facciamo spettacolo e abbiamo il dovere di divertire il pubblico»
Alex ha le idee ben chiare e l'entusiasmo di chi è in piena ascesa nella propria carriera. In una piacevole chiacchierata, fra simpatia e profondità, spazia negli argomenti con una precisa convinzione: “Bisogna superare la crisi, tornando ad investire sulle idee. Noi attori facciamo spettacolo e abbiamo il dovere di far divertire il pubblico, regalando momenti di autentica spensieratezza”. Dal 2010 fra i protagonisti della soap “Centovetrine” su Canale 5 (in ripresa nei prossimi mesi), nei panni di “Jacopo Castelli” (in una sorta di “vita da Truman Show, con la coscienza che nelle soap si assista a storie da libri aperti, da scrivere giorno dopo giorno”), il Belli ha all'attivo tanta gavetta fra “teatro, Conservatorio, moda e recitazione”, avendo affrontato con coraggio nel 2013 anche l'uscita del film “Un'insolita vendemmia”, in piena “libertà editoriale e interpretativa”. Oggi, metaforicamente allo specchio, si scopre “più adulto, pronto a sperimentazioni”, con la consapevolezza che la vera università da affrontare sia quella della vita, facendo esperienze “sul campo”. Domanda – Alex, dal 2010 è nel cast della soap “Centovetrine” su Canale 5 (in ripresa nei prossimi mesi), vestendo i panni di “Jacopo Castelli”: che bilancio sentirebbe di fare in merito al suo personaggio? Risposta – Sento di essere un po' come in una sorta di “Truman Show”: tu vivi più la vita di un personaggio che la tua. Quando decidi di intraprendere un percorso come quello portato avanti in “Centovetrine” non può essere altrimenti: si gira con ritmi serrati, il copione è in continuo divenire e non c'è altro che uno scambio costante con la descrizione dell'esistenza del protagonista che interpreti. Gli autori scrivono in maniera copiosa e noi entriamo inesorabilmente a far parte di un ingranaggio, nel quale “quasi quasi” non sappiamo più neanche chi siamo, smessi i nostri ruoli. Le storie che si raccontano in una soap sono dei veri e propri “libri aperti”: non sappiamo mai fino in fondo quello che accadrà, dove andremo e come si evolveranno le situazioni. Fatto sta, però, che non posso fare a meno di sostenere quanto per me l'avventura in “Centovetrine” sia una sorta di isola felice, animata da tantissime persone splendide, che ritengo “i miei amici”, con cui condivido gran parte delle mie giornate. D . – Quale, a suo parere, il segreto del successo di “Centovetrine”, ormai nel cuore del pubblico italiano? R . – Non c'è una chiave ben precisa, una formula: è una magia quella che si crea sul set e da un punto di vista autoriale. Fare l'attore, secondo me, è una vocazione, una vera e propria “chiamata”, un autentico sacro fuoco: tu dai tutta la vita per fare quello che metti a punto, con tutto te stesso, prima di arrivare al successo vero e proprio. Vivo la mia professione come un “continuo rigenerarmi”. Io, caro Gianluca, ho fatto tanta gavetta: teatro, tournée, il Conservatorio, la moda e poi è arrivata la tv. Al pubblico arrivi se dai tutto te stesso, senza remore e condizionamenti di sorta. La verità viene sempre fuori nella tua resa e non puoi bluffare. D . – Giusto quando lei parla di “sacro fuoco”: entriamo, allora, nello specifico della querelle. Dal suo punto di vista, cosa vuol
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IL PERSONAGGIO IN COPERTINA
dire avere talento oggi? R . – Ci sono, a mio avviso, tanti talentuosi che vengono spesso e volentieri fuori da programmi di successo. Noi abbiamo, televisivamente parlando, vissuto il passaggio dal reality al “talent” con una chiave di lettura ben precisa: dallo show “a costo zero” siamo passati a quello più spettacolare, cercando di individuare le potenzialità del singolo nelle discipline più svariate. Fatta questa premessa, ritengo che siamo dinanzi ad un “talento” quando qualcuno sa fare qualcosa decisamente bene con facilità, in quanto quello che mostra è naturale, semplice, senza grandi sforzi. Lo fa perché è bravo ed ha tutte le carte in regola per farcela. Da qui si costruisce tutto il resto: un percorso, una carriera e una valutazione “alla lunga”. D . – Della fiction italiana cosa pensa? R . – Noi abbiamo un sistema televisivo che richiede un determinato tipo di prodotti, in virtù di una domanda ben specifica: dal mio punto di vista ci sono fiction di qualità. Il problema, forse, è nel cinema: oggi siamo dinanzi ad una variegata gamma di possibilità sul piccolo schermo con le pay tv. Tutti possono vedere quello che vogliono, comodamente da casa, senza fare grandi differenze di sorta. La verità è che spesso mancano i mezzi per le produzioni e si fa difficoltà a proporre qualcosa di nuovo. Ciò, tuttavia, non significa che non si può fare. Anzi: ci si deve rimboccare le maniche per andare avanti, vivendo al meglio il tutto. D . – Ha appena detto che il problema è il cinema: che pensa in generale di quello italiano? E il suo punto di vista sul film “La grande bellezza” di Paolo Sorrentino, vincitore del “Premio Oscar”? R . – Ho detto che il problema è nel cinema italiano riferendomi ad investimenti su nuove produzioni: si osa poco, andando sul sicuro. È innegabile che in Italia ci siano registi molto bravi a raccontare storie d'amore, commedie e tante altre tipologie di pellicole. Nel nostro Paese abbiamo dimostrato in tante occasioni di eccellere nella comicità, nella bellezza e nelle arti. La nostra storia parla ed è un dato innegabile. Venendo alla seconda parte della sua domanda, le dico in tutta franchezza che a me il film di Sorrentino è piaciuto molto, anche nel taglio malinconico della narrazione. Ha meritato l' “Oscar”. In virtù di una simile spinta emotiva ed entusiastica, io credo che questo sia proprio il momento giusto per mettersi in discussione, non facendosi demoralizzare da questa sorta di terrorismo psicologico che ormai ci sta abbattendo da troppo tempo a questa parte. Ci stanno traendo in inganno parlando a iosa della “crisi, crisi, crisi”. E basta, non se ne può più. La crisi c'era quando ai tempi dei miei nonni non si poteva mangiare e la povertà si respirava sul serio. Non ne possiamo più di questo rendere il nostro umore in continuo “down”. D . – Alex, ha perfettamente ragione: ci stanno massacrando psicologicamente, quasi avessero paura della nostra reazione, soprattutto della nostra generazione di trentenni. R . – Gianluca, non se ne può più. Ci stanno massacrando mediaticamente con questa crisi. Sono anni che ci devastano
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IL PERSONAGGIO IN COPERTINA
con umore nero, brutte notizie, dolore. Nessuno nega che il nostro non sia un momento facile: anche noi a “Centovetrine” abbiamo rischiato la chiusura, con l'inevitabile calo degli introiti pubblicitari. Ne abbiamo sofferto tantissimo e non abbiamo vissuto bei momenti: è stata ridotta la produzione a soli sei mesi, mentre prima i tempi erano più lunghi con maggiori opportunità. Il nostro lavoro è cambiato sostanzialmente, ma non ci siamo abbattuti e siamo andati avanti. Oggi, a mio avviso, la fiction dovrebbe essere più fiction e il cinema tornare ad essere in auge come in passato. Anche con pochi mezzi si può fare molto. Se ci sono le idee. D . – E proprio per combattere la crisi, lei nel 2012 ha prodotto e girato un film per il cinema, uscito nelle sale l'11 aprile del 2013: sto parlando di “Un'insolita vendemmia”. R . – Bravo. Quella è stata una risposta proprio alla crisi di cui stiamo parlando nella nostra chiacchierata: con Roberto Alpi, Pietro Genuardi e il produttore di “Centovetrine” ci siamo messi da “quattro insoliti soci” ad affrontare un'avventura nostra, senza alcun condizionamento, divertendo e divertendoci. Anche perché, Gianluca, spesso qui ci dimentichiamo che il nostro obiettivo è fare spettacolo: se non lo onoriamo con entusiasmo, gioia e passione, che senso ha tutto quello che mettiamo a punto? D . – Giusto, Alex. Spesso ci si dimentica di quello che si fa, della ragione vera per cui lo si fa. Tornando un attimo ad una sua risposta precedente: ha parlato di teatro. Le piacerebbe tornare sul palco? R . – Assolutamente. Sono in astinenza. Io faccio questo lavoro per il pubblico, per l'applauso, per il calore da vivere a livello umano con l'affetto di chi mi segue. Non che in tv non ci sia, ma il teatro è un'altra cosa. Anche sui social, che seguo e curo molto, riscontro tanto affetto da parte di chi si è appassionato al mio percorso e trovo giusto il doversi dare agli spettatori, anche affrontando una tournée. Per cui, se mi dovesse capitare un bel musical come accaduto in passato, lo farei di sicuro, ad incastro con tutto il mio impegno in “Centovetrine”. D . – Nel 2012 ha partecipato a “Ballando con le stelle”: ripeterebbe un'esperienza simile? R . – Sì, anche se è stata un'esperienza molto dura e difficile, la ripeterei subito. Io ho più affinità con la musica che con la danza: Milly è stata un'autentica garanzia per tutti noi del cast e ci ha fatto trascorrere mesi di assoluto divertimento, impegno e passione. Una grande prova fisica per me. Davvero. D . – Si sarebbe mai aspettato una carriera come quella che sta mettendo a punto in questi anni, Alex? R . – Vengo fuori da una scuola di pensiero: “Vivi il presente, con qualche ricordo del passato, proiettandoti verso il futuro”. Quando ho iniziato, non avevo minimamente ben chiaro cosa sarebbe potuto accadere negli anni. Il nostro è un mestiere che va vissuto un po' alla giornata, caro Gianluca. Io so solo quello che faccio adesso e cerco di farlo bene: forse la vera chiave del successo è questa. Quando vedo un artista precisino, che fa il nostro lavoro, senza una giusta dose di follia, non è che mi
esalti per lui. D . – Infatti: ci vuole una sana follia creativa nell'arte. R . – Siamo tutti dei grandi folli. E non potrebbe essere altrimenti. Avremmo fatto un'altra scelta di vita. D . – Come vorrebbe potesse proseguire il suo percorso? R . – Sicuramente, arrivato a questo punto, vorrei tanto fare una piccola parentesi teatrale, magari con un bel musical, come le stavo dicendo prima. Mi piacciono le contaminazioni artistiche e le sperimentazioni: chissà che anche televisivamente parlando non accada qualcosa di bello. Sei mesi all'anno siamo sul set di “Centovetrine”: si può fare ben poco di diverso in quel lasso di tempo, ma non è detto non succeda qualcosa di entusiasmante in contemporanea. D . – Siamo alla fine della nostra chiacchierata, Alex: s'immagini, metaforicamente, allo specchio. Come si riflette a questo punto del suo viaggio? R . – Umanamente parlando sono diventato più uomo: la vera università è quella della vita e bisogna laurearsi in questo, a mio avviso. Sento di aver arricchito il mio bagaglio di esperienze e conoscenze “strada facendo”, proprio sul campo. C'è ancora tanto da fare e di acqua ne deve passare dai mulini. Io sono qui a vivere pienamente i miei giorni, con qualche capello bianco in più che, però, poi mi rendo conto è dominato dal biondo (e si conclude l'intervista con una risata comune, ndr). Gianluca Doronzo
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Dolcenera
IL PERSONAGGIO IN COPERTINA
Grintosa, passionale e con atmosfere epiche: la rentrée discografica della cantautrice originaria di Galatina, in queste settimane in rotazione radiofonica col singolo «Niente al mondo» (ai vertici delle classifiche anche su iTunes), in attesa dell’uscita del sesto album («con una punta di diamante del nuovo percorso creativo, che sarebbe bello presentare al prossimo Festival di Sanremo»)
Il ritorno di Dolcenera: un'anima riservata, di grande sensibilità, con un'estrema voglia di condividere emozioni e sogni col pubblico
Dolcenera è tornata ed è subito musica. Grintosa, passionale e con atmosfere epiche, in queste settimane sta scalando tutte le classifiche radiofoniche (e su iTunes) con il singolo “Niente al mondo”, manifestando un “arrangiamento altisonante, scandito da archi e fiati scritti in modo imperioso”. Un pezzo che anticipa l'uscita del suo sesto album (“mi piacerebbe definirlo progetto”), ancora top secret nel titolo e nella data di pubblicazione. Ed essendovi inclusa una vera e propria “punta di diamante del suo percorso creativo”, chissà che non la presenti al prossimo “Festival di Sanremo”, “made in” Carlo Conti (“mi piacerebbe, ma dipende da tanti fattori, non solo organizzativi”). Di sicuro c'è che le sue sonorità sono in continua evoluzione, confermando una maturità ben consolidata, a distanza di due anni d'assenza dalle scene (“bisogna tornare quando si ha qualcosa da raccontare, non per essere presenti nella dimensione dello spettacolo”). Fra partecipazioni a kermesse estive in tutt'Italia e vittoria del “Coca Cola Summer Festival” su Canale 5 (ogni lunedì, ore 21.15, quasi 4milioni di spettatori in media col 20% di share), ecco il racconto esclusivo di un'anima “riservata, ma allo stesso tempo con una gran voglia di condividere le sue emozioni con più persone possibili”. Buon ascolto! Domanda – Il singolo “Niente al mondo” preannuncia l'uscita del suo sesto album in studio, di prossima pubblicazione: quali stati d'animo sta vivendo, alla luce del riscontro del pezzo in queste settimane? Risposta – All'inizio, come sempre, c'è stata la paura di non essere capiti in questo nuovo percorso, che ho cercato di raccontare sui social sin dalla scrittura fino alla realizzazione dei brani con l'hashtag #astronavemusica, ma ora c'è l'orgoglio per la consapevolezza che si tratta di una bella canzone. C'è da condividere con tante persone un brano epico, che spinge ancora verso il sogno e verso la voglia di realizzare se stessi in un periodo storico, in cui sembra così difficile esprimere la propria personalità. D . – Quanto il brano è indicativo delle atmosfere che si respireranno nel prossimo disco? R . – È difficile da dire. “Niente al mondo” è sicuramente rappresentativo per l'arrangiamento altisonante, per i fiati e archi scritti in modo imperioso. Poi ogni canzone ha le sue peculiarità, le sue differenze: ecco perché per me è difficile parlare di album. Più che in tal senso continuo a definirlo un progetto, tra l'altro ancora aperto perché, malgrado abbia già realizzato 12 canzoni, stanno nascendo, proprio in questi giorni, nuovi brani. D . – In “Niente al mondo” sostiene: “Chi sogna non ha regole/ e non si arrende mai/ la vita che s'immagina/ diventerà realtà./ Chi ama non sa vivere/ io non imparo mai”. Cosa dire a proposito? R . – Con un amico cantautore ci scambiavamo le nostre esperienze di scrittura e lui mi confidava di scrivere le canzoni a tema, come un compito in classe. Io invece mi lascio andare all'istinto, raccolgo parole, frasi in qualsiasi occasione della vita quotidiana, ma che non so se poi avranno un senso
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mettendole insieme ad altri appunti, al fine di diventare una canzone. Allora ho provato anch'io a scrivere sul tema della speranza, ma prima di iniziare ho cercato di documentarmi leggendo, ascoltando interviste, e la speranza era vista sempre con un'accezione negativa fino a Monicelli, che la definiva una trappola. Così mi è venuta una canzone sul sogno con quelle parole: credo che la determinazione porti a realizzare i propri sogni e ad essere considerati bravi, ma a trascurare e perdere tante altre cose della vita. L'amore che ti porta a rinunciare a tanti obiettivi resta per me comunque il sogno più grande, quello che ci può realizzare pienamente. D . – Un bilancio dell'esperienza vissuta al “Coca Cola Summer Festival”, in onda in queste settimane su Canale 5 (ogni lunedì, ore 21.15, quasi 4milioni di spettatori in media col 20% di share)? R . – Straordinaria e inaspettata nel risultato: aver vinto con “Niente al mondo” mi ha riempito di gioia. Aver avuto il riscontro positivo delle radio, del pubblico e i complimenti degli addetti ai lavori mi ha dato ancor più fiducia. Sul palco con me c'erano 15 musicisti tra percussioni, archi e fiati, in un'esplosione di energia che ha rappresentato a pieno l'arrangiamento e il testo della canzone. Indimenticabile! D . – Essere cantautori oggi cosa vuol dire? R . – Vuol dire sacrificio se si ha la pretesa che una canzone non solo debba essere canticchiata, ma debba anche emozionare, far riflettere, analizzare fino in fondo i sentimenti,
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in un'epoca in cui tutto si consuma in fretta e in modo superficiale. Vuol dire essere sinceri, mettere a nudo le proprie emozioni, le proprie esperienze, avere qualcosa da raccontare e scriverne quando se ne sente il bisogno, non perché è necessario essere sempre presenti nel mondo dello spettacolo: la musica è una forma d'arte, è un'altra cosa rispetto allo spettacolo. D . – Emanuela, che fase sta vivendo la musica italiana? R . – Una fase stagnante, esattamente la stessa che vive il nostro Paese e non può essere altrimenti! Non c'è ricerca, non si sperimenta: quasi nessuno cerca di crescere, di far evolvere i suoi gusti, di far contaminare il proprio modo di esprimere la sua arte da quello che arriva dalle altre parti del mondo. Molti altri Paesi crescono culturalmente in modo esponenziale. Basta andare fuori dall'Italia e vivere per un po' in un altro posto, per accorgersene. Un esempio è Stromae, che unisce la musica popolare con l'elettronica. D . – In un'intervista ha ribadito la volontà di non dichiarare quando uscirà il prossimo disco (il cui titolo è top secret), essendo ricco di pezzi importanti, tali da meritare un'occasione di prestigio: potremmo aspettarcelo, dunque, da un momento all'altro, come se fosse “una bomba”? R . – Sì, ovviamente con i tempi discografici per organizzare il lancio: i brani sono stati realizzati, ma non sono ancora stati masterizzati. Le canzoni potrebbero subire delle implementazioni o, come dicevo prima, il progetto si potrebbe arricchire di altri nuovi pezzi. Ci sono tanti brani per me importanti, che voglio far conoscere alle persone e riportare l'attenzione sull'album solo quando sono state conosciute dal pubblico. Anche per cancellare quel senso di sfiducia nei confronti degli album, dovuto a troppe pubblicazioni del passato che contenevano solo qualche bella canzone. Un po' come si faceva negli Anni '70, quando un disco veniva pubblicato solo dopo che le canzoni venivano conosciute in radio e come ricordo per chi aveva partecipato al concerto dell'artista. D . – Delle sue partecipazioni a “Sanremo” quale ricorda con maggior trasporto? R . – Ah, non saprei. Ogni volta è diverso, ogni volta è sconvolgente. Forse l'ultima, quella di “Ci vediamo a casa” per la canzone in sé, per il sentimento che ho rappresentato sul palco. Su quel palco non si riescono a dominare le emozioni, anche perché è difficile creare la giusta concentrazione per i tre minuti e mezzo della canzone: per tutto il giorno sei in giro per “Sanremo” a rilasciare interviste e la sera sali sul palco frastornata dalle persone che hai incontrato durante la giornata e dal backstage caotico del teatro “Ariston”. D . – Tornerebbe in gara nel 2015, con la conduzione di Carlo Conti? R . – Ci tornerei, ma dipende da tanti fattori, non solo organizzativi: in questo progetto c'è una canzone che credo sia la punta di diamante di tutto il mio percorso creativo e sarebbe bello proporla per il prossimo “Festival”. Ma ripeto: la mia scelta di partecipazione dipende da tante cose, non
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direttamente correlate solo a Carlo Conti, che conosco personalmente e stimo. Come dice il poeta: “Lo scopriremo solo vivendo”. Adesso voglio pensare a “Niente al mondo” e alle prossime canzoni in uscita. D . – Emanuela, a che punto del suo percorso sente di essere attualmente? R . – Non ho risposte, perché so che la mia curiosità e la mia voglia di imparare sempre cose nuove, per non annoiarmi, mi porteranno puntualmente verso nuove direzioni. Pretendo molto da me e spero di poter scrivere sempre delle belle canzoni, avere cose da dire, rifornendomi di esperienze ed emozioni che, attraversando la mia anima, sentono l'esigenza, come un bisogno, di uscire, rielaborate in qualsiasi forma musicale. Con questo progetto #astronavemusica sento di essermi avvicinata a melodie bluesy e da qualche anno continuo in modo ossessivo una ricerca di suoni, soprattutto elettronici. Ma ciò non vuol dire che in un futuro prossimo possa realizzare canzoni solo con piano, voce e orchestra. Con me è così: io mi ci sono abituata! D . – Delle nuove leve venute fuori dai “talent show”, chi le piace maggiormente oggi? R . – Credo che la vocalità di Marco Mengoni sia unica per il panorama musicale italiano. Spero che questi ragazzi che hanno una grande popolarità possano approfittare dell'opportunità che la tv gli ha dato per farsi conoscere, studiare, crescere, imparare dalla musica, restituendo alle persone sempre nuove emozioni. D . – Avere talento cosa vuol dire? R . – È un termine di cui si è abusato: ormai chiunque ha talento! Per me talento significa saper fare cose fuori dall'ordinario. Se poi per talento s'intende passione, dico che la mia è una vocazione che ho persino cercato qualche volta di allontanare, ma inutilmente, perché io mi sono sentita inutile senza la musica. È un dono, ma a volte anche una maledizione: un dono perché la musica mi realizza a pieno, mi fa sentire completa come persona così come ti fa sentire l'amore. Tutto ha senso! Maledizione perché non posso decidere di allontanarmi come e quando voglio, in quanto il senso di svuotamento è deprimente. D . – Ed essere artisti? R . – Sembra quasi aver preso un'accezione di compassione: a volte mi è stato detto “è un'artista” con un tono che sembra dire “poverina, vive nel mondo dei sogni”. Invece l'artista attinge dalla realtà, leggendola nella sua profondità per esprimerne le emozioni nella forma più congeniale e che diventa rivelatoria per chi la vede, la tocca, l'ascolta! L'artista ha altre forme di espressioni, un altro linguaggio che può essere la musica, la pittura, la scultura. Guarda con l'entusiasmo della prima volta di un bambino e per questo è diverso dagli altri e come tutti i diversi, va tutelato. Chi mi conosce personalmente sa che io non amo parlare molto, lo trovo inutile o comunque meno funzionale di uno sguardo, di un gesto. Per me è sempre stato così sin da bambina, quando qualcuno pensava che soffrissi di mutismo elettivo. Quando devo sfogare le mie emozioni, mi
ritrovo puntualmente al piano. D . – Emanuela, cosa si aspetta dall'uscita del suo sesto album? O, meglio, cosa vorrebbe potesse emergere ed essere recepito dal pubblico? R . – Sono consapevole di aver scelto un percorso artistico difficile, allontanandomi dalla tv, imparando tanto dalla musica e cercando di sperimentare, contaminare, per dare sempre ulteriori elementi di novità nel panorama musicale, con il rischio di non essere capiti. È un percorso lungo, malgrado 11 anni siano tanti ma anche pochi. Un percorso difficile da percepire, da capire e da condividere, perché è in continuo cambiamento come me ed ogni volta va raccontato dalla scrittura delle canzoni alla ricerca dei suoni, dal trip per l'elettronica alla scrittura delle partiture per orchestra e fiati, dalla registrazione degli strumenti in studio ad essere produttore artistico di un album, con tutte le responsabilità che ne derivano e che non sono facilmente percepibili. E comunque vorrei che oltre la cantautrice, la musicista, l'arrangiatore, il produttore fosse svelata la mia essenza, la mia persona con tutte le sue fragilità. D . – Metaforicamente allo specchio: come si riflette oggi Emanuela? R . – Una donna con l'istinto, l'entusiasmo, il modo di guardare, la voglia di imparare di una bambina. In grande forma atletica, perché anche fisicamente, con lo sport e non solo con la musica, cerco sempre di superare i miei limiti. Una donna che non si arrende nel cercare di migliorarsi tra il suo essere fin troppo riservata e la voglia di condividere le sue emozioni con quante più persone possibili, per cercare di riconoscersi negli altri con quella strana, ma naturale, forma di linguaggio che è la musica. Gianluca Doronzo
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Sergio Muniz
IL PERSONAGGIO IN COPERTINA
Fra musica (a breve uscirà un ep con Luca «Jontom»: voce, chitarra e ukulele), teatro (nella prossima stagione riprenderà «Tres», per la regia di Chiara Noschese) e cinema («inizierò a girare un film indipendente»), Sergio Muniz dimostra la sua maturità espressiva (ricordando anche il terzo posto nel recente «Si può fare» di Carlo Conti), con la volontà di essere «sempre più credibile come attore»
«Bisogna portare avanti i propri progetti senza arrendersi mai: il cuore vince sempre, assieme a tanta determinazione»
“Portare avanti i propri progetti senza arrendersi mai: anche se si hanno pochi mezzi a disposizione, con tanto cuore si procede sempre per la strada migliore”. Sergio Muniz è in una delle sue “stagioni magiche”: terzo classificato allo show “Si può fare” di Carlo Conti su Raiuno; prossimo all'uscita di un ep con Luca “Jontom” (chitarra, voce e ukulele); nuovamente in tournée da ottobre con la pièce “Tres”, per la regia di Chiara Noschese (assieme ad Amanda Sandrelli e Anna Galiena, fra gli altri) e presto protagonista di un film indipendente. Umiltà, empatia e tanta voglia di mettersi in discussione da sempre sono il suo “motivo conduttore”, non dimenticando mai le umili origini che lo hanno portato sin da piccolo a lavorare (“a 16 anni scaricavo frutta al mercato”), maturando la consapevolezza dei sani valori della vita. Fra passato, presente e futuro, a distanza di qualche anno dall'ultima chiacchierata col giornalista, a voi il ritratto di un uomo che punta sulla qualità delle idee, desideroso di “fare della recitazione il suo mestiere”. Domanda – Sergio, da un po' non la si vedeva in tv: è tornato di recente nel programma “Si può fare” (Raiuno, ogni venerdì, ore 21.10, oltre 4milioni500mila spettatori in media col 17% di share) di Carlo Conti, mettendosi in discussione in numerose prove di abilità fisica e artistica, piazzandosi al terzo posto. Soddisfatto della sua rentrée? Risposta – Direi che il bilancio della mia esperienza nel programma è molto positivo. Ne sono rimasto entusiasta: volevo tornare in tv visto che da un po', come ha anticipato lei, non ero in video e mi è sembrata l'occasione giusta. Tra l'altro, mi sono anche classificato terzo: un bel risultato. Nell'ultimo triennio ho fatto tanto teatro: da “Full monty” a “Tres”, per la regia di Chiara Noschese, con Anna Galiena, Marina Massironi e Amanda Sandrelli, in ripresa nella prossima stagione. Quando mi è stata proposta la partecipazione nel programma di Carlo Conti, mi è sembrata la giusta opportunità per fare una trasmissione divertente, ideale, senza minima volgarità. Il bello del gioco era nel divertimento puro: ogni settimana ci mettevamo alla prova, misurandoci puntualmente in imprese sempre nuove e stimolanti. Davvero un contesto familiare. D . – Carlo Conti, tra l'altro, ha dimostrato come con i successi dei suoi numerosi programmi in questa stagione (“L'eredita”, “Tale e quale show” e “Si può fare” su Raiuno) ci sia ancora la possibilità di respirare il gusto per un sano intrattenimento. R . – Lui è un gran bell'esempio di professionismo e tv pulita: oggi si vuole raggiungere lo share ad ogni costo in maniera facile, puntando sul sesso, sulla volgarità, sul trash, sui litigi, sulle violenze o, peggio ancora, sul pettegolezzo. Basta col voyeurismo: ci vuole un sano ritorno al buon gusto, con intelligenza e spessore. D . – E con Carlo Conti, parafrasando il titolo del suo programma, “si può fare” (e si ride, ndr). R . – (Conclusa la risata, ndr) Assolutamente. Bisognerebbe proprio puntare sul suo modo di fare tv, evitando il peggio a cui abbiamo assistito negli ultimi anni: Carlo Conti è una garanzia
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per tutti noi artisti e il pubblico lo sa, conferendogli il giusto successo. D . – Che ne pensa della sua conduzione al prossimo “Festival di Sanremo”? R . – A questo punto credo sia una opportuna novità per il “Festival”: per me è giustissima la presenza di Carlo Conti a “Sanremo”. Ha simpatia, verve, vivacità ed è molto amato dal pubblico. A mio parere risolleverà le sorti di una manifestazione che, a dire il vero, non mi ha proprio entusiasmato nelle ultime edizioni. Sono certo sarà seguitissimo e sono curioso di sapere come si svilupperà il meccanismo della gara. D . – Sergio, prima ha detto che negli ultimi tre anni ha fatto tante tournée: cos'ha rappresentato il teatro nel suo percorso? Un valore aggiunto? Un arricchimento in grado di conferire peso specifico alla sua sfera recitativa? R . – Gianluca, la questione è molto più semplice: il teatro mi ha fatto capire di avere un lavoro, di avere una professione fra le mani. Il che non è da poco. Sento di avere una tournée da affrontare nella prossima stagione, a cui poi se ne aggiungerà
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un'altra e poi ci sarà un film indipendente. Non solo: completiamo il quadro con l'uscita di un album, grazie a pezzi arrangiati con chitarra e ukulele assieme al mio maestro (Luca “Jontom”, ndr) in “Si può fare”: un gran bel lavoro, realizzato davvero con pochi mezzi a disposizione, ma con immenso cuore. D . – A proposito: la musica cosa rappresenta nel suo viaggio professionale? R . – La musica mi aiuta a prendere una boccata d'ossigeno rispetto a tutto quello che faccio: l'affronto con enorme piacere, non pensando minimamente ad un guadagno, anzi le dico che spesso vado anche a perderci. Ma è una cosa che mi piace: per questo io e Luca “Jontom”, colui che mi ha insegnato in “Si può fare” l'utilizzo dell'ukulele, stiamo facendo tutto fra di noi per l'uscita del mio prossimo album, usando tanto la tecnologia, scrivendo pezzi senza grandi pretese ma con un immenso cuore. Il che fa la differenza. D . – Bene, bene. Allora, Sergio: proponiamo a Carlo Conti una sua candidatura in gara per la prossima edizione del “Festival di Sanremo”? R . – (Ad epilogo dell'ennesima risata, ndr) Gianluca, a dire il vero mi sembra troppo. Non saprei. Io non riesco a cantare in italiano: trovo la mia musicalità in spagnolo e in inglese. Tra l'altro, penso che gli stranieri non siano ammessi. Mi sembra un po' troppo. D . – Tranquillo, Sergio: sono io che sto avanzando la sua candidatura a Carlo Conti. E poi il regolamento ha allargato il campo d'esistenza anche a stranieri, purché cantino in italiano. Mai dire mai: potrebbe capitare il pezzo giusto nel frattempo. In fondo lei non è un fautore della filosofia del “si può fare”? R . – (E continuano le risate, ndr) Ha ragione quando sostiene che io sia un fautore della filosofia del “si può fare”. Ed è altrettanto vero che “mai dire mai”: però, in tutta onestà, “Sanremo” mi sembra un po' troppo. Ovviamente se è lei a candidarmi, a me va bene. Sta avanzando lei l'ipotesi e chissà che Carlo non ascolti. D . – In fondo un'intervista serve anche e soprattutto a lanciare idee, no? Credo che nella vita di un artista si debba imparare un po' a fare “di tutto”. R . – Assolutamente: credo che un artista, nello specifico un attore, debba sapere fare di tutto. Ci sono nomi illustri di Hollywood che dimostrano come dal grande schermo riescano a fare musical con estremo agio, senza alcuna difficoltà. In maniera eccellente. Nella vita bisogna proprio imparare a fare di tutto. D . – Avere talento cosa significa? R . – Conosco tante persone veramente di talento che riescono a farcela fino ad un certo punto: poi, però, non riescono ad emergere perché non hanno il contatto giusto, il colpo di fortuna e altre componenti necessarie a farsi notare. Il talento, pertanto, credo sia solo alla base del “saper fare”: da solo non basta. Ci vuole molto, ma molto altro per andare avanti. D . – Questo soprattutto in Italia.
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R . – No, Gianluca, in generale. Anche in altre parti del mondo ci vogliono componenti aggiuntive al talento. Diciamo solo che qui in Italia ci vuole qualcosa in più: subentrano molte altre questioni per andare avanti. E non le elenchiamo perché le conoscete già. D . – Prima o poi, però, il talento vince. Anche senza quelle altre “questioni aggiuntive” di cui abbiamo parlato. Tornando alla tv: ci sono fiction in cantiere per lei? R . – A dire il vero non mi hanno ancora proposto niente di interessante per la fiction italiana: aspetto la giusta occasione per tornare a vestire i panni di un bel personaggio. D . – Ha parlato, però, di un film indipendente: di che si tratta? R . – Sì, inizierò a girare un film di produzione indipendente: si tratta di un'opera prima e mi piace molto come sfida. Non vedo l'ora di mettermi alla prova. D . – Il cinema italiano come lo valuta? R . – Se la cava benissimo, secondo me. Ci sono tante belle pellicole in giro, messe a punto da registi di talento. Credo che per un attore sia un momento ideale. D . – Che pensa del film “Premio Oscar” di Sorrentino? L'ha visto? R . – Non ho ancora visto “La grande bellezza” e non posso esprimere giudizi in merito: credo, tuttavia, sia stato un bel riconoscimento per l'Italia la vittoria del “Premio Oscar”. C'è un fatto strano: gli italiani criticano un po' troppo i loro stessi prodotti, mentre all'estero se ne parla bene e si promuove il lavoro che si fa. Si è qui un po' troppo cattivi con se stessi. Quando torno in Spagna, sento puntualmente parlare bene del cinema italiano. Così come quando vado all'estero. Da voi ci si dà sempre addosso. E non va bene. D . – Bravo, Sergio. Ben detto. Stiamo, pian piano, arrivando alla conclusione della nostra piacevole chiacchierata: come vorrebbe potesse proseguire il suo percorso? R . – Innanzitutto, alla luce dei momenti nei quali stiamo vivendo, già avere un lavoro in mano ed essere operativi è tanto. Per cui vorrei continuare su questa strada, crescendo, facendo delle cose interessanti e ricche di contenuti. Come artista mi piacerebbe puntualmente animare imprese nuove e stimolanti. D . – Metaforicamente allo specchio: come si rifletterebbe oggi, alla luce dei suoi inizi e dello sviluppo del suo percorso in questi anni? R . – (Il tono si fa più serio e quasi commosso, ndr) Se dovessi guardarmi indietro, non avrei mai sognato di pensare di essere arrivato dove sono oggi. Vengo da una famiglia umile e ho iniziato a lavorare all'età di 16 anni scaricando la frutta al mercato. I miei genitori mi hanno sempre insegnato un gran senso d'impegno e fatica. Poi è arrivata la moda e, di conseguenza, l'Italia. Oggi sento di avere ancora tanto da fare, dovendo osare un pochino in più, misurandomi in imprese suggestive e complete. Ovviamente decido di fare una cosa a seconda delle proposte: il teatro, ad esempio, mi sta piacendo davvero tanto. E continuo su questa strada. D . – Il suo, Sergio, è un bell'esempio: da umili origini al
successo a livello internazionale, sempre avendo i piedi ben saldi per terra. R . – Io sono così: vivo giorno dopo giorno, ringraziando per quello che ho, avendo sempre ben vivo il ricordo dei miei inizi. Non bisogna mai lasciarsi prendere dallo sconforto: siamo noi a cambiare il mondo e non viceversa, come sosteneva Gandhi. L'onestà deve avere la meglio: si può fare! Per questo faccio quello che mi piace, senza avere il denaro come obiettivo, ma la pulizia della mia resa. Mi piace anche la musica? E porto avanti il mio progetto di ep con pochi mezzi a disposizione: solo chitarra e ukulele. Ma, come le ho già ribadito prima, con tanto cuore. Gianluca Doronzo
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Matteo Branciamore
TV - L'ATTORE IN ASCESA
Matteo Branciamore sarà dal 21 luglio alla guida dello show «Comedy on the beach» (sul canale Comedy Central, alle 21.00, ogni lunedì per quattro settimane), in attesa dell'uscita del film «Tre tocchi» di Marco Risi e della sua ultima partecipazione ad un episodio de «I Cesaroni», a settembre su Canale 5, nei panni del popolare «Marco»
«Ho una voglia continua di imparare e mettermi in discussione, non precludendomi alcuna strada: oggi affronto la conduzione come un ulteriore momento di crescita»
“Ho sempre voglia di mettermi in discussione e imparare: sono pronto a qualsiasi sfida, con un gran desiderio di sperimentare e non precludermi alcuna possibilità”. Non è facile riuscire a parlare in questo periodo con Matteo Branciamore, il noto “Marco” de “I Cesaroni” (a settembre apparirà in un episodio su Canale 5 per l'ultima volta): si susseguono prove su prove, in attesa del debutto il 21 luglio (ore 21.00) alla conduzione del programma “Comedy on the beach” (per quattro puntate, ogni lunedì, su Comedy Central). Sul palco del Villaggio mondiale di Ostia (Roma) si alterneranno nomi illustri del calibro di Debora Villa e Giobbe Covatta, di settimana in settimana, fra sketch e tanta curiosità. La “sfida” rientra perfettamente nelle corde dell'attore, a settembre sul grande schermo nel film “Tre tocchi” di Marco Risi, nei panni di se stesso. Facendo, pertanto, il punto della situazione sul suo momento “magico”, non può far altro che continuare la chiacchierata manifestando uno “smodato bisogno di scoprire, come fanno i bambini”, avvalendosi di un coraggio, “senza il quale non si va da nessuna parte”. Domanda – Matteo, a che punto del suo percorso sente di essere oggi? Risposta – Le dico in tutta onestà che io ho sempre voglia di mettermi in discussione e imparare: per cui sono pronto a qualsiasi sfida, così come sto vivendo ora la parentesi della conduzione di “Comedy on the beach”, che ho accettato per puro divertimento. Volevano un attore e dopo aver fatto alcuni provini, hanno fortemente insistito su di me: non potevo fare a meno di esserci. A mio avviso un attore deve saper fare un po' di tutto: anche i grandi alla Hugh Jackman si sono cimentati in prove come la conduzione della “Notte degli Oscar”. Per cui bisogna sempre provare, provare e provare, senza mai sedersi sugli allori. D . – Giusto il suo spirito: in tutta onestà, si sarebbe mai aspettato una proposta per un programma tv? R . – Mai dire mai: non mi sono mai precluso alcuna possibilità nella vita. Ogni occasione è un trampolino di crescita a livello professionale e umano: io per il momento mi vivo tutto con molto entusiasmo. D . – Si tratta di quattro puntate, in onda ogni lunedì alle 21.00 su Comedy Central: vero? R . – Giusto: sono quattro puntate in cui ci divertiremo da morire. Saranno spassose: cinque grandi comici si alterneranno sul palco del Villaggio mondiale di Ostia (Roma). E i nomi sono eclatanti (da Debora Villa, Dario Cassini e Giobbe Covatta a Max Cavallari, ndr). D . – Bene, Matteo: sarà di sicuro un'impresa entusiasmante. Prima, però, le chiedevo anche a che punto si sentisse a livello attoriale. R . – Come attore mi sento pronto a volere altro, dopo aver fatto della serialità ne “I Cesaroni” il mio motivo conduttore per anni. Credo sia arrivato il momento di tagliare il cordone ombelicale, per far capire in che modo io possa spaziare nella recitazione. Non importa che si tratti di tv, cinema, teatro o serie web: l'importante è che ci sia il progetto giusto nel quale misurarmi,
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per essere sempre stimolato al meglio. D . – Voler cambiare è condivisibile, anche perché la fiction italiana tende a rendere, spesso e volentieri, gli attori prigionieri di una sorta di fissità di maniera nei ruoli, soprattutto quando ci sono personaggi di successo. R . – Io sono dell'idea che un percorso arrivi ad un punto di svolta: questo è per me il momento di fare un salto in avanti, senza ovviamente avere alcuna certezza. La fiction italiana può alla lunga farti diventare troppo riconoscibile con un personaggio, ma non è sempre colpa degli attori: se il pubblico ti segue è chiaro che le produzioni si ripetono e investono puntualmente sugli stessi volti. Sta a noi decidere che è il momento di cambiare. Per me è arrivato, lo ribadisco. D . – È vero, tuttavia, che sarà in uno degli episodi della sesta serie de “I Cesaroni”, in onda a settembre su Canale 5? R . – Confermo: sarò presente solo in un episodio e poi non si sentirà più parlare del mio personaggio. D . – Sempre a settembre sarà fra gli interpreti del film “Tre tocchi” di Marco Risi, in anteprima alla “Mostra del cinema di Venezia”. R . – Sinceramente non so se sia stata confermata la presenza del film alla “Mostra del cinema”: di sicuro si tratta di una gran bella pellicola, alla quale ho preso parte a titolo amichevole,
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interpretando me stesso. È, come dire, una piccola partecipazione a cui non avrei mai potuto dire di no, essendo il regista un grande maestro. D . – A proposito di cinema italiano: le è piaciuto “La grande bellezza” di Paolo Sorrentino, vincitore del “Premio Oscar”? R . – Molto, moltissimo: stiamo parlando di un gran bel film e di un illustre esponente della nostra cinematografia come Sorrentino. Un riconoscimento davvero meritato a livello mondiale. D . – E la musica? R . – Le dico con sincerità: potrebbe tornare nel mio percorso, così come potrebbe sparire per sempre, essendo stata legata molto a “I Cesaroni”. Io non ho preclusioni di generi: mi piace mettermi in discussione in imprese sempre varie e diverse fra di loro. E, soprattutto, non mi precludo mai alcuna possibilità. D . – Come vorrebbe potesse proseguire il suo percorso? R . – Sono stato talmente fortunato che, in tutta onestà, mi ritrovo a 32 anni ad aver fatto una carriera scandita da molte cose, tutte quante interessanti e ricche di curiosità, stimolanti e davvero intense. A me piacerebbe andare avanti magari con un bel ruolo, senza distinzione di sorta fra tv, cinema o teatro. D . – A proposito di teatro, ne farebbe oggi? R . – Assolutamente sì. Non escludo di poterlo incastrare con
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tutta un'altra serie di progetti, a cui mi piacerebbe prendere parte. Mi voglio sentire vivo. D . – In fondo non è importante quale sia la forma (se piccolo o grande schermo): conta la qualità della performance, no? R . – Dice bene, Gianluca. Si possono fare 10 film al cinema, ma magari non possono mai arrivare a quelle due/tre fiction che ritieni fondamentali per te. D . – Anche perché la fiction oggi è diventata molto curata, quasi con un taglio cinematografico. R . – Sono perfettamente d'accordo. Negli Stati Uniti è già così da un po': noi ci stiamo pian piano arrivando. D . – Penso anche al suo “Barabba”. R . – Verissimo. Non è un caso che quella sia stata una co-
produzione. Aveva un ottimo impianto e un respiro internazionale. D . – Matteo, siamo arrivati alla conclusione della nostra chiacchierata: metaforicamente allo specchio, come si rifletterebbe a questo punto? R . – Credo che verrebbe fuori l'immagine di un ragazzo che sta diventando adulto: non sono più il giovane timido, agli esordi nella fiction. Sto diventando uomo. Mi piace molto imparare, come i bambini: sono una spugna e mi butto in qualsiasi impresa, cercando sempre continui stimoli. D . – Uno spirito avventuriero e ricco di coraggio il suo. R . – Caro mio, senza coraggio non si va proprio da nessuna parte (e conclude con una risata, ndr). Gianluca Doronzo
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Attilio Fontana
TV E MUSICA - LA CONSACRAZIONE DI UN TALENTO
Noto negli Anni '90 con «I Ragazzi Italiani», vincitore dell'ultima edizione di«Tale e quale show» su Raiuno, attore di fiction e musical: Attilio Fontana, rivelazione della stagione 2013 - '14, fra uscita del nuovo disco e ripresa a settembre della tournée al «Sala Umberto» di Roma (dal 9 al 21) dello spettacolo «Strimpelli & Vinile», con Emiliano Reggente e Ilaria Porceddu (con un occhio, magari, al prossimo «Festival di Sanremo» di Carlo Conti)
«Mi sento come un bambino che ha tanta voglia di giocare, cercando di scoprire continuamente il mondo, non scegliendo di fare una cosa sola»
Il 2013 è stato il suo anno. La vittoria di “Tale e quale show” su Raiuno ha decretato non solo il suo ritorno sul piccolo schermo ma, soprattutto, ha fatto capire al pubblico la sua estrema versatilità canora, frutto di anni di musical e successi teatrali. Oggi Attilio Fontana, più determinato e consapevole del passato (sembrano lontani i tempi in cui faceva parte de “I Ragazzi Italiani”), si sta preparando a due nuove avventure: l'uscita di un disco (in questi giorni ci sarà un'anticipazione con un singolo, in rotazione radiofonica) e la messa a punto dello spettacolo “Strimpelli & Vinile” con Emiliano Reggente e Ilaria Porceddu, al “Sala Umberto” di Roma, dal 9 al 21 settembre. Con estrema disponibilità, fra una domanda e una risposta, si definisce un “bambino che ha ancora tanta voglia di giocare, non facendo una cosa sola”. Ed è proprio quello spirito da “innocenza dell'infanzia” a rendere grandi gli artisti! Domanda – Attilio, la vittoria dell'edizione 2013 di “Tale e quale show” su Raiuno cosa ha rappresentato nel suo percorso? Risposta – Per me quella offerta da Carlo Conti nel suo “Tale e quale show” è stata un'importantissima occasione, vissuta pienamente con impegno e passione. Venivo da anni di tournée teatrali e fiction: non ero televisivamente da un po' visibile e ho pensato che prendere parte ad un simile programma potesse essere l'occasione giusta per tornare a vestire i panni del cantante, quale sono. Attraverso i vari cambiamenti, le trasformazioni e quello che è accaduto, di puntata in puntata, sono riuscito a far capire al pubblico quanto sia cresciuto quell'Attilio che ricordavano con “I Ragazzi Italiani”. Il cast è stato formidabile e davvero ho vissuto un viaggio che non dimenticherò mai. Ho avuto, con la vittoria, una nuova ventata creativa.
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TV E MUSICA - LA CONSACRAZIONE DI UN TALENTO
D . – Non dimentichiamo che “Tale e quale show” ha ottenuto più di sette milioni di spettatori, diventando il programma d'intrattenimento più seguito della stagione. R . – Credo siano risultati d'ascolto più che meritati per Carlo Conti, per coloro i quali lavorano dietro le quinte e per tutti noi. Si è dimostrato come in tv si possa fare del sano intrattenimento, senza eccessi, con pulizia ed eleganza. D . – Un programma diventato una garanzia di qualità. R . – In “Tale e quale show” si respira grande qualità: in primo piano è l'artista con le sue potenzialità e Carlo Conti riesce a valorizzare chi vi partecipa, facendo in modo che davvero da ciascuno venga fuori il meglio. D . – Nel suo futuro da cantante cosa c'è? R . – C'è un disco che, a dire il vero, stavo già preparando prima del programma: si tratta di un lavoro da cantautore. Finalmente è stato ultimato e uscirà a giorni il singolo, di cui è stato girato il video che ha come special guest Clizia Fornasier. Il titolo dell'album ancora è top secret e non voglio sbilanciarmi. Posso, però, dirle che a settembre al “Sala Umberto” di Roma (dal 9 al 21) andrà in scena uno spettacolo che ho messo a punto, dal titolo “Strimpelli & Vinile”, con Emiliano Reggente e Ilaria Porceddu, che appartiene un po' al repertorio degli Anni
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'50, con una carrellata di personaggi molto spassosi. E poi, salvo cambio di regolamento, dovrei tornare a “Tale e quale show” nelle fasi finali, dove concorrono anche i vincitori delle passate edizioni. Insomma: è un bel periodo per quel che mi riguarda. D . – Attilio, essendo Carlo Conti il direttore artistico del prossimo “Festival di Sanremo”, facciamo una proposta: che ne direbbe di prenderla in considerazione per andare in gara con un bel pezzo? R . – Guardi, secondo me uno il “Festival” se lo deve un po' meritare: di sicuro scriverò qualcosa per il prossimo “Sanremo”. Poi quel che sarà, sarà. Ma la condizione deve essere sempre e soprattutto meritocratica: per una rentrée ci vuole un pezzo giusto. D . – Non si preoccupi: sono io a lanciare la proposta di una sua candidatura. In fondo lei è già stato sul palco dell' “Ariston” e tornarci dopo quasi 20 anni dai tempi de “I Ragazzi Italiani” sarebbe una bella soddisfazione. R . – Io l'ho fatto per ben due volte: con “I Ragazzi Italiani” e da produttore di Ilaria Porceddu. Chissà che non accada un mio ritorno. Potrebbe. D . – E a livello di fiction ci sono novità?
TV E MUSICA - LA CONSACRAZIONE DI UN TALENTO
R . – C'è qualcosa nell'aria, ma è ancora presto per parlarne. Ho fatto di recente una parte in “Rodolfo Valentino” su Canale 5 ed è andata molto bene. Staremo a capire che tipo di sviluppi potranno esserci in futuro. D . – A che punto, Attilio, sente di essere in questo momento? R . – Per me è un periodo molto bello: in questi anni ho lavorato tanto ed è stato decisamente faticoso su tutti i versanti. Ho animato tante tournée in musical, ho scritto pezzi, fatto produzioni. Sto raccogliendo i fiori che ho innaffiato con amore. Vorrei tutto andasse sempre più in crescendo, con tante attestazioni. D . – Le piacerebbe tornare in un musical? R . – Tantissimo: ne ho fatti molti e con grande successo. Penso a “Il pianeta proibito” e a tanti altri. Per il momento c'è il mio spettacolo al “Sala Umberto” a settembre con Emiliano Reggente, come le dicevo prima. Poi si capirà cosa fare.
D . – Se si dovesse guardare un attimo indietro, si sarebbe mai aspettato un percorso come quello fatto? R . – Sinceramente mi sarei aspettato di fare tante cose: con “I Ragazzi Italiani” ho avuto un grande successo, ma poi mi sono dovuto costruire un'identità da solista, spaziando in diversi campi. Non è stato facile anche avere i giusti incontri artistici: oggi mi sento un uomo più consapevole e maturo. Sempre pronto a rimboccarsi le maniche per mettersi al lavoro. D . – Metaforicamente allo specchio: che immagine viene fuori attualmente di Attilio Fontana? R . – Viene fuori l'immagine di un bambino che ancora vuole giocare, di un pirata che non ha scelto di fare una cosa sola. Mi sento un giocoliere, quasi un bambino capriccioso che ha voluto fare di testa sua. È come se venisse fuori l'immagine di un anarchico. Un principe desideroso di mettersi in discussione, facendo tanto. Gianluca Doronzo
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Nina Soldano
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Chiacchierata a cuore aperto (ricordando anche Renzo Arbore, suo «Pigmalione») con Nina Soldano, dal 2003 fra i protagonisti di «Un posto al sole» (Raitre, dal lunedì al venerdì, ore 20.30, quasi 2milioni d'audience in media col 10% di share), vestendo i panni di «Marina Giordano» con «la possibilità di spaziare nei registri e nelle tematiche di fondo»
«Amo follemente il mio lavoro e mi piace raccontare la quotidianità attraverso i miei personaggi, creando una magica alchimia con gli spettatori»
Ama il suo lavoro “follemente”. E ogni sera trasmette la sua passione al pubblico in “Un posto al sole” (Raitre, dal lunedì al venerdì, ore 20.30, quasi 2milioni di spettatori in media col 10% di share), vestendo dal 2003 i panni di “Marina Giordano”, uno dei personaggi più amati del piccolo schermo. A cuore aperto, con straordinaria sensibilità e schiettezza, Nina Soldano ripercorre la sua carriera (ricordando anche gli esordi con Renzo Arbore) fino ai giorni nostri, facendo venire fuori dalla chiacchierata l'immagine di una donna “appagata, serena e risolta”, pienamente entusiasta di quello che la vita le ha riservato. E per il giornalista un'unica, sola consapevolezza: aver arricchito il suo percorso con un'altra illustre esponente della scena italiana, da custodire con profondità nell'anima. Domanda – Nina, dal 2003 è nel cast di “Un posto al sole” (Raitre, dal lunedì al venerdì, ore 20.30, quasi 2milioni di spettatori in media con oltre il 10% di share) nei panni di “Marina Giordano”: che bilancio sentirebbe di fare dei suoi 11 anni nella soap? Risposta – Un bilancio ottimale. Sono entrata a far parte del cast nel 2003 come “special guest”, animando la mia “Marina Giordano”: mai e poi mai avrei immaginato di rimanervi per oltre 10 anni. Il mio personaggio ha pian piano preso piede, piacendo al pubblico: gli autori l'hanno resa protagonista delle varie storie, intrecciandola a tutti gli altri interpreti, di episodio in episodio. E alla fine eccomi qua, a fare con lei in questa chiacchierata un resoconto più che lusinghiero. Mi creda: il tempo è volato. Io di anno in anno sono stata soddisfatta del mio ruolo e ho amato davvero portarne avanti tutte le sfumature fino a questo punto. Poi, dato non irrilevante, mi
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diverte: la mia è una donna non prevedibile, ricca di colori. Molti si domandano come io faccia da Roma a Napoli (e viceversa) ad essere pendolare così tanto, per girare “Un posto al sole”: rispondo che non mi pesa per nulla, perché avverto l'affetto incondizionato di chi mi segue e voglio alimentarlo col mio lavoro. “Marina” è talmente affascinante nel suo essere piena di contraddizioni: è passata dalla depressione all'accezione dell'amore assoluto, sviscerando il suo essere fragile, fino alla caduta nell'alcol e allo sdoppiamento di personalità. Difficile che gli sceneggiatori di oggi ti donino un ruolo così bello. D . – Come dire: la bellezza del suo personaggio è nell'essere “in continuo divenire”. No? R . – Nella maniera più assoluta. Il mio è un personaggio che ho fatto crescere in ben 11 anni con amore, dedizione e tanto impegno. È talmente sfaccettato da non averne eguali nel panorama delle fiction odierne. E attenzione: dico fiction, perché noi lo siamo pienamente piuttosto che essere ritenuti semplicemente una soap. D . – Entriamo più in profondità nella questione: quale, a suo parere, il segreto del successo di “Un posto al sole”? R . – Il successo, dal mio punto di vista, nasce dalla napoletanità di fondo, in tutte le sue declinazioni: la nostra, fra le serialità attualmente in onda, è l'unica che si avvicini ai temi sociali. Affrontiamo argomenti scottanti come i rifiuti tossici, le baby squillo e, per quel che riguarda il mio personaggio, ho anche avuto modo di affrontare una storia d'amore al femminile, facendo riflettere su una questione contingente che rende i sentimenti assoluti, non differenziandoli fra uomini e donne. Credo davvero il nostro sia un lavoro di grande impegno, su qualsiasi tipo di versante. D . – Essere vicini al pubblico, raccontandone trame che consentano di rispecchiarsi nel quotidiano, è fondamentale per la riconoscibilità di un lavoro. R . – Non solo. La nostra è una cifra che si proietta anche in un racconto scandito da leggerezza: ciò non guasta. E siamo, in un certo qual modo, educativi per i ragazzi, con risvolti assolutamente positivi. Come dirle: dalla commedia grazie a Marzio Honorato e Patrizio Rispo, si passa alla teatralità, all'allegria, al giallo e alla riflessione. Elementi che nella lunga serialità funzionano, scuotendo le coscienze. Anzi: a volte gli spettatori si lamentano del fatto che ci siano soli 23 minuti di messa in onda, ritenuti troppo pochi. E poi c'è Napoli, una città immensa, solare: si respira una fotografia con scorci pazzeschi. C'è il Vesuvio inquadrato. A me fa impazzire tutto in “Un posto al sole”: l'amo. D . – Il suo amore, Nina, si percepisce fortemente dalle risposte che dà: di sicuro tutto ciò arriva al pubblico. R . – Non potrebbe essere altrimenti: e poi vogliamo aggiungere che, oltre a parlare di quotidianità, affrontiamo anche tematiche relative ai nonni, agli anziani e alle loro dinamiche di fondo? Gli sceneggiatori hanno davvero una bella attenzione a tutto ciò che ci ruota attorno. D . – Qual è il suo punto di vista, in generale, sulla fiction
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italiana? R . – Fermo restando, come le ho detto prima, che io considero la nostra non una soap, in quanto ritengo le telenovele (soprattutto di matrice brasiliana) quelle più “soap-operose”, ma una vera e propria lunga serialità, ho bisogno di dirle una cosa: se per fiction si intende quelle che vanno in onda in prima serata, spesso e volentieri c'è da mettersi le mani nei capelli. A volte mi basta fare solo un po' di zapping per non oltre cinque minuti, per capirne fattura e interpretazioni. Noi giriamo ben 18 scene al giorno e cerchiamo di curare tutti i minimi aspetti e dettagli. Le cosiddette fiction da “prima serata”, avendo più settimane a disposizione, hanno tempi lunghi ma spesso si lasciano proprio desiderare. Un peccato, perché è come se in giro poi assistessimo ad una serie di occasioni mancate. D . – Nina, proprio in merito alla fiction non ha l'impressione che siano gli stessi sempre a lavorare, un po' come accade nel cinema? R . – Una volta quello che lei dice accadeva solo in merito al cinema. Oggi mi accorgo che ci sono serie televisive a cui cambiano semplicemente il nome, ma gli attori sono sempre gli stessi. Non c'è proprio la voglia di mettersi in gioco nelle produzioni: attenzione, perché la gente a lungo andare si stufa e poi cambia canale. Oggi, purtroppo, ci sono tanti bravi attori che ingiustamente stanno a casa e molti altri che te li ritrovi sempre a lavorare in tv, con risultati molti più discutibili. Ma non faccio nomi: sono sotto gli occhi di tutti. Gli spettatori sanno scegliere e discernere.
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D . – Ed è un peccato tutto ciò: fare poi le stesse cose a lungo andare logora e infastidisce chi è a casa. R . – Infatti: se si fanno puntualmente le stesse cose, si perde l'adrenalina e sul video si percepisce. Il bello del nostro mestiere, caro Gianluca, è che tu giochi ad interpretare un personaggio che non sei tu e quindi, per renderlo al meglio, dovresti essere sempre più nella parte per risultare credibile. A volte i miei colleghi interpretano “col piede sinistro” i propri ruoli e gli esiti, purtroppo, risultano deludenti. Peggio per loro. D . – Le è piaciuto il film “La grande bellezza” di Paolo Sorrentino, vincitore del “Premio Oscar”? R . – Ho visto “La grande bellezza” e credo che all'Italia, dopo tanti anni, finalmente servisse un riconoscimento a livello internazionale per un vero e proprio rilancio della nostra cinematografia: nella pellicola, nello specifico, si parla di un Paese decadente, tipo Anni '80-90 e ci sta anche. Ma, a dirla tutta, a me ha lasciato un po' l'amaro in bocca. Avrei, sinceramente, preferito ci fosse stato un film vincente che mi avesse preso la testa e la pancia, per così dire. Avrei voluto vivermi e godermi una pellicola che mi arrivasse maggiormente, godendola pienamente. Dinanzi a “La grande bellezza” è come se avessi visto un videoclip continuo, dall'inizio alla fine. Niente di più. Per carità: questo è il mio umile punto di vista. D . – Rispettabilissimo, Nina. Finalmente un'attrice che manifesta la verità del proprio pensiero. Le assicuro che non sempre è così. Cambiamo argomento: se le dico Renzo Arbore, cosa mi risponde? R . – (Dopo una risata al telefono, ndr) Renzo Arbore è stato il mio padrino, il mio “Pigmalione”: ho un bellissimo ricordo di lui. Oggi mancano programmi come quelli che faceva e, spesso e volentieri, cercano di imitarne l'intrattenimento, ma non ci riescono. Ero giovanissima quando ho esordito standogli accanto: avevo 24 anni, ero una bambina ed ho imparato molto standogli vicino. Lui, tra l'altro, segue “Un posto al sole” ed è
molto contento: è tenerissimo e adora gioire dei successi dei suoi, per così dire, “pupilli”. D . – Nina, a che punto del suo percorso sente di essere e come vorrebbe potesse proseguire? R . – Questa è una bellissima domanda. Dico la verità: vivo giorno dopo giorno e non riesco a vedere quello che faccio “a lunga scadenza”, per intenderci. Io sono certa che sia tutto scritto per quel che ci riguarda: una cosa accade forse perché era scritta in quel preciso momento e doveva arrivare. Di desideri ne ho tanti e mi lascio trascinare dalla corrente: sto, pertanto, in silenzio perché non bisogna svelarli, altrimenti non si avverano. Per il momento va bene così: è già tanto quello che vivo. Se mi guardo indietro e penso alla ragazza che a 21 anni fece le valigie da Riccione per trasferirsi in una grande città, cercando fortuna, mi fa davvero tenerezza: è da ben più di 30 anni che sono in questo straordinario meccanismo chiamato “spettacolo”. E il bello è che non sono cambiata: anche allora vivevo “giorno dopo giorno”, senza aspettative. D . – Bene, Nina: siamo alla fine del nostro viaggio. Alla luce di quello che ha dichiarato durante la nostra chiacchierata, mi verrebbe voglia di farle una domanda: se oggi si dovesse, metaforicamente, riflettere allo specchio, che immagine mostrerebbe? R . – Un'immagine serena, risolta e appagata. Credo che faccia parte del mio carattere vivere senza paure e frustrazioni. Magari a 21 anni ero piccina e rimanevo male se ricevevo una delusione o qualcosa non andava per il verso giusto: ma, in fondo, ero sempre una persona serena, senza alcuna aspettativa. Come dirle: non ho mai avuto momenti di acidità se qualcosa mi remava contro. Voleva dire che evidentemente doveva andare così. La vita di sicuro ti dà tanti schiaffi, mettendoti alla prova: il bello è superare i momenti bui, venendo fuori con la serenità e la forza che uno ha dentro. Nel profondo del proprio cuore. Gianluca Doronzo
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Emanuela Tittocchia
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L'eclettica attrice piemontese (ha partecipato a «Centovetrine», «Un posto al sole» e «Non smettere di sognare», fra l'altro) rivela la sua ironia in una chiacchierata a tutto tondo, sperando di tornare presto sul piccolo schermo «conducendo un programma con professionisti, innamorati di quello che fanno»
Un fiume in piena di nome Emanuela Tittocchia: allo specchio fra tv, cinema, teatro e fiction, con tanto humour e profondità
Un fiume in piena. Al telefono Emanuela Tittocchia è travolgente, contagiosa e, soprattutto, sincera. Pronta a raccontarsi a tutto tondo, creando una bella empatia con l'interlocutore (quasi fosse un amico di sempre e non un giornalista conosciuto per la prima volta), spazia negli argomenti dalla tv (“mi piacerebbe condurre un bel programma, con professionisti veri che sappiano fare il proprio lavoro, giocando anche con ironia”), teatro (“il mio primo amore”), cinema (“dov'è quello di oggi? Io adoro i film con Totò”) e fiction (“sarebbe bello fare la parte del sindaco in Don Matteo”), senza filtri, rimanendo puntualmente se stessa (facendo anche bilanci di esperienze come “Centovetrine”, “Un posto al sole” e “Non smettere di sognare”). Concludendo con una massima ben precisa: “Alla luce di quello che ho vissuto, anche di doloroso, non riesco più a stare nelle mezze verità. Ho bisogno di persone che non siano altro da quanto predicano, ma semplicemente autentiche, senza bluffare”. Domanda – Emanuela, a che punto del suo percorso sente di essere oggi? Risposta – (Dopo una risata, ndr) Ah, bene. Iniziamo proprio così, come se fossimo in una seduta psicoterapeutica. Bene, bene. D . – (Conclusa la risata in comune, ndr) Assolutamente: entriamo subito nel merito della nostra chiacchierata. R . – Le dico, in tutta onestà, che dipende dai momenti: ce ne sono alcuni in cui mi sembra di aver fatto tante cose. Io vengo da una famiglia molto normale: mi sono laureata in Architettura e ho sempre fatto tutto da sola, con (e per) grande passione. Se ragioniamo da questo punto di vista, mi sembra di essere arrivata ad ottenere quello che volevo: essere a Roma, riuscire a mantenermi col mio lavoro e fare collaborazioni con chi dico io, senza che alcuno mi forzi o mi costringa. Sono, giusto per intenderci, libera. Però devo dirle che c'è una parte di me che non è mai contenta: per questo ho bisogno di fare sempre cose nuove e quindi quando sto così, non so neanche io cosa voglia in realtà. Dipende. Di sicuro c'è che amo quello che faccio e mi piace il rapporto col pubblico, senza il quale noi artisti saremmo niente e nessuno. D . – Da un punto di vista televisivo, oggi cosa vorrebbe potesse accadere? R . – Mi piacerebbe tantissimo la conduzione. Io vivo di serate e mi viene proprio naturale avere in pugno la scaletta, per gestirmi una manifestazione o una rassegna. Sono una a cui piace molto giocare sul palco, ironizzando e prendendosi tanto in giro. Io ho iniziato nel '91, dalle tv locali arrivando, pian piano, alla ribalta nazionale. Ho fatto davvero tutti gli step della gavetta. D . – E che tipo di conduzione vorrebbe affrontare? R . – Mi piacerebbe un programma da studio, dove ci siano bravi attori che possano recitare; bravi ballerini che possano ballare; una redazione e autori che sappiano scrivere e fare il loro lavoro; una regia che faccia davvero la regia. Insomma vorrei avere un'equipe di professionisti, da cui sentirmi compresa, a casa e ben in sinergia, per fare del sano
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intrattenimento. D . – Emanuela, ha perfettamente ragione: lei sta parlando di professionisti che facciano il proprio mestiere. Una rarità di questi tempi. R . – Gianluca, senza nomi ma è necessario che la tv la faccia chi la sappia fare. È un bruttissimo messaggio quello che arriva con la mancanza di professionismo sul piccolo schermo. Spesso si perde l'umiltà per strada e dilaga una presunzione snervante, come se tutti potessero fare tutto. Non è assolutamente possibile. D . – A me quello che lei dice fa venire in mente la concezione di talento e una fiction alla quale ha preso parte anni fa: sto parlando di “Non smettere di sognare”. R . – Mamma mia, che bella serie! Bravo, ha ricordato proprio un bel lavoro per quel che mi riguarda. I ragazzi erano molto talentuosi, così come i musicisti e i ballerini. Ricordo la voce straordinaria di Lidia Schillaci. È un vero peccato che le cose belle spesso abbiano vita breve e non ci sia stato un seguito, pur essendoci tutti i presupposti per ripetere un successo seriale che aveva ottenuto buoni ascolti. A volte ci troviamo dinanzi a dinamiche inspiegabili. D . – Quale fiction le piacerebbe interpretare oggi? R . – La mia fiction preferita è “Don Matteo” con Terence Hill e Nino Frassica: due grandi professionisti che adoro. È semplice e fatta bene. Bello anche il personaggio di Natalina e ho amato follemente Flavio Insinna, quando è stato nel cast: dovrebbe, a mio avviso, tornare a fare l'attore piuttosto che condurre i pacchi ad “Affari tuoi”. È un interprete straordinario. D . – Concordo: non potrebbe essere altrimenti con un maestro del calibro di Gigi Proietti. R . – Bravo, verissimo. Giusto per concludere la risposta di prima, vorrei dire che a me in “Don Matteo” piacerebbe fare il sindaco, sarebbe un giusto ruolo nelle mie corde. Il cast è semplicemente straordinario. D . – A proposito di cast straordinari: nel suo percorso figurano sia “Centrovetrine” che “Un posto al sole”. Un bilancio? R . – A “Centovetrine” io sono a casa: dopo 14 anni di lavoro avverto la precisione. Mi piace molto girare con loro: mi è successo di tutto di più nelle varie stagioni. Si tratta di una macchina perfetta e siamo a Torino, la mia terra. Fatto sta, però, che amo molto Napoli e, se proprio dovessi dirle la verità, mi sono divertita di più in “Un posto al sole”: c'è una parte del mio cuore lì, con estrema ironia e calore della gente. Con la troupe c'è affiatamento e una sorta di commedia familiare che mi appartiene. Gianluca, che vuole? A me piace l'entusiasmo, il divertimento, la risata. Io i musi lunghi non li sopporto. Sono napoletana dentro. D . – E il teatro? R . – Beh, quello è il mio primo grande amore. Mi piacerebbe tornare a farlo a certe condizioni. Io lo amo molto. Devo lavorare con persone con le quali fare gruppo e anche questa non è una cosa semplice. Chissà che presto non capiti una bella proposta. D . – Ha visto il film “La grande bellezza” di Paolo Sorrentino,
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vincitore del “Premio Oscar”? R . – Non l'ho visto. Un po' perché tutti mi dicevano che era malinconico e triste. Un po' perché nel periodo in cui è uscito non avevo tempo di andare al cinema e anche quando lo hanno trasmesso in tv, non sono riuscita a vederlo. Di conseguenza non posso esprimere un giudizio. D . – E del cinema italiano, in generale, che pensa? R . – Non mi piace, non mi piace. Io sono cresciuta con i film di Totò e le commedie di Eduardo. Pellicole che ti fanno venire la pelle d'oca. Oggi si tende a fare sempre la stessa storia: o si raccontano i 30enni in crisi, con gli attori copia e incolla; o ci si trova dinanzi ad interpreti che non si capisce neanche quello che dicono e portano in scena loro stessi. Poi ti ritrovi a leggere, come accaduto a me di recente, delle sceneggiature pazzesche e non c'è nessuno disposto a produrle. Mi fa venire un gran nervoso tutto ciò, perché spesso ci sono talenti non compresi, in attesa di un'opportuna ribalta che non arriva. Un grande peccato! Quelli che ora si definiscono attori un tempo erano caratteristi: un grande come Totò era credibilissimo, qualsiasi personaggio interpretasse. Si sente la mancanza di un maestro come lui. D . – Emanuela, metaforicamente allo specchio: come si riflette oggi? R . – Diciamo che oggi mi trovo ad essere una ragazza un po' delusa dagli altri, da quanto ha dato in tante situazioni e da quanta superficialità ha trovato in giro. Io non riesco a vivere a metà e sono tremendamente vera nel mio modo di essere, senza filtri o maschere di sorta. Soprattutto dopo i problemi personali che ho avuto negli ultimi tempi, non riesco più a stare nelle vie di mezzo e nelle mezze verità. Mi rendo conto che questo mio modo di essere fa saltare tanti rapporti di amicizia: se non fingi e non stai al gioco, sei fuori. Oggi appena guardo negli occhi qualcuno, immediatamente ne percepisco sincerità o finzione: le delusioni, purtroppo, sono dietro l'angolo. D . – Ha perfettamente ragione, Emanuela: oggi le delusioni sono spesso dietro l'angolo e le persone fingono, instaurando dei rapporti che non durano. R . – Gianluca, io suscito sentimenti contrastanti: o mi si vuole bene alla follia o niente. In un libro letto di recente, c'è una frase che ho fatto mia: “Le persone non ti perdoneranno mai di averle capite veramente”. Ormai è tutto nel binomio “azione/reazione”. A volte dietro le maschere trovi un tremendo nulla o la crudeltà, peggio ancora. È molto più semplice invece essere se stessi. Anche con i ragazzi : ci sono troppe sovrastrutture oggi e parecchie balle. Si descrivono come non sono: io voglio vedere la persona, non mi interessa la materialità. Poi, per carità, anch'io ho il mio carattere: ad esempio, a me dà fastidio sapere che il mio ex sta bene, evincendolo da quello che pubblica su Facebook. Non ci posso fare niente: so che passerà. Ma mi fa male che le persone mostrino qualcosa di diverso da quello che sono. Oggi vedo molta più consapevolezza in quello che vivo e a volte vorrei quasi chiudere gli occhi su certe cose. Ma non ci riesco. Questa è Emanuela. Gianluca Doronzo
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Renato Raimo
IL BELLO DELLA FICTION
Il bel Renato Raimo (originario di Torremaggiore, in provincia di Foggia) sta vivendo una stagione ricca di gratificazioni fra fiction (sarà nel cast di «Che Dio ci aiuti 3» su Raiuno), teatro (da «Controvento» a «La ragione degli altri») e cinema (a breve uscirà il film «L'aquilone di Claudio» di Antonio Centomani), dimostrando quanto il talento possa farsi strada nel mondo dello spettacolo
«Dopo tanta gavetta e anni di sacrifici sto raccogliendo i frutti del mio percorso, all'insegna di umiltà e passione: sarebbe bello, a questo punto, interpretare una fiction Rai da protagonista»
Sacrifici, passione, gavetta. Termini che Renato Raimo (originario di Torremaggiore, in provincia di Foggia) conosce molto bene, essendone un esponente ad hoc col suo percorso: una formazione teatrale, tante tournée in tutt'Italia (spaziando dal classico al contemporaneo), partecipazioni in fiction (“Medicina generale”, “Un posto al sole d'estate” e “Don Matteo”, ad esempio) e la consacrazione popolare col ruolo di “Mauro Zanasi” in “Centovetrine” su Canale 5 (“dovevo rimanere per poco e poi il mio personaggio è entrato nel cuore degli spettatori per due stagioni”). Soddisfatto di quanto messo a punto finora (“sto raccogliendo i frutti di anni di lavoro”), in attesa che esca il film “L'aquilone di Claudio” di Antonio Centomani, avanza un auspicio che, in tutta onestà, sarebbe una vera e propria quadratura del cerchio: una fiction Rai da protagonista. E siamo sicuri che i produttori non si lasceranno scappare una simile occasione. Scommettiamo? Domanda – Renato, dopo una lunga carriera teatrale e tante partecipazioni in fiction (da “Medicina generale”, “Un posto al sole d'estate” a “Don Matteo 5 e 9”, fra l'altro), col ruolo di “Mauro Zanasi” nella soap “Centovetrine” su Canale 5 è arrivata la consacrazione popolare: se dovesse fotografare questo momento, cosa si sentirebbe di rispondere? Risposta – Sicuramente questo è davvero un anno di raccolta di riconoscimenti e attestazioni del pubblico: ho maturato tantissime esperienze importanti, con la consapevolezza di un percorso che ormai si sta affermando su più versanti. Io sono sempre stato uno che ha spaziato nella vita: anche mentre giravo per “Centovetrine”, passavo da “Mauro Zanasi” ad una tournée con un testo di Shakespeare, senza esitazione di sorta, cercando puntualmente di dare il meglio di me. Il pubblico è dalla mia parte e ne avverto affetto: mi sostiene e vuole bene. Non posso che esserne gratificato. Tra l'altro, in questa stagione sono anche stato un mese al Sistina di Roma in un musical con la Miconi e Laganà, vivendo una bellissima emozione. E ho anche girato una fiction all'estero. Che altro dire? D . – Di sicuro è il suo momento in ascesa, dopo davvero tanti sacrifici. Il personaggio di “Mauro Zanasi” com'è arrivato nel suo percorso? R . – Caro Gianluca, sono arrivato a “Mauro Zanasi” per effetto rimbalzo, dopo aver fatto il provino per “Sebastian”: mi avevano detto fossi un ragazzino per affrontare un ruolo così maturo e, comunque, trovando interessante il mio essermi messo in discussione, misero da parte il mio provino e mi richiamarono in un secondo momento per offrirmi un altro ruolo. Si trattava proprio di “Mauro Zanasi”: da esserci per soli due mesi, ci sono rimasto per ben due stagioni e il percorso del mio personaggio è andato avanti alla grande, tanto da aver avuto un buon gradimento, fino ad entrare nel cuore degli spettatori. Hanno fatto seguito spot, partecipazioni in fiction Rai e molto, molto altro. Davvero ne sono entusiasta. D . – Quale, a suo parere, il segreto del successo di “Centovetrine” su Canale 5? R . – Credo che il segreto del gradimento sia in un mix tra la
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capacità di scrivere delle storie che tengano il pubblico motivato a seguirne gli sviluppi e la validità degli interpreti, tutti molto preparati e spesso con un passato nel teatro come il mio. Da non omettere il fatto che si tratti di produzioni italiane, che spesso mescolano gli esponenti più conosciuti della scena con i meno noti. In tanti sono venuti fuori da “Centovetrine” e poi hanno preso il volo verso il successo. Ci sono ottimi sceneggiatori, c'è una buona regia e credo si respiri tanto talento nel cast. D . – Ecco un termine topico: talento. Oggi se ne parla tanto, anche in maniera spropositata. Averne cosa significa? R . – Dal mio punto di vista significa avere l'umiltà che ti venga riconosciuto. Io sin da piccolo ho sempre saputo di avere l'istinto di fare questo gioco, che è l'attore: la consapevolezza l'ho accresciuta con le tournée, gli spettacoli in piazza, la tv e il mettermi costantemente alla prova. Il talento è un ingrediente che devi avere. Oggi di sicuro il fatto che un talento sia declinato in un “talent” è rischioso: in tanti spesso ne vengono fuori e non ne hanno chissà quanto. Bisogna avere la consapevolezza di costruirsi un sano percorso alla lunga, senza farsi prendere da facilonerie, mode o successi del momento. D . – A che punto del suo percorso sente di essere, Renato?
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R . – Io sono nel momento in cui mi guardo indietro e riesco a constatare quanta strada ho fatto, con enormi sacrifici, non rinunciando mai alla famiglia e ad un'altra attività in parallelo. Sono del parere che la vita si possa capire soltanto “con un occhio al passato, proiettandosi verso il futuro”. Io vorrei continuare su questa strada, senza esitazione di sorta, rimanendo me stesso. D . – Qual è il suo punto di vista sulla fiction italiana, avendone fatta molta in questi anni? R . – Dal 2003 l'ho affrontata davvero in tutte le declinazioni, con molte difficoltà e tante soddisfazioni. In Italia è un po' difficile emergere, fino ad ottenere dei ruoli da protagonista: io vorrei tanto che la Rai mi rendesse interprete principale di una bella serialità. Sarebbe, per così dire, un po' la quadratura del cerchio di un percorso pulito, scandito da sacrifici e passione. Vorrei, in sostanza, ci fossero più opportunità non solo per me, ma anche per tutti quelli davvero bravi che spesso rimangono in panchina. Ad esempio, io ho partecipato a “Don Matteo 5 e 9”, arrivando a confezionare ben 8milioni di spettatori e percentuali pazzesche di share. Oggi un ruolo da protagonista non mi dispiacerebbe. Al di là di tutto, però, posso dirle che sarò nella nuova serie di “Che Dio ci aiuti” con Elena Sofia Ricci. Vedremo cosa accadrà.
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D . – E il cinema italiano? R . – Il cinema italiano credo che stia producendo qualcosa di buono, in quanto ritengo ci sia il coraggio di sperimentare: stanno venendo fuori tanti attori bravi, che hanno all'attivo una bella gavetta. Importante è ricordare come oggi con la “task credit” si possa investire, avendo uno sgravio fiscale importante: a livello produttivo è un dato da non sottovalutare per nuove pellicole. In Italia tutto ciò non è stato ancora ben capito. Se ci si risveglia sotto questo profilo, ci può essere una ripresa. Non solo, dunque, pellicole leggere ma anche di grande riflessione e impatto sul pubblico. D . – Le è piaciuto il film “La grande bellezza”, vincitore del “Premio Oscar”? R . – Dico la verità: a proposito del film di Sorrentino io non ho sentito critiche di mezzo. O è piaciuto o no. Non ha, per così dire, incontrato tutti i favori del pubblico. Gli addetti ai lavori hanno pensato a qualcosa che veramente potesse rappresentare la decadenza dell'Italia, spopolando all'estero, quasi fosse una nuova cifra cinematografica. Di sicuro è molto felliniano. Per me l'importante è che si faccia del buon cinema italiano: più film per noi attori. D . – Teatralmente, cosa sta accadendo nel suo percorso? R . – Ne ho fatto tanto in questi anni e continuo a farlo. Ho iniziato un percorso molto personale e ho scelto una storia del tutto originale da portare al pubblico: mi sono misurato in “Controvento”, la prima volta in cui porto in scena l'inventore della Vespa. Si tratta di un testo scritto apposta per me e lo vivo con estrema umiltà: c'è un'energia pazzesca che sento non solo davanti ad un pubblico adulto, ma soprattutto dinanzi ai giovani, nei matinée per le scuole. C'è poi un testo di Pirandello
(“La ragione degli altri”), in scena dal 2011, sul senso della “famiglia che si rompe”, di straordinaria attualità: l'ho portato anche a Pisa e davvero fa riflettere sulla necessità di “ascoltare le ragioni del singolo”. Una pièce che sta incontrando tanto successo. E poi passo per un testo più leggero, dal titolo “Camera con crimini”, con una cifra più soft, concludendo con le repliche di “Campo dei fiori”, al Ghione di Roma, dopo il successo del Sistina del 2012. Vorrei inoltre dire che sono tornato in Puglia nella scorsa stagione e a Torremaggiore, mia città d'origine, dove da due anni ricopro il ruolo di “Federico II” di Svevia. Un ritorno a casa, per me molto importante. D . – Bene, Renato: come vorrebbe potesse proseguire il suo percorso in futuro? R . – Sono incuriosito dalla possibilità di intraprendere un percorso cinematografico in questi anni. E le dico che sono in attesa dell'uscita del film “L'aquilone di Claudio”, per la regia di Antonio Centomani, con Milena Vukotic, Irene Ferri e Massimo Poggio, incentrato sul racconto di una malattia rara, affrontando un tema molto educativo. Dopo tanta attesa e sforzi produttivi, sta finalmente per vedere la luce e sono curioso in merito alla risposta del pubblico, visto che l'argomento di fondo è molto delicato. D . – Siamo alla conclusione della nostra chiacchierata, Renato: metaforicamente allo specchio, come vede riflessa la sua immagine oggi? R . – Di sicuro vedo un'immagine definita: so chi sono, quello che ho fatto e mi riconosco in quello che ho messo a punto. Sto raccogliendo i frutti del mio lavoro e non posso che ringraziare la vita. Gianluca Doronzo
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Donatella Pompadour
LA BELLA DELLA FICTION
L'attrice Donatella Pompadour, nota al pubblico per la storica interpretazione di «Nina Castelli» nella soap «Vivere», alle soglie dei suoi primi 40 anni si racconta facendo un bilancio del suo percorso, proiettandosi verso il cinema e la fiction, con l'auspicio di poter partecipare alla prossima edizione di «Ballando con le stelle» su Raiuno
«Ho sempre lavorato tanto nella mia vita: oggi mi piacerebbe fare un bel film con Roberto Faenza, un regista che ritengo davvero d'autore»
La sua “Nina Castelli” ha emozionato il pubblico per anni nella soap “Vivere”. Ha partecipato a fiction di successo (oltre 8milioni di spettatori l'hanno seguita nell'ultimo episodio di “Don Matteo” su Raiuno), lasciando puntualmente il segno per intensità espressiva, eleganza e spessore. Oggi, alle soglie dei 40 (il 31 luglio), Donatella Pompadour (con un passato anche nella conduzione televisiva assieme a Gigi Sabani e Jocelyn) vorrebbe arrivasse “finalmente l'occasione della svolta”, magari sul grande schermo (“mi piacerebbe lavorare con Roberto Faenza, mettendo a punto un bel film d'autore”), rendendola una donna pienamente realizzata (“avrei potuto fare di più, ma sono comunque soddisfatta del mio percorso: a dispetto di tante mie colleghe, oggi ferme a causa della crisi, io mi sono sempre data da fare, interpretando personaggi significativi”). E chissà che, proprio in occasione dell'uscita di questa intervista, non arrivi “la proposta tanto desiderata”. Sarebbe un bel regalo di compleanno, no? Domanda – Donatella, in che modo sentirebbe di definire il percorso vissuto in questi anni? Risposta – Devo dire che sono stata abbastanza fortunata, soprattutto rispetto a tante mie colleghe che, a causa della crisi, hanno avuto una battuta d'arresto nelle loro carriere. Io ho sempre lavorato, facendo poco poco, ma puntualmente dando il massimo. Di sicuro non è il migliore dei periodi quello nel quale ci troviamo: ci difendiamo e andiamo avanti. D . – Da un punto di vista attoriale a che punto sente di essere e quale vorrebbe fosse la sfida grazie alla quale esclamare: “Ah, finalmente è arrivata la svolta”! R . – Da attore non si arriva mai, neanche quando si raggiungono le vette più alte: abbiamo la possibilità di vivere talmente tante vite diverse che, persino nel momento in cui si è al top, ci si deve mettere puntualmente in discussione, desiderando altro. Credo che i più illustri hollywoodiani lo insegnino: fanno stage continui e formazione. E stiamo parlando di “Premi Oscar” e nomi altisonanti. Detto questo, per quel che mi riguarda mi piacerebbe fare un ruolo drammatico in un film d'autore, magari storico, con un regista come Roberto Faenza. D . – Ha visto “Anita B.”? Io ho avuto modo nei mesi scorsi di intervistare alcuni interpreti, fra i quali Antonio Cupo e Andrea Osvart. R . – Ecco: una pellicola come “Anita B.” mi piacerebbe tanto. È un genere nelle mie corde, anche se è un po' difficile farsi apprezzare dal grande pubblico e dal mercato, proprio per l'estrema qualità che comporta. Oggi sono più proiettata verso il cinema e la fiction, avendo fatto anche un buon teatro. Spero, caro Gianluca, di poter dire quanto prima: “Ah, finalmente sono stata compresa”! Proprio grazie ad un film che mi rappresenti pienamente. E mi auguro di non arrivare troppo in là nel tempo, visto che il 31 luglio compio i miei primi 40 anni. D . – Vedrà, Donatella: con l'uscita dell'intervista e il compimento dei suoi primi 40 anni arriverà una bella sorpresa. Un ruolo che non s'aspetta: io porto sempre fortuna. R . – (Dopo una risata al telefono, ndr) E me lo auguro! Anche perché è sempre stimolante cercare dentro di sé di dare il meglio, proprio andando alla scoperta di un personaggio. È difficile che ti capiti sempre la stessa cosa, a meno che tu non faccia una soap. Io vorrei tornare alla fiction e non mi dispiacerebbe, le dico la verità, anche per un discorso economico.
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D . – A proposito: come trova quella attuale? R . – In Rai adesso ci sono discorsi seriali molto interessanti: di sicuro bisogna fare i conti con la riduzione dei finanziamenti e dei budget a disposizione. In America è diverso: si investe maggiormente e si valorizza l'interprete a tutto tondo. Da noi dobbiamo abbattere i costi. Fatto sta, però, che accade sul piccolo schermo qualcosa di veramente strano: spesso si acquistano delle telenovele brasiliane molto discutibili, di grande successo. E quando c'è da puntare sul seriale “made in Italy” non lo si fa. Eppure siamo stati i maestri nella cinematografia con Fellini e Gassman o nella fiction. D . – Giusta osservazione la sua: spesso ci troviamo dinanzi a prodotti importati discutibili per regia, interpretazione e fattura, ma molto seguiti dal pubblico. R . – A quel punto ti dici che anche noi potremmo fare qualsiasi tipo di cosa. Ma poi ti accorgi che dobbiamo fare i conti con la crisi, in pochi vanno al cinema e nessuno scommette più. Questo periodo ci ha messo un po' tutti in ginocchio. D . – Prima ha parlato di “illustri attori da Oscar”, pronti a formarsi continuamente: ha visto “La grande bellezza” di Paolo Sorrentino? Che ne pensa? R . – Di sicuro si tratta di un film molto particolare. Da italiana dico: “Forse è questo quello che il mondo vuole vedere di noi”. Non c'è dubbio che la vittoria dell' “Oscar” sia un motivo d'orgoglio. La lettura che si dà della vita romana è molto sui generis e il film va visto almeno 2/3 volte per essere pienamente compreso. Magari, tuttavia, fossi stata nel cast! Pensi che proprio l'altro giorno ho finito di girare un film di Carlo Vanzina, dal titolo “Torno indietro e cambio vita”, con Raoul Bova, Ricky Memphis e Giulia Michelini, nel quale ho fatto la parte dell'ex-moglie di Bova, senza mai averlo incontrato sul set. Una pellicola spassosa, divertente, che ha garantito tante risate e saprà farsi strada fra gli spettatori. Per me un ulteriore, piccolo passo in avanti. E speriamo che sia sempre così. D . – A proposito di ruoli: la prima volta in cui ci siamo sentiti tanti anni fa, interpretava “Nina Castelli” in “Vivere”. Cosa le ha lasciato nel tempo quel personaggio? R . – Questa è una bellissima domanda. “Nina” mi ha insegnato molto. Ripeteva spesso: “È un brutto momento, ma passerà”. Una frase che mi appartiene. Nel pubblico il suo ricordo è ancora oggi molto vivo ed è per me fonte di grande soddisfazione. Lei mi ha insegnato a faticare, la tecnica, il velocizzare alcune cose e capire come si debba lavorare al meglio. I registi che mi affiancano sanno che vanno sul sicuro, perché ho i tempi e i ritmi, facendo questo mestiere da anni e anni ormai. E, come le dicevo prima, siccome sono alle soglie dei 40, sa cosa ho fatto? Ho tagliato i capelli e cambiato look e agente. Ecco la nuova Donatella, pronta per il futuro. D . – Delle sue conduzioni televisive con Jocelyn e Sabani agli inizi del 2000 su Raiuno cosa le manca? R . – Mi manca la freschezza, il lavorare con i pilastri della tv, con i punti di riferimento veramente solidi. Adesso trovare un regista in gamba, a parte Carlo Vanzina, è un po' difficile. Jocelyn è un grande professionista e in tv si avverte l'assenza della sua tv, fatta di divertimento, spontaneità e preparazione. Se oggi dovessi pensare ad una mia rentrée sul piccolo schermo, salverei “Ballando con le stelle”, mentre da spettatrice seguo i programmi di giornalismo intesi come approfondimento e cronaca.
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D . – È un peccato che non si facciano più trasmissioni estive come “Sette per uno” o “Il grande gioco dell'oca”, seguite da milioni di spettatori a suo tempo. R . – Verissimo, Gianluca: a me mancano. Poi Gigi Sabani è stato un grande maestro: sempre disponibile, mai primadonna, al servizio dei colleghi. I suoi erano programmi molto seguiti: non capisco l'assenza di simili trasmissioni, se non per ragioni politiche di palinsesti e di budget. Io ero giovane, piccolissima, quando andava in onda “Indietro tutta”, un altro must della tv: c'erano canzoni, sano umorismo e spensieratezza. Adesso si assiste solo alle telenovele delle disgrazie. Per dirle: ho letto che Valsecchi ha già pronta una fiction sul caso di Yara e aspettava solo perché si cercava l'assassino. Il che mi fa un po' pensare, ma non le posso nascondere che non potrei mai rifiutare un progetto del genere se me lo proponessero, perché è lavoro e poi vorrei capire, documentarmi e approfondire. Potrà sembrare cinico, ma non verrei meno. Io vivo da mamma, donna, cittadina e attrice quello che mi circonda. D . – La tragedia è diventata pane quotidiano d'ispirazione non solo per le fiction, ma anche per i salotti televisivi. R . – Altro nodo focale: io mi rifiuto di vedere certi salotti domenicali dove domina il dolore, con l'enfasi che lo circonda nelle storie. Ma si fanno ascolti e forse è questo quello che la gente vuole. Per fortuna, però, ci sono ancora tante persone che sognano con le soap, che si appassionano alle storie e vedono i film: ogni mattina io faccio i complimenti al mio edicolante, perché dice ormai di sintonizzarsi solo su un canale dove trasmettono film, fiction e storie. Che Dio lo
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benedica! D'altro canto, caro Gianluca, proprio per tornare alla questione della crisi di cui abbiamo parlato prima, noi non possiamo oggi rifiutare una proposta di lavoro, se un regista ti sceglie, perché si ha bisogno di essere sempre in pista, in discussione. Per cui a me, a livello italiano, piacerebbe fare qualcosa tipo “Romanzo criminale” o “Gomorra”. Mi hanno parlato bene anche del film di Asia Argento, dal titolo “Incompresa”: vorrei andare a vederlo. D . – E il teatro? R . – Il teatro in questo momento non c'è, visto che sono più proiettata ai film e alla fiction. C'è in progetto un film su quattro donne, un po' alla “Charlie’s Angels”, ma ancora nulla di sicuro. Ho da poco rifiutato un ruolo, che ho preferito non fare perché non molto significativo: vorrei proposte che possano lasciare il segno. E poi si sta girando molto in Salento in questi mesi: la Puglia è una terra fiorente e sarebbe bello potervi prendere parte ad una pellicola, anche se spesso gli attori che chiamano non sono propriamente salentini. D . – Donatella, come vorrebbe potesse proseguire il suo percorso? R . – In questo momento vorrei una lunga serialità d'epoca o d'attualità, magari con tematiche che affrontino i problemi
adolescenziali fra genitori e figli. Vorrei il ruolo di una mamma di un adolescente. Da un punto di vista cinematografico mi piacerebbe un horror, che pur non vedendo da spettatrice, sarebbe stimolante interpretare. Al cinema con Roberto Faenza sarebbe il massimo. E poi in tv mi piacerebbe partecipare a “Ballando con le stelle” perché è arte, un bel programma d'intrattenimento dove misurarsi nella danza. Sono un tronco di legno, ma posso imparare molto presto (e ride, ndr). D . – Bene. Siamo alla fine: metaforicamente allo specchio, come si rifletterebbe oggi Donatella? R . – Di sicuro avrei potuto fare di più. Mi rifletterei come una donna soddisfatta, ma non pienamente realizzata. Pur avendo la consapevolezza che avrei potuto mettermi di più alla prova, trovo che ho spaziato tantissimo in questi anni come attrice, grazie alla fiction. Il che è una grande soddisfazione per me. D . – Non solo: è rimasta nell'immaginario collettivo come la “Nina Castelli” di “Vivere”, con grande affetto. R . – Verissimo. La gente ancora oggi si ricorda di quel personaggio e mi ama. Sono contenta di aver lasciato un segno nel cuore del pubblico. Lo sento. Gianluca Doronzo
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Euridice Axen
FICTION E CINEMA - IL TALENTO IN ASCESA
La Axen, presto nuovamente in tournée teatrale con Simone Montedoro, rivela (con una vis travolgente) la volontà di essere messa alla prova con ruoli brillanti («non importa se al cinema o in tv»), sperando di far parte del film «L'accarezzatrice» (dall'omonimo romanzo di successo di Giorgia Wurth), per la regia di Roberta Torre
Euridice e il suo essere diventata adulta: «Negli ultimi due anni sono cresciuta molto ed ora eccomi, pronta per progetti che mi coinvolgano pienamente»
Euridice è diventata adulta. Negli ultimi due anni la Axen è cresciuta molto a livello professionale, spaziando dal cinema alla tv, ottenendo anche ottime attestazioni teatrali. Simpatica, spigliata e ricca di umiltà, al telefono ha un ritmo continuo nel chiacchierare, quasi fosse in una pièce. Non è un caso che le piacerebbe “interpretare un ruolo brillante: non importa se sul piccolo o grande schermo”. Ma su un'ipotetica partecipazione al film “L'accarezzatrice” (dall'omonimo romanzo di Giorgia Wurth), per la regia di Roberta Torre, non fa trapelare nulla: soltanto nelle prossime settimane si avranno “le dovute risposte”. L'importante “è fare qualcosa di stimolante”, che la rappresenti. Domanda – Euridice, è vero che sarà nel cast del film “L'accarezzatrice”, tratto dall'omonimo romanzo di Giorgia Wurth, per la regia di Roberta Torre? Risposta – (Dopo una risata al telefono, ndr) E questo chi gliel'ha detto? Giorgia nell'intervista che le ha rilasciato tempo fa? D . – Diciamo che ho i miei informatori: lei sembrerebbe essere fra le papabili interpreti. R . – (Ancora una risata, ndr) Bontà dei suoi informatori: poi me li presenti (conclusa la risata si riprende, ndr)! Scherzi a parte, il film è ancora in una fase iniziale e non so, sinceramente, che tipo di sviluppo potrà esserci per quel che mi riguarda. Di sicuro conosco Giorgia, la stimo e ho letto il suo libro.
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D . – E come l'ha trovato? R . – L'ho letto appena è uscito e le ho subito fatto i miei complimenti: “L'accarezzatrice” è un libro ben scritto, elegante e ricco di spunti di riflessione, alla luce delle tematiche che tratta. Lo stile di Giorgia mi piace molto: lei era ansiosa di conoscere il mio parere, dal momento che non faccio proprio sconti ad alcuno (e ci scappa un'altra risata, ndr). Le dico, Gianluca, che lo ritengo anche innovativo da un certo punto di vista e cinematograficamente potrebbe rendere molto bene. D . – A proposito: che fase sta attraversando il cinema italiano? R . – Ah, non ne ho idea. Nel nostro Paese si ha come l'impressione di essere in una sorta di limbo di incertezze. Non posso, caro mio, non contestualizzare la domanda, alla luce del momento storico nel quale stiamo vivendo. C'è confusione. Per quel che mi riguarda sono, tuttavia, soddisfatta delle scelte fatte finora e sono ben disposta a qualsiasi tipo di copione, purché fatto col cuore, passione e sentimento. Io parto dal presupposto che il lavoro è sempre lavoro: mai dire di no, quando ci sono tutte le condizioni per accettarlo. D . – Quale ruolo le piacerebbe oggi affrontare sul piccolo o grande schermo? R . – Sicuramente è arrivato il momento di un ruolo comico. Qualcuno ha detto che dovrei fare i personaggi divertenti che
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interpretava da giovane Goldie Hawn. A me piacerebbe tanto: registi, dove siete? D . – Vedrà che dopo questa intervista, si faranno vivi: io sono notoriamente un portafortuna. R . – E speriamo: io sono qui, pronta a lavorare. D . – E della fiction italiana cosa pensa? R . – Che dire? È italiana, in tutte le sue accezioni. Si dovrebbe, ad onor del vero, fare un pochino di più e credo che si osi poco, per paura di perdere ascolti. Ma non bisognerebbe temere. Il problema è che con certi prodotti propinati si tende un po' a sottovalutare l'intelligenza del pubblico. Il che è un grave errore: bisogna rispettare chi ti segue. D . – È stata contenta per la vittoria dell' “Oscar” del film “La grande bellezza” di Paolo Sorrentino? R . – Sono di sicuro entusiasta del film e per il nostro cinema: a me è piaciuto e l'ho visto ben tre volte. Dalla terza ho iniziato a capirci qualcosa. È un film nel quale ci devi entrare, in quanto è molto evocativo e visionario. Di sicuro ha fatto bene al nostro Paese, essendosene parlato molto all'estero. Mi sarebbe, tuttavia, piaciuto se in patria lo si fosse criticato di meno e osannato di più. D . – E il teatro cosa rappresenta nel suo percorso? R . – Per me è una valvola di sfogo: diventi padrone di te stesso
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quando lo fai. È catartico, terapeutico, un'urgenza espressiva. È un modo per prendersi delle responsabilità, per misurarsi e capire a che livello attoriale si è. Un autentico banco di prova. Credo che tutti i veri attori dovrebbero farlo. D . – E nella prossima stagione è prevista una nuova pièce per quel che la riguarda? R . – È previsto un nuovo spettacolo con me e Simone Montedoro: ci sarà di sicuro da divertirsi. Io amo i ruoli brillanti e il pubblico sarà entusiasta quando verrà a vederci. Preparatevi! D . – Come vorrebbe potesse proseguire, Euridice, il suo percorso? R . – Mi piacerebbe prendere parte a progetti che mi interessino e coinvolgano pienamente, da cui imparare qualcosa, grazie ai quali io possa anche cambiare il mio modo di vedere il mondo. Vorrei qualcosa che mi stimolasse. Non importa che sia tv, cinema o teatro: fondamentale è che ci sia il mio modo di essere e interpretare. D . – Bene, Euridice: siamo alla conclusione della nostra intervista. S'immagini metaforicamente allo specchio: come si rifletterebbe oggi? R . – Direi che ho fatto un salto dall'adolescenza alla maturità: sono cresciuta molto nell'arco di soli due anni. È come se da un lato avessi abbandonato la leggerezza, potendomi finalmente definire adulta. D . – Ecco, Euridice: abbiamo il titolo della sua intervista, nel passaggio “dall'adolescenza all'essere diventata adulta”. R . – Ah, bene. L'importante è che con “adulta” non s'intenda “s'è fatta una certa” (e scoppia una risata reciproca che, ad intermittenza, si riprende fino alla fine della chiacchierata, ndr). D . – Ma no, non mi permetterei mai. Adulta intesa come matura, nel senso di “essere diventata grande”. R . – Giusto. Anche perché io sono ancora giovane. Una giovane adulta (e si conclude ridendo assieme, ndr). Gianluca Doronzo
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Lorenzo Lavia
TEATRO - IL SIGNORE DELLA SCENA
Lorenzo Lavia firma la regia della pièce «Il vero amico» di Goldoni, al debutto il 23 luglio al «Festival di Borgio Verezzi», con un cast d'eccezione (Gianna Giachetti, Massimo De Francovich e Francesco Bonomo, fra gli altri) arricchito dalla «meglio gioventù attoriale del momento»
«Dopo più di 20 anni di teatro credo che ogni testo da mettere in scena sia come un bambino da amare, far crescere e accudire in maniera incondizionata»
“Dopo più di 20 anni di teatro credo che ogni opera sia come un bambino da amare, far crescere e accudire incondizionatamente”. Lorenzo Lavia è protettivo nei confronti delle sue “creature” (sia testuali che attoriali) e lo dimostra in una chiacchierata telefonica notturna, concordata col giornalista dopo l'ennesima giornata di prove per l'allestimento della pièce “Il vero amico” di Goldoni, al debutto il 23 luglio al “Festival di Borgio Verezzi”, accanto a Gianna Giachetti, Massimo De Francovich e Francesco Bonomo, fra gli altri. Convinto di avere sulla carta “un cast vincente, la meglio gioventù attualmente in circolazione a livello recitativo”, si racconta con estrema disponibilità, considerando la sua “una chiamata”, la vera e propria messa a punto di “un sacro fuoco” da onorare con tutto se stesso sul palco. E se, a suo parere, a livello cinematografico qualcosa sta accadendo in Italia (è stato nel cast del film “Smetto quando voglio”, uno dei successi della stagione) dopo la vittoria del “Premio Oscar” de “La grande bellezza” di Paolo Sorrentino, riflettendo la sua immagine metaforicamente allo specchio verrebbe fuori una frase di una tragedia greca: “Adesso sono qui senza mai aver toccato un'arma”. Segno di una personalità davvero autentica e leale, senza orpelli e sovrastrutture. Leggere, per credere. Domanda – Lorenzo, il 23 luglio debutta “Il vero amico” di Goldoni, in occasione del “Festival di Borgio Verezzi”: come sta vivendo questa attesa registica e interpretativa?
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Risposta – Questo testo si presenta dopo più di 20 anni di teatro e tante volte ho pensato potesse essere il momento giusto in cui metterlo in scena: è finalmente arrivato. È stata, per così dire, un po' una chiamata: ho sentito una voce che mi motivava a farne regia e interpretazione. Stiamo mettendo a punto le prove in questi giorni, proprio prima del debutto ed è bello creare, plasmare dal nulla un allestimento che ti appartiene e diventa tutto tuo. D . – Perché proprio la scelta di un testo di Goldoni? R . – Dico la verità: all'inizio avevo pensato di fare tutt'altro testo. Ma a questo punto del mio percorso, ho ritenuto opportuno portare in scena un'opera rappresentata di rado in Italia: pensi che mio padre (Gabriele, ndr) più di 30 anni fa ne ha animato una versione, essendo stato fra i pochissimi. Con Francesco Bonomo ho voluto trovare una commedia che mi piacesse e ho pensato a Goldoni, con “Il vero amico” nello specifico. D . – Secondo quale criterio sta mettendo a punto la sua regia? R . – Stiamo lavorando alacremente, vivendo le emozioni del palcoscenico in maniera corale. Il teatro è un po' come un bambino che nasce e va amato incondizionatamente. Io credo che nella vita l'importante sia fare quello che uno ritiene opportuno, in maniera giusta. Ben inteso: giusto secondo il proprio punto di vista e non in assoluto. D . – Teatralmente parlando, oggi ci vuole tanto coraggio nell'investire in una produzione. R . – Il mio produttore ha avuto tanto coraggio. La nostra è una compagnia ricca di talenti e volti affermati: da Gianna Giachetti a Massimo De Francovich, fino a Francesco Bonomo, Federica Rosellini e Valentina Bartolo, fra gli altri. Ho un cast che sulla carta è più che vincente: spero di non essere come il Prandelli della nazionale. Il teatro, per così dire, ha un po' in sé la metafora del mondo del calcio: si corre spesso per tanto tempo, ma bisogna aver ben chiaro dove si vuole arrivare. Per fare un bel tiro in porta. D . – Fra i testi messi a punto in questi anni, a quale è più legato? R . – Di sicuro a “Molto rumore per nulla”: ce ne sarebbero tanti altri, ma questo nello specifico è nel mio cuore ed ha costituito uno spartiacque nel mio percorso. D . – Come valuta il cinema italiano oggi? R . – Ho fatto un film, dal titolo “Smetto quando voglio”, che è stato uno dei successi della stagione, nonostante la non vittoria del “David di Donatello”. Credo che il cinema sia ben vivo e vegeto: io per fare il mio spettacolo teatrale ho dovuto rinunciare a proposte ben più remunerative, da decine di migliaia di euro. Ma non posso fare a meno della mia coerenza. D . – Ecco: coerenza è un termine che la rappresenta, anche alla luce delle risposte di questa intervista. R . – Io dico sempre che il mio più grande rispetto è la coerenza: purtroppo non riesco come tanti miei colleghi e fare un sacco di “blablabla” nelle interviste. Arrivo più al sodo, enunciando il concetto nella sua sintesi.
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D . – Alla luce della sua coerenza, allora mi risponderà di sicuro in maniera sincera a questa domanda: le è piaciuto il film “La grande bellezza” di Paolo Sorrentino, vincitore del “Premio Oscar”? R . – Per me è un film molto importante, simbolico: io penso che Roma sia proprio così come è descritta nella pellicola. A me è piaciuto tanto. Di sicuro la scelta registica è molto particolare e può non incontrare tutti i favori del pubblico. Ma oggettivamente è un gran bel film, a firma di Sorrentino. “Oscar” meritatissimo. D . – Cosa vorrebbe potesse emergere a spettacolo concluso? R . – Onestamente non ci penso. Ho sicuramente capito nell'allestimento cosa non si debba fare. Come dirle: ho compreso il meccanismo, la matrice. Siamo una compagnia di otto attori, senza veline, gieffini, nani e ballerine. Siamo in scena con un produttore privato, che ha scommesso su di me e sugli attori che mi affiancano. Un atto di fiducia che non possiamo non ripagare con impegno e fatica. Noi ci crediamo. Escludendo me, potrei definire gli esponenti del mio cast come tra i migliori della “meglio gioventù” attoriale del momento. Mi lasci passare la locuzione.
D . – Oggi si parla tanto di talento: ma averne a livello attoriale, cosa vuol dire? R . – Onestamente gli attori che mi accompagnano nei miei spettacoli sono sempre apprezzati, di grande talento. Spesso si crede che essere popolari sia sinonimo del raggiungimento dell'importanza. Non è così. Chi è venuto fuori dalle mie compagnie ha puntualmente fatto spettacoli importanti nel tempo. Ci sta che poi nella vita si possa “toppare” qualche volta, ma alla fine è solo il pubblico a decretare ciò che va bene o meno. Lo spettatore è sacro: un principio dal quale non si può prescindere. D . – Metaforicamente allo specchio: oggi come si riflette Lorenzo Lavia? R . – Diciamo che se io potessi tornare indietro, cambierei un sacco di cose: fatto sta che gli errori hanno sempre una natura umana. Mi verrebbe voglia, citando una frase di una celeberrima tragedia greca, di dirle: “Adesso sono qui senza mai aver toccato un'arma”. Se dovessi fare un'analisi di quello che sono, non le potrei rispondere in maniera differente. Allo specchio e non. Gianluca Doronzo
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Karin Proia
CINEMA - DALLA RECITAZIONE ALLA REGIA
Karin Proia, reduce dalla partecipazione allo show «Si può fare» di Carlo Conti su Raiuno, è nelle sale cinematografiche con la commedia «Ragazze a mano armata» di Fabio Segatori (assieme a Giovanna D'Angi e Nino Frassica), vivendo allo stesso tempo l'emozione di «essere sul set in queste settimane» per firmare la sua regia d'esordio
«Mi sento sempre al primo ciak, quasi in una sorta di presente perenne»
Nella sua vita si sente sempre “al primo ciak”, come se fosse in un “presente perenne”. Karin Proia ha fascino, ironia e tanta voglia di mettersi in discussione, lavorando su più fronti (“sono nel mio periodo bulimico, professionalmente parlando: non importa che si tratti di piccolo o grande schermo, fondamentale è essere operativi”). Reduce dalla partecipazione allo show “Si può fare” di Carlo Conti su Raiuno (“ripeterei un'esperienza del genere, ma senza rompermi i denti”), forte di numerose partecipazioni a fiction “made in Italy”, attualmente è nelle sale cinematografiche nel film “Ragazze a mano armata” di Fabio Segatori (“un creativo puro”), accanto a Giovanna D'Angi e Nino Frassica, fra gli altri. Per lei un ruolo in continuità al percorso portato avanti con “Boris”, giocando con humour e divertimento. E, in virtù del suo essere in continuo movimento, eccola in queste settimane alla sua “prima pellicola” dietro la macchina da presa: un'avventura che aspettava da tanto tempo. Domanda – Karin, all'interno del suo percorso cosa
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CINEMA - DALLA RECITAZIONE ALLA REGIA
rappresenta la partecipazione nel film “Ragazze a mano armata” di Fabio Segatori? Risposta – Rappresenta un'avventura che mi ha consentito di mettermi alla prova professionalmente, un po' come accade nella vita di ogni giorno: mi è piaciuto il ruolo messo a punto per me e trovo che la pellicola sia di grande gusto, giusta per l'estate. D . – Nel panorama attuale, dunque, come colloca il suo film? R . – Trovo che “Ragazze a mano armata” sia un'operazione un po' diversa dal solito: ha in sé il gusto della commedia, l'azione e la valorizzazione della Sicilia, essendo stato girato in posti stupendi come Messina. Non solo: ritengo sia anche e soprattutto una pellicola che per la prima volta in assoluto dia dignità a tanti ragazzi che vivono in una terra, troppo spesso sinonimo di criminalità. C'è tutta una generazione perbene, che va raccontata, anche in declinazioni divertenti e con risate. In fondo ridendo si riflette meglio, no? D . – Assolutamente. E della cifra registica di Fabio Segatori che pensa?
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R . – Lui è un creativo puro: si diverte sempre con l'azione e questa volta ha inserito tonalità “a tinte rosa” per raccontare una storia molto coinvolgente. D . – Cosa si aspetta a pellicola conclusa nelle sale? R . – Più che aspettarmi, mi auspico faccia buoni incassi, così come merita, anche e soprattutto per dare nuova linfa a pellicole che puntino sui giovani, raccontandone le varie dinamiche di fondo. Io, tra l'altro, sono una gran sostenitrice del cinema indipendente: lo dico proprio in generale. D . – È una sostenitrice del cinema indipendente, ma cosa pensa in generale del grande schermo in Italia? R . – A dire il vero la nostra situazione la vedo un po' dura e triste: si produce pochissimo. Il pubblico va nelle sale sempre meno e non c'è una grande varietà di scelta di pellicole, così come dovrebbe essere in Italia. Purtroppo siamo tutti vittime di questa crisi, che sembra non volerci lasciare. Speriamo in una ripresa generale. D . – Del film “La grande bellezza” di Paolo Sorrentino cosa pensa? Ha trovato giusta la vittoria del “Premio Oscar”?
CINEMA - DALLA RECITAZIONE ALLA REGIA
R . – Sono molto contenta che abbia vinto l' “Oscar” e spero che questo slancio entusiastico porti nuovo lavoro, nuove pellicole e nuove produzioni, nelle quali mettere alla prova tutti noi attori. La nostra è una vera e propria missione: non possiamo fare a meno di lavorare. D . – Oggi cosa le piacerebbe fare? Fiction o cinema? R . – (Con una risata al telefono, ndr) Guardi, io sono nel mio periodo bulimico: a me tutti i ruoli andrebbero bene. Fiction o cinema non importa: fondamentale è il lavoro e speriamo ce ne sia sempre di più per tutti noi. D . – Dal suo punto di vista, cosa vuol dire avere talento oggi? R . – Significa sapere essere incisivi nel fare una cosa: e non parlo solo nel nostro ambito, ma in qualsiasi tipo di professione. Il talento è una peculiarità dalla quale non si può prescindere per andare avanti, lasciando un segno, una traccia del proprio operato. D . – Di recente ha partecipato al programma “Si può fare” di Carlo Conti su Raiuno (ogni venerdì, ore 21.15, con oltre 4milioni500mila spettatori in media e il 17% di share circa). Ripeterebbe un'esperienza del genere? R . – Perché no? Senza rompermi i denti, magari (e ride, ndr). Dico la verità: di solito ho sempre rifiutato questi tipi di programmi, a prescindere. Stavolta Carlo Conti è stato garanzia di un bello spettacolo e devo dire che è andata bene.
D . – Come vorrebbe potesse proseguire il suo percorso? R . – Sto per debuttare alla regia: si tratta del mio primo “ciak” a luglio e ne sono entusiasta. Per il resto tutto quello che verrà sarà ben accetto. D . – Un nuovo inizio per lei, Karin. R . – Sì, mi sento un po' come agli inizi: sto per affrontare un'avventura nella quale darò il meglio di me stessa. In fondo è nel mio patrimonio genetico: sento di essere sempre al debutto. D . – Metaforicamente, infine, allo specchio: come si riflette oggi a livello umano, alla luce delle esperienze maturate? R . – Mi specchio spesso, ma mi guardo molto più interiormente che esteriormente: sinceramente non vedo una persona diversa da quella che sono sempre stata da piccola. Si sono solo aggiunte più esperienze di crescita: ma a me sembra di essere quasi al mare, con i miei cuginetti, a giocare e a litigare come facevamo da bambini. Mi sento sempre uguale: quasi fossi in un presente perenne. D . – Bene, Karin: dalla nostra chiacchierata è venuta un'istantanea che mi suggerisce già il titolo del pezzo. È come se lei fosse “al primo ciak” in un “presente perenne”. R . – (Dopo una risata, ndr) Ah, finalmente un titolo interessante. Mi ci ritrovo proprio. Gianluca Doronzo
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Fabio Segatori
CINEMA - IL MAESTRO DELLA REGIA
È fra i più apprezzati registi del panorama contemporaneo italiano: da «Terra bruciata» a «Hollywood flies», Fabio Segatori ne ha fatta di strada ed oggi firma la commedia «Ragazze a mano armata» (dall'omonima pièce di Paola Columba), accolta con successo alla 60sima edizione del «Taormina Film Festival»
«Il mio obiettivo? Fare quello che non c'è nel cinema italiano, avvalendomi di cast giovani, freschi e promettenti»
Con la sua regia cerca di “fare quello che non c'è” nello scenario contemporaneo. E, alla luce dei risultati, sembrerebbe esserci proprio riuscito in questi anni, paventando personalità, spessore nelle storie e scelta di attori promettenti. Fabio Segatori (all'attivo “Terra bruciata” e “Hollywood flies”, per citarne alcuni) è uno degli esponenti della cinematografia italiana d'autore, con un'apertura cosmopolita: numerose produzioni all'estero, riconoscimenti consolidati nelle stagioni ed ora una nuova, fresca avventura. Stiamo parlando della commedia “Ragazze a mano armata” (dall'omonima pièce di Paola Columba), attualmente nelle sale del Belpaese, assieme a Karin Proia, Giovanna D'Angi (“un talento straordinario”) e Nino Frassica, fra gli altri. Una pellicola nella quale “si ride e riflette allo stesso tempo”, capace di venire fuori dagli stereotipi dei soliti personaggi siciliani. A confermarne il successo il recente gradimento alla 60esima edizione del “Taormina Film Festival”. Per la serie: da non perdere. Domanda - Signor Fabio, all'interno del suo percorso registico cosa rappresenta il film “Ragazze a mano armata”? Risposta – Si tratta di un piccolo film, nato da una commedia teatrale di Paola Columba (che è anche mia moglie): alla luce del successo e delle tematiche in rassegna, abbiamo deciso di produrlo con un risultato, a nostro avviso, di grande modernità. La pellicola ha il suo punto di forza in un cast al femminile, ricco di giovani esponenti della talentuosità siciliana, con una freschezza notevole. In fondo si raccontano delle istanze riguardanti studenti di oggi: per rendere il tutto più verosimile, abbiamo girato in un appartamento di fuorisede, dando una visione molto contemporanea delle generazioni odierne. Chi ha già avuto modo di vedere la mia opera, ha detto che si respira un'aria pulita, sincera e molto coinvolgente. Adesso la parola spetta al pubblico in sala. D . – È vero che avete girato in soli 18 giorni, con una troupe di “under 30”? R . – Verissimo, Gianluca. Abbiamo fatto una cosiddetta operazione “alla cinese”: in sostanza siamo andati avanti con tre unità in contemporanea, ottimizzando i tempi e avvalendoci di tutte le tecniche di ripresa più moderne. Una bella impresa. D . – Possiamo, dunque, sostenere che la sua è stata un'avventura sperimentale e coraggiosa nel panorama odierno, no? R . – Direi che si è trattato di un'operazione all'insegna delle idee, del coraggio e di uno sforzo produttivo non irrilevante di questi tempi, con enormi soddisfazioni. Il nostro è stato presentato come una sorta di “gangster movie” in gonnella, con una troupe “under 30”, come ha giustamente detto lei prima, avvalendoci di energia giovane. Siamo dinanzi ad un film sbarazzino, con la filosofia della “Nouvelle Vague”. Non dimentichiamo che già riuscire a fare cinema in questo periodo è un piccolo grande miracolo. Io ho un obiettivo nel mio modo di operare, cercando di andare avanti il più a lungo possibile: vorrei “fare quello che non c'è”. Così “Ragazze a mano armata” parte dalla commedia, poi vira verso il thriller e incrocia, strada
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facendo, vari generi. Si respira, per così dire, una specie di “disorientamento” molto interessante. Io, come lei ben sa, ho lavorato tanto all'estero e il mondo di Hollywood, ad esempio, è spesso “formulaico”: beh, con la mia regia cerco di rompere gli schemi del prevedibile, andando al di là. D . – Caro Fabio, proprio a questo punto volevo arrivare nella nostra chiacchierata: ripercorrendo la sua regia cinematografica, sembra proprio che lei cerchi di fare “altro” da ciò a cui oggi il grande schermo ci ha abituati, ponendo in primo piano gli aspetti della personalità, con cifre originali e uniche. R . – La ringrazio, Gianluca: lei in qualche modo ha proprio capito quello che ho puntualmente voluto fare nel mio percorso. La stessa Karin Proia è stata felice nel mio film di “uscire” dagli stereotipi della solita bonona: in “Ragazze a mano armata” è una rapinatrice, perseguendo la cifra iniziata con “Boris”, ad esempio, dove si prendeva in giro. Tutti gli attori del cast sono stati contenti di entrare a far parte della mia pellicola. D . – Che dire del successo che avete ottenuto in anteprima alla 60esima edizione del “Taormina Film Festival” di recente? R . – Molto piacevole. È stato molto piacevole ricevere un calore decisamente inaspettato. La platea era gremita di ragazze e ragazzi. C'erano molti 18enni, pronti a tantissime risate. Questo è, a mio avviso, il pubblico vero. “Ragazze a mano armata”, parliamoci chiaro, è un film estivo, carino, godibile: un mio amico l'ha anche definito “il filmetto dopo la pizzetta”. E mi va bene, perché in fondo è spensierato. Si ha, tuttavia, la possibilità di riconoscersi nelle studentesse protagoniste e, tra le righe, si vuole far riflettere proprio sui ritratti delle donne moderne, sulle ragazze siciliane di oggi che non sono sinonimo di malavita e cattiverie. C'è una
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generazione che si esprime con un proprio linguaggio e noi siamo pronti a raccontare il tutto sul grande schermo. Anch'io, per dirgliene una, sono stato uno studente fuorisede e ho cambiato ben 13 appartamenti. In conclusione: noi parliamo della Sicilia perbene, visto che sembra non ci sia una vera e propria cinematografia in questa direzione. È un atto d'amore verso chi ha voglia di crescere, costruire e darsi da fare. D . – Nel cast, fra gli altri, c'è anche Giovanna D'Angi, apprezzata cantante (ha partecipato a “Sanremo” nel 2005) e attrice di musical (“Hairspray”, ad esempio): al suo esordio sul grande schermo. Come si è trovata? R . – Noi abbiamo conosciuto Giovanna D'Angi grazie a Massimo Piparo, proprio a teatro qualche anno fa, in occasione della tournée di “Hairspray”: il suo è un talento straordinario, esplosivo, estremamente versatile. Le scelte che abbiamo fatto per il film sono state all'insegna di nessuna raccomandazione, ma solo basate sulla preparazione e la pertinenza con i ruoli prestabiliti: Giovanna è entrata di diritto a far parte del cast, facendo anche un lavoro su se stessa non facile. Nel senso che il suo è un personaggio un po' “slow” e ha lavorato artisticamente sulla sua esuberanza, smussandone i caratteri fino ad una resa ottimale. Il risultato è stato semplicemente straordinario. Vedrete, vedrete! D . – Cosa si auspica per “Ragazze a mano armata”? R . – Vorrei innanzitutto che il film piacesse: io lo inserirei fra i cosiddetti “good movies”. Tanti anni fa, non so se lei lo sa, io ho iniziato con i corti spirituali. Poi pian piano sono arrivato a pellicole come “Terra bruciata” e via dicendo. Io vorrei che il cinema italiano consentisse alla gente di vivere meglio, alleggerendo le proprie giornate , trascorrendo un paio d'ore di sano divertimento, di evasione. Il tutto superando i luoghi comuni, dei quali non ne possiamo proprio più.
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D . – Quali i suoi progetti futuri, Fabio? R . – Come produttore stiamo preparando l'opera seconda di Paola Columba, dal titolo “Sarà bello”, con ispirazione tratta da un bellissimo romanzo edito da Mondadori. Anzi, a questo proposito le dico che sono iniziati i provini per la scelta del protagonista: stiamo cercando un bellissimo ragazzo di 19 anni. E saremo in Puglia, molto probabilmente nel Salento. Per
il mio ritorno alla regia sto invece preparando un thriller d'azione, con un cast decisamente internazionale. E magari, Gianluca, ci risentiremo presto per parlarne in una chiacchierata. D . – A disposizione, caro Fabio. Sarà un piacere. R . – Grazie di cuore per la sua disponibilità. A presto. Gianluca Doronzo
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Giovanna D'Angi
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Esplosiva, ricca di verve ed estremamente versatile: Giovanna D'Angi fa il suo esordio sul grande schermo nel film «Ragazze a mano armata» di Fabio Segatori, non perdendo di vista il musical («presto potrebbero esserci novità») e il canto («chissà che non torni a Sanremo con un progetto giusto»)
«Ho fatto il mio debutto al cinema con un personaggio divertente e ricco di sensibilità: non potrei chiedere di più al momento»
Giovanna ha una spiccata sensibilità. Lo rivela nel canto, nelle performance teatrali (memorabile la sua presenza nel musical “Hairspray”) ed ora sul grande schermo. Sì, per la D'Angi (sicula ad hoc) è arrivata l'occasione di mettersi alla prova in un una divertente pellicola d'autore, grazie alla regia di Fabio Segatori, vestendo i panni di una studentessa in “Ragazze a mano armata” (dall'omonima pièce di Paola Columba), attualmente nelle sale del Belpaese. Attestazioni d'affetto, riconoscimenti alla 60esima edizione del “Taormina Film Festival” e tanta voglia di “dare il massimo ad un personaggio, sul quale è stato bello lavorare”. Pertanto, spalancate le porte del cinema italiano, la sua versatilità ha conseguito la laurea “honoris causa” sul campo: non si esclude, a questo punto, possa esserci una rentrée sanremese (“se ci fosse il progetto giusto, sarebbe bello tornare oggi sul palco dell'Ariston”), con un bel disco che dia ampio spazio al suo indiscutibile talento. Forza, Giovanna! Domanda – Giovanna, ci ritroviamo per una chiacchierata a distanza di un po' di anni dall'ultima volta in cui era in tournée con “Hairspray”: ne ha fatta di strada e mi sembra di averle portato anche fortuna, visto che ha debuttato sul grande schermo con “Ragazze a mano armata” di Fabio Segatori. Risposta – (Dopo una risata al telefono, ndr) Che bello ritrovarci! Mi sa che mi ha portato proprio fortuna, visto che non m'immaginavo minimamente di poter debuttare sul grande schermo. Io sono passata dal canto al musical, con estremo agio e dando tutta me stessa. Fabio Segatori venne a vedermi in “Hairspray” a teatro e dopo due anni mi chiamò per il suo film. Abbiamo aspettato un po' prima che la pellicola arrivasse nelle sale, ma ora l'adrenalina e l'emozione sono a mille. D . – Com' è stato lavorare per il grande schermo? R . – Gianluca, il lavoro è stato molto interessante: io mi sono messa in gioco con tutta me stessa, senza mai risparmiarmi, dando il meglio. M'impegno sempre al massimo in quello che faccio, con molta vitalità e passione. Lavorare con le mie colleghe è stato stupendo, soprattutto con Federica De Cola. E poi abbiamo avuto Nino Frassica: da lui ho imparato come una spugna. Sono molto curiosa di scoprire l'esito nelle sale. Trovo si sia dinanzi ad un film molto estivo. D . – Per interpretare il suo personaggio, come si è preparata? R . – Devo dire di aver fatto un gran lavoro di “abbassamento” delle mie corde, in quanto io sono di natura molto esuberante: il mio è un personaggio un po' più dimesso, ma sempre nell'ambito del divertimento. Trovo però che sia riuscito a venire fuori un aspetto della mia personalità, che mi contraddistingue: sto parlando della sensibilità. Il mio personaggio ha la paura di non essere accettata e ciò mi sta proprio a cuore. C'ho messo l'anima. D . – È vero che avete girato il film in soli 18 giorni, con una troupe “under 30”? R . – Esatto. Ci sono stati tempi velocissimi in cui abbiamo girato: mentre finivamo un po' di scene c'era già un'altra troupe pronta per il proseguimento del film. Davvero una bella avventura, in tempi record. Trovo, tuttavia, ci sia stato un gran
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bel lavoro di squadra. D . – Avete presentato la pellicola in anteprima al 60esimo “Taormina Film Festival” con un enorme successo di pubblico: se lo sarebbe mai aspettata? R . – Assolutamente: e chi s'aspettava il seguito e gli applausi che abbiamo ricevuto! Un'emozione unica. È stato inoltre bellissimo ritrovarci, a quasi due anni dall'ultimazione del film. Non posso che manifestare tutto il mio entusiasmo per questo momento. D . – Cosa le piace della regia di Fabio Segatori? R . – Nel suo modo di fare cinema si respira freschezza, colore, bellezza, voglia di superare gli stereotipi e attenzione ai giovani. Siamo tutte donne, senza cliché, raccontando il mondo odierno delle nuove generazioni siciliane. Non c'è maschilismo. Fabio ha fatto un gran bel lavoro. D . – Giovanna, ma se dovesse tornare la proposta di un musical, non è che adesso l'accantona perché s'innamora del grande schermo? R . – Nella maniera più assoluta: non lascio proprio nulla, anche perché adoro il mondo del musical. E, tra l'altro, c'è in ballo un progetto per il prossimo anno del quale non le dico nulla, così mi richiama e ne parliamo.
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D . – (Dopo una risata, ndr) Va bene, a sua disposizione. Ma veniamo a noi: quando ci siamo conosciuti per la tournée di “Hairspray”, era da poco reduce dal “Festival di Sanremo” (quinta classificata fra i “Giovani” del 2005, ndr). Tornerebbe sul palco dell' “Ariston”, avendo una spiccata vocalità? R . – Devo dirle che dopo la prima esperienza, lì per lì, avrei risposto di no: c'è voluto un po' per metabolizzare “Sanremo”. Non è proprio una passeggiata e bisogna corazzarsi ben bene. Oggi le cose sono cambiate: sono diventata più matura e, se avessi il progetto giusto con un buon pezzo, tornerei in gara sul palco dell' “Ariston”. D . – Allora, facciamo un appello a Carlo Conti per l'edizione 2015? R . – (Ennesima risata, ndr) Mai dire mai. Se lei fa un appello, io non posso mica impedirglielo. D . – Affare fatto: ormai le pagine di “Che spettacolo” stanno lanciando un po' di idee e personaggi per il prossimo “Festival”. Alla fine Carlo Conti mi ascolterà per sfinimento. Scherzi e ironia a parte: come vorrebbe potesse proseguire il suo percorso? R . – Spero solo che arrivino cose belle: esistono nella vita grandi esperienze e motivazioni da vivere al meglio. Io vorrei
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accadesse anche l'imprevisto e imprevedibile. Sono qui pronta ad accettare tutto quello che verrà. Non ho preclusioni. Di sicuro vorrei mettere a punto un bel progetto discografico, per tornare al mio primo amore: il canto. D . – Ce la farà, Giovanna, ce la farà. Concludiamo la nostra intervista con una domanda: s'immagini metaforicamente allo specchio, come si riflette oggi? R . – Sicuramente quella che oggi rifletterei allo specchio è la donna di adesso: dopo tanto lavoro su me stessa, voglio
finalmente vedere questa Giovanna, col sorriso e l'entusiasmo di essere e sentirsi al meglio. È un obiettivo che porto avanti con tutta me stessa. D . – Ed è proprio con un sorriso che ci lasciamo, cara Giovanna. Alla prossima e buona fortuna. R . – Grazie di cuore, Gianluca. Chiami quando vuole: l'autorizzo ad intervistarmi ogni volta che vorrà. È troppo carino e gentile. Gianluca Doronzo
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Simona Tagli
TV - LA PRIMADONNA DEGLI ANNI '90
Simona Tagli, icona del piccolo schermo negli Anni '90 in programmi di Boncompagni e Jocelyn, ripercorre le sue stagioni di successo («oggi tornerei nella tv dei ragazzi, purché me la facciano fare da Milano»), fino a raccontare il suo presente, con un'attività imprenditoriale dal marchio «La Vispa Teresa» nel capoluogo meneghino
«Ricordo con affetto e tenerezza il mio percorso illuminato in tv: è stato bello lavorare con grandi professionisti, respirando la polvere di stelle»
Negli Anni '90 ha vissuto intense stagioni di popolarità. Ha lavorato con Boncompagni, Sabani e Jocelyn, diventando la “ragazza della porta accanto” per il pubblico italiano, grazie alla sua simpatia immediata, alla freschezza dei modi e alla versatilità. Simona Tagli ricorda il suo “percorso illuminato” con affetto, tenerezza e trasporto, convinta di aver affiancato “i mostri sacri della tv”, vivendo le luci della ribalta, respirando la polvere di stelle come molte sue colleghe avrebbero voluto. Oggi mamma, non esclude un ritorno sul piccolo schermo (“mi piacerebbe fare la tv dei ragazzi, purché si vada in onda da Milano”): ma, al di là del mondo dello spettacolo, si è rivelata imprenditrice di se stessa, mettendo a punto nel capoluogo meneghino un parrucchiere per mamme e bambini, col marchio “La Vispa Teresa”. Un'attività che l'entusiasma e la fa stare vicina alla sua famiglia. Domanda – Simona, ripensando ai suoi esordi fino all'exploit negli Anni '90, avrebbe mai immaginato un percorso come quello portato avanti nelle stagioni? Risposta – Assolutamente sì. Ho sempre pensato di fare spettacolo: già da piccola fantasticavo davanti alla tv, guardando la Carrà e Macario. Diciamo che il mio percorso televisivo mi ha elevata secondo quello che, in fondo, pensavo potesse accadere. Ho fatto tutto senza mai rinunciare agli affetti e alla sfera personale: ho la consapevolezza di aver portato avanti un “percorso illuminato”, mantenendo caro il tutto con devozione, disciplina e impegno. Adesso sono rivolta ad altri tipi di esperienze e se mi capita a Milano, dove vivo e ho
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i miei affetti, tornerei a fare televisione: ma non vorrei mai avere una famiglia infelice per una madre assente. Ho aperto, pertanto, un parrucchiere proprio nel capoluogo meneghino per mamma e bambino, col marchio “La Vispa Teresa”: sono ormai 2/3 anni che mi sto occupando di qualcosa di tangibile e ben radicato alla realtà. Se dovesse capitare altro, staremo a vedere. D . – Lei ha parlato di un “percorso illuminato”. R . – Sì, intendo dire che il mio è stato un “percorso illuminato” dalle ambizioni di una bambina, che sognava di fare spettacolo davanti alla tv, vedendo i mostri sacri del varietà e dell'intrattenimento. È come se si fosse avverato un sogno negli anni. D . – E cosa le manca di tutto quello che è stato? R . – Ho il ricordo “illuminato”, appunto, di tanti programmi, della polvere di stelle, delle luci di scena, della tanta gavetta, pensando che arrivare in Rai fosse una meta lontanissima. Ho preso parte davvero a tante trasmissioni, dalle più piccole alle più illustri: da “Drive In” al “Guazzabuglio” con Teo Teocoli, fino all'incontro con Gianni Boncompagni, sotto la cui direzione ho fatto gli show di maggior successo, visto che il mio modello era la Carrà. Ora, ben inteso: la mia crescita è stata supportata da tanto studio fra danza, impegno e molto altro. Ricordo il “friccicorio” del successo, della tv di Stato e dei grandi professionisti con cui ho lavorato. D . – Qual è il suo punto di vista sulla tv odierna? R . – La tv, in generale, sta attraversando quello che sta accadendo nella società odierna: non è un momento facile. Forse ci vorrebbe un occhio al passato. Oggi c'è troppo consumismo, ma secondo me si arriverà anche alla fine in questo senso e ci si evolverà. Abbiamo vissuto un decennio costellato di reality, talent e contesti un po' troppo urlati: dal mio punto di vista, si è troppo pensato alla monetizzazione, all'ascolto, all'Auditel, non preoccupandosi della qualità dei contenuti. Nulla vieta si possa vivere un'inversione di tendenza rispetto a questo andazzo di cose. D . – Un tempo c'era la possibilità di far crescere un personaggio: oggi sembra esserci il “mordi e fuggi”. R . – Bravo, io volevo dire proprio questo: quando facevo io la tv c'era la possibilità di puntare su un personaggio, facendolo crescere con concrete opportunità. Tutto questo lavoro negli ultimi tempi è venuto meno. Al pubblico piaceva il reality e per anni si è andati avanti, anche economicamente, in una certa direzione. Ma, come in tutte le cose, sento che adesso si sta chiudendo un ciclo: siamo in piena crisi, al risparmio, proiettandoci ad un futuro da costruire. A me oggi in tv piace guardare i dibattiti politici, con la necessità di essere sempre informata su quello che mi circonda. D . – Cosa le piacerebbe fare oggi in tv? R . – Mi piacerebbe fare molto la tv dei ragazzi: io sono sempre stata al fianco dei piccoli. Mi divertirebbe. D . – Parla di una fascia che è venuta meno proprio in questi anni, oggi praticamente inesistente. R . – Un peccato, perché è stata molto importante, educativa e
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forgiante. Chissà che non torni. Purché me la propongano a Milano. D . – Al suo attivo anche studi in Architettura. R . – Io ho iniziato a studiare Architettura prima di entrare a far parte del mondo televisivo: ho interrotto quando ho iniziato i vari casting e il percorso di gavetta, di cui abbiamo parlato anche in questa intervista. Avendo combattuto talmente tanto, è arrivata la chance di Boncompagni a cambiarmi la vita. Si ritorna a studiare, completando il proprio percorso accademico, quando c'è una delusione. Io credo molto nel destino. Nella mia vita tutto doveva andare così come è stato in questi anni. D . – Se le dico Gigi Sabani e Jocelyn, cosa mi risponde? R . – Due grandi professionisti che mi hanno forgiata a dovere. Stimo Gigi Sabani e ne ho un ricordo stupendo: il nostro era un bel rapporto alla “Ginger e Fred”. È una persona che si trova da un'altra parte del mondo, venuta a mancare troppo presto: non si sarebbe mai dovuto spegnere così in fretta. Quella di Sabani è una figura mai dimenticata, ma non valorizzata a dovere. Con Jocelyn siamo andati sempre a grande velocità negli
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spettacoli fatti: mi ha regalato grandi esperienze nel puzzle della mia vita in tv. D . – Chi stima oggi maggiormente in tv? R . – Piero Chiambretti e Carlo Conti al maschile. Al femminile la Venier, d'Urso e Clerici. D . – Le sembra la persona più giusta Carlo Conti per la conduzione del prossimo “Festival di Sanremo”? R . – Premesso che non sta a me giudicare, io credo si guardi molto volentieri e sia un grande professionista. “Sanremo” è un palcoscenico importante, dove può accadere tutto e il suo contrario. Lui saprà farsi valere. D . – Le sono piaciute le ultime edizioni della kermesse festivaliera? R . – Non tanto. Io sono rimasta alla conduzione di Baudo, quando ha reso davvero grande il “Festival”. D . – Baudo rimane un grande professionista. R . – Nel bene e nel male, anche se non ha mai creduto nella sottoscritta, io ritengo sia un grande uomo di spettacolo e un
professionista indiscutibile. D . – Come vorrebbe potesse proseguire il suo percorso? R . – Francamente non ho mai grandi aspettative e cerco sempre di afferrare il toro per le corna: a me, ripeto, piacerebbe fare qualsiasi cosa televisiva da Milano. Facendo una battuta posso dire che “una volta ero la ragazza della porta accanto”, ora lo sono “nel rione”. Sono qui, pronta a qualsiasi tipo di impegno. D . – Siamo, purtroppo, alla fine della nostra piacevole chiacchierata: metaforicamente allo specchio, come si riflette oggi Simona Tagli? R . – Tante cose messe insieme: c'è un personaggio mitologico, che è l'Araba Fenice, nel quale mi ritrovo. Sono sempre rinata dalle mie ceneri. Aprire cicli, chiuderli, rinascere: questo è ciò che mi piace e dà senso alla mia vita. Oggi vedrei tante stanze da utilizzare all'occorrenza. Ecco Simona Tagli. Gianluca Doronzo
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