Digital Marketing 2.0: Multicanale, Sociale, Esperienziale, Mobile proponente e curatore Prof. Giuseppe Riva, Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano
La diffusione ed evoluzione delle nuove tecnologie ha avuto un duplice effetto sul mondo del marketing. In primo luogo ha offerto nuovi strumenti e strategie per comunicare con il consumatore: oggi, accanto ai tradizionali mass-media è possibile usare numerosi altri strumenti che vanno dai social media alle App per telefoni cellulari e tablet. Allo stesso tempo però, ha modificato il modo in cui il consumatore percepisce i prodotti e le aziende: lo spettatore, consumatore passivo di informazioni, si è trasformato in «spettautore» che crea o modifica contenuti esistenti secondo i propri bisogni comunicativi e/o in «commentautore», che discute i contenuti e li condivide con i propri amici. Il principale risultato di queste trasformazioni è la definizione di un nuovo modello di Digital Marketing (Digital Marketing 2.0) che usa le nuove tecnologie multimediali per monitorare le intenzioni e i comportamenti dei consumatori e offrire esperienze interattive e sociali in grado di dare valore a prodotti e servizi. Il tema del Digital Marketing 2.0 può essere declinato sotto molti aspetti e da molti punti di vista: • la dimensione di comunicazione multicanale ed esperienziale rimanda a temi come il viral marketing, il buzz marketing, l’experiential marketing, il mobile marketing e molti altri; • il collegamento con il contesto di fruizione del consumatore rimanda a temi come le ricerche di mercato online, il reputation management, il search engine management e molti altri; • la creazione del valore del prodotto all’interno di esperienze in grado di coinvolgere le dimensioni di identità, di senso e di appartenenza ad una comunità rimanda a temi come il social media marketing, le online brand community, il digital engagement e molti altri. Le discipline interessate sono la psicologia, la sociologia, l’economia, il marketing ed i contributi possono essere teorici o casi/ricerche. Micro&MacroMarketing pubblicherà i saggi e le ricerche su questo tema scegliendoli tra quelli pervenuti dai diversi contesti che possono contribuire a trattare il tema del nuovo Digital Marketing dai diversi punti di vista sopra elencati e che possono offrire nel loro complesso un contributo alla riflessione su questo tema sia in ambito accademico sia per le imprese del settore.
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Tempi e procedure di valutazione Al fine di partecipare alla call è necessario inviare un abstract comprensivo di autori, titolo provvisorio, sintesi breve del contributo proposto (massimo 400 parole) entro il 30 gennaio 2012 al caporedattore – dott.ssa Guendalina Graffigna, guendalina.graffigna@unicatt.it – indicando nell’oggetto della mail: «CALL FOR PAPERS/MARKETING DIGITALE». La selezione dei contributi – fra gli abstract proposti – sarà condotta dal Curatore del Panel e l’esito sarà comunicato agli autori entro il 10 febbraio 2012. Seguirà la stesura dei manoscritti che dovranno essere inviati entro il 15 marzo 2012. La valutazione dei manoscritti seguirà le procedure comuni agli altri testi pubblicati su M&MM: una stima di congruità affidata alla Redazione e il successivo invio a due referee per la blind review. Il processo di valutazione dovrà essere completato entro fine aprile 2012. Invio dei manoscritti I manoscritti vanno redatti in formato elettronico seguendo le «norme per i collaboratori» pubblicate in calce a ogni fascicolo della Rivista e sul sito www.mulino.it/rivisteweb e inviati per e-mail al caporedattore – dott.ssa Guendalina Graffigna, guendalina.graffigna@unicatt. it – indicando nell’oggetto della mail: «CALL FOR PAPERS/MARKETING DIGITALE». Gli articoli che non si atterranno alle norme per i collaboratori, presentando caratteri diversi o eccedendo il limite di 20 cartelle non potranno essere presi in considerazione per il referaggio.
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NORME PER I COLLABORATORI
Gli autori devono inviare gli originali all’indirizzo di posta elettronica del caporedattore (guendalina.graffigna@unicatt.it). L’oggetto dell’e-mail deve contenere le parole «MMM submission» e il cognome dell’autore. Tutte le comunicazioni avvengono via e-mail, senza bisogno di copie cartacee degli articoli. La sottoscrizione di un articolo implica che: i lavori siano inediti (o al limite siano già stati pubblicati sotto forma di abstract oppure come parte di una conferenza o tesi di laurea); non siano stati inviati ad altre testate; che la pubblicazione sia approvata da tutti gli autori e, tacitamente o esplicitamente, dalle autorità responsabili del luogo in cui il lavoro è stato condotto e che, se accettato, non sarà pubblicato altrove nella stessa forma, in italiano o in altra lingua, senza il consenso scritto dell’editore. I testi non devono superare le venti cartelle (usare come minimo il carattere Times New Roman di dimensione 12 e interlinea doppia). Agli autori che inviano articoli più lunghi sarà chiesto di accorciarli. Le pagine devono essere numerate consecutivamente. La prima pagina deve contenere: 1) il titolo, 2) gli autori, 3) l’indicazione della qualifica professionale degli autori, 4) l’indirizzo e-mail, fax e telefono degli autori. Deve essere fornito un abstract da pubblicare all’inizio dell’articolo, conforme alle indicazioni per la stesura contenute in Psychological Abstracts (PA). Gli articoli in italiano e francese devono contenere un abstract in inglese. Dopo l’abstract seguono da una a cinque parole chiave. Riferimenti bibliografici. Nel testo i riferimenti devono contenere il nome dell’autore, seguito dall’anno di pubblicazione tra parentesi tonde (es.: Hewitt (1973, 1983) ha contrapposto...). I riferimenti completi devono essere posti in ordine alfabetico in una lista separata. Nel caso gli autori siano tre o più bisogna indicare nel testo solo il primo autore (es.: Smith et al. (1990), mentre in bibliografia devono essere indicati tutti gli autori. Se lo stesso autore ha pubblicato nello stesso anno più opere, il riferimento bibliografico relativo sarà accompagnato da lettere come segue: nel testo (1990a, 1990b), in bibliografia 1990a, 1990b. Esempi (i nomi delle riviste non devono essere abbreviati): per i libri: KOTLER P. (1972). Marketing Management: Analysis, Planning and Control. Englewood Cliffs: Prentice-Hall.
per i capitoli nei libri: KATONA G. (1972). Theory of Expectations. In Strumpel B., Morgan J.N., Zelan E. (eds.), Human Behavior in Economic Affairs: Essays in Honor of George Katona. Amsterdam-New York: Elsevier. per gli articoli: FIRAT A.F., SHULTZ C.J. (1997). From segmentation to fragmentation. Markets and marketing strategy in postmodern era. European Journal of Marketing, vol. 31, n. 3/4, pp. 133-207. Illustrazioni. Fornire i disegni in formato elettronico consente di riprodurli secondo gli standard migliori, assicurando accuratezza, chiarezza e un buon livello di dettaglio. Fornire sempre stampe di alta qualità delle illustrazioni in caso la conversione del file elettronico sia problematica. Assicurarsi di usare dimensioni e lettering uniformi. Salvare il testo delle illustrazioni come «graphics» o includere il font. Usare solo i seguenti font nelle illustrazioni: Arial, Courier, Helvetica, Times, Symbol. Le illustrazioni devono essere numerate secondo il loro ordine nel testo. Indicare le illustrazioni in modo logico e fornire una lista separata dei file e softwares utilizzati. Fornire le illustrazioni in file separati e in forma cartacea su fogli separati. Produrre le immagini nella grandezza desiderata per la versione stampata. Formule nel testo e simboli matematici. Evitare i simboli che richiederebbero spazio maggiore tra le linee (frazioni o esponenti complicati); quando la sovrapposizione è inevitabile, porre il carattere su una linea separata. I numeri decimali devono avere uno zero prima del punto decimale (es.: 0,05). Note a piè di pagina. L’uso di note a piè di pagina deve essere minimo. Le note devono essere numerate consecutivamente con numeri arabi in apice. Gli autori devono seguire le «Guidelines for Nonsexist Use of Language» come stabilito nella Section 2.12 dell’APA Publication Manual, 5th ed. Ogni manoscritto che non sia conforme alle specifiche di cui sopra sarà rispedito per essere revisionato prima della pubblicazione. Processo di revisione. I contributi proposti per la pubblicazione vengono sottoposti a un processo di double blind review effettuato da due reviewer indipendenti selezionati dalla redazione. Commenti scritti dai reviewer costituiscono la base di ogni decisione editoriale.
L’engagement del consumatore verso la marca: uno sguardo non convenzionale alla comunicazione Valerio Franco*
Abstract
Current rate of change is way faster than rate of understanding, adoption and implementation by brands and communication agencies. We learn from the recent present and transform empirical learnings into best practice and approaches for tomorrow’s communication challenges. The way to connect, interact and build a relationship between brands and consumers is undergoing deep and disruptive changes. People relate to brands differently. Actually: from now on people will be able to make their thoughts about a brand very much heard. The original brand monologue is turning into a wide open dialogue. How should advertising work from now on? Most importantly: is advertising per se the way forward for building brand relationships? Or should we really start talking about wider communication approaches: turning listening and conversations into strategic communication tools for the brands of the future? Ultimately: what are the implications for communication? Storytelling is the tag-word for this paper. An attempt, from a communication practitioner (the insider point of view), to provide a meaningful framework to the how’s and what’s of the communication approaches currently being developed by agencies and clients. And Engagement is the paper’s final destination: the new one-word best describing the essence and nature of the relationship brands and consumers should be moving forward from now on. Keywords: Engagement, Conversation, Dialogue, Brand, Consumer, Communication, Authenticity, Transparency.
* Co-fondatore e propagation planner di ebolaindustries, partner e brand strategist di Enfants Terribles, ideatore e chief editor di One Hundred Ones. Email: valeriofranco@me.com; www.doublebblog.it.
MICRO & MACRO MARKETING / a. XX, n. 2, agosto 2011
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1. Come siamo arrivati all’engagement?
Siamo in una nuova era del marketing. Ma soprattutto, siamo in un momento di grande rivoluzione dei paradigmi finora noti della comunicazione, che sta cambiando nel profondo le regole del gioco. Il passaggio da push a pull è sovversivo: le vecchie e rassicuranti logiche dell’interruption marketing (modello imperante e ubiquito di approccio al consumatore), stanno rivelandosi obsolete e sempre più inefficaci. L’approccio alla comunicazione, basato su frequenza e copertura, è entrato in corto circuito, a causa della proliferazione dei media, dell’inflazione degli stessi e dell’affermarsi di una nuova generazione di «empowered consumers». Il processo appare irreversibile: la costruzione di un rapporto consumatorebrand passa attraverso una dinamica di comunicazione nuova e rivoluzionaria, a due vie, conversazionale, partecipativa. Nasce l’engagement communication. Ma cosa ha scatenato tutto questo? A differenza del passato, la comunicazione è cambiata in risposta a fattori esogeni, esterni al brand e al prodotto: i consumatori e la tecnologia digitale in primis. Fino ad oggi, marketing e comunicazione si sono sempre evoluti sotto la spinta di fattori endogeni, prodotto e concorrenza, quali fattori su cui agire per restare rilevanti di fronte al consumatore. Negli anni Sessanta, tutta la comunicazione ruotava attorno al concetto di Usp: la Unique Selling Proposition, il cui presupposto erano le capacità di differenziazione e distintività funzionale del prodotto. Il ruolo principale della comunicazione era persuadere, dimostrando i benefici del prodotto. L’affollamento dei mercati con nuovi competitor, a partire dagli anni Ottanta, ha ridotto la capacità differenziante del prodotto di per sé. Il marketing ha così risposto introducendo il concetto di brand, con i suoi nuovi elementi di intangibilità: valori, immagine e personalità. E la comunicazione è passata dalla Usp alla Esp: Emotional Selling Proposition, il cui compito era creare una preferenza nel consumatore trainata dai nuovi valori emozionali e d’immagine del brand. Nel primo caso, al centro del processo di trasformazione c’era il prodotto, nel secondo, i concorrenti. Oggi invece, ci sono i consumatori, supportati dalla rivoluzione indotta dall’affermarsi del digitale. Consumatori potenziati dalla tecnologia, altresì noti come «empowered consumers», in grado di comunicare e interagire sempre più radicalmente con i brand, fino a diventare potenziali partner di comunicazione degli stessi. Per la prima volta, sono i brand a dover rincorrere i consumatori. Fino a poco tempo fa, la massima possibilità di identificazione e coinvolgimento che un brand poteva offrire, era di natura emozionale e aspirazionale. «It’s my kind of brand» esprimeva quella massima affinità emozionale e identificativa, anche intima, cui il consumatore poteva aspirare: sentire di essere in connessione ideale con i brand preferiti e stimati. 286
Oggi questa nuova opportunità di identificazione e intesa si chiama Engagement e rappresenta un campo di gioco dai confini mobili, estensibili a seconda dell’interazione che brand e consumatore, in maniera complice, riescono a costruire e mantenere. Un ambito di relazione che va oltre emozionalità e funzionalità, radicandosi in maniera più profonda e autentica attraverso l’introduzione di una forte componente esperienziale e interattiva. Consumatori e brand potrebbero presto diventare anche partner in affari. 2. Come l’engagement sta cambiando il modo di relazionarsi con i brand?
La relazione brand-consumatore sta cambiando e il fattore engagement sarà l’elemento scardinante del modo di relazionarsi e di comunicare dei brand da qui in avanti. Il nuovo modo di approcciare e relazionarsi con i media, i contenuti, la comunicazione, in maniera sociale e partecipativa, è molto più naturale per i consumatori che per le aziende. Sono stati loro, i consumatori per primi, ad adottare e far proprie le opportunità offerte da tecnologia e digitale, trasformandole in nuovi comportamenti, abitudini e, in ultima istanza, aspettative nei confronti dei brand e del nuovo tipo di relazione che vogliono avere con essi. I brand, dal lato loro, si sono trovati spiazzati e sorpassati. A dover rincorrere un gap creato dai consumatori. A dover rispondere ad una crescente domanda di partecipazione, di ascolto, di integrazione. A dover progressivamente accettare che da una logica di controllo quasi assoluto dei flussi di informazione, sempre monodirezionali e di tipo top-down, si debba passare ad una di dialogo, scambio, integrazione, dove autenticità e trasparenza diventano requisiti imprescindibili. Così, anche le possibilità di relazione, coinvolgimento, espressione e manifestazione della relazione brand-consumatore, si sono allargate. Solo 10 anni fa (tab. 1), Coca Cola, Microsoft, Ibm, General Electric e Ford, nell’ordine, erano le prime 5 aziende al vertice della classifica dei «most valuable brands in the world». Brand costruiti con colossali investimenti in comunicazione per creare l’immagine desiderata e trasferirla ai consumatori. Oggi, quella stessa classifica è cambiata: Google, Ibm, Apple, Microsoft e Coca Cola sono i 5 top brand e dipingono uno scenario decisamente diverso. Da un lato Google, che nonstante la giovanissima storia, si impone al vertice della classifica; dall’altro Coca Cola, vero epiteto di questo cambiamento, che scivola dal 1° al 5° posto. Un brand, Coca Cola, che ha costruito il suo successo sull’immagine e sulla capacità di essere sem287
TAB. 1. Most valuable Brands in the World (Interbrand & MIllward Brown) 1999 Coca Cola Microsoft Ibm General Electric Ford
High engagement
1 2 3 4 5
2010 1 2 3 4 5
Google Ibm Apple Microsoft Coca Cola
Starbucks Dell
Low engagement
eBay
One channel
Many channels
FIG. 1. Engagement scores of top 100 Global Brands (Wetpaint & Altimeter). Fonte: «the world’s most valuable brands. Who’s most engaged?» Engagement db Ranking the Top 100 Global Brands. Prepared by The Wetpaint/Altimeter Group, July 2009.
pre attuale e contemporanea, si trova scavalcato da nuovi brand, Google su tutti, che stanno costruendo il loro successo sui contenuti dell’engagement: esperienzialità, interazione, partecipazione, co-creazione. E non sono solo questi i brand che stanno costruendo il loro futuro a partire da profondi livelli di interazione con i loro consumatori: Starbucks, Dell, eBay, ancora Google e Microsoft sono i top brand nella classifica dei Most Valuable Brands in quanto a livelli di engagement (fig. 1). L’evidenza dei cambiamenti in corso raggiunge una dimensione ancor più eclatante se anche i criteri di valutazione dei brand iniziano ad incorporare il concetto di engagement. «The Good Brands Report» (tab. 2) misura il valore dei brand in base alla loro capacità di essere strumenti utili a migliorare la vita della gente. Innovazione, responsabilità,
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TAB. 2. The Good Brand Report 2010 (Psfk). Good brands of 2010: top ten Brand Google Apple Jamie Oliver Mit Ace Hotel Ikea Nike Twitter Foursquare Nintendo
Score 8.34 8.18 7.97 7.86 7.30 7.24 6.79 6.75 6.65 6.61
Fonte: Good Brands Report 2010, by PSFK in Association with ThePurpleList, April 2010.
community e immaginazione sono i nuovi parametri di giudizio. Sono parametri che esprimono un modo diverso di interagire e relazionarsi tra le due parti, brand e consumatore, secondo criteri di trasparenza e autenticità, di «give and get». E i top 5 Good Brands del 2010 sono Google, Apple, Jamie Oliver, Mit ed Ace Hotel. Due aziende hi-tech e digitali, uno chef, un’università e una catena di alberghi a conferma definitiva che il mondo sta cambiando molto in fretta. Soprattutto, la riconferma che è cambiato il modo di porsi e di interagire con la marca da parte dei consumatori. E di conseguenza anche le aspettative e le domande che essi pongono al brand relativamente alla sua capacità di comunicare. È la nuova generazione Y a guidare il cambiamento, con le loro domande e bisogni. Come attestano diverse ricerche, sono proprio i nati tra il 1980 e il 1995, altresì noti come nativi digitali, che oggi cercano, costruiscono e vivono relazioni ingaggianti con i brand. 9 su 10 di loro agiscono quasi settimanalmente «in nome e per conto di un brand», 3 su 4 parlano ad amici e conoscenti dei loro brand preferiti (Fonte: «the 8095 exchange» – 8095 Research by Edelman and Strategy One – March 2010). 3. Le implicazioni del concetto di engagement sul modo di comunicare: comunicazione non convenzionale, comunicazione integrata e communication mix
Il consumatore chiede di poterci essere, come mai in passato era successo. Reclama a gran voce un dialogo con il brand. Chiede di potersi esprimere anche con contributi e suggerimenti. Arriva al punto di voler essere parte del destino futuro di quei brand con i quali si sente in affinità. È una svolta epocale. Una domanda che fi-
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nora non si era mai presentata in maniera così diffusa e pervasiva, limitandosi a sporadiche situazioni di marketing cosiddetto tribale. Come rispondere? Di fronte a tali cambiamenti, il modello tradizionale di comunicazione, lineare, monodirezionale e top-down non ha più ragione di esistere: le regole della comunicazione devono essere ripensate. La pubblicità, intesa come «messaggio commerciale a pagamento», è già oggi sempre meno capace di far breccia tra i consumatori. Ma soprattutto risulta «spuntata» e incapace di creare legami profondi e autentici con gli stessi. La sua capacità di creare engagement è estremamente limitata. Il nuovo modello di comunicazione, attualmente in corso di definizione, è sempre più circolare: avvolgente, bilaterale, a due vie, multicanale, interattivo, persino in real-time. In quest’ottica, si parla di Comunicazione Integrata 2.0. Il cambiamento è profondo, radicale, persino obbligato. L’integrazione infatti, è un approccio e un modello di comunicazione che prende atto della complessità del mondo esterno in cui il brand si trova ad operare e la incorpora. Le implicazioni sono profonde, perché l’approccio integrato pone al centro di tutto l’idea, il contenuto della comunicazione, che diventa il nucleo da cui si diramano svariate possibilità esecutive. Un approccio all’integrazione completamente diverso da quello cui ci si riferiva in passato, quando si intendeva una mera declinazione creativa su diversi mezzi tabellari e, nei casi migliori, anche sul Btl e sul punto vendita. L’approccio integrato proengagement è sovversivo rispetto a quel passato ancora presente, in cui è l’esecuzione media che definisce a monte lo sviluppo ideativo. Comunicare in maniera integrata oggi significa sviluppare un’idea e chiedersi come interpretarla coerentemente all’interno di quella moltitudine e varietà di leve e canali con cui connettersi con il consumatore. Ciò pone inevitabilmente un fortissimo stress sul valore dell’idea stessa, ovvero sulla sua capacità di essere da un lato coerentemente autentica con il brand, dall’altro di risultare significativa, ingaggiante, assolutamente non pretestuosa o meramente commerciale, per il consumatore. Questo non significa che i brand in futuro debbano ridursi a dei «simpatici social buddy», fornitori di intrattenimento per i consumatori. Tutt’altro invece. Significa che la proposizione commerciale del brand diventa parte di un universo più ampio, più ricco e profondo, che lega il consumatore alla marca, acquisendo un significato diverso, quasi come se l’acquisto, diventasse una parte della relazione e un’espressione del livello di engagement che unisce le due parti. Per creare engagement, i contenuti della comunicazione devono quindi coinvolgere. Per coinvolgere, la diffusione mediatica deve diventare multicanale, sociale, interattiva.
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Rispetto a questo nuovo mandato, i media tradizionali appaiono profondamente in crisi: non sono più il media principale e neppure il più efficace e appropriato allo scopo. Non solo, ma come evidenziato da diverse ricerche, non paiono neppure essere i media primari per un numero crescente di target di consumatori, né quelli più affini a loro. L’approccio al media deve diventare di tipo social, conversazionale, interattivo e persino esperienziale. Sono i media non convenzionali, oggi più propriamente definibili come new media, che si stanno rivelando i migliori interpreti di dinamiche ingaggianti. La non convenzionalità è un aspetto che inizialmente ha definito e accomunato questi media-non-media: ambient, guerrilla, flashmob, viral, social media e social network, mobile. Canali di comunicazione ibridi, dove il media si fonde con il contenuto. Canali di natura non tabellare, spesso derivata dalla trasformazione di situazioni e spazi di comunicazione che non erano nati per questo fine. Sono infine tutti canali che funzionano sulla base di un prerequisito fondamentale: la partecipazione e attivazione di entrambi gli attori, consumatori e brand. 4. Verso un modello di comunicazione pro-engament: analisi delle 3 macro-componenti, contenuto, contesto e partecipazione
Non esiste ancora un modello di comunicazione pro-engagement. Anzi, considerata la natura estremamente dinamica degli elementi che entrano in gioco nei nuovi processi di comunicazione (new media, innovazione tecnologica, partecipazione del consumatore), è molto difficile pensare che si arriverà mai ad una formulazione stabile. Per contro, l’esperienza maturata sul campo dal 2004 ad oggi, unitamente all’osservazione empirica dei fenomeni di comunicazione non convenzionale più interessanti di questi anni, permette di individuare 3 componenti fondamentali, pilastri portanti di ogni comunicazione orientata all’engagement. Le 3 componenti sono: a. Contenuto. b. Partecipazione e conversazioni. c. Contesto. a. Contenuto. «Content is king»: lo affermava Bill Gates già nel 1996. Il Contenuto rappresenta la prima e forse più dirompente trasformazione pro-engagement. Lo shift da messaggio pubblicitario a contenuto di brand stravolge tutti i paradigmi e gli approcci alla comunicazione finora conosciuti. Il contenuto trasforma il messaggio com-
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merciale in un’esperienza di comunicazione per il consumatore, al cui interno vive la relazione con la marca e in ultima istanza anche l’acquisto. Il contenuto espande senza limiti le possibilità ideative e creative di un brand, mettendolo al di fuori di qualsiasi schema e confine, rendendolo sempre imprevedibile e sorprendente agli occhi dei suoi consumatori. Contenuto di comunicazione è sì uno spot televisivo, ma soprattutto una branded fiction sul web, un’applicazione per iPhone, un advergame o un video virale. Anche Facebook, è al tempo stesso contenuto e media. Soprattutto, il contenuto introduce un concetto di autorship: il brand come autore di contenuti e non più solo e meramente inserzionista pubblicitario. Si apre così una nuova dimensione meritocratica e valoriale delle capacità ideative, d’intrattenimento e di utilità che un brand è in grado di proporre. Una dimensione quest’ultima, che assume una valenza fortissima in termini di engagement, perché mette brand e consumatori su un piano paritario e apre immediatamente al dialogo, allo scambio, all’interazione e perfino alla co-creazione. Ma soprattutto, il contenuto, secondo queste nuove logiche è condivisibile e contaminabile: uno spazio sconfinato di opportunità di engagement tra brand e consumatore, che si ricollegano alla crescente dimensione «sociale» della comunicazione moderna. Cambia così conseguentemente anche la definizione della leadership di un brand proengagement: da leader di mercato, a leader di pensiero, per diventare leader creativo, nell’ideazione di contenuti sempre sorprendenti, originali e rilevanti per il target. b. Partecipazione e Conversazione. La nuova comunicazione è geneticamente partecipativa e conversazionale. Il contenuto infatti, per sua stessa natura è oggetto di conversazione e apre quindi a una relazione democratica a due vie con i consumatori. La conferma viene dal fatto che il 25% dei risultati delle ricerche relative ai primi 20 brand nel mondo, sono link a contenuti user-generated e più del 35% dei blogger scrivono post che parlano di brand o di prodotti. Questo significa che qualsiasi comunicazione di un brand non può prescindere dall’essere aperta e prevedere una dimensione almeno sociale se non anche partecipativa e di co-creazione. Un approccio che impone al brand la massima coerenza, trasparenza e autenticità, oltre che continuità tra pensiero e azioni. Un brand aperto al dialogo e alla partecipazione, deve imparare ad ascoltare, a valorizzare il punto di vista del consumatore; deve essere capacità di riconoscere i propri errori e di chiedere scusa; deve alimentare un’attitudine autentica alla socialità e al dialogo. Sono questi i nuovi tratti distintivi di un brand predisposto verso l’engagement.
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c. Contesto. Contenuti di brand, partecipativi e condivisibili a partire da una logica conversazionale, impongono una rivisitazione radicale anche dell’approccio al media, aprendo a logiche distributive e non di pianificazione. È il contesto che fa la differenza, come nel dialogo tra due individui: dove succede, in che modalità, con che regole. Una comunicazione top-down, come la televisione, pianificata all’interno di un break pubblicitario che interrompe la visione di un contenuto rilevante per il consumatore, per quanto coinvolgente e piacevole, faticherà molto ad essere, da sola, una comunicazione engaging. È semplicemente fuori contesto. I nuovi contenuti di comunicazione di un brand vanno distribuiti, diffusi e condivisi, non più pianificati. E i nuovi contesti di comunicazione non sono più proprietari, pianificabili, controllabili e a volte persino esclusivi, ma sono aperti e democratici. Sono parimenti accessibili a brand e consumatori, anzi talvolta sono stati i consumatori i first mover: primi a scoprirli, colonizzarli e progressivamente popolarli. Il contesto fa sempre più la differenza nel dare significato ad un messaggio. Come funziona tutto questo in pratica? Uno degli esempi più raffinati, innovativi e di efficacia di questo nuovo approccio alla comunicazione è la campagna «Old Spice Man», vincitrice del Grand Prix 2010 al Festival Internazionale della Pubblicità di Cannes (fig. 2). Un’operazione volta a rilanciare Old Spice, brand di deodoranti e bagnoschiuma per uomo, un brand vecchio e polveroso del gruppo Procter & Gamble. A differenza di molti altri casi finora conosciuti e ammirati, non si tratta di una singola esecuzione di campagna, ma di un’intera strategia di comunicazione pro-engagement. Una strategia integrata che combina brillantemente un’idea di comunicazione outstanding (contenuto), strumenti di comunicazione e media appartenenti alle leve classiche (Tv) con quelli non convenzionali quali virali e social network (contesto) e una modalità di apertura al consumatore di grande impatto (partecipazione). Il risultato è che il brand è tornato nel radar dei consumatori riuscendo ad ingaggiarli a tal punto che le vendite sono cresciute subito del 55%, per arrivare a toccare picchi del 107% al termine del progetto. L’operazione si può raccontare brevemente attraverso l’effetto media «ping pong» che è riuscita a generare. Partenza televisiva per stabilire l’equity del brand. Ping. Allargamento a media non convenzionali (video virali) e logiche partecipative (Facebook e Twitter). Pong. Ulteriore distribuzione e attivazione di micro-community innovative quali Digg, Reddit, Badoo, ecc... Ping. Apertura del progetto alla partecipazione degli utenti e interazione real time del brand (200 video-risposte prodotte e distribuite in 48 ore). Pong. Youtube come final destination di tutte le attività di broadcasting del brand. Ping. Reazioni entusiasti-
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FIG. 2. «The Old Spice Man» Campaign. Anno di on air: 2010; Cliente Procter & Gamble; Agenzia Creativa: Wieden & Kennedy. Fonte: «Old Spice Man» Marketing, Redux: What Went Right and What Did Not – Fastcompany. com, by Gary Vaynerchuk, Marzo 2011.
che degli utenti per un’esperienza di attenzione e personalizzazione del brand mai raggiunta prima. Pong. Twitter come propagatore finale delle micro-esperienze individuali. Ping. Rilevanza nazionale dell’operazione e acquisizione di copertura su tutti i media tradizionali. Pong. 5. Come si crea l’engagement nei progetti?
Alcune case histories nel panorama italiano In conclusione, è importante considerare come l’engagement non vada cercato in maniera fine a se stessa. L’engagement viene perseguito e in qualche modo attivato nei progetti di comunicazione, come mezzo strumentale al fine di raggiungere gli obiettivi di comunicazione, che rimangono specifici di ogni brand e momento storico. Riportiamo di seguito alcuni esempi di progetti realizzati dall’agenzia ebolaindustries, pioniera in Italia nella comunicazione unconventional, al fine di eviden294
ziare come la comunicazione cosiddetta non convenzionale e orientata ai new media, unitamente alla ricerca di una relazione più profonda e autentica con il consumatore, sia in grado, in ultima istanza, di avere un impatto sul brand raggiungendo gli obiettivi più efficacemente. a. Chinò Sanpellegrino: ambient non convenzionale
Chinò Sanpellegrino è stato il primo brand italiano di largo consumo ad abbandonare i media tradizionali per votarsi completamente alla comunicazione non convenzionale. L’aspetto innovativo del suo approccio non consiste nel fatto che abbia inserito attività come ambient, guerrilla e virale nel suo media mix, ma piuttosto che nel biennio 2007-2008 abbia deciso di concentrare tutte le sue risorse nella comunicazione non convenzionale, pianificando operazioni non tabellari in maniera continuativa. Una strategia di comunicazione che si integrava perfettamente con la natura del prodotto, con il target e con il posizionamento del brand: BEVI FUORI DAL CORO, ovvero la capacità di fare scelte indipendenti che si distinguessero per originalità e innovazione. Di conseguenza, la scelta di percorrere la via della comunicazione non convenzionale è stata coerente con gli obiettivi di marketing e con la domanda di originalità dei suoi consumatori. La strategia si è strutturata su ambient e guerrilla marketing, virale, packaging comunicativo, uso peculiare del web. La prima attività pianificata da Chinò nel 2007, è stata anche quella che ha riscosso il maggiore successo ed è anche icona rappresentativa di tutta la strategia di comunicazione del biennio: le cannucce giganti nelle fontane (fig. 3). I risultati hanno premiato questa scelta: leadership incontrastata nella categoria e lovemark per i consumatori, corrispondenti a vendite da record (da 79 a 80,5 milioni di pezzi) e grande crescita di quota di mercato dei chinotti (incremento di 2 punti sia a volume sia a valore) consolidando fortemente la leadership. Il tutto, ovviamente, senza alcun aumento del canale distributivo. Ma il dato è ancora più eclatante se si considera che le vendite sono state superiori a quelle degli anni in cui il marchio aveva goduto del supporto media con forte pianificazione in Tv (2000 e 2002). b. Digitale non convenzionale: Gillette Future Champion
Il Gillette Future Champion rappresenta il più importante brand content di Gillette in Italia. Si tratta di una sponsorizzazione sui generis attraverso la quale il brand seleziona 3 giovani promesse del calcio italiano e invita i consumatori a votare per scegliere il campione del futuro. Nel corso delle 3 edizioni del progetto, dal 2007 ad oggi, la comunicazione del brand si è progressivamente emancipata dai media tradizionali, sempre più inefficaci e inadatti a veicolare questo contenuto sul 295
FIG. 3. «Bevi Fuori dal Coro» – Chinò Sanpellegrino (ebolaindustries).
target giovani, 16-24. Così nel 2010, la strategia di comunicazione della terza edizione del Future Champion (fig. 4), si è concentrata esclusivamente sui media digitali non convenzionali, rinunciando al supporto di Tv e stampa. Sono stati sviluppati contenuti di brand nella forma di video virali, advergame, applicazioni Facebook e conversazioni su tutti i social media, quali contenuti e canali di comunicazione allo stesso tempo. I risultati sono andati oltre ogni aspettativa: quasi 900.000 contatti interattivi (attivazioni degli utenti quali visioni di video, giocate all’advergame, conversazioni e condivisioni) in 8 settimane di campagna, 660 community che ne hanno parlato in rete, click-through del 9.04%, 104.083 voti (+612%) e 30.887 kit di prodotto richieste dai consumatori. Costo contatto pari a 0,05 eurocent! c. Social Media: fan page Nike Running
La storia della fan page di Nike Running su Facebook, conferma in maniera chiara la domanda dei consumatori di essere ingaggiati costan-
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FIG. 4. «Mobile Soccer» – Gillette Future Champion (ebolaindustries).
temente dai brand e, soprattutto, come sia possibile attivare un canale di comunicazione a due vie autentico e trasparente. Lanciata a fine luglio 2010, la pagina è cresciuta rapidamente fino a raggiungere i 10.000 fan in meno di due mesi dalla partenza. Un risultato incredibile anche per Nike, che ha reso Nike Running Italia la prima community nazionale dopo gli Usa e una delle top 3 community di running in Italia. Un piano editoriale ricco di contenuti e di insight, sempre alla ricerca di complicità e intesa attorno alla passione comune verso il running di brand e consumatori, ha permesso di far sì che al numero di fan si accompagnasse un livello di interazione estremamente positivo, fatto di like, commenti e condivisioni. Troppo spesso le fan page dei brand diventano dei cimiteri privi di qualsiasi forma di vita e interazione. Da allora la pagina continua a crescere a ritmi del 10% a settimana, in maniera completamente organica e senza alcun supporto media tabellare o di reclutamento di fan, ma semplicemente sulla base del passaparola di quei fan-brand che popolano la pagina. c. Sharing of Knowledge: One Hundred Ones
One Hundred Ones rappresenta una sfida e una provocazione per il marketing stesso: un social media e social network esclusivo, aperto 297
solo ai 100 più influenti direttori marketing, uomini di comunicazione, brand e media manager italiani, con l’obiettivo di creare cultura della comunicazione innovativa, laboratorio e scambio di intelligence. Al centro del progetto il blog 100ones.com, che ricerca, studia e distribuisce marketing intelligence non convenzionale a tutti i suoi membri, in maniera riservata ed esclusiva e un’applicazione iPhone/iPad che permette l’accesso ai contenuti in ogni momento. Conclusioni
La nozione di engagement permette finalmente di ricomporre in maniera armonica quei diversi fattori di discontinuità e disruption citati in precedenza, che con grande frequenza e repentina velocità hanno stravolto il modo di comunicare recente e futuro. L’engagement è sempre più assimilabile ad un innovativo caleidoscopio, chiave di lettura univoca delle multiformi e sempre mutevoli espressioni che la relazione brand-consumatore può assumere da ora in avanti, sulla base dell’instaurarsi di una progressiva relazione di reciprocità. Partendo da questo presupposto, è possibile identificare 7 tips o suggerimenti utili al fine di costruire strategie di comunicazione favorevoli all’engagement: 1. Insight rilevante: «cosa» comunicare? Ora che il come comunicare ha fatto del digitale e dell’innovazione tecnologica una piattaforma aperta a costanti innovazioni, torna preponderante la necessità di una pertinenza del contenuto della comunicazione. La ricerca del big insight, rivelatore di quel «click» in grado di connettere brand e consumatore, diventa quanto mai fondamentale e imprescindibile. 2. Creatività tecnologica: la tecnologia a servizio della creatività consentirà sempre più spesso di amplificare a dismisura le opportunità ideative della comunicazione. Non solo media, ma idee di comunicazione radicate nella creatività tecnologica possono rivelarsi motori di engagement sorprendenti. «Nike+» docet. 3. Multicanalità: comunicazione integrata e multicanale. Una sola grande idea, declinata coerentemente e in maniera rilevante non più sui tradizionali due-tre canali, ma su più piattaforme di amplificazione, condivisione, dialogo e co-creazione. Un nuovo mix&balance da costruire ex-novo ogni volta. 4. Interazione ed esperienzialità: comunicazione che offre spazi di interazione e di esperienza progressivamente coinvolgente per il consumatore. Strategie di comunicazione in grado di inserirsi il più naturalmente
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possibile nel quotidiano del consumatore, aprendo ad esperienze nuove e coinvolgenti, ma non per questo necessariamente profonde o valoriali. Trial piuttosto che marriage. 5. Brand openness: è evidente che una delle tare più importanti per il successo di queste nuove strategie di comunicazione è l’approccio del brand e il modo in cui decide di porsi. Fondamentale è un’apertura mentale al dialogo capace di tradursi in atteggiamenti e comportamenti che aprono le porte al consumatore in maniera autentica e trasparente. 6. Way in, way out: offrire sempre esperienze di comunicazione che consentano multipli punti d’accesso e di uscita al consumatore, lasciandogli in ultima istanza la massima scelta di se e quanto farsi ingaggiare dall’esperienza. Unbound. 7. Continuità temporale: le conversazioni non possono essere predeterminate nel tempo come le campagne di comunicazione. Il dialogo continuo, con livelli ed intensità variabili, diventa un nuovo must della relazione brand-consumatore.
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