Anno II - Numero 6 - Giugno 2014
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Periodico di Musica, TV, Cinema, Teatro e Arte
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il magazine che non t'aspetti (tutti i colori dell'intrattenimento) LE BELLE DELLA CONDUZIONE
Alessia Reato Michela Coppa WEB E FICTION
Elena Barolo Simona Borioni TV E MUSICA
Andrea Castrignano Alessandro Errico GRUPPI IN ASCESA
Park Avenue Moody
«C'è bisogno di tanti volti nuovi oggi in tv: largo ai giovani e alla freschezza delle idee» Il ritorno sul piccolo schermo di Alessia Ventura, alla scoperta delle spiagge e dei luoghi più incontaminati del mondo in «Blu Beach Paradyse Story» (Rete4, ogni domenica, ore 13.55, 627mila spettatori in media, col 4% di share circa), accanto alla Reato e alla blogger Manfield
Anno II - Numero 6 - Giugno 2014 FONDATORE, DIRETTORE EDITORIALE E RESPONSABILE Gianluca Doronzo GRAFICA E IMPAGINAZIONE Benny Maffei - Emmebi - Bari HANNO COLLABORATO Mara Barzaghi, Alessandra Placidi, Gabriella Pacchiega, Brunella Piacentini, Francesca Colombo, Michela Garosi, Clarissa D'Avena e Sante Cossentino.
SI RINGRAZIANO Alessia Ventura, Alessia Reato, Michela Coppa, Elena Barolo, Simona Borioni, Andrea Castrignano, Alessandro Errico, Park Avenue (nello specifico Federico Marchetti), Moody (il chitarrista Nino Maggioni), Roberta Di Mario, Filippo Consalvo, Emanuele Ercole e Cristina Ameruoso per le interviste concesse; gli uffici stampa Rai, Mediaset e La5 per le foto e i contatti; Vincenzo Di Cillo per gli scatti relativi a Michela Coppa; Federica Signorile per le foto di Emanuele Ercole e Cristina Ameruoso. INDIRIZZO REDAZIONE Via Monfalcone, 24 – Bari gianlucadoronzo@libero.it tel. 347/4072524 FACEBOOK E la notte un sogno Autorizzazione del Tribunale di Bari n. 16 del 26/09/2013
Se Carlo Conti dovesse optare per co-conduttrici al prossimo “Festival di Sanremo”, avrebbe solo l'imbarazzo della scelta dando un'occhiata all'edizione di giugno di “Che spettacolo – il magazine che non t'aspetti (tutti i colori dell'intrattenimento)”. Ebbene sì: da Alessia Ventura (un volto fresco, pulito ed elegante in copertina) a Elena Barolo (diventata anche una fashion blogger di successo), da Alessia Reato (protagonista di “Blu Beach Paradyse Story” su Rete4, ogni domenica, ore 13.55, quasi 700mila spettatori in media e il 4% di share) a Michela Coppa (al fianco di Davide Mengacci in “Ricette all'italiana” su Rete4, dal lunedì al sabato, ore 10.45, oltre 300mila spettatori in media), non dimenticando l'attrice Simona Borioni (fra le interpreti della sit-com “Bye bye Cinderella” su La5, ogni martedì, ore 23.05), il nono numero della mia (e soprattutto vostra) rivista ospita davvero il meglio della bellezza (in concomitanza all'educazione e al glamour) femminile in circolazione, come difficilmente si riesce a trovare in un mensile. Cinque donne differenti per formazione, ma complementari per personalità, da far invidia al miglior organizzatore di kermesse: sul palco dell' “Ariston” farebbero faville e, finalmente, avrebbe la meglio il talento nazionale (senza bisogno di andare a pescare presenze altrove). Chissà che il mio appello non arrivi a chi di dovere: sarebbe la quadratura del cerchio, a dimostrazione di come il mio giornalismo (senza gossip e voyeurismo) sia “al servizio” degli artisti, mettendone in evidenza potenzialità, meriti e aspetti emozionali, che difficilmente riescono ad emergere nelle interviste odierne. E non solo: in continuità a quanto ho puntualmente realizzato finora, non perdo di vista in ben 64 pagine a colori gli emergenti, le giovani promesse musicali, teatrali e coreutiche, dando loro una chance di racconto. Si inizia con due gruppi in ascesa: mi riferisco ai Park Avenue e ai Moody, in attesa che arrivi la loro “grande occasione”. Si continua con Roberta Di Mario, 42enne cantautrice e pianista parmense, alle prese col doppio album “Lo stato delle cose” (un'avventura “coraggiosa” di questi tempi), confezionando una triade “made in Puglia”: Filippo Consalvo (ragazzo dalla intensa sfera introspettiva, appassionato di Michael Jackson, pronto a descriversi fra luci ed ombre, rivelando un'anima delicata, profonda e sincera, senza orpelli e sovrastrutture), Emanuele Ercole (chitarrista che si è formato con Pasquale Scarola e Luca Corriero, avendo all'attivo tournée con Mariella Nava, New Trolls e Silvia Mezzanotte) e Cristina Ameruoso (14 anni di esperienza a livello non solo regionale, spettacoli da protagonista e riconoscimenti ottenuti con la “Compagnia Astraballetto” di Stella Ciliberti, fra l'altro). Tre “belle persone” a cui dare una giusta ribalta, consentendo l'iconografia dei propri universi, per arrivare ad un pubblico sempre più vasto. E, dulcis in fundo, non potevano mancare due esponenti molto particolari del piccolo schermo e del cantautorato, per ragioni ben precise: Andrea Castrignano, affermato interior designer, fa il punto della situazione sulla quarta stagione del suo programma “Cambio casa, cambio vita!” (La5, ogni mercoledì, ore 21.10), dichiarandosi “commosso per essere riuscito a dare lavoro a tante persone che lo affiancano, avendo ben 33 cantieri aperti attualmente”, a dimostrazione della sua estrema sensibilità) e Alessandro Errico, noto negli Anni '90 per essere stato scoperto da Maria De Filippi e Caterina Caselli, disposto a dichiarare in esclusiva la sua rentrée nel panorama discografico col singolo “Il mio Paese mi fa mobbing”, utilizzando l'ironia come tratto distintivo. Siamo alla nona uscita, ragazzi, portata avanti con le mie sole forze e con l'affetto di chi mi legge, di chi mi vuole bene, di chi vuole andare al di là di quello che l'editoria propone, arrivando fino in profondità alle questioni. Proprio per ringraziarvi tutti ho dato pienamente me stesso nella ricerca di esponenti “fuori dal coro”, rendendo ricche le mie giornate di incontri, contatti, chiacchierate, sguardi, manifestazione di ricchezze interiori e “urgenze espressive” da comunicare al lettore, rendendolo protagonista di quello che scopre, senza esitazioni di sorta. “Che spettacolo” celebra la sua prima estate di vita, la sua prima “bella stagione”: lo fa con molta delicatezza, con leggerezza, con policromie, con tante rubriche e, in particolar modo, col cuore. Con quel cuore che consente di farmi vivere pienamente la mia esistenza, nonostante le insidie di chi mi è spesso accanto, di chi mi rema contro e di chi vuole solo gratuitamente distruggere il mio lavoro, per proprie frustrazioni o per mancanza di coraggio. Perché “il coraggio delle idee” è un mio principio imprescindibile, senza il quale non avrebbe senso la mia stessa identità giornalistica, priva di sponsor. Impariamo un po' tutti a metterci in discussione, onorando la nostra esistenza al meglio piuttosto che “criticare” per il gusto di farlo. Io non credevo di poter arrivare fin qui (con la complicità della mia anima grafica, di nome Benny Maffei): pian piano sto andando avanti, animando un progetto anomalo e controcorrente (nel suo piccolo) nel Belpaese. Con un'unica consapevolezza: il vero “spettacolo” siete voi, miei cari lettori. Un abbraccio. Gianluca Doronzo
Sommario IL PERSONAGGIO IN COPERTINA Alessia Ventura «Ho lavorato tanto in 16 anni con passione, onestà e schiettezza: se oggi mi rifletto allo specchio, vedo una persona più ricca umanamente» TV - IL PERSONAGGIO IN ASCESA Alessia Reato «Devo tutto a Simona Ventura e Antonio Ricci: da loro ho ereditato professionalità, rispetto del lavoro e dedizione» LA BELLA DELLA CONDUZIONE Michela Coppa «Educazione e autorevolezza: ecco il sogno per la conduzione di un programma tutto mio in futuro» TV E WEB - LA FASHION BLOGGER Elena Barolo «Mi sento una donna appagata sia nel privato che nel lavoro: non potrei chiedere di più al momento» LA SIGNORA DELLA FICTION Simona Borioni Ritratto di una bell'anima di nome Simona Borioni: un'attrice «in viaggio», in attesa di un «bel ruolo in un film d'autore o in una fiction in costume»
MUSICA - IL GRUPPO IN ASCESA Moody «Non è facile affrontare il mercato discografico in tempi di crisi: noi puntiamo sull'autoproduzione e sulle piattaforme digitali, per crescere sempre di più»
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MUSICA - IL TALENTO IN ASCESA Roberta Di Mario «Anche se sono uno spirito inquieto, finalmente sento di portare avanti il mio progetto più maturo e centrato, alimentando il coraggio»
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FRA 72ESIMA STAGIONE E NOTTI DI STELLE Camerata Musicale Barese «I solisti veneti» chiudono un'annata memorabile, scandita da eleganza, scorrevolezza e pathos, in attesa di «gustare» il jazz estivo e i protagonisti di un 2015 che non t'aspetti
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MUSICA - LA GIOVANE PROMESSA Filippo Consalvo L'emozione? Ha la voce di Filippo Consalvo, giovane promessa del canto in grado di «vivere la musica come un rifugio, autentica fuga dalla realtà»
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MUSICA - LA GIOVANE PROMESSA Emanuele Ercole «Amo quello che faccio e non mi pesano i sacrifici: devo tutto alla mia caparbietà, col profondo desiderio di mettermi al servizio degli altri musicisti»
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DANZA Cristina Ameruoso «La danza è verità ed io la vivo pienamente nella mia terra, convinta dell'esistenza di numerosi talenti»
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VISTI PER VOI Un'Asia Argento inedita in una «commedia infantile», azione e suspense con Kevin Costner, storie francesi sui ricordi coniugali: i film del momento
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ASCOLTATI PER VOI Pop, rock e house: tutti i generi al servizio di una stagione «da ascoltare»
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LETTI PER VOI I ritorni di Paolo Giordano e Andrea Camilleri in libreria: un'estate ricca di sorprese e coinvolgimento per i lettori (e c'è spazio pure per qualche emergente)
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TV E ARCHITETTURA - L'INTERIOR DESIGNER Andrea Castrignano «La soddisfazione più grande? Aver dato lavoro a tante persone che mi affiancano: attualmente abbiamo ben 33 cantieri aperti. Ne sono commosso» 22 LA TV CHE VEDREMO Una girandola di conduttori per la nuova edizione di «Zelig», Amendola e Brugia di nuovo in tv, il rapper Clementino ad «Un posto al sole»: le «video» novità da non perdere MUSICA - IL RITORNO Alessandro Errico «Vorrei accendere delle fiammelle nel cervello delle persone, mantendendo fede alla libertà della mia musica con un solo obiettivo: avversare l'indifferenza» MUSICA - IL GRUPPO IN ASCESA Park Avenue «La nostra identità? Un mix di live e rock, fra lingua italiana e inglese, cercando di arrivare direttamente al cuore degli ascoltatori»
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Alessia Ventura
IL PERSONAGGIO IN COPERTINA
Alessia Ventura ha fatto la sua rentrée in tv (con la speranza che Carlo Conti la chiami a «Sanremo» 2015) nel programma «Blu Beach Paradyse Story» (Rete4, ogni domenica, ore 13.55, 627mila spettatori in media, col 4% di share circa), alla scoperta dei luoghi più suggestivi del mondo, assieme alla Reato e alla blogger Patricia Manfield
«Ho lavorato tanto in 16 anni con passione, onestà e schiettezza: se oggi mi rifletto allo specchio, vedo una persona più ricca umanamente»
Alessia è cresciuta. In ben 16 anni di tv ha fatto tanta gavetta, spaziando dalla soap al varietà, affiancando professionisti del calibro di Gerry Scotti (“Passaparola” su Canale 5, dal 2001 al 2003) e Carlo Conti (“Fratelli di test” e “I Raccomandati” nel 2007-'08 su Raiuno), mettendosi puntualmente in discussione con “umiltà, impegno e schiettezza”. Ha affrontato anche contesti divertenti come “Sputnik” e “Camera Cafè” su Italia Uno, riuscendo a prendersi in giro (rarità rispetto a molte “video” colleghe). Oggi, consapevole del periodo non facile nel quale stiamo vivendo (“ci sono tagli, si produce di meno e si investe pochissimo in progetti a lungo termine”), la Ventura ha colto al volo la proposta che ha segnato a pieno titolo la sua rentrée sul piccolo schermo: eccola, pertanto, protagonista di “Blu Beach Paradyse Story” (Rete4, ogni domenica, ore 13.55, 627mila spettatori in media col 4% di share circa), accanto ad Alessia Reato e alla blogger Patricia Manfield. In primo piano il racconto dei mari più cristallini e delle spiagge incontaminate del mondo, viaggiando dall'Oceano Atlantico al Pacifico, fra l'altro. Manifestando solarità, preparazione e tanta voglia di relax, consentendo al pubblico “di evadere dalla solita routine quotidiana”. Domanda – Alessia, ci ritroviamo a distanza di qualche anno dall'ultima volta in cui abbiamo chiacchierato telefonicamente: erano i tempi di “Controcampo” su Italia Uno. Dopo una serie di esperienze maturate, è tornata di recente in video alla conduzione del programma “Blu Beach Paradyse Story” (Rete4, ogni domenica, ore 13.55, 627mila spettatori in media col 4% di share circa), accanto ad Alessia Reato e alla blogger Patricia Manfield. Soddisfatta della sua rentrée? Risposta – Devo dire proprio di essere entusiasta del gradimento del pubblico, visto che abbiamo sfiorato il 4% di share in una collocazione domenicale non facile. Non dimentichiamo che in “concorrenza” (se così si può dire) abbiamo avuto incontri di calcio, “Domenica in” e molti altri contesti, più collaudati del nostro. Per questo, alla luce dei risultati e dell'orario, la rete è più che soddisfatta: non si esclude ci possa essere una seconda edizione. In fondo attraverso il nostro programma abbiamo raccontato le bellezze del mondo, fra isole incontaminate e luoghi suggestivi, consentendo al pubblico di sognare ad occhi aperti. La nostra non è una vera e propria conduzione, bensì una sorta di “accompagnamento” e illustrazione di ciò che abbiamo visitato, mostrandolo agli spettatori. Ammetto che anche nei vari social abbiamo ottenuto un buon riscontro: siamo diventati una specie di ispirazione per mettere a punto le prossime vacanze degli italiani. Concedersi un attimo di pausa dalla solita routine credo sia salubre. D . – Ha appena detto che la vostra non è propriamente una conduzione, bensì un “accompagnamento” e illustrazione al pubblico di quello che avete visitato: in questo senso vi connotate più come una sorta di documentario, no? R . – Giusto. In realtà “Blu Beach” è impostato proprio come una sorta di documentario, in maniera leggera e divertente. Vogliamo fare compagnia agli italiani, consentendo loro di viaggiare con la mente verso atmosfere esotiche, in apparenza inarrivabili e ricche di fascino. Sento di avere la fortuna di vivere una simile esperienza televisiva. D . – Si sarebbe mai aspettata un programma del genere? R . – Ammetto che a me è sempre piaciuto viaggiare: a chi non piace (e ride, ndr)? Appena mi è stata proposta la
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IL PERSONAGGIO IN COPERTINA
trasmissione, mi sono subito detta che non mi sarebbe ricapitato facilmente un simile contesto. Così ho accettato, senza grandi aspettative. Ho fatto bene ad esserci, anche perché ho scoperto bellezze paesaggistiche incontaminate, che non avrei per nulla al mondo immaginato potessero esistere. D . – “Blu Beach”, come dire, è stato un fulmine a ciel sereno? R . – Un'occasione colta al volo. Abbiamo messo su il programma in pochissimo tempo e solo di recente si è registrata l'ultima puntata, grazie ad un successo inaspettato. D . – Bene, bene. Alessia, approfondiamo gli aspetti legati alla tv: che fase sta vivendo, a suo parere, la “video” vita? R . – Partiamo dal presupposto che credo si stia attraversando una fase difficile un po' in tutti gli ambienti. Magari uno pensa che il mondo dello spettacolo sia “esonerato” dalla crisi, ma non è così. Se le grandi aziende nella vita quotidiana stanno facendo tagli e tanti 50enni si trovano per strada, non riuscendo più a collocarsi nell'ambito lavorativo perché “troppo in là negli anni” per il mercato, allo stesso modo in tv si fanno meno trasmissioni, investendo poco in risorse umane, artisti e puntate da ideare. Succede, pertanto, che ci troviamo a lavorare di più in alcuni periodi, di meno in altri o a non essere per nulla presenti. È un'incognita, una spada di Damocle che incombe su ciascuno. D . – Fatto sta che lei, ormai da 16 anni sul piccolo schermo, puntualmente è riuscita a cavarsela, spaziando nei generi e nelle declinazioni dei programmi messi a punto. Non è stato così per molte sue colleghe. R . – Verissimo. Da ben 16 anni sono in tv e devo dire, nel mio piccolo, di essere “sempre stata a galla” con estrema umiltà. Certo: ci sono stati i periodi nei quali ho lavorato di più (penso a quelli con Carlo Conti) ed altri di meno, accettando comunque belle proposte per Sky e svariate emittenti. A me, in fin dei conti, è sempre andata bene. Se mi guardo indietro, le dico onestamente che non mi sarei mai aspettata di arrivare ad un momento così difficile come quello che stiamo vivendo, fatto di estrema precarietà e infinite incognite. “Blu Beach” è stato un po' il “programma che non t'aspetti”, arrivato al momento giusto per una rentrée. D . – L'intrattenimento com'è cambiato in questi anni? R . – Credo, onestamente, che il pubblico sia un po' stufo delle solite trasmissioni, trite e ritrite. C'è voglia di novità e dobbiamo anche, e soprattutto, fare i conti con il web che ha cambiato la fruizione dell'intrattenimento per tutti noi. Poi va da sé che gli spettatori sono affezionati ad alcuni contesti storici, ma in altri casi appaiono disorientati rispetto a quello che vedono. D . – A proposito di “pubblico che ha bisogno di novità”: di recente ce ne sono state due, non propriamente di successo. Mi riferisco a “La pista” su Raiuno con Flavio Insinna e a “Giass” di Antonio Ricci su Canale 5. R . – In merito a “Giass” il pubblico si è diviso: si è trattato di una sorta di “Drive in” moderno e chi come me è degli '80 non ha potuto fare a meno di apprezzarne lo spirito nostalgico e il divertimento. Ad altri non ha convinto. Il problema è che spesso si rischia di fare programmi simili, spacciandoli per innovativi, quando invece ci sono in giro tanti professionisti “in panchina”, che potrebbero dare ancora molto al piccolo schermo. Un vero e proprio peccato. D . – Parlando di professionisti, non possiamo fare a meno di
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ricordare il fatto che dal 2007 al 2008 ha affiancato Carlo Conti su Raiuno, prima in “Fratelli di test” e poi nel varietà “I Raccomandati”. R . – Carlo è una persona stupenda: ne ho un bellissimo ricordo. Ha una grande umiltà. Lavorare con lui è sempre stato un enorme onore: mi ha supportata, protetta e motivata ad andare avanti. Eravamo sempre in diretta e ho anche ballato sui tacchi, cosa non facile. Durante le prove lui mi sosteneva ribadendomi che “sarebbe stato il mio paracadute”. Essere rassicurati da un professionista del suo calibro non è impresa da poco. D . – Ecco: veniamo a noi. Vogliamo fare un appello a Carlo Conti per una co-conduzione in merito al “Festival di Sanremo” 2015? R . – (Dopo una risata al telefono, ndr) Mannaggia, io non sono buona a fare autocandidature! Non è da me. Mi vergogno. Saprà di sicuro lui quale sarà la persona più giusta ad affiancarlo. D . - Tranquilla, Alessia: ci penso io. Siamo qui per questo e faccio un appello a Carlo Conti, affinché la scelga nel cast del prossimo “Festival di Sanremo”. Ho due ragioni perché ciò accada: avete già lavorato assieme e, soprattutto, lei è un'italiana pulita, educata ed elegante, pronta per quel palco. R . – Gianluca, la ringrazio: se è lei a fare l'appello a Carlo, allora va bene così. Ora, ironia e scherzi a parte, lui è un grande professionista e “Sanremo” è la più importante vetrina della musica italiana, declinata nel varietà. Saprà, ripeto, di sicuro quale formula possa essere la più opportuna e da chi farsi affiancare. Certo, va da sé, che se mi scegliesse sarebbe fantastico. D . – Ad una condizione, però, Alessia: sarei il primo ad avere la sua intervista in occasione del “Festival”. R . – (Ancora una risata, ndr) Come minimo, Gianluca. Glielo prometto davanti a tutti i lettori. D . – Affare fatto. Passando in rassegna in maniera trasversale il suo percorso, figura anche la recitazione: tornerebbe in una fiction? R . – La prima volta in cui ho recitato è stato a 18 anni: non ero ancora entrata a far parte di “Passaparola”. Poi ci sono stati: “Carabinieri”, “Sputnik”, “Camera Cafè” e anche contesti con Nicola Savino su SkyCinema, ad esempio. Io c'ho provato: chissà che non possa esserci in futuro una nuova possibilità. Dinanzi al lavoro non mi tiro mai indietro. D . – Ci stiamo, pian piano, avvicinando alla conclusione della nostra chiacchierata: cosa si sentirebbe di suggerire ad un giovane che volesse entrare a far parte del mondo dello spettacolo? R . – Ragazzi, non è tutto così facile e immediato come sembra. Ci sono tanti professionisti e persone serie che fanno bene il proprio lavoro: bisogna essere bravi e farsi seguire dai referenti giusti, rimanendo puntualmente con i piedi per terra. Non si devono perdere mai le proprie radici, le proprie amicizie e la famiglia: c'è bisogno di solidità, perché tutto può essere molto fatuo. Ci sono molti squali in giro e non le nascondo che, se io oggi avessi una figlia desiderosa di entrare a far parte del mondo dello spettacolo, sarei un tantino terrorizzata. D . – Rimanere, dunque, con i piedi ben saldi per terra, senza lasciarsi condizionare. R . – Proprio quello che voglio suggerire. La concretezza è un
dato fondamentale, per non avere delusioni. Poi va da sé che ci sono anche tante ragazze disposte a scendere a compromessi, pur di arrivare: ma le scorciatoie, che sia ben chiaro, non portano mai e ribadisco mai da nessuna parte. D . – Perfetto, Alessia. Concludiamo il nostro viaggio: s'immagini metaforicamente allo specchio. In che maniera si riflette oggi? R . – Mi vedo, onestamente, un po' cambiata: da una parte in senso positivo (avendo 34 anni e vedendo certe cose da un'angolazione più matura e concreta), dall'altra mi trovo caratterialmente un po' chiusa nel proprio guscio, quasi con una sorta di diffidenza. Amo essere circondata da persone che mi vogliano bene incondizionatamente e sono, tuttavia, contenta delle cose fatte, essendo molto cresciuta professionalmente e umanamente, non rinnegando nulla di quello che ho realizzato. Ecco Alessia oggi! Gianluca Doronzo
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Alessia Reato
TV - IL PERSONAGGIO IN ASCESA
Da «Schedina» su Raidue a «Velina» su Canale 5: la «video» escalation di Alessia Reato, alla sua prima conduzione in «Blu Beach Paradyse Story» (Rete4, ogni domenica, ore 13.55, 627mila spettatori in media, col 4% di share circa), accanto alla Ventura e alla blogger Manfield, sognando di diventare protagonista di «Colorado» su Italia Uno
«Devo tutto a Simona Ventura e Antonio Ricci: da loro ho ereditato professionalità, rispetto del lavoro e dedizione»
Simona Ventura e Antonio Ricci sono stati i suoi “genitori in seconda”. Sta cercando, passo dopo passo, di ereditarne “professionalità, rispetto del lavoro e impegno”. Se dovesse seguire “alla lettera” i loro esempi, Alessia Reato potrebbe diventare davvero una delle giovani più promettenti sul piccolo schermo: 24 anni il 14 giugno, in pochissime stagioni ha vissuto esperienze da “Schedina” su Raidue e “Velina” su Canale 5, cercando di “imparare il più possibile”. Con sani principi (quasi fosse d'altri tempi), convinta che si debba andare avanti “avendo i piedi ben saldi per terra, con molto realismo nel mondo dello spettacolo”, sta conducendo assieme ad Alessia Ventura e alla blogger Patricia Manfield il programma “Blu Beach Paradyse Story” (Rete4, ogni domenica, ore 13.55, 627mila spettatori in media col 4% di share circa), facendo viaggiare il pubblico “dalla Polinesia alle Maldive”, senza esitazione di sorta. Guardare, per credere. Domanda – Con “Blu Beach Paradyse Story” è arrivata finalmente la prima conduzione, accanto ad Alessia Ventura e alla blogger Patricia Manfield. Quasi 700mila spettatori e il 4% di share circa. Un buon risultato per un programma domenicale, no? Risposta – Ben detto: siamo più che gratificati dal seguito del pubblico e abbiamo, come ha giustamente anticipato lei, fatto il 4% di share. Sono personalmente contentissima, anche perché nel programma abbiamo trovato il giusto compromesso fra documentario, arricchimento culturale e introduzione dei luoghi da parte nostra. Credo sia anche un po' un genere innovativo quello che proponiamo. Va bene così. D . – Avrebbe mai pensato ad un programma come “Blu Beach”, incentrato sui viaggi e sulla scoperta delle bellezze del mondo? R . – Sinceramente no. Non c'ho mai pensato e ho sempre immaginato una mia ipotetica conduzione in uno studio, con tanto di pubblico che applaude. Un'avventura come quella che sto vivendo non l'avrei mai prospettata. Va da sé che, appena mi è stata proposta la trasmissione, ho accettato immediatamente: siamo subito partiti per le Maldive come prima tappa. Un sogno da condividere con gli spettatori. D . – In pochi anni per lei c'è stata un'ascesa televisiva considerevole: da “Schedina” su Raidue a “Velina” su Canale 5, fino all'attuale conduzione. Si sarebbe aspettata un'escalation simile? R . – Le dico la verità: ho sempre visto la tv da piccola come il mondo dei sogni e non avrei mai pensato di entrarne a far parte come sto facendo ora. Men che meno mi sarei potuta immaginare eventi così in crescendo, come quelli vissuti negli ultimi tre anni: ho fatto tante cose. Mi sto, a dire il vero, rendendo conto solo ora di quanto sto concretizzando e dei meccanismi che ruotano attorno all'universo mediatico. Sono molto fortunata ma, allo stesso tempo, ritengo di essere una persona che si impegna tanto in quello che fa. A me piace sudarmi quello che raggiungo, senza sconto alcuno. D . – In tutta verità: fra i suoi sogni c'era quello di diventare “Velina” un giorno?
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R . – Onestamente le dico che sono cresciuta guardando le “Veline”: non dimentichiamo che tante donne di spettacolo di successo sono diventate delle conduttrici affermate, proprio iniziando dal bancone di “Striscia la notizia”. Aver raggiunto la popolarità in questa maniera è stata un po' la quadratura del cerchio: ho vissuto l'occasione che mi è stata data da Antonio Ricci con passione, divertimento e tanto, ribadisco tanto impegno. Oggi molte famiglie italiane sono alle prese con problemi, crisi e conti da far quadrare a fine mese: una “Velina”, in fondo, è una bella ragazza che fa parte della squadra di un programma di successo, facendo evadere il pubblico dalla routine, regalando tanti sorrisi. D . – A questo punto, essendo entrata “in gioco” nel mondo dello spettacolo da protagonista, come vorrebbe potesse proseguire il suo percorso? R . – Mi piacerebbe fare la seconda edizione di “Blu Beach”, visto il successo di pubblico. E poi le dico, in tutta verità, che vorrei continuare a lavorare con Alessia Ventura, una ragazza straordinaria non solo da un punto di vista professionale, ma anche umano. Come me s'impegna con passione, trasporto e dedizione. Vorrei fare tante, ma tante nuove esperienze, magari conducendo programmi importanti tipo “Colorado”. O, mi lasci sognare, “Striscia la notizia” fra molti, ma molti anni. D . – E perché no. Glielo auguro. Se dovesse definire Simona
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Ventura e Antonio Ricci, suoi autentici talent scout, cosa risponderebbe? R . – Simona è stata la prima persona che ho incontrato a Milano: avevo 18 anni ed ero inesperta. Ha, dopo un provino, subito creduto in me facendomi parlare di tante cose, a tutto tondo. Grazie a lei sono entrata a far parte del mondo dello spettacolo. La sento ancora oggi, essendo un punto di riferimento per quel che mi riguarda: ci mandiamo sms, ci chiamiamo. Mi dà consigli ed io li seguo davvero con stima, affetto e considerazione. Mi ritiene un suo “prodotto”, in senso buono, ed è per me come una seconda mamma. Antonio Ricci è colui che mi ha dato la seconda possibilità professionale: un altro papà. D . – Fortunata ad aver avuto “in seconda” due genitori come Simona Ventura e Antonio Ricci. R . – (Conclusa una risata, ndr) Direi proprio di sì: li ringrazierò per sempre di tutto quello che mi hanno dato, aiutandomi nel mio percorso formativo. D . – Alessia, si parla spesso di talento: dal suo punto di vista cosa significa averlo? R . – Sicuramente è un qualcosa con cui nasci: ritengo per un 50% sia nel tuo dna e per l'altro 50 sia da sviluppare nel tempo, lavorando, facendo esperienze, delineando motivazioni e passioni con cui mettere a punto i percorsi. Ha ragione quando
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sostiene che se ne parli troppo e spesso, anche senza cognizione di causa. D . – La recitazione potrebbe entrare a far parte del suo excursus in futuro? R . – Sono sincera: per adesso no. In futuro potrebbe accadere. Una cosa è certa: oggi sono concentrata sulla conduzione e vorrei potenziarla, andando avanti al meglio, cogliendo ogni opportunità giusta. D . – In che modo fotografa la generazione dei suoi coetanei? R . – Non sono abituata ad esprimere giudizi sugli altri, non è nel mio modo di fare. Ogni persona porta avanti un percorso a seconda delle proprie peculiarità, della propria cifra e del proprio universo. Non farei di tutta l'erba un fascio. Io di sicuro ho fatto un cammino diverso da tanti miei coetanei, iniziando a lavorare da giovanissima. Se numerosi ragazzi oggi non si danno da fare, mi sento di dire che ne sono responsabili anche le famiglie, tendenzialmente portate a viziare i propri figli, deresponsabilizzandoli dai propri doveri. Io sono stata ripresa spesso e volentieri dai miei genitori: ciò mi ha fortificata, motivandomi a fare delle scelte ben precise. Di sicuro c'è tanta immaturità in giro, in concomitanza ad un'eterna adolescenza, un po' comoda e pigra. Ma, allo stesso tempo, c'è molta voglia di fare da parte di una gioventù, spesso priva di mezzi ed opportunità. Il nostro sicuramente non è un momento facile. D . – E ad un giovane che volesse entrare a far parte del mondo dello spettacolo, cosa si sentirebbe di suggerire?
R . – Di essere molto realista, di non illudersi e di avere sempre i piedi ben saldi per terra. Io ho 23 anni e vado avanti per la mia strada: se ne avessi avuti 30, forse avrei fatto a meno di perseguire il mio sogno nel mondo dello spettacolo. Dico questo per far capire che mi sono data un tempo: se le cose non dovessero andare bene in futuro, mi dedicherei ad altro, senza problemi. Bisogna rimanere con le radici ben salde ai propri principi, ai propri cari ed amici di sempre, non basando tutto sulle apparenze. D . – Eccoci, dunque, alla conclusione della nostra chiacchierata: s'immagini metaforicamente allo specchio. Come si riflette oggi? R . – Sicuramente mi sento molto cresciuta, educata, rispettosa del prossimo, con tanta voglia di fare. Sento di arrivare da una famiglia che mi ha dato sani insegnamenti, dei quali fare tesoro: dai miei sono stata puntualmente supportata e li ringrazio per questo. Credo che nella vita non ci siano altezze senza basi. Se mi guardo, vedo una persona che ha una morale e dei valori. In merito alla sfera lavorativa penso di essere professionale, con estrema umiltà: avverto che c'è troppo divismo in giro. Io sono una ragazza normalissima, che lavora e cerca di dare il meglio, perseguendo i propri obiettivi con soddisfazione e sincerità. Magari questo potrebbe essere un esempio da seguire. E lo dico senza alcuna presunzione, ma con molta umiltà. Gianluca Doronzo
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Michela Coppa
LA BELLA DELLA CONDUZIONE
Michela Coppa (in attesa di «una svolta professionale e privata») racconta i suoi 11 anni ininterrotti in tv, facendo il punto sul ruolo da «inviata» (dal 2010) nei programmi «Ricette di famiglia» e «all'italiana» (Rete4, rispettivamente ogni domenica alle 13.00 e dal lunedì al sabato alle 10.45), accanto a Davide Mengacci («un clown in grado di intrattenere e divertire la gente»)
«Educazione e autorevolezza: ecco il sogno per la conduzione di un programma tutto mio in futuro»
Sta aspettando la “svolta professionale e privata”. Nel frattempo Michela Coppa fa un breve bilancio dei suoi 11 anni ininterrotti sul piccolo schermo, manifestando puntualmente “un sano senso di educazione”. Ha affiancato Gerry Scotti in diverse stagioni (“è il mio modello televisivo”), ha condotto con Alessandro Cattelan il “Total request live on tour” e dal 2010 è l'inviata di Davide Mengacci (“un clown in grado di improvvisare e intrattenere con garbo”) nei programmi “Ricette di famiglia” e “all'italiana” (Rete4, rispettivamente la domenica alle 13.00 e dal lunedì al sabato alle 10.45, con oltre 300mila spettatori in media e il 4% di share), illustrando al pubblico le bellezze della nostra Penisola, fra tradizioni, architettura e piatti tipici. Con estrema disponibilità, si racconta al telefono sperando (su proposta dell'intervistatore) che “Carlo Conti la chiami al prossimo Festival di Sanremo”, in concomitanza alla possibilità di animare un varietà tipo “Colorado” su Italia Uno. Chissà! Domanda – Dal 2010 è protagonista su Rete4 di “Ricette all'italiana” (dal lunedì al sabato alle 10.45 e la domenica alle 13.00 nella declinazione “di famiglia”, con oltre 300mila spettatori in media e il 4% di share) accanto a Davide Mengacci. Veste i panni dell'inviata nei luoghi più suggestivi del Belpaese, crescendo di edizione in edizione per eleganza, pulizia e competenza. Risposta – Premesso che la ringrazio per le considerazioni fatte, posso dire di essere ormai all'undicesimo anno di lavoro in tv in maniera continuativa: un dato che mi lusinga, soprattutto alla luce dei tempi odierni di crisi, convincendomi di essere sulla strada giusta con passione, perseveranza e tanto amore. In merito a “Ricette all'italiana” nello specifico sono ormai quattro anni e avverto di essere cresciuta, di edizione in edizione, sebbene la mia non sia una conduzione canonica, ma una competenza “da inviata”, con un canovaccio scritto da un autore, con cui vado davvero d'accordo. Se dovessi, per così dire, fare un bilancio della mia presenza nel programma sarebbe tutto assolutamente positivo: con pazienza e tenacia ho raggiunto buoni risultati, essendo puntualmente protagonista di un lavoro che mi rappresenta pienamente. Io sono sempre pronta ad andare verso l'obiettivo, mettendoci tutta me stessa: perseguo pulizia, coerenza ed onestà. E il pubblico lo percepisce. D . – Come dire: il suo principio è “vivi con quel che hai, ma desidera sempre di più”. R . – Giusto, bravo! È un motto che mi si addice. In me, ben inteso, c'è un sano senso di ambizione, ma allo stesso tempo tanta educazione e tenacia. Credo sia una combinazione di elementi ad hoc per andare avanti. D . – E infatti la sua riconoscibilità è ben chiara agli spettatori. Se dovesse, in merito a “Ricette all'italiana”, pensare ad una massima di Davide Mengacci, interiorizzata nel tempo, cosa si sentirebbe di rispondere? R . – Le risponderei in merito al rapporto col pubblico. Davide è un clown e si destreggia fra le folle: governa la gente improvvisando e sapendo intrattenere, con divertimento e
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LA BELLA DELLA CONDUZIONE
misura, senza mai eccedere. Lui è un dominatore della scena, anche e soprattutto negli imprevisti. Io sono gestita da un autore, non ho pertanto licenza di improvvisazione: sono, per così dire, il simulacro degli spettatori. Porto il pubblico a conoscenza delle bellezze paesaggistiche da cui trasmettiamo il programma. E imparo, imparo tanto. Con educazione. D . – Michela, ecco il termine ricorrente: educazione. Elemento che sembra non esserci più in tv e che, per fortuna, in antitesi contraddistingue lei, Alessia Reato ed Elena Barolo, della scuderia di Mara Barzaghi. R . – E bravo, Gianluca. Scriviamolo: Mara ne sarà contenta. Lei è una garanzia per tutte noi. D . – Assolutamente, sarà scritto. R . – Ha ragione quando sostiene che l'educazione in tv non è più il motivo conduttore: io penso allo stile misurato de “La Corrida”, quando ho affiancato Gerry Scotti. Si riusciva a far sorridere milioni e milioni di spettatori con garbo, senza mai eccedere, improvvisando e gestendo la diretta al meglio. Oggi ormai si è abituati a programmi con fogli prestabiliti, cliché e molto altro. Si è perso il gusto per il rispetto, per “l'andare in punta di piedi”. Ricordo la timidezza di tanti concorrenti che venivano fuori per la prima volta da un paesino, per esibirsi a “La Corrida”: facevano quasi tenerezza. Oppure mi viene in mente “Paperissima” con la coppia Cuccarini – Columbro, due esempi di professionalità educata, misurata, con estremo garbo. Ecco, se io dovessi pensare a quello che voglio in tv, mi piacerebbe mettere a punto una conduzione autorevole ma educata allo stesso tempo. D . – Mi creda, Michela: è quello che sta già facendo. R . – La ringrazio, lei è davvero gentile. D . – Ho la libertà di esprimere il mio pensiero e lo faccio. Torniamo al suo percorso: andando a ritroso agli esordi nel quiz “Passaparola” su Canale 5 più di dieci anni fa, avrebbe mai pensato di poter mettere a punto una carriera come quella animata finora? R . – Ammetto di essere soddisfatta di quanto realizzato. Di sicuro “Passaparola” mi ha consentito di entrare nelle case degli italiani, in una sorta di corsia preferenziale rispetto al piccolo schermo. Si trattava di un programma misurato, che piaceva molto al pubblico, ricco di spontaneità. Con “La Corrida” ho avuto modo di farmi conoscere ancora meglio, sempre nel rispetto dei miei modi sinceri e schietti. Poi va da sé che sono come in attesa di un contesto tutto mio, che mi rappresenti in toto. Sono stata, ad esempio, ospite qualche mese fa a “Mattino Cinque”: Federica Panicucci mi ha suggerito di non demordere mai, di esserci sempre e di non rifiutare quello che la tv propone, perché anche a lei è capitato di lavorare molto in alcuni periodi e in altri meno. Il nostro è un mestiere che dà tutto e subito, in maniera quotidiana: può, però, in contemporanea toglierti altrettanto. Bisogna saperci fare, non lasciandosi mai andare. D . – Se le dico Gerry Scotti, cosa mi risponde? R . – Lui è stato il mio “Pigmalione”: si tratta del mio modello
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televisivo. Come dirle: vorrei essere lui in versione femminile. Ha professionalità, garbo e stile. D . – Condurrebbe un programma musicale? R . – Per un periodo ho animato anche conduzioni su Mtv destreggiandomi in un contesto di musica, con gara e adrenalina pura. Le trasmissioni odierne sono più legate ai “talent” in senso stretto: per carità, sono abbastanza strutturate e mi ci sento accordata al punto giusto. A me piacerebbe lavorare più, però, su altri versanti. D . – Ad esempio? R . – Sarebbe il top una trasmissione tipo “Colorado”. Ma non solo: mi vedo bene anche in un programma di intrattenimento, un po' sulla scia di quelli della Panicucci e della Balivo. Ecco: “Detto fatto” lo trovo davvero un bel contesto, a metà fra spirito di servizio e divertimento. Sono stata anche ospite da Caterina: una ragazza straordinaria. Abbiamo cucinato un semifreddo. Trovo quello show sia fatto su misura per lei. D . – Avere talento oggi cosa vuol dire? R . – Significa che quello che fai lo porti avanti in maniera lodevole. La dote è una marcia in più che nella vita ti fa svoltare. Ritengo, tuttavia, ci siano delle qualità innate, delle grandi potenzialità da sviluppare, propedeutiche a creare il tuo percorso. E, dato non irrilevante, bisogna saper comunicare. Credo la comunicazione sia fondamentale per arrivare al pubblico. D . – Comunicare è proprio una qualità fondamentale per arrivare agli spettatori e al loro cuore. R . – Non se ne può fare a meno: non si può bluffare quando c'è
la verità della comunicazione. D . – Arriviamo, Michela, alla quadratura del cerchio: che ne dice se facciamo un appello a Carlo Conti per una coconduzione al prossimo “Festival di Sanremo”? R . – (Dopo una risata, ndr) A cantare? Sì, ci sto (e ride, ndr). D . – Se vuole anche, ma io vorrei proporla come figura femminile. R . – Magari, Gianluca! Sarebbe davvero bello. Il “Festival di Sanremo” è un appuntamento istituzionale: scendere le scale del palco dell' “Ariston” sarebbe un sogno che si avvera. Lei lanci la proposta, se poi succede le do anche una percentuale (e ride, ndr). D . – No, no, Michela: non voglio percentuali, ma solo portarle fortuna. R . – Che carino! Grazie mille. D . – Come vorrebbe potesse proseguire il suo percorso? R . – Sto aspettando la mia svolta, sia privata che lavorativa. Speriamo arrivi presto. D . – Magari col prossimo “Festival di Sanremo”. R . – E perché no? Magari, magari. Gianluca, se Carlo Conti mi dovesse chiamare, sarebbe il primo a saperlo. D . – Ci conto (perdoni il gioco di parole), mi raccomando. R . – (Si conclude la risata al telefono, ndr) Assolutamente. Grazie ancora per la sua simpatia: la sua è stata un'intervista molto intelligente. Mi capita ormai un po' raramente. D . – Sono io a ringraziarla per la disponibilità. R . – È stato solo un piacere. A presto. Gianluca Doronzo
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Elena Barolo
TV E WEB - LA FASHION BLOGGER
«Velina» nel 2002 («Antonio Ricci è davvero un guru, geniale in quello che fa»), attrice sul piccolo e grande schermo (ha studiato recitazione anche in America), conduttrice ironica e divertente: oggi Elena Barolo è un'affermata fashion blogger (www.affashionate.com), essendo tornata al suo primo amore per la moda
«Mi sento una donna appagata sia nel privato che nel lavoro: non potrei chiedere di più al momento»
“Oggi mi sento una donna appagata: faccio un lavoro che mi piace e sto bene con il mio fidanzato da due anni. Non potrei chiedere di più”. Elena Barolo non ha mezze misure al telefono: dopo tanta tv (“Velina” nel 2002, attrice sul grande schermo e in “Centovetrine” su Canale 5, fra l'altro), è finalmente con gioia tornata all'amore di sempre. La moda (“a 12 anni ho comprato le prime copie di riviste glamour”). In controtendenza rispetto a molte colleghe desiderose di essere onnipresenti sul piccolo schermo, ha scommesso su se stessa facendosi da parte, mettendo a punto due anni fa un blog di successo (www.affashionate.com), fino ad entrare in contatto con le più importanti aziende internazionali del settore, dando anche una chance a giovani promesse. Un chiaro esempio di personalità “fuori dal coro”, capace di scommettere sull'innovazione e sulla comunicazione del futuro. Eccone un ritratto inedito. Domanda – Elena, dal 2012 è diventata una fashion blogger di successo grazie a www.affashionate.com. Dopo tanta tv, cosa è accaduto nel suo percorso? Risposta – Il mio blog, come dice giustamente lei, è nato nel 2012 ma la mia passione per la moda risale a molto, molto tempo prima. Diciamo che già dalle scuole medie, a 12 anni circa, ho acquistato le prime copie di “Vogue” e altri giornali di settore: sognavo di costruire un percorso in questa direzione. Così mi sono fatta una vera e propria cultura attraverso libri, documentandomi ed approfondendo gli aspetti legati allo stile, al glamour e alle tendenze. Come dirle: è come se avessi studiato da sempre quello che metto a punto oggi nel mio blog. Nel 2002 poi ho vinto il concorso da “Velina” a “Striscia” e la tv è diventato il mio pane quotidiano. Ora sono tornata a fare quello che desideravo da sempre, con un buon seguito. D . – Il suo, quindi, è un bilancio più che positivo? R . – Sicuramente molto positivo: il blog piace, ci sono tanti contatti da tutto il mondo e ho già collaborato con aziende importanti e illustri del settore. Attraverso i passaggi televisivi riesco a far sapere sempre di più che esisto in questa mia nuova attività, per così dire, imprenditoriale. E ho, soprattutto, la possibilità di lavorare anche con gli emergenti, dando loro opportunità che gratificano il mio operato. Quotidianamente ci sono richieste di tutti i generi, soprattutto in merito alla pubblicazione. D . – In tempi di crisi, dunque, lei è l'esempio di come investendo su se stessi, ci si possa creare lavoro. R . – Ben detto, Gianluca. Mi sono dovuta inventare un'attività, traendo spunto da una passione innata. Pian piano il tutto è diventato “di primo piano” e non posso fare a meno di comunicarvi tutto il mio entusiasmo progettuale. D . – Si sarebbe mai aspettata di diventare “Velina”? R . – Non avrei mai pensato di diventare una “Velina”: non guardavo tanto la tv da piccola e non sognavo di entrarne a far parte. La vittoria del concorso nel 2002 è capitata per caso e non ci credevo più di tanto: sono sempre stata abbastanza naturale nel mio modo di fare, senza grandi sogni e pretese. Da “Striscia” sono arrivate grandi occasioni come
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“Centovetrine”, “7 vite”, i film e tanto altro. D . – Se le dico Antonio Ricci, cosa mi risponde? R . – Per me è un guru, una mente geniale. È ironico anche nella tragedia, come dimostra nei numerosi servizi di “Striscia la notizia”. L'ho apprezzato anche in “Giass”, un programma che avrebbe meritato più riscontro rispetto a quello che ha avuto. D . – E Giorgia Palmas, diventata “Velina” con lei nel 2002, la sente ancora? R . – Ogni tanto ci sentiamo. Lei ora è mamma. Capita che ci si incontri in occasione di qualche evento. Prima la frequentazione era più assidua, lavorando assieme. Nutro per lei un grande affetto e ricordo con trasporto il periodo lavorativo che abbiamo condiviso. D . – Elena, sembrava che ad un certo punto la recitazione fosse diventata parte integrante del suo percorso. R . – Verissimo. Ad un certo punto ho studiato anche negli Stati Uniti, facendo seminari e stage con illustri attori del panorama internazionale. Forse sono venute meno le occasioni o, forse, non avevo il talento giusto per continuare su una strada a me non destinata. Non so. D . – Fra il comico e il drammatico, cosa predilige? R . – Il comico, senza ombra di dubbio. A “7 vite” mi sono trovata molto a mio agio, divertendomi di gusto. Penso di essere portata per la sfera più divertente e lo hanno confermato anche i registi con i quali ho avuto modo di lavorare. D . – Prima ha detto: “Forse non avevo il talento giusto per continuare a recitare”. Lo crede davvero? Cosa vuol dire avere talento oggi? R . – Il talento credo sia come un fenomeno: si manifesta senza tanti giri di parole e definizioni. C'è e basta. Si tratta di un qualcosa che si ha o altrimenti niente da fare. Se penso alla concezione di talento, mi vengono in mente Benigni, la Loren, la Magnani o, tra i giovani, Gassman. Io non so se ne ho in merito alla recitazione: so solo di essere pienamente soddisfatta di quello che sto facendo oggi. D . – Pensiamo un attimo a “La grande bellezza” di Paolo Sorrentino: un film “Premio Oscar” che, in fondo, su un'idea molto semplice ed elementare di decadenza ha creato un caso. R . – Sorrentino credo sia stato talmente eccezionale e geniale, da aver messo a punto una trama attorno ad una rappresentazione di decadenza che, in fondo, ciascuno avrebbe potuto raccontare a proprio modo. Ma lui è arrivato prima e ha meritato l'Oscar. D . – In fondo, Elena, anche io e lei potremmo in questa chiacchierata mettere a punto un'idea che racconti i giorni nostri, trasportandola sul grande schermo trovando i giusti mezzi. Magari potrebbe essere vincente per il prossimo Oscar? R . – (Dopo una risata comune, ndr) Guardi che lei scherza, ma potrebbe essere proprio così. Chissà che non accada.
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D . – Mai dire mai. Torniamo a noi, senza fare voli pindarici. Cosa le piacerebbe fare oggi in tv? R . – Mi piacerebbe fare un programma sulla moda, avendone conoscenza sul campo, creandomelo proprio su misura, sulle mie corde. Sarebbe proprio bello. D . – Ad un giovane che volesse entrare a far parte del mondo dello spettacolo, cosa si sentirebbe di suggerire oggi? R . – Innanzitutto consiglierei di trovarsi prima un altro lavoro, che gli assicuri almeno la pagnotta. Dieci anni fa non le avrei risposto così: oggi i tempi sono cambiati e bisogna stare con i piedi per terra, ben saldi alle proprie radici. Poi, se c'è il famoso talento, qualcosa prima o poi accade. Senza mai avere grandi aspettative, pronte a generare conseguenti delusioni. D . – Metaforicamente, infine, allo specchio: come si riflette oggi Elena Barolo? R . – Oggi mi sento appagata. Sono felice e sto bene con il mio fidanzato ormai da più di due anni. Credo di non poter chiedere altro al momento. Gianluca Doronzo
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Simona Borioni
LA SIGNORA DELLA FICTION
Espressiva, talentuosa e di grande fascino: l'interprete di «Vivere» e «Il mistero del lago» (in passato sulle reti Mediaset) sta affrontando «con ironia e divertimento» la sit-com «Bye bye Cinderella» (La5, ogni martedì, ore 23.05), per la regia di Davide Picardi, accanto a Giulia Greco, Marta Zoboli e Carola Clavarino, raccontando le nevrosi delle donne moderne
Ritratto di una bell'anima di nome Simona Borioni: un'attrice «in viaggio», in attesa di un «bel ruolo in un film d'autore o in una fiction in costume»
Una bell'anima in viaggio. Non potrebbe esserci metafora migliore per definire Simona Borioni, alla luce di una recente chiacchierata telefonica intima, vera e, soprattutto, leale. Nota per aver partecipato alla soap “Vivere” su Canale 5 e alle fiction “Il mistero del lago” e “Due imbroglioni e... mezzo!” (con Bisio e la Ferilli) sulle reti Mediaset, ammette di non sentirsi “ancora pienamente centrata nel percorso fatto”, essendo molto severa con se stessa e autocritica (“mi piacerebbe fare un film d'autore o vestire i panni di un personaggio in costume in una fiction”). Ma, per fortuna, è anche molto autoironica (“nella vita privata dicono che sono buffissima”) e lo sta dimostrando nella seconda stagione della sit-com “Bye bye Cinderella” (La5, ogni martedì, ore 23.05), per la regia di Davide Picardi, assieme a Carola Clavarino, Giulia Greco e Marta Zoboli. In primo piano ben tredici ritratti “divertenti e irriverenti” di donne moderne. Domanda – Dal 6 maggio (ogni martedì alle 23.05) su La5 è iniziata la seconda stagione della sit-com “Bye bye Cinderella”, per la regia di Davide Picardi, accanto a Marta Zoboli, Giulia Greco e Carola Clavarino. In primo piano ben tredici ritratti “divertenti e irriverenti” di donne moderne. Che dire in merito alla sua performance? Risposta – Trovo che l'idea su cui verte la sit-com sia, dal mio punto di vista, non solo “divertente e irriverente”, ma meravigliosa, originale e intelligente in toto: mostrare le donne che si prendono in giro è sinonimo di grande gioco e autoironia. Tra l'altro, mentre noi giravamo non sapevamo bene cosa le altre stessero interpretando: per cui per ciascuna
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LA SIGNORA DELLA FICTION
“rivederci” è stata una vera e propria sorpresa. Di sicuro quello che mettiamo a punto è un gran bel prodotto. D . – Ritiene, dunque, la sit-com un genere a lei congeniale? R . – Assolutamente sì. Ironizzare sulle nevrosi delle donne moderne non può che renderle vere, intelligenti e di gran lunga superiori agli uomini. Il nostro è un universo “dolcemente complicato”, come dice la canzone della Mannoia e non potrebbe essere diversamente. Io sono una che si prende molto in giro: nella vita privata mi hanno sempre detto di essere buffissima. Avevo, tra l'altro, già affrontato ruoli divertenti, nei quali mettermi a nudo negli aspetti più ilari. Per cui mi ci sento perfettamente calzante. Poi va da sé che sono anche una persona molto autocritica e, soprattutto sul lavoro, sono molto esigente con me stessa prima che con gli altri. D . – In “Bye bye Cinderella”, nello specifico, interpreta ben tre ruoli: ce ne parli. R . – Esatto. Innanzitutto sono la “Madrina”, una Marlon Brando in gonnella e lì esprimo simpaticamente tutto il boss che è in me: vesto i panni di una donna mafiosa che gioca ad accattivarsi la vittima di turno al maschile. Come dire: “Prima ti porto da me e poi ti colpisco, anche verbalmente”. Poi c'è la misofobica, ossessionata dalla paura dei batteri: igienizza tutto quello che la circonda, convinta che ci siano germi dappertutto. Si tratta di un personaggio che mi fa tenerezza, perché alla resa dei conti risulta una donna sola. Infine c'è l'esponente delle prefiche: in ogni puntata assisto ad un funerale e, di volta in volta, cambio personaggio (una volta sono alla cerimonia di una pornostar, un'altra di un'altolocata e via dicendo). Il tutto puntualmente con grande divertimento. D . – Che fase, in generale, sta attraversando la fiction italiana? R . – Credo, sinceramente, di aver visto dei buoni prodotti ultimamente, soprattutto in merito alle biografie. Di sicuro, tuttavia, a causa della crisi in generale i palinsesti stanno soffrendo in merito alla mancanza di produzioni nelle quali investire, optando spesso per riempitivi, quasi a colmare il vuoto che c'è. Rispetto all'estero siamo un passo indietro, un po' in sofferenza per sceneggiatura e mezzi a disposizione. Ad esempio, mi avevano parlato molto bene di “Brothers and sisters”: mi sono procurata i dvd e devo ammetterle di essermi accanita alle puntate, divorando la serie in pochissimo. Bravura attoriale, autoriale e registica. Dovremmo prendere più spunto da questi prodotti. D . – Quale ruolo le piacerebbe affrontare oggi in una fiction? R . – Spesso mi sento ripetere che il mio viso è adatto per una serie in costume, allora le rispondo che mi piacerebbe interpretare un'eroina romantica, d'epoca, con un'accezione positiva. Che dirle? Una sorta di rivisitazione moderna de “Le relazioni pericolose”, essendo però Michelle Pfeiffer e non Glenn Close. D . – Qual è il suo punto di vista sul film “La grande bellezza”, vincitore del “Premio Oscar”? R . – Ah, bella domanda! Lo dico subito: non l'ho visto al cinema e neanche quando lo hanno trasmesso in tv, perché ero impegnata. Mi sono procurata il dvd e l'ho visto
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LA SIGNORA DELLA FICTION
comodamente a casa, da sola, una sera. A me è piaciuto tantissimo: l'ho trovato metafisico, visionario, registicamente eccellente. Mi è piaciuta tantissimo Sabrina Ferilli, con commozione nel suo ruolo. Si tratta di un film che ripercorre la realtà dei nostri giorni e la fotografa lucidamente: credo sia stato più che meritato il “Premio Oscar”. D . – Simona, a che punto del suo percorso sente di essere oggi? R . – Dico la verità: ormai da diverso tempo non mi sento ancora pienamente centrata nel percorso che vorrei. È come se avessi una sorta di insoddisfazione, non avvertendo di aver potuto esprimere pienamente quello che posso. Il nostro è un lavoro fatto anche di fortuna e, per questo, penso di essere ancora “in viaggio”. C'è tanto cammino da fare. Ma, allo stesso tempo, ritengo che se mai dovesse arrivare l'occasione tanto auspicata, per mia natura sarei ugualmente inquieta, in quanto voglio fare sempre meglio. Sabrina Ferilli, con la quale ho avuto modo di lavorare in fiction, è una grande attrice: in diverse interviste ha puntualmente sostenuto che un attore dà il meglio di sé, quando c'è il personaggio. Ed ha ragione. Se manca la materia prima, non puoi dare il mille per mille. Ad esempio, io oggi mi sentirei centrata se affrontassi un ruolo in un film d'autore. Lo desidererei tanto. D . – Lei da un paio di mesi è diventata testimonial della Onlus “Pronto intervento panico”, nata nel 2011 per volontà della dottoressa Barbara Prampolini. Da cosa è stata dettata la sua presenza? R . – Io sono stata scelta, in seguito ad alcune mie interviste, proprio dalla dottoressa Prampolini, che ha trovato in me la giusta referente per umanità, comprensione della causa e volontà di mettermi al servizio del prossimo. Il bello è che non sapeva in passato, circa dieci anni fa, io fossi stata vittima di “questo mostro”, come lo chiamo: pensi che, ad un certo punto, me l'ero fatto amico (lo definivo “amico-nemico panico”). E ne sono stata vittima per un anno intero: sono stata poi fortunata nel trovare uno psicoterapeuta, il dottor Prosperi di Roma, competente e di grande aiuto nel mio percorso. Oggi il mio desiderio è quello di mettermi al servizio della causa nelle scuole, nelle associazioni, potendo concretamente fare qualcosa di utile. Poi, sinceramente, mi fa anche un po' sorridere essere definita “testimonial”, per me più sinonimo di brand di abiti per stilista. Mi sento più una donna, pronta a mettere la sua esperienza al servizio degli altri. D . – Bene, Simona: attraverso la nostra chiacchierata sono venute fuori tutte le declinazioni della sua personalità, anche con aspetti inediti. Se dovesse, infine, riflettersi metaforicamente allo specchio, cosa vedrebbe oggi? R . – Come persona quando mi guardo allo specchio, oggi sono dispiaciuta di essermi un po' indurita, raffreddata, diventando quasi più diffidente. La mia intimità la riservo “ai miei quattro fratelli”, così come amo definirli, ovvero agli amici di sempre. Ora, nonostante questo aspetto, ritengo che Simona in generale sia una “bella anima”. Professionalmente dico sempre di poter fare di meglio, di dover migliorare. È nella
mia natura il chiedere tanto a me stessa in primis. Ma credo sia un aspetto positivo, no? Vuol dire che ho puntualmente voglia di mettermi in discussione in ciò che faccio, senza mai sedermi sugli allori. Gianluca Doronzo
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Andrea Castrignano
TV E ARCHITETTURA - L'INTERIOR DESIGNER
L'interior designer Andrea Castrignano («in prestito alla tv») anima ogni mercoledì su La5 (ore 21.10) la quarta stagione del programma «Cambio casa, cambio vita!», raccontando 12 storie di famiglie italiane (incluse nell'omonimo libro edito da Mondadori), alle prese col «profondo desiderio di ristrutturare la propria abitazione», avvalendosi di soluzioni «pratiche e ricche di fantasia»
«La soddisfazione più grande? Aver dato lavoro a tante persone che mi affiancano: attualmente abbiamo ben 33 cantieri aperti. Ne sono commosso»
“La soddisfazione più grande? Aver dato lavoro a tante persone che mi supportano: attualmente abbiamo ben 33 cantieri aperti. Ne sono commosso”. Andrea Castrignano non è solo uno dei più apprezzati “interior designer” in Italia: ha grande umanità, spirito propositivo e voglia di fare “della sana creatività” il motivo conduttore del suo percorso. Lo dimostra nella quarta stagione della docu-reality “Cambio casa, cambio vita!” (La5, ogni mercoledì, ore 21.10), raccontando 12 storie di famiglie del Belpaese, alle prese col profondo desiderio di ristrutturare le mura domestiche, attraverso soluzioni “pratiche, efficaci e ricche di fantasia”. Una vera missione quella di rendere “l'abitazione viva”: così fra quarta ristampa dell'omonimo libro (edito da Mondadori), progetti continui e un'equipe ben collaudata, al telefono fa un po' il punto della situazione sul programma (“differente da altri che si attestano solo sull'aspetto solidarietà”), dichiarando quanto sia diventato (simpaticamente) “l'incubo dei mariti”: ebbene sì, “perché le mogli non possono più fare a meno di mettere a nuovo i propri appartamenti”. Vi pare poco? Domanda – Andrea, è iniziata la quarta stagione di “Cambio casa, cambio vita!”, in onda per otto settimane su La5 il mercoledì alle 21.10. Come sta andando e che bilancio sentirebbe di tracciare? Risposta – Il bilancio è ottimo: la nostra è una trasmissione molto seguita, in maniera sempre più crescente. Gli italiani si sono affezionati al nostro taglio narrativo e hanno voglia di migliorare la qualità della vita della propria casa, optando per gusto, stile e cifre sempre più personali. D . – Potremmo definire il suo una sorta di esempio di docureality? R . – Assolutamente sì. Raccontiamo i lavori che vogliono mettere a punto nelle proprie abitazioni i nostri clienti, cercando di assecondarne peculiarità, richieste e intenzioni. Lo sviluppo del programma si rende sempre più realistico di puntata in puntata e, soprattutto, dà centralità alla nostra professione, cercando di entrare in piena sintonia con chi abbiamo accanto, rispettandone volontà e principi. Non si spiegherebbe diversamente il fatto che siamo arrivati ben alla quarta stagione: un record nel settore. D . – In che modo il suo si differenzia rispetto a contesti tipo “Extreme Makeover Home Edition Italia” (Canale 5, ogni lunedì, ore 21.10, oltre 3milioni300mila spettatori in media, con Alessia Marcuzzi)? R . – In “Extreme”, un format collaudato da tanto, si punta sull'aspetto solidarietà. Da noi è protagonista la gente che ha una casa e ha, soprattutto, voglia di renderla più bella e confortevole. Il nostro è un contesto molto più identificabile: noi raccontiamo dei lavori, pagati dai clienti, fatti su misura sulle intenzioni di chi li commissiona. Cerchiamo di soddisfare la domanda delle persone, al cui servizio mettiamo noi stessi. D . – Per molti italiani, però, la casa risulta ancora un sogno,
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soprattutto per i giovani, alla luce della crisi che ormai stiamo vivendo da diversi anni. R . – Io direi che in Italia ben il 70% delle persone ha una casa di proprietà: si ha voglia di ristrutturare e vivere al meglio la propria abitazione. Un dato del quale ci occupiamo proprio nel nostro programma su La5. Va da sé che esistono più di 20 milioni di alloggi vetusti: bisogna rendersi contemporanei e ogni intervento risulta fondamentale per la vivacità della propria casa. D . – La figura dell'interior designer quanto è valorizzata in Italia, anche da un punto di vista televisivo? R . – La nostra è una figura molto completa: siamo, per così dire, i “santi psicologi” delle persone al cui servizio mettiamo tutta la nostra inventiva. Non ci limitiamo alla progettazione degli spazi: accompagniamo il cliente che ha bisogno di una guida verso la luce, verso il meglio delle proprie mura domestiche. Come dire: è un po' una missione la nostra. D . – L'omonimo libro, edito da Mondadori, come sta andando?
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R . – Siamo giunti alla quarta ristampa. Quando abbiamo confezionato il programma, Mondadori ci ha chiesto di mettere su carta il racconto delle storie delineate in tv. Così ho fatto un viaggio nelle 12 famiglie protagoniste della serie sul piccolo schermo, partendo dallo studio del progetto, manifestando il “prima e dopo”. Nel testo si approfondisce maggiormente il dettaglio rispetto al format televisivo: credo che il risultato sia stato ottimale, non solo da leggere, ma anche da sfogliare e conservare nel tempo. D . – “Dare vita alla propria abitazione”: una missione alla quale non può venire meno, vero? R . – Non possiamo fare a meno di dare un simile servizio ai nostri clienti. Ormai è come se guardassi la mia vita “in differita” nel programma, facendo il punto della situazione sulle nostre capacità lavorative. Non sono un attore o un conduttore, sono solo un professionista “in prestito alla televisione”, convinto di quello che fa, col profondo desiderio di metterlo a punto al meglio, avvalendosi di una squadra efficace di
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collaboratori. D . – Cosa vorrebbe potesse accadere alla conclusione della quarta stagione di “Cambio casa, cambio vita!”? R . – Mi piacerebbe che il seguito fosse sempre maggiore. So di essere diventato “l'incubo dei mariti”, in quanto per colpa mia le mogli ormai vogliono cambiare la casa. Io credo si possa sempre optare per il buon gusto: la nostra è una realtà televisiva ben consolidata, nata da un format del 2009. Cerchiamo di metterci tutta l'anima, non deludendo le aspettative di chi ci segue. D . – Metaforicamente, infine, allo specchio: come si riflette oggi Andrea Castrignano? R . – A volte mi specchio e con grande umiltà ancora non credo a quello che è accaduto nel mio percorso: tanta gente mi ha dato la forza di andare avanti. Moltissimi ci seguono e scrivono. Dispensare tutti questi aiuti mi gratifica e lusinga. E, alla resa dei conti, sa qual è la soddisfazione più grande? Riuscire di questi tempi a dare posti di lavoro a tanti che mi supportano, avendo uno studio con attualmente ben 33 cantieri aperti. Credo non ci sia gratificazione maggiore dell'aver dato un'occupazione a tante, ma ribadisco tante persone. Ne sono commosso. Gianluca Doronzo
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La tv che vedremo
LA TV CHE VEDREMO
Storici volti del piccolo schermo e celebri attori saranno protagonisti ad ottobre del rinomato programma comico di Canale 5, portato al successo dalla coppia Claudio Bisio-Michelle Hunziker
Una girandola di conduttori per la nuova edizione di «Zelig», Amendola e Brugia di nuovo in tv, il rapper Clementino ad «Un posto al sole»: le «video» novità da non perdere
Una girandola di conduttori per la nuova edizione di “Zelig”, ad ottobre su Canale 5. Gli attori Claudio Amendola e Danilo Brugia tornano in tv, dando nuovamente vita a “personaggi storici” della loro carriera. Laura Pausini sarà coach in “The Voice of Mexico” e il rapper Clementino parteciperà ad una puntata della soap “Un posto al sole” su Raitre. Le “video” novità per voi. Michelle Hunziker, Ambra Angiolini, Rocco Papaleo e Fabio De Luigi – La prossima edizione di “Zelig”, prevista su Canale 5 agli inizi di ottobre, sarà ricca di volti noti del piccolo e grande schermo. Non più un solo “padrone di casa”, ma tanti personaggi a rotazione animeranno le puntate. Oltre, pertanto, agli storici Teresa Mannino e Mago Forest, si preannunciano Michelle Hunziker, Rocco Papaleo, Ale & Franz, Ficarra & Picone, Ambra Angiolini e Fabio De Luigi. Ma non finisce qui. In trattative ci sarebbero altri esponenti dell'eccellenza artistica “made in Italy”, ancora top secret. Location: la nuova tensostruttura del “Linear4Ciak” di Milano. E ci sarà da divertirsi. Claudio Amendola – A settembre tornerà su Canale 5 nella nuova serie de “I Cesaroni”, accanto alla new entry Christiane Filangieri. Per il momento Claudio Amendola è sul set del film “Noi, la Giulia e altri circoli”, diretto da Edoardo Leo. La trama ruota attorno ad un quarantenne “bugiardo incallito”, disposto ad aprire un agriturismo con due persone viste una sola volta. Risate e complicazioni garantite. Nel cast anche Luca Argentero e Anna Foglietta. Danilo Brugia – A volte ritornano. Il suo “Stefano Rocca” è stato uno dei personaggi più amati di “Centovetrine” su Canale 5: agli inizi del 2015 è prevista la sua rentrée proprio nella soap, per la gioia di tutti i fan. E tante novità si faranno strada negli episodi. Laura Pausini – Dopo i quasi 6milioni di spettatori dello show “Stasera…Laura!” su Raiuno, in onda lo scorso 20 maggio, per la Pausini si preannuncia un nuovo impegno televisivo: sarà fra i coach di “The Voice of Mexico”. A conferma di una carriera sempre più internazionale. Luciana Littizzetto – La professoressa “Passamaglia” ormai è un personaggio amato dal pubblico: Luciana Littizzetto tornerà ad indossarne i panni nella terza stagione di “Fuoriclasse” su Raiuno, il cui set è stato aperto proprio in questi giorni. Per la messa in onda bisognerà aspettare il prossimo anno. Clementino – Con il brano “O' Vient” ha scalato le classifiche negli ultimi mesi, diventando uno dei rapper più quotati del panorama contemporaneo. Per Clementino si apriranno anche le porte della tv, partecipando come guest alla puntata del 19 giugno della soap “Un posto al sole”, in onda su Raitre alle 20.35, interpretando se stesso in qualità di ospite di una radio, il cui direttore editoriale è diventato Michele Saviani (Alberto Rossi). Gianluca Doronzo
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Alessandro Errico
MUSICA - IL RITORNO
Diventato famoso grazie a Maria De Filippi, scoperto discograficamente da Caterina Caselli, in primo piano nelle copertine negli Anni '90: Alessandro Errico torna sulle scene col singolo «Il mio Paese mi fa mobbing», utilizzando una cifra ironica per raccontare la quotidinità dei suoi coetanei («dai 19 ai 70enni»), invitando ad essere «puntualmente critici»
«Vorrei accendere delle fiammelle nel cervello delle persone, mantendendo fede alla libertà della mia musica con un solo obiettivo: avversare l'indifferenza»
Se per Pirandello “la più grande ambizione è quella di accendere delle bombe nel cervello delle persone”, ad Alessandro Errico basterebbero “anche solo delle fiammelle”. L'importante è che ciò accada con la “libertà della sua musica, avversando l'indifferenza”. Un universo “ironico, intelligente e ricco di riflessione” ruota attorno al celebre cantautore romano (oggi 40enne), tornato sulle scene dopo l'exploit degli Anni '90 grazie a due donne: Maria De Filippi (da un punto di vista televisivo) e Caterina Caselli (discograficamente parlando). Con intensità ripercorre la sua carriera, fra alti e bassi (“probabilmente credo di essere la somma dei miei errori: bisognerebbe guardarsi da tutte le angolazioni, quando si fa un esame di coscienza. Ma rifarei tutto quello che ho fatto, senza alcun timore”), raccontandosi nel singolo “Il mio Paese mi fa mobbing”, una sorta di manifesto programmatico rispetto a quanto vissuto. Definito dall'Ansa “Il 15esimo big in gara a Sanremo, l'unico senza pass per il teatro Ariston”, è stato protagonista in maniera collaterale dell'ultima kermesse canora ligure, vincendo anche il “Premio della critica” ideato, fra gli altri, da Giò Alajmo, proponendo le sue sonorità, senza limitazioni di sorta. Segno di una personalità incisiva, capace di lasciare il segno, pur prendendo le distanze dal mercato, dalle classifiche e dalle imposizioni dello showbiz. Ecco il “grido del suo silenzio”. Domanda – Alessandro, parafrasando il titolo dell'ultimo singolo, perché “il suo Paese le fa mobbing”? Risposta – (Dopo una risata comune, ndr) L'io narrante della mia canzone è proprio la condizione nella quale il nostro Paese ci fa vivere: ho cercato, attraverso il mio pezzo, di sublimare quello che sta accadendo ai miei coetanei, dai 19 ai 69/70 anni. Sembra si stia facendo di tutto per privarci della libertà d'espressione, fondamentale in una democrazia. E ci stanno facendo venire meno la possibilità di un lavoro, in maniera sempre più esplicita ed evidente. Dobbiamo aiutarci a vicenda per dare un senso e una prospettiva al nostro futuro, quasi immaginandolo, visto che non ci sono i presupposti per viverlo pienamente oggi. Il mio è un brano che “fotografa”, per così dire, quanto ci sta accadendo. Ma, allo stesso tempo, vuol far sì che si reagisca. D . – Dal suo exploit negli Anni '90 ad oggi cosa è accaduto? R . – Potrei rispondere proprio col titolo della mia canzone, in fondo un vero manifesto programmatico rispetto al mio sentire. Diciamo pure che nei meccanismi che ci circondano c'è un “che” di grottesco. Viviamo un'epoca nella quale ci sentiamo quasi “cittadini clandestini” nella propria terra, fagocitati dai media e impossibilitati nell'agire e proporre. È come se fossimo dominati da un sistema che ci implode, nostro malgrado. Attraverso la musica e la comunicazione si può agire e, soprattutto, reagire. D . – Non solo: lei utilizza nei suoi pezzi l'ironia, una chiave di volta per arrivare dritti al pubblico. R . – Sono d'accordo e parto da un presupposto: la comunicazione è abbastanza arenata oggi nella sua definizione di concetto. Si fatica a viverla pienamente e a
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MUSICA - IL RITORNO
metterla in atto, in maniera sana e pulita. Viviamo, probabilmente, nell'epoca più ideologizzata che esista. L'ironia, a mio parere, è la chiave di volta per raccontare meglio quello che spesso non possiamo dichiarare apertamente, ma solo in maniera velata. Mi riferisco alla verità. R . – L'utilizzo dell'ironia mi fa venire in mente Caparezza, tornato di recente sulle scene con “Museica”: ho avuto modo di intervistarlo e ha dichiarato che “dopo anni di pezzi polemici”, finalmente ha utilizzato l'ironia come cifra per raccontare quello che non va nel quotidiano. D . – Sono contento che citi Caparezza: lo conosco da anni, da quando cantava come “Mikimix”. Lui è un grande: si tratta di un artista molto acuto, intelligente e preparato. Io utilizzo una frase, che mi sta molto a cuore: “Odio gli indifferenti”. Per me fare musica e scrivere parole è prima di tutto un diritto, raccontando quello che vedo senza filtri, con la mia cifra e il mio universo. Mi avvalgo dell'ironia attraverso la musica leggera. Caparezza utilizza l'hip-hop per raccontare i nostri giorni, denunciando anche quello che non va in maniera divertente. Io e lui siamo molto diversi, ma credo abbiamo fatto dei percorsi paralleli. Ci accomuna l'amore per la musica, che nessuno potrà portarci via. D . – Mi spieghi un attimo: lei si è definito “il 15esimo big in gara a Sanremo, l'unico senza pass per il teatro Ariston”. Cosa ha voluto dire? R . – (Dopo una risata comune, ndr) Guardi, quella è stata una
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definizione dell'Ansa, in occasione dello scorso “Festival di Sanremo”. Io sono stato presente all'ultima edizione della kermesse non in gara, ma facendo una polemica collaterale, in maniera intelligente. Ho cercato di andarci con ironia, chiedendo l'aiuto degli amici giornalisti e la mia presenza è diventata subito un caso “virale”: in Internet si è scatenato il putiferio. Sono stato nella riviera ligure a portare il mio mondo e ho vinto anche il “Premio della critica”: ho voluto parlare di un sistema fatto di artisti che hanno qualcosa da comunicare, sui quali non sempre si accendono le luci della ribalta. In questa direzione “Il mio Paese mi fa mobbing”. D . – Avendo fatto “Sanremo” nel '96/97, tornerebbe in gara? R . – Io considero “Sanremo” il “Festival” della musica nazional-popolare, l'unica vetrina rimasta in piedi. Ritengo sia ancora un'occasione di promozione per far arrivare a tantissimi milioni di persone il tuo lavoro. In una sola settimana entri nelle case di tutti. Oggi, forse, paga lo scotto dei “talent”: sembra che i ragazzi che ne vengono fuori, debbano passare tutti da lì, altrimenti non ha senso la manifestazione. Ho l'impressione che la kermesse sia in una fase di transizione: anche questa annata l'ha dimostrato. Vedremo cosa accadrà in futuro con Carlo Conti. D . – A proposito: le piace Carlo Conti alla conduzione? R . – Si tratta di una figura istituzionale, giusta per una manifestazione che arriva a milioni di spettatori. Capiremo come articolerà il “Festival”.
MUSICA - IL RITORNO
D . – Se le dico Maria De Filippi e Caterina Caselli, cosa mi risponde? R . – Due grandissime donne: hanno notevoli capacità e talento. Per me sono come una seconda e terza mamma. Maria mi ha scoperto, Caterina mi ha dato delle grandi possibilità. Ritengo abbiano dimostrato, con i loro percorsi e con le scelte fatte, di essere delle signore “numero uno” nei loro campi. D . – Cosa vorrebbe potesse emergere dalla sua musica oggi, Alessandro? R . – Penso che la più grande ambizione sia quella di “accendere delle bombe nel cervello delle persone” (come diceva Pirandello). Nel mio caso, ovviamente, volo più basso: vorrei anche solo “accendere delle fiammelle” in chi mi ascolta, potenziandone spirito critico, senza lasciarsi fagocitare da
quello che accade e si vive. Vorrei continuare semplicemente a raccontare quello che vedo. D . – E, alla luce di quello che vede, come si riflette oggi metaforicamente allo specchio? R . – Probabilmente io credo di essere la somma dei miei errori. Bisognerebbe guardare se stessi da tutte le angolazioni, accettando anche di avere la consapevolezza dei propri limiti. Io rifarei tutto quello che ho messo a punto negli anni, senza alcun timore. Diciamo, in fin dei conti, che se proprio dovessi riflettermi allo specchio oggi vedrei una persona, per così dire, “parzialmente scremata”, consapevole di quello che ha fatto, pronta a continuare un percorso a testa alta, senza piangere – giusto per rimanere in tema - sul latte versato (e scoppia una risata in comune, ndr). Gianluca Doronzo
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Park Avenue
MUSICA - IL GRUPPO IN ASCESA
A quattro anni di distanza dall'esordio con «Time to», i Park Avenue (capitanati da Federico Marchetti) hanno pubblicato il secondo album, dal titolo «Alibi», anticipato dai pezzi in rotazione radiofonica «Ossigeno» e «L'enigma»
«La nostra identità? Un mix di live e rock, fra lingua italiana e inglese, cercando di arrivare direttamente al cuore degli ascoltatori»
La loro identità? Un mix di rock melodico e tanti “live”, scrivendo pezzi in inglese e in italiano (“non ci precludiamo alcuna strada: per il momento va bene così”). A quattro anni di distanza dall'esordio discografico con “Time to”, i Park Avenue (Vinicio Vinago alla batteria, Marcello Cravini alle chitarre e Alberto “Spillo” Piccolini al basso), originari di Novara, stanno ottenendo un buon riscontro di pubblico e critica con “Alibi”, anticipato dai singoli “Ossigeno” e “L'enigma”. Quattro amici “che si vogliono bene e continuano a condividere la passione per la musica, vedendo spuntare qualche ruga e capello bianco”: così il leader, Federico Marchetti (voce e chitarra), definisce la band in una piacevole chiacchierata telefonica, delineando un “viaggio compositivo” alla ricerca di “continue esperienze e contaminazioni”, puntualmente all'insegna della passione. Fra “tenerezza” per coloro i quali partecipano ai “talent” e bisogno di verità nel mercato, alla domanda su un'ipotetica presenza al prossimo “Festival di Sanremo” arriva una risposta ben precisa: “Mai dire mai. L'importante è rimanere se stessi, con le proprie sonorità”. Per la serie: Carlo Conti, dove sei? Domanda – A quattro anni dall'esordio discografico in inglese (“Time to”), siete tornati sulla scena con dodici brani inediti, prodotti in collaborazione con Rosario Parrotta: “Alibi” è stato anticipato dall'ep “Ossigeno”. Che dimensione si respira nel nuovo lavoro? Risposta – Questo è un disco nato mentre stavamo promuovendo quello precedente: diciamo che è stato messo a punto con una scrittura molto spontanea in linea generale, all'insegna di un mix di “live” e rock, cercando di far venire fuori al meglio la nostra identità. In realtà anche in questo album abbiamo scritto pezzi in inglese, nello specifico ce ne sono tre, dimostrando quanto non vogliamo precluderci nulla. Al momento, onestamente, non le so dire se continueremo in una lingua piuttosto che in un'altra: non è così semplice stare a fare delle previsioni. Prima la nostra natura ci portava a scrivere maggiormente in inglese, con una spiccata musicalità nei testi. L'italiano impone concetti più elaborati. Siamo alla ricerca della via migliore: per il momento ci esprimiamo e, umilmente,
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cerchiamo di farlo con dignità. D . – Come si collocano nello scenario odierno i Park Avenue? R . – Siamo un po' una via di mezzo. Crediamo che sia importante avere uno stile immediato e non scontato. Siamo così e il nostro genere è quello di fare rock melodico, con poca produzione in studio e attenzione agli arrangiamenti di quartetti d'archi. Forse succederà che in futuro ci sarà più respiro d'elettronica nel nostro universo. Per il momento la nostra alchimia sonora si pone in questa direzione e la portiamo avanti. D . – Perché, dal suo punto di vista, i gruppi sembrano fare più fatica nell'emergere rispetto ai solisti? R . – Secondo me ci sono molteplici motivi: un solista ha quasi la licenza di cambiare vestito, mentre ad un gruppo lo si perdona molto raramente, avendo un'impronta più marcata e decisa, con un preciso stile anche nella scrittura compositiva. Se una formazione di quattro elementi dovesse di volta in volta cambiare, dall'elettronica al melodico, sarebbe un disastro. Ad un cantante singolo è concesso di tutto: Robbie Williams, per esempio, ha spaziato nei generi ed è sempre “figo”. In Italia forse c'è una tendenza ad una musica popolare più standard, anche se non è detto che le cose non possano cambiare. Al
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momento magari è così. Poi si vedrà. D . – Qual è il suo punto di vista, Federico, a proposito dei “talent”? R . – A me dispiace sinceramente che ci siano tanti ragazzi ricchi di potenziale, non sempre compresi dal sistema, soprattutto a livello canoro. Come dire: se emergono sono spremuti, vivono la loro stagione di gloria e poi sono buttati via. Assaggiano solo il successo, ma non lo gustano alla lunga. Provo una sincera tenerezza per i ragazzi che partecipano ad un “talent”: non penso siano dei programmi formativi e performativi. Poi, per carità, ognuno è libero di fare le proprie scelte e le rispetto. D . – E se ci fosse la possibilità di partecipare al “Festival di Sanremo”, accettereste? R . – Mai dire mai. Lo vivremmo al meglio, solo se ci fosse una certezza di esserci. Esserci col nostro universo, senza filtri o condizionamenti vari. D . – “Sanremo” è comunque rimasta una delle poche vetrine musicali in Italia, no? R . – In Italia purtroppo è rimasta l'unica: non è più, ovviamente, quella di una volta. Oggi si spettacolarizza tutto e la declinazione è nel varietà. A me spiace constatare come
MUSICA - IL GRUPPO IN ASCESA
manchino contesti tipo il “Festivalbar”, dove c'era la possibilità di dare spazio agli emergenti anche d'estate. Canali come Mtv hanno scoperto i Subsonica, gli Afterhours e tanti altri gruppi diventati protagonisti della scena sonora: oggi tutto questo lavoro di “scouting” manca. Cosa c'è al momento in video? “Uomini e donne” e tante altre trasmissioni voyeur. Bisognerebbe occuparsi di giovani emergenti, dando loro concretamente una possibilità. D . – Avete fatto molti concerti all'estero: quali differenze rispetto all'Italia? R . – Onestamente all'estero è tutta un'altra cosa. Il pubblico è educato alla musica, va a seguire con curiosità un gruppo che non conosce e ti applaude con calore, supportandoti. Ti dà modo di ottenere dei risultati, mostrandoti affetto e stima. In Italia vai in tv se sei “figo”, a prescindere da quello che proponi. Da noi è necessario educare il pubblico ai live: spesso vengono a vederti e non ti conoscono neanche. Bisognerebbe dare maggior senso a quello che si fa, creando anche delle
manifestazioni ad hoc per i giovani. D . – Come vorrebbe potesse proseguire il percorso dei Park Avenue? R . – Sempre meglio e più che altro “sempre”. Vorrei ci fosse maggiore spazio per i nostri lavori, in quanto crediamo pienamente in quello che facciamo. Il nostro obiettivo è perseguire la semplicità, la spontaneità e il suonare dal vivo, onorando l'essenza più pura. D . – Metaforicamente, infine, allo specchio: come si riflettono i Park Avenue? R . – Sinceramente non lo so. Siamo quattro persone che stanno facendo un percorso assieme, iniziando a vedere qualche capello bianco spuntare, con un pizzico di rughe in più. Se, però, dovessimo guardarci profondamente allo specchio, verrebbe fuori che siamo contenti di essere ancora noi quattro, visto che ci vogliamo bene. Condividiamo con fedeltà e gioia la nostra musica: una vera e propria vittoria. Gianluca Doronzo
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Moody
MUSICA - IL GRUPPO IN ASCESA
«Ipnosi» è il terzo singolo estratto dall'album «Oltre le apparenze», con cui i lombardi Moody (DiMo, Nino Maggioni, Emanuel Bisquola e Francesco Calabretti) si stanno imponendo all'attenzione dei media, proponendo sonorità rock e ballad suggestive («declinando in tutte le sfumature il tema dell'amore»)
«Non è facile affrontare il mercato discografico in tempi di crisi: noi puntiamo sull'autoproduzione e sulle piattaforme digitali, per crescere sempre di più»
In tempi di crisi non è facile affrontare il mercato discografico. I lombardi Moody (Mariano Dimonte, Emanuel Bisquola e Francesco Calabretti) hanno fatto fronte a questa (apparente) difficoltà, optando per “l'autoproduzione e le piattaforme digitali”: così il loro secondo album, dal titolo “Oltre le apparenze”, sta pian piano conquistando un campo d'esistenza sempre maggiore, essendo già arrivato al terzo singolo in rotazione radiofonica. Stiamo parlando di “Ipnosi”, una vera e propria “danza di corteggiamento, con atmosfere un po' morbose”, come ribadisce il chitarrista Nino Maggioni, disponibile per una chiacchierata nella quale fa il punto sull'universo di una band “fra rock e ballate suggestive”. Non perdendo di vista l'essere “colonna sonora” di diverse pubblicità (“Let's party” è stato il pezzo sincronizzato in tutta Europa in merito allo spot della “Fiat Punto”). Domanda – Dal 20 maggio siete in rotazione radiofonica con “Ipnosi”, terzo singolo estratto dall'album “Oltre le apparenze” (disponibile su tutte le piattaforme digitali): come sta andando il vostro lavoro? Risposta – “Ipnosi” è il terzo estratto dal disco e, nella sua maniera, è un pezzo che parla d'amore: si tratta, nello specifico, di una sorta di danza di corteggiamento, con atmosfere un po' morbose. Abbiamo avuto modo di raccontare il nostro “umore” con una cifra sicuramente personale, atipica e del tutto rappresentativa del nostro universo. D . – In che maniera “Oltre le apparenze” si differenzia rispetto al vostro precedente disco? R . – A differenza del nostro precedente lavoro, stavolta abbiamo puntato sull'autoproduzione e sulle piattaforme
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MUSICA - IL GRUPPO IN ASCESA
digitali, arrivando ad un pubblico ancora più vasto: ormai bisogna fare i conti col web, in tutte le sue declinazioni possibili. Io, Mariano Dimonte, Emanuel Bisquola e Francesco Calabretti abbiamo cercato di fare il nostro meglio, mettendo a punto suoni incisivi in un mix di dieci inediti e tre cover. A quanto pare il risultato sta piacendo. D . – Abbiamo parlato di “autoproduzione e indipendenza”: è vero che “Oltre le apparenze” è nato come progetto finanziato in parte proprio dagli internauti? R . – Esattamente. Abbiamo raccolto una cifra, per poter permetterci in parte di ammortizzare i costi del disco. Non solo: abbiamo reso protagonisti coloro che ci hanno supportato, facendoli partecipare proprio ad uno dei nostri video. In questa maniera abbiamo dimostrato quanto “la musica e l'arte siamo noi”. Un principio che ci sta da sempre a cuore. D . – Di sicuro con un'autoproduzione si sceglie di perseguire la strada del coraggio, vista la crisi del mercato discografico e la difficoltà da parte dei cosiddetti “talent scout” nell'investire sui giovani. R . – Di coraggio ce ne vuole tanto. La strada della distribuzione non è per nulla facile: se non sei ben pubblicizzato, difficilmente arrivi alla gente. Noi ce la mettiamo tutta, affidandoci proprio alla “rete” nella stragrande maggioranza dei casi. La nostra è una sfida bella e buona: cerchiamo di coinvolgere tante persone nel nostro universo, anche e soprattutto attraverso il passaparola. D . – Perché in Italia sembra esserci maggiore difficoltà per un gruppo nell'imporsi sul mercato? R . – Perché siamo un po' figli del “tutto e subito”: oggi diventi famoso nell'arco di un mese in un programma televisivo,
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soprattutto da solista; costruisci un prodotto su un singolo di successo e, dopo che ne sono state esaurite le potenzialità ed è diventato fonte di guadagno, lo prendi e lo scarichi, passando al successivo. Per un gruppo è tutto più macchinoso e questo forse spaventa. Scrivere musica è un piacere e, allo stesso tempo, un sacrificio da portare avanti con tutta la propria creatività, pur di lasciare un piccolo segno. Un tempo si faceva gavetta. Di sicuro i “talent” sono diventati dei trampolini di lancio per molti cantanti, anche bravi. Ma i percorsi si valutano alla lunga e non ne rimangono poi così tanti sulla scena, visto il mercato saturo. D . – Ha parlato di “talent”: che significa avere talento oggi? R . – Riuscire a trasmettere ciò che fai in arte, con la capacità di emozionare ed esprimere i propri sentimenti. Siamo in un'epoca in cui tutto è veloce e liofilizzato. Spero, tuttavia, si tratti di un momento di transizione, in quanto c'è tanta gente che vuole far vedere quello che sa fare, in quale maniera e, soprattutto, lo vuole comunicare. D . – A proposito di “comunicazione”: i Moody come si collocano nello scenario contemporaneo? R . – Sicuramente abbiamo radici rock. La passione per i Muse ci unisce. Diciamo che siamo una band pop-rock, pronta a perseguire la sfera cantautoriale, componendo anche pezzi in inglese. Ci piace spaziare e non fossilizzarci mai. D . – Moody e pubblicità: un binomio vincente? R . – Abbiamo già col primo cd cavalcato la pubblicità: “Let's party” è stato associato allo spot della “Fiat Punto”. Stiamo continuando su questa scia, grazie anche alla regia dei video di Gabriele Buttafuoco, in maniera molto interattiva ed interessante.
MUSICA - IL GRUPPO IN ASCESA
D . – L'amore è uno dei motivi conduttori della vostra cifra artistica, no? R . – Assolutamente. Nei nostri pezzi affrontiamo l'amore nelle sue sfumature, essendo puntualmente moderni con un occhio al passato. Mi spiego: magari alcuni brani nascono anche semplicemente da chitarra e voce, mentre altri si compongono in maniera più articolata. Utilizziamo i mezzi che abbiamo a disposizione, facendoci conoscere sempre di più. Facciamo molti “live” ed è questa la dimensione a noi più congeniale. E invitiamo i lettori a visitare il nostro sito, in modo tale da contattarci e apprezzare quello che facciamo sempre di più. D . – E se ci fosse “Sanremo” nel vostro futuro? R . – “Sanremo”, in realtà, ci sarebbe potuto essere in passato. Abbiamo detto di no. Avremmo potuto partecipare nella sezione “Giovani”, ma avremmo voluto portare il nostro mondo, senza filtri e imposizioni. Nel futuro si vedrà. D . – Crede, tuttavia, nel binomio musica-tv? R . – Ci credo: la tv è un buon veicolo per dare lustro alla musica. Penso ai tanti canali del digitale, in cui poter ospitare
emergenti e dare loro voce. L'unico problema odierno, a mio avviso, è nell'inflazione dei format: piccolo schermo, radio, web e stampa dovrebbero essere liberi di occuparsi degli artisti, senza alcun tipo di condizionamento o senza scalette e canovacci preconfezionati. La musica è libertà. D . – Nino, cosa si auspica per il proseguimento delle attività dei Moody? R . – Sicuramente spero arrivi quanto prima un altro album: abbiamo una gran voglia di suonare ovunque, di essere vicini al pubblico e fare tanti concerti in estate. Noi siamo dei musicisti, oltre ad essere quattro amici che si vogliono bene e si rispettano: vorremmo continuare a trasmettere emozioni col nostro sound. Se mi consente, infine, vorrei fare alcuni ringraziamenti. D . – Prego, sono a sua disposizione. R . – Vorrei ringraziare Simone Pavan (chitarre acustiche), Gabriele Buttafuoco, Giulia e Manuel Marzulli, fra gli altri. Si tratta di artisti e persone che ci hanno supportato tanto. Gianluca Doronzo
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Roberta Di Mario
MUSICA - IL TALENTO IN ASCESA
Cantautrice e raffinata pianista parmense, Roberta Di Mario vive il suo «momento in ascesa» dopo tanta gavetta, manifestando tutte le sfumature della sua anima nel doppio album «Lo stato delle cose», nato dall'incontro col produttore Pietro Cantarelli (lo stesso di Fossati)
«Anche se sono uno spirito inquieto, finalmente sento di portare avanti il mio progetto più maturo e centrato, alimentando il coraggio»
La “rinascita” di Roberta, alle prese col suo progetto “più maturo e centrato”. All'insegna di una costante ben precisa: il coraggio. Dopo tanta gavetta, riconoscimenti nazionali e numerose partecipazioni nelle rassegne musicali del Belpaese, la Di Mario (oggi 42enne) sta ottenendo la meritata attenzione con l'album “Lo stato delle cose” (un doppio lavoro, contenente la duplice declinazione canora in “Songs” e compositiva in “Walk on the piano side”), nato dall'incontro col produttore Pietro Cantarelli, lo stesso di Fossati (per intenderci). Convinta che la scrittura sia “una necessità, un'urgenza espressiva”, consapevole che il “talento” si coniughi con la “fortuna e tanto studio”, ha due sogni per il futuro (uno dei quali suggerito dall'intervistatore): mettere a punto una colonna sonora (ha musicato la mostra internazionale di Botero a Tokyo, fra l'altro) e partecipare al “Festival di Sanremo”, magari affiancando un “Campione” in gara (sarebbe, per così dire, la quadratura del cerchio del suo percorso). E lo spirito “perennemente inquieto” (da buona esponente del segno dell'ariete) si fa strada, fino all'epilogo della piacevole chiacchierata. Domanda – Roberta, il suo nuovo album s'intitola “Lo stato delle cose”: ce ne parli. Risposta – Si tratta del mio progetto più maturo e centrato, uscito il 28 marzo, giorno del mio compleanno. Nasce dall'incontro col produttore Pietro Cantarelli, lo stesso di Fossati: per me è stato come vivere una rinascita. Tra l'altro, vorrei specificare che è un doppio album, il che comporta
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MUSICA - IL TALENTO IN ASCESA
un'operazione abbastanza coraggiosa, alla luce dei tempi nei quali stiamo vivendo. Io sono una pianista e cantautrice: a dispetto di volte precedenti, ho voluto scindere le mie due anime ufficializzandole al pubblico su un duplice binario (“Songs” e “Walk on the piano side”). Spero di averlo fatto al meglio, nel rispetto dei gusti del pubblico e, soprattutto, della mia identità. D . – Ha parlato di “un'operazione coraggiosa”: dato non irrilevante di questi tempi. R . – Infatti. Purtroppo questo non è un momento facile e se si fanno grossi investimenti, non si sa mai come può andare a finire. Ci sono tanti punti interrogativi. Un disco credo sia un grande traguardo per ogni artista che si rispetti: ritengo che farne uno ogni due/tre anni sia una bella conquista, anche solo per il fatto di averlo fra le mani in senso fisico. È bello da vedere e ritengo sia affascinante anche l'estetica della confezione generale. D . – Scrivere e comporre oggi cosa significa? R . – Per me scrivere è una necessità, un'urgenza espressiva. Ho fatto della mia passione vitale il mio lavoro: il che non è poco oggi. Scrivere e suonare vogliono dire mettere a nudo la parte più intima di sé, essendo coraggiosi, facendo venire fuori la verità e la sensibilità. A mio avviso, è bello essere fedeli alla propria arte: il pubblico sa quando chi si propone sul palco è vero o meno, riconoscendone le qualità. Il musicista che mette
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in croce tre accordi e altrettante parole non ritengo possa andare molto avanti. Essere se stessi sempre: un imperativo categorico per onorare la propria identità. D . – Avere talento, Roberta, cosa significa? R . – Io credo che il talento sia proprio sinonimo di fortuna. Qual è la cosa sulla quale si può cadere? Il crogiolarsi. È giusto, ad esempio, che in tv ci siano i cosiddetti “talent show”, ma mi sembra non ci sia spazio per altro. Sul territorio nazionale c'è una vasta gamma di artisti senza possibilità di esprimersi. Ci vuole tanto studio per farsi strada: non basta il “video”. Il talento lo devi coltivare giorno dopo giorno con lavoro, mestiere e tanto sacrificio. Da solo non basta. D . – E se ci fosse il “Festival di Sanremo” nel suo percorso? R . – Ho già 42 anni e non credo di essere più “in età” per gareggiare fra i “Giovani”. Di certo sarebbe un palco di gran prestigio, ma dovrebbero cambiare i meccanismi di selezione. Magari in una collaborazione con un “Campione” in gara: perché no? D . – Al suo attivo numerosi riconoscimenti e tournée: quanto si sente valorizzata dall'Italia e dai media? R . – Devo dire che l'interesse a livello nazionale sta arrivando proprio in questi mesi, grazie ad un ufficio stampa molto forte. Ci sono in ballo progetti belli, fra i quali figura uno in questo mese alla “Feltrinelli” di Firenze. I grandi giornali e i direttori come lei si stanno interessando a me: ne sono lusingata.
MUSICA - IL TALENTO IN ASCESA
Prima ero seguita nel mio piccolo, nella provincia. Ora sto avendo la possibilità di raccontare il mio progetto discografico ad ampio raggio e non posso che esserne entusiasta. Vi ringrazio davvero tutti. Di cuore. D . – Lei ha musicato la mostra internazionale di Botero a Tokyo: che esperienza è stata? R . – Come le dicevo prima, il mio doppio album contiene la mia sfera cantautoriale e quella da pianista. In “Walk on the piano side” c'è “Hands”, brano scritto appositamente per la mostra. Si tratta di un aspetto che mi piace molto quello di scrivere colonne sonore e, lo ammetto, mi viene anche con una certa naturalezza. Cavalcando l'onda, sto mettendo a punto diverse collaborazioni in questa direzione: chissà che non accada qualcosa di importante prima o poi. D . – Ad un giovane che volesse fare della musica la sua vita, cosa si sentirebbe di suggerire? R . – Io suggerisco sempre di seguire i propri sogni: se si sente di essere portati per qualcosa, bisogna combattere con le unghie e con i denti, pur di riuscirci. Di sicuro quello musicale non è un percorso facile, bensì tortuoso: è necessario tirarsi su
le maniche, circondarsi di professionisti e lavorare con una buona squadra, decisamente competente. È importantissimo non essere soli, ma lavorare in team: anche Battisti non lavorava da solo. Andare avanti senza paura, ma con coraggio: ecco che torna il termine da me preferito. D . – Tranquilla, Roberta: inseriremo “coraggio” nel titolo dell'intervista, dal momento che la rappresenta tanto. Infine, metaforicamente allo specchio: come si riflette oggi? R . – Oggi mi sento finalmente e completamente me stessa. Dopo la nascita di mio figlio avevo già in mente di mettere a punto quello che sto facendo, ma non ne avevo le possibilità. Come dirle: era come se non mi sentissi pienamente centrata. Ora ho maturato la convinzione che questa è la mia strada: mi sento più consapevole. Era come se avessi un senso d'incompiuto. D . – Tipico del segno dell'ariete (che condividiamo), perennemente alla ricerca. R . – Bravo, lei mi capisce. Sento di essere sulla strada giusta ora. Gianluca Doronzo
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Camerata Musicale Barese
CAMERATA - FRA 72ESIMA STAGIONE E NOTTI DI STELLE
Fra epilogo della 72esima stagione artistica e novità per la kermesse «Notti di stelle» (al Petruzzelli di Bari dal 21 al 25 luglio, ore 21.00), la Camerata fa un bilancio più che positivo per il 2013/2014, dando le prime anticipazioni per gli appuntamenti dei prossimi mesi
«I solisti veneti» chiudono un'annata memorabile, scandita da eleganza, scorrevolezza e pathos, in attesa di «gustare» il jazz estivo e i protagonisti di un 2015 che non t'aspetti
Una stagione semplicemente memorabile. Quella vissuta dalla Camerata, sostenuta da UBI-Banca Carime, con un “puntualmente tutto esaurito” durante le molteplici manifestazioni nel capoluogo pugliese e “artisti di primo piano”, esponenti dell'eccellenza anche internazionale. È quanto emerso di recente, in occasione di una conferenza stampa all' “Hotel Palace” di Bari, animata dal direttore organizzativo Rocco De Venuto, fra gli altri. Tre i punti focali: epilogo della 72esima annata con “I solisti veneti”; messa a punto della kermesse “Notti di stelle” (dal 21 al 25 luglio) e prime anticipazioni sul programma 2014-2015. “I solisti veneti” – Hanno celebrato nel 2013-'14 la 55esima stagione artistica, arrivando a quota 6mila concerti. “I solisti veneti”, diretti da Claudio Scimone, hanno “chiuso” il ventaglio di proposte di quest'anno, per la direzione di Giovanni Antonioni, al Petruzzelli di Bari con un pubblico davvero entusiasta. Eleganza, pulizia d'ascolto, scorrevolezza e impatto immediato hanno costituito il motivo conduttore di una performance, suddivisa secondo due coordinate: le celebrazioni e il virtuosismo. Prima parte, dunque, con il 300esimo anniversario de “La stravaganza” di Vivaldi (“Concerto n. 1 in si bemolle maggiore per violino e archi”); il 150esimo della nascita di Strauss (da “Capriccio” – Sestetto, Ouverture per archi”); il 300esimo della nascita di Gluck (da “Orphée et Eurydice” – “Scena dei Campi Elisi” per flauto e archi) e il 250esimo della morte di Locatelli (dall'Opera Terza “L'arte del violino” – Concerto in re maggiore n. 12 da “Il labirinto armonico” – “Facilis aditus, difficilis exitus” per violino e archi). Rentrée con: “Variazioni sul Carnevale di Venezia” per tromba e archi di Arban e “Simpatici ricordi della Traviata per oboe e archi”, fra l'altro. Applausi a scena aperta. “Notti di stelle” – Tornata al Petruzzelli dopo anni di “variatio” fra sagrato della Basilica di San Nicola e numerose alternative (anche a Molfetta), “Notti di stelle” alza il sipario il 21 luglio con un'esclusiva regionale. Stiamo parlando di “Hiromi: The Trio Project” con Anthony Jackson e Simon Phillips. A seguire: il 22 (ore 21) i “Funkoff”, marching band diretta e fondata da Dario Cecchini fra groove e black music; il 23 gli Incognito (“Amplified Soul Trio”) e il 25 la “MinAfric Orchestra” con guest le Faraualla. Sulla carta un programma trasversale, con incursioni “acid” e tanta innovazione rispetto al passato. “Prime anticipazioni sulla 73esima stagione” – Otto titoli già pronti per la 73esima stagione. Il 30 ottobre la “Siberian Symphony Orchestra” sarà al Petruzzelli per un'inaugurazione di prestigio, all'insegna delle migliori tradizioni dell'Ente. Sempre nel rinomato politeama barese si esibiranno: la pianista Khatia Buniatishvili; il violinista Uto Ughi e l' “Orchestra da Camera I Filarmonici di Roma” e Salvatore Accardo in una suggestiva performance natalizia; l'attore Enzo De Caro & “Antonio Onorato Quartet” in “Chet Baker c'è”; La “RBR Dance Company” nel balletto “The Man”; Rossella Brescia in “Amarcord” (dall'omonimo capolavoro di Fellini, con le coreografie di Luciano Cannito) e Miguel Angel Berna Ballet con passione, energia e coinvolgimento degli spettatori. Ed è solo l'inizio. Il meglio è ancora rigorosamente top secret e sarà svelato solo “strada facendo”. Attendere, per credere. Gianluca Doronzo
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Filippo Consalvo
MUSICA - LA GIOVANE PROMESSA
È versatile, schietto (convinto che l'arte sia «donare e non soffocare»), paradigmatico di un'estrema ricchezza interiore: storia di un talento «made in Puglia», appassionato di Michael Jackson (di cui ricorre il 25 giugno il quinto anniversario della scomparsa) e molto impegnato nel sociale a favore dei piccoli
L'emozione? Ha la voce di Filippo Consalvo, giovane promessa del canto in grado di «vivere la musica come un rifugio, autentica fuga dalla realtà»
L'emozione ha una voce. Ed è quella di Filippo Consalvo, giovane promessa del canto “made in Puglia”, dal 2003 “in cerca” di un'occasione grazie alla quale venire fuori “dal rifugio, per assaporare la luce”. Versatile, appassionato di Michael Jackson (il 25 giugno ricorre il quinto anniversario della sua scomparsa), convinto che l'arte sia “donare e non soffocare”, va avanti mettendosi puntualmente in discussione nella sua quotidianità, fra studi universitari, attività ludicoricreative per bambini (“mi piacerebbe aprirmi un centro un giorno: adoro l'innocenza dei piccoli e mi rispecchio nei loro sorrisi”) e tanto impegno. Un impegno che, qualche anno fa, l'ha quasi portato ad incidere il suo primo album con diversi inediti, grazie al produttore degli ex “Dirotta su Cuba” (paventando anche la possibilità di partecipare a “Sanremo”). Ma poi nulla, non se n'è fatto più nulla. Ed è stato come se a Filippo fossero state tarpate le ali del suo sogno, credendo sempre di meno in se stesso. Oggi, più maturo e consapevole, sta cercando di venire fuori dalla sua “ombra”, potenziando la fiducia nel futuro, vivendo pienamente la dimensione musicale come non mai. E la sincerità del suo racconto, in occasione di un caffè con l'intervistatore a Bari, si arricchisce a tratti di commozione, manifestando uno sguardo “pulito, onesto e desideroso di immensa comprensione”. Sinonimo della ricchezza di uno spiccato universo interiore. Il tutto a dimostrare quanta voce abbia l'emozione. Domanda – Filippo, se dovesse brevemente definire il suo percorso in questi anni nel canto e nella musica, cosa risponderebbe in maniera immediata? Risposta – Innanzitutto direi che il mio è un percorso alla ricerca delle emozioni, puntando su me stesso, mettendomi sempre alla prova. Quello nel canto e nella musica è un viaggio che ho iniziato nel 2003, subito dopo il diploma al Liceo Artistico, facendo serate di pianobar, iscrivendomi a concorsi sia regionali che nazionali. Ho fatto l' “Accademia di Sanremo”, con uno stage nel dicembre del 2004, fra l'altro. Si è trattato, tuttavia, di una vita “non cercata” per realizzarmi professionalmente, ma per dare forma ad una sorta di “via di fuga”. Ed è così ancora oggi. Ammetto, però, di aver attualmente stravolto le mie priorità: ho ripreso gli studi e l'università, in quanto la mia intenzione è quella di aprirmi un centro ludico-didattico, amando lavorare con i bambini. D . – La musica, dunque, potremmo definirla la sua terapia? R . – Sì, esatto. È sempre stata per me un modo per non pensare, per essere in contatto con me stesso, con la mia sensibilità che, grazie a Dio, gli altri riscontrano attraverso i complimenti, i sorrisi e gli applausi. Tutto ciò mi lusinga tanto. È come se le gratificazioni evinte fossero per me una carezza del mondo: io ho sempre ricercato questo nella vita attraverso la musica. Negli anni ho anche avuto la possibilità di registrare pezzi inediti con un produttore di Firenze, ma la mia priorità è stata quella di cantare bene e fare musica, senza preoccuparmi delle vendite. Forse avrò sbagliato, forse avrò peccato in questo: forse non ho messo quella costanza necessaria a portare avanti un itinerario di soddisfazioni e risultati in questo ambito. Chissà. D . – Forse, Filippo, ha avuto il coraggio di essere semplicemente se stesso, non pensando ad introiti, ma vivendo la musica con autenticità. Ad esempio, rispetto ai suoi coetanei che vengono fuori dai cosiddetti “talent”, quanto amore per quello che fanno evince?
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MUSICA - LA GIOVANE PROMESSA
R . – Premesso che io e la tv siamo due soggetti differenti, diciamo che cerco di coltivare e riscontrare il mio amore per la musica attraverso canali che io vado a scoprire, prendendo le distanze da quello che mi propinano in generale. Io vedo talenti che vengono fuori da programmi sul piccolo schermo a mo' di persone un po' vuote o pilotate, in quanto mi sembra cambino anche espressione del volto e atteggiamento, ad un anno dalla loro partecipazione. Nel senso: si propongono con un progetto e poi escono discograficamente con un altro. È come se qualcuno cercasse di svuotarli di quello che sono, delle loro propensioni, trasformandoli. Magari potrei anche sbagliare rispetto a quello che sto dicendo, ma ho l'impressione diventino manichini o burattini, a piacimento dei discografici o altri. D . – Fermo restando questa sua considerazione, non ritiene i “talent” siano comunque un trampolino di lancio fondamentale per le nuove leve? R . – In Italia sì. Oggi come oggi tutto si limita a “X Factor” o “Amici”, quando invece bisognerebbe valutare varie forme e declinazioni di espressioni. Ci sono canali come la strada: io amo Londra proprio per la sua vivacità, per il colore e per gli artisti di strada che si susseguono. Io sono innamorato degli artisti che vivono quasi in metropolitana: mi fanno tenerezza. D . – Cosa vuol dire essere artisti? R . – Musicalmente significa crearsi un qualcosa che si vada a scontrare col tuo vero essere, portandoti ad incassare due euro in tasca. C'è, però, tanta gente che si dissocia da questo tipo di situazione e porta avanti la sua arte senza filtri: non sono in tanti, ma per fortuna esistono. Invece all'estero ci sono varie piazze nelle quali poterti esprimere, dandoti la possibilità di
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essere te stesso, suonando e cantando quello che veramente vuoi. D . – Thomas Bernhard parlava dell' “arte come forza dell'abitudine”: ritiene possa essere attendibile una massima del genere? R . – Secondo me l'arte non ha una forma prestabilita: di conseguenza non può essere ritenuta “forza dell'abitudine”. L'abitudine porta anche l'alienazione e non va bene. L'arte è uno stile di vita, che la gente deve ritrovare in se stessa. Bisogna avere un riscontro, una ricerca. L'arte è scoperta, movimento, nuovi orizzonti. D . – Alla luce della continua ricerca, oggi chi è Filippo Consalvo? R . – Una persona attiva nel sociale, nell'organizzazione di eventi ludico-didattici, con una gran voglia di curare progetti indirizzati ai bambini, ragazzi e giovani, animando laboratori, feste private o di compleanno, ad esempio. Adesso sto facendo anche del tutorato scolastico con il Comune di Capurso, occupandomi assieme ad altri 16 ragazzi di bambini disagiati (o con padri in carcere o con mamme che non hanno volontà e possibilità di occuparsi di loro). Dal lunedì al venerdì pomeriggio ci mettiamo a completa disposizione attraverso doposcuola, attività ricreative e molto altro. Questo è Filippo Consalvo oggi. D . – E musicalmente parlando? R . – Una persona che, quando ne ha la possibilità, cerca di manifestare il proprio mondo interiore attraverso il canto con feste private, rassegne o pianobar. D . – Come si colloca il suo universo nello scenario contemporaneo?
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R . – Onestamente, da un punto di vista musicale non potrei collocarmi da nessuna parte, in quanto la mia figura di cantante è venuta meno un po' di tempo fa. Forse è anche brutto da dire, ma è come se fossi un'ombra di me stesso. Cerco di continuare senza la giusta forza, quasi avessi timore. D . – Non ritiene, pertanto, che se l'arte fosse diventata “forza dell'abitudine” nella sua vita, forse oggi avrebbe raggiunto maggiori convinzioni? R . – Sicuramente è come dice lei. Sono stato, per così dire, influenzato dalle porte sbattute in faccia o dalla voglia di non cercare altro, perché purtroppo c'è bisogno di fare i conti con la realtà, trovandosi un lavoro concreto. Io sono sempre stato del parere che la musica non ti porti da sola a vivere: c'è bisogno di un'occupazione, non dico d'ufficio, ma di un reddito di 1000/1200 euro mensili per tirare avanti, facendoti stare un po' tranquillo. Con la sola musica non puoi permetterti tanto: c'è il timore, il timore del precariato. D . – Ad un certo punto del suo percorso, Filippo, è arrivato un produttore (lo stesso degli ex “Dirotta su Cuba”), con la paventata possibilità di andare a “Sanremo”. R . – Sì, abbiamo fatto dei provini, registrato pezzi inediti fra Firenze, Massa Carrara e altre località ma, purtroppo, il tutto non ha visto la luce. I miei brani sono rimasti nello studio di registrazione, incisi in cd. Ora, non so se siano arrivati a chi di dovere. Mi faccio anche questo tipo di domanda. Ho perso tempo o non ho avuto altrettanta fortuna? Me lo ribadisco, ma non riesco a trovare risposta. D . – Ritiene, tuttavia, “Sanremo” sia ancora un buon trampolino di lancio per le giovani promesse? R . – Io credo, mio malgrado, non ci sia più spazio per i giovani emergenti a “Sanremo” e, qualora ce ne sia, è limitato a qualche mese dalla conclusione della manifestazione. Dopo: il nulla. Ci sono tanti ragazzi che, in seguito ad un brano di successo, non arrivano neanche ad incidere un cd, sparendo e passando nel dimenticatoio. Io non ricordo più artisti del calibro di Elisa, Giorgia e Laura Pausini. Forse un'emergente che sta avendo successo è Emma Marrone. D . – L'ha vita all' “Eurosong Vision Contest”? R . – No, purtroppo ribadisco di non avere un buon rapporto con la tv. Ho visto solo delle foto. Sono invece dispiaciuto per una ragazza che, secondo me, merita tanto ma rimane un po' di nicchia: mi riferisco a L'Aura. La trovo di gran talento. Forse l'arte oggi in Italia è di nicchia. D . – Cosa vuol dire avere talento, Filippo? R . – Innanzitutto averlo significa essere consapevoli di possedere qualità da strutturare nel tempo con lo studio, l'esperienza e l'abnegazione. Il talento è qualcosa che hai e nessuno può portarti via. È anche un modo di fare, non perdendo di vista i propri obiettivi. Mobilita la tua giornata, ti dà una spinta. Forse io l'ho messo in dubbio in questi anni. D . – Perché, Filippo? Attraverso questa chiacchierata, sembra quasi emergere il non credere nelle proprie potenzialità, a causa di delusioni e amarezze. R . – (Guardando l'interlocutore con commozione, ndr) Io mi sto mettendo a nudo. Ho detto subito che l'avrei fatto. Quello nella musica è un viaggio che ho volutamente interrotto, perché avevo il timore di non poter arrivare anche al raggiungimento della felicità. Mi sono fatto influenzare dalle persone sbagliate: è come se fossi stato sempre soffocato.
D . – Bene, allora non è arrivato il momento di riprendere in mano le redini della sua vita, credendo nel proprio percorso, lasciando alle spalle demotivazioni e delusioni? R . – (Dopo un attimo di silenzio si riprende, puntualmente con gli occhi lucidi, ndr) Sono rimasto senza parole. Questa intervista mi sta facendo emozionare (e continua la commozione, ndr). D . – Benissimo, le emozioni sono reciproche e vanno vissute pienamente. Rimanendo su questa scia, com'è cambiata la sua vita dal 25 giugno 2009, nel momento in cui è morto Michael Jackson, suo beniamino? R . – Adesso piango (e sempre con commozione, continua, ndr). Ricordo che quella sera ero al lavoro a Gioia del Colle, in un pub: ero con una mia amica e facevo il dj e pianobar. In tv c'era Anna Falchi. Eravamo sintonizzati su RTL: era mezzanotte e un quarto. Abbassammo il volume della nostra musica e ricordo testualmente le parole della Falchi: “È venuto a mancare Michael Jackson, il re del pop”. Da lì a 20 giorni sarei dovuto andare a Londra a vedere un suo concerto. All'inizio ho balbettato. Chiamai al telefono mio padre, parlando di Michael come se fosse un parente. Cercò di tranquillizzarmi: presi poi il cellulare e trovai sms e chiamate di tanti amici, pronti a darmi il loro supporto. D . – Quando è nata la passione per Michael e cosa è accaduto nella sua vita in questi cinque anni? R . – La passione per Michael è nata da piccolissimo: avevo 67 anni. Il tutto ha avuto inizio per caso. Mio padre, quando era giovane, curava una radio a Capurso e sono sempre stato fra vinili e VHS: fra questi ne trovai di Michael. Ricordo di aver visto uno speciale su di lui con ammirazione e trasporto, quasi fosse un cartone animato, non un essere umano. Per me lui era un personaggio fantastico. Pian piano mi ci appassionai. Michael era per me come un rifugio, un amico a cui fare affidamento nel momento del bisogno. Si tratta di una presenza artistica che avverto anche oggi. Dal 2009 non è venuto a mancare: lui è accanto a me. È cresciuta dentro di me sempre più la consapevolezza di quello che mi ha dato. Umanamente e professionalmente ho fatto molto riferimento a lui in questi anni. D . – Dopo di lui il pop è stato lo stesso? R . – Michael è stato una macchina da lavoro, di grande ispirazione per tutti. È una persona che ha fatto tantissimo, con un padre padrone neanche tanto contento di quello che faceva, ma perfettamente consapevole che su quel palco fosse invincibile, intoccabile. Lui ha dato tanto e attraverso la musica si rigenerava. Io ho trovato in lui un alter ego: mi ci sono specchiato. È stato il mio rifugio. D . – Tiriamo le somme della nostra chiacchierata, Filippo: “rifugio” è stato un po' il motivo conduttore dell'intervista. Non è, forse, arrivato il momento di venirne fuori, assaporando il gusto della luce? R . – Sì, forse bisogna mettere da parte la paura: la paura non esiste, siamo noi a costruirci dei muri. Bisognerebbe assecondare le necessità della gente, dando il nostro contributo, seguendo le nostre potenzialità. Ha ragione, Gianluca: basta con la paura. Sarebbe il caso di dare voce alla propria arte, emozionando chi ci è accanto e ci fruisce: perché l'arte è donare e non soffocare. Gianluca Doronzo
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Emanuele Ercole
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Il chitarrista Emanuele Ercole (Pasquale Scarola e Luca Corriero sono stati i suoi insegnanti), convinto di una «visione d'insieme», porta in alto il nome della Puglia con collaborazioni illustri assieme a Silvia Mezzanotte, Mariella Nava e i New Trolls, in attesa che Gianni Morandi lo chiami in tournée («si vocifera: speriamo bene»)
«Amo quello che faccio e non mi pesano i sacrifici: devo tutto alla mia caparbietà, col profondo desiderio di mettermi al servizio degli altri musicisti»
“Amo quello che faccio: devo tutto alla mia caparbietà, alla luce degli enormi sacrifici che ho dovuto affrontare in questi anni. E sono puntualmente pronto a mettermi al servizio degli altri musicisti”. Emanuele Ercole è un chitarrista “d'insieme”: sul palco, come nella vita, è sempre pronto a collaborare con i colleghi, non amando una visione “da solista”. E proprio dai suoi insegnanti (Pasquale Scarola e Luca Corriero) ha eredito questo spirito, che negli anni l'ha motivato ad affiancare personalità del calibro di Silvia Mezzanotte, Mariella Nava, Antonella Lafortezza e New Trolls (“a loro devo tanto: rappresentano la personificazione della professionalità”). Non solo: con curiosità “si è contaminato” col teatro-danza di Stella Ciliberti e la “Compagnia Astraballetto”, collaborando a spettacoli come “Duende” e “E la notte un sogno…”, non tirandosi mai indietro “in nome dell'amicizia e della stima”. Esponente dell'eccellenza “made in Puglia”, attualmente affianca le cover “White lady” e “Vascolici”, continuando le attività con le sue “New Guitar Style” e “Big Band” (in piccolo e in maniera allargata), paventando anche la possibilità di suonare in tournée con Gianni Morandi (si vocifera e noi glielo auguriamo). Chapeau. Domanda – Emanuele, alla luce della sua formazione, degli studi della chitarra classica dall'età di 19 anni con Pasquale Scarola e dei riconoscimenti conseguiti, si sarebbe mai aspettato un percorso come quello vissuto finora? Risposta – Diciamo che, in realtà, essendo un tipo molto caparbio e sicuro di se stesso, non mi sarei aspettato proprio tutto quello che mi è accaduto, ma forse l'avrei immaginato in maniera più limitata. Io ho sempre combattuto lavorando, con estrema umiltà, cercando di dare il massimo: forse proprio questo mio modo di fare mi sta consentendo di raccogliere risultati, al di là delle previsioni più entusiastiche. A me sarebbe piaciuto essere in formazioni, facendo le tournée: nel mio piccolo credo che ci sto riuscendo nei vari ambiti, con la chitarra classica, elettrica e via dicendo. D . – Da cosa nasce la passione per la chitarra classica? R . – Da ragazzino ho sempre avuto la passione per la chitarra elettrica, più visibile da un punto di vista televisivo (e non solo). Iniziando a suonare con il mio primo insegnante, che aveva un'impostazione soprattutto classica, mi sono pian piano avvicinato a questo strumento, apprezzandone le potenzialità e gustandomelo gradualmente. Alla fine mi sono detto: “Chissà che non riesca a raccogliere qualche buon risultato anche in questa direzione”! E ammetto di essermi avvicinato con molta curiosità, paventando interesse e passione. D . – Se dovesse pensare ad uno degli insegnamenti interiorizzati in questi anni da uno dei suoi maestri, cosa risponderebbe? R . – Diciamo che fra gli insegnamenti, credo di aver interiorizzato la concezione della musica d'insieme, in quanto non amo la dimensione da solista nel senso stretto del termine. D . – Ciò rispecchia la sua personalità, visto che ama lavorare in gruppo e non primeggiare, a dispetto di tanti suoi colleghi. R . – Sì, mi piace molto stare assieme. Tant'è che si tratta di
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un'impostazione che attuo anche a scuola, quando insegno. Il gruppo lo trovo più efficace. Pertanto sia con il primo che col secondo insegnante, mi riferisco a Pasquale Scarola e Luca Corriero, ho sviluppato caratteristiche in questa direzione. Fatto sta che da solista poi ho fatto anche delle cose, a dire degli altri “ben confezionate”, ma non è la mia sfera preferita, non stimolandomi tanto. D . – Al suo attivo figurano tantissime collaborazioni con artisti del calibro di Mariella Nava, New Trolls e Silvia Mezzanotte. Lavorare con loro è stato di sicuro un valore aggiunto nella sua dimensione formativa. R . – Con loro ho avuto modo di vedere cosa ci sia veramente ad altissimi livelli. Capisci cosa significhi l'esperienza di personaggi illustri e la professionalità. In particolar modo, senza nulla togliere a Mariella Nava e Silvia Mezzanotte, credo di aver ricevuto davvero tanto dai New Trolls: mi hanno consentito di capire cosa significhino il rispetto del lavoro altrui, la passione, il rigore e la precisione. Fortunatamente sono stato in grado di rispondere alle loro richieste e aspettative. Abbiamo, infatti, ricevuto i “complimenti” quando abbiamo fatto concerti assieme. E si è trattato di una cosa che non mi aspettavo. D . – Ha parlato della professionalità dei grandi: quanta ne ha riscontrata negli anni nel suo territorio? R . – Beh, questa se vogliamo è un po' una nota dolente. In realtà di gente professionale ce n'è veramente poca, sia da un punto di vista organizzativo che proprio in merito alle persone che devi affiancare. Ci sono un sacco di miei colleghi musicisti
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che operano bene, ma tanti altri che lavorano male. Anche perché essere professionali vuol dire essere puntuali nello studio, nella formazione, nella preparazione, ma anche nel sapersi relazionare. E molti non sanno proprio trattare da un punto di vista umano. Di sicuro è difficile trovare la persona completa in questo senso. Si dice spesso che l'artista è sregolatezza. Io invece penso che l'artista debba essere anche preciso, puntuale e professionale. Se si vuole lavorare in certi ambiti, ci si deve comportare così. D . – Se penso un attimo a quello che ha costruito negli anni, mi viene in mente anche la ricerca e la contaminazione con esperienze nell'ambito del teatro-danza e letteratura. R . – Esperienze assolutamente stimolanti. Non avevo mai avuto proposte teatrali o di teatro-danza, prima che Stella Ciliberti mi chiamasse per mettere a punto delle musiche per “Duende”. Per me è stato come accettare una sfida, piacevole e costruttiva. Subito dopo è capitato, grazie anche a lei Gianluca, che mi sia messo al servizio di “E la notte un sogno…” e di altri spettacoli: ho fatto sempre tutto con enorme onore, in nome della stima e amicizia, non pensando mai ad una fonte di guadagno o ai soldi. Quando si instaurano dei rapporti umani, gli aspetti economici, sebbene importanti, passano spesso in secondo piano. Almeno così è nella mia ottica di fare arte. D . – Anche perché, Emanuele, succede che spesso si percepiscano soldi da chi non ha produzioni alle spalle, mentre grandi nomi latitano nel momento in cui c'è da fare cassa. R . – Giusto. Spesso è molto meglio lavorare con la gente che ti
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stima e stimi, anche a costo zero, piuttosto che fare lavori controvoglia, giusto per farli o con grandi incognite. D . – Come vorrebbe, Emanuele, potesse proseguire il suo percorso? R . – È chiaro che la mia speranza vorrei fosse quella di realizzare in grande quello che già sto facendo in piccolo pian piano, augurandomi che queste mie collaborazioni, delle quali abbiamo parlato anche durante la nostra chiacchierata, mi portino a livelli più alti, navigando altrove. Vorrei che persone in gamba riuscissero ad emergere, anche supportandole per amicizia e stima profonda. D . – Attualmente ci sono dei gruppi con i quali sta lavorando, vero? R . – Innanzitutto sto affiancando una cover band di Nek, appena nata ma molto promettente: si chiama “White lady”. C'è poi un altro gruppo, sempre fresco, una cover di Vasco Rossi, una delle tante ma in gamba, dal titolo “Vascolici”. Continuo col mio quartetto “New Guitar Style”, con cui sono stati vinti anche alcuni concorsi nazionali importanti e poi c'è la “Big Band” in grande, in piccolo, riadattata, con cui abbiamo lavorato per i New Trolls e Antonella Lafortezza, ragazza venuta fuori da “Amici”, nostra cara artista che sentiamo ogni tanto. C'è anche Silvia Mezzanotte, con cui sembra dovremmo
fare spettacoli e concerti. E ultimamente c'era in giro una voce, che sembrava volesse concretizzare una collaborazione con Gianni Morandi. Si tratta, però, ancora di voci e nulla di certo. Vedremo quello che riusciremo a realizzare. Tutte ipotesi e niente di concreto. D . – Dulcis in fundo: alla luce delle esperienze maturate e dei risultati conseguiti, oggi come si riflette allo specchio, metaforicamente, Emanuele Ercole? R . – Diciamo che oggi allo specchio rifletto una persona che ha lottato molto e lotta ancora, sia per raggiungere i propri traguardi, ma anche a livello didattico con la scuola, mettendo a punto davvero tanti sacrifici. Mi sono messo particolarmente in discussione per studiare, in quanto i miei non potevano: ho dovuto lavorare per prendere lezioni, con vari sbattimenti da un punto di vista logistico, andando avanti e indietro. Però sono una persona fiera di quello che fa, che ama quello che fa, senza guardare alle spese e allo spreco. D . – Quando c'è l'amore per quello che si fa, va sempre tutto bene. R . – Assolutamente. Amo quello che faccio: non mi pesa viaggiare e quando arrivo a casa la sera, dormo tranquillamente perché faccio quello che amo. Gianluca Doronzo
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Cristina Ameruoso
DANZA
Cristina Ameruoso (ha iniziato con Anna Di Giovine e Raffaella Puccillo) delinea i tratti salienti di 14 anni coreutici, spaziando dalla «Compagnia Astraballetto» di Stella Ciliberti («un'insegnante che mi ha dato tanto coraggio, facendomi diventare solista») alla neonata «Effetto Corpo» di Angelo Petracca («il suo è un lavoro concettuale, motivando lo studio su noi stessi»)
«La danza è verità ed io la vivo pienamente nella mia terra, convinta dell'esistenza di numerosi talenti»
“La danza è verità e al pubblico arrivano le emozioni, solo se rimani te stesso e ci metti tutto l'impegno possibile. Sul palco non si può fingere”. Cristina Ameruoso sta crescendo, mettendo a punto idee ben chiare nel suo percorso (personale e formativo), con consapevolezza e maturità coreutica. Dagli esordi nel 2000 con le insegnanti Anna Di Giovine e Raffaella Puccillo, è passata ai principi di Stella Ciliberti (“mi ha dato coraggio, credendo nelle mie potenzialità da solista”) con la “Compagnia Astraballetto”, mettendo a punto spettacoli di successo come “Duende” e “E la notte un sogno…” (“ancora oggi la gente mi ferma per strada, identificandomi con Claudia, l'adolescente protagonista”), andando al di là di ogni più entusiastica previsione. Convinta nelle “potenzialità della propria terra”, si è formata anche all'estero (“il danzatore ha maggiori possibilità anagrafiche fuori: da noi a 25 anni sei già vecchio”), cercando di fare tesoro di ogni esperienza vissuta. Oggi è entrata a far parte della neonata compagnia “Effetto Corpo” di Angelo Petracca, misurandosi in lavori “concettuali, proiettati a fare uno studio su se stessi”. L'occasione della chiacchierata è offerta davanti ad un caffè, in una mattina di fine maggio a Bari: nel suo sguardo purezza senza filtri e, a tratti, sincera commozione. Domanda – Cristina, dal 2000 ad oggi come ha vissuto il suo viaggio nella danza e quali insegnamenti ha interiorizzato? Risposta – Premesso che sono terrorizzata da questa intervista, essendo per quel mi riguarda un'esperienza nuova, cercherò di rispondere al meglio e con umiltà alle sue domande (e sorride, ndr). Il mio è stato un percorso un po' particolare, nel senso che ho iniziato con gli insegnamenti di Anna Di Giovine e Raffaella Puccillo: sono state loro ad introdurmi nel mondo della danza, facendomi capire quanto sacrificio fosse necessario per andare avanti, motivandomi a scoprire un amore che, in fondo, avevo da sempre in me. In famiglia c'è mia zia che ripete spesso una cosa: quando avevo un anno e mezzo, nel girello mi avvicinavo allo stereo, spingendo il tasso per accendere e ballare. Ciò dimostra quanto questa passione fosse innata. Diciamo, pertanto, che tecnicamente mi sono state date delle basi, ma è stata poi Stella Ciliberti a darmi veramente tantissimo, infondendomi la forza di credere nelle mie capacità, cosa che mi stava un po' passando e che tanti mi stavano facendo passare. Mi ha conferito la forza di credere nei miei sogni, con coraggio. Stella mi ha aiutata da un punto di vista umano, spingendomi anche a fare cose che non avrei mai immaginato. Ad esempio, ballare da solista su un palco: per me era impossibile. Anche solo il fatto di aver lavorato nella sua compagnia di danza mi ha lusingato, rappresentando una conquista molto particolare. Per me è stata una grande opportunità. D . – Se dovessimo pensare alle difficoltà riscontrate da un danzatore pugliese, alla luce anche delle numerose potenzialità che ci sono in giro, cosa risponderebbe? R . – Le dico che la Puglia è sottovalutata e siamo noi stessi pugliesi a sottovalutarci. In altre regioni d'Italia non è così. Ritengo che da noi ci siano tantissimi talenti e moltissime opportunità in più rispetto ad altri posti lontani: non sappiamo farci valere. Non tutti sanno cosa si può fare, preferendo
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andare via perché “è meglio così”. Ed è un peccato: se tutti i talenti pugliesi fossero ancora qui, saremmo una potenza incredibile, in quanto siamo pieni di risorse valide. Bisognerebbe rendere tutti dei lavoratori: soltanto in questa maniera si potrebbe costruire il meglio, valorizzando il singolo. In fondo, nel momento in cui superi le difficoltà, arrivi alla meta: non bisogna perdere di vista ciò che conta. D . – Cristina, si parla tanto di “talento”: cosa significa averlo? R . – Secondo me in ambito artistico vuol dire riuscire a trasmettere un proprio stato d'animo, in maniera piacevole. Nel senso che chi ti è davanti è felice di ricevere quello che tu riesci a dare, non essendoci una semplice conversazione ma una performance, una forma di comunicazione più elevata. Quello, a mio parere, è il vero talento. Poi va da sé che ci vuole la tecnica, perché aiuta, ma non è sufficiente: se non si hanno le capacità e la forza di esprimersi, non si va da nessuna parte. D . – E dei cosiddetti “talent show” cosa pensa? Soprattutto di quelli nei quali è presente la danza? R . – Ah, domanda cattiva (e ride, ndr). Nello specifico ammetto che non seguo quasi per niente “Amici”, non essendo una grande appassionata di tv. Di conseguenza non voglio esprimere giudizi su cose che non conosco chiaramente bene. Ho smesso di guardare il programma della De Filippi per un motivo: ho il timore che tutto quello che si propina sia fatto in nome dell'audience e non della materia trattata. Vorrei la danza fosse considerata come arte e non come strumento per arrivare a qualcosa. Di sicuro, quelle poche volte in cui mi è capitato di vedere simili programmi, qualcosa di buono c'è stato, ma non condivido pienamente quello che è al suo interno e, di conseguenza, non mi sento di esprimere pareri. A mio avviso l'arte deve essere pura e genuina. D . – Televisivamente, però, non ritiene ci sia maggiore attenzione alla danza con programmi come quelli di Massimo Ranieri o “La pista” di Flavio Insinna? R . – Di sicuro. Pur non guardando, ripeto, tanto la tv so che ci sono stati programmi in cui si è avuto rispetto per la danza e questa logica sta prendendo sempre più piede. D . – Ci si auspica quasi un ritorno al sano varietà di una volta. R . – Magari! E sarebbe anche giusto così. Ovviamente il tutto in un'accezione più contemporanea. Mi piacerebbe che la danza diventasse una cosa più normale, con un bel corpo di ballo in un programma. D . – Tornando ai suoi insegnanti, prima ha citato Stella Ciliberti: la “Compagnia Astraballetto” le ha dato una grande opportunità, facendola diventare protagonista dello spettacolo di teatro-danza “E la notte un sogno…”. R . – Quello vissuto con Stella Ciliberti è stato un grande percorso di crescita. Mi sono trovata ad interpretare uno spettacolo di una compagnia di danza, per me quasi impossibile da raggiungere. Si è trattato di una grandissima opportunità. In più ho interpretato il personaggio principale e la fortuna è stata quella di sentirmelo davvero vicino. Di conseguenza mi sono limitata a prendere delle emozioni e a riportarle. In questo mi è stata molto vicina Stella, supportandomi e riuscendo a farmi tirare fuori tutto quello che avevo dentro. E poi, caro Gianluca, ho avuto anche la fortuna
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di poter avere lei, l'autore del romanzo, accanto a me durante le prove. Il che mi ha responsabilizzata maggiormente. D . – Cosa le ha lasciato interpretare Claudia? R . – Claudia. Ancora oggi per strada ci sono persone che mi fermano, identificandomi con lei. Chiamandomi proprio Claudia. D . – Un bel riscontro: vuol dire che è arrivata al pubblico, identificandosi col personaggio. R . – Molte volte è capitato che la gente mi fermasse. In alcuni casi ho dovuto ribadire che il mio nome è Cristina, ma per il pubblico sono Claudia. E va bene così (e scoppia una risata comune, ndr). D . – Dopo la “Compagnia Astraballetto” di Stella Ciliberti, è entrata a far parte della neonata “Effetto Corpo” di Angelo Petracca: una nuova sfida. R . – Anche con “Effetto Corpo” sento di vivere un ulteriore momento di crescita, un ulteriore tassello nel mio percorso formativo. È un progetto nel quale ho creduto tantissimo fin dall'inizio, soprattutto perché conosco il talento di Angelo Petracca e so quale sia il suo valore. Si tratta di un lavoro completamente diverso da quello fatto, ad esempio, su “E la notte un sogno…”. Sento, tuttavia, di crescere, imparare e interpretare delle cose che magari, personalmente, non mi sono vicine ma alla fine diventano parte di me. Di sicuro mettere a punto il personaggio di Claudia è stata un'impresa
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più semplice, perché l'ho sentita più vicina alle mie corde. Con “Effetto Corpo” bisogna delineare concetti molto profondi e c'è bisogno di uno studio davvero particolare. Angelo spinge molto sull'astratto e su ciò che dobbiamo tirare fuori da noi, manifestandolo al meglio. Per me un lavoro molto stimolante. D . – Nel suo curriculum ci sono stage con illustri coreografi internazionali ed esperienze all'estero: quali differenze rispetto all'Italia? R . – Quando sono andata in Germania per la prima volta, ad esempio, ho capito una cosa: in Italia tendiamo a guardare il danzatore entro un certo limite d'età. A 19, massimo 25 anni sei già fuori. A Berlino, ad esempio, è quasi il contrario: ci sono alcune audizioni che hanno un limite anagrafico minimo di 3035 anni, in quanto si richiede una maturità particolare. Lì la danza si muove lungo linee diverse, con maggiore verità e la tecnica c'è, perché l'hai studiata, ma ti consentono di esprimere un'emozione ben più profonda. Ad esempio, lì ho scoperto l'amore viscerale per la “contact improvisation”, davvero entrata a far parte del mio cuore. L'improvvisazione di contatto che può essere con un'altra persona, col tuo corpo stesso o col pavimento. Una cosa che mi ha dato tantissimo e mi ha insegnato a sentire me stessa sul palco. In Germania mi è capitato di fare ben 3 ore al giorno di improvvisazione, cosa che prima non avrei mai immaginato. Tutto ciò mi è servito moltissimo, aiutandomi a sentirmi più vera. D . – A questo punto, come vorrebbe potesse proseguire il suo percorso? R . – Se mi avesse fatto questa domanda qualche anno fa, le avrei risposto che mi sarebbe piaciuto andare fuori, lavorando magari in qualche compagnia prestigiosa. Adesso, in realtà, sto rivalutando questa idea: tornando al discorso che abbiamo affrontato all'inizio della nostra chiacchierata, da noi ci sono tanti talenti formati sul territorio. Perché andare via? Io vorrei continuare ad impegnarmi nella mia terra, rendendo la danza un lavoro qui, sperando di riuscire a dare il meglio come fanno
a Berlino. Non abbiamo nulla in meno rispetto a loro. Ci sono tante potenzialità, tanti insegnanti validi, tante persone che ci mettono l'anima e belle strutture da vivere: si potrebbe fare tantissimo. Faccio, pertanto, un appello a chiunque possa fare qualcosa, dando concreto lavoro alla danza. Perché qualsiasi persona incontri per strada, ti domanda: “Che fai”? Se rispondi “la danzatrice”, ti ridono in faccia, aggiungendo che ti hanno chiesto “di lavoro”. Come spieghi alla gente che la danza è un lavoro, spesso anche non retribuito? E che un lavoro spesso non retribuito è più lavoro degli altri? D . – Giusto, Cristina. Fatto sta che quando ci sono passione, sacrificio e sudore, non si finge mai. R . – Esatto. Sarebbe bello che talvolta venisse riconosciuto anche il nostro ruolo. La mia speranza sarebbe quella di riuscire a lavorare qui, perché io sono nata qui, mi sono formata qui e credo nella mia terra e in tutti i talenti che ci sono. Dobbiamo rimanere, ragazzi. D . – Metaforicamente, infine, allo specchio: come si riflette oggi Cristina Ameruoso? R . – (Con commozione davanti all'interlocutore, ndr) Oggi vedo una ragazzina che è cresciuta facendo i conti con la realtà, intrecciandosi ad essa, cosa che prima la spaventava quasi e impauriva. Ho imparato a vedere la realtà anche nei suoi aspetti positivi, non solo negativi. Per i danzatori non è facile, ma non impossibile. Nel tuo piccolo puoi lasciare una traccia di te, anche quando ti dicono di non avere determinate abilità fisiche. Se ti piace fare quello che metti a punto, alla fine arrivi alla gente. E puoi crescere. Investire su se stessi va sempre bene. D . – Quando c'è la verità, si percepisce subito. R . – Assolutamente. Quando stai provando emozioni, le trasmetti inevitabilmente. E arrivi al pubblico. Quando c'è verità si arriva sempre, mentre la finzione disturba e in quel caso non ha proprio senso fare il nostro lavoro. La danza è verità. Gianluca Doronzo
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VISTI PER VOI
VISTI PER VOI
«Incompresa», «3 days to kill», «Il magico mondo di Oz» e «Le week-end»: quattro pellicole fra introspezione, dinamismo, nostalgia e attenzione all'infanzia
Un'Asia Argento inedita in una «commedia infantile», azione e suspense con Kevin Costner, storie francesi sui ricordi coniugali: i film del momento
Un'Asia Argento inedita, alle prese con una regia delicata in una “commedia infantile”. Kevin Costner fra azione e suspense in “3 days to kill”, con continui colpi di scena. Violetta Zironi, Massimo Lopez e Neri Marcorè prestano la voce ad uno dei numerosi sequel del capolavoro del '39 (“Il magico mondo di Oz”). Roger Michell racconta una coppia alle prese con 30 anni di matrimonio, apparentemente in crisi “a causa dei ricordi”, ma “salvata” da un amico (Jeff Goldblum). Tante pellicole per riflettere. “Incompresa” di Asia Argento, con Gabriel Garko, Charlotte Gainsbourg e Giulia Salerno – commedia – durata (109'). Per Asia Argento una “commedia infantile”, dai toni insoliti, delicati e fondamentalmente proiettati a raccontare “il fanciullo che è in ciascuno di noi”. Protagonista è Aria (Giulia Salerno), una bambina di nove anni che deve affrontare la difficoltosa separazione dei genitori. Inevitabilmente si trova a fare la spola fra casa di uno e dell'altro. Non facili anche i rapporti con le sorellastre. Ma la sua forza di volontà sarà esemplare. Nel cast Gabriel Garko, in una resa convincente e misurata, avversando cliché di personaggi televisivi. “3 days to kill” di McG, con Kevin Costner, Amber Heard, Hailee Steinfeld e Connie Nielsen – azione – durata (117'). Kevin Costner è un agente segreto malato, con l'obiettivo di andare in Francia per rivedere la figlia un'ultima volta. Lì, purtroppo, si ritrova fagocitato in un'altra missione. Storia drammatica che, tuttavia, nelle mani dello sceneggiatore (Luc Besson) si rivela a metà fra azione e commedia familiare. Tanti inseguimenti per le strade di Parigi. “Il magico mondo di Oz” di Will Finn e Dan St. Pierre, con le voci di Violetta Zironi, Massimo Lopez e Neri Marcorè – animazione – durata (92'). Nelle sale arriva un altro sequel del celeberrimo classico del 1939. Dorothy torna nella città di Smeraldo per scoprire che i suoi vecchi amici sono decisamente cambiati, affrontando un nuovo cattivo: il Giullare, comico e terrificante allo stesso tempo. Tanti i personaggi inediti: da “Socrate”, un gufo gigantesco e pacioccone al “Maresciallo Mallow”, fatto di dolciumi. Ad interpretare le canzoni della protagonista è Violetta Zironi, finalista all'ultima edizione di “X Factor”. Lopez è il leone e Marcorè l'uomo di latta. Trama molto lineare, cucita su misura per i più piccoli. “Le week-end” di Roger Michell, con Jim Broadbent e Lindsay Duncan – commedia – durata (93'). Una commedia molto raffinata, fondamentalmente dolceamara, incentrata sulla vita di coppia e sull'inesorabile tempo che passa. Meg e Nic (Jim Broadbent e Lindsay Duncan), dopo 30 anni di matrimonio, tornano a Parigi per rivivere una sorta di luna di miele. Purtroppo il confronto con i ricordi rischia di essere impietoso. Per fortuna l'incontro con un vecchio amico (Jeff Goldblum) cambierà ogni cosa, ritemprando la fiducia perduta. Gianluca Doronzo
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ASCOLTATI PER VOI
ASCOLTATI PER VOI
Giada e Michele Bravi sono alla prova del nove sul mercato discografico, dopo le partecipazioni ad «Amici» e «X Factor»; con gli JarabeDePalo l'estate è arrivata; il dj milanese Stefano Fontana è pronto a far ballare gli italiani: cos'altro desiderare in questo periodo?
Pop, rock e house: tutti i generi al servizio di una stagione «da ascoltare»
Ragazzi venuti fuori dai “talent” alla prova del nove, pronti a debuttare sul mercato discografico. L'arrivo dell'estate con i pezzi degli JarabeDePalo e dj milanese Stefano Fontana. Il rock di Jack White (tutt'altro che un “Lazzaretto”) e l'introspezione “made in Passenger”. Cosa desiderare di più in questo periodo? “Da capo” di Giada – pop – Non è riuscita ad arrivare in finale all'edizione (appena conclusa) di “Amici”. Ma, come ben si sa con i ragazzi venuti fuori dai “talent”, adesso inizia la vera sfida. Così Giada Agasucci debutta con un ep, mettendo in evidenza le sue spiccate qualità vocali. Oltre al singolo (che dà il titolo al disco), ci sono ben altri quattro inediti. E c'è anche la voglia di confrontarsi con due splendidi pezzi di Beyoncé. Per la serie: anche se non si vince, c'è sempre la possibilità di far capire quanto si vale. “Somos” degli JarabeDePalo – pop – Il gruppo di Paul Donés ha molti amici nel Belpaese: nell'album Kekko Silvestre, leader dei “Modà”, ricambia il duetto incluso nel suo ultimo lavoro, cantando in “Oggi non sono io”, mentre a Jovanotti spetta il compito di firmare ben altri due brani scritti in italiano (e ne figura anche uno dal titolo “Siamo”). Il tutto a dimostrare quanto la storica band del famoso “La flaca” sia sempre ben accolta da noi. In particolar modo con l'arrivo dell'estate. “A passi piccoli” di Michele Bravi – pop – Per il vincitore dell'ultima edizione di “X Factor” è finalmente arrivata la prova del nove: la pubblicazione del primo album. Non potevano mancare autori prestigiosi per un battesimo ad hoc: stiamo parlando di Tiziano Ferro, Giorgia, Luca Carboni e Federico Zampaglione dei “Tiromancino”. Fra le undici canzoni anche “Un giorno in più”. “Lazzaretto” di Jack White – rock – Il fondatore degli “White Stripes” non s'arrende e, sebbene il gruppo non esista più, ha avviato una carriera da solista, con una notevole energia creativa. Per questo disco c'è stato un lavoro di ben due anni, confermando quanto il “Lazzaretto” più che una fine sia stato una “rinascita” travolgente, ricca di sound e passione. “Whispers” di Passenger – pop/rock – Alter ego del 30enne Mike Rosenberg, con il suo “Let her go” Passenger è diventato un protagonista del pop europeo nel 2013. Molta introspezione nei suoi testi e voglia di arrivare dritto al cuore. “Whispers” è il quinto album, segnato da uno spirito più positivo: sembra, tuttavia, che il talento di fondo sia ancora tutto da scoprire e assaporare. “Jam the house” di Stylophonic – dance – Un album per ballare e scatenarsi davvero. Dopo i duetti pop di “Boom!”, sul mercato lo scorso ottobre, il dj milanese Stefano Fontana (attualmente giudice di un “talent” su SkyUno) è tornato alle sonorità house (che l'hanno reso celebre), contaminandosi fortemente con l'hip-hop. Gianluca Doronzo
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LETTI PER VOI
LETTI PER VOI
«Il nero e l'argento», «La piramide di fango», «La sposa silenziosa», «Quattro sberle benedette», «Il cuore di tutte le cose» e «Finchè amore non ci separi»: c'è solo l'imbarazzo della scelta per nuove avventure da vivere in pagine memorabili, fra autori illustri ed altri promettenti
I ritorni di Paolo Giordano e Andrea Camilleri in libreria: un'estate ricca di sorprese e coinvolgimento per i lettori (e c'è spazio pure per qualche emergente)
I ritorni di Paolo Giordano e Andrea Camilleri, il giallo di Andrea Vitali e la rivelazione Anna Premoli, scrittrice scoperta sul web. Le letture per la bella stagione. “Il nero e l'argento” di Paolo Giordano, Einaudi, euro 15,00. Per la terza opera di Paolo Giordano, famoso per “La solitudine dei numeri primi”, c'è molta attesa. A dispetto del passato, si respirano riferimenti autobiografici. In primo piano una giovane coppia: lui, intenso, cupo e contorto, sembra avere lo stesso “male di vivere” dell'autore; lei, Nora, ha invece l'argento vivo addosso. Sono sposati e hanno un figlio. Ma solo con la presentazione di A. il libro spicca il volo: si tratta della signora che li aiuta nelle faccende domestiche, un vero faro nelle loro esistenze, una madre che li guida nelle difficoltà. Purtroppo la donna si ammala e per i due è un dramma: invertendo i ruoli, saranno loro ad occuparsi di lei, accudendola fino all'ultimo giorno, non abbandonandosi mai allo sconforto, diventando così grandi in fretta. La chiamano “Babette”, ma per tutto il romanzo sarà semplicemente A. Nelle ultime righe sarà rivelato il nome. Struggente. “La piramide di fango” di Andrea Camilleri, Sellerio, euro 14,00. Il nuovo romanzo di Andrea Camilleri con protagonista Montalbano esce a 20 anni dal primo: inizia in una maniera un po' insolita, cupa rispetto al passato. Pioggia e non afa. Fra una vicenda e l'altra, si fanno strada indagini che riguardano cantieri, appalti pubblici e legami fra politica-imprenditoria. Tutto ha incipit da una telefonata, col ritrovamento di un cadavere: la vittima, mezza svestita, è riversa in una specie di galleria dove, forse, aveva trovato riparo. A rendere buie le giornate di Salvo non è solo il caso da affrontare, ma anche il dolore (non superato) per la morte di Francois, il giovane che avrebbe voluto adottare con Livia. Tanti problemi, per fortuna stemperati dai toni ironici. “Il cuore di tutte le cose” di Elizabeth Gilbert, Rizzoli, euro 20,00. Una storia ambientata nell'800. Alma, una botanica appassionata, s'innamora di Ambrose, un giovane idealista capace di indurla al mondo della spiritualità e magia. Un romanzo sull'ambizione, messo a punto dall'autrice del bestseller “Mangia, prega, ama”. “La sposa silenziosa” di A.S.A. Harrison, Longanesi, euro 16,60. Un romanzo sul tradimento. Attenzione alle spose apparentemente silenziose: quando saranno stanche di tacere, potrebbero vendicarsi facendo giustizia a “modo loro”, come fra le pagine di Harrison. Siete avvisati! “Quattro sberle benedette” di Andrea Vitali, Garzanti, euro 16,40. Invidie, rancori e dicerie scandiscono l'estate piovosa del 1929 di Bellano (sul lago di Como). Un giallo inizia a dipingersi, quando alle forze dell'ordine arrivano delle lettere anonime in rima. Da leggere d'un fiato. “Finchè amore non ci separi” di Anna Premoli, Newton Compton, euro 9,90. Dall'odio può nascere l'amore? È quanto accade fra due avvocati, nel nuovo romanzo di una scrittrice nata su web. Una rivelazione. Gianluca Doronzo
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