ROBERTO GIACOBBO
DALLA
ROBERTO GIACOBBO
DALLA
Piani di investimento, piattaforme digitali e consulenza Tra modalità tradizionali e nuovi strumenti L’obiettivo? Semplificare la gestione dei propri asset
Come va l’economia italiana? Diciamo che se la cava. Secondo l’Istat le stime preliminari relative alla crescita del Pil italiano nel primo trimestre dell’anno segnalano un aumento dello 0,3%, la terza variazione positiva consecutiva. Tra dicembre 2023 e febbraio 2024 le esportazioni di beni in valore sono rimaste stabili, mentre le importazioni sono calate complessivamente del 4,8%. Il combinato dei due andamenti ha determinato un ulteriore miglioramento del saldo commerciale dell’Italia, tornato positivo da fine 2022. A marzo, si conferma la crescita dell’occupazione che coinvolge sia gli uomini sia le donne e gli individui di tutte le età, fatta eccezione per i 35-49enni. Per posizione professionale l’occupazione cresce tra i dipendenti, permanenti e a termine, e tra gli autonomi. E qui arrivano i primi problemi. Gli occupati crescono soprattutto tra gli ultrasessantenni perché non riescono ad andare in pensione e per campare debbono pur lavorare. La controprova che il mercato del lavoro non sia così
dinamico, come sembra dal dato riassuntivo, è che l’occupazione cresce tranne che nella fascia di età tra i 35 e i 49 anni, l’età “matura” per ogni tipo di professione o di lavoro. L’indice dei prezzi al consumo, nei primi quattro mesi del 2024, ha oscillato intorno all’1,0% (+0,9% in aprile, secondo i dati
provvisori). È continuata la flessione della componente dei beni energetici (-12,0% in aprile) e dei beni alimentari (+2,6% in aprile, dal +5,6% di gennaio). Di solito, infatti, i costi energetici, legati ai trasporti, impattano con gli aumenti del carrello della spesa.
Tutto sommato, secondo
l’Istat, l’economia italiana, come dicevamo all’inizio, sta in piedi. Però…. C’è un però. I risultati delle rilevazioni sul sentiment di consumatori e imprese mostrano in aprile un peggioramento. Dopo il recupero di marzo, la fiducia delle imprese ha segnato un calo diffuso a tutti i comparti e quella dei consumatori, confermando la flessione di marzo, ha toccato il valore più basso da novembre 2023. Un dato confermato dall’affluenza alle urne in occasione delle elezioni europee. Cosa c’entra? C’entra, purtroppo. Perché gran parte del Paese è deluso, non crede più in niente e si rifugia nel privato, arrangiandosi come può. Uno dei problemi principali è che in Italia i salari crescono meno che dappertutto e anche chi ha un lavoro, spesso, vive sulla soglia della povertà. E si tratta di milioni di famiglie. Chi riesce a tenere botta a questa situazione in bianco e nero sono le piccole e medie imprese, i nostri Piccoli Giganti. Sono la spina dorsale del Paese, oltre 5 milioni di aziende che contribuiscono alla formazione di oltre il 90% del Pil. In sostanza, se
non ci fossero loro chissà dove saremmo. Danno occupazione, occasioni, si impegnano sul territorio, producono ricchezza. E spesso le dimensioni limitate consentono a molti imprenditori di avere un rapporto particolare, diretto, con i propri dipendenti, un rapporto che diventa quasi familiare in diverse occasioni. La conferma viene dal Rapporto Welfare Index Pmi 2024, promosso da Generali Italia in collaborazione con la Presidenza del Consiglio dei Ministri, Confindustria e Confcommercio. Il report, giunto alla sua ottava edizione, ha fornito una panoramica sullo stato del welfare aziendale tra le piccole e medie imprese italiane, evidenziando una significativa crescita e maturità in questo settore. Dal 2016 al 2024, il numero di Pmi che hanno raggiunto un livello alto o molto alto di welfare aziendale è triplicato, passando dal 10,3% al 33,3%. Un incremento particolarmente notevole negli ultimi due anni, dove si è registrata un’accelerazione dell’8%. Appunto, l’Italia migliore è dei Piccoli Giganti.
INSIDER
12 Dalla televisione alla tavola
Camilla Rocca
FOTO
20 L’arte del saper fare
COVERSTORY
22 La rivoluzione
dell’accesso al capitale
Fulvio di Giuseppe
CAPITALI PER CRESCERE
33 Le sfide della quotazione
Raffaella Galamini
36 Il futuro in cassaforte
Maurizio Abbati
RICERCA
40 Finanza per tutti
Maurizio Abbati
SERVIZI
47 Fare il bene e farlo bene
Fulvio di Giuseppe
50 La società del futuro
Maurizio Abbati
52 Allarme archivi
Matteo Marchetti
DISTRETTI
56 Il rombo di Modena
Piera Anna Franini
67 L’oro nero in tavola
Maurizio Abbati
70 Tradizione e futuro in tazzina
Andrea Salvadori
72 Una preziosa eredità
Matteo Calzaretta
DAL MONDO
74 Il galateo degli affari
UNIVERSITÀ
76 Una spinta
per il domani
Fulvio di Giuseppe
IMPRESA IN NUMERI
86 Resilienza e innovazione: le sfide italiane
Andrea Salvadori
STORIE D’IMPRESA
90 Campioni a caccia di talenti
Raffaella Galamini
94 Le persone al centro
Raffaella Galamini
96 La forza dell’aggregazione
Rachele Di Stefano
98 Il lusso di camminare
Matteo Marchetti
FOLLOW UP
102 Alla conquista del Sud
Agostino Desideri
STARTUP
108 Cambiare marcia
Maurizio Abbati
112 L’atelier del riciclo
Rachele Di Stefano
CURIOSITÀ
114 Anni d’oro
118 Lo sapevi che
RUBRICHE
122 Meritocrazia: la chiave del successo
UFFICIO
125 Ripensare gli spazi
Valentina Lonati
Letture d’impresa
L’Italia, con un +22%, è al primo posto tra i Paesi per crescita dei pagamenti virtuali tramite portafogli digitali, mentre Francia, Germania e Spagna registrano un aumento più lento ma costante del 11-12% medio. Questo quanto emerso da un report di Qonto. L’Italia ha mostrato un aumento significativo nell’adozione dell’intelligenza artificiale, passando dallo 0,2% al 4% di quest’anno. In crescita anche le transazioni online delle Pmi, che comunque pagano più spesso offline. È aumentato l’uso delle carte virtuali, soprattutto per le transazioni più costose. Infatti, sebbene le transazioni con carte fisiche rappresentino ancora il 91% del totale in Europa, è in aumento l’uso di questo tipo di carte, prevalentemente utilizzate per transazioni online o acquisti via smartphone. .
LUGLIO 2024 - NUMERO 16
Supplemento al volume 81, luglio 2024, di FORBES ITALIA registrazione presso il Tribunale di Milano al n°260 del 7 settembre 2017 Copia non vendibile separatamente
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Progetto grafico e impaginazione Filippo Scaglia scaglia@bfcmedia.com
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Conduttore di programmi come Stargate e Voyager, Roberto Giacobbo ha deciso di vestire anche i panni dell’imprenditore con tre attività nel food&wine.
L’obiettivo è scalare questi format gastronomici e aprire all’estero
di Camilla Rocca
Roberto Giacobbo lavora da 25 anni in prima serata, tra La7, Rai a Mediaset. Giornalista, scrittore, conduttore, autore televisivo e anche documentarista, gli enigmi sono il suo pane: così sono nati i programmi Stargate, Voyager e Freedom - oltre il confine. Se lo conosciamo come specialista in divulgazione scientifica, archeologia misteriosa, storia e leggende, tuttavia pochi sanno che nella vita di tutti i giorni è molto più concreto: amante della tavola e del buon vino, è senz’altro un ottimo palato. Fin da bambino amava scoprire i singoli ingredienti che componevano i piatti. Oggi è presidente di tanti concorsi internazionali, come Girotonno sull’isola di San Pietro in Sardegna, il Cous Cous Fest a San Vito Lo Capo o il Golden Steak - un festival itinerante, la prossima edizione sarà a Roma. I suoi due metri di altezza e
NON POTEVA MANCARE
LA VIGNA: IN PROVINCIA DI FOGGIA IL CONDUTTORE
HA ACQUISTATO
16 ETTARI DOVE
HA PRODOTTO IL SUO
PRIMO VINO BIOLOGICO. “PER ME È UN RITORNO
ALLE ORIGINI”
un passato da cestista gli permettono di assaporare tanti piatti rimanendo televisivo.
Ed è proprio da questa passione che vorrebbe creare un’attività parallela a quella dei programmi tv, più solida e concreta. “Un noto caporedattore di un quotidiano mi disse che, il giorno dopo, il suo giornale veniva usato per incartare le uova al mercato. E questo mi diede modo di riflettere: il mondo della tv potrebbe essere qualcosa di effimero, io sono una persona molto concreta”, racconta. E così insieme alla moglie, Irene Bellini, già produttrice del programma Freedom, e insieme alle tre figlie, Angelica, Giovanna e Margherita, due laureate in Economia e Management e una in Relazioni Internazionali all’Università Luiss di Roma, si sono lanciati in tre attività food&wine. La prima, già in funzione da qualche settimana, è una storica attività a
In alto Roberto Giacobbo con il Torreclava, un Primitivo biologico che ha prodotto insieme alla cantina Le Terre di Maria. A destra l’Osteria della Tonnara a Carloforte, in Sardegna.
Carloforte, sull’Isola di San Pietro in Sardegna, che riapre come Osteria della Tonnara, costituendo un filo diretto tra la tonnara di Carloforte della famiglia Greco, l’unica ancora in funzione in Italia, e l’isola. Un filo diretto (e a chilometro zero) tra il mare e la tavola, dove gustare il pregiato (e raro) tonno di corsa carlofortino. In cucina lo chef Eugenio Simonetti, bergamasco di origine, ma il cui cuore appartiene da anni all’isola. La società costituita si chiama Eatonno. L’idea è quella di dare vita a un ristorante che
L’OSTERIA
E ALLE
TRE FIGLIE. IN CUCINA LO CHEF
EUGENIO SIMONETTI
offra una rivendita dei prodotti della tonnara di Carloforte. Il progetto è quello di aprire altri ristoranti, prima in Sardegna e poi in tutta Italia. Ma quello che nel 2022 è stato definito il terzo storyteller italiano dall’Istituto Piepoli non si ferma qui. Con 200 giorni all’anno per 25 anni, in tutti i ristoranti del mondo, il palato di Giacobbo è diventato “assoluto”. Ed ecco quindi aprire ‘Il Genovese in’, tavola calda, panificio e ristorante di prelibatezze liguri, insieme ad Andrea Saccone, storico panificio di Genova.
“Sembra impossibile trovare una buona focaccia di Recco a Roma”, racconta Giacobbo. “Tutto è nato da mia moglie Irene: ha notato la vendita della storica pizzeria proprio davanti al suo liceo nel quartiere Parioli e, come per ogni cosa, ci siamo buttati insieme in questa nuova avventura”. Quindi ‘Il Genovese in’ è sempre seguito dal luogo nel quale si trova: Parioli e Gregorio VII sono state le prime due aperture italiane. Confermata anche quella negli Stati Uniti all’interno dell’Msr, l’autodromo di Houston. Il menu prevede un 50% di tipica e indiscutibile cucina ligure e qualche piatto del luogo in cui ci si trova, oltre a una parte di gastronomia e prodotti liguri da asporto.
Infine non poteva mancare un abbinamento: insieme alla famiglia Faretra a Orta Nova, in provincia di Foggia, Giacobbo ha dato vita al suo primo vino. “Ho pensato di
NEGLI STATI UNITI
DEL ‘GENOVESE IN’, TAVOLA
CALDA, PANIFICIO
E RISTORANTE
DI PRELIBATEZZE LIGURI
FONDATO CON
ANDREA SACCONE, MASTRO FORNAIO
DI GENOVA
ideare, insieme alla cantina Le Terre di Maria, un primitivo biologico con fermentazione a bassa temperatura e un periodo di invecchiamento di quattro mesi in delle botti di rovere: ho prodotto, insieme ai Faretra, Torreclava, in sole 4.500 bottiglie. Un cru del 2022 uscito quest’anno ma già quasi esaurito. E siamo già pronti anche per affrontare i mercati internazionali. Un importatore canadese mi aveva offerto di comprare l’intero stock”, racconta sorridendo Giacobbo. “Ci ha incantato il luogo: sono circa 16 ettari ma il terreno ha una conformazione insolita per il territorio, argilloso con fondo sabbioso. E all’interno della tenuta vi sono tre sorgenti da cui abbiamo ricavato un impianto che permette un’irrigazione goccia a goccia. A questa aggiungiamo una raccolta chicco per chicco con una macchina di nuova generazione e facciamo fermentare quindi il mosto lentamente, per oltre un mese, a temperatura controllata. Per me è un ritorno alle origini, con mia nonna di origini pugliesi e l’altra parte della famiglia di veneti e viticoltori”.
Come lo degusterebbe?
“Io lo amo come vino da meditazione, nei rari momenti di solitudine, oppure lo consiglio in abbinamento a grandi piatti di carne rossa, selvaggina o formaggi stagionati”. Ma come si fa a gestire tutte queste attività, viaggiando, come volto di un noto programma televisivo, tra famiglia e bassotti?
“Il segreto è mettere insieme una buona squadra di specialisti del settore, ma la verità è che senza la mia famiglia non sarei riuscito a costruire tutto questo”. E per il futuro? “I ristoranti possono essere standardizzati e diventare dei format da aprire ovunque, soprattutto all’estero. Non svelo nulla ma prevediamo già altre aperture entro poco tempo” .
Disponibili in libreria
Intesa Sanpaolo ha stanziato 3,5 miliardi per le imprese della Sicilia. L’iniziativa è parte del programma Il tuo futuro è la nostra impresa, attraverso cui Intesa mette a disposizione delle Pmi 120 miliardi fino al 2026. Il piano è stato presentato agli imprenditori siciliani a Palermo. L’obiettivo è favorire nuovi investimenti per la competitività, accelerando la dinamica di buone performance del sistema produttivo. “Il nostro ruolo è attivare risorse finanziarie e strumenti dedicati ad accompagnare le scelte di investimento e far cogliere le opportunità del Pnrr e della Transizione 5.0 alle imprese delle nostre aree”, ha detto Giuseppe Nargi, direttore regionale Campania, Calabria e Sicilia di Intesa Sanpaolo. “Nei primi tre mesi di quest’anno abbiamo erogato alle imprese e alle famiglie della sola Sicilia oltre 210 milioni di euro. Con questo nuovo programma le aziende siciliane che investono possono oggi ritagliarsi un importante vantaggio competitivo nel prossimo futuro”.
La famiglia Artico non si ferma mai. L’insegna, premiata con i tre coni del Gambero Rosso, porta il suo gelato realizzato dal maestro Maurizio Poloni in ben quattro locali a Milano. Dallo storico in zona Isola e il secondo in Duomo, ora aggiunge due novità: l’ampliamento della gelateria di Via Pacini in Città Studi e la nuovissima con dehor in Via Bergognone Da Fossano, in zona Solari. Il gelato è sempre lo stesso, mantecato quotidianamente nei laboratori a vista di tutti i punti vendita e tanto apprezzato in città. Tra le novità c’è la copperia: tramite un mantecatore espresso viene prodotto un gelato a temperature superiori al normale (-7°), più cremoso e morbido servito in coppa e pronto da gustare anche a casa.
È stato presentato a Milano Road to Riyadh, il progetto di consulenza multidisciplinare per le Pmi italiane in Arabia Saudita, dedicato a Riyadh Expo 2030. Nel 2023 le esportazioni made in Italy hanno messo a segno una crescita del 19%, generando un giro d’affari da 4,9 miliardi di euro e collocando il nostro Paese al secondo posto fra i principali fornitori europei, confermando la crescente rilevanza strategica di questo mercato. L’iniziativa prevede analisi dei diversi settori produttivi del Regno Saudita e delle opportunità di sviluppo sul mercato, attività di informazione e di
assistenza sui tender in corso e sui rapporti con le istituzioni. È prevista anche una consulenza multidisciplinare, che abbinerà alle indicazioni tecniche anche informazioni sulle dinamiche
locali e sulle consuetudini nelle relazioni strategiche, sviluppando la conoscenza della cultura, degli stili di vita e delle relazioni tra il mondo arabo e quello occidentale.
L’Italia è il primo Paese Ue a percepire la decarbonizzazione come opportunità: il 73% delle Pmi ritiene che sia importante o critica. La Francia è al secondo posto con il 67% e un calo del 6% rispetto al 2023. Più fiducia in Germania (68%) e Benelux (62%), cresciuta rispettivamente di 5 e 2 punti percentuali. Questo quanto emerge dalla seconda edizione del Climate Transition Barometer, di Argos Wityu e Boston Consulting Group (Bcg). L’85% dei dirigenti considera la transizione importante o addirittura cruciale. Il 17% delle aziende dichiara di aver investito oltre il 10% del proprio Capex annuale (flussi di cassa in uscita per la realizzazione di investimenti in attività immobilizzate di natura operativa) in strategie per la decarbonizzazione, rispetto all’11% del 2023,
includendo la misurazione delle proprie emissioni. È scesa dal 27% al 22% la quota di aziende che non ha investito né avviato nessuna iniziativa. Le Pmi vedono in particolare i vantaggi economici, come l’efficienza energetica e la riduzione dei costi associati (58%), la possibilità di conquistare quote di mercato (54%) e di attrarre nuovi talenti (40%). In Europa il numero di aziende che investono in decarbonizzazione è aumentato di 5 punti nel 2024, passando dal 38% al 43%. I dirigenti hanno dichiarato di essere stati incentivati dalla regolamentazione (72%), dall’aumento dei prezzi dell’energia (62%) e dalla crescente pressione di alcuni clienti (56%, +5 punti rispetto al 2023). Gli investimenti sono maggiori in agricoltura e alimentazione, distribuzione, trasporti e logistica.
lo spo r t
È stato presentato nella Sala del Cenacolo, nel Complesso di Vicolo Valdina di Montecitorio, Ness1escluso, l’iniziativa dell’associazione no-profit fondata dall’imprenditore modenese, Fabio Galvani. Il progetto offre quasi 300 percorsi in 26 discipline sportive diverse in modo gratuito a bambini, ragazzi e adulti con disabilità cognitivo-relazionali. “È un modo per applicare concretamente i diritti allo sport e alla salute sanciti dalla Costituzione e per sostenere una modalità di welfare che vede protagonisti anche i privati, che si assumono così la responsabilità sociale d’impresa”, dice il deputato del Partito democratico Stefano Vaccari, segretario di Presidenza della Camera. “In una fase storica dove 5,7 milioni di cittadini vivono in uno stato di povertà, questo progetto è un raggio di sole che sosteniamo volentieri perché possa essere replicato anche in altre realtà del Paese”.
Iris Ceramica Group affonda le sue radici nella tradizione artigiana del distretto ceramico di Sassuolo: qui l’arte della ceramica si è tramandata generazione dopo generazione, fino a raggiungere oggi uno standard alto di qualità e
tecnologia. Il distretto della ceramica è stato istituito nel 1741, quando fu formata la prima società dedicata alla produzione di piastrelle in maiolica. In quegli anni, il duca Francesco III d’Este incoraggiava la nascita di aziende di ceramiche a
Sassuolo, perché la domanda era in crescita.
Iris Ceramica dal 1961 realizza superfici naturali in ceramica di alta gamma, destinate a soluzioni innovative, progetti di architettura e interior design. Oggi ha l’obiettivo di migliorare
l’interazione tra l’uomo e gli ambienti in cui vive, attraverso la ricerca costante.
Storia e tradizione si fondono per dare vita a superfici ceramiche di alta definizione estetica, capaci di un impatto positivo sulla qualità di vita delle persone:
come ad esempio le superfici eco-attive antibatteriche e antiinquinamento, oppure le lastre ceramiche touch, connesse alla domotica e la ceramica 4D che viene prodotta nel primo stabilimento produttivo ceramico alimentato a idrogeno verde.
La foto ritrae un dettaglio di lavorazione artigianale all’interno dell’Icg Atelier: laboratorio in cui il saper fare ceramico si unisce all’arte e alla sperimentazione, in modo tale da dare vita a progetti di design..
L’investimento in economia reale, in Italia, spesso incontra processi burocratici e analogici. ClubDeal Digital è la prima piattaforma digitale che agevola, semplifica ed efficienta l’ingresso nei private market
di Fulvio di Giuseppe
Nel contesto economico attuale, startup e piccole e medie imprese rappresentano il motore principale dell’innovazione e della crescita. Tuttavia, in un mercato sempre più globale e guidato dalla tecnologia, per molte di queste realtà l’accesso al capitale rimane una delle sfide più significative da affrontare. È in questo scenario che risulta fondamentale il ruolo di operatori come ClubDeal Digital, la prima piattaforma wealth tech dedicata ai private asset che ha l’obiettivo di dotare imprese e investitori degli strumenti digitali necessari per favorire l’investimento in economia reale, eliminando gli ostacoli che hanno finora rallentato questo processo, già consolidato invece in altri paesi. “ClubDeal Digital ha sviluppato un ecosistema interamente digitale e, soprattutto, 100% compliant con la normativa italiana per la gestione di private asset”, spiega il fondatore Antonio Chiarello. “Una caratteristica che distingue l’azienda da player già attivi sui mercati anglosassoni come, per esempio, Carta ed
AngelList”. In sostanza, una piattaforma che rende semplice la gestione degli investimenti in società ed asset non quotati su mercati regolamentati, rendendo digitali i processi spesso burocratici e analogici, tipici del mercato italiano.
Carta è una piattaforma tecnologica con sede negli Stati Uniti, specializzata nella gestione della compagine sociale per startup e aziende. Offre strumenti avanzati per gestire stock options, valorizzazioni aziendali e finanziamenti: è altamente efficace, “ma è di difficile adozione da parte del mercato italiano a causa delle peculiarità normative del nostro Paese”. AngelList, invece, è un’altra piattaforma statunitense famosa per il suo ruolo nel connettere le startup con gli investitori. Offre servizi differenziati e ha raggiunto nel 2023 oltre 16 miliardi di dollari in asset gestiti: “Tuttavia, anche AngelList non garantisce una gestione completamente conforme alla normativa italiana per i private asset”.
CI SONO ALTRI
OPERATORI SIMILI
NEGLI STATI UNITI, COME CARTA
E ANGELLIST.
CLUBDEAL DIGITAL
È IL PRIMO
AD ADATTARSI
ALLE PECULIARITÀ
NORMATIVE
DEL MERCATO ITALIANO
In questo quadro si pone l’innovazione di ClubDeal Digital, al centro della rivoluzione dei private markets. Come detto, infatti, manca oggi sul mercato un player in grado di offrire un prodotto ready-to-use e davvero digitale per semplificare tutte le fasi di vita di un private asset, dalla sua creazione all’eventuale exit. ClubDeal Digital ha sviluppato una serie di prodotti specifici, totalmente digitali e scalabili che semplificano e risolvono le attuali inefficienze del mercato: un vero e proprio hub che racchiude servizi di investimento e co-investimento in società
LE INTRODUZIONI
DI REGOLAMENTI
COME LA LEGGE CAPITALI
E IL DECRETO FINTECH
PERMETTONO
DI APPLICARE SOLUZIONI
INNOVATIVE, IN GRADO
DI ABBASSARE I COSTI
PER GLI STAKEHOLDER
E DI RENDERE
LE OPERAZIONI
PIÙ VELOCI:
CLUBDEAL DIGITAL
VUOLE COGLIERE
QUESTA OPPORTUNITÀ
non quotate, oltre a servizi di gestione degli asset tramite la prima fiduciaria 100% online che offre l’opportunità di aprire e, soprattutto, gestire un mandato fiduciario completamente da remoto. L’insieme di tutti questi servizi permette a imprenditori e investitori di gestire in modo semplice ed efficiente diverse operazioni, quali le raccolte di capitale, la creazione e gestione di syndicates, la gestione di stock option plan e l’ottimizzazione della cap table. Tutto con un processo snello, sicuro e conforme alle normative vigenti. Si ha così la certezza di usufruire di una piattaforma vigilata e sicura.
LA SOCIETÀ
HA SVILUPPATO ALCUNE
PIATTAFORME VERTICALI
PER ANDARE
INCONTRO AL CLIENTE:
TRA QUESTE
CLUBDEALONLINE,
PRIVATE EQUITY SOLUTIONS, SYNDACATE INVESTING
E CAP TABEL OPTIMIZATION.
L’OBIETTIVO, SECONDO
CHIARELLO, È DIVENTARE
IL RIFERIMENTO
PER L’ECOSISTEMA
ITALIANO
DEI PRIVATE ASSET
Inoltre ClubDeal Digital è la prima e unica piattaforma che possiede la duplice autorizzazione Consob e Mise, per gestire simultaneamente, con un unico accesso, tutte le operazioni. L’insieme di processi, tecnologia e autorizzazioni da parte del regolatore fanno di ClubDeal Digital un player di sistema capace di offrire a diversi interlocutori quali investitori, startup e Pmi, fondi di investimento e network di business angels l’infrastruttura necessaria per la gestione delle proprie operations. Rivolgendosi a tutti questi interlocutori con un’offerta integrata di servizi tecnologicamente avanzati, la mission di ClubDeal Digital è quella di supportare il tessuto imprenditoriale italiano rendendo semplice l’investimento in economia reale. Analizzando le necessità dei clienti, la società ha identificato e lanciato diversi verticali che hanno ricevuto un’accoglienza molto positiva da parte del mercato.
Il primo è Clubdealonline, che permette a gestori di wealth management di far partecipare i propri clienti ad operazioni di investimento in società ad alto contenuto tecnologico insieme a co-investitori qualificati. Un servizio già utilizzato per investire in società alla frontiera dell’innovazione come la scaleup
D-Orbit nel settore dello spazio, piuttosto che BCode nel campo della blockchain. Con Private equity solutions invece, la piattaforma offre diverse soluzioni per i sottoscrittori e i gestori di fondi di private equity e venture capital come, per esempio, la gestione delle Payment Call per gli investitori del fondo. Syndicate investing, invece, permette a business angels club di strutturare un round di investimento, affiancando un lead investor istituzionale e gestendo in maniera efficiente la governance della società. Questa modalità è oggi usata dai principali network di business angels italiani per sottoscrivere operazioni in Europa, Israele e Stati Uniti. Cap table optimization, infine, ottimizza le compagini sociali delle società sostituendo i singoli soci con ClubDealFiduciaria la quale si occuperà della gestione delle partecipazioni.
Appare evidente, pertanto, che le possibilità di crescita, in questo contesto, sono molteplici. “Il mercato sta vivendo un momento cruciale, con nuove opportunità derivanti dall’introduzione di regolamenti quali la Legge Capitali e il Decreto Fintech, oltre che da una crescente necessità di ottimizzazione e digitalizzazione dei processi, tutti sviluppi che si sono già potuti osservare in
CLUBDEAL DIGITAL È
PIATTAFORMA
CHE POSSIEDE LA DUPLICE AUTORIZZAZIONE
CONSOB E MISE, PER GESTIRE
SIMULTANEAMENTE
E CON UN UNICO
ACCESSO TUTTE
LE OPERAZIONI
altri paesi”, spiega Antonio Chiarello. “Queste evoluzioni normative permetteranno di applicare innovazioni in grado di abbassare i costi per gli stakeholder, rendendo le operazioni più economiche e veloci”. Con queste premesse, ClubDeal Digital si posiziona perfettamente per cogliere queste opportunità e contribuire a far sì che il mercato italiano possa esprimere pienamente il suo potenziale, recuperando il gap con gli altri paesi.
Se va colmato il divario, è necessario continuare a innovare e promuovere ulteriori strategie vincenti. Da qui i prossimi passi per la società, che mostra costantemente il suo dna digitale ed è pronta a raccogliere la sfida della trasformazione digitale, mostrando anche come la tecnologia possa aiutare a veicolare il risparmio privato verso l’economia reale. “Per il futuro l’obiettivo di ClubDeal Digital è chiaro: trasformare il panorama degli investimenti privati e diventare il punto di riferimento per l’ecosistema italiano dei private assets. Una soluzione ‘one-stop-shop’ che offra, ad imprenditori che vogliono crescere e ad investitori sofisticati, soluzioni tecnologiche avanzate per semplificare i processi e raggiungere i propri obiettivi”. Questa, dunque, la visione del fondatore Antonio Chiarello e di tutto il team di ClubDeal Digital formato da professionisti con solide expertise nel campo della finanza, del venture capital e della tecnologia: permettere agli investitori, istituzionali e privati, di semplificare tutte le fasi dell’investimento e la gestione dei propri asset. .
Entra nel mondo del lavoro dalla porta principale
Fornire competenze e diversificare l’accesso al capitale: lanciato da Borsa Italiana nel 2012 e parte del Gruppo Euronext, Elite aiuta le Pmi ad accelerare business e posizionamento
di Raffaella Galamini
Da una parte l’aspirazione delle piccole e medie aziende, soprattutto se familiari, di crescere. Dall’altra la necessità di poter contare su una guida pronta a indicare loro quale strada imboccare e quali strumenti utilizzare al momento giusto. Con queste finalità è nato nel 2012 Elite: fornire competenze e conoscenze e diversificare l’accesso alle fonti di capitale. Si tratta di un ecosistema europeo lanciato da Borsa Italiana e oggi parte del Gruppo Euronext che punta ad accelerare la crescita delle Pmi.
La mission di Elite è quindi “avvicinare le aziende al mercato dei capitali e al tempo stesso offrire una nuova cultura d’impresa offrendo agli imprenditori tutti gli strumenti di finanza e di governance a disposizione”, spiega Marta Testi, ceo di Elite. “Il percorso Elite serve a capire come attrarre i talenti, come fare un controllo di gestione corretto, qual è il modello di governance più idonea. Tutte le aziende hanno la loro cassetta degli attrezzi con alcuni strumenti già al loro interno, quello che andiamo a fare
come Elite è arricchirla: più strumenti si posseggono, più è semplice stare sul mercato e continuare a crescere in un contesto in cui anche elementi esogeni possono essere importanti”. Il percorso Elite segue uno schema ormai consolidato ed efficace. “Il primo capitale che cerchiamo di sbloccare è quello della competenza. Il secondo è quello delle relazioni, puntando sul network e allargando lo sguardo anche oltre i confini nazionali. Poi è la volta dei modelli organizzativi, delle questioni della continuità aziendale e della finanza. La nostra missione ultima è facilitare l’accesso ai capitali”.
Molte le strade che le aziende devono percorrere e la Borsa non sempre è quella più scontata. “Elite si pone l’obiettivo di avvicinare le imprese a fonti di capitale diversificate, attraverso un set di soluzioni di funding che semplificano il ricorso a risorse finanziarie e avvicinano le aziende ai mercati dei capitali sia pubblici sia privati. Certo, tra queste
soluzioni, c’è anche la quotazione in Borsa. Le aziende che entrano in Elite si possono dividere in linea di massima in due categorie: ci sono quelle che vogliono accedere al capitale nel breve termine e quelle che invece lo vogliono fare con un orizzonte temporale a medio e lungo termine. Sono quelle aziende che intraprendono un percorso di avvicinamento all’obiettivo volto a colmare nel frattempo eventuali gap. Le imprese che mirano a individuare la strategia migliore per i propri piani di crescita, per poi comprendere come finanziarla”. Tra gli strumenti a cui ricorrere il basket bond ha svolto spesso un ruolo fondamentale: “È il primo passo di molte aziende verso l’utilizzo della finanza complementare a quella bancaria. Il nostro ruolo è stato quello di immaginare il prodotto e raccontare agli imprenditori quali sono i benefici, che non sono solo economico-finanziari. Devono infatti essere tenuti in considerazione anche il posizionamento dell’azienda, la crescita culturale e l’avvio di relazioni con degli investitori nuovi”.
“LA MISSIONE ULTIMA È APRIRE ALLE AZIENDE
LE PORTE DELLA FINANZA”, DICE MARTA TESTI
Dal 2012 ad oggi sono state più di 2.250 le società che sono entrate all’interno di Elite. Ad essere rappresentati ben 40 settori, ad eccezione di real estate e finanza pura. Il focus è logicamente su manifatturiero, beni e servizi di consumo. Il 60% delle aziende ha una dimensione, in termini di fatturato, che si aggira tra i 10 e i 100 milioni. Di queste imprese circa l’85% sono aziende familiari. Gli aspetti legati all’organizzazione, ai processi di delega e alla governance hanno quindi una maggiore rilevanza in questi casi. Spesso ci si trova di fronte a una leadership di solito matura che si trova a dover passare il testimone alle nuove generazioni.
“Ritengo che la struttura familiare delle aziende possa essere un grande valore, ma bisogna evitare che diventi un limite. Il modello da seguire non dev’essere un’azienda con un uomo solo al comando, ma puntare a un cda dove la diversità di età e di competenze possono diventare anch’esse uno strumento per crescere”. Il numero di aziende che si rivolgono a Elite di anno in anno è in costante crescita. “Nei primi mesi del 2024 sono state oltre 80 le società che sono entrate all’interno di Elite. Aziende che da una parte si interrogano su come crescere in modo più incisivo e dall’altra si interrogano su come affrontare e gestire il cambiamento”.
Per supportare le piccole e medie imprese, Elite è sbarcata in Puglia con il primo hub regionale. Un’ulteriore occasione per la società della galassia Euronext di accompagnare le Pmi nel mercato dei capitali. “L’obiettivo è quello di avvicinarsi sempre di più ai territori nei quali le imprese hanno le proprie radici, tenendo conto che siamo riusciti ad attrarre nel nostro ecosistema aziende da ogni parte d’Italia. Questo è un modo per favorire i processi di cambiamento e al tempo stesso rendere più accessibile la comprensione di tutti gli strumenti della finanza”, conclude Testi..
di Maurizio Abbati
Banor è una realtà italiana indipendente specializzata in gestione e consulenza su grandi patrimoni per investitori istituzionali, privati e famiglie imprenditoriali. Opera sul mercato da oltre vent’anni e oggi si avvale di circa 170 professionisti, dispone di uffici a Milano, Torino, Roma e Biella e conta una presenza a livello europeo su Londra e Montecarlo. Forte di questa esperienza, nel 2016 ha dato vita alla divisione di Multi Family Office per dare una risposta adeguata alle esigenze di tutela e valorizzazione del patrimonio di importanti famiglie imprenditoriali italiane, con una precisa consapevolezza: ogni cliente ha una propria unicità, qualcosa che lo rende sempre diverso dagli altri. Ne abbiamo parlato con Nicolò di Giacomo, alla guida di questa divisione.
In che modo tutelate e valorizzate il patrimonio dei vostri clienti? È impensabile standardizzare un servizio come il nostro poiché l’esperienza ci ha insegnato che ogni famiglia ha una storia a sé stante. Il primo passaggio per noi è capire quali sono gli obiettivi che ci si prefigge e
DI MEDIAZIONE
CHE CONSENTE
DI RISPARMIARE TEMPO
E RISORSE.
È IMPORTANTE ANCHE
NEL TUTELARE
GLI INTERESSI
DEI COMPONENTI
DELLA FAMIGLIA, SOPRATTUTTO
NEL CASO DEI PASSAGGI
GENERAZIONALI
i desiderata dei diversi componenti delle famiglie, prima di effettuare un’analisi del patrimonio e proporre piani di investimento. Siamo in grado di fornire servizi di eccellenza e offrire una valutazione attenta delle opportunità d’investimento proposte dai diversi player del mercato a livello mondiale, con la possibilità di accedere all’offerta di alcuni tra i migliori gestori al mondo, grazie a un network internazionale che Banor ha saputo costruirsi negli anni. Supportiamo le famiglie anche per affrontare aspetti fiscali e amministrativi, spesso molto complessi, avvalendoci della consulenza dei migliori professionisti specializzati in questi ambiti.
La vostra attività, traslata dalla finanza al mondo del cinema, può dunque paragonarsi a quella che appartiene ad un regista?
A noi piace pensare che il nostro lavoro è un gioco di squadra, proprio perché i migliori risultati si possono raggiungere solo grazie a un team multidisciplinare, che può contare su professionalità con competenze ed esperienze diverse, ma complementari. Un’altra metafora molto
efficace per descrivere il nostro modello di gestione è quella dell’orchestra, dove i musicisti imparano a suonare insieme e creano un’esperienza molto più completa rispetto a quella che può offrire la performance di un solista. Le risorse umane per noi restano centrali, ma il servizio deve essere erogato da un team affiatato che condivide un processo.
La gestione di un patrimonio passa dunque attraverso le scelte di investimento, finalizzate alla sua valorizzazione. Da cosa vengono determinate queste scelte?
La nostra clientela è composta da un nucleo selezionato e ristretto di famiglie molto in vista, che ricevono innumerevoli proposte di investimento, anche molto diversificate tra loro. Noi dobbiamo fare da filtro, ponendoci come elemento di mediazione che consente di risparmiare tempo e risorse, oltre a cercare di tutelare gli interessi dei vari componenti della famiglia
che talvolta possono non coincidere, creando situazioni poi complesse da gestire, soprattutto nel caso dei passaggi generazionali o di eredità. È essenziale stabilire un rapporto di fiducia che perduri nel tempo, anche perché si tratta di pianificazioni che richiedono tempistiche lunghe.
Tra le varie famiglie in cerca di valorizzazione patrimoniale c’è anche chi guarda a un eventuale ingresso in Borsa pur senza perdere l’aspetto familiare della gestione? Ci sono famiglie che guardano con interesse a una possibile quotazione in Borsa, così come c’è chi sceglie di avvalersi di un partner finanziario, quale un fondo di private equity. Va detto che la quotazione richiede una grande preparazione e non si può improvvisare. Bisogna essere disponibili al confronto con soggetti esterni e rendere conto al mercato, cosa che per alcuni è più difficile fare che per altri.
Uno sguardo al futuro. Quali sono le prospettive di Banor per quanto riguarda il family office?
Siamo concentrati a migliorare costantemente i servizi che offriamo ai nostri clienti attuali e assicurarci che continuino a rinnovare la loro fiducia nella nostra attività. Manteniamo un numero selezionato di clienti proprio per riuscire a focalizzarci sulla qualità. Puntiamo a incrementare gli investimenti in tecnologia per monitorare in modo efficace il patrimonio dei nostri clienti e selezionare le migliori opportunità di investimento anche a livello internazionale. Un altro obiettivo chiave per noi è quello di coltivare la capacità di attrarre i migliori talenti, perché le persone sono fondamentali. E il talento lo si attrae offrendo un percorso di crescita chiaro, una remunerazione competitiva e chiarezza degli obiettivi. Cosa che in Banor non manca..
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Equity crowdfunding, venture capital, quotazione in Borsa: qual è il miglior strumento di finanziamento per una Pmi?
Pro e contro delle modalità più diffuse secondo Gimede Gigante, docente all’Università Bocconi di Milano
La sottocapitalizzazione
è uno degli elementi che caratterizzano il sistema delle imprese italiane, in particolare per quanto riguarda startup e Pmi. Ma quali sono gli strumenti a disposizione di un’azienda per raccogliere capitali? E quali si rivelano i più adatti per rispondere alle esigenze? Ne abbiamo parlato con il docente Gimede Gigante dell’Università Bocconi di Milano che, insieme alle colleghe Silvia Rella e Francesca Scarlini, ha affrontato il tema in una ricerca condotta nell’ambito della divisione Innovation and corporate entrepreneurship (Ice) di Sda Bocconi, di cui Gigante stesso è direttore. “Non esiste una risposta unica alla domanda su quale sia il miglior strumento di
UNIVERSALE:
finanziamento per una specifica impresa”, spiega il professor Gigante. “Ma comprendere le caratteristiche principali di ciascuno di essi e identificare quello che si adatta meglio alle necessità aziendali è il primo passo da fare per sfruttare al meglio queste opportunità. Inoltre, per una gestione sana e prudente, è sempre utile diversificare il portafoglio dei fornitori di finanziamento”.
Un primo strumento a cui si fa crescente ricorso è l’equity crowdfunding. Si tratta di un metodo di finanziamento che raccoglie piccole somme di denaro da un gran numero di soggetti per sostenere nuove iniziative imprenditoriali. Utilizzando
social media e piattaforme online, mette in contatto investitori retail e imprenditori, ampliando il bacino di potenziali finanziatori. Nato dopo la crisi finanziaria del 2008, è diventato una risposta alle politiche di prestito più rigide adottate dalle banche. Secondo il sito web Statista, il valore delle transazioni del settore globale del crowdfunding dovrebbe crescere dell’1,43% annuo dal 2024 al 2028, raggiungendo un volume di mercato di 1,27 miliardi di dollari.
Cosa ci si può aspettare da una campagna di crowdfunding?
A seguito dell’entrata in vigore del Regolamento Europeo 2020/1503, attraverso una campagna di equity crowdfunding, una startup o una Pmi può raccogliere fino a 5 milioni di euro all’anno, utilizzando piattaforme autorizzate dalla Consob. Gli investitori diventano soci dell’impresa e, per tutelarli, devono essere pubblicate dettagliate informazioni sull’impresa e sull’offerta. Per avere successo, una campagna deve essere accompagnata da una buona strategia di marketing e comunicazione, oltre a proporre progetti innovativi che attirino l’interesse degli investitori. In caso di successo, l’azienda paga una commissione alla piattaforma. Il principale vantaggio del crowdfunding è la possibilità di accedere a un gruppo ampio e diversificato di investitori. Tuttavia presenta anche svantaggi, come potenziali danni alla reputazione, commissioni delle piattaforme e il rischio di dover restituire i fondi se non si raggiunge l’obiettivo di finanziamento. Si tratta di uno strumento particolarmente adatto per startup e Pmi che cercano finanziamenti stabili per progetti rischiosi, offrendo anche visibilità sul mercato. Non è adatto per emissioni superiori a 5 milioni di euro, per chi non vuole aprire il proprio capitale, per esigenze di raccolta fondi rapide,
Vantaggi
Accedere a un gruppo ampio e diversificato di investitori
Svantaggi
Potenziali danni alla reputazione, commissioni delle piattaforme e il rischio di dover restituire i fondi se non si raggiunge l’obiettivo di finanziamento
Vantaggi
Le imprese che non dispongono di flussi di cassa sufficienti per contrarre debiti possono accedere a finanziamenti
Svantaggi
Rischio di perdere il controllo creativo, in quanto gli investitori potrebbero richiedere una quota significativa del capitale dell’azienda
Vantaggi
Agevola operazioni di acquisizione e aumenta l’esposizione e il prestigio dell’azienda
Svantaggi
Le Ipo sono costose, i costi di mantenimento di una società pubblica sono continui e spesso non sono correlati agli altri costi di gestione
per grandi imprese o chi non dispone di risorse per il marketing della campagna.
Altro strumento è quello del venture capital. Si tratta di una forma di finanziamento destinata a startup e piccole imprese con elevato potenziale di crescita a medio-lungo termine. Si prevede l’ingresso nel capitale aziendale di fondi specializzati che, oltre a fornire risorse finanziarie, offrono competenze cruciali per supportare le idee di sviluppo dell’impresa. È una risorsa fondamentale per le aziende considerate più rischiose, che non hanno accesso ai mercati dei capitali, ai prestiti bancari o ad altri strumenti di debito. L’investimento da parte dei fondi di venture capital è solitamente temporaneo e l’obiettivo è incrementare il valore dell’impresa nel tempo per poi realizzare un guadagno, il cosiddetto ‘capital gain’, al momento dell’uscita dall’investimento.
Quali sono i vantaggi principali? Il principale vantaggio del venture capital è la capacità di fornire finanziamenti alle nuove imprese che non dispongono di flussi di cassa sufficienti per contrarre debiti. Questo tipo di accordo è vantaggioso per entrambe le parti: le imprese, infatti, ottengono il capitale e il supporto necessari per avviare le loro attività, mentre gli investitori acquisiscono una partecipazione in aziende promettenti. Inoltre, i venture capitalist spesso offrono servizi di mentoring e networking, aiutando le imprese a trovare talenti e consulenti, il che può attrarre ulteriori investimenti. Tuttavia, accettare il supporto del venture capital comporta il rischio di perdere il controllo creativo, in quanto gli investitori potrebbero richiedere una quota significativa del capitale
dell’azienda. L’obiettivo di chi investe è ottenere rendimento, il che potrebbe portare a pressioni per una rapida crescita ed eventuale uscita dall’investimento. È una formula adatta per imprese scalabili che hanno validi programmi di sviluppo, sia in termini di dimensioni che di redditività. Ideale per aziende con prodotti e servizi riconosciuti e un vantaggio competitivo rafforzabile con l’apporto di capitali di investimento, oltre a rivelarsi utile per sostenere le fasi più rischiose di ricerca e sviluppo di prodotti e servizi, per le ristrutturazioni aziendali e la gestione di passaggi generazionali o la sostituzione di soci interessati a lasciare la società.
Un’altra strada percorribile è la quotazione in Borsa.
La quotazione in Borsa, o Ipo, rappresenta il momento in cui una società privata offre le sue azioni al pubblico per la prima volta, permettendo di raccogliere capitale azionario dagli investitori pubblici. Questo passaggio consente agli investitori privati di realizzare i guadagni del loro investimento e agli investitori pubblici di partecipare all’offerta. L’Ipo offre all’azienda l’opportunità di accedere a una quantità significativa di capitali, migliorandone la capacità di crescita. Inoltre, la maggiore trasparenza e credibilità derivanti dalla quotazione possono determinare condizioni migliori per la ricerca di fondi di prestito. Secondo il sito web MarketScreener, dopo due anni di mercati cauti, il 2024 si prospetta più promettente. In Europa, nel primo trimestre dell’anno, le aziende hanno raccolto 3,2 miliardi di dollari, più del doppio rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso.
Come ci si quota in Borsa?
Un’azienda può scegliere tra diversi mercati. In Italia, le opzioni principali
sono tre. Euronext Growth Milan è destinato alle Pmi e offre un processo di ammissione e regole semplificate, con alta visibilità per i titoli quotati. Dal luglio 2020, è attivo un nuovo segmento professionale che consente una quotazione graduale senza necessità di scambi iniziali oppure con scambi a prezzi unici giornalieri determinati tramite asta. Euronext Star Milan si rivolge a imprese con una capitalizzazione tra 40 milioni e 1 miliardo di euro, che rispettano standard internazionali di trasparenza comunicativa, alta liquidità e buona governance. Infine, Euronext Milan è un mercato
OBBLIGATORIA PUÒ
AIUTARE L’AZIENDA
regolamentato per imprese di media e grande capitalizzazione, mirato ad attrarre risorse per progetti di crescita, con requisiti stringenti e allineati agli standard internazionali. Selezionato il mercato più adatto, va preparato il documento di registrazione, che deve approvare la Consob, la promozione con i potenziali investitori istituzionali e la raccolta dei feedback del mercato, il bookbuilding per stabilire il prezzo di offerta delle azioni e infine la distribuzione delle azioni agli investitori e il primo giorno di negoziazione.
Quali sono i pro e i contro della quotazione?
L’accesso agli investimenti del pubblico facilita la raccolta di capitali, agevolando anche operazioni di acquisizione e aumentando l’esposizione e il prestigio dell’azienda. Questo può contribuire positivamente alle vendite e ai profitti, oltre a permettere di attirare e mantenere un management di alto livello e dipendenti qualificati attraverso la partecipazione azionaria. Inoltre, la trasparenza obbligatoria delle relazioni trimestrali può aiutare l’azienda a ottenere condizioni di prestito più favorevoli rispetto a una società privata. Tuttavia, ci sono anche diversi svantaggi. Le Ipo sono costose e i costi di mantenimento di una società pubblica sono continui e spesso non correlati agli altri costi di gestione. Le fluttuazioni del prezzo delle azioni possono distrarre il management, che potrebbe essere valutato più in base all’andamento delle azioni piuttosto che ai risultati finanziari reali, aumentando i costi di agenzia. La società è inoltre obbligata a divulgare informazioni finanziarie, contabili, fiscali e commerciali, il che può costringerla a rivelare segreti e metodi che potrebbero avvantaggiare i concorrenti. Infine, la quotazione comporta una perdita di controllo dell’azienda.
Quali imprese possono più facilmente accedere alla Borsa? La quotazione è adatta per imprese con una solida esperienza di pianificazione finanziaria, capaci di garantire elevati livelli di trasparenza e comunicazione al mercato. È indicata per aziende con una struttura manageriale competente ed esperta, desiderose di attrarre personale qualificato, con prospettive di crescita credibili e a medio termine..
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Contribuire, controllare e misurare il risultato: così Kon Group permette alle Pmi di approcciare alla filantropia in modo innovativo ed efficiente
di Fulvio di Giuseppe
Èun mantra ormai familiare a tutte le aziende, per scelta o per necessità: la sostenibilità. Ma se per decenni la filantropia è stata personale, intima, riservata strettamente al nucleo familiare che decideva di allocare a soggetti meritevoli il proprio supporto economico e morale, ora si cambia. In una società che diventa sempre più complessa e meno propensa al rapporto interpersonale, in cui la differenza tra i poveri e i benestanti si accentua, in cui gli enti preposti, pubblici e privati, fanno più fatica a soddisfare le pur minime esigenze della popolazione indigente, è sempre più difficile scegliere chi aiutare e diventa essenziale avere la garanzia che il proprio contributo sia ben destinato e, soprattutto, produca un impatto positivo. “Contribuire, controllare e misurare il risultato sono, quindi, tre aspetti dello stesso agire che hanno bisogno di trovare una sintesi in un modo nuovo di approcciare il tema della filantropia”, evidenzia Francesco Ferragina, presidente di Kon Group, che dal 2004 opera nel settore della consulenza aziendale, specializzandosi fin da subito nel corporate finance e nel performance management. “Non più principalmente
azioni singole e non organizzate, mosse da esperienze personali e dalla prossimità, ma, al contrario, un’esigenza di poter muovere risorse ingenti, in modo strutturato e continuativamente nel tempo, rivolte a progetti ad elevato impatto per la comunità, i cui risultati siano oggettivamente misurabili”. Ed è così che la filantropia si evolve anche in Italia e si torna a parlare, grazie anche all’affermazione delle best practices della sostenibilità, di ‘corporate philantropy’. Con una variazione sul tema, perché rispetto ad un passato nel quale l’esigenza principale era la
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risposta a una situazione emergenziale o la creazione di consenso e di reputation, personale e aziendale, ora si riconduce ad unità la sfera della sensibilità personale dell’imprenditore e quella finanziaria ed organizzativa dell’azienda, facendo nascere un modo diverso di aiutare la comunità: visionario, organizzato e con impatti misurabili.
Ed è proprio questo l’approccio di Kon Group, che ha sempre creduto molto nella corporate philantropy e nella necessità di managerializzare la sua gestione attraverso la realizzazione di piani di lungo periodo, team competenti e risorse stabili e destinate a progetti strategici con impatti misurabili. Per questo motivo ha creato la Fondazione Kon, che si propone di supportare questo processo con tre obiettivi principali: aiutare gli enti meritevoli a realizzare progetti ad alto impatto per le comunità, favorire la realizzazione di progetti di grande dimensione che prevedano la condivisione di obiettivi tra soggetti disposti a mettere in comune le proprie idee e risorse e, in ultimo, grazie alla maggiore sensibilità
legata alla sostenibilità, a incentivare la progettazione a livello di filiera per la promozione di interventi che possano coprire le esigenze degli stakeholders.
Forte delle rilevazioni dei questionari del Sustainability Award, “Fondazione Kon ha rilevato l’esigenza di mettere a disposizione strumenti tecnici che possano semplificare l’avvicinamento delle imprese a questo percorso più strutturato ed inclusivo”, rimarca Fabrizio Bencini, partner di Kon Group, “riducendo, per quanto possibile, le asimmetrie informative relative alle best practices internazionali in materia di corporate philantropy. Ha inoltre realizzato, grazie alla partnership con Good Point Sb, azienda specializzata nella consulenza sulla sostenibilità nel non profit, un modello che consente a tutte le aziende di iniziare il viaggio senza il timore di non raggiungere l’obiettivo”. Il modello sarà donato da Fondazione Kon e Good Point perché entrambi ritengono che un sistema di filantropia evoluto sia necessario per evitare che l’Italia disperda le proprie risorse in interventi a pioggia che non siano in grado di sostenersi autonomamente nel tempo. “L’intervento del filantropo deve servire ad avviare i progetti più ambiziosi”, sottolinea Nicoletta Alessi, ad di Good Point, “ma non si può pretendere che li sostenga per sempre. Una organizzazione non profit, attraverso un’adeguata pianificazione, deve essere in grado di attrarre investimenti filantropici necessari alla fase di startup, dimostrando che oltre ad un valido progetto benefico, può costruire un’organizzazione che ‘on going’ è in grado di provvedere a sé stessa e continuare a produrre un impatto positivo e misurabile per la comunità”.
Il sistema inclusivo e partecipativo messo in opera da Kon Group e Fondazione Kon deve poter consentire alle imprese di pensare alla loro filantropia avendo a disposizione gli
Ferragina, presidente di Kon Group
strumenti utili alla gestione ottimale delle risorse necessarie alla realizzazione dei propri obiettivi. Cause related marketing, matching gift o integrated financial approach hanno bisogno di poter contare su strumenti tecnici nuovi, magari digitali, attraverso i quali garantire l’esecuzione di un progetto dopo aver completato la campagna di fund raising. “I vecchi strumenti bancari sono ormai obsoleti”, spiega Monica Liverani, ad Azimut capital management Sgr, strategy director e cso di Azimut Holding. “E sulla falsariga dell’esperienza anglosassone, ne sono apparsi alcuni innovativi per il panorama italiano. Come ad esempio i fondi filantropici che, uniti a strumenti giuridici più tradizionali come le fondazioni d’impresa, consentono di ottenere una riduzione dei rischi e un rendimento dalle somme non ancora investite in esecuzione del progetto, oltre alla loro pronta disponibilità. Abbiamo, inoltre, messo a punto servizi personalizzati che consentano la gestione di capitali
segregati e riservati alla corporate philantropy, che rendano più efficiente e conveniente la tesoreria, ma anche la ricerca, assieme ai partner di Kon Group, di altri progetti che possano facilmente integrare gli stessi obiettivi e consentire di raggiungere un numero molto più ampio di potenziali benefattori, con delle evidenti ricadute dall’impatto positivo sulla comunità nazionale”.
Obiettivi ambiziosi ma raggiungibili, a giudizio di Kon Group, che guarda alla corporate philantropy come una delle più grandi opportunità che il nostro Paese può cogliere per migliorare la condizione di vita della popolazione. “Noi ci crediamo”, conclude Francesco Ferragina, “e continueremo ad investire in questa direzione fino a che non riusciremo a vedere un cambiamento significativo nell’approccio alla filantropia dei nostri meravigliosi imprenditori”..
Toyota sta adottando Society 5.0, una visione del mondo in cui la tecnologia è a servizio dell’uomo e si integra con la vita quotidiana di Maurizio Abbati
Tirasformazione sociale e tecnologica, che mira a creare un futuro più sostenibile e centrato sulle persone: questo è Society 5.0, il progetto che vuole coniugare la sostenibilità, l’occupazione e il costo umano, l’impatto psicologico e l’inclusività, insieme allo sviluppo tecnologico ed economico, come ci racconta Leonardo Salcerini, ceo di Toyota Material Handling Italia.
Cosa significa per Toyota ‘Society 5.0’?
Society 5.0 rappresenta una visione innovativa della società futura, in cui l’intelligenza artificiale, l’Internet of Things (IoT) e altre tecnologie avanzate vengono integrate in ogni aspetto della vita quotidiana e lavorativa. L’obiettivo è creare una società che non solo migliori l’efficienza economica e produttiva, ma metta al centro le persone, promuovendo il benessere e la sostenibilità.
Come si collega questa visione alla filosofia Toyota?
La filosofia Toyota, basata sul concetto di kaizen, traducibile in italiano come ‘miglioramento continuo’, è perfettamente in linea con gli obiettivi di Society 5.0, che è una naturale evoluzione di questo impegno, poiché cerca di coniugare l’avanzamento tecnologico e lo sviluppo umano nel modo più armonioso e sostenibile possibile.
In che modo Toyota sta promuovendo questa visione a livello globale? Toyota sta adottando un approccio globale e integrato per promuovere Society 5.0. Un esempio concreto è la realizzazione di Woven City in Giappone, una città prototipo dove vengono sperimentate nuove tecnologie per la mobilità, la robotica e l’energia sostenibile. Questo progetto non è solo un laboratorio di innovazione, ma un vero e proprio esempio di come la tecnologia possa essere utilizzata per creare ambienti urbani più vivibili e sostenibili.
Quali sono i benefici per le persone e le aziende che partecipano a questa transizione?
Sono molteplici e riguardano diversi aspetti della vita quotidiana e lavorativa. Le persone, intese sia come individui che come membri di una società, traggono vantaggio da un ambiente più sicuro, sostenibile e ricco di opportunità. Le aziende, invece, possono beneficiare di processi produttivi più efficienti, di una maggiore competitività e di un miglioramento complessivo della qualità della vita delle proprie persone.
Può darci qualche esempio concreto?
In Giappone la transizione verso Society 5.0 è già in atto attraverso diverse iniziative. Oltre a Woven City, Toyota sta implementando tecnologie avanzate nei propri impianti produttivi, migliorando l’efficienza energetica e riducendo l’impatto ambientale. Anche progetti di mobilità sostenibile, come veicoli a idrogeno e soluzioni di trasporto condiviso, sono sempre più diffusi. Questi progetti non solo migliorano la sostenibilità ambientale, ma promuovono anche il benessere sociale.
Come Toyota Material Handling Italia contribuisce alla diffusione di questa visione nel nostro paese?
In Italia ci impegniamo a portare avanti la visione di Society 5.0 attraverso
l’adozione di tecnologie all’avanguardia nei nostri processi e prodotti. Lavoriamo per migliorare la sicurezza e l’efficienza dei nostri sistemi di movimentazione, riducendo al contempo l’impatto ambientale. Inoltre, investiamo continuamente nella formazione dei nostri dipendenti, promuovendo una cultura del miglioramento continuo e della sostenibilità.
Quali sono le sfide principali che Toyota deve affrontare per realizzare Society 5.0?
Una delle sfide principali è l’integrazione delle nuove tecnologie in modo che siano accessibili e benefiche per tutti. Questo richiede non solo investimenti significativi in ricerca e sviluppo, ma anche una forte collaborazione con governi, enti accademici e altre aziende. Inoltre, è fondamentale affrontare le preoccupazioni legate alla privacy e alla sicurezza dei dati, garantendo che le innovazioni tecnologiche rispettino i diritti e le libertà individuali.
Come la filosofia del kaizen influisce nella transizione verso Society 5.0?
La filosofia kaizen ci guida nel migliorare continuamente i nostri processi, prodotti e servizi, spingendoci a cercare sempre nuove soluzioni per le sfide del futuro. Il miglioramento continuo non riguarda solo l’efficienza produttiva, ma anche l’innovazione sociale e ambientale, garantendo che ogni passo avanti sia un passo verso un mondo più sostenibile e centrato sulle persone.
Qual è la visione a lungo termine di Toyota per Society 5.0?
La nostra visione a lungo termine è quella di creare una società in cui la tecnologia e l’innovazione siano al servizio delle persone, migliorando la qualità della vita e promuovendo la sostenibilità. Vogliamo essere un modello di eccellenza per altre aziende e settori, dimostrando che è possibile conciliare progresso tecnologico, benessere umano e rispetto per l’ambiente..
Attacchi cyber, errori umani, problemi tecnici, eventi naturali: la capacità di un’impresa di riprendersi
dall’imprevisto è fondamentale.
Hpe offre soluzioni innovative per assicurare la business continuity
di Matteo Marchetti
Uno dei rischi più grandi per qualsiasi azienda, dalle piccole dimensioni fino alla multinazionale? Perdere il proprio archivio informatico. E i rischi sono più grandi di quanto si possa pensare: attacchi cyber, di cui sono piene le cronache, errori umani, problemi tecnici. In un istante si rischia di perdere il lavoro di anni senza avere la possibilità di recuperarlo. Così, in un panorama in continua evoluzione e sempre più interconnesso, la capacità di un’azienda di riprendersi da eventi imprevisti è diventata fondamentale innanzitutto per la sopravvivenza, ma anche per il successo. La business continuity e il disaster recovery rappresentano due pilastri fondamentali per la costruzione di un’organizzazione che sia in grado di affrontare qualsiasi sfida e di garantire la continuità operativa anche di fronte a disastri naturali,
guasti tecnici, attacchi informatici o altre minacce. Ne abbiamo parlato con Mauro Isoardo, Hpe computer manager.
Si parla spesso parlare di business continuity e di disaster recovery. Di cosa si tratta?
La business continuity non si limita al mero ripristino dei sistemi It dopo un disastro. Si tratta di un approccio con basi particolari che mira a garantire la continuità di tutte le funzioni aziendali critiche, minimizzando l’impatto di un evento disruptive e assicurando la rapida ripresa delle attività. Nello specifico, un piano di business continuity efficace include una serie di misure preventive, come la valutazione dei rischi, la pianificazione di scenari di crisi, la formazione del personale e la comunicazione. Inoltre, comprende strategie che permettono di
riavviare rapidamente i sistemi It e di ripristinare i dati aziendali. Un’operazione complessa che interessa settori differenti e deve essere effettuata da professionisti in grado di rispondere a varie esigenze
È corretto dire che il disaster recovery rappresenti il cuore pulsante della business continuity? Il disaster recovery è un sottoinsieme fondamentale della business continuity, focalizzato sul ripristino dei sistemi It e dei dati aziendali in caso di un disastro. Le strategie di disaster recovery prevedono la creazione di un sito di backup secondario, situato in una località geografica diversa rispetto alla sede aziendale principale. In caso di problemi irrisolvibili, o che richiedano tempi lunghi per la soluzione, questo sito permette di riavviare i sistemi It e di ripristinare i dati, garantendo la continuità operativa aziendale. Un
modo per evitare di interrompere completamente l’attività in caso di problemi.
Nello specifico quale può essere ritenuta la prima linea di difesa? I gruppi di continuità, definiti anche ‘Bcg’, rappresentano la prima linea di difesa nella strategia di business continuity. Si tratta di team di persone dedicate, formate per gestire le risposte a eventi critici e per garantire la continuità delle operazioni aziendali. I Bcg svolgono un ruolo fondamentale nella comunicazione, nel coordinamento e nell’esecuzione delle attività previste nel piano di business continuity. Assicurano un aiuto importantissimo, direi fondamentale, in caso di bisogno.
Quali sono le soluzioni software più adatte? E qual è invece il valore in più assicurato da Hpe? Esiste un panorama quasi infinito di soluzioni per la business continuity. Per questo diventa decisivo sapere come muoversi alla ricerca dell’opzione più corretta. Quando si parla di business continuity, ma anche di disaster recovery, Zerto si distingue come leader innovativo. La piattaforma Zerto Virtual Replication (Zvr) offre un approccio rivoluzionario, basato sul replication continuo e sul disaster recovery as a service (DRaaS). D’altronde Hpe, con la sua ampia esperienza nel settore It e il suo impegno nell’innovazione, riveste un ruolo chiave in questo mercato. Offrendo soluzioni integrate che combinano hardware, software e servizi professionali, aiuta le imprese di tutte le dimensioni a costruire una resilienza aziendale solida e affidabile.
Quanto è importante oggi investire in soluzioni di business continuity efficaci?
I problemi che possono crearsi con gli archivi non sono più delle semplici opzioni, ma necessità
Mauro Isoardo, Hpe compute manager
ZERTO, PIATTAFORMA
DI PROPRIETÀ
DELLA MULTINAZIONALE, OFFRE UN APPROCCIO
RIVOLUZIONARIO
GARANTENDO PROTEZIONE
DEI DATI CONTINUA
E AIUTANDO
LE AZIENDE A COSTRUIRE LA PROPRIA RESILIENZA
indispensabili per le aziende che vogliono prosperare nel mercato odierno, sempre più competitivo e incerto. Investire in soluzioni e strategie che siano efficaci, sia di business continuity sia di disaster recovery, permette di minimizzare i rischi, proteggere i dati aziendali e garantire la continuità operativa, anche di fronte alle sfide più impegnative e ad alcune difficoltà che spesso sembrano insormontabili. Fondamentale diventa però affidarsi a partner esperti come Hpe e possibilmente puntare su soluzioni innovative come può essere Zerto. Solamente in questo modo le imprese possono costruire una resilienza aziendale solida e prepararsi ad affrontare il proprio futuro con fiducia e consapevolezza..
Dai motori al biomedicale, dalle ceramiche ai trattori: la provincia macina miliardi e ospita distretti leader a livello nazionale
Modena, e nelle orecchie hai la voce di Pavarotti, che ha riempito teatri, stadi e parchi come il Central Park di New York. Modena è anche il rombo di auto e buon cibo. “Fast cars e Slow food” è il motto di Massimo Bottura, chef modenese apprezzato in tutto il mondo. Negli occhi, poi, hai le ceramiche di Sassuolo e dintorni. Modena è questo e tanto altro: è biomedicale, meccanica agricola, tessile, è un territorio vocato all’imprenditoria. Alcune realtà, per loro natura, sono di potente visibilità, come nel caso della Motor Valley, in tempi recenti anche set cinematografico di pellicole su Enzo Ferrari e Ferruccio Lamborghini. Altre realtà non esercitano un particolare fascino, eppure macinano miliardi e fanno dell’Italia un paese leader di settore.
Una cosa è certa e la facciamo dire a Piero, figlio di Enzo Ferrari: “Qui c’è la passione per tutto quello che si fa, perché la gente ama lavorare”. Lavora a testa bassa e quando possibile si mette in proprio. Le migliaia di piccole e medie imprese sul territorio sono nate per gemmazione dalle grandi, coprendo i vari segmenti dell’automotive. Alcune hanno spiccato il volo, come nel caso
è il primo costruttore di moto elettriche supersportive Made in Italy. Nasce (nel 2014) dall’esperienza del Gruppo CRP, tra i player mondiali del mondo della Formula 1 e dell’industria aerospaziale. Il Gruppo, dopo gli anni di scouting tecnologico nel mondo delle corse, alla fine del 2010 decide di declinare l’innovazione portata in pista con la eCRP – la prima moto italiana ad emissioni zero per il campionato mondiale TTXGP – anche su strada. Nasce così Energica, il primo prototipo italiano di moto elettrica da strada. Il Gruppo CRP ha accompagnato la crescita di Energica fino a quando, nel 2014, questa è diventata un’azienda indipendente. Nel 2018, la Casa è stata scelta da Dorna come Costruttore Unico per la FIM Enel MotoE World Cup fino al 2022.
16.500 aziende
90mila addetti
Valore di produzione annuo: 16 miliardi di euro
di Pagani, maison di auto di Horacio Pagani che dall’Argentina approdava alla Lamborghini come operaio di terzo livello e che oggi produce auto da milioni di euro. O come nel caso di Gianpaolo Dallara che, fresco di laurea in ingegneria, veniva assunto da Enzo Ferrari, passava alla Maserati, alla Lamborghini (è il padre della Miura) e alla De Tomaso: a 35 anni, nel garage di casa, fondava l’omonima azienda, da subito supertecnologica. Marchi blasonati che sono la punta di un iceberg costituito da 16.500 aziende con oltre 90mila addetti, per un valore di produzione annuo di 16 miliardi di euro e un export di 7 miliardi. Perché proprio in questa area d’Italia si costruiscono le più performanti sculture su quattro e due ruote. Da dove viene tanto fermento?
Risposta: dalle mani avvezze a riparare gli attrezzi agricoli, nella Emilia rurale di un tempo. Mani prodigiose, sparse, che qui si combinarono con personaggi fuori scala, dai temperamenti di fuoco - alludiamo anzitutto a Lamborghini e Ferrari.
Tra le Pmi al servizio della filiera automotive
LE PIÙ PERFORMANTI
SCULTURE A QUATTRO
E DUE RUOTE
E HANNO SEDE LE PIÙ
IMPORTANTI CASE
AUTOMOBILISTICHE
ITALIANE: TRA CUI
FERRARI, LAMBORGHINI, DALLARA E PAGANI
ricordiamo Imperiale Group, che opera da 40 anni nel settore della verniciatura, riferimento per progetti di alto design automobilistico per Lamborghini, ma non solo. Duerre Tubi Style Group nasceva come un laboratorio artigianale di Spezzano di Fiorano, a un soffio dalla leggendaria pista, e ora compare tra le aziende leader nei tubi di scarico. La VSystem, a Fiorano Modenese, realizza sistemi di scarico, collettori, parti strutturali e altri componenti di pregio per i settori automobilistico e aerospaziale, mentre Energica Motor Company è il primo costruttore di moto elettriche supersportive made in Italy.
OLTRE LA CONCORRENZA
INCUBATE IDEE
Tra Sassuolo, Fiorano Modenese, Formigine, Frassinoro, Maranello, Montefiorino, Palagano e Prignano si produce l’80% della ceramica di casa nostra, con colossi come Marazzi Group e Kerakoll, entrambi oltre il mezzo miliardo di fatturato. La tradizione risale al Settecento, per via dell’abbondanza di argilla, quando il monopolio produttivo per gli Stati Estensi fu concesso alla prima società di Sassuolo dal duca Francesco III d’Este. Era nell’Italia del secondo dopoguerra, dunque da ricostruire, che il settore conosceva il vero e proprio decollo, una rapida ascesa fino allo shock causato dalla concorrenza di Paesi come Cina, Turchia e Brasile, liberi da minacce e da sfide con cui si misura l’Europa: in testa, il caro energia
E COMPETENZE NEL BIOMED, BIOTECH E NANOTECH.
È NATO IN RISPOSTA
AI DRAMMATICI
EVENTI SISMICI DEL 2012
e i costi della sostenibilità. Il distretto modenese resiste e combatte a suon di ricerca e sviluppo. Si calcola che gli investimenti green siano pari al 6,2% del fatturato, destinati in primis a bruciatori all’avanguardia, impianti in cogenerazione, fotovoltaico e ai primi forni a idrogeno. Brilla in tal senso Terratinta Group Srl SB (vedi box).
Anche il biomedicale di Mirandola, come la Motor Valley, scaturisce dalla mente di un visionario. È
Mario Veronesi (1932-2017), farmacista-imprenditore che, all’alba degli anni Sessanta, realizzava i primi prodotti monouso in plastica pvc per uso medico, fondando una delle sue quattro startup, Miraset.
A realizzare i raccordi di plastica per l’aggancio ai tappi delle bottiglie e agli aghi delle flebo ci pensava la Comef di Ottavio Ferrari, avviata nello stesso
In oltre 50 anni di carriera ha contribuito a rendere l’area nord della provincia di Modena uno dei poli industriali del biomedicale più importanti in Italia e il secondo in tutto il mondo. La sua avventura, come nelle più appassionanti storie d’impresa, inizia nel garage di casa. Qui produceva dispositivi monouso di plastica dopo una brillante intuizione avuta durante la sua carriera come farmacista a Mirandola.
Fondata nel 2017, Terratinta Group Srl SB è un’azienda di Fiorano Modenese che progetta, crea e distribuisce prodotti ceramici di design italiano in oltre 50 Paesi. Rivestimenti e pavimentazioni originali, carta da parati. L’azienda è stata fondata da Luca Migliorini che dopo anni spesi nel nord Europa ha fatto sua l’attitudine scandinava per le linee pulite ma anche l’imprenditoria sostenibile. Tra le iniziative di Welfare aziendale, per esempio, la possibilità di inserire nel proprio orario di lavoro attività di volontariato come la pulizia del parco di Fiorano.
NELLA ZONA
anno. Questo il big bang da cui origina un distretto che da Mirandola si allarga a Carpi, Medolla, Concordia sul Secchia, Cavezzo, San Felice sul Panaro, San Possidonio e San Prospero fino a Poggio Rusco, nel mantovano. È presente la filiera nella sua interezza, dalla componentistica alla produzione di macchinari elettromedicali e apparecchiature elettroterapeutiche ad alto grado di sofisticazione, strumenti e forniture mediche anzitutto di beni plastici monouso per uso medico. Nel polo sono attive 64 aziende, compresi i fornitori, con 4mila addetti. Il 75% di questi lavora nei gruppi internazionali - un settore come questo
DI CARPI
IL 44,4%
DEGLI ADDETTI
MANIFATTURIERI
È
negli anni ha chiesto infatti un salto dimensionale necessario per assicurare l’alto livello di innovazione. E pensare che, nell’immediato secondo dopoguerra, questa area era talmente depressa da offrire vantaggi e sgravi fiscali ai potenziali investitori. Che per la verità non arrivarono. Furono i locali a inventarsi una soluzione, e come un sasso lanciato nello stagno, dall’azienda di Veronesi nacquero altre, perlopiù fondate dal desiderio dei dipendenti più audaci e ambiziosi di mettersi in proprio. Ci piace rimarcare la prova di resilienza di questa area, nel maggio 2012 colpita da due forti scosse di terremoto. Il sisma spazzava via
stabilimenti e vite umane. Però si ripartì subito, addirittura fra la prima e la seconda onda sismica. Già nel 2015 si raggiungeva il +29,1% per l’export, dato superiore a quello registrato prima del sisma del 2012. Così come veniva inaugurato il Tecnopolo Mario Veronesi (TPM), laboratorio di ricerca dove vengono incubate idee, saperi e competenze nel biomed, biotech e nanotech, trasferendo tecnologia dal laboratorio all’azienda.
Non è glam, ma macina miliardi l’industria della meccanica agricola che, da analisi di FederUnacoma, ha un valore di produzione nazionale di 15,5 miliardi di euro scaturiti dalla realizzazione di trattrici (2,4 miliardi), macchine agricole (7 miliardi), trattrici incomplete e parti (1,3 miliardi), componentistica (3,8 miliardi), giardinaggio e cura del verde (950 milioni). Il distretto delle macchine agricole di Modena e Reggio Emilia risulta tra primi venti della classifica nazionale per performance di crescita, redditività e patrimonializzazione, secondo un report di Intesa Sanpaolo. A Modena hanno sede aziende come Sovema o la Bm Tractors, costruttrice di trattrici agricole ed industriali, con sede a Zocca, laddove nacque e dimora Vasco Rossi. La Famiglia Marinelli, dal lontano 1927, costruisce attrezzi per l’aratura, preparazione del terreno per la semina, trinciatutto, telai antiribaltamento. A Castelvetro di Modena troviamo la Vaschieri Lorenzo, specializzata in macchine spandiletame. Andreoli Engineering dal 1954 si occupa di atomizzatori, trattori cingolati speciali, macchine per la raccolta. ‘Engineering’ poiché investe in prodotti d’avanguardia di ingegneria elettronica.
Nella provincia di Modena, il settore moda ha un peso inferiore alla media nazionale, pari al 9,0% degli addetti. Ma quel 9% si concentra perlopiù a Carpi e dintorni dove il 44,4% degli addetti manifatturieri sono attivi nel tessile. Forte di una più che decennale specializzazione nella lavorazione dei cappelli di paglia, di maglie e camicie, nel secondo dopoguerra Carpi riusciva ad estendere le proprie competenze ad altri campi del tessile con predilezione per la maglieria e tessuto a maglia di qualità. Qui sono nati marchi come Blumarine, Liu Jo, che ha tra l’altro assorbito Blue Marine, Twin Set e Gaudì. Giusto per citare le grandi aziende, attorno alle quali c’è un brulicare di piccole e microimprese, produttrici di prodotti finiti e terzisti..
1,3 MILIARDI trattrici incomplete (8%) 950 MILIONI giardinaggio (6%)
7 MILIARDI macchine agricole (46%) 2,4 MILIARDI trattrici (15%)
3,8 MILIARDI componentistica (25%)
Tra le aziende più rappresentative del distretto della meccanica agricola c’è Sovema, situata a Gaggio in Piano, alle porte di Modena. Il quartier generale è composto da due stabilimenti atti alla produzione di macchinari per la lavorazione del terreno, il giardinaggio, il mantenimento delle aree verdi e la progettazione di cabine per trattrici agricole. La sua missione? Mantenere sempre alta la qualità dei suoi prodotti, costruiti in Italia da oltre 40 anni. Per raggiungere questo scopo diventa necessario unire il know how della tradizione artigianale con le tecnologie moderne. Oltre il 90% delle 7.500 unità prodotte annualmente sono destinate all’esportazione in più di 50 paesi.
WI STA PER WORK IMPROVERS
Le nostre sedi
Acetaia Giusti è la più antica maison di Balsamico di Modena al mondo. Oggi esporta in 80 paesi e ha sedi in New Jersey, Seul, Hong Kong e Monaco di Baviera
di Maurizio Abbati
Acetaia Giusti è la più antica maison di Aceto Balsamico di Modena al mondo e non solo ha ampliato la propria gamma di produzione, ma ha definito un percorso che la pone come realtà di riferimento per storia, cultura e arte acetiera. L’apertura del museo di famiglia e delle boutique di Milano, Bologna e Modena ne ha fatto un riferimento assoluto, che va oltre i confini del settore, per proporsi come strumenti di un brand building, che unisce storia e modernità. L’azienda
L’AZIENDA
è nata nel 1605. Oggi ha una visione globale, che guarda a un’espansione commerciale, come dimostrano i 17 milioni di euro di fatturato, le 4quattro filiali commerciali estere in New Jersey, Seul, Hong Kong e Monaco di Baviera e le esportazioni in 80 diversi paesi. Ne abbiamo parlato con il ceo Claudio Stefani.
Partiamo dalla storia dell’azienda… L’idea è stata quella di fare della tradizione un elemento di modernità, grazie a un branding fondato su un’azienda antichissima che è allo stesso tempo una start up, poiché è stata di fatto rifondata da mio padre alla fine degli anni 80. È allora che inizia il boom del balsamico e lui decide di affiancarsi a mio zio che lavorava nel balsamico con un mercato però ancora molto ristretto rispetto a quello odierno. Poi nel 2005 c’è stato un nuovo step, quando sono arrivato io l’azienda aveva sette dipendenti mentre oggi ne vanta 80. In qualche modo ho voluto rifondarla di nuovo, attivando un rapporto particolare e privilegiato con i nostri clienti, raccontando il prodotto attraverso la sua eredità e rendendolo aspirazionale.
Un cambio di passo dunque? Un’operazione di rebranding importante verso la modernità. Abbiamo pensato che il balsamico andasse svecchiato, lavorando per fare del prodotto un simbolo di italianità, portando le persone a vedere
la cura con cui viene fatto, tanto che oggi siamo arrivati ad ospitare 30mila persone a Casa Giusti, dove si trova il nostro museo e dove oltre a fare storytelling ospitiamo eventi di aziende che vogliono celebrare i loro momenti corporate e a cui affittiamo e allestiamo i nostri spazi, organizzando degustazioni e visite guidate alle nostre strutture dando valore aggiunto all’evento. Tutto per dare a Casa Giusti un’aura di classe e qualità e creare valore attorno al brand che oggi viene riconosciuto come altamente prestigioso: ad esempio, il nostro balsamico è diventato il dono che ricevono i delegati Onu durante l’annuale cena di gala.
Su questa scia creativa sono nate anche le boutique?
Per noi ha significato portare Casa Giusti nel centro delle città, così da trasmettere la cultura del balsamico di Modena con tutti i suoi elementi tipici che raccontiamo in una storia che ricostruisce la filosofia e l’essenza del prodotto. Siamo consapevoli che questa narrazione serve a creare valore sul prodotto rendendo i clienti consapevoli della qualità e della particolarità del nostro balsamico prima dell’acquisto e apprezzare meglio cosa ci si porta a casa.
Perché avete scelto di collaborare anche con altre realtà del made in Italy?
L’intento è quello di far dialogare il balsamico con altri prodotti, dando vita a delle suggestioni e superando gli ormai consueti accostamenti, guardando a una dinamica diversa, più moderna. Così è nato ad esempio uno speciale vermouth che affina nelle nostre botti antiche e che utilizziamo in mixology come base per cocktail originali. Siamo consapevoli che il nostro brand è legato al balsamico ed è quello che puntiamo a vendere, anche se il catalogo si è ampliato e stiamo pensando a nuove proposte. Abbiamo realizzato dei cioccolatini
affinati in botte e un gelato ottenuto da infusione di acqua con pezzi di botti antiche, ma si tratta soprattutto di sperimentazioni, un modo per alimentare e narrare la nostra storia, senza una precisa finalità commerciale.
Quanto conta oggi potersi presentare come una specialità del made in Italy?
Il nostro vantaggio è stato per un tempo quello di rappresentare il marchio più antico a cui si unisce oggi quello di essere il più moderno e più desiderabile. Per quello che riguarda il prodotto in realtà è rimasto lo stesso, migliorando ulteriormente in qualità, poiché tendiamo a prestare crescente attenzione a ogni dettaglio, a partire dalle tecniche di invecchiamento. Per sostenere questa qualità e far fronte
all’aumento dei costi abbiamo agito nella direzione di un lieve rialzo dei prezzi e ampliando la produzione. Oggi Giusti è andata oltre il concetto di artigiani che sanno far bene il proprio lavoro per proporsi come un’azienda che scommette sulle professionalità, sui talenti e investe sulla formazione e la crescita del proprio team.
Chi sono i vostri enologi?
Sono i nostri maestri acetieri, tra cui noi di famiglia. Non abbiamo enologi esterni, ci fidiamo dei nostri esperti e formiamo al proposito il nostro personale. C’è bisogno di fare grande attenzione al prodotto, correggere i difetti fino a renderlo sempre più buono. Siamo sempre noi a decidere la strada da intraprendere, sul mercato così come nell’acetaia..
Storico gruppo modenese, Caffè L’Antico vuole portare l’industria 4.0
nella torrefazione e consolidare la sua presenza all’estero
di Andrea Salvadori
Ricavi in costante crescita e un profilo sempre più internazionale. Caffè L’Antico guarda al futuro con ottimismo anche grazie ad un piano di investimenti che ha permesso alla storica torrefazione modenese di presidiare il mercato con impianti produttivi all’avanguardia e con tante novità di prodotto posizionate nella fascia alta dell’offerta.
Le origini del gruppo risalgono ai primi decenni nel 1900, quando Ambrogio Cagliari divenne un esperto di caffè prima in Brasile e poi in Francia, dove a Bordeaux fondò la sua prima torrefazione. Il figlio Francesco, tornato in Italia, continuò con successo la tradizione di famiglia e diede i natali alla torrefazione San Paulo di Modena. Oggi al vertice di Caffè L’Antico siede Dante, nipote del capostipite e
terza generazione della famiglia, che ha preso le redini dell’azienda (oggi condotta insieme alla figlia Gabriella) dopo aver completato gli studi in Economia e commercio con una tesi di laurea naturalmente sul caffè. Oggi, proseguendo il percorso, è anche docente universitario presso la facoltà di Merceologia dell’Università di Bologna.
“Negli ultimi cinque anni, il giro d’affari di Caffè L’Antico è aumentato in media di circa il 10% all’anno, con un piccolo rallentamento nel periodo del Covid. Attualmente il fatturato ha raggiunto i 10 milioni di euro, mentre la produzione ha superato le mille tonnellate di caffè torrefatto, sempre su base annuale”, spiega il patron. “La marginalità, invece, è in diminuzione nel comparto Horeca, a causa degli importanti aumenti dei costi della logistica, ed è rimasta sostanzialmente stabile nel settore retail”. Negli ultimi anni il peso dell’export per Caffè L’Antico è andato via via aumentando e oggi rappresenta quasi l’80% del fatturato. “I mercati più importanti attualmente sono Germania, Grecia, Serbia, Montenegro, Repubblica Ceca, Polonia e Arabia Saudita. Recentemente stiamo intrattenendo nuove relazioni commerciali con clienti in Corea del Sud, Giappone, Stati Uniti e in diverse aree dell’Africa Settentrionale. Tutte partnership che stanno già dando i loro frutti. Oggi Caffè L’Antico produce e distribuisce così le proprie miscele di caffè di alta qualità in 48 paesi nel mondo”. Cuore dell’azienda, il sito produttivo è situato a due passi dal centro di Modena: è qui che le diverse qualità di caffè importate dai paesi di origine vengono accuratamente selezionate per essere poi torrefatte lentamente in 18 minuti secondo l’antica tradizione, con un processo di raffreddamento ad aria e il non riciclo dei fumi, per poter ottenere la massima qualità. La sede di rappresentanza è invece la villa
Montecuccoli degli Erri, una delle più importanti residenze storiche della zona. Edificata nel 1490 e appartenuta dal 1600 al 1800 alla nobile casata dei Montecuccoli, oggi è di proprietà della famiglia Cagliari.
Nel 2015 il gruppo ha inaugurato una seconda torrefazione in India, la Seven Beans Coffee Company. Un progetto realizzato in partnership con la famiglia Shetty, proprietaria di sconfinate piantagioni di caffè arabica e robusta nella regione di Bangalore, un sito di 15mila metri quadrati per la produzione in loco di caffè indiani con tecniche di torrefazione all’italiana, grazie al
L’EXPORT OGGI
RAPPRESENTA QUASI L’80%
DEL FATTURATO:
GERMANIA, GRECIA,
SERBIA, MONTENEGRO,
REPUBBLICA CECA, POLONIA
E ARABIA SAUDITA
quale il gruppo ha potuto estendere la distribuzione nel continente asiatico meridionale. Lato investimenti, è stato proprio Dante Cagliari a ripensare la torrefazione per rispondere alle nuove tendenze del mercato e ad investire, in particolare, in tecnologie più moderne “senza compromettere però mai la qualità artigianale del prodotto”, continua. “Il gruppo ha destinato risorse finanziarie per l’acquisto di nuove attrezzature per la produzione e il packaging in chiave Industria 4.0, al fine di migliorare i
flussi produttivi e renderli coerenti con le mutate dinamiche del settore. Grande attenzione è stata dedicata al miglioramento degli imballaggi per renderli sempre più efficienti dal punto di vista della riciclabilità. Il mercato, d’altronde, mostra chiari segnali di interesse nei confronti di confezionamenti sempre più green e Caffè L’Antico sta seguendo questa evoluzione con grande attenzione. Il settore Ricerca e sviluppo dell’azienda ha quindi concentrato i propri sforzi nel miglioramento delle tecniche di riciclo degli scarti di lavorazione”.
Caffè L’Antico opera sul mercato con l’omonimo brand ed è proprietario anche dei marchi San Paulo, Caffè degli Dei, Caffè Montecuccoli e, in India, Seven Beans. Tra le ultime novità, il lancio del blend
La Bottega dell’Antico, ottenuto da una bilanciata selezione delle migliori varietà di arabica e robusta provenienti da Sud Est Asiatico e Sud America. “Sono serviti anni per trovare l’esatto equilibrio ma ne è valsa la pena. Il risultato è una miscela con una lunga persistenza al palato e con note che nell’arco di pochi secondi variano dal floreale all’agrumato, per poi virare al passito, al cioccolato e alla frutta a guscio. Caffè L’Antico (il cui staff è composto da circa 35 persone tra dipendenti e collaboratori) distribuisce i propri prodotti per il 70% circa nel settore Horeca e per il restante 30% nel retail con una quota nella grande distribuzione organizzata poco rilevante. D’altronde, “i prodotti a marchio Caffè L’Antico sono percepiti dal mercato come tipicamente di fascia alta. Il nostro cliente di riferimento ricerca l’eccellenza, è sensibile alla provenienza della materia prima e apprezza la nostra grande esperienza nel settore della torrefazione. Non possiamo permetterci di deluderlo e per questo siamo ‘costretti’ a tendere sempre all’eccellenza”. .
alle porte di Modena e per cinque generazioni
ha unito la passione alla
La storia della famiglia Malpighi inizia nel 1850, quando Pietro Malpighi trasmette al figlio Augusto una preziosa eredità: la ricetta per produrre l’Aceto Balsamico tradizionale di Modena. Di mano in mano, per cinque generazioni, la ricetta ha unito la passione e il rispetto di una forte tradizione che per lungo tempo è stata condotta fino ai giorni nostri. Ne abbiamo parlato con Massimo Malpighi, quinta generazione, dal Duemila alla guida dell’azienda. Tradizione, passione e intuizione sono le qualità che hanno portato il brand ad affermarsi come uno dei principali produttori di settore. Massimo lavora da anni alla tutela del vero aceto balsamico di Modena Igp e di quello Dop. Dal Giappone agli Emirati Arabi, Acetaia Malpighi esporta oggi il 70% della sua produzione e custodisce oltre 3 mila botti dove
OGGI L’AZIENDA CUSTODISCE
OLTRE TREMILA BOTTI
DOVE IL PRODOTTO
MATURA E RIPOSA.
ESPORTA IL 70%
DELLA SUA PRODUZIONE
DAL GIAPPONE
AGLI EMIRATI ARABI
riposa e matura lentamente il vero tesoro di questa terra. Un elisir, così lo descrive Massimo, che nel dopoguerra veniva dato come ricostituente nelle farmacie essendo ricco di sali minerali. Personaggi illustri venivano a curarsi nel Modenese utilizzando l’aceto balsamico come medicina per i mali di stomaco in quanto ricco di polifenoli, di antociani, di carotenoidi e di acidi batteri, che essendo aerobici, aiutano nella digestione e a ristabilire l’equilibrio intestinale. Ma dove nasce l’aceto balsamico Malpighi? L’azienda agricola Tenuta del Cigno, di proprietà della famiglia, si trova alle porte di Modena, è qui che hanno sede le antiche acetaie. Oltre venti ettari di terreno fanno da cornice a un’oasi di quiete punteggiata da alberi secolari. Ed è proprio qui, che da oltre 20 anni, l’azienda organizza e propone esperienze dirette di conoscenza dell’aceto balsamico tradizionale di
Modena Dop. Un percorso dove i visitatori, accompagnati da una guida, possono toccare con mano le antiche acetaie e comprendere le diverse fasi dell’invecchiamento del prodotto.
Una storia con origini lontane quella della vostra attività, cosa rimane dell’azienda di allora?
Oltre alle botti, che sono il patrimonio delle acetaie, è rimasta la tradizione e la metodologia produttiva. Ho trasformato un hobby di famiglia in un vero e proprio lavoro. Ho costruito da zero il business.
Perchè ha scelto di investire in questo “tesoro di famiglia”?
Nelle mie vene oltre al sangue scorre aceto, sono nato in questa realtà. Era un hobby che coinvolgeva una parte importante della quotidianità, dalla raccolta dell’uva al travaso, da una botte all’altra. In concomitanza con il mio percorso di studio, ho analizzato e studiato molte aziende, sono partito da qui.
Recentemente sono state approvate delle nuove norme, più dure, a difesa del made in Italy. Quanto è importante per voi questa tutela?
La vera grande problematica che riscontriamo non è tanto far
conoscere il prodotto, quanto le imitazioni e la poca forza che il nostro Paese ha per tutelare le proprie eccellenze. I numeri delle imitazioni sono molto elevati. Un dato preoccupante ci dice che il balsamico più venduto e utilizzato negli Stati Uniti è il Balsamic Vinegar prodotto in Spagna. Se non ci fossero in vendita le imitazioni, l’indotto di questo prodotto, che è di circa 1,2 miliardi, crescerebbe di un ulteriore miliardo. Noi nel nostro settore siamo riusciti a fermare qualche produzione a Cipro, in Slovenia e in Germania. È una battaglia difficile.
Dallo scorso anno c’è anche una app per le ricette con l’aceto balsamico: come funziona? Si chiama My Malpighi e ti dà l’opportunità, attraverso i nostri prodotti e più di 180 ricette, di poter giocare in cucina. Siamo stati i primi a pensarla. Puoi ricevere dei consigli d’uso e delle idee per nuove ricette. Ora stiamo valutando la possibilità di ampliarne le lingue disponibili, stiamo già preparando tre versioni: in cinese, in tedesco e in francese. È stata pensata come un ponte per rafforzare sempre più il rapporto tra il consumatore e i nostri prodotti.
Da poco avete lanciato un nuovo formato Igp mini da 100 ml, perché?
Questa scelta, fatta in primis dal consorzio dell’aceto balsamico di Modena Igp, ci permette di avere un costo leggermente più competitivo e così capire se è il prodotto giusto sul quale ti puoi finalizzare. Tante volte il prezzo non è neanche una barriera, noi abbiamo degli aceti che arrivano anche a 400 euro a bottiglia. Prodotti che hanno degli invecchiamenti molto importanti e che maturano nelle botti dei legni più antichi per lunghissimo tempo.
Sono clienti italiani o internazionali quelli che acquistano pezzi così importanti?
Di solito sono bottiglie di serie limitate, destinate a privati già affezionati al nostro brand. Il 70% degli acquirenti viene dall’estero, di cui una buona parte tra Cina, Giappone, Sud-Est Asiatico e anche ovviamente Emirati Arabi.
Cosa vi aspettate dal futuro?
Senza dubbio la continuità di quello che negli ultimi anni abbiamo fatto. Insomma una crescita aziendale che ponga al centro la cultura..
USA & CANADA
Nei paesi occidentali, all’inizio e alla fine di un incontro, è bene stabilire un intenso contatto visivo e offrire una salda stretta di mano.
IL 93% DELLA COMUNICAZIONE
CHE INTRATTENIAMO
È DI NATURA NON VERBALE.
VENEZUELA
REGNO UNITO
Toccarsi il naso indica che ciò che sta per essere discusso è privato e confidenziale.
Il gesto della mano ‘ok’ è considerato scortese.
GHANA
Salutate sempre le persone da destra a sinistra, con la mano destra.
BRASILE & ARGENTINA
È consuetudine stare molto vicini e usare molto contatto fisico mentre si parla.
In che modo bisogna salutare? Quanto conta la puntualità? In quali occasioni è opportuno presentarsi con un regalo? Dipende dalla nazione in cui ci troviamo. Preply in questa mappa rivela le abitudini più importanti da tenere in considerazione quando si fanno affari in tutto il mondo.
FINLANDIA
Le riunioni in sauna non sono rare. Si ritiene che l’ambiente caldo stimoli la creatività e favorisca discussioni più schiette.
REPUBBLICA CECA
Evitate le riunioni del venerdì, poichè molti uomini d’affari amano organizzare la gita fuori porta durante il fine settimana.
ITALIA
Non è raro che gli italiani si presentino in ritardo alle riunioni o che queste si protraggano più del dovuto.
IRAN
Non date il pollice in su perché il significato è un insulto indecoroso e offensivo.
Si portano regali quando ci si presenta a una riunione di lavoro. Tuttavia, i regali possono essere rifiutati fino a tre volte prima di essere accettati.
EAU
Mangiate, stringete la mano e passate i documenti con la mano destra per evitare di insultare gli altri.
VIETNAM
Evitate di incrociare le dita, perchè viene usato per simboleggiare una parte dell’anatomia femminile.
GIAPPONE
Nel mondo degli affari, il silenzio è più importante dell’eccessivo parlare.
TAIWAN
Scambiate i biglietti da visita con entrambe le mani, rivolte verso il destinatario, per mostrare rispetto.
SUDAFRICA
Ci si aspetta che salutiate tutti i presenti individualmente, anche se il gruppo è numeroso.
I competitor stranieri hanno messo in crisi i distretti industriali a basso valore aggiunto, ma il modello tiene. Parola di Marco Fortis
di Fulvio di Giuseppe
“Il modello è valido e il vero elemento dirimente è il prodotto: se un mestiere funziona, all’interno del distretto funziona meglio”. Marco Fortis ne è sicuro: il bilancio dei distretti, per il docente di Economia industriale e commercio estero della Cattolica di Milano e vice presidente della fondazione Edison, è positivo. E le sue considerazioni, da specialista autore di numerosi saggi, sono avvalorate dai numeri: il fatturato delle imprese nei distretti industriali è cresciuto dello 0,08% nel 2023, in aumento di oltre il 20% rispetto al 2019. E si prevede che nel 2024 crescerà dell’1,1% e del 2% nel 2025. Dati e tendenze che emergono dall’ultimo rapporto realizzato dalla direzione studi e ricerca di Intesa Sanpaolo, che ha analizzato i bilanci di circa 20.800 imprese dei distretti industriali. Ma l’analisi non può
limitarsi prettamente all’aspetto numerico. “L’elemento principale da sottolineare nell’analisi dei distretti industriali”, evidenzia Fortis, “è che il modello ha sofferto a inizio del nuovo millennio nei settori che lavorano in segmenti a basso valore aggiunto. E questo perché dobbiamo tenere conto anche della pressione esercitata dalla globalizzazione che ha portato all’emersione di nuovi competitor come la Cina”.
Sono stati numerosi, infatti, i settori influenzati dalla presenza di nuovi concorrenti. “Tra quelli più colpiti ci sono il distretto delle sedie friulano, che ha visto dimezzato in un anno il proprio mercato, così come ha subito un contraccolpo il calzaturiero in Puglia, mentre il tessile è stato delocalizzato in Romania per abbassare i costi di produzione. A queste difficoltà, però, si è contrapposta una novità
Distretto delle sedie (Friuli-Venezia Giulia)
Calzaturiero (Puglia)
Tessile (Puglia)
degli ultimi anni: dove l’Italia operava in settori meno aggredibili, il distretto è rimasto valido e ha permesso integrazioni”. E, anche in questo caso, i dati offrono un quadro preciso: le imprese dei distretti industriali, infatti, hanno registrato performance positive superiori a quelle delle imprese non distrettuali e spiccano i distretti specializzati nella meccanica e nell’agroalimentare, con una crescita dell’export del 7,9% e del 4,5%. Con un evidente segno positivo anche gli investimenti delle imprese distrettuali per potenziare i processi produttivi e l’autoproduzione di energia. “Il vero valore intrinseco”, rimarca Fortis, “è il valore dell’impresa che sta dentro il distretto. E all’interno si crea una vera e propria gemmazione, con numerosi esempi virtuosi e vincenti. Penso, ad esempio al caso del distretto delle macchine da imballaggio di Bologna, dove quattro aziende leader, ovvero Seragnoli, Ima, Marchesini e Sacmi, sono nate nel distretto, si sono fortificate e hanno trovato continuità soprattutto nel periodo post Covid. Hanno messo la componentistica all’interno del distretto e hanno fatto reshoring, scoprendo che dentro il distretto si stava meglio che fuori”.
Altro fenomeno di capacità di rinnovamento è legato al mondo della rubinetteria. Il distretto piemontese della rubinetteria è localizzato nelle quattro province di Novara, Vercelli, Verbano-CusioOssola e Biella. Nel 2021 contava 96 imprese con almeno 3 milioni di euro di fatturato. Il fatturato aggregato di tali 96 imprese è stato nel 2021 di circa 2,5 miliardi di euro, pari al 20% circa del fatturato totale nazionale del settore rubinetti e valvole. “Si temeva lo shock del mercato per la copiatura made in Cina, ma il distretto piemontese è riuscito a riposizionarsi nella rubinetteria su un segmento di valore aggiunto e nel valvolame hanno costruito sistemi complessi con la progettazione di impianti idro-termosanitari e domotica”. E per formare manodopera specializzata, quattro delle principali imprese, dopo l’investimento tecnologico hanno deciso di aprire un’Academy di formazione. Il progetto è nato grazie all’intuizione della Giacomo Cimberio, Carlo Nobili Rubinetterie, Giacomini e Fratelli Pettinaroli: hanno
LA PACKAGING VALLEY EMILIANA SI TROVA
TRA BOLOGNA E REGGIO EMILIA.
LE AZIENDE SERAGNOLI, IMA, MARCHESINI E SACMI
HANNO FATTO RESHORING, SCOPRENDO CHE NEL DISTRETTO
SI STAVA MEGLIO CHE FUORI. FORTIS: “ALL’INTERNO
SI CREA UNA GEMMAZIONE, CON ESEMPI VIRTUOSI E VINCENTI. IL VALORE
SONO LE IMPRESE”
Gli esempi di distretti e imprese che continuano a crescere sono presenti in tutta Italia. Un caso positivo, ad esempio, è Loro Piana (nelle foto): la sua attività tessile è rimasta in Italia. O ancora, il distretto di Pordenone e Treviso nel legno-mobile, una realtà che coinvolge trentamila persone. E ancora, Sassuolo resta la capitale mondiale delle piastrelle e ceramiche. E nonostante le tante difficoltà e i timori, Biella non è scomparsa, Prato non è scomparsa.
costituito un polo formativo per rispondere all’esigenza di competenze professionali evolute che tutte le aziende del distretto segnalavano da tempo. “Uno dei problemi, infatti”, continua Fortis, “è che manca personale qualificato e probabilmente andrebbero anche creati dei licei tecnici. Eppure queste imprese hanno fatto squadra e superato la diffidenza che esiste in quanto competitor. Quando sono problematiche comuni, si fa squadra e si ottiene la soluzione”. Con effetti incredibili: “Hanno formato 50 persone che sono state occupate il giorno dopo la fine del corso. Quest’anno ne
ATTENZIONE ALL’AMBIENTE, CON LA TRANSIZIONE
GREEN, ALLA TECNOLOGIA E ALLE COMPETENZE: LA FORMAZIONE DI
hanno 250 nell’Academy”. Il distretto aiuta pertanto a sviluppare un ambiente ideale che può prosperare anche in settori delicati. Con delle punte di eccellenza che ci vengono riconosciute in tutto il mondo. “Nel settore della rubinetteria, ad esempio, siamo invidiati in tutto il mondo. L’Italia consuma mezzo milione di tonnellate all’anno di barre di ottone mentre per dire, in Germania sono 100mila. Grazie anche a questa filiera di barra siamo riusciti a creare il distretto made in Italy”.
MANODOPERA QUALIFICATA
DIVIENE FONDAMENTALE PER ASSICURARE UN ULTERIORE SALTO DI QUALITÀ AL MODELLO DEI
DISTRETTI INDUSTRIALI
Ma di eccellenze e casi emblematici di capacità di rinnovarsi, la nostra nazione è ricca. “È questione di metodo e
di modello vincente. Gli esempi di distretti e imprese che continuano a crescere sono presenti in tutta Italia. Un caso positivo, ad esempio, è Loro Piana: la sua attività tessile è rimasta in Italia. O ancora, il distretto di Pordenone e Treviso nel legno-mobile, una realtà che coinvolge trentamila persone. E ancora, Sassuolo resta la capitale mondiale delle piastrelle e ceramiche. E nonostante le tante difficoltà e i timori, Biella non è scomparsa, Prato non è scomparsa. E potrei continuare per ore a elencare modelli positivi”.
Perché le imprese distrettuali sono sempre più in crescita e guardano al futuro con alcune priorità: la sempre maggiore attenzione all’ambiente, con una transizione green e, al contempo, un’attenzione maniacale per tecnologia e competenze. La formazione di manodopera qualificata, come già evidenziato, diviene
fondamentale per assicurare un ulteriore salto di qualità al modello dei distretti industriali. E in questo caso, la presenza e l’intervento delle istituzioni potrebbe agevolare e incentivare: “Le Istituzioni possono avere due approcci: creare delle politiche ad hoc per i distretti, ma il bilancio finora è magro e, nonostante i tanti proclami e gli investimenti annunciati, gli interventi targati Industria 4.0 non hanno reso quanto dovuto. Oppure, l’alternativa è quella di migliorare tutti assieme, con le imprese impegnate anche nello sviluppo attraverso servizi post vendita e proponendo quella che Giacomo Becattini definisce la coopetizione, una strategia di business che coniuga le caratteristiche di competizione e cooperazione”. Il distretto industriale come un input per (auto)rigenerarsi e puntare sempre all’eccellenza. Consapevoli che il “bilancio è positivo”, conclude Fortis. “E che il fattore determinante non è il modello, ma se il mestiere è ancora vitale”. .
Nonostante le difficoltà del contesto geopolitico, le aziende continuano a investire: la ricerca di EY racconta dove e in che modo
Le imprese italiane stanno rispondendo al difficile scenario geopolitico attuale, segnato da spinte inflattive e un contesto internazionale instabile a causa dei conflitti russo-ucraino e israelo-palestinese. E continuano a investire per essere preparate ad affrontare le sfide poste dai mercati globali: nell’innovazione, nella sostenibilità ambientale e sociale, nelle attività di ricerca e sviluppo. A metterlo in luce è una ricerca realizzata da EY Private in collaborazione con l’istituto Swg che ha coinvolto un doppio campione: da un lato gli imprenditori italiani di più di 60 aziende, dall’altro la popolazione con oltre mille soggetti interpellati. Il tutto con l’obiettivo di fare luce su sfide, strategie e prospettive future dell’imprenditoria italiana.
IL 76% DELLE IMPRESE PREVEDE UNA CRESCITA DEL BUSINESS NEI PROSSIMI CINQUE ANNI. IL 99% VUOLE
FARE INVESTIMENTI IN SOSTENIBILITÀ AMBIENTALE, ECONOMICA E SOCIALE, MA ANCHE NEL RINNOVO DI TECNOLOGIE E MACCHINARI
Nonostante il 66% del campione abbia dovuto modificare di recente le strategie di approvvigionamento delle materie prime e il 50% quelle per le risorse energetiche, il 76% delle aziende intervistate prevede una crescita del business nel prossimo quinquennio. Gli imprenditori italiani non stanno operando solo in difesa, limitandosi a far fronte alle
difficoltà del periodo, ma stanno anche pianificando investimenti strategici per il futuro. La quasi totalità delle imprese (il 99%) intende infatti investire nel prossimo biennio, in particolare per la sostenibilità ambientale, economica e sociale (96%), per il rinnovo delle tecnologie di produzione e dei macchinari (93%), e per la progettazione di nuovi prodotti con un focus, dunque, sulla ricerca e sviluppo (88%). Tra le aree di attenzione non mancano le tecnologie basate sull’intelligenza artificiale, la cui implementazione figura, infatti, tra i programmi del 75% del campione, ulteriore segno dell’impegno della nostra imprenditoria verso l’innovazione.
Dall’analisi emerge poi l’importanza che la nostra imprenditoria riserva al capitale umano. Il 91% del campione dice di prevedere
di investire sul personale nei prossimi due anni con l’obiettivo di aumentarne le competenze (84%), trattenere i talenti (83%) e garantire la soddisfazione dei lavoratori (80%). Formazione e reskilling del personale attualmente in organico è la via indicata dal 49% degli imprenditori per affrontare le sfide tecnologiche e di innovazione. Il 21% invece si dichiara pronto a cercare nuove risorse e competenze nel mercato. Il problema rimane il mismatch tra domanda e offerta di lavoro qualificato, uno dei talloni di Achille del sistema economico italiano: oltre l’84% delle aziende segnala difficoltà nella ricerca di personale adeguatamente
formato. Se la fiducia nel tessuto imprenditoriale italiano è elevata, con il 79% degli intervistati che crede nella capacità delle aziende di innovarsi e il 59% nella loro competitività a livello globale, quello che latita è l’affidamento sul sistema Italia considerato nel suo complesso.
Qual è invece l’immagine che i cittadini hanno delle nostre imprese? Innanzitutto, la ricerca mette in luce la consapevolezza che i nostri connazionali hanno sull’importante ruolo che le piccole e medie aziende italiane giocano nel tessuto economico e sociale del Paese. L’80% degli italiani riconosce difatti alle Pmi un impatto positivo sulla società e l’85% le considera il motore principale dell’economia nazionale, con un ruolo più importante, dunque, rispetto a
Investimenti sul personale nei prossimi due anni
quello delle grandi imprese e delle multinazionali.
Inoltre, il 37% degli intervistati apprezza la propensione delle imprese italiane all’innovazione, mentre il 33% riconosce la loro capacità di essere competitivi sui mercati internazionali. Percentuali che sorprendono considerando l’attuale contesto economico
nazionale, di certo non brillante. E infatti solo il 17% del campione esprime un’opinione positiva sull’attuale situazione dell’Italia. Secondo gli italiani, i nostri imprenditori italiani rappresentano oggi delle figure chiave nella promozione dell’innovazione (64%) e nella creazione di nuovi posti di lavoro (56%), ma dovrebbero però prestare maggiore attenzione alla responsabilità sociale d’impresa e ai bisogni della comunità (56%).
Non stupisce dunque che, guardando al futuro, gli interpellati auspicano che gli imprenditori diventino ancora più protagonisti nel proprio contesto sociale con un occhio di riguardo verso i propri dipendenti, considerati un investimento fondamentale per il 60% dei rispondenti. Passione e dedizione (37%), visione e creatività (46%) e la capacità di circondarsi di persone competenti (39%) sono
quindi state identificate come le caratteristiche principali per un imprenditore di successo. Ad ogni modo, complessivamente gli italiani hanno molta fiducia nell’imprenditoria nazionale: gli aspetti più apprezzati sono l’impegno verso la sostenibilità sociale, economica e ambientale. Il 36% della forza lavoro desidera tra l’altro operare in aziende con un forte impegno proprio in queste aree. Nella scelta degli acquisti da effettuare, gli italiani mostrano infine di avere un forte attaccamento al made in Italy, in particolare modo nei comparti del food&beverage (per il 47% del campione), di abbigliamento e accessori (37%) e design (36%), con un apprezzamento dunque per lo stile e il gusto italiano, anche in fatto di automobili e moto (34%). .
Connettere brand e ambassador selezionati: secondo Golden Sabre il futuro dei social dipenderà soprattutto dai microinfluencer
di Raffaella Galamini
E ANCHE MOLTI BALLERINI:
L’AGENZIA HA DA POCO
CHIUSO UNA PARTNERSHIP
Dalle grandi aziende del fashion e del lusso al mondo dello sport. Nella vita professionale di Cristina Lodi c’è un prima e un dopo l’incontro con Aldo Montano, il campione olimpico di scherma di cui è diventata manager. Un cambio di passo che l’ha portata a ingaggiare anche altri talenti sportivi. Poi, nel 2017, è arrivato l’incontro con Ignazio Moser, figlio del grande campione del ciclismo, del quale ha cominciato a gestire la carriera. Una collaborazione che nel 2020 si è trasformata nella Golden Sabre Agency. Un progetto messo in piedi dall’imprenditrice e manager Cristina Lodi insieme appunto a Ignazio Moser, Aldo Montano e all’ex calciatore Nicola Ventola. Una squadra di campioni a caccia di talenti. Oggi l’agenzia di sport e celebrity management
CON LA NAIMA
ACADEMY DI GENOVA
PER GESTIRE L’IMMAGINE
DEI GIOVANI
DEL CENTRO
DI FORMAZIONE
segue progetti di influencer marketing con personaggi famosi, sportivi, influencer e ballerini. A raccontare gli impegni e gli obiettivi del team è proprio Cristina Lodi, direttrice e co-fondatrice.
Come si è passati dal ‘modello Ferragni’ a quello dei microinfluencer?
I microinfluencer sono spesso ritenuti più genuini rispetto agli influencer più grandi, poiché hanno un seguito più piccolo e spesso più focalizzato su un determinato argomento, su una nicchia. Per questo
motivo i follower tendono a percepirli come più autorevoli e credibili quando consigliano prodotti o servizi. Questo approccio consente ai brand di raggiungere segmenti di mercato più mirati e di avere un impatto più significativo su dei pubblici specifici, che potrebbero essere più interessati ai loro prodotti o ai loro servizi. Oggi gli utenti vogliono accedere a contenuti autentici e originali, non solamente patinati o completamente pubblicitari. Dopo la ‘sbornia iniziale’ dei primi anni di vita dei social network, il pubblico oggi preferisce essere ispirato da personaggi con delle competenze reali nel settore di provenienza.
Voi connettete i brand con gli influencer. Quali sono le ricadute a livello di marketing e le nuove
prospettive che si aprono per il mercato?
Noi di Golden Sabre ci concentriamo da sempre su ricerca e selezione di talenti, che si distinguono per la qualità dei loro contenuti e per il loro coinvolgimento autentico con il pubblico. Scegliamo collaborazioni basate su interessi e valori condivisi tra l’influencer e il brand. Questo approccio favorisce la creazione di contenuti migliori e rilevanti per il pubblico di entrambi. Per noi è importante monitorare costantemente le tendenze del mercato e adattare le strategie di influencer marketing dei nostri clienti. Sperimentiamo nuovi formati di contenuto e nuove piattaforme per rimanere all’avanguardia nel settore. La principale attività di Golden Sabre è proprio quella di connettere i brand con queste figure dal talento autentico e non generalista. È quello che abbiamo iniziato a fare fin dai primi anni di attività, puntando per esempio su Ignazio Moser, quando non era ancora un personaggio televisivo.
Inclusività e trasversalità sono parole chiave del nostro operato: puntiamo su profili che siano unici e che abbiano storie vere da raccontare. Il futuro dei social network è nella qualità e nella competenza.
Perché la vostra agenzia segue molti personaggi dello sport e della danza?
I talenti nel nostro team sono personaggi provenienti dal mondo dello sport come Ignazio Moser, ex ciclista professionista, figlio d’arte del leggendario Francesco e ora personaggio televisivo. Oppure Manuel Bortuzzo, nuotatore triestino vittima innocente di una sparatoria, costretto dal 2019 su una sedia a rotelle; o ancora Vanessa Villa, ex karateka e creatrice del rivoluzionario metodo Fightgently. Vi sono anche Megan Ria e Maddalena Svevi, ballerine
di talento della Experience Dance Company, percorso di formazione professionale di Naima Academy, già protagoniste di Amici di Maria De Filippi nel 2022 e nel 2023 e in gara a Pechino Express 2024. Poi c’è Nicholas Borgogna, talento del ballo appena uscito da Amici, proveniente anche lui dalle fila di Naima Academy. E proprio con la Naima Academy di Genova abbiamo recentemente chiuso un’importante partnership per gestire l’immagine dei talenti del centro di formazione artistica genovese. Nella squadra della Golden Sabre Agency non mancano personaggi televisivi molto amati come Katia Pedrotti, Ascanio Pacelli o Serena Garitta, oltre a sport influencer come Elisa Scarlatta ed Evelyn Lamberto. Gli sportivi e i ballerini hanno spesso un forte impatto sui social grazie alla loro capacità di ispirare, motivare e intrattenere il pubblico. Il loro successo nel raggiungere gli obiettivi imprenditoriali dipende da una combinazione di talento, impegno e strategia di marketing digitale.
Quanto gli influencer possono diventare un modello di riferimento per i giovani?
Gli influencer che mostrano talento, competenza e valori positivi possono ispirare i giovani a perseguire i propri sogni e a sviluppare le proprie abilità. Fungono da esempi tangibili di ciò che è possibile raggiungere con dedizione, impegno e passione. Seguire influencer che trasmettono valori positivi e incoraggiano l’autenticità può aiutare i giovani a sviluppare autostima e fiducia in se stessi. Il ruolo degli influencer come modelli di riferimento può avere un impatto significativo sulle giovani generazioni, contribuendo a plasmare comportamenti e aspirazioni e far sì che possano avere effetti positivi sulla società..
L’importanza cruciale di una people strategy: Giusy Affatato, professionista nella gestione dei dipendenti, punta sul capitale umano per migliorare performance e risultati
di Raffaella Galamini
Nelle aziende di successo, spesso sono le persone che la compongono a fare la differenza. Il valore apportato dalle risorse umane è un aspetto apprezzato soprattutto nelle imprese più lungimiranti. La capacità di attrarre e coinvolgere i giusti profili professionali per lo sviluppo del business, l’abilità di valorizzarne il talento e le competenze e soprattutto l’attitudine a fidelizzarli, sono aspetti centrali all’interno di una efficace business strategy. Il capitale umano e gli obiettivi aziendali vanno di pari passo e investire sui dipendenti significa assicurare all’impresa le competenze necessarie per la strada verso il successo. “Attraverso una people strategy calibrata nel contesto aziendale di riferimento, si possono migliorare i risultati e le
performance di tutte le aree proprio attraverso le persone”, assicura Giusy Affatato, professionista nella gestione del personale grazie alle esperienze maturate nel corso di un’attività ventennale. Un bagaglio di competenze che le ha consentito di mettere a punto un vero e proprio modello, che oggi mette a disposizione anche degli altri imprenditori in outsourcing. Affatato ha fatto tesoro dell’esperienza al fianco del fratello, in un progetto imprenditoriale per l’apertura di nuovi supermercati operanti nell’ambito della Gdo. “All’inizio della mia carriera, nel 2007, ero focalizzata sulla gestione d’impresa solo nell’ambito amministrativocontabile, pensando che fosse il fulcro dell’attività”. Poi, grazie a un master, promosso dalla cooperativa Pac 2000, la realtà più rappresentativa del Consorzio nazionale Conad, ha preso consapevolezza della gestione d’impresa in tutto il suo insieme e nella sua complessità.
“Nell’azienda, infatti, sono presenti diverse aree. Ho iniziato a porre l’attenzione su come sono collegate tra di loro e sulle caratteristiche della loro interconnessione. È emersa chiaramente la centralità e la fondamentale importanza delle risorse umane per il raggiungimento delle migliori performance. Quell’area, se ben gestita, avrebbe fatto la differenza e nel contempo avrebbe permesso di migliorare la performance di tutto il resto dell’impresa”, sottolinea Affatato. “La crescita personale è stata fondamentale per quella professionale. Ciò mi ha permesso di essere innovativa nella mia azienda e portare conoscenza all’interno del team per migliorarci ed essere unici sul mercato di riferimento. Ho creato un team di 170 persone entusiaste e felici di lavorare con una cultura aziendale del rispetto al lavoro dove tutti si sentono gratificati”.
Forte di questa esperienza, ecco quindi farsi strada l’idea di calare di volta in volta il modello organizzativo più appropriato al contesto aziendale attraverso una strategia su misura. “Ho così sviluppato un modello che consentisse di raggiungere gli obiettivi puntando sul più ampio coinvolgimento possibile delle risorse umane. Ho capito l’importanza di avere delle persone che si sentissero coinvolte, che fossero alleate in questa impresa”. Ma il valore aggiunto che Affatato porta
ANCHE A TERZI, IN QUALITÀ DI DIRETTRICE IN OUTSOURCING
nell’organizzazione di un’azienda non si limita agli aspetti organizzati e strategici. Fondamentale è il ruolo svolto per costruire una cultura imprenditoriale e individuare valori e punti di riferimento chiamati a guidarne l’attività. “La mia unicità sta quindi nella capacità di creare un ambiente lavorativo sano e sereno attraverso una people strategy che punta a rendere le persone affidabili, creando un clima positivo che si trasforma in un vantaggio per gli affari”, assicura. Una volta messo a punto il modello, Affatato ha ritenuto opportuno condividerlo con altri
imprenditori attraverso l’outsourcing, “senza appesantirne l’organizzazione con i costi fissi di un direttore del personale a busta paga”. Il primo fondamentale passaggio, per ottenere i risultati sperati, da una parte è puntare sullo spirito di squadra e dall’altra sull’ascolto. “Dopo aver conosciuto l’azienda, i valori e la cultura che vuole diffondere, gli aspetti più importanti del mio ruolo sono l’ascolto e la gestione delle persone. Se le persone non sono ben gestite, si crea un collo di bottiglia che rallenta il lavoro e lo rende meno efficiente. Da questo punto di vista, è importante curare la comunicazione e questo è possibile solo attraverso la diffusione della cultura aziendale” ribadisce. Quindi prestare attenzione alle esigenze e ai bisogni dell’imprenditore e dei suoi dipendenti “per creare un team che sia affiatato e collaborativo. Quello che mi distingue in maniera particolare è il sostegno che riesco a dare a chi fa impresa. Il fatto di propormi in outsourcing fa già parte di questa mia vicinanza a chi deve assumere, perché comprendo l’importanza di avere in azienda una figura come quella del direttore del personale, ma capisco anche che si tratta di un costo che non tutti possono sostenere per mantenere la propria organizzazione snella”.
Guidata dalla curiosità e dalla voglia di conoscere e approfondire ogni aspetto del suo lavoro, Affatato si è rivolta ai migliori formatori e ai coach più validi sul mercato. Così è riuscita a raggiungere gli obiettivi che si era prefissata. Se dovesse dare un consiglio a chi punta sulla people strategy, l’importante è “usare le proprie soft skills, fare leva su quelle dei collaboratori e usare l’empatia, perché si ha a che fare con le persone. Questo è indispensabile per raggiungere il benessere aziendale”. E per garantire il successo all’impresa..
Achillea e Pintaudi, due aziende del Polo del Gusto, stanno entrando in una nuova fase di sviluppo con progetti per prodotti e stabilimenti innovativi
di Rachele Di Stefano
Achillea e Pintaudi, le due aziende del Polo del Gusto, hanno registrato ottime performance nell’ultimo anno. Entrambe stanno entrando in una nuova fase di sviluppo, con progetti per nuovi prodotti e stabilimenti. Entrata a far parte del gruppo lo scorso aprile, Achillea, con sede a Paesana, in provincia di Cuneo, ha registrato nel 2023 un fatturato di 3 milioni di euro e guarda oggi alla crescita dell’export per una nuova fase di sviluppo. Dopo 10 anni di gestione come divisione del gruppo Ponti, nel 2023 è tornata sotto una gestione diretta e autonoma, guidata dall’amministratore delegato Fabrizio Molinari, che ha condotto una riorganizzazione aziendale. Fondata negli anni ‘80, è stata una delle primissime aziende italiane a scommettere su una produzione da ingredienti esclusivamente biologici. Oggi è una società benefit, la cui produzione, rigorosamente bio, si basa su principi di qualità e sostenibilità: ricetta corta, filiera controllata, packaging riciclabile, imballaggi ridotti al minimo, riuso degli scarti.
PIL GRUPPO
RIUNISCE MARCHE
D’ECCELLENZA
DEL SETTORE
AGROALIMENTARE
E DEL VINO
A SETTEMBRE 2023
È STATO LANCIATO
IL NUOVO RETAIL
BRAND DEL GRUPPO: INCANTALIA
intaudi, fondata da Giuseppe Pintaudi, è parte del Polo del Gusto dal 2022. L’azienda, che ha sede a Trieste ed è specializzata in prodotti da forno e per la prima colazione, ha annunciato un investimento di circa 2 milioni di euro per un nuovo stabilimento in zona industriale a Trieste, in un’area di circa 4mila metri quadrati, che permetterà di raddoppiare la capacità produttiva.
Sotto la guida del ceo Giacomo Biviano, Pintaudi prevede per il 2024 una crescita del fatturato di quasi il 35%, dopo avere chiuso il 2023 con ricavi per circa 1 milione.
Fondata nel 2019 e presieduta da Riccardo Illy, il Polo del Gusto è la holding che riunisce marche d’eccellenza del settore agroalimentare e del vino. Nel 2023 ha dichiarato un volume complessivo di ricavi aggregati pari a 114,6 milioni, con un incremento del +4% rispetto all’anno precedente. In un contesto che continua a essere caratterizzato dalle incertezze internazionali e dall’aumento dei prezzi che, come nel caso del cacao, ha raggiunto livelli mai visti prima, il Polo del Gusto ha confermato il suo andamento positivo per il terzo anno consecutivo. Per far fronte agli scenari macroeconomici e per ampliare la produzione, sono stati pianificati investimenti complessivi pari a 50 milioni di euro nel triennio 2023-2025. Questi investimenti coinvolgono gli stabilimenti di tre delle aziende della holding: Dammann Frères (con sede a Dreux, in Francia), Domori (a None) e Pintaudi (a Trieste). Tra i risultati dell’anno, va anche menzionato il lancio, a settembre 2023, del nuovo retail brand del gruppo inaugurato a Trieste: Incantalia. Destinata a diventare una rete di negozi in Italia e all’estero. Integrata con l’e-commerce, Incantalia riunisce tutte le marche del gruppo e una selezione di altre marche d’eccellenza..
NEGLI ANNI ’60
IL MARCHIO È ARRIVATO IN SUDAFRICA, DOVE È ANCORA MOLTO FORTE. OGGI È PRESENTE ANCHE IN FRANCIA, GERMANIA, SVIZZERA, BELGIO, EUROPA DELL’EST, STATI UNITI E PAESI ARABI
Scarpe fatte a mano di alta qualità. Arbiter accoglie
l’intervento delle macchine nei processi produttivi
soltanto dove non arriva la mano dell’uomo
di Matteo Marchetti
“Le scarpe di qualità sono fatte per le persone umili”. Una posizione che ribalta la visuale classica, che vuole il lusso riservato solamente ai più ricchi. In casa Arbiter la pensano diversamente e seguono le direttive del fondatore Alfonso Marciano, che a 17 anni, nel 1954, ha creato l’azienda da zero. Punta tutto sulla qualità, che trasforma le scarpe in un prodotto indistruttibile. Le calzature sono fatte interamente a mano, con taglio delle pelli e tinta realizzate dai calzolai specializzati. L’intervento delle macchine avviene solamente nei pochi passaggi che non può fare direttamente l’uomo. Si parte dalla ricerca di materie prime, si prosegue con un’attenzione maniacale ai dettagli, anche quelli che appaiono più insignificanti, e si conclude con l’esperienza degli artigiani, che sono il vero valore aggiunto dell’azienda.
Arbiter parte da Santa Maria a Vico e utilizza il territorio di Caserta come trampolino verso il mondo. Sin dagli esordi l’azienda ha avviato un processo di internazionalizzazione che non si è mai fermato e prosegue anche oggi. Eventi, fiere, meeting vedono sempre la realtà campana
in prima fila con l’obiettivo di creare un network che permetta di aprire le porte verso nuovi mercati. E dopo il momento di crisi provocato dal Covid, la situazione sta tornando alla normalità, dimostrando che quando si punta sulla qualità e si lavora in modo serio si possono ottenere eccellenti risultati imprenditoriali anche nel Sud Italia. Lo conferma Eleonora Annachiara De Lucia, terza generazione di Arbiter ed export manager dell’azienda. “Il nostro è un territorio ricco di cultura, arte e bellezza, ma nel quale a volte bisogna fare i conti con qualche difficoltà. Noi siamo fieri di lavorare nel Meridione, però in qualche occasione i clienti ci accolgono con un pizzico di freddezza nel momento in cui sanno da dove proveniamo. Così è necessario un po’ più di tempo per guadagnarsi la loro fiducia, ma il nostro è un prodotto che parla da sé e abbiamo un marchio di garanzia di serietà che ci permette di dormire tranquilli”.
Così già dagli anni ’60 Arbiter diventa punto di riferimento in Sudafrica, dove oggi è un brand fortissimo e molto conosciuto sul territorio. “Nasce tutto da un cliente italiano entusiasta del marchio che ha iniziato ad acquistare solamente i nostri prodotti”, spiega Anna Maria Marciano, figlia del fondatore e socia. Oltre al Sudafrica il marchio sfonda in Francia, Germania, Svizzera, Belgio e Europa dell’est, ma anche negli Stati Uniti e nei Paesi Arabi. Ci sono personaggi famosi che si propongono come testimonial a livello internazionale, ma facendo prodotti di lusso e producendoli a mano non si possono soddisfare quantitativi enormi. “La nostra arma in più è l’unità famigliare: sei fratelli che lavorano fianco a fianco in azienda con un unico obiettivo. Adesso è entrata anche la terza generazione, questo ci rende davvero invincibili anche di fronte alle avversità. Siamo predisposti al sacrificio e non ci riteniamo imprenditori nel senso stretto del termine, diamo l’anima per
creare un prodotto perfetto, anche se magari questa nostra attenzione ai dettagli ci porta ad avere un margine di guadagno ridotto”.
Arbiter riesce a rimanere al passo con i tempi pur puntando sulla tradizione. L’obiettivo a medio termine è potenziare e riprendere il mercato interno, mentre il sogno è aprire punti vendita in tutto il mondo facendo conoscere il marchio in ogni angolo del pianeta. Un’ipotesi che in un futuro per nulla remoto potrebbe diventare realtà. Il tutto tenendo sempre ben presente l’importanza della sostenibilità, aspetto che in Arbiter viene messo in primo piano fin da quando non esistevano ancora leggi ad hoc. “Non possiamo sostituire la materia prima, vale a dire la pelle, ma operiamo per ridurre al minimo gli scarti e per riutilizzare tutto il possibile realizzando ad esempio cinture, scarpe
e tappeti patchwork. Poi ci sono linee in cui abbiamo bandito l’utilizzo della carta e anche i sacchetti vengono prodotti con del cotone riciclato. Senza contare che non utilizziamo solventi chimici ma collanti ad acqua, per la salute del pianeta, dei dipendenti e anche nostra”. Adesso si attende che qualcosa si muova anche per garantire un passaggio generazionale ai tanti artigiani capaci di realizzare opere d’arte come le scarpe Arbiter. “Il problema è che non esiste una scuola in grado di preparare le generazioni future, i ragazzi devono essere formati in azienda. In passato abbiamo provato a realizzare un percorso di studi ad hoc, ma poi abbiamo dovuto compiere un passo indietro perché l’impegno era troppo gravoso. Ci piacerebbe che qualcuno risolvesse una delle pecche del nostro settore, la svolta non può arrivare dalle piccole aziende”..
Forbes Small Giants è arrivato a Caserta e a Tropea. Nei mesi di giugno e luglio ha raccontato i Piccoli Giganti campani e calabresi di Agostino Desideri
Prosegue il roadshow di Forbes Small Giants , che percorre l’Italia da Nord a Sud alla scoperta delle Pmi italiane, aziende di piccole e medie dimensioni che ogni giorno fanno passi da giganti in termini di innovazione, capacità di creare business e occupazione.
Dopo la tappa di Padova, il 16 maggio è stato il turno di Caserta, che ha ospitato la 23esima tappa all’interno del Grand Hotel Vanvitelli. La giornata è stata l’occasione non solo per dialogare con le imprese del territorio, ma anche per analizzare i settori che trainano l’economia campana, come agroalimentare,
farmaceutico, tessile e calzaturiero, che ha il suo centro ad Aversa. L’evento, co-moderato da Alessandro Rossi, direttore, e dalla giornalista di Forbes Italia Carola Desimio, è iniziato con i saluti di Nicola Formichella, amministratore delegato di Bfc, a cui hanno fatto seguito le parole di Beniamino Schiavone, presidente di Confindustria Caserta. Nel primo panel, dedicato al legame delle aziende con il territorio, sono intervenuti Matteo Altobelli, regional manager di Edenred Italia, Michele Balice, responsabile commercial banking costumer relationship management Sud di Banca Ifis, e Gaetano Capasso, amministratore
delegato di Italrobot. Nella seconda parte si è discusso sull’importanza di fare rete insieme a Marco Russo, amministratore delegato di Astra Corporate, Pietro Vitiello, amministratore di Logcenter, e Giorgio Carafa Cohen, chief brand & revenues officer di Iliad. Il terzo e ultimo panel previsto ha trattato il tema dell’internazionalizzazione con la partecipazione di Francesco Corbello, dottore commercialista, fondatore dello studio Corbello, Cardo Gravante e Raimo e strategic partner di Dubai Investment Development Agency di Dubai Fdi, Eleonora Annachiara De Lucia, export specialist di Arbiter, e Ludovica Negri, fondatrice e marketing manager di Italmoto.
SINERGIE CON IL TERRITORIO, INTERNAZIONALIZZAZIONE E L’IMPORTANZA DI FARE RETE:
QUESTI I TEMI DISCUSSI
DAGLI OSPITI
DELLA 23ESIMA TAPPA DEL TOUR
I relatori della tappa di Tropea
Il 21 giugno il roadshow è arrivato in Calabria, al Porto di Tropea. Una terra viva, in cui la tradizione oggi si mescola con l’innovazione. L’evento, moderato da Edoardo Prallini, giornalista di Forbes Italia ed executive editor del progetto Small Giants, si è aperto con i saluti di Vincenzo Aristide Di Salvo, amministratore delegato del Porto di Tropea, che ha dato il benvenuto agli ospiti raccontando i progetti della sua società. La prima tavola rotonda è stata l’occasione per raccontare di un territorio dove si respira tradizione, ma dove si ha la possibilità di guardare anche al futuro attraverso
IL ROADSHOW
CONTINUA:
NEI PROSSIMI
MESI LE TAPPE
DI MODENA, MILANO, GENOVA, ROMA
E PESCARA
le possibilità offerte dall’innovazione, con le parole di Edoardo Dal Negro, cofondatore e ceo di Bilnkup, Angelo Rizzotto, responsabile commercial banking customer relationship management isole di Banca Ifis, Giusy Affatato, direttore del personale in outsourcing e manager di Gesaff, e Vincenzo Grenci, bottega della famiglia Grenci. Ma parlare di
tradizione vuol dire anche raccontare il grande patrimonio enogastronomico della regione. Durante la seconda parte dell’evento si è parlato di questo spicchio di Calabria insieme ad Angelica Bonino, avvocato Lca Studio Legale (dipartimento food), Alessandro Pecora, responsabile ufficio comunicazione di GoelGruppo Cooperativo, Giacinto Callipo, co-owner Callipo, e Annamaria Mele, direttore generale Anapi Pesca. Forbes Small Giants proseguirà con le tappe di Modena (11 luglio), Milano (12 settembre), Genova (24 ottobre), Roma (7 novembre) e Pescara (12 dicembre)..
Motor Valley Accelerator è il primo incubatore italiano attivo nel mondo della mobilità.
L’obiettivo? Scouting tecnologico e progetti pilota per fare la differenza su strada
di Maurizio Abbati
Una rampa di lancio nella terra dei motori che ha come obiettivo principale lo sviluppo di nuova impresa e la creazione di valore, puntando sull’innovazione e la ricerca tecnologica. Motor Valley Accelerator nasce come programma italiano di accelerazione d’impresa per mettere in contatto aziende e istituzioni con le startup nel settore mobility e automotive, al fine di avviare progetti pilota. Frutto di un’operazione congiunta di Cdp Venture Capital (attraverso il suo Fondo Acceleratori), Fondazione di Modena e UniCredit, è gestito da Plug and Play, anche in veste di investitore, oltre che a Crit. Corporate partner dell’acceleratore sono poi STMicroelectronics, Ferrari, Dallara, Sabelt, Omr, UnipolSai, Agrati e Gruppo Hera. Un’attività di sostegno e sviluppo che Motor Valley Accelerator mette in campo attraverso un preciso programma che prevede un piano adeguato di finanziamenti ma anche un supporto formativo e tecnico, con un percorso
di accelerazione per quelle realtà che vengono ritenute attrattive e lasciano intravedere potenzialità importanti.
Tutto parte con un’autocandidatura per partecipare al programma, a cui segue una valutazione complessiva. L’attenzione è incentrata su startup costituite in Italia o che desiderano aprire un’entità legale in Italia, che presentino una vision chiara e che abbiano la capacità di realizzarla. I prodotti e i servizi di queste realtà mirano a grandi mercati, pur partendo da una dimensione locale, e possono dunque attrarre l’attenzione di partner di alto profilo. In particolare il percorso formativo, che si articola in workshop applicati su sviluppo del prodotto, business development e protezione dell’Ip, è affidato affidati a leader del settore, che quindi hanno esperienza e competenza in materia. I partecipanti hanno anche la possibilità di accedere all’office space di Motor Valley Accelerator di Modena, oltre alla possibilità di lavorare presso gli altri uffici di Plug and Play. È prevista l’opportunità di incontrare angel investors, imprenditori di successo ed esperti del mondo del comparto mobility ed automotive. Altro elemento chiave per gli startuppers è l’opportunità di incontrare direttamente i corporate partners di Motor Valley Accelerator, per sviluppare un proof of concept e creare una relazione per supportare strategicamente i loro obiettivi e dare validazione al prodotto. “Negli ultimi tre anni abbiamo supportato 24 startup, che hanno superato la selezione e quindi beneficiato del nostro investimento”, ci spiega Enrico Dente, direttore di Motor Valley Accelerator. “Un ruolo di sviluppo di nuova impresa prezioso, che ha determinato anche la creazione di posti di lavoro in prospettiva. L’investimento complessivo è stato di 5 milioni e mezzo di euro e le startup, grazie a questo, sono riuscite a raccogliere
contesto il motor sport è un ambiente ideale per testare le nuove tecnologie: qui si può sperimentare per poi arrivare a una produzione su strada”.
Saltri 7,5 milioni, molti dei quali arrivati dall’estero. Proprio di recente abbiamo annunciato l’edizione 2024, con l’intenzione di lavorare su cinque sole startup, investendo però 400mila euro su ciascuna di esse, così da dare loro un po’ di risorse in più per far decollare i progetti. Al proposito ricordo che noi lavoriamo non sull’idea in se stessa, ma su un prototipo”. Un lavoro di avanscoperta volto a interpretare il futuro e dare risposte alle nuove esigenze del comparto motoristico, come conferma Dente: “È difficile combattere sul fronte dei prezzi, così come su quello dei volumi, anche se nella Motor Valley si stanno realizzando numeri da record. Per questo dobbiamo agire sul fronte tecnologico, mirando alla fascia alta. In questo
viluppo tecnologico che significa in questo particolare momento anche tenere conto della rivoluzione green in atto. “L’automotive è in un momento in cui bisogna reinventarsi per trovare una sostenibilità ambientale ed economica. In questo senso stiamo muovendo su due filoni: il primo è quello relativo ai prodotti, come l’elettrico, l’idrogeno, i biocarburanti o i carburanti sintetici; l’altro è rendere sostenibili i processi produttivi facendoli diventare meno energivori e impiegando materiali circolari, in modo da ridurre il consumo di risorse e anche la produzione di anidride carbonica. Un’attenzione alla sostenibilità che deve abbinarsi con una riduzione dei costi operativi, così da diventare anche più attrattiva per gli investitori. Al di là di tutto, per noi resta comunque essenziale concentrarsi su tecnologie che ci consentano di rimanere competitivi ed evitare di essere aggrediti dagli altri players internazionali del settore. La nostra attività va oltre al supporto alle startup e si fonda almeno, per una metà, sull’open innovation con le aziende partner, facendo quello che si può definire scouting tecnologico e favorendo quindi insieme ai vari reparti lo sviluppo e la ricerca”..
Creatività e upcycling: Seconde Vue seleziona abiti e oggetti vintage dagli archivi di moda e li trasforma, dando loro nuova vita e una qualità speciale di Rachele Di Stefano
Nel centro storico di Roma, a pochi passi da Campo de’ Fiori, lo spazio Seconde Vue accoglie i visitatori in un’atmosfera creativa ed informale. La strada stessa, via di Monserrato nel rione Regola, è un’opera d’arte, con botteghe artigiane e boutique esclusive che offrono una pausa dalla normalità delle grandi catene della moda veloce. Federica Dollfus Di Volckersberg è figlia di Marina Coffa, che ha portato a Roma il celebre Tad, il primo concept store della capitale. Così Federica porta avanti una tradizione di cultura, arte e moda. Seconde Vue propone una selezione di capi pre-loved, provenienti dagli archivi di moda, dopo anni di esperienza nel settore. “Attraverso Seconde Vue, il concetto di upcycling si inserisce come un processo creativo e artistico che va al di là del semplice riciclo”, ha detto Federica Dollfus Di Volckersberg. “Si tratta di trasformare abiti e oggetti del passato in qualcosa di nuovo e unico, che possieda un valore e una qualità superiori in termini reali e percettivi. Questa pratica non solo riduce gli sprechi e l’impatto ambientale, ma contribuisce anche a valorizzare il patrimonio storico e culturale dei vestiti e degli accessori”.
La trasformazione della location è stata realizzata da Monica Brachetti, restauratrice e pittrice. Lo spazio, abbandonato da tempo, ha ripreso vita grazie al suo intervento. Lavorando sulle pareti, Monica ha miscelato cemento e calce, utilizzando diverse tipologie di spatola per creare segni e linee che spezzano la monotonia delle ampie superfici. Applicando la tecnica delle ‘distressed walls’ con calce e cemento, ha dato alle pareti un aspetto unico e suggestivo. Questo effetto, oltre a integrarsi perfettamente con l’ambiente, ha portato a una vera metamorfosi dello spazio, rendendolo accogliente e pronto a ricevere e
integrare nuove esperienze. Ma Seconde Vue va ben oltre la moda. “Gli oggetti e gli arredi presenti nello spazio sono creati appositamente da artigiani, artisti e sognatori, e danno vita a un ambiente unico e multisensoriale dove non si perde mai di vista il concetto del made in Italy”. Lo spazio sottostante sarà dedicato ad attività culturali e artistiche. Seconde Vue si impegna a preservare e rivitalizzare i vecchi mestieri dimenticati attraverso corsi dedicati, per dare nuova vita agli oggetti e agli abiti con l’obiettivo di connettere le
persone attraverso l’amore per l’arte, la moda e la sostenibilità. “Seconde Vue è più di un semplice spazio. È un luogo dove la creatività, la consapevolezza e l’innovazione si incontrano per sognare insieme un mondo migliore”, dice Federica Dollfus Di Volckersberg. In un’epoca in cui la sostenibilità è diventata una priorità globale, il concetto di economia circolare sta guadagnando sempre più rilevanza. “Tra le molteplici strategie per promuovere un futuro più verde, l’upcycling emerge come una soluzione innovativa e creativa. Questo processo,
che prevede la trasformazione di capi di abbigliamento vintage in nuove e uniche creazioni, non solo riduce i rifiuti, ma valorizza anche il talento dei giovani stilisti emergenti”. Seconde Vue si distingue per la sua capacità di dare una seconda vita a materiali altrimenti destinati allo smaltimento, riducendo significativamente l’impatto ambientale dell’industria della moda. Questa pratica rientra perfettamente nel concetto di economia circolare, che mira a ridurre al minimo i rifiuti e a mantenere i materiali in uso il più a lungo possibile. “Attraverso l’upcycling, i giovani stilisti possono esprimere la loro creatività e innovazione, trasformando vecchi capi in pezzi unici e contemporanei, senza la necessità di nuove risorse”.
Ibenefici di questa pratica sono molteplici. In primo luogo, l’upcycling contribuisce a ridurre la quantità di rifiuti tessili che finiscono nelle discariche, un problema sempre più evidente nell’industria della moda. In secondo luogo, riduce la domanda di nuove materie prime, limitando l’estrazione e la produzione, che spesso comportano elevati consumi energetici e significative emissioni di gas serra. Infine, sostiene i giovani talenti stilisti, offrendo loro una piattaforma per mostrare le proprie competenze e innovazioni in un mercato competitivo. Progetti di upcycling coinvolgono spesso collaborazioni con organizzazioni non profit, negozi di seconda mano e comunità locali, creando un impatto positivo anche a livello sociale. “L’upcycling rappresenta una fusione perfetta tra creatività e sostenibilità. Supportando i giovani stilisti nel percorso, non solo promuoviamo un’industria della moda più responsabile, ma contribuiamo anche alla salvaguardia del pianeta. In un mondo che deve affrontare sfide ambientali sempre più urgenti, ogni piccolo passo verso un’economia circolare è un passo verso un futuro più sostenibile”, ha concluso..
Oltre 140 punti vendita, una vasta gamma di prodotti skincare e makecare e due imprenditori che hanno voluto riportare in auge la storia della cosmetica italiana. Dorabruschi compie 90 anni di storia, pur essendo ‘rinata’ nel 2022 grazie all’intuizione di Mario Salvatori e Arcangelo D’Onofrio, attuali ceo dell’azienda. Una realtà storica, nata a Firenze nel 1934 da Berta Casamenti, in arte Dora Bruschi, una donna all’avanguardia che ha ideato formule unche dedicate alla pelle. Per i due imprenditori la scintilla è scattata durante la pandemia: D’Onofrio era alla ricerca di un prodotto
disinfettante per le mani da utilizzare per i collaboratori della sua azienda del Mugello e, attraverso il passaparola, si è ritrovato nei laboratori di Borgo San Lorenzo, sede di Dorabruschi. È amore a prima vista: ne parla subito con il collega e amico Mario Salvatori, allora basato in Asia. Rientrato in Italia, accoglie la sfida di scommettere su un brand storico dal forte potenziale racchiuso nell’eccellenza di formule straordinarie e uniche che ancora oggi, dopo 90 anni, realizza con estrema cura e attenzione. Nel 2022 i due decidono di acquisire l’azienda. Progetti per il futuro? Allargare gli orizzonti.
Ha iniziato nel 1984 ad occuparsi della lavorazione di prodotti in plastica, soprattutto producendo abbozzi per forme per calzature. La Camont, situata a Monecosaro, in provincia di Macerata, compie 40 anni di attività. Oggi riesce a soddisfare tutte le necessità dei propri clienti (formifici e industrie ortopediche), sia per le diverse qualità di plastica e prodotti offerti, sia per le molteplici varietà di stampi di cui dispone. “La Camont ha intrapreso da tempo un percorso di innovazione ed efficientamento delle tecniche di produzione, con un sistema di lavorazione che guarda sempre più al sostenibile”, dichiara il presidente Giorgio Marcaccio. L’azienda infatti ha come punto fermo il riciclo delle materie prime e la riduzione dell’impatto ambientale. Come lo persegue? Trasformando rifiuti speciali non pericolosi in risorse preziose per la produzione di abbozzi in plastica.
Nasce nel 1999 come spin-off accademico dell’università di Trieste. Fonda il suo successo sul software di ottimizzazione ingegneristico modeFrontier, che aiuta aziende in tutto il mondo a progettare prodotti migliori più velocemente. È partner tecnico della barca di Luna Rossa Prada Pirelli, che dal 22 agosto sarà impegnata in Coppa America a Barcellona. L’azienda triestina Esteco compie 25 anni.
La società, specializzata in soluzioni software per il settore ingegneristico, ha celebrato il suo primo quarto di
secolo in una due giorni all’hotel Savoia Excelsior di Trieste, con un evento dedicato agli utenti della tecnologia sviluppata dall’azienda. Luna Rossa utilizza il software Esteco per ottimizzare le forme dello scafo, i foil e anche le tecniche di navigazione: “È un software che integra le varie discipline coinvolte, dalla fluidodinamica alle strutture, fino ai sistemi di controllo”, ha spiegato il presidente Carlo Poloni. Oggi l’azienda, la cui sede è rimasta nell’Area Science Park di Padriciano, è una realtà consolidata con un
fatturato di quasi 11 milioni di euro e che dà lavoro a oltre 160 dipendenti tra Italia, Stati Uniti, India e Germania. “Abbiamo alle spalle 25 anni di crescita ininterrotta”, spiega Poloni. “Un orgoglio che abbiamo la fortuna di poter festeggiare quest’anno insieme a tanti dei nostri clienti. Si tratta di un’occasione importante, perché proprio la vicinanza al mercato e agli utenti è uno degli ingredienti che ci ha portati a perseguire sempre e comunque l’eccellenza, in un mercato di nicchia come quello del software per la progettazione ingegneristica”.
Nel 1994. Tre giovani appassionati di meccanica decidono di creare una piccola officina a Ripatransone, focalizzata sulla realizzazione di stampi per materie plastiche. Con il passare degli anni raggiungono livelli di qualità e professionalità tali da diventare ben presto fornitori di alcuni importanti gruppi come Merloni, Indesit, Securmed, Asoplast, Pentaferte, Scandolara, solo per citarne alcuni. Oggi Easy Play compie 30 anni. Nel 2003 Luigino Michetti e Roberto Silla decidono di rifondare l’azienda e di dotarla di un nuovo plesso produttivo ad Offida: intuendo l’espansione del mercato e la necessità di offrire soluzioni just in time ad alta qualità, i due iniziano ad investire su ampliamenti, nuove tecnologie, robot e macchine all’avanguardia capaci di evitare
fermi di produzione, garantire ripartenze veloci ai propri clienti e incrementare la qualità del prodotto. Ma la svolta arriva nel 2018 quando inizia lo sviluppo di un nuovo tappo per brik, poi brevettato dall’azienda e rispondente alla nuova Direttiva Ue del 2024, che ne previene la dispersione nell’ambiente. Proprio per dare corpo a questo e ad altri progetti innovativi su cui l’azienda già lavora, nel 2021 la Easy Plast acquista una seconda sede ad Ascoli Piceno, caratterizzata da impianti di produzione e confezionamento ad elevata automazione e informatizzazione, grazie anche ai finanziamenti legati ad industria 4.0.
“Abbiamo investito nel nuovo plant di Ascoli”, dichiara Luigino Michetti, socio amministratore e direttore tecnico del reparto stampaggio ad iniezione, “con l’intento di creare una
fabbrica industria 4.0 che sia un’eccellenza del settore, acquisendo macchinari di ultima generazione, ristrutturando il capannone e sviluppando una logistica di alto livello attraverso veicoli a guida autonoma come i MIR (per gli spostamenti orizzontali) e i forklift (per il sollevamento verticale).”
“Il personale è stato formato e viene costantemente aggiornato su sull’utilizzo di queste innovazioni tecnologiche –aggiunge Roberto Silla, socio amministratore e direttore del reparto costruzione stampi e manutenzione – garantendo qualità e una supervisione impeccabile di tutto il sistema attraverso sistemi informativi quali Mes e Wms. Possiamo dire che mentre il plant di Offida rappresenta le radici quello di Ascoli Piceno è il frutto che sta maturando”.
UN’IMPRENDITRICE RIVOLUZIONARIA:
DALLA PRIMA LINEA
DI SCARPE NEL 1983
FINO AD OGGI, NON HA
MAI SMESSO
DI INNOVARE
Nata a Milano il 10 maggio, 1949, Miuccia Prada ha compiuto 75 anni. Al secolo Maria Bianchi, con una laurea in scienze politiche tra le mani, nel 1971 ha preso le redini dell’azienda di valigeria del nonno Mario Prada, fondata nei primi del Novecento, trasformandola in quello che conosciamo oggi. Lì incontrò il futuro marito Patrizio Bertelli, e proprio con la sua
complicità ha portato un materiale come il nylon nel guardaroba quotidiano, rendendolo elegante ed estremamente raffinato. Negli anni ’80 ha inventato quella placca a triangolo rovesciato che ancora oggi rappresenta uno dei loghi più distintivi a livello globale. Nel 1983 la prima linea di scarpe, nell’88 la prima collezione prêt-àporter femminile, nel 1993 il debutto con Miu Miu, due anni dopo con
Prada Uomo e nel 1997 con la linea sportiva Linea Rossa. Miuccia Prada, sessantottina e femminista, è un’imprenditrice capace di rompere gli schemi, di inventarne di propri semplicemente essendo se stessa. Una personalità rivoluzionaria, che da sempre ha fatto della sua attività non un semplice strumento di business, ma il mezzo per parlare dell’attualità, del mondo e dei suoi cambiamenti
Ha curato gli effetti speciali dell’Eurovision, dei concerti di Maluma e di Alessandra Amoroso, di programmi tv come X Factor, Scherzi a parte e Italia’s Got Talent. Ha realizzato per Disney il primo volo con droni sul parco archeologico del Colosseo e assieme a un’azienda olandese ha illuminato l’Ahoy Arena di Rotterdam con quasi 30mila braccialetti led. Luca Toscano, napoletano, 27 anni, è il fondatore di Artech. Forbes Italia lo ha scelto come volto del numero dedicato agli under 30 del 2023. Cresciuto a Pozzuoli, a nove anni ha iniziato a coordinare eventi virtuali – con guadagni reali – su Second Life. “Il mondo dei piccoli mi è sempre stato stretto”, ha ricordato. “Ho mentito sulla mia età fino ai 18-19 anni”. Tra il 2010 e il 2014 ha organizzato concerti, feste private ed eventi. Nel 2015 è diventato imprenditore. “Quando ho iniziato, pensavo sarebbe stato solo un business temporaneo e che sarebbe rimasto confinato alla mia regione, o al massimo al Sud Italia”. Quando Forbes ha raccontato la sua storia, Artech era invece già sbarcata in 39 paesi di tre continenti.
LUCA TOSCANO: “QUANDO HO
INIZIATO PENSAVO
CHE SAREBBE STATO
SOLO UN BUSINESS
TEMPORANEO”. OGGI
ARTECH È IN 39 PAESI
Il 70% del consumo mondiale di acqua dolce dipende dall’agricoltura, ma le risorse idriche del pianeta si stanno riducendo a causa del cambiamento climatico. Tra i problemi principali vi sono siccità, infestazioni e parassiti, che insieme hanno portato a una perdita annua di colture pari al fabbisogno di cibo per 3 milioni di persone. La soluzione, normalmente, è quella di disboscare per ricavare nuovi terreni. Ma può essere solo temporanea, pena un ulteriore e irreversibile intaccamento della biodiversità del pianeta. In questo contesto è importante attrezzarsi per tempo e sfruttare in maniera più intelligente le risorse, prevenendo le infestazioni e gestendo al meglio le situazioni avverse.
Tra i player che stanno lavorando per ottimizzare i terreni c’è Plantvoice, che ha studiato, sperimentato e applicato una tecnologia sensoristica direttamente integrata all’interno della pianta. Grazie anche al supporto di istituzioni come l’Università di Parma, di Verona, di Milano, Fondazione Bruno Kessler ed Eurac Research, è riuscita ad andare ancora oltre le applicazioni tradizionali, grazie all’ideazione di un sensore biocompatibile non invasivo grande come uno stuzzicadenti che, oltre a vedere il flusso di linfa in tempo reale, riesce anche a determinare la composizione della linfa. Il sensore così
sviluppato funge da ‘sentinella’: per un dato appezzamento di terra si riesce a valutare lo stato di salute della coltivazione e quindi a ottenere una specie di elettrocardiogramma della pianta, generando dei dati che, una volta rielaborati con l’ausilio dell’intelligenza artificiale,
possono indicare con chiarezza lo stress delle colture, dovuto ad esempio all’irrigazione o a fitopatie. In tal caso l’analisi dello stress può essere molto utile per prevenire l’insorgenza di malattie e ridurre l’uso di fitofarmaci, oppure per dosare al meglio l’acqua ed i fertilizzanti.
Con la scomparsa di Leonardo Del Vecchio, fondatore e presidente di Luxottica,
il 27 giugno 2022, il patrimonio dell’imprenditore è stato suddiviso tra i suoi eredi. Un evento che ha aumentato il numero di miliardari in Italia e che ne ha abbassato sensibilmente l’età media. Colui che ha contribuito maggiormente a ringiovanire la classifica è senz’altro Clemente Del Vecchio, nato nel 2004, che con l’eredità del padre oggi vanta 4,2 miliardi di dollari. Clemente si attesta così come il secondo miliardario più giovane del mondo, preceduto da Livia Voigt, una ragazza brasiliana di 19 anni che ha due mesi meno di lui, studia all’università e ha ereditato una quota
di minoranza di Weg, un’azienda di apparecchiature elettriche fondata dal nonno.
Tuttavia non si sta facendo notare soltanto per il suo ingresso tra i miliardari. Le sue doti imprenditoriali si sono già fatte notare all’età di 16 anni, quando insieme a un gruppo di amici ha presentato una proposta per il rilancio di Sears, catena di grande distribuzione statunitense fondata a Chicago. È inoltre investitore attivo in alcune aziende, tra cui la tedesca Flixbus, la piattaforma per videoconferenze Zoom e quella per l’apprendimento online Udacity. Infine ha fondato una società di venture capital chiamata Ardian, focalizzata su startup di impatto positivo sociale e ambientale.
Irobot, nell’immaginario collettivo, sono macchine intelligenti, ma nella maggior parte dei casi in grado di svolgere compiti limitati e specifici, con poca flessibilità. Nel caso in cui il robot dovesse interagire direttamente con gli umani, è necessario che abbia cognizione di ciò che gli sta intorno. Robee, ad esempio, è il primo robot umanoide cognitivo realizzato, certificato e commercializzato dall’impresa italiana Oversonic Robotics, azienda di Besana Brianza (Monza) sorta nel 2020. I primi esemplari vengono già oggi testati in ambito industriale, dove vengono impiegati per affiancare lavoratori esposti a compiti usuranti e ripetitivi.
“È una macchina alta 1.85 metri, che pesa 120 chilogrammi e che si muove su ruote, per rendere più efficiente la movimentazione, dotata di 2 braccia e gambe mobili”, afferma Fabio Puglia, presidente Oversonic Robotics, a Radio 24. “È molto umano e sbatte gli occhi, aspetto importantissimo per creare un’interazione con l’uomo. Noi lo utilizziamo per allontanare l’uomo dalle mansioni che non dovrebbe svolgere: attività di manipolazione, l’interagire con spazi codificati all’interno di processi produttivi, soprattutto nel manifatturiero. L’obiettivo è quello di arrivare anche nel contesto sanitario, che è estremamente complesso”.
L’ENORME
COMPLETAMENTE
MADE
UN’ALTRA VOLTA
ATaiwan, la mattina del 3 aprile, si è verificato il terremoto più forte degli ultimi 25 anni: oltre mille feriti, almeno 12 morti e palazzi completamente distrutti. Tra gli edifici superstiti ce n’è uno che ha generato sorpresa: il Taipei 101, undicesimo grattacielo più alto al mondo, una torre in vetro e acciaio alta ben 508 metri. Come ha fatto a rimanere completamente intatta una struttura così imponente? Grazie a una maxisfera posta tra l’87esimo e il 92esimo piano dell’edificio, frutto del lavoro di un’impresa di Selvazzano (Padova), la Fip Mec, collaudata da Renato Vitaliani, ex docente di ingegneria civile edile e ambientale dell’Università di Padova, ora in pensione. Vitaliani collaudò l’opera circa una decina di anni fa, ‘certificando’ il funzionamento dell’enorme sfera d’acciaio di 660 tonnellate, in grado di bilanciare scosse sismiche e forti raffiche di vento, che venne collocata appunto sulla sommità del Taipei 101, a 508 metri di altezza su
Taiwan. “La Fip di Padova realizza dispositivi antisismici che sin dal 1974 rappresentano le tecniche più avanzate per la salvaguardia di ponti ed edifici”, racconta. “Per il Taipei 101 ha realizzato il dissipatore viscoso della sfera, e io l’ho collaudato”. L’edificio si è inclinato ma ha resistito comunque all’incredibile onda d’urto della scossa tellurica. “Secondo me, da una prima analisi”, spiega Vitaliani, “si è inclinato per la liquefazione del terreno”. Negli anni ‘50 in Giappone si costipava il terreno e poi si metteva la ghiaia, e quindi il fabbricato vi ‘scivolava’ sopra. “Adesso ci sono degli isolatori più performanti che vengono messi sotto i pilastri e posso essere in neoprene”. Il pendolo agisce dunque in contrapposizione di fase rispetto alle oscillazioni indotte dalla torre e quindi le diminuisce notevolmente. Attorno vi sono dei dissipatori energetici, dei sistemi smorzanti che bloccano il pendolo quando il sisma termina per evitare danni alla struttura.
Ingresso per merito e competenze, ruoli ben definiti ed equilibrio tra sfera professionale e personale: i fratelli Preve raccontano la ricetta vincente di Riso Gallo
A cura di Luca Brambilla, direttore dell’Accademia di Comunicazione Strategica
Riso Gallo è una tra le più antiche e prestigiose industrie risiere italiane: la sua storia ha inizio a Genova nel 1856 con un primo stabilimento che lavorava risone importato. Nel 1926 focalizza l’attenzione sulle coltivazioni italiane e trasferisce lo stabilimento a Robbio Lomellina, una tra le più rinomate zone risicole d’Europa nel cuore del Pavese.
Durante questi 168 anni di storia i suoi prodotti hanno accompagnato la tavola del nostro Paese e contribuito a diffondere nel mondo la tradizione del risotto italiano e l’eccellenza del made in Italy.
Oggi la società conta 120 dipendenti, oltre 138 milioni di ricavi consolidati ed è tra i principali leader di mercato in Italia e all’estero.
Alla guida dell’azienda da ben sei generazioni vi è la famiglia Preve. A parlare sono due dei quattro fratelli: Emanuele Preve, managing director di Riso Gallo International, e Carlo Preve, consigliere delegato della società.
Qual è, secondo voi, il segreto del successo di Riso Gallo?
EP: Per creare valore nel lungo termine in un’azienda familiare è necessario premiare il talento.
Credo che un fattore determinante nella crescita di Riso Gallo sia rappresentato dalla meritocrazia.
Anni fa mio padre, in seguito a un litigio con i suoi fratelli, decise lucidamente di stipulare un patto, valido per noi tutto-
ra, che prevedeva l’ingresso in azienda dei membri della famiglia solo nel caso in cui avessero potuto apportare un reale valore e dimostrare di possedere le competenze adeguate.
Un principio indiscutibile, seppur non sempre scontato. Quali sono i requisiti per poter essere assunti in azienda?
CP: Occorre possedere una laurea, conoscere almeno tre lingue oltre all’italiano e aver maturato minimo tre anni di esperienza in un’altra azienda. Inoltre, si accede solo se il ruolo per cui ci si candida sia effettivamente vacante e in linea con le reali abilità acquisite dalla persona durante la sua formazione. Questo patto, preso a modello anche da altre imprese a conduzione familiare, ha sottoposto noi fratelli a un’oggettiva verifica basata sul merito.
EP: Io, ad esempio, dopo la laurea in ingegneria al Politecnico di Milano, ho lavorato per tre anni all’estero in diverse aziende internazionali, per poi tornare in Italia e maturare la mia esperienza nel settore industriale e bancario. Sono entrato in Riso Gallo nel 2013 all’età di 39
anni, solo dopo aver consolidato la forma mentis e le competenze indispensabili per il ruolo che mi è stato assegnato.
Cosa fate per prevenire eventuali conflitti?
CP: Innanzitutto, ci impegniamo a delineare e comunicare ruoli ben precisi e distinti tra loro: ognuno ha chiare le proprie mansioni e ciò previene discrepanze in merito alla presa di decisioni.
EP: In aggiunta organizziamo frequenti riunioni in cui ci confrontiamo sulle scelte più strategiche per la nostra azienda. Questi momenti di allineamento sono indispensabili per accertarsi che tutti remino verso la stessa direzione.
Come riuscite a trovare un equilibrio tra vita professionale e personale?
CP: Cerco di separare il più possibile le due sfere. Quando mi trovo in azienda mi concentro sulle responsabilità e sugli obiettivi professionali, ma quando termino di lavorare mi dedico alla famiglia e alle mie passioni. Questo mi permette di godere appieno di entrambi gli aspetti senza che si sovrappongano compromettendo la mia serenità e la mia produttività.
EP: Io al contrario riesco a trovare equilibrio combinando ciò che riguarda l’ambiente lavorativo con la mia sfera privata. Questo approccio mi aiuta a sentirmi interconnesso e soddisfatto in entrambi gli aspetti della mia vita.
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Workplace 3.0, tra soluzioni e arredi, ha portato al Salone del Mobile
l’ambiente di lavoro del futuro, sempre più fluido e intelligente
di Valentina Lonati
All’interno dell’ultimo Salone del Mobile, anche quest’anno è andato in scena Workplace3.0, un think tank pensato per conoscere e comprendere i futuri cambiamenti degli spazi lavorativi. L’esposizione ha mostrato lo scenario evolutivo dell’ufficio, in cui trovano sempre
Firmata dallo studio Norm Architects, Essence è una famiglia di arredi in legno che trae ispirazione dalla natura della materia lignea e dalla sua duttilità nel sapersi incastrare e sovrapporsi per generare forme pure. Una linea di arredi pensata per uffici – ma anche per ambienti domestici - che vogliono promuovere il benessere della persona, e che si compone di un tavolo, di panche, di coffee table e di mobili contenitori che declinano l’austerità del legno in oggetti versatili. A caratterizzare Essence è il design a incastro del tavolo, della panca e dello sgabello, che ne conferisce unicità.
più spazio soluzioni in grado di rispondere ai nuovi modi di lavorare. Ad attraversare la manifestazione è stato un interrogativo: quali arredi ci aiutano a migliorare l’esperienza professionale, sociale e creativa? La risposta arriva da prodotti innovativi e profondamente contemporanei, pensati per andare
incontro ai bisogni emergenti di un ambiente professionale in continua trasformazione. Abbiamo selezionato alcune delle novità più intelligenti, funzionali e versatili, frutto di riflessioni approfondite sul concetto di ‘spazio di lavoro’. Un ufficio sempre più fluido ed espanso, da vivere in modo nuovo..
MARA – TYPO
Mara ha presentato Typo, la sedia nata dalla prima collaborazione dell’azienda con Amdl Circle, lo studio fondato dall’architetto Michele De Lucchi. Il concept nasce da una riflessione sull’errore: “Sbagliando si impara, come giustamente si dice, senza subire la paralisi di chi ha paura di tentare il nuovo”, spiega De Lucchi. Typo si caratterizza per le linee morbide dello schienale e della seduta, entrambi in legno, che si contrappongono alla spigolosità della struttura metallica, in cui risiede il punto focale del design. Partendo dallo studio delle tecniche di piegatura dei profili in acciaio, è stata messa a punto una lavorazione capace di restituire un effetto drappeggiato. Un ‘errore’ voluto che è l’anima del progetto.
Presentata al Salone Satelline dalla realtà emergente Studio Cale, fondata dagli architetti Alessia Romani, Carla Gambioli e Alessia Romani, Intarsio è una scrivania monolitica – eppure giocosa e scomponibile - realizzata in noce americano massello. Concepita come esercizio pratico e strumentale della tecnica dell’intarsio, nasce da un blocco monumentale in legno dal quale l’ebanista ha ricavato anche quattro sedute con base triangolare che, come tasselli, compongono e scompongono l’arredo. Intarsio è dotata di due cassetti e di un vano a scomparsa per connettere i device.
Un sistema luminoso pensato per rendere confortevoli e sartoriali gli ambienti di lavoro con layout flessibili: iGuzzini propone una nuova versione della sua luce Spacepad, sviluppandola su una doppia lunghezza per una maggiore superficie illuminante. La tecnologia integrata Organic Response consente di spostare Spacepad ‘double’ senza dover riprogrammare i parametri di dimmerazione e accensione del sistema smart lighting. Grazie all’ottica Optidiamond, alle fonti Led e ai sensori integrati, Spacepad consente un risparmio energetico di oltre il 90%, costruendo una luce morbida che valorizza lo spazio e contribuisce al benessere emotivo delle persone, oltre che a quello visivo.
Dal successo di Fluido, sistema pluripremiato concepito da Daniele Del Missier che consente di creare con le proprie mani la propria postazione lavorativa, l’azienda Martex ha realizzato Fluido Kitchenette, una cucina compatta e modulare dedicata agli ambienti break dell’ufficio. Pensata per soddisfare le esigenze di spazi multifunzionali e moderni, può essere completamente equipaggiata con lavello, lavastoviglie, piano cottura a induzione e minibar offrendo un’esperienza completa anche negli spazi più ridotti. Installabile come unità fissa o su ruote, la kitchenette può essere personalizzata come si desidera.
Maria Letizia Putti
Pagine 294, € 17,10
La storia di Luisa Spagnoli dall’industria dolciaria alla casa di moda.
La donna che ha inventato il Bacio Perugina, il cioccolatino famoso in tutto il mondo, le caramelle Rossana, la nuova lavorazione della lana d’angora, la fondatrice del primo asilo aziendale. La biografia racconta una storia di imprenditoria femminile moderna: la Spagnoli madre, moglie, amante e pioniera dei diritti delle lavoratrici. La biografia narrativa restituisce il genio e il sentimento della donna, ma anche uno spaccato di storia italiana di coraggio, impegno e passione.
In un’ottica contemporanea, in cui le aziende mirano al raggiungimento di obiettivi di guadagno in tempi rapidi e perdono di vista il senso della pazienza e della cura, i marchi italiani spiccano per la loro capacità di creare prodotti di qualità superiore, in grado di rsistere sia alla concorrenza del mercato che all’usura del tempo. Perchè? Lo spiega, in queste pagine Riccardo Illy, presidente del Polo del Gusto. Attraverso il suo esempio emblematico, e raccogliendo le testimonianze dirette di altre aziende a conduzione, Riccardo Illy ci conduce all’interno della sua attività, mostrando al lettore le sue carte vincenti e descrivendo, con amore e passione, cosa significa fare impresa e farla bene secondo gli standard aziendali italiani che hanno portato il sogno di suo nonno a diventare una realtà apprezzata in tutto il mondo.
La relazione è lo spartiacque tra il successo e il fallimento di qualsiasi imprenditore, manager o professionista. La Comunicazione Strategica è un nuovo approccio alla comunicazione che studia le migliori tecniche per costruire relazioni e prendere decisioni anti-bias. In altre parole, è la scienza delle relazioni.
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Dopo il grande successo ottenuto nelle 10 tappe del 2023, continua anche nel 2024 il viaggio di Forbes dedicato alla scoperta delle PMI, spina dorsale dell’Italia che cresce. Un’occasione per confrontarsi su temi quali sostenibilità, innovazione, digitalizzazione, internazionalizzazione, welfare, accesso al credito e per creare relazioni professionali. Il progetto è rivolto a imprenditori e manager che gestiscono PMI del territorio e alle grandi aziende che vogliono mettersi in contatto con loro.
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