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Dolce attesa
Baby blues e depressione post-partum a confronto
∞ A CURA DI ELENA BUONANNO
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Il maternity blues, meglio conosciuto come baby blues è un termine coniato dal pediatra e psicoanalista britannico Donald Winnicott per rappresentare la malinconia che le neomamme possono sperimentare nei primissimi giorni di vita del neonato”
La nascita di un bambino rappresenta un evento molto delicato, soprattutto nella vita di una donna, con profondi e molteplici cambiamenti da un punto di vista fisico, psicologico e relazionale oltre a nuove responsabilità. Per questo nel periodo successivo al parto non è infrequente che la donna si senta emotivamente instabile, fragile e nutra sentimenti di confusione nei confronti del proprio neonato. In alcuni casi possono anche insorgere patologie depressive più o meno gravi, dal baby blues alla depressione post partum. Come riconoscerle? E soprattutto come affrontarle? Ne parliamo con la dottoressa Michela Gritti, psicologa.
Dottoressa Gritti che differenza c’è tra baby blues e depressione post partum? Il baby blues è la forma depressiva più lieve e più comune (riguarda circa l’85% delle donne) e si manifesta con sintomi quali la facilità a lasciarsi andare a crisi di pianto, una tristezza immotivata, paura e ansia, ma anche nervosismo e irritabilità, mancanza di concentrazione e sensazione di dipendenza. Chiamato anche maternity blues è considerato un disturbo transitorio, di breve durata, dovuto al crollo ormonale degli estrogeni e del progesterone conseguente al parto e ai diversi cambiamenti che la donna deve affrontare. Potremmo quindi dire che si tratta di una condizione fisiologica. Il suo esordio avviene nella prima settimana dopo la nascita e può perdurare fino a tre settimane, regredendo poi in modo autonomo. Questo periodo si può considerare una sorta di “tempo di latenza” affettivo necessario per realizzare la rottura del legame fusionale con il feto e iniziare la relazione col bambino reale e i suoi bisogni. Proprio per il suo carattere transitorio, il baby blues non necessita di interventi specifici, generalmente informazione, supporto e rassicurazione sono sufficienti per la cura di questo disturbo. Smaltito lo stress legato al travaglio e al parto, nonché ai cambiamenti ormonali e a quelli
dovuti ai nuovi ritmi di vita dettati dalle esigenze del nuovo arrivato, la neomamma infatti raggiunge un nuovo equilibrio che le permette di riacquistare uno stato di tranquillità tale da potersi rasserenare e godere dei momenti unici con il proprio bambino. Differente per entità e per sintomatologia è invece la depressione postnatale, comunemente conosciuta come depressione post-partum, che in genere si manifesta 4-6 settimane dopo il parto.
Come riconoscere i campanelli d’allarme della depressione postnatale? Il DSM-V (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders) indica che per poter effettuare una diagnosi di depressione postnatale la neomamma debba presentare un umore depresso e una significativa diminuzione dell’interesse verso le attività di piacere, quasi ogni giorno per un periodo di almeno due settimane. Devono inoltre essere presenti almeno cinque o più dei seguenti sintomi, perduranti per un periodo di almeno due settimane: significativa perdita o aumento di peso, diminuzione o aumento dell’appetito, insonnia o ipersonnia, agitazione o rallentamento psicomotorio, faticabilità o mancanza di energia, sentimenti di autovalutazione o di colpa eccessivi e inappropriati, capacità ridotta di pensare o di concentrarsi, pensieri periodici di morte, ricorrente idea suicidaria. Tutto questo porta spesso a un distacco affettivo della mamma dal suo bambino e alla dolorosa incapacità di interpretare i suoi segnali e prendersi cura di lui. A differenza del baby blues, questa forma di depressione non è transitoria e può persistere con vari livelli di intensità anche per diversi anni.
Quali sono le cause? Come tutte le forme depressive, la depressione postnatale non è provocata da un’unica causa ma esistono svariati fattori di rischio, di cui i principali sono: eventi di vita stressanti; difficoltà familiari o di coppia; scarso sostegno sociale; fattori di personalità, atteggiamenti e abilità; storia personale o familiare di depressione; temperamento del bambino; esperienze infantili. La nostra società e il senso comune sono abituati a concepire la gravidanza e la maternità come degli eventi puramente gioiosi, ignorando tutti i vissuti emotivi anche difficoltosi che questa nuova avventura può provocare. Per questo motivo quando una donna ha delle difficoltà a adattarsi al ruolo di madre si sente fallita e incapace, e questa percezione di sé facilità la comparsa della depressione.
Cosa si può fare per aiutare una neomamma che soffre di depressione? Innanzitutto è fondamentale rendere le donne consapevoli che ciò che stanno sperimentando rappresenta una condizione frequente, più di quanto si pensi, e far sì così che non nascondano i loro sintomi depressivi per vergogna e/o paura del giudizio altrui. Molto importante, ovviamente, è il sostegno del partner e la rete di supporto sociale. Il compagno o marito deve aiutarla nella gestione del piccolo/a, contribuire alle faccende domestiche, essendo presente sia a livello fisico sia emotivo. Parenti e amici, invece, possono aiutare i neo genitori, rendendosi utili nel modo più “congeniale” alle esigenze della nuova famiglia e sempre nel rispetto della loro privacy. È bene, invece, che si astengano da consigli e giudizi non richiesti sulla cura dei bambini. Ovviamente, in caso di forme depressive gravi, è sempre consigliabile chiedere l’aiuto di professionisti (psicologo e psichiatra) per ottenere un intervento tempestivo che contribuisca alla diminuzione della sofferenza emotiva.
DOTT.SSA MICHELA GRITTI
Psicologa Clinica, Master in Valutazione multidimensionale e Tecniche per il cambiamento
Amae studio professionale a Casazza
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