Anno II - Numero 5 - Maggio 2014
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Periodico di Musica, TV, Cinema, Teatro e Arte
t tacolo
il magazine che non t'aspetti (tutti i colori dell'intrattenimento)
«Sono soddisfatto di quanto raggiunto finora, credendo in una tv educata, rispettosa del pubblico e mai sopra le righe» Alvin (pseudonimo di Alberto Bonato), da 16 anni protagonista del piccolo schermo, è con successo nel cast di «Verissimo» (Canale 5, ogni sabato, ore 16.10, oltre 2milioni di spettatori in media), accanto all’elegante Silvia Toffanin
CONDUZIONE E SATIRA
CINEMA E FICTION
Adriana Volpe Enrico Bertolino
Andrea Osvart Cosima Coppola
ATTRICI E SCRITTURA
Giorgia Wurth Antonella Ferrari MUSICA E DANZA
Caparezza Tiziana Rifino
Anno II - Numero 5 - Maggio 2014 FONDATORE, DIRETTORE EDITORIALE E RESPONSABILE Gianluca Doronzo GRAFICA E IMPAGINAZIONE Benny Maffei - Emmebi - Bari HANNO COLLABORATO Iolanda Guerrieri, Antonio Ranalli, Alessio Piccirillo, Maura Saladini, Camilla Pusateri, Alessandra Tagliabue e Gaia Elisabetta Trotta.
SI RINGRAZIANO Alvin, Adriana Volpe, Enrico Bertolino, Cosima Coppola, Andrea Osvart, Caparezza, Giorgia Wurth, Antonella Ferrari e Tiziana Rifino per le interviste concesse; gli uffici stampa Rai e Mediaset per le foto e i contatti; “Notoria” e David Bonato. INDIRIZZO REDAZIONE Via Monfalcone, 24 – Bari gianlucadoronzo@libero.it tel. 347/4072524 FACEBOOK E la notte un sogno Autorizzazione del Tribunale di Bari n. 16 del 26/09/2013
Freschezza, gioventù, scelta delle personalità più interessanti (e glamour) del panorama attuale, “fotografandone” percorso esistenziale, racconto interiore e talentuosità. Ebbene sì: siamo arrivati a quota otto (numero zero incluso) e “Che spettacolo - il magazine che non t'aspetti (tutti i colori dell'intrattenimento)” sta davvero spiccando umilmente “il volo” nel cuore dei lettori, diventando un appuntamento “da attendere con curiosità”, declinandosi di mese in mese in tutte le sfumature possibili, diversificandosi nei contenuti e nella messa a punto dei principi estetici. E per maggio ho creato un mix di interviste, rubriche e argomenti legati all'arte, dando vita forse all'edizione più completa finora. Ho scelto, cari amici, ben nove personaggi di spicco nell'ambito della tv, cinema, teatro, scrittura, musica e danza, in un caleidoscopio di emozioni e “chiacchierate” amichevoli, entrando nel “bello della persona”, esattamente come piace fare a me. In copertina ho fatto una scelta ben precisa, puntando sul volto pulito e perbene di Alvin (pseudonimo di Alberto Bonato), da ben 16 anni protagonista del piccolo schermo, in esponenziale ascesa nel rotocalco “Verissimo” (Canale 5, ogni sabato, ore 16.10, oltre 2milioni di spettatori in media), accanto a Silvia Toffanin. L'ho scelto perché da giovane vorrei puntare sempre su una promessa talentuosa, a cui portare fortuna: non solo volti famosissimi (come accaduto con Lorella Cuccarini e Barbara De Rossi, ad esempio), ma anche ragazzi sinceri e ricchi di verve (sulla scia di Cristina Chiabotto e Antonio Cupo), rimasti nel mio cuore per quello che hanno detto. Dalla simpatia di un conduttore (“in attesa di un programma tutto suo, purché ci sia il pubblico in studio”), si passa alla solarità e alla pulizia di Adriana Volpe, ritrovata a distanza di anni dall'ultima volta in cui l'ho intervistata, pronta a fare un bilancio della sua presenza nello storico “I fatti vostri” (Raidue, dal lunedì al venerdì, ore 11.00, quasi 1milione di spettatori in media), per la regia di Michele Guardì. Una donna di grande fascino (e intelligenza), come nel caso di Andrea Osvart (attualmente nelle sale con “Un matrimonio da favola”, diretta da Carlo Vanzina) e Cosima Coppola (un fiume in piena, reduce dal successo di “Rodolfo Valentino - La leggenda” su Canale 5: leggerete un pezzo da “reality”). Sul versante maschile dominano: Enrico Bertolino, istrionico padrone di casa di “Glob - Diversamente italiani” (Raitre, ogni domenica, ore 22.45) e Caparezza, subito in vetta alle classifiche con “Museica”, sesto album in ben 14 anni di carriera. Ritratti inediti, attraverso i quali riuscirete ad evincere meglio la grandezza di Artisti, volutamente con la maiuscola. E non finisce qui: l'attrice Giorgia Wurth parla del suo secondo romanzo (da cui sarà ben presto tratto un film, da lei interpretato, per la regia di Roberta Torre) e l'emozionale Antonella Ferrari (nota per partecipazioni in “Centovetrine” e “Un matrimonio” di Pupi Avati) fa della sua malattia (la sclerosi multipla) uno spunto per una pièce al “Litta” di Milano (dal 9 all'11 maggio), commentando la recente nomina a “Cavaliere della Repubblica Italiana”, con decreto del Presidente Napolitano. E i colori si fanno puntualmente più intensi con Tiziana Rifino, spaziando in un “viaggio” nella danza, in cerca di una sana “follia” creativa. Non è tutto: vi ho promesso 64 pagine ricche di contenuti e sarete serviti con rubriche legate a quello che vedremo in tv (Carlo Conti condurrà finalmente il 65esimo “Festival di Sanremo”), sul grande schermo, nelle mostre (a “Palazzo Cipolla” a Roma una retrospettiva su Andy Warhol fino al 28 settembre) e a ciò che andremo ad ascoltare o leggere prossimamente. Per gli appassionati di teatro due riflessioni su spettacoli di autori “made in Puglia” (Emanuele Battista e Alfredo Vasco) e un pezzo dedicato ad Emma, pronta a rappresentare l'Italia al 59esimo “Eurovision Song Contest” (il 10 maggio alle 21.10 in diretta su Raidue, con commenti di Linus e Nicola Savino), grazie al brano inedito “La mia città”. Ve l'avevo preannunciato: il taglio di questo numero della mia (e soprattutto vostra) rivista è veloce, trasversale e “poliedrico” (come “la mia vita fra gli artisti”), con la complicità della mia “anima grafica”, di nome Benny Maffei. Vorrei, ammesso che me lo consentiate, concludere formulando un sincero ringraziamento a tutti coloro che mi stanno dimostrando affetto per il lavoro svolto finora, attraverso e-mail, telefonate, sms e pagine Facebook. La mia forza è il vostro sostegno. E non potrebbe essere altrimenti: il mio giornalismo pulito, elegante e senza voyeurismo, ha ragion d'essere perché ciascuno di voi è al mio fianco. Arrivare da soli, senza sponsor, avversando “padroni e padrini”, all'ottavo numero, in tempi come questi credo non sia impresa da poco. Solo i sacrifici e il coraggio delle idee sanno farsi strada, se non si hanno altri mezzi a disposizione. A tutti i giovani “in cerca di un Godot” dico: “Sveglia! Non bisogna perdere tempo! Siate propositivi e la vita vi sorriderà”. Un abbraccio. Di e con Cuore. Gianluca Doronzo
Sommario IL PERSONAGGIO IN COPERTINA Alvin Energia, grinta e passione: l'escalation di Alvin sul piccolo schermo «in 16 anni di conduzione», con sensibilità e attenzione anche al sociale 2 LA BELLA DELLA CONDUZIONE Adriana Volpe «Ho iniziato la mia carriera in Rai nel '92: ho fatto programmi al mattino e a mezzogiorno. Ora ce ne vorrebbe uno nel primo pomeriggio: no?» LA TV CHE VEDREMO Carlo Conti al «Festival di Sanremo», Pupo al posto della Clerici il sabato estivo, Giorgio Tirabassi di nuovo «in divisa»: i personaggi dei prossimi mesi in tv
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TV E SATIRA Enrico Bertolino «Fare satira oggi? Vuol dire non essere conformi, cercando di graffiare e incidere il più possibile»
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LA BELLA DELLA FICTION Cosima Coppola Un fiume in piena di nome Cosima Coppola: un concentrato di brillante simpatia, ilarità e talento per la seriale «video» vita
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MUSICA IN TV Emma Dopo Gualazzi, Zilli e Mengoni è la volta di Emma: a 50 anni dalla vittoria della Cinquetti, l'Italia tornerà sul podio della celebre kermesse europea?
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MUSICA - IL RITORNO Caparezza «Ho maturato una visione estetica della mia musica: il bello dell'arte pittorica ha ispirato le mie 19 tracce nel disco»
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CINEMA - L'ATTRICE IN ASCESA Andrea Osvart «Sono diventata più rilassata rispetto al passato: finalmente posso decidere, pensare e scegliere quello che voglio, senza correre»
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TEATRO - LE RECENSIONI Spettacoli corali, ricchi di ritmo, vivacità e riflessione sulle dinamiche quotidiane, con virate di registri «che non t'aspetti» 42 CINEMA E SCRITTURA - IL TALENTO Giorgia Wurth Le molteplici anime di Giorgia: dalla scrittura al cinema «sperando di tornare presto anche a fare teatro»
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TEATRO E SCRITTURA - IL TALENTO Antonella Ferrari «Bisogna saper affrontare con coraggio la malattia, senza retorica e sofferenza: l'importanza della vita è nell'arte di esserci»
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ARTE Andy Warhol La modernità di Andy Warhol a 27 anni dalla sua scomparsa, fra suggestioni visive, dipinti inediti e originalità concettuale
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DANZA Tiziana Rifino Viaggio nell'universo di Tiziana Rifino, esponente della danza «made in Puglia», alla ricerca costante di una sana «follia» creativa
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VISTI PER VOI Tanto cinema italiano: dalla commedia al drammatico, c'è solo l'imbarazzo della scelta nelle sale
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ASCOLTATI PER VOI Pop, rock e soul: la musica dei Sonohra, l'intensità di Kelis e l'ascesa di Iggy Azalea
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LETTI PER VOI Ironia, passione e racconto della quotidianità «in crisi»: le pagine da leggere, per riflettere su tutte le declinazioni della vita
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Alvin
IL PERSONAGGIO IN COPERTINA
Un volto pulito, un'eleganza innata, uno stile anglosassone e tanto temperamento («in attesa di un magazine tutto suo, purché ci sia il pubblico in studio»): intervista a tutto tondo ad uno dei più talentuosi protagonisti di «Verissimo» (Canale 5, ogni sabato, ore 16.10, oltre 2milioni di spettatori in media col 15% di share), accanto a Silvia Toffanin
Energia, grinta e passione: l'escalation di Alvin sul piccolo schermo «in 16 anni di conduzione», con sensibilità e attenzione anche al sociale
Un volto pulito, fresco, perbene. Un bel temperamento in “16 anni di conduzione”, facendo tesoro di ogni esperienza maturata, in attesa che arrivi “un magazine tutto suo, purché ci sia il pubblico in studio”. Alvin (pseudonimo di Alberto Bonato) ne ha fatta di strada dal lontano '98, quando è stato fra i primi giovani ad inaugurare la programmazione di “Disney Channel”. Tanta gavetta, trasmissioni musicali (da “Top of the pops” a “Cd live”), un'incursione nella fiction (“Diritto di difesa” nel 2004 su Raidue) e una smodata passione per “fotografia, regia e sociale”. Dal 2009 è fra i protagonisti di “Verissimo” (Canale 5, ogni sabato, ore 16.10, oltre 2milioni di spettatori in media col 15% di share), affiancando Silvia Toffanin: interviste ai personaggi del mondo dello spettacolo, ritmo, cura per il dettaglio e approfondimento risultano le sue peculiarità. Facendo il punto della situazione sulla carriera animata finora, spazia negli argomenti, dimostrando sensibilità anche nei confronti della causa contro la violenza sulle donne (ha delineato montaggio, riprese e produzione dello spot per il settimo anno dell'associazione “Doppia Difesa”, promossa da Michelle Hunziker e Giulia Bongiorno). Con cuore, sentimento e passione. Facendo la differenza rispetto a molti “video” colleghi. Domanda – Dal 2009 la sua presenza a “Verissimo” (Canale 5, ogni sabato, ore 16.10, oltre 2milioni di spettatori in media col 15% di share) è diventata sempre più trasversale, fino ad ottenere uno spazio di primo piano quest'anno, con interviste ai personaggi del mondo dello spettacolo in studio e maggiore interazione con la conduttrice Silvia Toffanin. Che bilancio sentirebbe di fare di questi cinque anni? Risposta – Caro Gianluca, diciamo che nella domanda c'è già un po' la risposta: per me i cinque anni a “Verissimo” sono stati di costante crescita, di edizione in edizione, testando i vari terreni e le tematiche messe a punto in un vero e proprio magazine. Nonostante io abbia iniziato nel '98, affrontando i contesti più svariati, sento di aver fatto qualcosa di buono in questi 16 anni, avendo lasciato una piccola traccia del mio operato nel cuore degli spettatori. Tornando al programma di Silvia, posso confermarle di essere ad un buon punto e mi trovo bene con una squadra affiatata e familiare. Purtroppo manca poco alla fine di questa stagione ma, ben inteso, saremo fermi solo per il periodo estivo, visto che da settembre si riprenderà alla grande. D . – Di sicuro quando si lavora con armonia e amore, si è sempre un po' tristi per la fine della propria avventura. R . – Assolutamente. Io vivo pienamente ancora quello che resta prima della chiusura della stagione di “Verissimo”, nonostante rimarremo fermi, come le ripeto, soltanto per il periodo estivo. L'importante è tornare pieni di grinta, energia e passione. D . – Prima ha citato i suoi esordi nel '98: si sarebbe mai aspettato un percorso come quello fatto? R . – La sua è una domanda semplicissima, ma allo stesso tempo difficile. Dico la verità: non avrei mai pensato di riuscire a fare tutto quello che ho messo a punto in questi anni. Ho
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iniziato divertendomi, quasi in maniera spensierata: strada facendo tutto ha assunto una connotazione più profonda, fino al percorso (in crescendo) sotto gli occhi di tutti. Forse nel subconscio speravo di poter animare le cose che ho fatto. Se guardiamo il presente, ritengo sia molto importante averci messo impegno, serietà e voglia di maturare in quello che ho fatto. Sono riuscito a costruire in una simile maniera una carriera, di cui possiamo parlare in questa intervista: no? D . – Assolutamente. Siamo qui per questo. Se le dico Silvia Toffanin, cosa mi risponde? R . – Credo che Silvia sia cresciuta molto in questi anni di “Verissimo”: la trovo decisamente matura e mi sembra si ponga come il giusto intermediario fra l'interlocutore più famoso (da Morandi a Cher, per farle un esempio) a quello più legato all'attualità. Si pone come un ottimo tramite, animando interviste eleganti, umane e ricche di contenuti. È molto spontanea e piacevole da ascoltare. Ora, quello che le dico può sembrare “di parte”, ma noi in riunione abbiamo sempre detto di esprimere opinioni quasi fossimo mescolati fra il pubblico: da spettatore, pertanto, le esprimo quello che vedo. D . – “Verissimo”, in un certo senso, rappresenta la quadratura del cerchio nel suo “viaggio professionale”: il magazine, anche quello più propriamente di taglio musicale, è sempre stato una costante del suo percorso. R . – Direi di sì: il magazine è sempre stato una mia costante, inclusi i programmi più prettamente musicali tipo “Top of the pops” e “Cd live”. Trovo che contesti alla “Verissimo” siano molto simili alla mia indole, essendo decisamente eclettico, uno a cui piace fare un po' di tutto. Io, in fondo, non ho una mansione specifica: posso essere conduttore, regista, videomaker, produttore, curatore della fotografia. In Italia se uno scrittore va a presentare un programma ha tutto il mondo addosso: non si perdona alcuno se “esula” dal proprio seminato. Io sono puntualmente stato dell'idea che si debba saper fare più cose. Il magazine rientra nelle mie corde. D . – Ne condurrebbe, dunque, uno tutto suo? R . – Certamente, perché no? La condizione, però, sarebbe quella di avere il pubblico in studio, proprio per verificare la percezione di quello che faccio e dico. Adoro il contatto diretto con la gente. D . – Ha parlato di “Top of the pops” e “Cd live”: purtroppo dai palinsesti sono spariti da un po' di tempo, come gran parte dei programmi musicali. R . – Dal mio punto di vista esterofilo, essendo molto fuori dall'Italia, le dico la verità: da noi non c'è bisogno di programmi del genere, in quanto ci sono sempre state problematiche legate agli ascolti e alla messa in onda. Noi li abbiamo fatti: in alcuni casi è andata benissimo, in altri meno e non si riusciva a trovare mai la giusta collocazione, rischiando di sbagliare. Oggi, tra l'altro, c'è un grande utilizzo di Internet e la musica la si scarica molto in questa maniera. Abbiamo un'altra cultura rispetto a quella anglosassone, ad esempio. D . – A proposito di musica: come ha trovato l'ultima edizione del “Festival di Sanremo”?
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R . – Le mie aspettative erano molto più alte, in quanto sulla carta gli artisti erano decisamente giovani e freschi, fruibili per la mia generazione. Ho trovato meno incisivi Giuliano Palma e Frankie Hi NRG, per farle un esempio: da loro mi aspettavo tanto. Ad un primo ascolto, invece, non mi aveva convinto Arisa che, successivamente, ho trovato fantastica: la sua è una delle canzoni più belle degli ultimi mesi. D . – Passando in rassegna quanto fatto in 16 anni, figura anche la fiction: nel 2004 ha partecipato a “Diritto di difesa” su Raidue, con Michele Venitucci (da me intervistato di recente, proprio a dieci anni da allora) e Remo Girone, fra gli altri. Ripeterebbe un'esperienza seriale? R . – Mi piacerebbe di sicuro ripetere un'esperienza simile, ma
forse di più al cinema, del quale sono un grande estimatore, divertendomi anche nella regia. Ho fatto “Diritto di difesa” per imparare. Nel cast c'erano mostri sacri come Remo Girone e Piera Degli Esposti. Volevo apprendere tanto e ne sono stato contento. Ricordo che per girare allora ci dovemmo fermare ben otto mesi a Roma: ero entusiasta, in un'età molto giovane, nella quale avevo tanto la musica in testa. Oggi sarebbe diverso. E il cinema consentirebbe di essere più immediati. D . – Nel dicembre 2013 assieme a Giovanni Maggi ha prodotto e realizzato uno spot tv per la campagna 2014 di “Doppia Difesa”, associazione contro la violenza sulle donne, promossa da Michelle Hunziker e Giulia Bongiorno. Ne ha curato regia, fotografia e montaggio.
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R . – Sono stato molto contento di aver collaborato con Michelle e Giulia, in occasione di questo spot per i sette anni dell'associazione: adoro poter dare il mio apporto nel sociale, con tanta passione. Ho fatto tutto con enorme piacere. Il discorso relativo alla violenza sulle donne è triste e ce ne sarebbe tanto da dire. D . – Come spiega l'aumento esponenziale di casi di “femminicidio” negli ultimi anni? R . – L'aspetto triste è che l'uomo possa credere ancora di essere superiore rispetto alla donna: sarà anche un discorso banale, ma la violenza è un concetto di per sé sbagliato. Non solo nei confronti delle donne, ma verso qualsiasi essere vivente, di qualsiasi razza o religione. Io sono del parere che la comunicazione risolva quasi tutto, ma risulta abbastanza difficile da mettere a punto in maniera sincera e onesta. Se non si parla e non ci si comprende, non si va avanti. Usare la violenza è troppo facile: è una scorciatoia sbagliata. Abbiamo tutti il dovere di combatterla. D . – Tra l'altro, proprio in una mia recente intervista a Barbara De Rossi, a proposito di “Amore criminale”, si è detto che il problema di fondo è “la mancanza di educazione al rispetto, da potenziare nelle scuole e in famiglia”. R . – Sono d'accordo. Di sicuro in Italia la situazione sul “femminicidio” è diventata abbastanza estrema: io mi confronto spesso con la società anglosassone e lo scenario è ben diverso. Da noi c'è troppo “ego”: nel nostro dna è insita la diffidenza e prima di dare confidenza a qualcuno ce ne passa. Se ci urtiamo per strada, non ci si chiede scusa ma ci si guarda male. Se entri in un negozio, ti squadrano dalla testa ai piedi domandandoti cosa tu voglia. Tutti questi discorsi creano problematiche che non supportano il senso di una sana società da costruire, ma alimentano solo la cultura del sospetto. E non va bene. Per questo il seme della violenza si insinua nelle singole coscienze con una feroce prepotenza. D . – Bene, siamo quasi alla fine della nostra piacevole chiacchierata: come vorrebbe potesse proseguire il suo percorso? R . – Mah, io direi continuando su questa scia, onorando il mio spirito eclettico, cercando di fare le cose che mi piacciono al meglio. Negli ultimi tempi mi sto orientando verso la famiglia, avendo ben due figli e poi nutro la mia passione per la fotografia, per la musica e vorrei alimentare la mia anima da videomaker. D . – S'immagini metaforicamente allo specchio: come si riflette oggi? R . – Proprio qualche settimana fa a “Verissimo” è stato mandato un video che mi ritraeva nel '98, ai miei esordi. Ecco: oggi allo specchio vedo quella stessa persona, ma con più rughe intese come esperienze. E credo sia una cosa bellissima, perché vuol dire che ho fatto e sto facendo la mia strada. Rispetto a 16 anni fa sento di avere la stessa energia, lo stesso entusiasmo e la stessa voglia di fare. Una sensazione indescrivibile. Gianluca Doronzo
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IL PERSONAGGIO IN COPERTINA
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Adriana Volpe
LA BELLA DELLA CONDUZIONE
Adriana Volpe dal 2009 è nel cast dello storico «I fatti vostri» (Raidue, dal lunedì al venerdì, ore 11.00, quasi 1milione di spettatori in media), per la regia di Michele Guardì («un Maestro, volutamente con la maiuscola: per lui non bisogna mai dare nulla per scontato, avendo grande educazione nei confronti del pubblico»)
«Ho iniziato la mia carriera in Rai nel '92: ho fatto programmi al mattino e a mezzogiorno. Ora ce ne vorrebbe uno nel primo pomeriggio: no?»
“Ho iniziato la mia carriera in Rai nel '92: ho fatto programmi al mattino e a mezzogiorno. Ora credo che il mio passaggio naturale possa essere quello in una trasmissione nel primo pomeriggio: no?”. Adriana Volpe sorride al telefono, ricordando i tratti salienti di un percorso avviato ben 22 anni fa al “Delle Vittorie” (da lei sognato quando, da bambina, guardava le varie edizioni di “Fantastico” in tv assieme alla mamma). Elegante, mai sopra le righe, ricca di “voglia di crescere e mettere a punto i particolari in ogni impresa che si rispetti”, dal 2009 è nel cast dello storico “I fatti vostri” (Raidue, dal lunedì al venerdì, ore 11.00, quasi 1milione di spettatori in media), occupandosi di tematiche svariate (dalla salute dei bambini all'attualità, fino ai problemi legati all'inquinamento e ai “mali del pianeta Terra”) con professionalità, stile e coinvolgimento. E nelle ultime stagioni, anche a livello formativo e privato, non si è fatta mancare proprio nulla: è diventata giornalista; l'11 agosto del 2011 ha dato alla luce la sua Gisele e nel 2012 ha conseguito la laurea in Lettere (“ho concluso un percorso di studi, con mia grande soddisfazione, così com'era giusto che fosse”). Ma, su tutti, un ringraziamento va al suo “Pigmalione”, ancora oggi suo regista: Michele Guardì (“un Maestro, volutamente con la maiuscola, per il quale non bisogna mai dare nulla di scontato, essendo sempre al meglio dinanzi al pubblico”). Ecco a voi il ritratto di una persona “sincera e leale”, amante della tv “educata e non urlata”.
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Domanda – Adriana, dal 2009 “I fatti vostri” (Raidue, dal lunedì al venerdì, ore 11.00, quasi 1milione di spettatori in media) fanno parte della sua vita: in che modo definirebbe l'escalation della sua par tecipazione in un programma, fondamentalmente, storico della tv italiana? Risposta – Ammetto che siamo tutti estremamente contenti dei risultati conseguiti finora, in quanto il nostro è il programma più visto con lo share più alto di Raidue. Un dato che non può fare a meno di lusingarci, premiando i nostri sforzi e la dedizione che giorno dopo giorno mettiamo con costanza. Abbiamo conquistato un pubblico non facile, considerando la concorrenza di mezzogiorno. Il bilancio, pertanto, è oltremodo positivo. Andiamo in onda fra le 11.00 e le 13.00, a cavallo fra i due tg e ci siamo attestati come un grande contenitore, a mo' di settimanale: all'interno gli spettatori trovano tante rubriche, in costante aumento negli anni, affrontando le tematiche più disparate. Ad esempio, ci dedichiamo alle mamme, dando loro consigli su come curare e far crescere i figli. Oppure aiutiamo a fare una spesa intelligente, suggerendo cibi sani con costi esigui, alla luce dei tempi che stiamo vivendo. Il tutto all'insegna di un linguaggio sintetico, non perdendo di vista l'attualità e gli approfondimenti dell'ultimo minuto, dove e quando necessario. Cerchiamo, in sostanza, di essere sempre sulla notizia, spaziando a 360° in tutti gli argomenti che circondano la nostra vita quotidiana. D . – A dirigerla è Michele Guardì, suo autentico “Pigmalione”, se pensiamo agli esordi in “Scommettiamo che…?” nel lontano '92 su Raiuno: quale insegnamento ha interiorizzato nel tempo, facendone tesoro? R . – Di non dare mai nulla per scontato. Michele ci ha insegnato ad essere sempre al meglio dinanzi al pubblico, perseguendo passione e preparazione. È una persona molto esigente, un Maestro con la maiuscola: lui non ama la tv urlata. In quello che fa c'è qualcosa di profondamente sano, educato e popolare e lo trasmette a tutti noi, pronti ad essere al suo fianco. Sa rispettare gli spettatori. Credo sia un principio imprescindibile per chi fa televisione. È una fortuna poter imparare da lui. D . – Alla luce del suo percorso sul piccolo schermo, potremmo dire che la conduzione è la forma espressiva in grado di rappresentarla maggiormente? R . – Direi proprio di sì. Io ho iniziato con “Mattina in famiglia”, poi sono passata al mezzogiorno, sempre con Michele Guardì. Arrivata a questo punto, penso il passaggio naturale possa essere quello del primo pomeriggio. Chissà non arrivi presto un bel programma in questa fascia: mi rappresenterebbe davvero in questo momento della mia vita. D . – E noi non possiamo che augurarglielo. Rimanendo in tema televisivo: che fase sta attraversando la “video” vita? R . – A mio parere possiamo sostenere di essere in un momento di evoluzione: bisogna necessariamente fare i conti con un periodo non facile, senza mai perdere fiducia nel futuro. Di conseguenza io credo ci possa essere un sano intrattenimento, evitando gli sprechi e puntando all'essenziale.
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Come dire: sarebbe il caso di applicare la spending review anche in tv (e ride, ndr). D . – (A risata conclusa, ndr) Giusto suggerimento. Entriamo, Adriana, a questo punto della nostra chiacchierata nel merito della sua sfera personale: in che modo è cambiata la sua vita dall'11 agosto 2011? R . – Innanzitutto in quella data è nata mia figlia: il fatto che io sia diventata madre mi ha consentito di vedere tante cose, sotto punti di vista differenti. Ad esempio, sono diventata molto più attenta al tema della salute, alle questioni relative all'inquinamento e a tutto ciò che riguarda il benessere dei bambini. Non solo: mi sono appassionata, con dovizia di documentazione, alla sfera legata alle condizioni del nostro pianeta, di grande fondamento per le future generazioni. A mio
avviso è un imperativo categorico quello di combattere contro l'inquinamento e i mali della nostra quotidianità. Stiamo veramente contribuendo, con lassismo e disattenzione, a far degenerare l'habitat che ci circonda, compromettendo la sopravvivenza nostra e, soprattutto, dei nostri figli. Mi sembra che un maggior senso di responsabilità non possa che far bene a tutti. D . – Nel 2012 ha conseguito la laurea in Lettere: un valore aggiunto nel suo percorso, no? R . – Di sicuro. L'ho conseguita con 110 e sono contenta di aver concluso un ciclo di studi, esattamente come avrei voluto. Non mi piace iniziare una cosa e non portarla a termine: il conseguimento della laurea mi ha consentito di completarmi, così come avrei voluto da sempre.
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metaforicamente, come si riflette oggi allo specchio Adriana Volpe? R . – Spero di vedermi come realmente sono, complice di me stessa, non in maniera pirandelliana. Certo, ben inteso: quando posso, cerco di camuffare i difetti (e ride, ndr). Mi piacerebbe, caro Gianluca, andare a dormire con la consapevolezza di avere dato il massimo durante la giornata, pronta a risvegliarmi piena di buoni propositi. Esclamando: “Ah, questa sono io!”. Gianluca Doronzo
D . – In che modo vorrebbe potesse continuare il suo percorso? R . – Spero vivamente di continuare a far parte del piccolo schermo, essendo quello che da sempre avrei voluto. Sono in Rai, come abbiamo detto all'inizio della nostra intervista, dal '92 e mi piacerebbe esserci ancora a lungo. Io non sono una velocista, bensì mi definirei una maratoneta: la mia forza consiste nella tenacia e costanza nel perseguire un obiettivo nel tempo, a lunga scadenza. Non perdendo mai di vista la qualità. E poi mi fa tenerezza ripensare ad un aneddoto legato alla mia infanzia. D . – Quale? R . – Mia mamma mi racconta sempre che quando ero piccola, sognavo davanti al piccolo schermo guardando “Fantastico” e ripetevo: “Un giorno andrò io in tv”. E lei mi diceva: “Sì, sogna ad occhi aperti”. Ironia della sorte, ho iniziato la mia carriera in Rai proprio al “Delle Vittorie”, da dove si trasmetteva in diretta il varietà storico del sabato sera. Come dire: in una sorta di quadratura del cerchio, il “sogno” è diventato realtà (e ride al telefono, ndr). D . – Siamo, purtroppo, alla fine della nostra intervista:
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La tv che vedremo
LA TV CHE VEDREMO
Grandi novità per i nuovi palinsesti Rai e Mediaset, fra programmi per la bella stagione e attori (Caprioli, Bentivoglio e Pandolfi) in fiction ricche di suspense e intrighi
Carlo Conti al «Festival di Sanremo», Pupo al posto della Clerici il sabato estivo, Giorgio Tirabassi di nuovo «in divisa»: i personaggi dei prossimi mesi in tv
Sarà Carlo Conti (e non Paolo Bonolis, come si vociferava da tempo ormai) a condurre la 65esima edizione del “Festival di Sanremo”. A Pupo spetterà il compito di sostituire Antonella Clerici per il mezzogiorno estivo di Raiuno. Anita Caprioli, Giorgio Tirabassi, Fabrizio Bentivoglio e Claudia Pandolfi ritornano, animando fiction ricche di suspense, sentimento e azione. Tutte le novità dei prossimi mesi in tv. Carlo Conti – In un primo momento si era parlato di Paolo Bonolis. Ma, alla fine, ha avuto la meglio Carlo Conti, scelto dal direttore di Raiuno (Giancarlo Leone) per la “guida” della 65esima edizione del “Festival di Sanremo”. Una notizia che arriva a coronamento di stagioni e stagioni di successi esponenziali (“L'eredità”, “I migliori anni”, “Tale e quale show” e “Si può fare!”, in onda attualmente sull'ammiraglia della tv di Stato, ogni venerdì alle 21.15). Adesso si dovranno mettere a punto la squadra di lavoro e “un'idea forte, in concomitanza ad un meccanismo che possa convincere l'azienda, la discografia e il pubblico” (stando a quanto dichiarato dallo stesso conduttore toscano). E di sicuro la creatività non mancherà. Pupo – A giugno “La prova del cuoco” andrà in vacanza (un meritato riposo per Antonella Clerici, reduce anche dal gradimento di “Ti lascio una canzone”, con finalissima seguita da quasi 5milioni di spettatori in media su Raiuno). In attesa degli ultimi dettagli, sembra con una certa insistenza che sarà Pupo ad occuparsi “di cucina” per tutta l'estate sull'ammiraglia Rai, dando vita il sabato a “Market Kitchen”. Questa la formula: persone comuni si cimenteranno in diversi piatti e il migliore vincerà una cena nel ristorante di un grande chef. Anita Caprioli – Ben due fiction “made in Raiuno” per la versatile Anita Caprioli: dalla poliziesca “La Catturandi” (sei puntate in autunno) a “La strada dritta”, accanto ad Ennio Fantastichini, in un mix di suspense, autorialità e sentimento. Giorgio Tirabassi – Nuova serie poliziesca per Giorgio Tirabassi: dopo essere stato per diverse edizioni ispettore in “Distretto di polizia”, voci di corridoio lo danno già pronto a rimettersi la divisa per “Squadra Mobile” su Canale 5, prodotta da Taodue. In primo piano il racconto di un gruppo di agenti, alle prese con la criminalità quotidiana. Fabrizio Bentivoglio e Claudia Pandolfi – Fabrizio Bentivoglio, Claudia Pandolfi, Paolo Calabresi, Filippo Nigro e Ninni Bruschetta saranno i protagonisti di “RIS – Sicilia Connection”, nuova fiction diretta da Lucio Pellegrini, che riceve il testimone da “RIS – Delitti imperfetti”. Location delle riprese: Messina e Roma. Il tutto rigorosamente da mandare in onda nella prossima stagione su Canale 5. Eleonora Daniele e Federico Quaranta – “La vita in diretta” si concluderà alla fine di maggio. Dal 2 giugno saranno Eleonora Daniele e Federico Quaranta a prenderne il testimone, conducendo “Estate in diretta” su Raiuno alle 15.50. Attualità, leggerezza, divertimento, curiosità e tante rubriche per un magazine da “gustare” in vacanza. Gianluca Doronzo
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Enrico Bertolino
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Enrico Bertolino conduce ogni domenica alle 22.45 su Raitre (con quasi 1milione di spettatori e il 7% di share) «Glob - Diversamente italiani», per la regia di Duccio Forzano, facendo riflettere «fra ironia e sorriso» sulla situazione attuale nel Belpaese (anche nella sfera tecnologica)
«Fare satira oggi? Vuol dire non essere conformi, cercando di graffiare e incidere il più possibile»
“Fare satira oggi vuol dire non essere conformi, cercando di graffiare e incidere il più possibile”. Ne è convinto Enrico Bertolino, per la quattordicesima volta (in sette anni) alla conduzione di “Glob” (Raitre, ogni domenica, ore 22.45, per la regia di Duccio Forzano, quasi 1milione di spettatori in media col 7% di share), declinato nel sottotitolo “Diversamente italiani”. Un viaggio in dieci puntate nella “comunicazione in tutte le sfumature di fondo, difficoltà annesse”, in un connubio di risate, divertimento e tanta riflessione sul quotidiano (anche in merito alla sfera tecnologica). Fra auspici di “sperimentazione”, desiderio di “one normal show” nei palinsesti e progetti futuri (una sit-sketch con Max Tortora e una docu-fiction per Raiuno), la chiacchierata si conclude metaforicamente allo specchio, in maniera “deformante” (come il “Riccardo III” di Shakespeare). Leggere, per scoprire. Domanda – Enrico, continua la sua avventura in “Glob” (Raitre, ogni domenica, ore 22.45, regia di Duccio Forzano), stavolta declinata nell'essere “Diversamente italiani”: 1milione di spettatori in media col 7% di share per formulare un “viaggio nelle varie sfumature della comunicazione, con annesse difficoltà”. Risposta – Esatto, il nostro è un viaggio che affronta la difficoltà di comunicare, con un occhio vigile (e critico) su quello che ci circonda e accade nella quotidianità, senza
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esserne fagocitati. Devo dire che siamo alla quattordicesima edizione in ben sette anni di programmazione, fra pause e riprese: quando abbiamo iniziato non c'era, ad esempio, Twitter. Oggi è cambiato tutto, grazie ad un'evoluzione supertecnologica non indifferente. Ci avviciniamo ad un pubblico giovane e per noi diventa importante declinare la tv verso il target del futuro, essendo puntualmente al passo coi tempi. D . – Ha parlato di 14 edizioni del programma in sette anni: cosa ha rappresentato “Glob” per lei in questo lasso di tempo? R . – Per me ha rappresentato innanzitutto un punto di partenza, avendolo creato assieme a Marco Posani, storico autore di Fabio Fazio, per dirgliene una. E, soprattutto, costituisce un punto di arrivo, visto che siamo stati così longevi. Credo che attualmente non ci siano grandi possibilità di sperimentare: riuscire a cucirsi addosso un abito come quello di “Glob”, senza importarlo da alcun format, è un'impresa vincente e viva più che mai. In particolar modo in un momento come questo, animato da crisi e molti problemi. D . – Che pensa della Raitre odierna? R . – Raitre aveva una forte identità in passato: era connotata in
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maniera battagliera e particolare. Ovviamente si è adattata allo spirito dei tempi e mi sembra che Andrea Vianello stia facendo un buon lavoro per renderla competitiva e attenta al sociale. Non dimentichiamo che negli anni ha avuto una temibile concorrente come La7, scandita da palinsesti pronti a rendersi contemporanei e sinceri. D . – Prima ha parlato della “sperimentazione”: non proprio possibile nei palinsesti attuali? R . – Guardi, io spero e mi auguro sia possibile sperimentare. In tv c'è spazio per tutti e non si deve mai perdere la speranza di far cambiare le cose. Ad esempio, ho trovato molto innovativo e sperimentale Pif nel prologo all'ultimo “Festival di Sanremo”. Infatti la sua striscia ha ottenuto buoni ascolti, segno che si può osare con successo. D . – Ha visto “Giass” di Antonio Ricci su Canale 5 con Luca e Paolo? R . – Quella è stata un'impresa difficile: erano anni che Canale 5 aveva abbandonato la cifra del varietà. Forse l'ultima sfida proiettata al divertimento era stata affrontata con “Zelig” che,
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però, nell'ultima edizione non ha avuto forse i risultati sperati. Premesso ciò, ritengo che “Giass” abbia avuto un po' di difficoltà di collocazione, proponendosi con coraggio e particolarità nello scenario televisivo attuale. Oggi è difficile riuscire a fare un buon prodotto, nella maniera giusta e sperata: non ha avuto vita facile, sebbene Antonio Ricci sia un maestro del piccolo schermo. D . – Enrico, cosa significa fare satira oggi? R . – Tentare di non essere conformi. Sì, essere anticonformisti. La satira non può non essere faziosa. Renzi, ad esempio, si predispone bene ad esserne un soggetto “da considerare”. Poi, non dimentichiamo che c'è una questione annosa fra satira e parodia: la parodia sfocia nel simpatico, la satira deve graffiare e incidere, altrimenti è la fine. D . – Qual è il suo punto di vista sulla tv italiana? R . – Ammetto di essere spesso in giro per il mondo e mi capita di vedere un po' di tv estera, facendo i rispettivi confronti: ritengo da noi sia necessaria una riforma di alcuni modelli, ormai vetusti. Ad esempio, abbiamo assistito al boom del
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“Grande fratello” per anni, ma oggi mi sembra il racconto si sia esaurito. Non se ne può più di proposte culinarie. Vorremmo un po' di “one normal show” e la vedo dura in tempi di cibi cotti mettere a punto trasmissioni disposte a proporre pietanze da cucinare, facendo la spesa. Visto quello che tutto costa! D . – Tornerebbe a fare teatro? R . – C'è stato uno spettacolo che ho portato in giro fino allo scorso dicembre: spero di riprenderlo nel 2015 toccando città nelle quali sono sempre stato nelle mie tournée, come Genova e Bologna, per farle alcuni esempi. La prima parte è stata portata nel Nord-Ovest dell'Italia. D . – A che punto del suo percorso sente di essere? R . – Dico la verità: non mi sono mai dato una scadenza, né una tappa di arrivo di quello che ho fatto e sto facendo. Vivo più semplicemente la vita, senza avere le ansie dei frustrati, costantemente portati ad avere uno spirito di “attesa”. Di conseguenza il mio percorso va avanti e non ci sono problemi. Senza punti precisi da definire. D . – Ci sono progetti ai quali sta lavorando?
R . – Con Max Tortora stiamo mettendo a punto una versione sui generis della sit-sketch “Piloti”, che renderemo ospedaliera chiamandola “Accuditi”: sarà un prodotto per Raidue. C'è inoltre un progetto molto interessante per Raiuno a giugno, una docu-fiction in Brasile, in collaborazione con “Unomattina”. Vedremo un po' come si evolveranno le cose. D . – Metaforicamente allo specchio: come si riflette attualmente Enrico Bertolino? R . – Deformato (e scoppia una risata, ndr). Mi piace definire lo specchio deformato, così non vedo nulla di riflesso come vorrei. E poi “deformato” mi fa venire in mente il “Riccardo III” di Shakespeare, interpretato con successo in queste settimane da Alessandro Gassman, una persona stimabilissima che ha un fardello non facile col cognome che porta. Mentre Bertolino è un uomo comune e può sbagliare in qualsiasi momento, Alessandro Gassman non ha un compito facile, vista l'eredità del padre: trovo, tuttavia, sia un ottimo attore e faccia profondamente della recitazione una vera arte. Gianluca Doronzo
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Cosima Coppola
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L'attrice originaria di Fragagnano (in provincia di Taranto) ha vestito i panni di «Betty» nella fiction «Rodolfo Valentino - La leggenda» (Canale 5, 4milioni184mila spettatori in media, col 16,55% di share), per la regia di Alessio Inturri e soggetto di Teodosio Losito, in attesa di affiancare Massimiliano Morra e Francesco Testi in «Furore»
Un fiume in piena di nome Cosima Coppola: un concentrato di brillante simpatia, ilarità e talento per la seriale «video» vita
Ritrovarla per una chiacchierata telefonica è un piacere indescrivibile. Cosima Coppola (originaria di Fragagnano, in provincia di Taranto) è un concentrato brillante di energia, ilarità e, soprattutto, “talento” (nell'etimologico “dono di Dio”). Quasi fosse un fiume in piena (fra risate, divertimento, sketch su interruzioni della comunicazione e auspici futuri), racconta il suo momento “magico”, dettato soprattutto dalla rentrée televisiva in “Rodolfo Valentino – La leggenda” (Canale 5, 4milioni184mila spettatori in media, col 16,55 % di share, per la regia di Alessio Inturri e soggetto di Teodosio Losito), accanto a Gabriel Garko, dove ha vestito i panni di “Betty”, coronando il sogno di interpretare una ballerina (ha esordito proprio nella danza nel mondo dello spettacolo). In questi anni è cresciuta tanto a livello seriale: da “Il sangue e la rosa”, “Il falco e la colomba” (con Giulio Berruti) a “Viso d'angelo”, in attesa di “Furore” (sulle reti Mediaset prossimamente), al fianco di Francesco Testi e Massimiliano Morra. Bando ai preamboli: siete pronti ad “assistere” (come se fosse una “realityintervista”) al racconto di una delle attrici più promettenti della “video” vita? Domanda – Cosima, che bello ritrovarci! Sono passati un po' di anni da “Il falco e la colomba” su Canale 5, accanto a Giulio Berruti che, proprio di recente, ho intervistato per “I segreti di
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Borgo Larici”. Ne avete fatta di strada! Risposta – È un piacere per me risentirla, Gianluca. Ne è passato di tempo da “Il falco e la colomba”: diciamo che qualcosa ho combinato in questo periodo (e inizia a ridere, ndr). D . – (Conclusa la risata in comune, ndr) Direi più che qualcosa, visto che di recente è tornata sul piccolo schermo nella fiction “Rodolfo Valentino – La leggenda” (Canale 5, oltre 4milioni di spettatori in media, con quasi il 17% di share), accanto a Gabriel Garko, vestendo i panni di “Betty”. A proposito: a che punto del suo percorso è arrivata una simile chance? R . – Gianluca, io ho letto la sceneggiatura e ammetto di essermene subito innamorata: non ho esitato un attimo a garantire la mia presenza, proprio perché dovevo interpretare una ballerina e, come ormai è risaputo, la Coppola ama danzare (e ride nuovamente al telefono, ndr). Mi sono finalmente espressa nella mia disciplina originaria in una fiction: c'è stato con Gabriel uno studio sui balli da sala, fatto con molta dedizione da parte sua e attenzione alle coreografie. Ho trovato, pertanto, “Betty” molto distante dai personaggi da me interpretati precedentemente e mi sono anche molto, ma
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molto divertita. Come dire, mio caro: c'è stata tanta leggerezza in quello che ho fatto, senza drammi, divertendomi al massimo. D . – Potremmo, a ragion veduta, sostenere che “Betty” ha costituito una sorta di valore aggiunto nella sua carriera? R . – Sì, direi proprio di sì. Mi è piaciuta tantissimo. Io ammetto che abbiamo lavorato in maniera molto coesa fra di noi: ognuno ha dato il meglio di sé e non avrebbe potuto fare diversamente. Il pubblico mi sembra abbia gradito e un po' tutti noi abbiamo parlato di “magia” respirata nella fiction. Gianluca, noi abbiamo creduto fortemente in quello che abbiamo messo a punto. Davvero. Senza filtri, maschere o finzioni. Siamo stati molto naturali. D . – Per quel che la riguarda, tra l'altro, non era la prima volta in cui affiancava Gabriel Garko: entrambi siete cresciuti molto in questi anni sul piccolo schermo. R . – Direi che Gabriel si è impegnato tanto in questa fiction. Rodolfo era un gran seduttore e lui è entrato pienamente nella parte ma, a mio avviso, si è dato da fare proprio come ballerino in sala prove, cercando di essere il più credibile possibile. Ha dato il meglio. D . – Bene, bene. Cosima, che fase sta attraversando la fiction
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italiana oggi? R . – Critica, molto critica. Mi piacerebbe, a dire il vero, essere molto ottimista, ma i risultati mi sembra siano più discutibili delle buone premesse spesso paventate. I prodotti seriali sono nella maggior parte dei casi molto veloci: se prima, quando si girava, i ciak erano 4/5 al massimo in poco tempo, oggi si sono più che duplicati e va tutto bene alla prima, massimo alla seconda. L'importante è correre. Le battute si bruciano e c'è poco tempo per tutto. Il prodotto spesso e volentieri è buono, ma la fretta può essere cattiva consigliera. Ci vorrebbe più criterio, caro Gianluca. D . – Purtroppo, Cosima, oggi sembra essere un diktat quello della “corsa” ad ogni costo. R . – È la società che ci impone tutto ciò. Bisogna arrivare subito al risultato: chiudere una serie è ciò che conta. Ma non va sempre bene questo discorso. D . – Cinema e teatro: cosa preferirebbe? R . – Io sono aperta ad entrambe le proposte. Se dovesse capitare, accetterei subito. Sento di avere un'energia straripante arrivata ai 30. Ops, forse non avrei dovuto dire la mia età (e ride, ndr).
D . – Cosima, a 30 anni si è ancora all'inizio. Figuriamoci! Siamo quasi coetanei. R . – (Dopo una risata in comune, ndr) Se lo dice lei! Al di là di tutto, sono piena di spirito d'iniziativa. Vorrei fare di più e di tutto. Se mi si desse la possibilità di mettermi in discussione, sarei la persona più felice al mondo. D . – E sarà così: fiducia, ragazza (e la risata diventa sempre più contagiosa, ndr)! A proposito di cinema: ha visto il film “La grande bellezza” di Paolo Sorrentino, vincitore del “Premio Oscar”? R . – L'ho visto il secondo giorno in cui è uscito. Premetto di aver sempre apprezzato Sorrentino e il suo essere visionario. Detto ciò, però, ho maturato delle perplessità una volta venuta fuori dalla sala. Di sicuro è veritiero il racconto dello sfarzo romano, della decadenza delle persone, con profondo senso di solitudine. Ma è come se ad un certo punto mancasse un vero e proprio plot complessivo, come se tutto andasse di palo in frasca, senza un motivo conduttore. Magari se fosse entrato più nel vivo dei protagonisti, raccontandone le dinamiche interiori, forse l'avrei valutato diversamente. Tutta la pellicola si regge sulla straordinaria interpretazione di Toni Servillo, a cui
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direi: “Tanto di cappello”. D . – Finalmente un'attrice sincera, pronta a dire quello che pensa. Cosima, si sarebbe mai aspettata un percorso come quello fatto finora? R . – Direi che il mio cammino si è delineato strada facendo, pian piano. Come lei ben sa, Gianluca, ho iniziato nelle vesti di ballerina (lo so: non se ne può più di sentire questa storia della
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Coppola!) e poi ho proseguito con la recitazione: sono cresciuta nel tempo, migliorandomi costantemente. Oggi, a dire la verità, eliminerei un po' di pigrizia, un po' di diffidenza ed è stato forse sbagliato, a causa di queste componenti, precludermi un po' di strade. Sono, tuttavia, contenta di quello che ho fatto e dei risultati ottenuti. Andiamo avanti, sempre perseguendo il massimo.
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D . – E ad un giovane che volesse fare del mondo dello spettacolo il suo motivo conduttore, cosa si sentirebbe di suggerire oggi? R . – Di essere sempre caparbio. Se non ci credi in prima persona, non arrivi da nessuna parte. Bisogna insistere il più possibile ed essere puntualmente preparati. Prima o poi si è apprezzati, se ci si fa trovare pronti agli appuntamenti che la vita pone dinanzi a sé. Di porte in faccia se ne riceveranno tante. Ma per questo non bisogna mai mollare, tentando il tutto per tutto, credendoci sempre. D . – Davvero una bella energia, Cosima. Dulcis in fundo: metaforicamente allo specchio, come si riflette oggi? R . – Ad oggi, in tutta onestà, direi che mi rifletto come una donna più sicura di sé. A 18 anni, quando ero all'inizio del mio percorso, sentivo di essere molto introversa e schiva. Ora avverto la mia trasparenza e la manifesto a tutto tondo (e la comunicazione telefonica s'interrompe: dopo vari tentativi, si riprende la telefonata, ndr). Gianluca, ma che mi combina? Mi fa fare un monologo (e scoppia l'ennesima, fragorosa risata in comune, ndr)? Va bene così, tanto le dichiarazioni le ha già: il
suo pezzo è pronto per essere scritto (e la risata diventa inesorabilmente contagiosa, ndr). D . – Cosima, troppo divertente la nostra chiacchierata. Abbiamo dato vita ad una “reality-intervista”, inventando un nuovo genere. R . – Assolutamente. Depositiamo l'idea e creiamone un format. Comunque, giusto per concludere: oggi dico ciò che penso in maniera più tranquilla e ho assunto maggior sicurezza in quello che sono e ho fatto. Gianluca, in sintesi: sono molto più introspettiva del passato. D . – Perfetto: quando ci risentiamo, Cosima? R . – Di sicuro non per parlare di danza, perché il pubblico non ne può più della passione della Coppola per il ballo. Magari, senza che alcuno ci interrompa (telefoni permettendo), per una fiction musicale, di tennis o per un film al cinema (e ride, ndr). D . – Ci sto. A presto, amica mia. R . – A presto, Gianluca. Ma non mi faccia fare più monologhi (e non si può che concludere la chiacchierata con l'ennesima risata, ndr)! Gianluca Doronzo
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Emma Marrone
MUSICA IN TV - EUROVISION SONG CONTEST 2014
La Marrone rappresenterà il Belpaese all'«Eurovision Song Contest» 2014 in Danimarca (a Copenhagen), in diretta il 10 maggio su Raidue (ore 21.10), con commento di Linus e Nicola Savino
Dopo Gualazzi, Zilli e Mengoni è la volta di Emma: a 50 anni dalla vittoria della Cinquetti, l'Italia tornerà sul podio della celebre kermesse europea?
Comunque vada, ancora una volta sarà vincente il binomio “Salento-talento”. E sì, perché Emma Marrone dalla vittoria di “Amici di Maria De Filippi” in poi ne ha fatta di strada, in soli quattro anni. Due partecipazioni al “Festival di Sanremo” (un secondo posto con i Modà nel 2011 e la vittoria nel 2012 con “Non è l'inferno”); centinaia di migliaia di dischi venduti; presenze in show televisivi e un terzo album (“Schiena”) di grande successo, con attestazioni di pubblico e critica. Ed ora, la sua nuova sfida come si chiama? “Eurovision Song Contest” 2014 a Copenhagen, in diretta il 10 maggio (con prefinali il 6 e l'8 su Rai4) su Raidue (ore 21.10), con commento di Linus e Nicola Savino (attuale conduttore di “Quelli che il calcio…” alle 15.40 ogni domenica sulla stessa rete). Un'avventura che, a distanza di ben 50 anni dalla vittoria di Gigliola Cinquetti (con “Non ho l'età - per amarti”), cercherà di portare nuovamente il Belpaese sul podio. Il pezzo in gara sarà “La mia città”, un inedito rock, contenuto proprio nell'ultima pubblicazione dell'interprete originaria di Aradeo. In questa edizione (la 59esima) saranno ben 37 i Paesi che si sfideranno nella kermesse. E per la nostra nazione il respiro della competizione ha ancora un sapore più intenso, per una variegata gamma di motivazioni. Innanzitutto perché dal '97 (con i Jalisse, classificatisi quarti con “Fiumi di parole”), soltanto nel 2011 si è tornati a partecipare all'evento (che si ispira alla più famigerata rassegna canora ligure, animata sul palco dell'Ariston, condotta nel 2015 da Carlo Conti, la cui “guida” è stata ufficializzata nei giorni scorsi dal direttore di rete, Giancarlo Leone) con un Raphael Gualazzi che, per poco, ha rischiato di trionfare con la sua “Madness of love” (piazzandosi al secondo posto). A seguirlo fino allo scorso anno altri due numeri uno della musica italiana, esponenti della freschezza delle nuove generazioni venute fuori da “talent” e mercato discografico. Stiamo parlando di Nina Zilli nel 2012 (nona con “L'amore è femmina – out of love”) e Marco Mengoni (settimo nel 2013 con “L'essenziale”). Con grinta, passione e tanta, ma tanta determinazione (motivata dal fatto che ben un paio d'anni fa sarebbe dovuto toccare a lei partecipare al festival europeo ma, a causa di problemi familiari, fu costretta a rinunciare) sarà ora la volta di Emma, da ben 54 settimane in vetta alle hit parade italiane, senza mai perdere un colpo. Il suo ultimo motivo (“Trattengo il fiato”) è diventato subito sinonimo di gradimento, con un video davvero intenso ed emozionale. Quello che invece porterà in Danimarca sarà un pezzo scritto da lei, su misura per le sue qualità canore, di grande impatto e di stampo internazionale: impossibile che lasci indifferenti le giurie. Alla resa dei conti, al di là dei risultati e delle rispettive posizioni, un dato è inconfutabile: i ragazzi venuti fuori oggi dai “talent” sono diventati dei veri e propri signori della scena, non solo nel mercato italiano ma anche, e soprattutto, nella dimensione più internazionale. E, in fondo, la musica ha bisogno di nuova linfa e tanta gioventù, per imporsi e lasciare una piccola traccia di sé nelle future generazioni. Come accaduto per i mostri sacri del passato. Forza, Emma! E fa' che gli spettatori possano esclamare, in virtù dell'emozione: “Trattengo il fiato”! Gianluca Doronzo
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Caparezza
MUSICA - IL RITORNO
Sesto album («Museica») in 14 anni per Caparezza (nome d'arte di Michele Salvemini), subito in vetta alle classifiche: in rotazione radiofonica il singolo «Non me lo posso permettere» (seguirà «Cover» con armonica diatonica del Maestro Paolo Daniele) e tournée il 13 giugno a Napoli e il 14 a Bari per la kermesse «Acqua in testa», fra l'altro
«Ho maturato una visione estetica della mia musica: il bello dell'arte pittorica ha ispirato le mie 19 tracce nel disco»
Ha maturato una visione “estetica” della musica, alle soglie dei “40”. L'arte pittorica è stata la sua musa ispiratrice per ben 19 tracce (la scoperta del percorso di Van Gogh l'ha avvicinato al suo essere “avanguardista”). In 14 anni ha pubblicato ben sei album (“non posso fare a meno di scindere il binario creativo da quello dei live”), piazzandosi puntualmente ai vertici delle classifiche per “originalità, spessore e invettiva sociale nei suoi testi”. Caparezza (nome d'arte di Michele Salvemini) è tornato: in queste settimane è il re delle vendite con “Museica” (sarà il 13 giugno in concerto a Napoli e il 14 a Bari per la kermesse “Acqua in testa”, fra l'altro), anticipato dal singolo “Non me lo posso permettere” (già una hit radiofonica, a cui farà seguito “Cover” con armonica diatonica del Maestro Paolo Daniele). L'incontro per una chiacchierata decisamente profonda e dettagliata (dalla quale viene fuori l'immensa cultura di un uomo, al di là dell'artista) avviene nel suo studio di registrazione, a Molfetta, con tanta empatia e sorrisi costanti. Ma con una “paura fottuta” (sue testuali parole) per l'andamento del disco, visto che si tratta della prima produzione “da sé”. Domanda – Michele, è al sesto disco in 14 anni: a che punto del suo percorso (artistico e personale) arriva “Museica”? Nel preambolo alla nostra chiacchierata ha confessato di avere “una paura fottuta”. Risposta – Verissimo: l'ho detto, perché è come se fosse il primo album. Diciamo che ora la sua domanda mi sta facendo riflettere sull'aver messo a punto sei dischi in 14 anni: le ipotesi sono due. O non mi va di lavorare, oppure ci metto tanto (e s'interrompe, facendo scoppiare una risata comune, ndr) tempo nello scrivere, in quanto la mia vita scorre su due binari paralleli: i concerti e il disco da preparare. E devo dire che non coincidono mai. Ovvero: non ho mai scritto un album durante un tour, cosa che fanno spesso tanti altri colleghi, anche in maniera più che egregia. Io ho bisogno di scindere la vita in due tronconi: quello dei “live” dalla fase creativa, un momento bellissimo, che amo di più, da vivere però come “croce e delizia” in quanto a volte ti viene l'idea, a volte no, in altre l'hai in testa e non sai come farla venire fuori. Quasi fosse una lotta continua. Anzi: il disco è una lotta continua (e anche politica). Se poi consideriamo che un album porta via un anno, un anno e mezzo circa, il tempo da dedicare alla stesura dei pezzi già si dimezza rispetto a quello che vorresti. Per questo ho fatto sei dischi in 14 anni: ne avrei, sinceramente, voluti fare molti di più. Penso, tuttavia, che quando si produce tanto a livello musicale e si è vissuta una storia, si arrivi al punto che sembra tutto sia stato già detto e fatto. A me è successo, quasi non riuscissi a trovare più gli stimoli giusti. Per questo ero alla ricerca di qualcosa di nuovo (fermo restando che c'è sempre stata una gran voglia di fare) e ho deciso di sondare un campo dell'arte non affine al mio, quindi non musicale. Nello specifico: l'arte pittorica, diventata la musa ispiratrice di questo disco. D . – E perché proprio la pittura? R . – Bella domanda. Ho subito questo fascino in un museo: ero ad Amsterdam e ho avuto la fortuna di non essermi
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MUSICA - IL RITORNO
interessato né alle canne, né alle prostitute (e ride, ndr). Al contrario di quanto si possa pensare, sono entrato nel museo di Van Gogh e mi sono interessato ad un artista, che conoscevo solo superficialmente. La passione si è alimentata sempre più grazie all'audioguida. Un museo si può visitare o distrattamente, perché lo si fa per dovere di cronaca facendo il turista in giro, oppure concentrandosi sull'opera e sul percorso dell'artista, attraverso appunto l'artificio dell'audioguida che ti spiega, in qualche modo, quello che stai vedendo. Fortunatamente nel museo di Van Gogh c'era anche quella in italiano e ho potuto seguire un breve excursus sulle vicissitudini dell'esponente pittorico. Mi sono, pertanto, trovato dentro un percorso cronologico, che mi ha trascinato nella vita di questo artista. D . – Quindi c'è stata come una sorta di “Sindrome di Stendhal”? R . – Sì, in un certo senso sì. Anche se non sono svenuto (e la risata diventa comune, ndr). D . – Diciamo, allora, che è stato vittima di una specie di metaforico “svenimento creativo”. R . – Sì, in quel museo si è innescato qualcosa, che in realtà
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non è stata la prima scintilla. Un po' come accade per la pietra focaia, quando devi provare per la terza e quarta volta, prima di far venire fuori la fiamma. Premetto che ero reduce da una vacanza a Berlino e anche lì ero entrato in vari musei: sempre grazie all'artificio dell'audioguida mi ero appassionato alle vicende della Bauhaus, del movimento che ha inventato il design, quindi l'arte applicata all'oggetto. E già lì mi ero quasi commosso nel vedere tipo la “Sedia Wassily”, creata da un ventenne nei primi del '900 e che, invece, guardandola sembrava un prodotto del design degli Anni '70. Ancora oggi se ne vedono in giro e sembrano le sedie del futuro: oggetti inventati da personaggi lungimiranti. Lo stesso aveva fatto Van Gogh: in lui c'è, a mio avviso, un po' tutto. C'è il pop, l'espressionismo, l'affrontare la pittura non col tentativo di raccontare la realtà, facendone la fotografia, ma con la possibilità di raccontare la tua realtà, la tua visione, le tue inquietudini nella dinamica del quotidiano. Quindi un passo in avanti pauroso. Lui aveva il futuro in testa come la Bauhaus. In particolar modo c'era un quadro, denominato “Natura morta con Bibbia”, che rappresenta anche il difficile rapporto col papà. Van Gogh era figlio di un pastore severo e religioso: era visto come un folle, anche per il semplice fatto di innamorarsi di una prostituta, cosa che oggi passerebbe totalmente inosservata, soprattutto negli ambiti alti della politica. Di lui si diceva, in virtù di simili comportamenti, fosse posseduto dal demonio. Oltre che essere un “pazzo visionario”, nel senso buono del termine (un vero e proprio genio), Van Gogh era un appassionato di lettura e amava Emile Zola. In “Natura morta con Bibbia” (e qui chiudo, perché altrimenti diventa una chiacchierata troppo culturale la nostra!) c'è la Bibbia aperta, pesante, enorme, che rappresentava il padre morto da poco e la gioia di vivere di Zola, chiusa, piccolina in un angolo. Si trattava di due mondi, due generazioni a confronto: probabilmente lui era accusato di letture frivole, anche e soprattutto da chi gli stava attorno. Era una specie di “punk”, compreso col senno di poi nella pienezza delle sue opere. Insomma da tutto questo che le ho raccontato, nella mia testa s'è accesa una fiammella. Il percorso nel museo di Van Gogh si conclude con il “Campo di grano con volo di corvi”, il suo ultimo quadro e lì, lo ammetto, ho avuto proprio la “Sindrome di Stendhal”. M'è preso un bel coccolone: a me solitamente non accade. D . – Bene: a questo punto cosa è successo, musicalmente parlando? R . – Da lì sono tornato a casa con un tarlo in mente. Pensando alla vita di Van Gogh mi sono chiesto: ma io, in punto di morte, quando sarò al mio “volo di corvi sul campo di grano”, cosa penserò? Mi sarà concesso il privilegio della riflessione? Cosa salverò della mia vita? Io ho passato tutti i miei anni a scrivere dischi polemici, se vogliamo, di invettiva e critica sociale. Una cosa che mi è anche piaciuta molto. Ma al giro di boa, ai 40, ho pensato alla bellezza della creatività e dell'arte, nelle declinazioni più svariate. Musica, film, pittura: sono cose che mi mancheranno tanto, se dovessi pensare alla fine del mio
MUSICA - IL RITORNO
viaggio terreno. E, di conseguenza, ho iniziato a convincermi di voler scrivere un disco su ciò che mi piace. La creatività e l'arte si manifestano in mille modi: un album di musica che parla di musica rischia di essere autoreferenziale. La cosa più vicina all'immaginazione ho pensato potesse essere la storia dell'arte, che è un quid che io non conosco benissimo, in maniera epidermica, ma che voglio vivere e approfondire. Voglio imparare e scrivere contemporaneamente. Mentre imparo, se qualcosa mi viene suscitato, lo scriverò e lo imprimerò. E così è nato questo progetto, forse un po' troppo ambizioso, che ho chiamato “Museica”, in quanto c'è la mia musica, il museo e il 6, in virtù del sesto disco. D . – A proposito di arte: vorrebbe, un po' alla Thomas Bernhard, che “fosse forza dell'abitudine”? R . – Ma, secondo me dipende dal senso di questa frase. “La forza dell'abitudine” è un po' categorica come espressione. D . – Bernhard la intendeva come auspicio diventasse consuetudine e non anomalia. R . – No, non potrà mai esserlo, secondo me. Sono, sinceramente, un po' in disaccordo con questa visione. Credo che la forza dell'abitudine e la consuetudine probabilmente siano anche, e soprattutto, la morte del concetto artistico. È vero che Van Gogh dipingeva, ad esempio, quadri a ripetizione. Ma tutto partiva da un' inquietudine di fondo, che non può mai diventare sinonimo di “forza dell'abitudine”. Per quel che mi riguarda è sempre qualcosa di spirituale, di alternativo alla realtà. Di conseguenza: se la realtà per me entra nella sfera della routine, l'arte deve essere intesa come qualcosa di diverso, di magnifico, di alternativo. Io venivo dall'abitudine: mi stavo abituando ad un certo modo di essere e di fare. Ho infranto lo specchio nel quale venivo riflesso, con una diversa presa di posizione. Per questo ho voluto affrontare la tematica dell'arte e produrmi l'album da solo, diventando l'artefice artistico di me stesso, quando fino allo scorso disco mi sono affidato alle mani di Carlo Rossi, un grande produttore torinese, che mi ha fatto un po' da papà in questo viaggio. Ora, a 40 anni, posso anche staccarmi da mio padre, artisticamente parlando. Ecco che è venuto fuori un disco dalle grandi novità, registrato in uno studio, apparentemente “dismesso” (come quello che vede), ma operativo più che mai. D . – Fatti i dovuti preamboli, entriamo nel merito della querelle: cosa si auspica possa essere messo in evidenza rispetto ai suoi principi, ad ascolto avvenuto? Cosa le piacerebbe potesse essere recepito dal pubblico? R . – L'estetica. Ho pensato a questa risposta, senza sapere delle sue intenzioni in merito alla domanda (e ride, ndr). D . – Sappia, Michele, che non era previsto nulla di quello che ci stiamo dicendo: mi sono ripromesso di seguire l'onda emozionale delle risposte per mettere a punto l'intervista. R . – Allora, gliel'ho suscitata? D . – Direi proprio di sì. Era come se sentivo volesse glielo chiedessi. R . – Io ho pensato al fatto che molto spesso noi siamo influenzati nel giudicare un'opera grazie alla cultura
circostante, che sia la nostra e quella che rappresenta l'opera stessa. Parliamo musicalmente, ad esempio, del fenomeno “punk”: è relativo alla cultura “punk” degli Anni '70, a quello che ha rappresentato per i giovani di quell'epoca a Londra e a tutto il fascino che ne accompagna il movimento. Se pensiamo all'hip-hop ha tutta una cultura dietro, al di là del singolo pezzo che ascoltiamo. Io adesso sono in un'altra fase: ho quasi abbandonato questo preconcetto e mi piace l'estetica. Se mi piace una cosa, va bene così e non voglio sapere ciò che rappresenti. Di conseguenza adesso sono arrivato ad una visione estetica della musica. Quando ascolto una canzone mi piace che funzioni tutto. Ha presente quando si dice: “Mi è arrivato”? Beh, sono in quella fase e non sto lì a chiedermi il perché. Esattamente come quando vedi un film e sostieni ti sia piaciuto: nel momento in cui cerchi di spiegartene la ragione, non trovi le parole giuste per farlo. D . – Ora: musicalmente, tutto quello che ci circonda, quanto è pronto ad essere recepito da un punto di vista estetico? R . – No, le dico la verità. Non siamo pronti…. D . – Allora, Michele, lei è avanti. Un po' come Van Gogh. R . – Per fortuna io riesco a vivere di quello che faccio. Mi sa
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che Van Gogh, nel complesso, ha venduto solo una tela (e ride, ndr). D . – Entrambi, però, siete avanguardisti… R . – Secondo me sono avanti, ma con qualche passetto indietro: ho l'enorme fortuna di essere al mio sesto disco e di poter parlare di questo. Ogni volta in cui finisce il ciclo di un album, penso: “Chissà se riuscirò a fare il prossimo”. Nessuno ti regala niente: puoi avere una notorietà elevatissima e, dopo soli tre mesi, perdere tutto, in quanto c'è il rischio del volubile, anche in merito ai gusti delle persone. In fondo tu come musicista vivi di quello. Di conseguenza sento di essere più fortunato di Van Gogh, ma interagisco in un mondo che non riflette sul senso d'estetica. C'è sempre un po' qualcosa dietro: quel cantante è di sinistra oppure no? È più puro e autentico oppure no? Un po' come quando si parla delle canzoni politiche del '68: sono nate in un determinato contesto e vanno rispettate come tali. Se, però, le dovessimo valutare esteticamente, allora ci sarebbero un sacco di problemi. Io adesso sono un esteta: non applico questa formula su di me fisicamente, ma su ciò che creo. D . – Da un punto di vista puramente testuale, come vive l'evoluzione anche rispetto ai lavori precedenti? R . – Ad esempio, non ho sentito il dovere o il bisogno di dimostrare qualcosa. Ho scritto in maniera molto libera. Paradossalmente magari è venuto fuori qualche pezzo un po' più pretenzioso e qualche altro un po' più semplice di quello che qualcuno possa aspettarsi da me. Fino a qualche anno fa io sentivo la voglia, la necessità di mettermi alla prova sempre nella scrittura, magari rendendo complesso oltremodo un concetto. E invece non ce n'era bisogno: adesso mi sento più
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libero. Non devo dimostrare nulla. Vivo come una condizione di quasi serenità, quando devo scrivere e comporre. D . – La libertà non è dettata anche, e soprattutto, dalla produzione di se stessi, staccandosi dal passato? R . – È un po' strano tutto quello che sto vivendo. Perché la condizione della novità ti pone dinanzi alla situazione del dover dimostrare. Invece in “Museica” io devo mostrare, che è diverso e, di conseguenza, mi sono “messo a mettere” in mostra le mie visioni, senza dover dimostrare nulla, perché ormai sono 14 anni che pubblico e faccio concerti. Credo di aver dimostrato abbondantemente quello che so fare, quello che so dire, i temi a me cari. E quindi sono passato alla “mostra”. Dal tunnel alla galleria (e ride, ndr). D . – Michele, in che modo fotografa il periodo in cui stiamo attualmente vivendo? R . – Come sempre. Un grande ginepraio. Un grande caos irrisolvibile. Consideriamo anche che sono diventato un po' più cinico da questo punto di vista. C'è un passaggio in un pezzo, forse il più intimista di quelli scritti, dal titolo “Fai da tela”. Nel testo si dice: “La gente/ tutti ce l'abbiamo con la gente/ come se non ne fossimo parte./ Ci si estromette sempre”. Io penso che ci siamo messi per troppi anni a puntare il dito contro qualcuno, considerato la causa del nostro malessere. Ma, a mio avviso, siamo un po' tutti causa del nostro malessere. Qualcuno nel piccolo, qualcuno nel grande. C'è una forma di malessere strisciante, di impossibilità a cambiare le cose, che riguarda un po' tutti, non solo il politico di turno, il padrone di turno, l'imprenditore di turno. Le case discografiche indipendenti nel piccolo fanno molto spesso quello che fanno le major. Quindi io vedo la situazione nella quale ci troviamo come se fossimo un po' tutti in questo enorme carrozzone, che non riusciamo a cambiare. D . – Anche perché per cambiare bisogna fare i conti con se stessi e non è un'impresa facile. R . – Ci sono anche una serie di luoghi comuni dai quali sdoganarsi: ad esempio, si pensa spesso che il politico in Parlamento sia nato da “Partilandia”, invece è una persona normale e magari da giovane è stato anche un contestatore. Siamo un po' un popolo di “tutti artisti” che ce l'hanno con tutti. Siamo tutti allenatori che avrebbero allenato meglio l'Italia del Ct. Siamo tutti registi che avrebbero fatto meglio il film appena uscito nelle sale. Si tratta di temi tutti affrontati in “Museica”, ora in maniera buffa, ora in maniera più seria. Siamo nel pantano, più o meno alimentato da chiunque, ora nel piccolo e ora nel grande. Siamo, a mio avviso, ancora nel tunnel e non vedo barlumi di luce all'orizzonte. Fatto sta che quando vai all'estero, ti accorgi che le cose funzionano meglio e, guarda caso, spesso hai a che fare proprio con italiani. Dovremmo imparare a confrontarci, a viaggiare, apprendendo sempre di più dalle altre culture. D . – Il viaggio comporta sempre una ricerca, no? R . – A me ha comportato un disco. D . – Arrivato a questo punto del suo percorso, in che modo si collocherebbe nello scenario circostante?
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R . – Libero. Se dovessi essere un calciatore, sarei libero. Mi sento non escluso, ma non accomunato, perché vado un po' per i fatti miei. Cerco un po' sempre di togliermi di dosso tutte le etichette. Ascoltando tanto, non riesco ad appartenere ad un solo filone. Di conseguenza, soprattutto in questo disco, ci sono dei pezzi meno identificabili di altri della mia produzione passata. Ci sono brani dove il mio rap è molto lineare, perché volevo pian piano arrivare a cantare, facendo piccoli e timidi passi verso un territorio che non conosco. E mi sono un po' convinto che vorrei concentrarmi sul canto, sviluppando caratteristiche che non ho ancora sostanziato. D . – Tiriamo le fila della nostra chiacchierata: siamo partiti dal concetto di arte; siamo arrivati a formulare un viaggio introspettivo ed ora siamo giunti a definire il suo status di libertà. Abbiamo, in sintesi, fatto un po' il punto sui suoi primi 40 anni. S'immagini, pertanto, davanti ad uno specchio metaforicamente: come si riflette oggi? R . – Non lo so. Mi sta chiedendo che opinione ho di me? Non ne ho una. Giorni fa mi è capitato di ragionare col pittore della copertina di “Museica”: io penso di essere quella copertina. L'albero esile sono io. L'opera che la gente guarda, in quel caso l'albero, esiste perché esiste tutto il resto intorno. E c'è la
vita. Il senso della vita è esistere e basta. Noi cerchiamo in tutti i modi di dare un senso altro. Io stesso sono un campione in questo, entrando in giri di paranoia pazzeschi. Credo, tuttavia, che l'opera mostrata ed esposta sia come la vita: sta lì perché è, esiste. Il pittore ha disegnato tre uomini vicino all'albero: uno con un'ascia, uno con un innaffiatoio e l'altro che semplicemente guarda. Io penso si debba essere quello che semplicemente guarda. Godendo dell'estetica del mondo. Non si può fare nulla se non vivere. Per cui io adesso quando mi guardo da 40enne, se dovessi valutare la vita la scruterei come qualcosa che non poteva andare diversamente. Che é, così com'è. Certamente ho un sacco di rimpianti. E certamente la vita è un'opera d'arte incompiuta e ne parlo anche in un pezzo che s'intitola “Canzone a metà”, dedicato a tutte le opere d'arte incompiute, che però sono belle proprio per questo. D . – Un po' come “I giganti della montagna” di Pirandello. R . – Esatto. Io poi in quella canzone ho messo un po' di tutto in rassegna. Tutto quello che è rimasto incompiuto, dalla scrittura ai film, dalla musica agli album tipo “Smile” del cantante dei Beach Boys, ripreso 30 anni dopo e per questo, secondo me, ha perso fascino. È bello che ciò che non riesci a chiudere rimanga un po' in quella maniera. Così. Incompiuto. Gianluca Doronzo
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Andrea Osvart
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Secondo film dall'inizio dell'anno per Andrea Osvart (popolare in Italia grazie a «Sanremo 2008»): dal pathos di «Anita B.» di Roberto Faenza alla commedia «Un matrimonio da favola» di Carlo Vanzina («un'occasione che aspettavo: da anni non mi capitava di ridere così tanto»)
«Sono diventata più rilassata rispetto al passato: finalmente posso decidere, pensare e scegliere quello che voglio, senza correre»
Il 2014 ha segnato il suo ritorno sul grande schermo. Dopo “Anita B.” di Roberto Faenza (accanto ad Antonio Cupo), Andrea Osvart è fra i protagonisti della commedia “Un matrimonio da favola”, per la regia di Carlo Vanzina, con un buon successo di pubblico e critica in questo periodo. Tanto divertimento, sketch esilaranti e ritmo risultano le peculiarità di una pellicola, che ha consentito all'attrice di origini ungheresi di “ridere come non faceva da tanto”, con la consapevolezza di essere più “rilassata e meno ansiosa degli esordi, potendo scegliere cosa fare e in che modo proseguire nella sua carriera”. Con estrema disponibilità al telefono, facendo “un volo” nel passato (dalla laurea in Letteratura Italiana a Budapest al “Sanremo 2008” con Baudo, fino alle numerose fiction, interpretate in pochissimi anni), non si può che rimanere in ascolto di un'anima “bella, solare e costantemente in ascesa” nel mondo dello spettacolo. Domanda – Andrea, il 2014 è iniziato all'insegna del cinema per lei: dopo “Anita B.” con Antonio Cupo, per la regia di Roberto Faenza, ha cambiato registro interpretando la commedia “Un matrimonio da favola” di Carlo Vanzina, attualmente nella sale, con ottimo successo di pubblico e critica.
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Risposta – Diciamo che il 2014 è partito proprio bene per quel che mi riguarda. “Anita B.” e “Un matrimonio da favola” sono due film molto diversi, ma di grande respiro. Si tratta di imprese nelle quali posso spaziare nei registri e le dico che il film di Vanzina, già nelle anteprime al “Barberini” di Roma, ha avuto un enorme successo: la gente si è divertita da matti. E non le nascondo che anche a me non capitava di ridere così da tanto, al di là del fatto che io sia coinvolta nella pellicola. Glielo ribadisco proprio da spettatrice. Se consideriamo il mio percorso, io sono stata più decisamente un'attrice drammatica negli anni. Tuttavia è la seconda volta che lavoro con i Vanzina e mi sembra che anche le corde della commedia mi calzino a pennello. Sono del parere che un'attrice non dovrebbe mai fermarsi, ma essere continuamente alla ricerca: io voglio crescere e maturare, senza nessuna paura. D . – Bene, Andrea: la trovo più convinta e determinata rispetto a quando ci siamo sentiti qualche anno fa, in occasione della fiction “Le ragazze dello swing”. Segno di una maturità strutturata nel tempo. Tra l'altro, tornando alla commedia di Vanzina, potremmo dire che il successo di botteghino è anche dettato dal fatto che la gente ha bisogno di ridere, alla luce della quotidianità non proprio felice nella quale ci troviamo a vivere. R . – Sì, sì, la gente ha tanto bisogno di ridere, di divertirsi e di essere spensierata. Una commedia, se ben fatta come “Un matrimonio da favola”, può davvero aiutare a distrarsi, lasciando a casa i cattivi pensieri, le tasse da pagare e i problemi che, purtroppo, dobbiamo affrontare. Tra l'altro, c'è tanto ritmo nella storia, ci sono equivoci e sketch davvero esilaranti. D . – Ok, ci ha convinto: coloro i quali non sono ancora andati al cinema, andranno subito a vedere il suo film. A proposito: che fase sta attraversando, secondo lei, il grande schermo italiano? R . – Io credo ci sia la speranza di una buona ripresa. Mi sembra ci si stia avvicinando alla luce, una volta finito il tunnel che, per troppo tempo, ha reso tutto buio attorno a noi. Ci sono tanti bei film in giro in questo momento e so che molti altri saranno in uscita a breve. Poi la vittoria del “Premio Oscar” per “La grande bellezza” di Sorrentino ci fa ben sperare per quello che accadrà. Si è tornato a parlare di cinema italiano nel mondo. Il che non è un dato da sottovalutare. Per noi attori ci sono delle belle opportunità, da cogliere al volo. D . – Andrea, guardandosi un attimo indietro, avrebbe mai pensato ad un percorso come quello fatto finora? R . – Sinceramente sì. Sono una ragazza molto cosciente e consapevole: se faccio una cosa, cerco di impegnarmi al massimo, dando tutta me stessa. Una volta una veggente mi disse che avrei fatto carriera nel mondo dello spettacolo: ha avuto ragione. Eccomi qui a parlare con lei, facendo il punto della situazione sul mio percorso. Non posso che esserne lusingata. D . – In merito alla fiction ci sono progetti in ballo? R . – In tutta onestà, Gianluca, credo che sarebbe ora di fare un
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elegante ritorno ad una bella serialità, nel rispetto di quelle che ho messo a punto in passato. In pochissimo tempo ne ho fatte davvero tante: poi sono stata a lavorare in America e sono tornata in Italia, dove il cinema mi ha “rapita”. Mi piacerebbe fare una rentrée in tv, vestendo i panni di un bel personaggio, ricco di sfumature e spessore. Chissà non accada presto! Magari dopo questa intervista (e ride, ndr). D . – Glielo auguro: guardi, Andrea, che io porto molta fortuna agli artisti. Tornando, invece, al suo percorso formativo, mi piacerebbe mettere in evidenza un particolare: lei si è laureata in Letteratura Italiana a Budapest, con una tesi su Elsa Morante. Che ricordo ha? R . – Ricordo con estremo piacere quando ho frequentato la facoltà di italianistica a Budapest: conoscevo la vostra nazione solo da lontano, attraverso gli studi, le tradizioni, la storia e molti altri particolari. Devo, però, ammettere che i miei studi mi hanno molto aiutato qui in Italia e non le nascondo che sono riuscita ad “incantare” Pippo Baudo, quando mi scelse per il “Festival di Sanremo” del 2008 con Bianca Guaccero. Sono del parere che ogni percorso debba arricchirsi di preparazione, studio e tanta passione. Io ho cercato di dare sempre il meglio e credo che la vita mi abbia ripagato con tante soddisfazioni. D . – A proposito: che ricordo ha del “Festival di Sanremo” del 2008? R . – Ammetto di non essermi resa conto bene dell'importanza dell'evento all'epoca: solo in un secondo momento ho realizzato che ben 20milioni di italiani avevano imparato a
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conoscermi in un solo colpo sul piccolo schermo. Si è trattato di un'emozione unica, che porto nel cuore, da cui è partita in maniera consolidata tutta la mia carriera. D . – Bene, Andrea. Tornando a “Un matrimonio da favola”, cosa si aspetta o vorrebbe potesse essere scritto, anche in relazione alla sua performance? R . – Della mia interpretazione nello specifico non so. Mi auguro che il film possa avere il successo che merita. Glielo ripeto: da anni non ridevo in questa maniera. All'anteprima è stato un botto di pubblico e divertimento. A mio avviso è un film che rispetta la commedia all'italiana, con tante sfumature e numerosi particolari ben costruiti e delineati. Il nostro è un cast corale, con tanto ritmo e ben messo a punto nello specifico. E poi tornare a lavorare con i Vanzina per me è stato un onore. D . – Dulcis in fundo: metaforicamente allo specchio, in che modo si riflette oggi Andrea Osvart? R . – Oggi mi sento più rilassata rispetto ai miei esordi. A dirle la verità ho corso per troppo tempo il rischio di fare tante cose, non riuscendo ad avere mai un momento di calma. Ora posso decidere, fermarmi a pensare, scegliere e mettere a punto ogni impresa con maggior criterio, senza che alcuno mi corra dietro. Avverto un senso più spiccato di sicurezza e tranquillità. D . – Un bel traguardo quello raggiunto “metaforicamente” allo specchio, no? R . – Direi proprio di sì, Gianluca. Il mondo dello spettacolo e la recitazione sono la mia vita: finalmente ho raggiunto maggiore relax rispetto ad un tempo. Gianluca Doronzo
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Teatro
TEATRO - LE RECENSIONI
Da Emanuele Battista («Ce quarandòtte») ad Alfredo Vasco («La locandiera») la drammaturgia si arricchisce di personalità, divertimento e attuale rivisitazione di classici (Goldoni del 1750), garantendo autentici «sold out» nei migliori teatri «made in Puglia»
Spettacoli corali, ricchi di ritmo, vivacità e riflessione sulle dinamiche quotidiane, con virate di registri «che non t'aspetti»
Da Emanuele Battista (“Ce quarandòtte”) ad Alfredo Vasco (“La locandiera”) la drammaturgia “made in Puglia” si arricchisce di personalità, divertimento e riflessione sulle dinamiche della vita quotidiana. “Ce quarandòtte” – Emanuele Battista è uno degli autori più vivaci della drammaturgia “made in talento”, declinata soprattutto nella sfera vernacolare. La sua scrittura riesce a manifestarsi in crescendo, “cucendo su misura” abiti attorno agli attori della compagnia “Amici del sipario”, valorizzandone potenzialità, racconto della dimensione interiore e spirito di “condivisione” scenica, in una resa corale, nel rispetto del gioco delle parti, senza mai far prevalere un interprete sull'altro. Dopo anni di gavetta, tournée nei migliori teatri di Bari e “umile” presa di posizione in merito ai consigli dispensati nel susseguirsi delle stagioni, finalmente si è arrivati ad un punto di svolta: il suo “Ce quarandòtte” (di recente presso la “Casa di Pulcinella” nel capoluogo pugliese) è risultato, ad onor di recensione, il miglior spettacolo messo a punto finora nel suo excursus. Per una serie di ragioni, da poter sintetizzare in un simile mix: sinergia degli esponenti del cast; efficace interazione del “recitato” con videoproiezioni; desiderio di fare attenzione al sociale paventando sensibilità (dicotomia fra ricchi e poveri; bisogno di trovare un alloggio nel quotidiano; rispetto per l'integrazione fra ceti differenti); cura del dettaglio nello sviluppo della storia raccontata; incisività dei tempi registici e, dulcis in fundo, semplicità da “immediato impatto” col pubblico. Con inesorabile divertimento e applausi a scena aperta. Così fra metafore, richiami lontani alla teatralità del principe De Curtis e “giusto mezzo” fra i toni paventati, la trama si è mostrata con “sentimento e cuore” nell'iconografia delle due famiglie “on stage”, fra italiano e dialetto, senza macchiettismi o isterismi da facilonerie “voyeur”. Complici del successo: Maria Barbone (al meglio nella sua schiettezza e sincerità emotiva), Pietro Genchi (meno impostato e ingessato del passato, stavolta ha rivelato buone capacità, reggendo anche “il copione” da solo), Rino Nenna (più convincente rispetto a “Happy day”, propone buona volontà e un percorso credibile), Maria Rosaria Ranieri (perfettamente a suo agio: intelligente la trovata di esaltarne le qualità anche da un punto di vista di “balli di gruppo”), Massimo Restelli (sicuro, vero e sorridente) e Anna Saccente (al suo esordio, giusta nella parte: le premesse sono buone). A completare il cast: Andrea Battista, Concetta Rinaldi, Daniele De Bartolo e Vincenzo Chiedi. Chapeau, ragazzi. “La locandiera” – Come giustamente ha ribadito Alfredo Vasco, ad ouverture della pièce (al “Duse” di Mia Fanelli): “Siamo dinanzi ad un primo esempio di emancipazione femminile nella letteratura. A voi le vicissitudini di una vera e propria imprenditrice”. Impossibile dargli torto, dopo aver visto la sua versione (ne ha scritto adattamento e curato regia) de “La locandiera” di Goldoni, risalente alla Firenze del 1750. Su tutti un “brava” (apertis verbis) a Barbara Grilli, sicura e incisiva nei vari registri utilizzati e perfettamente “padrona” (è il caso di dire) “on stage”. Non da meno: Bruno Verdegiglio, Cristina Angiuli e Mauro Milano (accomunati dall'essere determinati, spontanei e ricchi di ritmo). Da smussare, in antitesi, le insicurezze paventate da Antonello Loiacono e Paola Arcieri, forse ancora un po' acerbi. Alfredo Vasco è una conferma (nonché una certezza) della sfera teatrale. Gianluca Doronzo
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Giorgia Wurth
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Dopo il successo editoriale di «Tutta da rifare», l'attrice Wurth è tornata a mettersi in discussione nella letteratura, pubblicando il secondo romanzo intitolato «L'accarezzatrice» (Mondadori), da cui sarà presto tratto un film, da lei interpretato, diretto da Roberta Torre («un sogno che si avvera»)
Le molteplici anime di Giorgia: dalla scrittura al cinema «sperando di tornare presto anche a fare teatro»
Le molteplici anime di Giorgia. Dalla recitazione (fra tv, cinema e teatro) alla scrittura (“sento di essere in una fase di metamorfosi interiore”), non dimenticando trasmissioni animate per “Disney Channel” e “Cielo” (facendo un'incursione a mo' di “Signorina Buonasera” sulle reti Rai dal 2003 al 2008), la Wurth si sta rivelando una delle artiste più versatili degli ultimi anni. Archiviato il successo di “Tutta da rifare”, dal 1° aprile è tornata a mettersi in discussione nella letteratura, pubblicando il suo secondo romanzo, dal titolo “L'accarezzatrice” (Mondadori), da cui ben presto sarà tratto un film (da lei interpretato), diretto da Roberta Torre (“un sogno che si avvera”). Diventata (per sua stessa ammissione) “più cosciente del passato”, al telefono chiacchiera con estremo agio, spaziando negli argomenti, quasi fosse “un'amica di sempre”. Domanda – Dopo il successo di “Tutta da rifare” del 2010, pubblicato da Fazi editore (con cui ha vinto diversi premi a livello nazionale), è tornata a mettersi in discussione nella letteratura con l'uscita del suo secondo romanzo (dal 1° aprile in tutte le librerie d'Italia), dal titolo “L'accarezzatrice” (Mondadori). In pochissimo tempo è già diventato un successo, tanto che ne sarà tratto un film, da lei interpretato, per la regia di Roberta Torre.
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Risposta – Esatto. Confermo quanto da lei detto. Ammetto che Roberta era un vero e proprio mio sogno, in merito alla sfera cinematografica: il semplice fatto che io possa essere diretta da lei mi riempie di orgoglio e gratificazioni. Non potrei chiedere di più al momento. D . – Tra l'altro, non è facile in Italia mettere a punto film tratti da romanzi, alla luce dell'aumento esponenziale di commedie e solite saghe, trite e ritrite. R . – Sicuramente è condivisibile ciò che lei sostiene. Io credo che in un Paese in cui dominano le commedie, si debba avere tanto coraggio mettendosi in gioco, puntando su idee innovative, spesso tratte proprio dalla letteratura contemporanea. “L'accarezzatrice” ne è un esempio. I miei personaggi, affrontando il tema della malattia, manifestano un estremo senso di dignità, fino a decretare commozione in chi legge. Ci sono tante realtà bisognose d'aiuto attorno a noi. Ci sono padri di famiglia che scappano, per non prendersi le proprie responsabilità dinanzi ai momenti difficili e tanti altri, invece, fautori della meraviglia. Io credo che si viva di troppi pregiudizi e sarebbe il caso di avversarli con tutte le proprie forze. Ora, al di là dello specifico trattato nel mio romanzo, vorrei concludere dicendo che il mio è un libro pieno di gioia e
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speranza: un bell'esempio per chi legge, senza retorica e problematicità varie. D . – Giorgia, cosa rappresenta la scrittura per lei? R . – Un'esigenza fondamentale da cui non potrei prescindere. Attraverso la scrittura esorcizzo me stessa e il mio modo di essere. Credo sia una forma terapeutica di comprensione della propria interiorità e di tutto quello che mi circonda. Non ne potrei fare a meno, caro Gianluca. D . – La capisco benissimo: lo è anche per me, alla luce dei libri pubblicati nel mio percorso. Ma torniamo a noi: visto che presto interpreterà il film della Torre, mi verrebbe spontaneo chiederle cosa possa pensare della cinematografia attuale in Italia. R . – Il mio punto di vista è drammatico. Fare del cinema in Italia è difficilissimo: il fatto che due, massimo tre film balzino agli onori della cronaca non vuol dire che siamo in una fase felice. Non dimentichiamo che moltissimi escono e vanno male, per non parlare di quelli che non trovano distribuzione (magari di buona qualità). Si tende sempre a rifare le stesse cose, non avendo il coraggio delle idee. D . – E la fiction italiana? R . – Mi sembra che abbia un bel pubblico e si stia facendo sempre meglio, soprattutto in antitesi al cinema. Ce n'è di tutti i
CINEMA E SCRITTURA - IL TALENTO
tipi: io ne ho fatta e vorrei continuare, alla luce dei numerosi successi ai quali ho partecipato. D . – Ad esempio, lei ha fatto parte del cast della sesta edizione di “Un medico in famiglia”: sta vedendo quella in onda attualmente, con Flavio Parenti e Michele Venitucci su Raiuno? R . – A dire la verità, Gianluca, non guardo la tv. Non ho il televisore a casa e faccio fatica persino a ricordare i nomi dei miei colleghi. Non per snobismo, ma proprio perché non sono aggiornata su quello che stanno trasmettendo. Di conseguenza non saprei cosa risponderle. D . – Avrebbe mai immaginato un percorso come quello messo a punto finora? R . – In realtà da piccola volevo fare la pianista. Crescendo, mi sono iscritta all'università e ho frequentato la facoltà di “Scienze della comunicazione”, sognando di diventare giornalista. E, per carità, ho anche scritto ma poi alla fine mi sono stufata di redigere articoli su commissione. Così ho intrapreso l'Accademia per diventare attrice e poi, pian piano, il mio percorso si è arricchito di avventure, fino ad essere arrivata qui. D . – Ritiene, dunque, di essere stata soddisfatta di quanto messo a punto? R . – Credo effettivamente di essere stata un po' fortunata: mi sembra di aver fatto un bel po' di imprese. Forse, ultimamente, alla luce di certe cose che ho visto mi sono divertita un po' meno a fare questo lavoro. C'è indubbiamente una crisi che si respira a pieni polmoni, ma la supereremo. Per il momento mi sto divertendo molto con la scrittura e spero di continuare in una simile direzione.
D . – Alla luce della sua seconda pubblicazione, come definirebbe il suo modo di scrivere? R . – Sento di essere in una fase di metamorfosi interiore. Anche il mio primo libro aveva delle connotazioni intimiste, ma con “L'accarezzatrice” sono entrata maggiormente nei meandri della mia personalità, dando luce ad aspetti sociali e sensibili, ai quali tengo tanto. Ci sono state numerose associazioni che mi hanno contattato per la presentazione del romanzo, dicendo che potrebbe essere molto d'aiuto al prossimo. Sento di avere dentro una forza incredibile, grazie alla quale vorrei dare aiuto a chi ne ha bisogno: non mi interessa il guadagno, ma la possibilità di mettere al servizio degli altri la mia scrittura, delineando messaggi che possano entrare nel cuore di chi li fruisce. D . – Al suo attivo anche tanto teatro: tornerebbe in tournée? R . – Magari. Devo dirle di aver fatto uno spettacolo fino alla fine dello scorso anno, dal titolo “Xanax” (di Angelo Longoni), con un altro attore. Molto bello. Non vedo, pertanto, l'ora di tornare a calcare il palco con un bel testo. D . – Bene. Siamo alla conclusione del nostro “viaggio telefonico”: s'immagini metaforicamente allo specchio. Come si riflette oggi Giorgia Wurth? R . – Guardi, esattamente qualche settimana fa ho fatto un brutto incidente in macchina: non ne sono venuta fuori benissimo, ma sono in ripresa. Credo, sinceramente, di essere molto in contatto con me stessa in questo periodo. Mi vedo più consapevole e fortunata. I veri problemi nella vita, caro Gianluca, sono ben altri. Ogni volta in cui si viene fuori da qualcosa di drammatico, ci si rafforza sempre di più e si diventa ben strutturati. Oggi mi vedo più cosciente del passato. Gianluca Doronzo
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Antonella Ferrari
TEATRO E SCRITTURA - IL TALENTO
Ha ricevuto di recente l'onorificenza di «Cavaliere dell'ordine al merito della Repubblica Italiana» dal Presidente Giorgio Napolitano per «l'impegno sociale e filantropico»: Antonella Ferrari sarà dal 9 all'11 maggio al «Litta» di Milano con lo spettacolo «Più forte del destino», tratto dall'omonimo libro del 2012, giunto alla quinta edizione, vincitore del «Premio Albori» per la sezione teatro
«Bisogna saper affrontare con coraggio la malattia, senza retorica e sofferenza: l'importanza della vita è nell'arte di esserci»
“Bisogna saper affrontare con coraggio la malattia, senza retorica e sofferenza: nella vita l'importante è perseguire l'arte di esserci, lasciando una piccola traccia di sé”. Antonella Ferrari è un esempio non solo a livello professionale ma, soprattutto, nella sfera umana: volitiva, determinata e sincera, non si è mai lasciata andare nel suo “non facile” percorso esistenziale. Ha reagito, coronando i propri sogni ed oggi, in virtù del suo estremo impegno “sociale e filantropico”, è stata insignita dell'onorificenza di “Cavaliere dell'ordine al merito della Repubblica Italiana”, con decreto del Presidente Giorgio Napolitano. Un riconoscimento che la ripaga per le “numerose porte sbattute in faccia” in questi anni, a causa della sclerosi multipla, il cui racconto è stato messo a punto nello spettacolo “Più forte del destino”, tratto dall'omonimo libro, edito da Mondadori nel 2012, diventato un successo editoriale (ben cinque edizioni e il conseguimento del “Premio Albori” nella sezione teatro). In tournée dal 9 all'11 maggio al “Litta” di Milano, per la regia di Arturo Di Tullio (produzione dell' “Accademia Togliani”), traccia “un volo pindarico” sulle sue più importanti imprese televisive (da “Centovetrine” a “Un matrimonio” di Pupi Avati, in cui il tema della disabilità “è stato trattato con estrema delicatezza”, grazie alla sua “Anna Paola”), paventando un profondo bisogno di “sentirsi amata dal pubblico”, auspicando maggiori “sicurezza e autostima”. Domanda – Antonella, alla luce dell'onorificenza appena ricevuta dal Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, è il caso che durante questa intervista io la chiami “Cavaliere”? Risposta – (Dopo una risata comune, ndr) No, caro. Mi chiami semplicemente Antonella. D . – Bene, bene. Almeno mi ha tolto dall'imbarazzo. Anche perché, spieghiamo ai lettori, di recente lei è stata insignita dell'onorificenza di “Cavaliere dell'ordine al merito della Repubblica Italiana”, con decreto del Presidente Napolitano, per “il valore sociale, filantropico e umanitario” delle sue numerose attività. R . – Esatto, Gianluca. In realtà il decreto è stato messo a punto il 2 giugno dello scorso anno, ma solo un paio di mesi fa mi è arrivata la lettera a casa, a firma del Presidente della Repubblica Italiana. D . – Che emozione ha provato nel momento in cui l'ha letta? R . – A me ha fatto un enorme piacere. In realtà la notizia mi era stata anticipata tempo fa da una senatrice, ma finché non ne avevo conferma non se ne poteva essere così certi. Quando poi ho ricevuto la lettera a casa, la soddisfazione è stata immensa. È bello sapere che il nostro Presidente Napolitano è stato molto sensibile al racconto della mia storia personale nel libro edito da Mondadori, da cui ho successivamente tratto lo spettacolo teatrale, col quale sarò anche a Milano dal 9 all'11 maggio al “Litta”. Traendo spunto dalla mia malattia, la sclerosi multipla, voglio infondere coraggio a chi soffre, dimostrando quanto si possa andare avanti, senza minima paura. D . – Il suo libro, pubblicato nel 2012, è stato un vero successo editoriale: ben cinque edizioni e premi in tutt'Italia (da ricordare l' “Albori” nella sezione teatro).
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TEATRO E SCRITTURA - IL TALENTO
R . – Esatto, Gianluca. Il libro è stato un vero successo editoriale, del quale vado pienamente fiera. Sono stati in centinaia e centinaia a scrivermi, apprezzando il coraggio della mia storia e la voglia di combattere. Parlarne a teatro ha, secondo me, ancora più spessore perché consente di arrivare direttamente al pubblico. D . – Il teatro cosa ha rappresentato nel suo percorso? R . – Ammetto che il teatro non solo è stato il mio primo grande amore, ma soprattutto la dimensione più congeniale nella quale raccontarmi con verità, emozione e passione. Lo faccio da anni e credo ci voglia coraggio a portare in tournée uno spettacolo come il mio, nel quale racconto la mia vita all'insegna della sclerosi multipla, affrontando un tema (se vogliamo) così poco teatrale. Sono, tuttavia, del parere che anche un argomento come il mio possa essere trattato sul palco nella giusta maniera, senza retorica ma con trasporto. D . – Finora che tipo di riscontro ha avuto la sua tournée? R . – Gianluca, tutte le sere ho fatto esaurito. Ne sono pienamente entusiasta. Il pubblico è puntualmente stato molto ricettivo e, in tutta franchezza, le dico di aver fatto il pieno di energia, tanto da essere carica ancora per stagioni e stagioni (e ride, ndr).
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D . – Che bella vitalità, Antonella! Se vogliamo, il teatro ha proprio la funzione di raccontare: è una forma affabulatoria, che crea empatia con lo spettatore. R . – Il teatro è proprio un modo di raccontare gli eventi della vita, declinando il tutto a seconda della propria volontà. È un racconto vero, non filtrato o finto. Ogni riferimento a cose e persone, onestamente, credo non sia puramente casuale, ma voluto. Si portano sul palco i particolari della storia di una persona e si costruiscono delle trame attorno. Molti, ad esempio, apprezzano anche il mio modo distaccato, quasi sbeffeggiando la disabilità, proprio perché credo che l'ironia e il giusto straniamento siano le chiavi per mettere a nudo la verità. Ed io amo la verità. D . – Se si dovesse descrivere in questo momento della sua vita, quale colore sceglierebbe? R . – Diciamo che io sono una persona tendenzialmente ottimista: di conseguenza ho sempre visto la mia vita nell'ottica dell'arancione. È chiaro che in certi momenti della mia carriera ho pensato tutto potesse diventare nero, specialmente in una quotidianità dove l'apparire supera l'essere. Ciò mi ha fatto molto male: ho ricevuto tante porte sbattute in faccia, ma mi sono sempre rialzata con estrema dignità e sono andata
TEATRO E SCRITTURA - IL TALENTO
avanti, senza esitazione di sorta. D . – Se le dico “Centovetrine”, cosa mi risponde? R . – Mi viene in mente una grande possibilità, in qualche modo mancata. Ben inteso: ringrazio chi mi ha consentito di vivere cinque anni profondi, ma mi è dispiaciuta la maniera nella quale ci siamo lasciati. La mia “Lorenza” è sparita da un giorno all'altro, senza una fine ben precisa e dichiarata. Avrei voluto le cose andassero diversamente. D . – Se, invece, le dico “Un matrimonio” di Pupi Avati? R . – La più grande soddisfazione della mia vita: ho animato un personaggio straordinario. Della mia disabilità si è parlato in una maniera talmente delicata, che solo un grande uomo come Pupi Avati poteva farlo. Se mi riguardo in “Un matrimonio” io vedo un'attrice, vedo uno studio, una preparazione e un lavoro con tutti i dettagli del caso. Gianluca, io ho veramente lavorato su di me e su “Anna Paola”. È stata un'emozione unica e indescrivibile, che custodirò per sempre nel mio cuore. D . – Tra l'altro, “Un matrimonio” ha portato sul piccolo schermo delle tinte cinematografiche, dando vita ad una serie di fiction
differenti dal passato. R . – Per me, infatti, non è stata una fiction. Si è trattato di un vero e proprio film e c'era una grande attenzione ad ogni minimo dettaglio. In fondo il racconto era molto semplice, senza grandissimi colpi di scena, ma estremamente struggente e intenso. D . – Tornando alla scrittura: le avranno chiesto di bissare il successo editoriale, no? R . – Sì, mi hanno chiesto di scrivere un altro libro e ci sto riflettendo. Appena sarà il momento giusto, mi metterò all'opera. Per il momento mi godo il periodo che sto vivendo. D . – Cavaliere, ops, volevo dire Antonella, siamo alla fine della nostra chiacchierata: s'immagini metaforicamente allo specchio. Come si riflette oggi? R . – Mi rifletto come una persona ancora molto insicura, che fa fatica a stimarsi. Vorrei, glielo dico con tutto il cuore, guardarmi allo specchio e amarmi sempre di più. Sono alla ricerca di continue conferme: mi piacerebbe ricevere e percepire costantemente affetto incondizionato da parte della gente attorno a me. Davvero. Gianluca Doronzo
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Andy Warhol
ARTE - LA MOSTRA
Ben 150 opere del padre della «Pop Art» americana in mostra fino al 28 settembre al «Museo della Fondazione Palazzo Cipolla» di Roma, a cura di Peter Brant, in un viaggio dai '50 al 1987
La modernità di Andy Warhol a 27 anni dalla sua scomparsa, fra suggestioni visive, dipinti inediti e originalità concettuale
Ben 150 opere del padre della “Pop Art” made in USA. Un percorso dagli Anni '50 al 1987 (anno della sua scomparsa) scandisce la retrospettiva dedicata ad “Andy Warhol”, al rinnovato “Museo della Fondazione - Palazzo Cipolla” di Roma, fino al 28 settembre, prodotta e organizzata da “Arthemisia”, dopo il successo meneghino degli ultimi mesi. A curarne i particolari, attraverso puntuali documentazioni, Peter Brant, noto collezionista e amico di colui che è passato alla storia come “un acuminato interprete della società di massa e del consumismo”, anticipando il “potere dei mass media”. Un viaggio “intenso e ricco di colori”, il cui incipit avviene con la narrazione visiva del debutto nella cosiddetta “commercial art”, lavorando a mo' di illustratore per riviste prestigiose (da “Harper's Bazar” al sofisticato “New Yorker”) e disegnatore pubblicitario. E, tra l'altro, proprio dal mettersi al servizio per un celebre negozio di calzature ebbe origine l'idea delle “incantevoli scarpette a foglia d'oro”, che aprono la mostra assieme ad alcuni esempi di “Blotted line”, non dimenticando quel “tipico segno gracile e interrotto” (come si evince anche nel catalogo), frutto del caso più che della stessa volontà autoriale. Con una coloratissima “Liz” del 1963 si arriva ad introdurre il tema relativo alle prime “Campbell's Sup” e “Coke”, in concomitanza a “Disaster” (forte fu il rapporto di attrazione e repulsione per la morte). A seguire: i dipinti dei francobolli alla “S&H Green Stamps” del 1962, fatti con stampini ripetuti più e più volte sulla carta (l'iterazione è uno dei codici linguistici prediletti dall'artista, in quanto rende semanticamente più “neutro” il soggetto); i “Red Elvis” e il grandioso “192 One Dollar Bills”; le splendide “Marilyn” del '62 (quando era appena deceduta) e del '64; le “Brillo Box”, esposte nella prestigiosa galleria di Leo Castelli (quasi fossero delle sgargianti carte da parati) e i “Mao” del '72, con cui aveva genesi un sorta di pittura più gestuale. Dignità ontologica anche alle serie dedicate alle “Drag Queen” di New York con le “Ladies and Gentleman”, non mettendo da parte un gran numero di “Skulls”, teschi che dal 1976 in poi si moltiplicarono nel suo lavoro, attingendo di lì in poi a simboli più universali. Un'intera sala dedicata alle polaroid che formano una sorta di “gotha” dei '60 (sua la massima dei “15 minuti di celebrità” a cui nessuno dovrebbe mai rinunciare), continuando con un' “Oxydation” (1978) gigantesca, ottenuta urinando sui pigmenti metallici (nei suoi “Diari” le chiama “Piss”, provocando così una reazione chimica, che sfugge al controllo e crea nuovi colori). I visitatori avranno modo di poter scoprire persino un immenso “Camouflage” del 1986, nello stesso anno in cui rese omaggio a Leonardo Da Vinci con “Last Supper”, presente nella kermesse. Ad un'analisi complessiva il vero e proprio gusto è nella valutazione di una personalità, da ritenere quasi sinonimo di “folgorante sociologo” dell'America dei '60, capace di trasformare in arte i feticci dell'immaginario collettivo, coniugando il “biglietto del dollaro” con l'effigie di Jackie Kennedy o l'incredibile associazione fra la Coca Cola ed Elvis Presley. Anticipando epoche, mode e costumi che la società, a ben 27 anni dalla sua scomparsa, ha reso attuali più che mai, in una sorta di continuità d'amorosi sensi, senza mai lasciar perdere quell'anello con la memoria del passato, fondamentale per comprendere il futuro. Gianluca Doronzo
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Tiziana Rifino
DANZA
Il palco è la sua vita dall'età di 9 anni, ha lavorato per la «Fondazione Petruzzelli» e deve gran parte della sua passione ad Adriana Milella e Anna Di Giovine: storia di un'emblema della talentuosità coreutica, capace di temperamento, intensità espressiva e «tanto sacrificio» nelle sue performance
Viaggio nell'universo di Tiziana Rifino, esponente della danza «made in Puglia», alla ricerca costante di una sana «follia» creativa
Nel suo sguardo si percepiscono sensibilità e passione. Sul palco fa dell'intensità espressiva il suo leitmotiv. Ha iniziato a danzare da piccolissima, a soli 9 anni, perfezionandosi in classica e modern-jazz. Ad Adriana Milella e Anna Di Giovine deve gran parte delle sue “motivazioni coreutiche”. Fare un viaggio nell'universo di Tiziana Rifino, esponente della pugliesità “made in talento”, è un'impresa suggestiva, ricca di fascino e coraggio allo stesso tempo. Soprattutto perché la riservatezza è una delle sue componenti e “abbatterne le barriere”, creando una sinergia intima e familiare attraverso “il racconto del suo percorso”, non può che inorgoglire l'intervistatore, onorandone i principi di pulizia, onestà e desiderio della promozione dell'eccellenza altrui. Davanti ad un cappuccino, in un locale di Bari, metaforicamente “si sale sul treno delle emozioni” di un'artista, in cerca della sua “follia creativa”. Domanda – Tiziana, se dovesse in un certo senso definire il suo percorso maturato finora, quale sarebbe la risposta più immediata? Risposta – A questo punto del mio percorso sento di avere più consapevolezza di quello che sono, di quanto posso dare e di tutto ciò che mi circonda. A dispetto del passato, dove non riuscivo spesso a distinguere tutto ciò. Dal momento che non viviamo un periodo felicissimo, avverto che questa capacità è ben voluta, in quanto mi permette di scegliere cosa fare e no. Nello specifico sento di aver bisogno di mettere a punto qualcosa che mi rappresenti in questa fase, perché ho capito che la mia sensibilità artistica è solo mia. Ho sempre in passato cercato di soddisfare qualcosa o qualcuno. Invece adesso vorrei veramente partire da me. Ecco, Gianluca, cosa mi passa per la testa in questo periodo. D . – Essere artisti nello scenario quotidiano, dalla danza alle discipline più disparate, che vuol dire? R . – Per me è veramente uno stile di vita. Io ho bisogno tutti i giorni di alzarmi e andare a fare la mia lezione di danza, sudando e sentendo il mio corpo, perché a differenza di altre forme artistiche noi non abbiamo uno strumento esterno che ci conduce (un libro, un copione, un mezzo musicale), bensì noi siamo il nostro stesso strumento. E ciò ci rende, forse, molto più vulnerabili, in quanto chiaramente il fisico e la mente sono in continuo movimento. Ogni giorno, grazie alla lezione costante, te ne rendi conto. Ora, tutto quello che ho detto riguarda l'aspetto fisico, di preparazione dell'essere artista. Poi c'è la componente legata all'ispirazione ed io la cerco in uno stimolo, in un qualcosa che possa leggere o vedere, creando una conseguente coreografia. Anche se non c'è una motivazione o uno spettacolo imminente. D . – Tiziana, potremmo ritenerla un'artista in cerca di ispirazione? R . – Sì, perché no (e ride, ndr)? Poi ci sono i giorni bui e meno illuminanti, che sia chiaro! Cerco l'ispirazione, magari traendo spunto dalle cose che mi possono sembrare più lontane dalla danza. Ad esempio, un paesaggio o il mare. Ecco, lo dovevo dire: il mare è fra le mie fonti preferite. Bisogna, pertanto,
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DANZA
sapersi ascoltare per mettere a punto al meglio quello che poi si vuole rendere in uno spettacolo. D . – Sapersi ascoltare non è la più facile delle azioni possibili oggi, vero? R . – Esatto, Gianluca. Anche perché ci vuole del tempo per sapersi ascoltare ed oggi ne manca. Siamo diventati meccanici nelle nostre performance e, invece, secondo me bisognerebbe saper dare il giusto valore a ciò che si ha dentro. Il tempo e la pazienza, a mio avviso, sono davvero dei grandi maestri di vita, non solo in merito all'arte e alla danza. Perché dopo il talento che, onestamente, non so se ci sia o meno, ritengo debba essere classificato l'impegno, una sorta di “secondo talento”. D . – Abbiamo finora parlato di sensibilità artistica e talento: la danza fa parte di lei dall'età di 9 anni, fra classica e modernjazz. Avrebbe mai potuto immaginare una vita diversa? R . – Non credo. Ho capito dal momento in cui ho messo il piede la prima volta sul palco, al mio saggio d'esordio, che la danza sarebbe diventata la mia vita. Il palco è il luogo in cui mi sento più a mio agio. Ciò non significa che io non sia andata avanti negli studi: ho proseguito la scuola, però la danza è puntualmente stata il mio motivo conduttore. D . – Non avrebbe, pertanto, potuto immaginare una vita differente. R . – Penso di averla scelta proprio dall'età di 9 anni. D . – Ripensando al suo excursus, quale ritiene essere stato il suo maestro di vita e quale insegnamento ha interiorizzato nel tempo, facendone tesoro? R . – Sicuramente colei che mi ha presa da piccola e mi ha portata avanti è stata Adriana Milella: mi ha insegnato la danza dalla tecnica allo stare sul palco, dimenticandosi di tutti i passi, cercando di dare qualcosa di emozionale al pubblico. Non posso, tra l'altro, fare a meno di ricordare anche Anna Di Giovine, mia insegnante attuale. Ho scelto la danza, perché esprimermi con la parola per me non è semplicissimo: ciò non significa che la danza non possa parlare. Solo che si tratta della mia priorità. E, crescendo, lo è diventata sempre di più. Ultimamente, tra l'altro, mi sembra si stia vedendo sempre più danza. D . – C'è stata una rivalutazione del balletto. R . – Sì, sì. C'è più espressione del corpo, con maggiore attenzione alla fisicità. Il che non significa togliere funzionalità alla messa in scena, ben intesi. L'importante è riuscire a trasmettere sentimento, anima e cuore a chi viene a vederti. D . – Cosa sentirebbe di suggerire ai ragazzi ai quali insegna, per il proseguimento del loro percorso? R . – Di studiare tanto, veramente tanto. Solo con la preparazione ci si può difendere nella vita. Le difficoltà sono molte: oggi per uno sguardo o una parola fuori posto si può crollare. Bisogna fare affidamento su se stessi, come nessun altro riesce. La danza è totalizzante e impone spirito di sacrificio, passione e tanto studio. D . – Televisivamente oggi come valuta la danza?
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R . – Ah, bella domanda (e ride, ndr)! Sarebbe anche facile giudicare negativamente quello che si vede e non voglio minimamente farlo, perché in ballo spesso non sono i sistemi ma le persone. Con le annesse sensibilità. Io non dubito del fatto che ci siano anche professionisti preparati in tv, pronti a fare questo mestiere con criterio e dedizione, nella maniera più giusta. Dipende se per danza sul piccolo schermo intendiamo un programma in particolare o la chance che la si faccia. Il che è diverso. Nello specifico, secondo me la possibilità di fare danza in tv c'è, ma si potrebbe fare molto, ma molto di più. Per far sì che ciò accada, però, si dovrebbe essere molto più teatrali, permettendo la massima espressione della propria disciplina. D . – Pensiamo un attimo all'esempio di Massimo Ranieri il sabato sera in “Sogno e son desto” su Raiuno. R . – Quel genere è già più vicino a quello che io intendo. Ranieri ha fatto un sano intrattenimento, rispettando la danza. D . – Sta di fatto che ci sono poi stati i “talent” alla De Filippi che hanno rivalutato la danza, sebbene poi siano venuti fuori maggiormente i cantanti. R . – Ma certo: una canzone arriva in maniera più diretta al pubblico. La danza ha bisogno di tempo, originalità e idee per farsi strada.
DANZA
D . – Ad esempio, ha visto di recente “La pista” su Raiuno, per la conduzione di Flavio Insinna? R . – Non l'ho seguito sinceramente proprio tutto, però l'idea di partenza non mi è sembrata malvagia. Alla fine qualcosa di buono attraverso le coreografie credo sia venuto fuori. D . – Alla luce dei suoi lavori in passato, quale ricorda maggiormente e cosa si auspica per la danza in Puglia? R . – Io ho lavorato molto con la “Fondazione Petruzzelli”: appena 18enne sono entrata a far parte del loro ensemble e per me si è trattato di una palestra vera e propria. Ho imparato a stare sul palco, dando molta importanza al gesto. In una simile direzione è stato anche fondamentale il lavoro con “Salomè”, per la regia di Vittorio Sgarbi, espressione più alta della danza in merito alla sensualità, alla femminilità e alla ricerca della purezza, nel rispetto delle origini della Grecia. Io penso che ciascun ente, nel suo piccolo, possa fare molto per la Puglia: il problema è la mancanza di cooperazione fra le molteplici realtà del territorio. C'è una corsa forsennata al primo posto. Se un domani, magari, dovessi avere io un teatro, cercherei di essere affiancata da persone competenti, pronte a credere in quello che faccio, dando spazio a chi merita. Dobbiamo partire da noi, tassello dopo tassello. Abbiamo bisogno di vivere tutti quanti e c'è bisogno di qualcuno che consenta di farci progredire. D . – Da danzatrice pugliese, quanto si è sentita valorizzata dai media e dai suoi conterranei? R . – Ringrazio innanzitutto lei, perché sinceramente è stato il primo tanti anni fa a scrivere di me: con Gianluca Doronzo ho iniziato ad avere davvero un confronto con l'esterno. Prima per me tutto si esauriva con la chiusura del sipario e l'applauso, ma non avevo un preciso polso della situazione. Detto questo, a me piace stare in Puglia e non sono del parere che si debba ad ogni costo andare via. Dobbiamo valorizzare quello che siamo e abbiamo costruito nel tempo, senza esitazione di sorta. D . – Come vorrebbe potesse proseguire il suo percorso? R . – Creare, creare e ancora creare. In questo momento è ciò che mi preme. Crescendo, ho maturato una simile esigenza, con la profonda volontà di mettere su qualcosa che mi rappresenti, traendo ispirazione dalle tematiche più disparate. Il mio sogno, lo ripeto, è quello di avere un teatro nel quale ospitare tutti i pugliesi capaci e meritevoli, anche se mi avvarrei di tante altre persone competenti. D . – Concludiamo il nostro viaggio: metaforicamente allo specchio, come si riflette oggi Tiziana Rifino? R . – Per me la vita personale e quella artistica si fondono: credo che tutto questo, alla lunga, mi porterà ad una sorta di “follia” creativa. Non posso fare a meno di una componente e dell'altra. Pertanto, se mi guardo allo specchio non mi so più distinguere e tutto ciò mi dà tanto coraggio. Se non fosse stato così, il mio percorso non sarebbe andato nella maniera in cui doveva. Io credo nella vita si debba avere il coraggio di amare e dare a prescindere, senza mai aspettarsi nulla. Un principio da avere ben impresso nel cuore. Gianluca Doronzo
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VISTI PER VOI
VISTI PER VOI
«Un fidanzato per mia moglie», «La sedia della felicità», «Il venditore di medicine» e «Non dico altro»: quattro film da non perdere in questo periodo
Tanto cinema italiano: dalla commedia al drammatico, c'è solo l'imbarazzo della scelta nelle sale
Geppi Cucciari, Paolo Kessisoglu, Luca Bizzarri, Ale & Franz, Valerio Mastrandrea, Isabella Ragonese, Giuseppe Battiston, Isabella Ferrari e Claudio Santamaria: una schiera di “numeri uno” per i film da non perdere in queste settimane, spaziando dalla commedia al drammatico (con questioni “di cuore” in primo piano). “Un fidanzato per mia moglie” di Davide Marengo, con Geppi Cucciari, Paolo Kessisoglu, Luca Bizzarri, Dino Abbrescia, Ale & Franz - commedia - durata (97'). Camilla (Geppi Cucciari) e Simone (Paolo Kessisoglu) non riescono proprio a far funzionare la loro storia matrimoniale. Lei è sempre più ipocondriaca e lamentosa. Lui troppo preso da sé e, nonostante la tacita “sopportazione”, decide di seguire il consiglio dei suoi amici più fidati (Ale & Franz): separarsi. Ma non è facile convincere la donna. A questo punto fondamentale è l'apporto di Luca Bizzarri, detto “Il Falco”, di professione “seduttore”: il suo compito? Corteggiarla, fino a farla allontanare definitivamente dal marito, diventato inaspettatamente geloso, tanto da arrivare a pedinarli. Un cast di volti di richiamo della comicità “made in Italy”, con un buon ritmo e una regia scorrevole. “La sedia della felicità” di Carlo Mazzacurati, con Valerio Mastrandrea, Isabella Ragonese e Giuseppe Battiston commedia - durata (90'). Una commedia molto leggera e ricca di garbo, lasciata al pubblico da Carlo Mazzacurati, prima della sua recente scomparsa. Dino (Valerio Mastrandrea) è un tatuatore e Bruna (Isabella Ragonese) un'estetista: girano il Nord Est alla ricerca di una sedia imbottita di gioielli. Nel loro percorso si faranno strada tantissimi personaggi, in un'escalation di camei: Giuseppe Battiston, Katia Ricciarelli, Antonio Albanese, Fabrizio Bentivoglio, Silvio Orlando, Raul Cremona, Marco Marzocca e Milena Vukotic, fra gli altri. “Il venditore di medicine” di Antonio Morabito, con Claudio Santamaria e Isabella Ferrari - drammatico - durata (98'). La domanda è di quelle molto scottanti: fin dove può arrivare l'industria farmaceutica per convincere i dottori ad adottare i suoi prodotti? La risposta sarà molto, ma molto inquietante. Nel cast anche il giornalista Marco Travaglio, nel ruolo di un cinico e gelido “camice bianco”. “Non dico altro” di Nicole Holofcener, con James Gandolfini e Julia Louis Dreyfus - commedia - durata (100'). James Gandolfini, scomparso un anno fa, nell'immaginario collettivo è rimasto come il mafioso della fiction “I Soprano”. Nella pellicola sorprenderà il pubblico, vestendo i panni di un divorziato, alle prese con un “nuovo sentimento” per una donna incontrata ad un party. A complicare il tutto: il fatto che lei faccia la massaggiatrice; che l'ex moglie di lui sia una sua cliente e che quest'ultima non faccia a meno, quando è stesa sul lettino, di lamentarsi dei numerosi difetti dell'ex marito. Nonostante tutto la relazione procederà: la simpatia del protagonista avrà la meglio. Gianluca Doronzo
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ASCOLTATI PER VOI
ASCOLTATI PER VOI
Tanti giovani stanno animando il mercato discografico con originalità, spessore e voglia di lasciare una traccia di sé: le hit da ascoltare con entusiasmo e divertimento
Pop, rock e soul: la musica dei Sonohra, l'intensità di Kelis e l'ascesa di Iggy Azalea
Freschezza, tanta gioventù (dai Sonohra a Milky Chance), voci femminili di tutto rispetto (Kelis Rogers e Iggy Azalea) e gruppi storici (Pixies e gli Eels): “tutti i colori” della musica, da declinare a seconda dei vostri gusti. “Il viaggio” dei Sonohra – pop/rock – Su Facebook hanno oltre 400mila fan: a distanza di sei anni dalla vittoria di “Sanremo” nella sezione “Giovani”, i fratelli Fainello hanno realizzato un quarto album molto convincente, al confine fra pop britannico e suggestioni folk, avvalendosi della collaborazione dei “Modena City Ramblers” (che suonano in “In viaggio”, scritta da Enrico Ruggeri). “Spezzacuori – Omaggio a Massimo Bubola” di Ruben – pop/rock – Nuovo cd per il cantautore veronese Ruben, in un tributo a Massimo Bubola, i cui pezzi sono stati interpretati negli anni da Fiorella Mannoia, Luciano Ligabue, Lucio Dalla e Roberto Vecchioni, fra gli altri. I brani (che ripercorrono un excursus, dalla seconda metà dei '70 alla prima dei '90, dell'icona del rock d'autore in Italia) sono stati riarrangiati nello spirito delle versioni originali, col supporto di un nutrito gruppo di musicisti, fra i quali spiccano i collaboratori Carmelo Leotta (al basso elettrico e contrabbasso) e Carlo Poddighe alla chitarra. “Food” di Kelis – soul/r&b – Da sempre grande appassionata di cucina, la newyorkese Kelis Rogers (con tanto di diploma di chef) non poteva che intitolare appunto “Food” (ovvero “cibo”) il suo sesto disco. E le “Jerk ribs” (le costine di maiale) dell'ultimo singolo altro non sono che una sua specialità. Preparatevi: il disco è tutto da “gustare”. “The new classic” di Iggy Azalea – pop/rap – Ha tre caratteristiche: alta, bionda e australiana. Iggy Azalea è una rapper “fuori dal coro”, essendo diventata negli ultimi due anni un fenomeno non solo musicale, ma anche di stile. Finalmente è arrivato il suo primo album: fra le sorprese figurano i pezzi “Work” e “Fancy”. Un debutto davvero coinvolgente. “Indie Cindy” dei Pixies - rock – Tra l'86 e il '93 si è trattato di uno dei gruppi più influenti del rock americano. Spiazzando un po' tutti, dopo 21 anni ecco un nuovo album (senza la bassista Kim Deal) che onora “i tempi che furono” della band ideata da Black Francis. “Sadnecessary” dei Milky Chance – pop/dance – Clemens e Philipp sono originari della Germania, ma il successo del loro singolo (“Stolen dance”) è riuscito davvero a varcare tutti i confini, rendendoli protagonisti delle classifiche mondiali. Folk, pop, elettronica e reggae sono i tratti salienti del loro lavoro discografico. Da segnalare: il 20 maggio suoneranno a Milano. “The cautionary tales…” degli Eels – rock – Mark Oliver Everett, leader degli Eels, riesce a far emozionare con voce e personalità inconfondibili. Undicesima “fatica” per una band, all'insegna di una raccolta (imperdibile) di storie dalle tinte cupe e sofferte. Gianluca Doronzo
Maggio 2014
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LETTI PER VOI
LETTI PER VOI
Esordi letterari, romanzi di grande impatto e una scrittura molto incalzante: i libri del momento, all'insegna di avventure di straordinaria intensità emozionale
Ironia, passione e racconto della quotidianità «in crisi»: le pagine da leggere, per riflettere su tutte le declinazioni della vita
Esordi letterari, romanzi di grande impatto e una scrittura molto incalzante: i libri del momento. “Questa non è una canzone d'amore” di Alessandro Robecchi, Sellerio, euro 15,00. Un romanzo d'esordio scritto da un giornalista ironico, pungente e di grande intelligenza. Alessandro Robecchi è una delle più note firme satiriche italiane e oggi è anche fra gli autori degli spettacoli di Maurizio Crozza. Il suo connubio con una casa editrice, sinonimo da sempre di qualità, ha dato vita a pagine ricche di attualità, con costanti richiami al mondo televisivo. Un giallo, ambientato in una Milano “inquieta e multietnica”, all'insegna di un killer che vuole uccidere un personaggio del piccolo schermo, fra zingari vendicativi, collezionisti di cimeli nazifascisti e dita mozzate. Con una costante cifra divertita e spiazzante. “Amiche mie” di Silvia Balestra, Mondadori, euro 16,00. Quattro donne quarantenni milanesi “al tempo della crisi”. Puntuali, ogni mattina, s'incontrano al bar, dopo aver lasciato i figli a scuola. I loro nomi? Sofia, Carla, Norma e Vera. Ognuna ha un racconto a sé, al di là delle chiacchiere scambiate davanti ad un caffè. Al rientro a casa incombono problemi di mariti, bollette, solitudini e sensi di colpa. Sofia nasconde dietro l'ossessione per il cibo la sua insicurezza; Carla è frustrata per la mancata realizzazione lavorativa (e se la prende costantemente con una tenda sporca da lavare); Norma è reduce da una dolorosa separazione e Vera, in carriera con marito disoccupato, si scontrerà col vizio di non riuscire a guardare in faccia la realtà. Ma la verità è ben servita, raccontando i giorni nostri. Senza alcuno sconto. “C'è chi lo chiama Amore ma chissà” di Andrea Romano, Azzurra Publishing, euro 12,90. Un libro di aforismi divertenti e ricchi di spunti di riflessione, postati sul profilo Facebook di un cantautore bresciano, alla sua prima pubblicazione. In allegato anche il suo quarto cd di inediti (ben 14 brani, prodotti artisticamente da Michele Coratella, fra cui la rivisitazione di “Una” di Lucio Battisti), dall'omonimo titolo dell'opera. Da non perdere. “Missione leggerezza” di Federico Francesco Ferrero, Rizzoli, euro 19,90. Anche per il vincitore della terza edizione di “MasterChef Italia” un libro appena pubblicato. Protagoniste: sane e leggere ricette, dal gusto notevole, non perdendo di vista quelle proposte nel programma, in declinazione vegana. “Il paradosso del controllore” di Gonzalo Hidalgo Bayal, Edizioni Socrates, euro 13,50. I critici lo hanno definito “il più grande romanzo spagnolo degli ultimi 20 anni”. Un anziano viaggiatore decide di notte di scendere da un treno, non riuscendo più a risalirne. Le cose si mettono male: come se la caverà? “I camaleonti” di Vladimiro Polchi, Piemme, euro 14,50. Sembra di assistere ad una puntata di “Chi l'ha visto?” piuttosto che leggere un romanzo. Giallo con triplice omicidio, all'ombra del Vaticano. Sagace e originale. Gianluca Doronzo
Maggio 2014
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