Marco Cavallarin, Razza partigiana: Giorgio Marincola e il madamato in Eritrea e Somalia

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Razza partigiana. Giorgio Marincola e il Madamato in Eritrea e Somalia Marco Cavallarin

Intervento alla Casa della Memoria, Roma, 7 ottobre 2008, a proposito di: Carlo Costa, Lorenzo Teodonio, Razza partigiana. Storia di Giorgio Marincola (1923-1945), Iacobelli 2008.

Alla fine dell’Ottocento il dominio italiano in Eritrea e Somalia era un fatto compiuto. Le attività commerciali tra quelle terre e l’Europa mediterranea sembravano avviarsi verso il pieno sviluppo, e per gli italiani si aprivano nuove prospettive di consolidamento e di espansione verso l’altopiano abissino. Scrive Giulia Barrera: “Durante il periodo coloniale, l’urbanizzazione e lo sviluppo dei sistemi di trasporto diedero un grande sviluppo ai commerci”1. L’Italia cominciò a penetrare nell’area somala negli anni Ottanta dell’Ottocento. La Somalia fu, dal 1889 al 1905, protettorato italiano, e poi, dal 1905, colonia. Nel 1936, dopo la guerra d’Etiopia, la Somalia Italiana fu parte dell’Africa orientale italiana insieme all’Etiopia, all’Eritrea e all’Ogaden. Nel 1941 ci fu l’occupazione inglese fino al nov. 1949. Poi dal 1950 fino al 1960 fu ancora protettorato italiano ONU. Il 1º luglio 1960, la Somalia raggiunse l’indipendenza. Le colonie italiane si erano contraddistinte per composizione multietnica e per modi di vita eterogenei, con convivenze di diversi periodi: pre-coloniali, coloniali, post-coloniali. Ha scritto Nicola Labanca: “La loro storia è un capitolo classico e frequente nelle storie cosmopolite delle società coloniali, e post-coloniali. È una storia che gli storici hanno sempre registrato ma quasi mai studiato in sé”2. “Italiani brava gente”!, si usa dire: la fraternizzazione dei soldati italiani con le popolazioni indigene fu cosa frequentissima, e il madamato ne fu la normale conseguenza. All’inizio, pur se formalmente sconsigliato, fu però ampiamente tollerato dalle autorità italiane che lo giustificarono con la necessità “fisiologica” dei soldati, lontani dalle mogli e dalle fidanzate, di “scaricarsi”. Per i superiori si diceva che essi dovevano mantenere il decoro degli abiti e della persona, e che quindi era necessario che donne si prendessero cura di loro. Furono tanti i figli nati in quegli anni da quelle convivenze. Il meticciato è una delle evidenti conseguenze della colonizzazione italiana. Meticci, o mulatti, sono i figli di padri, spesso ignoti, italiani e di madri indigene. La gran parte dei colonizzatori italiani trovava comodo servirsi delle prestazioni domestiche, ivi comprese quelle sessuali, delle donne indigene, salvo poi lasciare sul campo decine di migliaia di figli non riconosciuti, abbandonati. Aveva anche un nome il fenomeno di queste unioni imposte dal maschilismo coloniale: venne denominato madamato, dalla pretesa di dare dignità di madame alle compagne del periodo di vita coloniale. Né civili né militari ritenevano di doversi esimere dal diritto di possedere una donna di colore che rendesse loro più comoda la vita lontano da casa, salvo poi descrivere la gente del luogo come selvaggia e disumana. 1

Giulia Barrera, Colonial Affairs: Italian Men, Eritrean Women, and the Construction of Racial Hierarchies in Colonial Eritrea (1885-1941), Northwestern University, Illinois, 2002, p. 96 (mia traduzione). 2 Nicola Labanca, Una storia composita, in Marco Cavallarin, Ebrei in Eritrea, Bologna 2004.

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Una testimonianza ci viene dal romanzo di Ennio Flaiano, Tempo di uccidere, dove si legge, a proposito di prostitute e di colonie italiane dell’A.O.: “Le gomme nelle conquiste coloniali - Uno dei primi radiogrammi trasmessi dal generale Starace da Gondar al Comando Superiore è il seguente: ‘Data l’impossibilità di frenare il meretricio, chiedo l’invio a mezzo aereo numero diecimila preservativi e cinquemila tubetti pomata antiluetica’”. D’altronde già nel 1910 un tal Tertulliano Gandolfi, operaio edile emigrato in Eritrea, in un suo libretto descriveva la colonia come “un immenso bordello”. Parecchi furono però i casi di padri attenti ai loro figli meticci e alle loro compagne, ma di fatto il madamato fu una delle macchie indelebili della violenza schiavistica dei colonizzatori italiani, tanto da venire ufficialmente vietato dal governo italiano già ai primi del 1900. La legge poi del 13 maggio del 1940 privò i meticci di ogni diritto. Solo nel 1943 un farraginoso decreto del capo provvisorio dello stato italiano offrì la possibilità di riconoscere e legittimare i figli meticci da parte di uno dei genitori di cittadinanza italiana. Tale decreto diede la stura a che tanti italiani, per denaro, concedessero il riconoscimento ufficiale della paternità a figli non loro. Altri però lo fecero solo per nostalgico “mal d’Africa”. Per rendersi conto della tremenda realtà delle cose basta ascoltare il racconto che della propria vita fa qualche meticcio, o prestare attenzione al dolore silenzioso di chi la sua vita umiliante di meticcio non intende rievocare. E’ una delle pagine più vergognose del colonialismo italiano. La vicenda della discriminazione razziale italiana, relativa ai rapporti di sudditanza, assimilazione, e cittadinanza, e che si applicò anche ai figli nati da relazioni di madamato, è antica, di molto precedente le leggi razziali del 1938. Essa comincia nel 1894 con il R. D. 201 del 22 maggio, che era stato “il primo tentativo di definizione dei ‘coloniali’”3. Poi venne l’Ordinamento giudiziario per l’Eritrea del 19024 che dichiarava di considerare assimilati alla ‘razza italiana’ solo egiziani, siriani, americani, australiani, e in generale chiunque appartenesse a un ceppo europeo o a un ceppo che avesse una civiltà simile a quella europea5. Le discriminazioni furono riconfermate dalla legge giudiziaria 325 del 19086, dal decreto governatoriale 787 del 19087, dal decreto 620 del 19098. Poi le premesse eugenetiche, demografiche e sanitarie esposte da Mussolini nel suo discorso tenuto a Pisa il 25 maggio 1926, arricchite da un sempre più vigoroso bagaglio razzista negli anni successivi, condussero a nuove discriminazioni nei confronti dei sudditi dell’impero. Allora era ancora possibile che i figli nati da relazioni di madamato venissero riconosciuti (cosa che avveniva assai di rado) dal padre. Quello del meticciato era ancora un fenomeno in grande sviluppo. Il potere romano era lontano, le piccole città coloniali avevano il sapore di assonnate cittadine di provincia, dove gli accomodamenti erano sempre possibili e le transizioni sui principi la pratica. Inoltre lo stesso regime fascista era così impegnato nella costruzione dell’impero, che qualche volta ci si poteva illudere che la discriminazione razziale antindigena e antisemita avrebbe potuto passare in secondo piano. Insomma: “Italiani brava gente”! Ma il fascismo nel 1933 (Legge 999 del 6 luglio 1933) scrisse, nelle sue leggi organiche per l’Eritrea e la Somalia, la ricerca biologica della razza per i meticci. Fu quindi proibito il riconoscimento da parte dei genitori italiani della prole nata da relazioni con donne indigene. La conquista dell’Etiopia del 1936 di molto aumentò la portata del problema a causa del forte afflusso di soldati per la guerra e di coloni. 3

Ester Capuzzo, Sudditanza e cittadinanza nell’esperienza coloniale italiana dell’età liberale, in “Clio” 1995, 31, n. 1, p. 72. 4 Esso recepiva il R. D. 22 maggio 1894, n. 201 (art. 113). 5 R. D. 2 luglio 1908, n. 325, relativo all’ordinamento giudiziario per l’Eritrea, art. 2. Ester Capuzzo, Sudditanza e cittadinanza nell’esperienza coloniale italiana dell’età liberale, in “Clio” 1995, 31, n. 1, p. 72. 6 R. D. luglio 1908, n. 325. 7 D.G. 8 ottobre 1908, n. 787. Giulia Barrera, Colonial Affairs, cit., nota 182. Mia traduzione. 8 Decreto governatoriale 8 0ttobre 1908, n. 787 (approvato con R. D. 11 luglio 1909, n. 620).

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Su “Roma Fascista” del 28 maggio 1936, sotto il titolo Uomini dell’Impero, si poteva leggere: “Il bianco, l’Italiano, il fascista, il colono imperiale, deve avere la coscienza della sua dignità. La colonizzazione deve farsi con le famiglie italiane, con la razza purissima italiana. L’unione di un soldato e di un colono nostro con una donna negra è un tradimento contro l’Impero”. Nel 1937 si instaurò definitivamente in Africa orientale italiana un regime di discriminazione razziale che precedette di un anno l’emanazione in Italia della legislazione antisemita. L’organizzazione urbanistica in funzione razzista in colonia era già in atto dal 1908, con la rigida separazione dei quartieri europei da quelli destinati agli indigeni. Ancora oggi, ad Asmara, l’antica linea di demarcazione è detta “combistato”, corruzione fonetica tigrigna dell’espressione del tempo “campo cintato”9. Si legge nei “catechismi” del fascismo del 1937: “Il meticcio, ossia il figlio di due individui dei quali uno è di colore, è un essere moralmente e fisicamente inferiore, facile vittima di gravi malattie e incline ai vizi più riprovevoli”. Subito dopo, quando venivano anche istituite le case chiuse con prostitute metropolitane, nelle colonie, venivano emessi i decreti che stabilivano che le autorità dovevano essere ammogliate, a meno che che non fossero vedovi con prole. E così doveva essere anche per i militari ed i coloni. Nel 1938 l’antropologo razzista Lido Cipriani, su La difesa della Razza, scriveva: “E’ nostra salda opinione che l’incrocio con gli Africani sia un attentato contro la civiltà europea perché la espone a decadenza: dato che essa è un prodotto possibile solo nell’ambito delle razze europee. [...] Con la situazione antropologica determinatasi lentamente in Africa, non stupirà se il miscuglio vi fu sempre deleterio, come evidentemente lo è per i popoli civili che assorbono sangue africano. Ha ben motivo, dunque, la decisione del Gran Consiglio Fascista per l’inasprimento delle misure contro il meticciato: grave piaga i cui effetti si proiettano, ingigantendo, nel tempo, e della quale i responsabili mai saranno puniti abbastanza”. Poco dopo vennero le leggi razziali, i Provvedimenti per la difesa della razza italiana, applicate in Aoi dal gennaio del ‘39. Esse riguardarono gli ebrei e i casi di meticciato, inclusi quindi anche i mulatti figli degli italiani e delle loro concubine africane, le madame. E nel 1939, con la legge n. 1004 del 29 giugno, veniva introdotto il principio di “lesione del prestigio di razza” comportante pesanti sanzioni penali per i nativi dell’Africa italiana. Allora, sulla “questione razziale” si pronunciò anche tale Nicola Marchitto, che, a modo suo, argomenta: “Respinto da bianchi e neri [il meticcio] è un ribelle, cova un sordo rancore tanto più in quanto non ha famiglia. Il meticcio, essere afamiliale è anche asociale e astatale, quando non è antisociale e antistatale. Figlio di una colpa, ligio ad influenze contrastanti, precocemente sessuale, senza freni morali, minato dall’azione deleteria dello spettacolo della violenza a cui assiste, è preda di tendenze degenerative. Questo bastardo, questo essere negativo è pertanto anche uno spostato e un ribelle. Il meticcio dunque come tale rappresenta per noi in Africa ciò che l’ebreo rappresenta in Europa e in America… L’equazione: ebreo-meticcio è molto convincente”10. E ancora ci fu la legge n. 822 del 13.5.1940, che proibì il riconoscimento dei figli meticci da parte del genitore italiano. Insomma, e ancora una volta, “Italiani brava gente”! Le cose non cambiarono molto con l’avvento, nel 1941, degli inglesi. Anche sotto l’amministrazione britannica le leggi razziali continuarono. Di fatto l’amministrazione delle ex colonie italiane rimase in gran parte nelle mani degli italiani, e le norme precedenti continuarono ad essere applicate, anche in ragione della mancanza di nuova legislazione, e le leggi razziali perdurarono almeno fino al 1947. Hanno scritto Richard Pankurst e Angelo Del Boca: “Era trascorso meno di un anno tra la pubblicazione della legge 822/1940 contro la razza mista e il 9

D.G. 19 Dic. 1908, n. 814 “Zone del piano edilizio di Asmara”; Onnis, La città di Asmara, p. 191. Anche nelle colonie francesi quello della“razza non era il solo criterio” su cui si basava la segregazione urbana. Le autorità coloniali ricorsero anche “a una distinzione culturale basata sugli stili architettonici.” Curtin, Medical knowledge and urban planning, p. 250; Giulia Barrera, Colonial Affairs Italian Men, Eritrean Women, and the Construction of Racial Hierarchies in Colonial Eritrea (1885-1941), Northwestern University, Illinois, 2002, p. 82. Mia traduzione. 10 N. Marchitto, La difesa della razza nell’Impero: il problema dei meticci, G.U.F. “Mussolini”, Napoli, 1939, p. 28, in Barbara Sòrgoni, Parole e corpi, Liguori Editore, Napoli 2002 (1998), p. 209.

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collasso dell’Impero mussoliniano dell’Africa orientale. Ma gli effetti della legge durarono molto più a lungo dell’impero. Gli inglesi applicarono la politica del “Care and Maintenance”, cura e mantenimento delle cose: rimasero le leggi italiane, i giudici italiani, i carabinieri italiani. La British Military Administration dell’Eritrea non abrogò le leggi razziali fasciste”11. L’Acting British Chief Political Officer in the Middle East, che risiedeva al Cairo ricevette da Asmara dal Legal Adviser Arthur Barlein, il 9 febbraio 1942, un memorandum in cui lo scrivente dichiarava certe leggi razziali fasciste come “ripugnanti” e che dovevano essere sospese. Barlein faceva riferimento solo ad alcune leggi razziali italiane, tra cui un editto del 17 novembre 1938 che riguardava gli ebrei, ed uno del 29 giugno 1939 che indicava le principali sanzioni per la difesa del prestigio di razza ariana italiana in relazione con i nativi africani. Solo questi testi furono abrogati, e non, ad esempio, il decreto del 5 settembre 1938 che vietava agli ebrei l’impiego nelle scuole. Insomma, le leggi razziali in colonia rimasero. Giorgio Marincola nasce da una relazione di madamato nel 1923, viene riconosciuto e registrato dal padre a Mogadishu. E nel 1925 nasce anche la sorella di Giorgio, Isabella, anche lei riconosciuta dal padre. In quegli anni divennero quindi legalmente cittadini italiani. Vietato poi ogni legame coi nativi, Giorgio e Isabella, italiani, perché riconosciuti dal padre, vengono sottratti alla madre somala per essere allevati dalla moglie italiana che il padre sposa facendo ritorno in Italia. In Italia Giorgio e Luisa, italiani, rimangono stranieri, e non solo per lo scarso amore della matrigna, quanto perché ‘neri’, quindi stranieri, meticci anche per i neri, privi di identità, di collocazione, di appartenenza, disambientati, metà sudditi, metà cittadini. Proprio come è stato per il giovane Abba sprangato fino alla morte dai legittimi proprietari di un pacco di biscotti. In quella Milano in cui si dice che quella è stata una storia tra ‘africani’ e ‘terroni’. Ma Giorgio è animato da profondi sensi di responsabilità sociale, vuole tornare da medico in Somalia, e sarebbe riduttivo pensare alla sua adesione alla Resistenza come una pura reazione al suo stato esistenziale in totale distonia con la cultura razzista del fascismo e del nazismo. Molti furono gli episodi di resistenza antifascista anche nelle colonie, da quella dei Beta Israel (i falasha), alla costituzione a Asmara, a Addis Abeba, a Mogadiscio, di organismi politici clandestini che si ispiravano al Partito Comunista, agli anarchici, ai socialisti, ai cattolici. Certo è però che la sua condizione di “negro” è determinante nella scelta, così come lo è stata la condizione di “ebrei” per gli ebrei. E coerentemente gli autori di questo libro fanno cenni ripetuti all’impegno di ebrei nell’antifascismo e nella Resistenza (tra i nomi citati dagli autori: Leo Valiani, Giorgio Tecce, Angelo Di Marco, Bruno Corinaldesi, Mario Fiorentino, Leone Ginzburg, le Fosse Ardeatine). Di questo argomento mi sto occupando adesso. La storia di Giorgio Marincola è esemplare e attuale in tempi in cui si diffida del diverso e del meticcio, in tempi in cui avvengono fatti come quello di Abba, come i discorsi di Porta San Paolo, come gli attacchi al Museo di Via Tasso, come le profanazioni dei principi, dei valori, e dei ricordi della Resistenza. Il fatto che, a settant’anni dalla legislazione razziale, la parola “negro” torni a circolare con facilità, è segno dell’affermarsi di un nuovo linguaggio che, com’è noto, non si crea dal nulla: che il sistema si appropri dei mali assoluti e dei “mai più!”, si dimostra come cosa inconsistente e puramente apparente. Complimenti, e ringraziamenti, a chi ha scritto questo libro e a chi l’ha pubblicato: non ci fosse stato, lo si sarebbe dovuto inventare. Marco Cavallarin 7.10.2008 11

Sulla politica britannica relativa alla legislazione razziale fascista, vedi Pankhurst, The legal question of racism in Eritrea.

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