Alberto Andreanelli
La Nota Dolente (1997)
Quando lasciai l'appartamento di Tullo, alle cinque del mattino, rimasi molto scosso, tanto da non ricordarmi, per qualche minuto, dove si trovasse il mio, di appartamento. In realta’, rimasi scosso per tutta la settimana, e quella dopo ancora, fino a ieri, quando ho deciso di mettere tutto per iscritto, un po' per sfogarmi, un po' per rendermi conto di cio’ che il mio amico mi disse quella notte. Io e Tullo siamo entrambi appartenenti al "Circolo dei folli", una simpatica combricola di artistoidi i quali ogni giovedi’ sera si riuniscono e si confrontano gli uni con gli altri. C'e’ chi legge le proprie poesie, c'e’ chi recita (come il sottoscritto), c'e’ chi canta, c'e’ chi espone i propri quadri, c'e’ chi suona qualcosa (come il mio amico Tullo). Ci sono studenti, ci sono lavoratori dipendenti, ci sono liberi professionisti, ci sono uomini e donne. Siamo una ventina di persone, compreso qualche amico curioso che vuole passare una serata inconsueta e piacevole all'insegna dell'arte e della cultura. Talvolta si organizzano delle trasferte vere e proprie per visitar musei o recarsi a dei concerti. E’ tutto molto spontaneo, genuino, e ciascuno di noi e’ felice di partecipare a queste riunioni "fuori dal tempo". Siamo tutti degli artisti "del dopolavoro": c'e’ il Conte, c'e’ l'Elefante, c'e’ la Pantera, etcetc. Ognuno si ritrova appioppato un soprannome, tutti meno il caro Tullo, il piu’ geniale dei nostri "confratelli". Tullo lavora come guardia 1
giurata e fa servizio di fronte alle banche o nei supermercati. Tutti sanno che Tullo fa la guardia giurata, e tutti sanno anche che, in passato, Tullo e’ stato uno dei piu’ grandi pianisti che abbiano mai calcato i teatri e le sale da concerto del mondo. Proprio cosi’, un grande genio del pianoforte, a livello di Rubistein, di Michelangeli, di Arrau. Ma poi, un qualcosa si e’ inceppato nel meccanismo e...Pafh! tutto finito. Un rigetto quasi completo per il pianoforte, un rigetto che lo porta a rifiutare il suo presente e futuro successo, ed iniziare una carriera all'interno della sicurezza nazionale. Nessuno, tranne lui, ed ora, il sottoscritto, ha mai conosciuto il motivo per cui tutto fu abbandonato, ma tutti rimangono estasiati dalle sue, pur brevissime, esibizioni durante i raduni del Circolo. Un suono ancestrale, "e’ come se Monet e Cezanne dessero una pennellata ciascuno ai suoni del pianoforte" ama dire il Parigino, con la prosa che gli e’ propria. C'e’ poco da dire, basta chiudere gli occhi ed ascoltare. Al termine di una riunione alquanto movimentata, che fu il preludio di cio’ che andro’ a raccontare, Tullo, a dire la verita’ stranamente alticcio quella sera, mi prese sottobraccio e mi chiese di accompagnarlo a casa, poiche’ lui non si sentiva molto bene. Niente di piu’ facile, gli dissi io, e lo accompagnai. Parlava molto quella sera, non so se per effetto del vino o per quale altro motivo, ma fattosta’ che mi invito’ a seguirlo nel suo 2
appartamento. Quando entrammo in casa, mi fece accomodare in salotto e si riempi’ un bicchiere di vino bianco, che butto’ giu’ tutto d'un fiato. Era stranamente alterato, nervoso, aveva una voglia dannata di parlare con qualcuno di qualcosa. Continuava a pettinarsi i capelli con la mano, quei capelli castano chiaro che gli cadevano insistentemente sulla fronte. Gli occhi color nocciola brillavano come nei momenti in cui suonava i suoi brani al pianoforte. Si mordeva lo labbra e sorrideva nervosamente. Io rimanevo seduto sul divano in attesa di qualche sua parola che, puntualmente, arrivo’. Non mi guardava in faccia mentre mi parlava, e questo, forse, lo aiutava. Disse che non aveva avuto da Dio il dono della parola, ma che aveva voglia di parlare, tanta di quella voglia che non riusciva neppure lui a comprenderne il motivo. "Non bisogna aver avuto il dono da Dio, per parlare", gli dissi io, "basta farlo". Si giro’ verso di me con uno sguardo terribilmente duro che mi mise a disagio. Poi i suoi occhi diventarono terribilmente dolci e si apri sulla sua bocca un sorriso amabile che mi calmo’ subito. "Non lo so , ma ho deciso di parlare con te perche’ sento che tra tutti quelli che conosco, tu sei simile a me, poiche’ guardi le cose non per quello che sono in apparenza ma anche per quello che potrebbero essere". Il mio silenzio e il mio sguardo incerto lo fecero continuare: "Voglio dire, che io so che se adesso ti raccontassi una storia su di me, sul come e perche’ sono quello che sono e 3
sono stato quello che sono stato, per quanto assurda fosse non mi diresti che sono pazzo, forse lo penseresti, e forse "ci" penseresti. Ci penseresti e ti renderesti conto che la realta’ non e’ mai quella che noi vediamo, ma e’ quella che ci creiamo". Una risatina soffocata da un colpo di tosse usci’ involontariamente dalla mia bocca. Tullo giro’ la testa verso il pianoforte a muro che gli stava di fronte e vi appoggio’ entrambe le mani come per accarezzarlo. Pareva accarezzasse il volto di una donna, gli occhi gonfi, e il sorriso dipinto sul volto. Quando arrivo’ all'altezza della tastiera incrocio’ le mani, le fece salire fino al collo e poi le apri’. Sembrava un vecchio druido durante una cerimonia pagana. D'un tratto, con violenza inaudita, le sue mani piombarono sui tasti del pianoforte, facendone uscire un suono terribile ed angoscioso. "Beethoven", mi disse. Non era stato un gesto casuale, un rumore improvvisato, le sue dita avevano composto perfettamente il mosaico di note di quel suono oscuro. "Mi devi promettere che non interromperai mai il mio racconto", disse guardandomi con gli occhi semichiusi. Annuii, e mi accorsi di avere ancora il cappotto addosso. mi alzai e lo misi sull'appendiabiti. La serata era splendida, una leggera brezza muoveva gli scuri alle finestre, e l'abbaiare di un cagnolino per la strada mi riavvicino’ improvvisamente al pianeta Terra dal quale mi ero allontanato. Incrociai le gambe e guardai l'ora: 2:50. Ero un po' stanco, ma ansioso di ascoltare il racconto del 4
mia pianista preferito. Lo guardavo mentre fissava nonsisacosa dalla finestra e mi venne in mente la prima volta che lo ascoltai. Una decina di anni fa mi trovavo per lavoro a New York e, grazie ai favori di un'amica musicista, riuscii ad avere la grande fortuna di vedere l'ultimo concerto in pubblico di questo leggendario, anche se giovane, genio della tastiera in bianco e nero. La mia amica era una vera fanatica di Tullo, aveva tutti i suoi dischi, non si perdeva un concerto ogni qualvolta passava per lo stato di New York, seguiva le recensioni e i commenti delle sue esibizioni. Insomma era praticamente cotta! mi racconto’ dei primi, straordinari passi nel mondo musicale di Tullo: a due anni mise le mani sul pianoforte per la prima volta suonando qualche battuta del secondo movimento del concerto n. 5 di Beethoven per pianoforte ed orchestra strabiliando i suoi genitori, soprattutto suo padre che era un pianista "da battaglia". A quattro anni il suo primo concerto in pubblico, suonando le Variazioni Goldberg di Bach! Sembrava che giocasse con il Lego, ed invece creava suoni meravigliosi con quelle mani piccole piccole. Pareva addirittura impossibile che fosse un bambino a suonare quelle note. Era nato un grande artista o un fenomeno da baraccone? fortunatamente il padre del piccolo Tullo non aveva intenzione di farsi un sacco di soldi alle spalle del figlio, e lo amministro’ con giudizio e sani valori morali, cosa che stupi’ tutti gli addetti ai lavori. 5
"Generalmente avviene il contrario, ma tanto meglio per il piccolo". Si diplomo’ al conservatorio a sette anni, ed inizio’ la sua carriera di bambino prodigio in giro per il mondo. In verita’, le sue esibizioni erano abbastanza rare, a causa dei suoi impegni di studio. Il piccolo andava a scuola regolarmente e con ottimi risultati. La sera, prima di coricarsi incideva qualche sonata per le maggiori case discografiche, che si facevano in quattro per produrre i suoi famosi "Concerti in salotto". Talvolta riceveva la visita di un grande solista, che generalmente rimaneva sbalordito dalla sua tecnica eccezionale in un corpo cosi’ acerbo. Ma Tullo aveva avuto il dono della musica. Diceva sempre che si voleva diplomare all’istituto tecnico "perche’ non si sa mai nella vita”,magari un giorno mi stufo e non suono piu’". Lui lo diceva e gli altri ridevano, pensando ad una battuta. Cercai di ricordarmi il suo volto quando lo vidi la prima volta a New York e subito lo confrontai con quello che mi stava di fronte, appoggiato al muro e con lo sguardo al di la’ della finestra. Non era cambiato neppure di una virgola, straordinariamente fresco e giovanile...giovanile, d'altra parte era ancora davvero giovane, poiche’ si era diplomato, senza perdere neppure un anno, l'estate passata. Io, invece, mi ero diplomato diverse estati prima, molte...diverse, ma era come se non ci fosse un giorno di differenza tra me e lui, in quel momento, in quell'attimo che 6
sembrava essere senza tempo, senza spazio, che sembrava non esistere. Lo guardavo ed attendevo che inziasse il suo racconto. Guardai l'orologio sul suo polso che diceva: sono le 3:00. "E’ la seconda volta che guardi l'orologio nel giro di dieci minuti, cosa c'e’, devi andare?" mi chiese. "No, non ti preoccupare, non ho orari, oggi." Sbuffo’ sorridendomi e mi si avvicino’. Si sedette accanto a me sul divano e mi disse, indicando il pianoforte: "Lo vedi? Lo vedi quel pianoforte? E’ per quel coso li’ che io non suono piu’! E’ successo tutto li’ sopra!" Lo guardai in silenzio con un'aria un po' interdetta che lui respinse con un sorriso. "Ok, lo so, lo so, tutto cosa? Cosa puo’ essere mai successo sul quel pianoforte di cosi’ dannatamente terribile da farmi rinunciare a tutto il successo e la fama che mi erano stati elargiti dal destino? Oh, mio Dio, se soltanto tu potessi sapere cos'e’ per me la musica, cos'e’ per me il suono di un tasto di pianoforte. E’ la vita, e’ l'amore, e’ la gioia, e’ la rabbia, e’ l'odio. Quando ho posato un dito per la prima volta sulla tastiera, il suono che ne e’ scaturito mi ha parlato, mi si e’ fatto amico, ha giocato con me, ed io l'ho inseguito, e lui mi ha presentato altri amici e siamo stati insieme. Io parlavo con le note, io le ascoltavo, per me avevano un odore ed un peso. Io le seguivo e ci giocavo, loro mi accompagnavano e mi accudivano. Io non ho mai fatto fatica nel suonare un brano, nel creare della musica: io sapevo gia’ tutto! Era gia’ tutto nel cervello, se non avessi avuto un pianoforte a 7
casa, forse non avrei mai saputo di possedere questa straordinaria capacita’. Ti rendi conto che quando avevo quattordici anni sono stato tutto il pomeriggio a parlare di Bach con Glenn Gould in camera mia, in un albergo a Toronto? Dico, Glenn Gould, un mistico del XX secolo che era considerato un mezzo matto, un eremita che non usciva mai, che stava dalla mattina alla sera a suonare Bach, ed io c'ho parlato, c'ho riso e scherzato! A sedici anni! Questa era la mia vita, una vita nella quale la musica e’ entrata senza traumi, senza fatiche: scale ascendenti? cromatiche? esatonali? Tonalita’? Dissonanze? Io le ho scoperte dopo tutte queste cose, prima le suonavo e basta, naturalmente, come l'usignolo sul ramo dell'albero. Cosa diavolo ne sa lui se quello che sta cantando sia in Do minore o se la scala sia diatonica di primo grado? Lui canta e basta! E, forse, non lo sa neppure di esibirsi! Io non ho mai amato le esibizioni in pubblico, ho sempre preferito incidere dischi. Perche’? Non lo so, credo perche’ sia una cosa molto intima suonare, e’ come se parlassi di te stesso, di quello fai, di come sei, e sono pochi a capire queste cose. E parlare di se’ stessi significa anche improvvisare, ecco perche’ non mi sono limitato allo studi dei classici. Certo, interpretandoli dico qualcosa anche di me stesso, dico quello che sono, ma e’ soprattutto improvvisando che parlo di me e lo studio del jazz e’ stata la scoperta piu’ affascinante in questo senso. Mi ricordo di aver parlato una sera 8
con Keith Jarrett, il quale mi diceva che i grandi compositori del passato sono stati grandi improvvisatori e che della loro arte noi abbiamo soltanto le pagine scritte. C'e’ quindi da chiedersi che cosa sarebbe la musica oggi se ci fosse stato un registratore all'epoca...ma questo e’ un altro discorso. E’ meraviglioso improvvisare, meraviglioso. Quando fai un assolo . come se tu parlassi, e’ come se tu facessi un discorso, e quindi devi seguirne il filo, devi dargli un senso, deve avere un inizio ed una fine e, soprattutto, deve essere assolutamente tuo. Ecco perche’, talvolta, odio i classici, proprio perche’ non sono io che parlo, non sono io che ho scritto quel discorso! E poi non e’ spontaneo suonare per qualcuno, e’ troppo vincolante; bisogna fare sempre quello che vuole il pubblico, poiche’ il pubblico si aspetta qualcosa da te, e quella cosa, magari; tu non hai voglia di farla quella sera! ma sei costretto! Al diavolo, si fottano tutti e tutto! Adesso posso fare quello che voglio, sono libero...o forse sono ancora prigioniero...non lo so! Non lo so!" Si alzo’ di scatto e diresse verso il leggio sul pianoforte ove era posto uno spartito. Lo prese e ritorno’ a sedersi vicino a me. Lo sfoglio’ rapidamente fin quando si fermo’ su di una pagina che sembrava bruciacchiata. "La vedi questa pagina? E’ successo tutto dentro questa maledetta pagina di fuoco. Guarda, questa e’ la partitura della Sonata p.r pianoforte n. 32 opera 111 di Ludwig Van Beethoven, l'ultima delle sue pagine scritte per il 9
pianoforte. L'ultima e la piu’ misteriosa, poiche’, ancor'oggi, non tutto il significato di questo capolavoro e’ stato compreso. Tengo molto a questo spartito, mi e’ stato donato in regalo dal grande Vladimir Horowitz in occasione di un concerto che tenni a Vienna qualche anno fa. Questa sonata mi ha sempre affascinato molto, mi ha trasportato ai confini dell'umano, nelle recondite profondita’ dell'anima. Ti sembreranno parole grosse, tanto per fare un po' di scena, e te ne do atto, sono davvero parole grosse: confini, profondita’, animo umano. Non sappiamo bene che cosa siano, ma ci piace parlarne di continuo. Forse Beethoven, nella completa oscurita’ della sua sordita’ e’ riuscito ad arrivare in quei luoghi dell'anima che tutti noi cerchiamo disperatamente di raggiungere. Sono un po'...palloso, vero? Me lo immagino, forse sono un po' brillo, e questo non fa altro che rendermi ancora piu’ sincero! Quello che mi e’ successo e che ora ti raccontero’ e’ la storia piu’ assurda che tu potrai mai ascoltare da un essere vivente e cosciente, che sa quello che dice e che sa con chi sta parlando. Non sono un pazzo, credimi, e soprattutto non ho sognato. Dopo ti mostrero’ qualcosa che confermero’ la mia storia. Ma adesso ci vuole un altro bicchierino." E cosi’ si allungo’ verso il bar e verso’ un po' di vino in due bicchieri. Brindammo alla sua storia e tracannammo. "Erano le sette di sera, ero appena rientrato da una corsa al parco ed avevo molta voglia di suonare. Mi feci una bella 10
doccia e mi misi in accappatoio di fronte alla libreria, cercando uno spartito che mi ispirasse dalla punta dei capelli fino alla punta dei piedi. Passavo il dito indice su tutti i tomi, andavo e tornavo, era come se l'indice cercasse da solo cosa avrei dovuto suonare. Dopo un bel po' di tempo scelse la sonata n. 32 di Beethoven. Mi misi una maglietta ed un paio di pantaloni di una vecchia tuta e, con lo spartito sottobraccio, mi sedetti al pianoforte. Iniziai a strimpellare qualche accordo di riscaldamento, poiche’ avevo le mani ancora un po' affaticate dalla corsa, e subito sentii qualcosa di strano nella tastiera, qualcosa che non avevo mai sentito prima: mi stava chiamando. Non mi chiamava con delle parole precise, ma era come se i suoni da me evocati mi avvolgessero e mi portassero verso l'interno del pianoforte. Sgranai gli occhi stupefatto della sensazione che stavo provando e mi alzai dirigendomi verso la cucina, ove mi preparai una spremuta d'arancia. Ritornai sui miei passi e mi promisi di restare calmo! Aprii lo spartito ed iniziai a suonare senza guardare il pentagramma. Ad un certo punto mi fermai e controllai sullo spartito: aveva gia’ suonato quindici pagine. Mi sentivo molto in forma quella sera, ed avevo lo strano presentimento che qualcosa sarebbe successo di li’ a poco, e quando io sento qualcosa puoi star certo che qualcosa accade. Per esempio, alla fenice di Venezia debuttai a dodici anni e, seppure non avessi paura di esibirmi in pubblico, sentivo che sarebbe 11
accaduto qualcosa di spiacevole ed inatteso. E fu l'acqua alta, che impedi’ a trequarti del pubblico di raggiungere il teatro in orario; iniziai lo spettacolo con due ore di ritardo rispetto al previsto, e fu un grande successo". Mi venne subito in mente il titolo del giornale che si riferiva a quell'episodio: "Il piccolo Tullo sconfigge l'acqua alta". Lo guardai e provai ad immaginarmi quante cose avesse potuto vedere nella sua breve vita quel giovane talento, quante cose avesse fatto, quante persone avesse potuto incontrare durante i suoi viaggi, ed aveva ancora tutta la vita di fronte a se’. "Ripresi a suonare con grande trasporto la sonata per altre venti pagine e poi, curiosamente, mi 'incastrai' su di una nota. Non riuscivo a capire perche’, ma non era la nota di sempre: o era scordato il pianoforte, cosa impossibile, o il mio orecchio era andato fuori uso. Continuavo a premere il dito sul tasto e il suono che ne usciva era fastidiosissimamente stonato. Mi spostavo sui tasti vicini e tutto andava bene, ritornavo su quel maledetto e...Zach! una staffilata nelle orecchie! Guardai sullo spartito e mi accorsi, con grande stupore, che quella nota non esisteva nella sonata, non esisteva in quella musica. E allora perche’ continuavo a suonarla, e perche’ continuava ad uscirne un suono cosi’ antipatico? Il dito medio continuava imperterrito a strimpellare su quel tasto, prima accarezzandolo, poi con forza, premendo rabbiosamente...e poi, e poi, avvenne quello che nessuno potrebbe mai credere, avvenne 12
quello per cui potrei finire in una clinica psichiatrica, avvenne quello per cui ora sono una guardia giurata felice di essere una guardia giurata." Chiuse gli occhi e si porto’ le mani sul viso, massangiandolo con vigore. Si gratto’ nervosamente la nuca con entrambe le mani e riprese il racconto. "Stavo suonando quella nota senza spazio e senza tempo, quella nota che non esisteva se non dentro me stesso, quando vidi che il mio dito, la mia mano, il mio braccio iniziavano ad evaporare e condensarsi in qualcosa di scuro. Non sentivo alcun dolore, non sentivo niente, neppure i rumori consueti del mio appartamento, ed intanto anche i piedi e le gambe se ne erano andati, e comincio’ ad insinuarsi nelle mie orecchie quel suono terribile che aveva iniziato ad angosciarmi. Stavo scomparendo nel nulla, stavo diventando minuscolo, stavo diventanto un piccolo puntino nero, ed al rumore fastidioso della nota infelice si sostitui’ una sinfonia di suoni colorati come non avevo mai sentito in vita. Il mio corpo era completamente scomparso, e tutto, intorno a me, era diventato gigantesco; non avevo piu’ un peso, stavo galleggiando nell'aria e l'unica cosa che riuscivo a distinguere era il pentagramma di fronte a me. All'improvviso, come se fossi diventato pesante mille tonnellate, precipitai violentemente proprio sul pentagramma e mi schiantai sulla carta. E fu il buio. Non so quanto tempo passo’ dal momento in cui mi schiantai a quello in cui ripresi conoscenza. Potevano essere passati anche 13
degli anni. Al buio pesto che aveva accompagnato la mia caduta segui’ un arcobaleno accecante che mi fece balzare in piedi atterrito, poiche’ non ricordavo assolutamente che cosa mi fosse capitato. La luce svani’ e cominciai a pensare di essere diventato completamente pazzo e che stavo sognando. Vidi che il mio corpo aveva ripreso la sua forma originaria, le mani erano tornate mani, le braccia braccia e anche tutto il resto era al suo posto! Provai a camminare ma mi accorsi di essere legato ad un muro da qualche filo invisibile. Ridetti di quello che mi stava succedendo e pensai che non avrei piu’ suonato dopo una corsa al parco: troppa fatica! E queste sono le conseguenze! Stavo ancora ridendo quando alzai lo sguardo per dare un'occhiata alla stanza nella quale ero rinchiuso. Ma non riuscivo a non pensare, primo: perche’ dovrei essere rinchiuso in una stanza? Secondo: cosa ho fatto di male? Perche’ non riesco a liberarmi da questi fili? Perche’ sono dei fili invisibili? Esistono i fili invisibili? Pensavo a queste cose quando mi venne una voglia terribile di gridare! Gridai, ed il suono che usci’ dalla mia bocca mi sconvolse: era quello della nota infelice! Provai a parlare normalmente, a dire il mio nome e cognome...! Gesu’! Niente, sempre e soltanto quel maledetto suono! Non era possibile. Era un maledetto incubo dal quale avrei dovuto svegliarmi al piu’ presto. Chiusi gli occhi e provai a svegliarmi...niente! Niente! Niente! Era tutto vero. Era tutto vero. Non era un sogno. Era la mia 14
vita. Ero in trappola. Avevo iniziato a respirare affannosamente, e decisi di calmarmi, di affrontare quella folle situazione con calma. Iniziai a ridere, e a scuotere la testa, a maledire la mia condizione, non lo neppure io cosa pensavo, e tutto, intorno a me, era immobile. Pensavo di essere in una stanza ma forse non lo era, l'unica cosa certa e’ che sentivo dei suoni che si ripetevano con un certo ritmo. In principio, credevo che fossero soltanto dei suoni, ma piano piano questi suoni presero vita, e mi sembrava addirittura di capirli. Ma non riuscivo a scorgere niente di fronte a me, se non una luce biancastra. Mi giravo a destra e a sinistra, cercavo di vedere se c'era qualcun'altro insieme a me, ma niente, niente, niente! Rimasi con gli occhi chiusi per un bel pezzo. Quando li riaprii il colore della luce era mutato in una sfumatura porpora e, incredulo, cominciai a guardare con attenzione la cosa che mi si parava di fronte, ad una distanza di qualche metro. Probabilmente c'era sempre stata, anche prima che chiudessi gli occhi ma, non avendo mai visto niente del genere in vita mia, non la distinguevo dalle ombre e dalle luci nelle quali ero immerso. Hai mai pensato a quante cose esistono e che noi non vediamo, e che per questo motivo diciamo che non esistono?...Scusa, son proprio discorsi da 3:OO di notte! Gesu’! Pensai di avere le traveggole: vidi una linea lunga lunga, forse tre metri, ondulata e sinuosa, che quando si muoveva...suonava, una sorta di lamento, ed ogni volta era sempre 15
lo stesso suono, un suono cupo. Doveva essere imprigionata come lo ero io, poiche’ non si muoveva dal suo posto. Girai lo sguardo verso destra e scorsi un'altra forma che prima non avevo visto: hai presente il filo del telefono, tutto arricciato? Una cosetta alta un metro, nera come la pece, che si agitava tutta, emettendo un suono dolce acutissimo. Forse non ero proprio pazzo, anzi, forse mi era stata concessa la possibilta’ di entrare nella mia testa e di fare la conoscenza della...della...o forse sono proprio pazzo". Si lascio’ cadere sullo schienale del divano e sbuffo’. Rimanemmo in silenzio per circa cinque minuti, cinque lunghissimi minuti. Poi riprese. "Iniziai a pensare seriamente ad un sogno, e mi dissi che tanto valeva divertirsi un po'. Riconobbi altre due figure nella stanza, una sfera e una 'esse' piccola piccola. Cercai di comunicare con esse ma, purtroppo, il suono della mia voce dava fastidio anche a loro. Senza rendermene conto, nella mia testa stava succedendo qualcosa: stavo cambiando il mio sistema di linguaggio, se cosi’ posso definirlo. Avvenne tutto naturalmente, e non poteva essere altrimenti! Nella mia mente, i pensieri non erano piu’ composti da parole in sequenza logica; ma da frasi musicali. D'improvviso le parole erano scomparse, come se non fossero mai esistite, e fu la musica. Era una cosa che avevo desiderato e che avevo cercato di fare per tutta la mia giovane vita: poter pensare in musica, poter parlare in musica. Ed ora che vi ero giunto tanto vicino la mia voce mi 16
tradiva e mi abbandonava. O forse era la voce dell'anima, forse non ero puro come avrei duvuto essere per un appuntamento importante come quello. O forse sono tutte fregnacce! Cosa ne so io? Cosa ne so?....mi rendevo conto che eravamo tutti li’ per lo stesso motivo, ma qual'era questo motivo? Che cosa avevo fatto di talmente grave? Non sapevo che fare, se ridere o se piangere. Il tempo passava lentamente o, perlomeno, a me sembrava cosi’ e, oltretutto, non riuscivo a scambiare due parole con i miei compagni di cella, se cosi’ vogliamo chiamarli. Il muro porporato che delimitava il mio campo visivo prese un colore crema e si squaglio’ come un gelato. L'apertura che si formo’ permise a tre strane figure di entrare e di prelevare altrettante forme prigioniere, e di lasciarmi a bocca aperta: le tre figure erano delle intersecazioni di forme originali; tipo un cerchio ed un quadrato, e si muovevano come i meccanismi interni di un orologio. Pareva che rotolassero, emettendo un suono incantevole. Non appena se ne uscirono il muro riprese il suo aspetto originario ed il silenzio la fece da padrone per un bel po'! In realta’ non era un vero e proprio silenzio, poiche’ vi era sempre, in sottofondo, un lieve tintinnio. Ero rimasto solo con il "filo del telefono", e cercai di parlargli. mi presentai, e gli chiesi se era a conoscenza di dove ci trovavamo. "Accidenti, che brutta voce che ti ritrovi! ma che diavolo di nota sei?" fece lui. Gli spiegai che non ero una nota, ma bensi’ un musicista. "Ah! Sei uno 17
sfruttatore, allora!" Mi disse che tutte quelle strane cose che avevo viste erano delle note, e le tre figure che avevano sciolto il muro erano degli accordi. Ero capitato in una sorta di prigione-purgatorio per le note che non rispettavano le regole. "Le note vengono trasferite dalla superficie dello spartito all'interno della musica, e ad ognuna di loro viene spiegato il proprio ruolo e significato all'interno della struttura generale." Mi disse che non tutte le note sanno quello che devono fare; la maggior parte nasce ed e’ gia’ a conoscenza della propria destinazione e del proprio incarico; ma esiste una minoranza che deve essere istruita. "Ma non riesco a capire cosa diavolo ci faccia uno come te quaggiu’!" si domandava. In principio ero convinto di essere all'interno di un sogno rivelatore, uno di quei sogni che ti fanno cambiare vita. Ma piu’ passava il tempo e piu’ mi rendevo conto che era tutto assurdamente vero. Mentre si parlava del piu’ e del meno (con mio grande stupore mi accorsi che la nota non conosceva ne’ forme binarie, ne’ ritmo, ne’ scale, ne’ intervalli) fui prelevato da un paio di accordi senza accorgermene e mi ritrovai a camminare lungo dei corridoi turchesi, larghi all'incirca sei o sette metri. Osservai con attenzione gli accordi: erano straordinari. Perfetti nel loro movimento meccanico, davano una sensazione di assoluta festosita’ grazie, soprattutto, alla musica che producevano ad ogni movimento: era una musica che non avevo mai sentito...o meglio, 18
che avevo sempre sentito e ma che non ero mai riuscito a riprodurre. Era la musica della mia anima; quella musica che, fin da bambino, aveva circolato nel mio sangue, quella musica che mi aveva permesso di suonare tutto senza difficolta’. Avevo soltanto due accordi accanto a me, e sembrava che ci fosse un'intera orchestra. Attraversammo un ampio salone porporato e ci fermammo. Mi dissero di aspettare li’, e si allontanarono. In sottofondo persisteva quel lieve tintinnio che avevo sentito in cella. Mi guardai un po' attorno ma non scorsi nulla che potesse incuriosire i miei sensi e feci una passeggiata girando in tondo. L'eco dei miei passi si confondeva al tintinnio persistente. Cercai di trovare una sorta di unisono con esso: mi misi a ballare. Pensai immediatamente a Fred Astaire e al tip tap. Pensai a Fats Waller. Pensai che era tutto meraviglioso, anche l'essere finito laggiu’. E ballai, seguendo il tintinnio, che non sembrava piu’ un tintinnio, ma era molto di piu’. E ballai ancora. Ne usciva una sorta di contrappunto, tra i miei passi ed il lieve tintinnio; non stavo usando le mani questa volta, ma i piedi, ed era sempre musica. D'un tratto il tintinnio s'interruppe, per riprendere qualche momento dopo. Io continuai a danzare, a girare su me stesso, a saltare, a gridare! ma dovetti arrestare il mio...sfogo: alle mie spalle una forma gigantesca, di un'ocra bruna, quasi eterea, indefinibile, oscurava il porpora del salane. Mi si avvicino’ e mi parlo’: "Eccoti finalmente arrivato. 19
Era da tempo che ti aspettavamo. Hai avuto fortuna finora, qualcuno ti ha protetto, evidentemente, ma adesso non puoi piu’ sfuggire." Non sapevo che dire, non riuscivo a parlare. La melodia che avevo appena ascoltato era incredibilmente seducente come tutta la musica che...girava li’ attorno. Non c'era astio nei miei confronti, ma soltanto rigore. Io ero stato scorretto e dovevo ritornare sui miei passi. "Io sono la tonalita’ della sonata di Beethoven che stavi suonando, sono il Do minore. Comando io qua dentro, mentre tu comandi fuori. Sono sicuro che non hai ancora compreso il motivo per il quale sei qui, vero? Come immaginavo. In questo momento ti trovi all'interno della sonata. Tutte le note e gli accordi che hai visto e che vedrai sono tutti integrati o da integrare alla sonata. Il tintinnio perpetuo, o quasi, che senti e’ la nostra piccola fabbrica: le note stanno costruendo gli accordi. Il motivo per cui sei qui e’ molto semplice: devi tornare a suonare con l'anima. Mi e’ stato riferito che, da qualche tempo a questa parte, stai suonando senza cuore, come una macchina. E questo va bene per chi non ha talento, ma da quel che ne so io, e ti conosco da molto tempo, a te e’ stata concessa la fortuna di parlare con le note! Ed ora tu!...ci volgi le spalle, e ci tratti come se non esistessimo. Devi pagare per la tua prepotenza! Sei soltanto uno sfruttatore! E questo non e’ possibile! E’ per questo che sei finito qua, per ritrovare quello che hai perduto! Voi musicisti credete di 20
suonare sempre la stessa nota! Ah! Stupidaggini! Non esistono due note uguali: non esistono due do o due rebemolle! Ne esistono migliaia, ed ognuna possiede un significato particolare. E tu, questo lo sapevi, te ne rendevi conto ogni volta che posavi le dita sulla tastiera. E donavi loro vita, donavi loro respiro, e le facevi volare. Devi tornare a farle volare, le tue note, o morirai con loro. E soltanto passando per di qua potrai tornare alla tua realta’, e alla tua liberta’. Non sei piu’ un poeta, sei prigioniero della tua tecnica, della tua abilita’, e del tuo successo. Sei tu, la nota infelice, che stona all'interno della sonata. E soltanto questa musica, la musica di Beethoven ti puo’ salvare: la musica di chi non puo’ piu’ sentire con l'orecchio, ma di chi puo’ ascoltare con l'anima." Cercai di spiegargli che era assurdo tutto quello che mi stava dicendo, ma non ottenni altro risultato se non quello di farla infuriare! "Ma e’ mai possibile che tu non ti renda conto della gravita’ della situazione? Credi davvero di essere in sogno, e che tutto cio’ non sia vero? Non esiste soltanto la tua realta’, mio caro! C'e’ tutto un mondo inesplorato che ti sta di fronte e che tu eviti ogni giorno della tua vita...ne rimarresti raggelato! Vedi, e’ raro che un musicista finisca qui, ed e’ un grande privilegio se cio’ accade. Bisogna saperne approfittare, bisogna essere capaci di dire a se stessi che si e’ sbagliato qualcosa, e che si puo’ rimediare all'errore. E tu sei qui per questo. Adesso ti spieghero’ brevemente che cosa 21
dovrai fare, quale sara’ la tua...penitenza. Verrai portato sulla Strada delle Note, e ciascuna nota che incontrerai dovra’ accendersi e innalzarsi alla sua giusta altezza, poiche’ ora si trovano tutte allo stesso punto, sono tutte sulla linea, sono tutte senza vita. Tocca a te rimettere tutto a posto! Soltanto cosi’ potrai tornare indietro, e ritrovare la tua giusta tonalita’. Ed ora basta, ho parlato anche troppo! Accordi! Presto, a me!" Cosi’ dicendo si allontano’ dal mio campo visivo e scomparve. fui accompagnato da un paio di accordi fino alla Strada delle Note: un lungo sentiero nerazzurro sospeso nel vuoto, un vuoto color crema. Distese sul sentiero potei scorgere un numera incredibile di forme...cioe’, di note. Quella era la mia salvezza, la mia Via Crucis. Gli accordi se ne andarono lasciandomi solo di fronte a quella vista che mi dava le vertigini. Il sentiero era largo circa quattro metri, e da entrambe le parti si apriva un precipizio senza fondo, un viaggio verso l’infinito, verso il nulla. Mi feci coraggio, respirai a fondo, e mi avvicinai alla prima nota. Non avevo alcuna idea di come avrei potuto risvegliare quelle creature e cosi’, provai a toccare la nota con una mano. Era fredda come il ghiaccio e la sensazione mi fece ritrarre il braccio di scatto. Piu’ guardavo la nota e piu’ mi convincevo che non sarei mai stato in grado di salvarmi, che sarei rimasto per sempre prigioniero li’ dentro. Mi sedetti e mi strinsi nelle ginocchia. Pensai alle parole della tonalita’, al 22
mio animo "corrotto", ma corrotto da cosa? Cosa avevo fatto di cosi’ terribile? Chiusi gli occhi ed iniziai a ripassare mentalmente tutte prime le note della sonata, provai a cantarle, mi alzai e provai a ballarle, provai a sentirle. Ripetei l'operazione, e poi all'inverso, fino a quando, , con gli occhi chiusi, strabiliandomi, riuscii a vederle! Ero riuscito a vedere le note! Aprii gli occhi, ed erano le stesse note che avevo di fronte a me. Ecco quello che mi mancava! Non ero mai riuscito a vederle, a distingurle le une dalle altre, se non attraverso una notazione grafica sul pentagramma! Ma, in realta’, erano differenti le une dalle altre, come io lo sono da te! E non lo sapevo, non me ne ero mai reso conto. Mi sentivo scoppiare di gioia, e corsi verso la prima nota, la toccai con la mano ed essa si alzo’ ed inizio’ a volare sopra la mia testa. Rimasi a mirarla, a bocca aperta, fino a quando non si arresto’ e non rimase immobile e bellissima come un'opera d'arte. Ed era soltanto una nota. Cominciai a correre attraverso le altre come un forsennato, con il sorriso di un folle stampato sul viso. Le toccavo ed esse volavano come dei fenicotteri impazziti sulla mia strada, ma era tutto preciso, tutto calcolato, era tutta la musica! Ero pazzo di gioia, ero pieno di energia, pensavo di essere finito in un cartone animato, ed invece era l'ultima possibilita’ di tornare a vivere. Pazzesco! Col passare del tempo mi accorsi che non tutta la disposizione era causale: come nelle pagine di uno spartito 23
esistevano delle proporzioni tra una zona e l'altra, ed erano dettate da "chiavi di violino" viventi, che definivano gli spazi come i muri di una casa. Non avevo bisogno di farle rivivere, poiche’ lo erano gia’. Era la piu’ grande esibizione della mia vita! A meta’ strada, o almeno pensavo che fosse cosi’, mi fermai per riposarmi, e fui avvicinato da un accordo, che aveva il compito di controllare ogni mio movimento. "Ti devo dire una cosa." mi spiego’, "anche se arriverai fino in fondo, non riuscirai mai a salvarti! Se sei finito qui e’ perche’ qui devi rimanerci. Non si torna indietro." Non riuscivo a capire. "Ti sembrera’ strano che sia proprio un accordo a dirti questo, ma ne ho viste troppe di ingiustizie per continuare a rimanere in silenzio. Hai soltanto una possibilita’ per andartene e tornare da dove sei venuto! Gia’, perche’, lungo il sentiero, troverai una nota che avra’ la forma...che avra’ proprio la tua forma, troverai te stesso sul sentiero. Quello che devi fare e’ gettare il tuo gemello dalla Strada e raggiungere, su di una chiave di violino l'apertura che si e’ formata proprio nel punto in cui sei giunto qui! Quando sei arrivato, sei passato attraverso un piccolo pertugio che non e’ stato ancora chiuso. E’ quella la tua via di fuga. Ricordati che non esistono gemelli nella musica. O tu o lui, questa e’ la legge, e se tu lo sveglierai, non ritroverai la tua tonalita’, ma bensi’...la tua morte. Questo non e’ il tuo mondo, ma il suo! 24
Tu non potrai mai sopravvivere. Devo andare ora, ti raccomando, scappa!" E torno’ sui suoi "passi", lasciandomi esterrefatto e muto. Cercai di ritrovare rapidamente il lume della ragione e continuai il mio cammino, concentrandomi sul mio compito. Dovevo andarmene, questo lo sapevo e, forse, quello che avevo appena sentito non era vero, erano delle fregnacce. Ma non era cosi’. D'un tratto, a qualche metro di distanza vidi, disteso sulla Strada, il mio corpo...il mio corpo. Era tutto vero, dunque. Ero proprio io, come addormentato, comodamente accovacciato. Mi misi le mani nei capelli, e imprecai. Ma non serviva a niente. Era tutto inutile. Pensai subito alla chiave di violino, cercai il piccolo foro dal quale ero entrato: era di fronte ai miei occhi, ad una distanza di qualche metro oltre il baratro in cui dovevo gettare il mio gemello. Niente gemelli nella musica!" Tullo si alzo’ di scatto e si diresse in cerca del suo cappotto, ne tiro’ fuori il pacchetto di sigarette ed un accendino. Se ne accese una e rimase a parlare in piedi, con le spalle al pianoforte. "Mi avvicinai per spostarlo, ma non appena lo toccai egli si ridesto’ come da un sonno secolare e mi fisso’ con uno sguardo diabolico. Non lo volevo far volare, lo volevo soltanto gettare dal sentiero, ma, evidentemente, nelle mie mani c'era la musica! E tutto cio’ 25
che toccavo prendeva vita. Mi afferro’ per la gola e cerco’ di spingermi verso il precipizio. Riuscii a divincolarmi dalla sua presa e a fuggire verso la chiave di violino che avevo precedentemente individuato. Saltai e risvegliai alcune note, giusto per interporle tra me ed il mio inseguitore che si accaniva nella sua azione. Fondamentale in questo senso fu il mio ex compagno di cella, il filo arricciato, che fece piombare al suolo il mio gemello, permettendomi cosi’ di saltare in groppa alla chiave di violino. Era come andare a cavallo. Tornai indietro e puntai contro me stesso, il quale riusci’ ad evitare lo scontro e ad afferrarmi per una caviglia. Era terribilmente forte, e non mollava la presa. La chiave di violino sbando’ lateralmente facendomi perdere l'equilibrio, ma riuscii a rimanere in sella aggrappandomi al suo collo. Il mio aggressore era sempre avvinghiato alla mia caviglia che iniziava a sanguinare. In equilibrio molto precario tirai fuori da una tasca dei pantaloni un accedino. Gli occhi del mio gemello girarono su se stessi poiche’ aveva capito cosa volevo fare, ma cio’ nonostante egli non mollo’ la presa. Stavo per raggiungere la mia salvezza. Accesi l'accendino e cercai di dar fuoco al mio diavolo. Il suo volto si infuoco’ come una torcia, pareva fosse un essere di carta, ma non mollava ancora la presa. Giungemmo come dei treni all'entrata del piccolo tunnel che mi avrebbe portato alla vita. Non appena vi entrammo la chiave di violino ai sgretolo’, il mio sosia esplose 26
come una bomba ed io fui catapultato fuori come uno sputo." Si avvicino’ al divano ed indico’: "Mi ritrovai proprio su questo divano, con il viso schiacciato sullo schienale ed il sedere in alto, la caviglia ancora sanguinante. Mi girai verso il pianoforte e vidi che lo spartito stava bruciacchiando. Corsi rapidamente verso di esso e, con il bicchiere che tenevo sul pianoforte, riuscii a...domare l'incendio. Mi guardai le mani e mi ritrovai a stringere l'accendino. Tremavo come una foglia. Ero come svuotato." A quel punto si tiro’ il calzino della gamba sinistra e mi fece notare che c'erano delle cicatrici sulla caviglia. Mi veniva da vomitare. Non lo so perche’, ma mi veniva da vomitare. Tullo mi si avvicino’ e mi prese la mano. Me la strinse vigorosamente e mi abbraccio’. "Ti ringrazio" mi disse affettuosamente e si diresse verso la camera da letto. Rimasi in piedi come un fico secco a guardarlo mentre la porta della sua stanza si chiudeva dietro di lui. Presi il mio cappotto ed uscii dal suo appartamento. Per qualche minuto feci fatica a ricordare dove si trovasse il mio, di appartamento.
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