La Casa della memoria e della storia in Roma, laboratorio di una memoria attiva

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La Casa della memoria e della storia in Roma, laboratorio di una memoria ‘attiva’

Stefano Gambari1

Rileggendo il libro di Rino Pensato dedicato alle modalità di gestione della raccolta locale in biblioteca,2 mi sono imbattuto in una citazione di Piero Lucchi in cui egli sosteneva nel 1996 che il raccordo tra gli istituti culturali vada inteso come elaborazione di un sistema informativo che possa gestire o interrogare diverse base dati: è ciò che in definitiva si può forse intendere con l’abusata e forse male impiegata parola di “interoperabilità”. Si tratta, in senso progettuale, di mettere in comune per un certo profilo di lettore, studioso, o ricercatore quelle risorse che rispondono ai suoi interessi indipendentemente dalla loro ubicazione fisica o geografica, e dai diversi formati e supporti di registrazione. Tuttavia Lucchi non poteva fare a meno di rammentare come, al di là dell’idea di un controllo bibliografico basato sulla meta interrogazione o meta selezione delle diverse tipologie di risorse informative, «sarebbe oltremodo suggestivo immaginare una sede comune, una vera ‘casa della memoria’ che possa accogliere insieme archivio, biblioteca, museo».3 Questa “suggestiva immaginazione”, forse anche utopica, può di fatto essere considerata quale soluzione praticabile in determinati contesti: ad esempio l’esperienza della Casa della memoria e della storia in Roma può essere vista, in certa misura, come una sorta di approssimazione sperimentale al modello immaginato, dieci anni prima, da Piero Lucchi. La Casa della memoria e della storia è un contenitore di oggetti e risorse documentarie – di diversa tipologia, genere e formato composte, integrate e utilizzate a fini didattici – ma anche il luogo privilegiato dell’associazionismo della memoria, e insieme incubatore e centro di promozione di iniziative culturali e di partecipazione cittadina. Una prima realizzazione di tale modello si manifesta a Roma nel 2006, ma diversi progetti simili si registrano in questi anni, ad esempio a Milano ove si intende sottolineare «il valore attivo del ricordo come sorgente di un futuro migliore», un ricordo «che

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Responsabile della Biblioteca della Casa della memoria e della storia (Istituzione Sistema delle biblioteche centri culturali del Comune di Roma). 2 Rino Pensato, La raccolta locale. Principi e gestione, Milano, Editrice Bibliografica, 2000. 3 Piero Lucchi, La biblioteca e l’archivio. Appunti per un lavoro comune, in Archivi e storia locale. Atti della giornata di studio, a cura di Lino Scalco e Giorgetta Bonfiglio Dosio, Este, Gabinetto di lettura, 20 gennaio 1995, Vicenza, Associazione veneta per la storia locale, 1996, p. 58-59.


comprenda non solo gli anni di piombo, ma tutte le battaglie di libertà e democrazia del Novecento, dalla Resistenza al sacrificio dei deportati nei campi di sterminio». Una realizzazione simile alla “Casa della memoria e della storia” di Roma è quella della “Casa della Memoria e della Storia del Novecento” presso Villa Hériot a Venezia, nata nel 2008 e incentrata sulle attività dell’Istituto veneziano per la storia della Resistenza e della società contemporanea (Iveser), e delle numerose associazioni della memoria.4 Si tratta di «un luogo di incontro e aggregazione aperto alla cittadinanza, alle scuole, agli studiosi, dove poter conservare, valorizzare e divulgare tutte le tracce materiali e immateriali (documenti, memorie, interviste, fotografie, volumi, oggetti) che testimoniano le vicende e le profonde trasformazioni di Venezia e provincia nel corso del Novecento. Un luogo che si fonda sul dialogo intergenerazionale avvicinando soprattutto i giovani e gli studenti» e che promuove ricerche, iniziative, seminari di studio, laboratori didattici, incontri con testimoni, itinerari educativi, tirocini e stage, eventi culturali, mostre ed esposizioni, visite guidate. La Casa conserva registrazioni di testimonianze, diversi fondi archivistici e sviluppa particolari progetti quali la costituzione di un archivio audiovisivo della Memoria operaia e del lavoro di Porto Marghera, La memoria delle donne, relativo alla partecipazione femminile all’antifascismo e alla Resistenza e La memoria della scuola. Prima di descrivere più analiticamente l’esperienza della Casa della memoria e della storia in Roma, vorrei considerare in forma problematica il ruolo che le strutture che seguono tale modello possono svolgere rispetto al tema di questo convegno, ossia la «costruzione e ricostruzione dell’identità cittadina», in un momento storico in cui il concetto di identità evolve e si fa complesso, lo spazio geografico si trasforma in multietnico e multiculturale, e insieme muta il concetto stesso di documento e di documento locale in particolare. Di recente termini quali glocale, glocalizzazione o glocalismo si sono imposti all’attenzione pubblica ad indicare il peso della comunità locale nello strutturare l’intera società, riconoscendo centralità alla persona e al patrimonio di memorie, conoscenze e cultura di cui è portatrice, ma anche la complessità delle relazioni tra persona, microgruppi di appartenenza, macrosistemi, realtà globale. In questo approccio vi è la riscoperta delle identità e delle “radici” legate alla dimensione territoriale, in contrapposizione al processo di globalizzazione economica e culturale. Ma il senso di appartenenza alle diverse sfere sociali può anche indebolirsi, le tradizionali certezze dello Stato-nazione e della famiglia, delle istituzioni possono andare in crisi, e allora come può ognuno sostenere “questo è il mio paese”? Come può svilupparsi un senso d’identità legata ad un territorio quando la comunicazione sociale diviene virtuale, e si sviluppa tramite reti sociali e sempre nuovi strumenti e complesse piattaforme 4

ANPI, FIAP, AVL-FVL, ANPPIA, Associazione Olokaustos, rEsistenze Associazione per la storia e la memoria delle donne in Veneto.


tecnologiche? Zigmunt Bauman osserva come l’identità sia un processo di elaborazione e costruzione continua, mai definito e concluso. «L'identità è un grappolo di problemi piuttosto che una questione unica […] qualcosa che va inventato piuttosto che scoperto; come il traguardo di uno sforzo, un “obiettivo”, qualcosa che è ancora necessario costruire da zero o selezionare tra offerte alternative, qualcosa per cui è necessario lottare e che va poi protetto attraverso altre lotte ancora». Questo aspetto dinamico, quest’attributo di processo del concetto di identità sembra parallelo alla dinamicità della memoria in quanto sviluppo e continua elaborazione, condivisione e negoziazione di senso che gli individui fanno dei propri ricordi. Costruzione dell’identità e riflessione sulla memoria sono entrambi processi dinamici tramite i quali l’individuo rinegozia continuamente la sua posizione all’interno dei gruppi sociali di appartenenza. Il valore dell’attività del ricordo, anche nel caso di una rielaborazione attenta e puntuale, risiede infatti non tanto nell’accuratezza storica o fattuale quanto in ciò che essa può comunicarci in relazione ai modi in cui le persone costruiscono e continuamente rielaborano la propria identità sociale. Se è vero, come ricorda Zigmunt Bauman, che «la storia ricordata di rado concorda con la storia degli storici», e che tale storia vive proprio «nelle speranze, negli scopi, e nelle aspettative di uomini e donne che cercano di dare un senso alla vita, di trovare un ordine nel caos, di fornire soluzioni note a problemi ignoti» è pur vero che «la storia ricordata è la materia di cui sono fatte tali speranze, obiettivi, e conoscenze».5 In questo intervento si intende indicare in breve le motivazioni con le quali è stata istituita in Roma la Casa della memoria e della storia, descrivendo sinteticamente le linee progettuali che hanno guidato lo sviluppo delle iniziative di carattere culturale in questi tre anni, e le operazioni di descrizione e indicizzazione delle risorse documentarie fruibili nella struttura. Alcune riflessioni saranno riservate alla “funzione sociale” del testimone e al significato della conservazione, elaborazione e trasmissione della memoria.

Una Casa per una memoria attiva La Casa della memoria e della storia6 è stata progettata e realizzata «nella convinzione che memoria e storia siano elementi costitutivi del nostro presente: spiegano infatti l’origine della nostra Repubblica, ed è proprio la conoscenza storica a consentire una piena e consapevole cittadinanza. Il Comune di Roma ha inaugurato la struttura il 24 marzo 2006, anniversario dell’eccidio delle Fosse Ardeatine. Qui sono ospitate gran parte delle associazioni che hanno contribuito alla fondazione della nostra 5

Zigmunt Bauman, Memorie di classe. Preistoria e sopravvivenza di un concetto. Torno, Einaudi, 1987, p. 3. Il progetto è a cura di: Dipartimento Cultura Comune di Roma, Istituzione Biblioteche di Roma, Archivio storico capitolino, Zètema Progetto cultura e delle associazioni residenti nella Casa.

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democrazia e che fanno della formazione storica e della trasmissione della memoria un impegno culturale e un vero servizio pubblico [la Casa ospita l’Associazione Nazionale Ex Deportati Politici (ANED), l’Associazione Nazionale Ex Internati (ANEI), l’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia (ANPI), l’Associazione Nazionale Perseguitati Politici Italiani Antifascisti (ANNPIA), l’Associazione Partigiani Cristiani (FIVL/APC), la Federazione Italiana delle Associazioni Partigiane (FIAP), l’Istituto romano per la storia d’Italia dal Fascismo alla Resistenza (IRSIFAR) e il Circolo Gianni Bosio]. Il patrimonio di monografie, periodici, documentazione archivistica e multimediale raccolto nella Casa permette di ricostruire la storia del nostro paese nel passaggio alla democrazia e nel suo sviluppo successivo. La Casa è dunque un laboratorio per una memoria attiva che si attua tramite il racconto e la testimonianza, e insieme un luogo-contenitore di attività didattiche, culturali e di divulgazione storica, di progetti di ricerca e di documentazione: durante l’intero arco dell’anno si svolgono seminari e convegni di carattere scientifico, tavole rotonde, presentazioni di novità editoriali, interventi didattici con le scuole e cicli di formazione per gli insegnanti, cineforum, mostre fotografiche, letture di poesie, [le varie edizioni del ciclo Testi e Testimoni] e naturalmente le celebrazioni del Giorno della memoria (27 gennaio), del Giorno del ricordo (10 febbraio) e delle date più significative per la storia del nostro paese. La Casa della memoria e della storia, ‘polo di attrazione multidisciplinare’, raccoglie, conserva e valorizza il patrimonio bibliografico, archivistico e multimediale, assicurando il servizio di accesso e fruizione per il pubblico, gli studiosi, le scuole».7 Naturalmente la Casa è anche un giacimento documentario, ossia la raccolta di numerose collezioni di risorse che qui sono fruibili, di carattere bibliografico e archivistico. La Casa della memoria e della storia ospita una biblioteca speciale oltre che specializzata, gestita dall’Istituzione Biblioteche del Comune di Roma che comprende le collezioni dell’ANED, dell’ANEI, dell’ANPI e del Circolo Gianni Bosio con un patrimonio di oltre 7000 monografie aggiornato tramite donazioni e acquisizioni continue.8 Come per le biblioteche di Casa dei teatri e Casa del parco, «questa biblioteca tematica è bifronte: da un lato è rivolta a un’utenza di ricercatori e studiosi […], dall’altro si integra nella rete delle Biblioteche di Roma offrendone tutti i servizi e dischiudendosi così a un’utenza più vasta attraverso servizi quali il prestito interbibliotecario urbano. Il profilo della collezione vede rappresentate: storia del Novecento, prima e seconda guerra mondiale, fascismo e antifascismo, confino, Resistenza e Liberazione dall’occupazione tedesca, deportazione, campi di internamento e di sterminio, antisemitismo e Shoah, memorie biografiche e autobiografiche dei sopravvissuti, storia dell’Italia repubblicana. Il patrimonio bibliografico è particolarmente significativo per le […] 7

Stefano Gambari, La Casa della memoria e della storia. Documentazione, ricerca e formazione, in “Aib notizie”, anno XXI, numero 2, 2009, p. 22. 8 Il catalogo è consultabile all’indirizzo <http://opac.bibliotechediroma.it> (Polo SBN RMB), (selezionare Casa della memoria e della storia).


monografie sull’occupazione nazista di Roma e sulle stragi nazifasciste in Italia, per i diari e le memorie di partigiani, di sopravvissuti alla Shoah o di prigionieri italiani deportati nei campi di prigionia in Germania. La collezione del Circolo Gianni Bosio è invece specializzata in metodologia della storia orale e sociologia della memoria e copre altre aree d’interesse quali identità culturale e culture migranti, storia locale e sociale, folclore e musica popolare, trasformazione industriale e conflitti sociali, globalizzazione e sviluppo».9 Nelle procedure di catalogazione e indicizzazione semantica è stata adottata la 22a edizione della Classificazione decimale Dewey (CDD) che, come è noto, espande e articola notevolmente la classe Olocausto;10 particolare attenzione è stata rivolta alle dediche, e a tutti i materiali rinvenuti all’interno dei libri cui si è fatta menzione nel record catalografico (p.e., carte, lettere, fotocopie, ritagli di quotidiani, biglietti, cartoline, emissioni filateliche). Tra i progetti della Biblioteca attualmente in corso, a livello di Polo SBN, l’Arricchimento dell’opac prevede la redazione di abstract e il collegamento al record catalografico di oggetti digitali mentre il progetto Web della memoria riguarda la selezione di siti web di qualità pertinenti alla collezione con una loro descrizione a catalogo, comprensiva di abstract, secondo ISBD(ER), International Standard Bibliographic Description for Electronic Resources, lo standard del 1997 ora integrato in ISBD consolidated edition. La Biblioteca conserva inoltre l’archivio digitale del progetto Album di Roma: fotografie private del Novecento; i cittadini possono consegnare foto relative alla storia sociale della città, che vengono digitalizzate e pubblicate sul sito.11 Insieme alla sezione Roma dell’ANED è in corso un progetto di sistemazione organica dell’archivio privato dello scrittore Giovanni Melodia, sopravvissuto a Dachau, primo presidente dell’ANED e ‘grande testimone’ dei campi di sterminio. Infine la Biblioteca sostiene alcuni progetti di recupero di memorie e diari manoscritti; recentemente ha svolto la cura delle memorie di un partigiano torinese di Giustizia e Libertà, edito nel settembre di quest’anno.12 Il nostro incontro con Franco Foglino ha dato avvio a un percorso di approfondimenti storici, di acquisizioni digitali dei documenti del suo piccolo archivio privato, di ricerche bibliografiche, di interrogazioni di banche dati. Scritto nel 1953 e lasciato da allora in un ‘cassetto’, il racconto del partigiano – primo capitolo di un più esteso progetto sulla propria memoria – fissa, usando le parole di Giovanni De Luna, ciò che vale per ogni partigiano, ossia «il momento più 9

Stefano Gambari, op. cit., p. 22. Notazione 940.531 8 11 In collaborazione con l’Università Roma Tre è stato promosso nel 2008 un concorso fotografico all’interno di un progetto di documentazione storica e territoriale dell’area di Trastevere (Trastevere: società e trasformazioni urbane dall’Ottocento ad oggi). 12 Franco Foglino, Gioventù partigiana. Memorie 1943-1945: Canavese, San Mauro, Langhe, battaglia di Alba, liberazione di Torino. A cura di Stefano Gambari e Vittorina Sacco; prefazione di Alessandro Portelli; introduzione di Massimo Rendina. Albano Laziale, Iacobelli, 2009. 10


alto della [sua] vita», «un vero e proprio apogeo biografico unico ed irripetibile al cui interno il massimo della propria forza come uomini si è coniugato con il massimo del proprio impegno civile».13 Altra collezione importante della Casa è quella dell’Irsifar con un patrimonio di oltre 7500 volumi attualmente in corso di catalogazione e di integrazione nel patrimonio della Biblioteca della Casa della memoria e della storia, a seguito di un accordo di comodato d’uso. «La collezione è specializzata in storia italiana del Novecento, Resistenza, deportazione, storia contemporanea di Roma e del Lazio, storia e memoria, metodologia della ricerca, didattica della storia. Nell’ambito della biblioteca è collocato il fondo Riccardo Poli (antifascista e militante nel Partito d’Azione), consistente in circa 200 volumi e opuscoli editi tra gli anni Venti e Quaranta. L’Istituto, nato nel 1963, pubblica dal 1998 il periodico “L’annale Irsifar”. Nella Casa sono presenti anche una emeroteca,14 e il Centro telematico di storia contemporanea,15 che conserva una collezione di audiovisivi su differenti supporti, con videoregistrazioni originali di testimoni. Infine particolare rilievo assume la presenza degli archivi di ANEI,16 ANPI,17 Irsifar, Circolo Gianni Bosio. L’Archivio Irsifar18 è composto da: -

«Ricerche e documenti. Comprende il nucleo originario della documentazione e delle ricerche sulla Resistenza. Documenti d’archivio in copia o trascritti, materiali a stampa, originali o in copia prodotti dalle forze antifasciste negli anni della Resistenza e del secondo dopoguerra: Partito d’Azione, Comitati di Liberazione, Partito socialista, Movimento e Partito cristiano sociale, Partito comunista italiano, Partito repubblicano e altri) Si segnala una raccolta delle sentenze pronunciate dalla Corte di Assise di Roma, negli anni 1945-48, sui delitti fascisti compiuti durante l’occupazione tedesca di Roma. L’archivio conserva inoltre carte provenienti da donazioni di studiosi, di famiglie o di enti.

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Alberto Bianco: testimonianza partigiana, a cura di Michele Calandri, Alessandra Demichelis; presentazione di Giovanni De Luna, Savigliano, L’artistica, 1999, p. 7. 14 Collocata in Sala multimediale, l’Emeroteca è costituita in prevalenza da periodici, anche esteri, dell’Irsifar: riviste italiane di storia contemporanea e di cultura, pubblicazioni dell’Istituto nazionale per la storia del movimento di Liberazione in Italia (Insmli), degli Istituti della Resistenza, dell’Ufficio storico dello Stato maggiore dell’esercito, di associazioni antifasciste, di fondazioni ed enti culturali. 15 “Struttura di servizio” della Casa, il Centro telematico è stato istituito nel 1999 con protocollo di accordo tra l’ANPI di Roma, Comune di Roma, Provincia di Roma e Regione Lazio. Oltre ad un’ampia collezione di audiovisivi, presso il Centro è possibile consultare la base dati della Gale Conditions & politics in occupied Western Europe, 1940-1945. 16 L’Archivio dell’ANEI documenta le attività dell’associazione, che si costituì nel 1946 tra i reduci dai campi di internamento della Germania nazista. 17 L’ANPI custodisce l’Archivio dei partigiani iscritti a Roma e nel Lazio, provenienti da varie regioni, con le schede di riconoscimento, e le qualifiche di partigiani e patrioti.


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Memoria di carta. Raccoglie un’ampia documentazione – frutto di donazioni di singoli militanti e di associazioni - sui movimenti politici giovanili e studenteschi dell’Italia repubblicana, dagli anni Sessanta agli anni Novanta del Novecento. La raccolta ha una consistenza di 530 faldoni e contiene volantini, manifesti, ciclostilati, opuscoli, verbali di assemblee, riviste.

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Archivio Nicola Gallerano. Donato all’Irsifar dalla famiglia nel 1998, conserva l’archivio

personale

dello

storico:

articoli,

materiali

di

ricerca,

documenti,

corrispondenza e appunti relativi alla sua attività scientifica. -

Archivio istituzionale. Consente di conoscere e ricostruire la storia dell’Istituto dalla fondazione (1963) ai giorni nostri. Conserva i verbali delle riunioni degli organi collegiali, la corrispondenza generale e i documenti relativi alla gestione dell’Istituto. Tutti gli archivi sono stati riordinati con schedatura informatizzata secondo il programma GEA e consultabili nel sito www.archividelnovecento.it, inoltre, presso la sede dell’Irsifar è consultabile anche l’inventario cartaceo».19

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Archivio sonoro Registrazioni di interviste a testimoni e protagonisti della Resistenza, nonché di convegni, seminari ed eventi diversi promossi dall’Istituto dagli anni Settanta in poi.

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Archivio Ruggero Zangrandi. In fase di riordino, raccoglie una documentazione di grande valore che permette di ricostruire per intero il suo percorso di vita, dal fascismo alla deportazione, fino alla sua attività politica, di storico e di giornalista nell’Italia repubblicana.

Presso il Circolo Gianni Bosio, associazione culturale per la conoscenza critica delle culture popolari fondata nel 1972, è consultabile l’Archivio audiovisivo e sonoro “Franco Coggiola”.20 Una collezione di oltre 1300 documenti originali, incrementato di donazioni continue, comprende fondi relativi alla musica popolare e alle forme espressive dell’oralità a Roma e nel Lazio; interviste sulla memoria delle Fosse Ardeatine e della Resistenza a Roma; registrazioni di musica popolare di Giovanna Marini; folk music, gospel, canzone politica degli Stati Uniti; il repertorio della maggiore cantatrice tradizionale del Lazio, Italia Ranaldi; registrazioni di musica popolare a Penne (Abruzzi), interviste sulla storia di borgate e quartieri di Roma, sull’antifascismo e sulla guerra nella provincia di Roma, in Puglia e Umbria; musica e interviste sulle culture migranti a Roma e nel Lazio; confino politico, movimenti e occupazioni studentesche. Oltre all’archivio, è presente una sezione audiovisiva di circa 300 documenti e una collezione discografica specializzata di musiche popolari, canti politici e 19 20

Dal sito web dell’INSMLI L’archivio è dedicato allo storico curatore dell’Archivio sonoro dell’Istituto Ernesto de Martino.


di protesta. L’Archivio svolge opera di formazione per la ricerca sul campo e la gestione e organizzazione di archivi sonori, in collaborazione con la Discoteca di Stato.

Parte seconda. Nella dimensione della postmemoria

Come ha scritto di recente David Bidussa la pratica testimoniale si distingue da altre forme di scrittura poiché «chiede che il passato sia condiviso, che quei ricordi entrino nel bagaglio collettivo del sapere e che di essi rimanga traccia […] come comunicazione del sentimento».21 Ma «una volta che le voci testimoniali di un evento scompariranno che cos’avremo in mano? Come elaboreremo quel vuoto? E allo stesso tempo come rifletteremo? La questione riguarda la capacità che quelle voci hanno di parlare e di suscitare domande; non solo di riprodurre se stesse. In quel terreno vuoto si porrà la dimensione della postmemoria, di una riflessione che vivrà unicamente e strutturalmente della capacità di elaborare documenti».22 Secondo Jacques Revel, «le nostre società sono diventate delle società archiviste, che si osservano e si conservano»; il genere memorialista esiste, da molto tempo e «tuttavia a lungo questo genere […] non è servito che a conservare la memoria di ciò che sembrava importante, cioè dei grandi uomini o dei grandi fatti della storia. Ciò che oggi è cambiato è che, al contrario, sono le memorie dal basso, le memorie degli anonimi, di coloro che normalmente non lasciano tracce nella storia a esser prese sul serio e sono queste memorie a esser maggiormente valorizzate […]. Ciò ci induce nella società di oggi ad allargare il campo della memoria e a conservare la testimonianza degli attori non in quanto partecipanti a una impresa generale, ma proprio, al contrario, per ciò che essi sono di particolare. Memoria di operaio, memoria di donna, memoria di contadino, memoria d'anonimo, memoria di bambino: ormai tutto va bene per chi deve conservare. In definitiva le nostre società si pensano come collezioni di individui di cui ciascuno deterrebbe una memoria particolare che non sarebbe un riassunto o una flessione della memoria generale, ma che varrebbe per la sua stessa singolarità. Mentre un tempo la memoria mirava a essere consensuale, a integrarsi in un discorso generale, ora essa è diventata disgiuntiva, mira a essere particolare e vale per la sua medesima particolarità».23 Le istituzioni della cultura o della memoria (archivi, biblioteche, musei, centri di documentazione) che hanno tradizionalmente svolto il compito di conservare e rendere accessibili le

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David Bidussa, Dopo l’ultimo testimone, Torino, Einaudi 2009, p. 25. David Bidussa, op. cit., p. 5. 23 Jacques Revel, cit. in David Bidussa, Dopo l’ultimo testimone, Torino, Einaudi 2009, p. 41-42. 22


risorse documentarie, saranno ora chiamate non solo a ridefinire i criteri di selezione dell’attuale produzione memorialistica, ma anche a rispondere al bisogno degli utenti di accedere ai contenuti informativi o esperienziali registrati in forma di diari, memorie o racconti su differenti supporti, comparare ‘voci’ e ricordi, elaborare nuovi documenti. Numerosi ostacoli si frappongono a questo progetto: è richiesta infatti una indicizzazione più analitica della risorsa, un catalogo che permetta una migliore navigazione tra differenti percorsi di ricerca, un accesso diretto alle risorse e infine l’integrazione delle diverse risorse tra loro tramite la cosiddetta interoperabilità dei formati e la costruzione di portali e metaopac. Come osservavano Fernand Braudel e Ernest Labrousse «solo il ricorso al lavoro collettivo, solo l’utilizzazione di strumenti in grado di sostenere lo sforzo interpretativo umano, come il calcolatore elettronico» potranno «dischiudere il valore conoscitivo di quelle fonti»

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Integrare le risorse tra loro significa permettere una interrogazione puntuale in fase di

ricerca, una selezione e una lettura diretta dei materiali documentari di varia tipologia, forma e supporto. Le migliori possibilità di selezione e di accesso ai materiali di studio è basata oggi sui processi di conversione delle risorse in formato digitale, ma la complessità dell’impresa è evidente se riflettiamo sulla vastità dell’universo documentario o docuverso, ossia sulle tipologie di documenti che dovrebbero essere potenzialmente accessibili: materiali non pubblicati (fonti orali, memorie manoscritte), materiali minori o speciali, opere pubblicate a stampa o su altri supporti (p.e., pellicole, nastri o dischi ottico-magnetici), materiale grafico, oggetti e documenti prodotti intenzionalmente per una memoria privata; qui è d’interesse rilevare come attualmente la distinzione tra documento pubblico e documento privato tenda sempre più a sfumare. Le memorie manoscritte personali sono documenti importanti quali fonti per gli studi storici. I racconti autobiografici, in forma di “scritture popolari”, possono essere fissate su carta dall’autore al tempo dello svolgimento degli eventi (diario), o in un momento successivo tramite la ricostruzione dei medesimi (memoria). Nei numerosi progetti di raccolta delle memorie manoscritte, che si differenziano per finalità, oggetto e metodologia, queste sono conservate insieme ad altre tipologie di materiali. La nascita di questo tipo di archivi si può far risalire all’opera dei sociologi William Isaac Thomas e Florian Znaniecki, che a Varsavia25 raccolsero le testimonianze autobiografiche utilizzate per il loro studio sull’emigrazione dei contadini polacchi in America.26 Ricerche simili sulla storia 24

Histoire économique et sociale de la France (1977-1982), citato in Stefano Vitali, Passato digitale. Le fonti dello storico nell’era del computer. Milano, Bruno Mondadori, 2004, p. 8. 25 Nel Pamietnilovesko Polskie. 26 William Isaac Thomas e Florian Znaniecki, The Polish Peasant in Europe and America, Boston, The Gorham Press, [1918-1920]; trad. it. Il contadino polacco in Europa e in America, Milano, Comunità, 1968; cfr. Anna Iuso, Archivi Autobiografici in Europa, in “Archivio Trentino di Storia Contemporanea”, 2, 1996. In seguito l’archivio fu arricchito dei numerosi contributi dei premi autobiografici (1.600 dal 1945 al 1989) organizzati da diverse istituzioni e associazioni, per 50.000 nuovi documenti. Cfr. Antonio Castillo Gòmez, Notas sobre autobiografía y memoria popular en Italia, “Boletín de la Unidad de Estudios Biográficos”, 5, 2001, p. 51-59.


dell’emigrazione, con l’impiego delle fonti costituite dalla corrispondenza epistolare, sono state condotte anche in Italia, per esempio per gli emigranti veneti e friulani.27 Gli archivi che raccolgono testimonianze storiche o storie personali inaugurano un “sentire” nuovo; partecipando alla loro costituzione o consultandoli quali utenti, si avverte la sensazione di entrare in un mondo dove la propria memoria è un’eredità pubblica; non vi è solo la registrazione di una “storia di famiglia” e la sua trasmissione attraverso le generazioni. La memoria autobiografica può istituire uno spazio pubblico in cui i ricordi entrano in relazione tra loro, si intrecciano, ricominciano a esistere per una collettività più estesa. Alcuni esempi di archivi collettivi di scritture popolari sono l’Archivio diaristico nazionale,28 l’Archivio della Scrittura Popolare di Trento,29 l’Archivio Ligure della Scrittura Popolare di Genova.30 L’universo documentario costituito da una intricata ‘selva’ di differenti forme documentali – diari e memorie manoscritte o pubblicate, registrazioni audio, versioni uniche e multimediali di testimonianze ecc. – viene spesso percepito come il sistema che dovrebbe permettere la conservazione e la trasmissione della conoscenza e delle esperienze dei testimoni. Tuttavia – come David Bidussa ha di recente osservato – ciò non è affatto garantito. La conservazione delle storie coinvolge infatti non solo «la salvaguardia del loro contenuto verbale, ma anche le sensazioni, i gesti, i suoni. La moltiplicazione delle forme documentali vorrebbe includere tutti questi aspetti e dunque

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Emilio Franzina, Merica!, Merica! Emigrazione e colonizzazione nelle lettere dei contadini veneti e friulani in America Latina 1876-1902, 1979; 2a ed., Verona, Cierre edizioni, 2000. 28 L’Archivio diaristico nazionale <http://www.archiviodiari.it> è un’iniziativa degli abitanti del Comune di Pieve Santo Stefano (Arezzo), un paese distrutto dall’esercito nazista durante la ritirata dall’Italia. Sono state raccolte oltre 4000 memorie sotto forma di autobiografie di “persone semplici e sconosciute”; Saverio Tutino, ideatore del progetto, ricorda come il paese abbia «passato sessant’anni a riscrivere la propria storia» (Saverio Tutino, Per conservare memorie di identità: l’Archivio pilota di Pieve di S. Stefano, in “La critica sociologica”, n. 154-155, estate 2005, p. 101). L’archivio prevede una commissione di lettura e vi svolgono la loro attività due figure complementari: il lettore-esploratore (“autore di note di scavo” o “schede di viaggio”), e il donatore-scrittore di testi. Le memorie manoscritte dell’Archivio di Pieve di S. Stefano (diari personali, di guerra e di viaggio; memorie personali, epistolari) sono state schedate con l’applicazione Isis/diari (Servizio Beni Librari della Regione Toscana), mentre il catalogo è in linea dal 2000. L’Archivio, costituito nel 1991 in fondazione, si è sviluppato non solo come luogo di conservazione, ma come vivaio della scrittura popolare di carattere diaristico, attraverso l’organizzazione di premi di scrittura, a partire dal 1984. Numerosi diari sono stati pubblicati dalle case editrici Giunti (collana “Diario Italiano”), Studio Tesi, Archinto, Einaudi, Editori Riuniti e Mondadori. 29 L’Archivio della Scrittura Popolare di Trento <http://www.museostorico.tn.it/asp>, nato nel 1987, raccoglie memorie relative alla Grande Guerra; conserva e cataloga testi di origine popolare, è sede di ricerca e di studio. La varietà documentale è notevole: epistolari, diari e memorie autobiografiche della prima Guerra mondiale, delle guerre coloniali e della seconda Guerra mondiale, oppure dell’emigrazione, libri di famiglia, quaderni e diari scolastici, zibaldoni e album amicorum. Il nucleo più consistente è relativo alla prima Guerra mondiale, con memorie di soldati di origine trentina inviati in gran parte sul fronte orientale (Galizia, Carpazi, Serbia) e dei trentini che, nei giorni immediatamente precedenti la dichiarazione di guerra, furono costretti ad abbandonare in massa i paesi intorno al fronte. Il catalogo è stato pubblicato nel 1999 (cfr. Quinto Antonelli, Scritture di confine. Guida all’Archivio della scrittura popolare, Trento, 1999, con CD-ROM: 471 record, fotografie e immagini, venti diari) ed è consultabile anche in linea. Cfr., per un approfondimento, Tra storia e memoria. Fonti orali e scritti popolari autobiografici: un repertorio bibliografico trentino (1971-1993), a cura di Quinto Antonelli, Trento, Publiprint, 1993. 30 L’Archivio Ligure della Scrittura Popolare di Genova <http://www.dismec.unige.it/webalsp/alsp.htm> nato nel 1988, raccoglie, localizza, acquisisce in copia e cataloga le scritture popolari, di archivi pubblici e privati, dei secoli XIX e XX (p.e., epistolari di emigranti e di soldati delle due guerre mondiali, diari, memorie, autobiografie, quaderni). Nel 2000, l’archivio raccoglieva 18.000 documenti relativi all’emigrazione transoceanica e alle due guerre mondiali.


permettere la loro permanenza. Tuttavia cosí non sarà», 31 anche a causa delle problematiche relative alla conservazione dei materiali e alla conversione su nuovi supporti che spesso non è garantita e che rende possibile fenomeni di oscuramento o di eclisse delle memorie – per usare la felice espressione di Tullio Gregory e Marcello Morelli nella loro importante monografia pubblicata nel 1994.32 Esemplare è a riguardo il caso dell’archivio sonoro di David Pablo Boder, uno psicologo che nel 1946 raccoglie 109 testimonianze di sopravvissuti ai campi di sterminio. Boder definì le sue registrazioni spoken literature: esse rappresentano per alcuni l’inizio della storia orale come filone di ricerca accademica, in genere attribuito a Allan Nevins (1948). Le testimonianze vengono memorizzate con un registratore a filo prodotto all’Illinois Institute of Technology da Marvin Camras, una tecnologia che precedette il registratore a nastro magnetico, diffusosi solo negli anni Cinquanta. Boder pubblicò la sua traduzione di parte delle interviste, e consegnò copie delle trascrizioni in diverse biblioteche, ma le bobine originali, depositate presso la Library of Congress, non furono accessibili per molto tempo, a causa delle difficoltà di mantenere le attrezzature per leggere quei supporti, e furono nuovamente fruibili solo alla fine degli anni Novanta, grazie a un importante lavoro di preservazione e migrazione su nuovi supporti. Ma Bidussa rileva altri due aspetti che implicano un’adeguata impostazione metodologica delle istituzioni della memoria: «La nostra memoria di oggi, costruita sulla domanda di completezza e sull’offerta delle voci testimoniali, deve iniziare a fare i conti con la lenta scomparsa di quelle voci e con la possibilità che quelle storie non si completino in futuro con altre storie. Inoltre c’è la sovrabbondanza delle memorie: tutto non sarà trattenibile e per mantenere sarà necessario selezionare. Il problema non è solo cosa e come, bensí per quale motivo».33 C’è dunque, sviluppando la riflessione di Bidussa, la questione della completezza e dell’urgenza di un salvataggio delle memorie degli ‘ultimi testimoni’, ma c’è anche la questione della sovrabbondanza delle testimonianze, ossia di far fronte al sovraccarico di memoria, e quindi il problema dell’importanza e insieme della delicatezza nello stabilire procedure e criteri di selezione. Ma forse l’urgenza è quella di completare le storie con altre storie; questo significa elaborare un tessuto, incrociando diversi fili, integrando tra loro le storie. Ma quando i testimoni saranno

31

David Bidussa, op. cit., p. 3 L’eclisse delle memorie, a cura di Tullio Gregory e Marcello Morelli; prefazione di Giorgio Salvini, Roma-Bari, Laterza, 1994. 33 David Bidussa, op. cit., p. 3. 32


scomparsi, a chi andrà il compito di tessere la memoria? Chi manterrà il contenuto delle memorie per le nuove generazioni? «Quando i testimoni oculari saranno scomparsi, quando quelle voci non avranno piú voce, ci ritroveremo con un archivio definito di storie, che racconteranno scenari e situazioni. Si tratterà allora di far lavorare quelle storie narrate come ‘documenti’. In quel momento avverrà, consapevolmente per noi, il passaggio irreversibile tra Novecento e ‘attualità’». 34 L’intertestualità potenziale delle storie si attualizza come risultato di un’attività di comparazione e di composizione tra i testi, che non deve solo ricercare il tassello assente, la testimonianza mancante, o dolersi della sua perdita, quanto ricomporre l’affresco, il coro delle testimonianze

in

un

quadro

complessivo,

organico,

significativo

e

coerente.

Sono

esemplificazioni di un approccio di questo tipo, pur nelle profonde differenze tra la struttura e la finalità delle opere, la ricerca di Alessandro Portelli sulle Fosse Ardeatine35, il saggio di Pier Vincenzo Mengaldo sulla scrittura dei testimoni

36

o le scritture di Adriano Balbo relative alla

propria esperienza di partigiano nelle formazioni autonome delle Langhe37. Nel primo caso la memoria dell’eccidio si costruisce tramite il coro delle duecento voci degli intervistati, appartenenti a varie generazioni; per mettere le voci in relazione tra loro non è richiesto un sforzo: «Le Fosse Ardeatine non sono» infatti «solo il luogo in cui molte storie finiscono, ma anche quello da cui un’infinità di altre storie si diramano». 38 Nel secondo caso i frammenti di senso delle fonti testimoniali, in primis femminili, sono accostate, giustapposte, raffrontate, dunque tessute tra loro procedendo tra i vuoti e i pieni della memoria, piene concordanze e chiare discordanze dei medesimi eventi; pur non all’interno di una riflessione di genere, ne nasce un affresco che fa risaltare la creatività e la resistenza femminili, già individuate da Tzvetan Todorov in Di fronte all’estremo (1991). Nell’ultimo esempio il lavoro della memoria inizia già nel dopoguerra, e si avvale di registrazioni e di colloqui del partigiano con amici superstiti e altri informatori. La ricostruzione riesce a ricomporre la sua storia intrecciandola con quella dei compagni, e a restituire nei particolari, con un linguaggio quasi ‘filmico’, le sensazioni e il vissuto di quei giorni.

34

David Bidussa, op. cit., p. 5. Alessandro Portelli, L’ordine è già stato eseguito. Roma, Le Fosse Ardeatine, la memoria. Roma, Donzelli 1999. 36 Pier Vincenzo Mengaldo, La vendetta è il racconto: testimonianze e riflessioni sulla Shoah . Torino, Bollati Boringhieri, 2007. 37 Adriano Balbo, Quando inglesi arrivare noi tutti morti, Torino, Blu edizioni, 2005. 38 Alessandro Portelli, L’ordine è già stato eseguito. Roma, Le Fosse Ardeatine, la memoria. Nuova ed. con Cd-audio, Roma, Donzelli 2005, p. 13. 35


Se il termine ‘memoria’ mostra un ambito semantico molto ampio e diverse connotazioni che rimandano ad approcci disciplinari e teorici molto differenziati,39 forse è proprio attraverso una riflessione su questo concetto e sulla relazione tra i termini storia e memoria, che si potrà tentare di capire le dinamiche dei processi tramite i quali la memoria di particolari periodi storici o eventi sociali viene elaborata; si tratta spesso di un processo di difficile e delicata ricostruzione soprattutto nei casi in cui tale memoria è stata ‘velata’, censurata o rimossa, e spesso ‘offesa’. L’accento è posto sulla memoria come processo continuo, come attività individuale e sociale di elaborazione delle tracce del passato, e dunque come attività di ricordo e narrazione del proprio vissuto, delle fasi e delle esperienze della propria vita, che diviene ‘storia orale’, racconto registrato in forma di testimonianza, oppure memoria scritta, meno immediata, filtrata e sedimentata tramite revisioni, controlli e trascrizioni. La memoria è un atto di ricostruzione e di rielaborazione selettiva, non un deposito di ricordi che accumuliamo in modo automatico. A volte il processo – indipendentemente dall’esito, orale o scritto – assume la forma di una ricerca paziente e accurata di tracce, di quelle incisioni – veri e propri reperti – che ritroviamo sugli strati della buccia di una cipolla, secondo l’immagine attraente che Günter Grass ha usato a rappresentare la propria memoria. 40 Il rapporto che intratteniamo con la nostra memoria, sempre in costante evoluzione, e con le differenti immagini da noi elaborate della memoria collettiva degli eventi ‘cardine’ della storia del Novecento, fonda – come ha rilevato Hannah Arendt – il significato della storia: «Ogni evento sviluppa la propria efficacia soltanto nella memoria, […] nello spazio della memoria […] Il significato che l’evento ha in sé si sviluppa, diventa efficace nella memoria e fonda la storia” 41. La memoria consente di mantenere un legame tra tempi del passato e tempi del futuro quali sono percepiti dal soggetto, e dà sostanza al presente, mentre ciò che viene dimenticato o rimosso permette di percepire lo scarto tra il passato e il proprio presente. “Ciò che ricordiamo non ha, in quanto tale, nessun indice temporale, soltanto ciò che è stato dimenticato porta l’indice del passato»42 «La nostra intera esistenza qui” per Hannah Arendt “è pura presenza. Vivere realmente significa realizzare questo presente […] e fare in modo che non si scinda in passato e futuro. A differenza delle eternità, infatti, il proprio passato temporale così come il proprio futuro temporale hanno la tendenza a divorare il presente. In altre parole, la cosiddetta temporalità della nostra vita […] è soltanto la forma per promettere la nostra vita». 43 39

Vedi Barbara A. Misztal, Sociologia della memoria, a cura di Maria Immacolata Macioti. Milano, McGraw-Hill, 2007. Günter Grass, Sbucciando la cipolla; traduzione di Claudio Groff. Torino, Einaudi, 2007. 41 Hannah Arendt, Quaderno XX, 24, luglio 1954. 42 Hannah Arendt, Quaderno I, 4, luglio 1950. 43 Hannah Arendt, ibidem. 40


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