Che Spettacolo 2014 - Numero 01 - Gennaio

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Anno II - Numero 1 - Gennaio 2014

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Periodico di Musica, TV, Cinema, Teatro e Arte

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il magazine che non t'aspetti (tutti i colori dell'intrattenimento)

«La musica è la mia vita: mi piacerebbe tornare in gara al Festival di Sanremo» Una «bella persona» di nome Luisa Corna: fra presente (è protagonista della kermesse «Derby cabaret» al «Manzoni»di Milano), desideri e sincerità, la cantante e conduttrice bresciana fa un bilancio del suo percorso TV

Emanuela Folliero Ellen Hidding MUSICA

Patty Pravo Antonio Maggio I BELLI DELLA CONDUZIONE

Andrea Lehotska Daniele Bossari

MUSICAL

Salvatore Palombi Loretta Grace


Anno II - Numero 1 - Gennaio 2014 FONDATORE, DIRETTORE EDITORIALE E RESPONSABILE Gianluca Doronzo GRAFICA E IMPAGINAZIONE Benny Maffei - Emmebi - Bari HANNO COLLABORATO Federica Signorile, Maribe Cerullo, Ivana Germani, Nicoletta Bucci, Marta Insardi, Iolanda Guerrieri, Gaia Elisabetta Trotta, Rossella Martini, Ilaria Pucci e Alessandra Paoli. SI RINGRAZIANO Luisa Corna, Emanuela Folliero, Ellen Hidding, Andrea Lehotska, Daniele Bossari, Patty Pravo, Antonio Maggio, Salvatore Palombi, Loretta Grace, Vito Latorre, Michele Ciavarella e Stella Ciliberti per le interviste concesse; gli uffici stampa Rai e Mediaset per le foto e i contatti; Cristian Castelnuovo e Marco Montanari per gli scatti di Loretta Grace.

INDIRIZZO REDAZIONE Via Monfalcone, 24 – Bari gianlucadoronzo@libero.it tel. 347/4072524 FACEBOOK E la notte un sogno Autorizzazione del Tribunale di Bari n. 16 del 26/09/2013

E l'avventura continua. Con l'arrivo del 2014 (inutile esprimere soliti auspici triti e ritriti: comunque vada, sarà un successo!) “Che spettacolo – il magazine che non t'aspetti (tutti i colori dell'intrattenimento)” festeggia, in men che si dica, il suo secondo anno di vita. Sembra assurdo, soprattutto per quello che è accaduto negli ultimi mesi a chi l'ha fondato e deciso di dirigerlo “contro tutto e tutti”, senza “padroni e padrini”. Invece è reale e con questo numero (in copertina un'elegante Luisa Corna, pronta a raccontare la sua “bella persona”, fuori dagli schemi del modaiolo e voyeurismo), seppur nel mio piccolo (con estrema umiltà), posso già vantare quattro “uscite” (e i gufi ne paventavano al massimo due) con personaggi di primo piano del panorama nazionale (da Debora Villa a Cristina Chiabotto, passando per Milly Carlucci, Juliana Moreira, Alessandro Cattelan, Justine Mattera, Tessa Gelisio, Lisa Angelillo e Mario Lavezzi, fra gli altri), in concomitanza ad “eccellenze” pugliesi (da Angelo Petracca, Betty Lusito e Pietro Caramia, virando verso il temperamentoso Fabio Giacobbe, la cui massima è: “Se fai cresce il coraggio, se non fai cresce la paura”). Una formula che mi “ha consentito di tornare in pista”, giornalisticamente parlando, facendomi mettere nuovamente in discussione dopo due anni di “stop forzato” (basta con i piagnistei sulla “crisi”: bisogna rimboccarsi le maniche, dandosi da fare, anche correndo il rischio di investire su se stessi. Quando ci sono le idee, non si sbaglia mai!). So che mi state seguendo con curiosità e attesa (ricevo molti sms o e-mail, con richieste di personaggi “da incontrare” e tanta voglia di sapere quali saranno i successivi in pubblicazione): non posso che ringraziarvi di cuore. Ciò mi dà linfa, luce e respiro, motivandomi ad andare avanti, nonostante le oggettive difficoltà nell'essere da solo. Ma, ben inteso, nessun ostacolo può essere insormontabile, nel momento in cui sentimento e amore circondano quello che fai (e sei). Come ormai avrete notato, ogni mensilità è legata ad un motivo conduttore: stavolta troverete la bellezza (con dodici personalità di spicco della tv, musica, teatro e danza, fra l'altro) come qualità peculiare di ogni intervistato. Il dato, però, sui cui vorrei soffermarmi è quello relativo alla narrazione: di ciascun protagonista viene fuori un ritratto intimo, confidenziale e ricco di spessore umanamente, prendendo le distanze da quello che si è abituati a “fagocitare” nelle riviste commerciali di gossip. Emanuela Folliero, Ellen Hidding, Andrea Lehotska e Daniele Bossari vanno “al di là” del piccolo schermo, manifestando il preciso punto in cui si trovano nel proprio percorso (non solo artistico). Una Signora (volutamente con la maiuscola) della canzone italiana, del calibro di Patty Pravo, rivela tutta la sua disponibilità (prerogativa dei grandi), credendo “nelle leve del futuro”. Antonio Maggio, vincitore di “Sanremo Giovani 2013”, si prepara all'uscita del suo nuovo album, mentre i talentuosi Salvatore Palombi e Loretta Grace trasmettono l'entusiasmo (con estrema ironia e sogni, rispettivamente nell'ambito cinematografico e canoro) per il successo del loro musical (“Ghost”), in tournée al “Brancaccio” di Roma fino al 9 febbraio. E poi, dulcis in fundo, tre esponenti della “Puglia made in eccellenza”, sui quali soffermarsi: l'attore Vito Latorre (con la sua compagnia “Onirica”), il cantautore (esordiente firma drammaturgica in “Tutto il mio folle amore”, a Monopoli dal 22 al 24 gennaio) Michele Ciavarella e la coreografa Stella Ciliberti. Ovviamente, non mancheranno approfondimenti su film, letteratura, cd, concerti e molto, molto altro. Con la complicità della grafica “fashion e glamour” (così come l'ho ribattezzata) di Benny Maffei. Un lavoro, il mio, scandito da un'urgenza espressiva: comunicare al lettore quanto “il mondo dello spettacolo” sia non solo sinonimo di lustrini e paillettes ma, soprattutto, intimo, speciale e onesto (avversando ipocrisie, pregiudizi e maschere). Mi raccomando, siate sempre curiosi (verso l'esistenza, in generale), perché “la sete di conoscenza” vi fa volare “oltre i confini” di una quotidianità, troppo spesso provinciale e nepotistica. L'esempio della mia libertà editoriale vi incoraggi a realizzare grandi imprese: ciascuno ha enormi potenzialità. Vi auguro le possiate valorizzare al meglio. “Che spettacolo” avervi accanto! Gianluca Doronzo


Sommario IL PERSONAGGIO IN COPERTINA Luisa Corna Il coraggio di essere una «bella persona»: Luisa Corna metaforicamente allo specchio, fra bilanci professionali e tanti desideri per il futuro TV Emanuela Folliero «Vorrei una tv meno urlata e più ricca di contenuti: sarebbe troppo esprimere un desiderio del genere per il 2014?» TV Ellen Hidding «Lavoro da ben 17 anni sul piccolo schermo: ho fatto di tutto e sono contenta di aver spaziato dalle trasmissioni ironiche a quelle d'approfondimento» LA TV CHE VEDREMO Cinque personaggi «d'autore» (dalla musica alla serialità) per la tv che non t'aspetti

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MUSICAL - L’INCONTRO Loretta Grace «Cantare è la mia vera passione: mi piacerebe un giorno calcare il fatidico palco dell'Ariston, andando in gara al Festival di Sanremo»

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CAMERATA MUSICALE BARESE Danza, musica classica e letteratura pianistica: al Petruzzelli di Bari gli artisti più illustri del panorama internazionale

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TEATRO - LA GIOVANE PROMESSA Vito Latorre Atmosfera e immaginazione: la ricerca «onirica» dell'universo di Vito Latorre fra passione, idee e tanti sacrifici

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MUSICA E TEATRO LA GIOVANE PROMESSA Michele Ciavarella Un talento capace di esprimersi «col cuore»: dalla musica al teatro la profondità (poetica) della scrittura di Michele Ciavarella

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DANZA Stella Ciliberti «Spero mi si ricordi in futuro per aver formato non solo dei ballerini, ma soprattutto delle persone vere»

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VISTI PER VOI Comico, drammatico o intimista (in bianco e nero)? Nelle migliori sale la risposta al vostro film

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ASCOLTATI PER VOI Pop, ancora pop, fortissimamente pop: ecco la parola d'ordine per gli artisti (da ascoltare) in vetta alle classifiche

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LETTI PER VOI Pop, spirituale, comico e televisivo: il 2014 in un mix di «sapori» in libreria

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IL BELLO DELLA CONDUZIONE Daniele Bossari «Alle soglie dei 40 vorrei incontrare il Maestro di vita: si dice arrivi quando l'allievo è pronto. Che sia il momento giusto?»

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MUSICA - LA RIVELAZIONE Antonio Maggio «Partecipare ad un talent va bene come punto di partenza: gavetta, passione e tanta perseveranza creano il futuro di un cantante»

MUSICAL - L’INCONTRO Salvatore Palombi «Il teatro è tutta la mia vita, ma sogno di fare cinema: registi, dove siete?»

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MUSICA LA SIGNORA DELLA CANZONE ITALIANA Patty Pravo «Bisogna credere nei giovani: sto mettendo a punto il mio nuovo album di inediti, affidandomi alle creative talentuosità del futuro»

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LA BELLA DELLA CONDUZIONE Andrea Lehotska Un volto pulito, familiare e ironico: il momento d'oro di Andrea Lehotska, dagli speciali sul «Circo» al desiderio di realizzare «un programma sulla natura»

SANREMO 2014 Dal pop alla canzone d'autore, con un occhio al rock e funky: il Festival «più contemporaneo» secondo Fabio Fazio

POP MUSICAL - LA RECENSIONE Lisa Angelillo Un pop musical con ritmo, incentrato sulle potenzialità vocali (e da performer) dell'eclettica Lisa Angelillo

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Luisa Corna


IL PERSONAGGIO IN COPERTINA

La celebre conduttrice e cantante (originaria di Palazzolo sull'Oglio) si racconta «con anima e cuore» in un'intervista a tutto tondo, fra musica e capacità di vivere «fuori dal coro»

Il coraggio di essere una «bella persona»: Luisa Corna metaforicamente allo specchio, fra bilanci professionali e tanti desideri per il futuro

Il coraggio di essere “una bella persona”. Il mondo dello spettacolo non è solo scandito da “luci della ribalta”, successo, audience, autografi, flash e paillettes. E' anche il racconto di interiorità, esperienze di vita e, soprattutto, umiltà. Un esempio? L'universo che ruota attorno a Luisa Corna, elegante protagonista del piccolo schermo per quasi tre lustri (da “Notti mondiali” a “Sì sì è proprio lui”, fino a “Domenica in” e “Tale e quale show” su Raiuno): in primo piano una smodata passione per la musica (due album all'attivo e un quarto posto al “Festival di Sanremo” nel 2002 con Fausto Leali), partecipazioni cinematografiche (per Salvatores e Panariello), seriali (“Ho sposato uno sbirro 1 e 2” con Flavio Insinna) e tanta voglia di mettersi “costantemente in discussione”. A più di un anno di distanza dalla sua ultima apparizione televisiva, dopo essere stata in tournée estiva con i suoi concerti, eccola impegnata fino ad aprile al “Manzoni” di Milano nella conduzione della kermesse “Derby cabaret”, assieme a Maurizio Colombi, non perdendo di vista i valori di “coerenza, onestà intellettuale e ricchezza umana”. Domanda – Luisa, la sua ultima apparizione televisiva risale al 2012, in occasione delle finali di “Tale e quale show” su Raiuno, per la conduzione di Carlo Conti. Cosa è accaduto nel suo percorso in questo lasso di tempo? Risposta – Premetto di essermi divertita molto a “Tale e quale show”, uno dei programmi più entusiasmanti e ben fatti del piccolo schermo negli ultimi anni. Conclusa quella esperienza, la scorsa estate ho fatto i miei soliti concerti, nell'ambito del tour “Non si vive in silenzio”, dal mio omonimo album del 2010: devo dire di aver portato i miei brani in giro in lungo e in largo per l'Italia per ben tre anni, con un buon successo di pubblico. Sono, inoltre, stata scelta per la conduzione del “Festival show”, spettacolo itinerante, che da giugno a settembre scorsi ha toccato, per dieci tappe, le principali località del Triveneto, con finale a Verona, nella storica Piazza Bra. Un'altra bella esperienza, memorabile ed intensa. Ad ottobre, giusto per concludere, al “Manzoni” di Milano ho iniziato una nuova avventura, che porterò avanti fino ad aprile, con il “Derby cabaret”, assieme a Maurizio Colombi: giovani cabarettisti si esibiscono settimanalmente dinanzi ad una giuria di esperti, con valutazioni e graduatorie, in attesa di arrivare all'epilogo in primavera. Io conduco e canto: un'impresa perfettamente nelle mie corde. Cosa potrei volere di più al momento? D . – Bene: dalle sue parole scopriamo con piacere quanto sia stata impegnata in questi mesi. Segno che, anche al di là del piccolo schermo, il mondo dello spettacolo la gratifica costantemente. Una domanda, però, sorge spontanea (quasi alla Lubrano): televisivamente ha partecipato a tante trasmissioni, legate soprattutto all'intrattenimento. Cosa vorrebbe potesse accadere oggi, se le facessero una proposta? R . – Televisivamente sono molto legata a programmi stile “varietà”, decisamente su misura per il mio modo di essere. Ovviamente tutto quello che riguarda la musica mi coinvolge ed emoziona: di conseguenza un bel varietà musicale sarebbe

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IL PERSONAGGIO IN COPERTINA

la quadratura del cerchio, no (e ride al telefono, ndr)? D . – Certo: un bel “one woman show”, proprio in un'annata in cui si celebra il sessantesimo della nascita della tv. Conduzione e musica dal vivo, magari con una bella orchestra che possa valorizzare le sue indiscusse qualità da interprete. R . – Magari! Pur rendendomi conto che è quasi impossibile torni il varietà di una volta, mi piacerebbe essere alla guida di un elegante e bel programma d'intrattenimento, anche con forme legate alla competizione fra cantanti. Io vorrei mettermi in gioco sempre, con entusiasmo e davvero tanta passione. D . – E non possiamo fare a meno di augurarle che ciò accada quanto prima. Rimaniamo in tema musicale: cantare è sempre stata la sua passione. Nel 2002 ha partecipato al “Festival di Sanremo” con Fausto Leali, classificandosi al quarto posto con la melodica “Ora che ho bisogno di te”. Ci tornerebbe? R . – A dire il vero in un paio di occasioni ho anche provato a ritornare in gara, ma non è andata bene. “Sanremo” è sempre stata una manifestazioni che ho amato da bambina: mi incantavo davanti alla tv, sognando di andarci un giorno. E vivere l'emozione dell'Ariston nel 2002 è stato davvero memorabile. Oggi come oggi solo attorno al “Festival” si muove il mondo della discografia: è l'unico palco esistente in Italia, la sola vetrina in cui promuovere il proprio lavoro, davanti a milioni di spettatori in una settimana. Chissà che non torni a calcare quel fatidico palco in una delle prossime edizioni: mi piacerebbe davvero! D . – In attesa, Luisa, che ciò accada, cosa pensa del cast selezionato quest'anno da Fabio Fazio? R . – Trovo, onestamente, ci siano ottimi nomi fra i “Campioni”: ovviamente, come tutti, aspetto di ascoltare i brani. Però sulla carta mi sembra un gran bel “Festival”, con voci degne di rispetto: penso a Noemi, Giusy Ferreri, Arisa, Antonella Ruggiero, Ron, Francesco Sarcina, Renzo Rubino e Cristiano De Andrè. Mi sembra un'edizione d'autore, all'insegna del cantautorato. Bene, bene. D . – Si è parlato di un “Festival” sinonimo della contemporaneità: è d'accordo? R . – A me sembra, sulla carta, un'edizione molto particolare, all'insegna dell'unicità delle voci. Sarà di sicuro un'annata di successo. D . – Qual è il suo punto di vista sui “talent show”? R . – Ultimamente tutto quello che viene fuori dalla musica sembra passi necessariamente dai cosiddetti “talent show”: di sicuro ci sono ragazzi di talento, meritevoli, come Marco Mengoni, la stessa Noemi o Giusy Ferreri. Ben venga se un programma televisivo può essere un buon trampolino di lancio per giovani promesse canore: l'importante è che non ci si fossilizzi, facendo diventare simili palchi dei veri e propri trampolini di lancio e non punti di “pseudo-arrivo”, creando spesso illusioni e meteore. Il rischio è che tutto sia veloce e si consumi in fretta, non consentendo a chi vi partecipa di crescere, perfezionarsi e costruire un sano percorso successivo. Come si suol dire: ai posteri l'ardua sentenza. Vedremo il tempo quali risposte riuscirà a dare in merito ai

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ragazzi dei “talent”, sperando non si brucino subito. Per una seria carriera ci vogliono gavetta, perseveranza e tanta, tanta passione. D . – E', dunque, scettica nei confronti dei ragazzi che vengono fuori dai “talent”? R . – No, non direi scettica: vado con i piedi per terra. Non credo che partecipare ad un talent sia in sé una cosa negativa. Bisogna vedere le risposte che il tempo dà in merito ai percorsi. Tutto qui. D . – Se le offrissero una fiction, quale ruolo le piacerebbe interpretare al momento? R . – Sinceramente sono più concentrata sulla musica: c'è, però, da ammettere che negli ultimi tempi la qualità dei prodotti seriali è aumentata in maniera esponenziale. Per cui se capitasse una bella proposta, nella quale mettermi seriamente in discussione, perché no? D . – E il cinema, avendolo fatto con Salvatores e Panariello? R . – Anche quello sarebbe un impegno molto serio, da non sottovalutare: negli ultimi anni ho fatto ciò che è stato più nelle mie corde, nella mia anima. Sono cresciuta come interprete canora e conduttrice: ho raggiunto una sorta di armonia personale e sto cercando di portare avanti, con molta coerenza, quello che sento di essere. Senza problemi e sovrastrutture. D . – Se dovessimo passare in rassegna il suo percorso, verrebbe fuori un'immagine davvero coerente e pulita della sua persona: è come se la sua elegante professionalità l'avesse portata ad essere un po' “fuori dal coro”. R . – Innanzitutto la ringrazio di cuore per i complimenti che mi fa: ne sono davvero lusingata. Io ci sto provando. Non so mai in che modo io sia percepita dalle persone, dall'esterno: spesso si fanno le cose e ci si mette in discussione, non comprendendo minimamente in che modo si sia “colti” dall'altra parte. Io sono una donna onesta, sincera, leale, con tanta, ma tanta voglia di fare. Se mi si riconosce l'essere “fuori dal coro”, come dice lei, non posso che esserne entusiasta, perché vuol dire che sto seminando bene, per il verso giusto. La coerenza è uno dei principi che perseguo. Questo sì. D . – Al suo attivo anche il teatro con Albertazzi e un musical (“Pirates” nel 2010-'11): se le riproponessero di andare in tournée con una pièce, cosa risponderebbe? R . – Accetterei subito: l'ambiente teatrale mi piace molto. Al “Manzoni” di Milano, ad esempio, dove sono attualmente impegnata, respiro davvero la magia del palco, del legno, del dietro le quinte. Siamo un bel gruppo e anche se si tratta della conduzione di una kermesse, non posso fare a meno di esserne gratificata, alla luce del vivo seguito del pubblico. Non potrei aggiungere altro. D . – L'importante, qualsiasi cosa accada nella vita, è perseguire la forza e il coraggio delle idee. R . – Estremamente saggio ciò che lei sostiene. Per andare avanti bisogna sempre avere forza, talento e coraggio delle idee. La formula del “Derby cabaret”, ad esempio, a mio avviso è piena di energia, divertimento e sano entusiasmo. C'è tanto


IL PERSONAGGIO IN COPERTINA

bisogno di far evadere chi ti viene a vedere, soprattutto alla luce degli immensi problemi che stanno affossando il nostro Paese. D . – Cosa si auspica per il proseguimento del suo percorso? R . – Vorrei, sinceramente, andare avanti facendo tutto quello che sto mettendo in atto: coniugare conduzione e musica, un binomio a me molto caro. D . – Allo specchio: come si riflette, metaforicamente, in questo momento della sua vita? R . – Sono in una fase di serenità: sto facendo una serie di cose che mi piacciono e gratificano. Vorrei continuare su questa

strada, non perdendo mai di vista i sani principi legati alla vita e alla nostra quotidianità. D . – Ecco, alla fine della nostra chiacchierata, il racconto della “persona” e non del personaggio. R . – Nella vita quello che rimane è la persona, con i suoi valori, i principi e tutto quello che ruota attorno alla sfera emozionale. La professione, i premi, i riconoscimenti, i dischi, le trasmissioni e le classifiche sono parte del proprio lavoro, ma la vera bellezza è nella grandezza dell'essere umano. Ne sono convinta. Gianluca Doronzo

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Emanuela Folliero


TV

Emanuela Folliero alla conduzione del rotocalco «Accademia del benessere» (Rete4, ogni sabato, ore 10.15) fra salute, storie comuni e consigli sulla felicità psicofisica

«Vorrei una tv meno urlata e più ricca di contenuti: sarebbe troppo esprimere un desiderio del genere per il 2014?»

“Una tv meno urlata e più ricca di contenuti”. Con un desiderio ben chiaro per il 2014, Emanuela Folliero sta conducendo la nuova edizione del rotocalco “Accademia del benessere” (Rete4, ogni sabato, ore 10.15, oltre 300mila spettatori in media), dispensando al pubblico “consigli, felicità e tanti accorgimenti per rimanere in forma”, attraverso le testimonianze di esperti del settore e “storie comuni, creando interazione da casa”. Un volto familiare, pulito e sorridente, da oltre 25 anni protagonista di programmi Mediaset (“ho nel cuore il ricordo di Alberto Castagna: in vita mi passò il testimone della sua storica trasmissione basata sui sentimenti”), facendo del garbo un sano leitmotiv. E se nelle ultime settimane il suo nome sembrava fosse destinato “al timone” della nuova annata del reality “L'isola dei famosi” (il solito “putiferio scatenato da Internet, in seguito alle dichiarazioni travisate da un giornale”), di sicuro nel futuro c'è la ripresa di una trasmissione per La5 (“Il meglio di me”) e tanto approfondimento legato a tematiche “positive, dedicate alla serenità della sfera psicofisica degli spettatori”. Domanda – Signora Folliero, la conduzione di “Accademia del benessere” (ogni sabato, ore 10.15, oltre 300mila spettatori col 3% di share) ha segnato la sua rentrée in un programma su Rete4 (dopo una parentesi su La5 nel 2012), affrontando tematiche relative alla salute, come fatto precedentemente in alcuni suoi talk nel 2011. Alla luce della formula della trasmissione, potremmo dire che siamo nel campo dell' “infotainment”, costituendo quasi un'innovazione nel panorama mediatico: vero? Risposta – Esatto. Utilizziamo un linguaggio che vuole arrivare un po' a tutti volando, in un certo senso, con la mente, perseguendo una cifra sana e intelligente nella sfera dell'informazione. Il nostro è un rotocalco eterogeneo, ricco di innovazione ma, allo stesso tempo, estremamente semplice e d'impatto. D . – Creare interazione col pubblico è un vostro principio: potremmo dire che siete a metà strada fra “reality” e “factual”? R . – Questo aspetto di cui lei parla è davvero innovativo: le persone che diventano protagoniste del programma vengono da casa, mandando una semplice e-mail, motivate da tanto entusiasmo e curiosità. Non possiamo far altro che accogliere ciascuno con passione, seguendo le storie singole. Termini poi come “infotainment” e “factual” dimostrano quanto la lingua inglese sia diventata di comune patrimonio per la nostra quotidianità: noi non facciamo altro che rivolgerci al pubblico in termini semplici, immediati e senza orpelli. D . – Soddisfatta dei risultati della trasmissione finora? R . – Guardi, dicembre è stato un mese difficile: per quel che mi riguarda non è una novità, visto che tutto quello che faccio ha poi complicazioni. Ne sono abituata. Pensi che io stessa mi sono dimenticata in un paio di occasioni di vedere il programma, essendo di sabato alle 10.15: la gente è stata presa dai regali, dalle feste, dallo shopping e molto altro. La prossima volta, magari, chiederemo al direttore di rete di scegliere un altro orario (e ride al telefono, ndr).

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TV

D . – Negli ultimi anni, televisivamente parlando, ha affrontato programmi legati al benessere e alla salute della gente: un filone che, dal suo punto di vista, in che modo è valutato? R . – Innanzitutto le altre mie trasmissioni condotte nel 2011 erano più incentrate sulla medicina ed aspetti patologici: spesso la gente era portata più ad una visione in negativo, nel senso che parlavamo di tumori, malattie e tematiche cliniche. In “Accademia del benessere” abbiamo ribaltato tutto in positivo: ci occupiamo di dispensare consigli su una sana alimentazione, parliamo di diete, informiamo su come stare meglio e, soprattutto, cosa fare per raggiungere la felicità, l'equilibrio psicofisico e il volersi bene. D . – Dal '90 è l'annunciatrice ufficiale di Rete4: come sono cambiati i palinsesti in quasi 25 anni? R . – Ritengo Rete4 abbia fatto davvero dei bei cambiamenti. Era un'emittente cosiddetta “rosa”: dalle telenovele si è, pian piano, passati all'approfondimento e all'attualità con “Quarto grado”, per poi tornare a serialità-soap di successo come “Il segreto”, ora in prima serata anche su Canale 5 la domenica e “Downton Abbey”. Come dire: abbiamo assistito quasi ad un ritorno al passato, manifestando il bisogno da parte degli

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spettatori di evadere, fruendo tanti prodotti che possano far sognare e appassionare. Ora, al di là di quanto sta accadendo negli ultimi tempi, in generale gli aspetti legati all'approfondimento hanno virato i gusti del target anche al maschile. D . – Ne è un esempio “Quinta colonna” con Paolo Del Debbio, in prima serata il lunedì, con quasi due milioni di spettatori in media. R . – Bravo. “Quinta colonna” è un segno del cambiamento dei gusti degli spettatori. Si va sempre più verso sperimentazioni e attualità D . – E, in generale, come è cambiata Mediaset? R . – Indubbiamente abbiamo assistito ad evoluzioni importanti: l'avvento del “Grande Fratello”, ad esempio, ha dettato una virata nel linguaggio televisivo, motivando il pubblico verso altri registri e codici mediatici. Adesso, tra l'altro, lo rifaranno, facendolo slittare rispetto alla prevista messa in onda a fine gennaio, a causa dell'incendio di qualche settimana fa nella casa di Cinecittà. Oggi Mediaset offre più informazione e approfondimento, anche mettendo a punto grandi contenitori pomeridiani.


TV

D . – Ciò che, in fondo, faceva già Rete4 anni fa con Patrizia Rossetti, no? R . – Bravissimo. Patrizia è stata la prima a fare un sano intrattenimento pomeridiano. Come dire: cicli e ricicli. Nulla si inventa, ma tutto torna con altri personaggi. D . – Al suo attivo numerosi show in prima serata fra moda, circo, sentimenti, vip e approfondimenti: a quale sente di essere più legata? R . – Non ho dubbi: “Stranamore”. E' un programma che mi ha dato veramente tanto, sia da un punto di vista personale che proprio in merito al contatto col pubblico, facendomi immedesimare nei sentimenti della gente. D . – Un ricordo di Alberto Castagna? R . – Alberto è colui che mi ha consegnato in vita il suo programma. Lo ribadisco sempre nelle interviste e, per fortuna, c'erano anche dei testimoni. Una sera eravamo a cena e, ad un certo punto, mi disse: “L'anno prossimo la mia trasmissione la farai tu, sei pronta e mi sostituirai benissimo”. Così è stato. Ancora oggi mi emoziona il suo ricordo e ho i brividi nel momento in cui parlo con lei al telefono (dopo un attimo di commozione, si riprende la chiacchierata, ndr). D . – E se le proponessero la conduzione del “Festival di Sanremo” il prossimo anno? R . – Io sono già lì: vestita, pronta e truccata. Chi non sognerebbe di calcare il fatidico palco dell'Ariston? Sarebbe un sogno e accetterei seduta stante. D . – A proposito di sogni e conduzioni: tempo fa si è diffusa in Internet una notizia, secondo la quale lei vorrebbe essere alla guida della prossima edizione del reality “L'isola dei famosi”. Conferma o smentisce? R . – (Dopo una risata, ndr) Ho saputo anch'io che circolava una notizia del genere: tutto è venuto fuori da un'intervista rilasciata tempo fa a “Vero”. Mi hanno chiesto quale reality mi piacerebbe condurre e, non potendo dire il “Grande Fratello” che è roba nostra (e poi c'è già la Marcuzzi), ho risposto che “L'isola” non mi dispiacerebbe. Apriti cielo: tutti a dire che ne condurrò la prossima edizione. Tra l'altro, mi sono anche data la zappa sui piedi, perché non credo si rifarà. Un putiferio. Comunque ho lasciato perdere e non ho neanche rettificato l'articolo. Non m'interessa. D . – Quali i suoi prossimi progetti professionali? R . – Intanto rifaremo su La5, dopo una puntata andata molto bene tempo fa, il programma “Il meglio di me” (un contesto molto interessante, che affronta tematiche relative alla persona e all'introspezione). Ovviamente partirà una nuova serie di “Accademia del benessere” su Rete4, appena sarà concluso il ciclo in corso. D . – Cosa vorrebbe, infine, potesse accadere per la tv in generale? R . – Vorrei, onestamente, che ci fosse più una tv d'esempio per i ragazzi: meno parolacce e toni urlati, più modi e contenuti. Un bell'auspicio per il 2014, no? Gianluca Doronzo

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Ellen Hidding


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Ellen Hidding in un incontro telefonico, fra passioni televisive per la natura («Melaverde» su Canale 5, ogni domenica alle 12 con Edoardo Raspelli) e sfera materna («Girogirobimbo» su La5, dal lunedì al venerdì, ore 12.10)

«Lavoro da ben 17 anni sul piccolo schermo: ho fatto di tutto e sono contenta di aver spaziato dalle trasmissioni ironiche a quelle d'approfondimento»

La bellezza le ha consentito la popolarità. L'ironia le ha aperto “le porte del successo”. Tutto il resto, in ben “17 anni di carriera”, l'hanno garantito la professionalità, il gusto per l'approfondimento “naturalistico” e un'eleganza innata. Ellen Hidding, dai Paesi Bassi all'Italia, è davvero stato uno dei volti di punta delle reti Mediaset in quasi un ventennio, affiancando la Gialappa's, il Mago Forest, Alessia Marcuzzi, i compianti Mike Bongiorno e Gigi Sabani, fra gli altri. Dalle trasmissioni per ragazzi (“Ziggie” con Alessandro Cattelan su Italia Uno) è passata per La7 e Sky, facendo un salto di qualità nel 2010 accanto ad Edoardo Raspelli nel rotocalco “Melaverde” (Canale 5, ogni domenica, ore 12, quasi due milioni di spettatori in media), promosso da Rete4. Una tv “di nicchia”, come ama definirla la stessa conduttrice, alle prese anche con “Girogirobimbo” su La5 (dal lunedì al venerdì, ore 12.10), dove viene fuori tutta la sua “sfera materna” (AnneMarie è il nome della figlia). Con simpatia e semplicità, fra una risata e i ricordi di un percorso in crescendo, si racconta con trasversalità in un'intervista telefonica. Domanda – Ellen, dal 2010 è alla conduzione con Edoardo Raspelli del fortunato rotocalco “Melaverde” (ogni domenica, ore 12, quasi 2milioni di spettatori in media), promosso da Rete 4 a Canale 5: che bilancio sentirebbe di fare di questa esperienza? Risposta – Sicuramente si tratta di un programma che mi ha arricchita tantissimo, facendomi conoscere a fondo le bellezze dell'Italia, soprattutto a livello naturalistico e paesaggistico. Spesso con Edoardo Raspelli siamo stati in posti impensati, dove davvero si respirava aria pura, assistendo alla preparazione dei prodotti locali e genuini. Secondo me la gente ha colto la semplicità del nostro modo di fare: per questo ha motivato la promozione su Canale 5, con ottimi risultati d'ascolto e tanta simpatia. D . – L'amore per la natura è stato spesso presente nei programmi che ha condotto in passato: penso a “Paese che vai” su La7 e “Lo stivale delle meraviglie” su Canale 5. Da cosa è dettata la scelta di contesti del genere? R . – Innanzitutto io amo profondamente la natura: simili programmi mi consentono di raccontare la tradizione, gli aspetti legati alla famiglia, il senso di avventura. Tutti principi che adoro, fin da bambina. In “Melaverde” quest'anno abbiamo potenziato proprio il senso di incontaminato, occupandoci della fattura di prodotti genuini e freschi, dando voce proprio a coloro i quali li fanno. E' come se raccontassimo una parte di vita che appartiene a ciascuno di noi, al nostro passato, alle nostre radici. D . – Altra trasmissione che anima con successo su La5 è “Girogirobimbo” (ore 12.10, dal lunedì al venerdì), in cui a prevalere è il suo lato materno (ha una figlia di nome AnneMarie, ndr), dispensando consigli utili alle mamme proprio con esperti del settore. R . – Abbiamo fatto un primo ciclo, con un “assaggio” di dieci puntate, avvalendoci di ben quattro rubriche: parliamo con esperti del settore e raccontiamo in che modo portare avanti

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l'educazione dei piccoli, come prevenire le malattie e, soprattutto, in che modo far crescere bene i nostri figli. Un programma utile, di servizio. A cui tengo molto. D . – Si moltiplicano sul piccolo schermo le trasmissioni cosiddette “di servizio”, segno dell'attenzione del pubblico verso tematiche legate alla salute, al benessere psicofisico e alla crescita dei propri figli. R . – Oggi c'è molta più informazione rispetto ad una volta: la gente è curiosa e va rispettata, attraverso documenti, esperti del settore e molto altro. D . – Se, però, dovessimo fare “un volo pindarico” nel suo percorso, non potremmo fare a meno di ricordare gli esordi con la Gialappa's in “Mai dire gol” su Italia Uno, all'insegna di humour e simpatia, circa 17 anni fa. R . – Ben detto: onestamente devo tutto alla Gialappa's. Sono sempre nel mio cuore e, se sono oggi qui a parlare con lei al telefono, di sicuro tutto è iniziato allora. Mamma mia: sono passati ben 17 anni! D . – Ebbene sì: in 17 anni ha spaziato dall'intrattenimento al rotocalco, sempre all'insegna del sorriso e professionalità, con una chiave di lettura semplice e immediata. R . – La ringrazio per quello che dice: sono contenta di tutto quello che ho fatto in questo lasso di tempo. Oggi sento di aver trovato un mio equilibrio, facendo dei programmi nei quali mi riconosco, come se avessi una mia “nicchia”. Registriamo le puntate di “Melaverde”: parto la domenica e ritorno a casa il martedì sera. Si va in studio a Milano e il resto della settimana

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si è sempre impegnati fra famiglia, figlia, interviste e tanti altri progetti. Mi sento piena di energia e sono in gran movimento. D . – In tutta onestà: tornerebbe a programmi ironici con la Gialappa's e Mago Forest? O a successi del sabato sera come “Momenti di gloria” col compianto Mike Bongiorno? R . – Di sicuro: come le dicevo prima ho un ottimo ricordo della Gialappa's e tornerei domani stesso a lavorare con loro, se me lo proponessero. Pensi che il secondo anno in cui li affiancai, mi dissero che Mike Bongiorno mi stava cercando per fare uno show con lui. Ovviamente io mi precipitai dal Maestro della tv: fu subito empatia fra di noi. Era proprio per “Momenti di gloria”, il sabato sera su Canale 5. Ricordo, come fosse ieri, che durante il provino mi fece solo una richiesta: che sotto il vestito lungo da sera mettessi le ciabattine, perché sapeva non reggevo i tacchi alti per più di un'ora di fila. E così fu. Un gran signore. Che bel ricordo ho di lui. D . – Che poi, se vogliamo, “Momenti di gloria” non è stato altro che un antesignano dell'attuale “Tale e quale show” di Carlo Conti su Raiuno, in una formula rivisitata e corretta. R . – Bravissimo: quello che lei dice è verissimo. C'erano persone comuni che si travestivano da cantanti famosi e ne interpretavano i motivi più celebri. Alcuni erano proprio bravi. D . – Qual è il suo punto di vista sulla tv odierna? R . – Aiuto, domanda difficile! Non lo so. Io, onestamente, sono contenta di fare un programma come “Melaverde”, dove si impara ogni volta qualcosa di nuovo. Sarebbe bello ci fossero più trasmissioni del genere. Spesso non mi piacciono i talk


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dove si litiga ad ogni costo per fare ascolto. Vorrei ci fosse più calma fra le persone, senza alzare necessariamente i toni. D . – Ricordo, Ellen, quando la intervistai anni fa in occasione di “Ziggie”, un programma per ragazzi che andava in onda su Italia Uno, con un emergente Alessandro Cattelan: oggi, ad esempio, non esistono più trasmissioni del genere. R . – Verissimo: attualmente manca la tv dei ragazzi. “Ziggie” era un programma che funzionava tantissimo ed era anche l'unico ad andare in onda sulle reti Mediaset per i ragazzi. La cosa curiosa e carina è che, quando decisero di chiuderlo, una settimana dopo io, l'assistente alla regia e un'altra persona coinvolta nella produzione, scoprimmo di essere incinta. Ci ha portato fortuna e ci ha reso prolifiche (e ride, ndr). D . – Siamo, purtroppo, alla fine della nostra piacevole chiacchierata: che fase sta vivendo oggi Ellen Hidding? R . – Guardi, Gianluca, io ritengo di essere una donna molto fortunata: ho una figlia stupenda, una famiglia che amo, ho lavorato (escluso l'anno di maternità) in maniera continuativa per ben 17 anni. Ho debuttato con la Gialappa's, ho fatto successivamente “Zelig”, programmi come “Lo stivale delle meraviglie”, conduzioni su Sky per ben tre anni e tanto a Mediaset. D'accordo: oggi non faccio una prima serata, ma mi sono onestamente ritagliata la mia “nicchia” e ne vado fiera. Non potrei chiedere di più in questo momento. Gianluca Doronzo

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La tv che vedremo


LA TV CHE VEDREMO

J-Ax, Fabrizio Frizzi, Benedetta Parodi, Luca Zingaretti e Gabriel Garko alle prese con i loro nuovi impegni professionali sul piccolo schermo

Cinque personaggi «d'autore» (dalla musica alla serialità) per la tv che non t'aspetti

Cinque personaggi e i loro nuovi impegni professionali: J-Ax, Fabrizio Frizzi, Benedetta Parodi, Luca Zingaretti e Gabriel Garko. Dal “talent” al varietà, passando per il “reality” e la fiction: la tv che “non t'aspetti”. J-Ax – A marzo (presumibilmente il 12) avrà inizio la seconda stagione del talent “The Voice of Italy” su Raidue. Per quanto riguarda i “coach”, che sceglieranno i concorrenti con la famosa “audizione al buio” (stando di spalle), sembrano certi i ritorni di Raffaella Carrà e Piero Pelù. Al posto di Riccardo Cocciante prevista la presenza di J-Ax, ex degli “Articolo 31”: una novità assoluta. In forse la rentrée di Noemi, impegnata in gara fra i “Campioni” della 64esima edizione del “Festival di Sanremo” (Raiuno, dal 18 al 22 febbraio, ore 21.10). Alla conduzione improbabile il bis dell'attore Fabio Troiano: il più quotato al momento è Federico Russo, ex concorrente di “Operazione Trionfo” su Italia Uno nel 2002 (oggi affermato speaker di Radio Deejay). Fabrizio Frizzi – Proseguono i provini per trovare i baby concorrenti di “Ti lascio una canzone”, il programma di Antonella Clerici che sta per tornare il sabato sera su Raiuno (subito dopo il varietà di Massimo Ranieri). I giurati dei “talenti in erba” non saranno più tre, ma quattro: Pupo, Massimiliano Pani, Cecilia Gasdia e la “new entry” Fabrizio Frizzi, reduce da “Tale e quale show”. Benedetta Parodi – Dopo il successo di “Bake Off Italia” (di cui, quasi certamente, si farà una seconda edizione), Benedetta Parodi sta già “spadellando” per un altro programma: tornerà, infatti, il 17 marzo su Real Time con “Molto Bene!”. In primo piano tre ricette, caratterizzate da diversi tempi di preparazione: oltre i 30 minuti, meno di mezz'ora e in soli 480 secondi. Sulla scia dello storico “I menù di Benedetta”. Luca Zingaretti – Si scaldano i motori per la partenza del prossimo “Festival di Sanremo” e ai già annunciati ospiti (Laura Pausini, Claudio Baglioni, Raffaella Carrà e il duo Gino Paoli-Danilo Rea), sembrerebbe essersi aggiunto l'attore Luca Zingaretti (protagonista della serata del venerdì o del sabato), alle prese a fine febbraio (su Raiuno) con la fiction “Il giudice meschino”. Si vorrebbe fosse lui a premiare o uno degli otto “Giovani” (Bianca, Diodato, Filippo Graziani, Rocco Hunt, The Niro, Vadim, Veronica e Zibba) o uno dei 14 “Campioni”. Gabriel Garko – La fiction si direbbe che è diventata la sua dimensione espressiva preferita: il seguito della seconda serie de “Il peccato e la vergogna” (Canale 5, ogni venerdì, ore 21.10, oltre 4milioni500mila spettatori in media col 20% di share) ne è una conferma. Ma, come se non bastasse, le fan di Gabriel Garko sono già in trepidazione per il suo prossimo lavoro, in onda in primavera: stiamo parlando di “Rodolfo Valentino” (per Mediaset) con Cosima Coppola, fra gli altri. Per la serie: il bello della fiction. Gianluca Doronzo

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Andrea Lehotska


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La 32enne conduttrice, giornalista e attrice slovacca (con cittadinanza italiana) esprime i numerosi sogni da realizzare per il 2014, non dimenticando i suoi «talent scout» (Vasco Rossi e Piero Chiambretti)

Un volto pulito, familiare e ironico: il momento d'oro di Andrea Lehotska, dagli speciali sul «Circo» al desiderio di realizzare «un programma sulla natura»

Un volto pulito, elegante e familiare. Andrea Lehotska è ormai uno dei personaggi di punta di Raitre: dal 2011 conduce speciali legati al “Circo” e, durante le festività natalizie, ha superato i 2milioni500mila spettatori con la “37esima edizione del Festival internazionale di Monte Carlo”. Al suo attivo: videoclip per Vasco Rossi (“il mio vero talent scout”), trasmissioni ironiche con Piero Chiambretti (“è il quarto lato del triangolo, il settimo numero del dado: mi ha insegnato il tempismo nelle battute”), partecipazioni a reality (nel 2012 si è classificata terza all' “Isola dei famosi” su Raidue) e due libri scritti. Da tre anni “giornalista a tempo pieno”, fa dell'avventura la sua caratteristica (“senza adrenalina non potrei vivere: sono stata anche sei anni in Cina”), dichiarando di “non avere un televisore da ben nove anni”. Signori, a voi il ritratto di una donna di spettacolo “anticonformista”, sincera e determinata. Domanda – Andrea, la sua recente conduzione della “37esima edizione del Festival internazionale del Circo di Monte Carlo” ha ottenuto su Raitre, nel periodo natalizio, oltre 2milioni500mila spettatori, con uno share del 12%. Un dato nettamente superiore all'anno precedente: soddisfatta? Risposta – Mi fa davvero piacere: speriamo sempre bene e meglio! Proprio qualche giorno fa mi hanno comunicato i dati d'ascolto, dicendomi che abbiamo avuto un seguito superiore al 2012. L'affetto del pubblico nei confronti di simili programmi, fra gag, colori e animali, non ha mai fine. D . – Infatti, non è nuova alla conduzione di programmi circensi, visto che Raitre già dal 2011 ha puntato su di lei come volto familiare. Dal suo punto di vista, qual è il segreto di un simile successo? R . – Io penso che i contesti legati al circo, d'estate, a Natale e Capodanno, hanno la forza di riunire ben tre generazioni in un sol colpo, creando un'occasione unica d'incontro. I nonni sono davanti alla tv con i nipotini e il divertimento è assicurato. Non accade tutto ciò se parliamo di calcio o di altri argomenti. La magia e le sfumature di simili programmi non hanno età e tempo. D . – E lei, col suo aspetto pulito ed elegante, non può che esserne la giusta referente. Di sicuro la confermeranno anche per le prossime estate e festività. R . – Speriamo bene. Mi auguro lei possa avere ragione: di questi tempi non si sa mai. D . – Stia tranquilla: porto fortuna a tutti gli artisti che incontro sulla mia strada. E così sarà per lei. Restando in tema di tv, che stagione stiamo vivendo? R . – Onestamente, se devo proprio dirgliela tutta, a casa non ho la tv da 9 anni. Non saprei cosa guardare: mi sono rivista solo in occasione delle registrazioni dei miei programmi, per migliorarmi e capire come possa essere andata. Altrimenti: il telegiornale ci deprime ogni giorno, dei reality non se ne può più, i talent impazzano su ogni rete e non si fa altro che “ballare con le stelle”. Preferisco leggere libri, scrivere, fotografare e proiettarmi verso nuovi orizzonti professionali. D . – Preferisce leggere, ma anche scrivere libri, visto che ne ha all'attivo ben due (nel 2008 e 2011).

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R . – Beh, uno è andato in libreria ed è stato venduto. Del secondo non ero convinta e l'ho ritirato dal mercato: forse lo farò uscire in tempi migliori. Al momento mi viene meglio fare la giornalista, visto che è la mia professione da ben tre anni a questa parte. D . – Non solo: fa anche la fotografa, l'autrice di documentari, l'interprete… R . – Diciamo che mi do un gran da fare: non riesco mai a stare ferma e devo inventarmene sempre una nuova. D . – Non è un caso che il suo spirito “peperino” assomigli molto a quello del suo “padrino” televisivo: mi riferisco a Piero Chiambretti. R . – Piero è una realtà unica nel suo genere. E' il quarto lato del triangolo, il settimo numero del dado. E' genio e imprevedibilità allo stato puro. Ha tempismo e un'intelligenza straordinaria. D . – Quale suo insegnamento ha interiorizzato negli anni, facendone tesoro? R . – Mi ha insegnato ad essere veloce: inutile perdere tempo. Se si fa una battuta bisogna avere i tempi giusti, senza perdersi in inutili giri di parole. Io c'ho provato e ci sto provando: spero di non deluderlo.

D . – Lei prima, a proposito dei reality, è stata un po' critica: fatto sta che nel 2012 ha partecipato all' “Isola dei famosi” su Raidue, classificandosi terza. Rifarebbe un'esperienza del genere? R . – Se non ci fossero le telecamere, forse sì: lì, purtroppo, è tutto amplificato e sei costretto a vivere con persone con le quali non condivideresti neanche tre minuti della tua vita. E' dura, ma senza il voyeurismo sarebbe ancora più edificante e interessante parteciparvi. D . – Le ho fatto questa domanda perché so quanto ami l'avventura, anche avendo portato avanti dei documentari in giro per il mondo. R . – Esatto. Pensi che ho vissuto persino in Asia per sei anni. Girare il mondo per me è come una droga: negli ultimi tempi lo sto facendo un po' meno, perché ho preso un animale domestico che non posso lasciare da solo. Ma l'adrenalina è sempre il mio principio. D . – Se le dico Vasco Rossi, cosa mi risponde? R . – E' a lui che devo dire grazie se poi sono arrivata a Piero Chiambretti: lo definirei il mio “talent scout” e non finirò mai di

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essergli riconoscente. D . – Cinema o fiction: cosa preferirebbe? R . – Cinema, di sicuro. D . – Come valuta il grande schermo italiano? R . – Si riferisce ai cinepanettoni? D . – No, parlo di Veronesi, Brizzi e molti altri registi. R . – Diciamo che, pensandoci, non mi dispiacerebbe lavorare con Carlo Verdone. D . – Lo sa che sarebbe ideale per una sua commedia, soprattutto per il suo spirito d'avventura, declinato al divertente? R . – Eh, magari. E poi adoro Ficarra e Picone. D . – Ok, dopo questa intervista vedrà che sarà contattata per il grande schermo (e scoppia una risata comune, ndr). R . – Speriamo: tutto può essere (e si continua a ridere, ndr). D . – Veniamo a noi: cosa le piacerebbe fare oggi, escluso il “Circo” (d'estate, a Natale e a Capodanno), sul piccolo schermo? R . – Vorrei fare qualcosa che riguardi i viaggi, magari un programma sugli animali. Qualcosa di costruttivo e non una trasmissione in cui mi limitano a fare la valletta, consegnando

la busta e dovendo sorridere ad ogni costo. D . – A che punto del suo percorso sente di essere oggi? R . – Se gliela devo dire tutta, non mi posso lamentare: oggi si lagnano in continuazione, in ogni santo momento della giornata, parlando sempre della “crisi”. Anche per questo evito di guardare la tv. Non sopporto più le persone che si piangono addosso, anziché fare qualcosa per cambiare gli eventi. Finché avrò un letto nel quale dormire e una casa che mi ripari, andrà tutto bene. Poi quel che verrà, verrà. D . – E la sua carriera come vorrebbe potesse proseguire? R . – Non ho grandi pretese. Speriamo che si realizzi l'edizione estiva del “Circo” quest'anno su Raitre, visto che stanno facendo un sacco di tagli ai programmi, in generale. Adesso parto per registrare la “38esima edizione del Festival di Monte Carlo”, in onda a fine anno. Per il resto mi adatto a fare di tutto un po': la giornalista, la fotografa, l'autrice, l'attrice, la conduttrice, l'avventuriera, l'interprete… Gianluca Doronzo

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Daniele Bossari


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L'evoluzione di Daniele Bossari sul piccolo schermo: maturo, introspettivo e credibile, per la settima volta è fra i protagonisti di «Mistero» (Italia Uno, ogni giovedì, ore 21.10), accanto a Jane Alexander, Marco Berry, Elenoire Casalegno e Clemente Russo, fra gli altri

«Alle soglie dei 40 vorrei incontrare il Maestro di vita: si dice arrivi quando l'allievo è pronto. Che sia il momento giusto?»

“Alle soglie dei 40 mi piacerebbe incontrare il Maestro di vita, quello con la maiuscola: si dice che arrivi quando l'allievo è pronto. Speriamo sia il momento”. Daniele Bossari è cresciuto, cambiato, maturato: al telefono si racconta con estrema disponibilità, passando anche in rassegna i tratti salienti del suo percorso televisivo (soprattutto nell'ambito delle trasmissioni musicali, con cui ha raggiunto la popolarità fra la fine degli Anni '90 e il 2000). L'occasione della chiacchierata è motivata dalla ripresa di “Mistero” (Italia Uno, ogni giovedì, ore 21.10, ottava edizione, per la regia di Arcadio Cavalli), in cui figura “anche come autore”, con un coinvolgimento totale nei servizi messi a punto (“per me partecipare per la settima volta è un sogno che si realizza, anche perché sono, nel mio tempo libero, proprio un appassionato dei temi che trattiamo”). Due le nuove entrate nel cast: Elenoire Casalegno e il pugile (campione del mondo) Clemente Russo. Confermati: Jane Alexander, Marco Berry e Andrea G. Pinketts, fra gli altri. Domanda – Daniele, con che spirito si sta apprestando alla ripresa di “Mistero” (Italia Uno, ogni giovedì, ore 21.10) e quali novità? Risposta – Siamo arrivati all'ottava edizione e per me si tratta della settima: diciamo che nel gruppo sono quello che ha maturato maggiore esperienza, a mo' di “veterano” (e ride, ndr). Ritengo che l'identità del programma sia molto forte e i temi sono quelli che, ovviamente, il pubblico conosce già, in aggiunta ad alcuni nuovi spunti. Il mistero e l'enigma costituiscono il motivo conduttore, in concomitanza alla presunta presenza degli alieni (con annesse indagini), all'esistenza di fantasmi e ad aspetti archeologici da approfondire. Quello che io metto a punto nei vari momenti della trasmissione è per me una vera passione anche nel tempo libero: essere così presente a “Mistero” è stato un sogno realizzato. Non è un caso che io figuri anche fra gli autori. A tutto ciò bisogna aggiungere l'introduzione quest'anno di nuovi conduttori: in primis Elenoire Casalegno e Clemente Russo, campione del mondo nell'ambito del pugilato. L'impostazione si è poi modificata: non siamo più in studio, ma su un piroscafo a vapore (restaurato di recente e tornato in navigazione sul lago di Como), da cui vengono fatti lanci, introduzioni e approfondimenti dei servizi. Sono davvero emozionato. E non posso fare a meno di raccontarle che sono rientrato da poco dall'esplorazione dei sotterranei di New York, dove siamo scesi a filmare la cosiddetta città nascosta, con tutte le zone annesse. Un'esperienza indelebile. Giusto per concludere la mia panoramica, dico solo che agli aspetti legati alla fenomenologia degli eventi alterneremo il folclore e il mondo delle fate, fra leggende, avvistamenti, aneddoti e tanti dettagli da illustrare. D . – Il fatto che “Mistero” sia giunto all'ottava edizione è segno non solo di longevità, ma soprattutto di un estremo interesse da parte del pubblico per le tematiche trattate, con buoni risultati d'ascolto: in fondo, viviamo stagioni in cui un programma dura un anno o poco più. R . – Di sicuro c'è una grande curiosità verso le tematiche,

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come già dicevo prima, legate all'ignoto: non lascia indifferenti ciò che ruota attorno al fenomenologico, paranormale o inspiegabile. Noi, con la nostra cifra narrativa, motiviamo anche la discussione da casa, fra “scettici” e “seguaci”. E, a mio modesto parere, ci differenziamo da molte altre testate per contenuti e confezione generale. D . – Tra l'altro, lei è cresciuto in concomitanza al gradimento della trasmissione: come ha giustamente detto prima, adesso figura anche fra gli autori. R . – Fin dall'inizio sono stato preso emotivamente da “Mistero”, anche quando affiancavo Enrico Ruggeri nelle prime edizioni. Io amo le tematiche che affrontiamo e ne ho pieno coinvolgimento: già agli esordi davo, con le mie idee, dei suggerimenti agli autori. Nel tempo la costanza, la voglia di approfondire e le esperienze maturate mi hanno portato a raggiungere gli obiettivi, di cui stiamo piacevolmente parlando nella nostra chiacchierata. D . – A che punto del suo percorso sente di essere arrivato oggi? R . – Sento, onestamente, di essere all'inizio. Di sicuro, essendo alle soglie dei 40, ho accumulato una carrellata di

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esperienze, serie e approfondite, tali da potermi ritenere pronto per una nuova partenza. Da ora in poi si va per avventure e orizzonti ancora da esplorare. Evolversi significa essere sempre pronti a mettersi in discussione: è impossibile rimanere fermi o ancorati a ciò che si pensa e si è, in maniera statica e solita. Si va sempre avanti ed io sono in viaggio. D . – Che fase sta attraversando il piccolo schermo? R . – Direi che siamo in un momento interessante. Ci sono mille opportunità nuove, dettate dalle tecnologie avanzate e dalla voglia di conoscere universi ignoti. Va da sé, però, che con l'innovazione tutto diventa più articolato e ci vorrebbero maggiori programmi in questa direzione, più opportunità. Per chi ha un po' di creatività e vuole essere al passo coi tempi, la tv oggi sta diventando sempre più social, “on demand”, consentendo lo sviluppo di tantissimi contenuti. Veramente lo scenario è cambiato e non può che essere positivo il tutto, se vissuto in maniera costruttiva. D . – Nella sua carriera ci sono stati tantissimi programmi musicali: al di là dei “talent”, com'è trattata nel panorama odierno la musica in tv? R . – Al di là dei “talent” c'è il “talent”: sono simili programmi che


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oggi dettano le regole. E non si può prescindere, perché chi ne viene fuori si impone sul mercato discografico e costruisce un percorso, una carriera, il suo futuro. Un tempo c'era Mtv, poi è stata l'epoca delle classifiche, per passare a manifestazioni come il “Festivalbar”, dei veri e propri “must”. D . – Ecco, appunto, il “Festivalbar”: non se ne sente la mancanza? R . – Di sicuro anch'io ho nostalgia dell'approccio che manifestazioni come il “Festivalbar” portavano nei confronti della musica. Ne sono stato un appassionato, al di là del fatto che l'abbia condotto: erano eventi celebrativi, dei riti collettivi, degli appuntamenti che aspettavi con trepidazione (al di là di “Sanremo”). E, soprattutto, si trattava di occasioni per portare artisti internazionali in Italia, facendoli esibire in esclusiva. Adesso tutto ciò non avrebbe più senso: appena torni a casa, accendi il computer e ascolti tutta la musica che vuoi, avendo “in streaming” i programmi di tutto il mondo. Non c'è più l'attesa, la curiosità della serata unica. Ogni evento è alla portata del singolo. D . – E la sua partecipazione a “Verissimo” su Canale 5 con Silvia Toffanin come la valuta?

R . – Adesso non sto collaborando col programma, in quanto mi si sono accavallati tantissimi impegni, al di là di “Mistero”: sono stato costretto un attimo ad accantonare la mia partecipazione accanto a Silvia Toffanin. Devo dire che “Verissimo” mi ha dato l'opportunità di affrontare tematiche legate alla tecnologia, spiegando ad un pubblico popolare ed eterogeneo anche questioni apparentemente più ostiche. Non posso che essere grato a tutti loro e, appena sarà possibile, tornerò a far parte di questa squadra bellissima di Canale 5. D . – Daniele, cosa vorrebbe potesse accadere nella sua vita, arrivato alle soglie, come diceva prima, “dei 40”? R . – Mi piacerebbe incontrare il Maestro, quello proprio con la maiuscola. Devo dire che finora sono stato fortunato rispetto alle persone che ho conosciuto: ciascuno ha saputo darmi tanto, arricchendomi strada facendo, soprattutto da un punto di vista umano. Sono, ovviamente, cresciuto anche in merito al percorso esistenziale fatto fin qui. Però mi manca quel quid. Si dice che “il maestro arriva quando l'allievo è pronto”. Forse io non sono ancora maturo per un simile incontro, però vorrei tanto conoscere il mio Maestro di vita. Gianluca Doronzo

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SANREMO

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SANREMO 2014 - I CAMPIONI IN GARA

Arisa, Giusy Ferreri, Antonella Ruggiero, Noemi, Francesco Renga, Ron e Giuliano Palma fra i 14 «Campioni» in gara sul palco dell'Ariston, dal 18 al 22 febbraio su Raiuno (ore 21.10)

Dal pop alla canzone d'autore, con un occhio al rock e funky: il Festival «più contemporaneo» secondo Fabio Fazio

Manca poco. E si alzerà il sipario sulla 64esima edizione del “Festival di Sanremo” (Raiuno, dal 18 al 22 febbraio, ore 21.10), condotta (per la seconda volta consecutiva) da Fabio Fazio e Luciana Littizzetto. Se sul versante ospiti si parla di Laura Pausini, Claudio Baglioni, Gino Paoli (assieme al pianista jazz Danilo Rea) e Raffaella Carrà, ecco i nomi dei 14 “Campioni” in gara, pronti a sfidarsi con ben due brani “a testa” (con uno dei quali arriveranno in finale, ad epilogo delle eliminazioni delle prime serate). Rentrée sul palco dell'Ariston per Arisa (“Lentamente” e “Controvento”) e Noemi (“Bagnati dal sole” e “Un uomo è un albero”), a due anni dalle loro ultime partecipazioni, con cui rispettivamente si classificarono seconda (“La notte”) e terza (“Sono solo parole”), più determinate che mai, in seguito ad esperienze televisive da “giudice” nei talent “X Factor” e “The Voice of Italy”. Esordio “da solista” per Francesco Sarcina (“Nel tuo sorriso” e “In questa città”) e Riccardo Sinigallia (“Prima di andare via” e “Una rigenerazione”), dopo aver animato stagioni discografiche con “Le Vibrazioni” e i “Tiromancino”: per entrambi si preannunciano hit radiofoniche e pop, con consacrazioni d'impatto. A sette anni dalla sua precedente performance (anche se nel 2013 ha affiancato, nella serata dei duetti, il gruppo “Marta sui tubi”), ritorna Antonella Ruggiero (“Quando balliamo” e “Da lontano”), pronta a incantare il pubblico con una vocalità ineccepibile, facendo respirare la classe e l'eleganza di una delle poche vere Signore della canzone italiana. Due vincitori del passato (del 2005 e 1996) si rimettono in gioco: stiamo parlando di Francesco Renga (“A un isolato da te” e “Vivendo adesso”) e Ron (“Un abbraccio unico” e “Sing in the rain”), decisi a conferire un autentico tocco di modernità alla kermesse, con pezzi freschi, ricchi di sonorità e arrangiamenti ad hoc. Sul versante rap si erano fatti i nomi più disparati (da Moreno a Fabri Fibra): a spuntarla è stato, però, Frankie Hi-NRG (“Pedala” e “Un uomo è vivo”), già in competizione nel 2008 con “Rivoluzione”, puntualmente vivace e interessante nei testi. Di lei si erano perse le tracce (musicali) dal 2011: Giusy Ferreri (“L'amore possiede il bene” e “Ti porto a cena con me”) si ripropone con canzoni contenute in un album, frutto di un lunghissimo lavoro con la produttrice Linda Perry, destando decisamente attesa e curiosità. Sinergia del tutto particolare fra Raphael Gualazzi e Bloody Beetroots (“Liberi o no” e “Tanto ci sei”), fra funky, blues e underground (elettro-punk). Sul versante “gruppo indipendente” per la prima volta ci saranno i Perturbazione (“L'unica” e “L'Italia vista dal bar”), il cui motivo più celebre è “Agosto”: vena malinconica, scrittura sagace e un sound ammiccante le “armi” da sfoderare. Si conclude la lista con tre uomini (è un “Festival” quasi tutto declinato al maschile, con una cifra autoriale da “Premio Tenco”): Cristiano De Andrè (“Invisibili” e “Il cielo è vuoto”), Renzo Rubino (“Ora” e “Per sempre e poi basta”), fra i “Giovani” nell'edizione 2013, e Giuliano Palma (“Così lontano” e “Un bacio crudele”), re delle cover in salsa ska, noto per la collaborazione con i Club Dogo in “P.E.S.”, tormentone dell'estate 2012. Buon ascolto a tutti, perché “Sanremo è Sanremo”. Se vi pare. Gianluca Doronzo

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Patty Pravo


MUSICA - LA SIGNORA DELLA CANZONE ITALIANA

Ben 110 milioni di dischi venduti in oltre 40 anni di carriera: Patty Pravo, la Signora della canzone italiana, ripercorre i suoi successi ricordando, fra l'altro, le collaborazioni con Vasco Rossi e Gaetano Curreri

«Bisogna credere nei giovani: sto mettendo a punto il mio nuovo album di inediti, affidandomi alle creative talentuosità del futuro»

Fiduciosa nei confronti delle “nuove leve musicali”. Puntualmente “al servizio” di manifestazioni “a scopo benefico”. Elegante nelle sue interpretazioni, soprattutto quando “si entusiasma” per collaborazioni con l'accoppiata Vasco Rossi-Gaetano Curreri (“E dimmi che non vuoi morire” e “La luna”, ad esempio). La Signora (volutamente con la maiuscola) della canzone italiana, da oltre 40 anni sulla scena internazionale (ben 110 milioni di dischi venduti), non smentisce la sua classe innata, facendo dell'umiltà il motivo conduttore: di recente al Petruzzelli di Bari, nell'ambito della kermesse “Le strade di San Nicola” (il cui ricavato è stato devoluto alle famiglie più povere del capoluogo pugliese), si è concessa con estrema familiarità per una chiacchierata, facendo un po' il punto della situazione sul mercato discografico (“bisogna incentivare la creatività, a dispetto della crisi”), sui cosiddetti “talent show” (“non sempre sinonimo di garanzia di percorsi futuri per i ragazzi”) e sulla sua carriera (“non bado ai primati: vorrei mi si ricordasse per le emozioni che ho saputo dare al pubblico”). Tutto con una disarmante semplicità, vera prerogativa dei grandi, di chi ha fatto la nostra storia. Domanda – Costante del suo percorso, in oltre 40 anni di carriera, è stata la partecipazione a manifestazioni con finalità benefiche: segno della estrema sensibilità che la caratterizza. Che pensa della kermesse “Le strade di San Nicola” al Petruzzelli di Bari, a cui ha di recente partecipato? Risposta – In tutta sincerità ho accettato di prendervi parte perché mi è sembrato un bel regalo di Natale da fare al pubblico, soprattutto considerando l'obiettivo del Comune di Bari, decisamente nobile, autorevole ed interessante. Ho preso l'aereo da Venezia e sono scesa in Puglia, per carpire un po' del calore e dell'umanità di chi anima una regione così splendida. D . – Il ricavato è stato devoluto in beneficenza, proprio alle famiglie più povere, selezionate dal Comune di Bari, con figli portatori di handicap: tra l'altro, in Puglia si stanno moltiplicando le manifestazioni a scopo benefico, segno di un potenziamento del senso di solidarietà. R . – La Puglia devo dire che sta facendo davvero grandi cose per il prossimo: ci sono tante iniziative, c'è molto fermento e non posso che esserne lusingata. D . – Il calore della popolazione del Sud è sempre unico nel suo genere. R . – Sì: credo sia proprio nel patrimonio genetico di chi anima il Sud il bisogno di dare e ricevere calore. Si respirano amore, terra, mare, cielo e colori. Che emozione! D . – Il senso di altruismo, fra le altre cose, è davvero ammirevole in questo periodo di “crisi”, termine del quale non possiamo fare a meno da diversi anni. Anche il mercato discografico ne ha risentito fortemente, no? R . – Ovviamente nessuno, e dico nessuno, è esente dalla crisi che stiamo attraversando. Neanche noi cantanti e musicisti. Per superare questa fase, però, non dobbiamo far altro che sperare di essere ottimisti. Sempre. Dobbiamo, quasi fosse un

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imperativo categorico, venire fuori da una situazione non proprio edificante quanto prima. Non se ne può più. D . – E' fiduciosa in una ripresa, dunque? R . – Ma certamente! Non bisogna mai perdere la fiducia e la speranza che le cose cambino. D . – Ad affiancarla sul palco del Petruzzelli, fra gli altri, ci sono stati: Ron, Antonio Maggio e gli Zero Assoluto. Qual è il suo punto di vista su ciascuno? R . – Io e Ron ci conosciamo da quando eravamo ragazzini: siamo amici da tanto, tantissimo tempo. Antonio Maggio non lo conoscevo personalmente, mentre gli Zero Assoluto li avevo incontrati forse solo una volta, ad un bar, per caso. D . – Alla luce dei suoi oltre 40 anni di carriera, direi che è la persona giusta a cui rivolgere la seguente domanda: cosa significa fare musica oggi? R . – Non è facile. Bisogna adeguarsi ai tempi. In virtù della crisi di cui abbiamo parlato prima, ovviamente anche il mercato discografico non ne è esente. Ci vogliono sicuramente più idee, creatività e situazioni nuove da mettere a punto con passione, determinazione e tanto, ma dico tanto, coinvolgimento. D . – Il suo entusiasmo non può che essere d'insegnamento per le nuove leve, signora Pravo: a proposito, cosa pensa dei cosiddetti “talent show”? R . – Vanno bene perché appartengono alla moda del momento, ma mi sembra siano situazioni un po' fasulle alla lunga: una volta ci si incontrava fra artisti, ci si scambiavano opinioni, idee e curiosità. Oggi ho l'impressione sia tutto un po' preconfezionato, anche attraverso trasmissioni televisive che non garantiscono percorsi sicuri in futuro. Pensiamo poi al fatto che si può fare tutto nella propria stanzetta: da un computer

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all'altro, da Bari a New York, si crea musica, si computerizza ogni elemento e le persone non si parlano più, non comunicano più “de visu”. Tutto si è un po' appiattito e mi dispiace enormemente. Ora, nonostante tutto, a mio parere è importante fare bene musica. Un principio da cui non si può prescindere. D . – Quanto dovremo aspettare per ascoltare nuovamente la sua musica, con pezzi inediti? R . – Sinceramente sto anche collaborando con giovani promesse della scrittura e della musica per il mio nuovo album: vedremo come andranno le cose. Non è facile mettere su un album di inediti con i tempi che corrono. Ma ne ho ancora voglia ed eccomi al lavoro in questi mesi, come se fossi una ragazzina. D . – La sua ultima partecipazione al “Festival di Sanremo” risale al 2011: tornerebbe in gara? R . – (Dopo una risata al telefono, ndr) Non sono adatta a “Sanremo”: tutte le esperienze che ho fatto mi sembra, onestamente, siano state un po' disastrose. Non ritengo che ci tornerò immediatamente. Poi è logico: mai dire mai. Indubbiamente rimane l'unica vetrina importante per la promozione della musica italiana. In tv in una sola settimana arrivi a milioni di persone in un sol colpo: impresa non da poco. D . – Con 110 milioni di dischi in carriera, lei è la terza donna con le maggiori vendite nel panorama discografico, subito dopo Mina e Dalida. Che effetto le fa? R . – Onestamente non considero queste classifiche come fondamentali nella vita: prima, seconda o terza, l'importante è che di me si possano ricordare per le emozioni che ho saputo eventualmente lasciare. D . – Anche il fatto che sia “il quarto artista italiano” col maggior riscontro commerciale non le fa alcun effetto? R . – Non ci faccio caso (e scoppia a ridere al telefono, quasi con disarmante distacco, ndr). D . – Che ricordo ha della sua esperienza in Cina nel '94, da cui scaturì l'album “Ideogrammi”? R . – Quella in Cina è stata un'impresa meravigliosa: sono stata l'unica artista, non solo italiana, ad esserci stata. L'album “Ideogrammi” fu molto, ma molto particolare: ancora oggi


MUSICA - LA SIGNORA DELLA CANZONE ITALIANA

credo debba essere rivalutato per la sua complessità e fascino allo stesso tempo. D . – D'accordo che non le piaccia sapere dei suoi primati, ma ne vanta talmente tanti da non poter fare a meno di parlarne: ad esempio, il suo “Ragazzo triste” è stato il primo brano pop ad essere trasmesso da “Radio Vaticana”. R . – Pensi che in televisione il pezzo fu censurato in una trasmissione e andò subito nelle radio: diventò talmente un successo che anche “Radio Vaticana” decise di trasmetterlo. Questa è stata un'esperienza davvero particolare e memorabile. D . – Da “E dimmi che non vuoi morire” a “La luna” il suo percorso annovera una splendida collaborazione con Vasco Rossi e Gaetano Curreri: tra l'altro, ha anche vinto diverse volte il “Premio Lunezia” per simili pezzi.

R . – A me fa molto piacere aver lavorato e lavorare con Vasco e Curreri: la loro è un'accoppiata vincente nella scrittura di pezzi e la vittoria del “Premio Lunezia”, anche di recente per “La luna”, è dimostrazione del successo delle loro idee e ispirazioni. Sono sempre propositiva e spero anche in un nuovo lavoro futuro fra di noi. D . – Il suo “Sulla luna tour” durerà fino alla conclusione del 2014? R . – Di sicuro fino in primavera, poi non so. In merito all'uscita del nuovo album, mi sa che arriveremo a settembre-ottobre prossimi. Ci sono dei giovani nei quali credo e spero di poter lavorare bene con loro. Di più non posso aggiungere. Gianluca Doronzo

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Antonio Maggio


MUSICA - LA RIVELAZIONE

Un anno da «incorniciare» per Antonio Maggio, vincitore di «Sanremo Giovani» nel 2013, prossimamente protagonista di un nuovo album «tutto da scoprire»

«Partecipare ad un talent va bene come punto di partenza: gavetta, passione e tanta perseveranza creano il futuro di un cantante»

Il 2013 l'ha consacrato al grande pubblico, rendendolo protagonista di “un anno da incorniciare”. La vittoria di “Sanremo Giovani” (col brano “Mi servirebbe sapere”, a cui ha fatto seguito l'album “Nonostante tutto”) è stata sinonimo di un “sogno diventato realtà”, dopo svariate volte in cui (da solista o in gruppo con gli “Aram Quartet”) ha tentato di calcare il fatidico palco dell'Ariston. Antonio Maggio (originario di San Pietro Vernotico, classe 1986) ha fatto davvero del “sangue, sudore e lacrime” il suo tratto distintivo per un decennio (sostenendo con ironia: “Mannaggia, non me ne ero ancora accorto!”), non smettendo mai di credere nel proprio talento. Di recente è stato al Petruzzelli di Bari, fra gli ospiti della kermesse (il cui ricavato è stato devoluto in beneficenza) “Le strade di San Nicola”, accanto a Patty Pravo, Ron e gli Zero Assoluto, per citarne alcuni. L'occasione è stata “ad hoc” per scambiare due battute al volo, passando in rassegna un giovane percorso che già sta facendo parlare di sé nell'ambito della musica italiana per originalità, inventiva e tanta passione. Domanda – Antonio, quale ragione l'ha motivata a partecipare di recente alla kermesse “Le strade di San Nicola” al Petruzzelli di Bari, il cui ricavato è stato devoluto in beneficenza? Risposta – In primo luogo devo dire di essere stato invitato con estremo piacere: ogni volta in cui si parla di beneficenza e manifestazioni annesse, credo non si possa fare a meno di prendervi parte. Tra le altre cose, non ho potuto rifiutare la proposta del direttore artistico, Titta De Tommasi, a cui sono molto legato da un rapporto di amicizia. La causa in questione mi sembra davvero dignitosa e sentita: aiutare le famiglie più in difficoltà del capoluogo pugliese. Essendo un esponente della mia regione, al di là degli aspetti artistici, non potevo fare a meno di esserci. D . – Quanta solidarietà, in generale, riscontra fra i suoi colleghi, ogni volta in cui si tratta di partecipare a manifestazioni “a scopo benefico”? R . – Noi artisti, anche se il termine è un po' grosso, abbiamo la fortuna di fare quello che ci piace, diventando anche popolari: per questo ritengo sia un dovere aiutare chi ha bisogno, con la nostra presenza. In fondo a decretare il nostro successo è la gente comune e non possiamo sottrarci nel momento in cui si richiede un nostro intervento: non sarebbe giusto e leale. A me poi piace esserci. E l'ho fatto con estremo piacere anche questa volta. D . – Fra gli altri, l'hanno affiancata sul palco: Ron, Patty Pravo e gli Zero Assoluto. Che dire di ciascuno? R . – Ron lo conosco personalmente da tanto, visto che i miei dischi li ho registrati proprio a Garlasco, dove lui vive e svolge la sua attività. Ci accomuna questo aspetto, un dato non irrilevante. Patty Pravo è una pietra miliare della musica italiana: un onore poter essere sullo stesso palco con lei. Gli Zero Assoluto li conosco da tanto: abbiamo fatto assieme anche delle manifestazioni. Sono dei bravi ragazzi, simpatici e, soprattutto, amici. Tutte belle persone. D . – La musica, dunque, aiuta e unisce: no?

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non è stato un percorso facile anche, e soprattutto, per via dei cambiamenti. Ho sempre sperato e sognato si potesse verificare quello che è accaduto nel 2013, quando ho vinto “Sanremo Giovani”. E, onestamente, ritengo lo scorso sia stato un anno da incorniciare. Poi il palco dell'Ariston l'ho inseguito a lungo, sia da solista che col gruppo (gli “Aram Quartet”, ndr). D . – Fatto sta che il sogno è diventato realtà, a dimostrazione che la perseveranza e il coraggio non hanno potuto che premiarla. R . – Tra le altre cose, nel 2013 tutti coloro i quali mi conoscono da tanto hanno notato la mia tranquillità sul palco. Sono cambiato, non solo fisicamente, ma proprio nel modo di pormi, anche davanti alle telecamere. Il mio rapporto con gli altri si è modificato. Sono cresciuto. D . – Avrebbe voluto partecipare fra i “Campioni” al “Festival” 2014? R . – Questa è una domanda a cui non posso rispondere: mi dispiace. D . – D'accordo: allora mettiamola così. So che a breve uscirà il

R . – Assolutamente, ben detto. Nel nostro piccolo possiamo fare tanto, intrattenendo. In fondo con poco rendiamo felici gli altri. D . – Ed è davvero tanto aiutare chi non riesce ad arrivare alla fine del mese, a causa di seri problemi familiari, come sta accadendo per molte famiglie di Bari. R . – Purtroppo è tornato prepotentemente alla ribalta un termine come “povertà”: dobbiamo fare qualcosa per gli altri. Vorrei fosse un imperativo categorico. D . – Se dovessimo considerare il suo percorso, in circa dieci anni di carriera davvero ha dovuto “superare” tantissime difficoltà: il 2013, però, con la vittoria di “Sanremo Giovani” l'ha riscattata. R . – Santo cielo: sono trascorsi già dieci anni dall'inizio della mia carriera! Questa la scrivo subito su Facebook (e ride al telefono, ndr). D . – Ebbene sì, dalla sua partecipazione a “Castrocaro” sono passati ben dieci anni. R . – Mannaggia, sto diventando vecchio (e dopo un'altra risata, riprende, ndr)! Scherzi a parte, è proprio vero che il mio

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suo nuovo album. R . – Esatto: uscirà nei primi mesi del 2014 e sono molto contento del risultato raggiunto. Mi piacciono i brani, li ho registrati con passione e trasporto. E, magari, ci sentiremo all'uscita per parlarne: no? D . – A sua disposizione, Antonio. Dulcis in fundo: qual è il suo punto di vista sui cosiddetti “talent show”, visto che con gli “Aram Quartet” ha vinto la prima edizione di “X Factor”? Cosa consiglierebbe ad un giovane che volesse fare della musica la sua vita? R . – Ritengo che il “talent” in sé sia una delle tante strade per provare a fare musica in Italia. Ma, a mio avviso, va considerato come un tassello della gavetta e non a mo' di punto di arrivo. I ragazzi, una volta venuti fuori da un programma televisivo come “X Factor”, devono imparare a crescere, misurandosi con la vita, anche prendendo delle batoste, per rafforzare la propria passione. Uno su cento ce la fa, ma tanti altri rimangono in ombra, nel dimenticatoio. E tutto ciò può essere deleterio e distruttivo. Io credo più nelle tappe artistiche ed umane, senza mai montarsi troppo la testa. Se si vuole fare della musica la propria vita va benissimo: il tempo riesce a dare le giuste risposte. Rimanendo puntualmente con i piedi per terra. Non scordatelo, ragazzi. Gianluca Doronzo

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Lisa Angelillo


POP MUSICAL - LA RECENSIONE

Debutto (in attesa, quanto prima, di una lunga tournée in tutt'Italia) al «Teatro della Luna» di Milano di «SOLO TU!», scritto da Marco Marini e Carlo Marrale, per la regia di Elena Dragonetti

Un pop musical con ritmo, incentrato sulle potenzialità vocali (e da performer) dell'eclettica Lisa Angelillo

Ci sono spettacoli cuciti “su misura” per autentiche (e trasversali) potenzialità espressive, valorizzandone talento (nell'etimologico “dono di Dio”), credibilità da “performer” e, soprattutto, passione smodata per la sfera artistica. Il popmusical (il primo del genere in Italia) “SOLO TU!” (scritto da Marco Marini e Carlo Marrale, storico fondatore dei “Matia Bazar”, autore di illustri pezzi come “Ti sento”, “Stasera che sera”, “C'è tutto un mondo intorno” e “Vacanze romane”) ne è un esempio. In più di tre ore di “live”, con un cast di tutto rispetto (dal debutto al “Politeama” di Genova, alla recente tournée al “Teatro della Luna” di Milano), si è avuta l'impressione di voler manifestare un preciso obiettivo: consacrare l'eclettico universo di Lisa Angelillo (cantante e attrice, di origini pugliesi, fra le più stimate del panorama nazionale, reduce dal successo di “Mamma mia!” con Chiara Noschese, nei panni di Tanya), dopo ben 25 anni di carriera, dandole meritatamente un ruolo da protagonista a tutto tondo. Ed è, onestamente, proprio in una simile direzione il vero gradimento della pièce, diretta da Elena Dragonetti (show designing di Emiliano Morgia, scenografia di Laura Benzi, coreografie di Antonietta Scuderi e arrangiamenti musicali a firma anche di Emiliano Cioncoloni), con un buon ritmo sostanziale, numerosi brani in rassegna e giochi di luci opportuni, seguendo in maniera decisa gli sviluppi narrativi. Protagonista è Cinzia, madre premurosa e moglie di Walter, puntualmente in disistima per il suo fisico e sempre “inadeguata” rispetto alle situazioni circostanti: la scoperta di un tradimento rivoluzionerà la sua vita (e quella di tutti i personaggi coinvolti), fino a manifestare nuovi sentimenti per Bruce, imprenditore/poeta, interpretato da un credibile (e mai eccessivo) Michele Carfora (fra gli esponenti più quotati del musical italiano, con all'attivo esperienze in “Grease”, “Rent” e “Cats”). Così, fra un preludio più in prosa e una seconda parte “vocale”, Lisa Angelillo non smentisce il suo piglio incisivo, spaziando nei registri, quasi si fosse a Broadway (la sua resa, senza esagerare, non avrebbe nulla da invidiare a grandi dive d'oltreoceano: i produttori non dovrebbero lasciarsi perdere l'occasione di convocarla per un'opera “made in USA”). Da sola è il “primo motore immobile” per i suoi compagni, facendo davvero vibrare le corde delle emozioni nei momenti in cui offre una versione del tutto personale (senza emulare alcuno) delle più celebri canzoni dei “Matia Bazar”, “leitmotiv” dell'escalation drammaturgica. Ha dinamismo (a dispetto di qualche collega, a tratti un po' statico), precisione e non corre mai il rischio di una slabbratura (alle spalle un percorso che annovera fra i Pigmalioni anche Gigi Proietti). Ad affiancarla: Valeria Camici, Giordana Faggiano, Alessandro Arcordia (bravo e sinergico al punto giusto, distante da orpelli e sovrastrutture), Marco Trespioli, Gianluca Roncari e Andrea Bottesini (nell'ensemble: Naomi Piga, Stefano Tubolino, Flavio Parodi, Omar Bresciani e Alice Andreoli). Dignitoso il livello complessivo (anche se andrebbe smussata, talvolta, la distonica cifra fra professionisti ed emergenti, con piccoli accorgimenti più curati a livello tecnico), con un quesito finale: quando una tournée più completa nel Belpaese? Nell'attesa, ecco un bel “chapeau” al coraggio delle idee! Gianluca Doronzo

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Salvatore Palombi


MUSICAL - L’INCONTRO

Il poliedrico Salvatore Palombi veste i panni del protagonista nel musical «Ghost», in tournée al Brancaccio di Roma fino al 9 febbraio, accanto a Loretta Grace e Christian Ruiz

«Il teatro è tutta la mia vita, ma sogno di fare cinema: registi, dove siete?»

Gigi Proietti è stato il suo maestro. Cobelli, Ronconi e Lavia lo hanno diretto negli anni, sviluppandone potenzialità nella prosa, “sua dimensione naturale”. Il musical, però, gli ha consentito una popolarità più immediata, mettendolo alla prova nell'ambito del ballo, canto e recitazione: dopo “Dance!” (2000) e “The Mission” (2011), il poliedrico e intenso Salvatore Palombi sta attualmente vestendo i panni del protagonista in “Ghost” (dall'omonimo film del '90), nel ruolo di Sam (che fu del compianto Patrick Swayze), al Brancaccio di Roma fino al 9 febbraio, per la regia di Stefano Genovese. Un cast di tutto rispetto (con Christian Ruiz, Loretta Grace e Ilaria Deangelis, fra gli altri), una produzione “MAS e Poltronissima Spa”, firme prestigiose per le sonorità e liriche (Dave Stewart degli Eurythmics e Glen Ballard). Al telefono, fra humour e una simpatia in crescendo, l'escalation del racconto di una carriera “in attesa di una convocazione cinematografica”, unico tassello ancora mancante in un curriculum invidiabile per qualsiasi attore in circolazione. Per la serie: registi, dove siete? Domanda – Signor Palombi, all'interno del suo percorso attoriale cosa rappresenta il musical (non essendo nuovo ad esperienze del genere, avendo già all'attivo “Dance!” nel 2000 e “The Mission” del 2011) “Ghost” (dall'omonimo film del '90), in scena al Brancaccio di Roma fino al 9 febbraio? Risposta – Io, a dire la verità, mi sono sempre mosso più nella prosa che nel musical, pur non essendo – come giustamente ha detto lei – nuovo ad esperienze del genere. Ho iniziato frequentando tanti anni fa il laboratorio di Proietti a Roma e diventare attore è sempre stato il mio sogno: con un maestro come Gigi, tra l'altro, non ho potuto che interiorizzare i suoi insegnamenti, facendone tesoro. Ora, al di là dell'aspetto più legato alla mia formazione, non sono in maniera assoluta un amante del musical in sé: come dirle, sono uno più “di prosa”, di nicchia. Ammetto di essere arrivato a “Ghost”, facendo un provino senza poi sapere tantissimo sul film. E' stata, però, proprio questa specie di incoscienza a farmi affrontare, nel momento in cui sono stato scelto, un'esperienza molto particolare, senza aspettarmi tanto. Alla luce dei risultati, tuttavia, non posso che esserne entusiasta: non ho perseguito tentativi di emulazione rispetto a quanto prodotto sul grande schermo nel '90. Ho cercato di dare al mio personaggio, Sam, profondità, anima e spessore. Con tanto cuore. D . – Quali, a suo parere, le chiavi di successo del film, potenziate e valorizzate nell'adattamento teatrale? R . – Secondo me, in primis, il vero punto di forza del film è la storia d'amore: una tematica sempre eterna, che non muore mai. A ciò si aggiunga la sfera brillante, che caratterizza diversi personaggi, e l'estrema fruibilità dello sviluppo della vicenda. Nel nostro musical ci si diverte e commuove: si piange e si ride, con un cast davvero di alto livello. D . – Come spiega il gradimento esponenziale del musical in Italia negli ultimi anni? R . – C'è, indubbiamente, stato un allargamento di utenza: ritengo che il successo del musical, come genere, sia innanzitutto nella estrema leggerezza di fondo, di sicuro anche

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MUSICAL - L’INCONTRO

stato per me come un padre, una presenza fondamentale, importantissima. A lui devo molto: ricordo ben cinque stagioni di crescita, evoluzione e tanta passione per la drammaturgia. Ronconi è il genio. Lavia è un grande uomo di teatro e, soprattutto, un maestro: il suo è stato un incontro formativo e importante, nello specifico per gli ultimi anni in cui ho fatto la prosa. Non posso dimenticare la sua direzione nel “Molto rumore per nulla” di Shakespeare, in cui ho vestito i panni di Don Pedro. D . – Concordo pienamente rispetto a quanto sostiene nei confronti di Lavia: l'ho conosciuto e incontrato in diverse occasioni, anche quando ha affiancato la compianta Mariangela Melato in “Chi ha paura di Virginia Woolf?”, anni fa al Piccinni di Bari. R . – Mariangela Melato manca davvero al teatro italiano: è stata una donna generosa, disponibile, buona e puntualmente attenta ai giovani. D . – In questo periodo in cui ricorre l'anniversario della sua scomparsa, si sente ancora di più il vuoto dettato dalla sua assenza. R . – Esatto, si sente il vuoto. D . – Il ricordo di Mariangela Melato mi porta a formularle una precisa domanda: cosa significa essere attori oggi? R . – E' davvero molto, ma molto difficile. Lo scenario nel quale ci troviamo a lavorare non è spesso così semplice come può sembrare. Nonostante la crisi e i tagli oggettivi alle produzioni, il numero degli attori continua a crescere in maniera esponenziale. Il che non va bene. I cachet sono scesi e il momento di difficoltà è realmente oggettivo. Ci vorrebbero più incentivi, finanziamenti e sovvenzioni per il teatro, la lirica e la musica in generale.

col supporto della tv. I cosiddetti “talent”, attraverso il potenziamento di discipline quali ballo, canto e recitazione, hanno supportato l'avvicinamento del pubblico al teatro musicale. Moltissimi giovani si sono appassionati allo studio del musical, facendolo poi diventare “una vera e propria professione”. Il che non è un dato da sottovalutare. D . – Abbiamo, all'inizio della nostra chiacchierata, citato il suo maestro, Gigi Proietti: un suo insegnamento, di cui ha fatto tesoro negli anni? R . – Ricordo che ripeteva spesso: “A chi tocca, nun se ingrugna”. E' stato davvero il primo che abbia creduto in me, incondizionatamente, dandomi delle dritte fondamentali per il proseguimento del mio percorso. Poi di pietre miliari, a livello registico, ce ne sono state tante nella mia vita, da Ronconi a Cobelli, per farle un esempio: ciascuno ha saputo regalarmi qualcosa di sé, che custodisco nel profondo del cuore. Gigi con la sua scuola mi ha motivato a conoscere e approfondire il teatro, il suo universo e, soprattutto, la sua storia. D . – Se le dico Cobelli, Ronconi e Lavia, cosa mi risponde? R . – Con Cobelli ho fatto all'incirca ben cinque spettacoli: è

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MUSICAL - L’INCONTRO

D . – Si parla tanto oggi di “talento”: cosa significa esserne un esponente? R . – Il talento è una qualità fondamentale e necessaria per andare avanti, crescendo in qualsiasi ambito della vita, non solo nel campo artistico: purtroppo ci si deve rendere conto che da solo non basta. Non è condizione necessaria e sufficiente ad ottenere successo: entrano in ballo molte altre componenti come la perseveranza, lo studio, il sacrificio e la passione. Se poi si vuole fare l'attore, bisogna essere pronti a mettersi puntualmente in discussione, con la consapevolezza che una volta una cosa può venire meglio e un'altra peggio. Bisogna avere coraggio e tanta pazienza. D . – Ora, un talento come il suo, così poliedrico e con tante esperienze lavorative alle spalle, perché non ha ancora fatto cinema? R . – Io sto aspettando, sinceramente, che me lo facciano fare. Non è così facile entrare nei circuiti del grande schermo, essere scelti per fare i provini, soprattutto quando si tratta di diventare protagonisti di una parte. Non è un gioco da ragazzi. D . – Ecco, ha trovato la persona giusta: nel mio piccolo sono

un buon talent scout e, dopo questa intervista, i migliori registi faranno la fila per chiamarla per un film, rendendosi conto di aver sbagliato finora. Stia tranquillo. R . – (Dopo una risata comune, ndr) Guardi, ci conto, anche perché dal 9 febbraio, con la conclusione della tournée di “Ghost”, sarò in cerca di lavoro. D . – Si ritenga già “al lavoro”: e se, per caso, i registi nicchiano a chiamarla, le faccio fare uno dei miei spettacoli, con cui sono in tournée da un po' (e si riprende a ridere, ndr). R . – Ci conto (e ancora una risata diventa il motivo conduttore dell'ultima parte della chiacchierata, ndr). D . – Bene, bene: in attesa di definire il calendario dei suoi nuovi impegni lavorativi dal 9 febbraio, come vorrebbe potesse proseguire il suo percorso? R . – Mi auspico, appunto, di continuare a lavorare, facendo sempre delle cose belle, assieme ad artisti e registi che stimo, con i quali mi sento a mio agio. Soprattutto vorrei procedere seguendo la passione, l'interesse e il perfezionismo, mettendo a punto testi e rappresentazioni in un certo modo. Questi sono tempi un po' dettati dal caos: essere operativi con criterio potrebbe essere un buon auspicio per il 2014. D . – Cosa, infine, le piacerebbe leggere a musical concluso e, soprattutto, quale sua peculiarità vorrebbe potesse essere messa in evidenza in un articolo o in una recensione? R . – Sono state, sinceramente, dette e scritte molte cose. Il critico del “Corriere”, ad esempio, ha ribadito che sono credibile sul palco e nella parte. Ovviamente il confronto col film è troppo grande e nessuno ha mai espresso la volontà di fare paragoni e via dicendo. Io sono contento di come stanno andando le cose e, soprattutto, del modo in cui il pubblico sta accogliendo il musical. Ci sono persone che vengono nei camerini a complimentarsi, dicendo di essersi emozionate. Il che è davvero una gran bella soddisfazione. Qualsiasi critica dovesse arrivare sarà ben accolta, purché fatta in maniera costruttiva e sincera. Gianluca Doronzo

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Loretta Grace


MUSICAL - L’INCONTRO

Loretta Grace (cresciuta nelle Marche, con padre americano e madre africana), talento canoro riconosciuto persino da Whoopi Goldberg, è in tournée nel musical «Ghost» al Brancaccio di Roma nel ruolo di Oda Mae Brown

«Cantare è la mia vera passione: mi piacerebe un giorno calcare il fatidico palco dell'Ariston, andando in gara al Festival di Sanremo»

Una vocalità “fuori dal comune”. Loretta Grace è anima, corpo e sensibilità in tutto quello che fa, facendo vibrare le corde delle emozioni di chi l'ascolta, ogni volta in cui interpreta un pezzo. Whitney Houston, Amy Winehouse e Alicia Keys sono fra le sue icone canore preferite: di ciascuna riesce a trasmettere l'intensità dei brani, a cappella o con accompagnamento strumentale, con disarmante semplicità e un'eleganza innata. Il musical, in virtù delle sue potenzialità, non può che essere la forma espressiva a lei più congeniale: così, dopo il successo nel 2011-'12 di “Sister Act” (con i complimenti ricevuti di persona da Whoopi Goldberg a Milano), eccola fino al 9 febbraio al Brancaccio di Roma in “Ghost” (dall'omonimo film del '90), nei panni di Oda Mae Brown, accanto a Salvatore Palombi, Christian Ruiz e Ilaria Deangelis, per la direzione di Stefano Genovese. Ricordando performance “sold out” al “Blue Note” di Milano e alla “Biennale di Venezia”, a voi il ritratto di un'esponente della talentuosità “made in 2014”, con la speranza di coronare un sogno: calcare il palco del “Festival di Sanremo” in futuro. Scommettiamo che accadrà molto presto? Domanda – In che modo è arrivata la proposta di interpretare Oda Mae Brown (sul grande schermo animata da Whoopi Goldberg) nel musical “Ghost”? Risposta – Il mio agente mi ha consigliato di fare il provino per “Ghost”, nel momento in cui abbiamo appreso la notizia che si stava mettendo a punto il musical. Dico la verità: all'inizio ero un po' scettica, per un'enorme differenza fra me e la Goldberg. Lei è molto più grande e la storia racconta un personaggio 50enne, come nell'omonimo film: per cui, essendo io decisamente più piccola, non avevo alcuna aspettativa o speranza di poter essere scelta. Parlando, però, con molte persone che mi avevano apprezzato in “Sister Act” a teatro nella stagione 2011/'12, mi sono fatta forza e ho deciso di presentarmi. Strano, ma vero, sono risultata vincitrice del ruolo per voce, interpretazione e, alla resa dei conti, sembrava davvero tutto fosse stato pensato per me. Le critiche, ad oggi, sono state molto positive e non posso che essere entusiasta del periodo che sto vivendo. D . – Whoopi Goldberg è un po' nel suo destino: proprio in occasione della prima di “Sister Act” al “Nazionale” di Milano nel 2011 era presente in teatro e, alla fine dello spettacolo, è salita sul palco facendole un sacco di complimenti, dichiarando che “è stata la miglior performer nel mondo ad animare il suo ruolo”. R . – Verissimo quello che dice: ancora oggi, ricordandola con lei al telefono in questa intervista, ne sono emozionata. E' salita sul palco con un mazzo di fiori e ha addirittura detto che le sono piaciuta più di chi l'ha interpretata nei musical a Broadway. Sono stata davvero fortunata a conoscerla, ricevendo la sua benedizione. Quello di Oda Mae Brown è un ruolo molto divertente: una donna un po' goffa che si fingeva medium, con un gran cuore. Il mio auspicio è che io possa sempre migliorare, facendomi conoscere di più come cantante, la mia vera passione artistica.

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D . – A chi sente, Loretta, di dover dire grazie per i risultati raggiunti finora? R . – In primis devo ringraziare mia madre: si sa che nelle aspirazioni, soprattutto in quelle artistiche, i genitori sono sempre un po' restii e scettici, cercando di proteggerti per farti rimanere con i piedi per terra. Nel mio caso sono sempre stata

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sostenuta e appoggiata nelle mie scelte. In secondo luogo vorrei formulare un dichiarato ringraziamento al mio agente, Demis Del Monte, col suo enorme bagaglio di esperienze. Un ricordo a Chiara Noschese, con cui ho fatto davvero tanto nella formazione e nell'apprendimento di tutto quello che ruota attorno al musical, in generale. E, infine, una menzione speciale a tutti coloro che mi hanno affiancato nel 2011-'12 in “Sister Act”, consentendomi di arrivare dove sono oggi. D . – Se le dico Whitney Houston, Amy Winehouse e Alicia Keys, cosa sentirebbe di rispondermi? R . – Si tratta di tre cantanti che adoro e rappresentano il mio universo espressivo. Whitney è stata la prima che ho interpretato nei suoi pezzi, da quando ho iniziato a cantare, adorandola nel film “Bodyguard”, assieme a Kevin Costner (credo che il suo corrispettivo odierno sia Beyoncé). Peccato sia scomparsa così prematuramente, così come tutti abbiamo sofferto per la perdita della Winehouse, dal carattere e voce ribelli (pensi che avrei dovuto aprire il suo concerto a Lucca): è stata davvero originale ed unica in vita. Credo tutti l'abbiano stimata per il suo modo di esprimersi e fare emozionare. La Keys è molto famosa e brava: adoro la sua estensione e l'innata capacità di far vibrare le corde dell'interiorità di chi


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l'ascolta. D . – Al suo attivo, pur essendo giovanissima, figurano diversi primati: ad esempio, nel febbraio 2013 si è esibita al “Blue Note” di Milano, con un memorabile “sold out”, senza avere un disco in uscita alle spalle. R . – Bravissimo: la ringrazio per averlo ricordato. Quello vissuto è stato un bellissimo “sold out”: ne sono stata contentissima. Si è trattato di una serata stupenda e ho proposto un repertorio molto vasto. Elemento curioso: sono stata affiancata da una band tutta al femminile. Altra data memorabile è stata il 6 agosto, in occasione di una manifestazione estiva nel capoluogo lombardo, dove ho messo a punto pezzi di Beyoncé, Houston, Diana Ross, Donna Summer e molte altre. D . – Alla luce delle sue spiccate potenzialità vocali, le piacerebbe calcare un giorno il palco dell'Ariston? R . – Mi piacerebbe tantissimo andare a “Sanremo”: io mi sento italiana al 100% e il “Festival” ne è l'emblema per un cantante. Sarebbe un sogno che si avvera: speriamo accada in tempi non molto lontani. D . – Con questa intervista faremo in modo che gli organizzatori delle prossime edizioni si accorgano di lei. Altro aspetto curioso che la riguarda è la partecipazione nel maggio 2013 alla “Biennale di Venezia”, in occasione dell'istituzione no profit della “Fondazione Trussardi”, dove ha cantato un telegramma dinanzi a personalità del calibro di Jessica Chastain e Leonardo DiCaprio. R . – Verissimo: c'era anche Leonardo DiCaprio fra i presenti. In prima fila vip estremamente importanti e sentivo un po' il peso del prestigio dell'occasione. Ho cantato un telegramma scritto proprio per la famiglia Trussardi. Emozione allo stato puro. D . – Loretta, dopo aver passato in rassegna un po' tutte le sue esperienze e le emozioni vissute negli anni, arriviamo a tirare le somme della nostra chiacchierata: come vorrebbe potesse proseguire il suo percorso? R . – Spero di continuare ad essere orgogliosa di quello che sono e faccio, crescendo sempre di più, giorno dopo giorno. Mi auguro in futuro di conoscere tutta la mia famiglia, visto che ho parenti sparsi nel mondo. E che tutto vada come deve, per il verso giusto. D . – Oggi com'è Loretta Grace, metaforicamente allo specchio? R . – Una persona fondamentalmente determinata, abbastanza sicura, ambiziosa, sincera e trasparente (anche se, a volte, dire qualche bugia nella vita non è un reato). Aggiungo che sono sensibile, divertente e allegra, nonostante i problemi della vita, diventata sempre più complicata di attimo in attimo. Non voglio crearmi alcuna aspettativa. Mi piace vivere quello che succede in ogni momento, senza farmi alcun problema. Gianluca Doronzo

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CAMERATA MUSICALE BARESE


LA STAGIONE DELLA CAMERATA

Prosegue la 72esima stagione della Camerata, sostenuta da UBI-Banca Carime, nello storico rinato politeama del capoluogo pugliese (e allo Sheraton), per la direzione artistica del talentuoso Francesco Antonioni

Danza, musica classica e letteratura pianistica: al Petruzzelli di Bari gli artisti più illustri del panorama internazionale

Danza, musica classica e letteratura pianistica. I recenti appuntamenti della 72esima stagione della “Camerata” (sostenuta da UBI-Banca Carime), fra Petruzzelli e Sheraton di Bari, hanno rivelato complessivamente eleganza, precisione esecutiva e nomi prestigiosi del panorama internazionale, per la direzione artistica del talentuoso Francesco Antonioni. “Lo schiaccianoci” – Leggerezza, policromia e sviluppo narrativo in crescendo. Il “Balletto Yacobson” di San Pietroburgo (con coreografie di Vasilij Vajnonen) ha portato nel capoluogo pugliese una versione raffinata ed emozionale della celebre opera di Cajkovskij, in scena per la prima volta il 18 dicembre 1892. Encomiabili le ambientazioni e i costumi di Vladimir Firer e Aleksandr Khramcov, in grado di valorizzare gli intensi Anna Naumenko (Marie) e Artem Pyhavec (Il Principe), fra gli altri. Tre atti ed un epilogo per un'autentica “fiaba natalizia”, mettendo a punto i noti “Valzer dei Fiocchi di Neve e dei Fiori”, assieme ai divertissements affidati, nelle parti centrali, ai solisti: la Cioccolata (danza spagnola), il Caffè (danza araba), il The (danza cinese) e il Trepak (tipica danza russa, di origini cosacche). “Orchestra la Verdi Barocca” – Un programma vivace, diretto da Ruben Jais. Bach, Vivaldi e Corelli i musicisti “interpretati”, con una menzione ai violini (Gianfranco Ricci, Rossella Borsini, Jamiang Santi, Heriberto Delgado, Gemma Longoni, Diego Castelli, Elisa Sestetti, Giorgio Tosi e Micol Vitali). Un ensemble nato nel 2008, costituito anche da: Claudio Andriani, Ayako Matsunaga e Zeno Scattolin (viole); Marcello Scandelli, Nicola Brovelli e Ivan Merlini (violoncelli); Carlo Sgarro e Alessio De Paoli (contrabbassi), Davide Pozzi (continuo) e Francesca Torri (flauto). “Balletto di Mosca con l'Orchestra Filarmonica di Chernivtsi” – Uno dei migliori appuntamenti finora nel rinomato (e rinato) politeama barese. Un ensemble coreutico per il 23esimo anno consecutivo in tournée nel mondo, capace di essere garanzia puntualmente di sincerità, passione e talento allo stato puro. Coreografie di Marius Petipa per una versione da ricordare de “La bella addormentata” (di Ciajkovskij), per la direzione artistica di Melikov. Ottima la resa dell'Orchestra dal vivo, con supervisione del maestro Yosyp Sozansky. “Andrea Padova” – Forse per una scelta ardimentosa dei pezzi (da Chopin a Ravel fino a Debussy), forse perché è stato il concerto di “ripresa” subito dopo le feste, Andrea Padova non ha convinto pienamente, rendendo un po' ostica la fruizione del recital. Prima parte più lenta e farraginosa, rentrée con maggiore motivazione (soprattutto grazie al “Jeux d'eaux” di Ravel del 1901). Finale meno d'impatto di precedenti performance pianistiche dello stesso musicista. Gianluca Doronzo

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Vito Latorre


TEATRO - LA GIOVANE PROMESSA

L'attore e regista pugliese, deus ex machina di pièce come «Viados», «Jom» e «Reset», rivela il suo «momento di semplicità, col piacere di fare teatro, senza alcuna aspettativa»

Atmosfera e immaginazione: la ricerca «onirica» dell'universo di Vito Latorre fra passione, idee e tanti sacrifici

Una ricerca teatrale, basata su un binomio complementare: “atmosfera e immaginazione”. Ecco l'universo che ruota attorno a Vito Latorre, attore e regista pugliese ad hoc, fra i più promettenti e originali della scena contemporanea. Fondatore nel 2008 della compagnia “Onirica”, ha ottenuto numerosi riconoscimenti (non solo a livello regionale) per spettacoli come “Viados”, “Jom” e “Reset”. Una personalità in continuo divenire, una notevole ricchezza interiore e un percorso scandito da insegnamenti di maestri del calibro di Elvira Maizzani e Carlo Formigoni, passando per una formazione partenopea “a livello mimico”, corporea ed espressiva, con studi approfonditi e creativi. Sguardo ricco di “curiosità”, bisogno di “fare produzioni con piacere, senza alcuna aspettativa” e una prova d'autore in primavera (“Finale di partita” di Beckett, in tournée nazionale con Roberto Negri) sono le coordinate che fotografano il suo “momento esistenziale”, disposto a raccontarsi come se fosse un fiume in piena. Con l'umile vivacità dei grandi. Domanda – Vito, alla luce delle esperienze drammaturgiche maturate finora, proviamo a fare un breve bilancio: a che punto del suo percorso attoriale sente di essere in questo momento? Risposta – Sono arrivato a maturare la consapevolezza del piacere di fare teatro, nel senso che si sono ridotte molto le aspettative rispetto alle prestazioni e alle esibizioni specifiche. C'è proprio la massima ricerca nel momento in cui vado in scena e, allo stesso tempo, il gusto nel dare vita a ciò che scrivo o dirigo. Ciò, ovviamente, comporta una sorta di rinuncia ad attendersi le sale piene di persone ma, in contemporanea, motiva una ricerca dell'ascolto, reciproco, di chi viene a guardare, a prescindere dalla quantità. Punto sulla qualità dell'ascolto, dello scambio col fruitore, anche con la speranza di confrontarsi se non durante, ma dopo lo spettacolo, percependo la curiosità di chi fruisce con le proprie idee, capendo soprattutto quanto il linguaggio proposto possa essere stato interessante sia da un punto di vista emozionale, sia in merito alle forme scelte. Sono in un momento in cui domina in me la curiosità di rimettere al centro dell'attenzione l'idea di poetica di uno spettacolo teatrale, confrontandosi con altre poetiche. Lì dove il termine poetica diventa il linguaggio che decidi di utilizzare per un preciso allestimento, che può piacere o meno, ma che è portato all'attenzione di chi ascolta. Io dico “ascolta” più che “vede”, perché ormai si tende a vedere, a preferire il vedere all'immagine. Diciamo, invece, che sono in una fase “della semplicità ar tistica e dell'immaginazione”. D . – Quelle da lei messe a punto finora, nel preambolo, non sono altro che le caratteristiche portate avanti dal 2008 nella sua compagnia “Onirica”. R . – Esatto. Nel 2008 abbiamo debuttato con “Otello”: anche in quel caso ho puntato molto su una destrutturazione del linguaggio diretto, usando un po' la tecnica del racconto da parte di alcuni personaggi, talvolta anche cambiando battute per gli uni e per gli altri in scena. Il tutto con la funzione di evocare un'atmosfera, alla quale non posso rinunciare, magari attraverso l'utilizzo di una musica che sia giusta per un determinato momento drammaturgico, cercando di emozionare (in primis) l'attore sul palco. Scelgo sonorità che

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possano penetrare nell'interprete, per farlo vibrare durante una specifica battuta. Lo stesso è avvenuto, per esempio, per “Viados”, dove c'è stata la ricerca di un'atmosfera tipica della casalinga e della sua solitudine. Il fatto che si abbia sempre la radio accesa, la canzone italiana classica e via dicendo. A questo si aggiunga, dall'altra parte, la registrazione di motivi al pianoforte, utili ad emozionare chi interpretava il tutto. Con la conoscenza di Carlo Formigoni, uno dei maestri che ho incontrato nel mio percorso teatrale, ho anche avuto modo di scoprire l'uso dello strumento con la musica dal vivo. In effetti, in un altro spettacolo che abbiamo fatto, intitolato “Jom”, ho sperimentato l'utilizzo delle percussioni, dando un'impronta ritmica allo sviluppo del canovaccio. In questo dimora il senso della mia ricerca dell'atmosfera. D . – Il pubblico, alla luce delle esperienze maturate negli anni con i suoi spettacoli, quanto si è lasciato trasportare dall'evocazione, dalla curiosità e dalla ricerca dell'atmosfera, sue caratteristiche da sempre? R . – Diciamo che non è stato un percorso semplicissimo, soprattutto all'inizio. C'è un dato che in questo momento ti fa partire svantaggiato: vedere dei volti giovani su un palco. Il pubblico, nella sua stragrande maggioranza, spesso ha bisogno di vedere uomini e donne d'età sulla scena, pur apprezzando in fondo un determinato linguaggio. Io ho sempre cercato di andare incontro agli altri e, nel tempo, migliorandomi sono arrivato all'essenzialità, con un momento d'incontro con gli spettatori, sempre prima dello spettacolo e, possibilmente, quando i teatri me l'hanno consentito, con uno scambio di punti di vista alla fine della performance. E questo mi ha aiutato molto. Penso ad uno degli ultimi lavori rappresentati, dal titolo “Reset”, praticamente muto: c'era un'unica colonna sonora, nonostante le variazioni e interpretazioni messe a punto. Il pubblico si è lasciato emozionare dalla vicenda di questo imprenditore fallito, di scottante attualità rispetto ai tanti suicidi a cui la crisi ha portato negli ultimi anni. La gente è venuta nei camerini, commossa, a raccontare quante attività avessero chiuso, a causa della disperazione dei giorni nostri. E, tra l'altro, con mio enorme piacere, qualcuno ha anche evinto i riferimenti fatti all'espressionismo tedesco. Così come in altre occasioni alcuni, incuriositi alla fine, hanno apprezzato i giochi di luci ed ombre in omaggio al Caravaggio. Insomma, il pubblico è davvero partecipe e disposto all'interazione con gli attori. Nella mia ultima idea elaborata in scena, da “Uomini e no” di Vittorini, ho addirittura portato gli spettatori sul palco, abbattendo qualsiasi barriera: tutto è descritto come nel romanzo, con un preciso uso dello spazio teatrale. In questa maniera si è motivati a chiedersi il perché di un'opera, col gusto successivo di approfondirla. A me piace la ricerca del dettaglio: molto spesso leggo di spettacoli che hanno “impianti luci” importanti. Non sono contro, ma mi piacerebbe sapere come quella persona che ha fatto il disegno luci ha lavorato con lo scenografo, col regista e, soprattutto, con gli attori. L'auspicio è che si torni a lavorare nel rispetto di tutti, in una precisa direzione corale: altrimenti ognuno porta la propria maestranza, perdendo di vista un po' l'essenza generale. D . – L'individualismo, purtroppo, è un po' una tendenza dilagante, non solo nel mondo teatrale: si è, per principio,

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portati in maniera esponenziale a far prevalere la propria idea rispetto al lavoro di gruppo. R . – Se penso, ad esempio, ad uno degli spettacoli che più mi ha toccato, da un punto di vista emozionale, non posso fare a meno di ricordare “Viados”. Interpretavo il ruolo di un trans innamorato, con estrema solitudine, suicida perché non corrisposto. Non ce l'avrei fatta sulla scena, se non avessi avuto un preciso supporto musicale in un determinato momento: se fossi stato solo con me stesso, la resa non avrebbe avuto l'efficacia che invece c'è stata. Ergo: l'individualismo non sarebbe stato vincente, senza la “compagnia” sonora. Anche la luce ha fatto la differenza, posizionata in un certo modo. Il mio lavoro, di conseguenza, non può fare a meno di attori che curino un po' tutti i particolari dell'allestimento: anche il datore luci e di musiche deve respirare con te sulla scena in un determinato momento. Tutto ciò poi porta ad una vibrazione: il percorso vocale e sensoriale che ho fatto in questi anni mi ha fatto capire una cosa molto importante. Un corpo che si emoziona è un corpo che vibra. Un corpo per vibrare deve essere disponibile da un punto di vista muscolare, facendosi nutrire dai suoni che percepisce in generale. Per far sì che si verifichi questa oscillazione, bisogna respirare: il respiro comune di una scena fa la forza dell'intensità emotiva di uno spettacolo. Basta pochissimo. Nel momento stesso in cui scatta nelle mani di chi sta sul palco il piccolo protagonismo, il piccolo individualismo o la piccola autoreferenzialità, immediatamente si coglie l'errore e la scena si svuota. Creare la giusta alchimia, però, è molto difficile. L'obiettivo è coinvolgere lo spettatore in ciò che vede, per responsabilizzarlo sul suo ruolo: dico sempre, prima o alla fine delle mie interpretazioni, agli spettatori che sono importanti, non per lo sbigliettamento in sé, ma per il “respiro dell'atmosfera” che si riesce a creare assieme. D . – Prima ha parlato di un maestro come Carlo Formigoni, incontrato nel suo percorso: a quali altri uomini e donne di teatro sente di dover dire grazie, avendone interiorizzato gli insegnamenti? R . – Io ho cominciato a fare teatro da molto giovane: avevo 18 anni. Mi sono diplomato e ho subito lavorato con la compagnia “La Differance”: con Elvira Maizzani ho vissuto dieci splendidi anni in maniera continuativa, facendo spettacoli di autori molto complicati, che personalmente non conoscevo. Oltre ad aver lavorato per le scuole, il legame con Elvira in quel lasso di tempo è stato molto forte: ha contribuito vivamente alla mia crescita teatrale, oltre ad avermi insegnato l'amore totalizzante per le quinte di legno e per tutto quello che concerne la preparazione di una pièce. Facevamo tutti un po' tutto: faticoso, ma indimenticabile. C'è stato, però, un momento in cui ho avvertito la necessità di avere una tecnica migliore: per me non c'era più possibilità nelle Accademie, sia per un fatto economico che anagrafico. Ho cercato, pertanto, una scuola che potesse segnarmi e mi sono iscritto, facendo il pendolare, nella struttura di Michele Monetta a Napoli, potenziando lo studio del mimo corporeo. Si è trattato di tre anni intensi, in cui non abbiamo minimamente lavorato sulla parola, bensì sull'allenamento della dinamica fisica, attraverso svariate tecniche. Per due anni sono andato avanti e indietro: ho fatto


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anche l'autostop al casello autostradale e i miei genitori non sapevano niente. Concluso il biennio, mi sono trasferito nel capoluogo partenopeo per frequentare l'ultimo anno. Ho, stando sul posto, anche frequentato corsi intensivi di biomeccanica drammaturgica, con i più illustri esponenti del genere, passando successivamente a Perugia, dove ho imparato l'importanza dell'allenamento fisico dell'attore: 8 ore di lavoro al giorno e alla fine del mese, puntualmente, finivo a letto con la febbre a 40 perché sfinito. Ad un certo punto mi mancava la parte vocale e sono stato a Belluno, frequentando un prestigioso centro di funzionalità vocale, sentendo parlare di corpo sensoriale. Non ho, tuttavia, completato il ciclo degli studi perché non avevo più soldi per pagarmi il viaggio, però tutti questi percorsi restano sempre aperti per me, nel senso che quando “gira meglio” e riesco a mettere un po' di soldi da parte, continuo a muovermi perfezionandomi. Scendendo, ho poi incontrato negli ultimi anni Formigoni: di lui mi interessava soprattutto la conoscenza della scuola brechtiana, tra l'altro molto antitetica rispetto alle mie origini dettate da Elvira Maizzani e alle sue idee di teatro. Per me la sua cifra epica e l'uso della “Commedia dell'Arte”, distante dalla sfera tradizionale, non hanno fatto altro che arricchire il mio bagaglio attoriale, consentendomi una sana crescita. Sono stato decisamente onorato quando il Maestro ha visto “Jom”, riconoscendogli un elevato valore poetico, proponendomi successivamente di fare l'aiuto regia nella produzione “Il giorno di Carbina”, altro testo messo in scena con la sinergia di “Onirica”. Abbiamo puntato molto sul movimento corporeo, più che su altri aspetti. D . – Che fase sta vivendo il teatro contemporaneo? R . – Sono, onestamente, un po' confuso: non riesco a capire. Bisogna intendere come tale una forma di teatro basata su testi di autori contemporanei? Oppure si tratta di un modo uniforme di mettere in scena gli spettacoli? O una moda? Oppure una maniera per recitare tutte assieme delle parole? Non so. Se penso all'ultimo lavoro che ho fatto, intitolato “Del mostrar sembiante”, ho messo in scena alcune novelle del “Decamerone” di Boccaccio, mantenendo il linguaggio del '300. Ne ho scelte dieci, legate al tema dell'apparire, del fingere, del decidere di fingere nel suo aspetto positivo e negativo. Il pubblico si è emozionato, apprezzando l'allestimento nel complesso. Ho fatto una ricerca sulla musicalità della parola, facendo cogliere agli spettatori la struttura sintattica della frase, offrendo il fascino di un'atmosfera apparentemente lontana dai giorni nostri, ma molto vicina. E mi sono chiesto: chissà se questo è teatro contemporaneo!? Alle volte mi incuriosisco in merito a spettacoli corporei e forse ritengo sia quello il teatro contemporaneo: io vado a vedere una pièce con la volontà di capire. Devo ammettere di essere un po' ignorante in materia. Non so cos'è il teatro contemporaneo. D . – Forse il teatro contemporaneo attraversa un po' la stessa situazione della nostra quotidianità: essere alla ricerca di risposte, che spesso non arrivano. R . – Beh, io credo che sia importante non smettere mai di farsi domande: le risposte sono poi dei semplici punti di vista. Ci si deve incuriosire agli eventi, sempre e in maniera costruttiva.

Solo così si può cogliere bene la poetica della messinscena. Molto spesso mi è capitato di andare a teatro a vedere degli spettacoli che non ho capito: qualcuno mi ha detto che dovevo solo emozionarmi e basta. Ma non è successo. Il momento del confronto finale con chi aveva messo a punto ciò che avevo visto è stato illuminante, facendomi scoprire il perché dell'allestimento, a cui non avevo pensato da spettatore. Non si può ignorare ciò che c'è dietro un testo e un'opera. Sono dell'idea che i critici debbano fare i critici, contribuendo alla crescita di un lavoro. Gli addetti ai lavori dovrebbero spogliarsi della loro veste, confrontandosi con ciò che li circonda, facendo anche domande. Spesso la cosa che più mi destabilizza è che dietro una domanda si può celare la furbizia di un qualcosa che può essere tagliente. I quesiti più autentici e genuini fanno sempre bene. D . – Anche perché domandare vuol dire mettersi in discussione, no? R . – Giusto. D . – E, troppo spesso, non si è disposti a mettersi in discussione, convinti di essere nel giusto e nella ragione. R . – Devo dire che è difficile mettersi in discussione, soprattutto quando hai appena fatto lo spettacolo. Non è facile in quel momento accettare una critica immediata: in ballo sono il tuo lavoro e i sacrifici. Però, alla lunga, pensi a quello che ti hanno detto, non lo ignori, ci ritorni su e provi a cambiare. D . – Si sedimenta quello che si è sentito e poi lo si rielabora, aggiustando il tiro. R . – Sì, esatto, si sedimenta. Per questo la piccola barriera iniziale che tu pensi sia solo cemento, in realtà diventa una piccola infiltrazione d'acqua, da cui viene fuori prima un'erbetta e poi un rametto. D . – Vito, come vorrebbe infine potesse proseguire il suo percorso? R . – Conoscendo altre strade a me ancora ignote, in fondo tante, cercando di aumentare il tempo dell'autenticità durante le prove e gli spettacoli. Vorrei che l'autenticità diventasse l'atmosfera degli spettacoli. Mi auspico di avere sempre tanta possibilità di allenarmi, oggi cosa un po' difficile, in quanto devi pensare alla produzione e vendita di un testo, non solo alla messinscena. Il tutto con spese che aumentano vertiginosamente. Vorrei ci fossero più possibilità d'incontro fra gli artisti, lavorando con e per loro. Avendo il duplice ruolo di attore e regista, mi piace costantemente mettermi in gioco. Ultimamente, ad esempio, è nata una bella collaborazione con Roberto Negri, che sta curando la regia di uno spettacolo che faremo in coproduzione, al debutto ad aprile al “Comunale” di Massafra. Sto parlando di “Finale di partita” di Beckett. Saremo poi in tournée a Roma, Firenze e Siena, fra l'altro. Dico la verità: il testo è bellissimo, ma in questo momento della mia vita lo ritenevo troppo forte per me. Sono arrivato persino a piangere, tanto da non riuscire a leggerlo ad alta voce. Roberto un giorno è venuto da me e ha detto: “Da questa frase dobbiamo partire”. Ovvero da: “Non c'è niente di più comico dell'infelicità”. Ora, è molto difficile per un attore/regista lavorare con un altro regista, però la rinuncia alle proprie idee talvolta apre porte molto grandi e tutto diventa più luminoso. Gianluca Doronzo

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Michele Ciavarella


MUSICA E TEATRO - LA GIOVANE PROMESSA

Ha 28 anni, origini pugliesi e una smodata voglia di lasciare un'umile traccia di sé «con la parola»: i tratti distintivi del cantautore («Premio De André») all'esordio come «firma drammaturgica» nello spettacolo «Tutto il mio folle amore», diretto da Pietro Caramia, a Monopoli dal 22 al 24 gennaio

Un talento capace di esprimersi «col cuore»: dalla musica al teatro la profondità (poetica) della scrittura di Michele Ciavarella

Un talento capace di esprimersi “col cuore”. Dalla scrittura alla musica, passando per riconoscimenti come il “Premio De Andrè” (in giuria, fra gli altri, Fossati, Finardi e la Ghezzi) e kermesse canore nazionali (con i gruppi “Akuneiros” e “Aralco”), il 28enne pugliese Michele Ciavarella sta portando avanti “il suo metaforico volo”, nutrendosi costantemente di “storie, ispirazioni, occhi che raccontano unicità di anime e ricerca di persone umili”. Esponente della nuova generazione di cantautori “under 30”, pronto puntualmente a mettersi in discussione “nella vita come nel lavoro”, sta iniziando il 2014 con una suggestiva impresa: la sua prima “autorialità teatrale”. Ha scritto (e lo vivrà anche da interprete), infatti, lo spettacolo “Tutto il mio folle amore” (incentrato sulla figura di Pier Paolo Pasolini), all'Auditorium “Musica d'attracco” a Monopoli, dal 22 al 24 gennaio (ore 21), per la regia e animazione di Pietro Caramia (promosso dall'associazione “Zingari in viaggio”). Sul palco anche la versatile Monica Veneziani (scene e costumi di Valentina Dibello). Una preparazione curata “nel minimo dettaglio”, con affiatamento e tanta passione (“siamo davvero un'unica e autentica famiglia”), all'insegna del coraggio delle idee, affrontando tematiche legate alla stretta quotidianità (“dal problema della migrazione all'omofobia”). Con un preciso obiettivo: “rendere centrale la poeticità della parola, senza la quale non avrebbe senso l'esistenza”. Domanda – Michele, all'interno del suo poliedrico percorso artistico (dal canto alla scrittura), è arrivato il momento di esordire nel mondo teatrale, firmando lo spettacolo “Tutto il mio folle amore” (incentrato sulla figura di Pier Paolo Pasolini), per la regia e interpretazione (assieme a lei e Monica Veneziani) del promettente Pietro Caramia. Stati d'animo, emozioni prima del debutto? Risposta – Premetto che ho incontrato Pasolini anni fa, quando ho cominciato a studiarlo alla facoltà di “Lettere” a Bari: è stato, se ben ricordo, il mio primo esame. Si è trattato di un'esperienza esistenziale, in quanto l'approfondimento della sua figura ha pervaso non solo i miei giorni sui libri, ma anche la mia emotività. E, soprattutto, mi ha messo davanti a me stesso, alla mia vicenda, alla mia storia, dandomi il coraggio di “sapermi guardare”. L'ho, per questo, da subito sia amato che odiato. Detto ciò, c'è in fondo in fondo stata sempre una precisa voglia di mettere su uno spettacolo, come quello che ho scritto, con Pietro Caramia, solo che un po' per mancanza di coraggio è stato accantonato, perché scrivere una pièce di più di un'ora su Pasolini “è un atto anche di coraggio”. Alla fine, però, l'ho fatto: ora, non sono bravo a descrivere quella che è la mia cronistoria artistica, ammesso che ce ne sia una, ma posso dirle che l'idea è stata motivata e supportata dalla scia di eventi, anche molto contemporanei, che stiamo attraversando. Ho vissuto l'occasione di “guardare”, come in una lente, la realtà e il presente, rispettando quanto fatto nella sua opera: Pasolini è stato un po' il profeta dei tempi moderni. Ho approfondito la sua poesia, il suo teatro, il suo cinema e, in particolar modo, i romanzi. L'ho avvicinato ai miei giorni, raccontando e denunciando alcune cose odierne, traendo incipit da una voce che sicuramente “continua a parlare”. D . – Mettere a punto una simile operazione, teatralmente parlando, vuole inevitabilmente dire “avere coraggio”: no? R . – In questo, a dire la verità, sono un grande vigliacco, nel

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senso che mi sono molto fidato di Pietro Caramia, in quanto non ho mai scritto per il teatro, bensì ho sempre composto poesia e prosa. Ammetto, però, che l'iniziativa non è stata difficile, soprattutto perché per me la scrittura è puntualmente emotiva. Di sicuro questa nuova impresa rappresenta nel mio percorso una grandissima sfida, in quanto la parola diventa gesto, connotandosi più bella e completa che mai. Aggiungiamo il fatto che all'interno dello spettacolo canto e, in sostanza, abbiamo abbracciato un po' a 360° l'espressività, per arrivare attraverso più sensi alla comunicazione di un messaggio. Il mio e nostro obiettivo? Volare nel cuore della gente. E siamo davvero una famiglia, ben affiatata, sul palco. D . – Sempre in tema di “coraggio”, di sicuro non è semplice la scelta di portare avanti un percorso nella scrittura oggi. R . – Esatto e lei lo sa benissimo, visto che ha pubblicato dei libri. Per me, però, in fondo in fondo è più una necessità: ho fatto finora la scelta di non pubblicare, un po' perché non ho mai trovato qualcuno di cui veramente fidarmi, un po' perché appena creo metto tutto su Facebook e sui social network. Per me si tratta di un'esigenza, di un modo di conoscere, di interagire e comunicare con gli altri. La vivo in questa direzione e non ho alcun tipo di aspettativa. Scrivere è come respirare. Non ne posso fare a meno. D . – Diciamo che, per lei, è un'urgenza espressiva come quella di cantare? R . – Ben detto. E cosa posso dirle sul canto (una risata e si riprende la chiacchierata, ndr)? Quando sono nato mi sa che non stavo piangendo, ma stavo cantando. Ricordo che da piccolo ogni pretesto era buono per cantare: lo facevo mentre parlavo, mi muovevo o giocavo. E' qualcosa di profondamente innato in me. Ovviamente poi l'ho coltivato, facendo esperienze diversissime, lontanissime fra di loro: dal gruppo rock a quello popolare, al vocale e il polifonico, spaziando nel jazz, nello swing e molto altro. In merito a “Tutto il mio folle amore” sono contento del fatto di aver scelto brani musicali ad

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hoc, privilegiando il senso delle parole. Spero di aver fatto una selezione giusta. Io semplicemente non riesco a scindere la parola dal canto. Sono due realtà che ne diventano una sola. D . – Quanto, Michele, è difficile da giovane portare avanti “la parola nel canto”? R . – Dipende dalle prospettive che hai. Siamo, e lo dico senza ipocrisie, in una società in cui se non arrivi al successo a certi livelli, campando del canto, sei automaticamente considerato una nullità, quasi non avessi valore. Ovvero: il valore artistico è direttamente proporzionale al successo, alla visibilità. Ho imparato col tempo, anche con le porte sbattute in faccia (fra gioie, dolori e soddisfazioni che mi sono preso), a superare tutte queste cose, cantando e scrivendo soprattutto per me stesso, portando avanti tutta questa gioia luminosissima dell'arte. Ci sono poi stati incontri, ho fatto esperienze, ho trovato sulla mia strada persone (di un'umiltà incredibile) che hanno avuto fiducia in me, che mi hanno valorizzato e mi stanno valorizzando, standomi accanto, apprezzandomi e consentendomi di continuare la mia strada. Ho, inoltre, imparato a separare il successo dal concetto di crescita: sento di evolvermi nella parola e nel canto viaggiando, leggendo, collaborando con altri musicisti, conoscendo altri ambienti e storie. Di tutto ciò mi nutro e voglio nutrirmi. D . – Considerando i numerosi riconoscimenti che ha conseguito negli anni “al di là della sua terra”, quanto si è sentito valorizzato dalla sua regione, anche in termini di stampa e concittadini? R . – Come si dice: “Nemo propheta in patria”? D . – E sì, ne so qualcosa (e dopo una risata, ndr). La domanda è motivata dai numerosi riconoscimenti ottenuti con i gruppi con i quali ha collaborato negli anni e, soprattutto, dalla vittoria del “Premio De André”. R . – Il “Premio De André” e i vari riconoscimenti sono stati, a dire il vero, dei traguardi di cui avevo bisogno soprattutto anni fa, in quanto ero ovviamente più fragile e insicuro. Un'approvazione esterna mi ha aiutato molto, dandomi maturità e consapevolezza delle mie capacità. In Puglia e nel mio paese (Noicattaro, ndr), in particolar modo, non mi sono mai sentito capito, ma questa credo sia un po' la storia di tutti. Si cresce in un ambiente, ci si stanca perché non ci sono più input e, magari, si sceglie di andare via, come ho fatto io (anche se nulla è definitivo nella vita). Sentivo di non avere più niente da chiedere ai miei luoghi, alle persone che mi erano attorno. Di conseguenza, credo sia troppo facile lamentarmi del fatto di non ricevere approvazioni e attestazioni nella mia terra, perché probabilmente riesco a dare molto di più quando ho maggiori stimoli. E li sto cercando altrove. L'arte è l'espressione della parola, la poesia, un fattore di scambio fra le energie. L'ispirazione è sempre una risposta, un rapporto di interlocuzione emotiva con le parole, con i cieli, con gli orizzonti anche antropologici. Ovviamente, quando stravolgi tutto ciò, si crea una frattura e lì nascono fiumi e nuove ondate di parole. D . – Vorrebbe un po' come Thomas Bernhard che “l'arte fosse la forza dell'abitudine”? R . – Io credo che in un certo senso ciò avvenga già: dobbiamo sdoganarci, soprattutto noi che la facciamo o abbiamo velleità di farla, dal preconcetto che l'arte appartenga a pochi, agli


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intellettuali, alle caste. Le faccio un esempio: nella preparazione di “Tutto il mio folle amore”, che abbiamo curato in ogni parte, in ogni dettaglio, anche nella ricerca degli sponsor e particolari musicali, quello che ci ha stupito è stato l'aiuto ricevuto dalle persone più umili. Ciò per dire che anche questo mito tragico della “crisi” va raggirato attraverso una ripresa di certi valori, che sono quelli della semplicità e della comunicazione diretta. Pasolini deve arrivare al cuore delle persone, dando emozioni: il fatto stesso che noi andiamo nelle scuole a raccontarne il percorso esistenziale, prima di fare la nostra performance, è un bellissimo segnale, perché ci consente di rapportarci ai ragazzi, alle future generazioni, venendo fuori da circuiti un po' “perversi” e “ristretti” della Cultura, con la maiuscola, decisamente vuota come parola se rimane fine a se stessa. La cultura, a mio modo di vedere la vita, abita nelle strade. D . – Non è un caso che filoni letterari, penso alla poesia inglese dell'800 in particolare (da Wordsworth a Blake e Coleridge, ad esempio), abbiano fatto di “umili e quotidiano” il proprio motivo conduttore. R . – Assolutamente. Anche lo stesso Pasolini l'ha fatto. La poesia è umile, perché l'umiltà è un termine che deriva dal latino: “humilis” vuol dire dal basso, ovvero è il punto di vista che raccoglie più spazio di tutti. Se tu guardi una cosa dall'alto, comunque hai prospettive sempre limitate. Se invece ti metti per terra, guardi tutto, anche il cielo. Di conseguenza l'umiltà è la maniera migliore per abbracciare la realtà circostante. D . – Nel suo “viaggio” a che punto ritiene di essere? R . – All'inizio (e ride, ndr). Sempre. E sarà così anche quando avrò 90 anni: ne sono sicuro. Mi sento ogni volta un esordiente e questo è per me molto importante, perché tutto ciò mi dà quell'umiltà e quella voglia di conoscere che, probabilmente, non avrei se mi sentissi arrivato. Invece è molto importante per me ascoltare e imparare da ciascuno. Il mio percorso artistico non è diverso da quello di vita: ne è un riflesso perfetto e speculare. Mi nutro delle storie di ogni persona che incontro: i viaggi per me sono fondamentali. Sono miracoli le persone che conosco e i loro occhi. E' come se fossero delle ierofanie. Anche il tragico altrui ti arricchisce tantissimo e ti fa crescere. Tutto ciò è la causa e il fuoco dell'arte, della vita e di ogni cosa. L'arte si deve indirizzare verso simili mete, altrimenti risulta vuota e sterile. D . – Cosa pensa dei numerosi suoi coetanei che scelgono la strada del “talent” per emergere nella musica? R . – Ci sono tanti miei colleghi (musicisti e cantanti) decisamente snob verso i “talent”, perché ritengono l'arte debba avere altri circuiti espressivi. Io, onestamente, non ho alcun tipo di pregiudizio verso simili scelte. Siamo in un'epoca in cui si arriva anche, e soprattutto, attraverso la televisione e i meccanismi del reality. Mengoni, ad esempio, non ha avuto successo perché ha fatto “X Factor”, ma perché è un bravissimo cantante. Quindi va bene: arrivi se vali e non ho alcun tipo di remora. E' una strada come altre. D . – Qual è il suo punto di vista sul cast di “Sanremo” di quest'anno? Fra gli altri, in gara, ci sono: Arisa, Noemi, Giusy Ferreri, Renzo Rubino, Ron, Antonella Ruggiero e Francesco Sarcina.

R . – Renzo Rubino mi piace molto. Umanamente adoro Arisa, avendola conosciuta: è simpatica, ha una bellissima voce e una purezza nel canto, davvero encomiabile. La Ruggiero è una specie di sirena nel corpo di una donna: fantastica. Ron lo apprezzo tanto. Lo ammetto: io non ho il mito di “Sanremo”, ma lo guarderò e staremo ad ascoltare i brani. D . – Siamo alla fine: durante la nostra intervista è venuto fuori spesso il termine “pregiudizio”. Il drammaturgo britannico Arnold Wesker sosteneva: “L'ignoranza e la stupidità hanno potere soltanto in un mondo in cui la maggior parte delle persone le riconoscono come proprio linguaggio”. R . – Ben detto. Che aggiungere? Vuole una mia opinione a proposito? D . – Certo: siamo qui per questo. R . – Condivido pienamente e mi ricollego a quello che stiamo mettendo a punto per “Tutto il mio folle amore”. Nello spettacolo trattiamo temi quali la migrazione e l'omofobia, di stretta attualità. Il problema dell'interculturalità è diventato dilagante. Nel nostro Paese oggi ci sono tantissimi migranti, così come esistono numerosissimi omosessuali. La diversità è sempre ghettizzante e maltrattata. Penso al suicidio di tanti ragazzi gay o al bullismo o alla xenofobia, purtroppo esponenziali. In tutto questo la politica fa poco o nulla, sebbene ciascuno di noi aspetti determinate risposte. E' come se si “legalizzi la criminalità” tacendo ed essendo indifferenti a ciò. Noi mettiamo in scena un testo, denunciando quello che non va, ribadendo che ci sono tante persone che non la pensano come “mediaticamente” spesso vogliono far credere. Utilizziamo un preciso linguaggio e mettiamo in primo piano la vita. Io, ad esempio, per dire no all'omofobia, non ho nessun problema a parlare pubblicamente, perché è una questione politica, della mia omosessualità. Non ritengo sia qualcosa di relegato al privato. Purtroppo il sesso è diventato oggi un fatto politico, un problema politico, una questione politica. Quindi chiarezza e grido di denuncia devono passare “attraverso” e “dentro” la propria pelle. Altrimenti tutto si rivela vuoto, inutilmente ideale e, soprattutto, sterile. Gianluca Doronzo

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Stella Ciliberti, coreografa e regista della «Compagnia Astraballetto» dal 2008, «apre il suo cuore» passando in rassegna una carriera ricca di riconoscimenti, da ben 25 anni a questa parte (Mougeolle, Diolot e Cunningham i suoi pilastri)

«Spero mi si ricordi in futuro per aver formato non solo dei ballerini, ma soprattutto delle persone vere»

“Mi farebbe piacere se in futuro mi ricordassero non solo per aver formato dei bravi ballerini, ma soprattutto per aver lavorato sul potenziamento di capacità di persone vere”. Stella Ciliberti, coreografa e regista della “Compagnia Astraballetto” dal 2008 (al suo attivo talenti del calibro di Roberta Miolla, Emiliana Dorno e Angelo Petracca, fra gli altri), “apre il suo cuore” in una chiacchierata sincera e autentica, tirando un po' le somme di quanto fatto “in quasi 25 anni di carriera”, fra “incontri emozionanti” (da Sylvie Mougeolle, Helene Diolot e Dino Verga a Cunningham), spettacoli di successo (in tournée anche al “Teatro Greco” di Roma) e “incursioni americane” in merito al suo excursus. Esponente di una pugliesità “made in eccellenza”, sta affrontando un momento di “carica ed energia” per andare avanti in una terra “spesso indifferente, da un punto di vista giornalistico, nei confronti della danza”. Preparatevi ad ascoltare le sue “voci di dentro”. Domanda – Se in qualche modo dovesse sintetizzare quella che è stata la sua vita nella danza, cosa risponderebbe immediatamente? Risposta – Mamma mia, che domanda (e ride, ndr)! Sintetizzare con una sola parola o frase? D . – Come ritiene più opportuno, anche attraverso una metafora o un aggettivo. R . – La danza è stata tutta la mia vita, mi ha preso completamente. Tanto che negli ultimi tempi ho dovuto un attimo cominciare a fare un po' il resoconto, non di questi anni dedicati ai miei allievi o agli spettacoli, ma proprio rispetto a quanto mi circonda. D . – E, dunque, a che punto sente di essere arrivata? Avrebbe potuto immaginare un'esistenza differente? R . – Beh, quando ho iniziato tanti anni fa mi sono data delle scadenze, dicendomi che avrei visto cosa sarei riuscita a fare nell'arco di due/tre anni. Poi, pian piano, cominciando a vedere che ottenevo dei risultati e avevo delle conferme, sono stata motivata a proseguire. Conferme che, ben inteso, non sono mai partite da me, perché io non sono mai stata una persona che ha creduto molto in se stessa. Mettiamola così: il tempo ha dato le sue risposte e andando fuori dalla mia terra, attraverso formazione e perfezionamento, ho sentito che il mio cammino fosse quello giusto. Mi ricordo che un celebre esponente de “La Scala” di Milano un giorno, guardando i miei allievi, ribadì: “Si vede che tu non insegni per i soldi”. E diciamo che questa è stata una delle più belle conferme che io abbia mai ricevuto. Il coraggio e la forza di procedere sono arrivati giorno dopo giorno, esperienza dopo esperienza. D . – A quali maestri, Stella, sente di dover dire grazie? R . – Beh, innanzitutto a Sylvie Mougeolle: è stata la prima che ha cominciato a seguirmi, sia da un punto di vista personale che in merito ai miei allievi. Sicuramente è una delle persone a cui devo tantissimo, avendomi dato molto nella pratica e a livello di ricchezza interiore. E' stata lei a farmi conoscere Helene Diolot, con cui ha avuto vita un nuovo percorso e un'amicizia, che dura da più di 25 anni. Ci sono danzatori che sento ancora, con cui non si parla solo di lavoro, ma di vita in

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D . – Nel 2008 ha fondato la “Compagnia Astraballetto”: quali e quante difficoltà nel portare avanti un simile ensemble negli anni? R . – Tantissime. Anche la “Compagnia Astraballetto” è nata non per una mia volontà precisa: non perché non la volessi, ma semplicemente per il fatto che pensavo di non esserne in grado. Fu proprio Sylvie Mougeolle a spronarmi, dicendomi: “Dai, Stella, adesso è arrivato il momento di mettere su una compagnia. Hai raggiunto un buon livello”. Il che, onestamente, mi lasciò un po' perplessa, in quanto ribadii a me stessa, interrogandomi: “Ah, io?”. Iniziai: ovviamente non immaginavo minimamente cosa potesse comportare una compagnia. Al di là del coreografare, devi soprattutto mettere a punto lavori che possano piacere ai ballerini, non solo a te: l'entusiasmo deve essere di gruppo. Diciamo che, essendo una compagnia di una piccola città, all'inizio ti sembra tutto bello e sei disposto a fare mille sacrifici: pian piano ti rendi conto che non è un'impresa facile. In più, dal primo momento, ho voluto fare lavori impegnativi, confezionando spettacoli di almeno un'ora, non commerciali, da portare in giro immediatamente. Non è, pertanto, facile montare il lavoro per una serata e vederlo sfumare subito dopo, in quanto non si

generale: a me, quello che interessa maggiormente, è il rapporto umano. Ciò mi fa veramente piacere. Poi è arrivato Dino Verga, con cui si è aperto un altro orizzonte coreutico. Ora, se però devo dire grazie a qualcuno, lo devo “manifestare” alla mia famiglia e ai miei figli, che mi hanno appoggiato, “sopportando” una madre e una moglie spesso assente. Proprio in virtù di ciò, ultimamente ho dovuto fare un po' il bilancio della mia situazione, in generale. Quando si è giovani non si hanno tutti questi impegni: poi le cose cambiano. D . – E' lo scotto che paga l'essere artista, no? R . – Ebbene sì: col passare del tempo cominci a renderti conto che i sacrifici non li hai fatti solo tu, ma anche tutti coloro i quali ti circondano. E' il minimo che io riconosca ciò e li ringrazi.

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trovano spesso produttori disposti a fartelo replicare. Per carità: vengono, piace quello che fai, sembra che poi ti debbano contattare un po' tutti. Alla fine non si quaglia niente. Se sei disposto alla gratuità, allora ti chiamano subito: per carità, questo si è fatto per tanto tempo, ma arriva un momento in cui le forze vengono a mancare e sicuramente si fa una gran fatica. D . – D'accordo: ma è un dato di fatto che la “Compagnia Astraballetto” abbia conseguito numerosi riconoscimenti al di fuori delle mura pugliesi. Penso ai concorsi nazionali vinti e agli spettacoli fatti, tra l'altro, al “Teatro Greco” di Roma. R . – Sì, sì, esatto. Forse sono state proprio queste le cose che mi hanno spinto ad andare avanti. Un po' i riconoscimenti, un po' l'entusiasmo dei ragazzi: devo dire che i miei allievi mi hanno sempre dato una bella carica. E spesso mi sono fatta forza proprio per accontentarli, per alimentare la loro smodata voglia di fare. Anche quando, caro Gianluca, abbiamo lavorato assieme per “E la notte un sogno…”, c'è stato un momento in cui volevo mollare tutto: ricordo benissimo quanta forza mi è stata data per “riprendere” ogni cosa in mano e dare nuova linfa alle nostre ispirazioni. E non finirò mai di dire grazie per quello che mi è stato concesso. Sono arrivata al punto in cui ho capito che, molto probabilmente, le cose nella vita non capitino per caso: tutto magari è andato come doveva. Gli incontri, le persone che ho conosciuto, i lavori che ho fatto. C'era un destino, un disegno superiore. Ed è andata bene in questa maniera. D . – La “Compagnia Astraballetto” ha davvero lanciato tanti talenti: da Roberta Miolla e Emiliana Dorno, note per le loro partecipazioni ad “Amici”, fino ad arrivare ad Angelo Petracca, attualmente “alla guida” dell'ensemble “Effetto Corpo”. R . – Bravissimo. La sua domanda mi offre lo spunto proprio di ricordare Roberta Miolla che, da “Amici di Maria De Filippi”, è passata al musical nazionale e quest'anno sarà anche in un film. I ragazzi che hanno iniziato con me spesso, pur facendo cose importanti, hanno voglia di tornare a far parte dei miei lavori. E questo è un aspetto che mi lusinga tanto. Gli stessi Emiliana Dorno e Angelo Petracca sono stati per anni a Roma e poi sono tornati, col piacere di essermi accanto in una pièce. Ne sono profondamente gratificata. D . – Ciò significa che riconoscono i buoni insegnamenti messi a punto dalla loro maestra. R . – Così dovrebbe essere. Di sicuro ho cercato di offrire loro tutto quello che ho potuto in questi anni. D . – Bene, Stella: fatti i dovuti preamboli nella nostra intervista, arriviamo al momento “clou”. Quanta attenzione ha riscontrato da parte della stampa in questi anni nei confronti della danza, soprattutto a livello pugliese? R . – Assolutamente nulla (e ride, ndr). Gianluca Doronzo è stato il primo che ha dato spazio a noi giovani coreografi, attraverso i suoi articoli. Altrimenti niente e nessuno. Qui, purtroppo, se non sei nessuno, non ti calcola nessuno, non vengono minimamente ad interessarsi a te con un: “Ma, vediamo se piace o meno”. C'è proprio una sorta di pregiudizio

e, onestamente, non ne ho mai capito la ragione. Secondo me sarebbe del tutto normale interessarsi alla realtà coreutica della propria città, anche per esprimere un parere negativo. Invece no: regna l'assoluto disinteresse e non ti calcolano minimamente. D . – Ha detto bene: è come se ci fosse una sorta di pregiudizio. R . – Esatto. Il disinteresse significa che tutto ciò che è nostro non ha valore per la stampa regionale. Non è giusto. A me, ad esempio, da persone competenti in più di un'occasione è stato detto che “se fossi andata a Roma, sicuramente avrei avuto più successo”. Non mi è mai sembrata giusta questa cosa e, di conseguenza, mi sono detta: “Se niente devo essere, almeno sarò niente nella mia città”. Non è bello doversi spostare per forza. Non sopporto quando sento persone che ripetono: “Sono stata all'estero e, una volta tornata, ho avuto successo”. Hai avuto più credibilità, semplicemente perché sei stata fuori e, di conseguenza, hanno creduto più in te, ma niente di eccezionale: il successo non è stato dettato da quello che si è veramente o si sa fare. Ora, alla luce di tutto ciò che stiamo dicendo, il lavoro che ho fatto su me stessa negli ultimi tempi è stato proprio questo: valutarmi per quello che sono come persona e non per quello che faccio. Ho imparato che il valore della tua persona rimane agli altri, non il contingente. Quello che fai ora lo fai, domani no. E, magari, non ti rimane più niente. In questo senso sto cambiando il modo di vedere la vita e le cose. Sicuramente andrò avanti per la mia strada, continuando ad essere come sono sempre stata, cercando di non perdere la mia energia negli anni. Prendo sempre come esempio Cunningham: a 90 anni era in palestra, sulla sedia a rotelle, a guardare i suoi allievi allenarsi. Ricordo quell'anno in cui sono stata in America: bellissimo vedere uomini e donne di 70 anni fare lezione, come se nulla fosse, col coreografo che fino alla fine dei propri giorni è stato al lavoro. Oppure il mio pensiero vola alla mamma di Steve La Chance, con un'energia che neanche i ragazzini di 20 anni hanno, nonostante i suoi 70. Bello riuscire ad andare avanti, senza mai perdere entusiasmo e carica: ecco il mio augurio per il 2014. Tutto il resto va da sé. D . – Cosa vorrebbe, infine, potesse rimanere di quello che è e ha fatto negli anni? Cosa le piacerebbe le venisse riconosciuto? R . – Bellissima domanda! A me piacerebbe venisse riconosciuto il fatto che ho formato dei ballerini diventati delle persone vere. L'insegnamento è sempre stato importante per quel che mi riguarda, l'ho sentito molto, in quanto ho cercato di andare puntualmente “oltre”. Diciamo che il percorso di vita fatto negli ultimi tempi, grazie anche al supporto di Andrea Pandolfi, mi ha portato a riflettere sul valore dell'essere umano, trasmettendo ai miei ragazzi principi secondo i quali lavorare su quello che sono come esseri umani, non su quello che fanno. Io sto imparando: lavorare su se stessi è dura e difficile. Per il resto spero di continuare a fare molte iniziative: accoglierò a braccia aperte tutto quello che di buono mi si presenterà. Gianluca Doronzo

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VISTI PER VOI


VISTI PER VOI

Grandi nomi di Hollywood (da De Niro alla Basinger), registi d'eccezione (Virzì e Payne) e temi trasversali: al cinema ce n'è davvero per tutti i gusti

Grandi nomi di Hollywood (Robert De Niro, Brad Pitt, Kim Basinger, Cameron Diaz e Sylvester Stallone), registi che garantiscono sentimenti (Alexander Payne, noto al pubblico per “Sideways” e “Paradiso amaro”) e un Paolo Virzì che “fotografa” l'arrivismo della Brianza, con un cast “made in Italy”: le novità da scoprire al cinema in queste settimane.

Comico, drammatico o intimista (in bianco e nero)? Nelle migliori sale la risposta al vostro film

“Il grande match” di Peter Segal, con Sylvester Stallone, Robert De Niro e Kim Basinger, commedia (durata 113'). Corsi e ricorsi storici. Un personaggio boxeur torna ad animare la carriera di Sylvester Stallone con toni, stavolta, divertenti e “un po' impacciati”. Ad affiancarlo un'altra leggenda del “cinema pugilistico”: un Robert De Niro (nei panni di un uomo “anziano e un pizzico stordito”) che fu “Toro scatenato”. Sul ring Henry Sharp e Billy McDonnen, ex campioni che si preparano a disputare un match “sfumato vent'anni prima”. Ma il rischio della parodia è costantemente “dietro l'angolo”. Con l'arrivo di Kim Basinger (e la sua bellezza) è subito “nostalgia degli Anni '80”. Senza troppe pretese. “Nebraska” di Alexander Payne, con Bruce Dern e Will Forte, commedia (durata 110'). Una trama malinconica, divertente e, soprattutto, con una profondità di scrittura e regia, grazie alla firma di Alexander Payne (noto per “Paradiso amaro” e “Sideways”). Un figlio (Will Forte) accompagna il padre (Bruce Dern) nella città d'origine, dove ha la certezza di aver vinto un milione. Ma il passato torna prepotentemente a galla, facendo scoprire molti “segreti” del “vecchio”. Pellicola in bianco e nero, in virtù dei ricordi più lontani. “Il capitale umano” di Paolo Virzì, con Fabrizio Bentivoglio e Valeria Golino, drammatico (durata 109'). Siamo in Lombardia. L'arrivismo è il motivo conduttore. La ricca Valeria Bruni Tedeschi sta con lo “squalo”, interpretato da Fabrizio Gifuni. L'immobiliarista senza scrupoli (Fabrizio Bentivoglio) si affianca alla psicologa (Valeria Golino). Cambio di location per l'ispirazione: le vicende dell'omonimo romanzo di Stephen Amidon si spostano dal Connecticut alla Brianza. Per riflettere su una realtà economica “marcia e arrampicatrice”. “The Counselor – Il procuratore” di Ridley Scott, con Michael Fassbender, Brad Pitt, Penélope Cruz, Cameron Diaz e Javier Bardem, thriller (durata 119'). Il mondo della droga in primo piano. Michael Fassbender veste i panni di un procuratore “senza vergogna”, costantemente proiettato a fare soldi, mettendo a punto “affari sporchi”. I consigli degli amici (Cameron Diaz e Brad Pitt) non servono a nulla. Ma non tutto va secondo i piani e il gusto “efferato” esplode con una cifra “made in narcos messicano”. Gianluca Doronzo

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ASCOLTATI PER VOI


ASCOLTATI PER VOI

Michele Bravi, Ligabue, Violetta, Beyoncé, Katy Perry e Robbie Williams: i «must» da non perdere in queste settimane

Pop, ancora pop, fortissimamente pop: ecco la parola d'ordine per gli artisti (da ascoltare) in vetta alle classifiche

Pop, ancora pop, fortissimamente pop. Una semplice e chiara parola d'ordine per gli album del momento, fra reduci da “X Factor” (Michele Bravi e Violetta), ritorni di primedonne (Beyoncé e Katy Perry), intimismo dei Passenger e la “Mondovisione” di Ligabue (puntualmente ai vertici delle classifiche). “La vita e la felicità” di Michele Bravi – Una giovane promessa della musica italiana si sta, pian piano, facendo strada. Dalla vittoria della settima edizione di “X Factor”, l'omonimo pezzo che dà il titolo all'ep (scritto da Tiziano Ferro) sta spopolando in radio, in un crescendo emozionale. Il lavoro comprende anche cinque cover, interpretate nello show. “Swings both ways” di Robbie Williams – Secondo album dell'ex “Take That” ispirato allo swing. Contiene sei nuove canzoni e cover di classici del jazz vocale. Numerosi i duetti, fra i quali “spiccano” quelli con Lily Allen, Michael Bublé, Olly Murs e Kelly Clarkson. “Mondovisione” di Ligabue – Decimo lavoro in studio per il rocker di Correggio, anticipato dalla hit “Il sale della terra”. Fra i pezzi più suggestivi: “Tu sei lei”, “La terra trema, amore mio” e “La neve se ne frega”. “Beyoncé” di Beyoncé – Quarto disco della popstar americana, pubblicato senza preavviso e promozione. Si tratta di un “visual album”. Non solo 14 brani, ma anche 17 video, girati da prestigiosi registi a livello mondiale. “A te” di Fiorella Mannoia – Un intimo tributo alla musica di Lucio Dalla. Contiene classici come “Anna e Marco”, “Caruso” e “La sera dei miracoli” (in duetto con Alessandra Amoroso). “Prism” di Katy Perry – “Roar” è stato il successo che ne ha anticipato l'uscita: l'ultima “fatica” della cantante californiana contiene 13 pezzi (16 nella versione “deluxe”), tra i quali spiccano “Unconditionally”, “Walking on air” e “Double rainbow”. “True” di Avicii – Debutto per il dj svedese Tim Bergling, in arte Avicii, autore della hit mondiale “Wake me up”. Dieci motivi fra dance e pop, con il remix di “Hope there's someone” di Antony. “All the little lights” dei Passenger – Quarto disco in carriera per la band, “guidata” dal cantante britannico Mike Rosenberg. Internazionale il motivo “Let her go”, a cui fanno seguito (fra gli 11) “Holes” e “The wrong direction”. “Dimmi che non passa” di Violetta – Terza classificata all'ultima edizione di “X Factor”, fa il suo debutto nel mercato discografico con un ep, che include l'omonimo inedito “Dimmi che non passa”. Per il resto si tratta di cover, come per Michele Bravi. Gianluca Doronzo

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LETTI PER VOI


LETTI PER VOI

Dal fenomeno «Mika» alle vicende del piccolo Greg, ricordando la profondità e l'amore per il prossimo di Don Gallo: le novità editoriali d'inizio anno

Pop, spirituale, comico e televisivo: il 2014 in un mix di «sapori» in libreria

Il 2014 inizia, da un punto di vista editoriale, davvero all'insegna di un mix fra “pop, spirituale, comico e televisivo”. Dal fenomeno “Mika” (l'exploit da giudice di “X Factor” ne ha motivato un libro, scritto da Brigitte Hemmerlin e Vanessa Pontes) alle vicende del “piccolo Greg” (“Diario di una schiappa – Guai in arrivo”), spaziando verso il ricordo di Don Gallo e la serie di successo “Il segreto” su Canale 5. “Diario di una schiappa – Guai in arrivo” di Jeff Kinney, Il Castoro, euro 12,00. Si tratta del settimo libro della serie più letta e amata dai ragazzi (nel mondo ha venduto ben 115 milioni di copie). In primo piano le vicende del piccolo Greg. Stavolta “i guai” iniziano a causa di una festa. Condizione necessaria e sufficiente per prendervi parte: imparare a ballare, trovare una ragazza e, soprattutto, cambiare look. Ci riuscirà? “Mika – La storia. 100% unofficial” di Brigitte Hemmerlin e Vanessa Pontes, Sperling & Kupfer, euro 14,90. Il suo vero nome è Michael Holbrook Penniman. Ha 30 anni ed è un cantautore libanese, naturalizzato britannico, sulla cresta dell'onda dal 2007 (con l'exploit del motivo “Grace Kelly”). Di chi stiamo parlando? Ovviamente di Mika, vero personaggio in ascesa nella tv italiana nel 2013, grazie alla sua partecipazione come giudice ad “X Factor” su Sky. Il talent ne ha manifestato fascino, intelligenza e uno spiccato “sense of humour”. Attualmente “si divide” fra Francia (dove è “coach” della versione transalpina di “The Voice”) e Stati Uniti (alle prese con la lavorazione del nuovo album). Nel libro tanti aneddoti legati alla sua infanzia, agli esordi, alla popolarità e alla definitiva consacrazione. Oltre 24 pagine di foto, un poster e due capitoli dedicati alla sua esperienza in Italia. Dulcis in fundo: le curiosità. Tante. Ad esempio, in arabo “mika” (soprannome che gli ha dato la mamma libanese) vuol dire “sacchetto di plastica”. Per il resto, buona lettura. “Il segreto” di Alejandra Balsa, Sperling & Kupfer, euro 16,90. Dagli stessi ideatori dell'omonima serie (in onda attualmente su Canale 5, ogni domenica, ore 21.10, con oltre 3milioni500mila spettatori), finalmente il romanzo che racconta i retroscena dell'intera vicenda e l'inizio dell'amore fra Tristan e Pepa. Imperdibile per gli appassionati della soap. “Sopra ogni cosa. Il mio Vangelo laico secondo De Andrè” di Don Andrea Gallo e Vauro, Piemme, euro 15,00. Un'alchimia perfetta. Prendete i testi delle più belle canzoni di Fabrizio De Andrè, la sagacia del compianto Don Gallo e le illustrazioni di Vauro. Dalle loro menti (e dai loro cuori) è nato un libro, dagli enormi valori spirituali, al di là di qualunque credo o religione di sorta. Gianluca Doronzo

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