Anno III - Numero 2 - Marzo Aprile 2015
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Periodico di Musica, TV, Cinema, Teatro e Arte
t tacolo
il magazine che non t'aspetti (tutti i colori dell'intrattenimento)
«Bisognerebbe divertire con la musica: voglio far ballare il pubblico con un brano in inglese, molto Anni '80, quasi fossi agli esordi» Il 3 marzo è uscito il singolo «Baby don't go», con cui Ivana Spagna ha ufficialmente fatto il suo ritorno alla dance, a ritroso nel tempo fino alle origini: in queste settimane è in vetta alle classifiche, con l'obiettivo di conquistare il mercato internazionale
IN TOURNÉE INCONTRI FRA MUSICAL E COMMEDIA
Lorenza Mario Gaia De Laurentiis
LE SIGNORE DELLA SCENA A CONFRONTO
Monica Guerritore Debora Caprioglio Marzo Aprile 2015 - © RIPRODUZIONE RISERVATA
Anno III - Numero 2 - Mar Apr 2015 FONDATORE, DIRETTORE EDITORIALE E RESPONSABILE Gianluca Doronzo GRAFICA E IMPAGINAZIONE Benny Maffei - Emmebi - Bari HANNO COLLABORATO Paola Castiglione, Ramona Livi, Nadia Rosciano, Vincenza Petta, Monica Mazzoleni, Paola Bosani, Cristiana Cozzi, Mara Barzaghi, Simona Bastioni, Marinella Di Rosa, Tatiana Corvaglia, Eliana Dalila Biondi, Eliana Faccini e Alessandra Bosi. SI RINGRAZIANO Ivana Spagna, Emanuele Filiberto, Grazia Di Michele, Mauro Coruzzi, Deborah Iurato, Jgor Barbazza, Sara Zanier, Lorenza Mario, Edoardo Velo, Gaia De Laurentiis, Nando Paone, Monica Guerritore, Franco Trentalance, Debora Caprioglio, Enrico Nigiotti e Serena Brancale per le interviste concesse; gli uffici stampa Rai e Mediaset per i contatti; Alessandra Tisato per le immagini di Deborah Iurato; “FlaminiaLeraPhoto” per gli scatti di scena di Lorenza Mario; Noemi Commendatore per il racconto visivo di Nando Paone in “Don Giovanni”; Maria Lavia per Monica Guerritore in “Qualcosa rimane”, con l'artista Anke Merzbach per il manifesto dello spettacolo; Nicola Casamassima e Sara De Caro per i posati di Franco Trentalance; Chiara Mirelli per quelli di Enrico Nigiotti; “ADR_Communication”; “Daniele Mignardi Promopressagency”; “Del Fuego Artist Management”; “Mongini Comunicazione”; Clotilde e Chiara di “Pigrecodelta distribuzione teatrale” e “Parmaconcerti srl”. INDIRIZZO REDAZIONE Via Monfalcone, 24 – Bari gianlucadoronzo@libero.it tel. 347/4072524 FACEBOOK E la notte un sogno Autorizzazione del Tribunale di Bari n. 16 del 26/09/2013 © RIPRODUZIONE RISERVATA
Essere innamorati della propria professione. Portarla avanti credendoci profondamente, come se ogni giorno fosse il primo. Non lasciarsi mai abbattere dai “momenti no”, rialzandosi dopo ogni caduta più forti e determinati, col coraggio di “reinventarsi”, senza mai scendere a compromessi. Coordinate ben precise che animano le storie dei sedici personaggi di un'edizione davvero speciale di “Che spettacolo – il magazine che non t'aspetti (tutti i colori dell'intrattenimento)”, accorpando i mesi di marzo e aprile, arrivando alla sedicesima uscita. Mai accaduto che un periodico, senza un euro di sponsor, solo con la passione e i sacrifici di chi l'ha fondato, riuscisse a conquistare un traguardo simile. Soprattutto in tempi come questi, nei quali tutto sembra remare contro, senza che alcuno ti aiuti. Invece, con la bontà di chi opera nel bene, eccoci arrivati a ben 68 pagine a colori, ospitando davvero nomi sorprendenti, spaziando dalla musica alla tv, fino al teatro, cinema e letteratura, frutto di settimane e settimane di lavoro intenso da parte mia. Non è, infatti, un gioco da ragazzi mettere su una “macchina” simile, nella quale doversi muovere a livello nazionale, interagendo con uffici stampa, fotografi, manager e tutti gli esponenti della comunicazione più trasversale, fiduciosi della purezza del mio operato. E, ovviamente, non posso che ringraziarli: sono fondamentali per il proseguimento della mia e, soprattutto, vostra avventura, visto che “attraverso i miei occhi” scoprite aspetti inediti di personalità spesso “sotto i riflettori”, senza avere occasioni di raccontarsi nell'intimo. Mantenendo fede al principio delle tre copertine, per la prima non potevo fare scelta migliore: con l'arrivo della primavera, Ivana Spagna torna “alla dance” col brano “Baby don't go”, quasi fosse agli esordi Anni '80. Un'artista che ha venduto milioni di dischi a livello internazionale (con duplice vita in inglese e in italiano) si descrive con la semplicità dei “numeri uno”, manifestando anche aneddoti curiosi legati al suo percorso. Preparatevi: il suo obiettivo è “far ballare il pubblico, facendolo evadere dalla routine”. E così sarà, conquistando la vetta delle classifiche. In seconda Emanuele Filiberto, nuovamente in video dopo tre anni d'assenza, fra i concorrenti di “Notti sul ghiaccio” (Raiuno, ogni sabato, ore 21.15, oltre 3milioni di spettatori in media col 15% di share): da Milly Carlucci allo status della tv italiana, spazia a tutto tondo negli argomenti, vestendo anche i panni del produttore. Con Grazia Di Michele si entra nell'intimismo cantautoriale, più profondo e sincero, traendo spunto dal suo nuovo album (“Il mio blu”), facendo un bilancio della sua partecipazione al 65esimo “Festival di Sanremo” con “Io sono una finestra”, in coppia con Mauro Coruzzi (in arte “Platinette”), altro protagonista di questa edizione. Assieme affronteremo tematiche come il pregiudizio e il bisogno di verità, senza esitazione di sorta. Con Deborah Iurato respirerete le emozioni del suo “Libere tour”, il 21 marzo al “Teatro Palazzo” di Bari e il 22 all' “Auditorium Parco della Musica” di Roma: dalla vittoria di “Amici”, un'escalation di successi, grazie anche alla produzione di Mario Lavezzi. Due attori molto promettenti si lasciano andare in chiacchierate, instaurando un clima molto familiare: sto parlando di Jgor Barbazza e Sara Zanier (il “Damiano” di “Centovetrine” e l' “Isabella Dominici” de “Le tre rose di Eva 3”, dal 20 marzo ogni venerdì su Canale 5 alle 21.15). Personalità ricche di verve e curiosità nei confronti della sfera recitativa, come Gaia De Laurentiis (attualmente in tournée con “Alla stessa ora il prossimo anno” di Bernard Slade con Marco Columbro), Edoardo Velo (il celebre “Danilo Sarpi” di “Vivere”), Debora Caprioglio (ad aprile in “Sinceramente bugiardi” di Ayckbourn in tutt'Italia) e Lorenza Mario, primadonna del musical “Diva – l'amore va in scena” (all' “Alfieri” di Torino dal 17 al 22 marzo). Davvero incontri importanti, per ognuno dei quali il sentimento la fa da padrone. Si prosegue con due volti storici della scena a confronto: Nando Paone e Monica Guerritore, alle prese con “Don Giovanni” di Molière e “Qualcosa rimane” di Margulies (“Premio Pulitzer” 2000). Occasioni per ricordare Eduardo, Strehler e tanti altri artisti scomparsi come Ronconi. Il “pornodivo gentiluomo” Franco Trentalance, in grado di spiazzare il pubblico per i suoi continui cambi di registro nel mondo dello spettacolo, ci accompagna nei meandri del suo primo romanzo, un thriller dal titolo “Tre giorni di buio”, scritto con Gianluca Versace, con la speranza di portare presto “una pièce” sui più prestigiosi palchi italiani. Dulcis in fundo, come piace a me, due giovani promesse della musica, reduci dalle “Nuove Proposte” all'ultimo “Festival di Sanremo”: Enrico Nigiotti e Serena Brancale, alle prese con la promozione dei loro album (“Qualcosa da decidere” e “Galleggiare”). Percorsi differenti, molto dettagliati e sinceri. Intervista dopo intervista, un unico motivo conduttore: la trasparenza in quello che si fa, iconografando un viaggio nell'anima. Quella che oggi, purtroppo, non ascoltiamo più a causa dei ritmi frenetici, dell'essere troppo concentrati sul “denaro, successo e dominio”, dimenticando quanto tutto sia fugace: attraverso le chiacchierate fatte in questi mesi (con ormai quasi 300 personaggi) ho puntualmente comunicato il bisogno di essere “fuori dal coro”. Ma, ben inteso, non solo come linea editoriale. Ho voluto far capire al lettore quanto ci sia un gran bisogno di comprendere chi abbiamo accanto, perché nei silenzi di ciascuno c'è un universo spesso inespresso, desideroso di “esplodere” in tutte le sue sfumature. Che siate artisti o meno, non importa: fondamentale è che impariate ad ascoltarvi reciprocamente, avversando l'indifferenza. Altrimenti nulla cambierà. Mai. Un abbraccio. Gianluca Doronzo
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il magazine che non t'aspetti (tutti i colori dell'intrattenimento)
«Insegui la tua stella: ecco il motto con cui sono sempre andato avanti nella mia vita, con coraggio e puntualmente a testa alta»
Dopo tre anni d'assenza, Emanuele Filiberto ha fatto la sua rentrée in tv, partecipando alla terza edizione di «Notti sul ghiaccio» (Raiuno, ogni sabato, ore 21.15, oltre 3milioni di spettatori in media col 15% di share), accanto a Milly Carlucci, mostrando autoironia e tanta voglia di mettersi in gioco («gli italiani sanno quanto io mi impegni in quello che faccio, non perdendo mai il sorriso»)
FICTION ITALIANA LA BELLEZZA DELLE GIOVANI PROMESSE
Jgor Barbazza Edoardo Velo Sara Zanier
TEATRO E LETTERATURA I PERCORSI IN CRESCENDO
Nando Paone Franco Trentalance Marzo Aprile 2015 - © RIPRODUZIONE RISERVATA
Sommario IL PERSONAGGIO IN COPERTINA IVANA SPAGNA Con «Baby don't go» Ivana Spagna torna «alla dance», nel continuo «cerchio della vita», ricordando (quasi fosse alle origini) i successi di «Easy lady» e «Call me»
IL PERSONAGGIO IN COPERTINA EMANUELE FILIBERTO «Credo nella tv di qualità di Milly Carlucci e, fra le nuove leve, mi sento di puntare su Alessandro Cattelan, un ragazzo con grande ritmo e una verve continua»
IL PERSONAGGIO IN COPERTINA GRAZIA DI MICHELE «Allo specchio oggi vedo l'immagine di una figura armoniosa: nella mia vita ho dovuto superare prove durissime, ma sono riuscita ad essere me stessa, senza mai snaturarmi»
SANREMO 2015 - L'OUTSIDER FRA I CAMPIONI MAURO CORUZZI «Io non so mai chi sono e l'incertezza è l'unica condizione che ho: mi piacerebbe, tuttavia, lavorare di nuovo con Maurizio Costanzo, quasi in una quadratura del cerchio»
DALLA VITTORIA DI AMICI AL SUO 1° TOUR LA RIVELAZIONE DEL CANTO DEBORAH IURATO La grande umiltà di Deborah Iurato, con la consapevolezza di essere «una donna che cresce con tanto cuore e uno spirito profondamente da bambina»
TV - LA CONSACRAZIONE DI UN ATTORE JGOR BARBAZZA «Credo nella sperimentazione: un attore dovrebbe mettersi alla prova ogni giorno sul set, come se fosse sempre agli inizi, innamorandosi di quello che fa»
FICTION - L'ESCALATION DI UN TALENTO SARA ZANIER «Sento di essere in un momento di grande rinascita: ho la giusta energia per affrontare nuove avventure professionali, anche comiche e un po’ sopra le righe»
LA PRIMADONNA DEL MUSICAL ITALIANO LORENZA MARIO «Nella mia carriera ho sempre avuto il privilegio della libertà di scegliere ciò che amo, senza alcun condizionamento: oggi torno in teatro con impegno e rispetto per canto, ballo e recitazione»
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L'INCONTRO - DAL PALCO AL PICCOLO SCHERMO CON INTIMISMO EDOARDO VELO «Sono pienamente innamorato della mia professione e oggi mi sento come un attore in camerino, in attesa di sapere quale colore utilizzare davanti allo specchio, prima di presentarmi sul palco»
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BRILLANTE, IRONICA E RICCA DI HUMOUR LO SPIRITO ECLETTICO DELLA RECITAZIONE GAIA DE LAURENTIIS «Strehler mi ha insegnato un grande rigore e un estremo rispetto per il lavoro: non ho mai fatto a meno di questi principi nel mio percorso, spaziando nei generi e nelle avventure»
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FRA TOURNÉE E CINEMA UNO STORICO ARTISTA MADE IN ITALY NANDO PAONE «Ci sono classici sempre moderni come nel caso del nostro spettacolo, in cui il tema dell'ipocrisia è dominante, quanto mai di stretta attualità, soprattutto in politica»
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LA SIGNORA DELLA SCENA ITALIANA MONICA GUERRITORE «Porto in scena uno spettacolo in cui difendo l'originalità della purezza artistica, in antitesi al tradimento e al copia-incolla, oggi sempre più in auge nella società»
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LIBRI - IL THRILLER CHE NON T'ASPETTI FRANCO TRENTALANCE «Dopo la mia autobiografia ho deciso di mettermi in discussione con un thriller, dimostrando al pubblico quanto coraggio e voglia di cimentarmi in continue imprese siano nella mia anima»
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TEATRO LA PROTAGONISTA DI STAGIONI DI SUCCESSO DEBORA CAPRIOGLIO «Sul palco mi diverto con ironia e humour, ma non mi dispiacerebbe interpretare in futuro un bel ruolo d'epoca sul grande schermo»
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24 IN GARA FRA LE NUOVE PROPOSTE A SANREMO 2015 L'ASCESA DI UNA PROMESSA DELLA MUSICA ENRICO NIGIOTTI «Sono stato fermo per un po' e la vita mi sta dando una seconda possibilità: voglio assaporare ogni attimo di questo periodo, senza avere fretta di arrivare a grandi mete» 60 28
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IN GARA FRA LE NUOVE PROPOSTE A SANREMO 2015 L'ASCESA DI UNA PROMESSA DELLA MUSICA SERENA BRANCALE «Sono stata a Sanremo con un pezzo perfettamente nelle mie corde, in un mix di intimismo e jazz: ho ricevuto i complimenti di grandi nomi della musica italiana e questa è una vera vittoria» 64
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il magazine che non t'aspetti (tutti i colori dell'intrattenimento)
«Nel mio nuovo album sposo il connubio fra arte e musica, affrontando tematiche di estrema attualità come il pregiudizio e il femminicidio» Intima, emozionale e ricca di pathos: Grazia Di Michele (nuovamente fra gli insegnanti di «Amici») descrive le atmosfere che accompagnano l'avventura discografica appena pubblicata, dal titolo «Il mio blu», con la collaborazione di Raffaele Petrangeli e Paolo Di Sabatino (in sinergia con i dipinti di Fabio Salafia), passando in rassegna «Io sono una finestra», brano presentato al 65esimo «Festival di Sanremo»
DALLA VINCITRICE DI AMICI ALL'OUTSIDER DI SANREMO 2015
Deborah Iurato Mauro Coruzzi
I TALENTI DEL FUTURO LA PROFONDITÀ DEL CANTAUTORATO
Enrico Nigiotti Serena Brancale Marzo Aprile 2015 - © RIPRODUZIONE RISERVATA
Ivana Spagna
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IL PERSONAGGIO IN COPERTINA
Ha venduto milioni di dischi nel mondo, alla fine degli Anni '80 ha superato in classifica Michael Jackson e Madonna ed è stata l'ultima esponente femminile a vincere il «Festivalbar»: l'escalation di un'icona della musica pop, in grado di spaziare dall'inglese all'italiano (celebre il suo terzo posto a «Sanremo» nel '95 con «Gente come noi»), ricca di entusiasmo e progetti per il futuro
Con «Baby don't go» Ivana Spagna torna «alla dance», nel continuo «cerchio della vita», ricordando (quasi fosse alle origini) i successi di «Easy lady» e «Call me»
Il ritorno di Ivana “alla dance”. A più di 30 anni da “Easy lady” e “Call me”, dopo aver venduto milioni di dischi in tutto il mondo, Spagna (ultima donna ad aver vinto il “Festivalbar”) è nuovamente “carica di entusiasmo, energia e passione”, con un preciso obiettivo: far ballare il pubblico. E “Baby don't go” è diventato il suo manifesto, scalando subito le classifiche, fino a riconquistare “il primato di regina delle discoteche”. Esattamente dove tutto aveva avuto inizio, ai tempi della dura gavetta. Al telefono, con umiltà e un cuore immenso, fa un bilancio di quanto accaduto nel suo percorso, fra lingua inglese e “seconda vita” in italiano (ricordando il terzo posto a “Sanremo '95” con “Gente come noi”), arricchendo ogni risposta di episodi “curiosi e inediti”, pronti a dimostrarne la grandezza. Chiosando con una “metaforica” immagine “incasinatissima” allo specchio, sinonimo di vita e continua progettualità, non dimenticando il sorriso. Domanda – Signora Ivana, incontrarla non può che essere un enorme onore per un giornalista di spettacolo: con la sua carriera è entrata veramente nella storia della musica internazionale, grazie a trasversali riconoscimenti e milioni di dischi venduti. Col singolo “Baby don't go” è tornata alla dance (già nel 2014 aveva fatto riassaporare la volontà di far ballare il pubblico con “The magic of love”), quasi fosse alle origini in inglese: il successo è stato immediato. Com'è nato questo nuovo progetto, con cui si appresta a vivere settimane in vetta alle classifiche? Risposta – Innanzitutto la ringrazio per quello che ha detto e, soprattutto, per la “Signora”: mi chiami pure Ivana (e scoppia una risata comune, ndr). Detto questo, il 3 marzo è uscito il mio nuovo singolo, con video annesso: la produzione è tornata alle origini, a ritroso, quasi ai tempi di “Easy lady” e “Call me”, per intenderci. Il team è lo stesso, in sinergia con mio fratello: abbiamo deciso di iniziare proprio con un pezzo dance, molto atmosfere Anni '80, pop e in inglese. Si è perseguita la dimensione delle discoteche, dove io sono nata e ci tenevo davvero tantissimo. Mi sembra che il risultato sia davvero gradevole ed entusiasmante. In quanto al video, pensi che l'abbiamo registrato al “Club House” di Milano e ho voluto farmi affiancare da tre divertenti drag queen, arricchendo ogni “frame” di colore, movimento ed emozione. Con “Baby don't go” si torna in pista, ragazzi! In momenti non facili come quelli in cui stiamo vivendo, bisogna evadere dalla ruotine ed io voglio far ballare la gente. D . – Parafrasando un suo celebre pezzo, potremmo dire che con “Baby don't go” lei torna quasi agli esordi, in una sorta di “cerchio della vita”. R . – (Dopo una risata, ndr) E direi proprio di sì, mio caro. In una specie di “corsi e ricorsi”, torno alle origini nel mio “cerchio della vita”. Ben detto. D . – Inevitabile, Ivana, chiederle se è prevista l'uscita di un nuovo album prossimamente. R . – Il lavoro di un album è duro: voglio prima aspettare e vedere un po' che tipo di riscontro avrà questo pezzo nei prossimi mesi. Devo, a dirle la verità, capire in quale direzione andare. Ho bisogno di un po' di tempo e, onestamente, non ho alcuna fretta. Godiamoci “Baby don't go” per il momento, cari amici. D . – Giusto e condivisibile ciò che sostiene. In tutta sincerità: alla luce dell'estremo entusiasmo con cui sta affrontando
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IL PERSONAGGIO IN COPERTINA
questo nuovo progetto, a che punto del suo percorso sente di essere oggi? R . – All'inizio, in tutta onestà all'inizio. L'entusiasmo è sempre lo stesso degli esordi. È la fine quando uno si sente arrivato. Ad esempio, a me piaceva il progetto di fare un album solo pianoforte e voce, ma poi ho accantonato un attimo l'idea (non escludendola in futuro, ben intesi). Avevo abbandonato la composizione per anni e ho piacevolmente riscoperto la voglia di tornare a scrivere, mettendoci tutta l'anima e il cuore. Quando ti piace fare una cosa è un po' come essere sempre alla prima volta. Devo, sinceramente, ringraziare Dio per tutto quello che ho avuto fino a questo momento: il mio, per carità, non è stato un percorso facile. Ho attraversato tutti gli stati d'animo, conoscendo anche la disperazione più profonda. Non mi sono fatta mancare niente in questi anni e non so per nulla cosa sia la noia. Si può dire che io non dorma quasi mai, perché mi piace essere sempre creativa, in fermento. Ho puntualmente un sacco di progetti e di cose da fare. Mi piace la vita e sento di avere tanta energia. D . – Quello che dice è davvero di grande insegnamento per tanti giovani, oggi spesso demotivati in ciò che fanno. La sfiducia sembra aver preso il sopravvento e non va bene così: lei ha fatto tanta gavetta, senza mai aver chiesto nulla ad alcuno. Attualmente ci sono i “talent”: che ne pensa? R . – Io penso che con i “talent” ci siano molte più occasioni per i giovani, a dispetto dei miei esordi e della gavetta che ho dovuto fare io. Simili contesti danno a molti l'opportunità di emergere e che ben venga tutto ciò. Allo stesso tempo, però, possono diventare un'arma a doppio taglio, se non vissuti come si deve. Bisogna, ragazzi miei, avere passione, altrimenti non si va da nessuna, dico da nessuna parte. I programmi televisivi non devono essere una porta sicura, attraverso la quale passare per avere successo: d'accordo, ci si fa vedere in due mesi, ma per durare nel tempo bisogna faticare, studiare, approfondire e metterci tutta l'anima. Un ragazzo deve cantare se lo fa con passione, così come deve accadere in qualsiasi altro mestiere. L'amore per quello che si fa muove tutto il proprio universo interiore, facendolo esprimere al meglio. È importante che le giovani leve lo sappiano. D . – Di conseguenza, Ivana, avere “talento” cosa vuol dire dal suo punto di vista? R . – Di “talento” non si parla solo in ambito musicale. Se uno lo ha in qualsiasi disciplina, lo deve supportare con la passione. L'errore che spesso si commette è nella voglia di apparire, sinonimo di “diventare famosi”. Uno è importante che individui la propria strada da perseguire. Io, dopo 13-14 anni di gavetta, mi sentii dire una frase che mi è rimasta profondamente nel cuore, ormai parte integrante di me: “Chi cerca il successo ad ogni costo non lo raggiungerà mai, bensì è una conseguenza di un lavoro fatto solo con amore”. Quando io ho iniziato mi proponevo in inglese e, ad un certo punto, molti volevano andassi a “Sanremo”, cantando in italiano. Ma io non me la sentivo, in quanto mi esprimevo bene con la lingua inglese. Alla fine, credendo in noi stessi, io e il mio team ci siamo stampati il nostro disco, e diventò un successo in Francia. In un secondo momento mi hanno cercato tutti in Italia, comprese le grandi etichette tipo la Sony. Ho fatto la mia carriera, vendendo milioni di copie nel mondo e poi, per caso, mi è capitato di cantare in italiano, solo perché dovevo
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interpretare il pezzo della colonna sonora di un cartone animato. Da lì è iniziata la mia seconda vita con “Sanremo” nel '95 e tutto quello che poi sappiamo. Nulla è stato programmato: ogni cosa è avvenuta perché era scritto andasse in una determinata direzione. D . – A proposito di “Sanremo”: tornerebbe in gara e, in secondo luogo, le è piaciuta l'edizione condotta da Carlo Conti? R . – A me il “Festival” è sempre piaciuto: lì il pubblico, come le dicevo prima, ha avuto la possibilità di conoscermi come interprete in lingua italiana, dal '95 in poi. E ho vissuto stagioni di grandi successi. Certo che mi piacerebbe tornarci. Quest'anno, in tutta onestà, mi è sembrato migliore delle ultime stagioni, più fluido. Si percepiva più attenzione alle canzoni, così come deve essere in una manifestazione del genere. Mi sono dedicata una serata intera a gustarmelo dall'inizio alla fine, più altre a segmenti. Mi è piaciuto tanto. D . – Rimanendo in tema di kermesse musicali, lei è stata l'ultima donna ad aver vinto il “Festivalbar”, manifestazione oggi purtroppo assente dai palinsesti televisivi. R . – Lì era tutto bellissimo. C'era la canzone regina dell'estate. All' “Arena” di Verona vibrava ogni emozione, un'atmosfera pazzesca. Da brivido solo il ricordo. Tra le altre cose, tutti credevano io non fossi italiana e, quasi quasi, rimanevano delusi quando mi sentivano parlare in italiano. Ho davvero nel mio cuore la consapevolezza di aver animato tante stagioni rimaste nel profondo del pubblico. Che bello! D . – Bellissimo, Ivana. Per non parlare dei milioni di dischi venduti in tutto il mondo con i suoi brani. R . – Devo dire che ancora oggi la cosa mi fa un grande effetto, quasi non sia stato possibile ne fossi io la protagonista. Quando ero in Inghilterra ricordo che, pian piano, scalai le classifiche, arrivando al primo posto, seguita da Michael Jackson e Madonna. Un'emozione pazzesca. A Londra pensi che avevano vestito i manichini in vetrina proprio come me. Mi faceva un enorme, smodato piacere assistere a scene di grande amore nei miei confronti. D . – Tutto meritato il suo successo: lei è una grande artista ma, soprattutto, una splendida persona, umile nonostante la notorietà a livello internazionale. Come vorrebbe, a questo punto, potesse continuare il suo percorso? R . – Sempre con l'entusiasmo che ho in questo preciso momento della mia vita: ogni volta che vado in studio mi vengono i brividi ed è come se stessi registrando per la prima volta. Quando si toccano le corde dell'anima e del cuore col proprio lavoro, non si bluffa mai, perché c'è la verità. Un bellissimo dono che la vita ci fa. D . – La verità vince sempre, Ivana. R . – La cosa importante per chi canta è essere se stessi, usando sempre il cuore. Non si può studiare a tavolino un pezzo per farlo funzionare: deve arrivare dal profondo. Io sono una che crede nell'onestà di fare le cose, con estrema coscienza, pregando Dio che tutto vada bene. La gente avverte la tua buona fede e, soprattutto, la bontà del tuo operato se sei autentica. È meglio essere quello che si è, senza filtri e mezze misure. Si può piacere o meno, ma non si può mai fare a meno di quello che si è. Mai. D . – Perfettamente d'accordo. Perfettamente. Siamo, purtroppo, arrivati alla conclusione della nostra
chiacchierata: se, metaforicamente, si dovesse specchiare, quale immagine verrebbe fuori oggi di Ivana? R . – (Dopo una fragorosa risata, ndr) Un'immagine incasinatissima. Confusione totale. Io ancora adesso continuo a cambiare. E, alla fine della fiera, sono sempre alla ricerca di qualcosa che, magari, può migliorarmi come artista ed essere umano. D . – La “confusione totale” è sinonimo di vita: pertanto lei ha ancora tanto, ma tanto da fare per regalare emozioni al pubblico. R . – Verissimo, Gianluca. Io sono nel pieno della mia vita e vado avanti, con tanto, tanto, tantissimo entusiasmo. Gianluca Doronzo
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Emanuele Filiberto
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IL PERSONAGGIO IN COPERTINA
Si è dedicato alla produzione di format per il piccolo schermo e per il cinema (assieme alla moda) all'estero: dopo il lavoro «dietro le quinte» negli ultimi tre anni (avendo rivolto molto tempo alla famiglia), Emanuele Filiberto ha deciso di partecipare alla terza edizione di «Notti sul ghiaccio» (Raiuno, ogni sabato, ore 21.15, oltre 3milioni di spettatori in media col 15% di share), con la convinzione che si «debba sdrammatizzare nella vita, senza mai prendersi troppo sul serio»
«Credo nella tv di qualità di Milly Carlucci e, fra le nuove leve, mi sento di puntare su Alessandro Cattelan, un ragazzo con grande ritmo e una verve continua»
Milly Carlucci l'ha convinto a tornare in tv, dopo tre anni d'assenza. Con simpatia e tanta verve, di conseguenza, Emanuele Filiberto da deciso di partecipare alla terza edizione di “Notti sul ghiaccio” (Raiuno, ogni sabato, ore 21.15, oltre 3milioni di spettatori in media col 15% di share), mostrando divertimento e “tanta voglia di impegnarsi, come sempre fatto nel suo percorso”. Diventato produttore su più versanti (dalla moda alla tv estera, fino ad “un progetto per l'America prossimamente”), ha scoperto il piacere di rimanere “dietro le quinte” negli ultimi tre anni (dedicandosi anche alla moglie e ai figli), seminando “per il momento in cui diventerà grande”. E, in una chiacchierata molto sincera, non pone alcun filtro alle emozioni: col cuore si descrive, passando in rassegna tutte le avventure “da quando ha fatto il suo rientro in Italia”, con eleganza ed estremo rispetto nei confronti del pubblico. Domanda – Dopo un periodo d'assenza, è tornato nuovamente in tv, partecipando alla terza edizione di “Notti sul ghiaccio” (Raiuno, ogni sabato, ore 21.15, oltre 3milioni di spettatori in media col 15% di share), per la conduzione di Milly Carlucci: cosa ha motivato la sua rentrée? Risposta – Quello che ho fatto negli ultimi anni è stato, per così dire, una specie di “ritiro spirituale”: per tante stagioni ho partecipato a numerosi programmi e, onestamente, dopo aver vinto “Ballando con le stelle” è stata un'escalation di emozioni ed esperienze. Ma, allo stesso tempo, da molti suoi colleghi mi sono spesso sentito domandare “cosa volessi fare da grande”. E, in tutta sincerità, me lo sono anche chiesto. Per questo ho deciso di prendermi tre anni d'assenza dalla tv italiana, riflettendo sul mio futuro, vivendo la mia quotidianità di padre di famiglia e marito. Nel periodo di pausa mi sono accorto che, in fondo, mi mancava un tassello nel mio percorso e si trattava proprio della produzione: in questa direzione ho creato una società in merito alla tv francese e a Londra ne ho messo su una in relazione al cinema, grazie alla quale presto sarà fatto un bel film. Non ultimo ho creato anche la mia società di moda, diventando imprenditore a tutto tondo. Come dirle: in questo lasso di tempo, ho scoperto il piacere del lavoro “dietro le telecamere”. Qualche mese fa Milly Carlucci mi aveva paventato la possibilità di rimettere su “Notti sul ghiaccio”, contattandomi prima per entrare a far parte della giuria, ma poi – siccome io non sono nessuno per giudicare le performance altrui – abbiamo deciso che fosse meglio essere in gara. E così in queste settimane mi state vedendo il sabato sera su Raiuno. D . – Ha citato Milly Carlucci, con cui ha già avuto modo di lavorare in passato: come definirla? R . – Milly Carlucci durante tutti questi anni è sempre stata un'amica: nel tempo, a mio avviso, è diventata una donna straordinaria, una mamma stupenda, con una bellissima famiglia al seguito. I suoi sono programmi sempre puliti, ben confezionati e, soprattutto, rispettosi del pubblico. Non può che essere un estremo piacere lavorare con lei. D . – Alla luce di quanto fatto nel tempo, in che modo ritiene gli italiani vedano Emanuele Filiberto oggi? R . – Credo che l'istantanea più giusta sia quella messa a punto ai tempi della vittoria di “Ballando con le stelle”: ovvero di un ragazzo che si impegna tanto. Io sono convinto che gli italiani abbiano sempre avuto una buona concezione della mia persona, soprattutto perché non sono mai stato uno sopra le
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righe o con grilli per la testa. Ho fatto tanti programmi e, onestamente, ho cercato di dare il meglio in ogni occasione. Ricordo, ad esempio, con estremo piacere la conduzione di “Miss Italia”, qualche anno fa, proprio accanto a Milly Carlucci. D . – Dal suo punto di vista, che fase sta attraversando la tv italiana? R . – Il vero grande problema, secondo me, è che sono sempre più rari i personaggi brillanti. Dal mio punto di vista, per farle un esempio, un ragazzo molto promettente è Alessandro
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Cattelan: lo trovo spigliato, ha verve, ritmo ed è talentuoso. Mi sentirei di puntare su di lui in futuro. Per il resto mi sembra si vada sempre più alla ricerca dell'Auditel, vendendo quasi la propria anima per due punti di share in più. Uno scandalo. Oggi il bello è che c'è anche la tv sul web: in una simile direzione sarebbe opportuno intensificare le offerte. In Italia la verità è che troppe, troppe persone continuano a prendersi eccessivamente sul serio in merito a quello che fanno. E non va bene. D . – Una sacrosanta verità.
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R . – E parlo anche in relazione ai direttori dei vari canali: bisognerebbe sdrammatizzare un po', signori miei. La vita va presa come viene, senza grandi aspettative. D . – Guardandosi un attimo indietro, si sarebbe mai aspettato un percorso come quello messo a punto negli anni? R . – No, affatto. Già non pensavo di poter tornare in Italia. Sono contento di come siano andate le cose e, soprattutto, di aver messo su programmi come “Il principiante”, ad hoc per la mia personalità. Tutto è andato oltre ogni più rosea immaginazione. D . - Nella sua carriera c'è stato anche il “Festival di Sanremo”, vissuto in gara nel 2010 con Pupo e Luca Canonici, piazzandosi al secondo posto. Che ricordi ha del palco dell' “Ariston”? R . – La mia esperienza a “Sanremo” mi è piaciuta tanto e mi ha divertito particolarmente. In generale ormai il “Festival” è uno show tv, tutto basato sullo share, sull' Auditel e sugli ospiti internazionali. A me hanno chiesto di partecipare a “Sanremo” in quell'anno, visto che forse non c'era nulla di cui parlare e, alla luce dei risultati, alla kermesse ha fatto molto bene la mia presenza, con ottimi ascolti. Niente di più. Mi ha emozionato di sicuro il secondo posto, però ho nel cuore esperienze molto più stimolanti come “Miss Italia”, per farle un esempio. Io, se le devo dire la pura verità, non avevo mai guardato bene il “Festival” prima di esserci e, una volta su quel palco, ho ridimensionato anche l' “Ariston”, molto più a misura d'uomo di quello che si possa pensare. D . – E dell'edizione di Carlo Conti che dire? R . – Carlo Conti è una persona molto brava, ha un bellissimo rapporto col pubblico e, come Milly Carlucci, lo rispetta profondamente, conoscendone i gusti ad hoc. Lui si mette al livello degli spettatori: è pari fra i pari. Il che va benissimo in termini di gradimento. Lo trovo veramente professionale e la sua conduzione mi sembra giusta per una kermesse del calibro del “Festival”. Bravo, Carlo. D . – In che modo vorrebbe potesse proseguire il suo “viaggio artistico” in futuro? R . – Sto creando due format molto carini per un canale per bambini, in merito alla produzione per la tv francese. Per il mercato americano invece stiamo mettendo a punto idee, per così dire, più “stravaganti”, a cui sto dedicando tutto me stesso. Mi piacerebbe, alla resa dei conti, fare quello che non c'è ancora. Io non credo più ci siano in giro i programmi da “un milione di euro a puntata”. Con pochi soldi, in antitesi, si può fare molto, ma molto e bene. Noi ci stiamo provando. D . – Siamo, purtroppo, alla fine della nostra piacevolissima chiacchierata: se, metaforicamente, si dovesse specchiare oggi, che immagine verrebbe fuori? R . – Quella di una persona che è andata in fondo ai suoi sogni, a testa alta, col coraggio di andare avanti e la certezza di essere sulla strada giusta. Il nostro motto, in fin dei conti, è sempre stato: “Insegui la tua stella”. E non potrebbe essere altrimenti. D . – Ah, dimenticavo: Longanesi sosteneva che un'intervista fosse “un articolo rubato”. Cosa le è stato sottratto durante la nostra chiacchierata? R . – Niente, assolutamente niente. Io ho parlato col cuore e non avrei potuto fare altrimenti, visto che sono così. Lei mi ha ascoltato con estrema empatia e non posso fare a meno di ringraziarla. Gianluca Doronzo
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Grazia Di Michele
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Reduce dalla 65esima edizione del «Festival di Sanremo» in coppia con Mauro Coruzzi (col brano «Io sono una finestra»), Grazia Di Michele ha pubblicato il suo nuovo album, dal titolo «Il mio blu» («Amarena Music/Nar International»), avvalendosi della collaborazione di Raffaele Petrangeli, Paolo Di Sabatino e del pittore siciliano Fabio Salafia
«Allo specchio oggi vedo l'immagine di una figura armoniosa: nella mia vita ho dovuto superare prove durissime, ma sono riuscita ad essere me stessa, senza mai snaturarmi»
Allo specchio, metaforicamente, oggi vede riflessa una “figura armoniosa”. Nella sua vita ha “dovuto superare durissime prove”, ma puntualmente è riuscita a “rimanere se stessa, senza mai snaturarsi”. Grazia Di Michele da sempre fa dell'intimismo e dello spessore della scrittura una sua cifra peculiare, arrivando al cuore dell'ascoltatore, fino a farne vibrare “le corde delle emozioni”. Ed è riuscita, ancora una volta, a trasmettere pathos e attenzione al sociale, in occasione della sua recente partecipazione (dopo ben 22 anni) al “Festival di Sanremo”, interpretando il pezzo “Io sono una finestra” assieme a Mauro Coruzzi: attestazioni di critica e un meritato accesso alla serata finale, affrontando tematiche come “il pregiudizio e l'identità di genere”. In queste settimane è alle prese con la promozione del nuovo album, dal titolo “Il mio blu” (“Amarena Music/Nar International”), in un'escalation di 12 brani che sposano sonorità e pittura (con dipinti di Fabio Salafia), avvalendosi della collaborazione di Raffaele Petrangeli, Paolo Di Sabatino e Antonio Galbiati, fra gli altri. Convinta che il “talento” sia “una piccola luce, in grado di far brillare una personalità”, al telefono rivela una spiccata spontaneità, quasi stesse chiacchierando con un amico di vecchia data, del quale fidarsi. Un bel dono per l'interlocutore. Davvero. Domanda – Signora Di Michele, sono trascorsi ben 22 anni dall'ultima volta in cui ha partecipato al “Festival di Sanremo” (in coppia con Rossana Casale per “Gli amori diversi”): nell'edizione appena conclusa ha fatto la sua rentrée con Mauro Coruzzi e “Io sono una finestra”. Cosa l'ha motivata? Risposta – Sono tornata perché avevo qualcosa da dire: io, per mia natura, non ho l'atteggiamento di chi ha bisogno di stare sempre in prima linea e mi esprimo quando ne ho sinceramente voglia, perché ho un preciso messaggio da dare al pubblico. In “Io sono una finestra” ho affrontato il tema del pregiudizio e l'incontro con Mauro, ascoltandone la storia, mi ha profondamente motivata a scrivere un pezzo che parlasse di “esseri umani”, da cogliere nella loro specialità di fondo, nel loro essere delle creature. Così, in pochissimo tempo, mi sono ritrovata fra le mani la canzone che abbiamo deciso di presentare a “Sanremo”: il palco dell' “Ariston” ci sembrava l'occasione più giusta nella quale proporci. La coppia è stata perfetta e non sarebbe potuto essere altrimenti. Le parole sono state le vere protagoniste e davvero c'è stata molta attenzione attorno alla nostra presenza. Per il resto io sono ormai fra i docenti di “Amici” da diverse stagioni a questa parte, per cui non ho bisogno di “essere in vetrina” e di visibilità: ho sempre fatto la cantautrice e mi interessava riuscire a tornare nella fatidica kermesse ligure con un pezzo per il quale ne valesse realmente la pena. D . – Quali aspettative aveva e cosa le ha realmente fatto piacere sia stato compreso del pezzo? R . – La cosa che mi ha reso più felice in assoluto era che potesse piacere alla critica, esattamente così come è stato, in concomitanza al pubblico. Abbiamo unito gusti trasversali e siamo stati votati, andando in finale. Io non ho fan club alla Moreno, Nesli e Dear Jack, per intenderci. Eppure alla serata del sabato siamo arrivati e, onestamente, questo di per sé è stato un enorme successo, facendo riascoltare il nostro pezzo. D . – Nella 65esima edizione del “Festival” avete affrontato il tema del pregiudizio e dell'identità di genere, avendo come
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concorrenti canzoni che, in gran parte, sposavano il binomio “cuore-amore”. R . – Di amore si parla sempre e le canzoni non ne possono fare a meno: anche la nostra lo è. Diciamo che l'amore che ho per Mauro Coruzzi mi ha motivata ad esserci e da un po' di tempo stavo cercando la chiave di volta giusta per dare un nuovo senso ai pezzi da scrivere. Lo si può fare molto bene con poesia, esattamente come ha dimostrato “Io sono una finestra”. D . – Se dovesse definire le sue partecipazioni a “Sanremo” negli anni, cosa si sentirebbe di rispondere? R . – Mi sono fatta questo ragionamento, ironia della sorte, proprio qualche giorno fa: sono stata al mio primo “Sanremo” portando “Io e mio padre”, mostrando intimismo e coraggio; ci sono stata in varie edizioni fino al '93 dove, con Rossana Casale, a sorpresa siamo arrivate terze con “Gli amori diversi”. Quest'anno con Mauro ho rappresentato una dimensione molto particolare e struggente, con grande gradimento del pubblico: direi che tutte le mie performance sono sempre state in linea con la mia coerenza cantautoriale e, onestamente, le confesso di esserne soddisfatta. D . – “Io sono una finestra” è un pezzo contenuto nel suo nuovo album, dal titolo “Il mio blu” (“Amarena Music/Nar International”): in che modo definirlo?
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R . – “Il mio blu” arriva come un progetto particolare, a metà fra pittura e musica. Io, fra le altre cose, sono anche musicoterapeuta e si tratta di un'esperienza che mi ha molto maturata nel tempo. Amo quello che faccio da sempre e, se ci pensa, il mio primo successo, ovvero “Le ragazze di Gauguin”, conteneva proprio ispirazioni artistiche, così come i miei album, con numerose citazioni letterarie. In questo caso un pittore siciliano (Fabio Salafia) ha proprio rappresentato i miei pezzi, facendone dei dipinti, presenti all'interno dell'album e, in assoluto, per la prima volta sono riuscita a mettere musica e arte assieme. È un disco dove c'è una finestra ed io ho cercato di scrutarne il mondo, in tutte le sue declinazioni. Il mio collaboratore, Raffaele Petrangeli, è un ottimo poeta umbro ed è stato fondamentale nei testi, così come Paolo Di Sabatino in merito alla sfera compositiva, grazie alla sua abilità pianistica. Insomma: c'è un bell'impegno complessivo, creando davvero una sinergia fra le arti. D . – Bello sposare le arti in un disco: un'impresa che davvero rivela sensibilità e passione. R . – Siamo “esseri umani”, esattamente come dico in “Io sono una finestra” e “Il mio blu” è l'apoteosi del connubio fra musica ed arte. Persino la copertina è un vero e proprio dipinto, con la mia immagine. L'universo sonoro è accompagnato da quello
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visivo: una magica alchimia. Poi ci sono singoli come “Se questo è amore”, dedicati al femminicidio, con una vis estremamente poetica, potendo aprire delle altre finestre di comunicazione con ulteriori interlocutori. Io sono sempre stata attenta al sociale e oggi si dibatte molto di pregiudizio e identità di genere, ad esempio. D . – Quello che ha appena detto mi fa venire in mente una massima del drammaturgo britannico Arnold Wesker: “L'ignoranza e la stupidità hanno potere soltanto in un mondo in cui la maggior parte delle persone le riconoscono come proprio linguaggio”. R . – È perfetta questa frase. Ad esempio, l'altro giorno in Internet mi sono imbattuta in scempiaggini su barzellette sui gay e sul travestitismo, che dominano nella rete in maniera incondizionata, a dimostrazione di quanto pregiudizio ci sia ancora. In relazione a certe questioni, il vero problema è nell'ignoranza, nella chiusura mentale, nell'incapacità di confronto col diverso. Non credo, onestamente, che le canzoni possano cambiare il mondo e facciano delle rivoluzioni, ma a volte possono scuotere il torpore delle coscienze. E, allora, che ben venga “Io sono una finestra” in questa direzione. D . – Lei fa parte degli insegnanti di “Amici” da diverse stagioni a questa parte e di sicuro è fra i più titolati a darmi una risposta rispetto alla domanda che sto per porle: avere “talento” oggi cosa vuol dire? R . – Nell'etimologia della parola c'è la risposta: nell'antica Roma il “talentum” era una moneta che brillava più delle altre. A mio avviso, nella quotidianità è quella piccola luce che hanno le persone, in grado di illuminare la propria personalità e brillare rispetto a tutto il resto. Di ragazzi ce ne possono essere mille, ma solo alcuni hanno la capacità di essere luminosi e durare a lungo in un percorso. Io ne ho visti tanti nella mia carriera e, ovviamente, non ho la sfera di vetro per fare in modo che tutti quelli sottoposti al mio giudizio diventino dei numeri uno. Di sicuro ho avuto la capacità di cogliere quanto fossero speciali un Pierdavide Carone o un'Emma, ragazzi che veramente si stanno imponendo nel panorama nazionale, diventando delle certezze della musica. D . – Come vorrebbe potesse continuare il suo percorso? R . – Io vorrei riuscire a trovare la chiave per farmi ascoltare: non ha idea, caro Gianluca, cosa mi sia arrivato a conclusione della settimana sanremese. Ho ricevuto attestazioni di stima, affetto e messaggi commoventi rispetto a come la canzone sia arrivata al cuore della gente. Ecco: in questa direzione io vorrei riuscire a smuovere qualcosa, con la certezza di continuare a fare musica. Se poi ci riuscirò, entrando direttamente al nocciolo delle coscienze, allora la missione avrà una completezza di fondo. Le posso, però, assicurare che ho piena volontà di farlo. D . – Bene, bene. Siamo, purtroppo, arrivati alla conclusione del nostro incontro: se, metaforicamente, si dovesse specchiare, che immagine di Grazia verrebbe fuori oggi? R . – Verrebbe fuori una figura armoniosa: nella mia vita ho dovuto superare prove durissime e sono, puntualmente, riuscita ad essere me stessa, senza mai snaturarmi. Questa, a mio avviso, è una grande vittoria. Tutto quello che sto continuando a fare, lo sto portando avanti nel migliore dei modi, secondo l'onestà del mio universo. E ne sono felice. Gianluca Doronzo
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Mauro Coruzzi
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Mauro Coruzzi (in arte «Platinette») si è fatto un bel regalo dopo «40 anni vissuti nel mondo della musica», calcando il palco dell'«Ariston» alla 65esima edizione del «Festival di Sanremo»: il suo duetto con Grazia Di Michele in «Io sono una finestra» ha ottenuto consensi di pubblico e critica, fino a proiettarsi nelle prossime settimane «sul mercato francese»
«Io non so mai chi sono e l'incertezza è l'unica condizione che ho: mi piacerebbe, tuttavia, lavorare di nuovo con Maurizio Costanzo, quasi in una quadratura del cerchio»
Dopo 40 anni di lavoro nel mondo della musica, ha deciso di farsi un bel regalo: calcare il palco dell' “Ariston”. Complice la profondità di Grazia Di Michele col pezzo “Io sono una finestra”. Ed è stato subito successo di pubblico e critica. Per Mauro Coruzzi (in arte “Platinette”) davvero un periodo di grandi emozioni, avendo spaziato in mille avventure nel suo percorso: fautore della massima “io non so mai chi sono: l'incertezza è l'unica convinzione che ho”, ha in fondo in fondo il sogno di “tornare a lavorare con Maurizio Costanzo”, quasi volesse mettere a punto una sorta di quadratura del cerchio. Così, fra una riflessione sul “pregiudizio” e il bisogno di imprese sempre più stimolanti (adesso anche il mercato francese per il duetto, reduce dalla 65esima edizione della kermesse festivaliera), al telefono la sua disponibilità per una chiacchierata regna sovrana. E non può che essere un'enorme gratificazione per il giornalista, consapevole di trovarsi dinanzi ad una persona vera, autentica e senza minima sovrastruttura. Domanda – Signor Mauro, che dire della sua recente partecipazione al “Festival di Sanremo” in coppia con Grazia di Michele? Cosa si aspettava potesse accadere in gara fra i “Campioni” con “Io sono una finestra”? Risposta – Gentile Gianluca, la ringrazio innanzitutto per il signor, ma mi chiami pure Mauro (dopo una risata in comune al telefono, ndr). In merito al “Festival” non mi aspettavo sinceramente nulla, soprattutto perché quando ricevi un regalo così bello da un'artista del calibro di Grazia Di Michele non puoi che ringraziare il cielo. Essere soggetto e oggetto di un pezzo come “Io sono una finestra” ti riconcilia col senso della vita e non posso che esserne entusiasta. Aver calcato in più il palco dell' “Ariston” con quella che ritengo davvero un'amica, cantando guardandoci negli occhi e sentendo profondamente le parole, è un altro bel dono che non potrò dimenticare mai. Ho vissuto nella settimana sanremese realmente autentiche emozioni e mi è sembrato ci fosse un bel clima, musicalmente più attento alle canzoni. Ho deciso di partecipare perché mi è stato chiesto da Grazia e, umilmente, mi sono messo a disposizione soltanto come un “accessorio”, senza alcuna pretenziosità, visto che a cantare ci vanno i professionisti del mestiere. Ovviamente avevo messo in conto commenti discutibili e pregiudizi di sorta: c'è qualcuno che ha anche detto di aspettarsi il Gabibbo l'anno prossimo in gara, ma è tutto nel gioco delle parti ed io ci sorrido. D . – L'autoironia, infatti, è la vera chiave di volta per affrontare la vita e le malelingue lasciano sempre il tempo che trovano. La sua presenza di sicuro avrà suscitato anche invidie da parte di tanti cantanti, che loro malgrado non sono entrati in gara fra i “Campioni”. R . – Guardi, è anche giusto che a “Sanremo” ci debbano andare i cantanti di professione e il vero “outsider” sono stato io. Ma, non dimentichiamo, che affiancavo una cantautrice che ha lasciato un segno profondo nella musica italiana. Detto questo, diciamo che dopo 40 anni di lavoro nel mondo della musica, mi sono fatto un regalo salendo su quel palco, ma le assicuro che non è stato per niente facile. Anzi, molto, ma molto complicato. Alla fine della fiera, però, hanno vinto le emozioni. E questo è ciò che conta. D . – Col vostro pezzo, però, si è tornato anche a parlare dell'importanza dei testi a “Sanremo”, in un'edizione nella
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quale il binomio “cuoreamore” è stato il motivo conduttore. Con poesia e delicatezza avete affrontato il tema dell'identità di genere, d e l p re g i u d i zi o e dell'importanza di valutare l' “essere umano”. R . – Le dico la verità: io uscirei anche un po' dal campo d'esistenza specifico del testo della canzone. Ho sempre preso decisioni immediate nella mia vita: se il pezzo mi piace, al di là della musica in sé, allora lo supporto e lo condivido con chi amo, fosse anche solo nell'ascolto. “Io sono una finestra” è stato un colpo di fulmine e, di conseguenza, ho deciso di sposarne le intenzioni. Ad esempio, sia a me che a Grazia piace molto “Dietro la porta” di Cristiano De Andrè, che vinse il “Festival” nel '93. Un pezzo da ricordare, con un testo importante, da poter anche canticchiare il giorno dopo. La bellezza, dunque, di una canzone è in un insieme di cose. D . – Rimanendo in tema di pregiudizio, però, “Io sono una finestra” mi fa venire in mente u n a m a s s i m a d e l drammaturgo britannico Arnold Wesker: “L'ignoranza e la stupidità hanno potere soltanto in un mondo in cui la maggior parte delle persone le riconoscono come proprio linguaggio”. R . – Bella massima, ma io non sono di un avviso così drastico, se proprio devo dirgliela tutta. In antitesi, presumo e spero che la maggior parte degli italiani sia meno stupida di quello che si possa pensare. In “Io sono una finestra” c'è una frase che, onestamente, ritengo testamentaria: “Io non so mai chi sono, eppure sono io”. Poi ci sono parole, apparentemente difficili, che oggi più che mai si possono trovare su un dizionario o su Google. Il brano è dedicato
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all'essere umano, a prescindere dai generi, per cui ci si dovrebbe rispecchiare un po' tutti. Con una bella riflessione. D . – Nella serata delle cover, lei e Grazia avete interpretato “Un'estate al mare” di Giuni Russo, ricordandone la grandezza. R . – In quel caso abbiamo fatto un'operazione ad hoc. Per molti Giuni Russo è andata via in maniera malinconica, ma in realtà era una donna molto allegra e vitale, così come ha dimostrato in gran parte del suo repertorio, soprattutto nei primi anni di enorme successo. Nelle sue canzoni vorrei ricordare quanta profondità ci fosse: c'erano citazioni di Camus (“Lo straniero”) e di molti altri esponenti della letteratura internazionale. In più aveva dei ritornelli facili da ricordare, arrivando al cuore della gente. Davvero una grande e struggente artista, ahimè scomparsa troppo, ma troppo, troppo presto. D . – Cosa le piacerebbe, Mauro, potesse accadere a questo punto del suo percorso? R . – Io non so mai chi sono: l'incertezza è l'unica convinzione che ho. Ora come ora, avrei un profondo desiderio: tornare a lavorare con Maurizio Costanzo, da cui è iniziato il mio percorso, quasi fossi in una sorta di quadratura del cerchio. Vorrei mettermi nuovamente in discussione, affiancandolo in un'esperienza televisiva che fosse davvero speciale e intensa. Ho un atteggiamento propositivo nei confronti della vita e mi piacerebbe vivere questa nuova esperienza. Dopo di che mi potrei anche ritirare (e ride, ndr). D . – Vedrà che questo suo desiderio si concretizzerà. Nello specifico, invece, della collaborazione con Grazia Di Michele, in che maniera vorrebbe potesse continuare? R . – Al momento sto vivendo pienamente l'eco che la canzone sta avendo, a “Festival” concluso. Siamo pronti per il mercato francese e mi sembra molto interessante quello che potrebbe prospettarsi. “Io sono una finestra” ha una melodia molto parigina, da qualcuno definita quasi alla Aznavour. E noi cavalchiamo l'onda, senza grandi aspettative. D . – Siamo, purtroppo, arrivati alla conclusione della nostra chiacchierata: se, metaforicamente, si dovesse specchiare, che immagine verrebbe fuori di Mauro oggi? R . – Onestamente non lo so. Le rispondo con una frase estrapolata da uno di quei detti popolari che, a mio avviso, ha una grande verità: “Quando Dio chiude una porta, c'è sempre una finestra che si apre”. Non sarò io a cambiare gli eventi dell'umanità e, soprattutto, non ne ho minima intenzione. Credo nella forza del destino e, sinceramente, mi piacerebbe incontrare lungo la via un altro sorriso come quello di Grazia Di Michele, condiviso nella settimana sanremese. Sarebbe una bella emozione da vivere. Gianluca Doronzo
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Deborah Iurato
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DALLA VITTORIA DI AMICI AL SUO 1° TOUR - LA RIVELAZIONE DEL CANTO
La vincitrice dell'ultima edizione di «Amici» (con l'auspicio di calcare in futuro il palco dell'«Ariston») è alle prese col suo «Libere tour» (il 21 marzo al «Teatro Palazzo» di Bari e il 22 all'«Auditorium Parco della Musica» di Roma), in occasione dell'uscita dell'album prodotto da Mario Lavezzi, con numerosi ospiti «on stage» (Fiorella Mannoia, Loredana Bertè, Rocco Hunt e Giovanni Caccamo, vincitore fra le «Nuove Proposte» a «Sanremo 2015»)
La grande umiltà di Deborah Iurato, con la consapevolezza di essere «una donna che cresce con tanto cuore e uno spirito profondamente da bambina»
Deborah ha una grande umiltà. E lo dimostra in occasione di una chiacchierata davvero “intima ed emozionale”, a pochi giorni dall'esordio del suo “Libere tour” (il 21 marzo al “Teatro Palazzo” di Bari e il 22 all' “Auditorium Parco della Musica” di Roma). Semplice, sincera e con “nessun grillo per la testa”, ribadisce l'importanza della sua vittoria ad “Amici” nel 2014, fondamentale per l'escalation del suo percorso. Fiduciosa verso il futuro (“chissà che non arrivi Sanremo quanto prima”), non risparmia commenti lusinghieri nei confronti del suo produttore, Mario Lavezzi, e verso colleghi alla “Fiorella Mannoia, Loredana Bertè, Rocco Hunt e Giovanni Caccamo”, rivelando una maturità superiore ai suoi 23 anni. A voi, cari lettori, il ritratto di “una donna che sta crescendo, con uno spirito da bambina”. Domanda – Deborah, quali emozioni stanno precedendo l'inizio del “Libere tour”? Come sta vivendo queste settimane di preparazione? Risposta – È un'emozione strana quella che sto provando: quando sono state decise le date e le rispettive location ero felicissima, rilassata e carica di adrenalina. Adesso, più si avvicina il fatidico esordio, e più sento crescere l'ansia. In molti mi stanno dicendo che è normale tutto questo, ma è come se in me ci fosse la paura di deludere. Fatto sta che di sicuro è bellissimo mettere a punto il primo tour della propria vita per un cantante: un sogno che si avvera. D . – Sta vivendo una fase nella quale sente il peso delle responsabilità: Deborah sta crescendo. R . – Esatto. Eppure di “live” ne ho fatti la scorsa estate: tante serate in giro per l'Italia, ma la location teatrale oggi mi responsabilizza, facendo diventare tutto più importante. Spero di rendere al meglio. D . – Tranquilla, vedrà che sarà un gran bel successo. Fra le altre cose, sul palco nelle varie tappe, sarà affiancata da tanti
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illustri colleghi come: Fiorella Mannoia, Loredana Bertè, Rocco Hunt e Giovanni Caccamo, vincitore fra le “Nuove Proposte” dell'ultima edizione di “Sanremo”. R . – In quanto a Giovanni devo dirle che siamo amici e, onestamente, tifavo per lui a “Sanremo”: gli avevo chiesto di partecipare al mio tour, ancor prima che vincesse e già mi aveva detto di sì. Siamo conterranei. Il giorno in cui ho aperto il concerto di Lionel Richie in Italia c'era la finale fra le “Nuove Proposte”: non vedevo l'ora di sintonizzarmi davanti alla tv per sperare che arrivasse sul podio. E così è stato. Con Rocco Hunt c'è un duetto nel mio disco e, siccome non abbiamo mai fatto un “live” assieme, ci sembrava fosse arrivato il momento giusto. Loredana Bertè è la ciliegina sulla torta: ad “Amici” non ho mai avuto la possibilità di duettare con lei. A me piace tanto la sua grinta: sono sempre rimasta senza parole dinanzi al suo talento. Una donna di grande forza, capace di emozionarti fino a farti venire i brividi. E poi c'è Fiorella Mannoia, un'amica che ha creduto in me da subito, una sorella che ha assistito alla mia nascita artistica. Non poteva mancare: il suo sostegno ritengo sia vitale per me. D . – Bellissimo, Deborah, assistere a questa sinergia fra artisti, soprattutto in un momento in cui domina il solipsismo e l'essere “ognuno per sé”.
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R . – Quando c'è un'alchimia da un punto di vista umano, c'è davvero tutto. Io ascolto tanto gli altri e ho diversi punti di riferimento nella mia vita, fra i quali figurano proprio Fiorella Mannoia e Mario Lavezzi, il mio produttore. D . – Mi ha proprio preceduto: avrei voluto chiederle un commento sul suo produttore, che ho avuto il piacere di conoscere e intervistare qualche anno fa. R . – Mario fin da subito mi ha preso sotto la sua ala protettiva, quasi fossi una sua figlia: io è come se avessi trovato un secondo papà. Lui c'è sempre e si preoccupa per me. Quando mi sono trasferita a Milano mi è stato accanto: assieme ridiamo e scherziamo. Mi sostiene tanto, come anche il mio manager e coloro che lavorano nel mio entourage. Devo ringraziarli tutti. D . – Il singolo “Libere”, da cui ha origine il tour, è un vero e proprio omaggio all'universo femminile, in tutte le sue declinazioni di fondo. R . – Io ho voluto dedicare tutto il mio disco alle donne e, soprattutto, rendo una specie di manifesto proprio “Libere”. Ho 23 anni e, nel mio piccolo, anche in quello che ho vissuto finora ho dovuto faticare e spesso non mi sono sentita apprezzata. Fino ai 18 anni volevo sempre stare da sola e con i miei genitori parlavo poco: non riuscivo a tirare fuori quello
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che avevo dentro e non era facile affrontare la quotidianità. Grazie a mia cugina Rosy sono riuscita a far emergere la mia forza, credendo in quello che faccio e dimostrando di poterci riuscire. Il pezzo parla proprio della determinazione delle donne. Ci tengo davvero tanto. D . – Potremmo, Deborah, sostenere che la vittoria di “Amici” le ha davvero cambiato la vita? R . – Assolutamente sì. Tutto il percorso vissuto nel programma mi ha dato tanto: lo rifarei altre centomila volte, dando il meglio di me e imparando di giorno in giorno. Capisco quanto siano fortunati i ragazzi che stanno prendendo parte a questa edizione: si tratterà di un'avventura che rimarrà per sempre nel loro cuore. D . – Si è da poco concluso il 65esimo “Festival di Sanremo”: le sarebbe piaciuto esserci? Com'è stato, dal suo punto di vista? R . – Le dirò: tutti i cantanti sperano di calcare un giorno il palco dell' “Ariston”. Io l'ho seguito quest'anno e devo dire che Carlo Conti mi è piaciuto molto. Tifavo per Nek, per il quale ho un'ammirazione da anni e anni: ho trovato fantastico il suo pezzo. Ovviamente sono stata per Giovanni Caccamo fin dalla sua prima apparizione e speravo vincesse, così come è accaduto. Detto questo, per quel che mi riguarda le dico che c'ho messo 5 anni per arrivare ad “Amici” e poi, con mia grande sorpresa, l'ho vinto. Per “Sanremo” c'è ancora tempo. Quando sarà la volta buona, io mi farò trovare pronta. D . – Brava, Deborah, bella risposta. A che punto, dunque, sente di essere oggi? R . – Sento di essere felice, perché della mia passione più grande sto facendo una professione. Ho accanto gente che lavora per me, in gamba: non posso che essere entusiasta di quello che la vita mi sta dando. E ogni giorno sarà sempre meglio. Ne sono sicura. D . – Cosa vorrebbe potesse essere compreso di lei, a tour concluso? R . – Nel tour metterò tutta me stessa, con tanta voglia di fare, trasmettendolo agli altri. Con la mia band mi diverto tanto a gironzolare anche dietro le quinte. Quello che spero possa venire fuori è il connubio fra la mia energia e la passione: vorrei che il pubblico mi apprezzasse in questa direzione. Ciò mi farebbe davvero piacere. D . – Bene, bene. Se, metaforicamente, si dovesse specchiare, che immagine verrebbe fuori oggi di Deborah? R . – Oggi come oggi vedo l'immagine di una donna, sento che sto crescendo e maturando, mentalmente e fisicamente. Le esperienze ti arricchiscono da un punto di vista umano e ti danno tante prospettive di vita, cogliendo immense sfumature che prima non percepivi. Ben inteso, però: ho sempre il cuore di una bambina. E questo aspetto non morirà mai. D . – Siamo, purtroppo, alla conclusione di questa piacevole chiacchierata, Deborah: secondo Longanesi “un'intervista è un articolo rubato”. Dal suo punto di vista le è stato sottratto qualcosa durante il nostro incontro? R . – Assolutamente no. Secondo me è bello e curioso che la gente legga quello che dici, capendo come sei, cosa provi, ciò che pensi, condividendolo o meno. Le interviste sono importanti per noi artisti. Soprattutto se fatte con cuore e intelligenza come la sua. Non posso, pertanto, che ringraziarla. Gianluca Doronzo
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Jgor Barbazza
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TV - LA CONSACRAZIONE DI UN ATTORE
Jgor Barbazza e il bilancio del suo «Damiano» in «Centovetrine» (Rete4, ogni martedì, ore 21.15, oltre 1milione di spettatori in media col 5% di share), animando una chiacchierata con numerosi desideri per il futuro («mi piacerebbe spaziare nei generi, interpretando anche bei personaggi per il cinema») e voglia di fare teatro (dal 15 marzo a «La Fenice» di Venezia in «Pierino e il lupo»)
«Credo nella sperimentazione: un attore dovrebbe mettersi alla prova ogni giorno sul set, come se fosse sempre agli inizi, innamorandosi di quello che fa»
Crede nella “sperimentazione”. E, soprattutto, nel “coraggio delle idee, andando avanti esponendosi, seminando e costruendo”. Jgor Barbazza è uno degli storici attori di “Centovetrine” (Rete4, ogni martedì, ore 21.15, oltre 1milione di spettatori in media col 5% di share”), nei panni di “Damiano” e, al telefono, ne fa un breve bilancio, cercando anche di capirne le sorti future (“spero che con i continui spostamenti si stia cercando la strategia più giusta di collocazione: il pubblico, per fortuna, è sempre con noi”). All'attivo partecipazioni in numerose fiction, tanta voglia di “creare nuovi progetti”, la speranza di interpretare “personaggi stimolanti al cinema o in tv” e, in maniera più imminente, il desiderio di “fare bene il teatro”, essendo dal 15 marzo a “La Fenice” di Venezia la voce recitante di “Pierino e il lupo”. Un fiume in piena di iniziative, ricco di umanità e attenzione ai dettagli. Domanda – Jgor, vorrei iniziare chiedendole un bilancio del suo “Damiano” in questi anni a “Centovetrine” (Rete 4, ogni martedì, ore 21.15, oltre 1milione di spettatori in media col 5% di share): cosa sentirebbe di dire in maniera immediata? Risposta – Il bilancio è sicuramente positivo: per anni la soap è stata una delle più importanti a livello nazionale, con un seguito considerevole. La gente è sempre stata calorosa ed entusiasta (al Sud abbiamo puntualmente avuto grandi manifestazioni d'affetto, tante volte più del Nord): non possiamo assolutamente dimenticare quanto abbiamo fatto con tanta passione. Da un punto di vista attoriale io ho avuto in questi anni la possibilità di migliorare tanto: mi sono cimentato, grazie ad una trama trasversale, in tante avventure, dal locale di scambisti al commissario di polizia fino ad essere su un'isola. Gli sceneggiatori hanno dato vita a tutta la creatività e noi interpreti siamo stati ben contenti di esserci. D . – Nello specifico, la soap cosa rappresenta all'interno del suo percorso? R . – Vivo questo prodotto come una vera e propria palestra: un mio saggio collega mi ha sempre detto quanto sia importante cimentarsi in tutti i ruoli e generi, crescendo esponenzialmente come attore. Io credo profondamente nella sperimentazione, nella possibilità di mettersi alla prova ogni giorno sul set, facendo qualcosa in più e togliendo altro. Noi, tra le altre cose, abbiamo la possibilità di rivederci dopo 1-2 settimane in cui abbiamo girato, tramite chiavetta, cercando di capire come aggiustare il tiro, cosa togliere o perfezionare. Da quel momento passeranno circa 8 mesi prima che i telespettatori ci seguano. Sarebbe bello se un'opportunità del genere ci fosse anche per il cinema. Si lavorerebbe meglio. Di sicuro. D . – Certamente. Cosa sente di replicare rispetto a quello che sta accadendo a “Centovetrine”, in merito agli spostamenti schizofrenici di palinsesto su Rete4? R . – Le dico francamente che questa domanda bisognerebbe farla direttamente all'azienda: mi auguro che, così facendo, stiano studiando la strategia giusta per capire quale possa essere la collocazione più opportuna per la soap. L'unica cosa è che il pubblico non ci abbandona: siamo certi che continuerà ad essere dalla nostra parte, in qualsiasi giorno o collocazione. D . – E lei, a che punto del suo percorso sente di essere oggi? R . – Sempre all'inizio. Anche a 90 anni sarà così: lei mi farà la stessa domanda ed io le risponderò come in questo momento.
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L'attore non finisce mai di imparare: bisogna puntualmente essere umili nella vita, mettendosi in discussione, senza esitazione di sorta. Io sono profondamente innamorato del mio lavoro e non posso desiderare che una crescita esponenziale nel tempo. D . – C'è un personaggio che le piacerebbe interpretare in una fiction attualmente? R . – Ce ne sono tanti: mi piacerebbe, ad esempio, un eroe romantico, ma anche un progetto di comedy o sit-com, oppure un ruolo drammatico (dal gay al malato al padre, per farle un esempio). Le ribadisco l'immenso amore che ho per il mio lavoro. Di sicuro non sono un attore caratterista: posso spaziare nei generi e nei personaggi, senza che mi si etichetti in un cliché. Allo stesso tempo mi piacerebbe fare molto il teatro, come accadrà dal 15 marzo a “La Fenice” di Venezia, vestendo i panni del narratore in “Pierino e il lupo”. Un'impresa nella quale credo molto e la affronterò nel migliore dei modi. D . – Come vorrebbe potesse proseguire il suo “viaggio artistico”? R . – Non vorrei mai smettere di ricercare e sperimentare, come le ho detto prima. Mai adagiarsi su se stessi, sulle proprie caratteristiche. Io ho “toccato” anche altri mestieri nella mia vita, dal volantinaggio al commesso, fino al magazziniere e
rappresentante. La sera, puntualmente, facevo le mie conduzioni, le mie esperienze da attore e proseguivo nel mio cammino. Ogni esperienza di vita è sempre stata di grande valore per quel che mi riguarda e sono puntualmente stato uno con una gran voglia di crescere. Andare avanti: un vero imperativo categorico per me. D . – Proprio quello che sta dicendo potrebbe essere di grande supporto a tanti giovani che volessero affacciarsi nel mondo dello spettacolo: dal suo punto di vista cosa vuol dire avere “talento”, termine spesso abusato e inflazionato, a causa soprattutto della sua declinazione mediatica? R . – Per quello che mi riguarda significa ciò che sto per dirle: lei probabilmente lo ha come giornalista, io spero come attore e il calzolaio nel suo mestiere. Ciascuno sa di avere un sacro fuoco dentro e non deve mai sedersi sugli allori, altrimenti è la fine. Il “talento” va perfezionato. Tutti ne abbiamo uno in relazione alle nostre predisposizioni, ma bisogna coltivarlo, studiando e crescendo. I ragazzi, ad esempio, che vengono fuori dai “talent” spesso si perdono perché credono di essere arrivati. Nulla di più errato e deleterio. Ogni volta è un ripartire da zero, un ricominciare. D . – Jgor, ha assolutamente ragione quando sostiene che il
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interprete anche di “Centovetrine”, ndr), sto scrivendo delle cose, sto cercando di buttare giù un progetto carino e mi diverto a fare tantissime imprese, tutte diverse le une dalle altre, per amore della mia professione. Sto con le persone che amo, che mi piacciono, con gli amici e non vivrò mai di rendita. Vorrei sempre più diventare un artista a tutto tondo. Vedremo quello che accadrà in futuro. D . – Di sicuro diventerà protagonista di grandi imprese, alla luce della sua tenacia. Vorrei concludere in questa maniera: secondo Longanesi “un'intervista è un articolo rubato”. Cosa le è stato sottratto durante la nostra chiacchierata, Jgor? R . – Direi che non mi è stato sottratto proprio nulla. Ho cercato di essere me stesso, semmai ho rubato io dal marketing, considerando che paradossalmente fra qualche anno diremo che forse questi saranno stati gli anni felici della nostra vita, anche se al momento non ci sembra proprio. Dico questo perché, nonostante il momento non facile, abbiamo il dovere di seminare. A volte abbiamo delle idee e una profonda paura ad esporci: bisogna avere il coraggio di osare, rimanendo con i piedi ben saldi per terra, con profonda umiltà. La grande fortuna è proprio nella compagna che ho accanto. Sono veramente fortunato, amico mio. Gianluca Doronzo
“talento” a se stante non sia sufficiente. R . – Non lo è e non lo può essere, caro Gianluca. Bisogna perfezionarlo, limarlo e renderlo vero, autentico, vivo. Sarebbe opportuno che i ragazzi se lo mettessero ben in testa, se vogliono fare del palco la propria vita. D . – Bene, bene. Siamo quasi alle battute finali. Se, metaforicamente, dovesse specchiarsi, oggi che immagine verrebbe fuori di Jgor? R . – Direi quella di un leone, che è anche il mio segno zodiacale, ma le spiego il perché. Sono sempre stato uno che ha saputo incassare le sconfitte per poi riprendersi, risalendo la china. Ho trascorso notti bianche e non tutto è stato facile per me. Se mi guardo attorno, sono un po' preoccupato per me, per la mia compagna e, un domani, per quelli che saranno i nostri figli. Non viviamo nel migliore dei mondi possibili. Ma vado avanti, perseguendo ogni mio obiettivo con forza, tenacia e in maniera propositiva. Sono certo che qualcosa accadrà. D . – Oggi più che mai, Jgor, bisogna rimboccarsi le maniche sapendosi reinventare, facendo anche i lavori più disparati. R . – Bravo, Gianluca. L'ha detta giusta. Bisogna sapersi reinventare, mettendosi in gioco. Ad esempio, io ho girato di recente un format con la mia compagna Linda (Collini,
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Sara Zanier
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Sara Zanier, per quattro anni «Serena Bassani» in «Centovetrine», sta vivendo un'ascesa esponenziale nella fiction italiana: dopo gli oltre 7milioni di spettatori in media in «Un passo dal cielo 3» su Raiuno con Terence Hill, è ogni venerdì su Canale 5 alle 21.15 nei panni di «Isabella Dominici» ne «Le tre rose di Eva 3», accanto a Luca Capuano
«Sento di essere in un momento di grande rinascita: ho la giusta energia per affrontare nuove avventure professionali, anche comiche e un po' sopra le righe»
Il suo è un momento di “grande rinascita”. Con tanta energia e voglia di mettersi in discussione, dopo aver avuto Sole due anni e mezzo fa, Sara Zanier è pronta a vivere nuove imprese professionali (pur sentendosi puntualmente agli inizi), anche “un po' comiche e sopra le righe”. Per il momento si gode il successo di “Un passo dal cielo 3” su Raiuno, con oltre 7milioni di spettatori in media (25% di share), in attesa di vestire i panni dal 20 marzo di “Isabella Dominici” ne “Le tre rose di Eva 3” (Canale 5, ogni venerdì, ore 21.15), accanto a Luca Capuano. E la chiacchierata (con chiosa finale a mo' di metafora) offre l'occasione di riportare alla memoria la sua “Serena Bassani” in “Centovetrine”, animata per ben quattro anni, cercando anche di capire cosa stia succedendo attualmente alla soap, fra cambi di palinsesto e orario (“io difendo la bontà del prodotto e spero che continui ad esserci”). Domanda – Sara, nella nostra chiacchierata andremo a delineare un ritratto del suo percorso, fra tappe salienti e auspici futuri: se in qualche maniera dovesse fotografare il momento nel quale si trova, che risposta sentirebbe di dare da un punto di vista attoriale? Risposta – Io mi sento all'inizio: avverto che il mio percorso sta crescendo e ne sono piacevolmente entusiasmata. Ho trascorso in passato ben quattro anni a “Centovetrine” e mi sembrava di aver raggiunto la punta dell'iceberg, l'apice a suo tempo: in realtà quello fu solo lo “start and go” della mia corsa nel mondo attoriale. E ammetto che di cose ne sono accadute nelle stagioni. Oggi mi appresto a prendere parte alla terza stagione de “Le tre rose di Eva” su Canale 5 in prime time: un appuntamento importante, se consideriamo che quello della soap era in daytime. Mi piace tutto quello che ho fatto e sto facendo: glielo dico col cuore. D . – E si percepisce dalla sua risposta l'entusiasmo che mette in quello che fa. Entriamo, allora, nello specifico della sua performance ne “Le tre rose di Eva 3”, dal 20 marzo alle 21.15 su Canale 5. Qual è il suo ruolo? R . – Io interpreto “Isabella Dominici”, legata sentimentalmente ad “Edoardo”, interpretato da Luca Capuano. Le confesso che mi sono divertita molto a fare questo personaggio, in quanto verrà fuori di episodio in episodio: spunterà dal nulla e, pian piano, diventerà parte integrante della trama, dimostrando quanto per la prima volta “Edoardo” sia realmente innamorato e meno cattivo del passato, a dispetto della sua relazione con “Aurora”. Sono nella fiction una donna molto forte, libera, indipendente e, onestamente, un po' diversa dagli altri ruoli che ho affrontato nel mio percorso. Starete a vedere: ce ne sarà per tutti. D . – Vedremo, vedremo, Sara. Fatto sta che attualmente è fra i protagonisti di “Un passo dal cielo 3” su Raiuno (ogni lunedì, ore 21.15), con oltre 7milioni di spettatori in media e il 25% di share. Un risultato davvero lodevole. R . – Verissimo. Quello che animo in “Un passo dal cielo 3” è un personaggio ancora diverso dai precedenti: nella serie mi sono proprio divertita, in quanto sono un po' sopra le righe, maniacale, fissata per la pulizia e l'igiene. Sono bellissime le gag col commissario e sono davvero contenta per i risultati ottenuti: gran parte del merito, però, va dato al seguito che ha Terence Hill, amatissimo dal pubblico in maniera del tutto trasversale. D . – Fatto sta che il successo di questa serie come quello di
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Di sicuro con le numerose uscite di scena di tanti personaggi negli anni, un po' di spettatori saranno venuti meno, ma gli affezionati di sempre stanno dimostrando di resistere anche ai cambiamenti. Il che non è un dato da sottovalutare: oltre 1milione di spettatori il martedì in prime time non è poco per una soap. Spero vivamente che si vada avanti, con una “stazione fissa”, in modo tale che la gente sappia quando poterla seguire. Non conosco nello specifico quali siano le dinamiche di rete, ma mi auguro che alla fine non vogliano annullare il prodotto, così facendo. La chiarezza sarebbe la miglior soluzione, non continuando a tenere in sospeso lavoratori e pubblico. D . – In tv oggi quale genere seriale le piacerebbe interpretare, dopo “Le tre rose di Eva 3”? R . – Mi sono molto divertita nella commedia: i ruoli simpatici piacciono alla gente, in quanto oggi più che mai si ha bisogno di leggerezza e simpatia. Di conseguenza se ci fosse una parte brillante, ne sarei entusiasta. Mi troverei a mio agio. D . – Se dovesse, in qualche modo, tornare indietro ai suoi esordi in “Azzardo” e “Passaparola” su Canale 5, quali ricordi verrebbero fuori? R . – Dei ricordi molto belli. Tutto quello che ho fatto mi è servito per arrivare dove sono oggi. Avevo 20 anni ed ero
“Solo per amore” su Canale 5 (oltre 4milioni500mila spettatori nell'episodio finale col 16% di share) dimostra quanto la fiction italiana stia attraversando un buon periodo: no? R . – Sono sinceramente contenta per i risultati ottenuti da “Solo per amore” che, nei primi episodi, aveva iniziato un po' in sordina, a causa degli spostamenti continui nei palinsesti della rete. I telespettatori sono stati un po' disorientati e poi, come lei ha anche ribadito, tutto si è concluso nel migliore dei modi. “Un passo dal cielo 3” credo sia fra le fiction più seguite della stagione: non posso che essere onorata di far parte del cast. Davvero. D . – Come ha anticipato all'inizio della nostra intervista, lei per 4 anni è stata in “Centovetrine”, vestendo i panni di “Serena Bassani”: che dire degli spostamenti della soap su Rete4, con attuale collocazione in prima serata ogni martedì (con oltre 1milione di spettatori in media)? R . – Sembra quasi che stiano facendo delle prove nei palinsesti, per capirne la collocazione più giusta. Io sono sempre stata convinta della bontà della confezione di “Centovetrine” e, sinceramente, mi dispiace vederne sballottate le sorti da un orario all'altro o da una rete all'altra.
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veramente piccolina: mi sono goduta pienamente quel periodo. Per me era un lavoro e non sinonimo di “apparire”: ciò mi ha consentito di vivere ancora più pienamente quello che stavo mettendo a punto. Mi sono divertita e sono stata davvero tanto bene. Ho memoria di momenti di gioia, nessun rimpianto e la consapevolezza di aver fatto ciò che mi aiutasse per potermi destreggiare al meglio in futuro. D . – Come vorrebbe, Sara, potesse proseguire il suo percorso? R . – Mi hanno fatto spesso questa domanda: amo talmente tanto questo lavoro da essere pienamente felice in ogni scelta che faccio. Io ho esordito nel cinema tanti anni fa e mi piacerebbe tornarci, con personaggi che possano trattare tematiche al femminile, come si fa di rado sul grande schermo. Non la solita ragazza innamorata, bella o tradita, ma con spessore e istanze forti. Io sono pronta. D . – E noi le auguriamo possa accadere il più presto possibile. Avevo un'altra curiosità: si parla spesso di “talento” in queste ultime stagioni, anche in maniera inflazionata e bistrattata, a causa della declinazione mediatica televisiva. Secondo lei, cosa vuol dire averne realmente? R . – Averne significa essere in possesso del fatidico “x factor”, che non tutti hanno. Secondo me è solo una partenza, ma se non lo si coltiva non se ne fa proprio niente. Questo spiega perché molte persone, anche di grandi potenzialità, non arrivino e invece altre ce la facciano. Va da sé poi che se ne parli un po' troppo facilmente. Alla base di un talentuoso c'è l'umiltà, la voglia di studiare, il sacrificio e nessun bisogno di apparire a tutti i costi. Devi fare una cosa perché la senti, perché ce l'hai dentro e non per “essere in video”. Oggi spesso si cerca la visualizzazione in Internet, lo strabordare sui social e l'esserci ad ogni costo. Così non va bene. D. – Bisognerebbe un attimo fare un passo indietro rispetto ai social e all'eccesso di ricerca di “visualizzazioni” o “mi piace” sui post. R . – Non voglio fare l'anziana di turno, soprattutto perché utilizzo i social e la rete: ormai di tutto questo non si può più fare a meno e in futuro chissà a quante altre cose assisteremo. Ma è necessario far capire che la vita reale è un'altra cosa, non fatta di “mi piace” o “amicizie virtuali”. Oggi c'è tanta gente che va in depressione se non gli si mette un “mi piace” o se non gli si risponde su Facebook: un mio amico può anche mettermi un “mi piace”, ma io poi lo devo frequentare nella vita reale, capendo che lui c'è per me, non fermandomi al “virtuale”. Tutto va dosato nella maniera più giusta, con criterio. D . – Giustissimo, Sara. Siamo, purtroppo, arrivati alla conclusione della nostra piacevolissima chiacchierata. Alla luce del percorso maturato negli anni, se si dovesse specchiare, che immagine verrebbe fuori di lei in maniera metaforica oggi? R . – Che belle domande nella sua intervista, caro Gianluca! Le rispondo subito, dicendole che questo per me è un momento di grande rinascita. Io ho avuto mia figlia, Sole, due anni e mezzo fa: mi sono dedicata a fare la mamma con tutta me stessa e sappiamo benissimo quanto sia complesso, soprattutto per una donna, tornare a lavorare, incastrando tutto con gli impegni familiari. Sento di aver recuperato le forze che avevo, sono riuscita a trovare un equilibrio e mi sento pienamente rinascere. È, giusto per concludere, una fase bellissima della mia vita: ne sono molto soddisfatta e serena. Gianluca Doronzo
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Lorenza Mario
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LA PRIMADONNA DEL MUSICAL ITALIANO
Lorenza Mario, storica primadonna del «Bagaglino» per diverse stagioni, ha fatto la sua rentrée nel musical (dopo essersi «donata del tempo», dedicandosi alla sua famiglia dal 2012), interpretando «Diva - l'amore va in scena» (all'«Alfieri» di Torino, dal 17 al 22 marzo), con Max Cavallari e Francesco Capodacqua, per la regia di Renato Giordano, affrontando tematiche come il riconoscimento delle famiglie «allargate», l'adozione da parte dei gay e il concetto di «diversità-valore»
«Nella mia carriera ho sempre avuto il privilegio della libertà di scegliere ciò che amo, senza alcun condizionamento: oggi torno in teatro con impegno e rispetto per canto, ballo e recitazione»
Nella sua carriera ha sempre avuto “il privilegio della libertà di scegliere ciò che le piace, senza alcun condizionamento”. Infatti per passione nei confronti del teatro “ha rinunciato, ad un certo punto, ad opportunità televisive e cinematografiche, davvero notevoli da un punto di vista mediatico ed economico”. Ma Lorenza Mario non ha potuto mai fare a meno di essere se stessa, seguendo il cuore e non lo showbiz: così è tornata, dopo qualche anno di pausa “dedicato alla famiglia”, in tournée con l'occasione giusta, dal titolo “Diva – l'amore va in scena”, assieme a Max Cavallari e Francesco Capodacqua (dal 17 al 22 marzo all' “Alfieri” di Torino), per la regia di Renato Giordano e canzoni originali di Vincenzo Incenzo. Emozioni e applausi ogni sera, fra vocalità, ballo e recitazione, affrontando tematiche molto attuali come “il riconoscimento delle famiglie allargate, l'adozione da parte dei gay e il concetto di diversità come valore”. A dimostrazione di quanto si possa far riflettere, anche in una commedia. In una chiacchierata molto dettagliata e piacevole, si ripercorrono tappe fondamentali (gli anni trascorsi da Pingitore al “Bagaglino”, ad esempio), con la consapevolezza che si possa ancora fare un “sano intrattenimento sul piccolo schermo”, avvalendosi di una buona accezione di esponenti di “talento” (termine spesso inflazionato nella lingua italiana, da centellinare, soprattutto in merito “agli autentici”). Domanda – Lorenza, è un piacere ritrovarla a distanza di qualche anno dall'ultima chiacchierata. Attualmente è in tournée con la commedia musicale “Diva – l'amore va in scena”, scritta e diretta da Renato Giordano, assieme a Max Cavallari e Francesco Capodacqua. A che punto del suo percorso arriva un simile spettacolo? Risposta – Innanzitutto la ringrazio per le parole spese nei miei confronti ed è, soprattutto per me, un piacere ritrovare il vostro splendido pubblico. Mi ritengo molto fortunata ad aver incontrato Renato Giordano e “Diva” in questo momento della mia vita: dall'ultimo musical del 2012 ad oggi ho fatto un regalo meraviglioso a me stessa. Mi sono donata del “tempo”, che ho rivolto esclusivamente, e felicemente, alla mia vita privata, ovvero ai miei due grandi amori, mio figlio Pietro e il mio compagno Federico. Dopo tanti anni di televisione e teatro, “Diva” mi ha offerto l'opportunità di celebrare nel migliore dei modi le discipline artistiche a cui ho dedicato tutta la mia vita professionale: la danza, il canto e la recitazione. Sono davvero felice ed emozionata. D . – In primo piano ci sono tematiche di scottante attualità, come il riconoscimento delle famiglie “allargate” (omosessuali e non), l'adozione da parte dei gay e il concetto di diversità come valore. Che dire a proposito? R . – Io credo che non sia possibile dare dei giudizi assoluti nei confronti di temi che, per definizione, comportano delle interpretazioni soggettive. Tuttavia “Diva” sottolinea un aspetto che prescinde dalle fazioni morali e dal prevenuto conformismo, ovvero che le persone vanno riconosciute per quello che sono e non per ciò che sembrano: vanno apprezzate per quello che fanno e non per quello che i pregiudizi gli attribuiscono. Determinati costumi sociali assumono significati anche completamente diversi, a seconda della cultura, della religione, dell'epoca in cui essi si contestualizzano, a dimostrazione del fatto che non è possibile formulare criteri di giudizio assoluti. Ma, al contrario, è
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LA PRIMADONNA DEL MUSICAL ITALIANO
importante discernere i valori universali reali, quali il rispetto, l'amore, gli affetti, e non importa con che vestito essi si presentino. D . – Alla luce della sua versatilità, potremmo ritenere la commedia musicale il genere che la rappresenta maggiormente? R . – Come dicevo, le passioni a cui ho dedicato la mia vita professionale sono la danza, il canto e la recitazione, ovvero gli ingredienti essenziali della commedia musicale che, dunque, certamente rappresenta nel migliore dei modi le mie emozioni. Ad un certo punto della mia vita, per amore del Teatro e del Musical in particolare (volutamente con la maiuscola), ho rinunciato ad opportunità televisive e cinematografiche, davvero notevoli in merito alla sfera mediatica ed economica. Ma, se tornassi indietro, rifarei esattamente il medesimo percorso, perché questo mi ha donato l'emozione e la libertà artistica che desideravo. D . – Essere artisti oggi cosa vuol dire? R . – Per me significa ancora oggi lavorare molto duramente, impegnarsi senza alcun risparmio, per modellare il necessario “talento”, affinché quest'ultimo non vada sprecato in fugaci sprazzi di visibilità, che troppo spesso si disperdono nella presunzione di chi crede di poter prescindere dagli indispensabili sacrifici, richiesti da ogni mestiere. D . – Ha citato il termine “talento”, troppo spesso inflazionato e bistrattato nella lingua italiana, anche a causa della declinazione mediatica. R . – Personalmente ritengo che la declinazione televisiva del “talento” offra delle straordinarie opportunità ad aspiranti artisti, che prima non esistevano. I format del “talent” moltiplicano in modo esponenziale le occasioni di moltissimi giovani, che altrimenti difficilmente avrebbero potuto raggiungere un palcoscenico, dove esprimere e far giudicare la propria arte. Inevitabilmente, poi, i grandi numeri comportano importanti selezioni, che generano solo pochi “talenti” autentici. Certo, come in tutte le cose, alcuni programmi sono di grande qualità, altri meno. D . – Guardandosi un attimo indietro nel suo percorso, si sarebbe mai aspettato un “viaggio artistico” come quello messo a punto negli anni? R . – Come dicevo poco prima, io sono felice e mi ritengo molto fortunata, perché ho sempre avuto il privilegio di avere la libertà di poter scegliere ciò che amo, senza alcun
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LA PRIMADONNA DEL MUSICAL ITALIANO
condizionamento. Non dimentico mai che io ero una ragazzina che adorava ballare, cantare e recitare, in un piccolissimo paesino in provincia di Padova, senza conoscere niente e nessuno: sono stata chiamata dalla tv e dal teatro esclusivamente per le mie qualità professionali. Sono sempre stata una persona estremamente semplice, molto riservata e completamente estranea allo stile di vita dello “star system”. La mia ossessione è sempre stata quella di curare maniacalmente il mio lavoro, di ricambiare il “talento” col massimo impegno. D . – Un ricordo del “Bagaglino”? Manca un varietà simile oggi in tv? R . – I ricordi sono tanti e meravigliosi. Nuovamente, i più vivi sono legati all'impegno volitivo che mettevo in campo per preparare lo spettacolo: studiavo e provavo giorno e notte, per avere le certezze di meritare l'applauso, il consenso del pubblico e per guadagnare l'apprezzamento degli autori, che avevano riposto una così grande responsabilità su di me. Certo, oggi non c'è un varietà come il “Bagaglino” e, pur essendo convinta che ogni periodo storico richieda l'evoluzione di ciò che gli gravita attorno, credo che vi siano delle straordinarie creazioni artistiche, che transitano con indelebile indifferenza verso il tempo che trascorre, magari con rinnovata magia e brillantezza. Il “Bagaglino” certamente è una di quelle. D . – Dal suo punto di vista, televisivamente parlando, è ancora possibile fare un sano intrattenimento? R . – Sicuramente sì e certamente ci sono programmi che propongono un “sano intrattenimento”. Io penso che il pubblico scelga di “guardare” quello che reputa più interessante tra ciò che gli viene offerto. Il punto è che, come sempre, le persone sono l'anima di qualunque cosa, perciò credo che sia sempre possibile esprimere la qualità, laddove coloro che hanno l'incarico di disporre della programmazione televisiva siano all'altezza delle responsabilità affidategli. Purtroppo non sempre accade. D . – Se le proponessero di essere la primadonna del prossimo “Festival di Sanremo”, cosa risponderebbe? R . – Ne sarei onorata. D . – In che modo vorrebbe potesse proseguire il suo percorso? R . – Nel modo con cui l'ho affrontato sino ad oggi: con la libertà di poter scegliere ciò che amo, senza alcun condizionamento. D . – Cosa si auspica possa essere accolto di “Diva – l'amore va in scena”? Quale commento le piacerebbe leggere in una recensione? R . – Siamo coscienti del coraggio necessario nel proporre uno spettacolo originale e inedito: l'offerta teatrale è molto vasta e questo prolungato periodo di crisi economica non promuove certo le produzioni teatrali. In questo senso presentarsi con un titolo sconosciuto al pubblico è una vera sfida. Auspico che gli spettatori premino la professionalità con cui si è preparato questo musical, la qualità dello spettacolo e le emozioni forti, che siamo certi di comunicare. Spero di leggere che il pubblico si sia divertito, emozionato e abbia trascorso una bella serata, affascinato da una coinvolgente storia d'amore. D . – In virtù del percorso maturato negli anni, se metaforicamente si dovesse specchiare oggi, quale immagine
verrebbe fuori di Lorenza? R . – Di una donna felice. Nessuna metafora. D . – Infine, Longanesi sosteneva che un'intervista fosse “un articolo rubato”: cosa le è stato sottratto durante la nostra chiacchierata? R . – Mi è stato rubato il caffè che mi ero preparata e che, durante questo piacevolissimo incontro con lei e col suo pubblico, il mio compagno si è bevuto (e conclude con una risata, ndr). Gianluca Doronzo
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Edoardo Velo
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L'INCONTRO - DAL PALCO AL PICCOLO SCHERMO CON INTIMISMO
Il suo «Danilo Sarpi» in «Vivere» (2002-2004) ha conquistato il pubblico per le «continue sfumature in un mix di cattiveria e furbizia»: Edoardo Velo, fra riflessioni sul momento che sta attraversando e auspici futuri, in una chiacchierata telefonica manifesta le emozioni più trasversali, non omettendo anche humour (per stemperare i toni profondi)
«Sono pienamente innamorato della mia professione e oggi mi sento come un attore in camerino, in attesa di sapere quale colore utilizzare davanti allo specchio, prima di presentarmi sul palco»
È pienamente “innamorato” della sua professione. Ha sempre dato il massimo, senza mai optare per scelte “di mercato o conniventi”. Il suo “Danilo Sarpi” (2002-2004) ha conquistato il pubblico di “Vivere”, facendone apprezzare sfumature interpretative anche “dark e ricche di intrighi”. Oggi più che mai è pieno di propositi per il futuro, in attesa che arrivino “la sceneggiatura e il regista giusti”. Così Edoardo Velo, andando a ritroso nei tratti salienti del suo percorso (con numerosi riconoscimenti ottenuti a livello teatrale e produttivo, fra l'altro), in una serata di fine febbraio, chiacchiera “senza remore” con un giornalista, che sembra conoscere da una vita, alla luce dell'estrema trasparenza del racconto. E, fra malinconie e stati d'animo trasversali, chiosa con una metafora “quasi fosse in camerino, col pennello in mano, in attesa di scegliere quale colore utilizzare, per presentarsi dinanzi al pubblico”. All'insegna di toni estremamente poetici. Domanda – Edoardo, dopo tante fiction, esperienze nella soap e tournée teatrali, cosa sta accadendo nel suo percorso? Risposta – È un momento, in tutta onestà, abbastanza delicato nel mio lavoro e le spiego anche il perché: sono figlio dell'altro secolo e mi sono formato in un periodo in cui tutto era diverso da ciò che sta accadendo attualmente. Oggi il linguaggio è molto più veloce ed è subentrata una realtà supertecnologica. Ad esempio, tv e cinema vengono fatti con un monitor sul set, mentre 20-30 anni non esisteva tutto ciò. Un tempo, per così dire, ci si affidava “alla pancia”. Nelle stagioni in cui ci troviamo a vivere si è un po' più viziati, con un imperversare a teatro anche dei microfoni. Ripenso al rapsodo e a quanto fosse importante l'acustica quando si facevano
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parere che non puoi mai dare il massimo nel tuo lavoro, senza un partner che sia sulla scena con la tua stessa sinergia e il medesimo amore. D . – Le emozioni sono la vera chiave di volta, per dare un nuovo senso a quello che si fa. R . – E credo che il linguaggio del teatro porti in una simile direzione, sebbene sia poco ambito da spettatori e attori. Ci siamo molto abituati al senso di comunità, mentre il racconto sul palco può dare molto al singolo, arricchendone l'interiorità in maniera pura. C'è chi decide di fare una carezza sul cuore leggendo un libro, chi si ingozza a tavola prima e poi si lamenta per problemi di linea e chi opta per spettacoli televisivi spesso poco raffinati, pur essendo consapevole della scarsa qualità di fondo. Oggi il nostro Paese sta attraversando una fase molto delicata e, di sicuro, c'è bisogno di commedie brillanti per evadere un po': la funzione dell'arte è quella di far pensare, restituendo nella quotidianità un'energia rinnovata in quello che si fa. Se io vado a vedere “Romeo e Giulietta”, ad esempio, lo faccio per intensificare il rapporto con la persona amata. Con questo dico che ogni istanza deve avere un suo senso, rispetto a quello che si fa e si vive. Se vedo una fiction brutta, non credo che la società ne tragga vantaggio, perché si rende un cattivo servizio alle coscienze collettive. Detto ciò, credo che tutto questo ciclo sia al tramonto. Probabilmente i miei 35-40 anni non sono gli stessi che si potevano vivere 20 anni fa e, di conseguenza, bisogna fare i conti con i cambiamenti epocali, che sono dentro e fuori ciascuno di noi. D . – Prima ha parlato di “fiction brutte”: dal suo punto di
rappresentazioni dal vivo, fino al punto Callas, con la voce che potesse gestire ogni minimo dettaglio scenico. Istanze simili dimostravano quanto fosse importante il mestiere dell'attore, rappresentante di un'emozione, cercando di farlo nel modo più seducente, ipnotico e affabulatorio possibile. Alla luce di come stanno andando le cose, queste tecniche mi sembra siano state un po' svilite nel mettere a punto un personaggio, per dirgliene una, andando spesso a discapito della qualità. Io sono nato con registi che mi hanno insegnato ad amare il mio lavoro. Qualsiasi situazione di vita acquista un valore aggiunto, se portata avanti con amore ed energia. D . – Verissimo, Edoardo: l'amore è l'unica, chiara discriminante per portare avanti la propria professione al meglio, senza esitazione di sorta, sormontando ogni sacrificio. R . – È molto difficile, caro Gianluca, vedere in giro gente innamorata profondamente del proprio lavoro: forse c'è un desiderio in una simile direzione, ma a mio avviso si tende a vivere emozioni sempre più viziate dalla mancanza di amore, ciò che invece io ho puntualmente provato nei confronti del mio lavoro. Il successo delle mie imprese lo devo anche alle persone che mi hanno affiancato, con le quali ho vissuto il piacere del gioco della rappresentazione, consentendomi di divertirmi e di divertire il pubblico che mi ha seguito nel tempo. Nel mio percorso ho messo a punto personaggi comici e drammatici, ma non ho mai dimenticato la sfera ludica della condivisione. Oggi il computer ha sostituito molte funzioni che prima si mettevano a punto dal vivo. Le post-produzioni hanno dato sempre più spazio al “taglia e cuci”, ma io sono del
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vista, che fase sta attraversando la serialità “made in Italy”? R . – Io devo ammettere che vedo molto poco questo tipo di spettacolo, in quanto non mi dà grandi emozioni. Sono più propenso a leggere un buon libro, essendo un amante delle stelle. Vorrei più approfondire altri argomenti. La fiction, tuttavia, deve far capire che il vero protagonista è la storia, non l'attore. Le produzioni dovrebbero essere formulate secondo criteri più contenutistici ed emozionali, non a tavolino, per incrementare introiti ed altro. Ora, non mi sento di dire che una determinata fiction non sia bella, ma allo stesso tempo non mi sento di dire che possa essere realistica e non si distorca la storia narrata nel suo complesso. Io ne ho fatte tante, così come ho preso parte a numerose soap. In tv il problema è che ci si preoccupa tanto in merito a come debbano arrivare le cose, piuttosto che privilegiare l'aspetto autentico delle emozioni. Si tende sempre meno a dare spazio all'attore e questo, a mio avviso, non va bene. D . – A proposito di soap: celebre è il ricordo del suo “Danilo Sarpi” in “Vivere” (2002-2004). R . – Innanzitutto vorrei dire che arrivai alla soap dopo ben 12 anni di teatro. E ci tenevo tanto, visto che per me era una buona occasione professionale, nella quale misi tutto me stesso. Venivo da un periodo felicissimo, nel quale avevo affiancato grandi alla Michele Placido in scena e avevo persino vinto il “Biglietto d'oro”, in nomination con illustri esponenti del palco. Ero contento di “Vivere”, in quanto il cast era ottimo, in concomitanza ad un illustre regista. La soap mi ha aiutato ad accrescere la mia popolarità, impegnandomi molto sul set, dando “il meglio nel più breve tempo possibile”. Lì c'era tutta la possibilità di manifestare il proprio amore per il verbo e per il gesto. Il mio “Danilo” mi ha dato tantissimo e mi ha fatto conoscere, fra gli altri, Annamaria Malipiero, diventata una
mia sorella anche nella vita. E poi il mio era un personaggio con una cattiveria tutta da scoprire: all'inizio non palesemente dichiarato ma, col tempo, sempre più “stronzetto” fino a mettere in campo una vera e propria furbizia. Con la mia interpretazione ho lavorato sugli angoli, declinando la sua anima verso la consapevolezza e lucidità. Di sicuro è stato un personaggio che mi è rimasto davvero nel cuore. D . – Edoardo, come vorrebbe potesse proseguire il suo percorso? R . – Sono in un momento in cui non so se continuerò a fare l'attore, in quanto non trovo ancora quel regista giusto o la sceneggiatura opportuna. Qualcosa ho fatto negli ultimi tempi, anche per mantenere una certa visibilità, ma non per mettere a punto un'operazione fine a stessa, “tanto per farla”. L'anno scorso, ad esempio, ho animato una versione di “Pretty woman”, vestendo i panni di Richard Gere, anche nella sfera di produttore. Diciamo, alla resa dei conti, che sto aspettando la scrittura alla “Danilo Sarpi” e, come attore, sono fiducioso che il momento non sia lontano. Adesso, giusto per scherzare un po', le dico che “ho fatto la macumba napoletana” affinché tutto ciò accada (e ride, ndr). D . – Bene, Edoardo. Il nostro “viaggio” sta per concludersi: se, metaforicamente, si dovesse specchiare, che immagine verrebbe fuori oggi? R . – Quella di un attore che si trova in un camerino, con il trucco in mano, in attesa di sapere qual è il colore giusto da utilizzare col pennello, pronto per presentarsi sul palco, dinanzi al pubblico. Ed ho un profondo desiderio che quanto prima si manifesti il colore giusto, per emozionare ed emozionarmi, senza mai perdere per un attimo l'innamoramento che ho in quello che faccio. Gianluca Doronzo
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Gaia De Laurentiis
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BRILLANTE, IRONICA E RICCA DI HUMOUR - LO SPIRITO ECLETTICO DELLA RECITAZIONE
Gaia De Laurentiis, con sincera disponibilità ed empatia, «fotografa» il suo momento artistico, fra la tournée della pièce «Alla stessa ora il prossimo anno» di Bernard Slade con Marco Columbro (al «San Babila» di Milano dal 13 marzo) e il suo ruolo «brillante e ricco di equivoci» in «Centovetrine» (Rete4, ogni martedì, ore 21.15, oltre 1milione di spettatori in media col 5% di share), sperando che la soap «continui ad andare in onda, nonostante i repentini cambi di collocazione»
«Strehler mi ha insegnato un grande rigore e un estremo rispetto per il lavoro: non ho mai fatto a meno di questi principi nel mio percorso, spaziando nei generi e nelle avventure»
“Un grande rigore e un estremo rispetto per il lavoro”. Insegnamenti di Giorgio Strehler, che Gaia De Laurentiis ha interiorizzato negli anni, facendone tesoro in qualsiasi impresa professionale, nobilitandola pienamente. E, con coerenza, quanto sta vivendo attualmente ne è la più autentica dimostrazione: in tournée con Marco Columbro nella commedia “Alla stessa ora il prossimo anno” di Bernard Slade (dal 13 marzo al “San Babila” di Milano), è in contemporanea ogni martedì su Rete 4 alle 21.15 nel cast di “Centovetrine” (oltre 1milione di spettatori in media col 5% di share), facendo il suo esordio nel genere “soap”, rivelando toni “brillanti, con continui equivoci e gag”. In una chiacchierata molto spontanea, spaziando negli argomenti e ricordando anche la recente scomparsa di Ronconi, si arriva pian piano ad un epilogo sull'importanza di un'intervista, nella quale scoprirete il significato di “scialla”. Siete curiosi? Domanda – Signora De Laurentiis, attualmente è nel cast di “Centovetrine” (Rete4, ogni martedì, ore 21.15, oltre 1milione di spettatori in media col 5% di share) nei panni di “Gaia Fanizza”, alle prese con equivoci nella trama e toni da commedia brillante: com'è arrivata la proposta? Risposta – Diciamo che all'inizio, quando ti propongono un personaggio di una soap, può esserci un po' di perplessità, soprattutto perché hai paura di rimanere chiusa in un cliché. Nel mio caso, però, ho valutato le caratteristiche del ruolo da interpretare, trovandole molto carine e vivaci: di conseguenza, mi sembrava giusto prendere parte a “Centovetrine”, mettendomi in discussione in una nuova avventura professionale. E devo dire che il pubblico sta dimostrando di gradire. D . – Nello specifico, però, cosa rappresenta la soap all'interno del suo percorso? R . – Io ho una visione poco romantica e, per così dire, “un po' cinica” della mia professione: nel senso che sono molto con i piedi per terra e ritengo sia un lavoro in tutti i sensi. Molti miei colleghi parlano spesso di arte che nobilita l'uomo, facendo scelte ben precise nei copioni e nei personaggi: io le dico che per me quello dell'attore è un mestiere e, come tale, va valutato nelle sue sfumature e declinazioni. Non bisogna sentirsi speciali ad ogni costo, come se ciascuno fosse l'unico e il solo sulla faccia della terra. L'arte è una professione e, semmai, bisogna difendere la qualità di quello che si fa, senza grilli per la testa. Di conseguenza, la soap è un altro tassello lavorativo nel mio percorso. D . – Che dire dei continui e schizofrenici cambiamenti di orario di “Centovetrine” nelle ultime settimane? R . – Lì ci sono logiche che esulano dal mio punto di vista: di sicuro ci saranno dei motivi per cui, chi sta facendo tutto questo, si stia giostrando con cognizione di causa. Onestamente sono in tournée dal 12 dicembre con Marco Columbro in “Alla stessa ora il prossimo anno” e non ho tanto modo di guardare la tv: so che il pubblico, nonostante i cambiamenti, sta seguendo la soap con passione. Mi auguro ben presto possa esserci una collocazione definitiva. Niente di più. D . – Da un punto di vista seriale, cosa le piacerebbe interpretare oggi dopo la soap? R . – Di fiction ne stanno facendo tante negli ultimi tempi: ci sono bei progetti in giro ed io ammetto di aver preso parte un
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po' a tutti i generi seriali. Mi piacerebbe, se proprio dovessi esprimerle un desiderio, fare un lavoro storico, in costume: ad esempio, negli ultimi tempi mi ero proprio fissata con “I Borgia”. Diciamo che in una simile direzione mi ci vedrei bene. Poi quel che sarà, sarà. D . – Prima ha parlato della sua presenza nella commedia “Alla stessa ora il prossimo anno” di Bernard Slade, accanto a Marco Columbro, in tournée dal 13 marzo al “San Babila” di Milano, fra l'altro: di che esperienza si tratta? R . – Questa è una commedia molto divertente, esilarante e intelligente: un po' a provocazione nella trama, fino alla scoperta della verità. Il messaggio che vuole portare, con toni sopra le righe, è che “l'amante serve sempre per far funzionare un matrimonio”. A me diverte molto raccontare questa storia e trovo che Slade sia al pari di Simon, drammaturgicamente parlando. La scrittura è frutto di una mente da ritenere una vera e propria “macchina da guerra”, potendo interpretare svariati personaggi, dal provinciale al più importante, con tanto humour e simpatia. D . – Se dovessimo, un attimo, tornare indietro ai suoi esordi al “Piccolo” di Milano, quali insegnamenti ricorda maggiormente? R . – Un grande rigore e un estremo rispetto per il lavoro: ecco cosa Strehler ci comunicava. La sua esperienza ci motivava al lavoro puro, con poche fisime, pochi capricci e tanto amore.
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Un attore si può sublimare ad un enorme livello artistico, a seconda dei vari gradi di sensibilità, ma non può rimanere distaccato dalla scena e dal pubblico: io per questo non sopporto coloro i quali rimangono sulla torre d'avorio, come se fossero intoccabili. Strehler ci ha trasmesso l'importanza di sapere un po' tutto di tutti, cogliendo ogni occasione al meglio, con disciplina e passione. D . – A proposito di grandi maestri della scena: di recente ci ha anche lasciato Ronconi, preceduto da Virna Lisi, Francesco Rosi e Anita Ekberg, fra gli altri. R . – I grandi scomparsi hanno la fortuna di averci donato qualcosa di estremamente importante: la loro arte, eterna e immensa. Da un punto di vista personale, ovviamente, tutto ciò mi fa pensare alla cognizione del tempo che passa. Purtroppo la vita è fatta di questi appuntamenti, che vorremmo non si presentassero mai. E il tempo vola. D . – Da un punto di vista televisivo, condurrebbe un programma come avvenuto ai tempi di “Target”? R . – Questo non lo so. “Target”, a suo tempo, richiedeva una donna che facesse dei lanci con un ottimo italiano, un ottimo primo piano e una bella parlantina. Non era una vera e propria conduzione. Il vero conduttore è un'altra cosa e ci vogliono delle capacità ben precise che, onestamente, io credo di non avere. A mio avviso, i conduttori dovrebbero difendere la categoria alla quale appartengono, facendo fare un passo
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indietro a chi non ne è in grado. Ci vuole una grande dose di ascolto nel portare avanti un programma: se non hai sentito bene cosa ti risponde l'interlocutore, non puoi replicare e non fai una buona trasmissione, di conseguenza. Abbiamo, secondo me, grandi esempi di professionisti come Bonolis, la Ventura e via dicendo. Che piacciano o meno è un altro discorso, ma sono degli ottimi conduttori. E non si può discutere in tal senso. D . – Bene, bene. Come vorrebbe potesse proseguire il suo percorso in futuro? R . – Continuando a fare l'attrice, magari con una bella fiction. Oggi ho più di 40 anni e sono contenta di quello che ho messo a punto nelle stagioni. Per me il lavoro, come le dicevo prima, è soprattutto sinonimo di grande rispetto per quello che si fa. D . – Se, metaforicamente, dovesse specchiarsi oggi, quale immagine verrebbe fuori di Gaia? R . – Un'immagine matura, più consapevole, fondamentalmente contenta. Io sono di natura ottimista. Oggi ho 4 figli e ovviamente faccio un po' anche il punto della situazione rispetto al loro futuro e a quale cammino rendere più giusto in tal senso: vedo la luce, ma non significa che non sia realista e non sia anche un po' preoccupata. Ho, per così dire, la consapevolezza di tutto, non solo a livello professionale, ma anche nella sfera familiare. Vedremo un po' quello che accadrà. D . – Siamo, purtroppo, alla fine della nostra piacevole
chiacchierata: secondo Longanesi “un'intervista è un articolo rubato”. Cosa le è stato sottratto, in sincerità, durante il nostro incontro? R . – Innanzitutto ci sono dei giornalisti che fanno “botta e risposta” ed altri che si presentano in una certa maniera, più dettagliata e approfondita. Così come le recensioni che, ormai, in teatro sono diventate dei veri e propri racconti delle storie, senza alcun commento sugli interpreti e aspetti della scrittura. A me la sua intervista non ha sottratto nulla e, di conseguenza, la massima di Longanesi la trovo un po' limitante. Poi, per carità, magari quando la leggerò capirò quanto siano state riportate fedelmente le mie dichiarazioni e quanto qualcosa sia stato interpretato. Ma, alla fine della fiera, siamo personaggi pubblici e ci sta nel gioco delle parti: per cui, come si dice a Roma, “scialla” (e ride, ndr). Ricordo, giusto per raccontarle un ultimo aneddoto, anni fa mentre ero incinta del terzo figlio: rilasciai una bellissima intervista che, però, aveva un titolo molto discutibile. E in quel caso ci rimasi molto male, perché i contenuti erano attendibili, ma siccome il titolo lo fa un altro rispetto al giornalista, allora si voleva puntare su ciò che non stava né in cielo né in terra. D . – Tranquilla, il suo titolo lo farò io. R . – Nessun problema, Gianluca. Non si preoccupi minimamente. Tanto con me “scialla” (e la chiacchierata si conclude con una risata comune, ndr). Gianluca Doronz0
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Nando Paone
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FRA TOURNÉE E CINEMA - UNO STORICO ARTISTA MADE IN ITALY
Ha affiancato maestri alla Eduardo e Vincenzo Salemme: Nando Paone fa il punto della situazione su «decenni e decenni di carriera» fra cinema e teatro, attualmente in tournée nel «Don Giovanni» di Molière, per la regia di Alessandro Preziosi, nei panni di «Sganarello» (il 20-22 marzo al «Comunale» di Reggio Emilia, il 24-26 al «Nuovo» di Udine, il 27-29 a Pordenone e il 31 a L'Aquila)
«Ci sono classici sempre moderni come nel caso del nostro spettacolo, in cui il tema dell'ipocrisia è dominante, quanto mai di stretta attualità, soprattutto in politica»
La modernità dei classici. Per Nando Paone, storico esponente dell'attorialità “made in talento”, il “Don Giovanni” di Molière (per la regia di Alessandro Preziosi), con cui è attualmente in tournée nei panni di “Sganarello”, ne è un esempio. In primo piano “il tema dell'ipocrisia, quanto mai attuale, se pensiamo a quello che accade in politica”. Così fra una battuta e una riflessione più profonda, in una chiacchierata nella quale si va a ritroso nei ricordi, anche citando Eduardo (“ci diceva di andare via da Napoli, ma ho capito solo nel tempo quale senso avesse la sua frase”) e Vincenzo Salemme (“il mio amico di sempre”), ci si prepara ad affrontare intense settimane di repliche (il 20-22 marzo al “Comunale” di Reggio Emilia, il 2426 al “Nuovo” di Udine, il 27-29 al “Comunale” di Pordenone e il 31 all' “Auditorium Gdf” de L'Aquila, fra l'altro), con produzione “Khora Teatro” e “TSA” in sinergia. Domanda – Signor Nando, con la sua esperienza ha fatto la storia del teatro e cinema italiani, avendo avuto anche la fortuna di incontrare Maestri (volutamente con la maiuscola) come Eduardo. Fino al 31 marzo sarà in tournée in tutt'Italia nel “Don Giovanni” di Molière, per la regia e interpretazione di Alessandro Preziosi, nei panni di “Sganarello”. Cosa dire di questa esperienza? Risposta – Io sono sempre stato un grande appassionato di Molière (e anche di Shakespeare, separati da quasi un centinaio di anni) ma, soprattutto, della Commedia dell'Arte. Pensi che io e mia moglie gestiamo a Pozzuoli un teatrino proprio dedicato a Molière e, nel mio percorso, ho anche curato una regia di un suo spettacolo, dal titolo “Il medico per forza”: in quel caso “Sganarello” era protagonista assoluto e, onestamente, il suo messaggio mi ha sempre affascinato. Poi lo scorso anno Alessandro Preziosi mi ha proposto di interpretarlo nella sua versione del “Don Giovanni” e non ho potuto rifiutare. In futuro, ad esempio, mi piacerebbe molto
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fare una mia edizione de “L'Avaro”: sarebbe un po' una quadratura del cerchio. D . – Dal suo punto di vista, quali sono state le intuizioni registiche messe a punto da Alessandro Preziosi? R . – Secondo me è stato molto sapiente nel mettere a punto il lavoro complessivo: è riuscito perfettamente nella sua impresa, assieme ad Alessandro Maggi, che ne ha curato la supervisione, diventando un po' l'occhio esterno dello spettacolo complessivo. Noi siamo una compagnia meravigliosa e ci sono davvero tanti attori bravissimi, tutti diplomati all' “Accademia”: il che costituisce nell'intimo un valore aggiunto. Pensi che, per la prima volta nella mia vita, sono il più anziano del cast. Detto questo, Preziosi è riuscito a creare una pièce classica, tradotta magistralmente da Mattei, creando dei costumi del '700 (e non del '600), inquadrando il tutto in una cornice estremamente moderna. Gli attori hanno movenze da Commedia dell'Arte, in una sorta di costruzione di movimenti geometrici. “Sganarello” è l'anima, la coscienza di “Don Giovanni”. Nel complesso c'è un gioco sapiente fra antico e fruibile nel contemporaneo, con diverse intuizioni efficaci. Siamo, caro Gianluca, arrivati alla 75esima replica e il nostro spettacolo dimostra come, in un certo qual modo, si possa educare il pubblico al vero teatro, in una resa modernissima, parlando di “ipocrisia”, un tema talmente attuale da essere universale. Se pensiamo ai nostri politici, ne sono perfetti referenti. Fra false professioni di credo, sdoppiamenti e
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intrighi, c'è davvero tutto quello che può riguardare i giorni nostri. D . – Potremmo, dunque, ritenere il teatro la sua vita? R . – Il palco è la mia vita. Io ho cominciato a fare l'attore che avevo appena 17 anni: ero un ragazzino a cui è stata data una strada, proprio respirando la polvere dei teatri. Attraverso la simulazione mi sono avvicinato al mondo reale, facendo della drammaturgia la mia ragione esistenziale. Un attore, a mio avviso, deve attingere dall'emozionale. Come le dicevo prima, io e mia moglie gestiamo una struttura a Pozzuoli: davvero amiamo quello che facciamo e se anche un solo “talento” ne venisse fuori, diventando un grande protagonista del teatro italiano, per noi sarebbe una vittoria, una vera e propria quadratura del cerchio. Noi ci mettiamo tutta l'anima. D . – A quale maestro deve dire grazie e, soprattutto, ci sono degli insegnamenti che ha interiorizzato nel tempo? R . – Io ho avuto il grande privilegio di essere diretto da Eduardo per ben tre stagioni e poi, subito dopo, il cinema mi ha dato una grande popolarità, interpretando film con Bud Spencer, d'impatto sul pubblico. Attraverso i suoi adagi, De Filippo ci diceva fra le righe: “Da Napoli scappatevene”. Non ero propriamente d'accordo con questa frase, ma poi ne ho capito il senso. A 19 anni sono andato via e ho vissuto a Roma per ben 24 anni, mantenendo però fede alla mia onestà intellettuale, alla mia precisione e al mio voler dare il meglio in quello che faccio. Poi, in un secondo momento, ho avvertito il
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bisogno di tornare nella mia città natale, in quanto era come se sentissi che stessi abbandonando Napoli nelle “mani del nemico”. Ad oggi, con l'esperienza messa a punto nella mia scuola a Pozzuoli, sono stati messi su ben 4-5 attori professionisti e, alla fine, posso dire di trovarmi proprio bene. Abbiamo scelto questa precisa location perché è un vero Paradiso terrestre e non ne potremmo fare a meno. D . – E se le dico Vincenzo Salemme, cosa mi risponde? R . – È il mio amico storico, di sempre. Pensi che io e la mia compagna, dopo 17 anni, ci sposeremo a breve e lui celebrerà il matrimonio civile. Io e Vincenzo ci conosciamo da tanto: ci siamo anche ritrovati assieme a lavorare con Eduardo. La nostra è un'amicizia fraterna. Per otto anni abbiamo fatto tournée fantastiche in giro per tutt'Italia, facendo ridere intere platee con le sue commedie. Ad un certo punto, però, i percorsi hanno preso altre strade, ma l'amicizia è rimasta intatta. E non potrebbe essere altrimenti. D . – Nel '79 lei ha debuttato in tv con Fabrizio Frizzi nel primo varietà per ragazzi, dal titolo “Il barattolo”: oggi non esiste più una fascia simile nei palinsesti. R . – Pensi che alla fine degli Anni '70 vincemmo il “Microfono d'argento”: facevamo la vera tv dei ragazzi e, purtroppo, oggi non esiste più una fascia dedicata ai ragazzi, delineando una grande mancanza. Si ragiona sempre in virtù del denaro e, inevitabilmente, con l'avvento delle altre tv, dei canali tematici e delle pay, la Rai ha ritirato dai palinsesti i programmi dedicati ai più piccoli, facendo sparire un genere importante. C'erano ospiti alla “Geo & Geo”, si dava spazio agli approfondimenti vari e davvero si respirava tanto amore in quello che facevamo. D . – Come vorrebbe potesse proseguire il suo percorso? R . – Beh, se si mantenesse su questi livelli, non mi dispiacerebbe. Vorrei fare teatro in maniera seria, esattamente così come sta accadendo. Nulla contro i cabarettisti, ma bisognerebbe far capire ai giovani che il palco è una cosa importante, da fare con preparazione e passione. Bisognerebbe educare in una simile direzione. Io ho portato, ad esempio, in scena tre commedie con mia moglie, affrontando tematiche come il disagio umano, facendo
riflettere su ciò che non va nella modernità. La vera funzione del teatro, a mio avviso, è portare lo spettatore alla conoscenza, fino a far leva sui sentimenti, perché così facendo si vive meglio. Ci dobbiamo difendere come possiamo, caro Gianluca. D . – E se, metaforicamente, si dovesse specchiare, quale immagine verrebbe fuori oggi di Nando? R . – Verrebbe fuori la mia davanti ad uno specchio. Nella mia carriera ho commesso anche degli errori, ho fatto delle scelte talvolta sbagliate, ma me ne sono reso conto solo dopo. Diciamo che nel cinema tutto ciò mi sarà capitato solo 2-3 volte, vuoi per la regia, vuoi per la sceneggiatura, vuoi per il montaggio. Ma sbagliando si impara ed è stato giusto così. Oggi sono quello che sono, grazie alle mie forze e al mio percorso. D . – Infine, secondo Longanesi “un'intervista è un articolo rubato”: cosa le è stato sottratto durante la nostra chiacchierata? R . – Beh, direi che “un'intervista rubata” è più una metafora che una massima. Se l'intervistato è consenziente, tutto va bene e non gli può essere sottratto nulla, se non il piacere di condividere una chiacchierata (e conclude con una risata, ndr). Gianluca Doronzo
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Monica Guerritore
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LA SIGNORA DELLA SCENA ITALIANA
Monica Guerritore (ricordando il maestro Giorgio Strehler, per il quale «il teatro è il racconto di un uomo, che diventa dell'umanità») sta affrontando i panni di «Ruth Steiner» nella pièce «Qualcosa rimane» di Donald Margulies («Premio Pulitzer» 2000), il 27 al «Comunale» di Russi e il 28 al «Magnani» di Fidenza, con produzione «Parmaconcerti»
«Porto in scena uno spettacolo in cui difendo l'originalità della purezza artistica, in antitesi al tradimento e al copia-incolla, oggi sempre più in auge nella società»
Sulla scena, come nella vita, ha puntualmente difeso il principio dell' “originalità della purezza artistica”. Ha di volta in volta dato spessore ai suoi personaggi, credendo con sincerità nella drammaturgia contemporanea, senza mai scendere a compromessi. Monica Guerritore è una delle signore più autentiche della scena italiana: propositiva, sempre in fermento (ricordando il maestro Strehler, per il quale “il teatro è il racconto di un uomo, che diventa dell'umanità”), attualmente è alle prese con la pièce “Qualcosa rimane” (tradotta da Enrico Luttman) di Donald Margulies (“Premio Pulitzer” nel 2000), nei panni di “Ruth Steiner”, assieme ad Alice Spisa (“Lisa Morrison”), fra tradimenti, attrazione omosessuale e “arringa finale”, con grande interazione fra il pubblico (il 26 marzo a Cascina, il 27 al “Comunale” di Russi e il 28 al “Magnani” di Fidenza) e produzione “Parmaconcerti”. Domanda – Signora Guerritore, è un piacere ritrovarla a distanza di un po' di anni dall'ultima intervista: ad offrire l'occasione di una nuova chiacchierata è la tournée che sta affrontando in tutt'Italia con la pièce “Qualcosa rimane” di Donald Margulies, per la sua regia e interpretazione, assieme ad Alice Spisa. A che punto del suo percorso arriva questa performance? Risposta – Intanto quello con questo testo è un incontro abbastanza casuale: nel senso che venivo da uno spettacolo su Judy Garland (un musical che ora è a Broadway) e, a conclusione, la produzione “Parmaconcerti” mi ha proposto “Qualcosa rimane”, di cui mi sono immediatamente innamorata, perché ho trovato un nucleo molto denso a livello narrativo. E, soprattutto, si parlava del tema del tradimento, in
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attori: un testo deve essere universale nel suo messaggio e ne sono pienamente convinta. D . - Un altro dei lavori che ha portato in tournée negli ultimi tempi è stato “Mentre rubavo la vita” con Giovanni Nuti, dedicato all'universo di Alda Merini. Che ricordo ne ha? R . – Il ricordo è ancora vivo, nel senso che presto lo riprenderemo ancora andando in tournée a Trieste, fra l'altro. Si tratta di una bellissima avventura fra musica, canto, ballo e recitazione, dove davvero alla fine ciascuno si sente pienamente coinvolto nella messinscena. Adoro Nuti e le poesie della Merini: credo sia una delle imprese più belle e complete che si possa portare avanti, da un punto di vista artistico e umano. D . – Se dovessimo valutare la sua sfera attoriale, a che punto sente di essere oggi? R . – Per me ogni lavoro è una nuova scoperta: io sono sempre curiosa, affamata di vita e arte. Non potrebbe essere altrimenti nel mio percorso. D . – Potrebbero esserci fiction e cinema in futuro? R . – Per ora sono concentrata sui miei lavori teatrali, che mi appagano tanto e mi fanno stare bene. Per il futuro si vedrà. D . – Se dovesse far tornare alla memoria uno degli insegnamenti interiorizzati negli anni, quale le verrebbe subito da ricordare? una declinazione molto, ma molto particolare. Nella mia carriera ho interpretato donne molto forti, ma come nel caso della scrittrice “Ruth Steiner” è raro trovarne. D . – Tra le altre cose, il testo ha vinto il “Premio Pulitzer” ed è, se non erro, inedito in Italia. R . – Giusto. In Italia “Qualcosa rimane” è inedito e lo stiamo affrontando davvero mettendoci tutta l'anima, con intensità espressiva ed una tensione emozionale. D . – Quali riscontri state ottenendo in tournée? R . – I commenti sono assolutamente stupendi e bellissimi. Fra le due donne c'è un forte incontro-scontro, con un'attrazione omosessuale. Il pubblico segue lo spettacolo come se fosse una sorta di thriller dell'anima, in un'accezione anche innovativa rispetto ai contenuti. C'è il momento in cui ci si lascia andare, con una precisa idea della donna e, ad un tratto, si capirà quanto cambi il rapporto fra le due, fino al tradimento e alla trasformazione dei toni. Nel testo si parla della superficialità nei rapporti umani, del rubare le idee “col copia e incolla” odierno. Topica una frase, a mio avviso: “Il tempo è una scuola da cui impariamo”. La parola “esilio”, a mio avviso, è fondamentale, foriera della “Beat Generation”. Nella pièce si orecchia, ci si appropria di ciò che non appartiene e si arriva, fino all'ultimo atto, in un'arringa che porto in platea, con uno scontro fra due tesi che avverrà dinanzi al pubblico. Davvero innovativa l'idea, con un continuo mutamento e una metamorfosi pazzesca. D . – Il grande entusiasmo con cui parla di questa sua nuova avventura, non può che motivare il pubblico ad esserci. Rimanendo in tema teatrale, quale fase sta attraversando la drammaturgia contemporanea? R . – Credo che nella drammaturgia contemporanea ci sia una buona fetta di letteratura da cui estrapolare i propri lavori. Io leggo un testo, ne intuisco i reali punti di forza, lo adatto alla scena e lo divulgo al pubblico. Non credo ci siano lavori che possano arrivare solo alla stretta cerchia dei registi o degli
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LA SIGNORA DELLA SCENA ITALIANA
R . – Il mio primo maestro è stato Strehler e ricordo una sua massima: “Il teatro è il racconto di un uomo, che diventa dell'umanità”. Bisogna, pertanto, rendere i personaggi universali, facendoli apprezzare dal pubblico in maniera del tutto particolare e trasversale. D . – Il teatro è manifestazione dell'autentica opera d'arte. R . – Quando c'è la vera opera d'arte, non si può che ammirarla in continuazione, sublimandola e facendone venire fuori tutti gli aspetti più emozionali ed intimi. Il teatro ci dimostra come si possa essere veri, sinceri e vivi in tutte le proprie accezioni.
D . – Siamo in un momento in cui il termine “talento” è spesso inflazionato e bistrattato nella lingua italiana, alla luce soprattutto della sua declinazione mediatica. Averne, secondo lei, cosa vuol dire? R . – Significa avere una vocazione e l'equivalente possibilità di farsi valere in quel campo. E tutto ciò va bene per il ciabattino, come per quello che vernicia la macchina, piuttosto che per altre professioni. Il “talento” è la capacità unita al “sacro fuoco”. Per un ballerino, ad esempio, ci sono ore e ore di prove, dietro una spiccata e sensibile capacità di movimento. Il durissimo lavoro rende grandi gli uomini e potenzia la consapevolezza delle proprie capacità. Il vero “talento” richiede la frusta, decenni di labor limae, è avido di conoscenza e curiosità. Con purezza, tanta abnegazione e voglia di riuscirci. D . – Un'ultima domanda, signora Guerritore: cosa le piacerebbe potesse essere compreso di “Qualcosa rimane”? R . – Che il pubblico possa prendere parte allo spettacolo, quasi fosse partecipe del ring che si crea fra me e Alice Spisa, pronta a vestire i panni di “Lisa Morrison”. Io combatto realmente ogni sera in scena, dando il massimo, per far valere le mie ragioni. Io voglio imporre la mia tesi, che è quella relativa all'originalità della purezza artistica, a dispetto del personaggio che interpreta la mia collega, vittima del “copia, incolla e orecchia”. Venite a vederci, mi raccomando. Gianluca Doronzo
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Franco Trentalance
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LIBRI - IL THRILLER CHE NON T'ASPETTI
Il «pornodivo gentiluomo» Franco Trentalance, noto per la sua partecipazione al reality «La talpa» nel 2008, ha pubblicato il suo primo romanzo, dal titolo «Tre giorni di buio» (Editore Castelvecchi), con Gianluca Versace, utilizzando «un linguaggio innovativo, toni cinematografici e una spiccata passione per la scrittura»
«Dopo la mia autobiografia ho deciso di mettermi in discussione con un thriller, dimostrando al pubblico quanto coraggio e voglia di cimentarmi in continue imprese siano nella mia anima»
Le molteplici anime di Franco Trentalance. Ritenuto unanimemente il “pornodivo gentiluomo” (oltre 440 film hard e una fama internazionale), negli anni ha saputo spiazzare il pubblico, proponendosi in molteplici avventure nel mondo dello spettacolo, spiccando per “intelligenza, puntualità e carisma”. Noto per la sua partecipazione al reality “La talpa” nel 2008, ha fatto radio e curato diverse rubriche anche in tv, scrivendo più di cinque anni fa la sua autobiografia. Adesso, mostrando la sua naturale propensione per la letteratura, ha deciso di pubblicare il suo primo romanzo, dal titolo “Tre giorni di buio” (Editore Castelvecchi), con Gianluca Versace, paventando agio nel thriller, con un linguaggio “innovativo e toni cinematografici”. Con l'auspicio che presto possa esserne tratto un film. Chapeau. Domanda – Signor Trentalance, cosa rappresenta all'interno del suo percorso la pubblicazione del primo romanzo, dal titolo “Tre giorni di buio” (Editore Castelvecchi), scritto con Gianluca Versace? Risposta – In realtà la pubblicazione è avvenuta in una maniera più semplice di quanto si possa immaginare: a più di cinque anni di distanza dal mio primo libro autobiografico, mi è stata offerta la possibilità di una seconda pubblicazione. A me la scrittura è sempre piaciuta, in quanto l'ho annoverata fra le mie passioni come le recensioni per i film e il tiro con l'arco. Ho pensato, pertanto, di puntare su un genere che sentissi vicino alle mie corde, a qualcosa che mi appassionasse, come il thriller, anche se è decisamente complicato metterlo a punto. Ho così mandato prima un capitolo sperimentale e poi ho chiesto l'aiuto di Gianluca Versace, dividendoci il compito nello sviluppo. C'abbiamo messo 9 mesi, ma credo che il risultato sia da ritenersi soddisfacente per entrambi. D . – La carriera letteraria, dunque, potrebbe avere continuità nel suo percorso? R . – Anche se non sono uno scrittore di professione, ritengo che possa essere una delle strade da percorrere, visto che rappresenta una mia passione. Senza prendersi troppo sul serio, ben intesi. Vediamo quello che accadrà in futuro. D . – Cosa le piacerebbe potesse essere evinto di “Tre giorni di buio”? R . – Mi piacerebbe, innanzitutto, ci fosse un buon gradimento generale da parte del pubblico e, finora, devo dire di aver ricevuto belle attestazioni, d'impatto immediato. Nel profondo, però, vorrei venisse riconosciuta la freschezza del mio linguaggio, col ritmo della scrittura. Diciamo che mi sono documentato bene prima di scrivere ampiamente, facendo delle scelte stilistiche ben precise, spaziando nei contenuti. D . – Ho avuto modo di leggere il suo romanzo, prima di intervistarla: mi sembra, nel complesso, ci siano tutte le premesse per uno spunto cinematografico. È d'accordo? R . – Bravo, esatto. La struttura per un film potrebbe esserci tutta. Staremo a vedere in futuro quello che ne potrà essere tratto. Io ne sarei onorato, soprattutto perché le sequenze si presterebbero bene al grande schermo. D . – E noi ci ritroveremo per parlarne in occasione dell'omonimo film: no? R . – Assolutamente. Io, come le dicevo prima, non so se quella letteraria sarà una carriera da perseguire in futuro. Col mio mental coach, Italo Pentimalli, il cui libro più famoso è “Il potere del cervello quantico”, si parla spesso di “successo” e,
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dal suo punto di vista, ha una formula. Io da ragazzino parlavo da solo in inglese e rispondevo nella stessa lingua, quasi dovessi essere intervistato. Non so se già da allora sentissi di dover essere sotto i riflettori nella mia vita, di sicuro non avrei potuto immaginare che la scrittura mi potesse dare tutte queste chance. Vivrò ogni momento con tutto me stesso, senza grandi aspettative. D . – Da un punto di vista televisivo, quale impresa le piacerebbe affrontare oggi? R . – Se ci fosse un bel programma, come quelli fatti in passato anche all'interno di “Lucignolo”, non mi dispiacerebbe per niente. Vorrei spaziare fra contenuti, fantasia e uno stile
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immediato, d'impatto per gli spettatori, senza filtri da studio. Non perdendo di vista il gusto della seduzione e l'ironia. D . – Come vorrebbe potesse proseguire il suo percorso? R . – Ci sono dei progetti sui quali sto lavorando: uno di questi è un monologo teatrale, un po' serio, un po' ricco di humour, incentrato su tutto quello che scatta tra uomini e donne nell'approccio. In tv, come le dicevo prima, ho avuto già modo di curare rubriche nelle quali parlare anche della coppia e mi piacerebbe vivere una nuova avventura, senza filtri. In quanto alla scrittura, avendoci preso gusto, mi piacerebbe avere il giusto spunto per un terzo libro, spiazzando rispetto ai precedenti. In me c'è tanta vena creativa. Poi si capirà.
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R . – In realtà io sono una persona abbastanza serena: mi piacerebbe misurarmi sempre in nuove realtà. Ho puntualmente avuto il coraggio in quello che ho fatto, la forza di seguire le mie passioni. Sono uno che ha vissuto senza mai rinunciare a quello che è, alla sua predisposizione e, come le ribadisco, alle proprie passioni. Mentre, a mio avviso, ci sono troppi giovani che rinunciano ai propri sogni, a priori e questo non va per niente bene. Io sono stato, giusto per concludere la metafora che mi ha richiesto, una sorta di salmone nella mia vita, controcorrente e orgoglioso di esserlo. D . – Concludiamo con una citazione: secondo Longanesi “un'intervista è un articolo rubato”. Dal suo punto di vista, cosa le è stato sottratto durante la nostra chiacchierata? R . – Onestamente credo che ripetere agli altri quelli che sono i propri pensieri sia propedeutico a capirsi meglio e non possa che farci bene, soprattutto in un'accezione artistica. Per cui ben vengano le interviste intelligenti come la sua, che non sottraggono nulla, ma al contrario arricchiscono l'interlocutore, mettendolo dinanzi al proprio percorso e a quello che è. Gianluca Doronzo
D . – Se si dovesse definire oggi, quale risposta darebbe in maniera immediata? R . – Curioso come un ragazzo di 18 anni, che non smette mai di conoscere ed esplorare l'universo. Sono in continuo fermento e ne penso sempre una dietro l'altra. Non potrebbe essere altrimenti. D . – In queste settimane è tornata “L'isola dei famosi” e lei è stato in passato uno fra i concorrenti di un altro reality (“La talpa”), con un buon successo di pubblico. Che dire della presenza del suo collega, Rocco Siffredi, in questa edizione del programma? Lo sta guardando? R . – “La talpa”, a mio parere, era molto più figo come reality: c'era suspense, voglia di scoprire il traditore, più intensità nel gioco e numerose prove di sopravvivenza. Era, per così dire, molto “adventure”. Allo stesso modo, non trovo male l'edizione di quest'anno de “L'isola” e se Rocco non “sbrocca”, può fare una bella figura. Bisognerà capire come si svilupperanno le dinamiche fra i naufraghi e chi avrà la meglio. Di sicuro per lui è una bella opportunità e ne sono contento. D . – Allo specchio, metaforicamente, in che maniera si rifletterebbe oggi Franco Trentalance?
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Debora Caprioglio
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TEATRO - LA PROTAGONISTA DI STAGIONI DI SUCCESSO
Debora Caprioglio racconta il suo periodo «ricco di gratificazoni», spaziando dalla tournée con Gianfranco Jannuzzo a quella di «Sinceramente bugiardi» di Alan Ayckbourn (il 24-25 aprile a Napoli e dall'8 al 10 maggio a Guidonia), per la regia di Francesco Branchetti, assieme a Lorenzo Costa, con produzione «Teatro Garage» di Genova
«Sul palco mi diverto con ironia e humour, ma non mi dispiacerebbe interpretare in futuro un bel ruolo d'epoca sul grande schermo»
Il teatro è diventato il suo motivo conduttore nelle ultime stagioni, donandole personaggi di successo. Ma, se ci fosse la giusta occasione cinematografica, non le dispiacerebbe “un film d'epoca, in costume”, virando registro. Debora Caprioglio è una delle attrici più versatili nel panorama contemporaneo, in grado di spaziare dalla fiction alle commedie, con estremo agio e “tanto entusiasmo”. Attualmente è impegnata, fra l'altro, con lo spettacolo “Sinceramente bugiardi” di Alan Ayckbourn (il 16-17 aprile a Bellinzona, il 18 a Cannobio, il 2425 a Napoli e dall'8 al 10 maggio a Guidonia), per la regia di Francesco Branchetti, accanto a Lorenzo Costa. In primo piano gag, equivoci e una gran voglia “di far evadere il pubblico dalla routine quotidiana”, con un ritmo serrato. Tracciando le tappe fondamentali del suo percorso (ricordando anche il “maestro-papà” Mario Scaccia, che le ha insegnato tanto e l'ha addirittura “accompagnata sull'altare il giorno delle sue nozze”), al telefono si racconta con estrema disponibilità, a distanza di diversi anni dall'ultima volta in cui ha avuto modo di chiacchierare col giornalista, riflettendosi allo specchio, metaforicamente, come una donna “consapevole, ricca di humour e ironia, qualità fondamentali nella vita”. Domanda – Signora Caprioglio, attualmente è in tournée con la commedia “Sinceramente bugiardi” di Alan Ayckbourn, prodotta dal “Teatro Garage” di Genova. All'interno del suo percorso, cosa rappresenta? Risposta – Abbiamo deciso di mettere su questo spettacolo
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con Lorenzo Costa, in quanto mesi fa è stato presentato al “Festival di Borgio Verezzi”, dove ha avuto un buon successo. Ho imparato ad approfondire le dinamiche di Alan Ayckbourn, ricche di humour ed equivoci. In questo preciso momento, tra l'altro, sono in giro in tutt'Italia anche con Gianfranco Jannuzzo con la “Compagnia Molière” (di cui sono direttrice artistica) e davvero sto vivendo un bellissimo periodo, di grande fatica ma ricco di gratificazioni. Con “Sinceramente bugiardi” saremo nelle prossime settimane anche a Napoli, il 24 e 25 aprile, fra l'altro. Io mi sto divertendo molto: interpreto il ruolo di una donna piacente, che si sente un po' trascurata dal marito. Fra gag, continue risate e una trama incalzante, la pièce va avanti, con la consapevolezza che lo spettatore sa già quello che succede, mentre i protagonisti lo vivranno di volta in volta. I toni sono decisamente british ed io mi trovo a mio agio. D . – Il regista Francesco Branchetti sostiene che in uno spettacolo del genere “si riconcili il teatro comico con quello brillante, di grande qualità”. R . – E direi proprio di sì. C'è una comicità molto stimolante in scena ed è importante seguire il testo, non essendoci i cosiddetti “sbrodolamenti” tipici nella commedia. Tutto è molto asciutto e il racconto della storia si segue con passione
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ed armonia. Io ne sono entusiasta. D . – Il teatro sta diventando la sua forma espressiva prediletta nel mondo dello spettacolo, alla luce delle ultime stagioni? R . – Dal 1997, anno in cui ho esordito sul palco con Mario Monicelli (“Una bomba in ambasciata”), il teatro è sempre stato una mia costante. La mia carriera ha avuto inizi precisamente nel '91, ma le tournée non le ho mai abbandonate. Col tempo la commedia è diventata una forma che ho affrontato con passione e agio: ormai non so più quanti spettacoli io abbia fatto, ne ho perso il conto. Di sicuro in questa maniera si manifesta il mio amore per la recitazione a 360°: a volte posso averlo trascurato per lavori di fiction o cinematografici, ma ci sono sempre tornata con l'entusiasmo della prima volta. E farà parte della mia carriera. Sempre. D . – Un ricordo di Mario Scaccia, con cui è stata tante volte in tournée? R . – Per me lui è stato come un papà, l'ho amato allo stesso modo del mio naturale. Il ricordo di Mario è quello di un attore straordinario. È stato un grande, capace di insegnare senza insegnare, nel senso che non ha mai assunto toni da maestro o pedagogo: la sua sola presenza in scena ti regalava emozioni senza confini. Pensi che, per quel che riguarda la mia vita privata, quando mi sono sposata lui mi ha anche
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accompagnato all'altare. Ho avuto l'enorme fortuna di conoscerlo e di averlo accanto tante volte. Mi manca. D . – A che punto del suo percorso sente di essere oggi? R . – Io sono molto orgogliosa di me stessa: ho fatto davvero tante cose e ho messo puntualmente un enorme impegno ogni volta, senza mai trascurare un dettaglio, donandomi al pubblico completamente. D . – In quale impresa, pertanto, le piacerebbe misurarsi? R . – A me piacerebbe molto un film d'epoca al cinema e, a mio avviso, dovremmo seguire un po' di più gli esempi degli americani in questa direzione, visto che in Italia ne mancano. Di sicuro il nostro grande schermo sta vivendo un bel momento, ormai dallo scorso anno, da quando è stato vinto l'Oscar con “La grande bellezza” di Paolo Sorrentino. Ma dal mio punto di vista, in merito alle commedie, bisognerebbe pensare meno al botteghino e più alla qualità, anche perché il botteghino dà una visibilità molto più ampia rispetto al teatro. Sarebbe tutto molto più bello se ci fossero grandi possibilità da parte di registi talentuosi: noi attori potremmo metterci in discussione, veramente a tutto tondo. D . – Prima le ho chiesto un ricordo di Mario Scaccia, ma c'è da dire che di recente grandi maestri sono scomparsi come Luca Ronconi, Francesco Rosi e Virna Lisi, ad esempio. R . – E sì, purtroppo la vita è un giro di boa. Tutti vorremmo
che l'artista fosse immortale, ma accade anche questo e non possiamo sottrarci ad una simile sorte. L'unica cosa è che maestri così grandi ci hanno lasciato in eredità personaggi e lavori indimenticabili, per cui la nostra fortuna è quella di poterne fruire per sempre. Come se fossero nei nostri cuori in maniera eterna e senza confini spazio-temporali. D . – Da quanto ha detto finora, si sente pienamente soddisfatta della maniera in cui stanno andando le cose: non è vero? R . – Assolutamente: per me se tutto proseguisse in questo modo, sarebbe bellissimo. Mi andrebbe benissimo e non potrei chiedere altro. D . – E noi glielo auguriamo: siamo, purtroppo, arrivati alla fine della nostra chiacchierata. S'immagini, metaforicamente, allo specchio: in che modo si rifletterebbe a questo punto del suo percorso? R . – Questa è davvero una bella domanda! Diciamo che oggi come oggi verrebbe fuori l'immagine di una donna matura, sia da un punto di vista artistico che professionale, sempre con un guizzo infantile e innocente, assieme a tanta leggerezza, necessaria per sdrammatizzare. Di conseguenza, mi rifletto con tanta ironia: qualità che emerge dallo spettacolo in tournée, vero insegnamento per la vita futura. Gianluca Doronzo
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Enrico Nigiotti
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IN GARA FRA LE NUOVE PROPOSTE A SANREMO 2015
L'ASCESA DI UNA PROMESSA DELLA MUSICA
Ha conquistato la semifinale fra le «Nuove Proposte» al «Festival di Sanremo 2015» e il suo «Qualcosa da decidere» è uno dei pezzi più trasmessi dalle radio: Enrico Nigiotti e il suo «amore per la musica», fra sogni, semplicità e l'apertura del tour di Gianna Nannini nei prossimi mesi
«Sono stato fermo per un po' e la vita mi sta dando una seconda possibilità: voglio assaporare ogni attimo di questo periodo, senza avere fretta di arrivare a grandi mete»
“Sono stato fermo per un po' e la vita mi sta dando una seconda possibilità: voglio assaporare ogni attimo di questo periodo, senza avere fretta di arrivare a grandi mete”. Enrico Nigiotti è una delle giovani promesse cantautoriali “made in talento” e la 65esima edizione del “Festival di Sanremo” ne ha messo in luce le potenzialità, annoverandolo fra le “Nuove Proposte” (fino a conquistare la semifinale) col brano “Qualcosa da decidere” (dall'omonimo album, pubblicato nelle scorse settimane). Prodotto da Brando, fa della semplicità la sua caratteristica principale, “amando follemente il suo lavoro”, a cui dedica “anima e cuore”, curando i testi nei minimi dettagli. Al telefono non riesce a nascondere le emozioni, che precedono l'imminente apertura del tour di Gianna Nannini (“un'artista dalla quale potrò imparare molto”), per ben 10 tappe complessive. Per la serie: comunque vada, sarà un successo. Domanda – Enrico, quali emozioni ha vissuto al 65esimo “Festival di Sanremo” e che bilancio sentirebbe di fare? Risposta – Si è, onestamente, trattato di un'esperienza veramente bella, nella quale mi sono sentito circondato dall'affetto di tanti, con cui ho legato molto: dalle meravigliose persone che hanno curato il mio ufficio stampa fino allo stilista, al mio produttore Brando e a Nesli, per farle un esempio. È stata come una gita di scuola: ovviamente il clima familiare ha stemperato la tensione della gara. Ho trovato, fra l'altro, molto piacevole fare tutte le interviste in giro per la città e, indiscutibilmente, la performance “live” in prima serata è stato il momento che non scorderò mai, in un mix di adrenalina e paura. Fotogrammi che rimarranno per sempre nel mio cuore. D . – Cosa si aspettava sarebbe potuto accadere? R . – Al di là delle classifiche, sono arrivato alla finale del venerdì e questo è stato un bellissimo risultato per quel che mi riguarda. La sfida fra me e Caccamo ha raggiunto lo share più alto della quarta serata: a me, inizialmente, interessava riuscire ad arrivare alla seconda esibizione e così, per fortuna, è stato. Va da sé che se ci fosse stato il podio, sarei stato ancora più felice. Ho un disco, uscito da qualche settimana, che sta piacendo molto alla gente e poi aprirò il tour di Gianna Nannini a breve. Io, mi creda, non ho fretta di arrivare a grandi mete. So cosa significhi amare il proprio lavoro, essendo anche stato fermo per un po', per cui voglio assaporare ogni attimo, giorno dopo giorno. D . – A che punto, Enrico, sente di essere? R . – Ho maturato la convinzione che tutto quello che viene si debba prendere nel migliore dei modi, senza mai rinunciare a nulla. Quando ero più giovane, ho avuto l'occasione di partecipare ad “Amici” e non l'ho gestita nel migliore dei modi, vuoi per il mio carattere, vuoi per l'impulsività degli anni. Oggi ho Adele Di Palma come manager e la “Universal” come etichetta, che credono in me e nel mio potenziale, con un produttore come Brando. Non penso proprio che potrei chiedere di più. Sono estremamente felice di questa seconda possibilità che la vita mi sta dando. Mi sembra di aver fatto tutto in maniera dignitosa a “Sanremo”: adesso vedremo come proseguirà il mio percorso. D . – Dalle sue parole si percepisce serenità, caratteristica apparsa nell'ultima edizione del “Festival” in generale, in una vera e propria gara fra canzoni.
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R . – Ritengo che non potrebbe essere altrimenti: siamo stati fortunati ad esibirci in prima serata. Magari alcuni hanno avuto da ridire sulla formula da “ghigliottina”, dell'uno contro uno, ma proprio questo, a mio avviso, è stato l'elemento vincente, perché la gara è stata basata sulla suspense e sull'attesa. Di sicuro ci sono state tante differenze rispetto agli altri anni: l'attenzione mediatica sulla kermesse è stata molta e noi giovani siamo stati “coccolati” da Carlo Conti, avendo una fascia mai data prima alle “Nuove Proposte”. Ognuno di noi aveva il proprio progetto e ciascuno era diverso dall'altro. D . – La scelta, dunque, della diversità di ciascuno di voi è stata, molto probabilmente, l'arma vincente delle vostre performance all' “Ariston”. R . – Forse è stato proprio così e ognuno ha dato il meglio nel singolo ambito, maturando la possibilità di offrire al pubblico l'unicità dell'universo che ci appartiene. Ho partecipato, dopo il “Festival”, ad importanti manifestazioni e a maggio sarò in tour con Gianna Nannini, un'icona del rock italiano. Va bene così al momento e non mi sento di aggiungere altro. D . – Continuando il viaggio nella nostra chiacchierata, arriviamo a definire un po' l'album “Qualcosa da decidere”. R . – I pezzi contenuti nel disco li ho scritti durante questo periodo di fermo, con attenzione maggiore a tutti gli aspetti e ai dettagli, dalle parole alla composizione, perseguendo la qualità e con una forza più matura. “Scrivere con la fame” è
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diverso dallo “scrivere per contratto”: ho avuto i tempi giusti di ispirazione e mi sono messo in discussione con tutto me stesso. C'ho messo tutta l'attenzione di questo mondo, centellinando ogni verso dei brani, studiandolo proprio col “labor limae”, dando il meglio. D . – Siamo in un momento nel quale il termine “talento” è abusato e inflazionato nella lingua italiana, anche e soprattutto a causa della declinazione mediatica. Averne cosa vuol dire, dal suo punto di vista? R . – Io credo che chiunque abbia scritto qualcosa di intelligente e profondo nella vita ne abbia, così come il fabbro o l'ingegnere in merito alle proprie competenze. Il “talento” è fare una cosa bene, non meglio degli altri, bensì in maniera naturale. La bravura può essere tecnica: io credo che si nasca con la predisposizione a fare qualcosa. Averne significa essere se stessi con agio e normalità. Se lo hai parti avvantaggiato, ma va alimentato, fatto crescere e costruito con abnegazione, sacrificio e tanto amore. Da solo non basta e, soprattutto, non porta da nessuna parte. D . – Come vorrebbe potesse proseguire, alla luce di queste coordinate, il suo percorso? R . – Io vorrei semplicemente riuscire a fare questo lavoro, ricevendo delle soddisfazioni, come qualsiasi altro giovane in una determinata carriera. Vorrei crescere di livello e avere le mie soddisfazioni. La gente, in generale, pensa che il nostro
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possa essere un lavoro facile e divertente, ma spesso dimentica che è il nostro pane quotidiano, il mestiere che ci consente di andare avanti, non qualcosa di fumoso e campato in aria. Per questo ci vogliono sia i traguardi in senso economico che in merito al pubblico. Durante la settimana del “Festival” eravamo nelle postazioni, ad esempio, di “Radio Italia”: tanti ragazzi già cantavano il ritornello della mia canzone. Questa per me è stata un'emozione incredibile. Io suonavo e loro mi accompagnavano. Il nostro è un lavoro di immense gratificazioni, dal locale al Palazzetto dello Sport, in maniera incondizionata. Onestamente non mi sembra di poter avanzare altre richieste in questo periodo, soprattutto con le 10 date che farò con Gianna Nannini in tutt'Italia: si tratterà di un'esperienza fondamentale, durante la quale avrò modo di
guardare le prove e vedere in che modo si muove come artista, essendo un autentico animale da palcoscenico. Potrò capire e, in senso buono, “rubare” molto dal suo mestiere e dalla sua preparazione. Tutto questo spero mi porti ad un'estate ricca di date, con tanti “live” e continue emozioni. Io voglio suonare, suonare e suonare, ricominciando a fare tutto, scalino dopo scalino. Ho, per così dire, bisogno di fare tirocinio e “Sanremo” è solo stato l'inizio, un trampolino di lancio per rimettermi in discussione. Caro Gianluca, vorrei che questo disco arrivi direttamente alle persone, senza esitazione di sorta. Passo dopo passo voglio fare musica: ci riuscirò con tutto me stesso. Anima e cuore. E il futuro diventerà ricco di suoni, colori e tante belle sorprese. Gianluca Doronzo
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Serena Brancale
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Serena Brancale, 25 anni, originaria di Bari, ha calcato con personalità («senza snaturarmi») il palco dell'«Ariston», interpretando «Galleggiare» (dall'omonimo album, con atmosfere pittoriche), in occasione della 65esima edizione della kermesse festivaliera fra le «Nuove Proposte» (e chissà che non torni il prossimo anno)
«Sono stata a Sanremo con un pezzo perfettamente nelle mie corde, in un mix di intimismo e jazz: ho ricevuto i complimenti di grandi nomi della musica italiana e questa è una vera vittoria»
Sul palco dell' “Ariston” ha portato se stessa, senza snaturarsi. Il suo universo “jazz ed intimo” ha ricevuto “un applauso molto forte in platea”, riscuotendo anche attestazioni da parte di Tosca, Rossana Casale e Mario Biondi, fra gli altri. Serena Brancale (25 anni, barese ad hoc), al di là di come siano andate le classifiche fra le “Nuove Proposte” al 65esimo “Festival di Sanremo”, può ritenersi più che soddisfatta del brano “Galleggiare” (dall'omonimo album, in promozione in queste settimane, prodotto da Michele Torpedine, lo stesso del trio Il Volo). Impegnata in diversi “live” nel Belpaese, si è lasciata andare in una chiacchierata “molto rilassante” (a suo dire), spaziando dalla classe e professionalità di Carlo Conti (“si è davvero preso cura di noi”) al “sentire” il suo percorso quasi con la metafora del “puntinismo”, rivelando quanto importante sia la pittura nei brani. A voi il racconto della sua interiorità. Signori, sipario! Domanda – Serena, un bilancio dell'esperienza sanremese vissuta fra le “Nuove Proposte” col brano “Galleggiare”? Quali aspettative aveva? Risposta – A dire la verità mi aspettavo quello che realmente è successo: sono contenta di come sia andata e, onestamente, non immaginavo di poter vincere. Sapevo perfettamente che con “Galleggiare” avrei toccato una fetta di pubblico molto particolare, con armonie jazz, non propriamente sanremesi. Ero, tuttavia, contenta di esserci con un brano mio, non snaturata: molti ancora oggi mi fermano per strada, dicendosi anche un po' dispiaciuti per come sia andata. Ma io sono abbastanza cosciente che il mio fosse un pezzo intimo e particolare, perfetto per rappresentare il mio universo. La mia forza è nell'aver presentato Serena Brancale, con la sua musica: a me piacciono il pop, il soul, il blues, la ballad come forma di canzone. Sono contenta di tutto quello che mi sta arrivando, fra congratulazioni e messaggi, da parte di esponenti del calibro di Tosca, Rossana Casale, Il Volo e Mario Biondi, far gli altri. Per me queste attestazioni costituiscono la vera vittoria: non le nascondo che oggi non mi precludo nulla, anche la possibilità di tornare sul palco dell' “Ariston”, avendo avvertito applausi molto forti. Nel momento in cui Giovanni Caccamo ha passato il turno fra i miei colleghi, ho capito che avrebbe potuto farcela, anche perché alle spalle ha un entourage molto forte come quello di Caterina Caselli. Il bello è che nei tre minuti in cui ci siamo esibiti, ognuno ha portato sul palco il proprio brano, inserito in un cd e in un preciso progetto discografico. Io, caro Gianluca, sto raccogliendo i frutti di quei tre minuti in diretta su Raiuno e ne sono pienamente entusiasta. D . – Come ha trovato la conduzione di Carlo Conti? R . – Brillante, direi davvero brillante e con ritmo. Tra le altre cose, è stato molto carino con noi giovani: ci ha scelto con cura, è stato professionale, ci ha seguito passo dopo passo. È una bella persona e si è molto preoccupato di ciascuno, rendendoci davvero importanti e valorizzandoci. Il che non è un dato da sottovalutare. D . – In gara fra le “Nuove Proposte” siete stati in otto, ciascuno davvero diverso dall'altro. R . – Esatto. Siamo tutti abbastanza diversi e questa cosa, secondo me, non ci ha messo in competizione, ma ci ha consentito di essere valorizzati singolarmente. Io ho ritrovato in Chanty un soul americano, in Amara la vena di Mia Martini,
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in Giovanni Caccamo il cantautorato di Battiato, in Kaligola la freschezza della gioventù del rap e via dicendo. Ognuno era un dipinto a sé, ricco di emozioni e sfumature, in grado di comunicare al pubblico la propria cifra. D . – Bene, Serena: archiviata l'esperienza sanremese, adesso è in promozione con l'omonimo album “Galleggiare”. In che modo definirlo? R . – Un “melting pot” di tutta la musica ascoltata finora e interiorizzata. È un cd che spazia dagli archi all'elettronica: 8 tracce più la versione di “Galleggiare” di “Sanremo”. Credo che la forza di un disco sia nella sua brevità, raccontandosi in maniera incisiva ed efficace. C'è, per così dire, il racconto dei miei 25 anni e si ricorda anche molto la mia terra, la mia amata Puglia: ad esempio, in un brano come “Grano e vento” c'è un po' un'atmosfera da dipinto, fra ampi spazi di terra, donne e bambini. C'è poi anche il mio amore per i fumetti e un testo come “Frida”, ampiamente dedicato alla Kahlo. E poi ci si sublima nella dimensione di “Galleggiare”, dove il mio universo jazz ha massima espressione. D . – Il “Festival di Sanremo” era nei suoi sogni? R . – Da un po' di anni ci pensavo: lo scorso anno c'ho provato e ci credevo, ma non sono stata scelta. In questa edizione mi sono ripresentata, senza investirci più di tanto in aspettative e, paradossalmente, sono stata selezionata. La vita è proprio imprevedibile.
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D . – Infatti: così come imprevedibile è stato l'incontro col suo produttore, Michele Torpedine, lo stesso de Il Volo. R . – Michele ha scoperto Giorgia, ha collaborato con Pino Daniele e, giustamente come ha detto lei, è colui che ha portato alla ribalta Il Volo. Davvero una persona straordinaria, verso la quale ho grande fiducia. D . – Contenta per la vittoria del trio Il Volo? R . – Sì, molto: hanno pienamente meritato il podio e sono dei ragazzi straordinari, in grado di portare in alto il nome dell'Italia nel mondo. D . – Se, in qualche modo, si dovesse fotografare oggi, quale metafora sceglierebbe in merito al suo percorso? R . – Essendo la pittura uno spunto molto vivo nel mio cd, direi che mi verrebbe in mente la metafora del puntinismo: è come se avessi creato, puntino dopo puntino, tutto quello che sono oggi. Io ho fatto teatro, sono stata violinista e molto altro. A 25 anni posso dire di essere nel mezzo del mio percorso, con tanta voglia di fare e di dimostrare che Serena esiste. D . – Serena, lei ha indiscutibilmente “talento”, un termine oggi un po' abusato e inflazionato, a causa soprattutto della declinazione mediatica. Dal suo punto di vista, cosa vuol dire averne? R . – Grazie, innanzitutto, per la sua considerazione. Purtroppo il “talento” non è tutto nella vita. Ci sono tanti ragazzi in cerca di fortuna, veramente meritevoli. Io tre anni fa
IN GARA FRA LE NUOVE PROPOSTE A SANREMO 2015
L'ASCESA DI UNA PROMESSA DELLA MUSICA
ho incontrato Michele Torpedine, che ha deciso di credere in me: da allora il mio percorso è cambiato. Il tutto è successo perché ho cantato in una villa e sono stata notata in quell'occasione. Con questo dico che avere grandi potenzialità non è condizione necessaria e sufficiente nella vita: ci vuole l'incontro giusto, al momento opportuno con, soprattutto, la motivazione giusta. D . – Come vorrebbe potesse proseguire il suo percorso? R . – Spero di non perdere mai la voglia di scrivere: a settembre dovrebbe uscire il mio nuovo disco ed ora sono alle prese con tanti “live” per la promozione di “Galleggiare”. Vorrei avere accanto coloro i quali hanno sempre creduto in me e mi piace pensare che fra 5 anni io continui a fare questo lavoro, sempre con le persone a cui tengo, di grande fiducia e spessore. E aggiungo che mi piace tanto anche la tv, che ho rivalutato dopo l'esperienza a “Sanremo”: la musica declinata sul piccolo schermo non è male. Chissà: vedremo, caro Gianluca, quello che accadrà fra 3-4 anni e poi ci ritroveremo per una chiacchierata. Vedremo. D . – Di sicuro, Serena, io sono sempre a disposizione degli artisti nei quali credo. “Che spettacolo” ha proprio questa finalità e non la perderà mai. Veniamo, dunque, alle battute finali: se si dovesse specchiare, oggi come si rifletterebbe? R . – Io sono molto contenta di quello che ho fatto finora: rifarei ogni minima esperienza. Violino, canto, grafica, Accademia delle Belle Arti, di tutto. Sono felice di me stessa e tutto quello che ho messo a punto, l'ho sudato ed è, soprattutto, arrivato studiando. Io, caro Gianluca, gioco con la musica e non mi prendo mai troppo sul serio: bisogna sempre stemperare nella vita, altrimenti è la fine. D . – Giusto, Serena. E proprio per stemperare, cito in ballo Longanesi, secondo il quale “un'intervista è un articolo rubato”: cosa le è stato sottratto durante la nostra chiacchierata? R . – Non sono d'accordo con Longanesi: l'intervista è sempre un modo per farsi ascoltare e, soprattutto, conoscere. Sono profondamente convinta della bellezza della sua intervista, intimista e sincera: la devo ringraziare, perché l'ho trovata particolarmente rilassante e sono stata bene, a mio agio. Io poi sono una logorroica, per cui è andata bene così (e una risata arriva ad epilogo, ndr). Gianluca Doronzo
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I LIBRI DEL MOMENTO
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