Che Spettacolo 2015 - Numero 3 - Maggio Giugno

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Anno III - Numero 3 - Maggio Giugno 2015

Euro 4,50

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Periodico di Musica, TV, Cinema, Teatro e Arte

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il magazine che non t'aspetti (tutti i colori dell'intrattenimento)

Paola Turci e il suo «Io sono», puro manifesto di «rinascita e grande tranquillità», con la consapevolezza di «volersi bene», in un futuro creativo «tutto da scrivere» Sedicesimo album in carriera (con la collaborazione artistica di Federico Dragogna) per una delle cantautrici più apprezzate dalla critica italiana, in un mix di versioni innovative di successi come «Bambini» e brani inediti, rivelando piena maturità espressiva

I TALENTI DAL POP AL SOUL

Nesli Karima

I BELLI DELLA FICTION E TEATRO

Giorgio Tirabassi Daniele Pecci Maggio Giugno 2015 - © RIPRODUZIONE RISERVATA


Anno III - Numero 3 - Mag Giu 2015 FONDATORE, DIRETTORE EDITORIALE E RESPONSABILE Gianluca Doronzo GRAFICA E IMPAGINAZIONE Benny Maffei - Emmebi - Bari HANNO COLLABORATO Elena Tosi, Marta Falcon, Valentina Marturano, Marcella Chiummo, Raffaella Leva, Alessandra Bosi, Iolanda Guerrieri, Valentina Corna, Silvia Signorelli, Monica Mazzoleni, Alessandra Placidi e Martina Roncoroni. SI RINGRAZIANO Paola Turci, Mario Biondi, Irene Grandi, Nesli, Karima, Dodi Battaglia, Lucilla Agosti, Giorgio Tirabassi, Corinne Clery, Daniele Pecci, Barbara Bouchet, Kledi Kadiu, Linda Collini, Luca Madonia, Rakele e Pallante per le interviste concesse; gli uffici stampa Rai, Mediaset e La5 per i contatti; Ilaria Magliocchetti per gli scatti di Paola Turci, Ale Fonta Run per quelli di Mario Biondi e Stefania Vanni Art Carto per Irene Grandi; Chiara Mirelli per le foto di Nesli; Cristian Dossena per il primo piano di Dodi Battaglia; Matteo Nardone per il racconto visivo di “Amleto” di Daniele Pecci; “Warner Music”; “Parole & Dintorni”; “OTRlive”; “Notoria”; “Delfuego Artist Management” e “Red&Blue”. INDIRIZZO REDAZIONE Via Monfalcone, 24 – Bari gianlucadoronzo@libero.it tel. 347/4072524 FACEBOOK E la notte un sogno Autorizzazione del Tribunale di Bari n. 16 del 26/09/2013 © RIPRODUZIONE RISERVATA

E con l'arrivo dell'estate “il colore” diventa protagonista di ben 72 pagine “che non t'aspetti”. Ebbene sì, cari amici e lettori: per l'edizione di maggiogiugno mi sono messo all'opera per settimane, davvero per regalar vi incontri esclusivi con personaggi di grande impatto nell'ambito della tv, musica, teatro, cinema, danza e letteratura. Facendone venire fuori “ritratti atipici”, all'insegna di una costante: il sorriso, l'umanità e l'empatia. Una “triplice alleanza” che a me piace tanto e, in tutta onestà, spero di condividerla con voi. Otto donne e altrettanti uomini, in grado di arricchire il prestigio di chi li ha preceduti, a mio avviso, nei sedici numeri stampati: una piccola, enorme vittoria, col coraggio di essere puntualmente “fuori dal coro”, rimanendo fedele alla mia coerenza. Senza compromesso alcuno. Spazio, dunque, al ritorno sulle scene di Paola Turci, da 30 anni primadonna della sfera cantautoriale italiana: ho voluto dedicarle la copertina, in occasione dell'uscita dell'album “Io sono” (subito nella top ten), animando una chiacchierata molto intima, descrivendone chiaroscuri esistenziali e spessore della parola. Mi auguro possiate “gustare” ogni sua dichiarazione, andando anche a vederla in concerto in questi mesi. A seguire Mario Biondi, in vetta alle classifiche col suo “Beyond”, autorevole e molto disponibile nei confronti di un giornalista che, ad onor del vero, intervista dopo intervista sta arricchendo il suo bagaglio emozionale. E, mantenendo fede alla triplice “cover” (mia trovata che, ormai, sta dilagando nei settimanali e periodici vari), ho deciso in ultimo di puntare su Irene Grandi, capace di “reinventarsi” (come piace a me) con il suo “Un vento senza nome”, vivendo un tour di successo e consensi trasversali, rivelandosi nel pieno della maturità. Ma siamo solo all'inizio: pagina dopo pagina “incontrerete” attraverso i miei occhi idoli del momento come Nesli (il suo “Andrà tutto bene tour” sta conquistando il Belpaese, nel passaggio dal rap al pop), Karima (un'anima vocale che in “Close to you” omaggia Bacharach come non mai, esaudendo “un sogno nel cassetto da ben 11 anni a questa parte”) e Dodi Battaglia, storico esponente dei Pooh, alle prese col terzo lavoro da solista, intitolato “Dov'è andata la musica”, in collaborazione con Tommy Emmanuel. Sul versante piccolo schermo ho selezionato professionisti del calibro di Lucilla Agosti (alla conduzione di “Donna moderna live” su La5, dal lunedì al venerdì, ore 18.50) e Giorgio Tirabassi nei panni di “Ardenzi” in “Squadra mobile” (Canale 5, ogni lunedì, ore 21.10, oltre 4milioni di spettatori in media e il 18% di share). Corinne Clery, Barbara Bouchet e Daniele Pecci rappresentano la sfera teatrale della rivista, all'apice del gradimento con i rispettivi “Tre donne in cerca di guai” e “Amleto”, in ripresa nella prossima stagione. Torna la danza con un vero esponente ad hoc: Kledi Kadiu, in un racconto molto sincero e ricco d'anima, fra bilanci professionali, progetti coreutici e sua docenza ad “Amici” della De Filippi su Canale 5. La bella Linda Collini, nota per aver vestito i panni di “Cecilia Castelli” in “Centovetrine”, esprime il suo parere sulle incerte “magnifiche sorti e progressive” della soap (al momento non sappiamo ancora se sarà trasmessa nei prossimi mesi, o meno, sulle reti Mediaset) ma, soprattutto, si dichiara ai “nastri di partenza” della sua seconda fase attoriale, in attesa che accada “qualcosa di bello al cinema o nella fiction”. Luca Madonia, ex componente dei Denovo, fa la sua rentrée sulle scene con “La monotonia dei giorni”, indagando sui “piccoli spostamenti del cuore” nel quotidiano, per dirla alla Gaber, facendo anche un breve excursus su quanto accadutogli in questi anni, citando collaboratori alla Carmen Consoli, Franco Battiato e Toni Carbone. Ad epilogo, due giovani promesse (che, dal mio punto di vista, non possono e non devono mai mancare) nella sfera musicale: Rakele, reduce dall'ultimo “Festival di Sanremo” nella categoria “Nuove Proposte”, con il cd d'esordio “Il diavolo è gentile” e Pallante (storica la sua amicizia con Alex Britti) con “Ufficialmente pazzi”, vero manifesto programmatico dei giorni nostri, da ascoltare “tutto d'un fiato”. Che altro aggiungere? Nulla, cari amici, se non un sentito “grazie” per il seguito che sta avendo la mia (e vostra) avventura “editoriale”, arrivata alla diciassettesima “uscita”, andando oltre ogni più rosea previsione, senza un euro di pubblicità. Ma con un immenso amore da parte mia. Buona estate a tutti. Signori, sipario! Gianluca Doronzo

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Anno III - Numero 3 - Maggio Giugno 2015

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Periodico di Musica, TV, Cinema, Teatro e Arte

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il magazine che non t'aspetti (tutti i colori dell'intrattenimento)

Mario Biondi è «Beyond», in un respiro sonoro sempre più internazionale, fra freschezza compositiva e vocalità d'impatto immediato Il ritorno di un artista cosmopolita, dopo due stagioni di silenzio, subito in vetta alla top ten (per la «Sony Music»), con un tour che sta registrando continui «sold out» e richieste di nuove date per la bella stagione

LE SIGNORE INTERNAZIONALI DELLA SCENA

Corinne Clery Barbara Bouchet

I MAESTRI DELLA CANZONE E DANZA

Dodi Battaglia Kledi Kadiu Maggio Giugno 2015 - © RIPRODUZIONE RISERVATA


Sommario IL PERSONAGGIO IN COPERTINA PAOLA TURCI «Mi piacerebbe tornare in gara al Festival di Sanremo e mettermi subito al lavoro per un album tutto d'inediti» IL PERSONAGGIO IN COPERTINA MARIO BIONDI Il «realismo dantesco» di Mario Biondi in una chiacchierata «che non t'aspetti», a conferma di un artista puro, senza filtri, ma solo con un grande talento IL PERSONAGGIO IN COPERTINA IRENE GRANDI Un vento di nome Irene, capace di emozionare «avvolgendo» il cuore con la trasparenza delle idee, l'originalità e il bisogno di essere «prima persone e poi artisti» LA CONSACRAZIONE DI UN CANTAUTORE DAL RAP AL POP NESLI Nesli allo specchio? Un uomo «felice» da ritrarre con un costante «sorriso» e, soprattutto, tanta voglia di credere «nel futuro e nei giovani» UN'ANIMA VOCALE IN ASCESA KARIMA Karima canta Bacharach e il sogno s'avvera «dopo ben 11 anni»: storia di un'anima vocale, ricca di sentimento, senza «nostalgie e ripensamenti verso il passato» L'INCONTRO CON UNO STORICO ESPONENTE DELLA MUSICA ITALIANA DODI BATTAGLIA Dov'è andata la musica? Ce lo spiega Dodi Battaglia in 8 brani dal sapore «pop, rock e gipsy», al suo terzo album da solista con la collaborazione di Tommy Emmanuel LA MATURITÀ DI UNA CONDUTTRICE TV LUCILLA AGOSTI «Sto vivendo un anno bellissimo: fra radio e tv non potrei chiedere altro, cucendo su misura per me ogni progetto e idea da portare avanti al meglio»

IL TALENTO DI UN ATTORE «MADE IN FICTION» GIORGIO TIRABASSI «Essere credibili in un personaggio è la vera chiave di volta per rimanere nell'immaginario del pubblico: io mi impegno in questa direzione e spero puntualmente di riuscirci»

LA SIGNORA DELLA SCENA IN TOURNÉE CORINNE CLERY Verve, risate e tanta curiosità: l'incontenibile fiume in piena di nome Corinne, con un futuro da assaporare «sul palco», respirando «una coralità al femminile»

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FRA FICTION E PALCO IL BELLO DI UN INTERPRETE DANIELE PECCI «Dopo tanti anni di carriera, vorrei che il grande schermo s'accorgesse di me: registi, dove siete?»

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DAL CINEMA AL TEATRO LA PRIMADONNA INTERNAZIONALE BARBARA BOUCHET Barbara Bouchet e la sua «nuova vita» in teatro, gratificata «dall'applauso del pubblico, il più bel dono che si possa ricevere»

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L'ESCALATION DI UN DANZATORE SUL PICCOLO SCHERMO KLEDI KADIU Kledi e il suo essere «un cittadino del mondo», avendo fatto della danza l'«intima ragione d'esistenza», solo con sacrifici e passione

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IL VOLTO POPOLARE DELLA SOAP ITALIANA LINDA COLLINI «Sono al blocco di partenza della seconda parte della mia vita artistica: spero che ben presto possano accadere tante cose, anche in merito al cinema e alla conduzione»

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IL RITORNO DI UN'ILLUSTRE FIRMA DELLA CANZONE ITALIANA LUCA MADONIA Per Luca «La monotonia dei giorni» è ispirazione d'indagine su «nuovi orizzonti» e «piccoli spostamenti del cuore» (alla Gaber), manifestando la coerenza di un percorso «pulito e leale»

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DALL'ULTIMO FESTIVAL DI SANREMO LA GIOVANE PROMESSA DELLA MUSICA RAKELE «Mi sento un puntino piccolo nell'universo musicale, con tanta voglia di proiettarmi verso la luminosità della vita»

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L'INTELLIGENZA E L'IRONIA DI UN CANTAUTORE DEL FUTURO PALLANTE «Un atto politico e una sorta di dichiarazione d'intenti»: Pallante raggiunge la maturità facendo di «Ufficialmente pazzi» un manifesto per i giorni nostri (capendone l'autodistruzione)

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il magazine che non t'aspetti (tutti i colori dell'intrattenimento)

«Ho sempre viaggiato lungo orizzonti coraggiosi nella mia carriera, senza mai seguire le mode o le ruffianerie del momento» Con «Un vento senza nome» ha conquistato il pubblico di «Sanremo», esprimendo profondità e trasformismo, spiazzando ancora una volta, grazie ad un'innata capacità di essere se stessa: Irene Grandi e il suo «poliedrico universo», in grado di riflettere allo specchio una donna «viva, sincera e ricca di propositi»

FRA CONDUZIONE E SOAP IL FASCINO DELLA TV

Lucilla Agosti Linda Collini

CANTAUTORATO E PROMESSE MUSICALI A CONFRONTO

Luca Madonia Rakele Pallante Maggio Giugno 2015 - © RIPRODUZIONE RISERVATA


Paola Turci

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IL PERSONAGGIO IN COPERTINA

Un periodo di grande fermento per Paola Turci, subito in vetta alle classifiche col suo «Io sono», in un mix di pezzi di ieri ed oggi, animando un tour che toccherà le principali località del Belpaese come Roma (il 9 luglio a «Villa Ada») e Brescia (il 19 agosto), assieme a Fabrizio Fratepietro (batteria), Pierpaolo Ranieri (basso) e Fernando Pantini (chitarra elettrica)

«Mi piacerebbe tornare in gara al Festival di Sanremo e mettermi subito al lavoro per un album tutto d'inediti»

Le molteplici vite di Paola. Con la profonda consapevolezza di “essere” e “amarsi”, avversando “nevrosi e aspettative del passato”. Fra eleganza innata, classe ed estrema empatia, la Turci ripercorre in una ricca chiacchierata le tappe fondamentali dei suoi 30 anni di carriera, in occasione della pubblicazione del sedicesimo album, dal titolo “Io sono” (subito in classifica nella top ten, per la “Warner Music”, con la collaborazione artistica di Federico Dragogna), rivelando un momento “bello, a 50 anni, di grande tranquillità e leggerezza”. In tournée assieme a Fabrizio Fratepietro (batteria), Pierpaolo Ranieri (basso) e Fernando Pantini (chitarra elettrica), spazierà da Roma (il 9 luglio a “Villa Ada”) a Brescia (il 19 agosto al “Festival di Radio onda d'urto”), proponendo i suoi più celebri successi (“Bambini”, “Stato di calma apparente” e “Volo così”, per citarne alcuni) assieme agli inediti (“Questa non è una canzone”, ad esempio). E, in fondo al cuore, un duplice desiderio: “Tornare in gara a Sanremo e mettersi subito al lavoro per un nuovo disco”. Sinonimo di una spiccata fase di creatività. Domanda – Paola, è un onore poter chiacchierare con chi, come lei, ha segnato la storia degli ultimi 30 anni del cantautorato italiano, rivelando puntualmente personalità, intimismo e coerenza. Da qualche settimana ha pubblicato il suo sedicesimo album in carriera, dal titolo “Io sono” (subito in classifica nella top ten), in continuità al lavoro introspettivo realizzato nel 2014 con l'autobiografia “Mi amerò lo stesso”: in che modo sta vivendo questo momento? Risposta – La ringrazio, innanzitutto, per quello che ha detto: mi lusinga profondamente. “Io sono” arriva ad un “punto e a capo”, inteso come “arrivo e ripartenza” allo stesso tempo. Lavorando anche all'autobiografia dello scorso anno,

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IL PERSONAGGIO IN COPERTINA

mi sono resa conto di aver avuto diverse vite e ho pensato che fosse giusto sintetizzare il passato, guardando in avanti, proprio attraverso un simile disco. Ho scelto, pertanto, le canzoni rappresentative del mio percorso, facendone delle vere e proprie sintesi, delle versioni elettroacustiche, grazie alla produzione di Federico Dragogna. L'idea di fondo è stata proprio quella di raccontare la mia storia, riportando alla luce pezzi come “Bambini”, con una grande fiducia verso il futuro. Penso di aver scelto i brani più rappresentativi e fortunati del mio excursus. Vedremo quello che accadrà. D . – Oggi, dunque, chi è Paola Turci e cosa vorrebbe potesse accadere nel suo percorso? R . – Questa, a dire il vero, è una domanda molto impegnativa: non basterebbe una sola risposta per essere esaustivi. Se la mia autobiografia, da un punto di vista letterario, mi è stata di supporto nel mostrare la parte più vulnerabile, con questo nuovo disco mi rivelo, fin dalla copertina, in un momento molto bello: non ho più, per intenderci, le nevrosi del passato. A 50 anni mi trovo alleggerita, con grande propositività verso il futuro, mettendo in primo piano quella parte di me che cerca ed è curiosa, desiderosa di vita. Sono, pertanto, in un momento di tranquillo passaggio e lo porto avanti con consapevolezza, guardando il futuro, anche con una gran voglia di fare, in prossimità dell'uscita di un disco di inediti, a tempo debito. D . – Essere cantautori oggi cosa vuol dire? R . – Oggi la poetica cantautoriale si ritrova in un'altra forma, in un altro modo, più cinica e diretta, se vogliamo: sto parlando del rap, modalità importata dagli Usa. Non ci siamo inventati niente, per intenderci. Ora, anche se è cambiato lo stile e il modo di esprimersi, anche se c'è amore per quanto scritto negli Anni '70-80, credo che ognuno porti avanti la dignità del proprio percorso, più o meno incidendo e lasciando un'ipotetica traccia di sé in chi ascolta. D . – S'immagini di guardarsi un attimo a ritroso nel suo percorso, fino agli esordi: si sarebbe mai aspettata un itinerario come quello messo a punto negli anni? R . – Onestamente non avrei potuto immaginare quanto accaduto nel tempo: ogni volta ho affrontato un disco con istintività, godendo al massimo quanto messo a punto, senza seguire le mode, cercando qualcosa che rappresentasse la mia personalità e il mio modo di fare. D . – Siamo in tempi in cui il termine “talento” è inflazionato e bistrattato nella lingua italiana, anche a causa dell'accezione mediatica: dal suo punto di vista, cosa vuol dire averne? R . – Semplicemente nascere col fuoco sacro, con quella voglia e quell'impatto, non mollando mai, paventando tenacia e forza d'animo, mostrando

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attitudine in quello in cui credi. È un dono e non critico affatto chi decide, ad esempio, di partecipare ad un “talent”: hanno solo tolto una o dal termine e ne hanno fatto degli show, nei quali solo, alla fine, quello vero viene alla luce. C'è una selezione naturale nella vita: bisogna puntualmente mettersi e rimettersi in gioco. Tutti i ragazzi devono essere pronti a sacrifici e tanta passione da portare avanti. D . – Se dovesse, dunque, suggerire qualcosa ad un giovane che venisse fuori da un “talent”, cosa sentirebbe di dire? R . – Sento di non dover suggerire niente: nessuno, a mio avviso, può permetterselo. Mi immagino, semmai, io a 18-20 anni e posso dire che quanto mi ha portato avanti è stata la tenacia, anche affrontando tutte le difficoltà del caso, facendo ogni cosa con i piedi per terra e tanto realismo. Io, con onestà, sono stata ferocemente critica con me stessa: bisogna avere l'umiltà di capire dove si può arrivare o meno. Per questo, non mi sento di suggerire niente: ognuno deve fare i propri sbagli e rendersi conto che sbagliare per proprio conto è meglio “per conto degli altri”. Nulla è mai gratuito e facile nella vita: bisogna difendere i propri ideali e lottare con tutte le forze. D . – È stata presente al concerto del 1° maggio a Roma: quali emozioni ha vissuto in Piazza San Giovanni? R . – È stato bello esserci: Camila Raznovich è stata un'ottima padrona di casa e abbiamo avuto modo di testare il singolo, “Io sono”, con la nostra band, in virtù di tutti i “live” che faremo in queste settimane. Grande pubblico. D . – Ben 9 partecipazioni al “Festival di Sanremo”: ha seguito

l'edizione di quest'anno e tornerebbe in gara? R . – Ho seguito un po' l'edizione di Carlo Conti, anche perché c'erano le mie amiche Emma e Malika Ayane. Ci tornerei e c'ho anche tentato, ma poi durante i provini c'è sempre stato qualcosa non andato alla perfezione. Di sicuro mi piacerebbe calcare nuovamente quel palco. Chissà. D . – Musica e tv: un binomio ancora possibile? R . – Mi accorgo che la tv funziona sempre, anche se ormai il web e i social dominano qualsiasi tipo di promozione, amplificandola in maniera esponenziale. Ho creduto e credo nei programmi musicali, in quanto consentono all'artista di poter esibirsi dal vivo, di potersi far conoscere: se se ne facessero di più, non sarebbe male per tutti noi. D . – Bene, bene. Siamo, quasi, in dirittura d'arrivo. Ancora un paio di domande. Se, metaforicamente, dovesse specchiarsi, che immagine verrebbe fuori di Paola oggi? R . – Una persona forte, che ha vissuto tanto, che ha sbagliato tanto, con una determinazione maturata e potenziata grazie alla vita. In tutte le sue accezioni. D . – Infine, Longanesi sosteneva che “un'intervista fosse un articolo rubato”: cosa le è stato sottratto durante la nostra chiacchierata? R . – (Dopo una risata, ndr) Gianluca, lei è stato davvero molto carino. Non mi è stato sottratto proprio niente, anzi mi ha fatto sentire quasi sul divano di casa col suo modo di interloquire. La ringrazio di cuore. Gianluca Doronzo

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Mario Biondi

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IL PERSONAGGIO IN COPERTINA

Nuovo album («Beyond»), a due anni dal precedente, per uno degli interpreti più autorevoli in Italia (e non solo), in grado di essere sempre «innovativo» e in vetta alle classifiche: tredici tracce (precedute da «Love is a temple») da ascoltare in un tour fra luglio (il 10 ad Este e il 12 a Gardone Riviera) e agosto (l'11 a San Pancrazio Salentino e il 13 a Diamante), in compagnia di Alessandro Lugli (batteria), Federico Malaman (basso), David Florio (chitarre) e Fabio Buonarota (tromba)

Il «realismo dantesco» di Mario Biondi in una chiacchierata «che non t'aspetti», a conferma di un artista puro, senza filtri, ma solo con un grande talento

La chiacchierata con Mario Biondi, ad un certo punto, vira registro e si arricchisce di “realismo dantesco”. Cosa vuol dire? Soltanto con la lettura ne scoprirete il senso. L'occasione dell'incontro, autorevole e sincero, è offerta dalla presentazione del nuovo album (dopo due anni d'assenza), dal titolo “Beyond” (per la “Sony Music”), da settimane primo in classifica. Tredici tracce con sonorità innovative e un grande respiro di modernità (“Love is a temple” il singolo di lancio). Fra attenzione al dettaglio e professionalità, è iniziato anche il tour, che a luglio toccherà Este (il 10), Gardone Riviera (il 12), proseguendo ad agosto con San Pancrazio Salentino (l'11) e Diamante (il 13). Sul palco: Alessandro Lugli (batteria), Federico Malaman (basso), Massimo Greco (tastiere), David Florio (chitarre), Marco Scipione (sax), Fabio Buonarota (tromba), Romina e Miriam Lunari (cori, danze e coreografie). E lo spettacolo è solo all'inizio. Domanda – Signor Biondi, a che punto del suo percorso arriva “Beyond”, nuovo album d'inediti dopo due anni d'assenza? Risposta – A che punto arrivi forse dovrei chiederlo a lei, piuttosto che dirglielo io: a mio parere non si sa mai dove si possa arrivare. Nella vita si fanno tante cose ed io, nel mio percorso lungo, porto avanti i miei progetti musicali con tutto me stesso. Di sicuro “Beyond” va, appunto, “oltre”, rivelandosi ricco di particolari e di grande intensità nell'ascolto. Vedremo un po' quale sarà la risposta complessiva del pubblico. D . – È, dunque, iniziato il suo tour, andando avanti per tutta l'estate: in che modo si è preparato? R . – Quando abbiamo iniziato a mettere a punto il tour, avevamo ben chiara l'impostazione discografica di “Beyond”:

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per cui, di conseguenza, nel nostro immaginario siamo riusciti a collocare la novità con l'impianto generale. La parte dal vivo e il progetto luci offrono una sorta di excursus del mio racconto, partendo dal new jazz, spostandosi un attimo su “If” con fare Anni '70, virando successivamente verso “Sun”, in un misto di Amarcord, lanciando questo progetto su “Beyond”. C'è tutta una sfera spettacolare, con cui faremo divertire il pubblico, senza esitazione di sorta. D . – Cosa vorrebbe potesse accadere in questo tour o, in qualche modo, c'è un particolare che le piacerebbe leggere in un articolo? R . – Tendenzialmente non mi creo delle aspettative. Io sono amabilmente irascibile. Amerei che capissero il positivo di quello che faccio e metto a punto, declinando tutti gli aspetti della mia personalità al meglio in questa avventura. D . – Bene. Entriamo, dunque, nel mezzo della nostra intervista. Siamo in un momento in cui il termine “talento” è spesso inflazionato e bistrattato, anche a causa della declinazione mediatica. Dal suo punto di vista, cosa vuol dire realmente averne? R . – Guardi, amico mio, ormai è tutto inflazionato e bistrattato: dalle parole più banali a quelle più sentite, sono anche abbastanza sconcertato in questo. Premesso ciò, il “talento” è un dono e rappresenta una bellissima cosa: deve essere rispettato, approfondito e vissuto con abnegazione, altrimenti è il “culo di uno stronzo”, mi lasci passare il termine (e scoppia una risata, ndr). D . – (Dopo una risata comune, ndr) Guardi, che anche Dante faceva del suo “realismo” una cifra letteraria: la “Divina Commedia” lo insegna. Per cui riporterò fedelmente quanto da lei dichiarato (e si ride di nuovo, ndr). R . – E fa bene, Gianluca. In fondo tutti oggi siamo alla ricerca di un senso fra vita, amore, amicizia e impegno. Io posso essere un genio della tattica calcistica, ma se non mi metto in gioco non ha senso la mia identità. D . – Ben detto. Qual è il suo punto di vista in merito al binomio musica-tv? R . – Il binomio musica-tv c'è sempre stato: era meravigliosamente romantico negli Anni '60, recuperato nei '90. Ricordo davvero tanti bei programmi: ad esempio, le varie edizioni di “Discoring”. Alcune cose poi hanno ceduto il passo ad altre e, arrivando ai giorni nostri, le confesso di aver visto il serale di “Amici”, animato da grandi ragazzi che sanno muoversi davvero bene, con una buona interpretazione. Per il resto ognuno deve cercare il proprio potenziale in sé, facendone tesoro e animando al meglio la propria strada. D . – Come vorrebbe potesse proseguire il suo percorso? R . – Ogni tanto vorrei scappare in Polinesia, suonare l'ukulele e allontanarmi da tante cose che riguardano la nostra quotidianità. Scherzi a parte, ringrazio la “Sony” per aver creduto in me: io sono un'entità e loro seguono quello che sto facendo, condividendo la mia follia. D . – Nella follia, in fondo, c'è tanta verità. Con un pizzico di ironia, senza mai prendersi troppo sul serio. R . – Verissimo, Gianluca. Infatti io cerco di ricambiare la loro stima col massimo riguardo nei miei confronti, valorizzando i loro sforzi col mio impegno. D . – Siamo, purtroppo, arrivati quasi alla conclusione della nostra chiacchierata: se, metaforicamente, si dovesse

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specchiare, quale immagine verrebbe fuori di Mario Biondi? R . – Ultimamente mi guardo allo specchio e mi trovo anche bello, vanesio. Sono contento, in linea di massima, di quello che sto facendo e non potrei chiedere altro al momento. D . – Allora, ci ricorderemo della nostra intervista per il “realismo dantesco” di cui abbiamo parlato, vero? R . – (Dopo una risata, ndr) Penso di sì, credo abbia funzionato proprio: lei mi ha consentito di parlare a ruota libera ed io mi sono liberato. D . – Guardi che sarei anche capace di intitolare il pezzo in una simile direzione, sa? R . – E lo faccia pure: io lo troverei molto originale e fuori dal

coro, senza condizionamento alcuno. D . – Lo farò, ne sia pur certo (e scoppia un'altra risata, ndr). R . – La ringrazio e le auguro di fare nella vita le cose che sente: ci sono delle basi di educazione in ciascuno e non per questo quanto facciamo e accade deve essere falsato. Io non amo le mezze parole e i falsi miti. Le faccio i complimenti per l'impostazione della sua intervista: nella vita non devono dire quello che devi fare o meno. A me ha fatto piacere parlare con un vero giornalista (e tutto si conclude con la consapevolezza di aver incontrato un encomiabile artista e, soprattutto, una bella persona, ndr). Gianluca Doronzo

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Irene Grandi

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Per la Grandi un nuovo album, preceduto dalla partecipazione al 65esimo «Festival di Sanremo» nella sezione «Campioni», con un tour «sold out» a Roma, Milano e Trento, all'insegna di «perfezionismo, presenza di fiati, chitarre elettriche e acustiche»

Un vento di nome Irene, capace di emozionare «avvolgendo» il cuore con la trasparenza delle idee, l'originalità e il bisogno di essere «prima persone e poi artisti»

La capacità di cambiare. Irene Grandi ne è una perfetta referente, avendo percorso nella sua carriera “strade coraggiose e scelte innovative, senza mai adagiarsi sugli allori o ruffianerie modaiole”. Negli anni è cresciuta ed ora, dopo un periodo d'assenza, ha fatto la sua rentrée sulle scene musicali con “Un vento senza nome”, album di grande impatto emotivo sul pubblico, con una partecipazione all'ultimo “Festival di Sanremo” molto intimista e sorprendente. Alle prese con un tour che finora ha registrato autentici “sold out” a Roma, Milano e Trento, si racconta con estrema familiarità, fotografando l'immagine di “una donna viva, sincera e ricca di propositi”, consapevole di essere una “persona” prima che una cantante. Il che, ad onor del vero, fa un'enorme differenza nel nostro scenario. Domanda – Irene, dopo 5 anni è tornata sulle scene musicali con l'album dal titolo “Un vento senza nome”, preceduto dalla sua partecipazione al “Festival di Sanremo” nella sezione “Campioni”: maturità e consapevolezza in primo piano negli inediti. Da qualche settimana è iniziato anche l'omonimo tour: in che modo si è preparata? Risposta – Ammetto di aver preparato con molta cura il tour, visto che il perfezionismo non è mai abbastanza nel nostro mestiere. Ho accanto a me una band ben rodata e abbiamo pensato di arricchire le atmosfere anche con la presenza dei fiati, della chitarra acustica e elettrica. Si tratterà di un viaggio nel nuovo sound e nelle atmosfere che caratterizzano il mio ultimo lavoro, dando molta importanza ai testi, senza tralasciare alcun dettaglio. Ho messo davvero l'anima in questo disco e vorrei dare il meglio di me, arrivando al cuore del pubblico. D . – Quali sono stati i riscontri, all'indomani della

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partecipazione all'ultimo “Festival di Sanremo”? R . – Mi sento molto felice e sono decisamente motivata a fare sempre meglio. “Un vento senza nome” l'ho scritta assieme a Saverio Lanza, con cui abbiamo iniziato già dieci anni fa a collaborare. Credo sia un pezzo importante e poetico allo stesso tempo: nel complesso ritengo l'album coraggioso, una scelta difficile di questi tempi. Musicalmente associo il tutto a “Prima di partire per un lungo viaggio”, fotografando esattamente quel momento di transizione da una ragazza ribelle ad una più introspettiva ed emozionale. Detto questo, ci sono stati bei riscontri nel complesso e nel tour spero di far

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venire fuori tutto il meglio di me. D . – In fondo in “Un vento senza nome” c'è la storia del cambiamento di una donna, istanza nella quale in molte si saranno ritrovate. R . – A me è piaciuta molto l'idea di raccontare una storia, nella quale in tante potessero riconoscersi. In ciascuno ci sono momenti di evoluzione e cambiamento: “Un vento senza nome” è la mia metamorfosi. D . – Se dovessimo fare un salto a ritroso nel suo percorso, si sarebbe mai aspettata una carriera come quella messa a punto nel tempo?


IL PERSONAGGIO IN COPERTINA

R . – Ho sempre pensato che avrei fatto la cantante: è successo proprio a me. Per quello che mi riguarda sono soddisfatta di come siano andate le cose nel tempo e oggi, in una proiezione più matura, sto rivelando una sfaccettatura più introspettiva di Irene. D . – Il 1° maggio è stata fra i protagonisti del concerto in Piazza San Giovanni a Roma: quali emozioni ha vissuto? R . – Sono stata contenta perché quello del 1° maggio è sempre un palco di condivisione, eterogeneo, capace di mettere a confronto diverse istanze e stili. Trovi un pubblico che è lì per la musica, magari anche riflettendo sulla quotidianità e su quelle che sono le condizioni di lavoro in cui in molti oggi versano. Noi siamo sempre al servizio dei giovani e non finiremo mai di sostenerli. D . – Siamo in un momento in cui il termine “talento” è un po' inflazionato e bistrattato nella lingua italiana, anche a causa della declinazione mediatica: dal suo punto di vista, averne cosa vuol dire? R . – Ha ragione quando parla di declinazione bistrattata e inflazionata nel mediatico: i “talent” hanno preso piede in tutte le professioni ed è come se un po' si facesse una certa “violenza” nel moltiplicarli ad ogni costo, su ogni rete e in ogni palinsesto. C'è sempre una gara di mezzo e non è detto che a vincere sia il migliore: non è scritto che nella vita ci debba essere puntualmente una classifica. In tv meno male che è rimasto il “Festival di Sanremo”, unica kermesse in grado di mettere a confronto artisti con pezzi inediti, come non accade da nessun'altra parte. Diciamo che il binomio musica-tv non è poi così florido: rimpiango i programmi di una volta come il “Festivalbar”, che ho anche condotto. D . – Bene, Irene, siamo quasi in dirittura d'arrivo: cosa le piacerebbe potesse emergere, all'indomani della conclusione del suo tour? O, meglio, cosa vorrebbe poter leggere in un articolo? R . – Nei miei spettacoli c'è sempre un bel clima, ma mai come questa volta trovo ci sia una vera ricerca nella cura del dettaglio. Un “live” è un “live” e c'è qualcosa di ancora più prezioso stavolta, grazie ad una schiera di grandi musicisti, pronti ad accompagnarmi in un lungo ed importante viaggio in questi mesi. A me piacerebbe che chi venisse a vedermi si lasciasse trasportare dalle emozioni, facendosi travolgere da “un vento senza nome”. D . – S'immagini, metaforicamente, allo specchio: come si rifletterebbe oggi Irene Grandi? R . – Secondo me verrebbe fuori l'immagine di una persona e non solo di una cantante, in quanto credo di aver fatto delle scelte coraggiose nel tempo, maturando il mio percorso, senza seguire le mode o le ruffianerie del caso. Ho fatto altro rispetto a “Bum bum”, per intenderci, e ho saputo andare oltre, con la consapevolezza e la profonda volontà di crescere. A mio avviso, solo se si cresce si è delle persone, altrimenti si è come una statua di cera. E non si è vivi. Ed io, mio caro Gianluca, mi sento viva! Gianluca Doronzo

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Nesli

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LA CONSACRAZIONE DI UN CANTAUTORE DAL RAP AL POP

Col suo «Andrà tutto bene tour» sta moltiplicando le date, grazie ad una coerenza musicale, maturità espressiva e simpatia innata: il bel momento di un esponente ad hoc della nuova generazione pop, reduce dalla 65esima edizione del «Festival di Sanremo», dove è stato in gara nella sezione «Campioni» col brano «Buona fortuna amore»

Nesli allo specchio? Un uomo «felice» da ritrarre con un costante «sorriso» e, soprattutto, tanta voglia di credere «nel futuro e nei giovani»

Sta vivendo un momento di grande “felicità” e, se metaforicamente dovesse specchiarsi, verrebbe fuori l'immagine di un “sorriso”. Nesli (Francesco Tarducci è il suo vero nome) coglie l'occasione di una chiacchierata “molto amichevole”, per rivelare la sua estrema simpatia e la profonda coerenza che contraddistingue da diversi anni il suo percorso, con una metamorfosi “dal rap al pop”. Reduce dalla partecipazione all'ultimo “Festival di Sanremo” (di cui ricorda “l'emozione della prima prova con l'orchestra”) con “Buona fortuna amore”, ha pubblicato l'ottavo album, dal titolo “Andrà tutto bene”, scalando le classifiche, fino a dar vita all'omonimo tour in queste settimane, con tappe a Roma, Firenze, Padova e Rimini. Convinto che “avere talento significhi anche proporsi con coraggio e metterci la faccia”, crede nel binomio “musica-tv”, senza perdere di vista “le nuove tecnologie e il web”, fondamentali per ogni tipo di comunicazione. Auspicando di scrivere nuove pagine di vita “giorno dopo giorno”. Domanda – Francesco, se dovesse fotografare questo momento del suo percorso, cosa risponderebbe in maniera immediata? Risposta – Felice: direi che è l'aggettivo più adatto a definire la fase nella quale mi trovo. È di sicuro uno dei momenti più importanti della mia vita: sto ricevendo numerose gratificazioni rispetto al mio disco e davvero non potrei chiedere di più. D . – Dopo tanta semina, è nell'apice della maturità. R . – Di sicuro so di aver seminato tanto in questi anni, sempre

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LA CONSACRAZIONE DI UN CANTAUTORE DAL RAP AL POP

con passione e coerenza, senza mai tradire chi mi segue. Sono entusiasta di tutto quello che mi sta accadendo e vorrei continuasse sempre così. D . – Il suo ottavo album, dal titolo “Andrà tutto bene”, sta scalando le classifiche ormai da diverse settimane, dimostrando quanto il suo passaggio dal rap al pop sia diventato sempre più emozionale e personale, in continua evoluzione. R . – In realtà “Andrà tutto bene” è arrivato nel momento in cui il cambiamento che sto vivendo è più facile dimostrarlo: la musica è parte integrante dell'evoluzione del mio universo. Diciamo che il lavoro precedente era forse da intendersi di transizione, ma con questo e con la partecipazione al “Festival di Sanremo” c'è stato un nuovo inizio, in un percorso tutto da segnare e vivere giorno dopo giorno. D . – A proposito della sua partecipazione a “Sanremo”, cosa le ha lasciato il palco dell' “Ariston”? R . – Sono tanti i bei ricordi che ho vissuto: sono riuscito a vivere quel palco esattamente come volevo, imparando tantissimo e dando veramente il meglio, in ogni mia esibizione. Mi viene in mente, mentre sto parlando con lei, l'emozione della prima prova con l'orchestra. Un sogno realizzato. D . – Rispetto al passato, sono stati tutti concordi nel dire che sia stata un'edizione con la musica protagonista. R . – È stata un'edizione fortunatissima: a dirlo è stata la gente. Al centro di tutto Carlo Conti ha messo la musica e, a mio avviso, c'è stato molto divertimento. Io amo moltissimo il “Festival di Sanremo”: ti dà la possibilità di cantare un inedito dinanzi a milioni di spettatori in una sola sera, come non avviene da nessun'altra parte. D . – Crede, dunque, nel binomio musicatv, un tempo potenziato da manifestazioni come il “Festivalbar”? R . – Io ci credo molto, ma in realtà è un vero peccato non si faccia mai abbastanza, così come si dovrebbe. È vero: da ragazzino adoravo il “Festivalbar” e segnava la colonna sonora delle nostre estati. Vorrei ci fossero più programmi in questa direzione e mi auguro che l'avvento delle nuove tecnologie possa essere di supporto a idee da vivere nel migliore dei modi. D . – Siamo in un momento in cui il termine “talento” è un po' bistrattato e inflazionato nella lingua italiana, anche a causa della declinazione mediatica: dal suo punto di vista, cosa vuol dire averne?

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LA CONSACRAZIONE DI UN CANTAUTORE DAL RAP AL POP

R . – Devi, innanzitutto, avere la volontà di dimostrare che ne hai: puoi averne tantissimo, ma è importante che qualcuno si accorga di te, che le persone ti stimolino a fare meglio e ti ascoltino. Nella vita, ben inteso, ci vuole una sicurezza di base, ma allo stesso tempo devi avere il coraggio di rischiare e metterci la faccia. Io darei più spazio e tempo ai ragazzi che, ad esempio, partecipano ad un “talent”, senza farli bruciare. Forse sono tanti e troppi, come se riempissero una città. Ma ciò che conta sono i percorsi alla lunga, le canzoni e tutti i mezzi di comunicazione, soprattutto col web e i social, oggi più che mai dominanti nella fruizione. D . – Il 1° maggio è stato a Roma, nel concertone di Piazza San Giovanni: emozioni vissute? R . – Esatto: il 1° maggio sono stato a Roma e davvero il pubblico ha emozionato tutti noi. Il 28 è stata la volta a Milano del “Radio Italia Live” e ho avuto modo di dare un piccolo assaggio del mio tour, davvero rivoluzionato rispetto al passato, con professionisti competitivi. D . – Il suo “Andrà tutto bene tour” sta registrando autentici “sold out” nel nostro Paese, segno davvero di grande affetto nei suoi confronti. R . – Verissimo. Che tu sia fan o no, al di là di tutto il mio è uno show basato sulla musica e sulle parole, dove hai modo di ballare, pensare e divertirti. Come piace a me. D . – Bene, bene, Francesco: siamo quasi in dirittura d'arrivo. Se dovesse, metaforicamente, specchiarsi oggi, quale immagine verrebbe fuori? R . – Verrebbe fuori un sorriso. D . – Segno della coerenza non solo del suo percorso e della sua persona, ma soprattutto di quanto dichiarato in questa intervista. Sinonimo di verità. R . – La ringrazio: io ho fatto della coerenza sempre una mia cifra, un tratto distintivo da cui non poter prescindere. D . – E non è da tutti, visto che spesso gli artisti seguono le mode e declinano la propria personalità a seconda delle “bandiere e del vento”. R . – Sono completamente d'accordo con lei, Gianluca. Grazie per queste belle considerazioni finali, che condivido pienamente. Lei è uno che ama il suo lavoro e si sente che lo fa senza condizionamenti alcuni. Grande stima e ammirazione. A presto. Gianluca Doronzo

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Karima

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UN'ANIMA VOCALE IN ASCESA

Secondo album («Close to you»), ricco di soul, r&b e jazz, per la celebre cantante venuta fuori da «Amici» qualche anno fa (memore della sua partecipazione al «Festival di Sanremo» nel 2009), diventata mamma il 13 gennaio 2014 («col mio scricciolino fra le mani mi sento felicissima, al settimo cielo»)

Karima canta Bacharach e il sogno s'avvera «dopo ben 11 anni»: storia di un'anima vocale, ricca di sentimento, senza «nostalgie e ripensamenti verso il passato»

Un sogno realizzato dopo ben “11 anni”. Karima sta vivendo un momento magico, alla luce della pubblicazione del suo secondo album: in “Close to you” (per la “Universal Music”) omaggia l'intimismo di Burt Bacharach, da lei idolatrato, fra “jazz, r&b e soul”, paventando personalità, spessore ed un indiscusso “talento” (termine bistrattato nella lingua italiana, ma in questo caso molto pertinente) vocale, con la consapevolezza di “una donna”. E sì, perché dai tempi di “Amici” e dal “Festival di Sanremo” nel 2009 (“ci tornerei volentieri se avessi una bella canzone”), sono accadute tante cose nel suo percorso, come la nascita di sua figlia il 13 gennaio 2014 (“oggi ho con me uno scricciolino di bimba e ne sono felicissima”). Senza “nostalgie e ripensamenti al passato”, con una grande proiezione verso “il futuro”, in un'escalation di “sentimento”. Chapeau. Domanda – Karima, di recente ha pubblicato il suo secondo album, dal titolo “Close to you”, in continuità a quello che è il suo amore per Burt Bacharach: in quale momento del suo percorso arriva? Risposta – Arriva in un momento particolare: si tratta di un progetto nato ben 11 anni fa, ideato solo per un concerto, rimasto a lungo nel cassetto. Qualche tempo fa l'abbiamo ripreso fra le mani, riarrangiandolo in maniera trasversale, fra jazz, soul e r&b, dipingendo un po' la mia vocalità nelle sue molteplici sfumature, fino a disegnarne tutti i contorni con un risultato, a mio avviso, davvero rispettoso della mia personalità.

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UN'ANIMA VOCALE IN ASCESA

D . – Ha, dunque, realizzato un sogno nel cassetto? R . – Esatto, Gianluca. È stato un po' come mettere la ciliegina sulla torta di un sogno che ho realizzato: mi sono felicemente trovata a collaborare con Burt Bacharach, riprendendo in mano tutto quanto e facendolo rivivere in un album. L'abbiamo registrato in presa diretta in Svizzera, lo scorso ottobre, con etichetta “Universal”, di matrice londinese. Davvero una bella impresa. D . – Quali i primi riscontri da parte del pubblico? R . – Gli umori sono molto positivi, in quanto si recepisce un po' quella che sono sempre stata, alla “Amici”, con una grande impronta soul. Ci sono persone che non mi conoscevano tramite altre esperienze fatte, che hanno imparato ad avvicinarsi a me proprio grazie a questo album. D . – Bene, Karima: fatte le dovute premesse, entriamo nel merito della nostra intervista. Il termine “talento” oggi è abbastanza inflazionato e bistrattato nella lingua italiana, anche a causa della declinazione mediatica: averne, dal suo punto di vista, cosa vuol dire? R . – Secondo me, spesso il “talento” non va di pari passo col successo. Averne, in merito al canto, vuol dire possedere una grande voce, avere una presenza e una musicalità, saper trasmettere emozioni. Poi, ovviamente, ciascuno ci mette del proprio con l'esperienza. Il “talento” è avere un bel timing e

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una decisa musicalità. D . – Nel 2009 lei ha calcato il palco dell' “Ariston”: tornerebbe in gara a “Sanremo”? E ha seguito l'edizione di quest'anno? R . – Ho seguito l'edizione di quest'anno e devo ammettere che Carlo Conti ha fatto un lavoro molto bello, cercando di abbracciare un po' tutti i generi musicali. Tornerei ben volentieri in gara e mi piacerebbe portare davvero un bel brano. Chissà che non accada quanto prima. D . – Potremmo dire che dal 13 gennaio 2014 le è cambiata la vita, con la nascita di sua figlia? R . – Decisamente sì. Oggi c'è questo scricciolino di bimba con me ed è una stellina. Tra l'altro, ho scoperto di essere incinta proprio il giorno del mio compleanno: s'immagini quali emozioni io abbia vissuto. Troppo bella la nascita di un figlio e ne sono felice. D . – Tornando al discorso “musica”, che pensa del suo binomio con la tv? R . – Io credo nel binomio musica-tv, ma un po' tutto è troppo legato agli ascolti e allo share. La tv ti fa arrivare direttamente nelle case delle persone: con i tempi veloci nei quali viviamo, puoi solo dare un assaggio di quello che sai fare, senza approfondirlo. Un peccato: perché un tempo c'erano tanti programmi musicali. D . – Prima ha parlato di Carlo Conti: assieme avete condiviso


UN'ANIMA VOCALE IN ASCESA

l'esperienza de “I migliori anni” qualche anno fa su Raiuno. Che ricordi ha? R . – Ho un bellissimo ricordo, anche se per Raiuno avevo già fatto “Domenica in” anni addietro. Ognuno ne “I migliori anni” ha portato una versione personale dei brani interpretati, stando assieme per due mesi interi, il sabato in prima serata. Ho avuto modo di conoscere anche tanti cantanti. Una bellissima esperienza, da custodire nel cuore. D . – E, a proposito di esperienze da custodire nel cuore, ci sarà di sicuro quella vissuta con l'apertura del concerto di Whitney Houston nel 2010 in Italia. R . – Esatto: era il 2010 e si è trattato di due concerti. Per me lei è sempre stata la musa ispiratrice e in radio ricordo che l'ascoltavo, da piccolissima, con tanta passione. Io c'è da dire che nasco come autodidatta e ho fatto tutto da sola, ascoltando la Houston, Stevie Wonder e la Fitzgerald, fra l'altro. Lei mi ha dato tanto e conoscerla è stato un altro sogno coronato. D . – Come vorrebbe potesse proseguire il suo percorso? R . – Adesso stiamo dando vita a questo progetto: siamo in promozione e dentro di me c'è un desiderio di disco d'inediti, che mi auguro di poter mettere a punto quanto prima. D . – S'immagini, metaforicamente, allo specchio: in che maniera si rifletterebbe oggi Karima, alla luce del percorso maturato? R . – Ancorata alla realtà e a quello che vedo. Una donna che si è tagliata i capelli, cambiata, anche in merito alla luce negli occhi e fisicamente. Spesso ci sono persone che si guardano indietro e hanno rimpianti nel fare i bilanci. Io sono contenta di essere quella che sono oggi, senza grandi ripensamenti o nostalgie per il passato. D . – Infine, Longanesi sosteneva che un'intervista fosse “un articolo rubato”: dal suo punto di vista, cosa le è stato sottratto durante la nostra chiacchierata? R . – Nulla, non mi è stato sottratto nulla. Dico solo quello che penso, senza che mi si estorca mai niente. Non sono d'accordo con Longanesi e la ringrazio di tutto, caro Gianluca. Gianluca Doronzo

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Dodi Battaglia

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L'INCONTRO CON UNO STORICO ESPONENTE DELLA MUSICA ITALIANA

Una chiacchierata da ricordare con lo storico chitarrista dei Pooh (in attesa del loro 50ennio nel 2016), in tournée per tutta l'estate (il 18 luglio al «Green Village» di Alezio e il 4 agosto a Marina di Pietrasanta, fra l'altro), facendo un bilancio del suo percorso e riflettendo sul termine «talento» e sulle «nuove generazioni canore»

Dov'è andata la musica? Ce lo spiega Dodi Battaglia in 8 brani dal sapore «pop, rock e gipsy», al suo terzo album da solista con la collaborazione di Tommy Emmanuel

Ci sono incontri che segnano il percorso di un giornalista. E quello con Dodi Battaglia, storico esponente dei Pooh (in vista del 50ennio di carriera nel 2016), ne è un chiaro esempio: grandezza, umiltà e spessore scandiscono una chiacchierata “da ricordare”, in occasione dell'uscita del terzo album da solista, intitolato “Dov'è andata la musica”, in collaborazione con Tommy Emmanuel (“un dono che la vita mi sta facendo”). Otto brani (quattro cantati ed altrettanti strumentali) dal sapore “pop, rock e gipsy”, proposti in un tour che toccherà, fra l'altro, il 18 luglio il “Green Village” di Alezio, il 19 l' “Anfiteatro” di Molfetta, il 1° agosto Imperia e il 4 Marina di Pietrasanta (Lucca). A voi il suono della sua voce, con l'emozione dell'ascolto. Domanda – Signor Battaglia, premesso che è sempre un grande onore per ogni giornalista di cultura e spettacolo intervistare un esponente storico della musica italiana come lei, da poco più di un mese ha pubblicato il suo terzo album da solista, intitolato “Dov'è andata la musica”, subito in vetta alle classifiche: atmosfere d'amore, brani pop, rock e gipsy, con la realizzazione di Tommy Emmanuel. Se, in qualche modo, dovesse fotografare il momento in cui è arrivato questo lavoro, a che punto si collocherebbe? Risposta – La ringrazio, innanzitutto, per quanto ha appena detto su di me: dopo tanti anni di musica, è di sicuro un privilegio mettere a punto un album, con la collaborazione del grande Tommy Emmanuel. Io ho cominciato a 5 anni e suonavo un altro strumento, ovvero la fisarmonica: sono andato avanti fino ai 14 e poi è subentrata la chitarra nella mia vita. Mi ritengo una persona fortunata e talentata: il “talento” mi è stato donato dai miei genitori, avendo avuto la fortuna di fare di una passione un mestiere. Intanto, come annuncio nel singolo d'apertura dell'album, dico un “Grazie” a tutti, al pubblico, alla vita con le sue molteplici sfumature e a chi ha

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L'INCONTRO CON UNO STORICO ESPONENTE DELLA MUSICA ITALIANA

fondato i Pooh, scoprendoci, venendoci a vedere un 50ennio fa negli scantinati, quando ancora non eravamo nessuno. D . – Parafrasando il titolo del suo disco, la musica dov'è andata nel tempo? R . – Premettiamo che il titolo prende spunto da una canzone inserita nell'album, riguardante una coppia il cui amore si è un po' stemperato e ci si domanda, appunto, dove sia andata la musica. A nostro avviso, in generale, la musica dimora nel cd. Oggi come oggi credo personalmente che la musica, con i numerosi mezzi di comunicazione che abbiamo a disposizione, stia pian piano andando verso il meglio, anche se la collocazione è più verso il “talent”, da un punto di vista mediatico. A me sembra ci siano tante giovani promesse, ricche di passione e potenzialità, in grado di farsi valere. D . – Fatto sta che il suo lavoro, appena pubblicato, è entrato subito nella top ten dei dischi più venduti. R . – Esatto: siamo entrati subito all'ottavo posto ma, soprattutto, siamo stati a lungo primi fra gli artisti indipendenti. Il che non mi sembra un dato da poco. Io credo che, alla resa dei conti, il pubblico abbia capito quanto io non abbia mai tradito le aspettative di fondo, men che meno negli spettacoli “live”. Mi sembra che la credibilità sia, alla fine della fiera, quella che vada a pagare e conti fino all'ultimo. Non penso proprio si possa aggiungere altro in tal senso. D . – Ha parlato prima di “talento”, termine in qualche modo

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oggi un po' bistrattato e inflazionato nella lingua italiana: dal suo punto di vista cosa vuol dire averne? R . – Il “talento” è quella cosa che credo di aver avuto dall'età di 5 anni: si tratta di quelle peculiarità insite nel dna e dobbiamo ringraziare il cielo di averne. A mio avviso, è ancora più corretto coniugarlo con la grande passione che si prova verso questo mestiere: quando queste due caratteristiche viaggiano assieme, vuol dire che allora si è sulla strada giusta e non se ne può fare a meno. Il “talento” è una pulsione, un desiderio, una grande spinta verso il meglio. D . – Che pensa, allora, dei ragazzi che vengono fuori dai “talent”? R . – Mediamente i ragazzi che vengono fuori dai “talent” sono quelli che rappresentano meglio le nuove leve: da discografico forse penso che in prima istanza siano sfruttati e, spesso, non li si accompagni dovutamente nel proseguimento, facendoli eclissare. Questo, quando avviene, mi dispiace tanto. A mio avviso si dovrebbe seguire molto meglio il “talento” di cui prendersi cura, fino a strutturarne le consapevolezze e, soprattutto, l'itinerario. D . – Manca, per così dire, un po' la figura del “talent scout”. R . – Oggi il “talent scout” è un po' latitante: sarebbe opportuno, pertanto, recuperare la figura del “Pigmalione”, in modo da dare le giuste chance a chi le merita. D . – Musica e tv: un binomio possibile?


L'INCONTRO CON UNO STORICO ESPONENTE DELLA MUSICA ITALIANA

R . – Trovo che i due campi d'esistenza si stiano sempre più divaricando: vedo che oggi si dedica molto spazio alla musica solo nella settimana di “Sanremo” in tv, ma del resto gli altri programmi storici sono scomparsi. Un peccato, perché consentivano di fare promozione e musica dal vivo. Chissà che non possa esserci un'inversione di tendenza in futuro. D . – Il prossimo anno i Pooh festeggeranno il mezzo secolo di carriera: si è parlato di un grande evento che state mettendo a punto, con probabili ritorni di Stefano D'Orazio e Riccardo Fogli. È vero? R . – Io vorrei, sinceramente, che questo avvenimento fosse davvero la più grande festa possibile per i Pooh. Poi, in merito al coinvolgimento di ex componenti, non posso dirle nulla e sono cose riprese da altri giornali, senza che vi siano certezze alcune. L'importante è fare musica. Per il resto si vedrà. D . – Bene, signor Battaglia. Siamo quasi in conclusione: se, metaforicamente, dovesse specchiarsi, che immagine verrebbe fuori di lei oggi? R . – L'immagine di una persona che ha 63 anni e ben 58 li ha dedicati alla musica, alle prese con un tour fantastico, fino alla fine di settembre. Con me sul palco ci sarà il grande signor Tommy Emmanuel, un dono che la vita mi sta facendo. Mi

sento vivo ed entusiasta più che mai. Davvero non potrei chiedere altro. D . – Longanesi sosteneva che un'intervista fosse “un articolo rubato”: cosa le è stato sottratto durante la nostra chiacchierata? R . – Io non sono, sinceramente, all'altezza di fare questo tipo di affermazioni. Per cui, ben volentieri le dico che la sua è stata una bella intervista, nella quale mi ha lasciato spazio, facendomi dire quello che penso. Credo sia condizione imprescindibile per un artista sottoporsi ad un'intervista, rispondendo a domande ben formulate come le sue. La ringrazio per la correttezza e alla prossima. Gianluca Doronzo

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Lucilla Agosti

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LA MATURITÀ DI UNA CONDUTTRICE TV

Lucilla Agosti e il suo «momento magico»: ogni giorno è su R101 e dal lunedì al venerdì (su La5, ore 18.50) conduce «Donna moderna live», rotocalco che le calza «a pennello», interagendo con ospiti in studio e affrontando argomenti al femminile «di grande impatto»

«Sto vivendo un anno bellissimo: fra radio e tv non potrei chiedere altro, cucendo su misura per me ogni progetto e idea da portare avanti al meglio»

Sta vivendo “un anno bellissimo”. Fra impegni radiofonici e televisivi, Lucilla Agosti è alle prese con un momento di grandi soddisfazioni, avendo “cucito su misura” un programma come “Donna moderna live” (La5, dal lunedì al venerdì, ore 18.50), interagendo con ospiti e curando rubriche trasversali. Con un costante sorriso chiacchiera amabilmente, auspicandosi per il futuro anche un ritorno alla recitazione (“non importa che si tratti di cinema o tv: fondamentale è un bel ruolo”), declinando le molteplici sfumature del suo universo artistico. Produttori, dove siete? Domanda – Lucilla, è un piacere ritrovarla a distanza di qualche anno dall'ultima volta in cui abbiamo chiacchierato: erano i tempi di “Scalo 76 talent” su Raidue. In un 2015 ricco di impegni per quanto la riguarda, eccola da qualche settimana alla conduzione di “Donna moderna live” su La5 (dal lunedì al venerdì, ore 18.50), animando un rotocalco ricco di ospiti e rubriche. In che modo sta vivendo una simile esperienza? Risposta – Si tratta di un programma molto carino, tagliato su misura per me, rivolto alle donne e alle mille sfumature del loro universo: in tutta sincerità, le confesso che mi ci trovo proprio bene e sto dando il massimo. Come ha giustamente anticipato lei all'inizio, lo colloco in un 2015 davvero ricco di impegni: ormai da un anno sono a R101, ho condotto su SkyUno “Italia's got veramente talent?”, subito dopo l'omonimo show di prima serata ed ora, per 40 puntate, sono alle prese con “Donna moderna live” su La5. Non potrei chiedere altro. Sa poi qual è il bello? Che nel programma ho la

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LA MATURITÀ DI UNA CONDUTTRICE TV

possibilità di spaziare dalla parte esterna, registrata, a quella interna con gli ospiti, sentendomi pienamente a mio agio. D . – Stando alle prime puntate, quali riscontri ha avuto? R . – Direi che piace a tutti, moltissimo: parla alle donne attraverso anche tanti tutorial e numerose rubriche, con attenzione ai dettagli e alla quotidianità. Siamo alle prime settimane: di sicuro, con un po' di rodaggio, ci sarà ancora più modo di affezionarsi a noi. Siamo, con mio sommo piacere, solo agli inizi. D . – Ha detto poco fa che il “programma è su misura per lei”: potremmo, dunque, sostenere che è pienamente rappresentata dalla conduzione di un magazine? R . – Le dico la verità: a me il brivido della diretta piace di più, in quanto si vive pienamente quello che si fa, senza filtri. Di “Donna moderna live”, però, mi piace molto la parte in studio, dove ho la possibilità di chiacchierare con chi interviene. E il risultato finale trovo sia davvero entusiasmante. D . – Nella nostra chiacchierata è venuta fuori la sua partecipazione a “Italia's got veramente talent?” su SkyUno, altra esperienza di successo nel 2015. R . – Assolutamente: un'impresa davvero bella, innanzitutto perché è stata condivisa con Rocco Tanica, un artista di successo, da me molto stimato e di grande humour. Ho completato i miei giorni con la radio al mattino: di conseguenza, non potrei chiedere di più dalla vita in questo periodo. Lo ribadisco ancora una volta. D . – Il suo, Lucilla, è un percorso artistico ricco di tante sfumature: la conduzione, in generale, cosa rappresenta? R . – Nel mio percorso costituisce una fase di dinamismo, di grande vivacità e movimento: tutti possono vedere, quando sono protagonista di un programma, come sono nella mia schiettezza. E, oserei dire, che è una parte fondamentale di me. Lei ha sapientemente parlato di “tante sfumature” nel mio percorso: noi artisti siamo fatti di numerosi tagli, di tante facce della medaglia e il compito di ciascuno, a mio avviso, dovrebbe essere quello di dare il meglio in ogni impresa che si rispetti. D . – Da un punto di vista attoriale, cosa vorrebbe potesse accadere oggi? R . – Arrivata a questo punto, mi piacerebbe una bella parte o in una lunga serialità o al cinema. Sì, direi che sarei propensa ad un ruolo incisivo, che mi possa far crescere tanto. Io sono qui, pronta ad andare sul set

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(e ride, ndr). D . – E noi glielo auguriamo. Altra domanda topica, Lucilla: siamo in un momento nel quale il termine “talento” è un po' inflazionato e bistrattato nella lingua italiana, anche a causa della declinazione mediatica. Dal suo punto di vista, cosa vuol dire averne realmente? R . – Vuol dire essere davvero capaci di esprimere il proprio mondo in ambito artistico: dal mio punto di vista, averne e indirizzarlo in una simile direzione è tanto. È anche vero, tuttavia, che non si vive solo sotto i riflettori: la quotidianità è fatta di tantissimi elementi, per cui si può andare avanti anche senza doti spiccate o velleità, ma all'insegna della propria semplicità dell'essere. D . – Il “talento” della propria normalità nella vita di ogni giorno. R . – Ben detto, Gianluca. Nel proprio modo di vivere la vita di ogni giorno si può essere ben felici, senza grandi pretese o sogni nel cassetto. Si può essere talentuose da mamme, nel fare la spesa o in molte altre azioni quotidiane. Non esiste solo il mondo dello spettacolo. D . – Giusto, Lucilla. A questo punto, in che modo vorrebbe potesse proseguire il suo percorso? R . – Sempre al meglio, in salita, con la serenità giusta per affrontare tutto quello che accadrà, passo dopo passo. D . – Alla luce di quanto abbiamo tracciato nella nostra piacevole chiacchierata, vorrei concludere con una metafora: se Lucilla si dovesse specchiare oggi, quale immagine verrebbe fuori? R . – Una donna che sta portando avanti il proprio percorso, in fondo in fondo ancora una ragazzina “rompicoglioni” (e ride, ndr), ben proiettata verso il futuro. Con tanta positività e voglia di fare. D . – Concludiamo con una massima di Longanesi: “Un'intervista è un articolo rubato”. Dal suo punto di vista, cosa le è stato sottratto durante la nostra chiacchierata? R . – Per darle una risposta precisa, bisognerebbe addentrarsi nella psicologia delle cose e in quello che Longanesi realmente sosteneva. Dipende, pertanto, dal senso che si dà al “rubato”: io mi sento di condividere con lei e con i lettori quello che mi sta chiedendo, senza che mi venga sottratto nulla, perché chiacchiero piacevolmente. Di conseguenza va bene così e la ringrazio. Anche a me ha fatto piacere ritrovarla, a distanza di un po' di anni. Alla prossima, Gianluca. Gianluca Doronzo

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Giorgio Tirabassi

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IL TALENTO DI UN ATTORE «MADE IN FICTION»

Con lui si può parlare di grandi insegnamenti alla Proietti («bisogna avere personalità sul palco») e di valori come l'«amicizia» (rarità al giorno d'oggi): Giorgio Tirabassi e il suo «poliedrico universo», facendo il punto sull'«Ardenzi» in «Squadra mobile» (Canale 5, ogni lunedì, ore 21.10, oltre 4milioni di spettatori in media col 18% di share), ammettendo che, in carriera, avrebbe potuto fare «più cinema e meno tv»

«Essere credibili in un personaggio è la vera chiave di volta per rimanere nell'immaginario del pubblico: io mi impegno in questa direzione e spero puntualmente di riuscirci»

Il suo ritorno in tv è stato accolto da oltre 4milioni di spettatori, vestendo i panni dello storico “Ardenzi”. Giorgio Tirabassi, così stando le cose in “Squadra mobile” (Canale 5, ogni lunedì, ore 21.10), non potrebbe chiedere di più in questo periodo: con estrema disponibilità si concede in una piacevole chiacchierata, facendo anche un po' il bilancio di un lungo percorso attoriale (“forse avrei potuto fare più cinema, ma non è mai troppo tardi”), senza dimenticare gli insegnamenti dei grandi alla Proietti, Giannini e Mastroianni (“bisogna avere sempre una spiccata personalità, senza mai bluffare”). E, in un'ultima analisi, una riflessione su termini come “talento, amicizia e amore”. Leggere, per scoprire. Domanda – Giorgio, in “Squadra mobile” (Canale 5, ogni lunedì, ore 21.10, oltre 4milioni di spettatori in media col 18% di share) veste i panni di “Ardenzi”, storico personaggio animato ai tempi di “Distretto di polizia”: soddisfatto del gradimento del pubblico? Risposta – La sensazione maggiore, in tutta onestà, è quella di un cambiamento proprio degli spettatori e della tv: l'ultima cosa che avevo fatto era stata “Benvenuti a tavola”, dai toni più scanzonati e leggeri. Tornando al poliziesco, credo che in “Squadra mobile” ci sia davvero un bel richiamo alla contemporaneità, facendo un po' stridere il ricordo o il paragone con “Distretto”. L'idea di sicuro era quella di riportare in auge un personaggio di successo come “Ardenzi”, ma modificando la fattura del prodotto da interpretare, rendendolo molto credibile. E devo dire che grazie alla Taodue siamo riusciti a fare davvero un bel lavoro di squadra, con un ottimo cast e, soprattutto, una buona scrittura. D . – Il riscontro del pubblico dimostra quanto affetto ci sia da sempre nei confronti del poliziesco, non disattendendo mai le aspettative. R . – Guardi, non solo il poliziesco non ha mai tradito il pubblico da noi, ma oserei dire nella letteratura internazionale. In fondo, colui che incarna l'istituzione è sempre stato un idolo nell'immaginario collettivo, a difesa del bene nei confronti del male. Il bello è che “Squadra mobile” rende ogni istanza più vera: se su “Distretto” c'era un aspetto più umano e si entrava ad indagare i rapporti interpersonali, qui siamo sulla linea della vita di tutti i giorni, affrontando casi che sono di ordinaria cronaca. D . – Ecco, dunque, l'arma vincente della contemporaneità. R . – Credo che se uno di noi oggi entrasse in un commissariato, si troverebbe dinanzi a casi di problemi di abitazione, droga, prostituzione e malasanità, esattamente come accade nella nostra fiction. Questo estremo senso di identificazione col pubblico non può che decretare il successo di una serie, a mio avviso. D . – Arrivato a questo punto, quale ruolo o genere le piacerebbe affrontare oggi? R . – Non saprei, onestamente, perché non ho ancora capito qual è il progetto ideale: per questo, nel frattempo, continuo a lavorare, così come accaduto in “Squadra mobile” con Valsecchi. A me era stata fatta la proposta di rientrare in tv con una serie simile “a progetto avviato”: c'ho pensato un po' e poi ho accettato. Diciamo che col mio ingresso sono stati fatti un po' di ritocchi e sono contento, alla luce dei risultati, di aver detto di sì. D . – Dal suo punto di vista, in generale, che fase sta

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attraversando la tv oggi? R . – Di grande trasformazione: già da qualche anno tutto è cambiato e il pubblico, con la moltiplicazione delle offerte, decide cosa vedere o meno. Bisogna, a mio avviso, alzare il tiro e adesso, chi ha la possibilità, sceglie la tv via cavo, i canali telematici e non lascia spazio a nessun'altra via d'uscita. Che si tratti di giovani o anziani, ormai è tutto uno scegliere e non un subire le proposte. D . – Cinema o teatro: cosa vorrebbe potesse accadere?

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R . – Sto girando un film con Lucio Gaudino: si tratta della storia di un trasportatore di camion ed è un ruolo drammatico. Ci tengo davvero tanto. A teatro c'è uno spettacolo e ho registrato un disco con quattro jazzisti, un progetto a me molto caro, che vorrei potenziare nella promozione, in quanto è frutto di una mia passione autentica. D . – A proposito di teatro: se dovesse ricordare una massima del suo Maestro, Gigi Proietti, quale le verrebbe subito in mente?


IL TALENTO DI UN ATTORE «MADE IN FICTION»

R . – Guardi: tutto quello che ho potuto prendere, l'ho preso. Non le dico l'osmosi, ma quasi (e ride, ndr). In fondo ogni grande Maestro mi ha dato tanto, da Gigi a Giannini fino a Mastroianni. Di sicuro l'aspetto che ho maggiormente interiorizzato è che è importante per un attore interpretare con una propria personalità, senza mai bluffare o copiare. Ed io ho cercato, puntualmente, di andare verso una simile direzione, senza esitazione di sorta. D . – Giorgio, siamo in un momento in cui il termine “talento” è bistrattato e inflazionato nella lingua italiana, a causa soprattutto della declinazione mediatica. R . – (Con impatto immediato, ndr) Non solo: io affronterei anche una questione sulla parola amicizia, il cui senso è profondo e sempre più raro da trovare. O sull'accezione dell'amore, su quello da provare per il prossimo e sulla generosità. Ce ne sono di discussioni da fare in merito, caro amico mio. D . – Ha perfettamente ragione: ma tornando al termine “talento”, dal suo punto di vista cosa vuol dire averne realmente? R . – Averne vuol dire che sai fare qualcosa con grande facilità, mentre gli altri ne hanno difficoltà o non ci riescono proprio. Il “talento” è qualcosa che arriva, perché hai delle potenzialità che sanno essere messe a punto in una precisa direzione. Il problema è avere le condizioni giuste per farlo fruttare: ci vogliono la fortuna, l'incontro opportuno e il momento nel quale puoi dimostrare di averlo. A ciascuno il suo. D . – Siamo, purtroppo, alla conclusione della nostra piacevole chiacchierata: se, metaforicamente, dovesse specchiarsi, che immagine verrebbe fuori oggi di Giorgio Tirabassi, alla luce del percorso maturato? R . – Che, forse, potevo anche fare meno tv e più cinema: però la vita dell'attore è lunga e, finché regge quella dell'uomo, ci sono tantissime speranze di fare ancora tanti ruoli per il grande schermo, quando sarò più in là negli anni (e una risata comune arriva ad epilogo dell'intervista, ndr). Gianluca Doronzo

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Corinne Clery

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LA SIGNORA DELLA SCENA IN TOURNÉE

La Clery, dopo l'esperienza nel 2013 nel reality «Pechino Express» su Raidue, è tornata a vivere stagioni esponenziali in teatro, conquistando nel 2015 gli spettatori grazie alla commedia «Tre donne in cerca di guai» (da «Les Amazones» di Jean-Marie Chevret), per la regia di Nicasio Anzelmo, accanto a Barbara Bouchet ed Iva Zanicchi, per la produzione di Tania Corsaro (nella speranza che ben presto ne venga tratta una serie tv)

Verve, risate e tanta curiosità: l'incontenibile fiume in piena di nome Corinne, con un futuro da assaporare «sul palco», respirando «una coralità al femminile»

Una stagione teatrale vissuta con autentici “sold out”. E, ad ottobre, ci sarà la ripresa della tournée, iniziando dal “Nuovo” di Milano. Corinne Clery non riesce a contenere l'entusiasmo per il successo di “Tre donne in cerca di guai” (da “Les Amazones” di Jean-Marie Chevret), per la regia di Nicasio Anzelmo, accanto a Barbara Bouchet ed Iva Zanicchi, con produzione di Tania Corsaro. Una commedia di grande ritmo, rimasta nel cassetto per otto anni, nella speranza che arrivasse “la giusta traduzione”. E così è accaduto, conquistando il pubblico italiano. Ripercorrendo i tratti salienti della sua carriera, assisterete ad un'intervista scandita da verve, risate e sincerità, come solo una grande esponente del segno dell'ariete sa fare (in concomitanza ad una costante curiosità). Signori, sipario! Domanda – Ha appena concluso una stagione trionfale, in tournée in tutt'Italia con “Tre donne in cerca di guai”, per la regia di Nicasio Anzelmo, nei panni anche di produttrice assieme a Tania Corsaro. Ad affiancarla: Iva Zanicchi e Barbara Bouchet, fra gli altri. Quali emozioni? Risposta – È stato un progetto che ha avuto inizio da me ben otto anni fa, solo che la traduzione non era mai quella giusta e ho dovuto accantonare tutto per un po', fino alla scorsa stagione. Si parla di libertà delle donne, argomento da noi in Francia affrontato con 10-15 anni d'anticipo, ma anche della tenerezza e della solitudine di fondo del nostro universo, con toni molto comici e divertenti. In Italia devo dire che tutti hanno accolto con entusiasmo la pièce: ciascuna di noi sul palco è giusta nel suo ruolo e trovo che Iva Zanicchi, nei panni della casalinga, sia una grande rivelazione, avendo una vena ironica innata, davvero. Siamo, assieme a Barbara Bouchet, tre tipologie di donne molto diverse, pronte a raccontare il cambiamento del mondo, attraverso i nostri personaggi. Io ho

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LA SIGNORA DELLA SCENA IN TOURNÉE

comprato il progetto e lo sto vedendo crescere, pian piano, quasi fosse un bambino: è maturato e sta continuando a svilupparsi. Abbiamo fatto continui “sold out” dappertutto, fino alla fine di aprile. Riprenderemo ad ottobre al “Nuovo” di Milano e proseguiremo per tante altre città. D . – Potremmo, dunque, ritenere la coralità al femminile la vera chiave di volta del vostro successo? R . – Nella maniera più assoluta: siamo diverse e complementari in scena. Ciascuna è giusta nella propria dimensione e anche il ruolo della Bouchet, che inizialmente sarebbe dovuto essere della Spaak, ha destato enorme curiosità, motivandola a fare teatro dopo ben 40 anni di cinema, tv e fiction. Non dimentichiamo, inoltre, la presenza di Tania Corsaro alla produzione. Io, essendo coinvolta nella ideazione del progetto, sono molto felice degli sviluppi e ho riscontrato quanto l'universo femminile, quando vuole, sia ricco di intelligenza, solidarietà e amicizia. D . – Ritiene ci sia un bel fermento in teatro in Italia? R . – Il teatro sta, a mio avviso, ripartendo e ci vuole un bel po' di divertimento per alimentarne la crescita: la gente ha bisogno di evasione dalla routine. La nostra è una pièce comica e sono felice di raccontare la contemporaneità, attraverso le varie declinazioni dell'anima delle donne. D . – Alla resa dei conti, in virtù dell'entusiasmo espresso, si evince quanto ami il suo lavoro, signora Clery. R . – Verissimo. Sento di essere come parte di una compagnia di giro e l'essere andati così bene nella stagione appena conclusa mi motiva a fare sempre meglio, senza esitazione di

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sorta. D . – A che punto, quindi, del suo percorso è arrivato “Tre donne in cerca di guai”? R . – Sicuramente è arrivato in un momento in cui non trovavo delle cose che mi piacessero in teatro: mi sono presa un anno di pausa, fino a dicembre 2013, essendo legata ad un contratto Rai. Poi ho visto, pian piano, concretizzarsi il sogno di portare il testo in scena, divertendomi, rinunciando magari a proposte cinematografiche o televisive. Sul palco io manifesto il mio grande amore per il teatro: e le dico di più. È talmente grande la mia passione da sentirmi non solo gratificata come attrice, ma da essere proiettata in una dimensione di felicità con i miei colleghi, nell'essere in viaggio in macchina fino a raggiungere le varie città della tournée. Tania Corsaro ha creduto tanto in questo progetto, Iva è un'attrice nata e Barbara davvero stimolante in scena. Siamo una forza della natura (e ride, ndr). D . – E se ci fosse una versione cinematografica o televisiva dello spettacolo teatrale, vista l'estrema sinergia con cui siete in scena? R . – Sa che l'abbiamo già pensato? A me piacerebbe moltissimo e sarebbe la realizzazione di un altro sogno. Una serie televisiva, a mio avviso, sarebbe perfetta. Tra di noi non c'è minima gelosia, non si avverte alcuno “sgomitamento”: viviamo ogni attimo con rispetto e affetto, spalleggiandoci una con l'altra. Ci hanno tutti, in maniera unanime, detto che siamo all'unisono in scena e, di conseguenza, ci piacerebbe molto l'idea di farne una serie tv. Magari non con lo stesso titolo, ma di sicuro con l'impianto narrativo della pièce.


LA SIGNORA DELLA SCENA IN TOURNÉE

D . – E sarebbe “sold out” anche in termini di audience. R . – Certo: ci sarebbe il “sold out” del divertimento. La gente, in fondo, ha tanto bisogno la sera quando torna a casa di rilassarsi davanti alla tv: la nostra ironia potrebbe essere di gran supporto per tutti (e ci scappa un'altra risata, ndr). D . – Se dovessimo, un attimo, fare un salto a ritroso nel suo percorso, si sarebbe mai aspettata quello che è accaduto nel tempo? R . – No, perché io sono una fatalista. Non cerco mai niente per forza o in maniera apposita. Sono stata fortunata nella vita, ma ho anche rischiato tanto facendo determinate scelte, optando per alcuni testi e rifiutandone altri. Di sicuro, oggi come oggi, non potrei mai fare a meno del mio lavoro. E sto cercando di viverlo nel migliore dei modi, dando puntualmente il massimo. D . – Non riuscirebbe ad immaginarsi senza il teatro, vero? R . – Quello è sicuro. Non ci rinuncerei per nulla al mondo. Mi dà troppe emozioni ed è meraviglioso: sento di essere piena di gioia, appagata e soddisfatta quando sono sul palco. E poi, per natura, sono una molto curiosa, da buona esponente dell'ariete. D . – La capisco, signora Clery: condividiamo lo stesso segno e la curiosità rappresenta la molla che ci spinge ad andare avanti, giorno dopo giorno. R . – Benissimo. Allora ci capiamo (e un'altra risata scandisce

la risposta, ndr). D . – Stiamo, purtroppo, arrivando alla conclusione di questa chiacchierata molto divertente: se si dovesse, metaforicamente, riflettere allo specchio oggi, che immagine verrebbe fuori di Corinne Clery? R . – Quella di una persona felice per quello che ha seminato, sempre con una grande serietà, senza mai aver accettato alcun compromesso. Sono una donna fiera di se stessa, avendo fatto alcune rinunce, pagandone anche le conseguenze, ma col grande gusto di essere andata avanti sempre con le mie gambe. Mi guardo allo specchio e sono orgogliosa di me: vado a testa alta ed ho puntualmente avuto un grande rispetto dei miei familiari. Ammetto di essere serena in questo periodo della mia vita e vorrei continuasse così. D . – Infine, Longanesi sosteneva che un'intervista fosse “un articolo rubato”: cosa le è stato sottratto durante la nostra chiacchierata? R . – Non sono assolutamente d'accordo con quello che sosteneva Longanesi: lei non mi obbliga a dire quello che le sto dichiarando e sta riportando fedelmente il mio pensiero, senza metterci del suo. Per cui, se un giornalista lavora come lei, non può che essere un piacere per ogni artista che si rispetti. Poi ci sono quelli di gossip, ma è un'altra storia e la lasciamo perdere (e un'ultima risata chiosa una chiacchierata da ricordare, ndr). Gianluca Doronzo

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Daniele Pecci

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FRA FICTION E PALCO - IL BELLO DI UN INTERPRETE

L'affascinante Daniele Pecci, noto al pubblico per le numerose partecipazioni in fiction (anche in costume), in attesa di essere fra i protagonisti della serie «I misteri di Laura» su Canale 5 (in autunno), ha appena concluso la tournée di una versione «molto originale e ricca di idee» dell'«Amleto» di Shakespeare, realizzando «un sogno nel cassetto, per ogni attore che si rispetti», accanto a 13 colleghi, per la regia di Filippo Gili e produzione dello «Stabile del Molise»

«Dopo tanti anni di carriera, vorrei che il grande schermo s'accorgesse di me: registi, dove siete?»

Crede in un teatro “fortemente sperimentale”, ricco di idee e originalità, pur dovendo fare i conti con “i bassi investimenti nelle produzioni odierne”. Daniele Pecci ha esordito sul palco negli Anni '90, ma è diventato popolare nello scorso decennio grazie a numerose fiction, anche in costume. Ha appena concluso la tournée dell' “Amleto” di Shakespeare (“un sogno per ogni attore che si rispetti”), per la regia di Filippo Gili e produzione della “Compagnia Stabile del Molise”, con un buon successo di pubblico e ben “tredici colleghi in scena”. In attesa che in autunno siano trasmessi su Canale 5 gli episodi della serie “I misteri di Laura”, si racconta in una chiacchierata “al volo”, facendo un breve bilancio del suo percorso, consentendo che “gli si rubi” ciò che desidera (da buon padrone di casa) durante l'intervista. Cosa vuol dire? Lo capirete nell'epilogo, con molta suspense. Domanda – Daniele, lei ha debuttato in teatro negli Anni '90, fino a raggiungere la consacrazione agli inizi del 2000 grazie a diverse fiction: nella scorsa stagione è tornato sul palco, animando una versione del tutto particolare dell' “Amleto” di Shakespeare, per la “Compagnia Stabile del Molise”. Cosa ha rappresentato questa sua rentrée e a che punto è arrivata? Risposta – Da un punto di vista emotivo ha rappresentato un'occasione molto importante, la realizzazione di un vero e proprio sogno. In quanto al mio percorso, il testo è arrivato in un momento di ricerca, di partenza e arrivo allo stesso tempo, raggiungendo un traguardo da molti ambito, a livello attoriale. Come dirle: per ogni carriera che si rispetti l' “Amleto” ne

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costituisce il coronamento. Ed io mi sento particolarmente appagato in merito a quanto sta accadendo. L'unico problema è che ogni impresa che si anima oggi risente della mancanza di denaro: in teatro non ci sono i soldi e bisogna fare i conti con i mezzi che si hanno a disposizione. Noi siamo ben 13 in scena e abbiamo una paga da ritenersi come un “rimborso spese”. Ma è talmente tanta la voglia di fare, da andare oltre le oggettive difficoltà che riscontriamo. D . – Fatto sta che la modernità dei classici è indiscutibile da un punto di vista autoriale, no? R . – Diciamo che noi non abbiamo messo su questa versione con l'intento di essere moderni ad ogni costo o di essere comprensibili con il metro del pubblico. La scenografia è nuda, tutto il teatro è utilizzato come spazio drammaturgico e abbiamo mezzi a basso costo, fra costumi, trucchi e parrucche. Di sicuro l' “Amleto” è un'opera universale che racconta l'uomo, a prescindere dagli orpelli o dalle sovrastrutture “on stage”, per così dire. D . – In merito, in antitesi, alla drammaturgia contemporanea, cosa pensa? R . – Sulla drammaturgia contemporanea non sono, a dirle la verità, molto aggiornato, essendo prevalentemente un amante del classico. So di certo che vanno molto bene i testi di Stefano Massini, le cui riduzioni sceniche sono state interpretate da grandi esponenti del teatro italiano. E, indubbiamente, tutto quello che Ronconi ha elaborato a livello registico prima che

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morisse, credo sia di stampo universale, per sempre nella memoria di ciascuno di noi. D . – Dicevamo, all'inizio della nostra intervista, quanto la sua consacrazione sia avvenuta grazie alla fiction italiana: che fase sta attraversando, secondo lei? R . – È un momento non molto facile e, come per il teatro, così anche per le produzioni televisive non ci sono soldi da investire, necessari a pagare attori e addetti ai lavori. La tv generalista sembra aver esaurito la sua vena produttiva. Ho visto, tuttavia, di recente cose ben fatte come le due puntate su “Mennea”. Io, nel mio piccolo, ho girato una fiction, dal titolo “I misteri di Laura”, che andrà in onda su Canale 5 nella prossima stagione. Staremo a vedere quali risultati avrà. Rimane, però, il fatto che non siamo in un periodo felicissimo per nessuno. D . – E il cinema? R . – Il cinema lo fanno in tre: tre attori, tre registi e altrettanti produttori. Non ci sono copioni e spazi sufficienti per farsi ascoltare e proporre le proprie idee. Un grande peccato, caro Gianluca. D . – Come vorrebbe potesse continuare il suo percorso, Daniele? R . – Mi piacerebbe fare tante cose. Innanzitutto vorrei andare avanti col teatro, ma col teatro che faccio io, alla mia maniera, come nel caso di “Amleto”. E poi non le nascondo che, dopo tanti anni di carriera, vorrei mi si aprissero seriamente le porte


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del cinema, con un bel ruolo e una regia in grande stile. D . – Siamo in un momento in cui il termine “talento” è un po' bistrattato e inflazionato nella lingua italiana, anche a causa della declinazione mediatica: dal suo punto di vista, cosa vuol dire averne? R . – Io credo che significhi avere un'inclinazione per qualcosa che gli altri ti riconoscono. Ritengo sia vietato parlare ad ognuno di noi del suo “talento”, anche perché sarebbe l'apoteosi dell'autoreferenziale. È evidentemente la concezione di un'attitudine, un quid che sai fare senza alcuna difficoltà, una tua peculiarità che ti contraddistingue. D . – E cosa, alla luce della sua esperienza, sentirebbe di suggerire a chi ritiene di averne? R . – Dico sempre di non preoccuparsi tanto del proprio “talento”, bensì suggerisco puntualmente di impegnarsi a fare tutto quello che si può al meglio, senza mai tralasciare alcun dettaglio o particolare. Il “talento” quando c'è è nel profondo, non è qualcosa che si tocca con mano, bensì te lo riconoscono gli altri. E non importa che riguardi il canto, il ballo o la recitazione: fondamentale è portarlo avanti, fino a farlo

emergere con tutte le proprie forze, in maniera incondizionata. D . – Bene, bene. Siamo quasi in dirittura d'arrivo: se, metaforicamente, si dovesse specchiare, quale immagine verrebbe fuori oggi di Daniele Pecci? R . – Di una persona sicuramente appassionata che, pur non nascendo in una famiglia artisticamente ricca, ha fatto una gavetta vera all'ombra di tanti registi, lottando giorno dopo giorno per raggiungere quello di cui oggi va molto orgoglioso. Ecco: l'immagine che verrebbe fuori sarebbe quella di un lottatore. D . – E, allora, da buon lottatore vediamo un po' che risposta mi dà all'ultima domanda: secondo Longanesi “un'intervista è un articolo rubato”. Dal suo punto di vista, cosa le è stato sottratto durante la nostra chiacchierata? R . – (Dopo una risata, ndr) In qualche modo è un “furto” nella misura in cui il padrone di casa lascia aperta la sua porta. Per cui io le ho detto delle cose, avendole consentito di “rubarmele” (e si conclude con una risata, ndr). Gianluca Doronzo

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Barbara Bouchet

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DAL CINEMA AL TEATRO - LA PRIMADONNA INTERNAZIONALE

Ha avuto una carriera internazionale, vantando collaborazioni hollywoodiane e oltre «120 film»: intervista ad una delle icone attoriali degli Anni '80, rivalutata da Martin Scorsese, oggi alle prese con continui «sold out» grazie alla pièce «Tre donne in cerca di guai» (da «Les Amazones» di Jean-Marie Chevret), per la regia di Nicasio Anzelmo, accanto a Corinne Clery ed Iva Zanicchi (ad ottobre a Milano)

Barbara Bouchet e la sua «nuova vita» in teatro, gratificata «dall'applauso del pubblico, il più bel dono che si possa ricevere»

“L'applauso del pubblico è la miglior gratificazione che si possa ricevere, vero e autentico elisir di lunga vita per ogni attore che si rispetti”. Come dar torto a Barbara Bouchet, attrice con all'attivo oltre 120 film, dalla carriera internazionale? Pronta puntualmente a mettersi in discussione, si è più volte “reinventata” nel suo percorso, anche quando sembrava impossibile “risalire la china”. A 39 anni ha abbandonato il cinema, per dedicarsi alla tv: poi è stata la volta della sua rentrée sul grande schermo con Martin Scorsese ed è tornata a figurare fra le primedonne della scena attoriale. Oggi, sentendosi viva più che mai, ha deciso di “debuttare” in teatro, accanto a Corinne Clery ed Iva Zanicchi, in “Tre donne in cerca di guai” (da “Les Amazones” di JeanMarie Chevret), per la regia di Nicasio Anzelmo, con autentici “sold out” in tutt'Italia. E, ad ottobre, ci sarà la ripresa della tournée, iniziando dal “Nuovo” di Milano. Per la serie: un fiume in piena. Domanda – Signora Bouchet, a che punto del suo percorso è arrivata la proposta della pièce “Tre donne in cerca di guai”, per la regia di Nicasio Anzelmo, avendo concluso la prima stagione con autentici “sold out” in tutt'Italia? Risposta – Direi che la proposta è arrivata in un bel momento per quello che mi guarda: io ho fatto a lungo cinema e tv. Il teatro, a dire la verità, l'avevo frequentato pochissimo: solo 20 anni fa c'è stata “qualcosina”, ma senza una vera e propria tournée. Di conseguenza “Tre donne in cerca di guai” ha rappresentato, per così dire, il mio quasi debutto ufficiale sul palco. All'inizio non le nascondo che mi è venuta una crisi enorme: il mio cervello è rimasto fermo molto tempo e avevo, in un certo senso, il timore di non farcela e di non riuscire ad

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imparare tutte le battute a memoria. Devo ammettere, però, che i miei colleghi mi hanno tranquillizzata e, all'improvviso, i miei neuroni si sono rimessi in moto (e ride, ndr), diventando collaborativi. Premesso ciò, non ci aspettavamo di avere un successo del genere e mi sono, in fondo in fondo, pentita di non aver recitato prima in teatro. Sa, la vita di un attore è molto variabile: per quel che mi riguarda a 39 anni ho deciso di andare via dal cinema, in quanto non avevo più stimoli per i ruoli che mi proponevano. Pensi che all'epoca mi dissi che sarei andata via per soli dieci anni, ma la mia assenza si è prolungata e, in contemporanea, la vita è andata avanti su altri fronti. In Italia ormai il grande schermo non c'è più, la tv è quella che è e oggi vale più un personaggio di un reality, piuttosto che un'attrice come me, memore di ben 120 film all'attivo. D . – Se vogliamo, signora Bouchet, fa un po' tristezza tutto questo, non avendo rispetto per chi come lei ha avuto una carriera a dir poco internazionale. R . – In Italia è così, non in Francia. Pensi che, come le dicevo prima, già un po' di tempo fa io avrei dovuto fare teatro con Lisa Gastoni ma, essendo venuta meno al progetto, non se ne fece più niente. Un giorno Corinne Clery mi ha chiamata, proponendomi “Tre donne in cerca di guai” e, per fortuna, ho accettato: me ne sarei pentita, se non fosse stato così. D . – La grande bellezza del teatro è nell'applauso del

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pubblico, sincero e diretto. R . – Gli applausi e le risate sono davvero ciò che più dà grande entusiasmo a noi attori. Abbiamo girato posti disparati e, puntualmente, abbiamo avvertito gli umori del pubblico, anche dinanzi alle persone più riservate e apparentemente restie. È bello conoscere così tanta gente in tournée e vivere le emozioni della presa diretta, con l'adrenalina e la paura di dimenticarsi le battute. Per fortuna, non è mai accaduto (e ride, ndr). D . – In fondo, il vostro è stato uno spettacolo “sold out” già sulla carta: vero? R . – Bravissimo, Gianluca: il nostro spettacolo è stato vendutissimo già sulla carta e nessuna di noi si sarebbe potuta immaginare un successo così grande. Io, Corinne ed Iva interpretiamo dei personaggi molto belli e divertenti, ad incastro, con grande ritmo e verve. D . – Il teatro, dunque, rappresenta il suo futuro? R . – Sì, questa è la prossima vita che spero di avere. Poi, indubbiamente, possiamo anche pensare ad un'altra (e una risata si fa strada, ndr). Oggi mi sento una donna libera e le assicuro che trovarsi in un posto diverso ogni giorno non è facile. Io sono una salutista ad hoc e mangiare all'una e mezza di notte non è proprio da me, perché poi non dormo. Ma le assicuro che, piacendomi così tanto il teatro, con Corinne Clery ed Iva Zanicchi ho superato anche questo mio limite.


DAL CINEMA AL TEATRO - LA PRIMADONNA INTERNAZIONALE

D . – Grande la sua simpatia, signora Bouchet. Se dovessimo, in qualche modo, tracciare le tappe fondamentali del suo percorso, si sarebbe mai aspettata una carriera come quella che ha messo a punto? R . – Onestamente non me lo sarei aspettato. Io ho fatto tante cose nella mia vita, compresa la tv in America e lavori come “Star Trek”, non dimenticando fiction internazionali e cinema. Quando sono arrivata in Italia ho animato tantissimi film. Poi, un giorno, fui chiamata da Berlusconi e mi chiesero di condurre il “Beauty Center Show”: inizialmente pensai che fare tv volesse dire fare una sorta di marcia indietro nella mia carriera. All'epoca, però, stavo già preparando qualcosa affine alla palestra e agli esercizi ginnici: allora pensai che, se avessi accettato, quello che stavo mettendo a punto sarebbe potuto diventare un buon veicolo di pubblicità. Per questo, ho detto di sì e mi sono totalmente dedicata a programmi di forma fisica sul piccolo schermo. Dopo un ventennio è arrivato Martin Scorsese a propormi un bel film e sono tornata al cinema, ma agli italiani sembrava non gliene potesse “fregare de meno”. Così, ho dovuto mangiare tanti rospi, essendo trattata quasi come l'ultima arrivata: per me non c'era più spazio nei programmi e nelle proposte seriali. Pensi che in una trasmissione di Bonolis una volta fui messa fra tre-quattro ragazzini da reality, trattata in roulotte come l'ultima arrivata. E le dirò di più: in quella trasmissione mi misero anche in seconda fila, non facendomi parlare per niente. Fui pagata, senza essere minimamente interpellata dal conduttore. Caro mio, ne ho mandati giù di bocconi amari. Allora mi sono detta: ricomincio dal basso e risalgo, pian piano, la mia scala, fino ad arrivare in alto. Ho, di conseguenza, preso parte ad alcune serialità ed oggi sono contentissima del successo che il teatro mi sta dando. D . – Bellissima la verità del suo racconto, proprio come piace a me: in molti dovranno mangiarsi le mani per la maniera in cui l'hanno trattata, visto il successo che sta ottenendo in questi mesi. R . – Ah, se dovessi fare tutti i nomi non basterebbe un'intervista! Va da sé, però, che ci sono state anche tante persone che hanno avuto un grande rispetto per me: penso a Piero Chiambretti, un vero signore della nostra tv e a Daria Bignardi. Due seri professionisti, che mi hanno intervistata, mettendomi a mio agio e, soprattutto, avendo un enorme rispetto per la mia carriera. D . – Se le dovessero, a questo punto, proporre una fiction, accetterebbe? R . – Sì, sì: assolutamente. Mi piacerebbe molto fare una fiction oggi, mettendo a punto un ruolo coerente con la mia età, da mamma, nonna o zia. Sono pronta per lavorare: produttori, dove siete? D . – Accoglieranno di sicuro il suo appello, vedrà! Basta col pregiudizio e la mancanza di rispetto. R . – Lei è molto carino, Gianluca. Vorrei, tuttavia, citare dei bei lavori che ho fatto come “Ho sposato uno sbirro” con Flavio Insinna e “La provinciale” con la Ferilli, in un ruolo molto cattivo. Per cui io non ho alcun problema a farmi invecchiare o a vestire panni molto distanti dalla mia persona. Sono sicura di me stessa e il lavoro lo potrei affrontare al meglio. Mi mettessero alla prova. D . – E se dovesse esserci una proposta cinematografica?

R . – E dov'è il cinema oggi? Credo che solo due grandi attrici abbiano fatto la differenza nei ruoli: Charlize Theron in “Monster”, che si è prodotta da sé, perché nessuno le avrebbe dato un ruolo del genere, dinanzi a così tanta bellezza e Virna Lisi ne “La regina Margot”, straordinaria, di grande classe e rispetto. Io sono ancora alla ricerca: vediamo un po' cosa potrà accadere. D . – Dunque: teatro, tv e cinema. Vorrebbe tutto nel suo futuro. R . – Che si tratti di teatro, fiction o altro, io sono disposta a lavorare, purché ci sia il ruolo giusto. Non sono solo la bella nell'immaginario collettivo: ciò non significa che io non sia anche brava. D . – Altro luogo comune da sfatare. Buon lavoro, dunque, per la prossima stagione con la ripresa di “Tre donne in cerca di guai”. R . – Non vedo l'ora. Sono felicissima al solo pensiero di tornare a lavorare con Corinne ed Iva: ci prendiamo tanto in giro e abbiamo un grande affetto reciproco. L'applauso del pubblico è la miglior gratificazione che si possa ricevere, vero e autentico elisir di lunga vita per ogni attore che si rispetti. Gianluca Doronzo

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Kledi Kadiu

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L'ESCALATION DI UN DANZATORE SUL PICCOLO SCHERMO

Da «Amici» alla tournée di «Contemporary tango» (per la regia di Milena Zullo), tutti i colori dell'anima del celebre Kadiu, in un mix di pathos e voglia di far capire ai giovani quanto sia importante impegnarsi in quello che fanno («mai credersi arrivati: sarebbe un errore madornale»)

Kledi e il suo essere «un cittadino del mondo», avendo fatto della danza l'«intima ragione d'esistenza», solo con sacrifici e passione

Si definisce “un cittadino del mondo”. E, considerando il suo percorso, non potrebbe essere altrimenti. Kledi Kadiu ha fatto della danza “la sua vita”, dall' “Accademia” di Tirana alla notorietà in Italia (grazie ad “Amici”, anche nei panni di docente), alimentando una dimensione “sempre più internazionale”. Disciplina, rigore e rispetto i suoi principi, con una gran dose di educazione, qualità ormai rara da riscontrare in un artista ma, soprattutto, in una persona. Dalla conclusione della tournée dello spettacolo “Contemporary tango”, per la regia di Milena Zullo, alle partecipazioni sul piccolo schermo, racconta con estrema empatia “tutti i colori” della sua anima, motivando i nuovi “talenti” ad impegnarsi e a crescere, senza credere “di essere mai arrivati”. Sacrosanta verità. Non vi pare? Domanda – Kledi, se dovesse in qualche modo definire il periodo che sta vivendo, cosa sentirebbe di rispondere d'istinto? Risposta – Posso dirle immediatamente che sto vivendo un momento ricco di soddisfazioni professionali, di grandi rivincite e serenità. Alla resa dei conti, è quello che ciascuno di noi si auspica di raggiungere ed io mi sto impegnando in questa direzione. La danza rappresenta il mio lavoro fin da piccolo: va da sé, tuttavia, che in ogni percorso possano esserci dei momenti no, per così dire “di stagno”, altri più tranquilli ed altri ancora in cui rifiutare proposte televisive o teatrali. Parlandole del presente, sono contento di aver concluso la tournée dello spettacolo “Contemporary tango” al “Quirino” di Roma, all'insegna di una stagione davvero trionfale, avendo investito molto a livello scenico negli ultimi anni. C'è poi di pari passo la tv che, pur avendo un pubblico diverso, mi dà enormi attestazioni: la mia esperienza da docente ad “Amici” ne è la dimostrazione più lampante, essendo cambiata la mia veste rispetto alle edizioni precedenti. Ho, giusto per farle un quadro più completo, due scuole di danza nella capitale, che gestisco e porto avanti con grande passione. Di conseguenza, non potrei chiedere altro. Va bene così. D . – Potremmo, dunque, ritenere la danza la sua vita? R . – Assolutamente. Per me la danza è la chiusura del cerchio, la quadratura giusta in merito al mio percorso: ho studiato tanto fin da piccolo, sebbene il vero lavoro sia iniziato dai 18 anni in poi. Il “grazie” maggiore va ai miei primi insegnanti, ai cari maestri dell' “Accademia” di Tirana, che hanno contribuito fondamentalmente alla mia formazione, motivando la mia abnegazione e la determinazione del mio “sacro fuoco”. D . – Proprio in continuità al suo percorso e con coerenza, ha condotto dal 2010 al 2014 su Rai5 il programma “Danza”, interagendo con i più illustri esponenti coreutici del panorama internazionale. R . – Esatto. Questa è stata un'altra grande soddisfazione vissuta nelle ultime stagioni: per 4 anni consecutivi ho potuto su Rai5 portare avanti un programma bellissimo, dedicato ai grandi esponenti della danza mondiale. E, in tutta onestà, neanche lontanamente avrei potuto immaginare di realizzare un simile sogno. Ho raccontato di ciascuno stralci di vita inediti, tramite interviste molto familiari ed intime. Da Alessandra Ferri a Vittoria Ottolenghi, dai componenti dell' “Aterballetto” a tanti altri, ho vissuto un'esperienza che ha arricchito notevolmente il mio bagaglio di avventure

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artistiche. Io, in fondo, non sono un attore, né un conduttore, men che meno uno scrittore. Eppure, ho cercato di declinare le mie potenzialità un po' in tutti questi campi nel tempo, sempre all'insegna dell'umiltà e della passione. Non mi sono mai montato la testa e sono, puntualmente, andato con i piedi di piombo. Qualcosa è accaduto. D . – La sua carriera dimostra quanto sia importante costruire passo dopo passo, mettendosi al servizio della disciplina da portare avanti, con umiltà e “talento”, termine oggi un po' inflazionato e bistrattato nella lingua italiana, a causa soprattutto della declinazione mediatica: dal suo punto di vista, cosa vuol dire averne? R . – Bravo, Gianluca: ha detto proprio bene. In tutti i programmi ormai la parola “talento” è inflazionata e bistrattata: o per far colpo sul pubblico, in nome dell'audience, o su chi vi partecipa. Io provengo da un altro tipo di logica: la gavetta, lo studio e la determinazione. Il “talento” non è soltanto la bravura nel saper fare qualcosa: puoi avere un grande futuro da ballerino o artista, ma bisogna avere il supporto dell'intelligenza, del saperci fare e dell'umiltà. Io più che il “talento” in sé, valuto il modo di lavorare di una persona, a mio avviso molto più importante di quanto possa sembrare. Detto questo, è necessario fare tanta attenzione alle parole, stando decisamente in campana, discernendo le potenzialità dei singoli ragazzi, motivandoli a proseguire o meno in una

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precisa direzione. In ogni canale oggi si fanno programmi per “lanciare” qualcuno nel mondo dello spettacolo, ma troppo spesso i risultati rischiano di essere mediocri e non attenti alle peculiarità richieste per “saper fare qualcosa”. D . – Bisogna, pertanto, fare attenzione, evitando che il termine “talent” diventi una sorta di specchietto per le allodole, no? R . – Caro Gianluca, non si deve partecipare ad “Amici” o ad un qualsiasi altro programma, con la certezza che qualcosa accada: è giusto che i ragazzi facciano le proprie esperienze e vivano uno show tv come una sorta di passaggio. Ma, alla base, devono esserci preparazione e molto altro: altrimenti che senso ha fare otto anni di “Accademia” se poi, solo per una parte sul piccolo schermo, qualcuno ti soffia il posto per immagine e basta? Si deve ridimensionare la concezione che si ha della tv: chi vi è presente deve prendere il tutto come un piccolo tassello all'interno del proprio percorso. Niente di più, evitando di farne una questione di “vita o di morte”. D . – Kledi, come vorrebbe potesse proseguire il suo percorso, arrivato a questo punto della sua vita? R . – Come le ho detto all'inizio della nostra chiacchierata, è davvero un bel momento: onestamente non sono abituato a fare dei progetti a lungo raggio. Talvolta si può ragionare in una simile direzione, talvolta no: oggi è un po' tutto frutto del “cotto e mangiato”. La danza richiede sacrificio, passione e


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tanta pazienza: con Anbeta, ad esempio, abbiamo fatto tre spettacoli a Roma, Napoli e Tirana, con grande seguito di pubblico, motivando tantissimi giovani a fare del loro meglio. Il motto della pièce è stato “Be you”, ovvero “Sii te stesso” e questo è quello che vorremmo offrire a molti giovani, motivandoli ad apprendere tante tecniche in giro per il mondo, mescolando anche le culture. Ciascuno di noi ha vissuto in luoghi disparati, provando svariati stati d'animo e apprendendo molto in merito alla propria disciplina. Questo, a mio avviso, sul palcoscenico si percepisce ed è ancora frutto di un percorso “in progress”, da cui nessun professionista può prescindere. Guai a sentirsi arrivati! D . – Proprio vero, Kledi. Per quel che la riguarda, ad esempio, potrebbe tornare un'esperienza cinematografica? R . – Non lo so, in tutta sincerità: quando si è presentato il cinema nella mia vita, non l'avevo minimamente ricercato ed è capitato per caso. Me l'hanno proposto e ho pensato fosse giusto accettare. Non è, tuttavia, mai stato un mio obiettivo prioritario il grande schermo: la strada dell'attore è molto lunga e non ci si può improvvisare. Io non sono per il “basta apparire”, purché si parli di me: dal 2003 ho vissuto qualche esperienza recitativa, ma credo che la più importante sia stata quella con Daniele Vicari, alla guida del documentario “La nave dolce”, dove la verità di quanto accadutomi dal '91 è stata la vera protagonista. A mio avviso, è stata una bellissima

esperienza in quanto non è stata strumentalizzata la mia storia, bensì c'è stato un racconto onesto e pulito: l'obiettivo ben chiaro del regista ha fatto la differenza e c'è stato un bel successo di pubblico e critica. D . – Bene, Kledi: davvero un piacere chiacchierare con lei. Siamo, purtroppo, quasi ad epilogo: se, metaforicamente, si dovesse specchiare oggi, che immagine verrebbe fuori? R . – Io penso che verrebbe fuori il ritratto di un cittadino del mondo, se così si può dire. Il viaggio è un elemento fondamentale del danzatore: in fondo siamo sempre in partenza, con le valigie al seguito. È la danza che decide la tua vita: per questo mi piace dipingere un ritratto di me stesso come viaggiatore proiettato verso il futuro. D . – Infine, Longanesi sosteneva che un'intervista fosse “un articolo rubato”: cosa le è stato sottratto durante la nostra chiacchierata, Kledi? R . – Un'intervista fatta bene aiuta la persona stessa, l'artista, motivando a raccontarsi senza filtri, comunicando quello che si è. Il lettore se ne accorge quando una persona bluffa o meno: caro Gianluca, io la ringrazio per la profondità del suo lavoro e, soprattutto, per l'onestà della chiacchierata. Credo che col suo modo di fare renda onore e merito ad ogni artista che si rispetti, facendolo venire fuori per quello che è. Ciò non può che far bene a ciascuno. Grazie. Gianluca Doronzo

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Linda Collini

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IL VOLTO POPOLARE DELLA SOAP ITALIANA

Nei panni di «Cecilia Castelli» ha contribuito al successo di «Centovetrine», soap dalla (ri)messa in onda ancora incerta nei palinsesti tv «made in Mediaset»: la freschezza di Linda Collini, da 12 anni desiderosa di «cambiare e avere coraggio», mettendosi sempre in discussione «in nuove sfide»

«Sono al blocco di partenza della seconda parte della mia vita artistica: spero che ben presto possano accadere tante cose, anche in merito al cinema e alla conduzione»

La sua “Cecilia Castelli” ha conquistato il pubblico di “Centovetrine”, in un mix di altruismo, sensibilità e spessore. Oggi, in occasione della prossima ripresa della soap (fra rinvii e nuove collocazioni in estate su Canale 5), Linda Collini fa il punto della situazione, sia sull'importanza del lavoro “familiare” dei suoi colleghi, sia in merito alla sua sfera attoriale (“sono al blocco di partenza della seconda tappa della mia vita artistica”), desiderosa di vivere esperienze “al cinema o nella conduzione”. E pensare che tutto ebbe inizio nell'edizione 2003 di “Miss Italia” quando, da “chimico tessile che aveva voglia di passare un'estate diversa”, esordì nel mondo dello spettacolo, fino a costruire una carriera pluridecennale. Senza mai perdere di vista “il coraggio di cambiare e la voglia di affrontare nuove sfide”. Domanda – Linda, fondamentale nel suo percorso è stato il ruolo di “Cecilia Castelli”, interpretato dal 2008 in “Centovetrine”: dopo la sospensione della soap su Rete4, si paventa in quel di giugno la messa in onda degli episodi rimanenti su Canale 5, nel primo pomeriggio. Che dire di quanto sta accadendo? Risposta – Ritengo che il mandare in onda gli episodi rimanenti della soap si un atto dovuto per il pubblico, che ha continuato a dimostrare il suo affetto, nonostante la notizia della sospensione. E, soprattutto, per chi, per tanti anni, ha lavorato con enorme impegno, nella grande famiglia di “Centovetrine”. D . – Dal suo punto di vista, nel panorama delle soap “made in Italy”, qual è la differenza di “Centovetrine” rispetto alle altre? R . – La grande forza di “Centovetrine” è rappresentata dal

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sogno, dal senso di evasione che, per oltre 14 anni, ha fatto vivere al suo pubblico. Storie di amore e potere sono state per anni “compagni di pranzo” di milioni di italiani, trasportandoli in un universo diverso dalla propria realtà. D . – Se dovesse sintetizzare gli anni vissuti sul set di “Centovetrine”, cosa vorrebbe rispondere in maniera immediata? R . – “Centovetrine” è stata per me una grande scuola, un gruppo vincente, una bellissima famiglia. D . – A che punto del suo percorso attoriale sente di essere oggi? R . – In evoluzione, uno stato perenne dello status di attore. Non mi ritengo all'inizio, perché credo di aver acquisito un mio bagaglio professionale, pronto ad evolversi e non mi sento di certo arrivata, in quanto ho ancora una gran voglia di sperimentare. Potremmo dire che mi sento al blocco di partenza della seconda tappa della mia personale staffetta attoriale.

D . – Cosa vorrebbe potesse accadere attualmente? R . – Vorrei che nell'ambiente attoriale, ma non solo, potesse esserci più posto per tutti: ci sono possibili grandi artisti che, a volte, per una questione di territorialità o per mancanza di possibilità, non hanno avuto la loro grande occasione. Ed è un peccato, soprattutto per l'ambiente stesso, che rischia di perdere menti e “forza lavoro” molto interessanti. D . – Preferirebbe una fiction o il cinema? R . – Il cinema rimane tra i miei obiettivi principali, anche se la fiction è un ambito che mi piacerebbe comunque esplorare più a fondo. In Italia ci sono grandi case di produzione televisiva, che realizzano cose molto belle e, soprattutto, di grande livello. D . – Se si dovesse guardare un attimo indietro, rispetto a “Miss Italia” nel 2003, si sarebbe mai aspettata un percorso come quello messo a punto nel tempo? R . – Mai. Soprattutto considerando chi ero ai tempi di “Miss Italia”: un chimico tessile, che aveva voglia di passare un'estate

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altrimenti si decresce professionalmente e, alla fine, ci si ritrova ad essere qualcuno, che un tempo sapeva fare qualcosa. D . – In che maniera vorrebbe potesse proseguire il suo viaggio artistico? R . – Oltre al cinema e fiction, se potessi esprimere un desiderio da un punto di vista professionale, direi di essere protagonista di uno spettacolo teatrale. Mi manca il palcoscenico… D . – S'immagini, metaforicamente, allo specchio: alla luce del percorso maturato, Linda in che modo si rifletterebbe oggi? R . – Sicuramente cresciuta, maturata, con una maggiore consapevolezza, ma con lo stesso coraggio di buttarsi e la voglia di nuove sfide. Esattamente con quel coraggio che mi ha portata a 20 anni a cambiare la mia vita e trasferirmi a Roma, per studiare recitazione. D . – Infine, Longanesi sosteneva che un'intervista fosse “un articolo rubato”: cosa le è stato sottratto durante la nostra chiacchierata? R . – Semplicemente un po' di me, concesso a voi. Gianluca Doronzo

diversa. Invece “Miss Italia” e il periodo sabbatico successivo, che il concorso mi ha permesso di prendere, mi hanno fatto capire chi davvero potevo essere e cosa volevo realmente fare. D . – La conduzione potrebbe figurare nuovamente nelle sue corde? R . – Certo. In fondo ho cominciato la mia carriera proprio come conduttrice, in parallelo agli studi di recitazione e non mi dispiacerebbe cimentarmi di nuovo. Intrattenere, in tv o in una serata dal vivo, mantenendo spontaneità e concentrazione, è una bella sfida, che non escludo di intraprendere di nuovo molto presto. D . – Oggi si parla tanto di “talento”, utilizzandolo forse in maniera un po' inflazionata e bistrattata nella lingua italiana, a causa soprattutto della sfera mediatica: dal suo punto di vista, cosa vuol dire averne? R . – Vuol dire mettersi in gioco con grandi capacità, a volte inattese, ma mai al limite della superbia. Il “talento” deve essere comunque coltivato, perché si possa evolvere,

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Luca Madonia

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IL RITORNO DI UN'ILLUSTRE FIRMA DELLA CANZONE ITALIANA

A distanza di 30 anni dai Denovo, con numerosi album e riconoscimenti all'attivo, il cantautorato di Madonia ha fatto di recente la sua rentrée nel panorama «made in Italy», portando avanti la propria cifra con la collaborazione di amici alla Carmen Consoli, Toni Carbone e Franco Battiato

Per Luca «La monotonia dei giorni» è ispirazione d'indagine su «nuovi orizzonti» e «piccoli spostamenti del cuore» (alla Gaber), manifestando la coerenza di un percorso «pulito e leale»

“Credo che tutto il mio percorso sia stato pulito e leale: in fondo è una fortuna che ciò sia accaduto. Essere artisti e portare avanti la propria cifra in maniera del tutto lineare, senza compromessi, non è un gioco da ragazzi”. Allo specchio, metaforicamente, Luca Madonia riflette uno stato d'animo sereno, maturo e ricco di “nuovi orizzonti”, indagando il quotidiano secondo i “piccoli spostamenti del cuore”, per dirla alla Gaber. A distanza di ben 30 anni dai Denovo, eccone una “nuova persona”, declinata nell'universo dell'album “La monotonia dei giorni”, con la collaborazione di Toni Carbone e Carmen Consoli, respirando un sano senso di “amicizia e passione”, come difficilmente accade oggi. In una chiacchierata molto informale, non solo c'è spazio per un'istantanea sull' “uomo del momento”, ma anche per tante altre riflessioni sul binomio “musica-tv” e declinazione del termine “talento”, oggi più che mai inflazionato nella sfera mediatica. A tutti voi, buon viaggio. Domanda – Luca, con “La monotonia dei giorni” fotografa i sentimenti e il nostro quotidiano, arricchendo ogni brano all'insegna della filosofia di “una nuova convinzione verso la resurrezione”, indagando alla Gaber sui “piccoli spostamenti del cuore”. Quali emozioni sta vivendo in questo periodo? Risposta – Lei ha spiegato benissimo ciò che motiva il mio disco, per cui non posso fare a meno di ringraziarla. Diciamo che dopo più di 30 anni dai Denovo, ho trovato interessante occuparmi dei sentimenti in musica, facendo in modo che tutto partisse dai “piccoli spostamenti del cuore”, per dirla alla Gaber. Ho trovato grande ispirazione per l'intero disco e credo che tutto si recepisca. D . – Se dovesse in qualche modo definirlo, quale sarebbe la risposta più immediata rispetto al disco? R . – Forse questo è il disco della maturità: nella vita si fanno tante esperienze e si arriva ad un punto in cui si portano avanti bilanci. Dopo tanti anni di musica, durante i quali ho letteralmente attraversato l'ambiente cantautoriale, credo di essere arrivato ad un buon punto, di grande coinvolgimento emotivo, sia a livello compositivo che in merito alla scrittura. Ciascuno di noi cerca di fare il meglio nel proprio lavoro: io vorrei che ogni mio risveglio mattutino fosse sinonimo di piena consapevolezza di un nuovo giorno da scrivere, con tutto me stesso, senza esitazioni di sorta. D . – Quali i primi umori recepiti in merito a “La monotonia dei giorni”? R . – Sono contentissimo e credo sia davvero tutto molto positivo quello che sto ricevendo. Il commento più lusinghiero è stato: “È bellissimo il tuo disco, un vero e proprio specchio dei nostri tempi”. Con i social poi si ha un contatto diretto con chi ti fruisce e ci si rende conto come molte persone si sentano sole. A me piacerebbe tornare a lavorare assieme agli altri, avversando questa grande onda di individualismo che stiamo attraversando. Una volta si ragionava più in collettivo, oggi molto, ma molto di meno. In questo disco ho lavorato molto bene con Carmen Consoli e Toni Carbone, ad esempio, stando proprio in compagnia, respirando gli umori di ogni pezzo, cucinando bei pranzetti, fino a condividere ogni attimo delle nostre giornate. Io mi auguro possa trasparire dalle mie canzoni questo spirito di fratellanza e unione. Credo molto nel gruppo. D . – Se dovesse, in qualche modo, andare a ritroso fino agli

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Anni '80, si sarebbe mai aspettato un percorso come quello messo a punto nel tempo? R . – La verità è che non puoi mai prevedere come andrà questo mestiere: la fortuna è una componente fondamentale e, purtroppo, ci sono anche tanti meritevoli che non riescono a venire a galla. Sono contento, dopo ben 33 anni di musica, di come siano andate le cose per quel che mi riguarda, avendo avuto al fianco grandi amici come Carmen Consoli, Franco Battiato e i componenti dei Denovo. Ritengo che il bilancio, alla resa dei conti, non debba mai andare di pari passo alle aspettative della vita, altrimenti è la fine. Per questo, in tutta onestà, non ho mai pensato al futuro, sdrammatizzando ogni attimo vissuto. Ho scritto tutto quello che ho puntualmente sentito e non ho mai fatto un disco, pensando alle logiche del mercato. “La monotonia dei giorni”, in tutta sincerità, mi auguro possa essere letto come un “concept-album”, con l'uso di particolari strumenti e idee. D . – Prima ha parlato di “fortuna” e di come “non tutti i

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meritevoli riescano a venire a galla”: dal suo punto di vista cosa vuol dire avere “talento”, termine un po' inflazionato e bistrattato nella lingua italiana oggi? R . – Il “talento” è tutto in questo mestiere e credo che si debba anche fare molta attenzione ai ragazzi che vengono fuori dai programmi televisivi: la cosa fondamentale, a mio avviso, sono la personalità e il senso di riconoscibilità di ciascuno. Se uno crede di avere delle precise potenzialità, le deve portare avanti fino in fondo, fermo restando che la comunicazione è profondamente cambiata nel tempo. Noi abbiamo fatto la gavetta, dando vita ad una letteratura di strada, da scantinato e sudore. Oggi il “talento” sembra essere un po' troppo declinato nella dimensione mediatica e, al contrario, dovrebbe essere supportato da passione, sacrifici e tanto lavoro. D . – Qual è il suo punto di vista, dunque, in merito al binomio musica-tv? R . – Io credo che se tu fai una buona musica sia giusto farla sentire, in tutte le forme più disparate. Noi facciamo un


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mestiere per cui il pubblico è fondamentale. Se la tv serve ad amplificare i nostri messaggi, che ben venga: anzi, sarebbe il caso di moltiplicare i contesti che possano consentire di portare avanti ciò. Io sono per la costruzione delle cose. D . – Nel 2011 è tornato a “Sanremo” in coppia con Franco Battiato: calcherebbe nuovamente il palco dell' “Ariston”, se ci fosse la giusta canzone? R . – Se avessi un pezzo adatto per “Sanremo”, inserito in un bell'album, tornerei di sicuro in gara al “Festival”: in una sola settimana hai un bacino d'utenza che ti sogneresti in un anno di promozione. Io sono sempre prima per il concepimento dei pezzi, poi per la produzione e infine per la destinazione: di sicuro la dimensione “live” è quella a me più congeniale. Del resto venga quel che venga. D . – Come vorrebbe potesse proseguire il suo percorso, Luca? R . – Mi auguro di avere sempre la voglia e lo spirito giusti di dare il meglio: è chiaro che se poi un disco va bene, ne sei doppiamente felice. Vorrei avere puntualmente la curiosità di

trovare il progetto opportuno, da mandare avanti con tutto me stesso. Oggi sono uscito con un nuovo album, a quattro anni dal precedente. Non ho fretta di esserci, ma non perdo mai di vista quello che sono e il rispetto del mio universo, senza alcun compromesso. D . – Bene, bene. Siamo, purtroppo, arrivati alla conclusione di questa piacevole chiacchierata: se, metaforicamente, dovesse specchiarsi, quale immagine verrebbe fuori oggi di Luca Madonia? R . – Di sicuro verrebbe fuori l'immagine di una persona che ha cercato di fare le cose sempre in maniera onesta, con un'ottica che è andata esponenzialmente evolvendosi dai Denovo in poi. C'è stata, per così dire, una metamorfosi fisiologica. Credo che tutto il mio percorso sia stato pulito e leale: in fondo è una fortuna che ciò sia accaduto. Essere artisti e portare avanti la propria cifra in maniera del tutto lineare, senza compromessi, non è un gioco da ragazzi. Gianluca Doronzo

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Rakele

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DALL'ULTIMO FESTIVAL DI SANREMO - LA

Si chiama Rakele (vero nome Carla Parlato) ed ha partecipato all'ultimo «Festival di Sanremo» col brano «Io non so cos'è l'amore» di Bungaro: da qualche settimana ha pubblicato il suo album d'esordio, intitolato «Il diavolo è gentile», mettendo in primo piano sonorità internazionali, melodia e atmosfere tipiche dell'elettronica

«Mi sento un puntino piccolo nell'universo musicale, con tanta voglia di proiettarmi verso la luminosità della vita»

GIOVANE PROMESSA DELLA MUSICA

Si sente “un puntino piccolo nell'universo musicale”, con tanta voglia di proiettarsi in direzione della “luminosità della vita”. Rakele (vero nome Carla Parlato) è una delle giovani più promettenti nel panorama interpretativo italiano e, attraverso le sue dichiarazioni, ne scoprirete la ricchezza di un mondo, non facile da riscontrare in chi ha solo 19 anni. Reduce dall'ultimo “Festival di Sanremo” nella categoria “Nuove Proposte” (col brano “Io non so cos'è l'amore”), ha pubblicato nelle scorse settimane il suo album d'esordio, dal titolo “Il diavolo è gentile”, avvalendosi della collaborazione di Bungaro e Cesare Chiodo. In primo piano sonorità internazionali, melodia e atmosfere tipiche dell'elettronica, con una grande capacità di entrare in empatia con i suoi coetanei, per i quali è diventata “la colonna sonora” delle loro giornate. E il futuro è tutto “da scrivere”. Domanda – Rakele, “Il diavolo è gentile” è il suo album d'esordio, pubblicato in seguito alla recente partecipazione al “Festival di Sanremo” nella categoria “Nuove Proposte”: in primo piano sonorità internazionali, melodia italiana e atmosfere tipiche dell'elettronica. Quali i riscontri ottenuti finora e come sentirebbe di fotografare questo momento? Risposta – Quello che sto vivendo è per me un punto d'inizio: con questo album, a soli 19 anni, ho coronato davvero il sogno di un percorso che, pian piano, sta crescendo. Ho vissuto finora tantissime esperienze e ne sono entusiasta: gioia ed emozione mi accompagnano, assieme alla collaborazione con Bungaro e ai miei produttori. Il disco, nel complesso, sta andando bene e devo ammettere che ricevo molte attestazioni, soprattutto da parte dei giovani, per i quali i miei brani sono diventati la colonna sonora delle loro giornate: si riconoscono in ciò che canto e non posso che esserne responsabilizzata e lusingata allo stesso tempo. D . – Bellissimo il fatto che in molti si riconoscano in quello che canta: ha colto, pertanto, nel segno. R . – Assolutamente, caro Gianluca: pensi che qualche giorno fa un ragazzo ha postato sul mio profilo Facebook un commento, nel quale ha sostenuto che grazie alla mia musica ha ripreso a sognare, dopo un periodo no. In questa maniera ti rendi conto davvero quanto sia importante ciò che fai, condividendolo con chi ti ama e vuole conoscerti attraverso il tuo universo espressivo. D . – All'inizio della nostra chiacchierata ho citato la sua recente partecipazione al “Festival di Sanremo” nella categoria “Nuove Proposte”, col brano “Io non so cos'è l'amore”: che ricordi ha? R . – Uno dei ricordi più belli è quando ho provato per la prima volta il mio brano, accompagnata dall'orchestra. Un'emozione indescrivibile. E poi l'aver fatto tantissime interviste, faticando davvero molto per prepararmi al meglio. Onestamente, caro Gianluca, è stata un'esperienza che non può non lasciarti il segno, per quanto possa essere stata di passaggio. In fondo, se torniamo un attimo indietro al 2005, anche per i Negramaro è stata una chance passeggera, ma a distanza di 10 anni la loro è diventata una carriera internazionale. Quindi che ben venga il “Festival di Sanremo”. D . – Un commento su Carlo Conti? R . – È una persona fantastica: sa fare benissimo il proprio lavoro e, a mio parere, non solo ha mantenuto fede alle sue promesse, ma ha portato a casa risultati e fatti compiuti. Ha

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DALL'ULTIMO FESTIVAL DI SANREMO -

LA GIOVANE PROMESSA DELLA MUSICA

consentito a noi giovani di esibirci in prima serata, cosa che non era mai accaduta in passato, a causa del fatto che fossero costretti ad apparire a notte fonda. Anche nel momento in cui ha alzato il mio braccio, dicendo che Amara avesse passato il turno, non mi ha fatto per nulla male: anzi, si è subito scusato, consentendomi di ricevere un ulteriore applauso. Un grande professionista. D . – Se dovessimo, un attimo, ripercorrere la sua storia, verrebbe fuori che a 9 anni ha iniziato a studiare canto moderno e classico, a 13 ha preso parte al primo progetto discografico e nel 2013 è stata notata dai suoi produttori. In pochissimo è accaduto davvero tanto nel suo excursus. R . – Verissimo: sento di aver fatto tanto fino ad oggi, ma non ancora abbastanza da avere una storia consolidata alle spalle. A volte, mi chiedono dei consigli per chi vuole iniziare a fare

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musica, ma io ho tanto da imparare. Nella vita bisogna avere determinazione: la realtà è difficile per tutti. Bisogna porsi degli obiettivi, avendo tanta armonia nella propria musicalità esistenziale. Arrivando alla conclusione che ogni piccolo traguardo è un grande successo, costruendo subito quello seguente. Io ammetto di aver fatto un percorso estremamente naturale: avevo voglia di approfondire tutti gli aspetti legati al canto e l'ho fatto. A 15 anni sono andata via da Napoli per raggiungere Roma e sono arrivata fino a ciò di cui stiamo discutendo oggi. D . – Fondamentale è stato l'incontro con Bungaro. R . – Bungaro è un'esplosione di emozione. Lui non fa finta, ma è una persona vera, un diamante prezioso, ricco di personalità, umiltà e “talento” umano. Stessa cosa per l'altro mio produttore, Cesare Chiodo, estremamente trasparente nel


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suo modo di fare e di essere, senza filtri e sovrastrutture. Due esseri umani di grande spessore per me. D . – Bene, bene. Ha parlato di “talento”, termine un po' inflazionato e bistrattato nella lingua italiana, anche a causa della declinazione mediatica: dal suo punto di vista, cosa vuol dire averne realmente? R . – Avere “talento” vuol dire avere un qualcosa in più, non solo nella musica, ma in tutti gli ambiti della vita. Ci sono tante persone che hanno una sensibilità, in grado di andare oltre il contingente, con un modo di approcciarsi all'esistenza “unico e definito”. Essere artista, ad esempio, significa avere una luce dentro, che è luminosa (mi perdoni il gioco di parole) e oscura allo stesso tempo, soprattutto quando si è ipersensibili. Io, onestamente, mi sento un piccolo puntino in un mondo tutto mio, animando la mia voglia di esprimermi, raccontare delle cose e lasciare una traccia di me e delle mie sfumature. È un bellissimo caleidoscopio quello che un vero artista può mostrare: spero di diventarlo nel tempo. D . – Non possiamo che augurarglielo, Rakele: a proposito, come vorrebbe potesse proseguire il suo percorso? R . – Mi auguro che questa strada possa sempre più andare lontano, condividendo la musica con il maggior numero di persone. Spero, alla resa dei conti, che il vero successo sia nel riuscire a comunicare a più gente possibile le mie sonorità. Il fatto stesso, come le dicevo prima, che già in tanti si

emozionino ascoltandomi, è una piccola grande vittoria, della quale vado orgogliosa, arrivando dritta dritta al cuore. D . – Stiamo, pian piano, giungendo alla conclusione della nostra chiacchierata: se si dovesse riflettere allo specchio, che immagine verrebbe fuori oggi di Rakele? R . – Sicuramente adesso mi sento un puntino piccolo nell'universo musicale. Anche se non sono molto grande e non mi si vede tanto, c'è un'esistenza che cerca di sviluppare il proprio spazio, vedendo tanta luminosità e sentendo che questa è la mia strada. Come dire: ho la sensazione di essere luminosa e vorrei “ardere”, metaforicamente, tutto quello che c'è attorno, manifestando la ricchezza del mio poliedrico universo. D . – Longanesi, infine, sosteneva che un'intervista fosse “un articolo rubato”: cosa le è stato sottratto durante la nostra chiacchierata, Rakele? R . – Guardi, Gianluca, la sua intervista mi è piaciuta tantissimo: è riuscito, con estrema delicatezza ed introspezione, a tirare fuori aspetti della mia personalità attraverso la musica. E le posso assicurare che non accade ogni giorno, anzi quasi mai. A buon intenditor, di conseguenza, poche parole (e ride, ndr). Le faccio, pertanto, davvero i miei più vivi complimenti per l'impostazione del suo lavoro, con grande personalità e originalità. Gianluca Doronzo

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Pallante

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L'INTELLIGENZA E L'IRONIA DI UN CANTAUTORE DEL FUTURO

Ha spessore compositivo, con una buona dose di ironia: dopo un lungo lavoro, finalmente ha visto la luce il secondo album di un cantautore ricco di personalità, critico nei confronti dei «talent» (ma non distruttivo), amico di Alex Britti, con una gran voglia di incrementare i concerti («anche in Europa»)

«Un atto politico e una sorta di dichiarazione d'intenti»: Pallante raggiunge la maturità facendo di «Ufficialmente pazzi» un manifesto per i giorni nostri (capendone l'autodistruzione)

Più che un disco il suo è un vero “atto politico”, una sorta di “dichiarazione d'intenti” in merito ai giorni nostri. Per questo Pallante, dopo un lungo lavoro, non può che essere orgoglioso del suo “Ufficialmente pazzi”, fotografando quanto “il genere umano tenda, spesso, all'autodistruzione”. Avvalendosi della collaborazione del suo storico amico, Alex Britti, nelle tracce in rassegna rivela l'impronta di un autentico cantautore, con ispirazioni anche “marine” come in “A night in Manduria”. Critico nei confronti dei “talent” (ma non distruttivo), vorrebbe che la sua musica arrivasse al “maggior numero di persone”, incrementando i concerti (“anche in Europa”). E non si può fare a meno di augurarglielo. Domanda – “Ufficialmente pazzi” non è solo il titolo del suo nuovo album, ma un vero e proprio manifesto programmatico per i giorni nostri: no? Risposta – Io mi spingerei anche oltre, avendolo scritto: ritengo sia un atto politico, una dichiarazione di intenti. Ho messo tantissimo tempo per realizzare il disco che volevo e ammetto di esserne soddisfatto. Viviamo in una società molto frenetica, con una concezione della vita in continuo cambiamento. Il titolo racchiude in sé, a dispetto di quello che si possa pensare, una scelta molto ponderata: si parla di follia, componente sotto gli occhi di tutti e mi piaceva far capire quanto il genere umano tenda all'autodistruzione, più di quello che si possa pensare. D . – Nella continua corsa contro il tempo c'è, in antitesi, bisogno di un po' di calma: soltanto in questa maniera ci si potrebbe risollevare dalle “magnifiche sorti e progressive”. R . – Esatto, Gianluca, c'è bisogno di un po' di calma e con grande lucidità io cerco di raccontare la nostra condizione. Solo il tempo mi ha consentito di sedimentare ed elaborare il lavoro, esattamente come avrei voluto che fosse. D . – Se, in qualche modo, dovesse fotografare “Ufficialmente pazzi”, quale sarebbe la risposta più immediata? R . – Lo fotograferei al mare: io che sono un montanaro, sarà che ho una moglie di origini pugliesi e per questo mi vengono

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fuori i colori chiari. Per esempio, c'è l'ultima traccia, dal titolo “A night in Manduria”, in cui si respira proprio il sapore del mare e c'è la riflessione del marinaio, che descrivo con toni poetici. D . – Il suo disco, dunque, offre un caleidoscopio di emozioni e sapori. R . – Ci sono molti sapori, assieme al pop e rock, in concomitanza a collaborazioni con persone di “talento”. Ho cercato, in tutta onestà, di dare una grande unità al lavoro, anche se poi alla resa dei conti è un disco di un cantautore, non un “concept-album”. D . – Ha citato poco fa il termine “talento”: dal suo punto di vista cosa vuol dire averne? R . – Il “talento”, a mio avviso, non può essere limitato a quello che vediamo in tv e mi dispiace un po' dire ciò: questi ragazzi pensano di averne, ma lo perdono ancor prima di coltivarlo. Non hanno affrontato la gavetta e non sanno, in fondo, cosa significhi il sudore, il venire dal basso, dal suonare nelle cantine. A loro viene insegnato un meccanismo di “talento” legato alla pubblicità e all'indotto. A mio avviso in sé è un termine enorme: racchiude la profonda capacità genetica di saper fare qualcosa. Io credo nella forza energetica e nello studio, alla base di chiunque voglia portare avanti quello che è e sa fare. Avere “talento”, secondo me, significa sapersi guardare dentro con coraggio, alimentando la massima dell'

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“artista che crea emozioni”. Arte e “talento” sono sinonimo di emozione nella comunicazione effettiva. D . – Cosa vuol dire essere cantautori oggi? R . – Dal punto di vista della parola, dovrebbe voler dire quello che significa da sempre: scrivere e raccontare. Farlo da cantautore ha un valore aggiunto, in quanto presuppone la capacità di saper guardare da lontano, con prospettive diverse dagli altri. Il cantautore ha un occhio che vede qualcosa agli altri invisibile, sempre cercando non di insegnare un quid a qualcuno, avendo uno stimolo in più. La sua funzione dovrebbe essere “pungolosa”, scaturendo reazioni in chi la fruisce. D . – In “Ufficialmente pazzi” ha collaborato anche Alex Britti, suo amico storico: come definirlo? R . – È innanzitutto un amico da più di 20 anni. Abbiamo ascoltato assieme tante cassette, tanta musica e, a mio avviso, è un grande “talento”. Quando ha la chitarra in mano, è capace di far vibrare le corde delle emozioni di chiunque. Abbiamo scritto assieme tanti pezzi. In questo disco sento che c'è lo sguardo di Alex su di me e trovo sia una sensazione bellissima: è riuscito a tirare fuori sfumature inaspettate in me, di impronta messicaneggiante. D . – Come vorrebbe potesse proseguire il suo percorso? R . – Vorrei, in tutta onestà, che proseguisse esattamente come sta andando avanti, anche con concerti in Europa e


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andando a suonare nei luoghi più disparati, pur di fare musica. Mi piacerebbe che il mio disco potesse essere ascoltato da più persone possibili, soprattutto perché stiamo parlando di una produzione indipendente. Quando arrivi ad un pubblico sempre più svariato, non può che essere una grande gratificazione per te. D . – Siamo, purtroppo, arrivati alla conclusione della nostra chiacchierata: se si dovesse, metaforicamente, specchiare, quale immagine verrebbe fuori di Pallante oggi? R . – Verrebbe fuori uno che ha un sacco di amici, ben piantato per terra, solidamente, circondato da un enorme affetto.

Finalmente sento di aver trovato una mia posizione, un me stesso abbastanza centrato, coerente con quello che fa ed è. Ho sempre avuto un rapporto difficile con i soldi e, se potessi, regalerei il mio cd a tutti: oggi ho finalmente capito che non funziona così e che il denaro ha una grande importanza per andare avanti nei propri progetti. A contribuire al mio equilibrio di sicuro c'è mia moglie, una donna che mi dà una grande tranquillità, vera meraviglia e dono più bello che possa esserci. Un bel gruppo di lavoro il mio. Sono fortunato, caro Gianluca. Gianluca Doronzo

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