Che Spettacolo 2014 - Numero 04 - Aprile

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Anno II - Numero 4 - Aprile 2014

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Periodico di Musica, TV, Cinema, Teatro e Arte

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il magazine che non t'aspetti (tutti i colori dell'intrattenimento)

«Credo in una tv di servizio, utile a formare le singole coscienze» Con sensibilità e pathos l'attrice Barbara De Rossi, da sempre al fianco delle donne, conduce per il secondo anno consecutivo «Amore criminale» (Raitre, ogni venerdì, ore 21.05, con oltre 1milione500mila spettatori in media), fra casi di «femminicidio» e stalking, avversando «l'indifferenza quotidiana»

LE SIGNORE DELLA TV

Patrizia Rossetti Arianna Ciampoli I BELLI DELLA FICTION

MUSICA

TEATRO

Michele Venitucci Flavio Parenti

Perturbazione Sal Da Vinci

Paolo Ruffini Manuel Frattini


Anno II - Numero 4 - Aprile 2014 FONDATORE, DIRETTORE EDITORIALE E RESPONSABILE Gianluca Doronzo GRAFICA E IMPAGINAZIONE Benny Maffei - Emmebi - Bari HANNO COLLABORATO Consuelo De Andreis, Stefania Sciamanna, Manuela Longhi, Alessia Magnano, Francesco Cantalupo (per l'immagine di copertina e per gli interni delle foto di Barbara De Rossi), Ivana Calò, Paola Spinetti e Patrizia Biancamano. SI RINGRAZIANO Barbara De Rossi, Patrizia Rossetti, Arianna Ciampoli, Michele Venitucci, Flavio Parenti, Ottavia Piccolo, Francesca Valtorta, Perturbazione (nello specifico il leader Tommaso Cerasuolo), Sal Da Vinci, Paolo Ruffini, Manuel Frattini, Beatrice Baldaccini e Roberta Miolla per le interviste concesse; gli uffici stampa della Rai per i contatti e le foto inviate; Gianmarco Chieregato per alcuni scatti di Patrizia Rossetti; Roberto Guberti per i posati di Arianna Ciampoli; Alessandro Pinna e NepPhoto/Laila Pozzo per le immagini del musical “Cercasi Cenerentola”. INDIRIZZO REDAZIONE Via Monfalcone, 24 – Bari gianlucadoronzo@libero.it tel. 347/4072524 FACEBOOK E la notte un sogno Autorizzazione del Tribunale di Bari n. 16 del 26/09/2013

Un omaggio alla donna. Con Barbara De Rossi in copertina, conduttrice del programma “Amore criminale” (Raitre, ogni venerdì, ore 21.05), ho deciso di af frontare un tema di scottante attualità, sensibilizzando i lettori su quanto sta accadendo da troppo tempo ormai. Sto parlando di “femminicidio” e stalking, termini diventati di uso (e abuso) quotidiano, in ogni telegiornale che si rispetti. Traendo spunto dalle dichiarazioni del mio personaggio in primo piano (“bisogna denunciare le violenze e le istituzioni devono tutelare, non abbandonando l'universo femminile”), in maniera molto naturale ho portato gran parte degli intervistati di questo numero (il settimo) a riflettere sulla “mancanza di rispetto” ormai dilagante nei rapporti interpersonali, andando al di là dell'artista, facendo emergere (come piace a me) “la persona”. E così scoprirete una Patrizia Rossetti “in un fiume in piena” (da ben 33 anni protagonista del piccolo schermo, oggi ingiustamente assente dai palinsesti), seguita da un'Arianna Ciampoli molto “profonda” nel suo sentirsi “equilibrista e picassiana” (ogni venerdì alle 21.20 su Tv2000 alle prese con “La canzone di noi”, una sorta di “talent” con 24 cori in gara). Ma siamo solo all'inizio: Ottavia Piccolo (in una rentrée in video, dopo anni d'assenza) e Francesca Valtorta dalla loro fiction “Una buona stagione” (Raiuno, ogni martedì, ore 21.15, per la regia di Gianni Lepre) ampliano il campo d'esistenza della discussione alla “famiglia”; Beatrice Baldaccini e Roberta Miolla, interpreti del musical “Cercasi Cenerentola”, prodotto dalla “Compagnia della Rancia” (a firma di Saverio Marconi) raccontano il “sangue, sudore e lacrime” per arrivare al successo, suggerendo ai giovani di “non mollare mai”. E l'universo maschile non delude le aspettative, con i nomi clou della tv, del teatro e della musica. Il sipario si alza con “i belli della fiction”: sto parlando di Michele Venitucci (un pugliese ad hoc, al quale sento di aver portato fortuna, visto che l'ho ritrovato per una chiacchierata “a dieci anni dall'ultima volta”) e Flavio Parenti (reduce dal successo di “Un matrimonio” di Pupi Avati), acclamati da quasi 6milioni di spettatori in media nella nona edizione di “Un medico in famiglia” (Raiuno, ogni domenica, ore 21.30). Ragazzi introspettivi, sinceri e molto semplici. Sul versante musicale troverete i Perturbazione (con il leader Tommaso Cerasuolo), gruppo in ascesa dall'ultimo “Festival di Sanremo” con “L'unica” e Sal Da Vinci, in una rentrée nel mercato discografico, a due anni dall'ultimo album, con un intenso “Se amore è” (dalle sue parole evincerete quanta umanità e delicatezza siano in un cantautore d'altri tempi, davvero “fuori dal coro”). Dulcis in fundo, due “pezzi da 90” del teatro: Paolo Ruffini (attualmente anche su Italia Uno, dal lunedì al venerdì, alle 15.25 in “Vecchi bastardi”) e Manuel Frattini, numero uno del musical italiano, per ben tre volte “Premio alla carriera”. Entrambi “in un momento magico” del loro percorso, fanno il punto della situazione su cosa significhi il mondo dello spettacolo odierno, con la necessità di “fare scrematura sulla qualità”. E poi un articolo in esclusiva sulle “grandi manovre” che si stanno mettendo a punto in queste settimane, per delineare gli show della prossima stagione, con i volti più popolari (volete sapere chi sarà alla “guida” di “Domenica in” o chi salirà sul palco dell' “Ariston” il prossimo anno? La risposta all'interno, cari amici). Tanto, davvero c'è tanto da leggere in ben 64 pagine a colori (con la complicità della grafica di Benny Maffei), messe a punto con onestà, immediatezza e rispetto dell'interlocutore. Ecco che torna prepotentemente il termine “rispetto”: quello che manca nei confronti delle donne, se ancora oggi dobbiamo assistere a violenze gratuite, casi di maltrattamento e abusi sessuali da parte di una certa schiera di uomini, per nulla rappresentativa (per fortuna) di un genere che sa, in antitesi, dare tanto con cuore, passione e altruismo. Trovo sia veramente bello che una “rivista” (termine con cui tutti voi avete definito il mio e vostro giornale) possa offrire uno spunto “fotografico” sul periodo che stiamo vivendo, proprio partendo dal mondo dello spettacolo, apparentemente (secondo il luogo comune) distante dalla realtà, ma vi assicuro molto, ma molto vicino alla gente e alle problematiche che viviamo. Ed io, contro tutto e tutti, senza “padroni e padrini”, cerco di mantenere fede al mio volutamente essere “fuori dal coro”, evitando gossip, chiacchiericcio e voyeurismo, dando “microfono” all'anima. Impariamo ad ascoltarci. Un po' tutti. “Che spettacolo” avervi accanto. Vi voglio bene. Gianluca Doronzo


Sommario IL PERSONAGGIO IN COPERTINA Barbara De Rossi «Bisogna rispettare e ascoltare l'universo femminile: le donne che subiscono violenza devono denunciare, con conseguente tutela delle istituzioni» 2

LA TV CHE VEDREMO Grandi manovre per la prossima stagione tv: la Perego a «Domenica in», la Carrà su Raiuno e Bonolis a «Sanremo»?

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LA SIGNORA DELLA CONDUZIONE Patrizia Rossetti Educazione, professionalità e simpatia: le armi vincenti di Patrizia, «amichevolmente» protagonista di memorabili stagioni televisive, «all'insegna del rispetto del pubblico»

MUSICA - IL GRUPPO IN ASCESA Perturbazione «Abbiamo iniziato negli Anni '90 facendo una lunga gavetta: oggi raccogliamo i frutti delle nostre fatiche, con una popolarità inaspettata»

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MUSICA - IL RITORNO Sal Da Vinci «Ho fatto concerti sold out a New York, Parigi e Roma, ma sento di essere sempre all'inizio del mio percorso»

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MUSICAL - L'INCONTRO Paolo Ruffini «È bello sognare e noi portiamo in scena una favola moderna, cercando di far evadere il pubblico dalla solita routine»

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MUSICAL - L'INCONTRO Manuel Frattini «Il teatro mi ha dato tanto: sogno un sano ritorno del varietà in tv e una commedia musicale al cinema»

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LA BELLA DELLA CONDUZIONE Arianna Ciampoli «Un po' equilibrista, un po' picassiana, un po' in cerca di un centro di gravità permanente: eccomi oggi metaforicamente allo specchio» IL BELLO DELLA FICTION Michele Venitucci Determinato, passionale e sincero: ecco «la grande bellezza» di Michele Venitucci, in ascesa sul piccolo schermo, con estrema «nobiltà d'animo»

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IL BELLO DELLA FICTION Flavio Parenti «La fiction italiana dovrebbe essere sempre più attenta ai giovani, raccontandone quotidianità e sfera emozionale»

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FICTION - LA SIGNORA DELLA SCENA Ottavia Piccolo «Negli ultimi anni sono stata tanto in tournée, ma finalmente ho trovato l'occasione felice per tornare in tv»

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MUSICAL - LA GIOVANE PROMESSA Beatrice Baldaccini «Mi sento molto fortunata: avere talento significa non solo saper fare bene qualcosa, ma anche essere disposti a tanti sacrifici»

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DANZA Roberta Miolla «Ho iniziato con la danza, ma pian piano il musical è diventato il mio genere preferito nel mondo dello spettacolo»

FICTION - IL TALENTO IN ASCESA Francesca Valtorta «Intrighi, suspense e una bella storia: gli ingredienti per il successo di una buona fiction italiana»


Barbara De Rossi


IL PERSONAGGIO IN COPERTINA

Barbara De Rossi anima con profondo trasporto e sentimento il programma «Amore criminale» (Raitre, ogni venerdì, ore 21.05, con oltre 1milione500mila spettatori in media), sperando «che le leggi migliorino e garantiscano la certezza della pena»

«Bisogna rispettare e ascoltare l'universo femminile: le donne che subiscono violenza devono denunciare, con conseguente tutela delle istituzioni»

“Le donne che subiscono violenza devono denunciare, non vergognandosi come se vivessero una colpa: ci deve, di conseguenza, essere la certezza della pena per chi fa gratuitamente del male”. Determinazione, sensibilità e trasporto: chiare e precise linee guida animano i principi di Barbara De Rossi, da sempre al fianco dell'universo femminile, protagonista in queste settimane del programma “Amore criminale” (Raitre, ogni venerdì, ore 21.05, oltre 1milione500mila spettatori in media, col 7% di share circa), condotto con linearità e coinvolgimento per il secondo anno consecutivo. Spaziando dai casi (“bisognerebbe potenziare l'educazione al rispetto per il prossimo, ad iniziare da scuola e famiglia”) di “femminicidio” allo stalking (“a mio avviso una limitazione della libertà personale”), motivando la formazione delle “singole coscienze con una tv di servizio”, la chiacchierata fa il punto della situazione su quanto di “agghiacciante” è sotto gli occhi di tutti ormai da troppo tempo, a causa di “un'indifferenza, spesso istituzionale”. Con la speranza che “le leggi tutelino chi è vittima di maltrattamenti, non facendo in modo che tutto resti inascoltato e isolato”. Domanda – Barbara, è un piacere ritrovarla per una chiacchierata: stavolta, però, non si tratta della promozione di una fiction (come accaduto nei nostri precedenti incontri), bensì di una tematica molto delicata, riguardante l'universo femminile, messa a punto in “Amore criminale” (Raitre, ogni venerdì, ore 21.05, oltre 1milione500mila spettatori in media, col 7% di share circa), programma da lei condotto con sensibilità, trasporto e pathos. Risposta – La ringrazio e le confesso che è anche un piacere per me parlare nuovamente con lei. Ammetto di essere molto legata all'avventura che sto vivendo in “Amore criminale”, da me condotto per il secondo anno consecutivo. Programmi del genere hanno una profonda utilità sociale, dal momento che si parla di gente vera, di storie di tutti i giorni, formulando delle ricostruzioni filmate puntuali e verosimili, nel rispetto dei fatti accaduti. Non posso che esserne coinvolta in merito alla sfera emozionale. Sono entusiasta di essere al fianco delle donne in un contesto del genere. D . – All'interno del suo percorso, dunque, cosa rappresenta un'esperienza simile? Un'ulteriore occasione di arricchimento umano? R . – Gli argomenti affrontati in “Amore criminale” non si lasciano in studio, durante le registrazioni o a puntata conclusa. Si portano a casa e si sedimentano nel cuore, motivando la riflessione. Do tutta me stessa in quello che racconto e, soprattutto, avverso la concezione sbagliata spesso e volentieri intrisa nei casi affrontati. È come se, a volte, quello che accade fosse colpa delle donne, la vera parte lesa in questione. Non le nascondo che una trasmissione simile non può fare a meno di lasciarmi un profondo senso di impotenza, alla luce della fine che ingiustamente fanno troppe donne dinanzi alle violenze maschili. In merito alle leggi credo ci sia ancora molto da fare: si ha bisogno di procedere nella direzione più giusta, salvaguardando la persona. Ci sono

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centri che necessitano fondi per difendere chi ha subito violenze, garantendo una sorta di “rifugio” rispetto a quanto ingiustamente si prova sulla propria pelle. I piccoli passi di aggiustamento sulla legge dello stalking, onestamente, non proteggono le donne: quelle che io incontro in studio, sviscerandone le vicende, non si sentono tutelate dopo le denunce e, nella maggior parte dei casi, hanno paura di fare una brutta fine, sapendo che l'uomo che le perseguita è ancora a piede libero. Bisogna comunque lanciare il messaggio secondo cui è necessario sempre denunciare. Vanno, ad esempio, inasprite le pene verso i colpevoli, non fermandosi ai domiciliari. Io considero lo stalking come una limitazione della libertà personale: di fatto ritengo si debba fare qualcosa di importante per difendere chi ha bisogno, spesso lasciato solo a se stesso con indifferenza, soprattutto a livello istituzionale. D . – Come spiega l'aumento esponenziale di casi relativi al fenomeno del “femminicidio”? R . – Lo spiego in relazione al fatto che c'è una bassa considerazione della donna da parte di alcuni (per fortuna, non tutti) uomini. Si tratta di persone che ne hanno una pessima concezione, orribile. Io ho trattato casi di maltrattamenti psicologici, dai quali le donne vengono fuori distrutte e devastate, con una inesistente considerazione di se stesse. Caro mio, manca l'educazione al rispetto degli altri, che si dovrebbe potenziare come concetto, a partire dalla famiglia e nelle scuole. Non è una questione trascendente, ma si tratta di un principio legato al saper vivere. D . – Potenziare, dunque, l'accezione del rispetto nei confronti del prossimo potrebbe essere una delle maniere per far fronte alle violenze e ai soprusi. R . – Assolutamente sì. Quante ne sentiamo ogni giorno! Penso, ad esempio, alle questioni relative al bullismo fra i giovani, di cui è pieno il web: Internet e i social sono utili, ma anche terribili allo stesso tempo, se usati in maniera deleteria e nociva. Spesso circolano in rete video di una violenza paurosa. Si respira troppa aggressività fra le nuove generazioni, un profondo desiderio di prepotenza e derisione, magari nei confronti di chi è più delicato, fragile e debole. Stiamo perdendo di vista i valori e si è smarrita la comunicazione, nella sua accezione più profonda e pura. Ho una figlia che sta venendo fuori dalla fase adolescenziale e, sebbene io parli molto con lei, ho paura per quello che le può accadere. C'è un diffuso senso di “terrorismo” mediatico e interpersonale. Dobbiamo tutti quanti fare qualcosa, perché cambi il cattivo andazzo di eventi. D . – “Amore criminale” si pone come uno di quei programmi di servizio della Rai, no? R . – La Rai ha il dovere e il piacere di fare trasmissioni del genere, informando e divulgando. Nello specifico poi credo che Raitre sia molto attenta e sensibile alle tematiche relative al sociale. Una volta si faceva “Il maestro Manzi” per diffondere il pedagogico, supportando l'alfabetizzazione. Oggi bisogna potenziare l'informazione su quello che accade, senza ignorare alcun aspetto della nostra vita quotidiana,

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fondamentale per la formazione delle singole coscienze. D . – E, se vogliamo, c'è molto coraggio nell'affrontare tematiche come quelle legate al “femminicidio” in prima serata. R . – Anche in questo caso possiamo dibattere: si è polemizzato, talvolta, sulle ricostruzioni cruente di alcuni filmati trasmessi in “Amore criminale” in prime time. Io penso che certe cose non si possano tacere e vadano viste, anche e soprattutto da un pubblico di massimo ascolto, come quello delle 21. Non si deve evitare, bensì capire. Anche perché poi, diciamocelo chiaramente, in giro si assiste a cose atroci: c'è di tutto. I ragazzi subiscono le cose peggiori facendo zapping: non capisco cosa ci sia di assurdo se si informano su quello che non va nella società e su come diventare persone migliori, assistendo agli errori altrui. “Amore criminale” è un programma utilissimo. D . – Avrebbe mai pensato alla conduzione nel suo percorso?

R . – No. Diciamo che il mio ruolo in “Amore criminale” è molto particolare: nel senso che io sono un'attrice che racconta, introduce i filmati e fa un po' da filo conduttore, fino all'intervento dell'ospite in studio, con cui interagire rispetto a quanto visto. Credo si tratti di una delle pochissime conduzioni che non abbia bisogno di un volto televisivo vero e proprio, esperto di programmi popolari. Si entra in punta di piedi nelle storie, con molto tatto, senza pigiare alcun tasto in particolare o accelerare i tempi. Con grande semplicità anche un'attrice come me può essere ritenuta la persona giusta per una trasmissione del genere. D . – Sul piccolo schermo, di conseguenza, bisognerebbe moltiplicare i contesti incentrati sul sociale. R . – Sono tanti gli argomenti dei quali si potrebbe parlare: ad esempio, si potrebbe affrontare il tema del lavoro, attuale quanto mai. I social, per dirle, li uso proprio in questa direzione:

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ho una pagina Facebook, che curo personalmente. Non ha idea quante richieste d'aiuto mi stiano arrivando in questo periodo, da parte di persone che hanno bisogno di lavorare. Io metto in bacheca i loro annunci e cerco di aiutare a diffondere quello che desiderano. Si potrebbe parlare di giovani, che rischiano di perdere di vista i loro obiettivi prioritari, annientandosi in inutili e forvianti strade: perché non creare un programma dove li si renda protagonisti, raccontandosi, cercando di farli crescere in un modo più sano? Non possono avere solo modelli velleitari, miti di bellezza e desiderio di facile successo. Così facendo non si fa altro che illuderli: nella vita sono ben più cospicui i principi solidi sui quali creare un sano percorso. D . – Fatto sta che continuano a dominare, televisivamente parlando, contesti da urla, gossip e voyeurismo. R . – Un peccato, Gianluca. Bisognerebbe mettere su trasmissioni per adolescenti, non facendoli stordire con modelli deleteri. Io credo nella potenza della parola: come le dicevo prima, ho un ottimo rapporto con mia figlia, alla quale cerco di essere il più vicina possibile. Questo si dovrebbe fare per migliorare la società: non abbandonare i ragazzi, ma motivarli a crescere e maturare, con consapevolezza e responsabilità. D . – Cambiamo argomento: in merito al suo percorso nella fiction, ci sono nuovi progetti in ballo? R . – Sto partecipando alla nuova serie de “L'onore e il rispetto” su Canale 5, interpretando un ruolo molto particolare: vesto i panni di una donna sordomuta, maltrattata. Sarò irriconoscibile. D . – Ecco che torna il suo impegno a favore delle donne violentate, nella fiction come nella vita: lei è uno dei pochi e rari esempi di coerenza sul piccolo schermo. R . – I suoi complimenti mi lusingano, ma io non faccio nulla di eccezionale: cerco solo di portare avanti la mia difesa nei confronti dell'universo femminile, credendo fortemente in quello che faccio. L'importante è che se ne parli e non cali il sipario: soltanto nel 2013 sono state migliaia le donne che hanno subito violenza. Bisogna bloccare qualsiasi rallentamento burocratico nei confronti del carnefice, quando ritenuto colpevole, velocizzando la condanna. Ci si deve muovere, non facendo sempre le stesse domande. Ciascuno di noi deve agire in prima linea, non abbassando mai la guardia. Io, per dirgliene una, istituirei delle task force speciali, che non solo darebbero lavoro a tante persone bisognose, ma alimenterebbero il senso di protezione di cui necessitiamo. C'è ancora troppa impotenza rispetto a quello che accade. Se si denuncia, c'è l'obbligo di essere protetti: non si deve rischiare la vita. Mai. D . – In conclusione, cosa si auspica per il futuro? R . – Io spero che con il Governo Renzi si riesca a portare avanti un discorso estremamente concreto, fondamentale per l'applicazione della legge, con giustizia della pena. Vorrei che le denunce di chi subisce violenza non rimanessero nel

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IL PERSONAGGIO IN COPERTINA

cassetto, in attesa della propria fine. Di recente ho intervistato una ragazza, vittima di maltrattamenti: a chi le ha fatto del male hanno dato 3 anni e mezzo di carcere. Aveva il timore della fine della condanna a distanza di un solo anno: guardandomi negli occhi mi ha espresso la sua paura nel non sapere cosa fare e, soprattutto, dove andare, come se fosse proiettata ad una fine certa. Che risposta diamo ad una donna del genere? Come la aiutiamo? Sa cosa le ho suggerito? Di andare al poligono e di prendere il porto d'armi. A questo dobbiamo arrivare? Se

quell'uomo tornerà a tormentarla, cosa potranno fare le istituzioni? Me lo domando io, se lo domanda lei, ce lo domandiamo tutti. E poi si va in cronaca, sul giornale e via dicendo. Io mi auguro ci si aiuti gli uni con gli altri, non vivendo mai con indifferenza, ma sollevando puntualmente le questioni delle quali parlare ogni giorno, facendo il possibile. Dobbiamo fare rumore. Vorrei si facesse ogni cosa utile, affinchÊ si potenzi il senso di giustizia e di sicurezza per ogni cittadino. Quello che sta accadendo è semplicemente agghiacciante. Gianluca Doronzo

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Patrizia Rossetti


LA SIGNORA DELLA CONDUZIONE

Ben 33 anni di carriera e tanti successi pomeridiani (e in prima serata) su Rete4: la Rossetti si racconta con «cuore, trasparenza e schiettezza» in un'intervista a tutto tondo, manifestando il desiderio di «tornare presto sul piccolo schermo»

Educazione, professionalità e simpatia: le armi vincenti di Patrizia, «amichevolmente» protagonista di memorabili stagioni televisive, «all'insegna del rispetto del pubblico»

Vivere con trasparenza, perseguendo “sincerità, schiettezza e tanto cuore”. Patrizia Rossetti è un fiume in piena al telefono: si racconta con emozione, immediatezza e onestà, avversando “filtri e sovrastrutture”. Da ben 33 anni protagonista del piccolo schermo, ha ottenuto tutti i successi che si possano sperare: ha condotto il “Festival di Sanremo” da giovanissima (nell'82); è stata antesignana dei talk “di mezzogiorno e pomeridiani” su Rete4; ha animato prime serate con un tono “familiare e amichevole”. E, come se non bastasse, ha fatto radio, teatro e cantato le sigle di numerose sue trasmissioni, incidendo anche tre album. Un sano e autentico esempio di professionalità, oggi purtroppo assente dai palinsesti (“bisognerebbe chiedere a chi ne è a capo quale sia la ragione”), in grado di dare ancora tanto, davvero tanto, soprattutto in termini di “educazione, disciplina e simpatia”. Che il 2014 sia l'anno buono per la sua rentrée? Direttori di rete, siete all'ascolto? Domanda – Patrizia, 33 anni di carriera fra conduzioni di programmi di successo, album pubblicati, teatro, radio e una popolarità all'apice nei '90, tanto da diventare il volto simbolo di Rete4. Non si è fatta proprio mancare niente: vero? Risposta – (Dopo una risata comune al telefono, ndr) Direi proprio di sì, caro Gianluca. Ho fatto davvero tanto nella mia carriera e, onestamente, credo di aver onorato proprio il termine “conduttore”, portando il pubblico a fruire gli argomenti più svariati nei miei salotti televisivi, ospitando nomi illustri dello spettacolo italiano (e non solo). Credo, in tutta onestà, di aver avuto la fortuna di fare programmi in un momento in cui eravamo solo tre le donne di punta del piccolo schermo, soprattutto nella fascia di mezzogiorno: io, Enrica Bonaccorti e Raffaella Carrà. Sono stata la pioniera di un genere che oggi è inflazionato in ogni palinsesto che si rispetti, ovviamente secondo una cifra “2014”. Nei miei contenitori facevo piccole incursioni nelle telenovele, chiacchierando fra una puntata e l'altra con più di tremila personaggi, spesso anche internazionali. Sono stata fra i primi a portare in tv gli attori di teatro, spesso restii alle telecamere, parlando dei loro spettacoli e delle tournée con cui erano in giro. Ho interagito con medici, specialisti e luminari, portando all'attenzione del pubblico argomenti relativi a patologie anche importanti. I miei talk erano diventati un appuntamento fisso, da aspettare giorno dopo giorno, parlando di tutto, con la possibilità anche di divertirsi. Giusto per dirgliene un'altra: sono stata la prima a discutere di animali e di adozioni di bambini a distanza. Credo che la gente ricordi tutto questo: ho puntualmente avuto rispetto per il pubblico, facendolo intervenire attivamente nelle mie dirette. Gianluca, negli Anni '90 ricevevo vagonate di lettere di ammiratori. Sapesse quanti mi scrivevano, dicendo che ero per loro fonte di compagnia dagli ospedali e nelle condizioni più disparate! Ho davvero fatto tanto. D . – Il rapporto col pubblico è fondamentale, rendendolo protagonista di ciò che si vede: il suo intuito l'ha fatta arrivare prima degli altri a capirlo, creando un rapporto diretto. R . – Lo ribadisco: il pubblico per me è sempre stato sacro. L'ho rispettato con tutto il mio cuore e non l'ho mai tradito. Sapesse

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LA SIGNORA DELLA CONDUZIONE

a quante persone ho dato sorrisi e compagnia! Mi sono occupata della violenza sulle donne, in tempi non sospetti, invitando a denunciare e, soprattutto, motivando le istituzioni a fare qualcosa. Pian piano sono diventata un punto di riferimento familiare, imparando a conoscere il mondo attraverso gli occhi di chi aveva da raccontare una storia, una vicenda, un piccolo problema da condividere. Ho percepito l'affetto, l'amore e la stima negli anni. D . – Domanda immancabile in questo periodo: siamo nel 60esimo anniversario della tv. Com'è cambiata in questo lasso di tempo? Cosa c'è che non va oggi? R . – Inevitabilmente in questi decenni ci sono stati molti cambiamenti, sotto gli occhi di tutti. Partiamo dal presupposto che non si può fare di tutta l'erba un fascio. L'ho detto proprio di recente dalla mia amica Antonella Clerici, in occasione di una puntata in diretta a “La prova del cuoco” su Raiuno: oggi mi sembra ci siano poca educazione sul piccolo schermo e una sorta di mancanza di rispetto del pubblico, tornando al mio concetto di prima. Si tende a fare un “blablabla” continuo. Ora, per carità: non è sbagliato fare programmi nuovi o reality della situazione, fermo restando che non ci sono più gli ascolti d'una volta, alla luce della estrema concorrenza e al moltiplicarsi delle emittenti, col digitale e la tv a pagamento. Il problema è che uno tira fuori uno show dal cassetto e lo spaccia per nuovo, quando non è propriamente così, quasi stesse facendo la scoperta dell'acqua calda: per dirgliene una, anch'io nelle mie trasmissioni mi ero occupata di cucina, sebbene poi quella che l'ha fatto magistralmente nella fascia giusta sia stata la mia cara amica Antonella Clerici, a sua volta copiata a bizzeffe da tutti, su ogni canale. Vanno di moda i talk? E vai, tutti a farli,

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alle emozioni a caldo della gente, sentitamente coinvolta in studio dalla notizia. Io credo che a nessuno interessi ciò che un conduttore possa pensare su una questione piuttosto che un'altra: non bisogna essere delle star, bensì è necessario portare i personaggi e la gente a decidere cosa è giusto o no. Oggi invece si tende a giudicare quello che accade, lasciando che il padrone di casa di un programma dica prima la sua e poi dia spazio agli ospiti. Non si fa così. D . – C'è una sorta di mancanza di umiltà. R . – Esatto, proprio vero: respiriamo una sorta di mancanza di umiltà rispetto a chi vediamo al timone di una trasmissione. Per fortuna, però, non è sempre così. Ad esempio, a me è capitato di seguire con affetto e costanza una trasmissione che mi è piaciuta molto di Carlo Conti: sto parlando di “Tale e quale show” su Raiuno. Un varietà pulito, ben fatto, senza ansia, ideato veramente bene, dove si riproponevano fondamentalmente i successi più illustri dei cantanti italiani e internazionali, imitandone movenze, vocalità e abiti. L'ho trovato eccezionale. Non vedevo l'ora di tornare a casa il venerdì sera, per sintonizzarmi su un simile programma, che è stato portato in Italia da un format straniero. Che poi, in fondo in fondo, anche noi donne dello spettacolo tanti anni fa avevamo fatto una cosa del genere, travestendoci da personaggi famosi, imitandone peculiarità, qualità canore e abiti. Solo che non riuscimmo ad essere seriali, ma andammo in onda per una sola puntata.

come se fossero innovativi: e si parlano addosso, uno sull'altro, senza mai farci capire niente. Io, sinceramente, credo che si debba cercare di dare un po' di leggerezza alle persone attraverso il piccolo schermo. Per le tragedie ci sono già i telegiornali, che ci demoralizzano ogni santo giorno con brutte notizie, crisi e omicidi. Gianluca, sa cosa le dico? Che ogni tanto da spettatrice io mi sento trattata da cretina e questo non va bene. Non bisogna prendere il pubblico in giro, quasi fosse stupido: la gente coglie ben “oltre le righe” di quello che fagocita. La malafede non va proprio bene ed io non la sopporto minimamente. D . – Giustissimo quello che dice, Patrizia: lo condivido pienamente. Spesso ci si sente presi in giro, dinanzi a quello che si vede. E poi, diciamocela tutta: c'è troppo protagonismo da parte di chi conduce, fra “mosse e mossette”, non rinunciando a mettersi in secondo piano rispetto a quello che si racconta. R . – Altro che: oggi parlano di cronaca e vai a costruirci puntate intere di programmi, fra primi piani di chi conduce, servizi truculenti e ospiti che fanno i processi mediatici. Anch'io mi sono occupata di attualità, nel mio piccolo, essendo andata in diretta nei miei show: non potrò mai dimenticare il giorno della morte di Borsellino. Demmo spazio ai fatti, sottraendoci al protagonismo delle telecamere. Dando, soprattutto, voce

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D . – Non è un caso che “Tale e quale show” abbia ottenuto più di sette milioni di spettatori, segno dell'affetto del pubblico. Ha detto una cosa saggia: “Non vedevo l'ora di tornare a casa per accendere la tv”. Il programma di Carlo Conti ha davvero motivato l'attesa del venerdì sera su Raiuno. R . – Sì, è stato davvero fatto bene e il pubblico l'ha capito, gradendolo fortemente. Ora, al di là di questo, non è che in giro negli ultimi tempi ci siano stati così tanti esempi di buon intrattenimento. Un po' perché mancano le idee, un po' perché ci si adagia sul solito e un po' perché mettono di mezzo sempre la solita crisi. D . – Lei è stata per anni il volto simbolo di Rete4: com'è cambiata oggi? R . – Non la riconosco più: non mi sembra ci sia moltissimo oggi nei palinsesti. Io sono del parere che si debba guardare il passato per capire il presente, cercando spiragli per il futuro. Bisognerebbe, a mio avviso, puntare sulle professionalità per rivitalizzare Rete4. La trovo spersonalizzata ed è assolutamente un'altra cosa rispetto a quando l'ho vissuta io intensamente. Tutto è molto cambiato e anche gli ascolti non sono più quelli di una volta: io ho fatto le mattine, i pomeriggi e programmi in prima serata di successo, connotandola davvero

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in una certa direzione. Oggi ci trovi “Tempesta d'amore” che è una soap non italiana, nella quale non sempre ci si ritrova come impostazione rispetto ai nostri prodotti; “Il segreto” che è un serial straniero, andato poi in prima serata su Canale 5. E poi? Cos'altro? Un peccato. Davvero un peccato. D . – E allora, a questo punto della nostra chiacchierata, mi domando: perché non si torna a chiamare Patrizia Rossetti, per risollevare le “magnifiche sorti e progressive” di Rete4? R . – (Dopo una risata, ndr) Eh, bisognerebbe chiederlo a chi dirige i palinsesti televisivi. Di certo non sono l'unica in questo preciso momento a non lavorare in tv, pur avendone fatta tanta. Penso a Corrado Tedeschi e Marco Columbro, ingiustamente assenti dai palinsesti, pur essendo dei grandi professionisti. Oggi mancano davvero tante cose. Sono sempre stata dell'idea che la professionalità venga prima di tutto: forse oggi non paga? Non lo so. Me lo domando. Non mi sembra che in tv sia cambiato molto negli ultimi tempi. Ad esempio, anch'io ho fatto anni fa un reality, “La fattoria”, perché volevo sperimentare e capire quanto fosse dura. E poi? Cosa è successo? Niente. Si sono susseguite stagioni de “L'isola dei famosi” e del “Grande fratello”: per carità, belle idee all'inizio, ma pian piano sono andate un po' scemando. Magari ci fossero più contesti alla “Tale e quale show”: ma, Gianluca, ne vede in giro? D . – Onestamente no ed è un peccato. Ripercorrendo la sua carriera, non possiamo fare a meno di ricordare quanto accaduto ben 32 anni fa quando, giovanissima, ha condotto il “Festival di Sanremo”. R . – Mamma mia! Se chiudo gli occhi, ancora ricordo quelle emozioni. Ero, come giustamente ha detto lei, giovanissima e non avevo esperienza: fui catapultata su quel palco, avendo vinto un concorso a “Domenica in”. Un'esperienza unica, indimenticabile, della quale vado orgogliosa. Riuscii a cavarmela egregiamente, molto più di tante star stramilionarie che hanno calcato l' “Ariston” negli anni a seguire: io non fui pagata, andai gratis, ma fu un'occasione unica. D . – Dell'edizione di quest'anno cosa pensa? R . – Partiamo dal presupposto che “Sanremo” l'ho sempre visto, adorato e seguito. Ne ho puntualmente parlato nei miei programmi, con ospiti e tanto divertimento. L'edizione di quest'anno non mi ha fatto impazzire: il “Festival” deve essere elegante, di classe, bello da vedere. A me sembra sia stata fatta una scelta un po' limitata nella conduzione: onestamente la Littizzetto mi piace molto di più quando fa i suoi monologhi a “Che tempo che fa”. Semplicità ed eleganza sono i principi della kermesse canora della riviera ligure: non mi sembra siano stati onorati nel 2014. D . – Siamo nel 90esimo anniversario della radio: un genere da lei frequentato moltissimo in passato. R . – È vero: le dirò che, per certi versi, mi ha dato tantissime soddisfazioni, anche maggiori rispetto alla tv. Il rapporto che si instaura col pubblico è magico, ricco di alchimia, intimo. Forse perché, non essendoci uno schermo, ci si lascia andare più


LA SIGNORA DELLA CONDUZIONE

facilmente nel raccontarsi. D . – Assolutamente, Patrizia: non ci si sente giudicati. R . – Condivido, Gianluca. C'è libertà, senza condizionamento d'immagine. Questo, ad esempio, per quel che riguarda la tv è sempre stato un limite degli attori teatrali: restii a farsi vedere davanti alle telecamere, nei miei programmi li ho puntualmente messi a loro agio, ponendo domande come se fossero i miei più cari amici. E, pian piano, non solo si lasciavano andare, ma erano loro in primis a raccontare i fatti privati che li coinvolgevano in un preciso momento, tanto si sentivano abbracciati dal calore di chi li stava intervistando. Questo è fondamentale. Oggi, purtroppo, in tv è tutto un pescare nel gossip e nel personale, per indugiare nel torbido. Come le dicevo all'inizio della nostra intervista, anch'io nei miei programmi – ad esempio – ho affrontato il tema della violenza sulle donne, ma con molta delicatezza, denunciando certe cose che non andavano nel verso giusto a livello di leggi. D . – Proprio intervistando Barbara De Rossi, alla conduzione di “Amore criminale”, si è messo in evidenza quello che lei sta dicendo e, soprattutto, sosteneva decenni fa: la latitanza delle istituzioni nella difesa delle donne. R . – La donna non è un oggetto: se va in tv a raccontare la propria storia di violenza, deve essere tutelata, trattata con delicatezza, capita e aiutata non solo dal conduttore ma, anche e soprattutto, dalle leggi e dalle istituzioni. Altrimenti continueremo sempre a sentir parlare di “femminicidio” e stalking. D . – La nostra piacevolissima chiacchierata, cara Patrizia, sta per concludersi: come vorrebbe potesse proseguire il suo percorso? R . – Vorrei che la mia vita privata continuasse così. Lavorativamente oggi come oggi sento di avere una testa più matura e saggia: pertanto mi piacerebbe fare davvero delle belle cose nello spettacolo. Non importa che si tratti di tv, teatro o radio: l'importante è mettere a punto dei progetti belli e intensi, nei quali esprimere tutta l'esperienza acquisita in questi anni. A me interessa lasciare un buon ricordo in chi mi guarda: abbiamo un grande mezzo che è proprio la tv italiana, perché non esserne protagonisti in maniera costruttiva, sana e divertente? Oggi i personaggi televisivi si sono praticamente dimezzati e non è un bene. Tanti, ma tanti fiori all'occhiello del mondo dello spettacolo sono a casa. Dobbiamo far cambiare questo andazzo. D . – Metaforicamente allo specchio: in che modo si riflette Patrizia Rossetti? R . – Mi rifletto come una persona sempre molto sincera, solare, schietta. D'altro canto, è vero che nella vita ci vuole sempre un po' di diplomazia e di “saper fare”, dicendo ogni tanto qualche “bugia bianca”, ma io sono quello che sono. Rimango del parere che con l'immediatezza si possa arrivare al cuore della gente, evitando ipocrisie, mezze misure e inutili orpelli. Mi piace semplicemente vivere con profonda trasparenza. Gianluca Doronzo

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Arianna Ciampoli


LA BELLA DELLA CONDUZIONE

L'elegante Arianna Ciampoli ogni venerdì alle 21.20 su Tv2000 alla «guida» del talent «La canzone di noi», con ben 24 cori in gara, assieme a Claudio Lippi e Aba (reduce dall'ultima edizione di «X Factor») in giuria

«Un po' equilibrista, un po' picassiana, un po' in cerca di un centro di gravità permanente: eccomi oggi metaforicamente allo specchio»

“Un po' equilibrista, un po' picassiana, un po' in cerca di un centro di gravità permanente”. Arianna Ciampoli è ormai uno dei volti più familiari del piccolo schermo, da diverse stagioni a questa parte: metaforicamente allo specchio, fa una sorta di bilancio del suo percorso, in occasione di una chiacchierata “fra amici”, con molta familiarità. Dagli esordi radiofonici (“a Pescara, appena quindicenne”) alla tv dei ragazzi (“un peccato oggi non ci sia più”), fino al garbo di Luciano Rispoli (“ho praticamente iniziato con lui: gli devo tanto”), ha maturato esperienze su esperienze fino a diventare “padrona di casa” del talent in onda su Tv2000 ogni venerdì (ore 21.20), dal titolo “La canzone di noi”, ospitando ben 24 cori in gara. In giuria, fra gli altri: Claudio Lippi (“un sornione”) e Aba, reduce dall'ultima edizione di “X Factor”. Un bel banco di prova in prima serata, all'insegna di un auspicio: “Avere sempre la libertà di scegliere ciò che più mi possa rappresentare”. Domanda – Arianna, ci ritroviamo ad un po' di anni di distanza dalla nostra ultima chiacchierata: ne ha fatta di strada in questo lasso di tempo! Attualmente sta conducendo su TV2000 il talent “La canzone di noi” (ogni venerdì, ore 21.20), ospitando ben 24 cori in gara. Un genere, se vogliamo, innovativo per il piccolo schermo: in che modo sta vivendo questa nuova esperienza nel suo percorso? Risposta – Vivo “La canzone di noi” con grandissima curiosità: la musica è un elemento nuovo per quel che mi riguarda e non le nascondo che ne sono molto intrigata. C'è un'Italia che si muove “in coro” e va avanti all'unisono, con grande energia e pathos. Con un trasporto non indifferente. Premetto che il mio programma ha una duplice veste: ha una versione pomeridiana con un altro conduttore e poi arrivo io il venerdì, in prima serata, con la gara vera e propria. Pensi che sono stati contattati ben 1000 aspiranti partecipanti, con conseguenti 200 convocati e poi sono stati selezionati i 24 cori che abbiamo in trasmissione. Non le nascondo che è bello scoprire anche tutte le storie che si intrecciano alle persone che fanno parte dei cori: ci sono vite particolari e tanta passione. D . – In che modo sentirebbe di definire il suo programma? A metà strada fra talent, varietà e contesto sociale? R . – Io, dico la verità, faccio sempre fatica a trovare una definizione a quello che metto a punto. Diciamo che questo programma rappresenta un po' l'occasione di conoscere un'Italia inedita, che si impegna all'unisono, mettendoci tutto quello che si ha a disposizione. Tempo fa è venuto fuori su un noto quotidiano nazionale un articolo, in cui si parlava del fenomeno dei cori: sarebbero ben 2700 nel Belpaese e si tratterebbe di una realtà in crescita. Ecco: io vorrei che la mia trasmissione consentisse di prenderne atto. Poi, onestamente, non saprei che cosa dirle in merito al genere a cui appartiene la nostra gara del venerdì. D . – Ho un'idea: potremmo ritenerlo, alla luce della materia trattata, un programma “corale”, collocandolo in un nuovo genere televisivo. R . – (Dopo una risata comune, ndr) Esatto, Gianluca. Giusto:

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“La canzone di noi” è un programma corale, con una bella giuria composta da Claudio Lippi, del quale conosciamo l'estrema ironia e il suo essere un sornione e Aba, finalista all'ultima edizione di “X Factor”, fra gli altri. Ognuno è protagonista al punto giusto, a seconda delle proprie competenze: chi più dal punto di vista televisivo, chi musicale e chi tecnico. D . – A livello di conduzione, Arianna, a che punto sente di essere nel suo percorso? R . – Dico la verità: non mi sento mai centratissima: sono, in fondo in fondo, ancora in cerca di me. È come se, parafrasando una celebre canzone di Battiato, fossi in cerca di “un centro di gravità permanente”. D . – Penso all'immagine circense dell'equilibrista. R . – Esatto. Sono un po' come l'equilibrista. È una metafora che mi piace. Di conseguenza spero di andare avanti dando il meglio di me stessa, senza esitazione di sorta. Per il futuro si vedrà. D . – Rimanendo in tema di tv, siamo nel 60esimo anniversario: in che modo, secondo lei, si sta ricordando un avvenimento così importante? R . – È un po' strano, caro mio. Ci sono stati dei tentativi di celebrazione, ma non so fino a che punto siano riusciti. Ogni bilancio ha sempre una doppia faccia della medaglia e, soprattutto, un duplice sapore. Ho visto poco finora e, quello a cui ho assistito, ha avuto per così dire il sapore di naftalina. Ricordare, ad esempio, il “Maestro Manzi” in una fiction è stata una gran bella cosa. Ma poi, cos'altro c'è stato? L'effetto nostalgico a “Sanremo”? Mah, non so. Certo che, nonostante i suoi 60 anni, la tv credo sia ancora un mezzo straordinario di espressione: si possono fare delle belle cose e sarebbe entusiasmante se si respirasse un intrattenimento sano, pulito ed elegante. Davvero ne sarei felice. D . – Se le dico Luciano Rispoli, cosa mi risponde? R . – Che belle parole (e scoppia una risata comune, ndr)! L'ho sentito qualche anno fa, proprio in occasione di “Cominciamo bene estate” su Raitre. Mi arrivò un suo messaggio, nel quale si congratulava per quanto, a suo dire, fossi cresciuta. Io ho iniziato a fare tv su l'ex Telemontecarlo con Carla Urban e, tre mesi dopo, subito Luciano Rispoli mi volle nel suo salotto. È stato un grande signore, paventandomi una calorosa accoglienza. Ricordo con affetto quei tempi con Melba Ruffo e Rita Forte. Davvero dei bei ricordi. D . – Arianna, come valuta attualmente il piccolo schermo? R . – Ci sono delle cose che a me piacciono tanto: ad esempio, a me la tv che fa Fazio piace. Ha una modalità che apprezzo, soprattutto nell'approccio con l'interlocutore nelle interviste. L'ho gradito in “Vieni via con me” e lo adoro a “Che tempo che fa”: ha misura, garbo e stile. Io non sono una passatista del tipo: “Era meglio prima”. No. Per fortuna oggi ci sono cose diverse rispetto ad una volta e si aderisce di più a quello che sei. Il taglio narrativo di Fabio mi convince. C'è, tuttavia, un'altra tv che faccio un po' più fatica a capire, con certi cedimenti non condivisibili: mi riferisco a chi ha l'anima

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d'avvoltoio e, soprattutto, su certe vicende private fa perdere la lucidità a chi le racconta. Questo mi spaventa. Trovo estremamente insopportabile scavare nella tv del dolore: giocare sulle debolezze altrui comporta la perdita del controllo di chi si ha davanti, non rendendolo più padrone del proprio vissuto. Ecco: questa è una tv che non sopporto. D . – A volte si assiste come alla “deriva dell'anima” dinanzi a certi talk. R . – Esatto, ben detto. È una cosa atroce, con quelle telecamere in primo piano sui volti che soffrono, portati a modificarsi da chi conduce un determinato programma. La “deriva dell'anima” induce a non essere più se stessi. È una cosa che mi fa rabbrividire.

D . – Lei è stata una delle ultime protagoniste di programmi dedicati ai ragazzi: nel panorama odierno, purtroppo, non ce ne sono più. R . – Grazie, Gianluca, per questa domanda perché mi si consente di affrontare un discorso che mi sta a cuore. Oggi, purtroppo, manca la tv dei ragazzi. Io ho fatto l'ultimo anno di “Solletico” e profeticamente sentivamo tutti una chiusura imminente. Così è stato. Dai palinsesti sono spariti, subito dopo, i programmi rivolti ai ragazzi, ai più piccoli. Un estremo peccato, perché quella è stata una tv che parlava, chiedeva e informava. Supportava la crescita di generazioni, quasi affiancando il lavoro dei genitori. Ripeto, non sono una passatista, ma credo che in un Paese civile ignorare i più

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piccoli sia negativo. Dimenticare una fascia importante della nostra società non è per niente positivo. Mi dispiace tanto. D . – In fondo tante generazioni sono cresciute con le sigle, ad esempio, dei cartoni animati, facendole diventare la colonna sonora della propria formazione. R . – Verissimo: la tv ha perso anche questo. Le fasce dedicate ai bambini non esistono più e oggi i più piccoli sono costretti a vedere tanti telefilm, spesso discutibili. Anche le sigle dei programmi, per dirgliene una, sono state abolite: io invece le ricordo benissimo e sono state fondamentali per la messa a punto di tante trasmissioni. Spesso sono diventate delle vere e proprie hit di successo. Io ho una figlia, Angelica, di 9 anni: ho paura che capiti, facendo zapping di pomeriggio, in uno di quei programmi in cui ci siano notizie sulle madri che hanno ucciso i figli. Questo innescherebbe dei meccanismi di riflessione che non vanno bene per la sua età. Se, invece, ci fosse stata la tv dei ragazzi, non avremmo corso un rischio del genere. E parlo non solo per me, ma per tutte quelle famiglie che hanno figli piccoli come la mia.

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D . – Continuando la nostra chiacchierata, arriviamo ad affrontare l'argomento “radio”, di cui ricorre il 90esimo anniversario nel 2014. Un genere che lei ha praticato, fin dai suoi esordi. R . – Bravissimo. Io ho esordito a Pescara proprio facendo radio, a soli 15 anni. E non le nascondo che ho iniziato facendola quasi per gioco: si è trattato di un'esperienza portata avanti fino ai 21. Subito dopo è subentrata la tv e poi, nelle stagioni più recenti, è capitata Rai Radio 1. È un genere che a me piace molto, ma rischia quando si “televisivizza”, mi lasci passare il termine. Va bene quando è parola, confronto con l'ospite, approfondimento di un argomento: meno quando diventa sinonimo di tv, emulandone le dinamiche. E, viceversa, non va bene quando la tv si “radiofonizza”, altro termine che le consento di lasciarmi passare. Sono due ambiti diversi. D . – La radio è centralità della parola, come giustamente ha detto lei. Se non onora la sua genesi, corre il rischio di snaturarsi e diventare altro. R . – Bravo. Diversamente si opacizza e non va proprio bene.


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Per niente. D . – In che modo vorrebbe potesse proseguire il suo percorso, cara Arianna? R . – Intanto vorrei che proseguisse così come sta procedendo. Per il futuro si vedrà. Mi piacerebbe conquistarmi la libertà di poter scegliere le cose da fare, facendomele somigliare il più possibile. Finora il mio percorso mi ha abbastanza rispecchiato: alcune cose di più, altre meno, altre ancora pochissimo. Mi piacerebbe avere la libertà di fare imprese che mi appartengano e mi raccontino. E, ben inteso, non necessariamente davanti alle telecamere. Anche dietro, da un punto di vista autoriale o altro. Chissà che non accada prima o poi. D . – Metaforicamente, infine, allo specchio: come si riflette oggi Arianna Ciampoli? R . – Molto picassiana. Con tutte le parti che mi compongono molto scombussolate fra di loro: apparentemente con pezzi scomposti. D . – Apparentemente, però. R . – Apparentemente. Comunque picassiana. Gianluca Doronzo

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Michele Venitucci


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Ha maturato «un decennio di esplorazione, viaggio e scoperta di nuovi confini», convinto che l'arte sia «sinonimo di imperfezione»: alle soglie dei 40 l'escalation di un attore pugliese (originario di Bari), capace di spaziare nei generi, attualmente nei panni di «Stefano» nella fiction «Un medico in famiglia» (Raiuno, ogni domenica, ore 21.30, quasi 6milioni di spettatori in media)

Determinato, passionale e sincero: ecco «la grande bellezza» di Michele Venitucci, in ascesa sul piccolo schermo, con estrema «nobiltà d'animo»

Michele ne ha fatta di strada. In un decennio ha maturato sul piccolo e grande schermo “esplorazione, scoperta di affascinanti confini e attenzione al dettaglio”, convinto che “la bellezza dell'arte” sia sinonimo di “imperfezione”. Alle soglie dei 40 (“li compirò a settembre, dando inizio ad un'altra fase della mia vita”), con estrema “nobiltà d'animo”, il pugliese Venitucci (originario di Bari) è tornato in tv, vestendo i panni di “Stefano”, nella nona serie di “Un medico in famiglia” (Raiuno, ogni domenica, ore 21.30, quasi 6milioni di spettatori in media, col 25% di share), accanto a Flavio Parenti, Lino Banfi e Valentina Corti, fra gli altri. Profondo, sincero e “fuori dal coro” rispetto alle scelte finora fatte (anche in merito al cinema indipendente), eccone un ritratto ad hoc, entusiasta per un prodotto seriale “popolare, di grande impatto, con la possibilità di riconoscersi nelle vicende raccontate”. Domanda – Michele, ci ritroviamo a ben dieci anni di distanza dalla nostra ultima intervista. Ne ha fatta di strada, spaziando dalla tv al cinema e teatro, puntualmente selezionando i personaggi e i registi. Risposta – Mamma mia, quanto tempo! Si è trattato di dieci anni di esplorazione, di viaggio, di scoperta di nuovi confini. Se vogliamo, quando ci siamo conosciuti in occasione della fiction “Diritto di difesa” nel 2004, ero al mio primo lavoro importante per la tv, la prima grande occasione. Un prodotto ben fatto, che mi ha aperto le porte, subito dopo il cinema con Sergio Rubini, consentendo di mettermi in discussione in tante altre imprese. Quella è stata la mia “scuola” d'esordio, imparando a stare sul set. In questo lasso di tempo ho spaziato, senza mai sottrarmi ad alcuna forma espressiva, ma di sicuro ho maturato maggiore concentrazione nel mettere a punto le serie sul piccolo schermo, dove devi essere più asciutto rispetto al cinema. Sono entusiasta di ogni esperienza che ha fatto parte del mio bagaglio professionale, fino a renderla fondamentale per quella successiva. Lavorando sul dettaglio, su me stesso e sulla confezione complessiva ed estetica della mia resa. D . – Dopo un periodo d'assenza ha deciso di tornare in tv, vestendo i panni di “Stefano” in “Un medico in famiglia” (Raiuno, ogni domenica, ore 21.30, quasi 6milioni di spettatori in media col 25% di share). Cosa l'ha motivata? R . – Innanzitutto, come ha detto giustamente lei poco fa, era da un po' che non facevo fiction: le serie tv negli anni sono cambiate e, dal mio punto di vista, c'è ancora tanto di inespresso nel mediatico, dovendo approfondire numerosi aspetti professionali in maniera trasversale. Di conseguenza ho deciso di ricongiungermi con la serialità popolare, dal momento che non riesco a vedere il cinema in Italia in questa fase. E, comunque, una cosa non esclude l'altra. “Un medico in famiglia” ha degli ottimi attori, ad iniziare da Flavio Parenti, che stimo profondamente ed è un collega straordinario, al di là dei capisaldi storici, da Banfi alla Vukotic. Trovo sia un prodotto dalle radici ben salde, raccontando delle avventure semplici ed efficaci, d'impatto immediato. E poi con Lino chiudo il cerchio dei pugliesi con cui ho lavorato, dopo Rubini, Sassanelli e Abbrescia. Il personaggio di “Stefano” è, tra l'altro, stato una

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piacevole sorpresa: la sceneggiatura ha ispirato un ruolo molto particolare e intenso, delineando un proprietario di diverse gelaterie, un po' alternativo, desideroso di essere sempre in movimento, pieno di passioni da coltivare. Incontra Sara, interpretata da Valentina Corti, ed è attratto dalla sua personalità fascinosa. “Stefano” è molto attento, vivace, ricco di interessi, con una sincera voglia di raccontare aneddoti legati al suo vissuto, un po' stanco delle solite relazioni. È stato divertente lavorare con quattro registi, due uomini e due donne. In tutta onestà ho trovato una produzione rilassata, con la profonda voglia di delineare i legami di una famiglia vera, senza ipocrisie e sovrastrutture. D . – Quale, a suo parere, il segreto del successo di una serie giunta alla nona edizione come “Un medico in famiglia”? R . – Credo sia un prodotto sincero, vero, onesto, basato sui valori che oggi si sono un po' disgregati nelle famiglie italiane. Come dire: è più “famiglia” e meno “medico”. Si manifestano sentimenti in maniera autentica nelle storie raccontate, senza problemi. A volte, tra l'altro, ritengo possa essere anche didattico rispetto ai polizieschi e alle altre serie. Le persone possono riconoscersi in quello che vedono. E, alla resa dei conti, credo sia l'unico prodotto attualmente in onda che si possa vedere tutti assieme, grandi e piccoli. Sono entusiasta di esserne entrato a far parte. D . – C'è bisogno di intrattenimento pulito, onesto e leale sul piccolo schermo, anche e soprattutto in merito alle fiction. R . – Le confesso una cosa: io mi sono addirittura procurato un decoder per vedere la prima puntata di “Un medico in famiglia”, anche perché ammetto di non guardare la tv, a mio avviso un po' troppo dispersiva nel suo essere generalista. Da un po' ho lasciato perdere il piccolo schermo, così come al cinema è diventato quasi impossibile portare qualcosa di reale. Ho trovato, tuttavia, estremamente positivo assistere ad un ricambio generazionale in “Un medico”: un'operazione vivace,

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che mi piace e, soprattutto, dà il senso dell'attualità, della contingenza. Consideriamo il caso di “Romanzo criminale”: hanno preso degli attori sconosciuti, pagandoli anche poco, ma dando loro un'opportunità fondamentale per il proseguimento del percorso. Oggi al 90% lavorano. Questo, a mio avviso, è quello che dovrebbe fare la tv: mettere insieme i grandi Zingaretti, Banfi e Proietti con i giovani, investendo su sceneggiature fresche e volti emergenti. In America le serie tv abbondano e spopolano: sono industriali. Dovremmo seguire esempi di copiosità e qualità allo stesso tempo. Poi, a dire il vero, non sono così aggiornato su quanto accade in Italia nelle altre produzioni: so, ad esempio, che è andato molto bene “Braccialetti rossi”, sebbene non l'abbia visto, le cui riprese sono avvenute a Fasano, nella nostra Puglia. Il successo forse è stato determinato dal racconto semplice, veritiero e credibile. Non so, ma penso sia così. D . – “Braccialetti rossi” è andato molto bene, raggiungendo i 7milioni di spettatori, proprio perché ha avuto il merito di entrare nel cuore della gente. R . – Ecco: allora c'ho preso. L'avevo intuito. D . – Michele, finora è stato un po' critico nei confronti del cinema italiano. Mi invita, pertanto, a nozze nel farle la seguente domanda: cosa pensa del film “La grande bellezza” di Paolo Sorrentino, vincitore del “Premio Oscar”? R . – Ne penso bene, ma non ne sono un fan sfegatato. È un film che mi ha fatto meditare: c'ho riflettuto con gli amici e sono nate anche tante discussioni. Io sono un fan di Sorrentino e, onestamente, ho sentito il chiacchiericcio prima e dopo l' “Oscar”. È un po' nel dna dell'italiano affrontare tutto con una solita discussione “calcistica”, un po' come ai Mondiali: tutti sanno fare la squadra meglio del Commissario Tecnico. Fare critica è un po' diventata un'abitudine, a prescindere dai titoli e dalle competenze che uno ha. Sono contento per la vittoria dell' “Oscar” e, soprattutto, per il fatto che il cinema italiano sia tornato ad essere internazionale. Meno male. Poi, allo stesso tempo, credo che l'arte sia imperfetta e forse quel film ne è l'emblema. Vorrei rivederlo al cinema, per rivalutarlo ancora una volta. So che ha avuto successo in tv, ma è un'altra cosa. Ho sentito fare molti paragoni, con ispirazione felliniana. Di sicuro ci sono lampi di genio nella pellicola: che poi la gente ne riconosca o meno “la grande bellezza” è un altro discorso. L'opera ha un valore in sé, anche nella sua imperfezione. D . – Ha detto una cosa fondamentale: l'arte è imperfezione. E, di conseguenza, bellezza. R . – In un momento in cui si tende ad essere tutti omologati, non riconoscendo più il proprio difetto come una peculiarità di cui andare fieri, io credo si debba discutere di bellezza proprio in merito al “senso di incompiuto”. Nella propria diversità c'è la bellezza e questo dovrebbe essere un elemento fondamentale. Il bisogno d'esprimersi è un bisogno comune: ad esempio, credo che il teatro dovrebbe essere a scuola una materia di studio, anche per una forma terapeutica di cognizione di se stessi. Persino la persona più timida verrebbe fuori, esibendosi su un palco. Io, per dirgliene una, del mio neo

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facciale ho fatto un tratto distintivo e ne vado orgoglioso. Viviamo in un Paese in cui dobbiamo fare in modo che le peculiarità imperfette di ciascuno diventino bellezza. Sarebbe fondamentale. D . – Tv, cinema e teatro: cosa vorrebbe fare oggi? R . – Spero di animare e vivere le tre le cose ugualmente. Vorrei fare di nuovo un'esperienza a teatro, fondamentale per ricongiungerti col tuo mestiere d'attore. Una performance “live”

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oggi mi ci vorrebbe proprio. La mia presenza in “Un medico in famiglia” mi ha aperto le porte Rai per altri lavori e vedremo un po' cosa accadrà. E poi vorrei essere protagonista del cinema indipendente, a cui sono sempre stato legato negli ultimi anni della mia carriera: mi ci sento rappresentato ad hoc. È la mia terra, la mia fascia, il mio orizzonte. E poi, avendo la passione per i viaggi, mi piacerebbe raccontare i luoghi che visito documentandoli, traendone inesorabilmente (e con piacere)


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ispirazione artistica. Anche stando dietro la macchina da presa: è una cosa che prima o poi farò. Si tratta del mio primo passo. Un po' di pazienza e tempo: tutto arriverà. D . – Michele, in attesa di ritrovarci presto (non fra dieci anni), s'immagini metaforicamente allo specchio: a questo punto del suo percorso, come si riflette? R . – A questo punto del mio viaggio vedo proprio il mio sguardo cambiato: ci sono segni più evidenti sul mio volto, dei quali essere orgoglioso. Come diceva qualcuno: “La bellezza passa, la nobiltà no”. A distanza di quei famosi dieci anni, Gianluca, che ci hanno separato, mi vedo cresciuto e sono molto contento di questo passaggio del tempo, nel bene e nel male. A settembre compirò 40 anni e darò inizio ad un'altra fase della mia vita. Porterò per sempre dentro quello che ho messo a punto, con tutte le mie imperfezioni, delle quali fare virtù. Con nobiltà d'animo, sincerità e passione. Gianluca Doronzo

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Flavio Parenti


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Dopo il successo di «Un matrimonio» di Pupi Avati, Flavio Parenti conferma la sua «stagione d'oro» con quasi 6milioni di spettatori in media (e il 25% di share) nella nona edizione di «Un medico in famiglia» (Raiuno, ogni domenica, ore 21.30), vestendo i panni di «Lorenzo Martini», accanto a Lino Banfi, Michele Venitucci e Valentina Corti

«La fiction italiana dovrebbe essere sempre più attenta ai giovani, raccontandone quotidianità e sfera emozionale»

Una ventata di “freschezza e gioventù” si sta ponendo all'attenzione del pubblico sul piccolo schermo. A darne conferma la fiction italiana, ricca di attori promettenti e in esponenziale ascesa, da diverse settimane a questa parte. Flavio Parenti ne è un esempio: dopo il successo di “Un matrimonio” di Pupi Avati con Micaela Ramazzotti, sta conquistando circa 6milioni di spettatori in media (col 25%di share), vestendo i panni di “Lorenzo Martini” nella nona edizione di “Un medico in famiglia” (Raiuno, ogni domenica, ore 21.30), accanto a Lino Banfi, Michele Venitucci, Milena Vukotic e Valentina Corti, fra gli altri. Con estrema disponibilità chiacchiera al telefono, passando in rassegna quanto fatto finora (anche al cinema con Silvio Muccino, “un amico e un ragazzo di grande talento”), dando suggerimenti su come si dovrebbe osare nelle serie televisive (“raccontando mondi immaginari”) e definendo a che punto del percorso si trovi (“onestamente non lo so, ma mi sento come una trottola in vita”). Signori, sipario! Domanda – Dopo il successo della serie “Un matrimonio” di Pupi Avati, eccola nuovamente protagonista sul piccolo schermo nella nona edizione di “Un medico in famiglia”, con quasi 6milioni di spettatori in media e il 25% di share. Che dire dei risultati ottenuti finora nei panni del dottor “Lorenzo Martini”? Risposta – Io, in tutta onestà, sono molto fiero di essere riuscito in un'impresa non proprio semplice: avevo col mio ruolo la responsabilità di sostenere una sorta di “esodo” di numerosi attori delle edizioni precedenti. Non era così scontato che il pubblico accogliesse me e le “nuove entrate” con calore e affetto. Sono, tuttavia, perfettamente d'accordo con la decisione della Rai e Publispei di dare una fresca ventata generazionale ad una delle serie più amate sul piccolo schermo. Ciò ha comportato anche una buona dose di coraggio. I risultati finora sono sotto gli occhi di tutti, anche se è un po' presto per fare grandi bilanci: per il mio “Lorenzo Martini” c'è stata una piena accettazione da parte degli spettatori, con conseguente affetto. D'altro canto siamo stati anche noi “novelli”, a mio avviso, bravi ad entrare “in punta di piedi”, facendoci conoscere gradatamente: il mio, ad esempio, non doveva essere un ruolo “gradasso”, da spaccone, ma un po' nascosto, defilato, quasi si dovesse capire che c'è qualcosa dietro il suo modo di fare e i suoi silenzi. Mi sembra stia piacendo tutto questo. D . – Quale, a suo avviso, il segreto del successo di una serie così longeva come “Un medico in famiglia”? R . – I motivi sono tanti. Innanzitutto la presenza di Lino Banfi, esponente storico del cinema e tv italiani: lui ha un fiuto nazional-popolare ed è di grande impatto nei confronti degli spettatori. In secondo luogo il merito va a Carlo Principini e Verdiana Bixio, che credono fortemente in un prodotto ben consolidato da anni, rinnovandolo con passione e tenacia. Credo che in “Un medico in famiglia” ci sia una sana tradizione, con puntuali novità, rispondendo alle aspettative del pubblico. Il che non è assolutamente da sottovalutare.

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IL BELLO DELLA FICTION

D . – Bene, continuando con i suoi pareri: cosa pensa della fiction italiana, in generale? R . – Diciamo che la crisi si sente ovunque e la fiction non è da meno. Il mio auspicio, in piena franchezza, è che ci sia sempre maggiore attenzione agli spettatori più giovani. “Un medico in famiglia” esiste da 15 anni e credo che mai come in questa edizione si sia riusciti a “catturare” l'attenzione dei ragazzi, pronti a riconoscersi in quello che vedono. C'è molto realismo nelle storie, ma anche si respira più cura nella fotografia, ad esempio. La tv italiana è trasversale nelle serie: si va da “Don Matteo” ai polizieschi, fino al mélo e drammatico in senso stretto, non dimenticando la commedia. Io mi auspico possa arrivare una fiction un po' più creativa a livello emozionale, con un forte piglio contenutistico e un senso estetico non irrilevante. Vorrei ci fosse una scrittura non solo veritiera, contingente, ma anche scandita da mondi immaginari e

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immaginifica, magari tratta da romanzi o da ispirazioni americane. Ovviamente questi sono i miei gusti personali, per molti opinabili e discutibili. D . – Rispettabile quello che dice, Flavio. Cambiamo argomento: la sua formazione è teatrale e ha fatto numerosi spettacoli in passato. Le manca tutto questo? R . – Adesso no: lei, caro Gianluca, porta ad essere molto sinceri nelle sue interviste. Ed io l'accontento. Ho “bazzicato” tanto il teatro in passato, soprattutto agli inizi della mia carriera: dallo “Stabile di Genova” in poi, per ben sette anni. Ora sono attratto dalla tv e anche “Un matrimonio”, secondo me, è stato un po' uno spartiacque, rendendo persino cinematografico il piccolo schermo. Non penso ci sia più questa sorta di differenza di generi e la tv non ha nulla da invidiare rispetto al grande schermo. Si sta respirando il ritorno alla popolarità con le fiction e, pian piano, il tubo catodico sta prendendo il


IL BELLO DELLA FICTION

sopravvento in relazione al cinema, diventato un po' più costoso, a causa della crisi, e meno disposto a grandi produzioni e investimenti. Non è un caso che il cinema sia sostenuto dallo Stato. D . – A proposito di cinema, Silvio Muccino è stato un po' una costante del suo percorso. R . – È un grandissimo amico ma, secondo me, ancor più uno straordinario talento, geniale. È stato lui ad avermi scoperto in “Parlami d'amore”: credo, tra l'altro, di essere uno dei pochi attori a fare cinema d'autore e tv, senza distinzione di sorta. In molti poi, avendo visto “Un matrimonio”, si sono ricreduti sul piccolo schermo ed ora stanno osando sempre di più. D . – Rimanendo in ambito cinematografico, cosa pensa del film “La grande bellezza” di Paolo Sorrentino, vincitore del “Premio Oscar”? R . – A me è piaciuto molto. Sorrentino è un grandissimo regista, supportato da un enorme produttore. Ora, credo che gli “Oscar” abbiano premiato l'autore, sebbene in Italia si debba puntare sul genere. Mi spiego: da noi si fanno tantissime commedie e basta. Non abbiamo grandi possibilità di respiro, con tantissime istanze da esprimere. La vittoria di un film come “La grande bellezza” non so se realmente motiverà il

cinema a fare altri tipi di pellicole simili. È un po' raro in Italia che si vada fuori dagli steccati. Non so quello che accadrà. D . – A che punto del suo percorso sente di essere? R . – Non lo so. Non ho, sinceramente, la minima idea di dove io sia, non la voglio avere e non mi aspetto niente. Spero che dopo “Un medico in famiglia” ci siano tante altre opportunità lavorative, continuando a fare questo mestiere. Per il resto si può sempre tornare a fare il cameriere. Ho, inoltre, una società di videogiochi, grazie alla quale ci sono orizzonti da esplorare in questo momento, consentendo di vivere avventure emotive. Delle vere e proprie avventure emotive. D . – Eccoci, purtroppo, alla conclusione del nostro viaggio: s'immagini metaforicamente allo specchio. Come si riflette oggi, Flavio? R . – Penso di non saperlo. Non lo so. È difficile vedersi e definirsi da soli, anche perché allo specchio spesso ci si riflette come non si è. Sono, tuttavia, sicuramente una persona che continua a sognare nel quotidiano, senza mai fermarsi. Mi sento una trottola che vive. D . – Visto che è riuscito a trovare la metafora? R . – (Dopo una risata, ndr). Ha ragione: ce l'ho fatta. Lei riesce proprio a far venire fuori quello che uno è. Gianluca Doronzo

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Ottavia Piccolo


FICTION - LA SIGNORA DELLA SCENA

Oltre 4milioni500mila spettatori in media (con quasi il 17% di share) per la rentrée di Ottavia Piccolo in video, protagonista della fiction «Una buona stagione» (Raiuno, ogni martedì, ore 21.15), per la regia di Gianni Lepre, con Ricardo Dal Moro e Francesca Valtorta

«Negli ultimi anni sono stata tanto in tournée, ma finalmente ho trovato l'occasione felice per tornare in tv»

“L'occasione è stata felice: non ero in tournée teatrale e ho trovato la storia molto valida, con personaggi decisamente interessanti e ben descritti”. Ragioni molto chiare e lucide hanno motivato il ritorno di Ottavia Piccolo in tv, nel ruolo di “Emma” in “Una buona stagione” (Raiuno, ogni martedì, ore 21.15, 4milioni513mila spettatori in media e il 16,69% di share), per la regia di Gianni Lepre. Intrighi, suspense, “segreti che tornano dal passato” e tanto sentimento risultano il motivo conduttore di una sceneggiatura “da saga popolare”, senza eccessi e ridondanza (girata, a dire il vero, prima di “Una grande famiglia”, ma trasmessa due anni dopo). Nel cast, fra gli altri: Ricardo Dal Moro, Luisana Lopilato e Jean Sorel. Domanda – Dopo tanti anni d'assenza dalla fiction, cosa ha motivato il suo ritorno sul piccolo schermo, vestendo i panni di “Emma” in “Una buona stagione” (Raiuno, ogni martedì, ore 21.15, 4milioni513mila spettatori in media, col 16,69% di share)? Risposta – L'occasione è stata felice: c'era la storia molto valida, a mio parere; io ero libera da tournée, visto che mi sono molto dedicata al teatro e avevo sincera voglia di misurarmi in una nuova impresa sul piccolo schermo, dopo tanto. Mi sembrano tutte ragioni valide a giustificare la mia presenza in “Una buona stagione”. Nelle annate più recenti avevo solo fatto

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FICTION - LA SIGNORA DELLA SCENA

qualche partecipazione, ma non da protagonista come in questo caso. D . – In che genere collocherebbe “Una buona stagione”? R . – Eh, bella domanda! Partiamo dal presupposto che tutto è inventato: non ci sono trame che ruotano attorno a biografie di personaggi realmente esistiti, con eventuali ispirazioni alla quotidianità. Siamo a cavallo fra il mélo e la tradizione classica delle serie televisive di grande impatto. Certo, ci ha preceduto “Una grande famiglia”, un successo di Raiuno: non so sinceramente se noi siamo stati concomitanti nelle riprese o loro sono arrivati prima. D . – Lei dice questo perché avete girato la serie nell'estate del 2012, probabilmente prima di “Una grande famiglia” che, però, è stata trasmessa per due stagioni in questo lasso di tempo. R . – Giusto. Io non so perché abbiamo, per così dire, “saltato un turno”, ma l'importante è che ora il pubblico ci segua con affetto, appassionandosi ad una saga familiare con molti aspetti da scoprire e tante sfumature. D . – Il suo punto di vista sulla fiction italiana in generale? R . – Dico la verità: non è che io ne faccia un grande tifo, perché spesso mi sembra poco aderente alla realtà. Diciamo, però, che ce n'è di molto buona e di meno valida. A me, onestamente, non piace guardare le cose “registrate”, preconfezionate e prestabilite. Sono per una tv che “si fa e si

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vede”: non dico che si debba farla in presa diretta, dal vivo, soprattutto per la fiction, genere che necessita di molto e molto tempo. Ma sono per la verità delle cose. Ecco, sa cosa piacciono a me? I telefilm americani, veloci e immediati: non sono un'appassionata di serie a puntate, perché se poi ne perdo una è la fine. D . – Siamo nel 60esimo anniversario della tv: indubbiamente ha cambiato la vita degli italiani. R . – Giusto: è sempre stato un mezzo importante, funzionale al cambiamento della società. Credo, in tutta onestà, che fino agli Anni '70, prima dell'avvento della tv commerciale, abbia avuto una funzione didattica: ecco, la rimpiango un po' in quel senso. Ovviamente oggi siamo nel 2014 e non avrebbe più logica in una simile direzione pedagogica, ma mi sento un po' orfana di quel sano, vecchio buon gusto. D . – Nelle ultime stagioni lei è stata protagonista di numerosi spettacoli teatrali: come ha trovato il pubblico? R . – C'è un grande ritorno dello spettacolo dal vivo, in quanto ritengo ci sia una gran voglia di misurarsi con una dimensione più umana e autentica, non filtrata o finta. Oggi, purtroppo, viviamo tutto velocemente e non abbiamo più tempo per approfondire. Il teatro non è cronaca, telegiornale e attualità macabra: è una forma di riflessione sulla parola, sulle tematiche da affrontare legate all'uomo, su ciò che ci circonda.


FICTION - LA SIGNORA DELLA SCENA

Mi sembra ci sia una gran bella vivacità nel teatro. D . – Ad ottobre, se non erro, sarà protagonista della pièce “Sette minuti – Consiglio di fabbrica”, per la regia di Alessandro Gassman. R . – Verissimo. Si tratta di un testo di Stefano Massini, autore che ho più volte affrontato a teatro, di cui sto per riprendere per alcune date “Donna non rieducabile” su Anna Politkovskaja, in cui si parla di diritto e di donne, già portato in scena in passato, diventato un mio cavallo di battaglia. In merito alla pièce diretta da Gassman devo dire che sarà un'avventura condivisa sul palco con 11 colleghe, dove si parlerà di lavoro e di universo femminile, con contesto in Francia, applicabile in tutta Europa. D . – Torniamo alla fiction attualmente in onda: cosa si aspetta possa emergere? R . – Credo che sia una fiction finalizzata al racconto, con molti personaggi interessanti, anche un po' “esagerata” da alcuni punti di vista, perché alla famiglia protagonista succede davvero di tutto. Ma, alla resa dei conti, penso che la gente potrà riconoscersi in ciò che vede, riflettendo su quanto sia importante parlare e chiedere aiuto quando c'è un problema in famiglia. D . – Ottavia, a che punto della sua “stagione” sente di essere?

R . – Sono ormai una signora anziana, con un grande bagaglio di esperienze alle spalle. Sento di essere felice di quello che sto facendo, anche rimettendomi in gioco, non sedendomi sugli allori. Cerco, tuttavia, di fare le cose con calma, senza che alcuno mi corra dietro: quest'anno, ad esempio, non ho fatto teatro e mi sono goduta di più la famiglia e le mie cose, visto che in queste settimane dovrò traslocare da Milano a Venezia. E si sa benissimo quale trauma sia un trasloco. Detto questo, aspetto di tornare a teatro fra settembre e ottobre prossimi. E poi si vedrà. D . – Bene: siamo alla fine della nostra chiacchierata. S'immagini metaforicamente allo specchio: come si riflette oggi Ottavia Piccolo? R . – Sono abbastanza contenta di quello che sono e ho raggiunto. Certo, vorrei avere 30 anni in meno, ma mi sento ugualmente in forma. Invecchiare, diciamocelo pure, non fa piacere ad alcuno: non creda a quelle che le dicono “quanto sia piacevole andare in là nelle stagioni”. Ipocrite. Bisogna, a mio avviso, accettare il tempo che si ha con la giusta ironia, cercando di vivere bene quel che rimane, occupandosi anche degli altri. Cosa che a me piace fare tanto. Gianluca Doronzo

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Francesca Valtorta


FICTION - IL TALENTO IN ASCESA

Francesca Valtorta interpreta «Marianne Von Brurer» nella serie (in sei puntate) «Una buona stagione» (Raiuno, ogni martedì, ore 21.15), per la regia di Gianni Lepre, accanto a Ottavia Piccolo e Ricardo Dal Moro

«Intrighi, suspense e una bella storia: gli ingredienti per il successo di una buona fiction italiana»

Per Francesca è davvero “una buona stagione”. Non solo perché ben 4milioni513mila spettatori in media (col 16,69% di share) stanno seguendo la sua “Marianne Von Brurer” il martedì alle 21.15 su Raiuno, per la regia di Gianni Lepre. Ma, soprattutto, per l'esponenziale ascesa che sta vivendo nella fiction italiana, da “Braccialetti rossi” (oltre 7milioni d'audience) a “Le mani dentro la città” (Canale 5, ogni venerdì, ore 21.10), senza esitazione di sorta. Determinata, volitiva e sperimentale (“sto partecipando, a titolo gratuito, anche a serie web, dando fiducia a giovani emergenti”), la Valtorta è convinta che “intrighi, suspense e verità nascoste” siano ingredienti fondamentali per una produzione televisiva di successo, auspicando un ritorno “al cinema e al teatro”. Addetti ai lavori, che aspettate? Domanda – Francesca, un periodo decisamente in ascesa nella fiction italiana: da “Braccialetti rossi” a “Le mani dentro la città”, fino a “Una buona stagione”. Com'è la sua “Marianne Von Brurer”? Risposta – Il mio personaggio si colloca inizialmente dalla parte dei cattivi: sembra voler portare via la tenuta ai “Santangelo”. Pian piano, però, si svelerà un segreto di cui si è all'oscuro e si cercherà di venire a capo della verità, attraverso una serie di intrighi. Tra le altre cose, mi innamorerò di Andrea, interpretato da Ricardo Dal Moro, andando contro il volere di mia madre, con la quale entrerò in conflitto. Insomma ce n'è davvero per tutti. D . – Intervistando la signora Piccolo in merito alla vostra fiction, è venuta fuori una considerazione che vorrei condividere con lei: avete girato nell'estate del 2012, anticipando istanze venute fuori successivamente nella serie “Una grande famiglia”, andata in onda prima di voi. Un dato non irrilevante, vero? R . – Esatto. Noi ci collochiamo nel genere mélo, nel senso migliore del termine, snocciolando vicende sentimentali dei “Santangelo”, in concomitanza a intrighi, suspense, tradimenti e segreti, come le dicevo prima. C'è molto pathos nelle puntate. Speriamo di cavalcare l'onda del successo di “Una grande famiglia” e non di esserne, per così dire, un po' inficiati, visto che pur avendo girato prima stiamo arrivando dopo. D . – Come spiega questo ritardo nella messa in onda? R . – Ammetto di non conoscere le dinamiche e le tempistiche di chi dirige i palinsesti: di conseguenza, nello specifico, non saprei cosa risponderle. Fatto sta che a noi tutti è dispiaciuto il ritardo della messa in onda, visto che abbiamo fatto davvero un grande lavoro assieme. Come dire: abbiamo dovuto aspettare il momento giusto e prima ne sono subentrati altri. Sono certa, tuttavia, che il pubblico ci seguirà con affetto. D . – Potremmo, Francesca, dire che questa è proprio la sua “stagione”? R . – (Dopo una risata di felicità al telefono, ndr) Devo dire di essere molto contenta di quello che sto vivendo in questo periodo. Noi abbiamo finito di girare “Una buona stagione” nell'ottobre del 2012 e per otto mesi sono rimasta senza lavorare. Un rischio che si corre sempre nel nostro mestiere.

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FICTION - IL TALENTO IN ASCESA

Improvvisamente, però, nel giro di pochi mesi ho superato tanti provini per diversi ruoli in fiction di successo, ad iniziare da “Braccialetti rossi”: devo dire che avevo un piccolo ruolo, ma davvero intenso, rimasto nel mio cuore. Una serie seguita da oltre sette milioni di spettatori, affrontando delle tematiche davvero importanti e sentite. D . – Non solo, ma è anche nel cast della serie “Le mani dentro la città”, attualmente in onda su Canale 5 il venerdì alle 21.15, con oltre 4milioni di spettatori in media. R . – Premetto di aver lavorato molto con la Taodue e sono stata onorata del piccolo ruolo avuto nella fiction “Le mani dentro la città”. Poi, come si dice: nella vita non ci sono piccoli e grandi ruoli, ma piccoli e grandi attori. Pertanto ogni performance è sempre un valore aggiunto nella carriera di tutti noi. La bomba è arrivata con la sesta serie di “Squadra antimafia”, che ho finito di girare proprio l'8 aprile, dove interpreto il ruolo di una mafiosa, assolutamente distante da me. Ho dovuto fare un gran lavoro, a dispetto di altri personaggi che mi hanno vista più naturale. Una bella sfida per crescere. Spero vivamente di poter essere anche nella settima edizione. D . – Come vorrebbe potesse continuare il suo percorso? R . – In questo momento spero di aver fatto davvero un buon lavoro rispetto a ciò che sto interpretando: mi piacerebbe mi venisse riconosciuto quello che ho fatto, step by step. Vorrei lavorare con i registi con i quali ho avuto modo di fare fiction in questi anni e se poi capitasse anche un ritorno al cinema, sarebbe perfetto. D . – Mi ha anticipato, infatti, perché avrei voluto chiederle

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proprio un auspicio rispetto al suo ritorno sul grande schermo. R . – Io non credo, in tutta onestà, oggi ci sia una grande differenza fra tv e cinema: il ragionamento da fare penso sia sempre in funzione del prodotto. La qualità non ha differenza di genere o mezzo di espressione: è qualità e basta. Certo, un'uscita sul grande schermo non la rifiuterei. Per carità. D . – Rimanendo in tema cinematografico: il suo punto di vista sul film “La grande bellezza” di Paolo Sorrentino, vincitore del “Premio Oscar”? R . – Mi è piaciuto e non mi è piaciuto. Mi spiego meglio: adoro l'essere visionario di Paolo Sorrentino. Apprezzo Toni Servillo e ho trovato straordinaria Sabrina Ferilli che, secondo me, se ben diretta dà il meglio di sé. È ancora un'attrice da valorizzare al meglio. Trovo, sinceramente, inutili tutte le polemiche che si sono sprecate attorno alla pellicola, soprattutto in merito alle accuse di aver ritratto una Roma decadente. Signori, Sorrentino non ha fatto altro che dipingere i giorni nostri, senza un velo di ipocrisia. Poi, va da sé che alcune scelte possa averle gradite di più nello sviluppo della trama e altre meno. Ma il mio rimane un giudizio positivo. Di questa vittoria dobbiamo essere solo felici e invece il problema dell'italiano è che spesso e volentieri non valorizza le proprie potenzialità, dando il massimo a ciò che viene dall'estero. E basta! È una vergogna. La trovo una cosa assurda. Mi perdoni lo sfogo, ma non se ne può più di critiche, lamentele e “pareri contro”. D . – Dica pure, non si preoccupi. Siamo qui per questo. Tornando, però, al suo percorso è previsto un suo ritorno al teatro? R . – Io ho iniziato col “Centro sperimentale” di Roma, facendo


FICTION - IL TALENTO IN ASCESA

poi una serie di spettacoli teatrali. Diciamo che è un ambiente un po' elitario, ma io sono qui a fare un appello: sono pronta per una pièce. Chiamatemi pure. D . – Appello accolto: guardi che io porto fortuna. Vedrà che tornerà a fare teatro. Prima ho omesso di farle una domanda, Francesca: il suo punto di vista sulla fiction italiana? R . – Ritengo si facciano delle cose di gran qualità. Io, però, sono un'appassionata di telefilm americani, che “spazzolo” in pochi giorni. Di conseguenza non sarebbe male se ne seguissimo un po' più la scia. Purtroppo siamo in tantissimi a scaricare in streaming le serie e il web è diventato anche una vetrina per giovani registi emergenti, impossibilitati ad avere spazio sul piccolo schermo. Io, ad esempio, spesso e volentieri a titolo gratuito come tanti altri partecipo a serie web, proprio perché credo nel talento di chi le promuove e voglio aiutare le nuove leve. Ad esempio, a breve inizierò a girare “I sette giorni della fine del mondo”, per la regia di Nicola Sarcinelli, con Giorgio Marchesi e Brando Placido. Si tratterà di un gran bel lavoro, finalizzato ad aiutare autori e registi promettenti. Non vedo l'ora. D . – Francesca, s'immagini metaforicamente allo specchio: come si riflette oggi? R . – Dipende dai giorni (e ride al telefono, ndr). In alcuni mi ritengo fortunata anche rispetto ai miei colleghi; in altri sono un po' più severa con me stessa e non mi accontento. Magari sono arrabbiata perché una scena non l'ho girata come dicevo io e mi è sembrato di tradire quasi la fiducia di chi ha creduto in me. Ecco: non voglio deludere chi mi ha dato possibilità di farmi conoscere. E spero sempre di essere all'altezza dei lavori che metto a punto. Di cuore. Gianluca Doronzo

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La tv che vedremo


LA TV CHE VEDREMO

I personaggi più popolari del piccolo schermo si preparano a firmare contratti per programmi «nuovi, freschi e d'intrattenimento»: la «video» attesa è iniziata

Grandi manovre per la prossima stagione tv: la Perego a «Domenica in», la Carrà su Raiuno e Bonolis a «Sanremo»?

Grandi manovre per mettere a punto i palinsesti della prossima stagione televisiva. Fra voci di corridoio, novità clamorose e “bisogno di ricambio generazionale”, a voi le anticipazioni sui volti più popolari del piccolo schermo. Paola Perego – Dal pomeriggio feriale a quello festivo. Dopo la non brillante esperienza a “La vita in diretta” accanto a Franco Di Mare (che tornerebbe da settembre ad affiancare Elisa Isoardi in “Unomattina”), Paola Perego dovrebbe diventare la padrona di casa di “Domenica in”, subentrando a Mara Venier (alla quale spetterebbero diverse prime serate Rai). Preparatevi, dunque, al “cambio di guardia”. Raffaella Carrà – Protagonista indiscussa della seconda edizione di “The Voice of Italy” (Raidue, ogni mercoledì, ore 21.10, quasi 3milioni di spettatori in media), Raffaella Carrà sarà con molta probabilità la conduttrice di una striscia quotidiana nei prossimi mesi su Raiuno (da mandare in onda nel primo pomeriggio), affrontando tematiche trasversali. Simona Ventura – Non più fra i giudici di “X Factor”, Simona Ventura è in pole position per la nuova edizione di “Italia's got talent”, che approderà su Sky prossimamente. Fra glamour e nazional-popolare. Rita Dalla Chiesa – Il suo tormentato progetto per il pomeriggio di La7 non è andato in porto: Rita Dalla Chiesa starebbe per tornare a Mediaset, alla guida di una trasmissione “cucita su misura”. Tiberio Timperi e Massimiliano Ossini – Veronica Maya ha portato ad oltre due milioni di spettatori il suo “Verdetto finale” su Raiuno (dal lunedì al venerdì, ore 14.10): voci di corridoio non la confermerebbero per l'autunno, sostituendola con Tiberio Timperi o Massimiliano Ossini. Chi la spunterà? Giulia Innocenzi – Michele Santoro fa un passo indietro e dà spazio ai giovani: il suo “Servizio Pubblico” dovrebbe essere animato a breve da Giulia Innocenzi, per quattro puntate di fila dedicate al mondo dei ragazzi. A lui il ruolo di “grande saggio”. Paolo Bonolis e Carlo Conti – Chi fra Paolo Bonolis e Carlo Conti condurrà la prossima edizione del “Festival di Sanremo”? Nulla ancora di definitivo. L'unica certezza è che finalmente “si cambierà aria”. Piero Chiambretti – Il Pierino nazionale sarà da metà maggio deus ex machina su Italia Uno di un nuovo show: rigorosamente in seconda serata. Marco Liorni e Cristina Parodi – Cambia volto da settembre “La vita in diretta” su Raiuno: sarebbero Marco Liorni e Cristina Parodi i candidati a sostituire Paola Perego e Franco Di Mare. Manovre febbrili per ricostituire una coppia, già collaudata negli Anni '90 a “Verissimo”. Amadeus – Dopo il successo della sua partecipazione a “Tale e quale show”, Amadeus è il candidato numero uno per la nuova edizione di “Reazione a catena”, al posto di Pino Insegno. A giugno la partenza. Gianluca Doronzo

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Perturbazione


MUSICA - IL GRUPPO IN ASCESA

Il gruppo rivelazione del 64esimo «Festival di Sanremo», entusiasta del successo del brano «L'unica» (con un bel sesto posto), è in tutt'Italia con «Musica X tour» (il 17 aprile a Trento, il 18 a Treviso e il 10 maggio alla «Feltrinelli» di Rimini, fra l'altro)

«Abbiamo iniziato negli Anni '90 facendo una lunga gavetta: oggi raccogliamo i frutti delle nostre fatiche, con una popolarità inaspettata»

Un'intervista fotografica. È quella messa a punto con Tommaso Cerasuolo, voce dei Perturbazione, gruppo (in ascesa) reduce dal 64esimo “Festival di Sanremo” col brano “L'unica” (e un bel sesto posto). Fra una battuta e l'altra, durante la chiacchierata si sono susseguite “istantanee” sul momento vissuto “dai 6 amici”, forti di un percorso iniziato nel 1990 con tanti sacrifici. Ben sei album all'attivo, diversi primati (la celebre rivista “Rolling Stones” ha annoverato il loro “In circolo” fra i 100 dischi più belli di sempre) e un pop-elettronico che conquista immediatamente. In tournée con “Musica X” (il 17 aprile all' “Auditorium Santa Chiara” di Trento, il 18 all' “Home rock bar” di Treviso e il 10 maggio alla “Feltrinelli” di Rimini, fra l'altro), con la “consapevolezza di vivere una felice maturità, sorprendendo il fruitore”, l'escalation di una consolidata realtà nel panorama discografico italiano è ormai un dato di fatto. Da non sottovalutare. Domanda – Tommaso, iniziamo la nostra chiacchierata con un “mea culpa”: ammetto che negli anni vi ho ascoltato relativamente, non approfondendo i vostri pezzi. Col “Festival di Sanremo” vi ho scoperto, apprezzato e ho tifato fortemente per voi, sperando per il podio (si sono classificati sesti, ndr). Risposta – Si figuri, non si preoccupi: per noi trovare nuovi ascoltatori e, soprattutto, estimatori è un motivo d'orgoglio e crescita allo stesso tempo. Se non ci fosse stato il “Festival di Sanremo” lei non si sarebbe interessato a noi e, il che mi dispiace, non avremmo fatto questa chiacchierata, di sicuro piacevole. D . – Bene, allora iniziamo: dopo tanto “sangue, sudore e lacrime” il palco dell' “Ariston” vi ha consacrato a livello musicale, con un incremento di popolarità. Se dovesse fotografare il vostro momento, cosa sentirebbe di rispondere a caldo? R . – Il nostro è certamente un periodo entusiasmante, anche perché stiamo vivendo delle soddisfazioni che non ci saremmo mai aspettati in tempi non sospetti. “L'unica” è un brano che tutte le radio stanno trasmettendo, l'album “Musica X” sta andando bene e stiamo facendo tanti “live”, proprio come piace a noi. Siamo alle prese con un momento promozionale molto forte, anche in merito alle tv. Avversando i comparti stagni, stiamo abbattendo le barriere, facendo conoscere la nostra musica a tutti: partecipare al “Festival”, l'unica vetrina musicale importante in Italia da un punto di vista mediatico, non ci ha fatto che bene. D . – Come vede poi “l'unica” era già nel vostro dna. R . – Bravo, esatto. Lei è proprio simpatico: un piacere parlare con lei al telefono. D . – La ringrazio. Rimanendo in tema sanremese, cosa vi aspettavate dal “Festival” e cosa, soprattutto, è accaduto “al di là” delle previsioni? R . – In realtà noi siamo rimasti gli stessi di prima, non siamo cambiati. Forse la paura di esserci era più nostra che non del “Festival” in sé. Di sicuro ci aspettavamo quel frullatore mediatico che è, ma le confesso che ho trovato la manifestazione molto a “misura d'uomo”, merito della

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MUSICA - IL GRUPPO IN ASCESA

direzione artistica. Il clima era più agitato e “esagitato” fuori dall' “Ariston” che nella competizione stessa. Poi ho sentito un sacco di polemiche fini a se stesse. Noi abbiamo respirato rispetto, anche da un punto di vista umano. Un dato non irrilevante. D . – Qual è stato il commento più lusinghiero ricevuto a proposito dei vostri pezzi in gara? R . – In generale non c'è stato un dover spiegare la nostra partecipazione in gara: siamo arrivati al pubblico e la stampa ha recepito la nostra canzone, “L'unica”, fino a premiarla. Abbiamo tanto lavoro alle spalle e “Sanremo” ci ha consentito di arrivare ad un pubblico più eterogeneo e generalista. Il fatto che siamo piaciuti rimane una vittoria. La vera vittoria. D . – Che dire di Fabio Fazio? R . – Innanzitutto è una bella persona. Lui aveva avuto modo di sentire il nostro album, “Musica X”, in occasione dell'uscita su “XL”: si è interessato alla nostra musica e ha chiesto di proporre due brani. So che “L'unica” è piaciuta subito: anzi, guardi, le racconto un aneddoto che lui ha ribadito in occasione della nostra recente presenza a “Che tempo che fa”. Quando ha ascoltato i pezzi, un giorno era in macchina con suo figlio, a cui proprio il brano classificato sesto è entrato subito in mente, cantandolo. Ha dovuto bloccarlo, dicendogli che non doveva

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ripeterlo, altrimenti saremmo stati esclusi dalla gara. Si tratta di un episodio affettuoso, che non ha potuto fare a meno di lusingarci. Fabio è una bella persona, generosa e tenera. In realtà durante “Sanremo” ci siamo incrociati molto poco, ma è sempre stato presente, facendoci mettere a nostro agio. Ci siamo sentiti coccolati e voluti bene. Da ciò, secondo me, sono scaturiti i buoni risultati della kermesse. D . – Bene. Entriamo ora nello specifico del vostro album. “Musica X” è il sesto in carriera: come definirlo? Quello della maturità, della svolta? R . – Semplicemente “Musica X” rappresenta la giusta voglia di continuare a raccogliere quanto fatto negli anni, avvalendoci di una certa leggerezza. In fondo è dai tempi di “In circolo” che abbiamo iniziato a seminare e avevamo circa 30 anni. Noi condividiamo un preciso pensiero leopardiano, tratto da “Alla luna”, in cui si sostiene che “pensare ai ricordi da giovane è relativamente facile, mentre da maturi è più difficile”. Ecco: siamo in un momento di “felice leggerezza”. D . – Tra l'altro, proprio “In circolo” è stato ritenuto dalla prestigiosa rivista “Rolling Stones” fra i “cento dischi più belli di sempre”. R . – È vero, lei mi sa che ci conosce molto bene, a dispetto di quanto umilmente ha detto all'inizio della nostra chiacchierata.


MUSICA - IL GRUPPO IN ASCESA

Ciò mi lusinga. “In circolo” è stato il frutto di tanti anni di lavoro, consentendoci di “uscire” dalle nostre mura, cercando di farci lasciare un posto, una piccola traccia nel cuore dell'ascoltatore. Ancora oggi risulta un disco attuale per tematiche e sonorità. D . – Non solo: ma vantate diversi primati in carriera, uno dei quali è in merito al vostro “Pianissimo Fortissimo”, primo album italiano lanciato in streaming, venduto su MySpace. R . – Confesso che abbiamo sempre cercato di usare in maniera costruttiva il web, tentando di sperimentare e di essere dei pionieri in alcuni campi. Ci siamo messi in gioco. Anche, per esempio, prima che chiudesse “XL”, abbiamo provato a fare un disco di inediti, mettendolo in allegato con l'uscita di un magazine. Ci piace essere sempre in movimento, avere idee e creatività. D . – Qual è il suo punto di vista sui cosiddetti “talent show”? R . – In generale la sensazione è che per i giovanissimi sia più facile oggi emergere: quando abbiamo iniziato noi nel 1990 abbiamo dovuto affrontare difficoltà, porte sbattute in faccia e, come giustamente ha detto lei all'inizio dell'intervista, abbiamo fatto fronte a “sangue, sudore e lacrime”. Venire fuori dalla propria città non è semplice, cercando di farsi conoscere e far

diffondere il proprio messaggio. Tutte istanze non facili, se non supportate da qualcuno. Oggi mi sembra sia tutto un po' più annacquato, essendosi quasi abbassata la soglia d'attenzione. Il “talent” è certamente un canale privilegiato e va bene per chi vi partecipa: ma non bisogna illudersi. Io, tuttavia, sono del parere che nella vita non ci si debba mai perdere d'animo. Noi abbiamo suonato nelle situazioni più improbabili e oggi siamo qui a parlarne. Ragazzi, non dovete perseguire il “mordi e fuggi”. I percorsi seri si costruiscono alla lunga, con perseveranza, pazienza e tanta passione. D . – Come vorreste potesse proseguire il vostro percorso? R . – Ci piacerebbe suonare al “Super Bowl” e davanti a “Papa Francesco”. Le va bene (e ride, ndr)? D . – A me va bene tutto. E non mi resta che augurarvelo. Veniamo a noi, Tommaso: ad epilogo, immagini i Perturbazione allo specchio. Come si riflettono oggi? R . – Si riflettono come sei amici che suonano da tanto assieme, vivendo una felice maturità, pronti puntualmente a sorprendere il fruitore, senza mai stancarlo. D . – Abbiamo, pertanto, scattato “una fotografica” come all'inizio della nostra chiacchierata. R . – Ottimo, Gianluca. Grazie di cuore. Gianluca Doronzo

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Sal Da Vinci


MUSICA - IL RITORNO

Sal Da Vinci, terzo classificato a «Sanremo» nel 2009, dopo due anni d'assenza torna sulle scene musicali con l'album «Se amore è», prodotto da Celso Valli: 11 brani (8 inediti) «sinceri e intimi», raccontando anche il fenomeno del «femminicidio» in «Chiamo te» col rapper Clementino

«Ho fatto concerti sold out a New York, Parigi e Roma, ma sento di essere sempre all'inizio del mio percorso»

“Un album sincero e intimo”. Con incisività e convinzione, Sal Da Vinci illustra le linee guida che hanno motivato la sua rentrée sulle scene musicali, a due anni di distanza da “È così che gira il mondo”, manifestando le varie declinazioni del sentimento in “Se amore è” (11 tracce, con 8 inediti), prodotto da Celso Valli, con omonima tournée teatrale in tutt'Italia. In maniera molto delicata e intensa, al telefono descrive il suo momento magico (“sono stato a New York, Parigi e Roma in concerto, registrando puntualmente sold out”), raccontando la genesi di alcuni pezzi (“Chiamo te” con Clementino affronta, ad esempio, il tema del “femminicidio”) e le collaborazioni illustri che arricchiscono il suo universo (da Gigi D'Alessio a Gaetano Curreri, fra gli altri). E chissà che, dopo “quel terzo posto” al “Festival di Sanremo” nel 2009, non torni prossimamente nuovamente in gara sul palco dell' “Ariston”! In molti l'aspettano. Domanda – A due anni da “È così che gira il mondo”, torna sulle scene musicali con “Se amore è”, album di 11 tracce e 8 inediti: stando a quanto dichiarato da lei in queste settimane, si tratta di un lavoro che “vuole arrivare dritto al cuore, fra sentimento e passione”. Risposta – A mio avviso siamo dinanzi ad un album sincero: naturalmente ne sono coinvolto in maniera molto intima. Sento che mi appartiene, soprattutto perché affronto tematiche molto delicate come il “femminicidio”, di scottante attualità. Rifletto su quanta paura ci sia oggi dinanzi ad un simile fenomeno, in crescita esponenziale. A me preoccupa la situazione nella quale stiamo vivendo e vorrei proteggere gli adolescenti da quanto di brutto accade. Ho una figlia e non vorrei mai corresse alcun pericolo nella sua vita. Spererei di essere sempre al suo fianco. D . – Il pezzo sul “femminicidio” s'intitola “Chiamo te” ed è cantato in duetto col rapper Clementino. R . – Bravo, esatto. Clementino, ottimo rapper, è la prima volta che scrive con me: ammetto che il risultato è davvero notevole. Lui ha una bella sensibilità nella stesura dei testi ed io ne sono lusingato. Nel pezzo ho voluto sensibilizzare, le ripeto, l'opinione pubblica su quello che sta succedendo. Credo che a commettere atti di violenza siano persone fortemente disturbate, sebbene il tutto arrivi ad epilogo di repressione e malessere, dopo aver covato a lungo. È una cosa terribile: noi cantautori abbiamo, secondo me, l'obbligo di motivare la discussione su ciò che succede, rimanendo sempre nell'ambito della musica leggera. D . – Prima ha parlato di sua figlia: se non erro, le ha dedicato “Chiara”. R . – In un album d'amore non potevo fare a meno di dedicare un pezzo a mia figlia: oggi spesso non troviamo le parole per manifestare i nostri sentimenti. Quello che ho messo a punto è un atto d'amore di un padre nei confronti della figlia, vedendola crescere, esprimendo il desiderio di non abbandonarla mai, standole puntualmente accanto. Mi commuove. D . – Nella sua straordinaria sensibilità, Sal, si mette in atto anche un mea culpa dell'universo maschile in “Perdona”,

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MUSICA - IL RITORNO

canzone sul tradimento. R . – Di solito i maschietti fanno fatica a chiedere perdono, quando sbagliano: nelle varie declinazioni dell'amore, ho affrontato anche il tema del tradimento, mettendo un uomo dinanzi ai suoi errori nei confronti della donna amata. Bisognerebbe imparare dagli errori. D . – Passando in rassegna i suoi pezzi, c'è anche un duetto con Gigi D'Alessio in “Non riesco a farti innamorare”, con cui lei si è classificato terzo al “Festival di Sanremo” nel 2009. R . – Nonostante si tratti di un album d'inediti, non potevo fare a meno di ricordare il pezzo che mi ha dato la grande popolarità, facendomi conoscere a tutti gli italiani. “Non riesco a farti innamorare” è stata scritta proprio da Gigi D'Alessio e Vincenzo D'Agostino: mi sembrava doveroso riproporla in duetto. Vorrei, inoltre, dirle che gli inediti presenti in “Se amore è” sono stati messi a punto col giovane Luca Sala, nato a Milano ma pugliese nell'anima. Si tratta di un ragazzo che mi ha affascinato per il suo talento dal primo momento in cui l'ho incontrato: me ne sono, per così dire, “innamorato” artisticamente. Sono davvero contento di averlo accanto in questa avventura. D . – Fra le collaborazioni più illustri nel disco figura quella di Gaetano Curreri in “La vera bellezza”. R . – Eh, Gaetano è stato davvero un valore aggiunto per l'intero album. Mi sono avvalso della sua collaborazione, come di quella di Celso Valli (che produce il disco): ricordo che la genesi di quel brano è stata un giorno a Bologna, dinanzi ad un quadro a “Palazzo Fava”. Code chilometriche di persone erano in fila per assistere ad una mostra, con veri gioielli dell'arte mondiale. Ne rimasi talmente affascinato da proporre a Gaetano di scrivere un pezzo sulla bellezza, in virtù di una melodia che avevo messo a punto. Assieme a Saverio Grandi ha ideato il testo ed è nata “La vera bellezza”. D . – Di recente è stato a New York, Parigi e Roma, riscuotendo un enorme successo: se l'aspettava? R . – Sono stato a New York, città nella quale sono nato, per la prima volta a cantare: un'emozione unica e davvero mi ha riempito il cuore. A Parigi è stato magico: mi è arrivata tutta l'energia del pubblico e ci tornerò il prossimo anno per altre due date. Da Roma ha avuto inizio il mio tour, in occasione dell'uscita del nuovo disco: sono stato accolto a braccia aperte, con un autentico “sold out”. Per non parlare di Napoli, dove ogni sera in teatro fino al 30 marzo non c'era più un posto libero. E ci stiamo riferendo a strutture di 1480 posti: in tempi di crisi come questi, il fatto che “a scatola chiusa” il pubblico venga a vederti, pagando un biglietto, è un'attestazione di stima, affetto e passione senza precedenti. In fondo il disco è uscito solo il 25 marzo e dal 27 era già tutto esaurito. Mi sembra, onestamente, di tornare agli Anni '80, quando si faceva di tutto per andare a seguire il proprio beniamino musicale, in occasione delle sue tournée. D . – Prima abbiamo citato il pezzo che l'ha fatta classificare al terzo posto al “Festival di Sanremo” nel 2009: che pensa dell'edizione di quest'anno? Tornerebbe in gara?

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MUSICA - IL RITORNO

R . – Mi sembra, stando a quanto ho anche potuto evincere sui social, che sia stata forse un'edizione leggermente sottotono. La coppia di conduttori era stata già vista lo scorso anno e gli ascolti si sono rivelati anche un po' in calo. Io non ho seguito tutte le serate, ma ho sentito varie polemiche e lamentele, ad esempio, sull'assenza di esponenti della mia terra, da sempre sinonimo di popolarità e audience. C'è stato un volume, per così dire, basso. In quanto alla gara, certo che ci tornerei: c'ho anche provato quest'anno, ma mi hanno tenuto sulle spine fino quasi all'ultimo, dicendo che poi alla fine è solo un gioco. Sinceramente io non vado a “Sanremo” per giocare, bensì per portare un lavoro nel quale credo, con tanti altri che ci credono assieme a me. D . – A che punto, Sal, sente di essere nel suo percorso? R . – Forse sono all'inizio: c'è sempre tanto da migliorare, sempre. Non è facile, caro Gianluca, mettere su un progetto come “Se amore è” da solo, ma sono contento di aver saputo che dal 25 marzo è uno dei dischi più venduti da “Feltrinelli”, ad esempio. Mi auguro che tutto questo possa continuare e aumentare esponenzialmente. Io mi produco anche lo

spettacolo che sto portando in scena, dall'omonimo titolo del disco, e do lavoro a ben 34 famiglie: sono, pertanto, soddisfatto del mio essere un piccolo imprenditore, in tempi come questi. D . – Cosa si aspetta da “Se amore è”? R . – Io vorrei portare la gente a teatro, motivandola a credere nel mio progetto fortemente. Vorrei parlare d'amore, come faccio nei miei album: in questo periodo non facile nella nostra vita, in apparenza senza via d'uscita, se non affrontiamo tematiche positive volendoci bene, cosa facciamo? Le persone sono afflitte dai problemi quotidiani, dalla mattina alla sera: non ne possono più di tragedie. Che cosa ci rimane se non l'amore? D . – Di conseguenza vorrebbe continuare a parlare d'amore anche nei suoi prossimi lavori: no? R . – Vorrei continuare a parlare delle varie sfaccettature dell'amore. Guardi, anche io e lei stiamo dialogando con amore al telefono, con molta delicatezza, senza alcuna violenza. Questo è bello, perché c'è della condivisione, del rispetto e della sana sensibilità. Io sono fatto così. Gianluca Doronzo

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Paolo Ruffini


MUSICAL - L’INCONTRO

Paolo Ruffini sta vivendo un periodo di «grandi soddisfazioni» fra cinema («mi appresto alla mia seconda regia»), tv (è su Italia Uno, dal lunedì al venerdì alle 15.25, col programma «Vecchi bastardi») e teatro con la «Compagnia della Rancia» in «Cercasi Cenerentola», al «Team» di Bari il 12 e 13 aprile, rispettivamente alle 21.00 e 18.30

«È bello sognare e noi portiamo in scena una favola moderna, cercando di far evadere il pubblico dalla solita routine»

“Oggi più che mai abbiamo bisogno di sognare”. Per questo Paolo Ruffini ha deciso di interpretare il ruolo del “Principe” nel musical “Cercasi Cenerentola”, per la regia di Saverio Marconi, prodotto dalla “Compagnia della Rancia”, al “Team” di Bari il 12 e 13 aprile, rispettivamente alle 21.00 e 18.30. Fra i giovani più promettenti nel mondo dello spettacolo, sta vivendo davvero una “stagione intensa” in un mix di tournée, cinema (“mi appresto alla mia seconda regia”) e tv (dal lunedì al venerdì alle 15.25 è protagonista su Italia Uno di “Vecchi bastardi”), sentendosi quasi “un artigiano al servizio del lavoro offerto”. Con la speranza che “canto, ballo e recitazione possano migliorare la vita”, amando profondamente quello che si fa. Domanda – Paolo, rispetto alle sue precedenti performance nel musical, cosa rappresenta “Cercasi Cenerentola”? Risposta – Rappresenta una grande soddisfazione. Vivere la dimensione del musical grazie alla “Compagnia della Rancia” è davvero meraviglioso, soprattutto perché si respirano affetto, umanità e tanta, ma le dico tanta professionalità. È come sentirsi in famiglia. Il valore aggiunto poi è costituito dal regista Saverio Marconi, pronto a valorizzarti e cucirti su misura “gli abiti” da indossare sul palco, delineando personaggi molto belli. Io non posso che essere felice di vivere un'esperienza come quella di “Cercasi Cenerentola”, anche perché si tratta di una favola e, oggi più che mai, abbiamo bisogno di sognare. D . – Il musical, al di là delle altre forme espressive nel mondo dello spettacolo, potremmo ritenerlo il genere più completo, anche in relazione alle potenzialità da valorizzare? R . – Il musical è un genere meraviglioso. Sono del parere che l'arte dovrebbe migliorare la vita: nel ballo, canto, musica e recitazione ci sono tutti gli ingredienti per poter mettere a punto la quotidianità al meglio, affrontandola con divertimento e tanta curiosità. Sul palco io sono felice: in realtà io non sono né un cantante, né un ballerino. Eppure negli ultimi anni sono stato coinvolto in progetti “da musical”, nei quali mi ci sono buttato a capo fitto e, con molta umiltà e leggerezza, ho ottenuto buoni risultati. Viva l'arte. D . – Come valuta i suoi compagni di scena? R . – Credo che Saverio Marconi abbia messo su un ottimo cast. Ogni esponente dà il meglio di sé, mettendosi uno al servizio dell'altro: abbiamo la fortuna di annoverare un gruppo di grandi professionisti, muovendoci tutti nelle condizioni di estrema efficienza. Qui apro una parentesi su un concetto: l'antitesi fra professionalità e “amatoriale”. Dico questo perché spesso sento proprio l'ultimo termine, quando leggo articoli un po' critici rispetto a chi non viene nello specifico da un preciso genere che interpreta. Vorrei solo spiegare che la parola “amatoriale” ha in sé la radice dell'amore: chi fa qualcosa a livello “amatoriale”, lo fa perché ama. Ciò non è da condannare. L'amore va sempre bene. Amatoriale non è da intendersi in una connotazione negativa. La “Compagnia della Rancia” è una garanzia dei suoi spettacoli da anni, ama ciò che fa e le persone coinvolte, a loro volta, amano quello che mettono a punto. Siamo tutti davvero contenti di essere parte

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di un gran bello spettacolo. D . – Finora lei ha espresso due concetti da mettere ben in evidenza: “l'arte dovrebbe migliorare la vita” e “amatoriale non è da intendersi in maniera negativa”. R . – Ma sì, Gianluca: troppo spesso ci si prende sul serio, esagerando con le parole. Chi guarda o giudica, dovrebbe un attimo rilassarsi e fruire al meglio ciò che vede, evitando pesantezza. Ci si dovrebbe tutti quanti muovere lungo le linee dell'arte e dell'amore. D . – Condivido, Paolo. Cambiamo un attimo argomento e passiamo al cinema italiano: che fase sta vivendo e, soprattutto, cosa pensa del film “Premio Oscar” di Paolo Sorrentino “La grande bellezza”? R . – Guardi, credo che la situazione cinematografica attuale in Italia sia la vera “grande bellezza”. Il problema fondamentale è che noi siamo un Paese in cui il successo non si perdona proprio a nessuno, quasi lo si dovesse punire e condannare. In realtà, onestamente, credo che sia sul grande schermo che in tv si vivano dei bei momenti, nonostante tutti ripetano quanto “prima fosse più bello, questo o quello”. Di sicuro un tempo, a

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livello registico, c'erano i grandi maestri: oggi, però, abbiamo a che fare con i vari Virzì, Garrone e Sorrentino che raccontano benissimo, a mio parere, il nostro tempo. Moltissimi rimpiangono i fasti del “Drive in”, ma una volta “Le iene” se le sognavano soltanto. Che voglio dire? Che ogni cosa è giusta nella sua collocazione. Tornando al cinema, oggi ci sono di sicuro delle pellicole bellissime, ma non dobbiamo ritenere chi critica più intelligente degli altri. Non è un sillogismo sempre esatto. I film italiani sono vivissimi, interessanti, fotografano il nostro modo di essere e credo si motivino ancora gli spettatori ad andare al cinema, da soli o in compagnia di amici, spaziando nei generi. La seconda parte della sua domanda affronta il mio giudizio sul film “La grande bellezza”: a me è piaciuto tantissimo, ancor prima che vincesse l' “Oscar”. Tra l'altro, trasmesso in tv, è stato visto da quasi 9milioni di spettatori, con oltre il 30% di share: ci sarà pure una ragione, no? Con Sorrentino abbiamo avuto l'occasione di tornare a far parlare di noi nel mondo: cosa che non accadeva da anni. Evviva! D . – In tv ha condotto tantissimi programmi: attualmente è


MUSICAL - L’INCONTRO

protagonista del pomeriggio di Italia Uno alle 15.25 con “Vecchi bastardi”. Una novità, no? R . – Si tratta di un programma nuovo, sulla falsa riga di “Amici miei”: finalmente Italia Uno è tornata ad investire su una fascia pomeridiana, latitante da anni. Io inizio alle 15.25 facendo ridere e divertire: ne sono felice. Con candid affronto anche il tema dell'anzianità, a me molto caro, visto che sono sempre stato al fianco di associazioni dedicate agli “over”. Il tutto è fatto con molta goliardia, senza prendersi troppo sul serio. Non dimentichiamo che in Italia i nonni sono una risorsa fondamentale: i sedicenni d'oggi, ad esempio, si confidano più con un anziano che con i propri genitori. C'è un accordo, si respira un'intesa transgenerazionale. In tv poi si rischia di trattare il tema della terza età con pesantezza e pedanteria: noi ci prenderemo in giro. D . – Cosa vorrebbe potesse accadere per il proseguimento del suo percorso? R . – Sinceramente non lo so. Mi piace la “dispersione”: forse mi trovo a mio agio con tutto e con niente. Io ho sempre in testa l'esempio del lavoro di un vecchio artigiano che, quando ero

piccolo, “operava” vicino casa mia, facendo davvero di tutto. Ecco: io mi sento un po' un “artigiano” al “servizio di”. Quello che mi chiedono faccio e non le nascondo che, per ora, sono proprio contento così. Il fascino che subisco dal mondo dello spettacolo è proprio quello di non “essere catalogabile” in nulla: qualsiasi nuova impresa mi stimola e fa stare bene. È una “grande bellezza”. D . – Paolo, siamo alla fine del nostro viaggio in questa chiacchierata: metaforicamente allo specchio, come si riflette oggi? R . – Sono contento. Pensi che il mio prossimo film vorrei intitolarlo “Tutto molto bello”. E sarà così. Dobbiamo fare tanto nella vita, puntualmente nella direzione del “meglio”: bisogna guardare chi si ha accanto, comunicando con le persone, avendo la facoltà di proporre nuovi progetti, idee e creatività, con uno spirito sereno, tranquillo e costruttivo. Io sto crescendo, mantenendo sempre una parte intatta di me, ma allo stesso tempo cercando qualcosa di bello in quella che si chiama VITA. Non aggiungo altro. Gianluca Doronzo

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Manuel Frattini


MUSICAL - L’INCONTRO

Vincitore per ben tre volte del «Premio alla carriera»: il camaleontico Manuel Frattini dà vita a «Rodrigo» nel musical «Cercasi Cenerentola» di Saverio Marconi, prodotto dalla «Compagnia della Rancia», il 16 e 17 aprile all'«Europauditorium» di Bologna, accanto a Paolo Ruffini, Beatrice Baldaccini e Roberta Miolla

«Il teatro mi ha dato tanto: sogno un sano ritorno del varietà in tv e una commedia musicale al cinema»

Ha vinto per ben tre volte il “Premio alla carriera”. E non è un caso che la sua personalità camaleontica (balla, danza e recita con estrema disinvoltura) sia fra le più illustri nel mondo del musical. Manuel Frattini è un esempio di “pulizia, eleganza e passione” sul palco: tante tournée in tutt'Italia per anni, partecipazioni televisive (“spero in un ritorno al sano varietà”) e un sogno (“vorrei mettere a punto una commedia musicale sul grande schermo”). Attualmente sta vestendo i panni di “Rodrigo” in “Cercasi Cenerentola”, per la regia di Saverio Marconi, con produzione della “Compagnia della Rancia” (il 16 e 17 aprile all' “Europauditorium” di Bologna, fra l'altro). Entusiasta dei colleghi “di viaggio” (da Paolo Ruffini a Beatrice Baldaccini, “scelta fra 500 aspiranti candidate”), non può che continuare ad auspicarsi un “percorso puntualmente ricco di sorprese e sorrisi”, dando estrema fiducia ai “talenti del futuro”. Domanda – Manuel, con “Cercasi Cenerentola” si conferma uno degli esponenti più talentuosi del musical italiano: quale valore sente di aver aggiunto al suo percorso con una simile performance? Risposta – Sono convinto che questo spettacolo arrivi al momento giusto nella mia carriera, non snaturando per nulla quello che ho fatto in passato: mantengo intatta la mia identità poliedrica ma, allo stesso tempo, affronto un'esperienza diversa. Come dirle: mi sto cimentando in una formula insolita di teatro. Io e Paolo Ruffini siamo molto diversi per formazioni e provenienze, eppure così complementari sulla scena: passo da una scuola all'altra, animando anche momenti di improvvisazione col pubblico, cosa che non avevo mai provato prima. E, soprattutto, mi diverto. Nella favola che andiamo a raccontare vesto i panni di “Rodrigo”, il cui compito è quello di badare ad un principe sui generis, che ne combina di ogni colore. Sul palco siamo una squadra trasversale, affiatata e davvero piena di ritmo, energia e passione. D . – Ha citato Paolo Ruffini: come valuta il resto del cast? R . – Credo sia stato messo su un allestimento ottimo. Con questo spettacolo torno a casa, lavorando nuovamente con la “Compagnia della Rancia”, dopo un po' di anni. Loro sono stati i pionieri del musical in Italia e posso dire davvero di sentirmi coccolato, con tanto affetto e stima: lo affermo con tutta la consapevolezza del caso, visto che in passato ho lavorato con produzioni molto meno organizzate. Saverio Marconi è una garanzia per noi professionisti dello spettacolo. Siamo in 11 sul palco, neanche tantissimi, ma con lo spirito giusto, l'uno al servizio dell'altro. E poi raccontiamo una favola moderna che fa sognare, divertire e commuovere. D . – Certo: lì dove ci sono i sentimenti, c'è sempre commozione arrivando al cuore. Rimanendo in tema di musical: che fase sta vivendo in Italia? R . – Non nascondo che sia un momento difficile, a causa della crisi e della mancanza di investimenti in tanti progetti. Ma io vorrei che proprio questo periodo “non facile” fosse propedeutico a fare una sorta di scrematura, lasciando in piedi almeno la qualità. Il musical è un genere che va tutelato e non maltrattato. Dobbiamo tutti quanti fare in modo che la

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professionalità abbia la meglio, non perseguendo cifre grossolane e superficiali. D . – Manuel, a che punto del suo percorso sente di essere? R . – (Dopo un attimo di pausa e una risata al telefono, ndr) Credo, in tutta onestà, che una domanda del genere non me la farò mai. Le faccio un esempio: di recente a Torino, in occasione della tournée del nostro spettacolo, sono stato protagonista di una master class e ho detto ai ragazzi di non darsi delle scadenze. Spesso, infatti, in questi anni ho avuto a che fare con giovani, convinti che se entro un paio d'anni non fosse accaduto nulla, avrebbero cambiato strada. Sbagliato. Nella vita non bisogna mollare mai. Io, pertanto, non so a che punto sia del mio percorso: continuo a fare tutto quello che faccio, con lo stesso entusiasmo degli inizi. Senza definirmi in quale fase del cammino sia. D . – Siamo in un momento in cui televisivamente c'è un'esponenziale inflazione di “talent show”: cosa significa

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realmente avere talento? R . – Guardi, di talento c'è in giro. Per quel che riguarda la tv ammetto di guardarla poco, un po' per mancanza di tempo e un po' perché mi sono stancato di reality e “talent”. Non nascondo, però, che se un “Amici” fosse esistito ai tempi dei miei esordi, forse avrei cercando di parteciparvi. Detto questo, ribadisco che di talento ce n'è tanto anche in fase di audizioni: per la nostra “Cenerentola” Saverio Marconi ha voluto bandirne una per sceglierla. Avrebbe potuto anche “pescare” dalle tante attrici e cantanti con cui ha avuto modo di lavorare in passato. Invece ha voluto fare dei veri e propri provini: si sono presentate ben 500 aspiranti protagoniste, una più brava dell'altra. C'è stata molta difficoltà nella scelta definitiva: va da sé che poi si arriva ad una sola perché si rispettano i canoni di bellezza, fisicità, qualità canore e molto altro. D . – Lei ha detto di non guardare particolarmente la tv, ma siamo nel suo 60esimo anniversario: ritiene possibile un


MUSICAL - L’INCONTRO

ritorno al sano varietà d'una volta? R . –Io sono convinto che il varietà possa tornare ad essere un genere protagonista sul piccolo schermo: la gente ha bisogno di pulizia, sano intrattenimento ed eleganza. Io ricordo che non uscivo il sabato sera per rimanere incollato davanti alla tv, assistendo ai vari “Fantastico”: le sigle diventavano delle vere e proprie hit; il balletto aveva grande spazio; ospiti internazionali si susseguivano di puntata in puntata. Si respirava l'emozione della diretta di un evento. Per non parlare di quello che è accaduto, andando ancora più indietro negli anni, con l'intrattenimento storico dei grandi della tv. Ho sperato, sinceramente, che con Fiorello potesse ripresentarsi un pochino un genere ormai sparito: ho creduto che le sue trasmissioni potessero essere una piccola “lanternina” per tutti. Purtroppo si è trattato di un episodio isolato, bello ed elegante, ma senza alcun seguito per altri colleghi. E mi è dispiaciuto. Ciò non toglie che in futuro, svecchiandolo nella maniera più giusta, non ci sia un ritorno al varietà. Chissà! D . – Anche perché il pubblico ha bisogno di pulizia, evasione pura e sincerità in quello che vede, senza false maschere o filtri di sorta. R . – Sicuramente. Io ho vissuto la tv proprio nel momento in cui si sono fatti gli ultimi varietà: pian piano ho visto che si stava spegnendo come genere. Si prediligeva la diretta, non si facevano più quattro/cinque cambi per i balletti, si limitavano gli ospiti. Un peccato. Fatto sta che non bisogna disperare: usando il buon gusto e tanta creatività, si potrà tornare ai fasti del sabato sera, investendo sulle idee giuste. D . – Come vorrebbe potesse proseguire il suo percorso? R . – Così come sta andando ora: sono veramente felice di quello che ho raggiunto e messo a punto in maniera eterogenea. Ho, tuttavia, da sempre un piccolo sogno: fare del cinema a livello musicale. Ci sono tanti talenti italiani sui quali si potrebbe scommettere: basterebbero nuovi registi, autori, attori e costumisti per mettere su una sana e bella commedia musicale sul grande schermo. D . – Il che sarebbe anche una novità per l'Italia. R . – Esatto. C'è sempre un po' una sorta di timore nel voler investire e scommettere su idee simili. Ma mai dire mai. Non sappiamo cosa potrà avere in serbo il futuro per noi. D . – Metaforicamente allo specchio, come si riflette oggi Manuel Frattini? R . – Mah, come una persona che ha preso pian piano coscienza del percorso fatto. Se penso di aver ricevuto per ben tre volte il “Premio alla carriera”, mi sembra davvero una sorpresa bellissima che la vita mi ha riservato. E non lo dico per autoreferenzialità, ma perché ho difficoltà a pensare sia reale tutto ciò. Ecco, alla luce di quanto appena detto, forse oggi sono un po' più consapevole, ma con lo stesso entusiasmo degli esordi, senza perdere mai freschezza, voglia di mettermi in discussione e tanta originalità. Bisogna sorridere sempre, avversando il grigiore di questi giorni e del periodo che stiamo vivendo. Gianluca Doronzo

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Beatrice Baldaccini


MUSICAL - LA GIOVANE PROMESSA

Scelta fra «500 candidate», la promettente Beatrice Baldaccini è protagonista del musical «Cercasi Cenerentola», per la regia di Saverio Marconi, dal 25 aprile al 4 maggio all'«Augusteo» di Napoli, con Manuel Frattini e Paolo Ruffini

«Mi sento molto fortunata: avere talento significa non solo saper fare bene qualcosa, ma anche essere disposti a tanti sacrifici»

Si sente “fortunata” nella vita. Ed è convinta che avere talento significhi non solo “saper fare bene qualcosa, ma essere anche e soprattutto disposti a sottoporsi a tanti sacrifici, con una buona componente caratteriale ed emotiva”. Beatrice Baldaccini è una lucchese ad hoc, con un curriculum artistico di tutto rispetto: un esordio nel teatro musicale a 18 anni; un primo lavoro importante dal titolo “Il mondo di Patty”; tanta voglia di studiare canto, ballo, recitazione e il sogno di essere entrata a far parte della famiglia della “Compagnia della Rancia”, dopo aver superato un provino con “ben 500 candidate”. In queste settimane, infatti, è protagonista “con divertimento” di “Cercasi Cenerentola”, per la regia di Saverio Marconi, con Manuel Frattini, Paolo Ruffini e Roberta Miolla (dal 25 aprile al 4 maggio all' “Augusteo” di Napoli). Al telefono non può che manifestare il suo “periodo particolarmente felice”. Domanda – Beatrice, in che modo sta vivendo la sua esperienza nel musical “Cercasi Cenerentola”? Emozioni, stati d'animo, desideri? Risposta – Io ho iniziato a fare teatro musicale a 18 anni: il mio primo lavoro importante è stato “Il mondo di Patty”. Con “Cercasi Cenerentola” debutto con la “Compagnia della Rancia”, da sempre la numero uno in merito alle produzioni spettacolari: essere al servizio di Saverio Marconi non può che rendermi entusiasta. D . – Tra l'altro, so che superare il provino non è stata una passeggiata per lei: Manuel Frattini, suo compagno di scena, mi ha detto in un'intervista che si sono presentate alle selezioni per il suo ruolo ben 500 candidate, una più talentuosa dell'altra. R . – Esatto: Manuel ha detto proprio bene. Il provino è stato davvero faticoso, ma lavorare con Frattini e Ruffini è un gran bel divertimento. Da loro s'impara ogni sera in scena e mi sembra come di essere parte di un sogno. D . – “Divertimento” è il motivo conduttore che è venuto fuori da tutti gli intervistati del musical “Cercasi Cenerentola”. R . – Perché è proprio così. Stiamo bene non solo sul palco, dove siamo tutti quanti affiatati, ma soprattutto da un punto di vista umano e personale. Davvero un gran bel cast. D . – Parlavamo del suo provino prima: cosa ha vissuto nel momento in cui le hanno dato la notizia di averlo superato? R . – Premetto che abbiamo aspettato un mese prima di avere la notizia di chi fosse entrato nel cast definitivo: quando Saverio Marconi mi ha scelta, è stato un po' come superare l'esame di Stato o laurearsi. Ho provato un'immensa e indescrivibile soddisfazione: immediatamente ho chiamato mia madre per gioire con lei. Emozioni allo stato puro. Da non credere. D . – Che fase sta attraversando, Beatrice, il musical italiano? R . – Non è un periodo facile per il teatro in generale, un po' per la crisi e un po' per la mancanza di fondi. Ma credo che non sia un momento semplice per nessun lavoro in questo periodo, sia per l'arte che per la quotidianità. D . – Anche per i giornalisti non è un momento facile.

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MUSICAL - LA GIOVANE PROMESSA

R . – Ecco, me lo conferma anche lei in merito alla sua professione. Detto questo, però, noi che stiamo lavorando con la “Compagnia della Rancia” dobbiamo ritenerci fortunati e privilegiati. Non solo perché siamo operativi in tournée da un po', riempiendo i teatri ogni sera, ma soprattutto per il fatto che per due ore garantiamo intrattenimento ed evasione a chi ci viene a guardare, scrollandosi di dosso tutto il grigiore che è fuori. D . – Il musical, dunque, rappresenta la forma espressiva a lei più congeniale, alla luce della versatilità nel canto, ballo e recitazione?

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R . – Devo dire di sì: potendo sia recitare che cantare per me è il genere prediletto, senza ombra di dubbio. Fatto sta, però, che io non ho ancora deciso cosa voglia fare da grande. D . – Mi ha proprio preceduto, perché avrei voluto chiederle in che modo vorrebbe potesse continuare il suo percorso. R . – Io non lo so ancora di preciso cosa voglia fare da grande, glielo ripeto. Ad esempio, ho un progetto discografico in ballo con pezzi miei da cantare. Principalmente ho, però, la convinzione che per fare il musical si debba essere dei bravi attori: di conseguenza vorrei potenziare la sfera recitativa sempre di più, magari facendo anche del cinema. Sarebbe un


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altro sogno che si avvera. D . – Ad un giovane che volesse fare del mondo dello spettacolo la sua strada, cosa si sentirebbe di suggerire profondamente? R . – Innanzitutto sono del parere che se decidi di intraprendere questa strada, devi necessariamente fare qualche sacrificio: io, ad esempio, sono andata via di casa a 18 anni e non è stato facile perdere una parte dell'adolescenza per seguire il mio sogno. Vorrei far capire che bisogna mantenere sempre i piedi per terra, con umiltà, rispetto per quello che si fa e, in particolar modo, per i tuoi colleghi. Puoi anche essere il più bravo del mondo ma, se come diciamo noi a Lucca sei una “testina”, non vai da nessuna parte. Rendersi disponibili è fondamentale. D . – Anche perché un grande talento senza una buona componente caratteriale non va proprio da nessuna parte. R . – Giusto, Gianluca. Se alla fine bisogna scegliere qualcuno, chi ha la parte emotiva più viva è il prediletto. Nella valutazione conta anche e soprattutto la persona, non solo la bravura. D . – Chi stima maggiormente fra i colleghi incontrati nel suo percorso finora? C'è un insegnamento che ha interiorizzato fortemente? R . – Ho avuto la fortuna di lavorare con persone fantastiche: ultimamente mi è stato dato il consiglio di schioccare le dita prima di andare in scena. Sa, noi teatranti siamo un po' psicopatici e facciamo dei gesti tutti particolari, quasi scaramantici (e dopo una risata riprende, ndr). Ora, al di là di tutto, penso che Manuel Frattini sia una persona fantastica: tu lo guardi e ti stupisci di come sia professionale, completo e meraviglioso. Anche la “Matrigna”, interpretata da Laura Di Mauro, è super. Per non parlare di Paolo Ruffini, che ogni sera porta in scena la verità. Non posso che confermarle quanto il nostro sia un cast fantastico. D . – Bene, Beatrice: siamo velocemente arrivati all'epilogo della nostra chiacchierata. Metaforicamente allo specchio: come si riflette a questo punto della sua giovane vita? R . – In questo preciso istante mi sento fortunata: mi sa che gliel'ho ripetuto centomila volte in questa intervista, ma lo dico ancora per l'ennesima. D . – Guardi, stia tranquilla: inserirò il concetto anche nel titolo, così siamo già a posto. R . – (Dopo una risata comune, ndr) Benissimo. Ha visto? Le ho già alleggerito il lavoro e non dovrà faticare più di tanto per mettere a punto il titolo dell’intervista. Ora, scherzi a parte, mi sento particolarmente bene in questa fase della mia vita, anche se a tratti avverto un po' di malinconia per la lontananza degli affetti e di mia madre, ad esempio. E, giusto per concludere, sono cosciente, realista, ma anche ambiziosa. Beh, le ho detto tutto, proprio tutto e non avrei potuto fare il contrario (e l'intervista si conclude all'insegna di una sana risata per entrambi, ndr). Gianluca Doronzo

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Roberta Miolla


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Il suo punto di riferimento è la coreografa Stella Ciliberti, ha partecipato alla sesta edizione di «Amici» e ha all'attivo lavori con Daniel Ezralow: la pugliese Roberta Miolla è attualmente in «Cercasi Cenerentola» di Saverio Marconi, nel ruolo di «Genoveffa», con produzione della «Compagnia della Rancia»

«Ho iniziato con la danza, ma pian piano il musical è diventato il mio genere preferito nel mondo dello spettacolo»

“Lei è una delle poche insegnanti d'Italia: forma non solo da un punto di vista professionale, ma anche umano”. Roberta Miolla al telefono parla con affetto e stima della sua Maestra, volutamente con la maiuscola, Stella Ciliberti (dalla quale sempre più “talenti made in Puglia” hanno spiccato il volo per la ribalta nazionale). Una lunga formazione anche all'estero, tanta gavetta, la partecipazione alla sesta edizione di “Amici di Maria De Filippi” e una disciplina interiorizzata da Daniel Ezralow, con cui appena 18enne ha iniziato a fare spettacoli. Oggi è tornata a far parte di un lavoro della “Compagnia della Rancia”, vestendo i panni di “Genoveffa” in “Cercasi Cenerentola”, per la regia di Saverio Marconi, in tournée fino a maggio, accanto a Paolo Ruffini e Manuel Frattini. Un musical che la sta “mettendo alla prova persino nella recitazione”, consentendole di diventare sempre più completa (“anche nel canto: non sapevo di avere qualità nascoste”), credendo esponenzialmente nelle proprie indiscusse potenzialità (“la scorsa estate ho fatto un film da ballerina con Leona Lewis”). Domanda – Roberta, “Cercasi Cenerentola” a che punto del suo percorso arriva? Risposta – Diciamo che il ruolo di “Genoveffa” per me rappresenta un grande traguardo, sebbene abbia perfettamente la consapevolezza di dover fare ancora molto. Sono entusiasta della crescita del mio percorso, sotto tutti i punti di vista. Dai miei esordi in Puglia, ricordando con affetto la formazione con Stella Ciliberti, ho preso il volo tanti anni fa per il mondo dello spettacolo nazionale: da un primo musical, al di là del ballo, ho scoperto il canto e la recitazione. Ho iniziato a studiare ogni disciplina seriamente e sei anni fa proprio dalla “Compagnia della Rancia” mi è arrivata la proposta di “Cats”. È stato come vivere un sogno, diventato pian piano realtà. Dopo tanto lavoro, quest'anno mi si è presentata “Cercasi Cenerentola”, dove ho potenziato anche la sfera relativa alla recitazione. Sono felicissima e contentissima di quello che sto vivendo. D . – Alla luce del suo entusiasmo, potremmo sostenere che il musical è la forma espressiva a lei più congeniale? R . – Io direi di sì e, onestamente, non avrei mai potuto pensarlo in tempi non sospetti. È la strada che preferisco, scoprendo inconsapevoli doti canore. Ho lavorato in questi anni con sacrifici e tanta pazienza. Sento di aver trovato la mia strada e sono felice di quello che mi sta accadendo. D . – Dai suoi esordi pugliesi avrebbe mai immaginato un percorso come quello che sta mettendo a punto? R . – Onestamente non l'avrei mai immaginato. E spesso lo ribadisco proprio alla mia Stella Ciliberti, con la quale mi sento ancora. È stato il regista Saverio Marconi a credere in me, portandomi alla ribalta nazionale nel musical. E, tra l'altro, per questo spettacolo ha pensato il ruolo di “Genoveffa” proprio su misura, per le mie corde. Non finirò mai di ringraziarlo. D . – Abbiamo finora più volte citato la sua insegnante, Stella Ciliberti: cosa ha interiorizzato di lei nel tempo? R . – Io definisco sempre Stella Ciliberti una delle poche insegnanti d'Italia: ho studiato molto qui e in America. Lei ha

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sempre trasmesso ai suoi allievi la sua umanità, dando tanto. Ci ha puntualmente spronato a prendere il meglio dalla vita, impegnandosi al massimo in quello che si fa, senza tralasciare un minimo dettaglio. La danza per lei è non solo lavoro, la sua professione, ma la vita. Ritengo sia una cosa importante, da grandi professionisti. Ancora oggi lei per me resta un punto fermo: la chiamo, ci sentiamo e confrontiamo. Forma in relazione alla sfera umana, al di là degli aspetti professionali. D . – E, neanche a farlo apposta, avendola intervistata di recente ha espresso proprio l'auspicio di essere ricordata in futuro “per aver formato non solo ballerini, ma persone vere”. R . – E lei ci riesce. Stella è proprio così. Una gran bella persona, che dà tutta se stessa per gli altri. D . – Lei è diventata popolare, partecipando alla sesta edizione di “Amici di Maria De Filippi”: che ricordo ne ha? R . – È sicuramente stato un inizio per me: dovevo decidere un po' come proseguire nel mio percorso e l'esperienza di “Amici” è capitata senza cercarla spasmodicamente. L'ho vissuta un po' da bambina, perché ero piccola. Per me è stato il modo più veloce per entrare nel mondo dello spettacolo, grazie a Daniel Ezralow, che mi ha notata facendomi fare tournée subito dopo.

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Certo: in tre mesi di programma uno non può crescere più di tanto, ma mi è servito tutto tantissimo ed è stata una piccola parentesi nella mia vita, per fare poi molto altro. D . – Come valuta oggi la danza in tv? R . – Partiamo dal presupposto che non è più come un tempo: avendo lavorato tanto in tv (con Fiorello, a “Sanremo” e molto altro), posso parlare per esperienza vissuta in prima persona. Oggi si sceglie un ipotetico corpo di ballo in merito a canoni ben precisi: non c'è una vera e propria danza sul piccolo schermo. D . – Ritiene possibile un ritorno del varietà? R . – Magari! Lo spero. Attualmente non credo ci siano esempi del genere. I grandi dello spettacolo come Ranieri, Baglioni e Zero, ad esempio, quando vanno in tournée hanno sempre un bel corpo di ballo al seguito e ne sono entusiasta. Ecco: mi piacerebbe che ciò accadesse anche in uno spettacolo televisivo bello ed elegante. D . – Prima ha citato Daniel Ezralow: un suo insegnamento di cui ha fatto tesoro nel tempo? R . – Ricordo che lui ci ha sempre detto di non pensare alle canoniche otto ore lavorative al giorno. La preparazione di uno


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spettacolo, con sue regia e coreografia, è durata anche 12 ore giornaliere. Di lui ricordo benissimo un allestimento di “Cats”: ci ha lasciato in prova per un'ora senza parlare, cercando di acquisire le movenze di un gatto. Tutti muti, a quattro zampe, entrando nell'anima felina da interpretare. Tutto ciò è servito tantissimo per una tournée che abbiamo fatto, durata ben 2 anni. Daniel ti fa lavorare sodo. È un grande professionista e, onestamente, ritengo sia anche un enorme regista. D . – Cosa si auspica per il proseguimento del suo percorso? Ancora musical? R . – Non escludo nulla nella vita. Mi sono posta tanti obiettivi e tutto quello che di buono mi potrà accadere, sarà ben accetto. Ad esempio, la scorsa estate ho fatto un film da ballerina con Leona Lewis: un'esperienza stupenda. Vorrei continuare con la musica, magari facendo un videoclip e anche tournée per concerti. A me piace molto partire e andare all'estero. Vivo giorno dopo giorno, senza farmi tanti problemi. D . – Metaforicamente allo specchio: come si riflette oggi Roberta Miolla? R . – Adesso penso di essere una buona performer: il mio auspicio è quello di essere conosciuta meglio, facendomi apprezzare sempre di più. Sento di poter dare tanto a livello umano, con molta umiltà. Sarei lieta se mi apprezzassero pian piano più persone. D . – Ecco, dunque, in una sorta di quadratura del cerchio un'altra “bella persona”, formata da Stella Ciliberti. R . – Grazie mille. Troppo gentile. Gianluca Doronzo

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