Che Spettacolo 2014 - Numero 02 - Febbraio

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Anno II - Numero 2 - Febbraio 2014

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Periodico di Musica, TV, Cinema, Teatro e Arte

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il magazine che non t'aspetti (tutti i colori dell'intrattenimento)

Il ritorno del bell'Antonio al cinema: «La mia vita da film fra Vancouver, Roma e Los Angeles» L'attore 36enne canadese (di origini italiane), noto per la seconda stagione di «Elisa di Rivombrosa», è nelle sale con «Anita B.» di Roberto Faenza, raccontando gli aspetti del «dopo Olocausto» I BELLI DELLA FICTION

Giulio Berruti Alessio Boni SANREMO 2014

Antonella Ruggiero Renzo Rubino I SIGNORI DELLA SCENA

Pino Quartullo Lucrezia Lante della Rovere

TEATRO

Gabriele Cirilli Roberta Giarrusso LE GIOVANI PROMESSE

Bianca Federica Nargi


Anno II - Numero 2 - Febbraio 2014 FONDATORE, DIRETTORE EDITORIALE E RESPONSABILE Gianluca Doronzo GRAFICA E IMPAGINAZIONE Benny Maffei - Emmebi - Bari HANNO COLLABORATO Isabella Canensi, Cecilia Del Vecchio, Andrea Rodini, Sabrina Taddei, Maria Letizia Maffei, Valentina Palumbo, Lorella Di Carlo e Alessandra Placidi. SI RINGRAZIANO Antonio Cupo, Giulio Berruti, Alessio Boni, Christiane Filangieri, Antonella Ruggiero, Bianca, Gabriele Cirilli, Roberta Giarrusso, Federica Nargi, Pino Quartullo, Lucrezia Lante della Rovere, Paolo Daniele, Arianna e Simona Carofiglio per le interviste concesse; gli uffici stampa Rai e Mediaset per i contatti e le foto; Piergiorgio Pirrone per gli scatti di Cirilli, Giarrusso e Nargi in merito allo spettacolo “Lui e Lei – Istruzioni per la coppia”.

INDIRIZZO REDAZIONE Via Monfalcone, 24 – Bari gianlucadoronzo@libero.it tel. 347/4072524 FACEBOOK E la notte un sogno Autorizzazione del Tribunale di Bari n. 16 del 26/09/2013

I “magnifici” 15. Non saprei in quale altro modo definire i personaggi che animano questa ricca edizione di febbraio di “Che spettacolo – il magazine che non t'aspetti (tutti i colori dell'intrattenimento)”, alla sua quinta uscita (numero zero incluso). Tanta fatica, voglia di andare avanti, desiderio di mettere su un'opera editoriale “pulita, elegante, trasversale nei contenuti” e, soprattutto, un'umiltà che, di settimana in settimana, mi motiva a vivere al massimo la mia “lucidamente folle avventura” da solista, contro tutto e tutti, “senza padroni e padrini”. Ma col cuore. Con tanto cuore. E credo che non si possa arrivare ad un'edizione come questa, se non se ne ha: pian piano sto conquistando la fiducia degli addetti ai lavori (e del pubblico) nel panorama nazionale, interagendo con i più illustri volti del piccolo e grande schermo, del teatro, musica e danza, “rubando” un po' dei loro sguardi, della loro voce, della loro esperienza. Facendone venire fuori, attraverso le nostre chiacchierate, il loro essere delle “belle persone”, spesso “distanti dal coro”. Dimostrando che si può tornare a fare del giornalismo una professione, evitando il trash, la spazzatura e il maledetto pettegolezzo. Le “mie” (che, una volta pubblicate, diventano vostre) 64 pagine sono stavolta esponenziali, in crescendo: innanzitutto, dopo quattro donne in copertina (Debora Villa, Cristina Chiabotto, Tessa Gelisio e Luisa Corna), accontento il target femminile con un uomo. Sto parlando dell'attore canadese (di origini italiane) Antonio Cupo, noto per la seconda stagione di “Elisa di Rivombrosa” su Canale 5, attualmente nelle sale col film “Anita B.” di Roberto Faenza, offrendo uno sguardo nuovo “sul post Olocausto”: un incontro telefonico che vi invito a leggere con trasporto (e ne capirete il perché, stando alle dinamiche di fondo). Non da meno, seguono: Giulio Berruti (ogni mercoledì su Canale 5, alle 21.10, nella fiction “I segreti di Borgo Larici”) e Alessio Boni (di recente su Raiuno nella serie “L'ingegnere”, accanto a Christiane Filangieri, splendida donna che troverete “strada facendo”). E poi “Sanremo 2014” (al via il 18 su Raiuno) con Antonella Ruggiero, Renzo Rubino e Bianca (in gara fra i “Giovani”). Ma non finisce qui. Scoprirete tutta una seconda parte “di rivista” all'insegna di svariate eccellenze, ad iniziare dalla drammaturgia: Gabriele Cirilli (con Roberta Giarrusso e Federica Nargi, in tournée con “Lui e Lei – Istruzioni per la coppia”), Pino Quartullo (pochi ricordano che è stato candidato all'Oscar nel 1987 per il cortometraggio “Exit”), Lucrezia Lante della Rovere (credibile protagonista di “Come tu mi vuoi” di Pirandello) e Arianna Bergamaschi, che corona il desiderio di vestire i panni di “Clementina” nella commedia musicale “Aggiungi un posto a tavola” di Garinei e Giovannini. Dulcis in fundo: il Maestro (un trentennio di carriera nella composizione) Paolo Daniele e la danzatrice Simona Carofiglio, reduce dal successo del varietà “Sogno e son desto” di Massimo Ranieri su Raiuno. Ce n'è davvero per tutti, recensioni incluse. E già vi anticipo che ho “un pezzo da 90”, in serbo per marzo: basta così. Non vi svelo nulla. Che altro aggiungere? Solo emozione allo stato puro per essere arrivato fin qui, dopo due anni di “stop forzato” (a causa di chi ha saputo sfruttarmi e farmi gratuitamente del male), cercando di vivere con trasporto e gratificazione tutto quello che sto costruendo, supportato dalla grafica di Benny Maffei (puntualmente all'unisono con le mie idee, la creatività e il desiderio di lasciare una piccola, piccolissima traccia di me, profondamente dettata dall'onestà). Buon proseguimento di 2014 a tutti, amici miei, all'insegna del “coraggio”, con l'inesorabile “sangue, sudore e lacrime”. Vi abbraccio. Gianluca Doronzo


Sommario IL PERSONAGGIO IN COPERTINA Antonio Cupo Un attore «fuori dal coro», orgoglioso delle sue origini italiane, alla conquista dell'America IL BELLO DELLA FICTION Giulio Berruti «Coraggio e forza delle idee, con un occhio alla sperimentazione: ecco i principi che scandiscono il mio percorso»

TEATRO - L'INCONTRO Gabriele Cirilli «Il teatro mi dà il contatto diretto col pubblico: come mi ha suggerito sempre il Maestro Gigi Proietti, non l'abbandonerò mai»

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TEATRO - L'INCONTRO Roberta Giarrusso «Mi piacerebbe diventare un'attrice sempre più credibile: il teatro mi sta facendo crescere»

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TEATRO - L'INCONTRO Federica Nargi Dalla tv al palco l'ex «Velina» è cresciuta: Federica Nargi, la «rivelazione» che non t'aspetti

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TEATRO - IL SIGNORE DELLA SCENA Pino Quartullo «Il teatro non morirà mai: sto portando avanti il mio viaggio nella drammaturgia francese, rendendola sempre più contemporanea»

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TEATRO - LA SIGNORA DELLA SCENA Lucrezia Lante della Rovere «Amo le sfide, spaziando dal teatro al cinema, non dimenticando la tv. E vorrei in Italia ci fosse più attenzione per la cultura»

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MUSICA E TEATRO - IL MAESTRO Paolo Daniele Eclettico, creativo e generoso verso gli artisti: il Maestro Paolo Daniele, esponente compositivo dell'eccellenza «made in Puglia»

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MUSICAL - IL TALENTO Arianna «Con la storica commedia di Garinei e Giovannini ho coronato finalmente il sogno di una vita: che magia il musical!»

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DANZA Simona Carofiglio «Lavorare con Massimo Ranieri è stato incredibile: ancora me ne devo pienamente rendere conto»

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IL BELLO DELLA FICTION Alessio Boni Alessio Boni: l'anima, il cuore e l'onestà di un attore, desideroso di proseguire il suo percorso con una «grande libertà di scelta» 10 LA BELLA DELLA FICTION Christiane Filangieri «Scelgo i miei personaggi in base a tre criteri, per me fondamentali: pulizia, eleganza e passione»

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SANREMO 2014 - LA CAMPIONESSA IN GARA Antonella Ruggiero «Attraverso la musica italiana con la mia umile (e smodata) voglia di fare arte: non chiedo di più dalla vita» 18 SANREMO 2014 - IL CAMPIONE IN GARA Renzo Rubino Un cantautore «in crescita», profondamente «in cerca di uno spazio»: Renzo Rubino e il suo exploit da un anno a questa parte SANREMO 2014 - LA GIOVANE PROMESSA Bianca «Vivo l'emozione del debutto sul palco dell'Ariston, consapevole che per me è un punto di partenza, non d'arrivo»

TEATRO - LE RECENSIONI Musicale, introspettivo, ricco di riflessione e d'autore: a teatro è tempo di spettacoli «sold out»

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Antonio Cupo


IL PERSONAGGIO IN COPERTINA

Antonio Cupo (canadese, con padre di Palomonte e madre di Barletta), puntualmente «attento alle scelte professionali», è protagonista del film «Anita B.» di Roberto Faenza, accanto a Moni Ovadia e Andrea Osvart, «offrendo uno sguardo nuovo sull'Olocausto»

Un attore «fuori dal coro», orgoglioso delle sue origini italiane, alla conquista dell'America

Un attore “fuori dal coro”. Puntualmente selettivo nelle scelte professionali, attento “al dettaglio e alla scrittura di un progetto”, desideroso di “migliorare e crescere, all'insegna della qualità”. Antonio Cupo (canadese di origini italiane: padre di Palomonte e madre di Barletta) sta davvero facendo “un bel cammino” nel mondo della recitazione: sembrano lontani gli anni dei suoi esordi sul piccolo schermo nella seconda stagione di “Elisa di Rivombrosa” su Canale 5 (2005). Laureato in “Letteratura inglese” alla “University of British Columbia”, vive fra Vancouver, Los Angeles e Roma, spaziando dal cinema alla tv, fino al teatro (è stato in tournée nel 2009-'10 nel musical “Cenerentola”, accanto a Roberta Lanfranchi). Al suo attivo produzioni anche di Steven Spielberg e una “profonda passione per la musica”. A tre anni di distanza dalla sua ultima “incursione” nel Belpaese, è tornato a vestire i panni del protagonista, accettando la proposta di Roberto Faenza per il film “Anita B.” (dal romanzo “Quanta stella c'è nel cielo” di Edith Bruck), accanto a Eline Powell, Andrea Osvart e Moni Ovadia, fra gli altri. In primo piano “uno sguardo nuovo sull'Olocausto, poco raccontato finora sul grande schermo”. Curiosa l'occasione della chiacchierata: il giornalista al telefono sotto la pioggia (a cercare riparo fra gli alberi) e l'intervistato “in un viaggio in treno”, fra interruzioni, più riprese della comunicazione, rumori in sottofondo e un tono estremamente familiare. Domanda – Antonio, cosa l'ha convinta ad accettare la proposta del film “Anita B.” di Roberto Faenza (con Andrea Osvart, Eline Powell e Moni Ovadia, fra gli altri), tratto dal romanzo “Quanta stella c'è nel cielo” di Edith Bruck? Risposta – Devo ammettere che la proposta è arrivata in un momento molto particolare del mio percorso: da circa tre anni non interpretavo film in Italia, essendo molto impegnato all'estero, soprattutto in America. Ho trovato subito la sceneggiatura e il mio personaggio molto interessanti: non nascondo, tra l'altro, che per me è stato un gran motivo d'orgoglio il fatto che Roberto Faenza abbia proprio pensato alle mie capacità attoriali, consentendomi di valorizzarle al meglio in una pellicola storica e di spessore allo stesso tempo. In fondo ci sono stati tanti film che in passato hanno affrontato il tema dell'Olocausto: nel nostro caso c'è molta delicatezza e un grande gruppo di lavoro. Siamo alle prese con un'opera corale, davvero ben confezionata, con estrema attenzione ai dettagli. D . – Nel film si affrontano le dinamiche dei rapporti umani che “si modificano e trasformano proprio dopo l'Olocausto”: un argomento non così comune sul grande schermo, vero? R . – Esatto: il nostro racconto focalizza l'attenzione registica sugli eventi che seguono l'Olocausto, senza fare presa sul feroce ad ogni costo, fra pathos e ridondanza, come può accadere per la materia trattata. Non è un'idea comune quella messa a punto da Faenza. Ammetto che ogni personaggio nel film ha una cura e un'attenzione al particolare, come non sempre accade sul grande schermo. E poi, dato non irrilevante, si tratta di una storia davvero educativa, da poter proiettare nelle scuole, cosa che sta già accadendo,

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IL PERSONAGGIO IN COPERTINA

soprattutto considerando il fatto che lo scorso 27 gennaio si è tenuto “Il giorno della memoria”. I ragazzi sono sensibili alle tematiche storiche: hanno voglia di imparare e scoprire quello che è accaduto in passato, evitando di commettere gli errori di chi li ha preceduti. Trovo molto intelligenti le nuove generazioni. Davvero. D . – In base a quale criterio oggi sceglie un progetto professionale, arrivato a questo punto del suo percorso? Se vogliamo, lei è un po' “fuori dal coro”. R . – Partiamo dal presupposto che non rifiuto mai un progetto bello, di qualsiasi natura sia, cinematografico o televisivo. Dal mio punto di vista vale sempre la pena mettersi in discussione, perseguendo qualità e ricerca del dettaglio. Soprattutto quando ci sono personaggi da interpretare. Non dimentichiamo, inoltre, che io do molta importanza alla parola: mi piace che “quanto vesto” sia su misura per le mie corde, senza eccessi o retorica. Amo la scrittura: leggo bene i copioni e non vengo mai meno ad un ruolo per il quale mi sento portato. Col tempo sono diventato sempre più selettivo. D . – Rimanendo in tema cinematografico: ha visto il film “La grande bellezza”, con cui Paolo Sorrentino è candidato all'Oscar?

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R . – Purtroppo non sono sempre in Italia, ma viaggio spesso: di conseguenza andare al cinema è un po' complesso. Ne ho sentito tanto parlare e sono sicuro si tratti di un bel film: diciamo che la nostra tradizione (dico nostra, perché io mi sento italiano al 100%) cinematografica è ben ricca e storica. Sono certo che “La grande bellezza” saprà farsi valere alla “Notte degli Oscar”. E mi riprometto di vederlo quanto prima. D . – La nomination all'Oscar, al di là del film in sé, dimostra comunque quanto il cinema italiano sia apprezzato all'estero. R . – Sono perfettamente d'accordo con questa sua tesi: spesso io lavoro all'estero e come parametro di riferimento si ha molto volentieri il cinema italiano, che ha indubbiamente contribuito a fare la storia mondiale. Anche da un punto di vista tecnico, di montaggio, non solo di scrittura. Forse, oggi, bisogna essere molto più oculati di una volta nella scelta di un testo: “Anita B.” è un esempio di bella scrittura, di qualità, con criterio e intensità espressiva. Dovremmo un po' tutti tornare alle scuole del passato, alla semplicità dei messaggi da trasmettere: c'è tanto da dire e raccontare sul grande schermo. Forse mancano i soldi, a causa della crisi, ma con un po' di buona volontà il livello qualitativo delle pellicole potrà tornare ad aumentare in maniera esponenziale. Ne sono convinto.


IL PERSONAGGIO IN COPERTINA

D . – Lei ha interpretato tante fiction in passato: come ritiene quelle attuali? R . – Non guardo molto la tv proprio perché, come le dicevo prima, sono spesso in giro per il mondo, impegnato soprattutto sul versante americano. So, però, che ci sono periodi di buona qualità della fiction: mi sembra siamo in uno di questi, con un'impronta anche cinematografica della scrittura. Si sta un po' abbattendo il pregiudizio dell'attore “filmico” non adatto alla tv e viceversa: sento che sempre più volti del grande schermo si affacciano sul piccolo, avversando il pregiudizio che è di sicuro una brutta cosa. D . – Per quale ruolo oggi si sentirebbe portato in una serie televisiva? R . – Ho sempre avuto il desiderio di tornare in Italia per un bel lavoro televisivo, anche se in questo momento la mia vita è più americana. Sono pazzamente innamorato dell'Italia, è la mia nazione e le sarò sempre grato per quello che mi ha dato e mi dà, da un punto di vista lavorativo e umano. Non mi resta che aspettare il progetto giusto per fare il mio rientro nella fiction. Io sono ben disposto. D . – Nel 2009-'10 è stato fra i protagonisti della tournée teatrale del musical “Cenerentola”, accanto a Roberta Lanfranchi: ripeterebbe un'esperienza simile? R . – La mia presenza in teatro è stata giusta in quel momento: ora non è né il periodo, né ho intenzione di tornare ad animare una tournée teatrale, perché non avrei il tempo giusto per prepararmi. Di sicuro quella è stata una bellissima impresa, portata avanti con passione, dedizione e tanto impegno. Oggi sono proiettato più verso il cinema italiano e internazionale. D . – Nel suo curriculum figura anche una partecipazione a “Ballando con le stelle” (Raiuno) di Milly Carlucci, messa a punto qualche anno fa: la ripeterebbe? R . – Quella di “Ballando con le stelle” è stata una sfida e una bella impresa: come dirle, una scommessa vinta. Mi sono messo alla prova, anche da un punto di vista personale e caratteriale. Ovviamente, ho già partecipato una volta e non avrebbe senso ripeterla, anche perché è stata molto faticosa: prove, insegnanti, tanti passi da imparare, sudore e fatica allo stato puro. Se, però, televisivamente ci fosse un'altra proposta interessante, perché no? D . – Come vorrebbe, Antonio, potesse proseguire il suo percorso? R . – In questi ultimi anni ammetto di aver vissuto il sogno di diventare un attore sempre più bravo: col mio ritorno in Italia grazie a Roberto Faenza sento di essere sulla strada giusta, pronto per nuove imprese nelle quali mettermi in discussione. Sto maturando davvero tantissimi impegni in America e vivere in parallelo la sfera professionale, qui e lì, mi stimola e motiva a fare meglio. Sono sincero: non vorrei il mio percorso adesso cambiasse più di tanto. Ho fatto le mie esperienze, nel bene e nel male, imparando molto e sto cercando di fare tesoro di ogni successo, con la voglia di buttarmi a capo fitto in imprese puntualmente nuove e stimolanti. Di sicuro in me c'è una smodata voglia di diventare più bravo e credibile.

D . – Dulcis in fundo: metaforicamente allo specchio, come si riflette Antonio Cupo oggi? R . – Che bella domanda, Gianluca! Finalmente un'intervista nella quale non ti chiedono con chi sei fidanzato e via dicendo. D . – In oltre 15 anni di lavoro, caro Antonio, non ho mai fatto una domanda sul privato ad un personaggio del mondo dello spettacolo: è anche, e soprattutto, questa la ragione per cui siamo qui. No? R . – Lo so, lo so. Che dirle? All'inizio di una carriera si prendono determinate decisioni sul percorso da seguire, cercando di fare alcune esperienze al posto di altre. Ad un certo punto, però, ci si domanda inevitabilmente cosa si voglia fare. Se si persegue una strada più seria e motivata, ci si mette a studiare e si portano avanti progetti di qualità, con la consapevolezza di poter fare sempre più delle cose migliori rispetto al passato. Di sicuro oggi “mi rifletto”, metaforicamente, come una persona che ha lavorato e sta lavorando tanto, mettendosi in discussione come attore, conoscendo, pieno di curiosità. Ho fatto di tutte le avventure professionali tesoro e sono pronto ad accettare qualsiasi progetto di qualità, che mi renda migliore sia nella sfera interpretativa, sia in quella umana. Ciò mi basta. Gianluca Doronzo

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Giulio Berruti


IL BELLO DELLA FICTION

Giulio Berruti veste i panni di un giovane ricco e ribelle nella Torino Anni '20 nella fiction «I segreti di Borgo Larici» (Canale 5, ogni mercoledì, ore 21.10, 3milioni440mila spettatori in media), per la regia di Alessandro Capone

«Coraggio e forza delle idee, con un occhio alla sperimentazione: ecco i principi che scandiscono il mio percorso»

Un percorso “coraggioso, sperimentale, alla ricerca costante dell'innovazione nelle storie da interpretare”. È quello che si propone Giulio Berruti, fra gli attori in ascesa nelle ultime stagioni, puntualmente oculato e attento nei confronti delle scelte fatte: al suo attivo fiction come “La freccia nera” (2006), “Elisa di Rivombrosa” (2007), “Il falco e la colomba” (2009) e “Sangue caldo” (2011). Non solo: passione, sincerità e spirito “di gruppo” lo motivano a dare tutto se stesso, in ogni impresa che si rispetti. Come sta facendo nella serie “I segreti di Borgo Larici” (Canale 5, ogni mercoledì, ore 21.10, 3milioni440mila spettatori in media, col 12,41% di share), per la regia di Alessandro Capone, accanto a Serena Iansiti e Nathalie Gomez, fra gli altri. In primo piano nella trama (per sette settimane) una Torino degli 'Anni 20 fra intrighi, sentimenti, ricatti e profonde connivenze. Domanda – Giulio, la fiction è stata un po' una costante del suo percorso in questi anni: eccola nuovamente protagonista sul piccolo schermo, vestendo i panni di Francesco Sormani nella serie “I segreti di Borgo Larici” (Canale 5, ogni mercoledì, ore 21.10, 3milioni440mila spettatori in media, col 12,41% di share), per sette settimane. Nella trama una vicenda incentrata attorno alla Torino degli Anni '20 fra giallo, sentimento, affari industriali e mistero. Risposta – Devo dire di essermi subito appassionato alla sceneggiatura, fin dal primo momento in cui l'ho letta: mi è piaciuta tantissimo. Si tratta di un feuilleton, con all'interno note da thriller e molto sentimento. La scrittura è incentrata, seppur in un'epoca distante da noi, attorno al deciso bisogno di tornare alla purezza dei valori. Ho trovato le vicissitudini del mio personaggio particolarmente interessanti e ricche di sfumature: è come se in queste vesti avessi avuto la possibilità di sperimentare. E sono certo che il pubblico pian piano, di settimana in settimana, si appassionerà alla trama, con numerosi intrighi e “nodi” da sciogliere. D . – Potremmo, dunque, sostenere che il punto di forza della vostra fiction è nella variegata gamma di tonalità presenti? R . – Ci sono tantissimi colori all'interno della storia: ovviamente tutto il lavoro strizza l'occhio al pubblico femminile, ma il target più generalista del piccolo schermo sono sicuro che non rimarrà deluso, perché c'è un assassino da scoprire, ci sono eventi da capire e si respira un gusto diverso dalle altre serialità. Mettiamo, inoltre, in evidenza un dato non irrilevante: abbiamo girato sette puntate in soli tre mesi, quando di solito ce ne vogliono almeno sette/otto per poter lavorare con un certo criterio. Quindi c'è stato anche un enorme sforzo interpretativo da parte nostra, a livello attoriale: vorrei lo scrivesse. D . – E sarà scritto, non si preoccupi: qual è il suo punto di vista sulla fiction italiana, in generale? R . – Io credo che la fiction italiana abbia avuto momenti di grande prestigio nella nostra storia, con una qualità di scrittura e interpreti degni di menzione. Il nostro non è un lavoro matematico o metodico: dobbiamo curare tantissimi aspetti, ogni volta che ci apprestiamo ad un'interpretazione. Non

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ultima, la sfera emozionale. Se non emozioni, non arrivi. Siamo in un momento di grande velocità, dove tutto corre il rischio di consumarsi e bruciarsi in poco tempo. Ciò che importa è esserci al meglio possibile: speriamo sempre ci possano essere tante storie in grado di “far vibrare” prima noi attori e, di conseguenza, il pubblico. D . – Se dovesse sintetizzare il suo percorso finora, cosa si sentirebbe di rispondere? R . – Coraggioso. Non potrei utilizzare aggettivo migliore. Non ho dubbi. D . – Coraggiosa è anche la scelta di aver messo su un cast costituito quasi in gran parte da giovani nella vostra fiction: quali le sue aspettative? R . – Premetto che ragiono, ogni volta in cui mi cimento in un nuovo lavoro, sempre in termini di squadra. Vivo tutto con passione e cerco di contribuire alla miglior resa di un prodotto, anche supportando chi mi è accanto. Non sono un individualista, ma mi piace il concetto di “team”. È vero quello che dice: c'è stato molto coraggio nel puntare su volti giovani per la nostra serie. Ciò è un bene per chi, come noi, fa seriamente questo lavoro. È una chance, un'opportunità per

farsi conoscere. Va da sé che c'è, in fondo in fondo, l'auspicio che “I segreti di Borgo Larici” possa avere successo, visto che potrebbe essere in cantiere una seconda serie. Un'idea meravigliosa, a mio avviso. Al di là, però, degli aspetti più propriamente legati alla trama e alle tonalità che raccontiamo, un elemento ritengo sia innovativo nella serialità: la descrizione degli Anni '20, un'epoca non sempre affrontata sul piccolo schermo, a ridosso della “Marcia su Roma”. Mi piace aver trattato un aspetto storico, da trasmettere anche alle nuove generazioni. Non ho remore: siamo una fiction corale. D . – Il suo punto di vista su “La grande bellezza” di Paolo Sorrentino, candidato all'Oscar come “miglior film straniero”? R . – Sono molto contento, assolutamente. Mi auguro di cuore vinca e penso che Sorrentino sappia fare un gran bel cinema. Io ho visto il film e mi è piaciuto tantissimo. La storia è attuale quanto mai e credo sia un'operazione perfetta per la “vivisezione” della decadenza nella quale è sprofondato il nostro Paese. Il tema affrontato è contingente, tangibile e ben delineato. Avere il coraggio, ecco il mio termine preferito, di farlo da cineasta è una gran bella impresa. D . – Qual è il suo punto di vista sul cinema italiano attualmente? R . – A me sembra stia andando molto bene: ci sono davvero dei grandi exploit come Pif, il cui film sulla mafia andrebbe proiettato nelle scuole, e Checco Zalone in merito alla commedia, fermo restando i grandi alla Sorrentino, i vari e veri

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Maestri, che costituiscono delle pietre miliari per tutti noi. Io credo questo sia un momento abbastanza buono: forse, però, manca il coraggio (termine che ritorna) di raccontare storie e situazioni in maniera un po' diversa. L'italiano, a mio avviso, dovrebbe confrontarsi con mondi differenti, sradicandosi dalla concezione dello stereotipo del “godereccio” della vita da raccontare. È uno spettatore che, forse, ama un po' troppo il sapore del dolce e si dovrebbe avere la forza di cambiare un po' il linguaggio comune, virando anche registri e sentimenti. In fondo il grande schermo è intrattenimento, evasione dalla routine e molto altro. Io ho lavorato tanto con gli inglesi e ci si dovrebbe molto confrontare con altre culture, per mettersi in discussione e crescere.

D . – Cosa si auspica per il proseguimento del suo percorso? R . – Vorrei proseguisse, ovviamente, sempre nella direzione del coraggio, perseguendo una strada diversa giorno dopo giorno, arricchendomi di stimoli per diventare un attore possibilmente più completo. Per me sarebbe una conquista. D . – Tirando le fila, dunque, della nostra chiacchierata verrebbe fuori il ritratto di un giovane attore con “tanta voglia” di misurarsi in nuove imprese, fra curiosità, coraggio e continue sfide. R . – Perfetto: mi ci ritrovo tantissimo. Io credo nella vita sia importante muoversi molto, senza avere paura di sbagliare. Culturalmente possiamo fare di più di quello che realmente ci offrono: il nostro è un lavoro, purtroppo, precario senza mai alcuna certezza. Io vorrei avere sempre tanto coraggio, fino a ripeterlo all'infinito, per non smettere mai d'imparare. D . – Giusto, perché “se fai cresce il coraggio, se non fai cresce la paura”. R . – Non solo, ma come si dice: “La paura un giorno bussò alla porta del coraggio e non le fu aperto, rispondendole che non ci sarebbe stato posto per lei”. Gianluca Doronzo

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Alessio Boni


IL BELLO DELLA FICTION

Oltre 4milioni di spettatori per la serie «L'ingegnere» (andata in onda di recente su Raiuno, nell'ambito della trilogia «Gli anni spezzati»), scritta e diretta da Graziano Diana, con Giulia Michelini e Christiane Filangieri

Alessio Boni: l'anima, il cuore e l'onestà di un attore, desideroso di proseguire il suo percorso con una «grande libertà di scelta»

“Procedere con una grande libertà di scelta, nel rispetto del pubblico, da amare incondizionatamente”. Con anima, cuore e una smisurata “onestà intellettuale”, Alessio Boni fa il punto della situazione sul “suo viaggio attoriale”, passando in rassegna le più illustri fiction interpretate negli anni (da “Rebecca, la prima moglie” a “Walter Chiari” su Raiuno), le tournée teatrali (“Il visitatore” e “La carne del marmo”) e, soprattutto, il suo ultimo impegno seriale, seguito da ben 4milioni185mila spettatori in media, con uno share del 15,20%. Stiamo parlando de “L'ingegnere” (in onda sull'ammiraglia della tv di Stato), per la regia e sceneggiatura di Graziano Diana, accanto a Giulia Michelini e Christiane Filangieri, a conclusione della trilogia “Gli anni spezzati”. Al telefono schiettezza, impegno, entusiasmo (anche per la candidatura agli Oscar del film “La grande bellezza” di Paolo Sorrentino) e un'estrema disponibilità verso l'interlocutore, trattandolo quasi fosse “un amico di sempre”. Domanda – Signor Boni, con la fiction “L'ingegnere” si è conclusa la trilogia dedicata agli “Anni spezzati” su Raiuno, dopo “Il commissario” e “Il giudice”: oltre 4milioni di spettatori in media hanno seguito la storia del suo personaggio, Giorgio Venuti, uomo costretto a licenziare nel 1980 61 operai della “Fiat”, accusati di essere vicini al terrorismo. Lei è sempre stato molto oculato nella scelta dei ruoli da interpretare: non è un caso che la sua precedente fiction, incentrata attorno alla figura di “Walter Chiari”, abbia avuto un enorme successo di pubblico e critica. Da cosa è stato convinto in merito alla sua rentrée in una serialità? Risposta – Giorgio Venuti mi ha subito intrigato, perché è un personaggio che vive “un dramma nel dramma”: siamo a Torino, nei cosiddetti “Anni di piombo”, respirando un'aria davvero terroristica e violenta. Io sono stato convinto dalla qualità della scrittura di Graziano Diana, presentando un uomo, una persona perbene, veramente corretta, suo malgrado vittima degli eventi e di una figlia, che in fondo non conosce per nulla. Mi hanno “colpito” e “folgorato” le sue immense fragilità e tragicità, le incomprensioni familiari e la “secchiata” ricevuta addosso, una volta rilevata la verità sugli aspetti privati legati a chi gli sta a cuore. Ho trovato davvero della straordinarietà nella vicenda, seppur romanzata su un impianto di verità storica. Ritengo, onestamente, che il prodotto sia stato di grande qualità, soprattutto nel delineare i caratteri dei singoli personaggi messi in discussione. A quei tempi si viveva una realtà molto esplosiva, oggi al contrario c'è tanta implosione, si respira confusione nella società e non si sa davvero dove indirizzarsi. Nella fiction si è parlato poi di fatti realmente accaduti come il picchettaggio, per farle un esempio. Davvero di grande insegnamento, per chi non ha memoria o non ha vissuto quel periodo. D . – Con una simile trilogia, dunque, anche e soprattutto alla luce dei dati d'ascolto, possiamo sostenere che la Rai ha svolto il ruolo di “servizio pubblico”: no? R . – L'intento di sicuro è questo: il servizio pubblico dovrebbe perseguire una simile strada, senza mai demordere o

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IL BELLO DELLA FICTION

abbassare la guardia. Bisogna far riscoprire la storia, soprattutto per non commettere più gli stessi errori. Le giovani generazioni hanno il dovere morale di non abbassare mai la guardia, informandosi su ciò che è stato in passato. La vita va declinata in tutte le sue sfumature, anche in quelle più riflessive ed emozionali. “L'ingegnere”, a mio avviso, è stato un ottimo prodotto in questa direzione. D . – In base a quali criteri oggi sceglie una serie rispetto ad un'altra? R . – Il personaggio è la ragione prioritaria, che mi motiva ad optare per una serie televisiva rispetto ad un'altra: mi deve convincere immediatamente, dandomi emozioni e tanti stati d'animo svariati. Non m'interessa prendere parte ad un lavoro “tanto per”: ci devono essere delle concomitanze giuste e in una simile direzione le trovo. A me piace lavorare nell'ambito della sfera umana, scandagliando le fragilità del singolo, un po' come avvenuto per Giorgio Venuti. Senza l'accezione dell'uomo in sé, non vado mai avanti nella scelta di un progetto seriale. Di conseguenza valuto la scrittura, potente ed evocativa, mai fine a se stessa. A me sembra che negli ultimi anni la qualità delle fiction sia aumentata in maniera

esponenziale, con nostro grande orgoglio, spesso esportando l'italianità nel mondo. D . – Al suo attivo numerosissime produzioni seriali, puntualmente seguite da milioni di spettatori: fra l'altro, lei è stato accanto anche a Mariangela Melato, di cui ricorre l'anniversario della scomparsa in questi mesi, in “Rebecca, la prima moglie”. R . – Mariangela è stata una donna straordinaria. Le svelo uno scoop, una cosa che non sa nessuno: alla genesi della trilogia de “Gli anni spezzati”, mi hanno contattato per “L'ingegnere”. Per i panni della suocera, magistralmente vestiti da Paola Pitagora, avevo inizialmente pensato proprio a Mariangela Melato. La chiamai: lei era di una simpatia travolgente. Ci sentivamo spesso. Mi disse al telefono: “Tesoro, con te farei qualsiasi ruolo”. Dovette, però, declinare perché già stava male. Una persona straordinaria: un pezzo della nostra storia che ci manca e che difficilmente potrà essere colmato. Era di un'energia, di una spontaneità, di un'autoironia straordinarie. Essere una grande donna è difficile. Essere una grande attrice è difficile. Essere una grande donna e attrice è praticamente

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impossibile: Mariangela lo era. D . – Cosa pensa della candidatura all'Oscar del film “La grande bellezza” di Paolo Sorrentino, visto che lei nel 2006 era in lizza per “La bestia nel cuore”? R . – Ma che meraviglia! Non posso che avere gioia per questa notizia. È un film strepitoso, una perfetta metafora della nostra decadenza. Grandissimi Paolo Sorrentino e Toni Servillo! Non si può che esserne entusiasti e orgogliosi: concorriamo per vincere nella categoria del miglior film straniero. Questa è la vera “grande bellezza”. D . – Ha appena concluso la tournée de “Il visitatore” e a fine febbraio riprenderà la pièce “La carne del marmo”: di che si tratta? R . – Ammetto che “Il visitatore” ci ha dato grandi soddisfazioni. Adesso riprenderemo, come giustamente ha detto lei, “La carne del marmo” con estremo piacere, perché si mescolano poesia su Michelangelo Buonarroti, passione e tanta voglia di fare teatro in maniera pulita, interessante e, soprattutto, sincera. D . – A dimostrazione di come il teatro sia vita continua. R . – Assolutamente. Ti consente di esprimere un caleidoscopio di emozioni, sensazioni e stati d'animo, come nessun'altra forma espressiva, forse, riesce a fare. Il teatro è dinamismo, contatto col pubblico, passione e tanta sinergia di anime. Ogni sera è una nuova scoperta, una nuova impresa, un nuovo obiettivo da raggiungere.

D . – Alessio, le dico la verità: la conosco da un po' e l'ho vista anche a teatro, recensendola con passione, trasporto e tanta ammirazione. Ma se avessi avuto modo di intervistarla, all'indomani del successo della fiction su “Walter Chiari”, le avrei davvero fatto i più sinceri complimenti. Lei ha ribadito spesso che “è stato il ruolo più difficile interpretato nella sua carriera”: come è riuscito ad entrare così tanto nel personaggio, da trasmettere agli spettatori svariate emozioni allo stato puro? R . – Un personaggio scegli di interpretarlo perché lo vivi inevitabilmente, in tutte le sue declinazioni, in tutti i suoi colori, negli aspetti più profondi della sua interiorità. È vero: è stato il ruolo più difficile che io abbia affrontato in tutto il mio percorso. L'ho studiato e vissuto nei minimi particolari, anche nei gesti, nel vedere come camminava e interagiva con gli altri. Mi ci sono buttato a capo fitto nella preparazione, ci sono entrato dentro, ho capito l'uomo: anche il taglio dei capelli l'abbiamo reso verosimile. Per me importante è la fragilità dell'essere umano: aveva le donne più belle al suo fianco, di grande fascino. La sceneggiatura è stata molto oculata, precisa e meticolosa. Oggi se c'è uno scandalo si va subito in copertina: Kate Moss è stata protagonista di tutti i tabloid per la questione relativa alla droga. Allora si andava in carcere. “Walter Chiari” era un personaggio entrato nel cuore della gente, dei piccoli, un uomo vero che contribuiva all'empatia col suo pubblico. Dal mio punto di vista non smetterò mai di vedere l'uomo: anche per Giorgio Venuti è stato così. D . – Cosa vorrebbe, infine, potesse accadere nel proseguimento del suo percorso? R . – Guardi, Gianluca, vorrei procedere sempre con una grande libertà nelle scelte che faccio, non perdendo di vista la verità e l'onestà, soprattutto, nei confronti del pubblico. Diciamocelo chiaramente: senza gli spettatori, noi non siamo niente e dobbiamo grande devozione a chi ci guarda e segue. Mai prendere in giro la gente che ci ama: ci vogliono sempre coerenza e perseveranza. Questo era l'insegnamento del mio Maestro (con la maiuscola), Orazio Costa Giovangigli, che non dimenticherò mai. Gianluca Doronzo

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Christiane Filangieri


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Dalla partecipazione a «Miss Italia» (nel '97) alla fiction «L'ingegnere» (in onda di recente su Raiuno, con oltre 4milioni di spettatori in media): l'escalation di Christiane Filangieri, prossimamente protagonista della sesta serie de «I Cesaroni» su Canale 5

«Scelgo i miei personaggi in base a tre criteri, per me fondamentali: pulizia, eleganza e passione»

Al telefono comunica serenità, soddisfazione per quanto fatto finora nella sua carriera e tanta voglia di “crescere, selezionando di volta in volta gli impegni lavorativi”. Sono trascorsi ben 17 anni dalla sua partecipazione a “Miss Italia”: oggi Christiane Filangieri è uno dei volti più popolari della fiction italiana, tanto da moltiplicare i suoi ruoli in maniera esponenziale. Sta ultimando le riprese degli episodi della sesta serie de “I Cesaroni” su Canale 5 (“ha successo perché racconta i problemi della vita quotidiana”) e, di recente, è stata fra gli interpreti de “L'ingegnere” (Raiuno, 4milioni185mila spettatori in media, col 15,20% di share), ad epilogo della trilogia “Gli anni spezzati”, per la regia di Graziano Diana (con Alessio Boni e Giulia Michelini). Ha vestito i panni di Clara, una giovane donna che “intrattiene rapporti di grande e affettuosa amicizia col protagonista, in maniera molto delicata”. E, ancora una volta, ha fatto centro, selezionando una sceneggiatura di qualità (“merito di una scrittura intima e coinvolgente”). Domanda – Christiane, si è conclusa la trilogia intitolata “Gli anni spezzati”, con le fiction “Il commissario”, “Il giudice” e “L'ingegnere” su Raiuno: quest'ultima è stata da lei interpretata accanto ad Alessio Boni con ottimi risultati d'ascolto. Soddisfatta? Risposta – Quello girato da me e Alessio Boni è stato il terzo ed ultimo episodio della serie: il personaggio principale è stato

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inventato sulla ripresa di eventi realmente accaduti negli '80 come il picchettaggio, per farle un esempio. L'elemento centrale da parte del protagonista, costretto a licenziare 61 operai della “Fiat”, ha un po' avuto il suo fulcro attorno alla scoperta della figlia (una bravissima Giulia Michelini) legata al terrorismo. Ovviamente poi sono accadute tante altre cose. A mio avviso la vicenda è stata bellissima, proponendo una ricostruzione storica di un'epoca, con delle istanze romanzate: ora, questo ha fatto un po' arricciare il naso ai professori e agli accademici, anche alla luce delle polemiche che ho letto sui tre episodi. Dare un'interpretazione più libera non è un reato, anche perché siamo nell'ambito della fiction, dove la sfera del sentimento è da considerarsi rilevante. Lo sviluppo della trama, a mio avviso, è stato molto avvincente, alla ricerca della verità e il mio personaggio (Clara) si è avvicinato con molta delicatezza a quello di Alessio: ho vestito i panni di una collega innamorata che, con tanta discrezione e dolcezza, gli sta accanto, rispettando il fatto che ogni persona ha i suoi tempi diversi nell'innamoramento. Ho dato vita ad una donna con estrema pazienza, intimismo ed accoglienza. Davvero un bel personaggio. D . – La qualità delle serie televisive, alla luce anche del gradimento del pubblico, sembra sia diventata sempre più esponenziale. Che ne pensa? R . – Dico solo che in passato di sicuro c'era più tempo per

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girare e riflettere su quello che si metteva a punto. Dato non da meno, c'erano anche più soldi e una maggiore possibilità di ragionare sui contenuti di una produzione. Oggi è vero quello che lei dice, soprattutto in merito alla scrittura: la sceneggiatura di Graziano Diana per “L'ingegnere” credo sia stata straordinaria, messa a punto con cura e passione. La crisi, però, è puntualmente presente e tante volte bisogna fare i conti con quel poco che si ha a disposizione, dovendo fare molte rinunce, anche nella scelta di un cast o di una location. D . – Quale criterio adotta per la scelta di un personaggio nella fiction? R . – Di sicuro ci deve essere l'interesse per quelle che sono le caratteristiche delineate dal personaggio da interpretare: si devono respirare pulizia nella scrittura, eleganza e passione. Ovviamente non dico che deve essere scelto un copione rispetto ad un valore puramente educativo, ma di sicuro non voglio volgarità. Questo è proprio certo. D . – E, infatti, il suo percorso è puntualmente stato caratterizzato da pulizia, eleganza e spessore nei personaggi interpretati. R . – La ringrazio per le considerazioni fatte: io cerco di essere puntualmente propositiva. Ad esempio, in questo periodo sto girando la sesta serie de “I Cesaroni”, passando dal drammatico de “L'ingegnere” al comico: devo dire di esserne entusiasta, soprattutto perché non solo mi sto divertendo


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tantissimo, ma ho la piena consapevolezza di dare vita ad un personaggio d'impatto, solare, in un cast già collaudato, con una scrittura ben solida e popolare allo stesso tempo. D . – Ecco, ha parlato de “I Cesaroni” arrivati alla sesta serie: quale, a suo parere, il segreto del successo? R . – Diciamo che già in “Ho sposato uno sbirro” avevo affrontato un ruolo più divertente: qui sto potenziando le mie corde ilari, affrontando una serie che è vicina alla gente. “I Cesaroni” trattano temi quotidiani come il non riuscire ad arrivare a fine mese, la famiglia allargata, le bollette da pagare e via dicendo. Credo che alla gente piaccia, soprattutto perché si immedesima in quello che vede e non ne è distante o avulsa. La fiction deve affrontare i giorni nostri, senza però appesantirli. “I Cesaroni” sono l'esempio di una sana evasione dalla routine quotidiana. D . – Ha visto il film “La grande bellezza” di Paolo Sorrentino, candidato all'Oscar? R . – Sinceramente non ho avuto modo di vederlo: andare al cinema, con un bambino piccolo come il mio, non è proprio possibile. Tra l'altro, in questo periodo ha avuto anche la febbre. Non mi posso, pertanto, esprimere in merito alla pellicola. D . – Sono trascorsi ben 17 anni dalla sua partecipazione a

“Miss Italia”: avrebbe mai immaginato un percorso come quello fatto finora? R . – Guardi, a me in quel periodo interessava una carriera nell'ambito dei documentari, con programmi tipo quelli di Licia Colò. Non pensavo minimamente alla recitazione. Poi è arrivata la pubblicità nell'ambito della telefonia e sono diventata un volto televisivo, per la regia di Daniele Lucchetti: facevamo degli spot come se fossimo in un romanzo popolare a puntate, in maniera anche molto divertente. Da lì sono arrivati i provini per le fiction e oggi siamo qui, a distanza di un po' di anni, a parlare del mio percorso. D . – Bene, bene. Un auspicio per il 2014, Christiane? R . – Innanzitutto un pensiero va alle zone colpite dal terremoto, in prossimità di Caserta, mia terra d'origine. Speravo che quanto accaduto nel 2013 non si ripetesse e invece, purtroppo, apprendiamo dai telegiornali sempre notizie negative in merito. Per il resto, guardi: sarà pure banale ripeterlo, ma finché nella vita ci sono famiglia, salute e tanta forza di volontà, va sempre tutto bene. Poi sto portando a termine il mio personaggio ne “I Cesaroni” con tanto divertimento e questo credo sia un dato da non sottovalutare. Va tutto bene così, non mi sento di chiedere altro. Gianluca Doronzo

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Antonella Ruggiero


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Sul palco dell'«Ariston» torna in gara Antonella Ruggiero (per l'undicesima volta, a distanza di sette anni dall'ultima partecipazione) con i brani «Quando balliamo» e «Da lontano», inclusi nell'album «L'impossibile è certo»

«Attraverso la musica italiana con la mia umile (e smodata) voglia di fare arte: non chiedo di più dalla vita»

Un'anima vocale di straordinaria sensibilità, capace “di far vibrare le corde delle emozioni” ogni volta in cui “regala” (quasi fosse un “dono di Dio”) una sua performance. Per l'undicesima volta (dopo un'assenza di ben sette anni) Antonella Ruggiero torna a calcare il palco dell' “Ariston”, in gara fra i “Campioni” alla 64esima edizione del “Festival di Sanremo” (Raiuno, dal 18 al 22 febbraio, ore 21.10), proponendo due pezzi d'autore (“Quando balliamo” e “Da lontano”), inclusi nell'album di inediti (ben 15) “L'impossibile è certo”, in uscita nei giorni della kermesse. Sapore di fisarmonica, grande orchestrazione, utilizzo dell'elettronica e “un occhio allo stile d'altri tempi”, nel rispetto della tradizione della canzone nostrana, facendo del virtuosismo il motivo conduttore. Con semplicità, stile e immensa attenzione alle nuove leve della scrittura (“io sono sempre stata pronta a collaborare con i giovani, sperimentando, lasciandomi trasportare dalla loro creatività, spesso affrontando mondi distanti dal mio”), a voi il ritratto di un'autentica Signora della musica “made in Italy”, indimenticabile primadonna per decenni dei “Matia Bazar”. Domanda – Signora Ruggiero, torna in gara al “Festival di Sanremo” a distanza di sette anni dalla sua ultima partecipazione, con formula e conduzione rinnovate: quale ragione ha motivato la sua rentrée? Risposta – Essenzialmente sono stata mossa dal fatto che, dopo quasi dieci anni, proporrò al pubblico un nuovo lavoro discografico, nel quale credo molto per testi, arrangiamenti, ispirazioni e, soprattutto, creatività. Si tratta di quindici canzoni inedite, delle quali vado veramente fiera. All'uso dell'elettronica si uniscono gli archi, adottando anche percussioni e strumenti innovativi, non tralasciando mai l'impostazione classica della canzone italiana. D . – Il suo nuovo album s'intitola “L'impossibile è certo”: quali le tematiche di fondo? R . – È un titolo che un po' descrive ciò che l'Italia e gli italiani devono affrontare in questo periodo: in tutto il bailamme nel quale stiamo vivendo, diventa certo tutto ciò che “impossibile”. L'andazzo dei cattivi eventi non fa vibrare più le corde delle emozioni: tutti noi, attraverso il risveglio dell'arte e della cultura, declinate nelle loro svariate accezioni, dobbiamo superare questo periodo di tormento, sicuri che assisteremo in tempi brevi ad una rinascita. Esattamente un po' come accaduto nel Dopoguerra, quando ha avuto vita una ripresa fino al boom economico degli Anni '50, dove tutti si sono doverosamente rimboccati le maniche. D . – Che cosa pensa delle formula di Fabio Fazio, incentrata sull'eliminazione di una delle due canzoni in gara da parte di ogni “Campione”? R . – Personalmente sono molto fiera, allo stesso modo, dei due brani che porto a “Sanremo”: sono pezzi molto eleganti e simili. E, onestamente, sono realmente curiosa di capire quale melodia sarà gradita (o meno) dal pubblico. D . – Le sue canzoni sono “Quando balliamo” e “Da lontano”: stando ai giornalisti che hanno avuto modo di ascoltarle in anteprima, si tratterebbe di pezzi molto eleganti, dai grandi

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italiana. Sono sicura, tra l'altro, che in questa edizione di “Sanremo”, in gran parte animata da giovani fra i “Campioni”, ci sarà una nuova ventata di contemporaneo e originalità. Non ho ascoltato ancora i pezzi dei miei colleghi, ma credo si respiri un'aria di attualità, come ha paventato Fabio Fazio. D . – A proposito di giovani: che pensa dei cosiddetti “talent show”? R . – Onestamente non si tratta di un qualcosa che mi affascina: non ne sono interessata e non seguo tutte le vicissitudini legate a simili programmi. Di sicuro siamo nell'ambito di una vetrina per poter emergere e farsi vedere, ma non è sufficiente e spesso si può rivelare fine a se stessa. I ragazzi devono sapere che, al di là della tv, c'è tanto da fare: gavetta, studio, porte sbattute in faccia e via dicendo. Per carità: magari chi vince spesso può anche costruire una seria carriera, come accaduto in qualche caso. Ma trovo che nella maggior parte i concorrenti possano correre il rischio di illudersi di “essere arrivati”. Non basta il piccolo schermo: la musica va oltre, molto oltre. Oltre le apparenze. D . – Che fase sta attraversando, a proposito, la musica italiana? R . – Non saprei. Conosco ciò che non passa in radio e, a mio avviso, quella è la verità della musica italiana. Trovo che il nostro Paese sia un po' diviso in due: l'uso e abuso di pezzi ascoltati a più non posso, spesso supportati da grandi

arrangiamenti, cuciti su misura per valorizzare la sua straordinaria vocalità. R . – Diciamo che si tratta di due brani che nascono col preciso intento di essere proposti al pubblico, in continuità al mio percorso artistico: li abbiamo realizzati in maniera molto naturale, senza pensare di doverli portare necessariamente a “Sanremo”. Come dirle: la gestazione è stata molto spontanea. La melodia, a mio avviso, rispecchia la canzone italiana, con una grande orchestrazione, utilizzando svariati strumenti con un occhio al passato, ai primi del '900, ai “must” della tradizione nazionale, soprattutto in “Da lontano”. Niente di trascendente. È logico che poi io ho una precisa vocalità e i pezzi li calzo a pennello, essendone l'interprete. D . – A firmare i testi del suo nuovo album (inclusa la coautorialità di quelli sanremesi) ci sono giovani esponenti del calibro di Alessandro Orlando Graziano e Simone Lenzi dei “Virginiana Miller”, fra gli altri. Segno della sua estrema propensione alla collaborazioni con le nuove leve della musica “made in Italy”. R . – Io sono sempre stata pronta ad essere al fianco dei giovani, spesso provenienti da mondi musicalmente molto diversi dal mio. Ho puntualmente cercato nel mio percorso collaborazioni con menti fresche, sincere e, soprattutto, vivaci, piene di creatività, talentuose. In più ci siamo sempre avvalsi dell'utilizzo dell'elettronica e di strumenti apparentemente distanti dalla mia sfera, più legata alla tradizione della canzone

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discografici e l'esistenza di tantissime realtà che si evincono nei festival minori, in giro per il Belpaese, con intensità espressiva e substrato davvero notevoli. D . – A che punto del suo viaggio, metaforicamente, sente di essere in questo momento? R . – (Dopo una risata al telefono, ndr) Non so, non lo so. Io continuo, vado avanti e poi si vedrà quel che succederà. D . – Cosa, dulcis in fundo, le piacerebbe potesse emergere all'indomani del “Festival di Sanremo”, in merito alla sua performance? C'è un “quid” che vorrebbe potesse essere messo in evidenza rispetto ai suoi brani? R . – Dico la verità: io attraverso la musica italiana col mio stile, con la mia cifra e, soprattutto, con la mia smodata voglia (e umiltà) di esserci e fare, possibilmente, arte. Sono una cantante e, in particolar modo, una cittadina italiana: nella serata del venerdì di “Sanremo”, ad esempio, ho scelto di interpretare un pezzo come “Una miniera” dei New Trolls, brano storico che già tanti anni fa affrontava una tematica come quella delle morti sul lavoro, di estrema attualità. Vorrei che mi si riconoscesse come una cittadina italiana, sensibile alle tematiche del Paese in cui vive, senza aggiungere altro. Per me sarebbe sufficiente così. Gianluca Doronzo

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Renzo Rubino


SANREMO 2014 - IL CAMPIONE IN GARA

Debutto fra i «Campioni» per il giovane promettente pugliese (nato a Taranto, vissuto a Martina Franca), vincitore del «Premio della Critica Mia Martini» nel 2013, in gara con i brani «Ora» e «Per sempre e poi basta»

Un cantautore «in crescita», profondamente «in cerca di uno spazio»: Renzo Rubino e il suo exploit da un anno a questa parte

“In crescita: in cerca di uno spazio”. È la maniera in cui, metaforicamente allo specchio, oggi si riflette Renzo Rubino (nato a Taranto, ha trascorso infanzia e adolescenza a Martina Franca), giovane e talentuoso esponente del cantautorato “made in Italy”, promosso fra i “Campioni” in gara nella 64esima edizione del “Festival di Sanremo” (Raiuno, dal 18 al 22 febbraio, ore 21.10), in seguito all'exploit dello scorso anno col brano “Il postino (amami uomo)”, vincitore del “Premio della Critica Mia Martini”. Dopo “Farfavole” e “Poppins”, il nuovo album si prospetta “più groove, non omettendo il romanticismo rétro”, ad iniziare dai due pezzi da presentare sul palco dell' “Ariston” (“Ora” e “Per sempre e poi basta”, con grande orchestrazione). Sembrano lontani, dunque, gli esordi “in giro per la Puglia” nel 2008 (“con voce e piano”): per lui, dall'incontro col produttore Andrea Rodini, la vita “è decisamente cambiata”, in un'escalation di successi “da incorniciare”, convinto che “fare della propria arte un mestiere è sempre più difficile”. Domanda – Il 2013 è stato l'anno del suo exploit: terzo posto a “Sanremo Giovani” con “Il postino (amami uomo)”, vincitore del “Premio della Critica Mia Martini” e del “Lunezia” per la qualità musical-letteraria dell'album “Poppins”. Dal 18 febbraio sarà in gara fra i “Campioni” della 64esima edizione del “Festival di Sanremo”: stati d'animo, emozioni, attese? Risposta – È in assoluto la domanda più consueta e difficile allo stesso tempo. Direi che mi sento “come appena prima di entrare dal dentista” o, più verosimilmente, “come quando ti

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fermano i carabinieri”. Oppure, cambiando registro (più poeticamente), “come quando sai che stai per baciare la prima volta una signorina che ti piace molto”. D . – I brani con cui si presenterà sul palco dell' “Ariston” s'intitolano “Ora” e “Per sempre e poi basta”: stando a chi ha già avuto modo di ascoltarli, si paventano ironia e ritmo nel primo, in concomitanza ad una grande orchestrazione nel secondo. Che dire? R . – Sul secondo confermo. Sul primo, in realtà, l'arrangiamento può sembrare ironico, ma il contenuto ha un retrogusto amaro con versi del tipo: “Ora che stai pensando, fermati e datti un voto”. D . – Sembrerebbe che in gara quest'anno a “Sanremo” trionfino amore e sentimenti nei testi, a dispetto dell'attualità: in tempi di “crisi” ci si auspica un sano ritorno alla profondità dei rapporti? R . – Semplicemente quando il “valore” del soldo perde sprint, vengono fuori gli affetti ai quali ci si aggrappa. E, se devo dirla tutta, mi sembra una buona cosa. D . – Che pensa del meccanismo della duplice canzone in gara (con una eliminata), ideato da Fabio Fazio? R . – A mio avviso, bisognerebbe mantenere i due pezzi in gara per tutto il “Festival”.

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D . – Dopo “Farfavole” e “Poppins”, cosa ci si deve aspettare dal suo prossimo lavoro discografico? R . – Più “groove” e altrettanto romanticismo rétro. D . – L'incontro con Andrea Rodini, suo attuale produttore artistico, le ha cambiato la vita: vero? R . – Direi proprio di sì. E lui mi dice che la cosa è reciproca. D . – Dai suoi esordi in giro per la Puglia nel 2008 (con gli spettacoli voce e piano), si sarebbe mai aspettato un simile exploit, stando a quello che sta vivendo nelle ultime stagioni? R . – Onestamente ci speravo. Per il resto, se avessi capacità divinatorie avrei lavorato tre giorni in tutta la mia vita. Uno per ogni “Superenalotto” vinto (e ride, ndr). D . – Quanto è difficile per un giovane oggi emergere nell'ambito della musica? R . – Troppo. In realtà: emergere da cosa? Dall'anonimato? Quello poco, basta tirare un sasso dal cavalcavia. Fare della propria arte un mestiere, invece, tantissimo. Il problema rimane quello della vendita del disco. Ancora nessuno è in grado di sapere come si fa a guadagnare, dal momento che la musica è un bene fruibile gratis. D . – Che pensa dei cosiddetti “talent” alla “X Factor” e “The Voice of Italy”, ad esempio? R . – Un modo come un altro per essere “in vetrina”. Purtroppo, un po' l'unico. D . – Cosa vorrebbe potesse accadere in gara quest'anno a “Sanremo”? Quali aspettative e, soprattutto, cosa spera possa emergere dai suoi brani? R . – Innanzitutto mi piacerebbe che le mie canzoni venissero

canticchiate, mentre ci si fa la doccia. Poi mi lusingherebbero i complimenti dell'orchestra. D . – Metaforicamente allo specchio: in che modo si riflette, oggi, Renzo Rubino? R . – In crescita. In cerca di uno spazio. Gianluca Doronzo

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Bianca


SANREMO 2014 - LA GIOVANE PROMESSA

Ha origini torinesi, studi jazz-soul e tanta voglia di «fare della musica la propria vita»: Bianca in gara fra i «Giovani» nella 64esima edizione del «Festival di Sanremo» (Raiuno, dal 18 al 22 febbraio, ore 21.10)

«Vivo l'emozione del debutto sul palco dell'Ariston, consapevole che per me è un punto di partenza, non d'arrivo»

Ha le idee ben chiare sul suo futuro: “Io devo fare musica per tutta la vita. Costi quel che costi. E spero, soprattutto, di mettere d'accordo pubblico e critica in merito alla mia performance sanremese”. Bianca (il suo vero nome è Emma Fuggetta) ha passione, vitalità e tanto entusiasmo: sarà fra i “Giovani” in gara alla 64esima edizione del fatidico “Festival” (Raiuno, dal 18 al 22 febbraio, ore 21.10), condotto dalla coppia Fazio-Littizzetto, col brano “Saprai” (scritto dal suo produttore, Alex Gaydou, che firma i testi dell'album in uscita nella settimana della kermesse, da titolo “L'altra metà”). Originaria di Torino, impostazione jazz-soul, introspettiva ma con una “grande apparente solarità caratteriale”. Per il suo esordio all' “Ariston” una profonda concretezza, ritenendolo “un punto di partenza e non d'arrivo”. Al telefono è un fiume in piena di stati d'animo, con un sorriso costante. Domanda – Bianca, come sta vivendo il suo debutto sanremese fra i “Giovani” e in che modo è arrivata a coronare il sogno di “calcare” il fatidico palco dell' “Ariston”? Risposta – A dire la verità non dormo la notte, sebbene mi sforzi (con scarso successo) di stare tranquilla (e ride al telefono, ndr). Per me si tratta di un'avventura supernuova e, onestamente parlando, superinaspettata. Sono arrivata a calcare il palco dell' “Ariston”, partecipando ad “Area Sanremo”, non essendo ancora pronta, per mia componente

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caratteriale, per un “talent”. Ho seguito i suggerimenti del mio produttore e ho deciso di provare a fare un'esperienza, senza alcuna aspettativa, proprio nella concezione della mia sfera formativa. Non avrei mai pensato di poter arrivare addirittura fra i due finalisti, andando in gara al “Festival”, sempre visto da casa ogni anno. Non posso che esserne entusiasta. D . – Entusiasmo ed emozione sono di sicuro le componenti che la caratterizzano in questo periodo. R . – Ma sì, provo una grandissima soddisfazione per quello che sta accadendo. Sono, tra l'altro, convinta che nella vita conti anche una buona componente di fortuna e, in tutta sincerità, mi sento privilegiata rispetto a tanti ragazzi che cercano di fare musica e non ci riescono. “Sanremo” è il mio punto di partenza: per molti è una meta, un traguardo, un

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arrivo. D . – Parliamo, nello specifico, del suo brano intitolato “Saprai”, dal sapore introspettivo: no? R . – Il pezzo è stato scritto esattamente su misura per me dal mio produttore, che praticamente ha messo su tutti i brani del mio nuovo album. Nasce da una e-mail: non scrivendo canzoni, mi diverto ad abbozzare qualche pensiero. Lo stato d'animo descritto nel motivo sanremese l'ho vissuto in occasione degli 80 anni di mia nonna: eravamo in un albergo e, ad un certo punto, sentendomi inadeguata, mi rinchiusi in bagno. Fui presa dai miei soliti pensieri, dalle malinconie, nonostante io sia una “allegra ed esuberante” per chi mi vede dall'esterno. “Saprai” inizia raccontando proprio questa scena, con riferimento alle pareti tappezzate di rosso, come accaduto


SANREMO 2014 - LA GIOVANE PROMESSA

realmente nel bagno in cui mi trovavo. Mi sento perfettamente rappresentata da questa canzone. D . – Se dovessimo tracciare un motivo conduttore del suo album, in uscita il 19 febbraio, quali tematiche e “mood” sentirebbe di scegliere? R . – Tutti i pezzi sono stati scritti, come le anticipavo prima, dal mio produttore: a livello di “mood” siamo sulla scia di “Saprai”, in maniera molto introspettiva e con riflessione su me stessa. Sono, a dire il vero, contenta del lavoro fatto in questi mesi in sala di registrazione, soprattutto perché attraverso testi e melodie vengono fuori tutte le declinazioni del mio carattere. Non potrei chiedere di più. D . – Cosa vorrebbe potesse essere compreso del suo brano sanremese? R . – È un'incognita difficile. Non le nascondo che mi fa anche un po' paura quello che mi sta accadendo. Spero soltanto di godermi il palco dell' “Ariston” al meglio, non sprecando quei tre minuti e mezzo che ho a disposizione, facendo in modo che tanti ragazzi, magari alle prese con i miei stessi stati d'animo, possano riconoscersi nel mio pezzo. D . – E dopo il “Festival”? R . – Ovviamente ci sarà la promozione dell'album. Vorrei vivermi ogni attimo al meglio, godendomelo. Fermo restando che sono perfettamente consapevole delle difficoltà del momento e di quanto sia complesso, oggi più che mai, emergere per un giovane. D . – Fatto sta che per lei “Sanremo” rappresenta, come abbiamo già ribadito prima, un punto di partenza. R . – Sì, sì. E, soprattutto, non era neanche in programma, essendo arrivato in maniera del tutto inaspettata. Va benissimo così. D . – Il suo punto di vista sui “talent”? R . – Credo che nell'ultimo periodo siano diventati dei grandi trampolini di lancio per le nuove generazioni musicali: ci sono dei lati positivi e negativi. Non escludo, qualora le cose non dovessero andare come spero subito dopo il “Festival”, di tentare anche una strada del genere, essendo magari oggi più pronta rispetto a qualche anno fa. Chissà. D . – Ciò che dice dimostra quanto l'esperienza sanremese di sicuro le darà più forza e grinta per andare avanti. R . – Certamente. Prima non mi sentivo pronta per grandi palchi e manifestazioni, quasi vivessi una sorta di stato d'inadeguatezza. Arrivando a “Sanremo” le cose stanno un po' cambiando: do ad ogni avventura un significato più profondo e, soprattutto, mi impegno al massimo. Costi quel che costi. D . – Bianca, siamo alla conclusione della nostra piacevole chiacchierata, che mi auguro possa portarle davvero fortuna. Auspici per il futuro? R . – Io devo fare musica tutta la vita, costi quel che costi. Non potrei viverne senza. Spero, in tutta onestà, di mettere d'accordo pubblico e critica, una volta sul palco dell' “Ariston”. Questo mi sta veramente a cuore. Gianluca Doronzo

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TEATRO


TEATRO - LE RECENSIONI

Quattro pièce «emozionali e sincere», con talenti consolidati (Salvatore Palombi e Loretta Grace) e giovani promesse della sfera drammaturgica (Pietro Caramia, Fabio Giacobbe, Michele Ciavarella e Monica Veneziani)

Musicale, introspettivo, ricco di riflessione e d'autore: a teatro è tempo di spettacoli «sold out»

Un bel fermento teatrale in questa stagione. Interpreti più consolidati (da Salvatore Palombi e Loretta Grace) e giovani promesse (da Fabio Giacobbe, Pietro Caramia e Barbara Grilli, virando verso Michele Ciavarella e Monica Veneziani) stanno registrando puntualmente “sold out”, in tournée nel Belpaese. Musicali, introspettivi, ricchi di riflessione e d'autore (con Alfredo Vasco): gli spettacoli del momento. “Ghost” – Il musical dell'anno: tratto dall'omonimo film del 1990 (con Patrick Swayze, Demi Moore e Whoopi Goldberg), con le sonorità di Dave Stewart e Glen Ballard, ha registrato mesi di “tutto esaurito” (recentemente al “Brancaccio” di Roma). Merito di un cast corale, con esponenti d'eccellenza come Salvatore Palombi, Ilaria Deangelis, Cristian Ruiz e Loretta Grace, fra gli altri. Imponente ambientazione, giochi di luci, ritmo e sincerità espressiva hanno costituito il motivo conduttore di un'opera memorabile, nella speranza che sia replicata la prossima stagione. “Un bastardo venuto dal sud…vita, rinascite e miracoli di Franco Califano” – Una prova d'attore autentica, essenziale, priva di orpelli e sovrastrutture, con un punto di forza: la scorrevolezza dell'impianto drammaturgico, fra ricerca del dettaglio, alternanza del “recitato-cantato” e tanta passione. Per Fabio Giacobbe, giovane promessa della Puglia “made in talento”, una pièce “scritta su misura” per valorizzarne la sfera “affabulatoria”, raccontando le avventure che hanno dato vita al percorso di Franco Califano (numerose attestazioni al “Forma” di Bari). Ad affiancarlo: Carla Bavaro (una voce diretta, capace di animare le sfumature di pezzi d'atmosfera come “Minuetto” e “La nevicata del '56” di Mia Martini) e il pianista Marco Contardi. Suggestivo l'impianto registico di Pietro Genuardi (il noto e popolare “Ivan Bettini” della soap “Centovetrine” su Canale 5). “Tutto il mio folle amore” – L'esordio come “firma teatrale” del cantautore Michele Ciavarella (al suo attivo la vittoria anni fa del “Premio De Andrè”), perfettamente nelle corde di Pietro Caramia (anche regista), con una presenza femminile (una convincente Monica Veneziani) di tutto rispetto (settimane fa all' “Auditorium musica d'attracco” a Monopoli, in provincia di Bari). Tre giovani esponenti “on stage”, capaci di “far vibrare” le corde delle emozioni dello spettatore, conducendolo nel “viaggio esistenziale” di Pier Paolo Pasolini, con continui richiami all'attualità. Le parole offrono lo spunto per riflettere su temi contingenti: migrazione, omofobia, emarginazione e prostituzione. Ciascuno, a suo modo, è una rivelazione: Ciavarella per la capacità di alternare il canto (“Suprema” di Moltheni il pezzo migliore) all'inedito piglio attoriale; Caramia per la padronanza scenica e la Veneziani per la trasversalità dei registri utilizzati (scene e costumi di Valentina Dibello). “Trilogia d'autore” – Alfredo Vasco firma regia e adattamento di un “trittico” d'autore: “La lezione” (Ionesco), “L'uomo dal fiore in bocca” (Pirandello) e “Domanda di matrimonio” (Cechov) al Bravò del capoluogo pugliese, nell'ambito della stagione del Duse (per la direzione artistica di Mia Fanelli). Indiscusse capacità mimiche, col supporto dei determinati Barbara Grilli e Antonello Loiacono. Gianluca Doronzo

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Gabriele Cirilli


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Il poliedrico Gabriele Cirilli dai successi televisivi alla tournée della commedia «Lui e Lei - Istruzioni per la coppia», per la regia di Federico Moccia, accanto alla Giarrusso e alla Nargi, il 21 e 22 febbraio al «della Luna» di Milano e al «della Concordia» di Venaria Reale

«Il teatro mi dà il contatto diretto col pubblico: come mi ha suggerito sempre il Maestro Gigi Proietti, non l'abbandonerò mai»

“Qualsiasi cosa accada nel tuo percorso, non abbandonare mai il teatro: l'amore del pubblico va coltivato di persona, con le tournée, col contatto diretto”. Gabriele Cirilli non può fare a meno di ricordare una frase del suo Maestro (volutamente con la maiuscola), Gigi Proietti, di cui ha fatto puntualmente tesoro nel suo percorso. E, infatti, nonostante i numerosi impegni televisivi (dopo il successo di “Tale e quale show” con Carlo Conti, sta preparando su Raiuno “C Factor”, una sorta di “X Factor” della comicità, in onda nella stagione primaverile), ogni anno è protagonista di una pièce, comica o da “solista”. Stavolta è alle prese con “Lui e Lei – Istruzioni per la coppia” (al “della Luna” di Milano il 21 e al “della Concordia” di Venaria Reale il 22 febbraio, fra l'altro), per la regia del “best seller” Moccia, accanto a Roberta Giarrusso (“una piacevole conferma”) e Federica Nargi (“una rivelazione, al suo debutto”), trattando tematiche di “scottante attualità”. Leggere, per credere. Domanda – Gabriele, la commedia “Lui e Lei – Istruzioni per la coppia” (per la regia di Federico Moccia), con cui è attualmente in tournée, cosa rappresenta all'interno della sua carriera? Risposta – Innanzitutto è un confermare sempre ogni anno il teatro, elemento da cui non può prescindere la mia vita artistica. Gigi Proietti, il mio autentico Maestro con la maiuscola, mi ha sempre suggerito di non abbandonarlo, qualsiasi direzione avesse preso il mio percorso, perché crea un contatto diretto col pubblico e solo così percepisci l'affetto “dal vivo”. Ed io non voglio assolutamente farne a meno. Se poi lei ci fa caso, Proietti non l'ha mai lasciato: tanto che in ogni stagione propone un nuovo spettacolo. “Lui e Lei – Istruzioni per la coppia” trovo, onestamente, sia un lavoro completo: a me piace definirlo una sorta di “comedy show”, in cui si ride, canta e balla. E devo dire che la gente finora ne è rimasta puntualmente soddisfatta, venendo spesso nei camerini ad esclamare: “Che bravi, non ce l'aspettavamo!”. La storia, nello specifico, riguarda una coppia ultraventennale in crisi, messa in discussione dalla presenza di una ragazza più giovane della moglie. Diciamo che parliamo dei giorni nostri. D . – Assolutamente: di estrema attualità, anche in virtù di quello che è accaduto in Francia, con lo scandalo del presidente Hollande. R . – Bravo, “siamo sul pezzo”, come direste voi nell'ambito giornalistico. Siamo di estrema attualità. D . – Alla regia c'è Federico Moccia, mentre ad affiancarla sul palco figurano Roberta Giarrusso e Federica Nargi, fra gli altri. Che dire? R . – Federico è straordinario: è un “best seller” vivente. Qualsiasi cosa abbia fatto, ha avuto successo nel mondo. È una persona molto intelligente e sa come trattare specifiche tematiche, in una maniera sincera e approfondita. Roberta è una conferma: una brava attrice di teatro, fiction e cinema, che veste i panni di mia moglie. Federica è una rivelazione: il suo ruolo è stato scritto appositamente e, in fondo, interpreta se stessa. Al suo debutto sul palco, davvero se la sta cavando egregiamente.

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D . – Potremmo, dunque, dire che il teatro è la forma espressiva che la rappresenta maggiormente? R . – Nella maniera più assoluta: le ribadisco che ogni anno cerco di essere protagonista di una tournée, proprio per non perdere la freschezza del rapporto diretto con le persone. In fondo noi siamo frutto dell'amore della gente e non potremmo farne a meno. D . – Se dovesse, in un certo senso, formularsi un auspicio per un nuovo lavoro teatrale, cosa risponderebbe? R . – A me innanzitutto piacerebbe sempre e comunque continuare a lavorare: non importa se nell'ambito della commedia, del “one man show” o di altro. L'elemento di cui non potrei mai fare a meno è l'amore della gente. D . – Se si guardasse indietro, alla luce della gavetta fatta, arrivando fino ai traguardi dei giorni nostri, quale riflessione si sentirebbe di fare? R . – Io, a dire la verità, sento di essere ancora nella fase della semina, per cui sto investendo prima di raccogliere. In fondo, non ho ancora fatto una prima serata, un programma da solo in tv e molte altre cose. Di sicuro ho lavorato sempre con grande passione in tutte le trasmissioni che ho messo a punto. Sento

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di avere l'energia giusta per andare avanti e così sarà. D . – La tv che fase sta attraversando attualmente? R . – Oggi diciamo che c'è molta carne al fuoco e hai una grande possibilità di scelta. Ad esempio, io ho un progetto in corso: s'intitola “C Factor” ed è una sorta di “X Factor” della comicità. Ho la supervisione di Carlo Conti. Giovani cabarettisti si daranno battaglia su Raiuno, in una gara all'ultima risata: ho fatto ben tre/quattro anni di scouting per poterli selezionare. D . – L'inizio è previsto per maggio, vero? R . – In realtà, saremmo dovuti partire a breve, ma abbiamo deciso di posticipare di qualche mese, in quanto non avevamo l'agibilità dello studio da cui andremo in onda. Ci sarà da divertirsi. D . – Lei è stato indubbiamente uno dei personaggi di punta, televisivamente parlando, del 2013 grazie alla partecipazione a “Tale e quale show” di Carlo Conti. R . – Io conosco Carlo da ben tredici anni: quando tre anni fa mi ha proposto di partecipare al suo programma, avevamo “subodorato” subito potesse essere un successo, soprattutto per una ragione. Il respiro sano del ritorno al varietà. “Tale e


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quale show” è un programma pulito, sincero, ricco di emozioni. A me, personalmente, ha dato la possibilità di mettermi in discussione a 360°. D . – La pulizia ha fatto la differenza, consentendo di arrivare ad oltre 7milioni di spettatori in media su Raiuno. R . – Bravissimo. E, diciamoci pure la verità, nella stragrande maggioranza dei casi non è propriamente così in tv: a mio figlio, ad esempio, cerco di farla vedere il meno possibile, perché non sempre in video si comunica nella maniera giusta. Troppe liti, parolacce, bestemmie e via dicendo. D . – Calcare il “Sistina” di Roma, tempio della commedia musicale, cosa ha voluto dire per lei? R . – Intanto ha voluto dire lavorare con Pietro Garinei, che purtroppo non c'è più. Ricordo ancora la sua voce, quando facevamo le prove. Davvero un maestro. Per me un sogno che si è avverato. D . – Come vorrebbe, infine, potesse continuare il suo percorso? R . – Intanto vorrei continuare a farlo come in questo momento, possibilmente bene e in maniera serena. Poi tutto quello che accadrà sarà ben accolto. Gianluca Doronzo

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Roberta Giarrusso


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Roberta Giarrusso accanto a Gabriele Cirilli e Federica Nargi nella commedia «Lui e Lei - Istruzioni per la coppia», diretta da Federico Moccia (con cui ha lavorato nel film «Universitari»), il 7 e 28 marzo al «Verdi» di Montecatini e al «D'Annunzio» di Latina

«Mi piacerebbe diventare un'attrice sempre più credibile: il teatro mi sta facendo crescere»

Diventare un'attrice “sempre più credibile”. Un auspicio chiaro, preciso e “coltivato con impegno e cuore” ruota attorno all'universo di Roberta Giarrusso, nota sul piccolo schermo per numerose fiction (da “Carabinieri” su Canale 5 al più recente “Il commissario Manara” su Raiuno), attualmente in tournée con la commedia “Lui e Lei – Istruzioni per la coppia” (il 7 e 28 marzo, rispettivamente al “Verdi” di Montecatini e al “D'Annunzio” di Latina, fra l'altro), per la regia di Moccia (con cui ha avuto modo di lavorare nel film “Universitari”), accanto a Gabriele Cirilli e Federica Nargi (“siamo davvero affiatati: di loro conserverò un ottimo ricordo”). Fra stati d'animo, un rapido excursus nel passato (da “Miss Italia” nel 2001 a “I migliori anni” nel 2008) e desideri per il futuro (“mettermi in discussione, crescendo giorno dopo giorno”), la chiacchierata telefonica davvero rivela “una piacevole persona”, molto “acqua e sapone”. Domanda – Roberta, cosa rappresenta all'interno del suo percorso la partecipazione alla commedia “Lui e Lei – Istruzioni per la coppia”, per la regia di Moccia, accanto a Gabriele Cirilli e Federica Nargi? Risposta – Ammetto che questo per me è uno spettacolo davvero emozionante e difficile, allo stesso tempo: ho un ruolo divertente e ricco di sfumature, con un dinamismo non semplice da portare avanti per tutta la durata della performance. Come dirle: è una sfida teatrale che ho accettato con estremo entusiasmo. Il fatto di avere accanto un maestro come Gabriele Cirilli non può che confortarmi, essendomi stato molto vicino fin dall'inizio, attraverso dritte, suggerimenti e cura dei dettagli scenici. Per me, alla resa dei conti, si tratta di un'esperienza davvero costruttiva, che mi ha consentito di inserire un ulteriore tassello nel mio percorso d'attrice, soprattutto a livello teatrale. D . – Non è nuova a collaborazioni con Federico Moccia, regista della pièce, con cui ha già avuto modo di lavorare nel film “Universitari”: quale, secondo lei, il segreto del suo successo, soprattutto in merito alla scrittura? R . – Federico è sempre stato molto carino con me: è il secondo progetto che portiamo assieme avanti, come ha giustamente detto lei. Io ritengo che il suo successo sia dettato, essenzialmente, dall'utilizzo di una scrittura molto semplice, rivolgendosi ad un pubblico estremamente giovane: si crea una sorta di “effetto immedesimazione” in quello che si vede, arrivando dritti al segno. La qualità popolare della sua cifra rende realistico tutto quello che lo circonda, con conseguente credibilità e autenticità. D . – I suoi compagni di viaggio sul palco come li definirebbe? R . – Trovo, onestamente, molto carini sia Gabriele che Federica: siamo in sintonia. È bello lavorare con loro e di questo spettacolo avrò sempre un ottimo ricordo. D . – Cambiamo argomento: qual è il suo punto di vista sulla candidatura all'Oscar del film “La grande bellezza” di Paolo Sorrentino? R . – Sono felicissima: trovo sia meritatissima. Sorrentino è strepitoso: nella sua pellicola ritrae uno spaccato della nostra

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società, non solo in relazione alla vita mondana romana, ma proprio in merito all'Italia. Riesce a mettere a fuoco i nostri giorni con schiettezza e credibilità. Tra l'altro, da sempre sono una grande fan di Toni Servillo e adoro la regia di Sorrentino. È dai tempi di “Nuovo Cinema Paradiso” di Tornatore, al di là di Benigni, che l'Italia non concorreva con un film così bello. Spero che vinca. Poi, sinceramente, non capisco tutte le critiche che si stanno muovendo attorno al film. D . – Come si suol dire: “Nemo propheta in patria”. R . – D'accordo, ma trovo assurdo respirare una ventata contraria, proprio in un momento in cui si dovrebbe esultare per quello che sta accadendo. E che, sa cos'è? L'invidia è una brutta bestia. Viva “La grande bellezza”! D . – In “Lui e Lei” affrontate le dinamiche relative alla vita di coppia: quali quelle attuali? R . – Se sapessi il segreto per mantenere viva una coppia, glielo direi seduta stante (e ride al telefono, ndr). Di sicuro siamo in un momento difficile della nostra società: è tutto molto veloce. Abbiamo ansia, stress, individualismo, frustrazioni e spesso può subentrare la routine in un rapporto. Oggi sa, forse, cosa manca? Lo spirito di sacrificio, il saper andare oltre certe piccolezze: c'è quasi una sorta di incapacità a superare i momenti difficili. È più semplice e immediato rinunciare, cambiare partner e allontanarsi da chi si ama, se non si va più d'accordo. Tutti questi aspetti, in fondo, sono quelli che raccontiamo nel nostro spettacolo. Ragazzi, i momenti di crisi esistono in tutte le coppie, ma si può andare al di là, senza fasciarsi troppo la testa. Se si ama, ci si può accontentare anche di poco. D . – Dai suoi esordi a “Miss Italia” nel 2001 davvero ha fatto tanta gavetta e strada, maturando diverse esperienze nel mondo dello spettacolo, anche molto trasversali: a che punto sente di essere del suo percorso professionale? R . – Devo dire che mi sono sempre divertita finora in tutto quello che ho fatto: ho vissuto ogni esperienza in maniera dinamica e costruttiva, senza remore. Credo, onestamente, di essere ad un buon punto: mi ritengo più sicura. Non mi sono mai sentita arrivata e voglio smodatamente crescere ancora, sempre di più. D . – Al suo attivo anche la conduzione televisiva (“I migliori anni” nel 2008 con Carlo Conti su Raiuno): ripeterebbe un'esperienza del genere? R . – Non disdegnerei assolutamente, se mi si presentasse l'occasione. Mi sono divertita tantissimo nel varietà “I migliori anni”: è stato un arricchimento sia umano che professionale. Avevamo un insegnante di ballo e canto: ci preparavamo ogni settimana. Mica una passeggiata (e ride, ndr)! Carlo Conti ci tranquillizzava e ci sentivamo tutti più sicuri. Mi piacerebbe tornare a lavorare con lui. Se ci fosse un nuovo progetto televisivo interessante, perché no? D . – Ci sono nuovi orizzonti per la fiction? R . – In questo preciso periodo non c'è nulla di certo nella fiction: solo progetti campati in aria. Quando avrò qualcosa di più sicuro, glielo farò sapere. Continuo col teatro e mi ci dedico

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anima e corpo. D . – Cosa vorrebbe potesse emergere rispetto alla sua performance, a tournée conclusa? R . – Non saprei, onestamente. Penso che per un attore la credibilità sia uno dei motivi conduttori: se ne avessi a livello teatrale, ne sarei davvero entusiasta. Molte persone che mi hanno vista sul palco sono rimaste sorprese: non so, sinceramente, se questo sia un bene o un male, perché forse erano prevenute nei miei confronti. Ma, allo stesso tempo, ne sono lusingata. Spero, di cuore, di acquisire maggiore credibilità: mi farebbe davvero piacere. Gianluca Doronzo


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Federica Nargi


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La giovane conduttrice, scoperta da Antonio Ricci («un secondo papà»), sta affrontando la sua prima tournée teatrale nella commedia «Lui e Lei - Istruzioni per la coppia», accanto a Gabriele Cirilli e Roberta Giarrusso, il 3 - 8 e 9 aprile, rispettivamente al «Creberg» di Bergamo, all' «Alfieri» di Torino e all'«Odeon» di Biella

Dalla tv al palco l'ex «Velina» è cresciuta: Federica Nargi, la «rivelazione» che non t'aspetti

Dalla tv al palco: l'ex “Velina” è cresciuta. Federica Nargi, la “rivelazione” che non t'aspetti. Dopo quattro stagioni di fila a “Striscia la notizia” (con un Antonio Ricci ritenuto “un secondo papà”) su Canale 5, qualche esperienza nell'ambito della conduzione e un'avventura “estrema” come “Pechino Express” nel 2012 (accanto a Costanza Caracciolo), eccola alle prese col suo debutto teatrale nella commedia “Lui e Lei – Istruzioni per la coppia”, per la regia di Moccia, accanto a Gabriele Cirilli e Roberta Giarrusso (“due grandissimi professionisti”), in tournée il 3, 8 e 9 aprile, rispettivamente al “Creberg” di Bergamo, all' “Alfieri” di Torino e all' “Odeon” di Biella, fra l'altro. Proiettata sia a lavorare “sul piccolo che sul grande schermo”, sta vivendo la sua “stagione d'oro”, ottenendo un buon riscontro di pubblico e critica in una performance “scritta su misura”. Domanda – Federica, “Lui e Lei – Istruzioni per la coppia” ha costituito il suo debutto teatrale: che bilancio si sentirebbe di fare finora? Risposta – Esatto: questa esperienza rappresenta il mio debutto assoluto in teatro. Inizialmente, quando ho accettato, ero molto impaurita. Come dirle: non avendo mai affrontato qualcosa del genere prima, ero un po' terrorizzata dall'idea. Ma devo ammettere che Gabriele Cirilli e Federico Moccia mi hanno dato tanta fiducia: ciò mi ha permesso di affrontare la tournée con molta serenità, voglia di imparare e crescere. Il teatro ti dà delle emozioni uniche, che non si possono descrivere. D . – Lavorare con Gabriele Cirilli e Roberta Giarrusso cosa significa? R . – Essere accanto a Gabriele e Roberta per me è un onore, in quanto sono due grandissimi professionisti. Vederli recitare è un'enorme scuola: cerco di imparare e prendere qualsiasi cosa da loro. Mi hanno aiutata tantissimo per questo spettacolo. E gliene sarò per sempre grata. D . – Recitazione o conduzione televisiva: cosa preferirebbe? R . – Vorrei prendere in considerazione entrambe le cose. Nasco dalla tv come “Velina”, ho fatto un po' di conduzione e ora mi sono cimentata nella recitazione. Se dovesse capitare un bel programma sul piccolo schermo, perché no? L'importante è lavorare molto su se stessi, studiando per essere sempre pronti. Sono una pignola e precisa in tutto quello che faccio: cerco di dare puntualmente il massimo. D . – Ha riscontrato pregiudizi, avendo esordito come “Velina”, in ambito teatrale? R . – Strano, ma vero: finora non ho recepito pregiudizi. Ma è pur reale che la gente è curiosa di vedere cosa sa (e può fare) un'ex “Velina” a teatro. D . – La vostra commedia tratta il tema delle difficoltà del rapporto di coppia: quali, a suo parere, le maggiori oggi? R . – All'inizio una storia d'amore è tutta rose e fiori, ma anche le piante più resistenti, se non si nutrono di giusta cura e attenzione, tendono ad appassire. Secondo me, una relazione viene rovinata dalla pigrizia, ovvero dalla solita routine, dalla gelosia, dalla mancanza di fiducia. E, non ultimo, dal non

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ascoltare, dal voler avere sempre ragione e tante altre cose…. D . – Lei e Roberta Giarrusso avete in comune gli esordi a “Miss Italia”, in due anni differenti: che dire del fatto che non sia più una manifestazione Rai, relegata ai pochi ascoltatori di La7? R . – Di certo non so quello che sia successo tra “Miss Italia” e la Rai: sta di fatto che la storica kermesse di bellezza di Mirigliani è stata ed è ancora un'istituzione per la nostra nazione. D . – Lei e Costanza Caracciolo siete state le “Veline” più “longeve” della storia di “Striscia la notizia”: un insegnamento di Antonio Ricci? R . – Devo tanto ad Antonio Ricci: è stato per noi come un secondo papà. Siamo arrivate che eravamo due bambine: mi ha permesso di crescere e responsabilizzarmi. Nell'arco di quattro anni a “Striscia” ha preteso da noi sempre il massimo. Magari non tutti lo sanno: fare la “Velina” a “Striscia” è come tornare a scuola. Tutte le giornate impegnate dalla mattina alla sera, tra corsi di danza, telepromozioni, “intensivi” di recitazione, dizione e lezioni di cultura generale. D . – L'esperienza di “Pechino Express”, maturata nel 2012,

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cosa le ha dato? La ripeterebbe? R . – Rifarei “Pechino Express” altre mille volte. Un'avventura pazzesca, a contatto con la popolazione e le culture del posto. Ti accorgi di come si può essere felici con niente. E, invece, purtroppo siamo un popolo che non si accontenta mai. D . – Le piacerebbe fare cinema o vorrebbe continuare col teatro? R . – Anche il cinema non mi dispiace: sto studiando. Sto facendo diversi provini: ci tento. Nella vita bisogna avere il coraggio di proiettarsi verso nuove esperienze. I “no” non mi buttano giù. D . – A settembre è andata in onda su Raidue la puntata zero di “Facciamo pace” con Niccolò Torielli: è prevista una ripresa del programma? R . – “Facciamo pace” è stata solo una puntata zero. Per il momento non ci sarà nessuna ripresa della trasmissione. D . – Un sogno nel cassetto, infine, che vorrebbe si realizzasse? R . – Un sogno lo avrei, ma ve lo svelerò solo se un giorno si dovesse realizzare… Gianluca Doronzo


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Pino Quartullo


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Pino Quartullo, candidato al «Premio Oscar» nel 1987 per il cortometraggio «Exit», è in tournée (al «Sala Umberto» di Roma dal 18 marzo al 6 aprile) con la commedia «Signori...le paté de la maison!» con Sabrina Ferilli, per la regia di Maurizio Micheli

«Il teatro non morirà mai: sto portando avanti il mio viaggio nella drammaturgia francese, rendendola sempre più contemporanea»

Nel lontano 1987 ha “rischiato” di vincere l'Oscar per il cortometraggio “Exit” con Stefano Reali. Di conseguenza, sa benissimo cosa stiano provando in questo periodo Paolo Sorrentino, Sabrina Ferilli e Toni Servillo, per la candidatura alla “fatidica statuetta” del film “La grande bellezza”. Pino Quartullo è un fiume in piena di idee e creatività, dalla sfera più attoriale a quella registica (non è un caso che il suo maestro sia stato Gigi Proietti). Deus ex machina di “Io…donna” con Margherita Buy, è in queste settimane in tournée (al “Sala Umberto” di Roma dal 18 marzo al 6 aprile, fra l'altro) con la pièce “Signori…le paté de la maison!”, versione italiana della commedia francese “Le prenom” di Matthieu Delaporte e Alexandre de la Patellière, con adattamento di Carlo Buccirosso e direzione di Maurizio Micheli (produzione “Camelia srl”). Divertimento, sketch con riferimenti alla politica (“fra dicotomia di destra e sinistra”), coralità interpretativa e un profondo desiderio: “Tornare dietro la macchina da presa cinematografica”. Magari sperando di calcare nuovamente a Los Angeles il “red carpet”. Domanda – Signor Quartullo, attualmente è in tournée con la pièce “Signori…le paté de la maison!”, tratta dalla commedia francese “Le prenom” di Matthieu Delaporte e Alexandre de la Patellière, per la regia di Maurizio Micheli, accanto a Sabrina

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Ferilli. Quali le intuizioni e le tematiche testuali? Risposta – Diciamo che la commedia arriva nel segno della continuità rispetto al lavoro che sto facendo in merito alla drammaturgia francese, a tre anni di distanza dalla mia regia di “Ultima chiamata”, un successo andato in tournée con Paola Tiziana Cruciani. Ho trovato, nello specifico, interessante l'adattamento che Carlo Buccirosso ha fatto in questa pièce con riferimenti che, seppur nel canovaccio molto legati alla Francia e Parigi, sono stati resi più contemporanei. Trovo sia molto divertente, con l'introduzione di nuovi personaggi. Io interpreto un uomo impegnato politicamente a destra, pronto a punzecchiare la sorella (Sabrina Ferilli) e il cognato (Maurizio Micheli), esponenti di sinistra. Da queste divergenze nascono una serie di situazioni, decisamente esilaranti, con un ritmo continuo. Premetto: io sono di sinistra, però non posso dare torto a quello che si dice nello spettacolo, criticando una maniera un po' snob di certi esponenti del partito, che si prendono troppo sul serio. Fra gag, battute e tante risate, il lavoro ha un'escalation di situazioni comiche, che funzionano alla perfezione, secondo il mio punto di vista. D . – Ha citato i suoi due principali compagni di viaggio in scena: Maurizio Micheli e Sabrina Ferilli. Che dire di loro? R . – Con Maurizio ho già fatto la regia di un altro spettacolo, a cui ho preso parte tempo fa: lo apprezzo, stimo e trovo molto professionale, nonché ricco umanamente. Con Sabrina era da tanto che si diceva di voler fare qualcosa assieme a teatro: ecco che è arrivata l'occasione giusta. Lei, tra l'altro, è produttrice e lui il nostro deus ex machina. Siamo una compagnia corale, con tutti gli interpreti principali praticamente sempre in scena. Questo, a mio avviso, è un gran punto di forza dello spettacolo. D . – Quali i criteri da lei perseguiti nella scelta di un testo teatrale oggi? R . – Intanto scelgo un testo perché, dal mio punto di vista, racconta qualcosa di nuovo. I classici spesso possono essere più contemporanei di chi scrive nel 2014, ben inteso. La drammaturgia francese, ad esempio, la trovo molto attuale e vivace. Poi, in un secondo momento, si pensa alla scelta delle musiche e a tutti i dettagli conseguenti. D . – Alla luce della sua poliedrica esperienza nel teatro in questi anni, quale fase sta attraversando oggi? R . – Il teatro, a mio avviso, è un po' come l'Araba Fenice: risorge sempre dalle sue ceneri. Pur rimanendo lo stesso, è puntualmente avanti, proiettato al futuro. Magari un domani non ci sarà più la tv, modificata in altre forme di comunicazione. Ma credo che tutti gli esseri umani abbiano bisogno di ritrovarsi assieme, vivendo quello che la scena può offrire. C'è una nuova ventata, una sorta di rinnovamento. Ad esempio, io che sono direttore artistico di un politeama a Civitavecchia, posso dire di avere in cartellone Filippo Timi, Pierfrancesco Favino e Valerio Mastrandrea, volti cinematografici che hanno capito

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l'importanza del teatro e non ne possono fare a meno. Non possono esimersi dal rapporto col pubblico, misurandosi professionalmente in imprese dal vivo. Hanno capito che è una forma espressiva fisiologica, fondamentale. È bello vedere un attore sulla scena: dà un'emozione unica ed è, secondo me, una sensazione unica anche per lui. D . – Il teatro è senza filtri. R . – Esatto. E poi le storie diventano sempre più importanti, interpretandole dal vivo. A seguire vengono gli altri elementi: la scenografia, in primis, è un vero e proprio strumento di arte figurativa, raccontando per immagini quello che si vuole trasmettere come messaggio autoriale. Ogni apertura di sipario è una cornice di opera d'arte. Da non dimenticare la musica, fondamentale nel mettere in evidenza la parola, centrale in un'opera teatrale. D . – Ad affiancarla sul palco, come già abbiamo ribadito, Sabrina Ferilli: impossibile non chiederle cosa pensi di quello che l'attrice sta vivendo, con la candidatura all'Oscar del film “La grande bellezza” di Paolo Sorrentino, con Toni Servillo. R . – So benissimo cosa si prova: si tratta come di vivere dei momenti di apparizioni divine. Lo so perché l'ho vissuto io a 29 anni, quando ho sentito il mio nome essere pronunciato da Michael Douglas, fra gli altri. Capisco quello che sta provando Sabrina. Succede che la vita, ad un certo punto, per una magica combinazione di pianeti, ti sorrida e faccia sì che il tuo film piaccia, tanto da arrivare alla candidatura all'Oscar. A me quello che sta accadendo a Sorrentino non fa altro che consentirmi di riportare alla mente i miei momenti di vita vissuta. D . – Dal suo punto di vista, un film come “La grande bellezza” è paradigmatico del grande schermo italiano in questo momento? R . – Secondo me quello è un film molto particolare, che non assomiglia ad alcun genere esistente. È distante dai soliti italiani e non è un richiamo neanche a Fellini. Racconta, a mio avviso, il nostro momento, la nostra Italia e, molto probabilmente, nel resto del mondo hanno capito che siamo fotografati in questa maniera, tanto da rendere grande e originale la pellicola. Niente di più. D . – A livello televisivo ci sono nuovi impegni, dopo la sua ultima apparizione nella fiction “Il bambino cattivo” nel 2013 su Raiuno? R . – A dire la verità sono alle prese con una serie di progetti cinematografici: mi piacerebbe molto tornare a fare film e, soprattutto, regia. Stiamo parlando di progetti “in cantiere”. Poi si vedrà. D . – Dulcis in fundo: come vorrebbe potesse proseguire il suo percorso? R . – Sul binario nel quale sto procedendo: le ripeto, mi piacerebbe tornare a fare cinema e, se poi capita qualche bel progetto televisivo di qualità, perché no? Gianluca Doronzo


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Lucrezia Lante della Rovere


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L'eleganza e la classe di Lucrezia Lante della Rovere, in scena il 20 febbraio a «La Nuova Fenice» di Osimo con la pièce «Come tu mi vuoi» di Pirandello, per la regia di Francesco Zecca, nel libero adattamento di Masolino D'Amico

«Amo le sfide, spaziando dal teatro al cinema, non dimenticando la tv. E vorrei in Italia ci fosse più attenzione per la cultura»

Classe, eleganza e temperamento. Lucrezia Lante della Rovere è fra le attrici più versatili e incisive nel panorama contemporaneo, puntualmente pronta a “mettersi in discussione, amando le sfide”. Dal cinema d'autore (felicissima per la candidatura all'Oscar del film “La grande bellezza” di Paolo Sorrentino) alla fiction (un titolo su tutti: “Donna detective”), spazia nei registri e nei personaggi, ottenendo credibilità e ottime attestazioni di critica anche a teatro (nel 2012 ha vinto il “Premio Flaiano” come miglior interprete femminile per “Malamore”). In queste settimane è in tournée con la pièce “Come tu mi vuoi” di Pirandello, per la regia di Francesco Zecca (il 20 febbraio a “La Nuova Fenice” di Osimo, fra l'altro), nel libero adattamento di Masolino D'Amico, accanto a Crescenza Guarnieri, Simone Colombari e Raffaello Lombardi, per citarne alcuni (musiche di Paolo Daniele). Con empatia e attenzione ai nuovi autori (“dobbiamo aiutarli ad emergere: vorrei che in Italia ci fosse più sostegno nei confronti della cultura”), al telefono rivela un'estrema disponibilità, vera prerogativa dei grandi. Domanda – Lucrezia, a che punto del suo percorso arriva la pièce “Come tu mi vuoi” di Pirandello, per la regia di Francesco Zecca, con cui è attualmente in tournée? Risposta – Partiamo dal presupposto che è, nel mio bagaglio di esperienze, l'ultimo lavoro che sto facendo, quello più recente: di conseguenza, per forza di cose e affettività, si è sempre legati alla “creatura” più fresca. Col regista Francesco Zecca stiamo facendo un percorso teatrale che dura già da un po': nel 2012 abbiamo portato in tournée “Malamore”, con un ottimo successo di pubblico e critica, per cui stiamo lavorando nel segno della continuità. Quando si forma un bel gruppo, come nel caso della pièce di Pirandello, per l'adattamento di Masolino D'Amico, non si può essere che entusiasti, con lo spirito e la carica giusti. D . – Tra l'altro, proprio nel 2012 per “Malamore” ha ricevuto il “Premio Flaiano” come miglior interprete femminile. R . – Esatto. È molto carino a ricordarlo. D . – Si figuri: è il minimo. Quale, dal suo punto di vista, l'estrema modernità del messaggio contenuto nello spettacolo? R . – Da un punto di vista di scrittura è un grande classico: certo vanno un po' svecchiati, ma non è un caso che noi abbiamo fatto un enorme lavoro di “asciugatura”, rendendo contemporanei tutti i temi eterni di Pirandello, rispettandone l'autorialità e la partitura drammaturgica. Abbiamo snellito, velocizzato e fatto diventare tutto più eterogeneo, con un piano di lettura immediato, una regia fresca e una recitazione, a mio avviso, all'altezza delle aspettative. D . – Fra i numerosi temi che vengono fuori dal testo, c'è quello dell'identità, quanto mai attuale. R . – Esatto: il tema è attuale, forte e molto sentito. Ma credo che, in generale, tutti i grandi temi siano portati all'universalità della nostra attenzione: amore, morte, dolore, passione, identità, famiglia e vita. D . – È l'universalità del teatro a trattare la vita.

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R . – Il teatro è vita e non può fare a meno di raccontare tutto quello che ci riguarda. Altrimenti sarebbe la fine e morirebbe. Il fatto che noi portiamo nel 2014 un testo scritto molti anni fa, in un periodo storico decisamente diverso, dimostra quanto la scena sia vivace nei suoi contenuti di fondo. D . – Grandi attrici teatrali e cinematografiche hanno interpretato “Come tu mi vuoi” negli anni: per lei una bella responsabilità, vero? R . – E che devo fare? Io sono fatta così: più vado avanti, più mi piace alzare l'asticella delle difficoltà nel mio percorso, rincarando il peso delle responsabilità. Per crescere, migliorare e fare un bel salto di qualità, bisogna porsi sempre nuove sfide, lasciandosi alle spalle le cattive esperienze e i brutti ricordi. Io sono propositiva e positiva nei confronti del futuro: non mi spaventano i paragoni. Ho solo tanta voglia di fare. D . – A curare le musiche di “Come tu mi vuoi” è il maestro Paolo Daniele, non nuovo ad esperienze di “composizione sonora teatrale”: come è avvenuto il vostro incontro? R . – L'incontro è avvenuto in questi termini: Paolo è amico del regista, Francesco Zecca, che gli ha proposto di lavorare per “Come tu mi vuoi”. A mio avviso, è un musicista straordinario e

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ha composto musiche bellissime. Tra l'altro, io ho anche un brano iniziale e, non sapendo cantare, ho avuto come “coach” Lisa Angelillo, che è una straordinaria cantante e attrice di musical italiano, compagna di vita di Paolo. Sono stata aiutata e seguita in questo percorso e così è stato messo a punto il tutto. Ogni tanto facciamo degli scherzi telefonici al maestro Daniele: lo chiamiamo, dicendo che lo spettacolo funziona bene anche senza le sue musiche. Lo teniamo un po' sulle spine, prendendolo in giro. Lui si preoccupa e noi ci divertiamo. D . – Alla luce delle sue esperienze cinematografiche con i più illustri registi del panorama nazionale, non posso esimermi dal farle una domanda: che pensa della candidatura all'Oscar del film “La grande bellezza” di Paolo Sorrentino, con Toni Servillo e Sabrina Ferilli? R . – Devo dire di aver visto il film più volte e l'ho amato tantissimo: sono felice per la candidatura all'Oscar e, soprattutto, per Paolo Sorrentino. Ne sono stata enormemente impressionata: in un momento così difficile, come quello che stiamo attraversando, penso che il nostro debba essere un motivo d'orgoglio. Poi, per carità, tutto è soggettivo e ogni gusto è diverso dall'altro. Ma, onestamente, non capisco le numerose polemiche che si stanno alimentando, anche in


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Internet, sulla pellicola. L'invidia è davvero una brutta bestia, mannaggia (e ride al telefono, ndr)! D . – Proprio vero che l'invidia è davvero una brutta bestia. Cambiamo argomento: rifarebbe un'esperienza come quella di “Ballando con le stelle” (nel 2012)? R . – Assolutamente sì. Mi sono divertita tantissimo. È stato molto, molto faticoso, ma entusiasmante oltremodo. Davvero ne ho un bellissimo ricordo. D . – Ha guardato l'edizione 2013? R . – Sì, certo: rimane un programma sempre fresco e divertente. Ma vuole mettere? Quando capita nella vita di essere per dieci settimane consecutive il sabato sera in diretta su Raiuno? A me è piaciuto tantissimo e la mia partecipazione ha fatto parte del discorso che le facevo prima, in merito alle sfide, che amo e porto avanti in ogni momento. D . – A livello seriale c'è qualche progetto che la riguarda, dopo il successo di “Donna detective”? R . – Non lo so, spero ci siano nuovi lavori per me. Per il prossimo autunno per la Lux Vide sarò nella serie “La dama velata”. Del resto non so cosa accadrà nello specifico. Noto, però, che i cast si stanno facendo negli ultimi tempi un po' con

lo stampino: lavorano puntualmente le stesse persone e non ne capisco la ragione. D . – È vero: potremmo fare nomi di attori e, soprattutto, di attrici sempre presenti nelle fiction, in particolar modo in quelle di Raiuno. R . – Non faccio nomi, per carità, ma non so cosa stia succedendo: bisogna un po' variare i cast, altrimenti il pubblico si stanca a vedere sempre le stesse facce. D . – Quale vorrebbe fosse la sua prossima sfida teatrale? R . – Onestamente non lo so ancora: datemi un po' di tempo (e ride al telefono, ndr). Vorrei, però, ci fosse una politica diversa nella gestione della cultura in Italia: più attenzione per letteratura, pittura, teatro, ballo e musica, ad esempio. Per noi attori poi è faticoso essere riconosciuti come tali, quasi la nostra non fosse una professione. Mi piacerebbe ci prendessero più sul serio. Più spazio alla drammaturgia contemporanea, ai nuovi autori che hanno bisogno di emergere: nessuno sembra voler scommettere su di loro. Io vorrei ci fosse un pensiero dietro le cose, con più artisti dei quali occuparsi e meno fattori inutili e sterili. Gianluca Doronzo

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Paolo Daniele


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Quasi un trentennio di carriera per l'uomo che firma le musiche della pièce «Come tu mi vuoi» di Pirandello, per la regia di Francesco Zecca, con interpretazione di Lucrezia Lante della Rovere (il 6 marzo all'«Odeon» di Biella)

Eclettico, creativo e generoso verso gli artisti: il Maestro Paolo Daniele, esponente compositivo dell'eccellenza «made in Puglia»

Si parla tanto (e troppo spesso) di “eccellenza”. Un termine nella stragrande maggioranza dei casi “abusato e bistrattato”. Provate, però, a soffermarvi un attimo sulla chiacchierata fatta di recente col Maestro (volutamente con la maiuscola) Paolo Daniele: non potreste, ad onor del vero, fare a meno di ritenerlo un esponente ad hoc della categoria artistica “made in Puglia”. Da 27 anni leader dei “Sense of life” (con la compagna di vita, Lisa Angelillo, assieme a Russell Russell e Randy Roberts), compositore di musiche per film e per il teatro, collaboratore di Caparezza (sia per l'album “Il sogno eretico” che per quello in uscita, nel quale ha suonato “l'armonica diatonica”), esperto informatico del suono, richiesto in tantissime produzioni spettacolari. E, soprattutto, uomo generoso, stando a quanto dimostrato nella firma sonora della pièce “Come tu mi vuoi” di Pirandello (il 6 marzo in tournée all' “Odeon” di Biella), per la regia di Francesco Zecca, interpretata da Lucrezia Lante della Rovere, Crescenza Guarnieri e Simone Colombari, fra gli altri (libero adattamento di Masolino D'Amico). Domanda – Paolo, la composizione di musiche originali per il teatro è diventata una sua costante di estremo interesse negli ultimi tempi: in che modo è arrivata la proposta della pièce “Come tu mi vuoi” di Pirandello, per l'interpretazione di Lucrezia Lante della Rovere, attualmente in tournée in tutt'Italia? Risposta – Devo innanzitutto ringraziare il regista Francesco Zecca che, in occasione dello spettacolo “Malamore” (scritto da Concita De Gregorio e interpretato da Lucrezia Lante della Rovere), aveva voluto incontrarmi qualche anno fa a Milano per ascoltare alcune mie composizioni. Ne rimase subito entusiasta. Ci lasciammo col proposito di una eventuale collaborazione, senza darci una precisa scadenza. Tempo dopo mi telefonò, chiedendomi di proporgli un tema musicale per “Come tu mi vuoi”, anticipandomi che nella sua idea di regia ci fosse la possibilità di far cantare a Lucrezia una canzone nella prima scena. Una bella sfida sia per me, come compositore, sia per la protagonista, che non aveva mai cantato in pubblico prima di allora. Sfida accolta (da entrambi) e spero vinta, con un tema e un brano scritti su misura per le capacità interpretative di un'attrice pura e di qualità come la della Rovere. D . – Se dovesse definire, da un punto di vista attoriale e umano, la signora della Rovere, cosa risponderebbe? R . – Lucrezia è una professionista incredibilmente “performante”, sotto tutti i punti di vista. Recitativamente ti emoziona, anche durante le prove, perché non si risparmia mai, vivendo sin dal primo momento il personaggio. È davvero generosa nel lavoro quanto nella vita. Tende per sua natura a valorizzare i compagni con cui collabora e sa fare squadra. In breve: un'attrice eccezionale e una gran bella persona. Una combinazione che rappresenta merce rara, rapportata ai giorni nostri. D . – La pièce di Pirandello affronta un tema di scottante contingenza: l'identità. Che ne pensa? R . – “Essere è farsi!”: ecco il leitmotiv del testo pirandelliano. Un tema tragicamente attualissimo, come d'altronde tutte le

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tematiche proposte in genere da Pirandello. Sta a significare che, nei momenti di crisi d'identità quotidiana, siamo obbligati a dover scegliere se fare appello a quello che vogliamo essere o a quello che dobbiamo essere, per raggiungere un'identità che abbia un senso compiuto nella società odierna. Le confesso che mi trovo spesso a vivere crisi d'identità, musicalmente parlando, in un eterno combattimento tra l'esecutore e il compositore, che convivono in me e nel mio lavoro. Non sempre vanno d'accordo e mi ritrovo spesso a dover far vincere uno o l'altro, a seconda del contesto. In sostanza, ad un musicista può capitare di dover eseguire cose per le quali non si prova grande trasporto emotivo: ciò porta in sé una certa, seppur minima, violenza e sofferenza. Ma questo credo sia il segno dei tempi: una non scritta legge di sopravvivenza. Sono ben pochi i compositori che possono permettersi di restare puri e, soprattutto, al di sopra dei compromessi. D . – Comporre musiche per la sfera teatrale quali differenze (e difficoltà) comporta rispetto al resto delle sue attività e competenze? R . – Comporre musiche per il teatro è tra le mie attività musicali quella che amo di più. Ha una difficoltà intrinseca nell'obbligo artistico di doversi “sintonizzare” sulle frequenze della poetica del regista, oltre che su quelle del testo teatrale. La regia deve essere sempre il riferimento attraverso il quale filtrare le scelte musicali. Questo è importante da tenere sempre presente, perché si possa creare una realizzazione coerente e che abbia una precisa direzione. Devo dire che mi ritengo molto fortunato ad aver lavorato con Francesco Zecca, con il quale c'è stata un'intesa, che potrei definire immediata.

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Abbiamo avuto una serie di incontri preliminari, durante i quali lui mi raccontava lo spettacolo così come lo immaginava ed io, prendendo appunti, registravo le nostre lunghissime conversazioni. Dopo un periodo di riascolto dei dialoghi, fra studio e metabolizzazione del testo teatrale, ho “partorito” il giusto tema, che interpretasse al meglio quanto mi era stato trasmesso dal regista. Amo molto il termine “partorire”, perché credo che riassuma davvero il travaglio e la nascita dell'idea musicale. La cosa più bella che Francesco ha potuto dirmi, ascoltando il mio lavoro, è che ero “riuscito a rendere in musica i suoi pensieri”. Certamente il massimo per un compositore. D . – Non dimentichiamo che, al suo attivo, figura anche la specializzazione in “Composizione di musiche per film”, conseguita col Maestro Ennio Morricone. R . – Sono molto orgoglioso di quei giorni passati nel 1992 col Maestro dell'Accademia Chigiana di Siena (la più prestigiosa ed antica, nell'ambito musicale italiano). Le racconto un aneddoto, che ha segnato la mia maniera di scrivere: come “allievi effettivi” (e selezionati) del corso eravamo in 10, a fronte di centinaia di “uditori”. Il primo giorno ci fu affidato un filmato di 7 minuti da musicare per studio. Il giorno dopo la consegna del lavoro, il Maestro Morricone mi chiamò per valutazioni sulla mia partitura e mi chiese di suonare il tema che avevo composto per questi 7 minuti. Divenni subito consapevole che, in realtà, avevo composto ben più di un tema. Mi disse che erano tutti bellissimi, ma che lui ci avrebbe fatto 14 film completi con quella partitura (e ride, ndr). Quanto aveva ragione! L'entusiasmo e la voglia di far sentire a Morricone subito quel che sapevo fare aveva preso il sopravvento sull'efficacia del lavoro da consegnare. Dopo quel giorno ho


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iniziato a concentrarmi sulla variazione del tema, studiandola in maniera approfondita e facendola diventare una prerogativa importante del mio comporre: tema e variazione. Il tema come sovrano incontrastato della mia musica per immagini. Un unico tema dal quale derivare lo sviluppo di tutte le altre composizioni dello spettacolo. D . – Ho letto il suo nome nei credits del cd “Il sogno eretico” di Caparezza… R . – Il grande Caparezza mi ha cercato: non per motivi strettamente musicali, bensì informatico-musicali. Io sono da sempre un grande appassionato di tecnologia e informatica, applicata alla registrazione audio. Questa passione mi ha portato negli anni ad essere insignito del prestigioso titolo di ADP (Apple Distinguished Professional) e a scrivere articoli tecnici sulla rivista “Computer Music Studio”. Michele (vero nome di Caparezza, ndr) aveva bisogno di qualcuno che potesse aiutarlo a realizzare i suoi “deliri musicali” (cito testualmente le sue parole al telefono): mi ha contattato e ne è nata una grande collaborazione. Ma, soprattutto, una grandissima amicizia. Nel disco di prossima uscita ho anche suonato per lui l'armonica diatonica: un'altra grande mia passione. D . – Da ben 27 anni è il leader dei “Sense of life”: cosa si auspica per il proseguimento delle attività del gruppo? R . – Portare avanti un progetto come quello dei “Sense of life” da tanti anni è, sinceramente, sempre più faticoso. Come ben sa, la nostra è una band fondamentalmente di musica live e suonare dal vivo oggi non è come qualche anno fa. Le opportunità sono sempre meno, perché gli organizzatori di concerti e spettacoli devono fare i conti con il fatto che sembra la musica in Italia debba essere gratis. Si fa fatica a far pagare il biglietto di un concerto, ma sono sempre tutti disponibili a saldare la parcella di un medico o di un avvocato, senza batter ciglio. Quello che auspico è una presa di coscienza maggiore, da parte di tutti, in merito alla professionalità che questo lavoro necessita, degli anni di studio interminabili e dei sacrifici. Auspico che sia valutato con la giusta considerazione che merita. Ad onor del vero, noi “Sense of life” siamo comunque “fortunati”, perché la nostra scelta di qualità viene spesso premiata. Ora, nella band, oltre ad avere come cantanti gli ormai storici Lisa Angelillo e Russell Russell (che ha appena terminato la tournée dello spettacolo “Il vizietto” con Enzo Iacchetti), si è anche inserito Randy Roberts, figlio del ben noto Rocky. D . – A proposito di Lisa Angelillo, straordinaria attrice e cantante (nonché sua compagna di vita): di recente ha condiviso l'esperienza del pop musical “SOLO TU!”, da supervisore musicale. Per la prima volta in Italia si è visto uno spettacolo del genere, vero? R . – Una scommessa vinta: ecco cosa rappresenta questo musical. Lisa è stata oculatamente scelta, perché davvero perfetta nel ruolo della protagonista, Cinzia, che sembrava ad hoc per lei. Io invece sono arrivato in corsa, dopo due

settimane di prove, scelto dall'incredibile Carlo Marrale, con cui sono entrato immediatamente in simbiosi. Mi sono occupato, in particolare, di far cantare i performer in maniera più moderna, più pop, più in stile con l'interpretazione dei “Matia Bazar”. Spesso i performer del musical italiano, anche i più bravi, tendono a rendere tutto lirico e, in questo caso, risultava assolutamente fuori stile (e bisognava cambiare direzione). L'idea di Marco Marini (autore e produttore) di scrivere una storia che avesse come filo conduttore le musiche storiche dei “Matia Bazar” è stata geniale, soprattutto alla luce del fatto che non ha avuto bisogno di cambiare nemmeno una parola dei testi delle canzoni. Questa è una cosa straordinaria, perché di solito si necessita, comunque, di riadattare il testo. Lui, invece, scoperto il filo conduttore che legava in successione i pezzi, così come erano, ha reso il testo teatrale: incredibile, ma vero. E bisogna anche sottolineare che, finalmente, c'è un musical totalmente “made in Italy”. Siamo ormai soliti importare format dall'estero. Spero sia un'occasione per tornare ad esportare le nostre idee artistiche, come accadeva ai tempi degli immensi Garinei e Giovannini. D . – Paolo, cosa significa essere musicisti oggi? R . – Oggi viviamo in piena fantascienza, tecnologicamente parlando. A questo assioma non sfugge la produzione musicale e ciò rappresenta un'arma a doppio taglio, perché la tecnologia, se non dominata e studiata approfonditamente, rischia di renderci inconcludenti (e non musicali). Essere musicisti oggi è quindi, per certi versi, più facile perché strumenti di un certo livello sono ormai alla portata di tutti. Ogni ragazzo alle prime armi ha a disposizione uno studio di registrazione casalingo, con pochi euro: ciò porta spesso a far pensare di poter essere dei compositori, prescindendo dagli studi musicali. Niente di più falso. Di conseguenza la mia risposta alla sua domanda è: in fin dei conti non c'è alcuna differenza sostanziale rispetto al passato, a patto che si voglia non smettere mai di studiare musica, software, hardware, storia. C'è sempre stato per un musicista, e sempre ci sarà, tanto da studiare. D . – Cosa pensa del cast del “Festival di Sanremo” di quest'anno (Noemi, Arisa, Antonella Ruggiero e Giusy Ferreri, ad esempio)? R . – Una selezione di tutto rispetto. Davvero. Credo che possa essere un grande “Festival” quello di quest'anno. Devo confessarle una “passione” per la voce di Arisa: è, a mio parere, una delle più belle e versatili del panorama italiano del momento, spesso sottovalutata. D . – Paolo, come vorrebbe potesse proseguire il suo percorso? Un auspicio per il 2014? R . – Ho diversi progetti nel cassetto, che spero di portare a termine tra teatro e musica. Spesso non riesco ad ultimare idee che ho da anni in serbo, a causa di impegni in produzioni altrui. Ma, forse, quest'anno ce la facciamo. Che sia un impegnativo e proficuo 2014! Gianluca Doronzo

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Arianna


MUSICAL - IL TALENTO

Arianna Bergamaschi veste i panni di «Clementina» nella sesta edizione (a distanza di 40 anni dalla prima) di «Aggiungi un posto a tavola», per la regia e le coreografie di Fabrizio Angelini, il 28 febbraio e 1° marzo al «Comunale» di Lanciano

«Con la storica commedia di Garinei e Giovannini ho coronato finalmente il sogno di una vita: che magia il musical!»

La realizzazione di “un sogno, portato avanti fin da bambina”. Arianna Bergamaschi, da ben 14 anni protagonista dei musical di maggior successo in Italia (“La bella e la bestia”, “Il mago di Oz” e “Masaniello”, fra gli altri), non sta più nella pelle: in una sorta di “quadratura del cerchio”, è arrivata a vestire finalmente i panni di Clementina in “Aggiungi un posto a tavola” di Garinei e Giovannini (il 28 febbraio e 1° marzo al “Comunale” di Lanciano), con musiche di Armando Trovajoli, per la regia e coreografie di Fabrizio Angelini. A 40 anni dall'esordio della prima versione, “ha fatto di tutto” per essere nell'attuale, la sesta, arricchendo di un tassello di prestigio una carriera che l'ha resa anche internazionale (nel '90 è stata scelta come cantante testimonial Disney per l'Italia, ha partecipato al “Festival di Sanremo” nel '98-'99 e, lo scorso anno, ha addirittura affiancato il rapper Pitbull, con milioni di visualizzazioni in Internet). Un talento poliedrico ed estremamente espressivo. Per la serie: chapeau. Domanda – Arianna, attualmente è in tournée nei panni di Clementina nella sesta edizione del musical “Aggiungi un posto a tavola”: una storica produzione di Garinei e Giovannini, sogno di moltissimi artisti, nell'ambito della commedia musicale. Per lei cosa rappresenta? Risposta – “Aggiungi un posto a tavola” è per me un po' il sogno da quando ero ragazzina: è stato il primo spettacolo in assoluto che ho visto, allo “Smeraldo” di Milano. Mi ricordo che mi accompagnò mio padre ed io già ne conoscevo le musiche e tutte le atmosfere che si respiravano. Sono cresciuta inseguendo, in un certo senso, “il mito” di Clementina. Col tempo sono arrivata a formarmi con la scuola di Garinei e nel 2000 decisero di metterne su un'edizione, che posticiparono al 2001, fino ad arrivare al 2003. Ma, alla fine, lo fecero fare a Martina Stella e sembrava non dovesse mai arrivare il mio momento. Come dirle: mi era rimasto “sul groppone” per tutto il proseguimento del mio percorso. Lo scorso anno sono venuta a sapere che volevano farne una nuova edizione: con la faccia tosta che mi ritrovo (e ride al telefono, ndr) mi sono presentata al regista. Mi è stato subito chiesto: “Arianna, cosa fai in questa stagione?”. Io, ovviamente, mi ci sono catapultata e finalmente è arrivato il mio momento. D . – Ha, dunque, realizzato un sogno? R . – Il mio è stato un ruolo preso “in corner”, visto che Clementina è un personaggio da affrontare da giovanissima. Fortuna vuole che io dimostri meno anni di quelli che ho, in virtù del mio aspetto fisico: così sono entrata nel cast e sto vivendo davvero un momento d'oro della mia carriera. D . – Tra l'altro, il musical è diventato il suo leitmotiv da 14 anni a questa parte: no? R . – È stata l'unica vera forma espressiva di spettacolo, da me sognata fin da bambina: nel musical canti, reciti e balli. Sei completa come artista. Il sogno della vita. Il mio sogno della vita. Per dirle: quando ero io bambina, nessuno sapeva benissimo cosa fosse. Ho studiato tanto per interpretarlo e sono orgogliosa e soddisfatta dei risultati raggiunti finora. D . – A che punto del suo percorso sente di essere oggi?

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R . – Mi sento molto più serena. Penso, onestamente, di aver realizzato tanti sogni nel cassetto, con una consapevolezza: nella vita il lavoro non è tutto e non ci si deve dare incondizionatamente, omettendo il privato. Bisogna costruire un percorso di coppia, sentimentale, perché non si può rimanere da soli. La maggiore consapevolezza maturata oggi mi porta a vivere ogni impegno con più naturalezza, senza alcuna ansia. Come dirle: non devo dimostrare a nessuno di saper fare il musical, dopo ben 15 anni. Ho le mie conquiste e le porto avanti con fierezza. D . – E se le proponessero una conduzione televisiva? R . – Le confesso che io sono legata ai varietà d'una volta, quelli tipo “Fantastico” con Baudo, la Oxa e la Carrà. Gli show del sabato sera, fatti davvero con cura, attenzione al dettaglio e tanta passione. D . – Un po' come ha fatto Massimo Ranieri per tre serate su Raiuno in “Sogno e son desto”? R . – Esatto: questi sono i programmi che mi piace vedere in tv. Col balletto, i duetti, i monologhi e tanti ospiti illustri. Nello

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specifico, tra l'altro, nel 2012 ho condotto una trasmissione sugli animali su Italia Uno (“Bau Boys”, ndr) che mi ha divertito molto: se capitasse una proposta del genere, l'accetterei subito. Il top del top rimane, però, il varietà col cui mito io sono cresciuta, fino poi a fare il musical. D . – Manca da “Sanremo” dal '99: tornerebbe in gara? R . – Le dico la verità: dal '99 non c'abbiamo pensato più di tanto. Forse solo una volta si è riprovato a tornare, ma non è andata bene. Quel “Festival” del '99 era molto, ma molto diverso da quello di oggi, animato da ragazzi venuti fuori dai “talent”, col rischio del “mordi e fuggi”. Allora era davvero un'opportunità per farsi conoscere, un traguardo. Oggi sembra un momento di passaggio, come se fosse un palco qualsiasi. Tempi diversi. Eppure io sono una che all'estero ha avuto il suo seguito: lo scorso anno ho duettato col rapper internazionale Pitbull. D . – Ecco, appunto, Pitbull: com'è nata la vostra collaborazione? R . – È stata molto casuale. Io interpretavo un motivo per uno


MUSICAL - IL TALENTO

spot e si doveva inserire un rapper: Pitbull ha scelto una musica e ha chiesto di me, volendo che fossi io ad affiancarlo. Così è nato il nostro duetto, con milioni di visitatori in Internet, da tutto il mondo. Magari in Italia la cosa è passata inosservata. D . – A proposito di “italianità inosservata”: che pensa della candidatura all'Oscar del film “La grande bellezza”? R . – Ero proprio ai “Golden Globe” quando è arrivata la vittoria della statuetta. Non posso che esserne entusiasta. L'altro giorno ho letto in Internet un pezzo di un suo collega, nel quale si diceva in sostanza che il nostro è un paese veramente in crisi e bisognerebbe gioire dell'eccellenza dell'italianità, andandone orgogliosi. Sembra, invece, quasi che non interessi ad alcuno. È brutto questo modo di essere “ognuno per sé”: è necessario dare valori agli italiani, soprattutto quando esportano all'estero il nostro meglio, la nostra inventiva, la nostra creatività. D . – È un po' un “nostro limite” il provincialismo. R . – Pitbull ha fatto un pezzo con “Miss Universo”, che è dell'India: non le sto a dire quanti commenti hanno ricevuto in Internet, da tutte le parti del mondo. Una differenza sostanziale rispetto a noi, al nostro essere spesso vuoti e piccoli nel proprio metro quadro, dinanzi ad eventi dei quali bisognerebbe gioire a più non posso. D . – Cosa si auspica, infine, per il proseguimento del suo percorso? R . – Vorrei perseguire la qualità. Non mi interessa che gli altri mi dicano: “Brava, brava, brava”. Oggi vorrei dimostrare a me stessa di sapermi cimentare sempre in maggiori impegni, sfidandomi in imprese puntualmente nuove ed emozionanti, evitando di incorrere nella solita routine, avversa e deleteria per ogni artista che si rispetti. Gianluca Doronzo

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Simona Carofiglio


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Ha solo 23 anni, origini pugliesi e un curriculum di tutto rispetto: Simona Carofiglio e il recente successo nel corpo di ballo del varietà «Sogno e son desto», in onda su Raiuno il sabato con 4milioni609mila spettatori in media

«Lavorare con Massimo Ranieri è stato incredibile: ancora me ne devo pienamente rendere conto»

Ha solo 23 anni, ma da ben 18 “la danza è la sua vita”. La versatile Simona Carofiglio (originaria di Bari) vanta un curriculum di tutto rispetto: insegnanti del calibro di Cheryl Gill, Diane Durant e Margaret Fenn (“Academy of dance” del capoluogo pugliese); perfezionamento coreutico a “Rotterdam” nel 2006; spettacoli di teatro-danza con la “BBC” di Ernesto Valenzano; una “smodata voglia di insegnare la sua arte ai piccoli allievi” e, dulcis in fundo, un'esperienza televisiva da “quadratura del cerchio”. Ha, infatti, appena concluso la sua partecipazione nel corpo di ballo del varietà “Sogno e son desto” (su Raiuno, in quel di gennaio, il sabato in prima serata, 4milioni609mila spettatori in media ed uno share del 19,59%), accanto a Massimo Ranieri, con le coreografie di Bill Goodson. Un'impresa “inaspettata e memorabile”, maturata in un mix di perfezionismo, disciplina e, soprattutto, emozione. In un incontro molto familiare e informale, si racconta con entusiasmo (“che si sappia: sono una persona molto riservata”), umiltà e un pizzico ancora di incredulità rispetto a quanto accaduto. Domanda – Simona, non possiamo fare a meno di iniziare la nostra chiacchierata tracciando un bilancio dell'esperienza vissuta nel varietà “Sogno e son desto” di Massimo Ranieri, in onda su Raiuno in quel di gennaio, con una media di 4milioni609mila spettatori e il 19,59% di share. Risposta – Diciamo che attendevo un'esperienza simile da un bel po' di tempo: ero in un periodo della mia vita in cui volevo fortemente potesse succedere qualcosa di nuovo e importante. L'avventura televisiva è iniziata, a dire il vero, senza che me ne rendessi realmente conto. Ho fatto l'audizione a Roma due giorni prima della chiusura dei casting, non avendo alcuna aspettativa. Dopo la prima scrematura, abbiamo atteso l'eventuale “call back” per la domenica: io, convinta di non farcela, sono rientrata a Bari e proprio verso casa mi è arrivata la telefonata, nella quale mi si diceva di volermi rivedere per le audizioni successive. Da 300, siamo scesi a 30 e lì è arrivato Massimo Ranieri a vedere cosa stesse accadendo. Ha subito chiesto cosa sapessimo fare, oltre a ballare modern: voleva qualcuno che potesse andare oltre. D . – Tra l'altro, Ranieri è un grande perfezionista. R . – Molto, molto. Voleva qualcuno che sapesse ballare anche il tap, perché si sa che lui è molto bravo in quel campo. E, così è stato: mi hanno provinata, facendomi fare un assolo. E mi sono detta: “Cavoli! Anche se non mi selezionano, ho ballato davanti a Massimo Ranieri e va bene così”. Fatto sta che lui è rimasto entusiasta del mio pezzo. Per due settimane non abbiamo saputo più nulla e, dopo tanta speranza, mi hanno richiamata mentre ero nuovamente a Bari a fare lezione ai miei piccoli allievi, dicendomi: “Guarda, sei stata presa”. D . – Immagino l'emozione per la notizia e per il coronamento di un sogno: il sabato sera, in diretta su Raiuno, accanto a Massimo Ranieri, dopo sette anni d'assenza dalla tv. R . – Ben detto! Tra l'altro, il titolo “Sogno e son desto” è uno dei suoi cavalli di battaglia a teatro: nelle tre serate di diretta abbiamo anche presentato alcuni suoi pezzi di repertorio. Noi

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ballerini, ad esempio, abbiamo animato “La rumba degli scugnizzi”, un suo must durante le tournée in tutt'Italia. D . – Il programma, alla resa dei conti, ha segnato il ritorno del varietà sul piccolo schermo. R . – Esatto: non si vedevano varietà da molti anni in tv. E lui era felicissimo di fare una trasmissione del genere. Un giorno in sala prove ci disse: “Ragazzi, sono contento perché con tutti noi è tornato il gusto per l'intrattenimento, col balletto”. Era entusiasta del fatto che noi non facessimo dei semplici stacchetti, ma proprio delle coreografie ben precise e studiate, convinto che era quello che la gente volesse vedere. Da mettere ben in evidenza come avessimo al nostro fianco il coreografo Bill Goodson, per me un'eccellenza sia umana che professionale: sa dare tanto, essendo anche culturalmente molto preparato. Noi abbiamo fatto balletti e sigle orientati verso Chicago, gli Anni '20-'30, che non si vedono più da

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nessuna parte. Abbiamo tutti voluto uno spettacolo di classe, elegante: un varietà senza volgarità. Massimo Ranieri ripeteva sempre che eravamo in prima serata, il sabato in diretta su Raiuno. E tutto doveva essere messo a punto alla perfezione, nel rispetto del pubblico. E così è stato. Per me davvero un'esperienza memorabile. D . – Cosa le è rimasto di Massimo Ranieri a livello di insegnamento interiorizzato, di cui farà tesoro? R . – Abbiamo avuto l'enorme piacere di averlo anche durante le prove: ci ha un po' consigliato in base a tutti i nostri balletti, facendo attenzione a stile, interpretazione e pulizia. A me la sua presenza ha arricchito molto. Nella prima puntata, ad esempio, è stato fatto un tango da due ragazzi e una ragazza del corpo di ballo: anche se io non ero coinvolta in prima persona, ho osservato molto in sala prove, in quanto Massimo dava consigli su cosa fare per rendere il tutto al meglio. Ci ha


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spiegato la canzone di sottofondo, cosa volesse significare e perché fosse stata inserita in quel pezzo coreografato. Un perfezionista che ama la danza, non solo a livello esecutivo ma, soprattutto, nella sfera emozionale. Ripeteva spesso di volere l'anima e non la posa. Grandi insegnamenti i suoi. D . – Per lui conta l'essenza dell'artista. R . – Esatto. Lui è l'essenza proprio dell'artista. Un grande professionista con tanto di cappello: vorrei poter avere anche solo un briciolo di ciò che ha lui, perché è così completo in tutte le discipline dello spettacolo. Ed è molto colto: menziona ballerini mondiali come se nulla fosse, snocciola aforismi, sa far capire benissimo quello che vuole e ciò che vorrebbe vedere. D . – Con Ranieri, se vogliamo, c'è stato un ritorno ai valori dell'intrattenimento, all'insegna di pulizia ed eleganza, d'insegnamento per le giovani generazioni. R . – La sua presenza è di per sé d'insegnamento ai giovani: parlo per me, che sono 23enne. Di sicuro ci sono tantissimi miei coetanei che oggi danzano e non sanno neanche perché lo fanno, non conoscendo proprio la storia coreutica. Lui nel suo corpo di ballo vuole persone preparate, non ignoranti in merito a quello che fanno. Io ho avuto la fortuna di avere degli insegnanti già a monte molto preparati, che hanno saputo indirizzarmi verso il meglio. Studiare poi in Accademia mi ha fatto crescere. Ranieri è stato quel tocco in più che mi mancava. D . – Ad esperienza conclusa oggi, che effetto le fa essere stata vista da quasi 5milioni di spettatori il sabato sera su Raiuno? R . – (Dopo una risata, ndr) Lo ammetto: non ho ancora preso piena consapevolezza di tutto quello che ho fatto e mi è successo. Quando andavo su quel palco, io ballavo per quel teatro, non pensando che da casa mi stessero guardando milioni di persone. E, forse, questa è stata la mia fortuna, quasi incoscientemente. Sono riuscita a vivere quell'emozione con serietà e razionalità allo stesso tempo. Può sembrare un controsenso, ma è quanto accaduto. D . – Tra l'altro, avendo lei all'attivo tanti spettacoli di teatrodanza si è sentita un po' a casa, no? R . – Certamente, perché l'impianto del programma era molto teatrale. Ci siamo trovati tutti nella stessa barca, dandoci una mano l'un l'altro. E aggiungo che, sbagliando, io sottovalutavo inizialmente la tv: vivendola, mi sono ricreduta, proprio perché mi sono sentita cullata da professionisti del calibro di Bill Goodson e Massimo Ranieri. Ciò mi ha dato calma, fruendo al meglio ogni attimo con estrema umiltà. D . – Cosa vorrebbe potesse accadere ora? R . – (Dopo una risata, ndr) Ora sto ritornando alla mia vita, per così dire, “normale”. Non posso che augurarmi che questa possa essere la prima di una lunga serie di esperienze. Mi ha fatto molto piacere lavorare in tv, anche se io ho avuto un lungo passato di ballerina di contemporaneo e teatro-danza, come sosteneva lei prima. Mi sento oggi cambiata come persona: vorrei dare ai miei piccoli allievi quello che ho imparato, perché

credo che in questa direzione la danza possa crescere. Del resto non faccio progetti: mi vivo ciò che accade, come ho vissuto l'esperienza di “Sogno e son desto” dal nulla, due giorni prima dell'audizione, senza avere alcuna aspettativa. D . – In che modo è stata accolta, soprattutto dai suoi Maestri, una volta tornata a Bari? R . – Io non ho mai smesso di sentire i miei punti di riferimento: sono molto legata alle mie origini. Ho sempre ringraziato i miei Maestri, anche quando ero a Roma. Loro sono inglesi e vivono una situazione un po' diversa: tramite messaggi e telefonate, ho voluto metterli al corrente di come stessi e mi sentissi, anche prima della diretta. È come se fossi in un momento magico della mia giovane vita. D . – Un sogno nel cassetto? R . – Trasmettere la mia arte, nel mio piccolo, al prossimo. Vorrei magari mi si ricordasse un domani per questo, pur non essendo nessuno e non sentendomi nessuno. Vorrei lavorare umanamente sui miei piccoli allievi, rimanendo puntualmente come sono, senza mai cambiare. D . – Simona, Longanesi sosteneva che “un'intervista è un articolo rubato”. Cosa le è stato sottratto durante questa chiacchierata? R . – (Scoppia a ridere, ndr) Io sono una persona molto riservata, molto. D . – Allora, devo ritenermi fortunato. R . – Sì, lei è molto fortunato, perché le ho detto cose che neanche mia madre sa, essendo la persona alla quale sono più legata. Per cui lei, Gianluca, mi ha rubato un sacco di cose (e la risata diventa comune, ndr). Per me è stato un piacere: io sono una persona molto silenziosa, razionale, che guarda senza giudicare. D . – Concludiamo, dunque, con mia grande soddisfazione per essere riuscito lì dove altri non ce l'hanno fatta. R . – (E, ad epilogo dell'ennesima risata comune, ndr) Esatto, esatto. Gianluca Doronzo

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