Che Spettacolo 2014 - Numero 10 - Novembre

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Anno II - Numero 10 - Novembre 2014

Euro 4,50

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Periodico di Musica, TV, Cinema, Teatro e Arte

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il magazine che non t'aspetti (tutti i colori dell'intrattenimento)

La «leggerezza pensosa» di Mario Venuti in un ricco viaggio musicale, auspicando «possibili vie d'uscita dalla crisi, all'alba di una nuova consapevolezza» Nono album in carriera (da solista) per il celebre cantautore siciliano (all'attivo il «Premio Mia Martini» a «Sanremo» e il «Lunezia»), in tournée a dicembre con atmosfere elettro-acustiche in tutt'Italia (il 18 e il 19 sarà rispettivamente a Catania e Messina), con l'obiettivo di formulare «un'istantanea sonora sui giorni nostri, per capirci meglio»

I TALENTI IN ASCESA

I SIGNORI DEL MUSICAL

Tony Colombo Antonella Lo Coco

Giampiero Ingrassia Giulia Ottonello Novembre 2014


Anno II - Numero 10 - Novembre 2014 FONDATORE, DIRETTORE EDITORIALE E RESPONSABILE Gianluca Doronzo GRAFICA E IMPAGINAZIONE Benny Maffei - Emmebi - Bari HANNO COLLABORATO Giovanni D'Amico, Brunella Piacentini, Paola Bosani, Clarissa D'Avena, Sabrina Taddei, Sara Bricchi, Iolanda Guerrieri, Stefania Sciamanna, Sante Cossentino, Stefano Telese, Andrea Vacchiano, Valentina Corna e Alessandra Placidi. SI RINGRAZIANO Mario Venuti, Samya Abbary, Gabriele Greco, Rettore, Tony Colombo, Antonella Lo Coco, Filippo Graziani, Katia Follesa, Giampiero Ingrassia, Giulia Ottonello, Alessandro Prete, Chiara Civello, Razza Krasta, Le Donatella e Luka Zotti per le interviste concesse; gli uffici stampa Rai e Mediaset; Amleto Di Leo per la copertina e gli interni di Mario Venuti; MasiarPasquali per le foto di Antonella Lo Coco; Franco Turcati per gli scatti di Filippo Graziani; Alessandro Pinna per le immagini di scena di “Frankenstein junior”, in relazione a Giampiero Ingrassia e Giulia Ottonello; Fabio Lovino e Umberto Lopez per le pose di Chiara Civello; Giulia Giannerini per il duo Le Donatella; Roberto Esperto per Luka Zotti; “Parole & Dintorni”; “Notoria”; “Massmedia di Cossentino e Telese”; “Lorenzo Paolucci Agency” e Paola Ponzetti (puntoevirgolacomunicazione.com) per i contatti con Rettore. INDIRIZZO REDAZIONE Via Monfalcone, 24 – Bari gianlucadoronzo@libero.it tel. 347/4072524 FACEBOOK E la notte un sogno Autorizzazione del Tribunale di Bari n. 16 del 26/09/2013

Donare un sorriso ai lettori. Portare una ventata di leggerezza, humour e curiosità all'interno di 64 pagine, fotografando istanti, piccole sfumature inedite e verità di personaggi della sfera nazionale, pronti a raccontarsi negli aspetti più “fuori dal coro”. Lasciando una piccola, piccolissima, ma sincera, traccia di sé nel cuore di chi “li scopre”. Ecco l'umile “grande bellezza” del mio e, soprattutto, vostro “Che spettacolo – il magazine che non t'aspetti (tutti i colori dell'intrattenimento)”, ormai diventato un appuntamento fisso per molti, alla luce delle manifestazioni di stima e affetto che mi state mostrando da un anno a questa parte. Siete tutti, all'unisono, la mia forza, la mia “vena creativa”, consentendomi di andare puntualmente al di là del prevedibile, scegliendo di edizione in edizione personalità ben precise, nomi particolari del mondo della tv, cinema, teatro, musica, danza e letteratura, gratificando l'esistenza di una rivista che, pian piano, sta vantando tentativi di emulazione da parte di “cartacei” ben più blasonati e quotati del mio (ricchi di sponsor, investitori e distributori). Sono ormai 200 (e passa) i ritratti messi a punto nelle uscite collezionate finora: dai volti più popolari a quelli in ascesa, fino a mantenere fede al mio amore per lo “scouting”, dando ribalta a tante giovani potenzialità, delle quali far emergere il fatidico “talento”, da intendersi come “dono di Dio”. Abbiamo, metaforicamente, tutti assieme spento la “prima candelina” di un mensile che mi ha ridato linfa vitale, consentendomi di rimettermi in gioco, solo ed esclusivamente scommettendo su me stesso, sfidandomi e cercando di capire quanta fiducia potesse esserci nei confronti del mio operato, quanto riscontro e, di conseguenza, in quale maniera procedere per crescere. Mi state, arrivati a questo punto, dimostrando unanimemente che sono “sulla strada giusta” ed io, con coraggio, passione e perseveranza, cerco di andare avanti, rendendovi partecipi del mio “poliedrico universo”, consentendovi una lettura snella, brillante, accattivante e semplicemente dettagliata dei pezzi in rassegna, in nome dei particolari (che, oggi più che mai, fanno la differenza). E, in un'escalation di “belle persone”, non potevo smentirmi anche per il numero di novembre, che si preannuncia ricco di fascino, gioventù e determinazione a più non posso. Continuo, su vostro suggerimento glamour, con la triplice copertina: si inizia con Mario Venuti (alle prese con l'uscita dell'album “Il tramonto dell'occidente”, da cui ha avuto genesi un tour invernale in tutt'Italia), proseguendo con la conduttrice Samya Abbary (in un'intervista davvero sorprendente, spaziando nei suoi impegni da “Mattino 5” a “Mamma, che torta!” su La5, ogni sabato alle 15.40) e con l'attore Gabriele Greco, nei panni di “Marcello Colombo” in “Centovetrine” (Canale 5, dal lunedì al venerdì, ore 14.15, oltre 3milioni di spettatori in media col 17% di share). Chiacchierate in crescendo, ricche di suspense e motivazioni artistiche, scandite da costanti risate. Da non perdere il mio incontro con Rettore, signora della canzone italiana che, con le sue parole, è riuscita a commuovermi e ad entrare nel mio cuore, lasciandomi esterrefatto. Tante promesse della musica pop, d'autore, rap e jazz, troverete senza esitazioni di sorta: Antonella Lo Coco, Filippo Graziani (vincitore del “Premio Tenco 2014”), Chiara Civello, Razza Krasta, Le Donatella e Luka Zotti. Dietro ciascuno storie coinvolgenti, esperienze di vita, viaggi in cerca di ispirazione e progetti per il futuro. Ho voluto dare massima risonanza anche a Tony Colombo, neomelodico alla ribalta grazie a “Ballando con le stelle” (Raiuno, ogni sabato, ore 21.15, oltre 4milioni di spettatori in media e il 20% di share), desideroso di calcare il palco dell' “Ariston” il prossimo anno con “un gioiello tirato fuori dal cassetto, scritto da un grandissimo cantautore, purtroppo scomparso”. Signori, nel mezzo del cammin: chi arriva? L'esplosiva Katia Follesa, alla guida di “Quanto manca” (Raidue, ogni lunedì, ore 22.45, 600mila spettatori in media col 6% di share), accanto a Nicola Savino, in un programma “surreale e simpatico”, legato alla stretta attualità “con una lettura comica”. E ancora: evincerete le dichiarazioni di Alessandro Prete, interprete consacrato grazie a “Squadra antimafia” (Canale 5, con un'audience superiore ai 4milioni500mila e il 20% di share), nei panni di “Bruno Privitera”, in conformità al suo aver “sposato il ruolo del cattivo nella fiction italiana”. Dulcis in fundo, due icone del musical: Giampiero Ingrassia e Giulia Ottonello, alle prese con la terza stagione di “Frankenstein junior”, per la regia di Saverio Marconi, con produzione della “Compagnia della Rancia”, dando vita ad un successo senza precedenti, a dimostrazione di quanta vivacità ci sia sul palco da diverso tempo. Ce n'è davvero per ogni gusto. Non esiste attualmente idea editoriale che possa vantare, contando solo sulle proprie forze, così tanti esponenti illustri del panorama spettacolare del Belpaese. Il tutto all'insegna della fiducia, della voglia di donare un po’ di sé e, non ultimo, di un sorriso nei confronti di chi, con enormi sacrifici, dirige, edita e redige, avendo ogni responsabilità sulle proprie spalle. Buon sorriso a tutti, amici! Di cuore. Gianluca Doronzo

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Anno II - Numero 10 - Novembre 2014

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Periodico di Musica, TV, Cinema, Teatro e Arte

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il magazine che non t'aspetti (tutti i colori dell'intrattenimento)

Il segreto del successo di Samya: «Essere genuina, rimanendo me stessa, creando un'atmosfera familiare con chi mi segue, senza mai bluffare» La conduttrice Abbary, da cinque stagioni protagonista di una rubrica legata alla cucina all'interno di «Mattino 5», è anche «alla guida» dal 22 novembre di «Mamma, che torta!» su La5 (ogni sabato alle 15.40), accanto allo chef pasticciere Alessandro Capotosti, divertendo con «semplicità e coinvolgimento, dando spazio alle persone comuni»

FICTION E CANZONE ITALIANA

Alessandro Prete Rettore FRA TV E JAZZ - LE SORPRESE

Katia Follesa Chiara Civello Novembre 2014


Sommario IL PERSONAGGIO IN COPERTINA Mario Venuti «Ho scritto un album dal titolo apparentemente minaccioso ma, in realtà, molto godibile nei contenuti e musiche: ho una profonda voglia di capire dove stiamo andando, valorizzando le potenzialità del singolo» IL PERSONAGGIO IN COPERTINA Samya Abbary «Quella per la cucina è una passione che ho da sempre: in tv sono come a casa, pronta a donare suggerimenti, sorrisi, affetto e tanta voglia di sincerità»

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IL PERSONAGGIO IN COPERTINA Gabriele Greco «Sono tornato alla lunga serialità dopo un periodo di pausa: in questo momento mi sento carico, in una fase di grande creatività» 12

LA SIGNORA DELLA CANZONE ITALIANA Rettore Il «magnifico delirio» di Rettore: «Oggi più che mai sono piena di progetti, dando tutta me stessa. Vorrei regalare al pubblico un sorriso, allontanandolo dai tempi bui e tristi che ci circondano»

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DAL NEOMELODICO ALLA TV LA RIVELAZIONE DELL'ANNO Tony Colombo «Ringrazio Milly Carlucci per aver creduto in me: ora mi piacerebbe partecipare al Festival di Sanremo, con un gioiello tirato fuori dal cassetto, scritto da un grande della musica italiana che non c'è più» 20

LA NUOVA PROMESSA DEL POP Antonella Lo Coco «Sono stata a Londra per prendermi una pausa, ascoltare me stessa e cercare tante ispirazioni: eccomi pronta a mettere a punto pezzi ad ampio respiro, ricchi di creatività e contaminazioni» 24

DA SANREMO AL PREMIO TENCO UN 2014 CHE NON T'ASPETTI Filippo Graziani «Le cose belle» del 2014 di Filippo Graziani: dal «Festival di Sanremo» alla vittoria del «Premio Tenco» nella sezione «Opera prima (di cantautore)»

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HUMOUR E PICCOLO SCHERMO Katia Follesa «Quanto manca? Sono solo all'inizio del mio viaggio nella conduzione comica: di strada da fare ce n'è ancora molta»

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MUSICAL - L'INCONTRO Giampiero Ingrassia «Festeggio i miei 30 anni di carriera con un musical di successo di Saverio Marconi: torno finalmente a lavorare con la Compagnia della Rancia, con l'amore e l'entusiasmo di sempre»

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MUSICAL - L'INCONTRO Giulia Ottonello «Il musical mi ha dato la possibilità di crescere a livello professionale: in futuro mi vedrei bene anche in un bel film e al Festival di Sanremo»

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TV E FICTION LA CONSACRAZIONE DI UN ATTORE Alessandro Prete «Credo che l'arte sia condivisione e non solitudine: ho portato avanti la mia carriera sempre in maniera onesta, spontanea e pulita, non essendo bravo a fare strategie»

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L'ANIMA JAZZ DAL SAPORE COSMOPOLITA Chiara Civello «Mi piacerebbe continuare la mia carriera, seminando canzoni per il mondo: oggi, metaforicamente allo specchio, mi rifletterei come un girasole»

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IL RAPPER IN ASCESA Razza Krasta «Fare rap nello scenario odierno significa avere qualcosa da dire agli altri, condividere stati d'animo con rispetto, dedizione e tanta consapevolezza»

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IRONIA E PASSIONE - LE GEMELLE DEL POP Le Donatella Con Le Donatella il pop si tinge di ironia e atmosfere elettroniche, cercando di cogliere l'attimo, perseguendo la filosofia dello «scarpe diem» 56 FRA MUSICA E ARTE IL TALENTO DA SCOPRIRE Luka Zotti La catarsi di Luka Zotti in «Forgotten dream», facendo vivere sonoramente «un'evoluzione introspettiva, dalla sofferenza alla luce e gratitudine»

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Periodico di Musica, TV, Cinema, Teatro e Arte

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il magazine che non t'aspetti (tutti i colori dell'intrattenimento)

Tutti i colori e le sfumature dell'universo di Gabriele Greco: le tante sorprese (che non t'aspetti) fra tv, musica e teatro Il suo ingresso a «Centovetrine» (Canale 5, dal lunedì al venerdì, ore 14.15, oltre 3milioni di spettatori in media col 17% di share) ha dato vita ad un personaggio «fascinoso e sensibile»: il giovane attore, noto per aver interpretato «Luca Canale» ai tempi della soap «Vivere», descrive il suo nuovo «Marcello Colombo» e le motivazioni che lo hanno convinto ad accettare una lunga serialità, dopo tre anni d'assenza dal piccolo schermo

RAP E POP A CONFRONTO

Razza Krasta Le Donatella DAL PREMIO TENCO AL FUTURO

Filippo Graziani Luka Zotti Novembre 2014


Mario Venuti Novembre 2014


IL PERSONAGGIO IN COPERTINA

Coerenza, credibilità e coraggio scandiscono da oltre un ventennio l'universo testuale e sonoro di Mario Venuti, attualmente alle prese con una serie di concerti (il 7 e l'8 dicembre a Foggia e Corato, fra l'altro), assieme alla sua band (Latina, Alessi, Moscato, Emma e Galeano), promuovendo il disco «Il tramonto dell'occidente» con dimensioni «intime, riflessive e ricche di suggestioni»

«Ho scritto un album dal titolo apparentemente minaccioso ma, in realtà, molto godibile nei contenuti e musiche: ho una profonda voglia di capire dove stiamo andando, valorizzando le potenzialità del singolo»

Coerenza, credibilità e coraggio. La “leggerezza pensosa” (per dirla alla Calvino) da oltre un ventennio scandisce il percorso da solista di Mario Venuti (senza considerare quanto in precedenza animato con i Denovo), motivando continue riflessioni su ciò che accade nella società, con una cifra puntualmente propositiva. A distanza di un paio di stagioni da “L'ultimo romantico”, stiamo assistendo in queste settimane al suo ritorno nella scena cantautoriale (all'attivo riconoscimenti come il “Premio Mia Martini” e il “Lunezia”), con la pubblicazione del nono album in carriera, dal titolo “Il tramonto dell'occidente”, anticipato dal singolo “Ventre della città”, interamente scritto e musicato con Francesco Bianconi e Kaballà (all'interno duetti con Alice, Battiato, Giusy Ferreri e Nicolò Carnesi). Un'escalation di tracce a mo' di istantanee “sull'onda lunga della crisi, con possibili vie d'uscita, all'alba di una nuova consapevolezza”. Attualmente in tournée con atmosfere elettro-acustiche (a dicembre sarà il 4 a “I Candelai” di Palermo, il 7 al “Moody Jazz Cafè” di Foggia, l'8 all' “Ex Jubilee” di Corato e il 18 al “Zo Centro Culture Contemporanee” di Catania, fra l'altro), affiancato da Pierpaolo Latina (tastiere), Filippo “Fifuz” Alessi (percussioni), Antonio Moscato (basso), Donato Emma (batteria) e Luca Galeano (chitarra), si racconta in una ricca chiacchierata, tracciando il punto della situazione sul panorama sonoro contemporaneo, sui “talent” e sul “Festival di Sanremo” (non escludendo una futura partecipazione). Chiosando con l'auspicio di “comunicare, essendo pienamente ascoltati, in uno scambio di sinergie senza filtri, rimanendo se stessi”. Domanda – A distanza di un paio di stagioni da “L'ultimo romantico”, ha pubblicato di recente il suo nono album in un ventennio percorso da solista (al di là di quanto precedentemente vissuto con i Denovo): il primo singolo in rotazione radiofonica è stato “Ventre della città”, seguito da “Tramonto”. Lei ha parlato di “una serie di canzoni che si muovono sull'onda lunga della crisi, con possibili vie d'uscita”, auspicandosi di portare avanti “un viaggio, spaziando dalle nostre vecchie illusioni all'alba di una nuova consapevolezza, senza catastrofismi, facendo attenzione al nostro modo di vivere e ai valori di ciascuno”. Per dirla alla Calvino, continua la sua “leggerezza pensosa”? Risposta – (Dopo una risata comune al telefono, ndr) Beh, direi proprio di sì. “Il tramonto dell'occidente” può suonare come un titolo minaccioso ma, in antitesi, non lo è affatto, sia nei contenuti dei pezzi che musicalmente parlando. Credo, in tutta onestà, sia un lavoro molto godibile, con ritmi e incisi efficaci, ricchi di atmosfere coinvolgenti. Il mio è un disco che parla un po' di tutti noi, quasi fosse un'istantanea sulla quotidianità, cercando di capire dove stiamo andando in maniera collettiva, puntando sui valori del singolo. Con i miei pezzi si fanno strada delle domande, quasi fossimo tutti parte di una sfida per superare il momento nel quale ci troviamo. Con, come ha giustamente sostenuto lei ricordando Calvino, “una leggerezza pensosa”. D . – Bene, bene. Ironia e “leggerezza pensosa” a parte, con lei possiamo approfondire aspetti legati alle dinamiche letterarie dei testi, essendo uno dei più autorevoli cantautori del panorama italiano. E nella nostra chiacchierata lo faremo, in tutte le declinazioni possibili: si prepari (e scappa un'altra

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IL PERSONAGGIO IN COPERTINA

risata, ndr). R . – La ringrazio per le considerazioni fatte. Sono pronto, mi domandi pure tutto quello che vuole. D . – Al suo attivo figurano riconoscimenti come il “Premio Mia Martini” a “Sanremo” e il “Lunezia”, fra l'altro. Essere cantautori oggi cosa vuol dire? R . – Lo spazio autoriale si è un po' ristretto ad alcuni ambiti ben precisi: oggi sembrano dominare generi musicali che non osano, mettendo in un certo senso da parte il coraggio e i principi che, in antitesi, si dovrebbero perseguire. Questo non significa che non ci siano esponenti interessanti del cantautorato: penso a Gazzè, Silvestri, ai Subsonica e a Carmen Consoli, che sta per tornare. Le canzoni possono raccontare molto altro, al di là dell'amore e dei sentimenti, spunti sempre universali per ciascuno. C'è come una sorta di difficoltà ad accettare territori nuovi, quasi se ne fosse spaventati. Ora, detto questo, non credo che il brano d'autore morirà mai. Anzi, avrà sempre una sua dignità e una cifra da raccontare, in tutte le sfumature e valenze possibili. D . – Assolutamente: soprattutto nel delineare le varie angolazioni della società, nella quale si vive. R . – Giusto. Ad esempio, di tutti questi aspetti se ne fanno carico già i rapper, oggi più che mai operativi e credibili in tal senso. Poi va da sé che ciascuno di noi, nel suo universo, dà qualcosa a chi ascolta, creando una sorta di sinergia, di immedesimazione rispetto al vissuto. Il mio disco testimonia una spiccata volontà di racconto: attraverso i pezzi, vivo pienamente il mio tempo, cercando anche di capirne le molteplici declinazioni. D . – C'è qualcosa che le piacerebbe leggere o vorrebbe venisse apprezzato del suo nuovo lavoro? R . – Quello che ho già letto e percepito mi ha sorpreso: “Il tramonto dell'occidente” è nato quasi per gioco. Pian piano si è fatto strada in me e, ad un certo punto, mi sono preso carico di rendermi interprete di quello che veniva fuori dai pezzi, arricchito dal “noi” e dai numerosi ospiti, che mi hanno supportato. Evidentemente il rischio mi conforta e incoraggia, non ne potrei fare a meno, soprattutto con la volontà di trasmettere nuove strade per il futuro, avversando prevedibilità e soliti schemi. Dopo ben 30 anni di carriera, includendo i tempi in cui ero parte dei Denovo, posso ritenere di aver fatto un percorso con una sua coerenza, colmo di spunti, fedele al mio pubblico, incluso pienamente nella musica pop. Se, ad esempio, mi guardo un attimo indietro, fino agli esordi, mi rendo conto che le prime cose fatte avevano ambizioni artistiche alte: mi fa piacere di aver mantenuto puntualmente un buon livello, sposando i contenuti e la qualità, senza mai perseguire mode o ruffianerie. Le dico la verità: a volte alcuni esponenti della musica italiana sembrano inconsistenti in quello che scrivono, nel senso che non li capisci e non sai dove vogliano andare a parare. Io invece non mi sono mai lasciato andare e credo di aver raccolto i miei frutti. D . – “Il tramonto dell'occidente” è stato interamente scritto e musicato con Francesco Bianconi e Kaballà: nei pezzi sono presenti collaborazioni con Alice, Battiato, Giusy Ferreri e Nicolò Carnesi. In base a quali criteri li ha scelti? R . – Un po' me li hanno suggeriti le canzoni: Battiato è stato giusto in una direzione, Alice in un'altra, Giusy Ferreri ha fatto

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delle cose bellissime. Nicolò Carnesi l'ho scelto come esponente della nuova sfera cantautoriale italiana. Tutti di epoche diverse, con una propria cifra e un preciso “perché”: non potevo chiedere di meglio. D . – Tornerebbe in gara al “Festival di Sanremo”, magari proprio il prossimo anno nell'edizione di Carlo Conti? R . – Devo ammettere che il “Festival di Sanremo” è rimasto uno dei pochi contesti italiani nei quali si fa musica, pur avendo un'accezione spettacolare, d'intrattenimento televisivo. Ha i suoi meriti e glieli si deve riconoscere. Io non escludo di poterci tornare un giorno, anche perché non mi sembra ci siano delle trasmissioni nelle quali si possa cantare dal vivo “in video”, se non sul palco dell' “Ariston”. Vedremo! D . – In questi anni è stato anche protagonista di spettacoli teatrali: penso al “Pilato” di “Jesus Christ Superstar” (assieme a Becucci, Bencini e Gazzè). Potrebbero esserci novità in merito? R . – Io sono aperto a tutti gli stimoli artistici possibili, senza alcuna esclusione. È stato il teatro a cercare me in questi anni ed io, valutando le proposte, ho accettato quelle a me più congeniali. E, le dico la verità: mi sono divertito. Nelle mie ambizioni c'è anche quella di poter musicare la costruzione di uno spettacolo e non escludo possa accadere in futuro: ci sono dei progetti, ma per il momento non dico niente. D . – Fare musica oggi cosa significa? R . – Beh, la discografia è moribonda e con la crisi non si può certamente pensare di migliorare e investire in tal senso. È senza dubbio un momento difficile. Io, dal mio canto, mi ritengo fortunato perché ho degli ottimi collaboratori e sento di essere affiancato dalle persone giuste. Le major sono un'altra cosa. A me va bene così, raccontando il mio universo e la mia interiorità, con la libertà di poter essere me stesso. D . – Dei cosiddetti “talent show” cosa pensa? R . – Io sono un caso a parte: a me della voce interessa relativamente. Opto per i contenuti, per il peso specifico della parola. Pertanto, se dovessimo pensare ad un grande come Enzo Jannacci, di sicuro non lo avrebbero mai preso per un “talent”, neanche per fargli fare un provino. In passato ci si faceva strada con la gavetta, con i valori artistici e con le cifre che si volevano portare avanti. A mio parere i “talent” possono diventare, spesso e volentieri, dei contenitori senza contenuti, un po' vuoti. Ci sono tanti ragazzi che vi partecipano, con una grande capacità di stare sul palco, ma poi: quanto dureranno? Si parlerà di loro fra molti anni? Io mi sono dovuto conquistare con la fatica e il sudore quello di cui stiamo parlando in questa piacevole chiacchierata: c'ho messo del tempo per maturare. Non so, onestamente, cosa potrà accadere a quella fila sterminata di giovani che viene fuori da simili programmi: auguro loro di trovare la propria strada, con lo studio, la passione e la perseveranza. D . – Mario, siamo quasi arrivati all'epilogo della nostra chiacchierata. S'immagini, metaforicamente, allo specchio: in che modo si rifletterebbe oggi? R . – Beh, non lo so. È difficile dichiarare quale immagine si abbia di se stessi: forse è quella che hanno gli altri. Se, però, dovessi un attimo fermarmi a pensare, forse le direi che vedo, purtroppo, di essere stato anche un po' frainteso nel mio percorso, nel senso che la mia attitudine pop è stata un po' ghettizzata. Mi spiego: il mio aver avuto delle ambizioni più

alte, come le ribadivo prima, pur rimanendo nella sfera leggera italiana, probabilmente è stato travisato da alcuni, pronti a mettere o l'accento sulla leggerezza o sulla parola. Dipende dai punti di vista: ma io, tornando all'inizio di quello che abbiamo detto, ho fatto del connubio “leggerezza pensosa” una cifra e non un demerito. D . – Sa, quello che ha appena dichiarato, mi fa venire in mente una frase del drammaturgo britannico Arnold Wesker, secondo cui “l'ignoranza e la stupidità hanno potere soltanto in un mondo in cui la maggior parte delle persone le riconoscono come proprio linguaggio”. R . – L'ignoranza un tempo era sinonimo di accettazione dei propri limiti, coscienza del non poter andare oltre una certa misura e la si prendeva così com'era. Oggi invece, a mio avviso, va a braccetto con la presunzione, con l'arroganza e con la maleducazione. E questo, a volte, un po' ferisce. Abbiamo in giro troppi ignoranti vestiti da “tuttologi”: sanno tutto e, in realtà, non conoscono proprio niente. Brutta bestia il “tuttologismo” (e scoppia un'altra risata comune, ndr). D . – Proprio vero, Mario. Troppa gente crede di sapere: ma se solo si rendesse conto di sapere di non sapere, forse si potrebbe riuscire a costruire qualcosa nella nostra società. Ma lasciamo i sofismi e torniamo a noi: secondo Longanesi “un'intervista è un articolo rubato”. Cosa le è stato sottratto durante la nostra chiacchierata? R . – No, non mi è stato sottratto niente. C'è stata comunicazione e quando si dice qualcosa, si instaura un meccanismo di “condivisione a metà”. Io le ho detto ciò che mi appartiene, lei lo ha recepito e ci mette del suo: siamo al 50%, caro amico mio. L'importante è che si sia disposti ad ascoltare, come ha fatto lei con me. D . – L'ho ascoltata con piacere, Mario, delineando una chiacchierata che ritraesse il suo stato d'animo e quanto fatto nel tempo con molta passione. Grazie a lei. R . – Alla prossima e buon lavoro. Di cuore. Gianluca Doronzo

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Samya Abbary Novembre 2014


IL PERSONAGGIO IN COPERTINA

Samya Abbary, dalla moda alla sfera attoriale fino alla conduzione, si racconta in una chiacchierata intima e trasversale, rivelando l'amore da diverse stagioni «per il piccolo schermo», fra «Mattino 5» (assieme a Federica Panicucci) e «Mamma, che torta!» (La5, ogni sabato, ore 15.40), col desiderio di tornare «ad interpretare presto fiction o film, in un bel ruolo»

«Quella per la cucina è una passione che ho da sempre: in tv sono come a casa, pronta a donare suggerimenti, sorrisi, affetto e tanta voglia di sincerità»

Il segreto del successo di Samya? Essere “semplicemente se stessa, genuina e familiare”, creando una sana empatia col pubblico, “prendendolo per la gola”. Fra una risata e l'altra, rivelando un'autentica sincerità (qualità rara fra le sue colleghe), la Abbary chiacchiera amabilmente al telefono, raccontando quanto fatto finora (dalla moda alla sfera attoriale, fino alla conduzione), avendo reso la sua “passione per la cucina” un vero e proprio lavoro. Da cinque stagioni fra i protagonisti di “Mattino 5”, con una rubrica tutta sua, dedicata alle “ricette del giorno”, (e un pizzico di seduzione), ha saputo pian piano farsi strada nel cuore degli spettatori (tanto da scrivere un libro nel 2012 per la Mondadori), moltiplicando gli impegni come accaduto dal 22 novembre, alla guida di “Mamma, che torta!” su La5 (ore 15.40), accanto allo chef pasticciere Alessandro Capotosti, fra divertimento e tanta voglia di fare “del sano piccolo schermo, con persone comuni”. A voi il ritratto di una “bella persona”, col desiderio “di tornare un giorno a recitare, magari in una fiction o in un film”. Produttori, cosa state aspettando? Domanda – Samya, dalla moda ha spaziato negli anni nella sfera attoriale e conduzione, dando vita ad un percorso ricco di avventure gratificanti: a che punto sente di essere oggi? Risposta – Io definirei il mio un percorso piacevole, molto interessante, ricco di conquiste avvenute pian piano: in fondo, se nella vita non ci si dà da fare, perseguendo la costanza e la fatica, non credo si possano raggiungere buoni obiettivi. Per questo io ho cercato di impegnarmi al massimo, in qualsiasi ambito. Ho iniziato diciottenne nel mondo della moda: dopo 11 anni di vita a Milano, mi sono trasferita a Roma dove ho studiato recitazione, facendo successivamente fiction e cinema. La passione per la cucina mi ha portato, in un secondo momento, a vivere 5 anni fa l'esperienza de “Le ricette di Samya” all'interno di “Mattino 5”. Da allora siamo arrivati ad oggi, andando in onda, dal lunedì al venerdì, con un ottimo riscontro di pubblico. Il mio intento è stato quello di rendere “la cucina seduzione”, non solo nei confronti del proprio compagno, ma verso gli affetti e i cari, in generale. Stare a tavola assieme, preparare cibi per le persone che ci stanno accanto, a mio avviso, è un grande atto d'amore. Prenderle per la gola, per così dire, è la mia arma vincente (e ride, ndr). Tutto ciò mi ha portato ad avere una certa immagine della donna, creando anche e soprattutto immedesimazione nelle signore che mi guardano: ho sempre un pensiero per chi mi segue, un suggerimento pronto e una sana voglia di stare in video. Non è un caso che il mio “viaggio in tv” oggi si sia arricchito anche della nuova avventura di “Mamma, che torta!” su La5, con protagoniste donne comuni e i loro figli, fra simpatia, humour e tante prelibatezze. Ne sono entusiasta. A me quello della conduzione televisiva è un mondo che piace tanto, mi sento realizzata e, soprattutto, so di ricevere molto affetto da chi è a casa. Un dono impagabile. D . – Quella per la cucina, dunque, è una vera e propria passione per lei. R . – Assolutamente. È una passione, un vero e proprio dono. Io so cucinare di tutto: pensi che quando sono a casa, se mi capita di scoprire una nuova ricetta o di vederla da qualcuno, immediatamente la riproduco. Per la gioia dei miei cari, pronti a gustare i cibi più svariati. D . – Ecco, dunque, spiegato il segreto del suo successo: la

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genuinità dell'essere se stessa, senza mai bluffare. R . – Il pubblico non è stupido, non “ignora”: gli spettatori capiscono la differenza fra chi è vero in tv e chi prende in giro, creandosi un personaggio che non gli appartiene. Io sono me stessa: come nella vita domestica così in tv. Per questo ci si immedesima nei miei programmi. Si respira familiarità. D . – Respirare familiarità: sarebbe bello tornare ad un sano intrattenimento televisivo, in ogni palinsesto che si rispetti. R . – Secondo me si può fare: basta volerlo. Diciamo poi una cosa, che è altrettanto realistica: io lavoro in un'azienda privata, non alla Rai. Se non si facessero i numeri che si realizzano, avrebbero già chiuso il mio spazio. Invece, di anno in anno, da casa sono sempre stati di più gli spettatori e questo ha dimostrato di aver centrato l'obiettivo della veridicità. Oggi più che mai si sono moltiplicati i canali di comunicazione: Internet, i social, YouTube. Si possono scaricare i video anche delle nostre ricette e visitare il sito di Mediaset. C'è molta interazione con chi ci segue e continuità della fruizione. D . – Nel 2012, tra l'altro, lei ha pubblicato per la Mondadori il libro “Le ricette di Samya, in salsa piccante”. Che esperienza è stata? R . – È stata una cosa bellissima: anche se vengo da un altro Paese, ma mi sento italiana a tutti gli effetti, ho scritto un libro nella vostra lingua ed è stato davvero stimolante. Le idee sono state le mie e si è messo a punto profondamente un bel lavoro, di cui ho potuto ritenermi soddisfatta. D . – Che atmosfera si respira a “Mattino 5”? R . – Bella, bella, bella. Federica Panicucci è un'amica, il programma è davvero un contenitore che spazia negli argomenti e il clima che si respira è sereno: stiamo davvero bene tutti assieme, dal primo all'ultimo esponente del cast. C'è uno spirito di squadra: il che non è poco. Di conseguenza la trasmissione non può che andare bene, facendo cifre e share pazzeschi. D . – Nella sua prima risposta ha citato “Mamma, che torta!”, programma in onda dal 22 novembre su La5 alle 15.40. Entriamo più nello specifico: di cosa si tratta? R . – Premesso che siamo alla seconda stagione, per quel che mi riguarda è, però, la prima volta in cui ne sono alla conduzione. Direi innanzitutto che è un programma vero: in primo piano una gara fra mamme e i loro figli. Due squadre a confronto, pronte a preparare torte, i cui ingredienti saranno stati memorizzati proprio dai bambini, che dovranno così consentire alle rispettive madri di realizzare le torte protagoniste della puntata. C'è poi un finale che non le dico, perché lo dovrà scoprire il pubblico. I concorrenti sono persone comuni, non c'è finzione, ma solo genuinità. Bello. D . – Ora: se alla Feuerbach “l'uomo è ciò che mangia”, cosa stiamo fagocitando attualmente in tv? R . – Ah, questa è una domanda impegnativa (e ride, ndr)! Ad un'analisi complessiva, ritengo si stiano vivendo momenti di eccessiva cronaca, seguiti da qualche punta di leggerezza. Di sicuro i canali si sono moltiplicati e, di conseguenza, la scelta per ciascuno si è diversificata: a mio avviso, però, la concorrenza fa bene, perché migliora e non appiattisce. C'è di tutto. Io, personalmente, non amo molto i contesti legati agli aspetti drammatici della nostra quotidianità, fra omicidi e ritrovamenti di cadaveri. Ritengo che sarebbe il caso di puntare maggiormente l'attenzione sui problemi della gente,

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della popolazione, oggi in estrema difficoltà per arrivare a fine mese. E poi, se me lo consente, vorrei meno fiction poliziesche: basta con gli inseguimenti e i generi ritriti. D . – Entriamo, a questo punto, nella sua sfera attoriale: quale personaggio le piacerebbe interpretare oggi? R . – Io vorrei fare un personaggio romantico, magari una

donna che crede ancora all'amore eterno, al calore familiare, alla famiglia. Non mi dispiacerebbe un ruolo, per così dire, a metà fra “Sex and the city” e “Desperate housewives”. D . – Di fiction, comunque, ne ha fatte nella sua carriera, spaziando dal drammatico al leggero fino alla soap. R . – Ne ho fatte, ma non abbastanza come avrei voluto. Purtroppo nelle produzioni c'è crisi e si punta, spesso e volentieri, sugli stessi volti. Ci sono queste “caste” come in America e in politica. E non va bene, perché si dovrebbe dare un'opportunità a tutti. Io, se gliela devo dire tutta, non sono pienamente soddisfatta come attrice, in quanto avrei voluto fare molto di più e ci sarebbero state tante altre cose da interpretare, che non mi hanno consentito di mettere a punto. Come conduttrice, invece, posso esprimerle tutta la mia soddisfazione. La tv mi appaga. D . – Allora, Samya, la conduzione è la cifra che la rappresenta di più, senza alcun dubbio. R . – La conduzione oggi per me va benissimo. È il mio universo e non potrebbe essere altrimenti. D . – Siamo quasi in dirittura d'arrivo: una curiosità. Nel 2009 avrebbe dovuto partecipare al reality “La tribù – Missione d'India” su Canale 5, la cui messa in onda fu cancellata per problemi tecnico-produttivi. Le sarebbe davvero piaciuto esserci? R . – Sarebbe stato bello fare una simile esperienza: si trattava di un reality in India, nel quale dovevamo imparare a pescare, mettendo alla prova le nostre mancanze e il nostro modo di essere. Pensi che gli autori mi avevano scelta anche per il mio non saper nuotare e per gli aspetti buffi che ne sarebbero, eventualmente, venuti fuori, dando un tocco di colore al contesto. Ci penso ancora. D . – Quindi un reality potrebbe essere nelle sue corde? Prenderebbe parte, ad esempio, a “L'Isola dei famosi”, prossimamente su Canale 5? R . – Non si sa mai. Un reality potrebbe essere un'esperienza da vivere, soprattutto per mettere alla prova se stessi e capire quanto si è fortunati ad avere ciò che si ha nella propria quotidianità. D . – Samya, metaforicamente allo specchio: oggi come si rifletterebbe? R . – Una donna matura, consapevole dei propri pregi e anche, ben inteso, dei difetti (e ride, ndr). D . – Longanesi, infine, sosteneva che un'intervista fosse un “articolo rubato”: è d'accordo? Le è stato sottratto qualcosa durante la nostra chiacchierata? R . – No, non sono per nulla d'accordo con Longanesi e, anzi, dalle sue domande ho capito tante cose di lei, pur non conoscendola. Le faccio i miei più vivi complimenti. Davvero bravo. D . – La ringrazio, Samya: io cerco di portare avanti la mia linea editoriale, senza voyeurismo, gossip e riferimenti al privato, ma solo sondando l'animo dell'artista, raccontandone aspetti umani e inediti. Se vogliamo, possiamo fare in modo che le cose cambino, anche e soprattutto nella stampa, dando vita ad una nuova condotta. Nel mio piccolo vado avanti. Grazie a lei. R . – E fa bene. Continui, continui. Io sono con lei e la sostengo con tutta me stessa. Gianluca Doronzo

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Gabriele Greco sta vestendo con successo i panni di «Marcello Colombo» in «Centovetrine» (Canale 5, dal lunedì al venerdì, ore 14.15, oltre 3milioni di spettatori in media col 17% di share), non perdendo di vista il teatro (animando matinée per i ragazzi con un monologo sulla mafia), nuove fiction (sarà nella prossima stagione di «Squadra antimafia») e la musica («a breve potrebbe esserci un singolo, con un video molto bello»)

«Sono tornato alla lunga serialità dopo un periodo di pausa: in questo momento mi sento carico, in una fase di grande creatività»

Sta vivendo un periodo di “grande creatività artistica”. Il suo ritorno in tv è arrivato “al momento giusto, dopo quasi tre anni d'assenza”. E, metaforicamente allo specchio, ecco come si rifletterebbe oggi: “Vedrei bene l'immagine della vacanza. Felice, sotto l'ombrellone, con le pinne e la mia maschera a fare un bel bagno, pensando alla mia Sicilia”. Gabriele Greco è un fiume di simpatia al telefono, manifestando humour e stando dietro alla continua ironia dell'interlocutore, quasi lo conoscesse da sempre. Dal suo “Marcello Colombo” in “Centovetrine” (Canale 5, dal lunedì al venerdì, ore 14.15, oltre 3milioni di spettatori in media col 17% di share) al teatro (“sto facendo dei matinée per le scuole, portando in scena un monologo sulla mafia”), manifesta entusiasmo per essere entrato a far parte della prossima stagione di “Squadra antimafia”, chiosando (dopo aver parlato di “talent” e della sua mancata partecipazione a “Ballando con le stelle” anni fa) con un progetto legato alla musica (“per me una sorta di terapia”): un singolo che, a breve, potrebbe uscire con un video. Che il “Festival di Sanremo” sia nel suo futuro? Domanda – Gabriele, tv, teatro e cinema hanno scandito la sua carriera: in queste settimane è entrato a far parte del cast di “Centovetrine” (Canale 5, dal lunedì al venerdì, ore 14.15, oltre 3milioni di spettatori in media e il 17% di share), vestendo i panni del fascinoso “Marcello Colombo”. Se dovesse fotografare questo momento, cosa le verrebbe da dire immediatamente? Risposta – Sono tornato in tv dopo circa tre anni d'assenza e ho accettato questo personaggio, in quanto volevo nuovamente animare una lunga serialità, come accaduto altre volte in passato. Nel momento in cui mi è stato prospettato, sono rimasto affascinato dalle sue sfaccettature: ha una precisa sensibilità e, pur essendo ritenuto uno sciupafemmine, in realtà si evolve e, soprattutto, cambia registro quando scopre di avere un figlio. Ciò lo fa maturare, sottraendogli un po' quella spensieratezza che è stata a lungo il suo motivo conduttore nella vita. La responsabilità dà modo di far venir fuori una spiccata emotività, riuscendo ad entrare in empatia col pubblico, creando quasi una sorta di tenerezza. Di “Marcello Colombo” mi ha convinto lo spirito, in concomitanza al suo universo. D . – Lei non è nuovo alla soap, intesa come genere televisivo: ha esordito tanti anni fa in “Vivere”. Quali differenze rispetto a “Centovetrine”? R . – Dopo “Vivere” ho fatto tanti lavori in prima serata, spaziando veramente dai registi alle storie raccontate, optando per lavori più brevi rispetto alla lunga serialità, a cui ero stato abituato agli inizi. Il tutto anche per affrontare esperienze più svariate, in quanto a livello artistico sono uno a cui piace darsi completamente e, di conseguenza, se si è troppo presi dal set per andare in onda ogni giorno, si è obbligati a fare delle rinunce. C'è stato, non le nascondo, anche un periodo di crisi, durante il quale mi sono cimentato nella scrittura cinematografica e in altro. Adesso, con “Centovetrine” ho riassaporato il gusto dei lavori lunghi e, per dirgliene una, sono nel nuovo cast di “Squadra antimafia”, che andrà in onda nella prossima stagione, girando nella mia Sicilia. Sono riuscito ad incastrare questi progetti, non perdendo di vista le mie passioni per la musica e il teatro, da sempre nel mio dna. Premesso questo, lei mi chiedeva quali fossero le differenze fra

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le due soap interpretate: innanzitutto ne conosco i ritmi di lavorazione e, di conseguenza, sono preparato. “Vivere” aveva dei costi superiori, in quanto i tempi erano differenti. Oggi i prodotti devono fare i conti con la crisi, il risparmio e i tagli: va da sé che si lavora con la consapevolezza di tutte queste peculiarità e si cerca di andare avanti nel migliore dei modi. D . – Bene, ma da un punto di vista attoriale in che fase sente di essere e come vorrebbe potesse proseguire? R . – Questo è un domandone, caro Gianluca. In questo momento mi sento carico: quello che si fa è sempre un grande percorso e le parlo proprio a livello artistico, anche di una cifra mia, personale. Prima le dicevo di “Squadra antimafia”: io, ad esempio, mi sto molto divertendo ad interpretare un personaggio che parla siciliano, la mia lingua d'origine. Quindi non posso che dichiararle quanto segue: sono in un periodo di grande creatività. Pensi che da bambino mi vedevo come un concertista di pianoforte, essendo stata la musica parte integrante della mia formazione: i sogni sono una cosa, ma poi non è detto che si perseguano e si realizzino, così come ci si è auspicati. Magari ci troviamo dinanzi a situazioni, che non ci saremmo mai aspettati. Ed io ho puntualmente cercato di dare il meglio di me, forgiando la mia anima d'attore. D . – Migliorare è sempre un principio da preservare, in qualsiasi ambito professionale: è sinonimo di umiltà, crescita e messa in discussione. R . – Concordo. Diciamo che per ciascuno di noi ci sono delle prove da superare, alle quali la vita ci sottopone. Ad esempio, teatralmente parlando, sono contento di fare dei matinée nelle scuole, proponendo ai ragazzi un monologo sulla mafia, motivando la riflessione e incuriosendo le nuove generazioni.

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Per noi attori ogni giorno è una grande prova, una sfida enorme, quasi fossimo elementi di un giudizio di cui fare tesoro. D . – Il monologo, dunque, è una forma teatrale che predilige oppure è per la coralità in uno spettacolo? R . – Sinceramente io non sono per il monologo: ogni volta è la sostanza quella che conta e, in merito ai matinée nelle scuole, è l'obiettivo che sta davvero a cuore, in quanto si parla di mafia facendo riflettere. Con i ragazzi c'è sempre il rischio che li si possa far annoiare, quando c'è in ballo il teatro: ci vogliono pazienza, perseveranza e tanto bisogno di coinvolgimento, per dare loro degli elementi sui quali arricchire il proprio pensiero. D . – Visto che abbiamo affrontato il tema del teatro, le faccio una domanda rivolta ad altri suoi colleghi di soap in questi mesi: spesso c'è un pregiudizio in chi le anima, in quanto si ritiene siano prodotti di serie b. Invece gran parte della formazione degli attori di “Centovetrine” e “Un posto al sole”, ad esempio, è dettata da studi accademici, come avveniva un tempo con gli interpreti degli sceneggiati d'autore. Un valore aggiunto, no? R . – A mio avviso è vero che il teatro e la tv possano sposarsi, ma di sicuro il palco ti impone una gestualità diversa. Nelle soap magari, spesso e volentieri, ci sono delle grandi talentuosità che andrebbero bene per il cinema, ad esempio, o per altre forme espressive. Ma di sicuro il grande schermo ha dei ritmi e dei diktat differenti dalla tv, mentre una soap ha l'obbligo di arrivare a tutti, in maniera immediata, senza filtri o sovrastrutture. Ci sono verità e verità, anche in merito all'utilizzo della voce: io credo, in tutta onestà, che ogni forma artistica meriti la propria attenzione e vada vissuta, senza


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alcun tipo di pregiudizio. Gli attori sono tali a prescindere, declinandosi a seconda dei mezzi che scelgono per esprimersi. Io non farei alcun tipo di ghettizzazione, ma sta di fatto che il teatro rimane una forma espressiva superiore rispetto alle altre. D . – Anche perché a teatro si evincono le vere prove d'attore. R . – Esatto: un attore dal vivo, con la pulizia della voce, la memoria e l'impegno, dà realmente prova delle sue capacità, senza filtri o bluff. D . – Veniamo ad un altro aspetto della sua personalità: la musica. Nel 2008 ha dato vita al suo primo cd, dal titolo “Una sola parola”, arrangiato dagli Arancia Sonora di Mario Venuti che, ironia della sorte, è il personaggio di copertina di questa edizione di “Che spettacolo”. Mi interessava capire che esperienza fosse stata la pubblicazione di un disco e, in secondo luogo, vorrei sapere cosa rappresenti la musica nel suo “poliedrico universo”. R . – La musica per me è una sorta di terapia, una sfida con me stesso, è come un puzzle che mi completa, al di là dell'aspetto manageriale, legato al business e al profitto. A me interessa a livello umano, in quanto fino ad oggi ho solo investito su me stesso, senza guadagnarci in una simile direzione. Il disco di cui lei ha parlato è stato prodotto dall'etichetta mia e di mio fratello e, diciamo pure la verità, che fino in fondo il lavoro non è mai uscito, se non in Internet ma senza promuoverlo. Io ho voluto comunicare un'emozione, che racchiudesse quanto da me scritto dal 2003 al 2007, solo ed esclusivamente per me. Come dire: avevo il bisogno, l'urgenza espressiva, di fissare uno stato d'animo che mi rappresentasse. Adesso, a distanza di un po' di anni, ho un progetto che vorrei tirare fuori nell'arco di un mese, un mese e mezzo, con un videoclip, ma non le anticipo niente, così magari ci sentiamo prossimamente (e ride, ndr). D . – Con piacere, Gabriele. Sono a sua disposizione. R . – La ringrazio, lei è molto gentile. Sa, a me quello che interessa è riuscire a regalare emozioni al pubblico: ritengo sia, allo stesso tempo, una grande responsabilità e fortuna. Mi piace donare un sorriso. Non le nascondo che in questo Paese bizzarro non è facile tutto ciò, in quanto ci deprimono spesso con la crisi, col farci vedere tutto nero e via dicendo. Ma noi giovani non dobbiamo demordere, dando il meglio in quello che facciamo. Qualcosa accadrà. D . – Parteciperebbe mai ad un programma come “Tale e quale show”, ad esempio? R . – In quel caso si parla di divertimento, di ironia, di fare delle imitazioni di cantanti e di intrattenimento. Chissà: mai dire mai. Per il momento vivo la mia musica, raccontando la mia sfera intima ed emozionale. Questo mi fa stare bene. D . – E “Sanremo” potrebbe essere nei suoi progetti? R . – (Dopo una risata, ndr) Ci proverei, perché no? Mai dire mai anche in questa direzione. D . – Qual è, Gabriele, il suo punto di vista sui “talent”? R . – I “talent” sono una forma d'intrattenimento, ormai diffusa in ogni palinsesto che si rispetti. Anni fa, ad esempio, mi proposero di partecipare a “Ballando con le stelle” ma, per una mia questione caratteriale, non se ne fece più nulla. Sa: ci sono momenti nei quali mi butterei anche nelle imprese più folli ed altri nei quali rimarrei sulle mie posizioni. Farmi partecipare ad un “talent” sarebbe un po' una forzatura. Anche

“L'Isola dei famosi” è un contesto estremo, ma affascinante, nel quale magari un giorno mi ci “vedrei”. D . – Caro Gabriele, allora me lo poteva dire prima: stiamo lanciando due scoop. Lei parteciperà alle prossime edizioni del “Festival di Sanremo” e de “L'Isola dei famosi”, senza dirci nulla? R . – (Dopo una risata comune, ndr) Esatto, ha visto, volevo nasconderglielo, ma lei mi ha scoperto. D . – (Conclusa l'ennesima risata, ndr) Scherziamo, scherziamo, tanto non costa nulla una sana risata di questi tempi. R . – Proprio prima le dicevo della volontà e del bisogno di regalare al pubblico “un sano sorriso”: noi, con tanta ironia, lo stiamo facendo anche in questa chiacchierata. Però, tornando al discorso “talent”, mi proposero davvero “Ballando con le stelle” tanti anni fa, solo che gli aspetti legati al farsi vedere come persona, con le ricostruzioni dei filmati delle prove, non si avvicinavano alla mia riservatezza. E non andò in porto la cosa, visto che anche Milly Carlucci se ne rese conto. Ad esempio, le ragazze per strada mi fermano innamoratissime dell'attore che ha interpretato “Luca Canale” a “Vivere” o del personaggio in “Una sera di ottobre” con Vanessa Hessler. Ma che ne sanno di me veramente? Non mi conoscono e non sanno chi sia a livello privato. Io rimango nel mio guscio, senza “talent”. D . – E avere talento cosa vuol dire? R . – Significa nascere con una predisposizione, investire su se stessi e andare di pari passo con l'intelligenza: senza non si costruisce proprio niente. Una grande capacità in una disciplina da sola non basta, se non supportata da molte altre componenti. D . – Come vorrebbe potesse proseguire il suo percorso? R . – Ho vissuto un anno bello e intenso fra “Centovetrine”, le riprese della nuova serie di “Squadra antimafia” e molto altro. Mi piacerebbe divertirmi facendo l'attore, col fardello di esperienze maturate anche in maniera un po' pazza. Finora ho fatto tante cose, ma non ho mai percepito il preciso polso della situazione del mio itinerario artistico. Vorrei continuare a viaggiare, senza confini. D . – Metaforicamente allo specchio, oggi come si rifletterebbe Gabriele? R . – Vedrei l'immagine della vacanza. Felice, sotto l'ombrellone, con le pinne e la mia maschera a fare un bel bagno, pensando alla mia Sicilia, soprattutto grazie alle riprese di “Squadra antimafia”. Ha presente quel periodo nella vita in cui si sta bene? Beh, io ci sono in questo momento. D . – Ne sono contento. Concludiamo con una massima di Longanesi, secondo cui “un'intervista è un articolo rubato”. Le è stato sottratto qualcosa durante la nostra chiacchierata? R . – No, non mi è stato sottratto nulla. Quando ti racconti regali una tua verità, nel rispetto di quello che sei, sperando che chi ascolta riceva emozioni. Dare qualcosa del proprio intimo non è poco: se si riesce, come accaduto nella nostra bellissima chiacchierata, non si può che essere contenti. Grazie di cuore. D . – Grazie a lei, Gabriele. Ci risentiamo, allora, per i prossimi scoop (e scoppia una risata, ndr). R . – (Conclusa la risata, ndr) Assolutamente. A presto. Gianluca Doronzo

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Incontro «a cuore aperto» con una storica icona della musica leggera italiana, puntualmente fiduciosa nei confronti dei giovani («sono il nostro futuro e non hanno fortuna a vivere in questo periodo»), pronta a ripercorrere i tratti salienti della sua carriera (ricca di successi anche all'estero), con nuovi obiettivi: l'uscita del libro dedicatole da Gianluca Meis, un tour invernale e, magari, una partecipazione al «Festival di Sanremo» di Carlo Conti, segnando la sua rentrée all'«Ariston» dopo 20 anni

Il «magnifico delirio» di Rettore: «Oggi più che mai sono piena di progetti, dando tutta me stessa. Vorrei regalare al pubblico un sorriso, allontanandolo dai tempi bui e tristi che ci circondano»

Ci sono interviste che rimangono nel cuore. Quella con Rettore ne è un esempio: empatica, ricca di spunti di riflessione sui giorni nostri, propositiva verso le nuove generazioni (“bisogna avere fiducia: non è per niente facile il periodo in cui ci si trova a vivere”) e, in fondo in fondo, desiderosa di “donare un sorriso al pubblico, allontanandolo dai brutti eventi che ci circondano”. Per sua stessa ammissione “mamma rock” di tanti ragazzi, ha una simpatia travolgente e proprio in questo periodo, in previsione della ripresa del tour invernale (“Natale sottovoce”), sta mettendo a punto una serie di progetti, con una smodata voglia di guardare al futuro (“chissà che non possa esserci il Festival di Sanremo!”). In un quarantennio di carriera (con un exploit nel '79 con “Splendido splendente”) ha segnato mode, è stata un'autentica avanguardista, ha confezionato successi in tutto il mondo (“ho lavorato tanto in Francia e Germania, ad esempio”), dando un tocco di personalità ad ogni suo pezzo. L'ultimo album, dal titolo “Caduta massi”, è quello “della maturità, anche sa un artista, in senso assoluto, è sempre in croce, alla ricerca di qualcosa”. E il sociologico Gianluca Meis le ha dedicato un libro, uscito il 24 ottobre: “#Rettore – Magnifico delirio” (Vololibero edizioni, 132 pagine, 15 euro), da non intendersi a mo' di “biografia, bensì come scansione del tempo attraverso i suoi testi e dischi”, ripercorrendo stagioni e atmosfere indimenticabili. A voi “il suono” di un incontro emozionale. Domanda – Signora Rettore, proprio in previsione della nostra intervista, mi è capitato nei giorni scorsi di ascoltare il suo “Capelli sciolti”, presentato al “Festival di Sanremo” nel '74, con cui ha fondamentalmente esordito ben 40 anni fa nel mondo della musica italiana. Risposta – Ah, allora in questa nostra chiacchierata partiamo dalla preistoria (e ride, ndr)? Scherzi a parte, se vogliamo, il mio vero debutto è avvenuto nel '79 col successo di “Splendido splendente” e, per la precisione, poco prima già con “Brivido divino”. L'exploit, in fondo in fondo, in maniera trasversale risale all'album “Donatella Rettore”. Di sicuro so di aver fatto tanto negli anni: pensi che non ho mai contato gli album in totale. D . – Stando alle mie informazioni dovrebbero essere 19, ma il numero potrebbe essere ben più considerevole. R . – Onestamente non li ho mai contati e non ne farò mai un resoconto totale: il bello è che nel tempo ho realizzato tanto, vivendo moltissime emozioni e divertendomi profondamente. Non avrei potuto chiedere di più. Mi creda. D . – Lei ha venduto milioni di dischi, anche all'estero, confezionando riconoscimenti e successi, secondi solo a Mina fra le signore della canzone italiana. Parafrasando il titolo del libro che Gianluca Meis le ha dedicato, il suo è stato un “magnifico delirio”? R . – Io direi che il mio è un “magnifico delirio”: oggi più che mai sono in attività, ben propositiva e disposta a dare ancora il meglio di me. Il mio ultimo album, dal titolo “Caduta massi”, è dal mio punto di vista il migliore di sempre, con una bellissima canzone dedicata al Natale, rivelando tutta l'anima e il mio sentimento. Devo ammettere di aver fatto un bel po' di cose negli ultimi tempi, molto interessanti: non definirei il mio ultimo lavoro quello della maturità, perché un artista in senso assoluto, in fondo, non matura mai ed è sempre “in croce”, sia nel bene che nel male. Però sono soddisfatta di aver lasciato

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una buona traccia di me. D . – Essere “in croce” è un'espressione forte e allo stesso tempo veritiera, non solo per un artista, in quanto rivela l'essere sempre alla ricerca di qualcosa, di un “quid” che possa farlo crescere e migliorare, con curiosità, anche quando si ha un calibro come il suo. R . – Caro Gianluca, guardi che a volte io dico di essere proprio ignorante in alcune cose, nel senso che non conoscendole mi piace scoprirle, approfondirle e arricchirmi di sapere. Ho sete di sapere. D . – Bellissima risposta: ecco la sua grandezza. R . – Grandezza o meno, a me piace continuamente aggiornarmi, per capire tante dinamiche che ci circondano e caratterizzano, in modo da affrontare meglio il futuro. Perché noi dobbiamo essere proiettati verso il futuro. D . – Invece ci sono molti suoi colleghi che non ammettono la necessità di aggiornarsi, rimanendo un po' prigionieri di una sorta di “fissità di maniera”. R . – E questo è un male: non va bene essere fuori tempo massimo. Ci sono troppe persone che se la credono: senza arte, né parte. Bisogna imparare dai giovani, la nostra forza, il nostro futuro. Dobbiamo credere in loro e nelle loro potenzialità. D . – Da quello che sta dicendo, mi viene in mente una massima del drammaturgo britannico Arnold Wesker: “L'ignoranza e la stupidità hanno potere soltanto in un mondo in cui la maggior parte delle persone le riconoscono come proprio linguaggio”. Che ne pensa? R . – Penso che ancora una volta i britannici hanno

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perfettamente ragione: è una cultura che adoro, nella quale mi identifico pienamente, anche da un punto di vista musicale. Non conoscevo la massima, ma la condivido con tutta me stessa. D . – Chiacchierare con lei, signora Rettore, è un estremo piacere. Entriamo, a questo punto, più in profondità nel suo percorso: se lo sarebbe mai aspettato così come si è delineato nel tempo? R . – Dico la verità: mi aspettavo molto. Vedevo tutto “splendido splendente”. Poi, strada facendo, mi sono accorta che ci sono state tante serpi attorno, non essendo così completamente “rose e fiori” il nostro ambiente. Troppi traditori in giro e gente che si prende gioco di te. D . – Proprio vero: i percorsi di ciascuno sono scanditi da continui tradimenti e Giuda Iscariota. R . – Bravissimo: quanti Giuda Iscariota stanno in giro, davvero tanti! Le difficoltà si moltiplicano con questi personaggi in cerca d'autore. Ma noi ce la facciamo comunque. Siamo volitivi. D . – Concordo: non bisogna più permettere a chi vuole approfittare di noi di darci delle fregature. È necessario volersi bene, senza consentire agli altri di farci del male. R . – Gianluca, ha perfettamente ragione. Non bisogna più prendere fregature. Basta. In questo gran momento di difficoltà, soprattutto, si dovrebbe chiedere più altruismo e disponibilità da parte del prossimo, cercando di avere a che fare con le persone, credendo con un po' più di fiducia in quel che si fa. D . – In fondo, un sano ritorno ai valori non potrebbe che farci bene. R . – Basterebbe un po' di cortesia in più, un po' di gentilezza, un sorriso. In molti hanno perso il sorriso: ragazzi, regaliamo un sorriso a chi ci è accanto e di sicuro le cose andranno meglio. Capisco benissimo che i tempi sono quelli che sono e la crisi ci ha devastato: imprenditori si suicidano e in tanti non riescono più a tirare avanti, ma bisogna ascoltarsi e avere la forza di reagire. Mai perdere la forza. Mai. D . – Mai perdere la forza. E a raccontare la sua è stato Gianluca Meis in “# Rettore - Magnifico delirio” (Vololibero edizioni, 132 pagine, 15 euro), uscito il 24 ottobre. Di che si tratta? R . – Non è una biografia, bensì la scansione del tempo attraverso i miei testi, le mie canzoni, i dischi. Si traccia un itinerario ben ricco del mio percorso, grazie alla figura di Gianluca Meis, che oggi è un sociologo molto affermato e preparato. Ve lo consiglio. Dovete leggerlo. D . – Lo faremo, lo faremo. Qual è il suo punto di vista sulla musica italiana oggi? R . – In questo momento c'è una grande confusione nella musica: è brutta. Io devo andare a cercare il bello, che è pochissimo, altrove rispetto agli scenari mediatici soliti. Ci sono tantissimi ragazzi, molto promettenti, pieni di idee, ma spesso in difficoltà nel venire fuori e nel farsi notare. Li si deve aiutare. Bisogna farli emergere. D . – Oggi c'è il dominio dei cosiddetti “talent show”: che ne pensa? R . – Spero che questi “talent” prima o poi finiscano: ne vengono fuori uno, due artisti, al massimo tre. Ma quanti poi finiscono nel dimenticatoio? Se sapesse quante volte mi hanno


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chiamato per far parte delle giurie: ma chi e cosa vado a giudicare io in tv? Ma per favore. I ragazzi devono farsi una gavetta, non spettacolarizzando la tv, ma canalizzandola al meglio per far venire fuori da ciascun concorrente la potenzialità inespressa, che non t'aspetti. E poi, mi domando: perché non fare un “talent” sui cantautori, visto che non s'è mai fatto? Sarebbe bello. D . – Certo, abbiamo lanciato un'idea. R . – Lì sarebbe fantastico fare il coach, parteciparvi e seguire i ragazzi in quello che scrivono, fra testi e musica. Loro devono avere la possibilità di esprimere la propria personalità, senza essere condizionati da altri. Conosco tanti giovani che fanno del punk, rock e jazz d'autore. Tanti. D . – Davvero per fare cambiare l'andazzo degli eventi, bisognerebbe dare una nuova ventata a quanto sta accadendo. In pochi hanno il coraggio di farlo. R . – In pochi. Sa qual è la verità, Gianluca? Ci siamo dimenticati di Dio. Io no, ancora vivo il Natale come quando avevo 3 anni, esattamente nella maniera in cui mi manifesto nel mio album “Figurine” del 2005. Che bell'atmosfera! D . – Dobbiamo reagire, sempre e comunque. R . – Io penso che l'essere umano abbia la forza di reagire: deve farlo. Ci sta nell'ordine delle cose. D . – Domanda su “Sanremo”: tornerebbe al “Festival” dopo un ventennio d'assenza? R . – Potrebbe esserci un ritorno, potrebbe. Chissà. Mai dire mai. Pare, tra l'altro, che questo sia l'ultimo che fanno: di conseguenza, mi piacerebbe esserci. D . – Sarebbe una gran bella rentrée la sua. R . – Mah, in fondo in fondo tutti rientrano e tornano su quel palco. Dipende dal cast: certo se mettono Pupo e Cristiano Malgioglio, allora sarebbe un altro paio di maniche (e ride, ndr)! D . – Come definire il suo ultimo album, dal titolo “Caduta massi”? R . – Una creatura scatenata, positiva, piena di voglia di vivere, di grande impatto musicale, di cui i giovani dovrebbero essere messi a conoscenza. Il mio ultimo lavoro dimostra quanto ci si possa evolvere, sempre e di più, giorno dopo giorno. Ne abbiamo l'obbligo. D . – Certo che davvero il suo entusiasmo è encomiabile, quasi fosse sempre all'esordio. R . – Io ho lavorato tanto, ma dico davvero tanto. Germania, Francia e chi più ne ha, più ne metta. D . – Cosa vuol dire scrivere canzoni oggi? È da ritenersi ancora una “missione”? Ha un valore sociale? R . – Nel 2005 ho lasciato Roma, in quanto non volevo più essere contaminata da quello che vi accadeva e, soprattutto, avevo bisogno di capire cosa potessi ancora dare alla musica. Estraniandomi, mi sono ascoltata e mi sono messa all'opera in questi anni, scrivendo brani che mi rappresentassero pienamente. D . – Ci vuole anche molto coraggio in tutto questo. R . – Ma è stato fondamentale per me, quasi fossi in una sorta di rinascita. L'ho dovuto e voluto fare. D . – Metaforicamente allo specchio, come si rifletterebbe oggi? R . – Quella che sono adesso, la donna di oggi. Quella di “Eroe”

di 35 anni fa, che è cresciuta e ne ha fatta di strada, con una gran voglia di pensare al futuro. D . – Stupendo il suo pensare al futuro e, soprattutto, è piacevole evincere l'entusiasmo delle sue dichiarazioni rivolte ai giovani. R . – Io sono proprio la mamma rock per eccellenza, per tutti i giovani. Ci sono tanti cinquantenni noiosi e frustrati. Io preferisco i 16enni pieni di entusiasmo, di talento e di aspettative verso il futuro. Basta col definire i nostri ragazzi dei bamboccioni. Hanno forza e determinazione, solo che non è facile per loro. Io, onestamente, non ce l'avrei fatta. No, no, no. D . – Mai rubare i sogni a chi ne ha. R . – Giù le mani dalle nuove generazioni: largo ai giovani e via il vecchiume che ci sovrasta. D . – Secondo Longanesi “un'intervista è un articolo rubato”: cosa le è stato sottratto durante la nostra conversazione? R . – No, non è vero. Longanesi era un editore e, forse forse, voleva proprio pubblicare interviste, piuttosto che altre cose. Di conseguenza si esprimeva in questa maniera. A me non è stato sottratto nulla: io ho bisogno di comunicare e fra di noi c'è stata questa intesa. D . – Grazie, signora Rettore, la custodirò nel mio cuore. R . – Grazie a lei, Gianluca. Forza, vada avanti col suo magazine e porti avanti il coraggio delle sue idee. Adesso, appena metterò giù la cornetta, ascolterò il mio “Natale sottovoce”, che è anche il titolo del mio tour invernale, per continuare a vivere le emozioni che sono state trasmesse nella sua intervista. Gianluca Doronzo

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Tony Colombo Novembre 2014


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È il personaggio del momento: dal neomelodico (ben 23 album all'attivo e concerti «sold out») alla tv, l'escalation di Tony Colombo, fra i protagonisti della decima edizione di «Ballando con le stelle» (Raiuno, ogni sabato, ore 21.15, oltre 4milioni di spettatori in media col 20% di share)

«Ringrazio Milly Carlucci per aver creduto in me: ora mi piacerebbe partecipare al Festival di Sanremo, con un gioiello tirato fuori dal cassetto, scritto da un grande della musica italiana che non c'è più»

Vorrebbe essere “una fresca e credibile promessa della musica italiana”. Ha all'attivo ben 23 album, concerti “sold out” e tanta gavetta: Tony Colombo è il personaggio del momento, grazie alla sua partecipazione a “Ballando con le stelle” (Raiuno, ogni sabato, ore 21.15, oltre 4milioni di spettatori in media e il 20% di share). Esponente della nuova generazione dei “neomelodici” (un termine che non gli sta per nulla stretto, se non quando lo si intende come “razza, quasi ghettizzando la categoria”), ha convinto Milly Carlucci a credere in lui “con i suoi numeri” e, considerando l'ascesa esponenziale delle ultime settimane, davvero sembrerebbe aver fatto centro. Adesso, per consacrarne definitivamente l'escalation, ci vorrebbe una partecipazione al prossimo “Festival di Sanremo” (a dispetto di anni in cui non è stato scelto), con un “gioiello tirato fuori dal cassetto, scritto da un grandissimo cantautore del panorama italiano, purtroppo scomparso”. Chissà che non ci si ritrovi presto, proprio per parlarne! Buona fortuna, Tony. Domanda – In che modo sta vivendo la sua partecipazione a “Ballando con le stelle” (Raiuno, ogni sabato, ore 21.15, oltre 4milioni di spettatori in media e il 20% di share)? Si sentirebbe di formulare un primo bilancio? Risposta – Il bilancio al momento direi che è molto buono: sono contento che Milly Carlucci mi abbia fortemente voluto, dandomi la possibilità di arrivare a milioni di persone ogni sabato. Ha tenuto tantissimo alla mia presenza e non posso che esserle grato. Io sto facendo il meglio e finora direi che posso ritenermi pienamente soddisfatto. Mi sto impegnando a grandi livelli: oserei dire all'80%. Vedremo come proseguirà la mia avventura. D . – Cosa rimane di tutto il bailamme che ha preceduto la sua partecipazione, dapprima mancata e poi reale? R . – Onestamente non mi aspettavo, una volta definito il cast,

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di poter diventare uno dei protagonisti “in corsa”. Ho avuto la possibilità di entrare e non di rientrare, in quanto la mia non è una partecipazione al posto o in sostituzione di qualcuno, ma mi hanno proprio chiamato per gareggiare. Pertanto io sto vivendo ogni puntata al meglio, senza esitazione di sorta. D . – Un commento sul cast e su Milly Carlucci, storica padrona di casa? R . – Il cast è abbastanza completo, su tutti i versanti. A mio avviso ce n'è davvero per tutti i gusti: i ragazzi sono giusti e i ballerini professionisti davvero rappresentano il meglio in Italia, a mio modesto avviso. C'è freschezza, ritmo e spontaneità in ciascuno dei partecipanti. Su Milly cosa vuole che le dica? È la prima signora dello spettacolo italiano ad aver creduto in me, dandomi una visibilità come quella che sto avendo, conoscendo tutti i miei numeri e la gavetta che ho fatto per arrivare fin qui. Non posso, a furia di essere ripetitivo, fare a meno di ringraziarla di cuore per tutto quello che sta facendo per me. D . – Lei ha parlato dei suoi “numeri”: considerando il suo percorso, ne ha molti. Ben 23 album, numerosi concerti sold out e partecipazioni a diverse kermesse: a che punto sente di essere oggi? R . – Nonostante quello che lei ha giustamente detto su di me, io in questo momento sento di essere all'inizio: dopo ben 21 anni di gavetta e attività ininterrotta, credo che ogni giorno sia una nuova scoperta e si sia destinati a ricominciare da capo. Ho i piedi ben saldi per terra e vado avanti concretamente, senza situazioni campate in aria. Con tutto me stesso. D . – A questo punto, per la consacrazione definitiva le mancherebbe solo il “Festival di Sanremo”, a cui ha provato a partecipare diverse volte in passato: no? R . – Sì, è vero: c'ho provato in passato alcune volte, ma non sono stato scelto. Quest'anno sento di avere un gioiello fra le mani, una bellissima canzone scritta da un grandissimo cantautore italiano che non c'è più. Ho tirato fuori dal cassetto una vera chicca: spero vivamente di essere su quel palco magico. D . – E noi glielo auguriamo, Tony: prometta che, se dovesse essere scelto, ci risentiremo in occasione del “Festival”. R . – Assolutamente, promesso: non mi dimentico di chi ha creduto in me e mi sta dando la possibilità di farmi conoscere, attraverso interviste come la sua. D . – Bene, bene. Volevo, a questo punto, farle una domanda: lei è unanimemente considerato un neomelodico. È una definizione che le sta stretta, oppure la condivide senza alcun problema? R . – In questo preciso momento io porto avanti la bandiera della nuova generazione dei neomelodici: di conseguenza, non posso che esserne orgoglioso. Mi dà fastidio magari quando definiscono la mia corrente come una sorta di “razza”, ghettizzandola. In questo senso non sono per nulla dalla parte di chi azzarda un simile pensiero. Io amo essere un cantante napoletano, come lo sono i vari Massimo Ranieri e Pino Daniele, esponenti aulici della nostra terra. Il resto non conta. Men che meno le definizioni. D . – Qual è il suo punto di vista sui “talent show”? R . – I “talent” sono una realtà costruttiva. Io ho fatto un provino per “X Factor” nel lontano 2008, ma ho avuto la sfortuna di ritrovarmi come giudice Simona Ventura che, ad

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onor del vero, non capisce proprio niente di musica. Lei andava alla ricerca della novità alla Giusy Ferreri. In quel momento, purtroppo, ho trovato dinanzi a me una persona sbagliata, che non ha saputo comprendermi. Quando invece i giudici dei “talent” sono persone competenti, le cose vanno diversamente: ad esempio, sto seguendo con passione questa edizione e trovo davvero bravi Morgan, Mika, la Cabello e Fedez, seppur molto giovane. Sicuramente a me oggi piacerebbe far parte di una giuria in un “talent”, mettendo al servizio delle nuove leve la mia esperienza sul campo in più di 20 anni. D . – E avere talento cosa vuol dire? R . – Avere talento significa trasmettere agli altri quello che tu fai e sai, emozionando e coinvolgendo in tutte le sfumature. Vuol dire essere unici, ricchi di personalità: in sostanza avere il fatidico “X Factor”. Credo che in giro ce ne siano molti: bisogna solo capirli e scoprirli, soprattutto, con precise competenze. D . – D'accordo, Tony. Come vorrebbe potesse proseguire il suo percorso, a questo punto? R . – Io vorrei fare “Sanremo”: sarebbe un'esperienza capace di rendermi davvero felice, soprattutto perché ho una canzone davvero intensa, di un grandissimo della musica italiana, purtroppo scomparso. E poi ci sono in ballo tanti progetti: fra tv e musica vedremo quello che potrà accadere. D . – Allo specchio, metaforicamente, come si riflette oggi Tony Colombo? R . – Come un giovane che vuole intraprendere un percorso pulito, ricco di gratificazioni, cercando di dare tanto. Vorrei essere una fresca e credibile promessa della musica italiana: sono un ragazzo che vuole dare il meglio di sé. D . – Longanesi sosteneva che un'intervista fosse “un articolo rubato”: cosa le è stato sottratto, sinceramente, durante questa chiacchierata? R . – Nella sua niente, anzi: mi chiami quando vuole, sono a sua disposizione. In generale, però, credo che Longanesi non avesse proprio tutti i torti, perché in fondo i giornalisti ti s o t t r a g g o n o qu a l c o s a d u r a n t e l e l o r o interviste. D . – Di sicuro a lei, con tutte le polemiche sulla mancata inclusione prima e la partecipazione poi a “Ballando con le stelle”, avranno sottratto “di tutto, di più”. R . – Esatto: prima, durante e, perché no, dopo. Sono, comunque, contento di tutto questo interesse nei miei confronti: faccio circa 8-10 interviste al giorno, segno che davvero “Ballando con le stelle” mi sta dando una chance, da giocarmi profondamente, nel migliore dei modi. Gianluca Doronzo

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Antonella Lo Coco Novembre 2014


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Terza classificata ad «X Factor» nel 2012 (ma vincitrice morale), Antonella Lo Coco è in rotazione radiofonica col singolo «Optional» (per la direzione artistica di Charlie Rapino), frutto di un «viaggio fatto la scorsa primavera», dopo due anni di attività intensa, in attesa dell'uscita del nuovo album (magari con un'incursione al «Festival di Sanremo» 2015)

«Sono stata a Londra per prendermi una pausa, ascoltare me stessa e cercare tante ispirazioni: eccomi pronta a mettere a punto pezzi ad ampio respiro, ricchi di creatività e contaminazioni»

Antonella è “in viaggio”, fra “ispirazione e creatività”. Terza classificata nel 2012 ad “X Factor” (ritenuta, unanimemente, la vincitrice morale), la Lo Coco è una delle giovani e fresche esponenti del pop contemporaneo, alla continua ricerca di contaminazioni sonore. Dopo due anni di “attività intensa”, la scorsa primavera si è presa una pausa, ritrovando se stessa a Londra fino a maturare pezzi come “Optional”, in rotazione radiofonica da qualche settimana, per la direzione artistica di Charlie Rapino. Un nuovo universo nelle sue “voci di dentro”, con la ricchezza di echi incisivi e un respiro internazionale. In attesa, pertanto, che finisca di scrivere i brani del prossimo album, nella speranza di vederla sul palco dell' “Ariston” made in Carlo Conti (“sarebbe il coronamento di un sogno”), ecco un'artista in grado di spaziare nei generi e nelle avventure (“mai dire mai alla tv o al cinema, se dovessero esserci proposte in futuro, dal momento che ne ho avute in passato”). Chapeau. Domanda – Antonella, dal 14 ottobre è in rotazione radiofonica il singolo “Optional”, dal sapore internazionale, frutto di un'ispirazione londinese, in occasione di un viaggio scandito dalla volontà di “fare una pausa e ascoltare musica”: vero? Risposta – Ben detto. Proprio durante la scorsa primavera sono stata a Londra ed ho avuto una serie di input, per ricercare in me stessa nuove ispirazioni e mettermi all'opera per numerosi pezzi. “Optional” ha la direzione artistica del grande Charlie Rapino e davvero mi ha ridato vita, consentendomi di mettermi in discussione, dopo due anni di intenso lavoro, in maniera ininterrotta. Nel mio universo sonoro di sicuro, come ha ribadito lei, c'è un respiro internazionale. Vedremo quello che accadrà in futuro. D . – Lei ha ribadito il concetto di “nuove ispirazioni”: è bello, quasi in maniera letteraria, sentirne parlare in occasione di un viaggio, come se l'artista fosse alla ricerca di sé. R . – Assolutamente. Come le ho già risposto prima, per me gli ultimi due sono stati anni davvero intensi, frenetici e ricchi di avvenimenti, decisamente importanti nel mio percorso. Fermarsi e “respirare il giusto tempo delle cose”, a mio avviso, è una condizione necessaria per rigenerarsi, avere nuovi stimoli, crescere e rimettersi al lavoro. Solo “guardando in me stessa”, distante da tutto e tutti, sono riuscita a capire quale fosse la strada da seguire. D . – A che punto, sinceramente, sente di essere nel suo percorso? R . – Consideriamo che già prima di “X Factor” (nel 2012) io vivevo la musica come la mia dimensione, attraverso “live” (ho aperto anche un concerto di Elisa), una band e molto, ma molto altro. Di conseguenza, la mia carriera era già partita da un bel pezzo. Oggi penso di essere ad un buon punto, ma c'è ancora tanto da fare, dando il meglio di me. Quindi, siccome mi piace guardare verso il futuro, con “Optional” sono sicura che si aprirà una nuova fase del mio itinerario artistico, ricco di sperimentazioni, stimoli e sincerità emozionale. D . – Ha citato “X Factor”: che ricordo ha della sua partecipazione nel 2012, essendosi classificata terza (da molti ritenuta, però, la vincitrice morale)? A suo avviso, oggi il programma è cambiato? R . – Come esperienza assolutamente è stata molto positiva: ho un ottimo ricordo di coach del calibro di Arisa e del

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coreografo Luca Tommassini, fra gli altri. In linea di massima il concetto della trasmissione non è cambiato: a modificarsi sono stati i giudici negli anni e, logicamente, ognuno ha dato una propria impronta nel complesso. Io ancora oggi seguo molto “X Factor”, con passione e coinvolgimento e, di sicuro, il “talent” è una realtà ben radicata nel nostro scenario, un buon trampolino di lancio per tanti che, come me, hanno fatto molta gavetta prima di raggiungere la popolarità. D . – Diciamo che programmi del genere oggi hanno sostituito quello che, un tempo, facevano i cosiddetti talent scout, scoprendo personalità ed esponenti del mondo dello spettacolo nelle serate, nelle manifestazioni e nei “live”. R . – Ben detto. Oggi il “talent” è un momento di passaggio per un giovane emergente, una sorta di occasione, una fase di transizione che ti apre tante porte, se ne hai le capacità complessive. L'importante è considerarlo un punto di partenza e mai d'arrivo. In una simile ottica va benissimo. D . – Secondo lei, cosa vuol dire avere talento? R . – Averne non significa solo essere un esponente artistico ricco di tecnica, virtuosismi e perfezione: vuol dire saper comunicare ed essere speciale in quello che si sa fare. Oggi, ad esempio, col moltiplicarsi dei social, del web e dei canali più disparati di comunicazione, ci si può far conoscere molto bene da un punto di vista personale, dando molteplici dettagli

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rispetto al proprio “dono”. Credo, in tutta onestà, ciò sia un discorso positivo. Va da sé, però, che non basta avere talento per andare avanti: è necessario porsi nuovi obiettivi e misurarsi in più strade, per costruire un sano percorso nel tempo. Ad esempio, come lei ben saprà, io ho fatto anche del cinema, animando un film con Angela Finocchiaro nel 2013. Si è trattato di un'esperienza bellissima, che non avrei mai immaginato. D . – Mi ha preceduto, in quanto avrei voluto chiederle se il cinema potesse essere ancora nel suo futuro. R . – E chissà! Mai dire mai. Non mi precludo alcuna possibilità per quello che verrà. Noi seminiamo. D . – E la tv? Ha vissuto diverse partecipazioni in programmi nelle ultime stagioni. R . – Esatto. Sono stata giurata all'ultima edizione di “Io canto” su Canale 5, rimanendo sempre in tema musicale. Ho partecipato a diverse kermesse e ho affiancato Raul Cremona su Rai5 in una trasmissione. Tutto può accadere. Non mi sento di escludere nulla. D . – A questo punto, però, manca solo il “Festival di Sanremo”: la vedremo nell'edizione targata “Carlo Conti” il prossimo anno? R . – “Sanremo” è un palco che vorrei calcare quanto prima: mi piacerebbe essere in gara, anche per coronare un piccolo


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grande sogno. Incrociamo le dita e speriamo di avere il pezzo giusto per esserci nel 2015. D . – Glielo auguro, Antonella: mi prometta che, se dovesse accadere, ci risentiremo per una chiacchierata. R . – Promesso, promesso (e ride, ndr). D . – Si sarebbe mai aspettata “un viaggio artistico” come quello che ha messo a punto negli anni? R . – Direi che non mi aspettavo tutto quello che ho vissuto, ma ci speravo. Ho cercato di dare il massimo, con tutta me stessa, per essere pronta a vivere quello che sto portando avanti. Per me è stato molto importante non sprecare alcuna occasione, ma esserci per crescere e migliorare, giorno dopo giorno. D . – Fra i colleghi della nuova generazione, chi apprezza maggiormente? R . – Proprio qualche giorno fa ho rilasciato un'intervista per un'emittente romana e ho fatto il nome di Lorenzo Cilembrini, Il Cile: secondo me è un giovane cantautore molto promettente, già affermato nella sua cifra, in grado di raccontare benissimo la sua generazione. Ha qualcosa da dire e non è da tutti. D . – Pensi che è stato proprio uno dei protagonisti del numero scorso di “Che spettacolo”: davvero un ragazzo che si sta facendo strada, ora anche con concerti in Francia.

R . – Verissimo. Condivido quello che dice. D . – Metaforicamente allo specchio, oggi come si riflette Antonella Lo Coco? R . – Sicuramente come un'Antonella più matura: sono molto più consapevole del passato, con una grande carica di determinazione, cercando di dare puntualmente il massimo. Senza risparmiarmi mai. D . – Antonella è “in viaggio” fra “ispirazione e creatività”: ecco, in sintesi, cosa emerge dal suo ritratto. Mi verrebbe quasi da trarne spunto per il titolo del pezzo. R . – Bravo, mi ci ritrovo proprio. Mi piace quello che ha detto. Per me va benissimo. D . – Siamo, purtroppo, ad epilogo: Longanesi sosteneva che un'intervista fosse un “articolo rubato”. Cosa le è stato sottratto durante la nostra chiacchierata? R . – (Conclusa una risata comune, ndr) No, niente. Assolutamente niente. Anzi, mi è stato dato tanto. La ringrazio di cuore. D . – Grazie a lei, Antonella. Sa, Longanesi era un editore e forse, in cuor suo, sperava di pubblicare interviste. R . – Ha ragione (e il tutto si conclude con una sonora risata al telefono, a testimonianza di un bell'incontro da ricordare, ndr). Gianluca Doronzo

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Filippo Graziani Novembre 2014


DA SANREMO AL PREMIO TENCO - UN 2014 CHE NON T'ASPETTI

Periodo ricco di gratificazioni per uno degli esponenti più versatili del panorama leggero italiano (attualmente in radio con «Nove mesi»), figlio del compianto Ivan, entusiasta di ricevere il 6 dicembre all'«Ariston» un prestigioso riconoscimento, in una serata nella quale interverrà, come ospite d'onore, l'illustre David Crosby

«Le cose belle» del 2014 di Filippo Graziani: dal «Festival di Sanremo» alla vittoria del «Premio Tenco» nella sezione «Opera prima (di cantautore)»

“Le cose belle” del 2014 di Filippo Graziani. Dalla partecipazione al “Festival di Sanremo” nella categoria “Giovani”, non c'è stato un attimo di pausa nei mesi di un talentuoso esponente della sfera leggera italiana, figlio del compianto Ivan: tanti “live”, tre singoli radiofonici (l'ultimo dei quali è “Nove mesi”) e una notizia, dal suo punto di vista (ma non dal nostro, alla luce degli evidenti meriti) “davvero inattesa”. La vittoria del “Premio Tenco” nella sezione “Opera prima (di cantautore)”, con una manifestazione che si terrà il 6 dicembre al “Teatro Ariston” (nella fatidica città ligure dei fiori), assieme a David Crosby ospite d'onore. Un riconoscimento che dimostra quanto “dopo aver tanto seminato, si stiano raccogliendo i frutti”, con la consapevolezza che “c'è ancora molta strada da fare, andando puntualmente alla ricerca di nuovi stimoli e contaminazioni”. Convinto della genuinità di firme odierne alla “Benvegnù”, rivela il desiderio di “fare un duetto col rapper Salmo”, formulando un ricordo, a conclusione della chiacchierata, rivolto ad un maestro che ha creduto in lui, scomparso qualche anno fa: Pepi Morgia. Aggiungendo che “è pronto finalmente a planare”, in una chiosa sulla metafora del volo. Domanda – Filippo, sta vivendo un gran bel momento: il 6 dicembre riceverà la prestigiosa “Targa Tenco 2014” nella sezione “Opera prima (di cantautore)” per il disco “Le cose belle”. Emozioni, stati d'animo, attese? Risposta – Innanzitutto ritengo che questo per me sia un periodo di grande raccolta: dopo aver seminato tanto, finalmente si stanno vedendo i frutti di un impegno portato avanti con trasporto e passione. Per quel che mi riguarda, dopo il “Festival di Sanremo” c'è stata un'estate intensa, ricca di “live”, una dimensione che a me piace davvero tanto. Ora sono alle prese con un riconoscimento prestigioso, che testimonia un po' quanto io ci stia mettendo tutto me stesso in quello che faccio, raccontando il mio universo. D . – Se dovessimo fotografare questa fase: a che punto del suo percorso arriva una simile attestazione? R . – Guardi, le dico la verità: mi si dà un premio proprio in un momento in cui sto scrivendo il disco nuovo, con la convinzione di proporre le cose più giuste, nel rispetto del mio percorso. Sono in una fase di grande ispirazione e tutto quello che sta accadendo, ovviamente, mi dà una forte carica. D . – Il 2014 è un anno di notevole fermento per lei: fra l'altro, ha partecipato nella categoria “Giovani” alla scorsa edizione del “Festival di Sanremo”. Che ricordi ha? R . – Ho un ricordo umano bellissimo: ho vissuto la mia gara nella categoria “Giovani”, dando tutto me stesso, senza risparmiarmi. Tra l'altro, ho instaurato un bel rapporto con i miei colleghi: ad esempio, Diodato sta facendo un gran bel percorso e ne sono entusiasta. D . – Assolutamente. Diodato è uno dei giovani talenti sui quali puntare: è stato ospitato, fra l'altro, anche nelle pagine di “Che spettacolo” mesi fa. R . – Bravissimo ragazzo e artista, molto talentuoso. D . – Torniamo a “Sanremo”. R . – Sì, le stavo dicendo che è stata un'esperienza professionale molto bella. L'unica vera nota stonata è nella velocità con la quale ti congedano: tutto ha un ritmo frenetico, senza consentirti un attimo di cognizione di quello che stai facendo. Mi piacerebbe tornare in gara, magari fra i

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“Campioni”, in modo da avere gli spazi e i tempi giusti per esibirmi. D . – Musica e tv: un binomio realizzabile? R . – Musica e tv è un binomio pericoloso: tutto sta nel vedere qual è l'ago della bilancia, ovvero dove la lancetta si sposti. Verso la valorizzazione dei cantanti o verso gli aspetti più legati allo show e all'intrattenimento? A me piacerebbe tornassero trasmissioni come “Top of the pops” e “Taratata”, dove ci si poteva esibire dal vivo, parlando di musica e cantanti. D . – Il suo punto di vista sui “talent”? E cosa vuol dire, realmente, avere talento? R . – Il talento deve avere uno spiccato coraggio di fondo nell'intraprendere una strada: averne vuol dire cercare con tutte le proprie forze di andare avanti, facendo capire che si è in grado di possedere delle potenzialità che altri non hanno. Il tutto all'insegna dell'umiltà. Il “talent” è oggi una di quelle situazioni dove la musica è al servizio della tv: io credo che

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siano due percorsi diversi, non propriamente compatibili. Penso che si debba tornare a fare programmi nei quali le canzoni siano le vere protagoniste, senza pretesti scenici o spettacolari. D . – La musica che fase sta vivendo e verso quali orizzonti ci si sta spingendo? R . – Siamo in un momento in cui c'è di tutto, di più. C'è un'enorme tendenza all'esterofilia. Ho letto tempo fa quanto dichiarato da Roy Paci, in merito al fatto che in Italia fanno passare delle cose, non sempre condivisibili. Ci deve essere, a mio avviso, la possibilità di conquistare il pubblico italiano, facendo apprezzare “le cose belle”, senza che si pensi ad una mia autocitazione (e ride, ndr). Qualsiasi canzone arrivi dagli USA è stupenda, perché la lingua inglese è più musicale e bella. Non va bene così: dobbiamo difendere e salvaguardare maggiormente il nostro patrimonio. D . – A proposito di USA: lei è stato anche a suonare a New


DA SANREMO AL PREMIO TENCO - UN 2014 CHE NON T'ASPETTI

York. Nella sua memoria cosa è rimasto? R . – Ovviamente ho un ricordo meraviglioso. Negli USA ti chiedono di fare le tue cose e sono molto incuriositi dal tuo universo, dal tuo modo di esprimerti e dal tuo suonare dal vivo. Rispettano la tua identità e non vogliono si scimmiotti quello che sei. D . – Essere cantautori oggi cosa vuol dire? R . – Non sono più tempi di rivoluzione, caro amico mio. È, secondo me, un momento mondiale di “rivoluzione” nei social e basta. Io, ad esempio, sto sperando nel nuovo punk e già ci sono delle avvisaglie, ma non sufficienti a crearne una tendenza. Non vedo l'ora che venga fuori un movimento musicale che cambi, avversando la prevedibilità e il solito scenario. La dimensione cantautoriale oggi è commissionata a vari generi: lo è anche il rap, sebbene ci siano alcuni esponenti autorevoli alla Benvegnù, degni esempi di chi ha reso gloriosa la parola nella storia della musica. D . – Con chi le piacerebbe collaborare a questo punto? R . – Ci sono diversi colleghi che stimo: con molti c'è anche un'amicizia. Mi piacerebbe, se gliela devo dire tutta, fare qualcosa col rapper Salmo. Sono in un momento di grandi contaminazioni e vorrei fare un bel pezzo con lui. Chissà che non accada presto! D . – Glielo auguro, Filippo. Con sincerità: nel momento in cui ha messo a punto “Le cose belle”, si sarebbe mai aspettato potesse accadere tutto questo? R . – Ammetto che, alla fine, le aspettative che potevo avere sono state ripagate pienamente da tutti i risultati conseguiti in questi mesi. Le persone, che mi hanno sempre seguito, hanno ben recepito quello che volevo comunicare col mio nuovo lavoro e non posso che esserne soddisfatto. Tutto è avvenuto con amore, anche da parte della critica. Davvero non potrei aggiungere altro. D . – C'è l'insegnamento di un maestro, di cui ha fatto tesoro nel tempo? R . – Sì: si tratta di una persona che non c'è più. È stata la prima a credere nelle mie qualità, facendomi capire cosa volesse dire andare a suonare, fare un concerto e via dicendo. Sto parlando di Pepi Morgia, che ha conosciuto mio padre e tanti altri grandi della musica italiana. Lui mi ha dato una mano, mi ha indicato la via: oggi non posso che essergli riconoscente per la sua verità. D . – Con questo ricordo, caro Filippo, siamo quasi arrivati alla fine della nostra chiacchierata: s'immagini, metaforicamente, allo specchio. In che modo si rifletterebbe oggi? R . – Credo che verrebbe fuori un'immagine più distesa, soprattutto dall'inizio del “Festival di Sanremo” in poi. È un po' come quando si inizia a camminare o volare: sono in quella fase in cui sto planando. Il palco dell' “Ariston” ti porta a fare cose molto in alto, poi scendi un attimo e ti guardi attorno e, ad un certo punto, non puoi che planare. Io mi vedo in questa direzione, essendo semplicemente me stesso. D . – Buon “volo”, Filippo. Infine, Longanesi sosteneva che un'intervista fosse “un articolo rubato”: cosa le è stato sottratto durante questa chiacchierata? R . – No, non mi è stato sottratto niente. Assolutamente. Anzi, mi è stato dato e la ringrazio. Gianluca Doronzo

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Katia Follesa Novembre 2014


HUMOUR E PICCOLO SCHERMO

Ha ironia, ritmo e tanta verve: Katia Follesa è la primadonna del surreale programma di Raidue, in onda il lunedì alle 22.45 circa (con oltre 600mila spettatori in media e il 6% di share), accanto a Nicola Savino, ricordando i fasti de «La grande notte» di Simona Ventura e Gene Gnocchi

«Quanto manca? Sono solo all'inizio del mio viaggio nella conduzione comica: di strada da fare ce n'è ancora molta»

Si sente “solo all'inizio del suo percorso nella conduzione comica”. Ma, in realtà, Katia Follesa di strada ne ha fatta tanta: da 15 anni protagonista del mondo dello spettacolo, sta animando in queste settimane il programma “Quanto manca” (Raidue, ogni lunedì, ore 22.45, oltre 600mila spettatori in media col 6% di share circa), accanto a Nicola Savino, ricordando i fasti de “La grande notte” di Simona Ventura e Gene Gnocchi, dando vita ad uno “spaccato di attualità, in chiave ironica che, alla fine, non è un talk in senso stretto”. Seguace del modello americano d'artista (“versatile, capace di fare tv, teatro e cinema”), convinta che si possa ancora “fare sano intrattenimento sul piccolo schermo”, sostiene che “il talento, come dono di Dio, debba essere supportato da intelligenza e impegno”. E, consapevole di essere diventata “una donna più matura”, oggi non deve ringraziare nessuno, “se non se stessa”, per quello che sta ottenendo. Va da sé che il titolo dell'intervista, a conclusione di una chiacchierata ricca di humour, non possa essere altro che una “doverosa” conseguenza. Domanda – Katia, proviamo a fare un primo bilancio degli ascolti e dei riscontri di “Quanto manca” (Raidue, ogni lunedì, ore 22.45, oltre 600mila spettatori in media col 6% di share): soddisfatta? Se l'aspettava? Risposta – Io direi che il bilancio è decisamente buono: stiamo osando, facendo un programma un po' diverso dal solito, con una cifra innovativa, curiosa e molto accattivante. Spesso siamo andati in onda sul tardi, ottenendo degli ascolti come se fossero da prima serata. Credo non si possa desiderare di più al momento: di strada ce n'è ancora tanta. Non possiamo che impegnarci al meglio, per non deludere mai. D . – In che modo definirebbe la trasmissione? O, meglio, in quale genere si sentirebbe di collocarla? R . – Si tratta di uno spaccato di attualità, in chiave ironica, ma alla fine non è né un talk nel senso stretto, né un contesto propriamente comico. Di sicuro è uno show che assomiglia molto ai fasti de “La grande notte” di Simona Ventura e Gene Gnocchi, in onda anni fa sulla stessa rete, con ottimi ascolti e share. Anche sui social ci stanno apprezzando molto, appurando quanto humour e incisività siano in diretta. D . – Ecco, ha parlato della diretta: una bella sfida per oltre un'ora. R . – Davvero una bella sfida: io ho sempre lavorato tanto nel mio percorso e, onestamente, sono stata pronta agli imprevisti, facendo teatro e tante trasmissioni, anche quando ero in duo con Valeria. Ora con “Quanto manca” sto provando l'ebbrezza dei problemi tecnici che non t'aspetti, dei cambi di scaletta e di tante altre cose che mi stanno forgiando. Ma mi sento bene e mi sono spostata, nelle ultime stagioni, proprio sulla conduzione/comica, dando tutta me stessa e le mie forze, con enorme soddisfazione. Ne sono, onestamente, gratificata. D . – Cosa le piacerebbe, al di là di “Quanto manca”, fare oggi sul piccolo schermo? R . – Le dirò: non escludo mai le cose, in quanto io sono molto legata ad un modello americano d'artista, in grado di spaziare nei generi e nei registri, senza alcuno schematismo. Negli Stati Uniti un comico conduce spettacoli, fa teatro, cinema e molto, ma molto altro. Io vorrei cavalcare quest'onda e vedere dove mi porterà. Ad esempio, mi piacerebbe fare una sit-com: io e mio marito lo scorso anno l'abbiamo fatta per “Super”. Magari

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in una generalista sarebbe un'idea. D . – Lavorare con Nicola Savino com'è? R . – Vivo benissimo il fatto che io possa averlo protagonista di un programma che conduco: da lui c'è tanto da imparare. A “Quelli che il calcio” ha un ascolto pazzesco e fa tv con ritmo, velocità e passione. In “Quanto manca” mi sostiene molto e siamo complici. Un ottimo compagno di viaggio. D . – A che punto del suo percorso sente di essere oggi? R . – Io sono solo all'inizio. Ogni nuova avventura professionale è come se fosse la prima. Adesso sono entrata in Rai, dopo tante esperienze a Mediaset, e le devo confessare di essere stata accolta molto bene, consentendomi di trovarmi a mio agio. Spero di continuare su questa scia, mettendomi puntualmente in discussione con passione, sorrisi e divertimento. D . – In relazione ad un tempo, ritiene che far ridere al femminile sia più difficile rispetto alla cifra maschile? R . – Ora proprio no. Questa è una domanda che, fattami 15 anni fa, all'inizio della mia carriera, poteva avere un'altra risposta. Attualmente penso che le donne abbiano preso piede in tv alla grande, non solo nella comicità, ma a livello di conduzione e molto altro. Un tempo c'era il binomio MinaCarrà, oggi su ogni canale e in ogni palinsesto che si rispetti c'è un volto femminile. Per fortuna, aggiungerei.

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D . – Dal suo punto di vista, avendo citato due icone come la Carrà e Mina, è ancora possibile fare del sano intrattenimento in tv? R . – Sì, si può ancora fare. Il problema è che non si osa. L'unico è Fiorello, il resto sono tutti format estrapolati dall'estero, riadattati secondo il “made in Italy”. Il vero show è quello con l'ospite, con la musica dal vivo, con lo sketch e l'intrattenimento puro. Chissà che, prima o poi, non ci sia un cambiamento di rotta nella nostra tv. D . – E se Carlo Conti la chiamasse sul palco del prossimo “Festival di Sanremo”? R . – Ah, guardi, non lo so. Magari sì, ci andrei. Per una sola puntata. Sembra che davvero il palco dell' “Ariston” faccia paura e sarebbe un'esperienza stimolante, ma ricca di tensione per me. Una mia apparizione l'ho già fatta in passato: adrenalina allo stato puro. D . – Che pensa dei cosiddetti “talent show”? R . – Di sicuro sono una realtà della nostra tv, ormai da un po' di tempo a questa parte. Da “X Factor” a “Masterchef”, ce ne sono davvero per tutti i gusti: a me, dico la verità, piace vedere persone che hanno talento misurarsi in contesti nei quali possano essere valorizzate. È bello conoscere ragazzi, dei quali non si sapeva assolutamente nulla, dietro cui c'era già un percorso. Mi piace vederli emergere nel canto o in un'altra


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disciplina. Adoro il fatto che queste trasmissioni diano una possibilità a chi non avrebbe potuto averla in altra maniera. Il tutto, però, con una prospettiva: nel senso che non basta un'apparizione, ma bisogna sviluppare quello che si sa fare nel tempo, costruendo una sana carriera. Amo voci come quella del ragazzo sardo che fa parte dell'ultima edizione di “X Factor”: da brivido. D . – Avere talento, dunque, che vuol dire? R . – Significa proprio “un dono di Dio”: di conseguenza vuol dire spiccare in una determinata disciplina e farne tesoro, costruendo un sano percorso con intelligenza, passione e tanta voglia di fare. D . – Se a questo punto, metaforicamente, Katia Follesa si dovesse specchiare, quale immagine verrebbe fuori? R . – Verrebbe fuori una donna più consapevole, matura, con una costante vena autoironica, estremamente contenta di quello che sta facendo e realizzando. Nel mio percorso non devo ringraziare nessuno, se non me stessa: sono una che ha studiato tanto, impegnandosi negli anni, cercando di dare il meglio di sé in ogni occasione, senza sprecare mai tempo e chance. Riflettendomi allo specchio, potrei ritenermi soddisfatta, con la convinzione di dover fare ancora molto altro, col massimo e l'umiltà.

D . – Secondo Longanesi “un'intervista è un articolo rubato”: cosa le è stato sottratto durante la nostra chiacchierata, Katia? R . – No, non mi è stato sottratto nulla. Assolutamente. Anzi, ho capito che sono solo all'inizio. D . – Ecco, Katia, mi ha dato lo spunto per il titolo. Ci sarà qualcosa del tipo: “Quanto manca? Sono solo all'inizio” (e scoppia una risata, ndr). R . – (Continuando la risata, ndr) Bravo, ben detto. Non vedo l'ora di leggere il suo pezzo. Gianluca Doronzo

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Giampiero Ingrassia Novembre 2014


MUSICAL - L'INCONTRO

L'eclettico Giampiero Ingrassia da tre stagioni è in primo piano nello spettacolo «Frankenstein junior», accanto a Giulia Ottonello, in tournée dal 15 gennaio al 1° febbraio al «Teatro Della Luna» di Milano, dando vita ad una «gran bella sfida attoriale»

«Festeggio i miei 30 anni di carriera con un musical di successo di Saverio Marconi: torno finalmente a lavorare con la Compagnia della Rancia, con l'amore e l'entusiasmo di sempre»

Ha in sé “un amore smodato per la scena”, manifestando entusiasmo “come se fosse sempre agli esordi”. E, mantenendo questo spirito di sano trasporto verso l'arte, Giampiero Ingrassia in oltre 30 anni è diventato uno dei più stimati e autorevoli protagonisti del mondo dello spettacolo, vantando maestri come Gigi Proietti (“una persona molto ironica e intelligente”). Il musical (al di là delle numerose avventure televisive in fiction e alla conduzione di programmi) di sicuro gli ha dato la possibilità di spaziare nelle discipline: da tre stagioni sta attraversando l'Italia intera con “Frankenstein junior”, della “Compagnia della Rancia”, per la regia di Saverio Marconi (“è stato bello tornare a lavorare assieme”). Ad affiancarlo, fra gli altri, Giulia Ottonello (vincitrice dell'edizione 2002-'03 di “Amici di Maria De Filippi”): dopo una serie di tappe nelle principali città, dal 15 gennaio al 1° febbraio saranno al “Teatro della Luna” di Milano. Da non perdere. Domanda – Giampiero, a che punto del suo percorso è arrivato il musical “Frankenstein junior”? Risposta – Di sicuro in un periodo buono, a coronamento dei miei 30 anni di carriera. Lo spettacolo in sé, quando mi è stato proposto, si è rivelato immediatamente importante per svariate ragioni: innanzitutto perché mi consentiva di tornare a lavorare con la “Compagnia della Rancia” di Saverio Marconi; poi perché il film da cui è tratto è un cult della cinematografia e, non ultimo, per il mio personaggio. In scena io vivo un'escalation di emozioni e stati d'animo: dal riluttante,

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quasi uterino, al passato che si ripresenta, fino alla scoperta dell'amore in Transilvania. Da un punto di vista attoriale è davvero una gran bella sfida. D . – Questo è il terzo anno in cui siete in tournée: vero? R . – Esatto. Siamo al terzo anno e, ovunque siamo andati, abbiamo fatto il pienone, entusiasmando platee e tutti gli ordini dei teatri. Tra l'altro, a seguirci sono anche i fan dell'omonimo film americano: il che costituisce un valore aggiunto nel complesso, no? Non posso, pertanto, che avere grande soddisfazione per un lavoro corale, magistralmente diretto da Saverio Marconi, che ha puntualmente rilasciato dichiarazioni lusinghiere su ogni esponente del cast. D . – Il musical che fase sta attraversando in Italia? R . – Credo sia in un momento floridissimo: ho constatato che davvero si stanno moltiplicando le grandi produzioni, con elementi di enorme talento e bellezza nelle impostazioni. Si è, a mio avviso, alzato il livello dei performer. Noi veniamo dalla commedia di Garinei e Giovannini: siamo i maestri della tradizione musicale a teatro e oggi ci sono tanti, troppi attori italiani ammalati di esterofilia. Dobbiamo valorizzare, a mio avviso, le nostre risorse. Al meglio. D . – A che punto del suo percorso sente di essere, Giampiero? R . – Diciamo che sono più dell'anno e mezzo del “cammin di

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nostra vita” (e ride, ndr). Non ho grandi rimpianti e ho avuto la fortuna di poter scegliere, senza mai forzature o costrizioni. Questi anni sono volati e da quel fatidico momento iniziale, ne sono trascorsi ben 32 di dimensione artistica, fra tournée, tv e tante esperienze memorabili. Spero di mantenere vivo e intatto in me l'entusiasmo di sempre, anche perché quella carica di adrenalina è puntualmente presente nel mio dna: non può mai venire meno. Certo: oggi c'è tanta crisi, ma non dobbiamo disperare. Mi auguro sempre che arrivi la “buona novella”. E non dobbiamo mai, e ribadisco mai, perdere i sogni per il futuro nostro e dei nostri figli. D . – Ad esempio, potrebbe esserci la fiction fra i suoi progetti? R . – Magari! Quando ero più giovane ne ho fatte e me le hanno proposte. A me piacerebbe tanto: chissà che con la sua intervista, non si ricordino di me (e ride ancora una volta, ndr). D . – Vedrà: ci ritroveremo per una chiacchierata molto presto. Volevo farle una domanda: siamo in un'epoca nella quale si parla spesso di talento, anche bistrattando il termine stesso. Cosa vuol dire averne, secondo lei? R . – Avere talento vuol dire essere in possesso del fatidico “fattore x”. È una cosa che si percepisce, venendo fuori in maniera del tutto naturale. Non si può bluffare nella vita: alla fine dei conti, si va avanti per potenzialità e, bene o male, se lo


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si ha veramente, prima o poi si vivranno i sapori della ribalta. D . – E dei “talent show” cosa pensa? R . – I “talent” vanno bene. Io non amo molto i reality alla “Grande Fratello”, dove c'è del voyeurismo. Preferisco i ragazzi che sanno fare qualcosa, che sia ballare o cantare, gareggiando fra di loro, fino a decretare un vincitore. Se la tv serve a scoprire i protagonisti del mondo dello spettacolo del futuro, che ben vengano questi contesti, moltiplicati su ogni rete e presenti in tutti i palinsesti. D . – Anche perché i percorsi si valutano nel tempo e, se non ci si gioca bene le carte del “talent”, si corre il rischio anche di sparire dalla scena, diventando una meteora. R . – Forse c'è questo: chi arriva subito al successo, grazie ad un “talent”, si è perso la fase divertente della gavetta, fatta di sacrifici, tappe da conquistare e trucchi del mestiere. Di sicuro le classifiche italiane sono piene di ragazzi che vengono fuori da simili contesti: non bisogna, però, mai abbassare la guardia ed è necessario andare avanti sempre, a testa alta, dando il meglio di sé. Il tempo darà le opportune risposte.

D . – Se le dico Gigi Proietti, cosa le viene in mente? R . – Gigi è una persona molto ironica e intelligente: durante il suo laboratorio davvero ci ha dato insegnamenti preziosi. Diceva che il nostro mestiere è un gioco, talvolta anche pericoloso. Quando facevo tv, la gente da casa sosteneva che con i miei programmi le facevo compagnia, aiutando a sentirsi meno soli, soprattutto nei momenti di difficoltà e malattia. Questo, secondo me, è il bello della nostra professione: intrattenere, rendendoci utili al prossimo, facendolo sentire protagonista e non semplice spettatore. Quindi, quando lo si fa con delicatezza, non si corrono mai rischi di errore. In questo senso è da intendersi il termine “pericoloso”, dove la linea di demarcazione fra giusto e sbagliato diventa molto, ma molto sottile. D . – Eccoci, Giampiero, purtroppo giunti alla conclusione della nostra chiacchierata: se, metaforicamente, si dovesse specchiare, quale immagine verrebbe fuori oggi? R . – (Dopo una risata, ndr) Penso ad una frase tratta dal “Jesus Christ Superstar”, che fa più o meno così: “Then i was inspired, now i'm sad and tired”. Ovvero: “Un tempo ero ispirato, ora sono triste e stanco”. Scherzi a parte, vedrei l'immagine di una persona che crede ancora profondamente in quello che fa, con tutto l'amore del mondo, fra passione e trasporto. E, a mio avviso, questa è davvero una vittoria. Gianluca Doronzo

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Giulia Ottonello Novembre 2014


MUSICAL - L'INCONTRO

Giulia Ottonello, vincitrice dell'edizione 2002-'03 di «Amici di Maria De Filippi», fa il punto della situazione sui suoi oltre dieci anni trascorsi sul palco, vivendo in questi mesi le emozioni di «Frankenstein junior» accanto a Giampiero Ingrassia (il 4 gennaio al «Teatro Europauditorium» di Bologna, fra l'altro), per la regia di Savero Marconi, con produzione della «Compagnia della Rancia»

«Il musical mi ha dato la possibilità di crescere a livello professionale: in futuro mi vedrei bene anche in un bel film e al Festival di Sanremo»

Giulia ha talento. E il musical è il genere che, maggiormente, le consente di spaziare nelle discipline. Da oltre 12 anni la Ottonello (vincitrice dell'edizione 2002-'03 di “Amici di Maria De Filippi”) è protagonista di tournée di spettacoli di successo, senza mai avere un attimo di pausa. La sua nuova avventura s'intitola “Frankenstein junior”, per la regia di Saverio Marconi, prodotta dalla “Compagnia della Rancia”: la sta vivendo al fianco di Giampiero Ingrassia e da tre stagioni stanno confezionando autentici “sold out”, ovunque vadano (il 4 gennaio sarà la volta del “Teatro Europauditorium” di Bologna). Ma i suoi desideri non si fermano qui: vorrebbe ci fossero in futuro anche il cinema (“magari una bella proposta”) e una partecipazione al “Festival di Sanremo” (“ho provato diverse volte, ma non è ancora avvenuto il mio incontro col palco dell'Ariston”). Il tutto, nonostante in Italia ci siano “crisi e tagli alle produzioni”, con un preciso obiettivo: “fare bene il proprio lavoro”. Domanda – Dal 2004 il musical è diventato il suo motivo conduttore nel mondo dello spettacolo: che bilancio sentirebbe di fare finora? Risposta – Vorrei formulare una piccola premessa: quello che vivo personalmente e ciò che accade in Italia ritengo siano due cose ben diverse. Mi spiego: nel 2004 ho iniziato con “Cantando sotto la pioggia”, assieme alla “Compagnia della Rancia”. Nel tempo ho maturato tantissime esperienze ma, nel nostro Paese, non è facile andare avanti, a causa della crisi, dei tagli nelle produzioni e di quanto non sia tutelata la cultura. A mio avviso, si dovrebbe fare tanto, ma tanto per migliorare l'andazzo delle cose: siamo ricchi di talento, potenzialità e meriti. Bisognerebbe valorizzare tutto questo patrimonio,

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supportando il divertimento in quello che si fa. Noi ci impegniamo di cuore e ce la mettiamo tutta: speriamo che anche dall'alto possa essere pariteticamente così. D . – Da tre anni sta animando la tournée di “Frankenstein junior”: può ritenersi più che soddisfatta, no? R . – Io sono molto felice di questa esperienza e, onestamente, vorrei vedere il nostro lavoro sempre più presente nei teatri italiani. Stiamo portando avanti una tournée splendida, ricca di gratificazioni e applausi: il tutto solo grazie a Saverio Marconi e alla forza della “Compagnia della Rancia”. Con tutti i colleghi di scena si è creato un bellissimo rapporto: siamo diventati un po' come una famiglia. Stupendo. D . – Il musical, dunque, è diventato il suo genere espressivo preferito? R . – Non lo so. Sicuramente è il mondo artistico che finora mi ha dato più spazio, consentendomi di misurarmi in tutte le discipline dello spettacolo: vorrei che continuasse ad essere presente nella mia vita professionale, crescendo giorno dopo giorno. Assieme a tante altre forme, nelle quali mi piacerebbe misurarmi costantemente. D . – Giulia, lei nel 2002-'03 ha vinto l'edizione di “Amici di Maria De Filippi” su Canale 5, dimostrando negli anni quanto il suo sia diventato un percorso di spicco nel panorama italiano. In generale, oggi cosa pensa dei “talent show”? R . – Credo che la concezione dei “talent show” sia legata ad un fatto: chi vi partecipa, ritiene di essere subito proiettato nel mondo dello spettacolo, sotto i riflettori o nell'universo della discografia. Per me “Amici” è stata una bellissima esperienza, ma bisogna rendersi conto che simili contesti rappresentano solo un inizio e non un punto d'arrivo. Va da sé, però, che finalmente i produttori teatrali, ad esempio, si sono svegliati, capendo che possono attingere esponenti dai “talent” per farli lavorare. Bisogna darsi da fare, senza mai sedersi sugli allori. Il successo si conquista nel tempo. D . – E avere talento cosa significa? R . – In ogni ambito della vita credo voglia dire scoprire la propria vocazione, per farne la molla di un preciso percorso, vivendo una spinta emozionale verso qualcosa piuttosto che altro. Con disciplina, pazienza e perseveranza, si costruiscono i sani itinerari nella vita, dando il meglio di sé, non tradendo mai quello che si è e si desidera. Il talento da solo non basta: deve essere accompagnato da numerose componenti e peculiarità. D . – Giusto, Giulia: come vorrebbe potesse proseguire il suo cammino, a questo punto? R . – Andando avanti, facendo quello che sto mettendo in atto ormai da 12 anni a questa parte. Cercando, si spera, di rendere il prossimo partecipe delle mie potenzialità, vivendole pienamente. D . – Andrebbe in gara al prossimo “Festival di Sanremo”, targato Carlo Conti? R . – Magari! A me piacerebbe tanto andare al “Festival”: c'ho provato diverse volte, ma non c'è stato verso. Finché non verrò presa, proverò a ripresentarmi. Sarebbe un ulteriore tassello di arricchimento nel mio percorso. D . – Se le dico Caterina Caselli, che mi risponde? R . – Mi viene in mente una discografica, che con me non ha fatto niente, mentre con altri ha portato avanti tanti lavori. Ormai è un personaggio storico e ha saputo aiutare numerosi

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artisti, facendone decollare la carriera. Se mi domanda perché non si è fatto nulla con me, non me lo saprei spiegare. È semplicemente andata così. Ma io vado avanti ugualmente. D . – Il cinema le piacerebbe? R . – Sì, perché no? Io sono molto aperta a qualsiasi tipo di forma artistica: quello cinematografico non è un circuito facilissimo, però mi piacerebbe molto fare dei film, come accaduto con Paolo Ruffini in “Fuga di cervelli”. Speriamo che possa verificarsi una chance nell'immediato. D . – Glielo auguriamo, Giulia. Se, metaforicamente, si

dovesse specchiare, quale immagine rifletterebbe? R . – Ah, boh! Non lo so! Non credo di dovermi vedere io, ma dovrebbero essere gli altri a dirmi come sono. D . – Eh no, il gioco della domanda è nell'indagare su se stessi, guardandosi dentro. R . – Allora le risponderei così: mi vedo come una persona che non si preoccupa troppo di quello che vive e va avanti con fierezza. All'insegna di un preciso obiettivo: fare bene il proprio lavoro. Gianluca Doronzo

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Alessandro Prete Novembre 2014


TV E FICTION - LA CONSACRAZIONE DI UN ATTORE

Alessandro Prete e l'exploit del suo «Bruno Privitera» in «Squadra antimafia» (Canale 5, oltre 4milioni500mila spettatori in media e il 20% di share), con la constatazione di essere diventato «più popolare rispetto al passato e decisamente ricco da un punto di vista professionale», in attesa di mettere in scena «ben tre spettacoli teatrali» all'«Eliseo» di Roma

«Credo che l'arte sia condivisione e non solitudine: ho portato avanti la mia carriera sempre in maniera onesta, spontanea e pulita, non essendo bravo a fare strategie»

Ha portato avanti la sua carriera in maniera “onesta, spontanea e coerente, non essendo bravo a fare strategie”. Dal suo punto di vista “l'arte è condivisione e non isolazionismo”, credendo profondamente nei lavori corali a teatro e nelle lunghe serialità “ben scritte e dirette”. Grazie al suo “Bruno Privitera” è diventato ancora più popolare rispetto al passato, vivendo in “Squadra antimafia” (Canale 5, oltre 4milioni500mila spettatori in media col 20% di share) una delle più “belle stagioni della sua vita”. Alessandro Prete ha all'attivo decenni di gavetta, studio e preparazione (anche con formazione all'estero): oggi ha la calma e la serenità di chi sa di aver fatto tanto, con tutte le proprie possibilità, cogliendo i frutti dell'impegno. Prossimamente protagonista di ben tre spettacoli all' “Eliseo” di Roma (“cosa mai accaduta”), consapevole di aver “sposato” il ruolo del cattivo nella fiction italiana (“potrei continuare all'infinito, declinandolo in tutte le sfumature”), sogna maggiori produzioni alla “Gomorra” e “Romanzo criminale”, in modo da valorizzare il “made in Italy”, in antitesi a “dilaganti tendenze esterofile”. Vi sentireste di dargli torto? Domanda – Signor Alessandro, nella sesta serie di “Squadra antimafia” (Canale 5, oltre 4milioni500mila spettatori in media col 20% di share) ha vestito i panni di “Bruno Privitera”, braccio destro del boss mafioso interpretato da Luigi Burruano. Che esperienza è stata e quali emozioni ha vissuto? Risposta – Sicuramente “Squadra antimafia” è una serie popolare che mi ha aiutato sia a livello interpretativo, mettendo a punto un personaggio molto ricco di sfumature, che da un punto di vista personale e artistico. Nel senso che, senza aspettarmelo, ho avuto un'enorme visibilità e una risonanza mediatica notevole, accrescendo la mia sfera attoriale. Sono stato molto felice di essere entrato a far parte di

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TV E FICTION - LA CONSACRAZIONE DI UN ATTORE

questa stagione che, di sicuro, si è arricchita e modificata grazie all'ingresso di numerosi altri protagonisti. A mio avviso, è un buon prodotto basato sulla lunga serialità, senza avere nulla da invidiare a “concorrenti”. Non è facile mantenere un ritmo elevato, all'insegna della qualità, per così tanto tempo. Io non posso che essere contento della popolarità che ne sto ricevendo. Il mio personaggio è rimasto impresso e il pubblico lo ricorderà per sempre, stando agli umori recepiti. D . – Dal suo punto di vista, qual è il segreto del successo di “Squadra antimafia” da così tante stagioni? R . – Artisticamente parlando, credo sia difficile mantenere una qualità spiccata in una serialità lunga e circostanziata da numerosi eventi. Ne sono convinto. Io, se proprio gliela devo dire tutta, penso che il segreto del successo di “Squadra antimafia” sia nella competenza di chi ne scrive la sceneggiatura, di chi lo dirige e, soprattutto, di chi lo interpreta. Ci sono attori capaci, storie che appassionano, trame, azione e suspense. E poi con l'ingresso, di volta in volta, di nuovi personaggi non si può che arricchire l'attesa degli spettatori, in esponenziale aumento. D . – In generale qual è la sua opinione sulla fiction italiana? R . – Secondo me è un po' scaduta rispetto a quanto sia la Rai che Canale 5 proponevano un tempo: mancano un po' quelle vicende alla “Montalbano”, scritte da autori che davvero fanno della letteratura e conoscono le trame da mettere a punto, senza approssimazione e frettolosità. Come dirle, Gianluca: stiamo assistendo ad una sorta di impoverimento di contenuti, che oggettivamente non fa bene ad alcuno. Le lunghe serialità, in particolar modo, deficiano un po' di inventiva e variegata gamma di tematiche. Questo è il mio pensiero in generale, circostanziato dal fatto che, a mio avviso, si tende un po' troppo a “copiare” ciò che accade oltre i nostri confini, importando format e riadattandoli al gusto “made in Italy”. Trovo, però, molto interessanti e sorprendenti novità alla “Gomorra” e “Romanzo criminale”, che si sono fatte strada nelle ultime stagioni. Con simili prodotti si valorizzano i nostri talenti e le potenzialità del territorio, senza necessità di andare “altrove”. D . – Quale ruolo le piacerebbe sostenere oggi in una fiction o, se potesse, cosa vorrebbe scrivere o dirigere? R . – Guardi, se dobbiamo discutere di ruoli, io uno l'ho “sposato” fin dall'inizio della mia carriera televisiva ed è stato quello del cattivo: credo, in tutta onestà, sia un progetto da poter ancora portare avanti, in quanto mi diverte in tutte le sfumature che potrebbe ancora raccontare. Mi auguro, a questo punto, di fare tutti i cattivi d'Italia (e ride, ndr). D . – Se lei ha “sposato” un simile ruolo, di sicuro lo si potrebbe portare avanti ancora a lungo, declinandolo in tutte le sfumature di fondo, visto che ce ne potrebbero essere ancora molte. R . – Assolutamente. Al Pacino per fare tutti i suoi cattivi ha dovuto richiamare alla memoria il “Riccardo III” di Shakespeare: per cui ce n'è ancora tanta di strada da fare (e ci scappa un'altra risata, ndr). D . – La tv ha compiuto i suoi primi 60 anni: essendo la fiction un genere dominante, a suo avviso è ancora un mezzo di comunicazione valido per il mondo dell'intrattenimento? R . – Direi proprio di sì. Anzi, è l'unico e il più importante: non ci potrebbe essere gran parte della comunicazione odierna in

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merito all'intrattenimento senza la tv, anche se si sono moltiplicati i canali di fruizione. Noi abbiamo un gran potere col telecomando: sia la Rai che Mediaset lo sanno benissimo. Di sicuro sarebbe auspicabile ci fosse maggiore qualità, come le dicevo prima in merito alla fiction, ma in fondo siamo un po' tutti conseguenza dello specchio dei tempi e i palinsesti sono spesso dettati dalla velocità, a discapito della riflessione. Grazie al piccolo schermo, ad esempio, “Romanzo criminale” è stato conosciuto in tutto il mondo, così come molti telefilm stranieri sono stati importati da noi. Diciamo che sarebbe bello avere uno scambio con le altre culture, dandosi un po' qualcosa reciprocamente, senza “rubare” idee e principi. Il discorso è che dovremmo avere sceneggiature verosimili, con una linearità e una coerenza che, a dire il vero, latitano spesso e volentieri. Il pubblico non è stupido e in Italia ci vorrebbe un po' più di meritocrazia. Ma è un discorso che sa un tantino di utopia, alla luce di quello che accade sotto gli occhi di tutti. L'importante è non perdere le speranze e rimanere se stessi, senza scendere a compromessi. D . – Il teatro è stato una costante del suo percorso e, ad esempio, in questa stagione avrà ben tre spettacoli in scena all' “Eliseo” di Roma. Quasi un record. R . – Il teatro è per me il vero banco di prova dell'attore: è lo scenario nel quale trovare stimoli, curiosità, sia da interprete che da regista. A me piace molto dirigere e, come giustamente ha anticipato lei, avrò ben tre spettacoli quest'anno all' “Eliseo” di Roma, essendo l'unico in tal senso. Purtroppo, a livello gestionale e contributivo, come istituzione il teatro è spesso strumentalizzato, ma bisognerebbe cambiare un po' l'andazzo degli eventi, non lamentandosi per la mancanza di fondi pubblici, ma rendendo vivo il privato nella produzione, motivandolo ad investire. Non bisogna sempre lagnarsi sullo stato dei nostri politeama in Italia, se poi si fanno conferenze stampa nelle quali, come accaduto a me, non ci sono interlocutori della tua età. Ora, detto questo, la nuova drammaturgia vive ed esiste, ma ci vorrebbe un po' più di coraggio nel mettere a punto le sinergie, non aspettando che qualcosa piova dall'alto. Bisogna mettersi all'opera, non fermandosi mai. D . – Come vorrebbe, Alessandro, potesse proseguire il suo percorso? R . – Esattamente così come sto facendo: in maniera misurata, con la convinzione delle mie scelte, sorridendo delle possibilità che l'esistenza mi dà. Non vorrei mai pentirmi di quello che metto a punto, pertanto vorrei andare avanti con la pulizia della mia onestà intellettuale, fra coinvolgimento e passione. Io cerco di stimolarmi molto da solo in quello che faccio e vorrei fosse, nel mio piccolo, un bell'esempio anche per i miei coetanei, spesso demotivati in quello che mettono a punto. Non mi piace essere una monade, ma vorrei puntualmente creare delle interazioni con chi mi sta accanto. L'arte è condivisione, non isolazionismo. D . – Bene, bene. Siamo alla conclusione della nostra piacevole chiacchierata: s'immagini, metaforicamente, allo specchio. In che maniera si rifletterebbe oggi Alessandro Prete, alla luce delle esperienze maturate? R . – In maniera onesta, spontanea, assolutamente coerente non per causa/effetto, ma perché sono realmente fatto in questa maniera. Io, caro Gianluca, non sono per niente bravo a

fare strategie. Per questo mi sento pulito e sincero con me stesso: e tutto ciò non può far altro che darmi forza e tanta umiltà. Gianluca Doronzo

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Chiara Civello Novembre 2014


L'ANIMA JAZZ DAL SAPORE COSMOPOLITA

Fra soul, bossa nova, jazz e pop, Chiara Civello (a «Sanremo» nel 2012 con «Al posto del mondo») sta attraversando un periodo di grandi impegni: l'uscita del suo ultimo album (prodotto da Nicola Conte) in Giappone; i video dei duetti con Gilberto Gil («Io che non vivo senza te») e Chico Buarque («Io che amo solo te») e il tour invernale, che a dicembre arriverà il 14 all'«Auditorium Parco della Musica» di Roma e il 20 al «Teatro Forma» di Bari

«Mi piacerebbe continuare la mia carriera, seminando canzoni per il mondo: oggi, metaforicamente allo specchio, mi rifletterei come un girasole»

Le piacerebbe continuare la sua carriera “seminando brani per il mondo”. Oggi, se si dovesse riflettere allo specchio, vedrebbe l'immagine di “un girasole”. E magari, dopo l'esperienza vissuta a “Sanremo” nel 2012 con “Al posto del mondo”, se ci fossero le giuste condizioni, “non negherebbe di voler tornare in gara”. Chiara Civello fra soul, bossa nova, jazz e pop, è una delle realtà italiane più note a livello internazionale: non è un caso che il suo ultimo album, dal titolo “Canzoni”, prodotto da Nicola Conte, stia per uscire in Giappone (dove è stata in passato per diversi mesi in classifica). In pieno fermento per il tour invernale (a dicembre sarà il 14 all' “Auditorium Parco della Musica” di Roma e il 20 al “Teatro Forma” di Bari, fra l'altro), vanta collaborazioni con Gilberto Gil (“Io che non vivo senza te”), Chico Buarque (“Io che amo solo te”), Esperanza Spalding e Ana Carolina, a conferma di un percorso scandito da “grandi incontri, passione e creatività”. All'insegna dell'ascolto dell'anima. Domanda – Chiara, un periodo decisamente in ascesa per lei: il 14 novembre ha dato inizio al tour (dove si evinceranno tutte le sue sfumature artistiche, anche da solista); sono online i video dei duetti con Gilberto Gil (“Io che non vivo senza te”) e Chico Buarque (“Io che amo solo te”), mentre il 7 dicembre è prevista l'uscita del suo ultimo album, dal titolo “Canzoni”, in Giappone, con alcuni “live”. Cos'altro volere? Risposta – Io sono molto contenta di quello che mi sta accadendo: non potevo trovare compagnia migliore di Nicola Conte per la produzione del mio disco, “Canzoni”, con cui sto davvero girando il mondo. Con i pezzi che abbiamo messo a punto, con le sonorità e le atmosfere ricreate, è come se fossimo ad un punto d'arrivo nel mio percorso, piuttosto che di partenza. Presa consapevolezza di questo momento, sono pronta per andare avanti verso nuovi orizzonti da scoprire. Io, onestamente, preferisco non avere aspettative nella vita: non me le sono mai poste. Stiamo avendo tantissime attestazioni dall'estero, perché il lavoro che abbiamo messo a punto ha un respiro internazionale. Sono pronta per tutto, con tanto amore del pubblico. D . – Con l'uscita di “Canzoni” è stato messo in evidenza il suo aspetto da interprete, ripercorrendo pezzi che hanno scandito il nostro panorama, dagli Anni '60 ad oggi: un'esperienza nuova per lei? R . – Dopo tanti dischi autoriali, ho avvertito l'esigenza di fare un lavoro del genere, andando a ritroso, fino a scoprire le radici delle nostre melodie, per capire anche meglio la contemporaneità. E non potevo che esserne interprete: era un po' un piccolo sogno nel cassetto che, a dire il vero, credo sia arrivato a realizzarsi proprio nel momento giusto del mio percorso. Era qualcosa di insito in me, finalmente pronto a vedere la luce. D . – Quali attese in virtù dei “live” in Giappone a dicembre? R . – Diciamo che sono emozioni già vissute, in quanto in Giappone ci sono stata tante volte e i miei dischi sono stati anche molte settimane in classifica. Ho girato davvero tanto in questi anni, avendo respirato molte atmosfere estere, dalle quali arricchire il mio bagaglio conoscitivo e musicale. D . – In “Canzoni” oltre a Gilberto Gil e Chico Buarque, figurano collaborazioni con Esperanza Spalding e Ana Carolina, fra gli altri. In base a quale criterio è avvenuta la scelta?

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R . – È stato tutto scandito da un filo relazionale e umano: ciascuno ha un legame con me, in generale, per passate collaborazioni, per condivisioni di terre estere e molto altro. Chico Buarque, ad esempio, parla benissimo l'italiano ed è stato molte volte da noi. Davvero ognuno ha saputo darmi grandi emozioni. D . – Il suo percorso cosmopolita quanto è stato valorizzato nella sua carriera italiana? Secondo lei, lo si è ritenuto un valore aggiunto? R . – Sa, il discorso è molto semplice. Io ho lavorato quasi esclusivamente all'estero, per questo sono arrivata in Italia molto più tardi, soprattutto a livello popolare. Il valore, però, c'è sempre stato ed è stato riconosciuto ogni volta in cui mi sono proposta nella mia terra. Ora sono proiettata all'estero, ma sempre con un occhio vigile all' Italia. D . – Dal suo debutto discografico, circa dieci anni fa, ad oggi come è cambiato l'itinerario artistico? R . – Come sono cambiata io fisicamente, così si è modificato il mio percorso discografico. Tutto è andato di pari passo: ci si è affinati, vivendo nuove esperienze e maturando da ogni punto di vista. I dischi di oggi sono maggiormente consapevoli, con un profondo ascolto della mia interiorità e dell'anima. D . – In che modo definirebbe il suo universo oggi? R . – Mah, le definizioni le lascerei ad altri. Il mio è un universo

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di passione continua, di creatività, di grandi incontri che hanno saputo arricchirmi dandomi tanto, da ogni punto di vista. Un contenuto apparentemente sofisticato non è detto che debba essere sinonimo di fruizione difficile: io oggi ho voglia di ricerca, sperimentazione, di vivere il mio tempo e la mia cifra al meglio, rimanendo fedele a me stessa. D . – Il suo punto di vista sui “talent show”? E cosa, realmente, vuol dire avere talento? R . – In quanto ai “talent” mi sembra siano delle formule di grandissimo successo, proiettate ad un universo televisivo, oggi ritenuto un grande strumento di comunicazione. Allo stesso tempo, però, possono essere dei limiti e delle potenzialità, nel senso che apparire non è tutto e i percorsi si valutano nel tempo, alla lunga. Rispondendo alla seconda parte della sua domanda, le dico che avere talento vuol dire riconoscere un proprio dono, vivendolo e valorizzandolo al meglio, con tutte le forze. D . – Nel 2012 ha partecipato al “Festival di Sanremo” col brano “Al posto del mondo”: che esperienza è stata? La ripeterebbe? R . – Dal mio punto di vista è stata un'avventura nuova e stimolante, che mi ha consentito di ampliare la mia popolarità con un pezzo nel quale ho creduto. Oggi, se ci fosse la canzone giusta, potrei anche tornare in gara sul palco dell' “Ariston”.


L'ANIMA JAZZ DAL SAPORE COSMOPOLITA

Perché no? D . – Chiara, siamo quasi in dirittura d'arrivo nella nostra chiacchierata: come vorrebbe potesse proseguire il suo percorso? R . – Continuando a seminare canzoni per il mondo. Mi piacerebbe davvero tanto. D . – Bello spunto per il titolo della sua intervista: magari mi ci

ispiro. R . – Anche a me piace come idea: la condivido. D . – Infine: s'immagini, metaforicamente, allo specchio. In che modo si rifletterebbe oggi? R . – Beh, mi faccia pensare un attimo. Forse come un girasole. Sì, sì: è una metafora che mi convince. Gianluca Doronzo

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Razza Krasta Novembre 2014


IL RAPPER IN ASCESA

Razza Krasta (vero nome Daniele Cortese), dopo aver maturato esperienze con Paola&Chiara e Santacrew, pubblicherà il 28 novembre l'album «AfteRap», preceduto nelle scorse settimane dai singoli «Luce dal buio» e «Se mai mi penserai», ballad nelle quali si racconta «la vita e tutto quello che succede, nel bene e nel male»

«Fare rap nello scenario odierno significa avere qualcosa da dire agli altri, condividere stati d'animo con rispetto, dedizione e tanta consapevolezza»

“Fare rap nello scenario odierno significa avere qualcosa da dire agli altri, condividere stati d'animo, con rispetto, dedizione e consapevolezza”. Ha le idee ben chiare Daniele Cortese, in arte Razza Krasta, pronto a raccontarsi in un'intervista a tutto tondo (che gli ha sottratto “solo un po' di tempo, restituito sotto forma di un soffio di vita”, per citare Mattia Feltri), tracciando i punti salienti di quanto fatto negli anni (ricordando le collaborazioni con Paola&Chiara e Santacrew, fra l'altro), con la speranza di “continuare a crescere nell'ambito musicale, supportando numerosi artisti, sperimentando sonorità, voci e idee differenti, dando vita a nuovi cocktail del suono”. In uscita il 28 novembre con l'album “AfteRap” (per l'etichetta “Paige Recordings”), attualmente è in rotazione radiofonica col secondo singolo, dal titolo “Se mai mi penserai”, una ballad che ruota attorno “alla vita e ai sentimenti di ogni giorno”. Una domanda: siete curiosi e volete sapere cosa pensi di Moreno, Fedez, Clementino e Caparezza? Non vi resta che immergervi nella lettura: ne rimarrete sorpresi. Domanda – Daniele, in questi giorni è in promozione col secondo singolo (“Se mai mi penserai”), tratto dall'album “AfteRap”, in uscita il 28 novembre, per l'etichetta “Paige Recordings”: si tratta di una ballad che, all'interno della nuova produzione, in quale maniera si colloca? Risposta – Questa è la seconda ballad del disco: la prima è uscita a giugno, col titolo “Luce dal buio”, e sarà presente all'interno del progetto “AfteRap” come bonus track. “Se mai mi penserai” fa parte della miscela di generi presenti nella mia nuova produzione: abbiamo riflettuto molto, assieme alla mia etichetta, su quale dovesse essere il secondo estratto e ci siamo trovati di comune accordo proprio su questa traccia. Il tutto è funzionale a presentare e anticipare il lavoro complessivo: da quanto sto potendo percepire, la direzione credo sia stata quella giusta. D . – Le tematiche affrontate nel suo nuovo lavoro spaziano dal senso della vita (e morte) ai sentimenti come la rabbia, l'amore e la fiducia: quale, dal suo punto di vista, il reale valore della parola in un brano? R . – I brani raccontano un po' la vita, anche se non necessariamente vissuta sulla propria pelle, quello che succede, nel bene e nel male. I testi, composti da parole ovviamente, sono estremamente importanti all'interno di un pezzo: sono proprio le parole a dare un significato differente agli occhi di chi ascolta e legge. La bellezza del rap è proprio questa: poter giocare con le parole, quando si traducono in espressione della passione, diventando una canzone come chiave per arrivare al cuore degli interlocutori. D . – Lei ha dichiarato, a proposito di “AfteRap”, di aver “contaminato il suo genere preferito con stili musicali differenti, come il folk, rock, swing e dance”. Un esempio di chiara e spiccata personalità nel panorama contemporaneo, no? R . – Non saprei se da una scelta stilistica si possa intercettare anche la personalità di un individuo: sono convinto che questa contaminazione possa essere gradita sia a chi è appassionato di rap “classico”, sia a coloro che ascoltano altri generi musicali. Del resto ormai è diventato frequente: siamo abituati a sentire magari anche una piccola strofa rap nei brani di musica pop, dance e via dicendo. Certo l'esperimento di

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IL RAPPER IN ASCESA

matrice swing forse è innovativo da questo punto di vista: a me è piaciuto moltissimo creare simili elementi. Il sapore che avranno i frutti dipenderà dal palato del degustatore. D . – Fare rap oggi cosa vuol dire? R . – Fare rap oggi, come qualsiasi altro genere musicale, se messo a punto con rispetto, studio, dedizione e consapevolezza, significa avere qualcosa da dire agli altri. Un consiglio, una sensazione, un'emozione, una storia, uno stato d'animo, una denuncia: vuol dire condividere. D . – Qual è il suo punto di vista su colleghi come Moreno, Fedez, Clementino e Caparezza, ad esempio? R . – Sono tutti artisti molto bravi, per certi versi neppure comparabili gli uni con gli altri. Non ho mai avuto miti nel panorama musicale, in verità, ma canzoni “mitiche” sicuramente. Ci sono pezzi di Fedez che trovo molto belli e ascolto volentieri, altri non mi piacciono: non sto dicendo, però, che siano brutti, solo che non hanno quel suono o quella tematica che, per riallacciarsi alla domanda precedente, arrivano ad aprire il mio cuore. Stessa cosa dicasi per Clementino: anche lui è sicuramente un validissimo

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rappresentante del panorama partenopeo del rap italiano. Mi ricorda molto “Snoop Dogg” e spero non si offenda, anzi…è un complimentone, a mio avviso. Spesso, però, non riesco a capire nulla dei suoi testi, in quanto in dialetto: di conseguenza non posso apprezzare il brano. Moreno: di questo ragazzo dico poco. Non seguivo il “talent” che gli ha dato la notorietà due anni fa e non conoscevo la sua musica fino al momento in cui mi è stato detto che saremmo stati nello stesso disco di Paola&Chiara, intitolato “Giungla”, in due canzoni differenti. Io ero nel singolo di lancio, “Divertiamoci”, mentre lui in “Tu devi essere pazzo”. Tra l'altro, il brano con le sorelle Iezzi mi è piaciuto molto, ma nonostante tutto non ho approfondito il suo repertorio. In ogni caso se è arrivato dove è arrivato, vuol dire che sa il fatto suo. In ultimo, ma non per importanza, c'è Caparezza: un personaggio, secondo me, geniale, un professionista della musica, dello spettacolo e dell'intrattenimento. Ha un genere che si scolla molto dal rap e a me piace davvero, moltissimo. L'ultimo suo concerto l'ho visto a “casa mia”…ad Agrigento. È stato divertentissimo: lo stimo.


IL RAPPER IN ASCESA

D . – Musicalmente che fase stiamo vivendo? R . – Stiamo vivendo un periodo di confusione, sotto tutti i punti di vista: anche la musica ne risente e rispecchia quanto ho appena detto. Mi capita spesso di sentire composizioni musicali davvero entusiasmanti, voci portentose, ma tematiche, testi e incastri scadenti, venduti comunque come l'oro, spinti dalle radio, in maniera allucinante. Come fossero l'ultima scoperta del secolo, il fenomeno: in realtà è davvero poca cosa. Sì, direi che ci troviamo in un periodo confusionale. D . – Il suo rapporto con i “talent show”? R . – Mi piace ogni tanto passarmi un'oretta davanti alla tv, a guardare qualche “talent”, soprattutto da quando ho visto JAx o Fedez. Il che mi stimola, perché vuol dire che ci saranno delle rime, rapper o aspiranti tali. Purtroppo non ho mai il tempo sufficiente a fermarmi a guardare un programma per intero: quando accade, significa che è finita la giornata di 48 ore e sto per crollare da un momento all'altro. D . – A suo avviso cosa vuol dire avere realmente talento? R . – Essere portati per qualcosa, acquisirne consapevolezza e lavorare per far crescere ogni giorno la propria abilità. Credo sia un dovere, per chi riceve un “dono” o un talento, valorizzarlo al massimo. D . – Parteciperebbe al prossimo “Festival di Sanremo”? R . – Se mi fosse chiesto o proposto, sicuramente. È un'importantissima vetrina, un momento di confronto con tantissimi artisti di calibro grosso e, soprattutto, ti consente di misurarti col gusto della gente. D . – Un ricordo delle esperienze maturate con Paola&Chiara e Santacrew? R . – Beh, i ricordi in Santacrew sono davvero tantissimi. Ho trovato molti amici con questa esperienza ed è stato importante seguire le lezioni di Asso, il producer della Santacrew, che mi ha insegnato come utilizzare i software per fare poi tutto da me. In particolare ho un aneddoto: Nicola, che a casa di Sandra (Miss Simpatia) viene a darmi il buongiorno, portandomi in camera il caffè e tirandomi un gatto addosso! Paola&Chiara è stata un'esperienza nel circuito Pro. Lì si giocava in serie A…una sola parola: divertenti. È stata un'avventura molto significativa, formativa e divertentissima. Il ricordo che ho è il boato dopo la performance al “Festival Show”, quando è stata eseguita per la prima volta in tv “Divertiamoci”. Wow, ragazzi, che emozione! D . – Cosa si auspica possa essere compreso, all'indomani dell'uscita di “AfteRap”? R . – Che fare rap non significa soltanto agitare le mani, per ordinare un bicchiere di birra al bar, oppure vestirsi scimmiottando gli americani e dire “zio e yo e bella, dammi il cinque”. Fare rap vuol dire trasmettere esperienze, emozioni e, soprattutto, fare musica. Bisogna rendersi conto che il rap è al pari di altri generi: merita il suo spazio e la gente lo chiede. D . – In che modo vorrebbe potesse proseguire il suo percorso? R . – Mi piacerebbe continuare a crescere nell'ambito musicale, collaborare con gli artisti sperimentando sonorità, voci e idee differenti, dando vita a nuovi cocktail del suono. D . – S'immagini, metaforicamente, allo specchio: come si rifletterebbe attualmente, alla luce delle esperienze maturate? R . – Credo non molto diverso da quello che ero prima di queste esperienze: non si finisce mai di imparare. Adoro vivere

nuove avventure e crescere sempre di più: fa parte del mio stile di vita. Mi rifletterei, pertanto, pieno di energie e arricchito da quello che ho messo a punto e maturato. Fondamentalmente, però, sono sempre io. D . – Secondo Longanesi “un'intervista è un articolo rubato”: cosa le è stato sottratto durante questa chiacchierata? R . – Le rispondo alla citazione con un'altra di Mattia Feltri: “Questa intervista mi ha sottratto solo un po' di tempo, restituito sotto forma di un soffio di vita”. Gianluca Doronzo

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Le Donatella Novembre 2014


IRONIA E PASSIONE - LE GEMELLE DEL POP

Le gemelle Giulia e Silvia Provvedi, fra le concorrenti di «X Factor 6», sono al lavoro per il nuovo album «tutto in italiano» (dopo gli esordi in inglese), in uscita ad aprile, preceduto da un singolo in collaborazione con Fred De Palma e Two Fingerz

Con Le Donatella il pop si tinge di ironia e atmosfere elettroniche, cercando di cogliere l'attimo, perseguendo la filosofia dello «scarpe diem»

Se si dovessero collocare nel panorama pop, sarebbero nella sfera “alternativa”. Hanno partecipato alla sesta edizione di “X Factor”, avendo come coach Arisa: da un primo album in inglese (“Unpredictable”), stanno ora lavorando ad un secondo “tutto in italiano”, preceduto dal singolo, dalle sfumature ironiche, “Scarpe diem” (featuring Two Fingerz e Fred De Palma). Le gemelle Giulia e Silvia Provvedi, in arte Le Donatella, hanno davvero portato una ventata di freschezza nello scenario sonoro contemporaneo, convinte che avere talento significhi “essere all'altezza della situazione”. Fotografando un momento musicale “un po' di piattume in Italia, con poche novità ad eccezione del rap”, vorrebbero partecipare al “Festival di Sanremo” proponendo il loro universo, ricco di contaminazioni e sapori elettronici. Non perdendo di vista l'immagine “limpida e pulita” di chi, trasferendosi da Modena a Milano, ce la sta mettendo tutta, pur di lasciare una traccia di quello che è e fa. Forza, ragazze! Domanda – A settembre è uscito il nuovo singolo, dal titolo “Scarpe diem”, featuring Fred De Palma e Two Fingerz. Quanto è rappresentativo del vostro universo, in continuo divenire? Risposta – Fondamentalmente noi abbiamo avuto una svolta nel nostro percorso, mettendo a punto un lavoro nel

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IRONIA E PASSIONE - LE GEMELLE DEL POP

quale siamo noi stesse. Si tratta del primo singolo di un disco, a cui ci stiamo dedicando proprio in questo periodo, ricco di sonorità pop-elettroniche, con tanta voglia di raccontarci e avere delle contaminazioni. D . – Rispetto all'album d'esordio (“Unpredictable”), subito dopo l'esperienza vissuta ad “X Factor”, in che modo sentite di essere cambiate? R . – A noi piace molto sperimentare e, dopo “X Factor”, diciamo che abbiamo dato prevalenza alla lingua inglese, con il nostro album d'esordio. Ora stiamo scrivendo in italiano e stiamo cercando di vivere le nostre sonorità, come dirle, ad immagine e somiglianza del nostro essere artiste, senza

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nessun problema o richiamo ad altri. Anche utilizzando la cifra dell'ironia, come accaduto in “Scarpe diem”. D . – In che modo si collocano Le Donatella nel panorama musicale italiano? R . – Diciamo che noi non ci pensiamo, ma dovrebbero essere gli altri a collocarci. Stando alle esperienze vissute finora, forse ci inseriscono in una dimensione da club gay e a noi tutto ciò non dispiace. Di sicuro siamo molto alternative e portiamo avanti la nostra strada, costi quel che costi. D . – Partecipereste al “Festival di Sanremo” di Carlo Conti? R . – Perché no? Qualsiasi cantante crediamo che in Italia ambisca ad esibirsi sul palco dell' “Ariston”: per noi sarebbe un


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onore esserci, proponendo il nostro universo, in tutte le sfumature di fondo. Speriamo possa accadere quanto prima. D . – Un ricordo della vostra presenza ad “X Factor 6” e un commento sulla coach Arisa? R . – Arisa la sentiamo e incontriamo ancora, spesso e volentieri. Le siamo legate: è stato il nostro capitano e ha creduto nelle nostre potenzialità, da subito. Per noi nel programma ha sempre fatto delle ottime scelte artistiche e, in qualsiasi modo sia andata, ci siamo impegnate per non deluderla. “X Factor” ci ha dato la possibilità di essere conosciute dal pubblico televisivo e ne conserviamo un bellissimo ricordo. Ora sta a noi continuare un percorso in crescendo, dando il massimo con i nostri dischi. D . – Ritenete sia cambiato il programma dalla vostra partecipazione? R . – No, non è cambiato: ha un target ben preciso ed è una realtà internazionale. Lo stiamo seguendo e di sicuro abbiamo le nostre preferenze, i nostri gusti rispetto alla scelta di alcuni artisti: va da sé che ognuno è diverso dall'altro, come ogni giudice è differente dall'altro. Luca Tommassini, ad esempio, riteniamo stia facendo davvero un bel lavoro nell'allestimento spettacolare, così come lo ha fatto con noi nella sesta edizione. D . – Dal vostro punto di vista, cosa vuol dire avere talento? R . – Avere talento significa essere all'altezza della situazione. Noi, ad esempio, quando siamo state ad “X Factor”, non abbiamo predicato potenzialità e altro, ma abbiamo sempre sostenuto di esserci state per passione. L'importante è creare la discussione su quello che è il prodotto di un artista: con “Scarpe diem” siamo riuscite a far anche sorridere, parlando di una delusione d'amore alla quale far fronte con lo shopping, che non è la nostra forma di espressione preferita, ma lo è di molte donne che possono riconoscersi in quello che cantiamo. Lavoriamo tanto e ci piace che ci sia un certo riscontro.

D . – Musicalmente che fase sta attraversando l'Italia? R . – Onestamente stiamo passando un periodo generale di piattume: ci sono poche novità e non ci sembra si dia tanto spazio alle sperimentazioni. Come genere, di sicuro, va molto il rap: non è un caso che anche in “Scarpe diem” ci sia stata la partecipazione di un esponente illustre come Fred De Palma. E poi c'è molto pop. Questo ci sembra. D . – Le contaminazioni, dunque, sono il vostro motivo conduttore: vero? R . – Sì, sì. Stiamo concludendo, come le dicevamo prima, il nostro disco, raccontando quello che abbiamo vissuto dai 16 anni fino ad essere 20enni: le delusioni, le risate, le serate in discoteca. Non dimenticando la cifra ironica piena di ritmo che abbiamo messo a punto in “Scarpe diem”. D . – Come vorreste potesse proseguire il vostro percorso? R . – Diciamo che noi, nella nostra testa, abbiamo un percorso ben preciso: dopo “Scarpe diem” vorremmo far uscire un altro singolo, prima della pubblicazione vera e propria dell'album, che avverrà intorno ad aprile. D . – Un album tutto in italiano, del quale c'è già un titolo oppure no? R . – Esatto, tutto in italiano. In quanto al titolo ancora non c'è, ma sarà di sicuro originale e creativo. D . – Se, metaforicamente, vi doveste specchiare, quale immagine verrebbe fuori oggi? R . – Mah, un'immagine pulita e limpida: abbiamo fatto un percorso in crescendo, maturando ogni singola esperienza, cercando di dare il meglio con coerenza. Da Modena ci siamo trasferite a Milano, dove viviamo oggi. Non abbiamo mai perso di vista la nostra cifra e, soprattutto, la determinazione nell'andare avanti. Ci piacerebbe potesse proseguire tutto come in questo momento. Davvero. Gianluca Doronzo

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Luka Zotti Novembre 2014


FRA MUSICA E ARTE - IL TALENTO DA SCOPRIRE

Profondo, originale, con una spiccata personalità: il giovane cantautore di Como (classe ‘77), diplomato in «Chitarra elettrica moderna», parla del suo secondo album (a sette anni dal primo), coltivando in contemporanea la passione per l'arte e la liuteria, dando anche vita al «Sofà Tour», con «live» nelle case delle persone «in una dimensione raccolta»

La catarsi di Luka Zotti in «Forgotten dream», facendo vivere sonoramente «un'evoluzione introspettiva, dalla sofferenza alla luce e gratitudine»

Intimista, originale e ricco di personalità. Luka Zotti è uno dei cantautori (nato a Como, classe '77) più sinceri della sfera contemporanea, in grado di coniugare la passione per la musica con quella “per l'arte e la liuteria”. A sette anni di distanza dal primo, ha pubblicato un nuovo album, dal titolo “Forgotten dream” (distribuzione digitale “Artist First”), nel quale si evince una sorta di catarsi, passando “dalla sofferenza alla luce e gratitudine”, mettendo a punto “ballad atipiche anche nella struttura, con ponti e battute tagliate”. Sicuro che non parteciperà mai al “Festival di Sanremo”, non critico nei confronti dei “talent”(con l'importanza “che non si crei una visione distorta della realtà, avendo i piedi ben saldi per terra”), scrive musiche per le inaugurazioni di mostre e sta animando un'idea rivoluzionaria: il “Sofà Tour”. Ovvero: “Portare concerti nelle case delle persone, permettendo loro di trovare, attraverso la condivisione e l'accoglienza, una nuova consapevolezza”. E il suo sogno continua, rimanendo puntualmente se stesso, “con qualche capello bianco in più” (e una risata). Domanda – Luka, a distanza di sette anni dall'esordio, nel 2014 ha pubblicato il suo secondo album, dal titolo “Forgotten dream”, con una costante nei testi: l'evoluzione di un percorso, “dalla sofferenza alla luce e gratitudine”. Che dire a proposito? Risposta – La ringrazio per quello che ha dichiarato: le sue constatazioni mi lusingano. Sono trascorsi ben sette anni dal mio precedente lavoro e le assicuro che non era minimamente in previsione il mio “Forgotten dream”. In tutto questo lasso di tempo mi sono sempre dedicato alla musica, mettendo a punto anche alcune collaborazioni: poi, in seguito ad un sogno, ho deciso di elaborare un disco che potesse essere ricco di messaggi e speranza per gli altri, ma soprattutto di grande catarsi per me. Dopo un periodo di buio, ho riscoperto la luce ed ora eccoci qui a parlarne. D . – Fin dagli Anni '90 la musica ha fatto parte integrante della sua vita: nel tempo l'ha puntualmente arricchita di precisione, sincerità e pulizia. In “Forgotten dream” ha avuto luogo la catarsi. R . – Esatto, bravo. Era proprio quello che volevo. D . – Il suo universo quali cambiamenti ha subito nel tempo? R . – Sicuramente ho iniziato con delle sperimentazioni, animando un rock psichedelico. Sono andato alla ricerca di sonorità, proiettandomi oltre il prevedibile della musica. In questo disco sono quasi tutte ballad, cercando di mettere delle battute tagliate, i cosiddetti ponti. Sono passato dal jazz e funky a brani fuori controllo, con strutture un po' storpie, atipiche. Un discorso ricco di fascino, nel quale ho potuto esprimere tutta la mia personalità. D . – Alla base, in fondo, una sana ispirazione. R . – Sì, assolutamente. Penso che la musica (come la scrittura) sia figlia della stessa madre, chiamata ispirazione, appunto. Ogni forma espressiva appartiene all'arte: io vivo tutto quello che mi rappresenta pienamente, a 360°, senza schematismi e distinzioni di sorta. D . – Cosa vuol dire, Luka, avere talento oggi? R . – Il talento è qualcosa di unico, che ti differenzia da tutto il resto che ti circonda: un artista che ne ha, si percepisce lontano un miglio. A mio avviso è necessario avere un equilibrio fra tecnica e spontaneità, donando al pubblico quello che sei, senza mai bluffare. Sicuramente esserne in possesso ti fa

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comprendere di avere qualcosa di diverso dagli altri. Una meraviglia. D . – E cosa pensa dei cosiddetti “talent show”? R . – Partiamo dal presupposto che nella vita ogni esperienza ha la sua utilità, soprattutto per fare cultura e diffondere la conoscenza. Ad esempio, a mio avviso i “talent” hanno la capacità di far conoscere alle nuove generazioni pezzi del passato, facendoli interpretare ai ragazzi. Ciò motiva lo studio, l'andare a ritroso e scoprire le radici della musica. Quando, per dirgliene una, insegnavo, in molti mi chiedevano di fare i pezzi dei Beatles o dei grandi della musica, a loro sconosciuti. Ora, tutto fa bene ma anche male allo stesso tempo: dipende da che tipo di approccio si abbia verso un “talent”. Fra tante stelle comete qualcosa rimane. L'unico problema è il rischio che si possa creare una visione distorta delle cose: gestione palco, amplificazione, culto dell'apparire, soprattutto se si è adolescenti. La realtà è ben diversa e chi vi partecipa deve esserne al corrente, senza farsi grandi illusioni. Per cui se, a mio avviso, preso in questa direzione, in maniera realistica e non illusoria, il “talent” può essere un'esperienza di vita per un cantante, che successivamente si formerà nei “live”. D . – I “live” sono una condizione imprescindibile, come il teatro per un attore. R . – Giustissimo. Ben detto. Senza i “live” non si può fare

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musica. D . – Potrebbe mai esserci il “Festival di Sanremo” nel suo percorso? R . – Sinceramente non credo: innanzitutto perché canto in inglese e il mio non è solo un progetto musicale, ma anche artistico. Ogni tanto trovo qualche edizione felice del “Festival”, con un direttore più aperto alle innovazioni. Ma, in fin dei conti, non è sempre così. Per quel che mi riguarda la vedo difficile. D . – Luka, il suo percorso è trasversale nelle arti, visto che mette a punto delle vere e proprie creazioni anche di strumenti musicali, con impegno e originalità. Da dove nasce questa passione? R . – Sicuramente nella mia vita vorrei continuare a portare avanti sia il discorso musicale che quello artistico: sto amplificando eventi e concerti in galleria; ho scritto musiche per diverse inaugurazioni di mostre e per artisti; lavoro nell'ambito della liuteria. Ho in mente tanti progetti, uno dei quali è molto particolare: mi riferisco all' “house concert”, dimensione che a me piace molto. Vai in casa di persone, con cui c'è davvero un interscambio, in maniera intima e familiare. È già partito il “Sofà Tour” e presto sui sociali e YouTube ci saranno video a proposito. Insomma mi adopero in ogni direzione artistica, senza problemi.


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D . – Originale, davvero originale. Se oggi, metaforicamente, si dovesse specchiare, che immagine verrebbe fuori di Luka Zotti? R . – Sicuramente un uomo con qualche capello bianco in più, sinonimo magari di perla di saggezza (e ride, ndr). Sento, scherzi a parte, che sto crescendo in ogni senso e sto assumendo maggiore consapevolezza in quello che faccio e sono. Sono sempre più contento di questa mia evoluzione. E poi c'è l'aspetto della liuteria, degli strumenti musicali che costruisco per me e per gli altri, con tante soddisfazioni all'attivo. In questo senso ciò che si suona diventa personale e personalizzato: un'esperienza fantastica. D . – Longanesi era convinto che un'intervista fosse “un articolo rubato”: cosa le è stato sottratto durante la nostra chiacchierata? R . – Mi sento di smentire Longanesi. Anzi mi è stato dato, nel senso che avevo in mente delle cose, confermate dalla sua intervista, grazie soprattutto alle sue considerazioni illuminanti sul mio disco. Dal mio punto di vista: obiettivo raggiunto. Gianluca Doronzo

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