UFFICI SENZA FRONTIERE
I 10 tennisti più pagati del mondo
I 10 tennisti più pagati del mondo
Negli ultimi 10 anni, abbiamo perfezionato i nostri hotel e resort per regalare ai nostri ospiti emozioni straordinarie e momenti unici.
Oggi celebriamo milioni di soggiorni indimenticabili e luoghi speciali in quasi 100 proprietà nelle migliori città d’Europa e America.
Per la prima volta, anche in Asia, Medio Oriente e Cina.
22 | Dov’è il tuo ufficio? Ovunque International Workplace Group (Iwg) è uno dei più grandi network di spazi ufficio pronti all’uso per aziende e professionisti. Nel mondo dispone di quattromila centri e ha raggiunto un fatturato di 4,27 miliardi di dollari nel 2023. Nel nostro Paese, dove è presente con i marchi Regus, Copernico, Spaces, Signature e Hq, ha superato le 100 location e il mercato è in continua espansione. Non solo nelle metropoli. Ecco i segreti di un successo raccontati da Mauro Mordini, country manager per l’Italia. di Alessandro Mauro Rossi
11 | Si scrive agricoltura
ma si legge tecnologia, sviluppo e qualità
Alessandro Mauro Rossi
12 | L’umanista della finanza
Andrea Giacobino
14 | L’era del neurocapitalismo
Ugo Mattei
17 | Racchette d’oro
24 | Dov’è il tuo ufficio? Ovunque
Alessandro Mauro Rossi
30 | Vacanze sold-out
Tommaso Carboni
34 | Competizione spaziale
Emilio Cozzi
36 | Il gigante fragile
Cosimo Maria Palleschi
20 | Social responsibility
Enzo Argante
22 | Space news
Emilio Cozzi
39 | La scommessa del territorio
Alessandro Mauro Rossi
46 | Eleganza che dura
Michele D’Antoni
49 | Una ghiotta occasione
Marco Gemelli
52 | Scatto in avanti
Francesca Vercesi
54 | Nel segno del verde
Danilo D’Aleo
56 | Mezzo secolo all’avanguardia
Matteo Borgogno
58 | L’incontro tra due mondi
Danilo D’Aleo
BRANDVOICE con Msi
60 | Vent’anni in movimento
SPECIALE LOGISTICA
63 | Il domani in sicurezza
Edoardo Prallini
66 | Gestire l’inaspettato
Maurizio Abbati
68 | Svolta 4.0
Elisa Serafini
SPECIALE VINI
A cura di Cristina Mercuri e Luca Sessa
71 | Il richiamo della terra
74 | Cambio di passo
76 | Eleganza senza tempo
77 | Ambasciatori delle Langhe
78 | Vitigni vulcanici
80 | Passione di famiglia
82 | Isole nell’isola
85 | Una boccata d’aria
Andrea Celesti
88 | I guardiani del patrimonio
Luigi Dell’Olio
90 | Proteggersi con stile
Antonio Monreale
91 | La forza della bellezza
Lavinia Desi
93 | Luci responsabili
Valentina Lonati
94 | La cooperativa del diritto
Luigi Dell’Olio
96 | Una storia su due ruote
Attilio Nucetti
97 | La casa dei talenti
Lavinia Desi
BRANDVOICE con Re d’Italia Art
98 | Il partner strategico per collezionisti e artisti
A cura di Piera Anna Franini
101 | Tra le maglie del business
103 | Le eccellenze del distretto
A cura di Valentina Lonati
105 | Un angolo di incanto
108 | Nuova dimensione industriale
BRANDVOICE con Areadocks
110 | Ospitalità a 360 gradi
113 | Le gemme di Capri
Susanna Tanzi
118 | La vetrina del lusso
Penelope Vaglini
120 | Tutta un’altra musica
Piera Anna Franini
123 | Forbes tech
Gabriele Di Matteo
124 | Forbes cars
Serena Cappelletti
125 | Forbes design
Valentina Lonati
126 | Forbes trends
Marco Gemelli
127 | Milano Alessia Bellan
128 | Roma Mara Cella
129 | New York Aka Sarabeth
130 | Pensieri e parole Curiosità
Mensile registrato presso il Tribunale di Milano al n°260 del 7 settembre 2017
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Contributors: Maurizio Abbati, Alessia Bellan, Matteo Borgogno, Serena Cappelletti, Tommaso Carboni, Mara Cella, Danilo D’Aleo, Michele D’Antoni, Luigi Dell’Olio, Lavinia Desi, Piera Anna Franini, Marco Gemelli, Valentina Lonati, Ugo Mattei, Cristina Mercuri, Antonio Monreale, Attilio Nucetti, Cosimo Maria Palleschi, Aka Sarabeth, Elisa Serafini, Luca Sessa, Susanna Tanzi, Penelope Vaglini, Francesca Vercesi
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Quattro personaggi sotto i riflettori, scelti dal direttore di Forbes Italia
PAOLA OGECHI EGONU
È la giocatrice simbolo della squadra di volley femminile che ha vinto l’oro alle Olimpiadi, dove è stata consacrata come la più forte pallavolista del mondo in attività: 22 punti in finale, in pratica un set vinto solo con le sue schiacciate. Ed è riuscita anche a far muro contro le polemiche.
LUIGI LOVAGLIO
Dal 2022 è ad e direttore generale di Banca Mps, che sotto la sua guida ha superato molte delle difficoltà che ne avevano messo in discussione l’esistenza stessa. Lovaglio ha portato a un utile nel primo semestre 2024 di 1,159 miliardi, +87% sul 2023.
LUCA FERRARI
MARTA TESTI
Ceo di Elite, in prima fila per la crescita dell’economia italiana. Il compito è fornire competenze e diversificare l’accesso alle fonti di capitale. Elite è un ecosistema europeo lanciato da Borsa Italiana e oggi parte del Gruppo Euronext, che punta ad accelerare la crescita delle pmi.
Classe 1985, è il co-fondatore e ceo di Bending Spoons, tech italiana con mezzo miliardo di utenti, specializzata in app per smartphone. L’azienda ha da poco acquistato WeTransfer, piattaforma di collaborazione e condivisione di file.
di Alessandro Mauro Rossi
NNegli ultimi due numeri ci siamo occupati di agricoltura in modo… intensivo. Non solo in vista del G7 sull’agricoltura in programma a Ortigia, a Siracusa, dal 27 al 29 settembre, ma soprattutto perché l’agricoltura sta diventando uno dei fiori all’occhiello del panorama economico italiano. Abbiamo intervistato due protagonisti assoluti del settore, fondamentali per il suo sviluppo: il ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida, e il presidente di Coldiretti, la più numerosa delle associazioni di imprenditori agricoli, Ettore Prandini. In questo numero aggiungiamo anche lo Speciale Vino, come ormai consuetudine in settembre, mese della vendemmia, che racconta le storie di successo di alcune delle migliaia di aziende vinicole che costellano il nostro Paese con risultati importanti. In Italia si producono circa 40 milioni di ettolitri di vino (42 milioni per l’Istat, 38 milioni per il ministero, ma si tratta probabilmente di un problema di tempistica nella raccolta dei dati), molti dei quali di grande qualità, certificati dalle varie Doc e Docg, che fanno dell’Italia il primo produttore di vino del mondo, in un testa a testa con la Francia. La regione che produce più ettolitri è il Veneto: 11,75 milioni, per il 23% del totale italiano. Seguono la Puglia (10,3 milioni di ettolitri), l’Emilia Romagna (7 milioni), la Sicilia (4,5 milioni), il Piemonte (2,7 milioni) e via via tutte le altre.
panorama economico del Paese, spesso costretta a vivere di sussidi. Ora, però, la ruota sta girando e molte aziende sono diventate modelli d’imprenditoria moderna, ferma restando l’importanza dei contributi europei al mondo agricolo, sottoposto continuamente allo stress di fattori esterni alla produzione come quello del clima. Il merito va alle capacità degli imprenditori agricoli prima di tutto e al coraggio di introdurre nuove tecnologie in un settore che è sempre stato visto come arretrato rispetto ad altri comparti produttivi e oggi invece si sta dimostrando all’avanguardia, con risultati eccezionali in termini sia di qualità che di quantità. Basta pensare quanto l’export agroalimentare sia importante nel conto economico nazionale. Nel 2023 ha raggiunto i 64 miliardi di euro e nel 2024 già nei primi tre mesi siamo a +7% rispetto all’anno precedente.
L’Italia è un Paese agricolo: lo dicono la sua storia, la sua vocazione e persino la sua cultura. La cultura contadina, con la sua saggezza e parsimonia, ha contribuito alla creazione dello spirito imprenditoriale-familiare che caratterizza tantissime aziende italiane, non solo agricole. Però l’agricoltura è sempre stata considerata una Cenerentola nel
Ma il mondo agricolo sta guardando avanti anche nel settore del turismo. Non solo con il classico filone degli agriturismi, dove le presenze stanno aumentando, ma con un’offerta che sta crescendo in qualità con lo sviluppo dei territori e la creazione di ambiti dove si possono trovare prodotti unici e di primissima scelta legati non solo alla campagna, ma come elemento caratteristico di quel territorio. Si sa che ormai milioni di turisti, soprattutto americani, scelgono l’Italia non solo per le sue bellezze artistiche e paesaggistiche, ma anche per il cibo, bandiera del made in Italy. In un’economia come quella italiana l’agroalimentare è centrale nel creare ricchezza ma anche bellezza, partendo dalla qualità dei nostri prodotti agricoli, dalla qualità dei nostri territori (inimmaginabile pensare all’Italia senza vigneti, uliveti, campi arati, frutteti…) e, non per ultimo, dalla qualità sociale del settore agricolo. E alla fine, seguendo le leggi della natura, il bruco diventerà farfalla. F
Classifiche I 10 tennisti più pagati del mondo
In tempi di rivoluzione digitale e intelligenze artificiali, Maurizio Zancanaro, torinese, classe 1957, vicepresidente di Banca Patrimoni Sella & C., è convinto che la figura del private banker giochi un ruolo fondamentale nelle scelte d’investimento dei risparmiatori
Torinese, classe 1957, Maurizio Zancanaro, da decenni alla guida di importanti istituti di private banking, riconosciuto per esperienza, professionalità e capacità di sintesi tra impegno operativo e istituzionale, ha iniziato la sua lunga carriera in Credito Italiano e Deutsche Bank e ha avuto esperienze nei principali gruppi bancari a livello italiano e internazionale. È stato protagonista della trasformazione di Banca Aletti, di cui è stato a lungo amministratore delegato, acquisita come piccola boutique e portata ai vertici delle classifiche del private banking e del wealth management in Italia. Negli stessi anni ha fondato e presieduto Aletti Fiduciaria e Aletti Trust, le società con cui ha gestito il delicato momento del passaggio generazionale di molti clienti, e Banca Aletti Suisse, anticipando ancora una volta il mercato. Poi il successo nel rilancio e nella valorizzazione di Banca Cesare Ponti.
Oggi è vicepresidente di Banca Patrimoni Sella & C., realtà con cui vive una comunanza di intenti e valori. Ha inoltre ricoperto il ruolo di presidente di Aipb, l’Associazione italiana private banking, in cui lavora fin dalla sua costituzione, segno dell’autorevolezza che l’intero sistema gli attribuisce. Ha ricevuto numerosi riconoscimenti per i risultati manageriali raggiunti e per l’impegno profuso nella costruzione di una cultura e di un linguaggio comune per il private banking.
di meglio e l’amore e la passione che ancora nutro per questo nobile mestiere mi fanno dire che continuerò a dare il mio contributo all’industria del private banking. Sono orgoglioso di essere riconosciuto come uno dei suoi protagonisti”.
“Mi ritengo soddisfatto di quello che ho fatto e di dove sono arrivato. Certo, si può sempre fare di meglio. L’amore e la passione che ancora nutro per questo nobile mestiere mi fanno dire che continuerò a dare il mio contributo all’industria”
“Mi ritengo soddisfatto di quello che ho fatto”, dice, “e di essere arrivato dove sono. Certo, si può sempre fare
Non è un caso che nel mondo del wealth management Zancanaro abbia ritrovato dinamiche e valori che gli appartengono anche ‘fuori’, dove le sue passioni sono i motori, le auto, le barche. Grande riservatezza e nessuna ostentazione (non è il suo stile), ma la continua ricerca del giusto equilibrio tra emozione e controllo del rischio, dominio della forza e desiderio di libertà. Spesso critico nei confronti dell’approccio italiano al private banking, che ha visto i grandi gruppi creditizi collocarlo alle dipendenze del retail, magari nel nome di riorganizzazioni che finiscono per sacrificare la qualità del servizio nel nome di un miope taglio dei costi. Per Zancanaro, invece, il private banking deve essere un tutt’uno con corporate banking e investment banking, attività diverse che richiedono competenze specifiche ma sinergiche e che esprimono il loro potenziale solo se guidate da chi ha una visione d’insieme, completa e virtuosa. È un instancabile sostenitore della centralità del fattore umano, sia esso il cliente, da servire nella gestione dei suoi bisogni e obiettivi, o il private banker, gestore della relazione che deve disporre della competenza e della professionalità necessarie, che derivano solo da un’attenta e costante formazione.
Zancanaro è convinto che anche i recenti eventi globali, per quanto drammatici e imprevisti, abbiano dato la possibilità ai banker di mostrare l’importanza del proprio ruolo al fianco delle famiglie nella conservazione dei patrimoni. Affiancare il cliente nelle scelte consente di soddisfare davvero, in un rapporto di lungo periodo, tutti i bisogni delle famiglie, che vanno ben al di là degli investimenti finanziari: dai passaggi generazionali ai trust, dall’immobiliare all’art advisory. Questa, per Zancanaro, è l’essenza dell’evoluzione, non solo terminologica, da private banking a wealth management, che è un’opportunità ancora da cogliere.
Questo suo credo non vacilla neanche in tempi di rivoluzione digitale, di investimenti sostenibili e di intelligenza artificiale. E ancora una volta il focus è sugli uomini. Cosa ne pensano i clienti? I banker sono
adeguatamente formati? Sì, perché, se l’industria finanziaria cavalca con determinazione queste tematiche, il contesto è controverso, i rendimenti altalenanti, i costi non trasparenti e la normativa ancora in evoluzione. Tutto ciò non aiuta i clienti, poco preparati, spesso confusi e in balia di informazioni non sempre coerenti, in bilico tra moda e reali opportunità. Il sistema si deve preoccupare di sviluppare l’educazione finanziaria dei clienti e la formazione specialistica dei banker. La visione di un mondo sostenibile e la tendenza a investire in modo socialmente responsabile hanno aperto la strada a una trasformazione dei modelli tradizionali del wealth management, che deve tuttavia continuare ad avere quale elemento cardine il rapporto umano tra cliente e banker. Il mantra di Zancanaro non cambia: ritornare al passato per vincere le sfide future. F
di Ugo Mattei
Non ci sono solo Meta ed Elon Musk, che già impianta chip nel cervello umano.
Nella Silicon Valley, con la regia di Peter Thiel, sta nascendo un nuovo ecosistema di aziende.
L’obiettivo è farci controllare le macchine con il pensiero. Il rischio è che accada il contrario
Quattro anni fa Elon Musk ha presentato, in una conferenza stampa a San Francisco, la porcellina Gertrude, che viveva da alcuni mesi con un microchip impiantato nel cervello. Da allora gli esperimenti sul progetto Neuralink sono continuati. Nei primi mesi di quest’anno il microchip interfaccia fra uomo e macchina è stato impiantato a Nolan Arbaugh, un quadriplegico selezionato fra gli oltre 1.000 candidati alla sperimentazione. Il paziente ha avuto qualche settimana di benefici, poi il cervello, che si muove nel cranio con un’intensità di tre volte superiore al previsto, ha scalzato l’85% dei microcavi (molto più sottili di un capello) inseriti per circa tre millimeri nella corteccia cerebrale, provocando l’arresto della macchina. Per ovviare a questi problemi, il 21 maggio la Food and drug administration (l’agenzia federale statunitense che regola i prodotti alimentari e i farmaci) ha concesso una seconda autorizzazione per un’inserzione più profonda dei cavi, a circa otto millimetri.
A seguito di questi annunci, il valore di Neuralink, che oggi ha circa 300 dipendenti, è esploso, superando i 7 miliardi di dollari (la società non è ancora in Borsa). Musk ha capitalizzato l’entusiasmo coniando un token di nome Neuralink (che nulla condivide con la società) il cui valore è salito del 1400% in un giorno.
der’s Fund è per la Silicon Valley ciò che fu la Mediobanca di Cuccia per il boom economico italiano, si sta infrangendo la barriera del neurocapitalismo.
Conviene capire che cosa sta davvero avvenendo. Gli entusiasmi, al di là dei successi finanziari, sono facili da condividere: se, grazie alla tecnologia cognitiva, il cervello umano potrà dialogare direttamente con la macchina, i quadriplegici potrebbero ricominciare a camminare, le malattie degenerative rallentare, perfino i ciechi recuperare la vista. Tuttavia, come per il tango bisogna essere in due, il rapporto cervello-macchina è necessariamente relazionale, trattandosi di scambio di informazioni. Sicché la grande questione da affrontare è: sarà davvero la macchina a ubbidire al desiderio umano o sarà quest’ultimo a ubbidire alla macchina?
La questione della neuro-privacy tocca il più grande tema che ha accompagnato la crescita della civiltà, ossia il libero arbitrio
In realtà non c’è solo Musk in questo business. Prima della sua discesa in campo, una piccola startup californiana, Syncron, oggi legata a OpenAI (finanziata da Microsoft), ha sperimentato impianti meno invasivi che inviano il microchip alla corteccia tramite uno stent nella giugulare del paziente. Anche Meta (Facebook) si è gettata nel business dei cyborg e vorrebbe superare la scrittura o il sistema vocale per accedere ai computer, facendo in modo che basti pensare una parola perché la macchina ubbidisca al desiderio umano.
Sotto la solita, magistrale regia di Peter Thiel, il cui Foun-
Sarà cioè l’umano a beneficiare della macchina, accedendo con immediatezza al suo bagaglio di conoscenze (trovare un ristorante di prossimità semplicemente pensando a una carbonara) o sarà la macchina telepatica (Telepathy è il nome del microchip che Musk sta sviluppando) a profittare dell’accesso ai nostri più intimi e reconditi desideri?
Non solo, ma qualche anno fa Yuval Noah Harari, uno dei guru mediatici beneficiari dei favori del World Economic Forum, scrisse che il cervello umano non solo potrà essere curato, ma anche hackerato, inducendo desideri e bisogni eterodiretti. Quella che si sta aprendo e che i giuristi dovrebbero studiare sotto l’etichetta di neuro-privacy non è questione da poco, perché tocca da vicino il più grande tema che ha accompagnato la nascita e la crescita della civiltà umana, ossia il libero arbitrio, cruciale sopratutto nella costruzione della tradizione giuridica occidentale. Vale la pena di condividere le preoccupazioni di Rafael Yuste, scienziato della mente e direttore del Brain Project della Columbia University. Dopo 20 anni di ricerche, gli studiosi sono riusciti a far sì che le loro cavie - in genere
scoiattoli, ma anche maialini - percepiscano e ‘vedano’ situazioni del tutto immaginarie, capaci di farli mangiare se non hanno fame o fuggire di fronte a pericoli inesistenti. Non si tratta dunque più solo della capacità di analizzare come funziona il cervello, monitorandone gli impulsi, ma si è raggiunta la capacità di decidere come deve funzionare, facendo sì che la corteccia produca le immagini necessarie. È ovvio il potenziale curativo per sofferenze come la schizofrenia, le allucinazioni e forse anche certe forme di cecità. Ma i rischi sembrano devastanti. Detta in modo brutale, con la scusa di curare una parte cieca dell’umanità, si costruisce una tecnologia che nelle mani sbagliate (ossia quelle delle corporation for profit, essenza del capitalismo) può rendere, perfino fuor di metafora, cieca tutta l’umanità, come nel romanzo Cecità di José Saramago. È un dilemma tragico. Si ha l’impressione che l’umanità, anche senza gli impianti neuro, sia già stata resa cieca, tramite i dispositivi della comunicazione, rispetto ai rischi catastrofici cui la sottopone la macchina micidiale del capitalismo a trazione bellica. I pericoli che Yuste individua, forse in modo psicologicamente scisso, sono legati alla possibilità di costruire un’umanità fatta di cyborg irreversibili, dal comportamento eterodiretto. Una sorta di popolazione schiavile felice come quella immaginata da Aldous Huxley. Di qui la richiesta, per ora assai tenue, di una moratoria o una messa al bando per questo tipo di ricerche, come per fortuna avvenne (almeno in parte) dopo la pecora Dolly con la clonazione umana. Ovviamente non si tratta di questione semplice, non solo per i dilemmi morali: si può argomentare, con Lev Tolstoj, che il libero arbitrio sia un’illusione, sicché già oggi i bisogni e le decisioni sociali sono eterodi-
rette dagli investimenti in marketing. È difficile immaginare pure le tecniche con cui una scelta di protezione radicale della neuro-privacy potrebbe essere messa in atto. Scorrendo l’elenco delle pubblicazioni di Yuste, si capisce a stento di che cosa parlino, perciò sarebbe necessaria una task force di specialisti di alto livello per bloccare questo genere di ricerche nei laboratori, qualora si decidesse di farlo.
La stessa decisione politica di bloccare questa ricerca è comunque condizionata dal cosiddetto dilemma di Collingridge, che già nel 1980 dimostrava che le conseguenze negative dell’innovazione tecnologica sono difficili da vedere e facili da regolamentare in una prima fase, mentre, con il trascorrere del tempo, dati gli investimenti e gli interessi massicci che generano, diventano sempre più facili da vedere e sempre più difficili da regolamentare. L’esperimento su Dolly aveva prodotto una sollevazione immediata, mentre quello su Gertrude non ha creato alcuno scandalo. Può essere che si sia già gravemente in ritardo anche su questo fronte, come lo siamo stati un paio d’anni fa quando ChatGPT ha mostrato il potere (e i rischi) dell’intelligenza artificiale.
Di fronte all’innovazione tecnologica sostenuta dal grande capitale, il diritto sembra impotente, anche se, in teoria, dispositivi giuridici quali il principio di precauzione sarebbero a disposizione per compiere scelte ponderate, fermando le innovazioni che non possano dimostrare la loro innocuità. È triste perciò riportare che, nulla avendo imparato dalla vicenda Eternit e della tobacco litigation sulla latenza dei danni, si sta proceduto alla garibaldina con rna modificato, tecnologie 5G, esperimenti sull’inseminazione delle nubi, automazione poco testata degli aeroplani Boeing e altre amenità. F
WHAT’S NEW WHO’S NEXT
Carlos Alcaraz è il tennista più pagato al mondo. Novak Djokovic è secondo davanti a Coco Gauff, in testa tra le donne, mentre Jannik Sinner entra in classifica al quinto posto. Nel complesso, i primi dieci hanno guadagnato 246 milioni di dollari nell’ultimo anno
Jannik Sinner è per la prima volta tra i dieci tennisti più pagati al mondo. Il numero 1 della classifica
Atp entra in quella di Forbes al quinto posto, con incassi per 26,6 milioni di dollari tra i montepremi (11,6 milioni) e le attività extracampo (15), a partire dagli accordi con sponsor come La Roche-Posay, De Cecco, Gucci, Lavazza e Rolex. Sinner resta però lontano, a livello di guadagni, dai suoi due principali rivali, Carlos Alcaraz e Novak Djokovic. Lo spagnolo, numero 3 della classifica
sponsorizzazioni con marchi come Nike, Rolex e Bmw, ma anche apparizioni ed esibizioni che gli portano tra 1 e 2 milioni per la sola presenza. Nei prossimi mesi Netflix, che già a marzo aveva trasmesso un derby spagnolo con Rafael Nadal, dedicherà ad Alcaraz anche una docuserie.
Il podio è completato da Coco Gauff, la prima donna in classifica, con 27,1 milioni di dollari. Gauff è una delle quattro giocatrici in graduatoria: un numero inferiore rispetto allo scorso anno (erano cinque), ma che, come rileva Forbes.com, dimostra come il tennis sia tra i pochi sport professionistici che garantisce un trattamento economico simile a uomini e donne (anche se in diversi tornei il montepremi maschile resta più alto).
Nel complesso, i dieci giocatori in classifica hanno incassato 246 milioni di dollari nell’ultimo anno: il 26% in più dei 196 milioni di 12 mesi fa. Il record di 343 milioni, che risale al 2020, resta lontano, ma va ricordato che all’epoca i soli Roger Federer e Serena Williams incassavano 142 milioni. Federer, in particolare, ha dominato la graduatoria dal 2007 fino al ritiro. F
TUTTE LE CIFRE SONO ESPRESSE IN DOLLARI
CARLOS ALCARAZ
42,3 milioni 21 anni
Spagna
Guadagni sul campo: 10,3 milioni
Guadagni fuori dal campo: 32 milioni
NOVAK DJOKOVIC
37,2 milioni 37 anni
Serbia
Guadagni sul campo: 12,2 milioni
Guadagni fuori dal campo: 25 milioni
3 | COCO GAUFF
27,1 milioni
Età: 20 anni
Paese: Stati Uniti
Guadagni sul campo: 7,1 milioni
Guadagni fuori dal campo: 20 milioni
4 | IGA SWIATEK
26,7 milioni
Età: 23 anni
Paese: Polonia
Guadagni sul campo: 11,7 milioni
Guadagni fuori dal campo: 15 milioni
5 | JANNIK SINNER
26,6 milioni
Età: 23 anni
Paese: Italia
Guadagni sul campo: 11,6 milioni
Guadagni fuori dal campo: 15 milioni
6 | RAFAEL NADAL
23,3 milioni
Età: 38 anni
Paese: Spagna
Guadagni sul campo: 0,3 milioni
Guadagni fuori dal campo: 23 milioni
7 | DANIIL MEDVEDEV
20,3 milioni
Età: 28 anni
Paese: Russia
Guadagni sul campo: 7,3 milioni
Guadagni fuori dal campo: 13 milioni
8 | NAOMI OSAKA
14,6 milioni
Età: 26 anni
Paese: Giappone
Guadagni sul campo: 0,6 milioni
Guadagni fuori dal campo: 14 milioni
9 | CASPER RUUD
13,9 milioni
Età: 25 anni
Paese: Norvegia
Guadagni sul campo: 3,9 milioni
Guadagni fuori dal campo: 10 milioni
10 | ARYNA SABALENKA
13,7 milioni
Età: 26 anni
Paese: Bielorussia
Guadagni sul campo: 6,7 milioni
Guadagni fuori
dal campo: 7 milioni
SOCIAL RESPONSIBILITY SHORT NEWS
di Enzo Argante
Ogni secondo in Italia si consumano 2,4 metri quadrati di suolo per realizzare opere urbanistiche. Il report Consumo di suolo in Italia 2023, pubblicato dall’Ispra, registra un +10% di nuova occupazione rispetto al 2022. Un trend che renderà le città sempre più calde e caotiche. Una soluzione è la rigenerazione urbana, che nel 2050 avrà
La transizione verde creerà fino a 30 milioni di nuovi posti di lavoro entro il 2030 e sarà il principale fattore di incremento occupazionale nei prossimi cinque anni. Secondo il report Building CompetitiveAdvantagewithAPeopleFirst Green Business Transformation di ManpowerGroup, il 94% dei datori di lavoro globali riconosce di non avere i professionisti necessari per raggiungere gli obiettivi esg. Daniela Caputo, sales, marketing & innovation director di ManpowerGroup Italia, dice: “Quello del progresso verso la transizione ecologica e dell’impatto su comunità, aziende e società è un tema centrale che influenzerà enormemente il mondo del lavoro”.
un giro d’affari di 2.300 miliardi, con 100mila nuovi posti di lavoro, e offrirà opportunità di rinascita anche per i borghi storici. “Il futuro del mercato immobiliare deve attingere dal suo passato”, conferma Alessandro Gatti, esperto di real estate e presidente di Rehalta, società immobiliare che si occupa di rigenerazione urbana.
La multinazionale italiana specializzata in elettrochimica Industrie De Nora e Duferco Energia, tra le principali aziende del mercato energetico del nostro Paese, hanno siglato un accordo per la realizzazione di progetti di produzione di idrogeno verde per i settori mobilità, energia e logistica in Italia. “Grazie a questa partnership tutta italiana”, commenta Paolo Dellachà, ceo di De Nora, “offriremo al mercato impianti realizzati da Duferco Energia utilizzando la tecnologia De Nora di elettrolisi per la produzione di idrogeno verde, garantendo il miglior ritorno economico per una transizione energetica sostenibile”.
L’Agenzia spaziale europea (Esa) ha annunciato i fondi per preparare la missione Ramses, diretta all’asteroide Apophis, che nel 2029 transiterà ad appena 32mila chilometri dalla Terra, cioè a circa un decimo della distanza che ci separa dalla Luna. L’occasione unica di studiare da vicino un esemplare così massiccio (oltre 300 metri di diametro)
ha convinto l’Esa ad approvare i primi finanziamenti senza attendere il Consiglio ministeriale 2025, quando la missione verrà approvata nella sua interezza. Per essere pronti all’appuntamento con questo fossile del Sistema solare, Ramses dovrà infatti decollare nel 2028 e avvicinare Apophis per indagarlo. Nel 2004, per qualche giorno dopo la sua scoperta, i calcoli indicavano Apophis in collisione con la Terra proprio nel 2029, con una probabilità preoccupante. Scenario escluso dalle successive osservazioni.
di Emilio Cozzi
La compagnia e-Geos, società italiana di elaborazione dei dati satellitari, ha vinto il contratto per guidare, dal 2024 al 2028, il consorzio Original (OpeRatIonal Groundmotion INsar ALliance), che produce le mappe di movimento del suolo di tutta Europa usando i dati della costellazione Copernicus. Lo European ground motion service misura, con precisione millimetrica, gli spostamenti e le più piccole modifiche che avvengono sulla superficie terrestre: abbassamento e sollevamento del suolo (come
nel caso dei Campi Flegrei), movimenti anomali di infrastrutture ed edifici per prevenire crolli e cedimenti, o del terreno (per le frane) su versanti dei rilievi, usando l’eco dei radar (Sar) dei satelliti Sentinel. Per e-Geos (Telespazio
80% e Agenzia spaziale italiana 20%), che per i calcoli si avvale anche del supercomputer di Leonardo, il Da Vinci 1, si tratterà di fornire prodotti di qualità superiore con maggior frequenza di aggiornamento, da 12 mesi a dieci.
Il fondo Primo Space ha investito 2 milioni di euro in Lithium Lasers, spin-off del Politecnico di Milano, nato nel 2019 per sviluppare laser a impulsi ultracorti, macchine per la lavorazione di precisione dei materiali. Femtoflash è un ultrashort pulse laser che utilizza flash di luce della durata di 800 femtosecondi (milionesimi di miliardesimo di secondo) e
consente la precisione necessaria, unita a un’esecuzione rapida, senza riscaldare il materiale. Usato per l’incisione, il taglio, la zigrinatura e la perforazione di molti materiali, come semiconduttori, metalli, polimeri e ceramiche, ha applicazioni in diversi settori: da quello medicale all’elettronica, dall’automotive allo spazio. Con l’investimento di Primo Space (insieme con 360 Capital) Lithium Lasers potrà accelerare il processo di industrializzazione e commercializzazione e pianificare una nuova linea di laser Uv.
UFFICI SENZA FRONTIERE
THE PROFILE
INTERNATIONAL WORKPLACE GROUP (IWG)
È UNO DEI PIÙ GRANDI NETWORK
DI SPAZI UFFICIO PRONTI ALL’USO PER AZIENDE
E PROFESSIONISTI. NEL MONDO DISPONE
DI QUATTROMILA CENTRI E HA RAGGIUNTO
UN FATTURATO DI 4,27 MILIARDI DI DOLLARI
NEL 2023. NEL NOSTRO PAESE, DOVE È PRESENTE
CON I MARCHI REGUS, COPERNICO, SPACES,
SIGNATURE E HQ, HA SUPERATO
LE 100 LOCATION E IL MERCATO È IN CONTINUA
ESPANSIONE. NON SOLO NELLE METROPOLI.
ECCO I SEGRETI DI UN SUCCESSO
RACCONTATI DA MAURO MORDINI, COUNTRY MANAGER PER L’ITALIA
GGrande appassionato di calcio, Mauro Mordini, country manager Italia di International Workplace Group, il più grande operatore al mondo nel business dell’affitto di spazi e uffici attrezzati, è abituato a guardare la porta e a far goal. Una passione, quella per il pallone, che si riflette nella sua leadership di oggi: gioco di squadra, capacità di cogliere le opportunità e sguardo sempre rivolto al futuro in un settore che sta letteralmente esplodendo. Lo dice il fatturato globale di Iwg, quotata alla Borsa di Londra, che nel 2023 ha raggiunto il record nei 35 anni dalla sua fondazione: 4,27 miliardi di dollari, con più di quattromila business center in tutto il mondo (di cui 867 aggiunti nel 2023) e più di 100 in Italia, dove opera con i brand Regus, Copernico, Spaces, Signature e Hq. Il fondatore è Mark Dixon, che opera ancora all’interno della società come ceo.
grande multinazionale si è fatto le sue esperienze, anche dure. Ha cominciato a lavorare in Ups, dove è rimasto per 16 anni, facendo la gavetta e poi piano piano è salito e ha cominciato la carriera di manager che lo ha portato in Germania, in Inghilterra e finalmente in Italia, dove nel 2001 ha incontrato il gruppo Iwg. “Quando sono entrato avevamo sette business center. Oggi ne abbiamo più di 100”, racconta con orgoglio. “La maggiore espansione è stata dal 2014 in avanti, grazie alla domanda crescente di spazi e uffici attrezzati e soprattutto alle persone che lavorano con me, che mi hanno dato la possibilità di accelerare e affrontare un mercato che va a gran velocità. Quindi insieme abbiamo costruito qualcosa di grande. Gli inizi non sono stati difficili, perché la società è sempre andata bene, ma il difficile è stato farsi conoscere, perché era un concetto molto, molto nuovo per l’Italia”.
Allora lo spieghi questo concetto nuovo di successo.
"Grandi aziende globali danno ai dipendenti l'accesso all'intero network Iwg, con accordi di membership"
Iwg ha una struttura di comando molto snella, flessibile, veloce. Non ha una sede mondiale se non quella, ufficiale, richiesta dalla legge, ma il management è dislocato nei diversi paesi. Anche in Italia non c’è una sede ufficiale. “Io utilizzo gli uffici liberi, quelli che non sono ancora stati scelti dai clienti. Quando poi quello spazio viene occupato da qualche nuova società, lo cambio”, dice Mordini, che prima di arrivare a guidare in Italia una
I nostri clienti, all’interno del network Iwg, possono scegliere tra un’immensa rete di quattromila location in 120 paesi, una piattaforma da poter utilizzare a seconda dell’esigenza sia della grossa multinazionale, sia del singolo professionista. Ma può andare bene anche per una società che vuole operare andando incontro alle esigenze dei dipendenti, quindi avere una sede rappresentativa centrale, magari più piccola, e una serie di sedi secondarie in zone più vicine all’area residenziale o comode con i mezzi di trasporto, per permettere a chi lavora di accedere più agevolmente e di raggiungerle in meno tempo.
La vostra offerta è un passo avanti rispetto allo smart working o è un’integrazione?
È improbabile che qualcuno possa sempre decidere di lavorare da casa così come che qualcuno possa scegliere di lavorare sempre dalla sede principale. La soluzione del futuro delle grandi aziende si chiama hybrid working: è semplicemente l’utilizzo dinamico della sede aziendale, della propria casa, di un’area co-working o di
un ufficio privato all’interno del business center. Anche perché se si vuole trasmettere la cultura aziendale o creare un team, farlo sempre da remoto è molto difficile.
Dopo la grande ubriacatura del remote working legata al Covid, le grandi aziende tendono a riportare in sede i propri dipendenti. Torneremo a lavorare in ufficio come prima? La flessibilità e il lavoro da remoto esistevano già prima del Covid. Erano molto più utilizzate dalle multinazionali, dalle società più dinamiche. Con il Covid siamo stati tutti obbligati ad adottare queste soluzioni. D’altra parte, la tecnologia ormai da anni ci permetteva di farlo, era semmai più un discorso di mentalità: oggi alcune società non richiedono neanche un giorno di lavoro dall’ufficio centrale, altri utilizzano il remote working in maniera più controllata con uno o due giorni regolati contrattualmente. Di fatto indietro al 100% non torneremo mai più e quindi tutte le aziende si stanno organizzando, ma molte lo hanno già fatto. Per esempio grandi aziende globali, come Ntt, hanno dato ai loro dipendenti (300mila) l’accesso all’intero network di spazi Iwg, attraverso un accordo di membership. Questo si traduce nella possibilità di la-
vorare ovunque in una delle nostre quattromila sedi a livello globale, vicino a casa, alla scuola del figlio, al luogo di villeggiatura, alla casa al mare, con una totale flessibilità.
Un modo completamente diverso di affrontare il lavoro, ma anche di organizzare la propria vita.
Ormai in moltissimi casi le società hanno sede principale in un’area di rappresentanza, una struttura produttiva o logistica in aree più funzionali, ma hanno uno o più uffici presso le nostre strutture, che sono un hub per i loro dipendenti, da usare in modo flessibile. Tante volte all’interno di questi uffici, che magari hanno quattro-cinque scrivanie, ruotano sette-otto persone, perché tutto è usato veramente con grande flessibilità.
Voi sostenente che il lavoro ibrido protegge dallo stress. In che modo?
Creando una rete di spazi sempre più capillare che permetta a tutti di avere uno spazio di lavoro flessibile vicino a dove vivono. Il passaggio al lavoro ibrido porta un miglioramento dell’equilibrio vita-lavoro, ma anche significativi benefici per la salute sia fisica, sia mentale. Ridurre gli spostamenti tra casa e lavoro permette di avere
Lo spazio per il co-working di Iwg nella zona di Porta Nuova a Milano.
più tempo per prendersi cura del proprio benessere e riduce le probabilità di burnout. Lavorare in maniera flessibile, vicino a casa, in un ambiente attrezzato dove si può interagire, non necessariamente solo con i colleghi, ma anche con professionisti, o persone che condividono lo stesso edificio, magari anche di altre aziende, rende la vita e il rapporto con il lavoro più interessante, meno stressante.
Per il vostro business meglio gli immobili in centro o in periferia?
Dal 1997, quando siamo arrivati in Italia, abbiamo cominciato a espanderci. Prima lentamente, perché il nostro era un concetto molto nuovo, ma dal 2014 c’è stata una domanda crescente, con un’espansione incredibile. Siamo passati, negli ultimi dieci anni, da dieci a 100 centri in Italia e abbiamo un tasso di crescita di circa 15 centri all’anno. All’inizio abbiamo avuto uno sviluppo soprattutto metropolitano, perché un concetto di questo tipo, soprattutto agli albori, si sposava molto con il centro di Milano, di Roma o di Torino, perché il target originario era l’azienda multinazionale che voleva rimanere in centro per motivi di immagine. Ma abbiamo allargato il nostro bacino all’interno della città e quindi abbiamo aperto nelle zone semicentrali, periferiche o anche nell’hinterland.
Abbiamo diversi centri ad Agrate Brianza, Milanofiori, Cologno Monzese, ne abbiamo due o tre nell’area di Segrate. Abbiamo allargato la nostra densità dal centro verso l’esterno e, soprattutto, l’espansione dell’ultimo anno è andata al di là della grande città, quindi siamo presenti a Milano, Roma, Torino, Firenze, Bologna e Napoli, ma abbiamo aperto a Trieste, Cagliari, Varese, Genova, stiamo aprendo a Parma, Bari, Andria, Reggio Calabria. Ormai siamo di fronte a una tendenza mondiale partita dal mondo anglosassone. Prima di aprire a22ww Reggio Calabria, abbiamo aperto quasi 60 business center a Milano. Perché è chiaro che dobbiamo muoverci con la logica, ma con un po’ di business acumen, cavalcando il mercato più importante. Però quello che accade a Milano, a Roma, a Torino ha un’evoluzione inevitabile. E quindi le società, per dire, di Padova o di Bergamo hanno a che fare con realtà che operano sul mercato internazionale.
Come nasce la scelta di aprire in una città piuttosto che in un’altra?
La richiesta per soluzioni di lavoro ibride è talmente alta che puntiamo ad ampliare il nostro network fino a essere presenti ovunque con uno spazio di lavoro flessibile, anche attraverso lo sviluppo di partnership con imprenditori o proprietari immobiliari locali. Vogliono investire con noi sia per dare nuovo valore agli immobili, sia per metterli a reddito attraverso la modalità franchising o in partnership. Nel caso della partnership, gestiamo il business per conto della proprietà degli edifici, mentre per il franchising si rivolgono a noi gruppi già più strutturati.
Il mercato internazionale, per il vostro business, è più interessante nei paesi di capitalismo maturo oppure nei paesi emergenti?
Tutti, ovunque. Iwg permette un ingresso veloce nel mercato ed è proprio la velocità di ingresso che fa la differenza anche per anni, soprattutto quando si è in fase di startup. Un imprenditore che voleva avviare un’attività in Italia, nei primi anni della nostra presenza, sarebbe dovuto venire fisicamente nel Paese, capire come funzionavano le cose, trovare l’edificio, trovare dei consulenti per il contratto, fare la ristrutturazione. Cioè, dal momento della decisione di lanciare il business al momento dell’inizio delle operazioni potevano passare anche sei, otto mesi. Attraverso il nostro network e quindi grazie alla nostra presenza, invece, è possibile essere operativi già il giorno successivo, senza preoccuparsi della
struttura. Oggi il mercato, rispetto a 20 anni fa, è molto più veloce. Una volta si potevano fare i piani a cinque, dieci anni, c’era questa tendenza. Oggi, in due o tre anni cambia tutto, quindi bisogna sempre rimanere in linea con gli andamenti economici o qualsiasi variazione, nuovi mercati.
Poi, con l’intelligenza artificiale… Appunto. In Italia gli affitti per gli uffici hanno i contratti commerciali di sei anni più sei anni. Ma oggi è diventato molto complicato pianificare a sei/12 anni. Per molte società, fare un business per sei anni è impossibile. Quello che andava benissimo fino a oggi domani non funzionerà più. C’è assoluto bisogno di flessibilità per essere in grado di adeguare il business ma non solo, anche le strutture e il personale, altrimenti la società rischia di implodere.
Come si calcola il break even e qual è il ritorno dei partner?
Dipende dall’edificio e dal valore della location. Si sviluppa un prezzo anche in funzione di quello, che comprende la copertura dei costi e un margine. Anche l’occupazione degli spazi dipende da molti fattori. Prendiamo per esempio Reggio Calabria, che non è Milano, non è Manhattan, non è Londra. Apriremo a settembre e abbiamo già venduto una parte significativa degli spazi disponibili.
pensare a un ulteriore miglioramento, visto che c’è un aumento esponenziale della domanda. Infatti stiamo allargando il network non solo per far fronte alla domanda di oggi, ma per essere preparati alla domanda di domani.
Tendete a operare soprattutto con immobili in affitto. Fa parte anche questo della filosofia della flessibilità?
Sì. Una flessibilità di cui possono godere anche i proprietari di immobili. Il 2023 si è chiuso con 867 nuove sedi aggiunte, di cui il 95% deriva da accordi di partnership. Una modalità che permette ai proprietari di dare nuovo valore agli spazi vuoti, sfruttando la nostra esperienza trentennale, senza la rigidità di lunghi rinnovi, eventuali periodi di vuoto o un’eccessiva dipendenza da singoli contratti di locazione. Gestiamo i business center in forma diretta o in partecipazione con altre proprietà che vogliono investire con noi. Altrimenti sarebbe impensabile avere quattromila edifici a disposizione.
"Ridurre i viaggi casa-lavoro permette di avere più tempo per curare il proprio benessere e riduce le probabilità di burnout"
Cosa dice il futuro per il vostro settore?
Il futuro ci dice che il mercato flessibile degli spazi-uffici crescerà in maniera imponente. In uno studio fatto da Jll, pre-Covid, si diceva che nel 2030 il 30% degli spazi delle grosse multinazionali sarebbe stato flessibile. Tra Covid e accelerazione complessiva, probabilmente questa crescita non riguarderà solo grosse multinazionali, ma sarà di tanti, di molte aziende e probabilmente il traguardo non sarà il 2030, ma il 2026. Perché tutto è stato accelerato. Il fatto che il gruppo abbia avuto il record di fatturato nel 2023 (non abbiamo i dati del 2024), ci induce a
Oggi tutti vogliono essere sostenibili. Le vostre soluzioni vi danno un vantaggio verso i vostri clienti? Siamo molto attenti, come tutte le grosse società a livello mondiale, al tema delle emissioni e della sostenibilità. Oggi una società moderna e responsabile persegue certo il profitto, ma le stanno a cuore anche le persone e il pianeta e Iwg opera in questa direzione. Il gruppo è certificato carbon neutral dal 2023 e continuiamo a lavorare per essere più sostenibili possibile. I nostri edifici includono anche certificazioni Leed o Breeam, per citare due tra le certificazioni edilizie riconosciute che assicurano la sostenibilità degli edifici. Le nuove ristrutturazioni anche dei grossi gruppi, dei grandi fondi vanno in questa direzione e noi con loro. E poi non dimentichiamoci che uno sviluppo delle aree suburbane e periferiche aiuta concretamente a limitare le emissioni, soprattutto quelle derivanti dai trasporti: si riducono i tempi di viaggio casa-lavoro, lavoro-casa. F
di Tommaso Carboni
Il turismo vale il 3% del Pil globale e Airbnb ha creato un importante giro d’affari. Ma non mancano gli effetti collaterali: in molti centri storici non si trovano più case in affitto e in Europa i residenti manifestano contro strade sporche, trasporti pubblici sovraccarichi e prezzi altissimi. Le soluzioni? C’è chi alza le imposte per limitare l’affollamento, puntando sull’esclusività. Con il rischio, però, di diventare inospitale
L’Università Sapienza gli ha messo in tasca una laurea in lettere moderne. Roma, la sua città, gli ha offerto un lavoro: l’affittacamere. “Sei bravo”, gli diceva il professore, “fai il dottorato”. Ma lui all’epoca già faceva i primi check-in. Lorenzo (nome di fantasia) ha sempre lavorato, anche con impieghi umili, come il cameriere. Accoglieva turisti nelle case su Airbnb, poi ha conosciuto un signore che gli ha fatto gestire più appartamenti. Dopo due anni la rete si è allargata. Oggi Lorenzo guadagna bene: d’estate anche 6mila euro al mese. “Lordi”, precisa. D’inverno meno. “Ma sei bloccato a Roma, reperibile a ogni ora. I turisti sono imbranati: si chiudono dentro casa, non sanno accendere l’aria condizionata. Ti chiamano e tu devi correre”. Francesco (altro nome di fantasia) sta dall’altra parte della barricata: il vero privilegio. Ha ereditato due case nel centro di Roma, di metratura perfetta per Airbnb: due camere da letto, un salotto, due bagni. Le fa gestire a un amico che
13%
La quota del prodotto interno lordo spagnolo riconducibile al turismo
le tiene sempre piene. “Con gli affitti brevi guadagno più del doppio, anche al netto di tasse e della quota del 30% che va al mio amico”. Nel suo caso, Airbnb lo ha svincolato da Roma. Vive in Messico, Baja California, e medita di aprire un bar o un ristorante. Ecco due storie ordinarie che raccontano le possibilità, ma anche gli effetti collaterali, del nuovo turismo.
Le case vacanza sono molto più redditizie delle locazioni a lungo termine. Secondo l’ultimo report Nomisma, pubblicato a giugno 2024, gli affitti brevi a Roma – ma anche a Napoli, Milano, Torino e Bologna – rendono grosso modo il doppio rispetto ad alternative tradizionali. Più la città è piccola e turistica, più lo scarto aumenta. La redditività è più alta del 100% a Palermo. È quasi tripla a Firenze e più che tripla a Venezia. Ecco l’effetto collaterale: nei centri storici non si trovano più case in affitto per la gente del posto. E quando si trovano, hanno canoni maggiorati per competere con gli Airbnb. La saturazione del centro fa crescere gli affitti a lungo termine in altri quartieri, con un danno ovvio per i residenti, spinti in zone più periferiche. Questo sembra proprio l’andamento del centro di Roma. Secondo il bollet-
tino statistico del Comune, tra il 2016 e il 2021 la popolazione del primo municipio è diminuita di oltre il 5%, uno dei cali più forti tra le varie zone della città. Al contrario, le uniche due aree dove la popolazione è cresciuta sono quelle più periferiche: il nono municipio, che grosso modo corrisponde al quartiere Eur, e il settimo, nella zona sud-est della città. Il calo di residenti del primo municipio coincide proprio con la crescita degli affitti brevi. Secondo i dati raccolti dalla piattaforma InsideAirbnb al 15 luglio 2024, a Roma ci sono più di 32.200 annunci di affitti su Airbnb, e oltre il 50% è concentrato nel primo municipio. L’ecosistema di Airbnb ha creato i propri stakeholder: turisti, proprietari e gestori di case. Va trovato un equilibrio con chi ha interessi contrapposti, come i residenti. L’attrito, per certi versi, ricorda quello con altre lobby, tipo tassisti e balneari. Ad esempio la nuova sindaca di Firenze Sara Funaro, eletta dal centro-sinistra, vorrebbe limitare gli affitti brevi, riproponendo una norma del suo predecessore, Dario Nardella (sempre centro-sinistra). Il 30 luglio il Consiglio comunale di Firenze ha approvato lo stop. In sostanza un blocco di nuove locazioni Airbnb nella zona Unesco, il cuore del centro storico. Così come protegge tassisti e balneari, la destra si è schierata contro. La ministra Santanchè ha detto: “La scelta di fare cosa si vuole in casa propria deve essere libera. Regolamentare sì, ma non mortificare la proprietà privata”. Adesso il Comune si aspetta una guerra di carte bollate e ricorsi al Tar. Gran parte dell’Europa è percorsa dalla stessa tensione. Anche a Lisbona le autorità cittadine hanno sospeso le nuove licenze per gli affitti brevi. Barcellona vorrebbe essere ancora più drastica: ha promesso di chiudere entro il 2028 i suoi diecimila appartamenti in stile Airbnb, che rappresentano il 40% dei posti letto per i turisti.
Proprio la Spagna è al centro di queste contraddizioni: da una parte ha beneficiato tantissimo del turismo, facendone un’industria di massa fin dagli anni ‘70; dall’altra molti abitanti nei luoghi più
Le città e i paesi europei cominciano a prendere alcuni accorgimenti.
La Grecia pensa di ridurre i posti barca nel 2025, dopo che l’anno scorso gli arrivi sono cresciuti del 50%
battuti si dichiarano esasperati. Immaginatevi di essere un americano seduto al tavolino di un ristorante di Barcellona. Sono le tre di pomeriggio e la temperatura supera i 40 gradi – per fortuna, perché quest’estate avreste potuto essere il bersaglio di ronde di cittadini armati di pistole e fucili ad acqua. Un’imboscata nemmeno troppo sgradevole, con questo caldo. Ma la protesta è seria. Tremila persone hanno manifestato a Barcellona contro i danni del turismo. Le strade sporche, gli affitti altissimi, i trasporti pubblici sovraccarichi, il quartiere gotico ridotto a una sorta di “Disneyland medievale”. La Spagna è il secondo paese più visitato al mondo, con più visitatori pro capite della Francia, la destinazione principale. Ricava dal turismo circa il 13% del prodotto interno lordo e i turisti continuano ad aumentare. C’è ancora spazio per crescere? Nelle isole molti residenti dicono basta. Hanno protestato in 56mila alle Canarie e in diecimila a Maiorca, dove si sono svegliati presto per occupare una delle spiagge più gettonate su Instagram. Sulla costa meridionale più di cinquemila persone hanno manifestato a Málaga, diverse migliaia ad Alicante e a Cadice. Ci sono state manifestazioni a Siviglia, a San Sebastián
A Roma, tra il 2016 e il 2021, la popolazione del primo municipio è diminuita di oltre il 5%.
Secondo i dati raccolti dalla piattaforma
e persino nel quartiere Lavapiés di Madrid. La parola dell’estate in Spagna è ‘turismofobia’.
Sembra paradossale, perché il turismo porta denaro. Negli ultimi due anni l’Europa del sud è cresciuta di più anche per questo. Nel 2023 le economie di Grecia, Spagna e Portogallo hanno avuto un tasso di crescita del 2% o superiore, contro una media dello 0,4% nell’Unione europea. Secondo alcune stime, che calcolano in maniera più ampia l’indotto del settore, oggi il 20% dell’economia albanese è mossa dal turismo. Con il senno di poi, la pandemia è stata un piccolo inciampo. L’industria si è ripresa ed è più forte di prima. Oggi vale il 3% del Pil globale. Secondo le Nazioni Unite, quest’anno i turisti internazionali saranno 1,5 miliardi, più del 2019. E generalmente sono molto ben accetti. Il problema è quando si affollano in alcune destinazioni. Come strategia di sviluppo, però, il turismo ha diversi limiti, avvertono gli economisti. Spesso porta impieghi a bassa produttività, poco qualificati e mal pagati. Lavorare in un ristorante può essere più divertente che stare in ufficio, ma a 40 anni un cameriere stanco rimpiangerà di non aver preso quella benedetta laurea (o di non aver scelto
InsideAirbnb al 15 luglio 2024, in questa zona è concentrato il 50% dei 32.200 annunci di affitti su Airbnb
la facoltà giusta). Facciamo l’esempio dell’Italia. Durante il raduno FareTurismo, tenuto a Roma a marzo, è venuto fuori che l’80% di chi è impiegato nel settore è inquadrato ai livelli più bassi dei contratti nazionali di lavoro. Anche per questo i salari sono inferiori alla media. Ed è per questo che ogni estate c’è la lamentela degli imprenditori che non trovano abbastanza manodopera. In Italia le imprese turistiche tendono a essere piccole, e dimensioni piccole di solito implicano una produttività bassa, quindi valore aggiunto e stipendi meno brillanti di quanto sarebbe possibile in realtà più grandi.
Come se non bastasse, gli economisti tirano in ballo la cosiddetta ‘malattia olandese’, cioè quella che si verifica quando la crescita rapida di un settore ostacola lo sviluppo di altri. Di solito capita con aumenti di ricavi ottenuti esportando materie prime, ma potrebbe succedere anche con il turismo, dove confluirebbero capitali e lavoratori a scapito di industrie più redditizie. In Italia l’espansione del turismo dal 2010 al 2019, secondo Giuseppe Di Giacomo dell’Università di Lugano e Benjamin Lerch del ministero delle Finanze svizzero, ha fatto sì che meno gente si iscrivesse all’università e si laureasse. L’idea è che vada bene fare
pizze e cocktail a 20 anni, ma alla lunga non sia molto lungimirante. È anche vero, però, che non tutti possono (o vogliono) fare gli ingegneri.
Il principe Mohammad bin Salman (Mbs), autocrate modernizzatore dell’Arabia Saudita, probabilmente non sarebbe d’accordo con i due studiosi. Sta puntando tantissimo sul turismo per una crescita alternativa al petrolio. In effetti i numeri aumentano. I turisti sono raddoppiati rispetto a cinque anni fa e il contributo del settore al Pil nazionale è cresciuto di un terzo, arrivando al 4%. Il governo vorrebbe ricavare un milione di posti di lavoro entro il 2030, sufficienti per assumere un saudita su 20, una percentuale più alta che in Spagna.
Il punto è capire se questa sia la migliore strategia di sviluppo. Il turismo non ha la produttività dei settori più moderni, ma può facilmente dare lavoro a molte persone. Bisogna cercare di trarne vantaggio, minimizzando l’effetto collaterale. I ricavi possono essere investiti in infrastrutture e in settori con un valore aggiunto superiore.
Le città e i paesi europei cominciano a
1,5 mld
I turisti internazionali previsti dalle Nazioni Unite per quest’anno
13
Gli alberghi a cinque stelle che apriranno a Roma entro il 2027
prendere alcuni accorgimenti. La Grecia pensa di ridurre i posti barca nel 2025, dopo che l’anno scorso gli arrivi sono cresciuti del 50%. Da Portimão, in Portogallo, a Poole, in Gran Bretagna, i sindaci fanno pagare ai turisti più tasse per limitare l’affollamento. Si vogliono attrarre visitatori più ricchi, disposti a spendere di più, o anche solo ridurne il numero. Lo sta facendo Venezia: una tassa di 5 euro per turisti giornalieri che potrebbe essere raddoppiata. Ovvio, non sarà questo a fermarli, ma chi è abituato a spendere poco o nulla dovrà pagare qualcosa in più. La speranza è che tasse di questo tipo spingano a pernottare almeno una notte, e questo vale per altre città molto ambite, come Roma. Un’altra strategia è focalizzarsi su qualità ed esclusività dell’esperienza. Insomma, turisti più facoltosi (un mercato in cui la produttività tende a essere più alta). Roma, dopo la pandemia, sta cambiando. C’erano strutture inadeguate e i fondi d’investimento hanno colto l’occasione per rinnovarle. Da qui al 2027 dovrebbero aprire 13 nuovi alberghi a cinque stelle. Alcuni nomi: il Nobu Hotel in Via Veneto, l’Orient Express vicino al Pantheon, poi il Four Seasons e il Mandarin Oriental. Quindi la soluzione è il lusso? Non necessariamente. Però Roma ne aveva bisogno per mettersi alla pari con le capitali europee. Piuttosto che diventare inospitali, vale la pena di far funzionare il turismo. Quando la città si affolla, per mantenere il decoro, a Barcellona chiedono una supervisione più severa delle forze dell’ordine. Anche per gli affitti potrebbe trovarsi rimedio. Airbnb va regolato, ma i prezzi non aumenterebbero così tanto se ci fossero appartamenti sufficienti per la domanda sia locale che estera. I turisti sono davvero troppi o sono scarse le infrastrutture? Un investimento coordinato in alloggi e trasporti urbani allevierebbe la pressione. Per velocizzare i tempi i governi potrebbero allentare le regole di pianificazione. E se tutto questo non bastasse? il regno del Buthan tassa i suoi visitatori 100 dollari al giorno. Ma si lamenta che i turisti sono troppo pochi. F
I colossi Airbus e Thales meditano una partnership per rispondere alla concorrenza dei satelliti non europei, innanzitutto quelli della SpaceX di Elon Musk. Con conseguenze per la costellazione più importante della Commissione. E anche Leonardo potrebbe giocare un ruolo nella partita
di Emilio Cozzi
FFuori dal tunnel, quello che l’Agenzia spaziale europea e il continente tutto avevano imboccato qualche tempo fa: la crisi dei lanciatori. A luglio il rombo del razzo Ariane 6 diretto oltre il cielo ha restituito un po’ di serenità negli ambienti spaziali. Si può tornare a programmare il futuro, forti di un nuovo vettore e, si spera, di due entro fine anno, con il ritorno in servizio di Vega C. Il che non implica vada tutto bene nello spazio europeo.
A voler vedere il bicchiere mezzo pieno, c’è il fremito tipico di un periodo di transizione o, se si preferisce, di stravolgimento. Non sarebbe meno legittimo, però, parlare di inquietudine, perché se due dei colossi che guidano il settore stanno considerando l’ipotesi di lasciare il più importante progetto spaziale europeo dei prossimi anni, significa che qualche dubbio rimane. La risposta potrebbe essere quella di unire le forze, ma la strada è tutt’altro che in discesa.
I fatti crudi: Thales e Airbus, due giganti della manifattura extra atmosferica, attraverso le partecipate Thales Alenia Space e Airbus Defense & Space, hanno intenzione di uscire dal consorzio SpaceRise, deputato ad accaparrarsi il mercato di Iris2, la futura costellazione europea di connessione per esigenze governative, istituzionali e commerciali, quella che dovrebbe rispondere alle omologhe Starlink (di SpaceX) e Kuiper (di Amazon).
Il progetto Iris2 è stato annunciato nel 2022 dalla Commissione europea: si tratta di portare in orbita bassa e media centinaia di satelliti per garantire al continente un servizio internet che possa integrare e, all’occorrenza, sostituire le antenne e i cavi terrestri. Un’infrastruttura strategica e resiliente, in grado di assicurare connessione e operatività anche in caso di disastri naturali o, nel peggiore degli scenari, di guerra. Si è visto, d’altronde, quanto preziosa sia la costellazione Starlink per la resistenza ucraina di fronte all’invasione russa. Per costruire Iris2 la Commissione europea ha stanziato 2,4 miliardi di euro, dal 2024 al 2027, quando la costellazione dovrebbe di-
ventare operativa e iniziare a fornire il servizio gratuito agli utenti autorizzati dai governi.
La notizia è del quotidiano economico francese La Tribune, che ha rivelato le intenzioni di Thales Alenia Space e di Airbus Space & Defense di fare un passo indietro. Il motivo riguarderebbe il rischio, considerato eccessivo, di lanciarsi in una sorta di salto nel buio. Si tratta anzitutto di una grande costellazione di comunicazione con satelliti disposti su più piani orbitali, un sistema a oggi unico e ancora inesistente. Il costo dell’intera infrastruttura, secondo i calcoli della stessa Commissione, si aggira attorno ai 6 miliardi di euro. Se l’Esa mantiene la promessa di 750 milioni, il calcolo è presto fatto: la metà circa sarà a carico del privato. La differenza servirà a costruire la parte commerciale dell’infrastruttura, quella sul mercato attraverso la vendita di servizi ai privati o alle istituzioni. Lo scoop di La Tribune specifica che i due colossi “credono nel progetto”, ma vorrebbero contribuirvi con il loro ruolo tradizionale, cioè come fornitori del consorzio (a oggi guidato anche da Eutelsat, Hispasat e Ses).
A prescindere da come si evolverà, quella del quotidiano francese non è una buona notizia. Così come non lo era la decisione di Eutelsat di spostare da Ariane 6 a un Falcon 9 il lancio del satellite meteo europeo Mtg-S1, previsto per il 2025. Qualcosa dello spazio europeo non convince i suoi attori principali? La domanda è legittima. Il 9 luglio il lancio di Ariane 6 è stato un successo, in pochi obietterebbero, ma il neo dell’ultima accensione dello stadio superiore, che avrebbe dovuto farlo precipitare in atmosfera e che invece non c’è stato, ha destato qualche perplessità sull’affidabilità del nuovo vettore.
Non è un caso – altra rivelazione di La Tribune – che Airbus e Thales meditino un accordo per unire le rispettive branche spaziali, sebbene non sia ancora noto in quale forma. È però certo arrivino entrambe da un periodo non
felice: la prima ha dovuto affrontare accantonamenti da un miliardo e mezzo negli ultimi due anni proprio nel settore spaziale, mentre Thales Alenia Space è in una fase di riorganizzazione, con un taglio e la redistribuzione di 1.300 posti di lavoro. La domanda di grandi satelliti tv cala e cresce quella degli apparati più piccoli, “quindi il mercato è stato più o meno diviso a metà e noi dobbiamo riadattarci; non c’è alcun mistero”, ha dichiarato alla stampa Patrice Caine, ad di Thales, a marzo. Impossibile ignorare l’altro gigante della partita: Leonardo. Alleata di Thales in Telespazio (di cui ha il 67%), detiene anche il 33% in Thales Alenia Space. Non è irrilevante il fatto che Thales Alenia Space Italia sia la parte più brillante della cosiddetta ‘space alliance’, grazie a commesse con Nasa ed Esa per la stazione orbitante Lunar Gateway, con Axiom per la stazione spaziale privata
e, guarda caso, per gli smallsat della costellazione italiana Iride. E non è un mistero che Leonardo ambisca a far pesare questi risultati nella ridefinizione degli equilibri con il partner francese. “Possiamo dire che stiamo cercando di fare una cosa a tre nello spazio”, ha ammesso l’ad di Leonardo, Roberto Cingolani. “Siamo fortemente attivi sulla catalizzazione di grandi alleanze europee: ora stiamo lavorando molto con Thales e Airbus per nuove visioni strategiche nello spazio”.
Significherà anche passare attraverso il vaglio dell’Antitrust, proprio mentre il mercato dei satelliti (come quello dei lanciatori) si affolla di startup e imprese pronte ad aggredire il mercato. E in attesa che con Starship, il primo sistema di lancio completamente riutilizzabile, SpaceX cambi per l’ennesima volta le regole del gioco. Tutt’altro che facile. Sarà un’impresa stellare. F
Il 60% della popolazione è povera o vulnerabile, l’inflazione è oltre il 27%. L’Egitto vive uno dei momenti più difficili della sua storia recente. Il presidente al-Sisi deve modernizzare il paese per evitare una crisi economica e sociale. E intanto è chiamato a cercare una soluzione diplomatica alla guerra in Palestina
“Un messaggio al mondo intero”. Con queste parole, a dicembre 2023, il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi ha commentato la sua vittoria elettorale, con quasi il 90% delle preferenze e un’affluenza record del 67%. Una vittoria arrivata, però, in uno dei momenti più critici della storia dell’Egitto moderno. Il 60% della popolazione, secondo i dati della Banca Mondiale, è considerata povera o vulnerabile. L’inflazione, seppur in calo dal picco del 35,7%, toccato a febbraio, a giugno era sempre al 27,5%, mentre quella alimentare è al 31,5% anno su anno. Un dramma per un paese che, su 21 milioni di tonnellate di grano consumate ogni anno, ne importa 13. Grano che fino al febbraio 2022 proveniva per l’86% da Russia e Ucraina. Il governo al-Sisi, per correre ai ripari, vende il pane a prezzo calmierato a 70 milioni di egiziani. Alla situazione interna già esplosiva si sono aggiunti molti shock esogeni. L’escalation israelo-palestinese ha portato centinaia di
migliaia di cittadini di Gaza ai confini dell’Egitto. Il Cairo ha bloccato i confini per evitare un esodo di massa e, secondo il Wall Street Journal, sta costruendo un enorme campo profughi nel deserto del Sinai, capace di accogliere fino a 100mila persone. Altri focolai di tensione nei territori vicini sono la guerra civile permanente in Libia e quella in Sudan, che ha causato circa 450mila profughi. Inoltre, gli attacchi dei ribelli sciiti Houthi alle navi che transitano
dal canale di Suez, come rappresaglia contro Israele, hanno fatto diminuire bruscamente i passaggi dal Mar Rosso. Secondo i dati dell’Autorità del Canale di Suez, a maggio il traffico navi è sceso del 53,6% rispetto allo stesso mese del 2023. Questo calo potrebbe essere un colpo mortale per le già fragili finanze statali egiziane. I pedaggi pagati della navi mercantili per il passaggio da Suez nel 2022-2023 hanno raggiunto la cifra record di circa 8,6 miliardi di dollari.
Introito fondamentale per il bilancio statale, dato che le entrate totali nel 2023, secondo Trading Economics, sono state di 1.500 miliardi di sterline egiziane, circa 31 miliardi di dollari. Un’altra conseguenza negativa della guerra a Gaza è il calo dei flussi turistici. Questo settore vale il 12% del Pil. S&P stima, per il 2024, un calo tra il 10 e 30% del turismo, che porterebbe alla perdita dello 0,8% del Pil e fino all’11% delle riserve in valuta estera. Riserve che, dopo la fuga di oltre 20 miliardi di investimenti stranieri, vengono tenute in piedi da miliardi di depositi delle monarchie del Golfo (circa l’80% del totale), senza cui il governo al-Sisi non sarebbe neanche in grado di pagare le importazioni di grano. I paesi del Golfo, che detengono circa il 25% dei 165 miliardi di dollari di debito estero dell’Egitto, in una prima fase avevano sostenuto il governo al-Sisi per paura del diffondersi delle primavere arabe. Ora, però, non sono più propensi a un sostegno economico incondizionato e vogliono asset statali a garanzia dei loro finanziamenti. Un esempio: l’acquisto, avvenuto a marzo, da parte del fondo sovrano emiratino Abu Dhabi Development Holding Company dei diritti di sfruttamento del giacimento di Ras Al Hikma per 35 miliardi di dollari,
necessari per rimpinguare le riserve di valuta pregiata egiziana. Anche l’Arabia Suadita è interessata al giacimento di Ras Giamila in cambio di investimenti per 15 miliardi di dollari.
Il governo egiziano, poi, si è rivolto, al Fondo monetario internazionale (Fmi) per estendere la linee di finanziamenti da 3 a 8 miliardi di dollari. Finanziamento subordinato ad alcune riforme necessarie per la modernizzazione dell’economia. In primis, il Fmi ha richiesto un aumento dei tassi di interesse da parte delle Banca centrale egiziana, per combattere l’iperinflazione, e un regime di cambi flessibili per la valuta locale. Richieste subito accolte, a marzo, con un aumento del 6% dei tassi e con una svalutazione del 50% della sterlina egiziana.
La richiesta più impellente, però, è la diminuzione della presenza dell’esercito nell’azionariato delle principali aziende statali del paese, vista come il maggior freno al rilancio. Il settore più colpito è quello delle costruzioni. Un esempio è la Acud, la società che gestisce il progetto da 58 miliardi di dollari della nuova capitale amministrativa, a circa 45 chilometri da Il Cairo, controllata al 51% dall’esercito. Questa città, costruita ex novo nel deserto su circa 168 chilometri quadrati, dove si dovrebbero trasferire
sei o sette milioni di cittadini, dovrebbe diventare il fiore all’occhiello del nuovo Egitto moderno e sostenibile. Al-Sisi è reticente a escludere l’esercito dal management delle partecipate statali perché sono i militari ad averlo portato al potere ai danni dell’islamista Morsi, garantendone la leadership incontrastata. Senza riforme, però, si bloccherebbero i prestiti del Fmi.
A gennaio l’Egitto è entrato nei paesi Brics, grazie all’appoggio della Cina, desiderosa di portare Il Cairo dalla sua parte. Legami commerciali più stretti con i paesi del gruppo permetteranno all’Egitto di pagare le importazioni anche in una valuta diversa dal dollaro, come yuan o rublo, diminuendone la dipendenza. Inoltre, il paese ha ora accesso al credito della Nuova Banca di Sviluppo, con condizioni molto meno stringenti di quelle poste dal Fmi. Al-Sisi, per evitare l’implosione economica e sociale, deve comunque mettere in piedi riforme che modernizzino l’economia. Solo così potrà attrarre maggiori investimenti e capitali esteri e ottenere nuovi finanziamenti del Fmi. Allo stesso tempo, in politica estera, deve cercare una soluzione diplomatica alla guerra in Palestina e lanciare davvero un “messaggio al mondo intero”. Ne va anche del futuro del suo paese. F
IL CORAGGIO DI OSARE
“Dove siamo riusciti a sviluppare aree dedicate, c’è un grande valore aggiunto, in termini sia di prodotti che di servizi, e quindi di progresso”. Ettore Prandini, presidente di Coldiretti, ha un punto di osservazione privilegiato sulla salute economica e sociale del nostro Paese. Anche perché l’agricoltura italiana è cambiata, con straordinari passi avanti in qualità e innovazione. E lui è tra i principali protagonisti del nuovo corso. Forbes lo ha intervistato
II suoi colori preferiti sono il bianco e il celeste del Brescia e della Lazio. Le maglie delle rondinelle e degli aquilotti lo sorvegliano da dietro la sua scrivania. Ma questo è il calcio, la passione degli italiani. Quando si parla di lavoro e dell’impegno di tutti i giorni, allora i colori preferiti da Ettore Prandini cambiano in giallo e verde, quelli della Coldiretti, l’associazione dei coltivatori italiani con quasi 1,6 milioni di soci che guida dal 2018. Prandini è nato a Leno, in provincia di Brescia, ha una laurea in giurisprudenza e oggi divide il suo tempo tra la presidenza della Coldiretti, un’azienda di bovini da latte e un’impresa vitivinicola con produzione di Lugana. Ricopre anche le cariche di presidente nazionale di Uecoop, della Fondazione Campagna Amica e dell’Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare. L’agricoltura è croce e delizia del nostro Paese: ha attraversato e attraversa mille peripezie, dalla siccità alle alluvioni, ma riesce sempre a portare sui mercati di tutto il mondo prodotti straordinari che fanno grande il made in Italy. Quindi Prandini, grazie anche alla grande ramificazione dell’associazione che guida, ha un punto di osservazione privilegiato sulla salute economica e sociale del nostro Paese. Anche perché l’agricoltura italiana non è più quella di una volta, ma ha fatto straordinari passi in avanti non solo per la qualità, ma anche per l’introduzione delle tecnologie e delle innovazioni e per il ruolo centrale che ha anche in una delle maggiori industrie italiane: quella del turismo. Forbes lo ha intervistato, partendo proprio da questo aspetto.
“Il turismo in Italia ha un margine di crescita particolarmente significativo”, racconta. “Se pensiamo a tutta l’area del Mezzogiorno, dove purtroppo abbiamo ancora una forma di turismo concentrato in pochi mesi durante l’anno,
1.240
Gli
investimenti previsti dagli Usa
nel comparto agricolo-alimentare
dovremmo avere una capacità di attrarre cittadini provenienti da altri paesi per almeno nove mesi. Bisogna creare una serie di iniziative che valorizzino la storia, la cultura che il nostro Paese può offrire insieme al patrimonio enogastronomico, in un insieme che diventa sicuramente grande. Ad esempio, secondo la ricerca di Coldiretti e della piattaforma specializzata I Love Italian Food (Ilif), i cittadini statunitensi che decidono di trascorrere una vacanza in Italia cercano prima di tutto un’esperienza enogastronomica. E sono convinto che l’intuizione che Coldiretti ebbe qualche decennio fa nel salvaguardare la nostra distintività, la nostra biodiversità, quindi non appiattirci nel cibo omologato e globalizzato come avviene in tanti altri paesi, sia stata vincente, perché oggi questo diventa un volano per il nostro turismo, che è una delle voci più importanti per il Paese anche in termini economici”.
386 mld € mld $
Le risorse stanziate dall’Europa con la Pac per cinque anni
Oggi qual è il rapporto tra città e campagna, dal punto di vista turistico?
Non abbiamo avuto una strategia negli ultimi decenni per quanto riguardava una difesa di un sistema produttivo enogastronomico, abbinato ad altri settori produttivi. È prevalso il tema speculativo, soprattutto per quanto riguarda il comparto dell’edilizia, che ha portato anche a un surplus di costruzione e a un problema di invenduto.
Ma questo cosa ha causato?
Abbiamo cementificato tante terre, troppe. L’Italia, a livello europeo, è uno dei paesi che consumano più suolo fertile. Una tendenza che va arginata, non perché non ci debba essere una giusta attenzione nei confronti delle attività produttive, ma perché dobbiamo recuperare quello che storicamente ci appartiene, con il recupero dei centri abitati, con forme di ristrutturazione degli immobili con un efficientamento
in base agli standard europei, ma preservando quello che ci caratterizza, la bellezza del nostro territorio.
Un valore assoluto.
Certo. Se lo perdiamo, perderemo anche gran parte della nostra credibilità legata alle filiere agroalimentari. Pensiamo a quello che stanno facendo altri paesi, come la Francia. Il termine terroir dà valore alle produzioni agricole, abbinate a tutto il sistema della ristorazione in termini di attenzione nella valorizzazione dei prodotti, ma soprattutto si basa su una concezione dello sviluppo delle aree dedicate: in sostanza, dove si fa un’area industriale, lì si portano servizi di altissima qualità. In Italia c’è un po’ di confusione sotto questo punto di vista. Qui ci sono
Ettore Prandini ha un’azienda di bovini da latte e un’impresa vitivinicola che produce Lugana.
aree industriali mescolate ad aree artigianali, collegate comunque a zone residenziali, e tutto questo non ha proprio valorizzato al meglio il nostro territorio.
Ma non sarà proprio tutto così. Per fortuna. Dove siamo riusciti a sviluppare aree dedicate, c’è un grande valore aggiunto. Tra l’altro questo aspetto è strettamente connesso anche alla politica che siamo riusciti a ottenere, legata al decreto legge sul fotovoltaico a terra. Nessuno di noi è contro l’energia rinnovabile, figuriamoci: siamo stati i fautori dello sviluppo degli impianti di biogas, degli impianti di biometano, del fotovoltaico sulle coperture delle nostre attività produttive, quello sospeso che ci dà comunque la possibilità di continuare a coltivare, quello a terra dove ci sono aree non idonee alla coltivazione di ciò che l’agricoltura può offrire anche in termini di capacità produttiva. Dobbiamo insomma preservare l’ambiente, il territorio nel quale viviamo. E qui c’è ancora molto da fare in termini culturali.
Facciamo un salto a Bruxelles. Ursula von der Leyen è stata appena riconfermata, cosa si aspetta? Anche perché finora non è che la politica agricola europea ci abbia dato una grande mano.
Penso che l’errore più grosso commesso nella passata legislatura sia stato creare un meccanismo quasi di scontro fra agricoltura e ambiente. Non ci poteva essere cosa più sbagliata. Dovremmo recuperare la capacità e la voglia di confronto e di dialogo basata sui dati reali e sul loro utilizzo in termini di conoscenza, lasciando da parte l’aspetto ideologico. Fortunatamente l’Europa oggi è il continente più sostenibile sul tema ambientale. L’Italia in questo si contraddistingue, essendo più sostenibile rispetto ad altri sulle filiere agricole. Da questo punto di vista, da parte della presidente von der Leyen ci immaginiamo una politica diversa rispetto a quella del passato, ma anche un’attenzione in termini di investimento.
In che termini?
Gli Stati Uniti nei prossimi anni investiranno 1.240 miliardi di dollari nel comparto agricolo-alimentare, che è un contributo diretto agli agricoltori, ma anche un contributo altrettanto importante per l’innovazione in agricoltura e per il sostegno alimentare ai più bisognosi. In
Europa, invece, con la politica agricola comune a oggi sono stati stanziati 386 miliardi per cinque anni. Questo fa capire la differenza in termini di attenzione. È una sfida che l’Europa non può perdere, perché l’agroalimentare è la prima voce per le esportazioni. Perdere la sfida legata all’innovazione e a una giusta redditualità che deve essere riconosciuta alle imprese agricole rischia di farci perdere la capacità produttiva. Paradossalmente, con un aumento dell’importazione di prodotti provenienti da altri continenti, che non hanno i nostri stessi parametri anche rispetto all’ambiente.
Questo riguarda sostanzialmente la famosa Pac, la politica agricola comune. Sì, ma riguarda anche tante altre direttive dell’Europa. Pensiamo, per esempio, al tema del packaging: non si tratta solo di usare meno plastica, la sfida deve essere diversa. Bisogna aiutare le aziende affinché utilizzino plastica biodegradabile, altrimenti cancellare il confezionamento di un prodotto agroalimentare porterebbe all’importazione di prodotti provenienti da altri paesi che non rispettano la stessa normativa, perché quella vale solo per gli stati membri, ma non per ciò che viene importato nel contesto europeo. Secondo aspetto: c’è una questione legata allo spreco del cibo. Se non confezioniamo in modo adeguato un prodotto agroalimentare, al supermercato avrà una vita più breve, quindi un aumento del costo che andrà a ricadere sulla vita dei cittadini, ma soprattutto c’è il rischio di un aumento esponenziale di spreco di cibo.
Quindi cosa servirebbe?
Serve conoscenza, non improvvisazione. Quello delle plastiche è solo un esempio di un settore che rischiava di avere una normativa particolarmente penalizzante su tutta la filiera agroalimentare. Ma a questo bisogna aggiungere altre normative, come quella degli agro-farmaci. Oggi in Europa utilizziamo i prodotti più evoluti, ma i primi a volerne fare minor uso sono gli agricoltori, perché generano un costo, mentre con strumenti tecnologici, come i droni e i satelliti, potremmo diminuire ulteriormente l’utilizzo di agro-farmaci. Dobbiamo però accompagnare tutte le imprese, non solo una parte, con sostegni anche di carattere economico, per poter adottare queste innovazioni che sono disponibili nel settore agricolo.
Il problema degli agro-farmaci va poi a impattare anche con i problemi di concorrenza nelle importazioni.
Infatti dobbiamo attuare un meccanismo di reciprocità, cioè le stesse regole imposte alle imprese agricole italiane o europee devono valere quando importiamo prodotti da altri continenti. L’Europa negli ultimi 30 anni ha diminuito l’utilizzo di agro-farmaci, l’Italia del 23%, mentre il Brasile l’ha aumentato del 51%. Quindi, se favoriamo l’importazione di prodotti provenienti da questo paese o da sistemi produttivi diversi rispetto al nostro, che non utilizzano la stessa qualità di agro-farmaci, ci troviamo davanti a una forma di concorrenza sleale, perché quei prodotti costeranno molto meno rispetto ai nostri e qualitativamente varranno molto meno, creando per di più anche un rischio per la salute. Il tema è la reciprocità, non la chiusura dei mercati. Siamo i primi a voler aumentare le nostre esportazioni, siamo in un mercato aperto, quindi è normale che si possa importare anche in Europa, ma le regole devono essere uguali.
essere un prodotto italiano; se vuole acquistare un prodotto proveniente da altri paesi, da altri continenti, è giusto che sia messo nella condizione di sapere cosa sta acquistando. Ora in Italia, se voglio un formaggio fatto con latte 100% italiano, posso saperlo. Nel resto d’Europa no. Per noi è importante, perché è anche un aspetto di carattere formativo culturale rispetto alle dinamiche produttive che riguardano le nostre imprese, che sono diverse rispetto a quelle di tanti altri paesi, in termini di attenzione, di controllo, di qualità del prodotto. Quindi, quando si generalizza rischiamo di perdere, quando invece c’è trasparenza sulle filiere agroalimentari l’Italia vince. È quello che vorremmo venisse attuato almeno nel contesto europeo fra i 27 stati membri.
Avete accolto positivamente il disegno di legge sull’agricoltura. Quali sono i passaggi più importanti?
Penso che il decreto legge sull’agricoltura sia la continuità di un lavoro che è iniziato durante la scorsa finanziaria, in termini di attenzione a un settore che ha accumulato criticità negli ul-
“Il consumatore non deve essere ingannato, ma deve essere protagonista della propria scelta, nella consapevolezza di ciò che acquista”
Non c’è solo un problema di confezionamento, ma c’è anche un problema di etichetta, che spesso non racconta esattamente l’origine del prodotto. Come ci si difende?
È vero. Ci si difende con l’obbligo dell’origine. È una norma molto semplice: dove l’abbiamo attuata ha dato risposte particolarmente significative. Penso al comparto del lattiero-caseario. Prima di introdurre l’obbligo dell’origine producevamo solo circa il 55% del fabbisogno nazionale, oggi abbiamo superato ampiamente l’80%.
Perché?
Perché il consumatore non deve essere ingannato, ma deve essere protagonista della propria scelta, nella consapevolezza di quello che acquista. Poi deve essere libero di decidere. Quindi, se vuole acquistare un prodotto italiano, deve
SETTEMBRE, 2024
timi decenni. Quindi non si può risolvere tutto con il decreto legge, però è un ulteriore passo in avanti e dovremo continuare a lavorare nei prossimi anni per cercare di arrivare a risposte concrete e importanti ai bisogni dei nostri imprenditori. Abbiamo applaudito la scelta del governo perché è arrivata dopo un lavoro significativo nell’ultimo anno a livello europeo, per quanto riguardava una serie di norme che ci impedivano, ad esempio, di attuare una moratoria nei confronti dei debiti delle nostre imprese, che negli ultimi anni avevano avuto una perdita significativa legata ai propri fatturati, a causa di danni ambientali come la siccità o le alluvioni. Il lavoro fatto in Europa, tradotto nel decreto legge in Italia, darà la possibilità, per i primi 12 mesi, della sospensione degli adempimenti nei confronti degli istituti di credito. Ci auguriamo che possa essere allargata a ulteriori 12 mesi.
Il clima ormai sembra impazzito. Si passa da piogge torrenziali a periodi di siccità. Gli agricoltori come possono difendersi?
Le infrastrutture idriche, in tanti casi, trattengono solo il 30-40% dell’acqua che potrebbe essere immagazzinata, perché non sono più state fatte le manutenzioni dei bacini esistenti. Questo fa riflettere su quanta trascuratezza e poca lungimiranza ci sia stata. Poter immagazzinare acqua diventa fondamentale: nel comparto agricolo, dove c’è acqua a disposizione, abbiamo delle rese per superficie molto più alte rispetto a dove l’acqua non c’è. Per esempio, in Lombardia sul 30% dei terreni irrigui si produce l’80% del valore dell’intera filiera agricola. Quindi, oltre alla manutenzione dell’esistente, dobbiamo fare un investimento strutturale e infrastrutturale per quanto riguarda nuovi bacini di accumulo con pompaggio, che danno la certezza di avere acqua quando ce n’è bisogno, ma anche di sviluppare la vera energia rinnovabile, quella più pulita di tutte, che è l’idroelettrico.
Si tratterebbe di investimenti rilevanti.
Certo, ma investire significa innanzitutto contenere i danni, che ogni anno fanno registrare perdite per miliardi di euro. E poi serve a far crescere i territori, significherebbe mantenere le persone su quei territori, perché quando si hanno situazioni di siccità, come stiamo vivendo in Puglia, in Sicilia, in Calabria, in Campania, c’è il rischio che poi ci sia anche una forma di abbandono e di trascuratezza. Questo, secondo noi, è il primo investimento che dovrebbe essere fatto. Perché c’è un altro elemento: è vero che c’è la questione dei fenomeni atmosferici, con una concentrazione della piovosità in questo caso, ma la quantità di acqua nell’arco dell’anno è la stessa, quindi dobbiamo avere noi la capacità di trattenerla. Ultimo punto: è sotto gli occhi di tutti che nel 2024 abbiamo ancora una rete idrica che perde circa il 50% di acqua. È un’ulteriore situazione assolutamente inaccettabile.
Non ci sono solamente i danni del maltempo, ma anche quelli degli animali, per esempio dei cinghiali.
In tutto il territorio abbiamo un enorme problema di fauna selvatica incontrollata. Nessuno di noi vuole la cancellazione delle specie presenti, ma dobbiamo ritornare a un giusto equilibrio tra il numero di animali sul nostro territorio e le sue caratteristiche. È evidente, per quanto riguarda i cinghiali, che questo equilibrio è venuto meno: ci dovrebbero essere circa 400mila cinghiali, invece ce ne sono più di due milioni e mezzo ormai. Una situazione che pone una serie di criticità soprattutto rispetto a una tenuta dalla capacità produttiva. Spingiamo con orgoglio i nostri giovani a continuare a svolgere l’attività agricola, ma in tanti casi si vedono distrutti per più anni il 70% del loro raccolto per la presenza di ungulati. Dobbiamo fare una riflessione, perché il rischio è una caduta di carattere ambientale e di presidio del territorio nel quale si vive.
“È sotto gli occhi di tutti che nel 2024 abbiamo ancora una rete idrica che perde circa il 50% di acqua. È una situazione assolutamente inaccettabile”
Abbiamo parlato di Bruxelles, finiamo parlando anche di Washington. Il risultato delle elezioni americane può incidere in qualche modo sulle politiche di scambio?
Mi auguro che questo non avvenga, perché vorrebbe dire sminuire un rapporto storico di alleanze che ha sempre contraddistinto l’Europa e gli Stati Uniti proprio in termini politici. Piuttosto strutture importanti come Sace e Ice devono essere ulteriormente valorizzate. Matteo Zoppas, come presidente dell’Ice, sta facendo un lavoro importante e dobbiamo continuare a collaborare con le nostre istituzioni per valorizzare sempre di più l’esportazione delle eccellenze. Un semplice dato: l’agroalimentare negli ultimi dieci anni è cresciuto in modo costante, cosa che purtroppo altri settori non hanno fatto. Anche nel 2024, se i numeri verranno confermati, avremo un’ulteriore crescita delle esportazioni e pensiamo di poter passare da 64 a 70 miliardi. F
di Michele D’Antoni
Michele Carillo ama da sempre i cavalli da endurance, specialità basata sulla resistenza in sella. Ha voluto richiamare questa passione anche nell’azienda che ha creato, Briglia 1949, arrivata a 17 milioni di fatturato e diventata un punto di riferimento nell’abbigliamento d’alta gamma maschile
II successi nascono dalle capacità ma anche dalla passione. E Michele Carillo, per fondare la sua Briglia 1949, diventata presto punto di riferimento internazionale per l’abbigliamento maschile di alta gamma, di passioni ne ha messe insieme addirittura due: quella per lo stile e quella per i cavalli.
Ma Briglia 1949 è nata anche con un obiettivo primario: avere un brand che sia collocato nelle migliori boutique con un prezzo interessante, con un prodotto al di sopra sia di standard qualitativi che di immagine. Nell’avventura l’ha accompagnato la sua famiglia, soprattutto le sue sorelle Rosaria e Nelly: il nome richiama senza mezze misure la sua passione per i cavalli da endurance, una specialità basata sulla resistenza in sella su un percorso che si può estendere dai 30 ai 160 km a seconda delle categorie.
Michele ama le gare e i percorsi sterrati, ma soprattutto ama quei nobili animali. E allora perché non creare un marchio con un segno della sua grande passione?
“Il mio percorso professionale inizia qui, nell’azienda di famiglia a San Giuseppe Vesuviano, fin dagli anni ’80, quando passavo giornate intere in sartoria con il modellista”, racconta.
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“Dopo anni di formazione in azienda e qualche breve periodo di studi universitari decisi di entrare quanto prima nel business di famiglia e questa scelta mi ha portato fino a qui”.
Così l’esperienza ultra ventennale nella realizzazione di capi sartoriali maschili della famiglia Carillo è stata condensata da Michele in questa nuova realtà imprenditoriale che grazie a intuito, artigianalità, stile e un profilo moderno e dinamico è diventata subito un’importante azienda nel panorama dell’abbigliamento di alta gamma maschile.
I risultati gli stanno dando ragione (in Italia ha 500 selezionati punti vendita e l’azienda cresce al ritmo del 15% all’anno) e ormai le sue creazioni si sono fatte strada in tutto il mondo: l’azienda esporta circa il 40% della produzione in Europa, con una particolare presenza in Germania, ma soprattutto negli Stati Uniti e in Giappone. L’apertura della pista giapponese ha una storia molto particolare, dai tratti romantici. “Avevamo fondato da poco l’azienda”, racconta Michele, “e avevamo preso uno stand a Pitti. Però era in una posizione defilata, diciamo che stavamo pagando lo scotto del noviziato. E venivano pochi clienti a trovarci. Ma uno dei primi giorni passò una delegazione giapponese. Guardarono, non dissero niente. Pensai che non li avrei più rivisti. Invece subito all’apertura dello stand l’ultimo giorno di quell’edizione di Pitti tornarono e da lì per noi si è aperto il mercato giapponese: era infatti una delegazione della Toyoda, uno dei più grandi gruppi di importazione giapponese di lifestyle”.
Michele, che oltre a essere il ceo di Briglia 1949 è anche il creativo, si è fatto affiancare proprio da uno stilista giapponese, ma non tanto per premere l’acceleratore sul mercato del Sol levante,
“Per me il re indiscusso è Ralph Lauren: è l’unico che è riuscito a valorizzare le sue origini al punto da farle diventare una vera e unica filosofia di stile”
quanto per dare quel tocco di internazionalità alle sue creazioni, che sono molto particolari e offrono la sensazione di grande praticità ed eleganza al tempo stesso. Creazioni senza tempo, si potrebbe dire.
Briglia 1949 produce soprattutto pantaloni dalla vestibilità attuale, sfruttando il know-how dei tessuti e dei trattamenti esclusivi utilizzati per la linea maschile disegnata da Michele.
L’azienda è arrivata a 17 milioni di fatturato, con una produzione stimata in 400mila pezzi all’anno, è composta da una trentina di dipendenti diretti e può contare su un pool di oltre 300 lavoranti, collocate soprattutto nel Beneventano, che utilizzano stoffe di gran pregio come quelle di Vitale & Barberis, Loro Piana e Marzotto. Michele Carillo ha le idee molto chiare: “Il mio mondo di riferimento penso sia quello che accomuna la maggior parte delle aziende d’abbiglia-
mento che si rispecchiano in diverse icone della storia italiana e non solo, dal mito di Giorgio Armani al grande Marcello Mastroianni, all’icona Gianni Agnelli, dal fotografo Bruce Weber fino ad arrivare a Steve McQueen e Paul Newman”, dice. “Ciononostante per me il re indiscusso rimane Ralph Lauren: è l’unico che è riuscito a valorizzare le sue origini a tal punto da farle diventare una vera e unica filosofia di stile”. Dopo il successo con le produzioni maschili, Michele ha lanciato il progetto Genderless, che si sta affermando tra il pubblico femminile, con tante nuove proposte in termini di modellistica, lanciate per l’autunno-inverno prossimi venturi, con tessuti avvolgenti e lussuosi, pure lane/alpaca/mohair e cachemire strech, articolati in colori neutri, come avorio, grigi chiari e cammello, e colori più accesi, come l’arancio, rosa pesca e porpora. F
Il cioccolato italiano sempre più alla conquista dei mercati internazionali. Domori, uno dei principali marchi del settore premium nel nostro Paese, e Irca, gruppo internazionale della produzione di cioccolato, creme, frutta, pistacchi, decorazioni e altri ingredienti di alta qualità per il settore alimentare, hanno annunciato una partnership di distribuzione globale per i prodotti professional destinati al settore food service, vale a dire la piccola industria alimentare e professionisti come pasticcieri, cioccolatieri, gelatai. L’accordo tra la multinazionale lombarda e l’azienda piemontese è effettivo da luglio, mentre la distribuzione verrà pienamente avviata dall’inizio dell’anno prossimo.
In particolare, Irca distribuirà i prodotti della linea Domori Professional, avendo ottenuto i diritti esclusivi per il canale b2b, offrendo una gamma completa di prodotti professionali premium a marchio Domori. Fondata nel 1997 da Gianluca Franzoni e con sede a None, alle porte di Torino, l’azienda è specializzata nella produzione di cioccolato usando solo cacao pregiato, attraverso un processo di tostatura delicata e rispettosa della materia prima. Promuove, in particolare, l'uso del cacao Criollo, varietà rara e di elevata qualità.
Se la linea professionale risale al 2011, dalle sue origini Domori è un produttore verticalmente integrato e dedito all’innovazione. È inoltre coltivatore diretto, con due importanti piantagioni di cacao Criollo, l'Hacienda San José, in Venezuela, e l'Hacienda San Cristobal, in Ecuador. Domori fa oggi parte del Polo del Gusto, la holding indipendente fondata nel 2019 e gestita da Riccardo
Gli stabilimenti di Irca tra Europa, Stati Uniti e Vietnam
L'investimento per il nuovo polo di Domori a None (To)
Illy, che riunisce marchi di eccellenza del food & beverage. Con Domori, Irca arricchisce il portafoglio dei brand, che include anche Dobla (decorazioni di cioccolato), Ravifruit (puree di frutta di alta qualità) e Cesarin (frutta candita e semicandita). “Questo accordo”, dice Riccardo Illy, presidente del Polo del Gusto, “nasce come un’operazione di forte reciprocità: è una partnership che offre importanti opportunità per entrambe le parti coinvolte. Da una parte, infatti, Irca arricchisce la propria offerta con un brand top premium, dall’altra Domori acquisisce una presenza capillare a livello globale su un settore di mercato molto preciso, il cosiddetto comparto food service, in cui il cioccolato diventa una materia prima di lavoro destinata ai professionisti, dagli artigiani come cioccolatieri, pasticceri o gelatieri, fino alle piccole industrie. Sia nei materiali
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che nella lavorazione i prodotti professionali Domori garantiscono gli stessi standard di qualità della linea classica, la cui vocazione è sempre stata tipicamente retail. Questo accordo con Irca ci permetterà di esplorare con una potenzialità del tutto nuova questo scenario professionale, in cui finora eravamo presenti in modo più marginale”. Irca rifornisce i canali professionali in tutto il mondo. Il gruppo, nato da un'azienda familiare fondata nel 1919, distribuisce prodotti in oltre 100 paesi e gestisce 21 stabilimenti tra Europa, Stati Uniti e Vietnam. I suoi oltre duemila dipendenti contribuiscono ogni anno al lancio sul mercato di prodotti in linea con le ultime tendenze del settore. Dal canto suo, Domori è da sempre impegnata nel recupero della pura essenza del cacao fine e vuole coinvolgere tutti gli attori chiave del settore: coltivatori, tecnici di produzione, reti di distribuzione, clienti e consumatori. Come parte del Polo del Gusto, dopo aver acquisito due storici marchi inglesi di cioccolato, Prestat (2019) e Rococo Chocolates (2022), nel 2023 ha investito 14 milioni per realizzare un nuovo polo (sempre a None, nell’ex area industriale della Streglio) che punta a sviluppare sia la capacità produttiva che quella di logistica e stoccaggio. Due aspetti strategici, dal momento che Domori distribuisce in Italia tutti i prodotti della holding. Inoltre, nel 2023 il Polo del Gusto ha
intrapreso importanti operazioni finanziarie per potenziare le capacità produttive delle diverse realtà: per il triennio che si concluderà l’anno prossimo, la holding prevede investimenti per circa 50 milioni di euro, che comprendono, oltre al nuovo sito produttivo di Domori, i lavori per il nuovo stabilimento di Dammann Frères - la più grande azienda della holding, seguita dalla stessa Domori - a Dreux, in Francia, con un intervento di quasi 35 milioni destinato a
Kevin Wen
raddoppiare la capacità produttiva. Infine, sta investendo quasi 2 milioni per il nuovo sito dell’azienda triestina Pintaudi, che dovrebbe vedere conclusi i lavori in tempo per avviare la produzione di dolci natalizi, raddoppiando la capacità rispetto ai volumi attuali. A settembre 2023, ha lanciato ufficialmente il progetto Incantalia, nuovo retail brand che ha debuttato a Trieste e si svilupperà in una rete di negozi in Italia, all'estero e online. F
di Francesca Vercesi
A un Anno e mezzo dAllA fondAzione, Credem euromobiliare Private banking lAnciA lA nuovA cAmpAgnA pubblicitAriA, AncorA reAlizzAtA dAl fotogrAfo vincent peters. “AbbiAmo scelto di mettere il cliente Al centro”, dice il responsAbile dellA comunicAzione, StéPhane vaCher
SSono passati 18 mesi dalla nascita di Credem Euromobiliare Private Banking
Quale bilancio possiamo fare? Forbes Italia ne ha parlato con Stéphane Vacher, responsabile della comunicazione di Credem Euromobiliare Private Banking.
Quali sono i tratti distintivi di questo percorso?
Il bilancio è molto positivo: da un punto di vista qualitativo stanno crescendo la coesione, la compattezza della squadra, l’attaccamento alla nuova maglia e la convinzione della bontà di un modello che punta sulla forza combinata della specializzazione unita all’interazione costante con la federation of business che il gruppo Credem incarna. A livello quantitativo abbiamo toccato nel 2023 livelli record di raccolta netta, generato un utile in forte crescita e accelerato sul versante dei reclutamenti, con una capacità crescente di attrarre talenti di alto livello. Ora vogliamo accelerare sul fronte della raccolta gestita e sulla componente equity dei portafogli, i due obiettivi su cui stiamo lavorando con più intensità, oltre che continuare a investire nella crescita della notorietà del brand.
presentato la nuova campagna di comunicazione realizzata, ancora una volta, dal fotografo Vincent Peters. Una campagna dal claim ‘Perché sei unica/o’. Da che cosa siete partiti per realizzare la campagna pubblicitaria 2024?
Peters è un artista di fama mondiale e, dato il successo dello scorso anno, non potevamo che decidere di proseguire insieme a lui il nostro viaggio. Tengo a fare però una premessa importante: la comunicazione è spesso un compito complesso, poiché molti la considerano una semplice questione di gusti, preferenze e orientamenti estetici. In realtà, dietro ogni comunicazione c’è sempre un pensiero strategico. Quest'anno abbiamo
mobiliare Private Banking: essere unici. Che significa far sentire il cliente unico nella relazione con la banca. Vincent è riuscito a cogliere questo concetto con uno scatto straordinario, che ha saputo racchiudere tutti questi pensieri complessi e articolati, in un’immagine senza tempo.
Qual è la differenza rispetto allo scorso anno?
Se l’anno scorso la campagna si rivolgeva direttamente al mercato del private banking, annunciando la nascita di Credem Euromobiliare Private Banking attraverso l’immagine di un neonato in braccio ai genitori, quest’anno abbiamo scelto di mettere il cliente al centro. Per farlo, abbiamo chiesto a Vincent di sviluppare uno stile artistico nuovo, diverso dalle sue tecniche classiche. Uno stile che si ispira alla pittura impressionista e che permette di ottenere il risultato finale senza la necessità di post-produzione, catturando il momento stesso con la macchina fotografica.
"Molti considerano la comunicazione una questione di gusti. In realtà dietro c'è sempre un pensiero strategico"
A questo proposito, nel corso della vostra convention annuale avete
quindi affidato a Vincent una sfida ardua, ma stimolante: riuscire a trasmettere in un solo scatto il nostro obiettivo, ossia la promessa di valore che il nostro gruppo fa ai clienti e al mercato. Questa promessa si riassume in poche parole: creazione di valore e di benessere sostenibile nel tempo. Il tutto accompagnato da una caratteristica distintiva di Credem Euro-
Il risultato finale?
È un’opera d'arte, come tutte le creazioni a cui Vincent ci ha abituati durante la sua carriera.
Ha toccato il concetto di benessere, apparentemente lontano dalla natura di un istituto bancario o dalla promessa che può fare una banca al mercato. Come vi state muovendo?
In Credem Euromobiliare Private Banking stiamo facendo molto per mantenere la nostra promessa di benessere. Stiamo
costruendo una relazione che, partendo dagli spazi fisici e passando attraverso il rapporto tra banker e cliente, fino alla strumentazione messa a disposizione, renda la consulenza finanziaria e patrimoniale più semplice, aggiungendo un valore significativo all’aspetto finanziario. Ma altrettanto importante è il modo in cui il cliente si sente riconosciuto e consigliato su ciò che è davvero utile per la sua vita personale. Questa è la grande sfida che affrontiamo ogni giorno nelle nostre strutture e l’immagine scelta per la campagna pubblicitaria 2024 vuole immortalare questo senso di unicità nella relazione.
Cosa significa, per una realtà come la vostra, riuscire a essere unici in questo momento storico?
Significa, prima di tutto, concentrarsi sul valore che possiamo generare per i nostri clienti e per l’industria del private banking. Questo implica un impegno costante nel potenziare l’ascolto della clientela, che si traduce nell’evoluzione continua della nostra customer experience, pur in un contesto in cui la digitalizzazione e l’automazione sono sempre più predominanti. Per questo utilizziamo strumenti avanzati come Vitruvio, la nostra piattaforma di consulenza evoluta, per ottimizzare la capacità di generare valore. Vitruvio ci aiuta a monitorare e migliorare la qualità del servizio e a garantire che le nostre proposte di investimento siano aggiornate quotidianamente al contesto di mercato, e in linea con le esigenze dei clienti. Permettendo così al banker di dedicarsi agli aspetti legati alla relazione con il cliente, delegando alla macchina le questioni più operative. Stiamo anche lavorando per ripensare gli spazi fisici, a partire dalla sede di Milano, che servirà come modello per identificare elementi stilistici che possano essere applicati a tutte le filiali. Ogni nostra iniziativa è pensata per garantire che ogni cliente percepisca un valore autentico e distintivo nella relazione con la banca, in ognuno dei touch point. Desideriamo che ogni cliente si senta valorizzato e supportato in ogni fase del suo percorso. F
Da 56 anni il gruppo D’Amico è specializzato nella proDuzione Di conserve alimentari e promuove la traDizione e la cultura italiana nel monDo. GuiDato oGGi Dalla seconDa e Dalla terza Generazione, continua a innovare in moDo responsabile
UUn viaggio capace di portare la tradizione e l’innovazione italiana in tutto il mondo. Può essere riassunta così la storia, lunga 56 anni, del gruppo D’Amico, fondato nel 1968 dai fratelli Francesco e Mario D’Amico. Un’azienda capace, nel tempo, di ampliare il suo business di riferimento - quello delle alici della Costiera amalfitana -, allargandosi dai primi anni ‘70 a ortaggi, funghi e olive, fino a diventare uno dei principali player nazionali nella produzione di conserve alimentari, con una distribuzione in oltre 80 paesi.
Guidato oggi dalla seconda e terza generazione della famiglia, il gruppo è riuscito a innovare e adattarsi alle esigenze di un mercato in continua evoluzione, senza mai perdere di vista l’importanza della tradizione, mantenendo così un legame profondo con le sue radici, da sempre uno dei punti focali dell’attività e della filosofia dell’azienda. Non è un caso se la terra, e in senso più ampio il verde, è protagonista di tutto il mondo D’Amico, al punto da essere anche il filo conduttore di tutta la comunicazione aziendale, con il claim ‘Il Verde che ci unisce’. Un concetto che mette insieme generazioni, lifestyle, lingue e culture differenti. Perché ‘D’Amico è per tutti’, come evidenzia la realtà, che da sempre fonda la sua attività su sei valori: passione, tradizione, trasparenza, amore per l’arte e la cultura, fiducia e impegno. “Da
56 anni il gruppo, con le sue specialità, racconta l’Italia proponendo le ricette della tradizione e le tipicità”, dice Maria D’Amico, marketing & sustainability manager del gruppo. “Il successo è stato costruito lavorando con passione e rispetto le materie prime, valorizzate da sistemi di produzione tecnologicamente avanzati che garantiscono elevati standard qualitativi. La ricerca di nuovi prodotti e metodi di lavorazione innovativi è continua e avviene sempre con un'atten-
zione particolare al territorio”. Proprio dalla volontà di fondere la tradizione con l’innovazione e portarla su un altro piano, quello occupazionale, nel 2023 è nata in D’Amico un’altra novità: l’Academy, una community di riferimento nella formazione personale e professionale, un hub di crescita e innovazione per sviluppare le competenze, le abilità e i talenti. “D’Amico non è solo tradizione, è anche futuro. L’Academy rappresenta il luogo ideale, inclusivo e stimolante, per
affrontare sfide lavorative, trasformandole in opportunità”, dichiara Maria D’Amico. “L’obiettivo è diventare un incubatore di menti brillanti e cuori sensibili, dove ogni persona, indipendentemente dal ruolo, è valorizzata”. In questa direzione il progetto ‘P come Persone, P come Passione’ è molto più di un semplice acronimo. “È il nostro progetto di benessere. ‘P’ significa anche ‘Più’: più salute, più dialogo, più informazioni e più coinvolgimento nella vita aziendale, con più sensibilità alla crescita personale e professionale. Anche perché, in un mercato globale in continua evoluzione, attraverso metodologie didattiche all'avanguardia e l'esperienza diretta della nostra faculty di esperti e professionisti, forniamo strumenti pratici e teorici, coinvolgendo e motivando le nostre persone, generando un impatto positivo nell’ambiente lavorativo e nella comunità”. Allargando l’orizzonte, l'impegno soste-
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nibile del gruppo D'Amico si manifesta anche attraverso una serie di iniziative per migliorare l’efficienza energetica, ridurre le emissioni di CO2 e minimizzare gli sprechi lungo tutta la filiera produttiva. A partire dal packaging in vetro, che può essere riciclato infinite volte senza perdere le sue proprietà, contribuendo così al riutilizzo creativo. Una peculiarità che il gruppo D’Amico ha nuovamente promosso con la nona edizione del pro-
getto Vasi D’Autore, dove questi contenitori sono stati trasformati in oggetti di design contemporanei. L’azienda adotta anche pratiche di agricoltura sostenibile, supportando la biodiversità e collaborando con fornitori che condividono la stessa visione etica e responsabile. Attenzioni, peraltro, riportate con chiarezza nel suo documento di sostenibilità, dove l’azienda, che ha un fatturato annuo di 80 milioni di euro, ha strutturato un bilancio dei progressi e delineato i suoi obiettivi per il futuro. “Questo impegno non è solo una testimonianza del nostro operato, ma è anche una dichiarazione d’intenti, che riflette una visione chiara e determinata: essere un modello di sostenibilità nel settore alimentare, contribuendo e concentrando le forze per un futuro che assicuri alle attuali e prossime generazioni una vita migliore”, aggiunge Maria D’Amico, che conclude citando Gandhi: “Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo”. F
Marchesini Group veniva fondato nel 1974 in un garage di Pianoro, in Provincia di Bologna.
oggi è un Punto di riferimento nella Packaging valley emiliano-romagnola, con 2.500
collaBoratori, quasi 600 milioni di euro di fatturato e una Presenza gloBale
MMarchesini Group è specializzato nella progettazione e nella costruzione di macchine e linee su misura per il confezionamento di prodotti farmaceutici e cosmetici. Fondato nel 1974 a Pianoro, in provincia di Bologna, da Massimo Marchesini, è cresciuto attraverso fusioni e acquisizioni di imprese complementari, trasformandosi da realtà locale a multinazionale di riferimento nella Packaging Valley emiliano-romagnola.
Le origini di Marchesini Group somigliano alle storie della Silicon Valley. L’azienda è nata in un piccolo garage dell'Appennino bolognese. Marchesini, allora giovane tecnico specializzato in un'importante impresa di packaging, decise di mettersi in proprio. Collaborando con Giuseppe Monti, progettista ed ex tecnico nel settore motociclistico, e con un gruppo di giovani intraprendenti, pose le basi per sviluppare progetti innovativi per l'industria del packaging. Nel 1974 nacque la 2M, dedicata alla creazione di prototipi come la prima astucciatrice intermittente, la macchina confezionatrice di polveri in bustina e l'intubettatrice per compresse effervescenti.
Con il tempo l’azienda è cresciuta, la tecnologia ha fatto progressi e gli ordini sono aumentati. Nel 1989 l’impresa si è consolidata e ha as-
sunto il nome di Marchesini Group. Negli anni '90 e 2000 ha acquisito brand specializzati nel packaging di prodotti specifici e si è espansa a livello internazionale: la produzione è rimasta in Italia, ma le macchine e il marchio hanno iniziato a diffondersi nelle industrie farmaceutiche e cosmetiche globali.
Con oltre 2.500 collaboratori, Marchesini Group basa tutta la sua produzione in Italia, garantendo alta qualità e sostenendo l’indotto locale. Presente in oltre 110 paesi, gestisce i mercati internazionali tramite una rete di agenzie e 16 filiali estere. Il presidente, Maurizio Marchesini, spiega: “Continueremo a investi-
re nell’innovazione tecnologica e nell'internazionalizzazione, tanto che oggi l’87% del nostro fatturato è generato dalle esportazioni”.
Il 2023 si è chiuso con un fatturato di 591 milioni di euro, in crescita del 15% rispetto al 2022. In Italia il gruppo ha 15 stabilimenti produttivi oltre alla sede centrale di Pianoro, supportati da una rete di subfornitori, tra cui officine tecniche e imprese artigiane specializzate.
A livello di governance, l’azienda ha due divisioni principali, pharma e beauty. In un'ottica di sviluppo di nuova generazione, investe in nuove tecnologie per offrire ai clienti macchine e linee sempre più efficienti e innovative.
Il prodotto finale è una combinazione di maestria artigianale, robotica e tecnologia, progettato e realizzato con un'attenzione sartoriale alle esigenze del cliente. Il gruppo rimane sotto il controllo della famiglia Marchesini, che nel 2016 ha nominato un manager esterno per guidarlo e accelerare i processi di internazionalizzazione.
Nello stesso anno l’azienda ha adottato un codice etico che promuove principi e comportamenti per garantire la sicurezza, la libertà e la dignità di ogni collaboratore. I successi, afferma il gruppo, sono il risultato della capacità di trasmettere alle nuove generazioni valori, esperienza e dedizione, investendo nella crescita professionale e nella formazione dei giovani talenti attraverso l'accademia aziendale Talent Garage, il master
mba per i dipendenti e le borse di studio intitolate al fondatore. Ma c’è anche l’impegno verso uno sviluppo sostenibile, la tutela dell'ambiente e il legame con la comunità sociale. Marchesini Group è attivo in diverse iniziative di prevenzione per ridurre l'impatto ambientale, usando responsabilmente le materie prime, ottimizzando i flussi logistici e gestendo i rifiuti. Inoltre collabora con i produttori di materiali di confezionamento per promuovere materiali eco-compatibili, valutandone la macchinabilità e il ciclo di vita. E con la Fondazione Marchesini Act, istituita nel 2021, supporta progetti e attività sociali, culturali e di ricerca scientifica. Il 2024 è un anno importante per Marchesini Group, che festeggia il 50esimo anniversario prendendo ispirazione dai valori del passato per proiettarsi verso un futuro di costruzione collettiva. Quest’anno ha lanciato molti nuovi progetti, tutti caratterizzati dal logo rinnovato che celebra la ricorrenza: il numero 50, richiamando l'azienda 2M da cui tutto ebbe inizio, punta verso l'infinito.
Per leggere altre storie d’impresa visita la sezione Business sul nostro sito Forbes.it Valentina Marchesini
Per affrontare le sfide di un mondo interconnesso e in rapida evoluzione, il gruppo ha deciso di essere sempre più flessibile e aperto alle innovazioni. L’anno in corso è l’occasione per una riflessione collettiva: la sua portavoce è Futura, un personaggio creato appositamente per l'anniversario, mutevole e cangiante, che simboleggia i tempi moderni. Durante le fiere di settore e i festeggiamenti del 50esimo anniversario con i clienti nelle filiali estere, le idee e le visioni della comunità sono state raccolte su un portale online, accessibile a tutti. Non solo: nella penultima settimana di settembre, il gruppo presenterà un'installazione nel centro storico di Bologna, coinvolgendo i cittadini in un'esperienza immersiva e multimediale. E il weekend si concluderà con una festa speciale dedicata ai collaboratori provenienti da tutto il mondo. La ricetta per altri 50 anni di successi? L’azienda, conclude Maurizio Marchesini, ha le idee chiare: "Guardiamo al futuro con slancio, forti del profondo legame con il territorio dove tutto è iniziato”. F
di Danilo D’Aleo
L’exchange Zondacrypto è nato neL 2014 per rendere Le criptovaLute accessibiLi a tutti. negLi uLtimi mesi ha rafforzato La sua crescita anche grazie ad ambassador come L’ex campione di caLcio giorgio chieLLini. “i nostri sono campi con Linguaggi universaLi”, dice L’ad prZemyslaw Kral
CCon oltre 420 milioni di utenti in tutto il mondo e una capitalizzazione di mercato di oltre 2mila miliardi di dollari, il settore delle criptovalute negli ultimi anni ha accelerato sensibilmente la sua corsa, soprattutto in virtù di una maggiore regolamentazione, di una presenza più massiccia degli operatori e dell’ampliamento dell’intersezione con i mercati, come dimostra la storica approvazione della Sec agli Etf spot sul Bitcoin, arrivata all’inizio di quest’anno. In questo contesto si è inserita Zondacrypto, exchange nato nel 2014 per rendere il mondo delle criptovalute accessibile a chiunque e che oggi conta oltre 1,3 milioni di utenti attivi, come spiega Przemyslaw Kral, ceo della società. Negli ultimi mesi la società ha rafforzato la sua crescita in Italia grazie anche ad ambassador come l’ex campione di calcio Giorgio Chiellini e a sponsorizzazioni nel mondo dello sport con realtà come la Juventus, l’Atalanta e il Giro d’Italia.
Kral, siete ormai in questo mondo da dieci anni. Quali sono i cambiamenti e le sfide più importanti che avete
affrontato in un mercato così dinamico?
Sin dal 2014 abbiamo dato priorità alla sicurezza dei nostri utenti e alla capacità di stare al passo con le normative dei paesi. Abbiamo sempre considerato la regolamentazione come un fattore fondamentale per il nostro successo a lungo termine e la scelta sta dando i suoi frutti. In questa direzione, l’ottenimento della licenza dell’Oam è stato un
passo fondamentale, perché, a differenza di altri operatori, operiamo in Italia con la massima trasparenza e riusciamo a stare al passo con i cambiamenti normativi del mercato. Nel frattempo ci stiamo concentrando sul rilascio del token Znd, che è un simbolo definitivo della fiducia che gli investitori ripongono in noi.
Ci racconti il suo percorso. Cosa l'ha portata a diventare ceo di Zondacrypto?
Giorgio Chiellini
Sicuramente un ruolo fondamentale l’ha avuto il mio percorso in legge, perché, lavorando come avvocato specializzato in diritto commerciale e finanziario, ho raggiunto una comprensione profonda delle normative e delle complessità legali che circondano il settore finanziario. Quando le criptovalute hanno iniziato a emergere, ho visto un'opportunità unica per combinare la mia passione per l'innovazione tecnologica con la mia esperienza legale. Da qui la mia missione: promuovere un ambiente regolamentato e sicuro nel mondo delle criptovalute.
Parliamo delle vostre iniziative in Italia. Zondacrypto è sponsor della Juventus, dell’Atalanta e del Giro d'Italia. Perché avete scelto di investire nello sport italiano? Come le criptovalute, lo sport è un linguaggio universale che unisce persone di ogni estrazio-
ne sociale e nazionalità. Stiamo collaborando con alcune delle più importanti squadre di calcio del mondo. Essere l’exchange ufficiale di Juventus e Atalanta e avere Giorgio Chiellini come ambassador è un’opportunità unica per aumentare la nostra visibilità in Italia e dimostrare il nostro impegno verso il mercato locale. Il Giro d'Italia, invece, è un evento storico che rappresenta la tradizione e l'eccellenza del Paese.
Qual è la vostra visione per il futuro, sia in Italia che a livello globale?
Rendere le criptovalute accessibili a tutti, offrendo una piattaforma sicura e
facile da usare. A livello globale, puntiamo a espanderci ulteriormente, consolidando la nostra presenza nei mercati chiave e cercando nuove opportunità in territori emergenti. In Italia continueremo a investire in iniziative locali, anche a tema sportivo, e a collaborare con partner che condividono i nostri valori di innovazione e integrità. Vogliamo informare tutti sulle opportunità legate alle criptovalute.
Chiellini, che cosa l’ha spinta a collaborare con Zondacrypto?
Ho conosciuto Zondacrypto dopo la partnership con la Juventus e, una vol-
ta entrato in contatto con Przemysław Kral, ci siamo subito trovati in grande sintonia di valori. Trovare una via per collaborare è stato facilissimo.
Ma nel dettaglio, quali sono i piani di questa partnership? Sosterrà la crescita della piattaforma in Italia?
Partendo dal presupposto che sono fermamente convinto delle partnership che stipulo e che Zondacrypto unisce la finanza moderna con la sicurezza normativa, un aspetto fondamentale in ambito finanziario, il mio ruolo andrà oltre quello di un normale ambassador. Aiuterò la società come consulente di fiducia e nei prossimi mesi valuterò l’entrata nel consiglio di amministrazione con un ruolo non esecutivo. Le criptovalute rappresentano il futuro e voglio essere parte di questo cambiamento.
Pensa che gli italiani siano aperti a questa tecnologia?
Secondo l’istituto di ricerca Pxr, quasi un italiano su dieci ha già acquistato una sorta di criptovaluta. Ciò indica che il mercato ha un grande potenziale di crescita. Alcuni marchi, tra cui la Ferrari, stanno già esplorando il potenziale delle criptovalute accettando i pagamenti tramite blockchain. Quindi il cambiamento è in atto e, se l’Italia diventasse più aperta in tal senso, questo migliorerebbe anche l'accesso a opportunità finanziarie innovative per le persone.
Ha qualche consiglio da dare alle persone che vogliono entrare nel mondo delle criptovalute?
Prima di tutto studiare. E in questa direzione Zondacrypto ha subito lanciato la propria academy, dove lezioni chiare ed esaustive permettono ai principianti di avvicinarsi a questo mondo, esplorando i concetti chiave dietro alla tecnologia delle criptovalute. Poi ovviamente non bisogna mai lasciare nulla al caso, a maggior ragione quando si tratta di investimenti, quindi occorre aggiornarsi sempre sull’andamento dei mercati. F
Nel 2004 Msi, multinazionale taiwanese dell’informatica che a lungo si è occupata soprattutto di schede madri e schede grafiche, lanciava il suo primo modello di laptop: l’M510C. Adesso è un punto di riferimento per il settore
L'esperienza del consumatore è prioritaria e guida tutte le scelte, perché solo comprendendo e anticipando le necessità dei clienti è possibile creare prodotti innovativi. È attorno a questo principio che opera Msi, la multinazionale taiwanese dell'informatica presente in 120 paesi che quest’anno celebra una tappa fondamentale nel suo percorso di crescita: 20 anni di attività, di ricerca e di produzione nel mercato dei laptop.
Fu nel 2004 che Msi, fondata nel 1986 e inizialmente concentrata sulla produzione di schede madri e schede grafiche, decise di entrare nel mercato dei laptop con il lancio dell’M510C. Modello che nel 2009 fu seguito dall’X340, il laptop più sottile disponibile in quel momento sul mercato. In quegli anni, però, la rapida ascesa di smartphone e tablet cambiò radicalmente le abitudini dei consumatori, ponendo Msi di fronte a una nuova sfida: quella di ripensare a ciò di cui i consumatori avevano davvero bisogno. Tra cui, per esempio, la necessità dei giocatori
di contare su computer per il gaming ad alte prestazioni, più compatti e leggeri di quelli disponibili in quel momento, per poterli trasportare più facilmente e giocare ovunque. Un passaggio fondamentale che ha permesso a Msi di abbandonare la guerra dei prezzi e concentrarsi sullo sviluppo di gaming laptop di alto valore e caratterizzati da doti di portabilità. Non è un caso se, modello dopo modello, l’azienda è riuscita, già nel 2015, a conquistare la maggior quota di mercato a livello mondiale nel settore dei gaming laptop. “Siamo orgogliosi di dare il nostro contributo per il futuro della tecnologia. Il nostro impegno costante verso l'eccellenza ci ha consentito di portare innovazione nel mercato dei laptop”, dice Eric Kuo, executive vice president e general manager della business unit dei laptop. “Continueremo a investire nel settore del gaming e a crescere nell’ambito dei notebook business e content creation, per soddisfare al meglio le esigenze dei consumatori anche per i prossimi 20 anni”. Soddisfatto anche Derek Chen, vice president
of sales & marketing per la business unit dei laptop Msi, che si è concentrato sulla sfida più dura in quegli anni per la società. "Abbiamo dovuto convincere anche i nostri collaboratori che il gaming fosse il futuro e per questo sono state organizzate lezioni e sessioni di formazione in azienda per aiutarli a comprendere al meglio le richieste dei giocatori e le tendenze del mercato”, evidenzia. Questa immersione nel mondo del gaming ha permesso una comprensione sempre più profonda delle esigenze dei giocatori, nell’ottica di dare priorità alla prospettiva del consumatore. Un principio che sta guidando Msi verso altri mercati, come dimostra la famiglia di notebook caratterizzata da elevate capacità di multitasking dedicata ai creator e la linea Business & Productivity, in grado di assicurare prestazioni, portabilità e sicurezza dei dati ai massimi livelli. Sono tre i valori fondamentali che continuano a guidare l’attività di studio e ricerca di Msi: estetica ricercata, così da trasformare i laptop da dispositivi informatici a oggetti del desiderio, come dimostrano le collaborazioni con trendsetter come Hiroshi Fujiwara e Mercedes-Amg Motorsport; prestazioni estreme, per soddisfare anche gli utenti più esigenti in termini di potenza e velocità; tecnologie innovative, per superare i tradizionali confini di ciò che è possibile fare con i notebook. “Guardando al futuro, Msi rimane impegnata ad ampliare le sue linee di prodotti per soddisfare le esigenze in continua evoluzione dei consumatori, continuando la sua eredità di innovazione ed eccellenza”, dice Kevin Wen, general manager notebook Italia. Non manca l’attenzione alla sostenibilità. Negli ultimi anni la società ha avviato un nuovo percorso: quello per andare oltre il mero sviluppo di prodotti e concentrarsi anche su iniziative di protezione ambientale, risparmio energetico e riduzione delle
Eric Kuo, executive vice president e general manager della business unit dei laptop
Kevin Wen, general manager notebook
Italia
“L'esperienza del consumatore è prioritaria e guida tutte le scelte, perché solo comprendendo le necessità dei clienti è possibile creare prodotti innovativi”
emissioni di carbonio. In questa direzione, la società si impegna a sviluppare prodotti ecologici e sostenibili, introducendo vari materiali e tecnologie per il risparmio energetico e la riduzione delle emissioni. Come dimostra, per esempio, l’ottenimento della certificazione Pcr per ridurre il carico sulla terra e plastificare le materie prime, dell'etichetta elettronica ecologica del prodotto Epeat e del marchio di
sostenibilità forestale Fsc. Allo stesso tempo, Msi partecipa a iniziative di pubblica assistenza per promuovere lo sviluppo della scienza e della tecnologia e il progresso sociale. Nel 2022, per esempio, si è aggiudicata il premio per la protezione dell'ambiente aziendale, che ha riconosciuto alla società il suo contributo al risparmio energetico, alla riduzione dei rifiuti e alla produzione ecologica.
Crediamo nell’importanza della comunicazione aziendale come propulsore di un cambiamento umano, sociale ed economico positivo. Comunicare è un impegno. E gli impegni si mantengono con azioni concrete.
Da una comunicazione che trova riscontro nelle azioni, si genera la reputazione.
La reputazione è un asset intangibile sempre più importante per determinare il valore di un’azienda. Prendiamocene cura insieme.
di Edoardo Prallini
MMonitorare aeroporti, ferrovie e progetti offshore richiede indagini geofisiche, laboratori di cantiere e tecnologie all’avanguardia. Anche perché in ballo c’è la sicurezza delle persone. Ma c’è altro: le soluzioni innovative nascono all’interno di aziende in salute, in grado di valorizzare il capitale umano e di contribuire al benessere del pianeta. Per questo Socotec, per mettere in sicurezza il patrimonio infrastrutturale italiano (e non solo), sta puntando su work-life balance dei dipendenti e iniziative esg. Con Massimo De Iasi, ceo della divisione italiana, abbiamo parlato di previsioni finanziarie, del settore energetico e di come la sua azienda raggiungerà i 200 milioni di euro di ricavi entro il 2028.
Qual è la previsione finanziaria per il 2024 e per i prossimi anni?
“Il 2024 si concluderà con una crescita superiore al 35% sul 2023, anche grazie ad acquisizioni esterne”
Il 2024 sarà un anno molto positivo, che si concluderà con una crescita superiore al 35% rispetto al 2023, per crescita organica e acquisizioni esterne. Nel dettaglio, per la sola divisione italiana la previsione è di 130 milioni di euro, con un ebitda di 30 milioni, ma soprattutto un rapporto pfn/ebitda inferiore a 0,5, che ci consentirà di spingere ancora sulle acquisizioni nei servizi core (testing, inspection e monitoring) e in aree come la sostenibilità, l’intelligenza artificiale e l’innovazione. Abbiamo attivato una serie di piattaforme di ricerca e selezione di startup, che ci permetterà di scegliere le migliori in circolazione per il 2025-2026. Inoltre, a breve annunceremo l’acquisizione di quattro società che si uniranno a Socotec Italia e contribuiranno agli obiettivi per il 2028, che prevedono il raggiungimento di 200 milioni di euro di ricavi, con oltre 50 milioni di ebitda.
In che modo Socotec Italia è coinvolta nel settore energetico? Quali sono i vostri progetti offshore?
Da diversi anni Socotec Italia supporta i clienti nel
settore energetico. Proponiamo, in veste di partner, una serie di servizi in mare, fino a cinquemila metri di profondità, speculari a quelli Tic (testing, inspection, certification) svolti su terra ferma. È una sfida vinta in cui abbiamo sfruttato e condensato tutto il know how acquisito in 20 anni. Oggi Socotec è coinvolta in tutte le fasi dei progetti offshore, dalle indagini geofisiche in fase di design al monitoraggio e all’ambiente. È impegnata in prima linea al fianco di Saipem sul progetto Neptune Deep Gas Development in Romania, nel Mar Nero. Il progetto è ambizioso, a tal punto che in poco tempo è stata aperta una filiale a Bucarest, Socotec Romania, che contiamo di sviluppare e consolidare sempre più, intercettando progetti che vanno dal mare alla terra, ma sempre connessi al campo delle infrastrutture.
Su quali altri settori state spingendo?
La Socotec Italia Monitoring è tra i principali protagonisti nazionali e internazionali per la realizzazio-
ne di complessi sistemi di monitoraggio a elevata tecnologia. Nell’ultimo biennio stiamo rilevando un fortissimo sviluppo infrastrutturale associato ai fondi del Pnrr. Siamo presenti sulla nuova diga foranea di Genova, nel completamento della linea C della metropolitana di Roma, nell’asse Brennero-Verona, nella Napoli-Bari e nell’asse Palermo-Catania-Messina, dove interveniamo con impianti di monitoraggio permanente di tipo Shm (structural healt monitoring) per strutture complesse come ponti, viadotti e gallerie.
Quali nuove tecnologie state seguendo?
Negli ultimi anni il monitoraggio strutturale ha subito un’importante trasformazione, grazie all’avvento di nuove tecnologie, come i sensori IoT (internet of things), le reti accelerometriche in monitoraggio dinamico, gli impianti di monitoraggio in fibra ottica puntuale e distribuita, lo studio di immagini satellitari e i sistemi di analisi dati avanzati. Nel tempo abbiamo inoltre conquistato una posizione di rilievo nel settore fotonico,
progettando e realizzando in house acquisitori ottici e sensori puntuali o distribuiti in fibra ottica. Crediamo che la fibra ottica rappresenti la tecnologia con le migliori potenzialità applicative nel monitoraggio strutturale di lungo periodo: è in grado di offrire una combinazione unica di precisione, affidabilità e monitoraggio in tempo reale, garantendo un’elevata precisione con performance ben superiori rispetto alla sensoristica di tipo tradizionale.
Che iniziative esg prevedete di adottare?
La nostra azienda è fortemente impegnata nel percorso verso il net zero. Stiamo coinvolgendo i fornitori nell’adozione dei valori ambientali, per garantire una catena di approvvigionamento che rispecchi i nostri standard etici e sostenibili. Integreremo sempre di più i prodotti green trust e trust & tech nei nostri processi, per rafforzare ulteriormente la nostra responsabilità ambientale e tecnologica, garantendo trasparenza e fiducia nelle nostre pratiche. Poche settimane fa siamo stati insigniti del riconoscimento di Ecovadis, che ci ha premiati con la medaglia di platino per la sostenibilità.
Quanto conta il capitale umano in Socotec?
Che cosa fate per valorizzarlo?
Lavoriamo su 20 progetti che si rivolgono sia ai nostri dipendenti, sia alle comunità locali. Tra i progetti futuri che ci entusiasmano di più c’è l’iniziativa di accompagnamento alla genitorialità, che sarà lanciata per sostenere i dipendenti nel bilanciamento tra vita lavorativa e familiare. Questi sforzi dimostrano un impegno continuo nel valorizzare e supportare il personale a tutti i livelli. Compresi i collaboratori, che sono la nostra principale ricchezza. Se li mettiamo nelle migliori condizioni organizzative e ambientali, aumentano il senso di appartenenza, la consapevolezza, l’ambizione e, di conseguenza, la produttività. Inoltre, conoscere le loro percezioni ci consente di affinare strumenti formativi e azioni di work-life balance, ma anche di identificare momenti che coinvolgano tutti nella condivisione degli obiettivi raggiunti e delle strategie di sviluppo. A proposito di capitale umano, l’ingresso di due nuovi general manager, gli ingegneri Giordano Marita e Andrea Capri, potenzierà la leadership e il management in alcune business unit fondamentali per il nostro sviluppo.
Il work-life balance deve riguardare anche lei. Cosa fa nella sua vita privata per allentare lo stress?
Continuo a sciare come se non ci fosse un domani! È oltre i quattromila metri che elaboro idee innovative e progetti per Socotec. È nato tutto lì, ed è lì ad alta quota che continuerà a svilupparsi l’azienda. Direi che finché c’è neve, c’è speranza. Forse è anche per questo che spingo al massimo i motori della sostenibilità. F
di Maurizio Abbati
Dietro all’efficienza della rete logistica di Lavazza c’è la mano di Tesisquare, fondata nel 1995, che aiuta le aziende a creare ecosistemi digitali per la supply chain. Al centro una piattaforma dedicata, che facilita lo scambio di informazioni e permette di lavorare in sicurezza e in tempo reale
è una rete avanzata ed efficiente dietro la storia di successo di Lavazza. Questa rete gestisce con precisione tutti i flussi di merci e informazioni, garantendo un elevato livello di controllo e la capacità di rispondere in tempo reale alle esigenze di una clientela globale e diversificata. Tale rete è stata costruita anche grazie alla collaborazione con Tesisquare, fondata nel 1995 per aiutare le aziende a creare ecosistemi digitali per la supply chain, migliorando le performance
in network aziendali estesi e complessi. Il fulcro di questo sistema è una piattaforma dedicata, progettata per centralizzare lo scambio di informazioni in un hub di dati comune per tutti i partner commerciali. Questo sistema consente di lavorare in modo collaborativo, sicuro e in tempo reale, prevenendo e risolvendo i problemi prima che possano influenzare significativamente le operazioni, mantenendo alta l’efficienza e riducendo i tempi di risposta.
“La supply chain di Lavazza”, spiega Silvia Barbieri, supply chain director, “gestisce il processo che porta il prodotto finito sul mercato, sia ai clienti professionali, sia al consumatore. Lavazza si impegna a garantire, attraverso tutti i canali distributivi, la migliore esperienza di caffè in ogni sua forma, offrendo sempre un momento di piacere con il prodotto perfetto per qualsiasi occasione della giornata. E la supply chain contribuisce all’obiettivo di fornire un servizio di qualità”.
Un aspetto cruciale per garantire la qualità del servizio è la collaborazione con i fornitori. “Lavoriamo in full outsourcing e ciò richiede un continuo scambio di informazioni”, continua Barbieri. “Servono tecnologie avanzate e pratiche collaborative che aiutino a mantenere il controllo su ciò che accade nel network. Costituiscono un esempio la gestione degli approvvigionamenti e del trasporto, oppure il sistema di slot booking per il nostro magazzino principale, che ci consente di seguire in tempo reale l’avanzamento dei processi di magazzino e distribuzione. È un grandissimo aiuto, soprattutto nei momenti più critici, quando agevola la sincronizzazione delle attività dei diversi attori coinvolti”.
Lavazza ha una quota di export significativa (oltre 70% dei volumi totali) e ha fra i suoi obiettivi strategici di sviluppo un’ulteriore crescita sui mercati internazionali, in particolare sul mercato statunitense e su quello cinese, dove ha una partnership con un operatore locale. In questo contesto, “disporre di strumenti informatici efficienti, che consentono la scalabilità delle operazioni, facilita la gestione dello sviluppo”, afferma Barbieri. “Abbiamo implementato una soluzione per la gestione e lo scambio della documentazione necessaria all’e-
LOGISTICA
sportazione. Ciò ci ha permesso di lavorare in modo accurato e al contempo ha reso il processo efficiente. L’obiettivo è stato ridurre l’intervento delle persone alla sola gestione delle eccezioni e al controllo del processo, lasciando ai sistemi tutte le operazioni automatizzabili”.
“Servono tecnologie avanzate e pratiche collaborative che aiutino a mantenere il controllo su ciò che accade nel network”
L’attenzione alla qualità del servizio è massima anche nella fase finale della distribuzione, grazie a una control tower. “Questa piattaforma centrale”, aggiunge Barbieri, “fornisce una visione completa e in tempo reale delle fasi finali della distribuzione, permettendo di ottimizzare la comunicazione con i destinatari. L’insieme di questi strumenti ci permette di anticipare e gestire con efficacia l’inaspettato,
mantenendo il controllo dell’attività anche in presenza delle discontinuità che stanno diventando parte del nostro quotidiano. Grazie a questa combinazione di strumenti siamo in grado di mantenere il pieno controllo anche in un contesto in costante evoluzione”.
In sintesi, la supply chain di Lavazza utilizza una combinazione di tecnologie avanzate, piattaforme collaborative e partnership strategiche per permettere all’azienda di mantenere elevati standard di efficienza, qualità e sostenibilità in un mercato globale sempre più complesso.
“Lavazza sta esplorando nuove opportunità per migliorare la supply chain, come l’introduzione di un sistema digitale per il cmr (documento di trasporto internazionale). Stiamo valutando la possibilità di adottare un sistema di e-cmr, che potrebbe rappresentare un grande vantaggio. Ora dobbiamo recuperare dai destinatari il documento cartaceo firmato. È una modalità di lavoro obsoleta. Appena le condizioni normative e di mercato lo consentiranno, adotteremo queste innovazioni per migliorare ulteriormente la nostra efficienza operativa”. F
di Elisa Serafini
Secondo Nicola Salis, ceo del gruppo di project & construction management Sfre, grazie al Pnrr e alla collaborazione con enti pubblici e privati è possibile creare un sistema infrastrutturale moderno e sostenibile per rendere efficiente il settore della logistica
LLogistica, real estate, costruzioni, ma anche energia: i pilastri di sviluppo di Sfre, società di project & construction management nata nel 2016 a Milano, mostrano come è possibile costruire realtà aziendali solide allineando competenze e interessi in settori sinergici, con uno sguardo rivolto sempre alla sostenibilità.
Sfre ha un team di 140 professionisti sull’intero territorio nazionale, con sedi a Milano, Bologna, Roma, Bari e Firenze. I servizi offerti si rivolgono a importanti realtà nazionali e internazionali del real estate logistico e del light-industrial. Negli anni il gruppo ha conquistato un ruolo importante nel panorama logistico, grazie a un’ampia gamma di servizi e alla creazione di altre quattro società: Sfe nel fire engineering, Sfcm nel construction management, Sfs nella progettazione integrata e nel management in ottica sostenibile e Sfse nelle energie rinnovabili. A guidare il gruppo come ceo è Nicola Salis, che ha maturato un’esperienza ventennale, iniziando subito a lavorare nel settore immobiliare e, dal 2013, nel real estate logistico, prima come facility manager, poi nell’ambito del fire engineering.
Il concetto di sostenibilità
sembra guidare molti nuovi progetti del settore delle costruzioni in tutto il mondo. Quali tendenze vede e come è possibile declinare concretamente questa visione?
Il concetto di sostenibilità nel settore delle costruzioni per il mondo del light-industrial è guidato da principi come l’uso efficiente delle risorse, l’energia rinnovabile e la riduzione delle emissioni di CO2. Assistiamo a una crescente adozione di materiali ecocompatibili, all’integrazione di tecnologie smart per la gestione energetica e alla progettazione di edifici a zero emissioni. In Sfre decliniamo questa visione adottando best practice in materia esg per i nostri progetti, in linea con gli obiettivi dell’Agenda 2030 e 2050, valorizzando il territorio, minimizzando l’impatto ambientale e promuovendo il benessere della comunità.
“Adottiamo le best practice in materia esg per i nostri progetti, in linea con gli obiettivi dell’Agenda 2030 e 2050, valorizzando il territorio, minimizzando l’impatto ambientale e promuovendo il benessere della comunità”
L’Italia ha sempre scontato una certa difficoltà infrastrutturale, rispetto ad altri paesi europei. Quali sfide e opportunità abbiamo in questo campo?
L’Italia affronta sfide infrastrutturali legate a una burocrazia macchinosa e a un aggiornamento tecnologico lento. Tuttavia, queste sfide offrono opportunità uniche per innovare e investire in infrastrutture finalmente sostenibili. Sfre vede in strumenti come il Pnrr una chance per migliorare la logistica, puntando su progetti green e smart, che riducano l’impatto ambientale e migliorino l’efficienza operativa dell’intera supply chain. Collaborare sinergicamente con enti pubblici e privati per creare un sistema infrastrutturale moderno e sostenibile: questa è la svolta per una logistica 4.0.
Casei Gerola Logistics Park ha ottenuto la certificazione Leed
Platinum. Cosa significa per voi questo traguardo e quali risultati state ottenendo, in termini di sostenibilità e produttività?
Ottenere la certificazione Leed Platinum per Casei Gerola Logistics Park è stato un traguardo straordinario per Sfre, che ha ricevuto l’incarico da Invesco e ha visto E2k in qualità di general contractor e Cbre in quella di project monitoring. Il punteggio record di 90 crediti attesta un eccellente lavoro di squadra degli attori coinvolti, che si sono impegnati per garantire un immobile di grado A dalle eccellenti performance in termini di efficienza energetica. La riqualificazione di oltre 200mila metro quadrati ha seguito rigorosi criteri esg, riutilizzando acqua piovana, usando materiali riciclati e integrando pannelli fotovoltaici. Il parco contribuisce al benessere dei lavoratori e della comunità, dimostrando che innovazione e sostenibilità possono coesistere.
In un mondo del lavoro sempre più globalizzato, quali strategie attuate per attrarre e trattenere i talenti migliori?
Sfre adotta strategie che includono formazione continua, cultura innovativa e attenzione alla sostenibilità. Offriamo corsi interni ed esterni per accrescere competenze specialistiche e sosteniamo i giovani talenti con affiancamento a figure senior. Promuoviamo un ambiente creativo e flessibile per incoraggiare l’iniziativa individuale: questo approccio consente di mantenere un team motivato e altamente qualificato.
Il gruppo ha al suo interno anche altre aziende, come Sfse, Services for sustainable energy. Quali sinergie state sviluppando tra Epc ed energia?
Il gruppo Sfre ha creato Sfse per trasformare i poli logistici e industriali in poli energetici, creando sinergie efficaci tra Epc (engineering, procurement
and construction) ed energia. Attraverso consulenze energetiche dettagliate, analizziamo consumi e bilanci energetici per massimizzare l’efficienza e i ritorni economici. Il nostro servizio di technical due diligence assicura la fattibilità tecnica e amministrativa dei progetti, mentre l’asset management ottimizza gli investimenti nelle energie rinnovabili, accelerando la transizione verso un modello energetico sostenibile.
Quali sono gli obiettivi a medio-lungo termine del gruppo?
Vogliamo consolidare la posizione nel real estate logistico. Grazie all’offerta di un ampio ventaglio di servizi, che spaziano dalla progettazione alla gestione sostenibile dei cantieri, vogliamo essere un punto di riferimento per il settore. Puntiamo a sviluppare immobili tecnologicamente avanzati e rispettosi del territorio, promuovendo la sostenibilità ambientale, l’efficienza energetica e il benessere sociale. F
di Luca Sessa
PPer raccontare la storia della Tenuta Fratini non è sbagliato parlare di ‘richiamo della terra’. Perché ha scelto, per il suo ritorno nel mondo dell’enologia, la regione di Bolgheri, la zona vinicola della Toscana che già in passato l’aveva vista protagonista con Tenuta Argentiera, azienda fondata nel 1999 e venduta nel 2016 dopo che aveva ricevuto importanti premi e riconoscimenti a livello internazionale. “La nostra storia vitivinicola ha avuto inizio grazie all’amicizia tra mio padre e Piero Antinori, che ci ha trasmesso il know-how necessario a dare vita a una produzione d’eccellenza, come avvenuto con Tenuta Argentiera”, racconta Ludovica Fratini. “Ci è rimasta la passione anche dopo la chiusura di quella avventura, e abbiamo deciso di creare una sola azienda che può contare su circa 1.000 ettari, dei quali però solo 28 vitati (Cabernet Franc, Merlot e Cabernet Sauvignon)”.
La percentuale vitata può sembrare esigua, ma testimonia la volontà di lavorare perseguendo l’eccellenza e la qualità. Come dimostrato dall’indagine condotta dal 2016 al 2019 per capire le peculiarità dei terreni, eterogenei e adagiati su stupendi affacci tra i più alti delle colline metallifere nel comprensorio bolgherese, scelti tra i migliori per lo sviluppo della vite e per la produzione di uve di alta qualità. Un percorso all’insegna della ricerca e dell’innovazione per cui la famiglia si è avvalsa del lavoro di Pedro Parra, consulente vitivinicolo cileno di fama mondiale, conosciuto per gli studi sulle radici profonde delle vigne e per l’inconfondibile modalità di lavoro, basata su scavi e scassi molto profondi nel vigneto. Per la mappatura del suolo di Tenuta Fratini sono intervenuti Nelson Muñoz Jara, di AgroPrecision, e Françoise Vannier, di Adama Terroirs Viticoles. Il loro contributo ha permesso di introdurre la tecnologia Mrs (magnetic resonance sounding), che ha portato a grandi risultati nelle analisi del suolo, consentendo di comprenderne a fondo le caratteristiche, di selezionare quello più adatto a ciascun tipo di vitigno e di ottimizzare quindi la produzione per garantire una qualità superiore.
“La nostra storia vitivinicola ha avuto inizio grazie all’amicizia tra mio padre e Piero Antinori, che ci ha trasmesso il know how necessario a dare
vita a una produzione d’eccellenza”
La costruzione di un ‘dream team’ è stata naturale per chi vuole dar vita a vini sorprendenti. E così a Fratini e Bolgheri si è aggiunto Eric Boissenot, enologo vincolato visceralmente a Bordeaux, figlio di Jaques Boissenot, braccio destro di Emile Peynaud, già consulente di quattro dei cinque Premier Cru di Bordeaux (Latour, Lafite-Rothschild, Margaux e Mouton-Rothschild). Una collaborazione che dà nuova continuità al legame storico tra Bolgheri e Bordeaux e che serve a creare una gamma di referenze che possa distinguersi per originalità e qualità. “Ciò che mi ha motivato a venire qui è stato Bolgheri, una grande regione rinomata per i suoi vini e vitigni bordolesi”, commenta Boissenot. “Mi ha conquistato il progetto nuovo, ambizioso, che permetterà di creare qualcosa che non ha precedenti. Poter studiare in maniera approfondita i terreni, ricchi di calcare, ci consentirà di valorizzare i vitigni di Cabernet Franc e Cabernet Sauvignon, creando prodotti di forte personalità”.
A completare la squadra di esperti che compongono il team di Tenuta Fratini sono l’agronomo Gianni Moscardini ed Emiliano Falsini, punta di diamante del gruppo Matura e tra i più contesi enologi toscani, che collabora con l’azienda nelle scelte quotidiane per creare uno stile unico. Si aggiunge poi il contributo di Xavier Choné, agronomo di fama internazionale con una vasta esperienza nel mondo del vino, esperto di
La cantina della Tenuta Fratini. Sotto, Harte e Hortense, due Bolgheri Superiore. Nell’altra pagina, Ludovica Fratini.
mappatura e comprensione dei terroir, che ha contribuito a tracciare un solco indelebile nella cultura dei suoli del Medoc. I sistemi di allevamento, la gestione delle vigne e le tecniche di vinificazione sono frutto delle menti di questi professionisti. Tutto, quindi, è coadiuvato dalle più moderne tecnologie, senza stravolgere l’essenza del terroir bolgherese, anzi cercando di elevarlo.
Un approccio che ha trovato riscontro nei vini: Clinio, un rosso Igt Toscana (prevalenza Cabernet Franc) già disponibile con l’annata 2021, Hortense (80% Cabernet Franc, 20% Cabernet Sauvignon) e Harte (72% Cabernet Franc, 21% Cabernet Sauvignon, 7% Merlot), due Bolgheri Superiore che entro la fine del 2024 faranno il loro esordio sul mercato con la vendemmia 2021. “Sono vini estremamente eleganti, ognuno con sue caratteristiche, tutti rappresentativi di un terroir che, grazie alla vicinanza del mare, ha un microclima tutto suo”, dice Ludovica Fratini. Mentre Boissenot sottolinea: “Hortense 2021 ha riservato grandi sorprese: personalità, carattere, ricercatezza, tutto ciò che vogliamo in un vino. Harte 2021, invece, ci consente di mostrare un altro aspetto di questo terroir che stiamo scoprendo giorno dopo giorno”.
La famiglia Fratini spera di veder riconosciuto il valore aggiunto dell’interazione tra grandi professionisti, ma anche l’originalità di un progetto che abbina alla produzione vinicola un importante percorso artistico, rappresentato dall’ammodernamento della cantina e del suggestivo anfiteatro che ospiterà le degustazioni guidate. “Il legame tra la passione per l’arte e quella per il vino è per noi fondamentale, e la presenza delle sculture di Camilla Bacherini esprimono l’intensità emotiva che si respira nella nostra tenuta”. F
di Luca Sessa
La famiglia Allegrini, tra i principali produttori dell’Amarone in Valpolicella, ha modernizzato l’organizzazione societaria e rinnovato la struttura manageriale dell’azienda. Al centro della nuova realtà rimane l’amore per il vino che ha sempre contraddistinto una delle cantine italiane più rinomate al mondo
DDare continuità a una storia vinicola fatta di passione, competenza e suggestione, forgiando una veste contemporanea per idee imprenditoriali che poggiano su organizzazione e specializzazione. Allegrini Wines è nata nel 2024 dopo l’acquisizione da parte di Francesco, Matteo e Giovanni Allegrini della maggioranza delle quote societarie dell’azienda di famiglia, tra i principali produttori dell’Amarone in Valpolicella, oggi una delle cantine italiane più rinomate al mondo. “La nostra”, sottolinea Francesco, “è un’azienda familiare, e come tutte le realtà di questo tipo era caratterizzata da un approccio decisionale molto padronale, non più in linea con le esigenze dell’imprenditoria moderna e dell’attuale mercato. Abbiamo quindi attuato un cambio di passo, con l’introduzione di un’organizzazione nuova, lineare. Un’evoluzione ancora in atto e che richiede tempo per essere fatta nel modo giusto, ma che avrà ripercussioni positive per tutti, dai dipendenti ai fornitori, passando per i partner commerciali”.
I tre fratelli detengono ora l’86%, mentre il restante 14% rimane in mano alla cugina Silvia. Allegrini Wines è quindi la realtà capofila che ingloba tutte le attività della famiglia Allegrini nel settore vitivinicolo, accomunate da un filo conduttore: mettere al centro il vino e tutti i progetti per la sua valorizzazione. A tale obiettivo concorrono le tre divisioni: Allegrini, lo storico marchio che da sempre promuove i signature wine della Valpolicella (e da qualche anno anche il Lugana) nel mondo; Allegrini Wine Distribution, il ramo nato dalla volontà di completare i vini del marchio storico con una serie di realtà produttive affini per filosofia e rispetto della tradizione e che comprende anche Corte Giara, brand istituito nel 1989 per volontà di Franco Allegrini per portare in tutto il mondo l’eccellenza enologica veneta con un ottimo rapporto qualità-prezzo; infine, Tenuta Merigo, il nuovo centro produttivo in corso di realizzazione, dedicato anche all’accoglienza enoturistica.
I numeri aiutano a mettere a fuoco il valore di un’azienda: nel 2023 il giro d’affari di Allegrini Wines è stato di 21,25 milioni di euro, per una produzione
Nel 2023 il giro d’affari di Allegrini Wines è stato di 21,25 milioni di euro, con 2,3 milioni di bottiglie prodotte. L’export rappresenta il 60% del fatturato
complessiva di circa 2,3 milioni di bottiglie. La commercializzazione è avvenuta in circa 90 nazioni e l’export (che rappresenta il 60% del fatturato) ha fatto registrare quest’anno un incremento del 3% a valore rispetto allo stesso periodo del 2023. Il patrimonio vitivinicolo di Allegrini Wines comprende oltre 150 ettari (105 di proprietà e 45 in affitto) che si sviluppano prevalentemente nell’area della Valpolicella Classica, ma anche in Lugana e Soave. Per Corte Giara, nello specifico, si registra un’espansione anche in Valpolicella Orientale ed Est Veronese. Il tempo resta un valore
fondamentale per la famiglia Allegrini, ed è per questo che è stato aggiunto un anno in più in cantina per l’Amarone, oltre a prolungare l’affinamento di La Poja e Fieramonte, posticipando la release a marzo-febbraio 2025 (sei mesi in più) a discapito delle vendite nell’immediato. È ancora prematuro fare un bilancio della nuova governance, ma i numeri del primo semestre sono confortanti. Confrontando i dati 20232024 a valore si segnalano performance molto significative per le referenze Palazzo della Torre (+16%), Lugana (+5,82%) e Valpolicella Classico (+4%). Importante anche la voce relativa agli investimenti: dall’inizio del 2024 sono stati investiti oltre 200mila euro per aumentare il parco vitato con nuovi vigneti, mentre sono previsti 20 milioni per lo sviluppo della nuova cantina Tenuta Merigo (nome della nonna paterna), che verrà completata nel 2027, per raggiungere l’obiettivo dei 15mila ospiti all’anno, con un’incidenza sul fatturato almeno del 10%. Il nuovo corso di Allegrini è quindi rappresentato anche da una struttura manageriale che vede Francesco nei panni di amministratore delegato, incaricato di gestire gli aspetti istituzionali ed esecutivi, Giovanni con un ruolo attivo nei processi produttivi, vigilando sulla qualità dei prodotti affinché non venga meno la loro coerenza con lo stile aziendale, supervisionando ricerca e sviluppo e svolgendo un ruolo di brand ambassador, e Matteo in qualità di coordinatore export, che cura i rapporti con l’estero attraverso viaggi di rappresentanza in tutto il mondo per promuovere l’azienda come eccellenza italiana. Silvia, infine, è la responsabile delle comunicazioni esterne e si occupa del coordinamento delle partnership strategiche (Guggenheim Intrapresae, Altagamma, Comitato Leonardo, Comitato Grandi Cru e Famiglie Storiche). “L’introduzione di questa nuova organizzazione ci consente ora di concentrarci sul lavoro che stiamo effettuando sul prodotto, per dimostrare come il nuovo corso di Allegrini sia legato alla sua storia attraverso la qualità”, commenta Francesco.
Il prossimo, fondamentale passo è rappresentato dal bilancio di sostenibilità, ulteriore tassello che va ad aggiungersi a quanto fatto in quest’ambito, già certificato da Equalitas nel 2017: azioni concrete per un’azienda che si proietta nel futuro con attenzione al tema. “Continuità e identità andranno a braccetto, in un cambiamento voluto per essere al passo con i tempi, crescendo gradualmente e in maniera consapevole, rispettando i valori trasmessi da nostro padre, che continueranno a rappresentare le fondamenta di Allegrini”, dice Francesco. F
di Luca Sessa
Più che un’azienda vinicola, La Scolca incarna l’essenza dello stile di vita italiano, dove si intrecciano passione e bien vivre. Oggi celebra 105 anni di storia e dà il benvenuto alla quinta generazione
IImmersa tra le colline di Gavi, in provincia di Alessandria, La Scolca celebra quest’anno il suo 105esimo anniversario. Il suo è un viaggio ricco di storia, innovazione e dedizione alla produzione di vini eccezionali. Più che un’azienda vinicola, La Scolca incarna l’essenza stessa dello stile di vita italiano, dove passione, eleganza e bien vivre si intrecciano. Un brand che ha saputo fare dell’eccellenza una cifra distintiva, come conferma Chiara Soldati, ceo e proprietaria dell’azienda. “Nel tempo La Scolca è diventata un simbolo di eccellenza del made in Italy, che ha saputo costruire partnership con brand prestigiosi. Con ognuno di loro condividiamo i valori dell’etica e dell’artigianalità e il desiderio di offrire ai nostri ospiti momenti indimenticabili, in Italia e all’estero”.
La famiglia Soldati è giunta alla quinta generazione. Quali sono gli impegni per il futuro, a partire dal tema della sostenibilità?
Per noi la sostenibilità è sempre stata una priorità. Negli ultimi anni abbiamo investito molto
nella certificazione, nell’applicazione di metodi sostenibili nei nostri vigneti, favorendo la biodiversità e preservando il terroir unico di Gavi. Attenzione e cura per l’ambiente garantiscono non solo la qualità eccellente dei vini, ma rappresentano anche un messaggio importante per i più giovani. Oggi l’azienda dà il benvenuto alla quinta generazione, rappresentata da Ferdinando Caracciolo di Vietri, mio figlio, che ha già dimostrato ottime capacità imprenditoriali e dedizione all’azienda di famiglia, portando avanti, tra le altre attività, un progetto per la comunicazione della cultura del vino e della wine moderation alla Generazione Z.
Che tipo di esperienza promette La Scolca?
È un’opportunità per scoprire non solo i suoi vini, ma l’essenza stessa dello stile di vita italiano. È possibile passeggiare tra i nostri vigneti, approfondire la storia dell’azienda e godersi degustazioni delle migliori annate guidati da esperti, abbinandole a prodotti locali, come il tartufo, o a caviali d’eccellenza, grazie alla partnership con Royal Food Caviar. È una proposta adatta sia a chi cerca tour personalizzati ed eventi esclusivi, sia a chi vuole vivere semplicemente un momento di serenità tra le vigne.
Qual è il consuntivo di questi primi 105 anni?
Siamo consapevoli del solido patrimonio costruito fin qui e guardiamo al futuro con fiducia e spirito innovativo, senza accettare compromessi nell’impegno per una qualità sostenibile. Continueremo a incantare gli amanti del vino negli oltre 60 mercati nel mondo in cui siamo presenti e nelle migliori luxury destination. Festeggiare 105 anni di eccellenza è un traguardo importante, che ci piace condividere con amici, partner, tutti i La Scolca Lovers e quanti hanno contribuito a rendere il nostro viaggio fin qui uno straordinario successo. F
VINO
di Luca Sessa
Sotto la guida della famiglia Abbona, la cantina Marchesi di Barolo produce vino da generazioni. Un quotidiano lavoro di valorizzazione che passa attraverso innovazione e sostenibilità
C“Coltiviamo vigneti a Barolo, nelle Langhe, nel Roero e nel Monferrato nicese. Vinifichiamo e affiniamo nelle antiche cantine dei Marchesi di Barolo, dove accogliamo gli appassionati che desiderano assaporare la storia, i profumi e le espressioni di questo vino leggendario: il Barolo”. L’incipit con cui l’azienda Marchesi di Barolo si racconta in rete è un manifesto che esprime la missione che da sei generazioni la famiglia Abbona tramanda. “Siamo una famiglia, prima che una azienda: lavoriamo tutti assieme, gli uni accanto agli altri, pienamente coinvolti in ogni aspetto della gestione”, racconta Valentina Abbona, che, con il fratello Davide, rappresenta la nuova leva di famiglia. Con i genitori, Ernesto e Anna, sono impegnati in un quotidiano lavoro di valorizzazione e innovazione di una storia che parla di territorio, vigneti, passione e senso di appartenenza.
Con l’acquisto delle Antiche Cantine dei Marchesi di Barolo nel 1929, la famiglia Abbona prosegue con impegno e passione l’attività che i marchesi Falletti avevano iniziato agli albori dell’800, fedeli interpreti delle diversità dei luoghi, dei vigneti e dei vitigni. Un meticoloso lavoro, oggi rappresentato dallo studio condotto da Davide, che, con il ricorso a tante piccole innovazioni, ha portato a un approccio consapevole e a una produzione che ammonta a circa 1,3 milioni di bottiglie l’anno e 30 referen-
ze ottenute da vigneti, vitigni e coltivazioni diversi. Risultati arrivati grazie a una vendemmia lunga quasi due mesi, dalla raccolta delle uve Moscato a fine agosto a quelle di Nebbiolo da Barolo a fine ottobre. È con questa filosofia che si è riusciti a produrre l’Alba Doc Pi Cít, un assemblaggio di Nebbiolo e Barbera, pienamente rappresentativo del territorio.
Il conseguimento della certificazione di sostenibilità Sqnpi, nonostante tre anni consecutivi di siccità, e il crescente volume delle esportazioni confermano la qualità delle scelte nate dal confronto tra generazioni. “La componente innovativa contraddistingue da sempre la nostra famiglia”, dice Valentina, impegnata nel coordinamento delle aree commerciale, export e marketing. “Basti pensare che i nostri genitori furono tra i primi a creare una realtà nella ristorazione e ricettività, segnando una strada nuova per l’epoca”.
In attesa di poter festeggiare, nel 2029, un secolo dall’acquisizione delle Antiche Cantine, la famiglia Abbona è ora concentrata su una costante opera di promozione del territorio che ha reso i suoi componenti ambasciatori della zona, riconosciuta patrimonio Unesco. “Abbiamo fatto diversi investimenti per raccontare le peculiarità del terroir. Cerchiamo di dar vita a progetti che non hanno la finalità di far crescere solo il fatturato, ma di valorizzare l’immagine delle Langhe, invitando gli ospiti a scoprire e bere vini di qualità”. F
di Luca Sessa
Cantina Terra dei Re è nata nel 2000 da un’idea imprenditoriale delle famiglie Rabasco e Leone alle pendici del Monte Vulture, l’antico vulcano della Basilicata. I vini, grazie al lavoro in vigna e cantina coordinato da Riccardo Cotarella, rappresentano passato, presente e futuro di questo territorio
LLe pendici del Monte Vulture, l’antico vulcano della Basilicata, fanno da scenario al racconto della storia della Cantina Terra dei Re, nata nel 2000 da un’idea imprenditoriale delle famiglie Rabasco e Leone. Un luogo che unisce storia e innovazione, a partire dalla cantina interrata a una profondità di circa 25 metri, con annesse grotte scavate nella roccia vulcanica in cui viene affinato l’Aglianico del Vulture, a cui si affianca il Pinot Nero, una vigna unica nel suo genere, a un’altitudine di 800 metri. Il terroir ha fatto il resto, grazie alla presenza della componente vulcanica, di banchi di tufo e aree a cellulosa, elementi determinanti per le caratteristiche del vino. Da questo approccio alla vigna sono nati prodotti come il Nocte Aglianico del Vulture Doc, dai tannini di raffinata eleganza che si fondono con spezie intriganti, il prodotto di una vendemmia notturna. Durante l’estate di San Martino, infatti, in coincidenza con la vendemmia notturna del Nocte, si registrano forti escursioni termiche che favoriscono la formazione di precursori aromatici, sostanze che conferiranno aromi al vino. Sbalzi anche di 15° C sottopongono la buccia dell’acino a uno stress dovuto alla dilatazione durante il giorno e al restringimento durante la notte. Le analisi hanno evidenziato nella raccolta notturna una predominanza delle componenti fruttate. Delle uve provenienti da vigneti impiantati sulla crosta lavica vengono selezionati solo i grappoli
La Cantina Terra dei Re. Sotto, Nocte, aglianico del Vulture.
migliori, che verranno diraspati e pigiati delicatamente. Il pigiato viene trasferito nei vasi vinari, dove si svolgeranno la fermentazione e la macerazione a temperatura controllata: il periodo fermentativo ha una durata media di 15 giorni, trascorsi i quali il vino viene trasferito in barrique, dove completerà la fase della fermentazione malolattica. L’affinamento ha una durata variabile dai 18 ai 24 mesi, poi il vino viene imbottigliato e affinato ancora per un anno, per ottenere le note gustative e olfattive caratteristiche del Nocte Aglianico del Vulture Doc, come la rosa appassita e la viola, che donano il finale vellutato.
Il filo che lega storia e innovazione è rappresentato anche dalla presenza del Pinot Nero: lo studio sull’ampelografia di Robinson, Harding e Vouillamoz pone in uno schema genealogico il vitigno come elemento primordiale e come suoi discendenti, su varie linee e incroci, Dureza, Mondeuse, Syrah e Aglianico. Trasformazioni avvenute con tutta probabilità in Enotria, della quale la Lucania faceva parte. Numerose altre testimonianze dimostrano la presenza del Pinot Nero in Basilicata. Tra le altre, c’è quella del censimento vitivinicolo del 1811 voluto da Gioacchino Murat (statistica murattiana), poi nel 1887 Michele Lacava – chirurgo ed esperto di vino che organizzò i primi eventi per far conoscere il valore dei vini della Basilicata – nel discorso di inaugurazione del-
la prima mostra enologica di Potenza testimoniò la presenza del Pinot Nero nelle zone fredde della regione. Evidenze di enorme valenza storica che hanno convinto le famiglie Rabasco e Leone a impiantare vigneti sulla crosta lavica per realizzare spumanti e vini fermi, tra cui il Pinot Nero Vulcano 800, la cui ricchezza aromatica è strettamente legata alla complessità del terreno vulcanico.
Note minerali e freschezza olfattiva sono la sintesi dell’estrema altitudine del vigneto, mentre la presenza aromatica dei piccoli frutti delle selve boschive del Vulture gli dà un carattere unico. Il lavoro in vigna e cantina è coordinato da Riccardo Cotarella, uno dei più importanti nomi dell’enologia del nostro Paese e della scena internazionale, che, coadiuvato da
Pier Paolo Chiasso, direttore del team di esperti del più autorevole winemaker contemporaneo, è andato alla ricerca delle condizioni migliori per sfruttare tutto il potenziale di vitigni e terreni, per realizzare vini in grado di rappresentare passato, presente e futuro della zona.
“Nei prossimi anni continueremo a investire in tecnologie all’avanguardia e in pratiche sostenibili per migliorare la qualità dei nostri prodotti”
“L’impegno primario che contraddistingue l’approccio al lavoro di questa realtà”, ha detto Claudio Roberto Rabasco, amministratore delegato della Cantina Terra dei Re, “è e sarà sempre quello di concentrarci sulla qualità dei vini. Questo obiettivo è al centro della nostra filosofia aziendale e guida tutte le decisioni strategiche. Nei prossimi anni continueremo a investire in tecnologie all’avanguardia e in pratiche sostenibili per migliorare costantemente la qualità dei prodotti. Collaboreremo strettamente con gli esperti viticoltori e gli enologi coinvolti nel progetto, per garantire che ogni bottiglia di vino prodotta possa riflettere la passione, la dedizione e l’eccellenza che ci contraddistinguono. Crediamo che il futuro del settore risieda nella capacità di innovare mantenendo fede alle tradizioni che hanno reso celebre la nostra regione vinicola”. F
di Luca Sessa
La Tenuta Sette Ponti produce Oreno, uno dei vini più apprezzati al mondo. La sua storia è cominciata negli anni ‘50, quando l’architetto Alberto Moretti Cuseri comprò i primi 55 ettari dalle figlie del duca d’Aosta. Oggi a portarla avanti sono il figlio Antonio e i nipoti Alberto e Amedeo
IIl verbo ‘tramandare’, quando si parla del legame di una famiglia con la terra e le vigne, richiama la continuità di una passione: quella di chi ha dato inizio a un’avventura, a un progetto imprenditoriale e di vita. Nel racconto di Tenuta Sette Ponti, nell’Aretino, l’artefice della nascita è l’architetto Alberto Moretti Cuseri, che negli anni ‘50 acquisì i primi 55 ettari di terreni dalle principesse Margherita e Maria Cristina di Savoia d’Aosta, figlie del Principe Amedeo di Savoia, duca d’Aosta, per dedicarsi alle sue più grandi passioni - produzione di olio d’oliva e di vino - su terreni particolarmente idonei a lavorare le uve, inizialmente solo vendute ai produttori, senza occuparsi di vinificazione. La continuità è rappresentata dal lavoro condotto, a partire dagli anni ‘90, per primo dal figlio Antonio, che prese il controllo dell’azienda facendosi affiancare dai migliori tecnici specializzati (viticoltori ed enologi) per valutare la vocazione dei terreni alla produzione di vini di qualità. Nel 1998 l’uscita di Crognolo, vino che ha come base la storica varietà di Sangiovese proveniente da cloni della più antica vigna della tenuta, Vigna dell’Impero, ha segnato un nuovo inizio, certificato dal successivo lancio, nel 1999, di Oreno, che dopo solo tre vendemmie ha raggiunto la vetta delle più importanti classifiche mondiali. “Questa etichetta è da sempre la nostra bandiera. Il suo inserimento nella top 10 di Wine Spectator nel 2001 ha condizionato in meglio le nostre vendite. Il successivo raggiungimento della top 5 nel 2005 ha certificato la qualità con cui lavoriamo e la coerenza del nostro processo produttivo, in vigna e in cantina”, sottolinea Alberto Moretti Cuseri, figlio di Antonio, che dal 2018 gestisce, con il ruolo di direttore export, le tenute di famiglia assieme al fratello Amedeo (amministratore e responsabile del mercato italiano). “Il nostro è stato un percorso di crescita partito dal Chianti, prodotto da nostro nonno, e giunto a un processo
di evoluzione del Sangiovese per perseguire la qualità che oggi è il filo conduttore delle nostre etichette”. Oggi la realtà della famiglia Moretti Cuseri conta, oltre a Tenuta Sette Ponti, su Orma a Bolgheri, Poggio al Lupo in Maremma, Orciolaia a Marina di Bibbona, Feudo Maccari in Val di Noto e Animaetnea sull’Etna.
Il filo narrativo di questo racconto è sempre rappresentato da Oreno, blend di Merlot, Cabernet Sauvignon e Petit Verdot, così chiamato in virtù del torrente che attraversa la tenuta proprio dove cresce il Merlot. “L’annata 2022 ha per la prima volta nel blend il Cabernet Franc e uno stile nuovo”, dice Moretti Cuseri. “Parliamo di un’evoluzione verso l’enologia leggera per uno dei vini più apprezzati al mondo. Da tempo cerchiamo di far prevalere l’eleganza, portando il vino a essere longevo per le qualità che vengono dalla terra prima e dalla lavorazione e dall’affinamento poi, con un calibrato bilanciamento nell’utilizzo di le-
gni e barrique”. Il ricorso al Cabernet Franc è quindi la novità dell’ultima annata: un vitigno che ha mostrato un’eccezionale adattabilità al cambiamento climatico e alle zone più calde, facendo emergere nella percezione gustativa una componente di grande freschezza.
I tappi in sughero sono stati abbandonati, a favore di una soluzione basata su canna da zucchero compattata
L’evoluzione dei vini è la conseguenza di una filosofia che ha saputo adattarsi, nel tempo, alle nuove esigenze di uno scenario che deve tener conto della sostenibilità: “Siamo partiti con azioni che possiamo definire basiche, ma che si sono rivelate fondamentali. Siamo biologici e facciamo ricorso a concimi naturali dei nostri animali e di animali allevati nelle vicinanze, integrando il tutto con altre parti biologiche di cui necessita la vigna. Partendo da questi piccoli gesti si può divenire realmente etici e sostenibili. Recuperiamo i tralci, che vengono poi fatti riposare, per mescolarli con altri elementi
fertili e riutilizzare il tutto. Stiamo sperimentando l’uso di trattori con motori di cilindrata più piccola o addirittura elettrici. Le bottiglie che usiamo sono al 95% composte da vetro riciclato e sono più leggere. L’insieme di queste cose permette un vero approccio etico, concreto nelle scelte, nei gesti, nei risultati”.
Spazio quindi a nuove scelte, anche per quanto riguarda i tappi: abbandonato il sughero, anche quello di altissima qualità, ha fatto la sua comparsa una soluzione derivante dalla canna da zucchero compattata, presente anche nei vini di alta gamma di Tenuta Sette Ponti. “Ogni scelta aziendale è fatta seguendo questo approccio”, continua Moretti Cuseri. “Basti pensare all’opera di installazione dei pannelli solari nelle nostre tenute, che ci permette di essere praticamente indipendenti dal punto di vista energetico in Sicilia e quasi del tutto in Toscana. Anche se ci evolviamo come realtà imprenditoriale, siamo rimasti ancora artigiani del vino. Ogni fase della lavorazione è manuale, il ricorso alle macchine è limitato a qualche trattamento biologico e a smuovere la terra, ma le piante vengono toccate solo con le mani. Questo è sinonimo di qualità, il nostro segno distintivo”. F
di Cristina Mercuri
Contro il calo dei consumi, soprattutto tra i più giovani, i vitigni aromatici possono giocare un ruolo importante nella ripresa del settore.
E la Sicilia si mostra all’avanguardia.
SSi sente parlare di calo dei consumi, soprattutto tra i più giovani. Il fatto che stiamo attraversando un periodo di inflazione, accompagnata da un generale scontento dovuto alla crisi mondiale e alle guerre, alimenta la contrazione. Le generazioni più giovani sono curiose, attente ai temi della salute e preoccupate dal cambiamento climatico. Scelgono di educarsi a bere meglio, facendo
scelte precise in tema di rispetto dell’ambiente. I vini contemporanei accontentano la domanda di una beva più slanciata, lineare, fruttata e meno alcolica. I vitigni aromatici possono giocare un ruolo importante nella ripresa del settore e la Sicilia si mostra all’avanguardia.
Le interpretazioni classiche dei vitigni aromatici erano dolci, prevalentemente da uve passite o raccolte tardivamente. Vini deliziosi che però, al momento, costituiscono una nicchia minuta. La versione contemporanea, invece, è totalmente secca (spesso con residui zuccherini inferiori a 2g/l), con acidità vibranti e frutto croccante. Dai sentori opulenti e maturi, si passa a un’espressione di Moscato d’Alessandria (Zibibbo) e Malvasia totalmente nuovi, floreali, delicati e lievemente balsamici, con alcol
inferiore al 13,5%. Perfettamente in linea con i gusti attuali. Le Eolie sono note per coltivare Malvasia: il clima mediterraneo è mitigato dal mare, dalle diverse altitudini ed esposizioni. I suoli vulcanici, grazie ai loro pH e nutrienti, garantiscono acidità spiccate e texture vibrante. La Malvasia ha un profilo delicato di ginestra e fiori d’arancio. Invece, Pantelleria è la patria dello Zibibbo: il vento obbliga la tipica struttura ad alberello pantesco, basso e allargato, ideato per proteggere i grappoli dal sole e dal vento. L’isola ha 16 contrade, ognuna unica per suoli, altitudine ed esposizione. Lo Zibibbo ha un naso intenso di albicocca, rosmarino e limone, un’acidità rinfrescante, mai troppo elevata, e una texture golosa.
Ecco quelli scelti da Forbes Italia:
1. Tenuta Capofaro, Vigna di Paola. Salina Bianco Igt. 100% Malvasia. Vulcano, Eolie. Tasca D’Almerita è all’avanguardia nella produzione di vini dal carattere contemporaneo che rispecchiano l’annata e il territorio. Da una vigna nella zona di Gelso nasce questo vino denso e potente, ma con garbo. Note di erbe
aromatiche e lime, carattere assertivo e acidità luminosa.
2. Cantine Colosi, Secca del Capo. Salina Bianco Igt. 100% Malvasia. Salina, Eolie. L’azienda è nata nel 1983 dal nonno Pietro e si è sviluppata con la terza generazione di giovani talentuosi. Il vino è intenso, con note di garriga e fiori d’arancio, acidità vibrante, palato rotondo dato anche dal residuo zuccherino (5 g/l).
3. Tenuta Capofaro, Didyme. Salina Bianco Igt. 100% Malvasia. Salina, Eolie. Novemila bottiglie prodotte con il tipico tocco di Laura Orsi, enologa delle tenute Tasca D’Almerita. Naso floreale, note di arancia, palato vibrante e gioioso con finale affumicato tipico dei suoli vulcanici.
4. Tenuta di Castellaro, Bianco Pomice
Terre Siciliane Bianco Igt. 60% Malvasia, 40% Carricante. Lipari, Eolie. Massimo Lentsch iniziava l’opera di ristrutturazione nel 2002 per valorizzare Lipari attraverso la coltivazione di vitigni reliquia. Una cantina integrata nel territorio, con una fortissima vocazione al rispetto dell’ambiente. Da Malvasia e Carricante è nato Bianco Pomice: naso definito di rosmarino, pesca e ginestra, acidità slanciata e palato denso, grande profondità e finale talcato.
5. Donnafugata, Lighea. Zibibbo Sicilia Doc.
100% Zibibbo. Pantelleria. Bottiglia leggera, prodotta interamente in Sicilia. Attenzione non solo alla sostenibilità, ma anche al gusto. Questo Zibibbo profuma di cappero e fiori d’arancio, palato compatto e finale lunghissimo.
6. Cantine Pellegrino 1880, Isesi. Pantelleria Bianco Doc. 100% Zibibbo. Pantelleria. Tra le principali aziende della produzione pantesca, ha deciso di focalizzarsi su un’espressione di territorio per lo Zibibbo con grazia e profilo deciso. L’unione di vigneti da diverse contrade (Kamma, Muegen, Tiki Riki) assicura sfumature diverse: i vigneti in altitudine danno acidità e slancio, quelli vicini al mare donano frutto. Un capolavoro di ginestra, salvia e palato delicato. F
La Cantina di Quistello esprime la cura e la sapienza dell’uomo nel domare un’uva selvatica in un lambrusco nobile.
La strada è lunga che percorrono i nostri vini, dalla vigna ai calici. Il metodo di produzione prevede l’esclusivo utilizzo delle uve dei soci che sapientemente le accudiscono dai germogli alla vendemmia per poi continuare con la vinificazione in cantina a cui viene riservata la stessa cura e la stessa attenzione: il risultato è un lambrusco il più salubre possibile, molto digeribile e di buona beva. Il Lambrusco di Quistello al naso offre un’esplosione di profumi di frutti rossi, al palato un gusto sapido e strutturato adatto alla cucina della tradizione locale e non solo, carne e salumi.
In Cantina Sociale di Quistello da sempre crediamo nel valore dello sviluppo sostenibile: innoviamo e investiamo in tecnologie e progetti che testimoniano questo nostro impegno. Per quanto riguarda le aziende vitivinicole come la nostra, soprattutto il concetto di tutela dell’ambiente è entrato in modo preponderante a far parte del quotidiano. Non poteva essere altrimenti visto che lavoriamo a stretto contatto con la natura ogni giorno e godiamo di uno dei frutti più preziosi di questo nostro territorio: l’uva.
La nostra Cantina è più di un luogo di produzione di vino: è un custode del territorio, un promotore del benessere sociale e un pioniere della sostenibilità.
Un’installazione del materiale anti-inquinamento realizzato con la tecnologia theBreath.
NATA NEL 2014 DA UN’IDEA DI GIANMARCO CAMMI E POI PORTATA AVANTI DALLA SOCIETÀ ANEMOTECH, THEBREATH È UNA TECNOLOGIA A IMPATTO ZERO CHE ASSORBE, BLOCCA E DISGREGA LE MOLECOLE INQUINANTI NELL’ATMOSFERA. TRA I PRIMI AD ACCORGERSI DELLE SUE POTENZIALITÀ CI FU L’ONCOLOGO UMBERTO VERONESI
L’L’aria pulita è un diritto di tutti, ma spesso ne sottovalutiamo l’importanza. Ridurre l’inquinamento atmosferico può portare a una serie di benefici non solo per l’apparato respiratorio, ma anche per la salute psicologica e la qualità della vita in generale. Una ricerca dell’Università della California del Sud, pubblicata da Plos Medicine, ad esempio, dimostra come l’aria pulita sia correlata a un più lento processo di declino cognitivo in tarda età. E se consideriamo gli spazi chiusi, è stato dimostrato più volte il legame tra una cattiva qualità dell’aria e un calo delle prestazioni dei lavoratori. Guardando ai numeri, uno studio dell’Università di Harvard ha evidenziato una crescita della performance dei dipendenti fino all’8% in ambienti con una buona qualità dell’aria.
Tra le realtà che si impegnano a costruire un futuro più green c’è Anemotech, società italiana nata nel 2014, grazie a Gianluca Barabino e Giovanni
Brugnoli, per sviluppare e condividere tecnologie sostenibili e migliorare così la qualità della vita e l’habitat delle persone. Barabino è stato tra i primi a credere in theBreath, tecnologia made in Italy e a impatto zero nata nel 2014 da un’idea di Gianmarco Cammi per purificare l’aria. Prodotta nello stabilimento di Castellanza (Varese), è un tessuto multistrato, frutto di anni di ricerca e sviluppo, in grado di assorbire, bloccare e disgregare le molecole inquinanti presenti nell’atmosfera, sfruttando il movimento naturale. Attraverso la sua struttura, Barabino ha contribuito all’evoluzione tecnica di theBreath, oggi veicolo commerciale capace di attrarre l’interesse di alcune tra le multinazionali più importanti al mondo. “Ho dato il mio supporto a questo progetto sin dalla fase di ricerca. Disporre di una tecnologia passiva
Gianluca Barabino
che utilizza il movimento dell’aria per ridurre l’inquinamento rappresenta una svolta dal punto di vista della sostenibilità”, dice Barabino. Un prodotto capace di catturare sin da subito l’attenzione di un luminare come Umberto Veronesi, che fu tra i primi ad accorgersi delle sue potenzialità e in un’intervista del 2016 dichiarò: “Il mio sostegno agli ideatori di theBreath nasce da una semplice constatazione: dei milioni di italiani che oggi sviluppano un tumore, almeno il 70% potrebbe essere salvato con la prevenzione. Sostengo un’alleanza tra scienza e tecnologia: è fondamentale che la scienza discuta e si confronti con istituzioni e informazione per vincere battaglie come quella della cura e della prevenzione del cancro”.
Grazie alle sue nanotecnologie, il materiale agisce come una spugna, garantendo l’abbattimento costante nel tempo dei principali inquinanti aeriformi e delle componenti causa delle emissioni moleste. La chiave della tecnologia di theBreath, che ha ottenuto diverse certificazioni, risiede nella sua struttura a tre strati (frontale, centrale e posteriore), dove l’aria passa ritornando in circolo più pulita e respirabile. Le molecole inquinanti vengono attratte all’interno del tessuto, dove vengono intrappolate e scomposte in particelle innocue. Questo processo avviene in modo naturale, senza l’utilizzo di energia elettrica o sostanze chimiche dannose.
Oltre a essere una soluzione a basso impatto ambientale, grazie all’uso di materiali ecocompatibili, theBreath riduce l’inquinamento indoor e outdoor, migliorando la qualità dell’aria. Non solo. Può essere impiegata in diversi contesti, dalle abitazioni agli uffici, dai luoghi pubblici agli spazi industriali. Disponibile in diverse finiture, può essere integrata in qualsiasi ambiente, oltre a diventare anche un elemento di arredo funzionale e di design con infinite possibilità. Tra i suoi clienti ci sono aziende come Allianz, gruppo
Bnp Paribas e Generali, con cui la società ha avviato una collaborazione nel 2018. “All’interno degli uffici di Banca Generali a Milano abbiamo introdotto i nostri pannelli ecologici senza cornice, che avevano la funzione di eliminare l’inquinamento nei luoghi di lavoro”, dice Barabino. “Da quel momento è iniziato un percorso di crescita importante”. Soluzioni indoor, ma anche outdoor: mega affissioni con tecnologia theBreath hanno conquistato in poco tempo città come Milano, Roma, Londra, Parigi e Varsavia. È qui che la tecnologia incrementa la propria capacità di assorbimento, con l’aria che attraversa le maglie del tessuto, viene pulita e depurata dagli inquinanti per poi tornare in circolo più respirabile. Affissioni,
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ma anche iniziative speciali nel settore della cantieristica, su tutti il progetto in collaborazione con Bulgari, e nelle fiere in giro per il mondo.
Un esempio di come la ricerca e la sperimentazione possano viaggiare di pari passo: nel 2016 theBreath è stata premiata a Ecomondo. Per andare incontro alle richieste di un mercato sempre più esigente, è stata annunciata la prossima uscita di un nuovo brevetto. “Il futuro è il movimento”, continua Barabino. “Stiamo per depositare un altro brevetto per dare un nuovo corso. Ci siamo resi conto che i mercati chiedevano determinate caratteristiche. Per questo stiamo lavorando su un brevetto per sviluppare una serie di elementi che il prodotto attuale non possiede”. F
di Luigi Dell’Olio
Dalla costituzione alla pianificazione fiscale, Dalle operazioni straorDinarie ai passaggi generazionali: grazie a un team Di esperti, lo Studio Marco Scardeoni & PartnerS offre servizi Di consulenza personalizzati per imprenDitori e azienDe
M“Mettere in sicurezza il proprio patrimonio, cercando di evitare un’imposizione fiscale elevata”. È la priorità che oggi accomuna i benestanti del nostro Paese, come evidenzia Marco Scardeoni, fondatore e managing partner dello Studio Marco Scardeoni & Partners, che ha messo insieme un team di esperti che offre servizi di consulenza altamente specializzati per imprenditori e aziende.
Dalla sede storica di Desenzano del Garda, aperta nel 1993, lo studio si è espanso con uffici a Milano e Dubai. L’apertura nel Golfo Persico risale al 2015 ed è stata resa possibile dalla partnership con Gcc Advisors, azienda specializzata nei processi di internazionalizzazione, guidata dall'imprenditore Manuel Manzoni. “Supportiamo l’espansione delle aziende italiane nell'area, in particolar modo nell’aspetto fiscale, dalla valutazione dei mercati alla strutturazione fiscale e legale delle operazioni di sviluppo. Si tratta di mercati molto dinamici e ricchi di opportunità”, commenta Scardeoni.
Quanto alle strutture giuridiche più utilizzate dalla clientela italiana benestante, Scardeoni segnala che “la creazione di una holding è tra le strade più battute da coloro che vogliono mettere in sicurezza il proprio patrimonio, senza dover subire un'imposizione elevatissima”. Dunque una società finanziaria che detiene partecipazioni o quote di altre società controllate, sulle quali esercita un’attività direttiva e di gestione del capitale. In questo modo si viene a creare una piramide con al vertice la società madre o capogruppo, e sotto di essa le società controllate. Questo approccio, spie-
ga Scardeoni, può consentire di raggiungere una serie di obiettivi: dalla diversificazione del business all’apertura del capitale a soggetti terzi, dalla tutela del patrimonio aziendale all’ottimizzazione fiscale, fino alla possibilità di pianificazione del passaggio generazionale. Quanto alla protezione del patrimonio, la costituzione di una holding lo mette al riparo dalle aggressioni di eventuali creditori e lo preserva da vicende personali, familiari, successorie e fiscali. Tutto questo con la possibilità – in parallelo – di amministrarlo e gestirlo in modo efficiente.
“Il nostro settore è in continua evoluzione, sotto la spinta dell'innovazione tecnologica e dei cambiamenti normativi.
Per restare competitivi è fondamentale mettersi continuamente in gioco ed essere disposti ad aggiornarsi”
La messa in sicurezza del patrimonio, ricorda ancora l'esperto, è un'esigenza molto sentita perché l'instabilità mondiale dovuta alle numerose guerre, le conseguenze del Covid-19 e la paura che un evento straordinario possa ripetersi fanno sì che gli imprenditori vogliano salvaguardare ciò che hanno creato fino a oggi. Un altro bisogno molto avvertito è individuare forme di riorganizzazione del gruppo societario sfruttando le normative vigenti in tema di operazioni fiscalmente neutre, ovvero non realizzative. “Un compito che richiede una consulenza qualificata, in cui la specializzazione deve coniugarsi con l’esperienza”, sottolinea.
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Queste riflessioni chiamano in causa l’evoluzione che interessa anche le strutture dei professionisti, chiamati da una parte a rispondere a una domanda più complessa e articolata di un tempo, dall’altra a non subire la doppia transizione in atto, ecologica e digitale. “Su questi fronti si gioca una fetta importante della competitività dei professionisti e il nostro studio tiene in grande considerazione questi passaggi.
La sostenibilità non va vista solo come un obbligo, ma anche come un'opportunità di business. Digitalizzazione e intelligenza artificiale portano a un livello consulenziale molto più elevato e professionalizzante”, aggiunge Scardeoni. Che, a proposito del suo studio, sottolinea l’approccio personalizzato, che evolve nel tempo “per affiancare il cliente in ogni fase della vita aziendale, dalla costituzione alla pianificazione fiscale, passando per riorganizzazioni, operazioni straordinarie e passaggi generazionali”.
La qualità della consulenza, aggiunge, è anche frutto dell’aggiornamento continuo da parte dei professionisti. “Il nostro settore è in continua evoluzione, sotto la spinta dell'innovazione tecnologica e dei cambiamenti normativi. Per restare competitivi, è fondamentale mettersi continuamente in gioco ed essere disposti ad aggiornarsi”, conclude. F
Mv Line ha trasformato le zanzariere in un elemento di design. e lo ha fatto partendo da una piccola attività avviata in un garage
DDa una piccola attività avviata in un garage a un gruppo che impiega circa 600 dipendenti. Può essere riassunta così la storia di oltre 30 anni di Mv Line, gruppo attivo nel settore dei sistemi di protezione contro gli insetti e della schermatura solare da interni ed esterni per l’edilizia domestica, che oggi ingloba cinque aziende, tre in Italia e due all’estero. Ciascuna opera in un segmento di mercato circoscritto del suo settore, ma tutte sono “integrate in una filiera produttiva che parte dall’alluminio e dalla sua lavorazione, per poi trasformarsi in un prodotto finito e su misura, che soddisfa una vastissima utenza privata e del settore Ho.Re.Ca attraverso una fitta rete di distributori, rivenditori e installatori”, dice Paolo Montanaro, fondatore della società.
Come vi posizionate sul mercato e cosa vi distingue dai concorrenti?
Siamo tra i principali player nazionali di mercato, ricordando che moltissimi nostri prodotti sono il risultato dell’ascolto dei nostri clienti, partendo proprio dagli installatori. Questo ci ha permesso di costruire con loro relazioni forti e durevoli nel tempo. Inoltre, il nostro claim - ‘Il bello di sentirsi protetti’ - dimostra che il nostro impegno quotidiano è teso a far sì che chiunque entri in contatto con noi, dai clienti agli stakeholder, possa percepire questo sentimento, a cui diamo enorme valore.
Quali sono i progetti e i prodotti di cui siete più orgogliosi? E che ruolo giocano la tecnologia e l'innovazione?
L’innovazione attraverso la ricerca e sviluppo, così come gli investimenti in asset tecnologicamente avanzati, rappresentano il fulcro della mia idea di impresa. Negli anni, per esempio, ho visto nascere zanzariere come la Phantom-Z, la Irene e poi la Bora, best seller internazionali di mercato. Risultato della capacità di immaginare un prodotto che non c’è, per soddisfare una domanda sempre più esigente, per cui la zanzariera smette di essere un elemento intrusivo e scomodo da utilizzare e conquista il ruolo di complemento di arredo indispensabile e armonico in ogni ambiente.
Recentemente avete concluso l'acquisizione della tedesca Heinrich Büscher. Come è stata strutturata?
Oltre all’espansione di mercato nel
territorio tedesco e nordeuropeo, l’operazione permetterà di ampliare la gamma della nostra offerta in Italia con i prodotti di schermatura solare Büscher. Va detto che l’internazionalizzazione della nostra proposta è forte di un’esperienza maturata già da anni in Spagna, dove, attraverso la sede di Valencia, abbiamo avuto la possibilità di costruire una rete di distribuzione e vendita attraverso clienti-partner locali.
Quindi il futuro come sarà?
Vogliamo continuare a crescere, sia in Italia che all’estero. E vogliamo farlo cercando di interpretare al meglio ciò che il mercato richiede, continuando a investire in innovazione e più che mai nelle risorse umane più promettenti. Desideriamo che Mv Line diventi ancora più un punto di riferimento positivo per gli stakeholder e un brand top of mind per i clienti. F
n GOOD STORIES n
Raffaella GoRnati, general manager di f.G. CosmetiCs, ha integrato la cosmesi e il benessere olistico. “È stata la dedizione a trasformare una visione in realtà”, dice
A“All’inizio temevo di non essere all’altezza, pensavo che solo gli uomini potessero guidare un’azienda. Poi ho capito che dovevo avere il coraggio di imboccare la strada che volevo percorrere”. Sono le parole di Raffaella Gornati, general manager di F.G. Cosmetics, società benefit e pmi che ha dato vita al brand di cosmetica professionale Marzia Clinic. Gornati ha definito F.G. Cosmetics un’azienda di donne per le donne. “Il 95% della forza lavoro è donna. Dal marketing alla ricerca e sviluppo, dal confezionamento alla contabilità, fino all’ufficio estero e al controllo qualità, siamo tutte donne”.
È figlia di un imprenditore e fin da piccolissima ha respirato l’aria dell’azienda di famiglia. “Dopo la morte di mio padre mi sono ritrovata da sola a gestire tutto. All’inizio è stato difficilissimo, ma l’amore per mio padre e la passione per il mio lavoro mi hanno spinta ad andare avanti e a creare una cosmesi innovativa e all’avanguardia. Il mio obiettivo è stato costruire un prodotto basato sulla scienza, rafforzato da anni di test empirici e rigorosi. È stata questa dedizione a trasformare una visione in realtà”.
Raffaella Gornati, figlia di un imprenditore, oggi è general manager di F.G. Cosmetics, che definisce un'azienda di donne per le donne.
Laureata in tecniche psicologiche e studiosa di medicine alternative, naturopatia e aromaterapia, ha integrato la cosmesi funzionale e il benessere olistico. Da qui la creazione di una linea cosmetica per le donne in menopausa. “Il progetto ha avuto origine dalla necessità di colmare un gap nel mercato cosmetico. Questa linea ha portato a un miglioramento significativo della qualità della vita delle nostre clienti”. Durante la manifestazione Cosmoprof Bologna 2023, uno dei prodotti della linea è stato selezionato dalla trend agency internazionale Beautystreams per essere parte di CosmoTrends, il report che illustra le principali tendenze di settore. “Inoltre ho lanciato linee di prodotti neurocosmetici. Applicando le neuroscienze alla cosmesi e integrando il concetto di psicodermatologia, i neurocosmetici stimolano la pelle per raggiungere il sistema nervoso attraverso un rituale di bellezza alternativo, che punta alla ricerca del benessere interiore. Ogni passo del mio percorso è stato guidato dalla volontà di fare la differenza e di contribuire alla crescita del settore. Non ho mai smesso di studiare. I miei studi spaziano dalla pelle e annessi cutanei all’intelligenza emotiva, dalla leadership alla cromopuntura e riflessologia viso, passando per le tecniche di Eft. Ho sete di sapere: questa è stata la carta vincente”. F
Per inseguire una società e un’industria 5.0, Toyota Material Handling Italia ha dato vita a nuove soluzioni e introdotto il concetto di bio-imprenditorialità integrale
Da sinistra: Leonardo Salcerini, Stefano Zaccaria e il maestro Salvatore Frega all'Auditorium Giovanni Arvedi di Cremona.
In un contesto caratterizzato dalla complessità e dalla crescente incertezza legate ai temi della società e dell’industria 5.0, siamo costantemente alla ricerca delle migliori formule per trasformare i moderni modelli di business marketing e di organizzazione di vita. Vita che, come ci ricordano Leonardo Salcerini, managing director di Toyota Material Handling Italia, e Stefano Zaccaria, marketing director, “si manifesta ai diversi livelli: personale, di gruppo, familiare, di comunità, territoriale e sociale”.
Come Toyota Material Handling declina i concetti di società 5.0 e di industria 5.0?
(Leonardo Salcerini) Sono i nostri attuali focus, obiettivi e attività primari. Infatti, aiutiamo e supportiamo l’estesa rete delle imprese associate all’ecosistema Toyota Material Handling e tutti gli operatori del mercato nelle trasformazioni evolutive dei modelli di business, progettando
nuove soluzioni logistiche e di mobilità, ingegnerizzando le applicazioni, prototipando le soluzioni ad hoc e forgiandole su misura, in modo efficiente e completamente sostenibile.
Recentemente avete introdotto il concetto di bioimprenditorialità integrale. Cosa significa?
(L.S.) Il concetto di bioimprenditorialità integrale sviluppa una nuova declinazione operativa degli approcci di Toyota Material Handling Italia alle innovative sfide inerenti temi di società 5.0 e industria 5.0, generando vantaggi e valore per la clientela e per tutte le organizzazioni partecipanti alle reti di fornitura.
Avete anche implementato un nuovo modello strategico e tattico di marketing avanzato.
(Stefano Zaccaria) Si tratta di un modello che capitalizza l’impatto del brand Toyota, generando così
valore commerciale e di mercato, efficienza in tutte le aziende appartenenti all’ecosistema, una spinta significativa ai risultati economici e un valore aggiunto differenziale.
Come si intreccia la componente umana e social con il business?
(S.Z.) L’ottimizzazione della vita delle persone e tutto ciò che riguarda il concetto di società 5.0 si intrecciano inevitabilmente con l’efficientamento e l’innovazione aziendale. Necessitiamo, quindi, di un nuovo allenamento all’apprendimento e di un continuo riallineamento imprenditoriale, manageriale, professionale, culturale e valoriale. Solo così possiamo continuare a ricercare e sviluppare soluzioni superiori, semplici, stabili, sinergiche, sicure e sostenibili, capaci di generare produttività e innovazioni vantaggiose per tutti.
La società di iLLuminazioni iGuzzini continua a investire in ricerca e sviLuppo per La reaLizzazione di prodotti ad aLta innovazione tecnoLogica che favoriscono iL risparmio energetico
UUn sistema luminoso, se evoluto e intelligente, riduce l'impatto ambientale e contribuisce a migliorare il benessere delle persone. È partito da qui il cammino di iGuzzini verso la responsabilità nei confronti dell’ambiente e delle person. Già negli anni Ottanta l’azienda marchigiana iniziò a sensibilizzare sull’importanza della luce, e nel 1994 lanciò una campagna contro l’inquinamento luminoso a favore del risparmio energetico, promuovendo piani regolatori nelle città. Gli investimenti in ricerca e sviluppo hanno portato alla realizzazione di soluzioni luminose ad alta innovazione tecnologica per efficienza energetica, durata, tecnologie, materiali e processi industriali. Negli anni iGuzzini ha affinato la progettazione e la produzione in house delle ottiche, la selezione del led, lo sviluppo di sistemi di controllo wired e wireless, la progettazione di sensori capaci di gestire l’accensione e l’intensità luminosa e lo sviluppo di nuovi materiali in grado di garantire un basso impatto ambientale. Da qui sono nate innovazioni come Spacepad, che integra l’intelligenza smart Ort e che, oltre a emettere una luce altamente efficiente, confortevole e automatica, abilita servizi come lo space management per ottimizzare al massimo i consumi energetici. Oppure come Light Shed Linen, primo prodotto di illuminazione professionale realizzato con un materiale bio-based creato in
collaborazione con l’Università di Camerino e il Marlic, il laboratorio per la manifattura sostenibile inaugurato nell'estate 2023.
Sotto la guida del ceo Cristiano Ven-
turini, iGuzzini - come parte del Gruppo Fagerhult - si impegna ad azzerare le emissioni di CO2 entro il 2045, perseguendo obiettivi scientifici approvati dalla Science based target (Sbti), un'iniziativa europea che sostiene l'obiettivo del Green Deal europeo. Nel quartier generale di Recanati, in provincia di Macerata, progettato da Mario Cucinella nel 1997 e considerato il primo esempio di bio-architettura industriale, è operativo un parco fotovoltatico di settemila pannelli, incrementato quest’anno per raggiungere il 52% di autosufficienza energetica. Il resto dell’energia è prodotto da fonti rinnovabili. Tutti passi che hanno consentito a iGuzzini di ottenere la Medaglia d’oro EcoVadis 2024, valutazione internazionale di sostenibilità aziendale basata su ambiente, lavoro e diritti umani, etica e acquisti sostenibili. Un risultato che indica un traguardo importante: la presenza di iGuzzini nel primo 5% delle aziende valutate a livello globale e nel primo 1% di quelle del settore electric lighting equipment industry. F
n GOOD STORIES n
di Luigi Dell’Olio
Polis è la prima coop legale italiana. mette assieme i tradizionali settori penale, civile, lavoristico, amministrativo e tributario e i servizi consulenziali. nata a bari, opera oggi su scala nazionale, ma continua a considerare la puglia il suo territorio di riferimento
LLa prima cooperativa tra avvocati in Italia ha la sede principale a Bari, da dove segue clienti anche in altre zone del Paese. Una scelta che potrebbe fare scuola, considerato che – al pari delle aziende clienti – anche i professionisti si trovano a fare i conti con uno scenario di mercato in costante evoluzione e con crescenti complessità, che richiedono l’intervento di competenze multidisciplinari. “Il motore che ci ha spinti a creare una cooperativa è la volontà di mettere assieme conoscenze ed esperienze diversificate, in modo da poter fornire risposte adeguate a ogni necessità della clientela”, racconta Andrea Di Comite, socio fondatore e managing partner di Polis Avvocati. Il quale, nel corso di questa intervista, riflette sulle nuove sfide della professione e sulle potenzialità del territorio.
La struttura cooperativa è sicuramente atipica nell’ambito della consulenza legale. Come vivete questa particolarità?
L’esperienza fatta fin qui ci rafforza nella nostra decisione iniziale di dar vita a un hub di servizi legali, nel quale i tradizionali settori del contenzioso – penale, civile, lavo-
ristico, amministrativo e tributario – sono stati affiancati da un numero sempre crescente di risorse dedicate ai profili più propriamente consulenziali, che mirano a fornire assistenza continuativa e integrata alle imprese: dalle operazioni straordinarie alla contrattualistica, dalla corporate compliance ai problemi (e alle opportunità) connessi all’internazionalizzazione dei modelli di business.
Come siete strutturati?
La nostra organizzazione si basa su team dedicati, formati da professionisti dotati di competenze specialistiche e - al contempo - aperti al confronto e all’interscambio continuo delle informazioni con i colleghi che hanno differenti specializzazioni. Questo approccio consente di affrontare un problema da prospettive diverse e di trovare soluzioni innovative e in linea con le richieste dei clienti.
Qual è il vostro raggio d’azione?
Lo studio opera in una dimensione nazionale e affianca numerose imprese italiane anche all’estero, ma la Puglia resta il territorio di riferimento, è al centro dei nostri interessi e delle nostre scelte. Anche guardando in prospettiva, intendiamo continuare a coltivare questo legame speciale con la nostra regione, sia dal punto di vista del rapporto sinergico con il sempre più dinamico tessuto produttivo, sia per quanto attiene alla collaborazione con le istituzioni, a partire dall’università.
Quali sono i punti di forza del territorio pugliese?
Senza voler nascondere i problemi e i ritardi, negli ultimi 20 anni la regione ha avuto una crescita –economica, civile, culturale – assolutamente innegabile, affermandosi come la realtà più innovativa del Mezzogiorno e una delle più dinamiche a livello nazionale. Tra i fattori che hanno trainato questa crescita, oltre a quelli tradizionali, ne cito due per tutti: il turismo e la straordinaria filiera dell’agroalimentare. Ci sono oggi settori altamente innovativi e a grande valore aggiunto, dall’aerospaziale alla meccatronica, sino alle energie rinnovabili e ai molteplici comparti della nuova economia circolare. Investire in Puglia è diventato decisamente più attrattivo e crediamo che questo trend, destinato a consolidarsi, avrà sempre più bisogno di professionisti preparati e dotati di una grande conoscenza delle dinamiche del territorio,
con ampie prospettive di crescita anche nel settore dei servizi legali.
Siete la prima coop legale: cosa comporta questa scelta?
Per noi è stata una scelta naturale, diretta conseguenza dell’impostazione orizzontale della nostra organizzazione interna e dell’attitudine a lavorare sempre in team. Conservando l’autonomia tipica della professione forense, il percorso che ci ha portato a diventare la prima società cooperativa tra avvocati in Italia ci ha permesso, per un verso, di strutturarci in maniera più compiuta ed efficiente, grazie all’adozione dei meccanismi decisionali e della governance di impresa, e per un altro di esaltare l’impostazione mutualistica che era già il tratto caratteristico del nostro modo di approcciare il lavoro, rendendolo ancora meno dipendente dai risultati individuali e decisamente più legato a quelli di Polis nel suo complesso.
Quest’anno lo studio compie dieci anni. Avete in programma di celebrare la ricorrenza?
A parte i festeggiamenti interni, abbiamo deciso di attuare un deciso rebranding, utilizzando l’idea del tangram –alla quale siamo molto legati – per richiamare il decennio trascorso dalla nascita di Polis. Entro la fine dell’anno, inoltre, abbiamo in programma di organizzare un importante convegno dedicato alle nuove tecnologie, all’intelligenza artificiale e alle ricadute che avrà in tutti gli aspetti della professione: crediamo sia il modo migliore per iniziare a guardare ai prossimi dieci anni. Un’altra importante iniziativa, che sottolinea in modo concreto il legame con il nostro territorio, è l’installazione nella nostra sede di una tela dell’artista Mattia Botta, in arte Geometric Bang, che fa parte del collettivo Pigment Workroom, laboratorio di stampa artigianale per la produzione di arte urbana partecipativa, nato a Bari nel 2013. F
n GOOD STORIES n
Italmoto è nata negli anni '50 come azienda di motociclette. nel 2011, dopo una lunga inattività, è tornata come marchio di mobilità elettrica e sostenibile. e punta sulle e-bike
DDalle motociclette alle e-bike, garantendo la qualità che ha reso famoso un marchio con più di 70 anni di storia. Italmoto è un brand nato nel 1952 in provincia di Bologna, nel cuore della Motor Valley italiana, la terra che ha dato vita ad alcuni delle aziende automobilistiche e motociclistiche più apprezzate al mondo.
Conosciuta all'inizio per la produzione di motociclette, dalla fine degli anni '50 Italmoto è stata inglobata per un decennio nella divisione motociclistica di Maserati. Nel 2011, dopo oltre 40 anni di inattività, grazie all'iniziativa di un gruppo di imprenditori e designer italiani, il marchio è stato rilanciato per promuovere una mobilità elettrica e sostenibile, ma coerente con la tradizione. Dopo anni di progettazione e ricerca, dal 2020 l’azienda produce e distribuisce e-bike alimentate da un innovativo sistema propulsivo. Una delle più celebri? La Trionfale, e-bike che a prima vista può sembrare una moto degli anni ‘50. Richiama il design della T4 160cc, moto del marchio risalente proprio a quell'epoca, con telaio a culla realizzato in house. È la prima e-bike made in Italy del brand, con sella, ammortizzatori e faro di derivazione motociclistica.
“L’innovazione, per un marchio storico come il nostro, sta nell’abbinare l’heritage che contraddistingue italmoto da oltre 70 anni alla tecnologia all’avanguardia”, ha spiegato Ludovica Negri, marketing manager dell’azienda.
Negri
“Questa tecnologia, da noi, trova la sua espressione in ogni ambito: dalla ricerca di materiali sostenibili all’utilizzo di macchinari intelligenti e robotizzati, ma anche nel continuo impegno in ricerca e sviluppo per trovare nuovi sistemi per aumentare l’efficienza dei nostri prodotti. Il tutto nel pieno rispetto della regolamentazione esg”.
Dal lancio delle e-bike sul mercato, si
sono moltiplicate le richieste che Italmoto riceve da parte di aziende europee. Fra queste, il gruppo Esprinet - proprietario, fra gli altri, del marchio Nilox -, che ha deciso di affidarsi a Italmoto, tuttora suo fornitore, per la realizzazione delle e-bike.
“Acquistare una e-bike Italmoto vuol dire credere nel valore delle aziende italiane e riconoscere l’impegno che ogni giorno dedichiamo alla produzione made in Italy, cercando di garantire ai clienti prodotti di elevata qualità”, ha proseguito Negri. In questi primi anni di rilancio, spiegano dall’azienda, la volontà della proprietà è stata quella di internalizzare le fasi di produzione. Con un investimento di oltre 5 milioni di euro nel biennio 2022-2023, questa realtà campana – la sede è in provincia di Caserta – ha scelto di investire sul territorio, sulle competenze interne e su macchinari d’avanguardia. “La scelta della Campania per i nostri investimenti è stata dettata da due principali motivi: è il territorio d’origine dei soci e abbiamo sempre voluto valorizzare il nostro tessuto industriale, prediligendo fornitori limitrofi”, ha concluso Negri. F
Una fase della realizzazione delle e-bike di Italmoto.
IN“Inclusività e trasversalità sono parole chiave del nostro modo di operare: puntiamo su profili unici, che abbiano storie vere da raccontare”. Così Cristina Lodi, fondatrice di Golden Sabre Agency, agenzia di consulenza strategica con base a Milano specializzata nel management di atleti e celebrità, riassume la sua attività.
Il progetto è nato qualche anno fa da “una grande passione per le pubbliche relazioni e il mondo della moda”. Ha iniziato organizzando sfilate per sponsorizzare brand, negozi di fashion e beauty in Liguria. Si è trasferita a Firenze nel 2002 e ha lavorato nell’ufficio commerciale di Os. Organizzazioni Speciali, azienda del gruppo Giunti. Poi è tornata al “grande amore per il fashion” nella multinazionale Gi Group, agenzia per il lavoro, dove ha creato e lanciato la divisione fashion & luxury, portando all’azienda gruppi come Lvmh, Kering, Shiseido. Nel 2013 ha conosciuto Aldo Montano durante una sfilata e nel 2015 è diventata la sua manager. Da quel momento ha iniziato a seguire sportivi che hanno ottenuto successi alle Olimpiadi di Rio 2016 (Fabio Basile, oro nel judo, Frank Chamizo, bronzo nella lotta libera).
Nel 2017 ha iniziato a curare l’immagine di Ignazio Moser - figlio
di Francesco e anche lui ex ciclista -, che quello stesso anno è entrato al Grande Fratello Vip. Da tutte queste esperienze e dalla collaborazione con Montano, Moser e l'ex calciatore Nicola Ventola è nata nel 2020 Golden Sabre Agency, che si occupa non solo di personaggi dello sport, ma anche di figure dello spettacolo e di microinfluencer.
Tra i talenti nel team di Lodi provenienti dallo sport ci sono anche Manuel Bortuzzo, il nuotatore triestino vittima innocente di una sparatoria, costretto dal 2019 su una sedia a ro-
telle, e Vanessa Villa, ex karateka e creatrice del metodo Fightgently. Ci sono poi personaggi di altri mondi, come Megan Ria e Maddalena Svevi, ballerine della Experience Dance Company, percorso di formazione professionale di Naima Academy, protagoniste di Amici di Maria De Filippi nel 2022 e 2023 e in gara a Pechino Express 2024. E proprio con la Naima Academy di Genova la Golden Sabre Agency ha recentemente chiuso una partnership per gestire l’immagine dei talenti del centro di formazione artistica. Nella squadra dell'agenzia non mancano personaggi televisivi amati - come Katia Pedrotti, Ascanio Pacelli e Serena Garitta - e sport influencer come Elisa Scarlatta.
“Oggi gli utenti vogliono contenuti autentici e originali e non patinati o pubblicitari", dice Lodi. "È una seconda fase in cui, dopo la sbornia iniziale dei primi anni di vita dei social network, il pubblico vuole lasciarsi ispirare da personaggi con competenze reali nel settore di provenienza: donne e uomini che hanno studiato una certa disciplina o un’arte e ne sono esponenti autorevoli”. Ora Cristina, dopo 22 anni, è tornata a vivere a Genova, perché vuole costruire ancora qualcosa per la sua città. “Vorrei creare un tavolo di lavoro con istituzioni, pr, agenzie di eventi, cantanti genovesi e il loro management, per studiare insieme progetti che diano alla città la luce che merita”. F
Re d’Italia Art, società salernitana fondata nel 2013 e presieduta da Marco Giordano, guida i clienti in ogni fase del processo di investimento in opere d’arte. Ha sedi in tutto il mondo, da Londra a New York. “Ogni aspetto della vendita viene curato nei minimi particolari”
Da oltre un decennio valorizza le opere di alcuni dei più importanti artisti italiani, mettendoli in contatto con i maggiori collezionisti e fornendo loro una consulenza anche economica e finanziaria che va oltre la semplice compravendita di opere d’arte. Porsi come trait d’union tra i diversi segmenti di una filiera così complessa e articolata, diventando alleato insostituibile di artisti e collezionisti, è la mission di Re d’Italia Art, società salernitana fondata nel 2013 e da allora presieduta da Marco Giordano. Il brand ha presto sviluppato
Baviera (dove nel maggio 2014 si è tenuta la prima mostra internazionale), Dubai e Parigi. Non solo Re d’Italia Art promuove artisti italiani, ma facilita anche l'accesso a un pubblico globale, offrendo visibilità e opportunità di crescita senza pari. "La nostra missione”, dice Giordano, che è ceo e fondatore, “è diventare il punto di riferimento per la valorizzazione delle opere d’arte attraverso una consulenza personalizzata che abbraccia aspetti economici e finanziari".
Uno degli elementi distintivi di Re d’Italia Art è la sua rete di art dealer,
Dal 2013 Re d’Italia
che anche i meno esperti possano navigare nel mercato dell’arte con sicurezza e successo.
Re d’Italia Art non è solo un'azienda, ma un movimento che nasce dalla passione per l'arte di Giordano, ispirato dall'impatto emotivo di un quadro di Mimmo Rotella. "Una sua opera ha completamente cambiato la mia vita, donandomi un grande impulso affinché anche altre persone potessero sperimentare il potere emotivo dell’arte", racconta. "Ecco perché voglio dare a tutti la possibilità di trascorrere ogni
organizzato innumerevoli iniziative tra mostre ed esposizioni in diversi paesi, partecipando a prestigiose fiere internazionali
una reputazione solida grazie alla sua capacità di connettere efficacemente il talento artistico italiano con il mercato internazionale. Anche se le sue radici sono ben salde in Italia, la vocazione di Re d’Italia Art e il suo raggio d’azione sono ben presto diventate di respiro internazionale, andando così a offrire una platea ben più vasta agli artisti del nostro Paese. Oggi la società ha sedi e ha tenuto esposizioni in tutto il mondo: da Londra a New York, da Miami a Los Angeles, fino a San Paolo del Brasile, Monaco di
composta da più di 80 collaboratori che operano con precisione e competenza per analizzare il portafoglio artistico dei clienti. Questo lavoro permette di tutelare, consolidare e incrementare il valore delle opere, garantendo così ai collezionisti la massima redditività. L’approccio della società non si limita alla valutazione e alla vendita delle opere: Re d’Italia Art offre un servizio di consulenza economicofinanziaria che guida i clienti in ogni fase del processo di investimento artistico. La cura meticolosa di ogni dettaglio assicura
giorno della propria vita con l’opera d’arte che li ha emozionati così come accaduto a me. Siamo convinti che l’arte non può essere separata dalla vita quotidiana perché soddisfa un desiderio espressivo ancestrale degli esseri umani". Attraverso un network internazionale di professionisti, Re d’Italia Art coglie e anticipa i cambiamenti del mercato, dando visibilità agli artisti sui palcoscenici più prestigiosi. "Decodifichiamo i linguaggi dei nostri artisti per condividerne le più intime emozioni. Le loro opere hanno una
forza coloristica e un vissuto che ci svelano piccoli cammei ora giocosi e spensierati, ora tenebrosi e drammatici. Si alternano lampi luminosi con tecniche minuziose a toni più cupi e fortemente espressivi. L’esperienza artistica ha rappresentato e rappresenta tuttora la risposta o quantomeno lo stimolo a risolvere le problematiche che si presentano verso i nuovi impulsi creativi e cambiamenti sociali".
Tra i servizi offerti da Re d’Italia Art non c’è solo la compravendita di opere d’arte in sé – che siano dipinti di arte
antica, quadri, libri di lusso, enciclopedie, sculture e bassorilievi, monete e medaglie – ma anche una consulenza economica e finanziaria (art buying e art investment) e l’allestimento di mostre e fiere internazionali, così come la creazione di aste e cataloghi. Dalla stima preliminare delle opere fino al supporto nella vendita, Re d’Italia Art si pone come il partner ideale per chi intende muoversi nel campo dell’arte. "La vendita delle opere dei nostri artisti e dei nostri clienti viene seguita costantemente attraverso servizi
di consulenza economico-finanziaria, oltre che attraverso vari canali di pubblicazione. Ogni aspetto del processo di vendita viene curato nei minimi particolari, consentendo a ciascun utente, esperto o meno, di acquistare o vendere in assoluta sicurezza", aggiunge Giordano. L’elenco degli artisti seguiti in esclusiva dalla società salernitana è vasto e comprende nomi come Lusi Dì, Antonello Capozzi, Carlito T., Alessandra Greco, Joiaman, Elvio Marchionni, Mattia Montone, Deborah Napolitano e Lucio Oliveri. E ancora: Giovanna Orilia, Paola Ruggiero, Domenico Villano, Nathaly Caldonazzo e Luna Berlusconi. Oltre a questi, il carnet di Re d’Italia
Art comprende anche alcuni tra i nomi più conosciuti dell’arte contemporanea italiana e internazionale, da Alighiero Boetti ad Alberto Burri, da Michele Cascella a Giorgio De Chirico, da Filippo De Pisis a Lucio Fontana, fino a maestri del calibro di Renato Guttuso, Mimmo Palladino, Michelangelo Pistoletto e Giò Pomodoro. Finora sono tanti i clienti che si sono affidati alla società, che dal 2013 a oggi ha organizzato innumerevoli iniziative tra mostre ed esposizioni in diversi paesi, partecipando a prestigiose fiere d'arte internazionale. Re d’Italia
Art dà appuntamento a collezionisti, appassionati e artisti a Red Dot Miami, nell’ambito di Art Basel Miami, dal 4 all’8 dicembre 2024, presentando le novità artistiche oltre a un nuovo catalogo Collezioni Private d’Arte Italiana. Con un track record di oltre 65 iniziative tra mostre ed esposizioni dal 2013 ad oggi, la società continua a essere un punto di riferimento essenziale nel mondo dell’arte.
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Il roadshow nei territori è il progetto che ci dà l’occasione di incontrare direttamente “a casa loro” gli imprenditori per parlare di temi di loro interesse come l’accesso al credito, l’internazionalizzazione, la sostenibilità e l’innovazione. Per parlare di questi argomenti coinvolgiamo gli esperti di settore capaci di spiegare con precisione le nuove tendenze di mercato, gli sviluppi legislativi e le soluzioni più idonee per ogni imprenditore. Per il 2024 e 2025 il nostro tour prevede 10 tappe distribuite su tutto il territorio italiano.
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Forlì - Cesena Maggio
Varese Novembre
A cura di Piera Anna Franini
CARPI È IL CUORE DI UN DISTRETTO CHE CONTRIBUISCE PER IL 6% ALLA PRODUZIONE NAZIONALE DEL SETTORE TESSILE-ABBIGLIAMENTO. LE RADICI RISALGONO AL CINQUECENTO, QUANDO LA ZONA ERA CONOSCIUTA PER I CAPPELLI. IL PROGRESSO, PERÒ, HA TRAVOLTO MOLTI MARCHI STORICI. È SOPRAVVISSUTO SOLO CHI HA SAPUTO CAMBIARE PELLE, ABBANDONANDO IL MERCATO DI MASSA E PUNTANDO SULL’ALTA QUALITÀ
Dici Modena e hai nell’orecchio il rombo dei motori e negli occhi la silhouette delle auto più belle e veloci del mondo, qui forgiate. Ma tanto altro si muove nell’area. Per esempio, c’è un polo produttivo dove il 44% degli addetti manifatturieri è attivo nel tessile-abbigliamento, con picco a Carpi (51%): cuore di un distretto che comprende Cavezzo, Concordia, Novi e San Possidonio e che da solo contribuisce al 6% della produzione complessiva di settore del nostro Paese. Per intenderci, sono queste le terre di Blumarine, di Liu Jo - che ha tra l’altro assorbito Blumarine -, di Twin-Set e di Gaudì, marchi affermati in un mare di piccole e microimprese.
Fra piccoli e grandi, terzisti e aziende di prodotti finiti, in questa capitale della maglieria mondiale si contano 596 realtà di maglieria e confezione, di cui 412 di subfornitura, cui si aggiungono 63 imprese di tessuti a maglia, etichette, stamperie, tintorie, serigrafie. Il tratto distintivo del distretto sta nel ricco sottobosco di contoterzismo, ossatura produttiva che assicura la massima specializzazione e, dunque, qualità. L’ultimo rapporto dell’Osservatorio triennale del Distretto del tessile-abbigliamento di Carpi racconta che il 70% delle imprese finali ha meno di dieci addetti e solo il 5% ne conta più di 50. Proporzioni che si rovesciano alla voce fatturato, poiché le prime contribuiscono al miliardo e 300 milioni di fatturato del distretto con un 7,6%, mentre le grandi aziende con il 76,9%. Si arriva così al nodo della vicenda. Quello di numeri importanti, ma in calo progressivo. Troppe aziende, non avendo le dimensioni sufficienti per raccogliere le sfide del nuovo millennio, si sono sbriciolate, travolte dalla fiumana del progresso che anzitutto reclama sostenibilità e digitalizzazione. Incapaci di imporsi sul mercato, l’hanno subito. Per ricostruire gli antefatti di questo distretto si deve tornare al Cinquecento, quando Carpi già si distingueva per la produzione di cappelli e delle trecce di truciolo a essi destinati. Nel 1637, per dire, l’attività del truciolo era regolamentata e tassata, a dimostrazione del suo rilievo economico. Si venne a creare una comunità di pagliari, di
trecciaiole e di partitane (che distribuivano i mazzetti di paglia), convergenti nelle botteghe dove, partendo dalle trecce finite, si componevano i cappelli. Laboratori che, sull’onda della prima rivoluzione industriale, vennero meccanizzati. In tal senso, la prima fabbrica ad ammodernarsi fu quella di Giuseppe Menotti, il padre di Ciro, l’artefice dei moti risorgimentali divampati a Modena nel 1831. I manufatti carpigiani conquistarono i mercati esteri, con predilezione per l’Inghilterra e la Francia, salpando per l’America degli Anni Ruggenti.
Poi, fra le due guerre mondiali, in Europa il cappello divenne accessorio sempre meno imprenscindibile, crisi acuita in Italia dal protezionismo fascista che stroncò l’imprenditoria vocata all’esportazione, come quella carpigiana. Ma gli imprenditori modenesi non si scoraggiarono e trovarono alternative, riconvertendo abilità e manualità, tuffandosi nella realizzazione di maglie e camicie. Venivano così gettate le basi del Distretto della maglieria e confezione.
Il volume Made in Carpi di Werther Cigarini (edizioni Artestampa) racconta fatti, antefatti, punti di forza e criticità del distretto. La forza sta anzitutto nello straordinario decollo. Primo mattone nel 1951, con 1.350 addetti, lievitati a 5.628 nel 1961, sull’onda di imprese nascenti a getto continuo, alcune fortemente specializzate su un segmento della filiera, dunque contoterziste, altre impegnate a realizzare il prodotto finito attingendo a larghe mani al lavoro a domicilio. Al punto che, se all’inizio il rapporto era di un dipendente interno ogni tre lavoranti esterni, a un certo punto la proporzione fu di uno a dieci. Per questo, osserva Cigarini, fin dalle origini Carpi ebbe l’anima del distretto, “funzionante nella sua forma basica con soli due protagonisti: il commerciante-imprenditore che disegna il modello e lo vende e la lavorante a domicilio che lo produce“.
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Al decollo seguì un lungo volo ad ali spiegate. Nel 1981 gli addetti erano 15mila e già da dieci anni qualche pioniere aveva festeggiato il miliardo. Il caso della signora Maria Nora, passato di mondina, quindi di ambulante, che a un certo punto prese a vendere anche prodotti da lei confenzionati: idea vincente, dunque capitalizzata. Altro miracolo all’italiana fu quello di Renato
Crotti, che in sella alla sua Gilera iniziò a fare la spola tra l’Emilia e Biella per approvvigionarsi dei filati. Anche in questo caso l’idea fu vincente, e dunque messa a reddito. Tempo 20 anni e Crotti diventava uno degli uomini più ricchi d’Italia. Lungimirante, con altri industriali nel 1960 contribuì a fondare l’Istituto tecnico-professionale Vallauri, fucina - ieri come oggi - di tanti operatori di settore.
Intrigante il volto della Carpi anni Sessanta. Lo tratteggia alla perfezione un articolo del 1963 apparso sul Corriere della Sera: “Carpi è una città ricca. Ha in proporzione più automobili di Milano, l’indice di incremento edilizio è il più alto di tutta l’Emilia. Questo è il periodo dell’anno in cui Carpi è piena di buyers, di compratori, provenienti da ogni parte d’Europa. Nel maggior albergo di Carpi la lingua meno parlata è l’italiano; i telefoni sono continuamente occupati da comunicazioni internazionali”. Altro tratto distintivo: la componente femminile, che nelle fabbriche superava quella maschile. Primato che si saldò con il crescendo di stiliste, creatrici di moda e imprese come Anna Molinari, che con il marito, il conte Gianpaolo Tarabini Castellani, fondava Blumarine. Quindi Simona Barbieri, colei che lanciò Twin-Set, poi ceduto a The Carlyle Group. E Daniela Malpighi, fondatrice di Denny Rose. A un certo punto l’esuberanza e la visione dei magliai della prima ora non bastarono più. A scompigliar le carte furono la concorrenza del Levante e il cambio di gusti e stili di vita della clientela. Alla selezione darwiniana sopravvissero quanti seppero cambiar pelle e strategie, anzitutto sostituendo la produzione massificata con quella di manufatti più sofisticati, alzando la qualità. Giù tante saracinesche, fine di un’epoca. Nell’ultimo decennio del secolo scorso è stato perso il 30% delle imprese e il 45% degli occupati, decimate anzitutto le aziende del pronto moda. Al giro di boa del nuovo millennio, naufragava (nel 1999) anche l’azienda di Maria Nora. Stesso discorso per quella di Crotti. In compenso ce l’hanno fatta le aziende pluricomparto, quelle che hanno puntato sulla qualità, con stilisti e comunicazione di classe. Blumarine, per esempio, si lanciò in campagne firmate da maestri della fotografia come Helmut Newton. Oggi Carpi si è posizionata sulla fascia medio-alta (58,3% del fatturato) e alta (12,5%). C’è ancora un 30% circa (28,6) in fascia media, mentre è ormai estinto il low cost (0,6%) F
È un’azienda di subfornitura di eccellenza. Nata nel 1981, è specializzata nella tessitura di maglieria esterna per conto terzi su macchine circolari. Occupa otto dipendenti più tre famigliari: Graziano, Dino e Dario Daviddi, i fondatori.
STAMBECCO
Classe 1964, è una delle storiche aziende di maglieria che operano per conto terzi. Da sempre investe in tecnologia, formazione del personale e ricerca di materiali. Al suo interno ha creato il marchio Laura Benatti, brand di maglieria sensibile alle ultime tendenze.
MARBELLA
È tra le aziende conto terzi più consolidate del distretto carpigiano. Dal 2000 realizza maglie a capo integrale con macchinari Shima. Assicura l’intero ciclo di produzione, che prevede campio-
nario, programmazione, produzione, controllo qualità e consegna diretta al cliente.
AMARYNTH
È nata dall’esperienza di oltre 50 anni nella produzione di maglieria e integra la tradizione di Carpi con le tecniche più innovative. Ha promosso due linee di prodotti: Le Morbide, dalla taglia 46 in su, e una più giovane.
Fondata da Maurizia Gavioli, opera con uno staff che segue la campionatura e la produzione in private label. Va da studio e ideazione del capo alla consegna al cliente. In azienda sono presenti tre generazioni della famiglia: nonna Carla, che aggiusta i modelli creati dalla figlia Maurizia, e suo figlio, che si occupa della parte commerciale. F
A Milano, nello storico Palazzo DuriniCapronidi Taliedo, restaurato nel 2000, trova spazio lo showroom di Edra, l’azienda di arredamento fondata da Valerio e Monica Mazzei. Qui il brand ha di recente presentato un allestimento dedicato alla nuova collezione, pensata sia per gli ambienti interni che per gli esterni
CChi la conosce lo sa: Milano è costellata di luoghi delle meraviglie, cortili e palazzi che racchiudono tesori di inestimabile valore per gli occhi di chi sa cercare, scovare e apprezzare la bellezza che nasce dall’armonia. Tra questi tesori c’è lo showroom permanente di Edra, azienda fondata nel 1987 da Valerio e Monica Mazzei a Perignano, in provincia di Pisa, produttrice di divani e poltrone, ma anche sedie, letti, tavoli, mobili e lampade. Un’eccellenza del made in Italy che ha esposto i suoi prodotti presso istituzioni culturali del calibro del MoMA di New York, del Centre Pompidou di Parigi e del Vitra Design Museum di Weil am Rhein, soltanto per citarne alcune.
Lo showroom, inaugurato nel 2021, sorge all’interno di uno splendido palazzo seicentesco: Palazzo Durini Caproni di Taliedo. Costruito tra il 1646 e il 1648, custodisce un lembo importante della storia della città: a progettarlo fu Francesco Maria Richini, tra gli esponenti più importanti dell’architettura milanese e capomastro del Duomo di Milano dal 1605, al quale si devono gioielli architettonici come il Palazzo di Brera, oggi sede della Pinacoteca di Brera, Palazzo Annoni, Palazzo Archinto, Palazzo Litta e Palazzo Sormani.
Acquistato nel 1925 da Giovanni Caproni, negli anni ‘30 il palazzo venne completamente restaurato da un altro progettista simbolo dell’architettura milanese: Piero Portaluppi, l’uomo che forse più di ogni altro ha tratteggiato il volto architettonico della borghesia della città (progettò capolavori come Villa Necchi Campiglio e Casa Corbellini-Wassermann). Durante la Seconda guerra mondiale, poi, il palazzo fu gravemente danneggiato, per poi essere recuperato sotto la guida dell’architetto Attilio Spaccarelli, accademico di San Luca che si occupò anche della suddivisione degli spazi. Negli anni successivi
“Cercavamo uno spazio capace di comunicare i valori della nostra azienda, che fosse riservato, ma con il dono di saper accogliere”
Una sala dello
di Edra a
di Taliedo. L’edificio è stato costruito nel ‘600, danneggiato durante la Seconda guerra mondiale e poi recuperato.
il piano nobile del palazzo ospitò alcune realtà commerciali, fino a un nuovo restauro nel 2000 e all’ingresso, nel 2021, di Edra.
Oggi il piano nobile del palazzo accoglie gli arredi di Edra in un’ambientazione dove storia e contemporaneità si sposano valorizzandosi l’un l’altra: immersi nelle sale dai soffitti affrescati incorniciate da grandi specchi, i divani e i complementi Edra trovano spazio evocando un concetto di eleganza senza tempo e raffinatissima. “Eravamo alla ricerca di una dimora milanese, di uno spazio che potesse comunicare i valori della nostra azienda. Volevamo un luogo riservato, ma che avesse il dono di saper accogliere. Semplicemente, senza saperlo, eravamo alla ricerca di Palazzo Durini Caproni di Taliedo”, ha commentato Monica, che è anche vicepresidente di Edra.
In occasione del Salone del Mobile di quest’anno, poi, l’azienda ha svelato una
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novità: l’inaugurazione di una nuova ala del palazzo, composta da tre stanze in più, in cui gli arredi dell’azienda convivono con affreschi, stucchi e decorazioni storiche. Inoltre, durante il Fuorisalone, l’azienda ha presentato, nel cortile del palazzo, un allestimento dedicato alla nuova collezione Every Place, pensata sia per gli ambienti interni che per gli esterni. Il tessuto, frutto di un intenso lavoro di ricerca, è stato realizzato con un filato di nuova concezione creato in esclusiva per Edra dal recupero delle bottiglie di plastica (100% Pet), trattato e rigenerato. Unito alle speciali strutture interne dei modelli, costruite in materiale traspirante e antimuffa, il rivestimento è stato progettato per offrire ottime performance anche outdoor: grazie alla capacità di adattarsi ai raggi del sole, alla luce diretta e alla salsedine, è ideale per essere utilizzato a bordo piscina, sulle barche e in tutte le zone umide, con resistenze altissime di durata nel tempo in qualsiasi condizione. Un esempio di come l’innovazione si possa sposare con le linee evergreen dei prodotti di Edra. Sempre in occasione della Milano Design Week, la collezione Every Place ha vestito i modelli On the Rocks, Sherazade e Standard in versione da esterno. Dagli spazi interni del palazzo al cortile, Edra ha tratteggiato un luogo romantico e cristallizzato nel tempo in cui lasciarsi sorprendere dal connubio di storia e modernità. F
In un settore energivoro come quello dell’industria ceramica, il processo di decarbonizzazione rappresenta una sfida dalle notevoli complessità tecniche, soprattutto relative alla sostituzione - completa o parziale - dei combustibili fossili usati nella fase di cottura della ceramica. In questo contesto, l’idrogeno svolge un ruolo chiave per abbattere le emissioni di CO2 associate alla produzione. Da qui è partita Iris Ceramica Group, azienda di riferimento nel design e nello sviluppo di materiali naturali in ceramica
Con un investimento di oltre 50 milioni di euro, Iris Ceramica Group ha dato vita al primo stabilimento produttivo per la decarbonizzazione del settore tramite idrogeno verde.
Situato a Reggio Emilia, l’hub ha prodotto la prima lastra ricavata da energia rinnovabile
di alta gamma, per la creazione della sua H2 Factory, stabilimento produttivo realizzato in partnership con Edison Next a Castellarano, in provincia di Reggio Emilia, che quest’anno ha prodotto la prima lastra ceramica con idrogeno verde, ovvero idrogeno ottenuto utilizzando energia rinnovabile. Si tratta del primo progetto al mondo per la decarbonizzazione dell’industria ceramica tramite idrogeno verde. Lo stabilimento, terminato nel 2023, produce grandi lastre in Ceramica 4D (dove la quarta D di dimensione è la sostenibilità), ovvero ampie superfici in ceramica tecnica a tutta massa, con spessori di 12 e 20 millimetri, pensate soprattutto per l’ar-
redamento di lusso. Un progetto che pone le basi per una profonda trasformazione dei cosiddetti settori hard to abate, ovvero particolarmente difficili da decarbonizzare o riconvertire. Sviluppata con standard progettuali molto innovativi, la H2 Factory ha richiesto un investimento di oltre 50 milioni di euro. L’impiego dell’idrogeno nel processo produttivo prevede infatti accorgimenti speciali, non solo in termini di impiantisticacome il forno ingegnerizzato per essere alimentato con un blend di idrogeno e gas naturale -, ma anche in termini di opere cantieristiche strategiche, come le vasche di raccolta dell’acqua piovana, il sistema di pannelli foto-
voltaici sul tetto dello stabilimento e aree ad hoc di produzione e stoccaggio dell’idrogeno. “Siamo di fronte a una nuova alba per l’industria ceramica e per l’intero settore”, ha commentato Federica Minozzi, ceo di Iris Ceramica Group. “Il principio alla base della nostra fabbrica a idrogeno verde è quello che definisco un nuovo umanesimo industriale, al cui centro c’è la sostenibilità, con tutti i suoi fattori: ambientali, sociali ed economici. La sfida è arrivare a un forte risparmio di CO2 entro i prossimi due anni e fare da apripista al settore ceramico e all’intero distretto, dimostrando che anche un’industria energivora può trasformarsi in un modello virtuoso
La H2 Factory di Castellarano, in provincia di Reggio Emilia. Nell’altra pagina, una lastra ceramica realizzata con idrogeno verde.
di transizione energetica net zero”.
La H2 Factory ha previsto la realizzazione da parte di Edison Next di un impianto di produzione di idrogeno tramite elettrolisi con capacità di 1 MW, alimentato da energia rinnovabile. L’elettrolizzatore userà l’acqua piovana recuperata dalle vasche di raccolta, favorendo così una gestione virtuosa. L’idrogeno sarà utilizzato soprattutto per alimentare il forno, nel quale verrà immessa una miscelazione con il gas naturale fino a una percentuale di circa il 50%, mentre è già allo studio un forno che funzionerà al 100% a idrogeno. La produzione attesa - circa 132 tonnellate di idrogeno verde all’anno - sostituirà circa 500mila metri cubi di gas metano all’anno.
A maggio c’è stato poi un importante passo avanti: è stato avviato l’impianto pilota di produzione H2 ed è partita la fase di test che ha portato, a luglio, alla produzione della prima lastra in ceramica tecnica 4D al mondo attraverso l’impiego di una miscela di idrogeno verde e gas naturale. Per consentire l’avvio di questa prima fase sono state effettuate diverse attività prope-
deutiche: opere civili per la predisposizione dell’area, l’installazione della blending unit, ovvero il sistema che permette la miscelazione del gas naturale con l’idrogeno verde, e la realizzazione di tutti i collegamenti necessari tra i macchinari. Inoltre è stato installato un impianto fotovoltaico di 1,3 MWp di potenza, che va ad aggiungersi ai 2,5 MWp dell’impianto esistente. “La fase di test ci serve per mettere a punto il processo di produzione, mentre la fase successiva ci permetterà di aumentare sempre di più la percentuale di idrogeno verde fino al 50%, con il sistema di produzione che Edison Next sta realizzando su misura per noi”.
Federica Minozzi
L’obiettivo di questa prima fase è approfondire l’uso della tecnologia per la produzione di lastre in ceramica attraverso l’impiego di idrogeno verde e, al contempo, verificare il comportamento del materiale nella fase di cottura. In parallelo alla fase di test, Edison Next avvierà nei prossimi mesi le attività necessarie all’installazione del sistema definitivo, ovvero un impianto di produzione di idrogeno verde tramite elettrolisi, di capacità pari a 1 MW, in grado di produrre circa 132 tonnellate di idrogeno verde all’anno. Infine, il sistema in via di realizzazione da parte di Edison Next è stato pensato per consentire un ulteriore raddoppio della produzione di idrogeno verde, che permetterà di alimentare un nuovo forno al 100% a idrogeno, in fase di studio. “La H2 Factory è un progetto unico e all’avanguardia di valenza mondiale, che apre nuove prospettive alla manifattura hard to abate, dimostrando che si può fare”, ha proseguito Minozzi. “Siamo di fronte a una partnership di grande valore e siamo orgogliosi che questo traguardo sia frutto di un lavoro di squadra di tutta la filiera, un esempio virtuoso di sostenibilità integrata. Auspichiamo che altre aziende possano seguire il nostro percorso, per poter veramente fare sistema e diventare un driver di cambiamento a livello nazionale, ma non solo”. F
Nato 20 anni fa da un’intuizione di Alberto Marengoni, Areadocks è una struttura ricettiva a Brescia dove la buona tavola e il bere di qualità coesistono con il design, lo stile e l’arredamento.
"Abbiamo pensato a un albergo con pochissime camere, ma tantissimi servizi”
Se oggi il mondo dell’hospitality vive di esperienze ibride, condivise, aggreganti e sfaccettate, c’è chi ha saputo sviluppare questi concetti con largo anticipo sui tempi e con grande spirito pioneristico, portando nel cuore di Brescia una struttura in grado di far coesistere con armonia non soltanto la buona tavola e il bere di qualità, ma anche il design, lo stile e l’arredamento. Si tratta di Areadocks, a breve distanza da Milano, dove la proprietà ha saputo ricercare una sintesi tra gusto e relax. Nato 20 anni fa da un’intuizione di Alberto Marengoni, sin dalle origini il complesso di Areadocks è partito con l’idea di creare un ambiente multifunzionale con proposte sinergiche, un insieme di spazi diversi che
si contaminano tra loro portando il visitatore lontano, in una dimensione dove il linguaggio e le esperienze sono in costante evoluzione e il tempo sembra fermarsi. La sensazione di essere fuori dai concetti di routine e quotidianità emerge già dalla location in sé, che ha segnato al storia della riqualificazione urbana di Brescia: ricavato su una superficie di circa cinquemila metri quadri all’interno di un'ex area artigianale di inizio Novecento, Areadocks è oggi una soluzione ideale lungo tutta la giornata, dalla colazione al pranzo fino alla cena, senza dimenticare l’aperitivo, l’after dinner ed eventualmente anche il pernotto in hotel. “Cucina, cocktail, arredamento, stile, aggregazione e intrattenimento”, sottolinea Marengoni, “vengono racchiusi in
uno spazio che offre vari contenitori, il cui comune denominatore sono l'emozione e la sensazione di vivere il più autentico italian style, proiettato però in un'atmosfera di respiro più internazionale”.
Partiamo dal boutique hotel, che regala agli ospiti un'esperienza immersiva senza precedenti: ognuna delle sue 13 camere è un piccolo mondo a sé. Areadocks è uno scrigno di raffinatezze e una culla di relax sofisticato, con un tocco d’arte anche all’interno della sua spa. "Abbiamo pensato a un albergo con pochissime camere ma tantissimi servizi. Ad accompagnare l’offerta ricettiva sono infatti quattro tipi di ristoranti diversi, sei cocktail bar, negozi e diverse forme di intrattenimento ogni sera. Abbiamo inoltre posto grande cura ai
L’attenzione di Areadocks va oltre la gastronomica con un’offerta di servizi, tra relax e intrattenimento, che copre l’intero spazio delle 24 ore. All’interno si può trovare anche un concept store e uno studio di architettura
dettagli, specie sul fronte dell’arredamento: si va da oggetti di design e soluzioni di restauro fino a complementi dal sapore, se vogliamo, vintage. Mi piace però pensare che qui questo termine venga utilizzato con una declinazione più legata alle suggestioni del Regno Unito, o se vogliamo più vicine alla New York di fine secolo”.
Sul fronte prettamente gastronomico, l’ultima conquista all’interno dell’hub di Areadocks è il ristorante Oriental. "Si tratta di un locale di alta cucina tradizionale giapponese che riserva particolare attenzione alla cucina ‘cucinata’, sia col pesce che con la carne, e che privilegia l'altissima qualità della materia prima, sapori e profumi nuovi che intendono unire la tradizione della cucina mediterranea con quella giapponese, ricercando i tanti aspetti in comune tra due retaggi apparentemente lontani”. Varcando la soglia di Oriental si viene accolti da un’antica armatura del Giappone feudale, la cui presenza rimanda al codice del samurai, l’Hagakure. Primo tassello di un concept
che si sposa a un altro topos filosofico della cultura giapponese, quello dell’Iki, che è seduzione ed energia spirituale, una bellezza segreta da scoprire come atto intenzionale. Entrare da Oriental significa infatti scoprire uno spazio nascosto nel cuore di Areadocks isolato, per un’esperienza immersiva nel cibo e nella purezza dei suoi ingredienti. La proposta gastronomica fiorisce intorno a un dialogo di abbinamenti che prende slancio tra le portate signature: i ravioli di picanha, il maialino Kakuni e l’Inaniwa, piatto della tradizione. Nel 2016 ha debuttato invece l’area dedicata alla pizza gourmet, con diverse proposte – tradizionale, in teglia e alla pala con farina integrale – accomunate dall’uso di farine macinate a pietra e dalla grande digeribilità. Da non perdere è inoltre una visita al loft restaurant, un open space eclettico che unisce il dna industriale alla ricercatezza delle gallerie d'arte. Con allestimenti in continua metamorfosi, incarna la filosofia del progetto Areadocks, ossia un punto di rottura con la tradizione. È uno spazio di
design e cucina a vista, dove la preparazione dei piatti diventa uno spettacolo, in cui sala e cucina comunicano in armonia. Ulteriore conferma che in Areadocks gli ospiti possono sperimentare sapori che sposano la cucina mediterranea e giapponese, due tradizioni culinarie provenienti da zone riconosciute per il valore della loro dieta salutare e longeva. All’interno del microcosmo di Areadocks, quindi, tutto è pensato per essere al servizio dell’ospite, tra riposo e intrattenimento. L’attenzione della proprietà non è rivolta soltanto alla parte gastronomica – dove al fine dining e alla mixology fanno da contraltare gelateria e pasticceria – ma a un’offerta di servizi che copre le 24 ore. Nessuna sorpresa, quindi, nel trovare al suo interno anche un concept store, realtà pop-up e persino uno studio di architettura. In fondo, Areadocks ha saputo portare a Brescia una declinazione del tema della multisensorialità che parte dalla tavola e arriva allo spirito, in un connubio di relax e intrattenimento e in un contesto dal fascino internazionale.
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WHAT’S NEW
Ville storiche aperte ai visitatori, dimore che nascondono storie e segreti dei personaggi celebri che le hanno frequentate, residenze prestigiose riportate all’antica bellezza per un soggiorno più che esclusivo. L’isola di Tiberio è uno scrigno di opere architettoniche dal fascino intramontabile, anche quando ne restano solo poche nobili rovine
VILLA BISMARCK
Nata come dimora estiva dell’imperatore Ottaviano Augusto, è oggi tra le residenze più ambite di Capri. Ristrutturata nella seconda metà dell’Ottocento dal pittore ungherese Antal Haan, la Villa ha acquistato il massimo splendore grazie alla contessa Mona Strader von Bismarck. Da sempre punto di riferimento della vita mondana, con eventi dell’alta società e manifestazioni culturali e artistiche, ha ospitato tra gli altri Jacqueline Kennedy e Aristotele Onassis, il principe Filippo d’Assia e Maria Gabriella di Savoia, Gianni Agnelli, Picasso, Modigliani, Hemingway e D’Annunzio. Villa Bismarck affaccia sul lato settentrionale dell’isola, con uno splendido panorama sulla spiaggia Palazzo a Mare, eredità di un passato ancora visibile nei numerosi siti archeologici che circondano la costa. Posizione, ampie vedute e il giardino all’italiana la rendono il luogo ideale per una vacanza o per celebrare un evento speciale. Circondata da 11mila metri quadrati di aree verdi, con un accesso privato al
mare, la residenza ha una superficie di 800 metri quadrati e si sviluppa su tre piani: al primo si trovano cinque camere matrimoniali con bagno, al secondo altre tre, di cui due suite panoramiche che affacciano sul mare, e da una scala interna si accede a un’altra suite (tutte dotate di smart tv, frigobar, cassaforte e aria climatizzata). Il salone da pranzo è molto ampio, con soffitto a cupola di oltre sei metri, e per il dopocena si passa in una grande sala adibita a biblioteca. Nel 2023 la villa ha visto un progetto di ristrutturazione dove si sposano tradizione e innovazione, con la massima cura nella scelta di opere antiche e quadri di valore, arredi, oggetti e libri unici.
A disposizione di chi sceglie di alloggiare a Villa Bismark ci sono una cuoca, un housekeeper, un maggiordomo e un manutentore. Inoltre, è possibile richiedere servizi su misura come il concierge per taxi, trasferimenti, escursioni, prenota-
zioni ristoranti, beach club; un bagnino per piscina/zona mare; massaggiatore, fisioterapista, estetista e coiffeur. Non solo. Sempre su richiesta, sono previste escursioni private in barca con marinaio, servizio tender per yacht privati, guida turistica, servizio di facchinaggio, personal shopper, allestimenti floreali, fotografo e musicisti per eventi privati, scuola di cucina in villa, private chef. Per la sua ampia struttura, disposta su tre livelli, e il verde che la circonda, Villa Bismarck è perfetta per cerimonie, eventi di beneficenza e manifestazioni culturali. Ricche di dipinti e affreschi, le cinque grandi sale ne fanno la location giusta per ospitare mostre, lectiomagistralise premiazioni letterarie. Due le cucine, una raffinata ed elegante per pranzi esclusivi, un’altra grande e moderna, funzionale per eventi affollati. Completa l’offerta la spa con area gym, piscina riscaldata con solarium, bagno turco e zona beauty.
Da tempio greco a villa di delizia romana, da castello angioino a splendida residenza contemporanea di oggi: poche dimore al mondo possono vantare la storia di Villa Castiglione. Un luogo dove passato, natura e bellezza si incontrano per offrire un’esperienza di Capri esclusiva e unica. Sempre pronti a cogliere nella natura il segno del divino, i Greci avevano scelto questo spettacolare picco per costruirvi un tempio. In epoca romana fu la volta dell’imperatore Tiberio, che volle affacciare su questo panorama una delle sue leggendarie 12 dimore. Intorno al X secolo ha cominciato a nascere il castello, con le torrette quadrate che ancora oggi caratterizza-
no la villa, negli ultimi anni esclusivo buen retiro per pochi fortunati intenditori. Là dove cielo e terra sembrano toccarsi, incastonata su una scogliera a 250 metri di altezza sopra la Marina Piccola, la villa è un’oasi di esclusività e riservatezza. I Faraglioni, il borgo, la costa meridionale dell’isola, con il golfo di Napoli all’orizzonte, diventano lo scenario di un’esperienza resa ancora più indimenticabile dal fascino di un passato millenario che incontra il lusso contemporaneo. Gestita dal gruppo Manfredi Hotels (che lascia a ottobre), la villa ad agosto è stata acquistata da Amelia Grimaldi, al vertice dell’omonimo gruppo armatoriale.
VILLA JOVIS
La maestosa villa romana che si affaccia sul mare di Capri, residenza dell’imperatore Tiberio, è un luogo privilegiato dove vivere secoli di storia, affacciati su un panorama unico al mondo. Arroccato su uno strapiombo, il sito si estende sullo sperone roccioso del Monte Tiberio per 7mila metri quadrati. La ‘Villa di Giove’ è una meraviglia dell’architettura, una dimora-fortezza che si staglia a 334 metri sul livello del mare, arrivando a volgere il proprio sguardo dal Golfo di Napoli a quello di Salerno. Ma qual era l’aspetto reale di questa villa lussuosa? Fu la dimora di Tiberio, che a 65 anni decise di trasferirsi lontano da Roma. Nel corso dei secoli gli elementi hanno messo alla prova le mura, che però hanno resistito, mantenendo un buono stato di conservazione.
Oltre alla prediletta Jovis, Tiberio fece costruire 12 residenze e amministrò da Capri il suo regno fino alla morte, nel
37 d.C. L’imperatore portò con sé il personale amministrativo e si assicurò una comunicazione veloce con la terraferma grazie al faro di segnalazione a breve distanza dalla villa a cui - si pensa - fu applicato uno specchio con cui inviare brevi messaggi. La zona che l’imperatore scelse era sopraelevata e godeva di una visuale d’eccezione. Alla fine Villa Jovis si estendeva per 7mila metri quadrati, con aree dedicate alla servitù, alle
terme, agli ospiti e una a uso esclusivo di Tiberio. Sebbene gli scavi che la riportarono all’antico splendore furono condotti nel 1932 dall’archeologo Amedeo Maiuri, la villa fu scoperta nel XVIII secolo, sotto il regno di Carlo di Borbone. L’opera di dissotterramento che seguì durante quell’epoca fu disastrosa, molti manufatti sparirono, rendendo l’attento operato successivo di Maiuri un vero atto di recupero e salvataggio del sito.
“Voglio che la mia casa sia aperta al sole, al vento e alla voce del mare, come un tempio greco, e luce, luce, luce ovunque!”. Niente più delle parole del medico (il preferito dalla regina Vittoria di Svezia) e scrittore svedese Axel Munthe (1857–1949) descrive il fascino della villa, circondata da un imponente giardino, premiato come parco privato più bello d’Italia, con vista sul monte Barbarossa, che Munthe trasformò in un santuario per gli uccelli migratori. Prima di varcare la soglia di questa dimora, d’obbligo la lettura della biografia fittizia di Axel The Story of San Michele (1929), uno dei primi best seller internazionali in epoca moderna. Il racconto che allora incantò lettori di tutto il mondo rivi-
ve a Villa San Michele, nelle sue stanze, nel giardino e nella leggendaria Sfinge egizia di 3.200 anni, che osserva il mare dalla balaustra. Villa San Michele ospita un’importante collezione d’arte, la maggior parte di origine romana, etrusca o egizia. Molte sono sculture scelte dallo stesso Munthe per la loro bellezza e il significato simbolico.
VILLA LYSIS
Dopo una piacevole passeggiata verso Monte Tiberio, ecco uno dei gioielli più nascosti. Costruita nel 1904 da Jacques d’Adelswärd Fersen, un nobile parigino che scelse l’isola per il suo esilio volontario dopo una lunga serie di scandali, è elegante, eccentrica, lussuosa, riservata, sfarzosa. Soprattutto, era un intimo rifugio dove vivere felicemente la sua storia d’amore con un giovane amico. Nel tempo la villa divenne poi il ritrovo di artisti, intellettuali, poeti, scrittori che arrivavano a Capri agli inizi del Novecento e che hanno saputo descrivere ed esaltare il suo mito. Visitare Villa Lysis vuole dire andare alla scoperta dei suoi segreti e delle sue meraviglie. Saloni, stucchi, decorazioni, arredi, marmi pregiati, non c’è un dettaglio che non abbia una chiara ispirazione: dallo stile Luigi XVI alla teatralità neoclassica, dall‘imponenza greca alle sinuose forme dell‘art nouveau, dalle dorature della Secessione viennese alle contaminazioni orientali. Il risultato è una ma-
gione straordinaria arroccata su uno sperone a picco sul mare, con l’indicibile panorama sulla baia di Marina Grande e sul Golfo di Napoli. Simbolo di Villa Lysis è l’imponente scalinata che culmina nel peristilio con colonne ioniche su cui domina l’iscrizione
‘Amori et Dolori Sacrum’, voluta dallo stesso Fersen, in cui è racchiusa l’essenza della sua vita. D’estate la villa diventa palcoscenico di concerti, mostre, rappresentazioni teatrali, lettura di poesie ed eventi privati come matrimoni e cene di gala.
CASA MALAPARTE
Difficile da raggiungere e purtroppo chiusa al pubblico, la casa di Curzio Malaparte è uno dei luoghi più affascinanti e misteriosi di Capri. Molto amata dai più famosi brand di moda e frequentata da artisti, registi, divi e scrittori, quella che Chatwin descrisse come “una nave omerica finita a secco” resta un esempio luminoso di architettura moderna. Eclettica e molto discussa come lo scrittore cui deve il nome, vista dall’alto la Casa è un parallelepipedo color rosso pompeiano che emerge dalla roccia aspra di Punta Massullo, puntellata dal
verde degli alberi, più in basso della passeggiata del Pizzolungo. Sotto c’è soltanto il mare che cambia gradazione di blu. Il fascino di Villa Malaparte colpì anche il regista Jean-Luc Godard che girò la seconda parte del suo film Il disprezzo - tratto da un romanzo di Moravia - interamente tra le pareti della villa, con una bellissima e giovanissima Brigitte Bardot che si aggirava tra le stanze della casa o prendeva il sole sulla terrazza a strapiombo sul mare. Oggi la villa è abitata dagli eredi di Malaparte. Resta una vera meraviglia da ammirare dalla barca o lungo la Passeggiata del Pizzolungo, una delle più affascinanti di Capri.
Ha collaborato Alessia Bellan
di Penelope Vaglini
Qualche anno fa Giada Filippetti Della Rocca ha co-fondato Elite Villas, realtà di property management che offre a turisti premium alloggi esclusivi ed esperienze personalizzate. Per scalare il business oltreoceano la startup sta lavorando all’apertura di una sede a Miami
Il 2024 è un anno di cambiamenti per Giada Filippetti Della Rocca. Prima l’acquisizione del 100% delle quote della società di Elite Villas, fondata qualche anno fa insieme a un socio e oggi impresa al femminile. Poi l’ingresso di un fondo di investimento che, insieme all’imprenditrice, supporterà l’espansione italiana e internazionale del brand, per conquistare i maggiori mercati del turismo di lusso offrendo il savoir-faire dell’ospitalità italiana. La società di property management è diventata in poco tempo un punto di riferimento per imprenditori, famiglie reali, vip e persone con alta possibilità di spesa, grazie all’offerta di soluzioni per chi cerca tutti i comfort di una casa anche in vacanza, uniti a esperienze esclusive e personalizzate.
Grazie alla gestione diretta degli immobili, accompagnata da servizi di concierge di alto profilo come chef privati, escursioni, noleggio di yacht e mezzi di trasporto di lusso – tutti gestibili da un’unica piattaforma –, Elite Villas sta cambiando il concetto di luxury travel, sia per chi si occupa di organizzare i viaggi per clientela di fascia super premium, sia per i proprietari degli immobili che fanno parte del circuito dell’azienda. Selezionate e ispezionate dai collaboratori, le dimore affiliate a Elite Villas sono conformi a requisiti che ne garantiscono la qualità in ogni dettaglio: devono essere finemente ristrutturate, avere viste panoramiche, posizioni di prestigio e architetture straordinarie.
Con questo approccio, l’obiettivo di Giada Filippetti Della Rocca è sempre stato “scalare la società per acquisire un ruolo di rilievo sul mercato italiano ed espandersi anche a livello internazionale. Siamo leader a Capri e puntiamo a diventarlo anche negli altri luoghi di villeggiatura italiani, mentre conquistiamo terreno
anche a livello europeo e oltreoceano”, racconta l’imprenditrice. “Ho sempre avuto una visione molto grande per questo progetto, con piani di investimento importanti sia dal punto di vista tecnologico, per dare sempre più funzionalità alla nostra piattaforma proprietaria, sia a livello esperienziale, per coinvolgere un turismo di nicchia interessato a scoprire le nostre destinazioni in maniera autentica, toccando con mano la tradizione, grazie a esperienze personalizzate in ogni minimo dettaglio”.
Per scalare il business, Filippetti Della Rocca può contare sul supporto di Zeta Holding, fondata dall’imprenditore Francesco Zaccariello, che segue da anni il progetto di Elite Villas ed è una sorta di mentore per l’imprenditrice. “Quando ho deciso di acquisire interamente la società ci siamo sentiti. Volevo il suo parere e invece si è proposto come investitore per dare un’accelera-
zione all’impresa e raggiungere in modo capillare tutte le aree dove è possibile scalare il business. Inoltre la sua conoscenza nel campo digitale è cruciale per lo sviluppo tecnologico di Elite Villas, che sta seguendo personalmente. Non è solo un partner di capitale, ma anche strategico”. Nei piani a breve termine ci sono la creazione di un advisory board, con importanti figure professionali provenienti dal settore del turismo e da startup innovative, e l’applicazione di un modello di gestione delle risorse umane più internazionale.
“Abbiamo iniziato ad avviare piani di stock-option per le persone che lavorano con noi da più tempo. L’organico è composto al 95% da donne under 30. La maggior parte dei dipendenti lavorava al Nord Italia o all’estero ed è rientrata a Napoli con un’opportunità lavorativa che considera pari o superiore a quella che aveva. Un’inversione di rotta, se si pensa che spesso avviene il contrario, con giovani costretti a lasciare il Sud in cerca di opportunità più stimolanti. L’obiettivo di Elite Villas è creare un ambiente lavorativo dove tutti i collaboratori si sentano al pari dei loro coetanei che lavorano in altri luoghi, con posizioni e opportunità commisurate alle loro competenze ed esperienze professionali”.
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Oltre alla gestione delle risorse umane, Elite Villas guarda anche a due nuove destinazioni, il Lago di Como e la Toscana, dove quest’anno ha organizzato “esperienze come le masterclass di focacce con l’Antico Vinaio e lo sviluppo del destination management anche per clienti che non soggiornano nelle nostre ville, ma arrivano da yacht e hotel di lusso”, aggiunge Filippetti Della Rocca. “Nel frattempo stiamo lavorando all’apertura di una sede a Miami, con un team dedicato a programmare le esperienze in Italia per i clienti americani, sempre più interessati a vivere esperienze autentiche nel nostro Paese. Infine, il prossimo anno puntiamo ad aprire nuove location tra Sardegna, Sicilia, Puglia e Liguria, per rafforzare la nostra presenza anche sul territorio italiano”.
In un mercato del turismo altalenante, che oggi si basa sempre di più sul last minute e subisce importanti oscillazioni di prezzi, le sfide per una società di property management sono sempre più impegnative. Le chiavi che hanno permesso a Elite Villas di essere leader a Capri e di guardare concretamente all’espansione in Italia e all’estero sono la coerenza e la capacità di offrire un turismo esperienziale di alto livello, regalando soggiorni autentici e indimenticabili. F
di Piera Anna Franini
Grazie al lavoro svolto negli ultimi anni da Nicola Sani, l’Accademia Chigiana di Siena è tornata a competere con il meglio delle istituzioni estive di alto perfezionamento.
In cattedra le eccellenze di diverse discipline. Trenta i corsi per oltre 500 studenti
Corsi e ricorsi della storia.
CL’Accademia Musicale Chigiana di Siena, frutto della magnanimità del conte Guido
Chigi Saracini, che la lanciò nel 1932 a casa sua, è stata la Harvard della musica. I suoi master estivi hanno attratto talenti affamati, poi diventati celebri artisti. Giusto un esempio: Berenboim, Abbado e Mehta, il gotha della direzione d’orchestra, un’estate furono compagni di banco. Il catalogo alumni continua: Pollini, Chailly, Giulini, Accardo, Salonen, Kirill Petrenko.
Ai decenni d’oro sono seguiti anni di fiacca, fino al rilancio a opera di Nicola Sani, che dal 2015 è direttore artistico della Fondazione Accademia Chigiana. Si è ripartiti dal cuore e dal cervello di qualsiasi scuola: i docenti. In cattedra sono tornate le eccellenze di diverse discipline: Gallois per il flauto e Mingardo per il canto barocco, Carbonare per il clarinetto e Tabea Zimmermann per la viola. Trenta i corsi per oltre 500 studenti. Altra svolta: attorno ai corsi di alta formazione è fiorito un festival che, dalla città, si dirama nelle terre toscane.
La Chigiana del passato ha prosperato grazie al mecenatismo dell’uomo cui è intitolata. Al contempo è intervenuta la banca più antica del mondo, Monte dei Paschi di Siena, le cui vicende e difficoltà sono però ben note. L’accademia ha attraversato anni di crisi finanziaria, tutt’uno con quelli della banca, ormai incapace di assicurare il lauto assegno da 6,5 milioni di euro l’anno, ora sceso a 1 milione. È stato così messo in campo un modello di sviluppo sostenibile basato su mecenatismo, filantropia, collaborazioni con enti e aziende, royalties, contribuzioni statali e regionali, introiti da botteghino, in perfetto equilibrio tra sostegno pubblico (52%) e privato. “Nella nostra accademia, amministrazione - con Angelo Armiento come direttore - e
Una lezione del direttore d’orchestra Daniele Gatti all’Accademia Chigiana. Nell’altra pagina, in alto il Concerto per l’Italia della Filarmonica della Scala in piazza del Campo, sotto gli allievi del corso di contrabbasso.
direzione artistica sono un tutt’uno”, dice Sani. “Con il nostro presidente, Carlo Rossi, abbiamo trasformato quel blocco inamovibile in un ente dinamico. Siamo tutti e tre impegnati nella ricerca di fondi e di strategie per allargare la famiglia dei sostenitori. Tramite Confindustria Toscana Sud abbiamo coinvolto imprese, enti come il Consorzio del Chianti Classico e diversi comuni”.
La Chigiana è tornata a competere con il meglio delle istituzioni estive di alto perfezionamento, con le scuole americane di Aspen e della Tanglewood e con i festival e accademie di Verbier e Lucerna. Certo, al di là dell’Atlantico ci si abbevera con ben altre fonti: la Summer Academy di Siena ha un bilancio di 4,5 milioni di euro, di là si viaggia sopra i 40 milioni. In Svizzera si va dai 13 milioni di Verbier ai 20 di Lucerna. Quindi? “Bisogna aguzzare l’ingegno”, aggiunge Sani, che ha smantellato il vecchio organigramma monocratico a favore di un sistema pluralista, fatto di profili aggiornati e operazioni connes-
se, nel nome di una Chigiana che forma e allo stesso tempo produce. E co-produce, con enti nazionali e stranieri, così da abbattere costi, ma capitalizzare diverse conoscenze e competenze. Un esempio?
Don Pasquale, l’opera gioiello di Donizetti, in scena quest’estate, è stato realizzato dalla Chigiana OperaLab, con la guida di Daniele Gatti - prossimo alla conduzione stabile della Scala - e Luciano Acocella. Hanno partecipato gli artisti dell’Accademia del Maggio Musicale Fiorentino, la Verona Accademia per l’Opera Italiana, l’Accademia di Brera per la scenografia e quella della Scala per le luci. Per altri eventi, sono intervenuti il Mozarteum di Salisburgo e il Royal College di Londra.
Sono raddoppiati i corsi. A quelli tradizionali - pilastri irrinunciabili, poiché nella musica d’arte si lavora con strumenti secolari - sono stati affiancati altri di ultima generazione, come composizione, esecuzione e interpretazione della musica elettronica e live electronics, anche in collaborazione con il Centro di Sonologia Computazionale dell’Università di Padova. Sono stati introdotti i corsi d’improvvisazione, di percussioni, di jazz. “Tutto questo ha dato alla Chigiana la potenza delle strutture di produzione”, sottolinea ancora Sani. Per cui il 90% di quel che ascoltano gli spettatori del festival - l’anno scorso 40mila - è fatto in casa.
Nel bel mezzo dell’estate anche in Italia è arrivato il ciclone Taylor Swift, il cui successo viene continuamente analizzato. Sarà pure la ragazza
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della porta accanto, senza la voce e il carisma di una Amy Winehouse e il sex appeal di Beyoncé, eppure muove milioni di persone e crea giri d’affari enormi per sé e per i luoghi in cui approda. Quando a Siena si inscenano spettacoli articolati, con artisti di alta gamma, ma si attirano al massimo poche migliaia di persone, non nasce un po’ di frustrazione? “Per niente”, interviene Sani. “Si sa che la qualità non sempre va di pari passo con il successo. Cerchiamo di portare avanti i nostri progetti con determinazione, desiderosi di offrire proposte con il più alto livello qualitativo possibile. Non siamo Taylor Swift, ma riusciamo a raggiungere quasi 50mila utenti. Il Concerto per l’Italia, in mondovisione da Piazza del Campo con la Filarmonica della Scala, ci ha proiettato a un livello internazionale”. F
Grazie all’accordo con OpenAI, la società di robot Figure, nata a South Bay, vale 2,6 miliardi di dollari, per la gioia dei primi fi nanziatori: Jeff Bezos, Nvidia, Micro soft, Intel. Il nuovo robot uma noide Figure 02 mostra grandi capacità utili ad affiancare gli umani nel lavoro, e in particolare forti doti intuitive. Lo compongono, oltre alle reti neurali dell’intelligenza artificiale, microfoni che ascoltano quello che viene richiesto e altoparlanti per dialogare
Ci saranno benessere, prevenzione e salute nel bouquet promesso dall’intelligenza artificiale applicata ai prodotti indossabili. E Samsung, che tra i primi ha investito nello sviluppo delle app con la sua Galaxy AI, presenta una famiglia di nuovi prodotti. L’anello che fa da controllo di varie funzioni è l’atteso Ring, non disponibile per ora in Italia, con una finitura in titanio di grado 5, resistenza all’acqua di 10 Atm e autonomia di una settimana. I dati consultabili in ogni momento sono integrati in Samsung Health. Nel nuovo Galaxy Watch 7, interessante la funzione ‘Composizione corporea’ per ricevere un’istantanea completa della propria forma fisica. Mentre il Galaxy Watch Ultra ha funzioni ‘Multisport’ e assegna un ruolo importante al ciclismo: integra la funzione ‘Potenza di soglia funzionale’ (Ftp) che, grazie alla gestione con IA, sblocca il potenziale dell’atleta. FORBES
con le persone. La comprensione degli ordini sul posto di lavoro è fondamentale per questi umanoidi, che hanno silhouette umane ma sono masse ferrose e, a volte, pericolose. Il salto di qualità nel miglioramento della comprensione è stato possibile anche grazie ad Agility, che ha migliorato di molto le interfacce. Avviata una collaborazione con il gruppo Bmw, mentre dall’azienda promettono “un prossimo impiego di Figure 02 in ambito domestico”.
Lo smartphone Pixel 9 di Google aggiunge novità rispetto alle precedenti edizioni. La più rilevante è l’integrazione dell’intelligenza artificiale Gemini, all’interno dello stesso hardware. Nel comparto fotografico si nascondono funzioni originali: ‘Aggiungimi’ permette di aggiungere qualcuno in una foto di gruppo, anche se il soggetto era assente durante lo scatto. Il Magic Editor consente di reimmaginare una scena. Non solo modificando le luci, ma prendendo una porzione dell’immagine e, con un semplice prompt, sviluppando varie soluzioni creative. Con la nuova app Pixel Screenshot si possono salvare screenshot da gestire con l’intelligenza artificiale per comporre video o presentazioni, grazie a Gemini Nano. Facilitato il backup dei dati per trasferimento nel nuovo device.
di Serena Cappelletti
Fare sport su quattro ruote si può. Per primi lo hanno capito in California, all’edizione 2024 della Monterey Car Week, dove è stata presentata in anteprima mondiale la nuova Maserati Gt2 Stradale. Supercar da vita quotidiana ma dall’anima profondamente sportiva, fusione ideale tra la Gt2 e la Mc20, cioè performance ai massimi livelli concentrata nell’inconfondibile stile elegante di Maserati. Con 640 cv (dieci in più della Mc20), la Gt2 Stradale, alleggerita di 60 kg, arriva a una velocità massima di 320 km/h e impiega appena 2,8 secondi per raggiungere i 100 km/h.
La compatta che piace all’uomo (e alla donna) che piace si rinnova. Perché per continuare a piacere l’evoluzione è imprescindibile. E così l’Audi Rs 3 Sportback e Sedan, già iconizzata con il suo motore 2.5 Tfsi dotato di 400 cv e 500 Nm di coppia massima, diventa una bomboniera sportiva e ipertecnologica, grazie a tante novità in materia di elettronica. Dal sistema Rs torque splitter al controllo di trazione, fino alle sospensioni a regolazione adattiva Dcc. Un pacchetto che vale cinque secondi in meno sul giro al Ring. Per il resto, design più muscolare, luci sempre più raffinate e anima sportiva al retrotreno, tra paraurti ed estrattore. A novembre in concessionaria.
Un nome, una garanzia: Lamborghini Temerario, erede ibrida della Huracán, lanciata in anteprima mondiale alla Monterey Car Week in California, è il secondo nuovo modello elettrificato della casa, dopo la Revuelto. Un concentrato di design (telaio in alluminio) potenza e tecnologia che abbina un V8 biturbo a tre motori elettrici, per un totale di 920 cv come potenza di sistema, per 340 km/h di velocità massima e solo 2,7 secondi per il passaggio 0-100 km/h. Esattamente come il sound che, a seconda della modalità di guida (città, strada, sport o corsa) varia seguendo la regolazione di silenziatore e valvola di scarico per migliorare il comfort acustico.
di Valentina Lonati
Una collezione di tavolini in cui luce e colore si fondono in un dialogo materico: parliamo della serie di tavolini Lokum, firmata dalla designer olandese Sabine Marcelis per Acerbis. Una linea di elementi monolitici e poetici che incarna l’eleganza delle forme pure. Realizzata in vetro soffiato, grazie alle superfici riflettenti e alle sfumature cromatiche cangianti regala giochi di luci e ombre sempre nuovi. I tavolini sono disponibili nella versione rettangolare e quadrata in diverse nuance, ambra e fumé.
Quasi un’opera d’arte contemporanea che arreda con creatività gli spazi: la poltrona Brygge di Gianfranco Ferré Home risponde al desiderio di riposo con una seduta soffice e scultorea. Le sue linee richiamano le dita di una mano, pronta ad accogliere e a cullare. La struttura tubolare è realizzata in ferro a sezione quadrata, mentre l’imbottitura è in poliuretano espanso ad alta densità. Il rivestimento, disponibile in varie tonalità, è invece in morbido velluto.
Ideata dal designer giapponese Nao Tamura per Porro, Origata è una consolle pensata per offrire dinamicità agli spazi d’attesa, in ingresso o nella zona notte, nei contesti domestici così come nell’hospitality. Ispirata alla realizzazione dei kimono, in cui il tessuto piatto e rettangolare viene tagliato secondo linee rette e poi cucito in modo da evitare scarti, questa consolle è stata creata da un foglio di alluminio tagliato e assemblato con viti, massimizzando così l’utilizzo del materiale.
Al di là degli exploit di Virgilio Martinez con il Central di Lima, la cucina sudamericana spopola da tempo anche in Europa, presentandosi come una delle realtà più vivaci e permeabili alle contaminazioni cultural-gastronomiche. Ne sono esempi ristoranti di fine dining che vanno dal piemontese Azotea (Torino) al ligure Taskita (Alassio), dal toscano Sevi (Firenze) al campano Meso (Salerno), che negli ultimi tempi hanno sperimentato connubi all’insegna della cucina Nikkei, che mette insieme la delicatezza e il rigore del Giappone con la creatività e i sapori decisi dell’America Latina.
Se la quasi totalità dei ristoranti professa grande attenzione alla stagionalità, ecco che l’autunno porta con sé, anche sulle tavole del fine dining, materie prime caratteristiche del periodo. Tra queste spicca il fico, coltivato in oltre 600 varietà in tutta Italia: dal dottato al brogiotto, dal
salentino al cilentano, non è presente solo nella pasticceria, ma anche in piatti salati, come il paté di fegato, arachidi e fichi dello chef campano Francesco Nunziata o la trota con mandorla, alloro e fichi di Emilio Di Cristo, al timone del ristorante romano di Niko Romito.
Sta vivendo una seconda giovinezza il vermouth , vino fortificato nato nel 1786 a Torino da un’intuizione di Antonio Benedetto Carpano, che si è poi diffuso in una serie di nicchie nel resto d’Italia. Nonostante il proliferare di etichette di gin degli ultimi anni, sta incontrando infatti il favore di un numero sempre maggiore di consumatori di diverse fasce di età. Proprio al vermouth è stato dedicato un salone ad hoc – prima a Torino, poi a Firenze e Bologna –, a riprova dell’interesse verso un prodotto usato sia in miscelazione (è uno dei tre ingredienti del Negroni, il cocktail più bevuto al mondo), sia in purezza.
Pensato come una casa giapponese, elegante e accogliente, Nobuya ha da poco aperto in via San Nicolao, a due passi da Cadorna. Nascosto all’interno di un grande portone della vecchia Milano, il progetto dello chef Niimori Nobuya, insieme con l’imprenditore della ristorazione Andrea Lin, era molto atteso. Ed è subito un successo, spesso sold out. Il segreto? Cura sartoriale nella scelta degli ingredienti e un menu che varia in base alla disponibilità del mercato. Classe 1973, nato a Tokyo ma in Italia da 20 anni, Nobuya ha esordito da Nobu Milano e poi a Sushi B in Brera. Alla costante ricerca di un equilibrio perfetto, la parola d’ordine è armonia, come nell’arte dello shodo, la calligrafia a pennello e china di cui lo chef è maestro. Le tonalità tenui, i simbolismi giapponesi, gli arredi e il design: tutto è la perfetta estensione di una cucina senza fronzoli (e a vista) che si rinnova in continuazione. La lavorazione è ridotta al minimo, ma la tecnica è superba, che si tratti di sashimi o tataki, tempura o griglia giapponese. Due i menu degustazione, signature o a base di ortaggi. Nella cantina 700 etichette tra Italia, Francia e Giappone, oltre a 60 tipologie di saké pregiati, per abbinamenti ad hoc.
Torna il Festival Internazionale del Documentario Visioni dal Mondo, il palcoscenico dedicato al cinema del reale, in scena dal 12 al 15 settembre in tre luoghi simbolo di cultura: Teatro Litta, Museo della Scienza e Cineteca Arlecchino. Ideata e diretta da Francesco Bizzarri, con la direzione artistica di Maurizio Nichetti, la kermesse promuove il genere come forma d’espressione libera per narrare il mondo in
tutte le sue sfaccettature. Il filo conduttore dell’edizione è ‘Non c’è più tempo’. Un invito ad agire e riflettere, un richiamo all’impegno attraverso 38 proiezioni italiane e internazionali in anteprima. Passeranno sullo schermo temi di attualità, dalla lotta contro la corruzione nell’industria alle catastrofi ambientali, dalla nascita del movimento #MeToo in Grecia alle dinamiche del sistema giudiziario statunitense, oltre a racconti
originali di personaggi che hanno lasciato il segno, come il divo Max Linder o il fotografo Giovanni Gastel. Punto di riferimento per registi, produttori e appassionati, con il regista Mario Martone come guest of honor, Visioni dal Mondo offre uno sguardo profondo e stimolante sulla realtà. Le anteprime si si possono seguire sulla piattaforma streaming MYmovies e sul sito ufficiale del Festival, visionidalmondo.it
Punto di ritrovo del buon bere in una location d’eccezione, quella di Portrait Milano, 10_11 è il bar con giardino della piazza del Quadrilatero, in un contesto unico: l’ex Seminario arcivescovile di Milano. Dal primo caffè della giornata al drink dopo il tramonto, le proposte di 10_11 sono all’insegna dei signature cocktail e dell’italianità. Tutto ruota attorno ai due banconi, dove si servono i cocktail freschi come lo Spritz del sottobosco, con note intense di fragola e lampone, il Solero, dolce ed esotico con distillato di agave siciliana, e il Vitalenta, sofisticato ed effervescente con Brockman’s gin e note di mirtillo, menta fresca e pompelmo. Dedicati a Milano l’inedito Nona Buca, che ricorda il drink nato nei Golf Club, con bitter Fusetti e aranciata Sanpellegrino, e il Negroni sbagliato con bitter Campari, vermouth rosso e spumante Brut, in omaggio al cocktail anni ‘60. Ad accompagnarli, piatti ispirati della tradizione, dai mondeghili con maionese allo zafferano al panino al latte con maialino croccante glassato. Dopo cena, poi, appuntamento fisso per la spaghettata di mezzanotte.
di Mara Cella
Il Rocco Forte Hotels di via del Babuino è un locus amoenus di Roma e svela un’esperienza culinaria su misura. Con Secret Garden Table l’Hotel de Russie mostra un angolo segreto del proprio giardino dove è possibile degustare una cena disegnata dallo chef Fulvio Pierangelini all’interno dell’oasi verde che Jean Cocteau definì un ‘paradiso terrestre’ nel cuore di Roma. Avvolti dalla scenografia di fiori, alberi, grotte e ninfei del giardino storico monumentale, progetto dell’architetto Valadier nel XIX secolo, gli ospiti possono celebrare una serata romantica o un momento speciale in compagnia. Un’esperienza immersiva fra natura, arte e alta ospitalità.
La chiamano la city di Roma per la sua identità business, ma è anche un grande polmone verde, sempre più il cuore di iniziative sportive e intrattenimento. Un esempio perfetto è l’esperienza di This is Wonderland, in programma fino al 30 settembre all’Eur: un percorso fra tecnologia, light art, natura e sogno. Ci si immerge nel Paese dei Balocchi tra colorate installazioni luminose, performance live e un incredibile burattino IA di Pinocchio - realizzato grazie a Humans.tech con il supporto di Pi School - che interagisce in modo naturale con il pubblico. Una passeggiata in una fiaba fra gli alberi, giochi d’acqua, luci e e personaggi incantati - per grandi e piccoli - per sognare e imparare dai propri errori e capire che, attraverso passi sbagliati, si può trovare la giusta via.
Un’idea per combattere la saudade dell’estate: concedersi un pranzo, un aperitivo o una cena romantica alla nuova Terrazza Hassler fra le proposte dell’executive chef Marcello Romano, che da oltre 20 anni firma la proposta gastronomica dell’hotel. Alla base della sua filosofia di cucina ci sono gli ingredienti, l’italianità e l’attenzione a ogni dettaglio della mise en place. E insieme al panorama unico, ecco che la nostalgia d’estate sarà solo un ricordo. Dopo un recente restyling e ingrandimento, fortemente voluto dai proprietari Roberto e Veruschka Wirth, la Terrazza Hassler risplende di luce nuova ed è ora un’oasi - aperta anche agli ospiti esterni - fra le cupole romane. Il blu è il colore predominante di questo nuovo spazio, da quello intenso del cielo a quello delle raffinate ceramiche e dei complementi d’arredo, con luminosi dettagli in oro che richiamano il tramonto all’orizzonte con lo sguardo che spazia da San Pietro al Campidoglio.
LIVING NEW YORK
di Aka Sarabeth
L’aeroporto Jfk ha lanciato un nuovo servizio di navette senza conducente per trasportare gratuitamente i passeggeri dai parcheggi ai terminal. Il progetto-pilota, gestito dalla Port Authority di New York e del New Jersey, prevede due navette autonome prodotte dall’azienda neozelandese Ohmio, ciascuna con capacità di otto passeggeri. Le navette collegheranno il Parcheggio 9 del Jfk con le stazioni AirTrain di Lefferts Boulevard e Howard Beach e l’area degli imbarchi. Sebbene autonomi, i veicoli avranno assistenti a bordo per garantirne la sicurezza. Durante la fase iniziale, le navette opereranno singolarmente. Altre verranno aggiunte gradualmente per aumentare la capacità di servizio. I passeggeri dovranno rimanere seduti e con le cinture allacciate per motivi di sicurezza.
La Fashion Week di New York, uno degli eventi più attesi nel mondo della moda, si tiene come ogni anno a settembre. L’appuntamento ha visto sfilare sulle passerelle i più celebri stilisti e le nuove promesse del settore. Le collezioni Primavera/Estate 2025 sono state protagoniste di una settimana ricca di eventi, presentazioni e feste
esclusive. Tra le location più iconiche spiccano TriBeCa, Chelsea e Spring Studios a SoHo, dove sono state presentate le nuove tendenze che influenzeranno la moda globale. Oltre alle sfilate, la Fashion week è stata anche un momento di incontro e networking per professionisti del settore, influencer e appassionati di moda.
Le autorità di New York stanno per avviare un progetto pilota per testare gli scanner di rilevamento delle armi nelle stazioni della metropolitana, in risposta alle crescenti preoccupazioni dei passeggeri sulla criminalità. I dispositivi, prodotti
dalla startup Evolv Technology, somigliano ai metal detector presenti nei tribunali e ai concerti. Annunciato dai rappresentanti del sindaco Eric Adams, il progetto prevede l’uso di un singolo set di scanner mobili per un mese in varie stazioni della metropolitana. Tuttavia i funzionari hanno specificato che la data di inizio non è stata ancora fissata. Il progetto rappresenta l’ultima iniziativa sostenuta da Adams per migliorare la sicurezza pubblica. Durante il suo mandato il sindaco ha già introdotto un robot per la sorveglianza della stazione di Times Square, ha ampliato l’uso dei droni e ha presentato un cane robotico che assiste in caso di emergenze.
“Sono esploratori scadenti coloro che pensano non ci sia terra quando non vedono altro che mare.”
Francis Bacon
“Bisogna provare tutto almeno una volta, tranne l’incesto e le danze popolari.”
Sir Arnold Bax
“Una mente generosa ed elevata si distingue indubbiamente per un grado eminente di curiosità.”
Samuel Johnson
“Non molti suoni nella vita, e includo tutti i suoni urbani e rurali, superano in interesse un bussare alla porta.”
Charles Lamb
“La curiosità è solo vanità. Di solito vogliamo sapere qualcosa solo per poterlo raccontare.”
Blaise Pascal
“Ci sono quattro cose di cui potrei fare a meno: l’amore, la curiosità, le lentiggini e il dubbio.”
Dorothy Parker
“L’amore per la conoscenza è una sorta di follia.”
C.S. Lewis
“Studia intensamente ciò che ti interessa di più, nel modo più indisciplinato, irriverente e originale possibile.”
Richard Feynman
“Non è una domanda sciocca se non sai rispondere.”
Jostein Gaarder
“La curiosità è la chiave della creatività.”
Akio Morita
DELLA SONY, DI
VALENTINE’S DAY, DI CHARLES LAMB; COMPLETE POEMS, DI DOROTHY PARKER; IL MONDO DI SOFIA, DI JOSTEIN GAARDER; SAGGI, DI MICHEL DE MONTAIGNE; LONTANO DAL PIANETA SILENZIOSO, DI C. S. LEWIS; FAIR PLAY, DI TOVE JANSSON; PENSIERI, DI BLAISE PASCAL; DONNE CHE CORRONO COI LUPI, DI CLARISSA PINKOLA ESTÉS
“Abbiamo più curiosità che comprensione. Afferriamo tutto, ma non tratteniamo nulla tranne il vento.”
Michel de Montaigne
“Non stancarti mai, non perdere interesse, non diventare indifferente. Perdi la tua inestimabile curiosità e ti lasci morire.”
Tove Jansson
“Mi sono proposto di scoprire il perché delle cose, e di trasformare il mio piacere in conoscenza.”
Charles Baudelaire
“Pratica l’ascolto della tua intuizione, della tua voce interiore. Questi poteri intuitivi sono stati dati alla tua anima alla nascita.”
Clarissa Pinkola Estés
“È gloria di Dio nascondere le cose; ma la gloria dei re sta nell’investigarle.”
Proverbi 25:2
PENSIERO FINALE
“Se non hai avuto l’esperienza, come puoi trasmettere la lezione?”
— Malcolm Forbes
22 MAGGIO • CASTELLO TOLCINASCO GOLF RESORT & SPA
3LUGLIO
• GOLF DEI LAGHI
12GIUGNO
• MOLINETTO COUNTRY CLUB
4SETTEMBRE
4-5-6OTTOBRE
• GOLF CLUB PADOVA
24LUGLIO
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5OTTOBRE
FINALEGARA EVENTOCONCLUSIVO
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