Rigenerazione delle periferie, spazi pubblici e sostenibilità a cura di: Francesca Pace Marichela Sepe Carla tedesco
INTERVENTI DEI PARTECIPANTI Introduzione: Marichela Sepe Francesca Pace Carla Tedesco
Relatori: Roberta Amirante - Ri-leggere/ri-scoprire/ri-generare: una strada per Scafati Mariella Annese - Edge spaces - Abitare i margini Rosaria Battarra, Andrea Ceudech - Spazio pubblico e riqualificazione urbana: l’area ex industriale di Bagnoli Agostino Bossi - Il Conjunto di San Diego in Aguascalientes (México) Vito Cappiello - La costruzione di spazi pubblici, luogo di sedimentazione della memoria collettiva e della spinta verso il futuro Luca D'Eusebio - Dal parco di via delle Palme a Zappata Romana Marina Fumo - Spazi pubblici tra partecipazione e integrazione Mario Losasso - Processi e tecnologie sostenibili per i parchi urbani a Napoli Pasquale Miano, Francesca Avitabile, Giorgia Aquilar - Esperienze di costruzione di nuovi spazi pubblici urbani. Il caso del Centro Antico di Napoli Milan Andreina - Rigenerazione urbana nelle medie e piccole città della romagna Francesco Mazzone, Enrico Pagliari - Valutazione della sicurezza degli attraversamenti pedonali europei (EPCA) Lia Maria Papa - Modelli interpretativi dello spazio pubblico Raffaele Parlangeli - La programmazione economica urbana della Città di Lecce: processo o progetto? La città che verrà, la via della rigenerazione e della partecipazione pubblica Thomas Greene Rankin - Spaces of Re-use, Re-use of Space Patrizia Ricci, Federica Zampa - Sicurezza, qualità, rigenerazione e usi dello spazio pubblico: l’esperienza del Progetto Sicurete nel Municipio Roma XI Michelangelo Russo - Accessibilità, mobilità e integrazione dello spazio pubblico Mila Sichera, Maria Chiara Zerbi - Ecomusei in lombardia. comunità, identità, territorio in rl 2.0 Carla Tedesco - Gli spazi pubblici nelle azioni integrate di rigenerazione urbana tra pratiche ‘istituzionali’ e pratiche sociali Maria cristina Tulli - Nuovi spazi urbani della periferia di Roma Considerazioni conclusive: Roberto Gerundo
Sessione Gli spazi pubblici nella rigenerazione urbana: integrazione, partecipazione, sostenibilità Sottosessione Rigenerazione, riqualificazione, sostenibilità Il tema della rigenerazione urbana è diventato negli ultimi trent'anni anni di grande attualità nell'ambito delle vaste operazioni di trasformazione che stanno investendo, attraverso la dismissione di aree industriali, impianti portuali e linee ferroviarie, molte città italiane ed europee. Queste complesse operazioni hanno consentito di restituire ai cittadini questi luoghi con nuove funzioni e di creare spazi pubblici. Il tema della rigenerazione - per la presenza di diverse questioni comuni - è stato accostato in questa sessione anche a quello della riqualificazione di aree abbandonate, "in attesa", o semplicemente che necessitano per molteplici motivazioni di un intervento di valorizzazione. Il tutto inteso in un'ottica di sostenibilità. Rispetto a questi argomenti, le note introduttive che seguono sono state impostate inserendo un filtro: le domande poste da Pietro Garau per la costruzione della Carta dello Spazio Pubblico, definizione, progettazione, uso, risorse, politiche, manutenzione, gestione. Estrapolando dai contributi degli autori le indicazioni utili in tal senso, ho astratto per quanto possibile i contenuti dai specifici contesti in modo da restituirli in forma di materiale semilavorato per la Carta.
Definizione La prima domanda posta da Garau è la definizione, ovvero: cos'è lo spazio pubblico. A riguardo, ritengo utile citare, pur non volendo ancorare il concetto di spazio pubblico ad un taglio disciplinare specifico, la definizione di Urban design fornita nella Guida ministeriale britannica "By design. Urban design in the planning system: towards better practice" (realizzata dalla CABE - Commission for Architecture and the Built Environment - e dal DETR - Department of the Environment, Transport and the Regions): il progetto urbano è l'arte di realizzare i luoghi per le persone. La descrizione di progetto urbano della Guida, focalizzando una questione centrale rispetto al successo di quest'ultimo - la relazione tra luoghi e persone -, può essere estesa e anzi quasi costituirne il presupposto per la definizione di spazio pubblico. A riguardo, gli autori hanno in diverso modo confermato e/o ampliato questo concetto, riferendosi anche alla forma, alla qualità e alla funzione sociale dello spazio pubblico. Nel testo di Miano, Aquilar, Avitabile, gli spazi pubblici possono assumere differente forma: "lo spazio della strada, lo spazio “vuoto” tra un edificio e l‟altro,
lo spazio delle corti, lo spazio “ibrido” tra pubblico e privato, il tessuto connettivo che tesse relazioni con il costruito e che da esso è quasi inscindibile". E, ancora, spazi "intermedi tra interni ed esterni, coperti e pericolosamente aperti, “improvvisi” ed inusitati". Tullio riconosce nello spazio pubblico l'elemento di ricucitura tra diversi luoghi. "L‟intervento di paesaggio in ambito urbano o periurbano, può svolgere un fondamentale ruolo nell‟organizzazione e nel miglioramento della qualità della vita degli abitanti, ma non solo: tramite la costituzione e/o valorizzazione del patrimonio vegetale e l‟organizzazione dello spazio pubblico e dei sistemi connettivi, può e deve essere uno strumento di “ricucitura” urbana, di miglioramento formale e funzionale, intervenendo negli spazi pubblici per dare “forma” a molte parti di città, oggi senza definizione morfologica e identità, connettendo i quartieri e creando gerarchie fra i siti, con funzioni e intensità rappresentativa diversificata". Citando O. Bohigas riporta inoltre “la città è il suo spazio pubblico, non solo perché è la forma dell’ambito nel quale si produce e con il quale si condiziona la vita collettiva, ma anche perché esercita un’influenza nella trasformazione della forma e del contenuto sociale degli spazi privati”. Nel testo di Papa, "lo spazio si fa pubblico non tanto nella definizione normativa di una destinazione di uso comune, quanto nel contenere la sua possibilità plurale di interesse e stimolo sociale. La sua descrizione, che parte dall‟analisi delle geometrie, cromie, tessiture, materiali, sottende atti interpretativi che mettono in relazione soggettività, retroterra socioculturali, realtà materiale; consentono di comprendere ciò che ci circonda ma anche di riappropriarsene". L'attenzione al sociale è evidenziata anche nella definizione di Fumo, che sottolinea: "le strade e le piazze possono oggi essere considerate non più solo “vie di comunicazione” ovvero semplici segmenti di connessione all‟aperto di attività al coperto, ma “vie per la comunicazione” ovvero occasioni di partecipazione e condivisione di esperienza". Per Bossi anche lo spazio di un museo diventa spazio pubblico. "Lo spazio del Museo è deputato all‟incontro con “testimonianze” storiche, culturali, figurative, è il “luogo” dove l‟incontro trova significato nel costituirsi quale “percorso della memoria”, là dove la possibilità esplorativa si identifica con la capacità descrittiva, con la intenzionalità di reinterpretare, ri-tradurre quei frammenti, quelle tracce". Sichera, infine, ampliando il significato di spazio pubblico, nella sua accezione di risorsa culturale, si riferisce agli spazi degli ecomusei. "Di ecomusei risorsa, ecomusei vedetta, luoghi in costante dialogo con il proprio ambiente, capaci di carpire gli spostamenti del contesto cui appartengono, che non museificano ma reinterpretano invarianze, permanenze, sedimenti materiali e cognitivi, (...) che rispondono a un appello di “rinascita” dei luoghi, e di ridefinizione dei rapporti culturali tra uomo e territorio.
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Progettazione Se lo spazio pubblico assume un ruolo così importante e denso di significati all'interno della città, in che modo va progettato, quali sono gli elementi da tenere presente per la realizzazione di uno spazio pubblico di successo? Da Kevin Lynch a Christopher Alexander, da Jane Jacobs a Jan Gehl e alla Cabe, da Mario Spada a Domenico Cecchini e Paolo Colarossi, diverse sono le indicazioni fornite per tracciare gli elementi costitutivi del progetto. Per citarne qualcuno, Jan Gehl, in "Life between buildings", nel suo studio sui comportamenti delle persone negli spazi pubblici in rapporto alle caratteristiche ambientali riconosce tre tipi di attività, utili alla costruzione di un progetto: le attività necessarie, che si svolgono per azioni obbligate a prescindere dalla qualità dei luoghi; le attività opzionali, che dipendono da ciò che il luogo è in grado di offrire e da come le persone si sentono nel viverlo: le attività sociali, che avvengono spontaneamente quando le persone si incontrano in un particolare luogo. Dalla diversa presenza di queste tre tipologie di attività, ed, in particolare, dalla maggiore presenza di attività opzionali è determinata la qualità di uno spazio pubblico. Jane Jacobs nel suo "Vita e morte delle grandi città", riconoscendo nelle strade e nei marciapiedi il significato di spazi pubblici scrive: "La strada deve essere sorvegliata dagli occhi di coloro che potremmo chiamare i suoi naturali proprietari. In una strada attrezzata per accogliere gli estranei e per garantire la loro sicurezza e quella dei residenti, gli edifici devono essere rivolti verso la strada; non è ammissibile che gli edifici lascino la strada priva di affacci, volgendo verso di essa la facciata posteriore o i lati cechi. (...) I marciapiedi devono essere frequentati con sufficiente continuità sia per accrescere il numero delle persone che sorvegliano la strada, sia per indurre un congruo numero di residenti a tenere d‟occhio i marciapiedi dagli edifici contigui. Condizione essenziale per attuare tale sorveglianza è che lungo i marciapiedi del quartiere sia disseminato un congruo numero di negozi e di altri luoghi pubblici, e in particolare di esercizi e luoghi pubblici frequentati nelle ore serali e notturne". Le indicazioni progettuali emerse nei testi presentati nella sessione hanno arricchito queste definizioni anche rispetto a questioni molto attuali quali quelle relative alla sostenibilità. Cappiello nel suo saggio indica l'importanza di riferirsi ad un sistema di tracce depositarie del luogo. "Il progetto dello spazio pubblico dovrebbe essere in grado di recepire almeno in parte le relazioni e i segni (spaziali ed a-spaziali) che strutturano il luogo e la mente e farli divenire elementi dello spazio pubblico progettato. Ma per tradurli in architettura deve esistere la capacità di leggere il luogo e le sue “forze”, i suoi rapporti con il contesto vicino (la struttura urbana) e lontano (il paesaggio preesistente, i suoi confini, le sue emergenze, i suoi valori strutturanti)".
Miano, Aquilar, Avitabile sottolineano numerose potenzialità relazionali degli spazi pubblici. "Un elemento molto importante riguarda la posizione di queste situazioni incompiute, che possono acquistare un nuovo senso nella “sequenza” che conduce ai luoghi centrali della città antica, rispondendo a istanze di natura diversa e innestando altre relazioni “urbanoarchitettoniche”, che coinvolgono di volta in volta elementi della città archeologica e complessi conventuali, anche attraverso la riscoperta di preesistenti passaggi trasversali e di modalità di attraversamento della città inconsuete, ma interessanti. Nel testo di Losasso le questioni identitarie sono affiancate a quelle della sostenibilità: "bisogna prevedere progetti rispettosi delle identità culturali dei luoghi e delle esigenze della comunità; definire un maggior legame con i patrimoni culturali, materiali, di stili di vita e consolidando il legame con i patrimoni relazionali di carattere locale; introdurre modificazioni positive negli stili di vita di quartiere, orientandoli ambientalmente; e allo stesso tempo individuare una priorità nel risparmio energetico e incrementare l‟autonomia energetica locale con le energie rinnovabili (solare e microeolico)". Amirante nel suo progetto di rigenerazione in cui la strada assume il senso di spazio pubblico, "rintraccia e ricostruisce una struttura di relazioni tra i diversi elementi del contesto al fine di verificare il carattere “strategico” dell'intervento rispetto alla intera città, di identificarne il significato come il principio-guida legato alla volontà di restituire un significato urbano. La strada assume il valore di luogo unitario in grado di tenere “connessi” attraverso il suo percorso, pezzi della città che altrimenti apparirebbero isolati". Ancora, la questione della luce, che può essere usata come nel progetto presentato da Fumo - quale “strumento culturale” in modo che l„illuminazione valorizzi gli oggetti architettonici senza esporli eccessivamente". Inoltre, "l‟esigenza, attualissima, di porre il progetto di architettura al servizio della comunità anche nelle ore notturne diventa espressione dell' attenzione al sociale e alla risoluzione dei problemi di riconoscibilità, sicurezza e godibilità della città anche durante le ore notturne". L'attenzione al progetto della strada è importante anche negli attraversamenti pedonali ai fini della sicurezza in particolare, ma anche della qualità dello spazio complessivo. Pagliari nel suo contributo per la progettazione degli attraversamenti evidenzia diversi elementi. Tra questi: "la buona visibilità per il pedone rispetto ai veicoli che sopraggiungono, anche mediante l‟avanzamento dei marciapiedi e in alternativa arretramento degli stalli di sosta e adozione di speciale segnaletica a zig-zag; le isole salvagente, in grado di proteggere i pedoni nelle situazioni di maggior rischio o in caso di ampie sezioni stradali da attraversare; la buona visibilità per il conducente, anche mediante opportuna segnaletica verticale e orizzontale (visibilità e aderenza); la buona illuminazione dell‟attraversamento pedonale".
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Il progetto di spazio pubblico museale di Bossi infine “smaterializza” i muri perimetrali, scardinando il senso di limite e di bordo “materializzando” il percorso, in un gioco di differenze esplicitate nella figurazione astratta definita dalla “purezza” dei nuovi materiali e dal rigore del disegno contro l‟informale astrazione dei materiali esistenti". Uso Nella già menzionata Guida ministeriale britannica è riportato: "un buon progetto deve "creare luoghi vitali con un loro carattere distintivo; che siano sicuri, accessibili, piacevoli da frequentare e a scala umana. Bisogna tenere presente le esigenze della gente e creare luoghi che siano attraenti, abbiano una loro specifica identità e rispettino e valorizzino il carattere locale. Non esistono infatti due luoghi identici, un buon progetto nasce sempre da un‟interpretazione attenta e precisa dei luoghi e del contesto”. Con queste indicazioni, il tema dello spazio pubblico ci conduce verso un'altra importante questione: l'uso. Come illustra Milan nei suoi casi studio, "la scelta di densificare le aree a disposizione, con la dotazione di spazi ad uso collettivo, socio-sanitario e di piccoli servizi commerciali, risponde alle richieste specifiche e potenziali dell‟utenza anziana/femminile immigrata: istanze di socializzazione in spazi protetti e prossimi alla residenza. Il modello di riferimento, per quanto possibile, è il quartiere car-free, ottenuto limitando, per quanto possibile, la destinazione delle superfici aperte alla circolazione e sosta autoveicolare". Il progetto può quindi rafforzare l'appropriazione del luogo da parte dei suoi utenti, creando nuove possibilità di utilizzo dello spazio pubblico. Come Russo riporta in relazione al suo progetto di stazione: il nuovo accesso riqualifica un frammento di periferia. "La nuova figura cerca di mettere in relazione frammenti di luoghi e di paesaggi: la pensilina inquadra verso est una bellissima prospettiva del Vesuvio, che nessuno mai si soffermava a guardare e che oggi è lo sfondo della piazza. Anche la stazione è stata rivisitata attraverso alcune piccole operazioni di maquillage del grande telaio d‟ingresso che, con due grandi pensiline rosso lacca, si prendono gioco della sua banale figura di edificio pubblico con una pelle di granito, che ormai acquisisce una sembianza più intima ed amichevole con un aria vagamente pop. Gli anziani hanno accettato questa piccola innovazione e si sono appropriati della nuova pensilina e della piazza, vivendo questi strani oggetti con naturalezza e con una ironia che li fa sentire un po‟ più a casa quando giocano a carte in quella che ormai per tutto il quartiere è considerata come “la roulotte”. E dall'uso, ancora in un'ottica di sostenibilità, si passa al riuso. Rankin si riferisce nel suo contributo a "spazi pubblici che dovranno passare da luoghi di consumo a luoghi di produttivo riutilizzo. Per rispondere al continuo consumo di risorse la soluzione prospettata è quella in cui la vibrante vita pubblica può essere alimentata da attività produttive che ruotano attorno a
conservazione e riuso di materiale, stimolando la crescita economica verde, mentre influiscono positivamente sull'ecosistema urbano. Realizzando nuove sinergie tra urbanistica e ambiente naturale". Nel testo di Ricci e Zampa è infine illustrata la sperimentazione per la riqualificazione di uno “spazio in attesa”, abbandonato all‟incuria. "Una muta barriera, inaccessibile, capace di impedire ogni forma anche spontanea di attraversamento, di collegamento tra strade, edifici residenziali, scuole e servizi circostanti. In questo “spazio in attesa”, il progetto si confronta con una dimensione necessariamente temporanea. Non effimera o provvisoria. Il progetto restituisce alla collettività uno spazio pubblico che sarà tale, non tanto e non solo in virtù di un disegno ordinatore, di un decreto o delle forme di gestione adottate, ma se verrà riconosciuto, se gli usi e il tempo degli uomini si approprieranno di esso". Risorse Per addentrarsi nelle questioni più specifiche alla realizzazione del progetto di spazio pubblico, è necessario porsi le quattro domande che seguono. Per introdurre la prima - tipologia e modalità di finanziamento - mi riferisco nuovamente ai progetti di spazio pubblico in corso o completati in Europa nell'ambito delle operazioni di rigenerazione urbana, sociale ed economica. Solo per fare qualche esempio, cito i casi delle città di Genova, Barcellona, Helsinki le quali si sono avvalse di finanziamenti misti dovuti a risorse spesso provenienti da grandi eventi (Genova capitale europea della cultura, le olimpiadi, etc...) e hanno proceduto nel processo di rigenerazione avvalendosi di finanziamenti misti in molti casi gestiti da Società. Nel caso mostrato da Battarra, "il progetto unitario di riqualificazione urbana dell'area industriale attuato dalla Società di Trasformazione Urbana ha il suo cuore nella realizzazione della trama degli spazi aperti. Tali spazi comprendono il grande parco urbano multifunzionale; il parco dello sport; gli spazi aperti privati e di uso pubblico. Il tutto, per funzionare correttamente e per essere attuato necessita di una integrazione in ottica di rete, di trama degli spazi pubblici e degli spazi aperti pubblici e privati e delle risorse necessarie per la sua implementazione. La STU finanzia le opere pubbliche, e quindi anche gli spazi aperti pubblici, mediante due fonti primarie: i fondi europei che riesce a convogliare mediante la presentazione di progetti di qualità con ricadute urbane, i ricavi provenienti dalla vendita dei suoli per gli interventi privati (residenze e produzione di beni e servizi)". In linea con questa modalità, nel testo di Ricci e Zampa "il progetto è l‟esito dell‟attenzione dell‟Amministrazione municipale nelle varie fasi del processo, e del lavoro condotto con studenti universitari, per definire le linee-guida di organizzazione dell‟area, degli approfondimenti compiuti dai tecnici municipali tenendo conto delle
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questioni legate alla qualità e alla fattibilità in senso esteso, di una collaborazione tra pubblico e privato che si esprime nell‟affidamento temporaneo di una parte di questo spazio ad una Società che vi realizzerà un campo da softball occupandosi della manutenzione dell‟intera area, dei suoi percorsi e delle sue nuove attrezzature per il gioco, lo svago, lo sport".
questi luoghi fucina, in cui si tenta di “costruire comunicazione sociale, far emergere interessi e consumare scontri”, al fine di selezionare gli attori istituzionali politici, economici e culturali, portatori di energie innovative per il territorio".
Politiche
Il tema della gestione va trattato in un'ottica più ampia che non si ferma all'area specifica dello spazio pubblico, o al singolo atto progettuale - come ha anticipato Sichera - o ancora ai soli materiali utilizzati. Nel testo di Battarra è a riguardo riportato: "l‟ultimo tassello per la costruzione della nuova rete di spazi pubblici è rappresentato dalla gestione. A tale scopo la STU ha messo una procedura che partendo dalla redazione di studi di fattibilità economico-finanziari delle attività previste giunge alla individuazione della più efficace modalità di gestione. L‟obiettivo è quello di assicurarsi parte delle risorse necessarie alla gestione degli spazi pubblici attraverso i “canoni di concessione” delle attività a reddito da parte dei soggetti privati. Nel caso presentato, la valorizzazione immobiliare appare lo strumento principe per il finanziamento degli spazi pubblici di così grande estensione e centralità, mentre per inverso la grande qualità che lo spazio pubblico conferisce all‟intervento di riqualificazione genera un innalzamento del valore". Il riferimento alla gestione in un ambito più ampio viene riportato anche nelle indicazioni per il progetto di spazi verdi di Losasso: "ridurre sensibilmente la produzione di scarti nelle lavorazioni, puntando sul management del progetto e della realizzazione, finalizzato a questo obiettivo e ricorrendo al riciclaggio solo come ipotesi successiva".
Le risorse vanno però unite a nuove politiche in grado di innescare meccanismi concertativi e di coesione sociale e radicare i risultati sul territorio. Riagganciandomi alle operazioni di rigenerazione prima citate, si possono riportare a riguardo diversi esempi virtuosi dove l'utilizzo di adeguate politiche ha determinato il successo dell'operazione di rigenerazione e la realizzazione di adeguati spazi pubblici. Tra questi il caso di Arabianranta ad Helsinki dove, per valorizzare l‟identità del quartiere e creare nuovi spazi pubblici si è partiti dal luogo e dalla sua storia pensando alle politiche e strategie urbane più adeguate, e coinvolgendo studenti e residenti in molteplici modalità e occasioni. In linea con questo approccio, nei casi studio presentati da Milan, in particolare, "gli enti locali e territoriali hanno stimolato, con politiche di “sostenibilità”, innovative misure di adeguamento funzionale e formale nelle periferie urbane, coinvolgendo in tale processo ideativo università ed enti di ricerca presenti nella realtà regionale. Le iniziative - e pertanto gli indirizzi di governo - sono rivolti essenzialmente alla promozione di pratiche e interventi capaci di coniugare la riqualificazione di spazi pubblici e abitativi - con procedure concertate di coesione sociale e lotta all‟esclusione - al risparmio e produzione energetica da fonti rinnovabili nel settore dell‟edilizia e delle costruzioni". Manutenzione Ed, infine, due questioni fondamentali che sono spesso tralasciate, determinando non pochi problemi: la manutenzione e la gestione. Riguardo alla manutenzione, Losasso tra le linee guida riportate nel suo contributo, individua in particolare: "rilanciare le capacità e i saperi tecnici locali promuovendo la manutenzione delle opere edilizie e del verde, i servizi di base, la tutela dell‟ambiente, l‟autocostruzione, l‟artigianato locale". Pagliari, nelle sue indicazioni per il progetto degli attraversamenti, fa riferimento ad una "buona manutenzione e manifattura della segnaletica orizzontale e verticale (qualità e durevolezza)". Sichera in relazione agli ecomusei, rimarca: “l‟osservazione continua, il monitoraggio sensibile, la manutenzione efficiente, la partecipazione consapevole e organizzata” sono gli strumenti di gestione adottati in
Gestione
Concludo queste note con ulteriori indicazioni fornite nella Guida ministeriale britannica che sintetizzano diverse questioni fin qui evidenziate, rimandando alla lettura dei saggi e ai pannelli della mostra (fig.1) per più specifici approfondimenti: "Alla base di un buon progetto urbano sono in particolare importanti alcuni fattori: la comprensione delle condizioni del contesto, la fattibilità economica, la capacità tecnica e la creatività di chi è coinvolto nel processo; e la presenza di un chiaro quadro di riferimento fornito dagli strumenti della pianificazione", di cui quest'ultima, aggiungerei, va considerata tra i presupposti necessari per la costruzione di un processo di rigenerazione, ricostruzione, riqualificazione urbana. MARICHELA SEPE IRAT-CNR/DPUU Università di Napoli Federico II
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Figura 1. Immagine dei pannelli della mostra "Gli spazi pubblici nella rigenerazione urbana: integrazione, partecipazione, sostenibilitĂ " organizzata nell'ambito della sessione.
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Gli spazi pubblici nella rigenerazione delle periferie Il ruolo degli spazi pubblici nell’ambito di più ampie strategie di rigenerazione urbana portate avanti attraverso strumenti di piano o di politiche territoriali nelle aree urbane marginali. E’ questo il filo conduttore degli interventi di questa sottosessione, nell’ambito della quale la riqualificazione e rivitalizzazione degli spazi pubblici emerge, da diversi punti di vista, come fattore decisivo per la rottura delle barriere che isolano sul piano immateriale spesso più che su quello fisico intere porzioni di città. Ma vi è almeno un’altra questione che accomuna i diversi contributi e che rileva evidenziare in quanto decisiva ai fini dell’efficacia dell’azione: la capacità delle istituzioni di intercettare, attraverso pratiche partecipative,da una parte, gli usi quotidiani o comunque routinari degli spazi pubblici da parte di segmenti diversi della popolazione; dall’altra, le potenzialità di azione di gruppi e associazioni in grado di mobilitarsi e di produrre forme innovative di uso dello spazio publico. L’attenzione ai contesti marginali e degradati è al centro delle politiche regionali in tema di governo del territorio in Puglia, dove le azioni di riqualificazione di piazze e spazi aperti, attivate a partire dall’osservazione di pratiche legate agli usi, ad eventi in grado di proiettare queste piccole realtà nei circuiti nazionali e internazionali o da pratiche innovative quali quelle delle ‘piazze telematiche’ appaiono particolarmente significative nel caso delle reti di città medio-piccole. Tali azioni vanno iscritte nell’ambito della costante promozione della riqualificazione e rigenerazione urbana da parte del governo regionale attraverso diversi strumenti dell’azione territoriale e, in particolare, programmi attivati attraverso bandi nell’ambito della politica della casa e della politica dei fondi strutturali e documenti programmatici previsti dalla recente legge sulla rigenerazione urbana, come segnalato da F. Pace nel suo contributo. Le specificità dei problemi di spazi pubblici e servizi nelle città pugliesi, così come emergono dalle risposte dei comuni ad uno di questi bandi (quello dei PIRP), sono l’oggetto del lavoro di mappatura (portato avanti nell’ambito del progetto europeo URBACT II) descritto da C. Tedesco. Si iscrive nel quadro di riferimento sin qui delineato anche l’esperienza di Lecce, riportata da R. Parlangeli, sugli interventi attivati in un quartiere periferico, collegato attraverso una rete ecologica fatta di percorsi a traffico rallentato, aree verdi e spazi pubblici progettati e animati con il contributo di associazioni e
cittadini coinvolti in un percorso partecipativo denso e impegnativo; l’esperienza del quartiere Leuca rappresenta allo stesso tempo l’espressione di un nuovo modello di governance urbana in via di sperimentazione e una sfida per l’amministrazione comunale in relazione alla rigenerazione di altre parti di città. Il protagonismo dei cittadini caratterizza altresì l’esperienza, del parco di via delle Palme nella periferia di Centocelle a Roma, descritta da S. Cioli e L. D’Eusebio: i cittadini, terminato il progetto partecipato di riqualificazione di un parco pubblico voluto dal Municipio, si sono proposti come gestori del nuovo spazio. In questo caso, l’esperienza è iscrivibile nella costruzione dal basso di una più ampia strategia, che ha visto in più contesti la mobilitazione dei cittadini per la costruzione di nuovi orti e giardini condivisi in aree abbandonate, incolte, di risulta della capitale. Queste azioni ‘agro-urbane’ sono richiamate da M. Annese che riflette sui territori di margine tra realtà urbana e realtà rurale come territori nei quali è possibile promuovere azione collettiva, con particolare riferimento al Patto città-campagna incluso tra le cinque strategie operative del PPTR della Puglia. Infine, il contributo di F. Calace, che nel riflettere sulla qualificazione dello spazio pubblico nell’ambito di più ampie strategie di rigenerazione urbana, si interroga sulla necessità di diffondere buone pratiche di progettazione urbana e fa appello a due concetti principali: sostenibilità e buon senso. FRANCESCA PACE CARLA TEDESCO
Ri-leggere/ri-scoprire/ri-generare: una strada per Scafati (1) L’ambito di intervento: Via Zara, nuovo asse di sviluppo della qualità urbana Come accade in altre città dell’agro, anche a Scafati il tessuto più antico non è compatto ma distribuito in una serie di casali che solo l’espansione edilizia più recente ha ricompattato; e come in altre città dell’agro la parte più densa della città è tagliata in senso longitudinale da una serie di linee infrastrutturali, di diverso spessore e consistenza: autostrade, ferrovie, canali. Il Programma Più Europa prevedeva che l’intervento si concentrasse su un ambito definito, segnato da caratteri di degrado, di frammentazione, di perdita di significato urbano, di rischio ambientale, in cui fossero presenti strutture industriali dismesse suscettibili di riuso e di rinnovamento; un ulteriore elemento che doveva guidare la scelta dell’ambito era la presenza di programmi di recupero già avviati che fosse possibile “mettere a sistema”. Nel caso di Scafati, l’ambito di intervento include una serie di aree disposte nel centro della città, contigue ma molto diverse tra loro sia rispetto alle caratteristiche architettoniche che per il tipo di funzioni che ospitano o (in alcuni dei casi più significativi) ospitavano. Il lavoro di ri-lettura dell’area oggetto del Programma Più Scafati ha avuto come primo obiettivo quello di rintracciare e ricostruire una struttura di relazioni tra i diversi elementi che consentisse di verificare il carattere “strategico” di questo intervento rispetto alla intera città, di identificarne il significato complessivo, e infine di articolarlo per azioni specifiche. Da questo lavoro è emerso il nuovo ruolo che è possibile attribuire a via Zara. Questa strada, oggi uno spazio marginale, è ancora in qualche modo riconoscibile e riconosciuto come un “luogo” significativo, presente non solo nei libri che raccontano la storia della città ma anche nella memoria di molti degli abitanti. Quello che oggi appare come un tracciato frammentato, residuale e degradato potrebbe trasformarsi dunque in un asse portante della Scafati contemporanea. Un asse che tiene insieme, come una corda tesa, il centro di Scafati con il suo margine occidentale verso Pompei, segnato dalla grande struttura dismessa del Polverificio Borbonico. Al centro di questa “corda” c’è l’area dismessa del Tabacchificio. Il rischio idrogeologico e la valorizzazione ambientale La perdita di senso urbano di questa strada è legata non solo alla difficile relazione con le infrastrutture più recenti che l’hanno scavalcata con indifferenza (il cavalcavia) o interrotta brutalmente (la linea ferroviaria) ma soprattutto al degrado progressivo del Bottaro (uno dei più importanti tra i canali che i Borbone realizzarono nell’area per razionalizzare l’uso della acque del fiume Sarno) che di via Zara rappresenta il complemento materiale.
Necessariamente dunque, l’identificazione dei temi di progetto e delle aree che potrebbero essere oggetto di intervento è avvenuta anche attraverso l’assunzione di un’altra serie di informazioni: in primo luogo legate alla ipotesi di bonifica del Sarno e più in generale alle indicazioni contenute nei documenti redatti dall’Autorità di Bacino che ha messo in luce la necessità di sviluppare delle ipotesi del Più Scafati congruenti con le logiche di tutela e di valorizzazione di quest’area, possibili rispetto al suo regime di “rischio” idrogeologico (l’area è quasi interamente contenuta nella fascia di “rischio elevato” e “molto elevato”). Il principio-guida del programma Il principio-guida è legato alla volontà di ridare un significato urbano a via Zara. Per ottenere questo risultato è necessario non solo riconoscere la dimensione complessiva della strada – dal centro al Polverificio - e riqualificarne il percorso ma anche restituirle una condizione di “centralità longitudinale”. La prima operazione implica la riqualificazione del tratto di via Zara già percorribile e la “riscoperta” della sua parte oggi impraticabile; oltre naturalmente alla necessità di individuare una soluzione che consenta il superamento dei binari che dividono tra di loro le due parti. La trasformazione di via Zara – che potrebbe porsi come una sorta di “parallela convergente” dell’attuale “corso” della città - è resa possibile dal processo di recupero del fiume Sarno; processo che è stato avviato ormai già da alcuni anni e che prevede alcuni interventi di bonifica del canale Bottaro (individuato come parte significativa del progetto della seconda foce del fiume messo a punto dall’Autorità di Bacino). L’intervento di riqualificazione deve puntare a dare alla strada un carattere sostanzialmente pedonale (ed eventualmente ciclabile) riducendo la circolazione al solo servizio per i residenti; deve prevedere una pavimentazione e una illuminazione unitaria dell’intero percorso; deve prevedere una serie di piccoli interventi sulla sezione stradale, differenziati in funzione dei diversi tratti identificati nella fase di descrizione. Via Zara e i “pezzi” della città Considerare via Zara come un percorso unitario significa dunque tenere “connessi” attraverso il suo percorso, pezzi della città che altrimenti apparirebbero isolati: è via Zara, con il suo prolungamento verso nord, che può dare un senso unitario alla riqualificazione, in atto, di due dei quartieri storici della città, Mulini e Vetrai. Così, anche se è ambiziosa, assume nuovo senso l’ipotesi di considerare legato alla riqualificazione di via Zara anche l’avvio della “rigenerazione” di uno dei quartieri di edilizia pubblica più difficili del territorio di Scafati, quello di Mariconda. L’idea che sostiene questa ipotesi è che l’“apertura” del bordo settentrionale del quartiere e la sua riconnessione fisica con l’area attualmente occupata dal deposito dei fanghi del Sarno - che potrebbe assumere in futuro il ruolo di un parco urbano - possa essere il punto di partenza per
riconfigurare la struttura insediativa del quartiere, oggi incomprensibile, nonché per conquistare degli spazi pubblici e delle aree verdi formalmente compiute e integrate con il costruito. Muovendo da questa logica di rigenerazione, nell’ambito del Programma è contenuta l’ipotesi di verificare la possibilità di avviare un programma di housing sociale, edificando, nello stesso ambito o in ambiti adiacenti, alloggi a basso costo, ovvero a canone sociale, moderato e/o convenzionato, destinati a quelle categorie di cittadini (famiglie monoreddito, anziani, studenti) che non sono in grado di sostenere canoni e prezzi di mercato. La “testata” del percorso: la variante a via Oberdan e la riunificazione dell’area ex del Gaizo Se via Zara viene letta come una sorta di “corda” tesa tra centro e periferia, e come un nastro che tiene insieme parti diverse della città, corollario particolarmente significativo della sua “riscoperta” è la razionalizzazione dell’area che ne segna l’inizio, della “testata” del sistema strada-canale. L’ipotesi di trasformazione più rilevante è la deviazione della strada che oggi taglia in due l’area originariamente occupata dagli stabilimenti industriali, correndo lungo il canale parallelo al Sarno; trasformare questa strada in una circumvallazione dell’area ex-Del Gaizo significa poter lavorare sulla riconnessione della villa Comunale con l’area attualmente occupata dalle scuole e dalla Caserma; area che vive oggi una condizione di frammentazione, di marginalità e di isolamento. A questa sostanziale trasformazione (possibile anche perché la strada di fatto già esiste e ha solo bisogno di trovare uno sbocco nell’angolo sud-occidentale dell’area, attualmente occupato da un autolavaggio) fanno da corollario una serie di interventi di razionalizzazione delle aree libere e delle funzioni (spostamento nella attuale scuola media di funzioni legate all’amministrazione comunale e ricostruzione della scuola all’interno dell’area ex-Del Gaizo; razionalizzazione del parcheggio nella piazza antistante la villa Comunale; ampliamento dell’area sportiva a servizio delle scuole) oggi disposte all’interno di quello spazio. Alla deviazione della strada si collega anche l’ipotesi di rifunzionalizzazione dell’area dello scalo merci, nella quale potrebbe essere spostato lo stazionamento degli autobus (secondo una utile logica di interscambio) e realizzate aree di parcheggio. La riqualificazione e il riuso del Tabacchificio Alla volontà di individuare le aree “sensibili” collegate al percorso di via Zara è riconducibile l’intervento ipotizzato sul Tabacchificio: in attesa di identificare le logiche della sua possibile rifunzionalizzazione, si può
ragionare sulla posizione dell’isolato industriale e sulla sua riconnessione con via Zara. Riconnessione che può avvenire modificando il suo “orientamento” originario: il Tabacchificio deve ora “girarsi” verso via Zara. Un movimento che è possibile provocare eliminando la chiusura del fronte sul canale e sfruttando la presenza delle strade interne, una delle quali potrebbe anche proiettarsi al di là del canale con una passerella pedonale. Anche sugli altri fronti può essere effettuato un lavoro di smarginatura, attraverso la rimozione delle recinzioni: proprio la diversa interpretazione dei bordi dell’isolato industriale e degli spazi vuoti tra gli edifici della manifattura consente infine di adottare una logica di rifunzionalizzazione più complessa che può intervenire sull’ex-struttura industriale giocando sia sui diversi livelli, sia sui diversi volumi attraverso cui essa si articola. In particolare – ma non solo – sulla rifunzionalizzazione di questo edificio si è concentrato il lavoro di “partecipazione” compiuto in diverse forme dal gruppo di lavoro del Dipartimento, in collaborazione con il Comune. Un lavoro che ha sperimentato concretamente, in questo caso, anche la possibilità di un “uso temporaneo” degli spazi del Tabacchificio, che sono in gran parte in condizioni di essere ri-usati, così come sono, con costi assai contenuti. Un ragionamento analogo, seppure in scala minore, viene fatto per la riorganizzazione dell’area dell’isola ecologica che, conservando la sua funzione primaria, potrebbe essere ripensata – date le caratteristiche fisiche del luogo che la ospita - come un luogo pubblico finalizzato all’acquisizione di una “coscienza ecologica sul tema dei rifiuti”, con spazi destinati all’informazione, all’educazione dei bambini, al “mercato” degli oggetti usati. Anche in questo caso la relazione degli spazi interni all’isola con quelli esterni potrebbe essere rivisitata per realizzare una più significativa integrazione.
ROBERTA AMIRANTE Dipartimento di Progettazione Urbana e di Urbanistica, Università di Napoli Federico II
Note 1. Il gruppo di lavoro del Dipartimento di Progettazione Urbana e di Urbanistica è formato da: Roberta Amirante (responsabile scientifico), Paola Scala (coordinamento), Orfina Fatigato, Federica Ferrara, Maria Luna Nobile; per gli aspetti delle politiche urbanistiche e della partecipazione, Daniela Lepore e Gilda Berruti.
Figura 1. Il programma di riqualificazione
Edge spaces - Abitare i margini Il paesaggio del periurbano Rispetto alle forme della dispersione insediativa, la disciplina paesaggista propone di superare l’esasperazione del concetto di periferia, affermando una nuova forma di perifericità, associata all’idea di periurbano. Utilizzando i concetti “duri” della Lanscape ecology è possibile approcciare in maniera diversa gli spazi periferici, sollevandoli dall’idea di imperfezione urbana (Mininni, 2005) che ne ha sempre accompagnato la descrizione condotta dalla prospettiva urbano-centrica, proponendo un’interpretazione dei fenomeni in chiave ecologica. La Landscape ecology in questi contesti sostituisce l’idea bidimensionale del vuoto - individuato sulla base della quantità di urbanità presente e interpretato rispetto il potenziale di urbanità posseduto di diventare materiale urbano (case, capannoni, svincoli, carreggiata stradale) - con il riconoscimento delle strutture di paesaggio presenti. Questo approccio evidenzia, non la natura di cui sono composta queste strutture, quanto le relazioni e le prestazioni che svolgono al loro interno e con il territorio circostante. Concetti come porosità, macchie, matrice, confine, margine, se applicati alla nuova forma di urbanità, restituiscono il carattere di eterogeneità degli spazi (e non di omogeneità come è invece nella rappresentazione del landuse o dello zoning) rendendo maggiormente comprensibili le relazioni tra spazi e pratiche. Leggendo la città e la campagna come spazi matrice che si accostano con i rispettivi bordi, si restituisce la dimensione areale del margine, e in particolare nei territori contemporanei con maggiore chiarezza si evidenza la condizione di terzietà di questa spazialità periurbana. In chiave paesaggista il periurbano è il territorio prevalentemente agricolo, meno dotato di progetto urbanistico, che ha opposto debole resistenza alla trasformazione e dentro il quale è possibile ritrovare la maggior parte delle figure della contemporaneità. Il periurbano supera la nozione urbano-centrica di periferia ed esprime invece una perifericità duplice (periferia urbana ma anche periferia della campagna profonda) in base alla quale rivedere i rapporti di complementarietà e di dipendenza (Donadieu, 2006, p. XVI). Al fine di restituire qualità ai contesti periurbani coinvolti dal fenomeno della dispersione abitativa, la disciplina paesaggista propone strategie di riqualificazione agro-urbane.
Fig. 1 – Dalla periferia al paesaggio.
(Elaborazione su immagine tratta da 4.4.3 Linee guida per il patto città campagna: riqualificazione delle periferie e delle aree agricole periurbane. documenti del PPTR Puglia.) La Puglia come modello per la definizione degli strumenti Con la consapevolezza acquista che la prospettiva urbana non è adeguata per esprimere il carattere di ambienti abitativi prodotti contemporaneamente dalla cultura urbana e da quella agricola, recenti strumenti di pianificazione paesaggista in Puglia hanno indicato strategie di tipo agro-urbano per i territori periurbani, attribuendo alla campagna il valore di infrastruttura naturale di interesse pubblico. Il PPTR*, interpretando le direttive del Codice dei Paesaggio**, sottopone all’intervento paesaggista non solo i contesti naturali ed ambientali, ma anche i contesti urbani, classificando le morfologie insediative contemporanee, sulla base di fattori cronologici, spaziali e infrastrutturali. Per la classificazione della “campagna urbanizzata”, l’identificazione parte da uno studio della densità agricola (e non urbana), individuando i territori che hanno superato i parametri che individuano la zona omogenea “E”. La perimetrazione del piano è fatta rilevando l’effettivo indice di occupazione del suolo agricolo, e individuando aree, poi definite “campagna urbanizzata”, costituite da tessuti insediativi a bassa densità (residenze singole, lottizzazioni, capannoni produttivi), in cui il tessuto insediativo rurale si “deruralizza” e assume modelli urbani anche dal punto di vista sociale. È in questo morfotipo che si possono riconoscere i tratti della diffusione insediativa, e dentro questi spazi si propongono modelli innovativi di insediamenti in chiave rurale. Le strategie paesaggiste operative individuate dal piano sono 5, ma quella che coinvolge i territori periurbani è lo scenario del “Patto città-campagna”, che promuove azioni agro-urbane di riqualificazione per quegli spazi con maggiore complessità, appunto il confine, il bordo, il margine delle aree di contermine tra realtà urbana e realtà rurale. Questa strategia propone una riflessione operativa sul ruolo dei margini urbani, in particolare in quei contesti che dimostrano maggiore debolezza nei confronti delle trasformazioni. Attraverso lo strategia del patto cittàcampagna, finalizzata a restituire qualità paesaggistica agli insediamenti dispersi nella campagna, il Piano mette in somma positiva le politiche urbanistiche con le politiche agricole, valorizzando la multifunzionalità e la polivalenza dei territori di margine. Il patto, in quanto tale, non si applica con prescrizioni normative o vincolistiche ma attraverso Linee guida che indirizzano alla concertazione e condivisione delle azioni tra i soggetti istituzionali e non, interessati alla riqualificazione in qualità di proponenti quanto di fruitori finali della stessa. Le Linee Guida, documento operativo interno ai progetti integrati che specificano, costituiscono un documento tecnico rivolto ai tecnici (pianificatori e progettisti) ma si prefiggono di indirizzare, “guidare” i “produttori” di paesaggio nelle trasformazioni del territorio.
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Le azioni di riqualificazione chiamano in gioco gli spazi agricoli aperti periurbani non solo per il ruolo ambientale ed economico, ma anche e soprattutto per organizzate il territorio. Alla scala locale le aree rurali promuovono una abitabilità condivisa, fondata su progetti per l’inserimento di servizi e attrezzature in spazi utilizzati sia a scopo agricoli quanto come luoghi del loisir. L’approfondimento delle previsioni di Piano in alcune realtà idealtipiche consente di indagare alcune tematiche problematizzandole***.
ovvero una spazialità nuova, non solo fisica ma sociale, un territorio nel quale l’azione collettiva, promuove nuovi valori di convivenza, in particolare la qualità del luogo in cui si è scelto di vivere. MARIELLA ANNESE Dottoranda della Scuola Dottorale Cultura e trasformazioni della città e del territorio – sezione Progetto urbano sostenibile (XIII ciclo), DIPSA - Dipartimento di progettazione e studi dell’architettura, Università degli Studi Roma Tre, mannese@uniroma3.it, mariella.annese@factory.it
Note *
Fig. 2. I contesti idealtipici della ricerca. (Fonte: PPTR Puglia. Elaborato morfotipologie-urbane)
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Da un punto di vista degli strumenti di attuazione è evidente che alla scala della pianificazione comunale questi spazi si configurino come delle zone omogenee E+. Forzando le indicazioni normative vigenti, la realizzazione degli interventi e dei progetti tesi alla multifunzionalità dello spazio si legano a procedure di perequazione e concertazione, tali appunto da garantire la necessaria eterogeneità. Da un lato questo richiede un maggiore approfondimento su come la perequazione di diritti non edificatori o comunque di scarsa rilevanza nella trasformazione edilizia possano garantire gli interessi e le ambizioni economiche che investono il periurbano preservando il consumo di suolo e limitando l’azione del mercato. Dall’altro, davanti all’affermazione di una sorta di libertà della pianificazione comunale che adegua “caso per caso” le previsioni trasformative senza sottoporsi a limiti trasformativi preordinati, appare importante porre attenzione agli esiti fisici, riattualizzando il ruolo del progetto dello spazio aperto in grado di pesare le azioni, preordinandosi ad esse. La centralità della questione resta comunque il ruolo assunto dall’agricoltura. Intesa come funzione urbana integrata agli insediamenti non soltanto per scopi economici, essa può diventare strumento di urbanizzazione che porterebbe ad intendere la campagna come spazio infrastrutturale multifunzionale del periurbano, trasformando concettualmente il paesaggio rurale in spazio pubblico potenziale. Gli spazi agricoli periurbani, esprimerebbero cioè il potenziale inespresso del paesaggio del periurbano,
La proposta per il PPTR della regione Puglia è stata pprovata in Giunta Regionale nel gennaio 2010. Alla stesura del piano promossa dall’assessore alle Politiche territoriali prof. Angela Barbanente, hanno partecipato il prof. arch. Alberto Magnaghi in qualità di consulente scientifico insieme ad un gruppo articolato di collaboratori e consulenti. La prof. arch. Mariavaleria Mininni è stata coordinatrice senior della segreteria tecnica. ** Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, Decreto Legislativo 22 Gennaio 2004, n. 42 e s.m.i. *** L’approfondimento fa riferimento alla tesi di dottorato svolta presso la Scuola Dottorale Cultura e trasformazioni della città e del territorio – sezione Progetto urbano sostenibile (XIII ciclo), DIPSA - Dipartimento di progettazione e studi dell’architettura, Università degli Studi Roma Tre, di cui questo documento è una sintesi. Tutor prof. arch. Andrea Vidotto e prof. arch. Maria Valeria Mininni.
Bibliografia BIANCHETTI C., ( 2003), Abitare la città contemporanea, Skira editore, Milano BIANCHETTI C., (2002), Spazio e pratiche nei territori della dispersione, in Urbanistica , 119 (pag.6780) BIANCHETTI C., (1994), I territori della dispersione, in Urbanistica Vol.103 (pag.158-162) BOSCACCI F., CAMAGNI R., (a cura di), (1994), Tra città e campagna. Periurbanizzazione e politiche territoriali, Il Mulino, Bologna CLEMENTI A., DEMATTEIS G., PALERMO P.C.( 1996 ), Le forme del territorio italiano; Laterza, Roma - Bari DE ROSSI A., DURBIANO G., GOVERNA F., REINERIO L., ROBIGLIO M., (1999), Linee nel paesaggio, Utet, Torino DONADIEU P. (2006), Campagne urbane. Una nuova proposta di paesaggio della città, Donzelli, Roma
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Spazio pubblico e riqualificazione urbana: l’area ex industriale di Bagnoli Una breve premessa I processi di progettazione e attuazione degli spazi pubblici sono sempre più al centro delle politiche urbane e dell‟interesse di ricercatori e studiosi (Spada, 2011). L‟attenzione alla realizzazione di trame connettive di spazi pubblici a supporto degli interventi di riqualificazione riveste, inoltre, un ruolo strategico laddove l‟intervento di riqualificazione interessa contesti urbani dismessi o degradati in cui tale trama deve essere realizzata ex novo. Sulla base di tali considerazioni, il presente contributo è finalizzato a proporre il caso di studio della trasformazione dell‟area ex siderurgica di Bagnoli a Napoli, al fine di evidenziare i fattori che ostacolano la “costruzione”‟degli spazi pubblici – quali la scarsità di risorse pubbliche e la necessità conseguente di partenariati pubblico-privato, i rapporti talvolta conflittuali tra piano e progetto e tra spazi aperti pubblici e privati, le difficoltà insite nell‟individuazione di idonei modelli gestionali di tali spazi – utili per contribuire a proporre riflessioni generali sul tema degli spazi pubblici. Lo spazio negato dell’area industriale di Bagnoli Fino al 1905, anno di inizio della costruzione dello stabilimento Ilva a seguito dell‟approvazione della legge speciale per Napoli, la piana di Coroglio era costituita da aree agricole ed era occupata da piccoli insediamenti rurali e, nella parte centrale, dal poligono militare. Dal 1910, anno di inaugurazione dello stabilimento, invece, la piana viene sottratta al territorio extra urbano: l‟area industriale e l‟area militare resteranno impermeabili allo sviluppo della città che progressivamente a partire dal secondo dopoguerra le accerchieranno strettamente. L‟impianto siderurgico, che inizialmente si estendeva su una superficie di circa 120 ha, fu più volte ammodernato e ampliato giungendo a impegnare una superficie totale di 220 ha e a contare negli anni „70 circa 9.000 occupati. Dalla metà degli anni „70 inizia a delinearsi l‟ipotesi di chiusura dell‟impianto siderurgico a causa della bassa produttività imputabile, principalmente, a deficienze impiantistiche non eliminabili per mancanza di spazio e a causa della localizzazione inadatta ad un impianto siderurgico moderno. Nel 1991 con la chiusura del treno di laminazione, terminano le attività produttive dell‟Ilva. L’inizio della costruzione dello spazio pubblico: la pianificazione urbanistica Dal 1991, dopo quasi 100 anni di attività industriale che ha profondamente inciso sulla vita del quartiere e della città, inizia la fase della dismissione e il lungo e difficile processo di riappropriazione dello spazio negato della piana di Coroglio e di ricostruzione dello spazio pubblico.
La prima tappa di tale percorso è l‟adozione nel 1996 della Variante al Prg per la Zona Occidentale (Prg), poi approvata nel 1998, che fissa le basi per la riqualificazione dell‟area. Il principio ispiratore della trasformazione è la valorizzazione delle straordinarie risorse ambientali e il rilancio della vocazione turisticoculturale dell‟area. Il Prg fissa i limiti dimensionali per ciascuna funzione e demanda l‟attuazione ad un piano esecutivo, prefigurando un insediamento a bassa densità, il cui cuore è costituito da un grande parco urbano, caratterizzato da un‟elevata qualità ambientale. Il mix funzionale prevede attività per la produzione di beni, servizi, attività commerciali, ricettive, residenze private e pubbliche, oltre alle attrezzature territoriali e di quartiere 1 (Comune di Napoli, 1998). Nel 2001, il Comune di Napoli acquisisce le aree ex Italsider ed ex Eternit al fine di promuovere con maggiore incisività la riqualificazione dell‟area e nell‟aprile del 2002 costituisce la Bagnolifutura S.p.A. di Trasformazione Urbana, con capitale interamente pubblico, che ha il compito di attuare il piano esecutivo realizzando le opere pubbliche e valorizzando i suoli per gli interventi privati. Nel 2005 è approvato il Piano Urbanistico Esecutivo (Pue) che attua gli obiettivi del Prg ovvero ripristinare le straordinarie condizioni ambientali che furono cancellate dalla costruzione della fabbrica dando vita ad un grande sistema di attrezzature per il tempo libero “a vantaggio innanzi tutto dei cittadini di Napoli e dell‟intera area metropolitana: una sorta di risarcimento che a essi, e ai cittadini di Bagnoli per primi, è dovuto dopo un secolo di inquinamento” (Comune di Napoli, 2005). Il punto di forza del progetto urbanistico è rappresentato dal valore che assumono gli spazi aperti pubblici nel ridisegno della città: la riqualificazione della spiaggia con la rimozione della colmata ed l‟approdo turistico, la realizzazione del nuovo grande parco urbano e del parco dello sport, localizzato alle falde della collina di Posillipo di circa 35 ha e attualmente in fase di completamento, costituiscono gli elementi di qualità attorno ai quali il Pue prevede la realizzazione dei nuovi volumi (con un bassissimo indice di edificabilità2). La centralità dello spazio pubblico nella riconversione industriale di Bagnoli Il “Progetto Bagnoli”, ovvero il progetto unitario di riqualificazione urbana dell‟ex area industriale attuato dalla STU, ha il suo cuore nella realizzazione della trama degli spazi aperti. Tali spazi comprendono il grande parco urbano multifunzionale3; il parco dello sport; gli spazi aperti privati e di uso pubblico. Il tutto, per funzionare correttamente e per essere attuato necessita di una integrazione in ottica di rete, di trama degli spazi pubblici e degli spazi aperti pubblici e privati e delle risorse necessarie per la sua implementazione. La STU finanzia le opere pubbliche, e quindi anche gli spazi aperti pubblici, mediante due fonti primarie: i fondi europei che riesce a convogliare mediante la presentazione di progetti di qualità con ricadute urbane, i ricavi provenienti dalla vendita dei suoli per gli interventi privati (residenze e produzione di beni e servizi). Recentemente è stata aperta al
pubblico la piazza della Porta del Parco di Bagnoli, complesso polifunzionale che si sviluppa su tre livelli per complessivi 36.000 mq e che accoglie, un auditorium, un Centro Benessere e Fitness, spazi espositivi, una Caffetteria e parcheggi ai piani inferiori. Le piazze all‟aperto (circa 8.000 mq) rappresentano un nuovo tipo di spazio pubblico multifunzionale e flessibile. Il grande Parco Urbano, di circa 120 ha, rappresenta il cuore del nuovo insediamento, “elemento portante” dell‟intero progetto di rigenerazione urbana: al suo interno, in alcuni edifici di archeologia industriale, sono previste attrezzature a scala territoriale e servizi per il tempo libero e il leisure, come l‟Acquario Tematico, collocato nell‟ex impianto TNA e in fase di completamento, i Napoli Studios centro di produzione multimediale nell‟ex Officina Meccanica. Il progetto propone un‟idea di Parco come “grande piazza” che circonda l‟area degli edifici di archeologia industriale con una fitta vegetazione. Il primo lotto del Parco comprende il roseto, localizzato lungo il prolungamento di via Cocchia e la “piazza archeologica”. Attualmente è in corso la procedura di gara per la progettazione esecutiva, la costruzione e la manutenzione per tre anni del primo lotto4 di circa 40 ha. Il controllo degli interventi privati Un elemento critico è rappresentato dal passaggio piano-progetto, soprattutto quando gli interventi verranno progettati e realizzati dai privati che acquisteranno i suoli edificabili. Va considerato, infatti, che grazie ai bassi indici di edificabilità ed ai contenuti rapporti di copertura, anche la gran parte delle superfici fondiarie che saranno oggetto di trasformazione potranno ospitare aree a verde. A tal fine nel primo bando per la vendita dei suoli, pubblicato negli scorsi mesi, sono stati inseriti alcuni requisiti specifici sulle caratteristiche formali ed architettoniche degli spazi aperti che dovranno essere sviluppate in coerenza con quelle già previste per il progetto definitivo del vicino Parco Urbano, al fine di realizzare un‟integrazione armonica tra le diverse aree che concorrono alla trasformazione dell‟area e perseguire un‟impostazione coerente degli spazi aperti, sia pubblici che, in misura maggiore, privati. Gli spazi aperti privati, configurati formalmente in armonia con quelli pubblici e di uso pubblico, devono essere caratterizzati come spazi urbani polifunzionali. Inoltre, andranno armonizzati i materiali, le essenze botaniche e i margini degli spazi aperti privati con quelli pubblici e in particolare, con quelli del parco urbano. Per i materiali, in particolare, si dovrà privilegiare l‟utilizzo di materiali a basso consumo di energia in tutto il ciclo di vita del prodotto, di provenienza preferibilmente locale, prodotti con materie prime rinnovabili di origine naturale, recuperabili e riciclabili, a bassa tossicità per l‟ambiente e gli utenti.
Dalla realizzazione alla gestione L‟ultimo tassello per la costruzione della nuova rete di spazi pubblici è rappresentato dalla gestione. Tale aspetto, spesso sottovalutato nella realizzazione delle opere pubbliche è di fondamentale importanza per la realizzazione di una rete di spazi pubblici vitali e attrattivi. A tale scopo la STU ha messo una procedura che partendo dalla redazione di studi di fattibilità economico-finanziari della attività previste giunge alla individuazione della più efficace modalità di gestione. L‟obiettivo è quello di assicurarsi parte delle risorse necessarie alla gestione degli spazi pubblici attraverso i “canoni di concessione” delle attività a reddito da parte dei soggetti privati. Un limite riscontrato nelle esperienze condotte fino ad oggi è che spesso nella fase della pianificazione viene posta scarsa attenzione alla rilevanza economica delle attività proposte, aspetto essenziale per far intervenire i privati nella gestione delle stesse. Il caso di Bagnoli è interessante poiché un unico soggetto, la STU, agisce in un‟ottica integrata di processo attuando la “costruzione” degli spazi pubblici dalla pianificazione alla gestione. Non a caso la valorizzazione immobiliare appare lo strumento principe per il finanziamento degli spazi pubblici di così grande estensione e centralità, mentre per inverso la grande qualità che lo spazio pubblico conferisce all‟intervento di riqualificazione genera un innalzamento del valore complessivo della trasformazione. La STU è certamente lo strumento che permette, proprio per le sue modalità organizzative, all‟attore pubblico di seguire tale articolato processo, mentre le modalità di pensare gli spazi pubblici e di coinvolgere i privati devono necessariamente trovare soluzioni e strumenti innovativi che, a pensarci bene, stentano ancora oggi a decollare. ROSARIA BATTARRA Direzione Urbanistica e Valorizzazione, Bagnolifutura S.p.A. di T. U., Istituto di Studi sulle Società del Mediterraneo – C.N.R. ANDREA CEUDECH Direzione Urbanistica e Valorizzazione, Bagnolifutura S.p.A. di T. U. fino al 2010, attualmente Dipartimento di Pianificazione Urbanistica del Comune di Napoli
Note 1. La Variante per la Zona Occidentale prevede per le residenze un volume variabile fra 100 e 300 mila mc; le attività di ricerca, produttive e terziarie comprendono una vasta gamma di utilizzazioni: dagli istituti di ricerca a insediamenti artigianali, ecc. e sono dimensionate tra i 600.000 e 1.000.000 di mc. Sulla superficie complessiva del Piano pari a 314 ha, 189 sono destinati a parco e spiaggia e 28 ad attrezzature di quartiere. 2. L‟indice di edificabilità territoriale è pari a 0,68 mc/mq.
3. È utile notare che già in fase di pianificazione il carattere multifunzionale del parco urbano è supportato dal possibile impiego nei manufatti di archeologia industriale di circa 200.000 mc, con cui realizzare funzioni attrattive. 4. Il I lotto del parco e le urbanizzazioni primarie sono state finanziate nel dicembre del 2009 da fondi POR 2007-2013 per circa 76 Mln di euro.
Bibliografia Comune di Napoli (1998), Relazione della Variante al Prg per la Zona Occidentale. Comune di Napoli (2005), Relazione del Piano Urbanistico Esecutivo di Coroglio-Bagnoli. Spada M. (2001), Città e spazio pubblico, Urbanistica Informazioni, 235.
Fig. 1 – Il quadro d’insieme del Progetto Bagnoli
Fig. 2 – I nuovi spazi pubblici di Bagnoli: la piazza dell’Auditorium della Porta del Parco
Il Conjunto di San Diego in Aguascalientes (México) L’interno di una cisterna, ritrovata casualmente durante lavori di manutenzione nell’insula del conjunto di San Diego costruita a partire dal XVI secolo nella città di Aguascalientes (Messico), ha offerto l’occasione per contribuire al recupero e alla valorizzazione di quel frammento urbano. Secondo Alejandro Acosta (1), il primo nucleo di quella parte della città, ebbe inizio da una semplice costruzione prismatica che si completò alla fine del XVI secolo. Marco Sifuentes afferma che il complesso religioso di San Diego si realizzò compiutamente tra la metà del XVII al XVIII secolo (2). L’edificio è uno dei più belli dell’insula con elementi costruttivi conventuali che lo rendono rappresentativo della sua epoca. Nel chiostro adossato alla chiesa un’iscrizione indica il 1676 come anno finale della costruzione. La facciata del convento, oggi Edificio J. Gómez Portugal, sede del Centro Cultural Universitario, subì una trasformazione formale, con caratteristiche neoclassiche, nel XIX secolo. Qui si trova attualmente la sede del Museo Nacional de la Muerte che custodisce la straordinaria collezione, donata dal maestro Octavio Bojonero Gil, che, per i suoi contenuti simbolici, è in perfetta sintonia, con quella particolare sensibilità messicana che si manifesta, come raccontano Martha Esparza Ramírez e Jorge Refugio García Díaz (3), tra valore e codardia; rispetto e disprezzo; perdono e ira; umiltà e superbia; temerarietà e prudenza; ugugliaza e differenza... Il complesso di San Diego, attualmente amministrato dalla Universidad Autónoma de Aguascalientes (UAA), rappresenta una importante istituzione culturale per la città. La cisterna faceva parte di una capillare canalizzazione delle acque con un sistema di raccolta sotterranea a servizio dell’intero complesso. La sua scoperta suscitò, nel Rettore della UAA, Rafael Urzúa Macías, il desiderio di destinare quello spazio a teminale del percorso museale dove collocare un solo oggetto, fortemente simbolico: un piccolo quanto prezioso cranio di cristallo di rocca, di fattura precolombina (cm. 3x4x2, XIV sec). Lo spazio del Museo è deputato all’incontro con “testimonianze” storiche, culturali, figurative, è il “luogo” dove l’incontro trova significato nel costituirsi quale “percorso della memoria”, là dove la possibilità esplorativa si identifica con la capacità descrittiva, con la intenzionalità di reinterpretare, ri-tradurre quei frammenti, quelle tracce. Una piccola porta in lamiera di ottone chiodata e patinata si porge allo sguardo del visitatore, segnale discreto che preannuncia l’accesso allo spazio museale. Il percorso di accesso è segnalato e accompagnato dal corrimano in lamiera di ottone sagomata e patinata, incassato nello spessore del muro, che contiene la luce che illumina la scala, alla quale fa da contrappunto l’ombra profonda dello spazio sovrastante. Le pareti ed il soffitto sono trattate con intonaco fine sfrattonato e attintato con un blu di prussia, reso più intenso dalle velature brune realizzate con la spugna e
successivamente incerate. La nitida linea luminosa prodotta dalle luci provenienti dal corrimano si sfalda e si ammorbidisce per la rugosità della parte del muro sottostante che, al contrario, non è stato trattato, mettendosi così in risalto con l’effetto di rendere separato l’elemento della scala, la cui rigorosità geometrica viene accentuata anche dalla pietra nera “slate”. Dopo il primo tratto della rampa le pareti della cisterna vengono lasciate allo stato originario; questa differenza rimanda ad una sorta di articolazione di senso dello spazio della scala: il primo tratto vuole costituirsi, pur nell’unità del percorso, come l’“atrio” di accesso alla “stanza” sottostante, ottenendo un ulteriore effetto nella visione in controcampo, quello di annullare il peso della parete restituendo la sensazione di ombra profonda che tende ad isolare l’invaso della cisterna ed allo stesso tempo a dare la sensazione di uno spazio che si dilata.
Fig.1, progetto, assonometria
Fig. 2, scala di accesso all'invaso ipogeo
Il percorso subisce una prima cesura, la sua continuità viene scandita dalla necessità di una pausa determinata dalla presenza di una teca di cristallo in cui sono esposte due oggetti votivi funerari ed una terracotta policroma, “la vida y la muerte”. Dal pianerottolo ancora quattro scalini portano su di una passerella di poco sollevata rispetto alla quota della cisterna, che conduce al fondo e dove, terminando su di uno specchio d’acqua, ritroviamo un recesso con immagini che vi si proiettano e, finalmente, sulla destra, in un’altra rientranza della parete, si rivela, dietro un vetro, il piccolissimo teschio di cristallo di rocca. La pietra nera della passerella diventa segno astratto nello spazio ipogeo rivelato dalla luce naturale proveniente da un oculo lasciato aperto nella copertura a volta, a cui fa da contrappunto la luce artificiale di tre punti luminosi situati sull’imposta della volta sul lato opposto. Ombre e luce rivelano piccole cavità costruite dall’articolazione dei pilastri della cisterna, allusive di antri immaginari; la scabrosa materialità delle pareti e la rugosità del pavimento accentuata anche dalla geometria del suo spartito vengono contrastate dalla rigorosa geometria del percorso di pietra nera sottolineata anche dalla linea di luce sottostante, che ne accentua il distacco dal piano di calpestio preesistente; altresì la “lastra” d’acqua, che conclude il percorso incrociando il tappeto di pietra, viene a formare quasi una croce ed evidenzia ulteriormente l’oscillazione tra figuratività e astrazione. Il progetto ha tentato di “smaterializzare” i muri perimetrali, scardinando il senso di limite e di bordo “materializzando” il percorso, in un gioco di differenze esplicitate nella figurazione astratta definita dalla “purezza” dei nuovi materiali e dal rigore del disegno contro l’informale astrazione dei materiali esistenti.
Nel piccolo spazio museale all’astrazione del percorso ed alla materialità degli spartiti spaziali, orizzontali e verticali, fa da contrappunto la forza della figuratività del piccolo cranio, anticipata dalle tre sculture nella teca e dalle proiezioni di incisioni rappresentanti varie scene che vedono protagonisti scheletri vestiti in vario modo che agiscono, combattono, “vivono” in una rappresentazione ironica della morte. Nel buio del recesso, situato alla fine del percorso, emerge un sottile tubolare metallico che termina in un piccolo vassoio d’argento, leggermente concavo; questo accoglie la luce diffusa dalla fibra ottica contenuta nel tubolare e la diffonde sul teschio sollevato dal piano orizzontale del piatto mediante piccoli supporti. Il cristallo di rocca permeato di luce rende quasi immateriale l’immagine del teschio; linee sottili, piccole ombre, tracce leggere definiscono i tratti del cranio, punto luminoso che emerge come sospeso dalla profondità dell’ombra del recesso dove è situato, piccolo diamante sagomato, figura cristallizzata. Nel suo saggio (4), a proposito di questa realizzazione, l’amico Ludovico M. Fusco scrive, generosamente,: “...L’“allestimento” vuole esplicitare un modo diverso e rinnovato di operare; nel piccolo museo il progetto, pur intervenendo su di uno spazio preesistente, è concepito come un’operazione di vera e propria costruzione architettonica resa possibile dalla capacità di usare un metodo compositivo tettonico di tipo paratattico. I molti, i tanti Musei progettati da grandi star dell’architettura costituiscono, spesso, la grande attrazione turistica per le città che le ospitano più per il loro valore di icona, che per le opere esposte, le quali ne diventano quasi un corollario. Gli architetti fanno a gara per dimostrare le loro capacità inventive, la propria capacità di essere “artisti”. Agostino Bossi costituisce senza dubbio un’eccezione; il suo progetto rigoroso ed “ordinato” non rinunzia a definirsi anche come “atto poetico”, quindi profondamente e, forse anacronisticamente, artistico...”. AGOSTINO BOSSI Dipartimento di Progettazione Urbana e di Urbanistica, Università di Napoli Federico II Note 1.Acosta Collazo, El centro histórico de Aguascalientes, pérdida de patrimonio, alteraciones y conservación en la segunda mitad del siglo XX, Aguascalientes, UAA, 2007. 2. M. Alejandro Sifuentes Solís, El Camarín de San Diego y su geometría simbólica, Universidad Autónoma de Aguascalientes, 1998. Pp. 33 46. 3. Martha Esparza Ramírez e Jorge Refugio García Díaz, México, la exquisita sensibilidad ante la muerte, in L. M. Fusco, El recinto de la muerte, ed. UAA, Aguacalientes, 2010. 4. L. M. Fusco, El recinto de la muerte, ed. UAA, Aguacalientes, 2010.
Fig.3, teca con sculture allegoriche in terracotta policroma
Fig. 4, teschio in cristallo di rocca, di manifattura mesoamericana precolombina (cm. 3x4x2)
La costruzione di spazi pubblici, luogo di sedimentazione della memoria collettiva e della spinta verso il futuro. 1 Luogo, memoria, appartenenza Uno degli aspetti che in genere vengono trascurati e rimandati (nel migliore dei casi) all’ultima fase della costruzione dello spazio urbano, è la costruzione di spazi pubblici ed a verde come luogo di sedimentazione della memoria collettiva e della spinta propositiva verso il futuro. Spesso siamo portati a considerare lo spazio tra edifici come “vuoto” tra pieni, senza importanti aggettivazioni. In effetti questo che ci appare come “vuoto”, vuoto non è. E’, viceversa, pieno di relazioni e segni (spaziali ed a-spaziali) che strutturano il luogo e la mente. Il progetto dello spazio pubblico dovrebbe essere in grado di recepire almeno una parte di questi elementi e farli divenire elementi dello spazio pubblico progettato. Ma per tradurli in architettura deve esistere la capacità di leggere il luogo e le sue “forze”, i suoi rapporti con il contesto vicino (la struttura urbana) e lontana (il paesaggio preesistente, i suoi confini, le sue emergenze, i suoi valori strutturanti). E’ ad essi che il progetto dello spazio pubblico deve dare forma, mantenendosi un po’ sottotono rispetto a questo sistema di segni, di relazioni, di memorie, con una attenzione paragonabile al progetto del sistema di illuminazione notturna: una illuminazione che lasci vedere il luogo, le sue qualità fondamentali, ma che non impedisca di leggere contemporaneamente il cielo stellato che lo sovrasta. Il problema vero è come immettere in questo processo il tema della “qualità”, che sappia anche tener conto del rapporto tra memoria ed innovazione nei caratteri spaziali di questi “luoghi simbolo”. Il rischio da evitare è di assumere un atteggiamento “mimetico”, che in nome di un passato ritenuto migliore del presente, reprima la sua contemporaneità e la sua proiezione verso il futuro. Anche in questo caso la soluzione è legata ad una capacità di equilibrio tra memoria e trasformazione. Motore per la qualità può essere considerata l’appartenenza paesaggistica, nel suo rapporto “transcalare”, come rappresentazione dell’appartenenza ad un “luogo” in senso ampio.
(negandolo nei fatti) l’elemento di virtuale relazione tra due episodi architettonici di notevole valore (la cattedrale di S. Rocco – ultima opera di Muzio, e la Chiesa Madre di origine settecentesca), oltre che con il paesaggio montano. Obbiettivi principali sono stati quelli di leggere le “forze” già insite nel luogo, e darne evidenza architettonica, mettendo in relazione il luogo con le preesistenze monumentali e con i profili dei monti all’orizzonte, determinando un “semirecinto” aperto, costituito su due lati da un lungo muro – loggiato che fa da nuovo “basamento” alla cattedrale di S. Rocco, e che contiene un percorso a rampa in intonaco rosso, e termina con una fontana. Le alberature e le essenze arbustive sono state usate in senso architettonico: un filare di lecci recinge visivamente la piazza a nord, parzialmente mascherando le facciate disarmoniche di quel lato; un filare di tigli accompagna il lungo muro verso sud, costituendo, assieme ad esso, un grande segnale urbano; un salice è disposto presso la fontana di progetto, ad apertura della prospettiva verso la cattedrale; una grande quercia rossa segna la chiusura della prospettiva principale verso la cattedrale.
2 Riflessioni a partire da esperienze compiute 2-1 Lioni: il progetto di riqualificazione di piazza della Vittoria come costruzione di una identità per l’area dell’Alta Irpinia .(Gruppo di progettazione: Prof. Arch. Vito Cappiello (capogruppo e direttore lavori – consulente dell’UTC), con Arch.tti S. Cozzolino, V. De Biase, R. Florio, N. Laurenza; consulenza botanica: dott.ssa M Grotta; computi, sicurezza ed assistenza al cantiere: Geom. R. Marsico). In questo caso l’oggetto della trasformazione è stato uno dei principali “luoghi centrali” della zona (Av), rimasto incompiuto dopo la ricostruzione post terremoto degli anni ’80. La piazza costituiva
Figura 1-2, Immagini della piazza
Figura 3, particolare della piazza Un paesaggio di portamento minore compone l’area a giardino: aceri palmati alternati ad alberi di giuda ed a ligustri creano una scena di secondo ordine; aiuole che confermano le orditure generali della piazza costituiscono una scena di terzo ordine con essenze arbustive alternate: lavanda, hypericum, verbena, bosso, che, con le loro infiorescenze e bacche colorate differenziate, attribuiscono all’area gradevoli sfumature di colore. La piazza pedonalizzata, completata nel 2004, costituiva, fino a pochi mesi fa, una attrattiva non solo per gli abitanti del comune, ma anche per quelli di una ampia area di riferimento. Massimizzava, attraverso la scelta delle giaciture dei suoi elementi architettonici e vegetali, il rapporto con i principali elementi paesaggistici del luogo. Attualmente è in atto una distruzione dei principali elementi architettonici caratterizzanti della piazza (pubblicata anche su volumi di architettura contemporanea) ad opera di un progetto privo di qualità, voluto dall’attuale sindaco del comune e dall’incapacità di comprendere i valori di appartenenza alle qualità del luogo, che il progetto esprimeva, a favore di una superficiale soluzione modaiola. Eboli: da “frantumi urbani” ad un tessuto di “luoghi : un progetto di ri-costruzione degli spazi comuni del centro storico ( Gruppo di progettazione: Prof. Arch. Vito Cappiello, con Arch.tti V. De Biase, S. Masala e Rosa Nave; Geom. R. Marsico: computi e sicurezza; A. Aragosa: elaborazioni grafiche ) Nel caso di Eboli (Sa) si è trattato di un lavoro più complesso. Il tessuto oggetto del lavoro è un sistema misto di ricostruzioni fuori sito, di consolidamenti di edifici preesistenti, di edifici puntellati dal terremoto
degli anni ’80, adiacente ad una interessante “valle dei mulini” di origine e con residui medioevali. Il tema è stato quello della ri–costituzione del tessuto connettivo tra gli edifici e la valle dei mulini, dove alle tracce catastali non corrispondevano più le tracce della nuova morfologia dei luoghi. Attraverso un lavoro di “ricostruzione” si è giunti ad una identificazione delle varie tracce. Tuttavia si è deciso di lavorare, più che su una “ricostruzione scientifica” (impossibile), su una sovrapposizione di suggestioni, tessiture e spazi che, pur contenendo la memoria storica, esprimessero le nuove necessità spaziali del complesso sistema di “brandelli” urbani residuali. Il risultato è la progettazione di un nuovo paesaggio urbano, composto da un sistema di tracciati base configurati per ottenere due tipi di continuità (una longitudinale ed una trasversale, con due distinti tipi di trattamento), e da un sistema di luoghi, intesi come piccole aree qualificanti il senso dei tracciati, intersezioni di memoria e progetto. Si sono così identificate sette piccole piazze, molto diverse tra di loro, anche se unificate da una ripetizione di “muri della memoria storica”, che, lavorando sull’intersezione fra tracce e progetto, recingono ed aprono nuove prospettive e continuità in un sistema labirintico “aperto – chiuso” che costituisce la vera essenza della memoria storica dell’area e dei suoi rimandi al “vicolo – fondaco” di origine araba, ed alla minuta vegetazione che poteva essere presente.
2.2
Figure 4-5,Particolari della piazza
Il progetto architettonico vive di un segreto desiderio (un “surplus” di valori), e cioè che il comune abbia la forza di trasformare tutto il sistema (ai piedi di un imponente castello, in prossimità del costituendo parco dei mulini di cui si è detto, e su di un percorso che riconnette monasteri ed aree archeologiche), in una area supporto di esposizioni all’aperto di artisti contemporanei che potrebbero garantire, assieme alle qualità del progetto una attrazione non solo locale al centro storico di Eboli. Tale ipotesi si sta gradatamente realizzando, grazie alla partecipazione di insegnanti ed allievi della locale Scuola d’Arte, e di un locale laboratorio teatrale per bambini. Connesso al progetto descritto è stato anche attuato un primo stralcio di progetto di riqualificazione di una piazza di accesso all’antica valle dei mulini, e la messa in evidenza di uno dei mulini medioevali meglio conservati. Il progetto è un primo passo di un più ampio programma che dovrebbe riguardare tutta la valle dei mulini di Eboli, e le preesistenze residue di un antico acquedotto medioevale.
VITO CAPPIELLO, Dipartimento di Progettazione Architettonica ed Ambientale, Università di Napoli Federico II
Dal parco di via delle Palme a Zappata Romana Premessa Lo spazio pubblico è al centro della riflessione sulla città. Nella X° Biennale di Architettura di Venezia del 2006 la città di Bogotà vinse il Leone d'Oro, il massimo riconoscimento previsto, per i progetti sullo spazio pubblico e nell’ultima Biennale di Venezia del 2010 quasi tutti i Paesi espositori hanno scelto lo spazio pubblico come oggetto della narrazione della propria realtà nazionale. Anche la Biennale che ci ospita né è un esempio. Il motivo di queste scelte è semplice, le città, ovvero i luoghi dove si concentra la maggior parte della popolazione della terra, sono fatte di spazio pubblico. Pensare lo spazio pubblico è un modo per riflettere sul nostro tempo, perché lo spazio pubblico ha un valore sociale ed è una rappresentazione simbolica della comunità. La società si palesa dove, quando e se ci sono relazioni, associazioni, luoghi e occasioni di incontro. Il parco condiviso di via delle Palme Il parco di via delle Palme è un ottimo esempio di quanto appena affermato poiché il processo partecipato ha visto protagonisti i cittadini che una volta terminato il progetto si sono proposti come gestori del futuro spazio pubblico (1). Il parco pubblico, confinante con il forte Prenestino nel quartiere di Centocelle a Roma, ha la vocazione di vero e proprio giardino di quartiere trovandosi al centro di un popoloso settore urbano con una limitata dotazione di parchi e in prossimità di numerosi servizi (2). Attualmente il parco, a causa dello stato di abbandono in cui versa, rappresenta un luogo degradato dove i cittadini si recano raramente, mentre in passato era vissuto attivamente e ospitava numerose attività. Le caratteristiche dell'area, con la presenza di un importante patrimonio arboreo e la vicinanza ad un bene storico quale il forte, offrono la possibilità di sviluppare un progetto con valenza urbana e sociale. L'intervento di riqualificazione su indicazione del Municipio Roma VII ha visto l'attivazione di un processo partecipato. Il processo partecipato ha riguardato l'individuazione di obiettivi e di opere condivise per dare corso ad un finanziamento regionale. L'avvio del processo partecipato è stato preceduto da alcuni momenti informativi, svolti attraverso incontri pubblici, un blog e facebook, indirizzati sia a far conoscere l'intenzione di intervenire per la riqualificazione dell'area, sia a raccogliere il quadro delle criticità e delle attese sul giardino. Sono state inoltre coinvolte le scuole del quartiere ed è stato realizzato un totem informativo che è stato posto in punti significativi del quartiere.
Il primo workshop di partecipazione ha visto la partecipazione di abitanti, del centro anziani N. Manfredi, del forte Prenestino e di alcune associazioni. Tutti i partecipanti seduti in cerchio hanno espresso le proprie aspettative in merito alla riqualificazione del parco. Queste sono state poi sintetizzate in un obiettivo comune: “Il SOGNO per il parco di Don Cadmo Biavati è farlo diventare un luogo SICURO adatto alla SOCIALITA’ con garanzia di MANUTENZIONE nel tempo e CURA DEL VERDE”. Oltre all'indicazione di 24 differenti richieste di opere è stata posta l'attenzione sulla sostenibilità nel tempo dell'intervento e sulla prevenzione del degrado attraverso la gestione attiva dell'area verde da parte dei cittadini stessi. Nel secondo workshop si è lavorato sull'individuazione di priorità condivise da tutti i partecipanti. I cittadini si sono riuniti in tavoli di lavoro. Ogni tavolo è stato dotato di una cartografia del parco, carta, penne e “carte da gioco” rappresentative delle proposte progettuali emerse nell'incontro precedente con indicazione di massima dei costi per ogni opera. Ogni gruppo ha avviato un confronto per scegliere le opere prioritarie in base all'importo di spesa a disposizione ed ha presentato pubblicamente quelle ritenute necessarie. Poiché l’elenco delle opere superava il budget disponibile, ciascuna opera è stata discussa, previa espressione delle motivazioni a favore e a sfavore, in modo da arrivare a una scelta condivisa da tutti partecipanti. Il tema della gestione più volte è stato rammentato come elemento chiave per la vita stessa del parco e per non vanificare le opere che il finanziamento consente di fare. La partecipazione ha portato ad un accordo, approvato in seguito dal Municipio, che prevede: opere condivise da realizzare con il finanziamento a disposizione (3); opere di manutenzione straordinaria dell'area, da richiedere agli Enti istituzionalmente responsabili (4); attivazione di un comitato di gestione. Il maggior risultato del processo partecipato risiede nella decisione da parte dei cittadini e associazioni di costituirsi in comitato per il parco e di assumersi l'onere della gestione del parco e della sua manutenzione sviluppando delle attività rivolte a tutta la cittadinanza: ad esempio un orto didattico per le scuole, uno spazio parcuor per i teenagers, uno spazio teatrale per tutti. Da un “comune” processo di progettazione partecipato si è avviato un giardino condiviso, un community garden sul modello in uso in diverse città europee, che potrà essere un riferimento per tutto il quartiere e consentire di far percepire nuovamente il parco quale punto di riferimento. Zappata Romana Il caso del Parco condiviso di via delle Palme non è isolato, ma riguarda un fenomeno poco noto, ma in forte crescita a Roma, che riguarda la costruzione da parte dei cittadini di nuovi spazi urbani operando su aree abbandonate, incolte, di risulta. Roma sembra ricalcare le orme di Parigi, Londra e altre capitali europee dove aree abbandonate o parchi senza manutenzione, in centro e in periferia, sono il campo di sperimentazione di nuovi spazi pubblici di relazione a
contatto con la natura. Il lavoro di ricerca chiamato Zappata Romana prende spunto dall’esperienza con gli abitanti di Centocelle. La mappa “Zappata Romana, disponibile a tutti on line (5), censisce oltre 70 aree costituite da giardini condivisi, orti urbani sociali e giardini “spot” in cui i cittadini hanno curato la realizzazione o curano la manutenzione secondo un progetto comune e condiviso. Zappata Romana con la sua mappa che riporta fotografie e descrizioni di ciascun giardino registra il fenomeno nella sua complessa articolazione e quantità. La condivisione della gestione da parte dei cittadini è il tratto distintivo di questo fenomeno in forte espansione rispetto a fenomeni simili quali gli orti urbani “tradizionali” abusivi e di lunga storia (dagli orti dei ferrovieri a quelli di guerra). Le motivazioni dietro a questo fenomeno sono in parte “universali” (la moda lanciata da Michelle Obama degli orti; la crisi economica; la necessità di un rinnovato rapporto con la natura), ma in parte prendono spunto da situazioni locali. Anzitutto non si deve trascurare che la spesa media sostenuta per la cura del verde urbano a Roma è di 1,22 €/mq contro i 5,07 €/mq di Parigi ed i risultati sono evidenti (AAVV, 2004). Inoltre vi è una ricorrenza con la forma urbis testimoniata anche dalla Mappa del Nolli del 1748 in cui la città costruita è inscindibile dagli orti dentro e fuori le mura (Norberg Schulz, 1979). Crediamo che uno dei motivi principali dell'esplosione di questo fenomeno a Roma sia dato dall’opportunità rappresentata dai giardini e dagli orti condivisi per fare “altro”. Mentre in città per motivi contingenti di natura politica ed economica si registra un restringimento degli spazi di socialità e cultura, un piccolo spazio condiviso conquistato da un gruppo di cittadini costituisce lo spunto per la realizzazione concreta di un gran numero di iniziative diverse. A San Lorenzo, storico quartiere centrale, tre associazioni hanno strappato un fazzoletto di terreno ai privati per costruire un'area di socialità realizzando dei giochi, un orto, spazi per la convivialità. Alla Garbatella le associazioni hanno recuperato un'area vicino alla sede della Regione, in attesa di trasformazione edilizia, per realizzare gli orti urbani comunitari. Sull’Ardeatina gli orti comunitari sono realizzati e gestiti dai lavorati ex-Eutelia. A Prato Fiorito un parco urbano gestito da una cooperativa sociale promuove attività finalizzate alla prevenzione e rimozione di situazioni di disagio sociale e coltiva una vigna utilizzata per produrre vino e sostenere progetti nei paesi in via di sviluppo. Coltivatorre è un orto biologico gestito da ragazzi/e disabili e “non” sotto La Torre del CSOA omonimo. Il parco di via Orazio Vecchi è gestito dal gruppo degli Scout Nautici "Antares". A piazza Bozzi la riqualificazione di uno sterrato ha permesso la realizzazione di un campo di calcio e l'avvio di attività sociali, educative e sportive a disposizione di tutti. Il giardino condiviso alla Città dell’Utopia è l'esito della collaborazione tra Servizio Civile Internazionale e l'associazione romana di erboristi di "Monte dei Cocci" con lo scopo di gestire e
curare l'area verde intorno a Casale Garibaldi coinvolgendo i cittadini del quartiere. Tali iniziative rappresentano dunque una risorsa preziosa per una città come Roma che deve amministrare un territorio così ampio. Si tratta di un fenomeno importante che andrebbe valorizzato e incentivato dando regole certe e sostegno in cambio della manutenzione e animazione delle aree. Soprattutto andrebbero messe in rete le esperienze esistenti consentendo lo scambio di buone prassi ed esperienze. Conclusioni Nella eterna e immobile Roma queste esperienze di costruzione e gestione in prima persona dello spazio pubblico coinvolgono ampie fasce della società costituendo una potenzialità per la costruzione di nuove relazioni sociali in contesti periferici che vede presenti dai centri anziani, alle parrocchie; dai gruppi scout alle associazioni di assistenza; da quelle ambientaliste ai Centri sociali. Sono spazi che rispondono alla forte esigenza di "fare comunità" e offrono un'alternativa anche alle categorie sociali emarginate dalla società moderna, fornendo occasioni di integrazione con immigrati e pratiche per l'educazione a pratiche ambientali sostenibili. SILVIA CIOLI LUCA D’EUSEBIO StudioUAP silvia.cioli@studiouap.it luca.deusebio@studiouap.it Note 1. Il progetto, redatto dallo studioUAP e dallo studioPAesaggiepaesaggi ha conseguito il Premio Speciale per la Partecipazione IQU 2010 e una menzione alla 1A Biennale dello Spazio pubblico 2. La dotazione di servizi intono al parco è costituito da due asili nido, due scuole elementari, due scuole medie, un centro anziani e il CSOA forte Prenestino. 3. Le opere condivise sono: Giochi bambini; Giochi ragazzi e area spettacoli; Area cani; Orto didattico; Panchine e arredi per la convivialità; Recinzione e chiusura parziale del giardino 4. Le opere di Manutenzione sono: pulizia del fossato intorno al forte; ripristino dell'illuminazione esistente; potatura delle alberature 5. http://www.zappataromana.net Riferimenti bibliografici AA.VV., (2004), Studio sul verde pubblico a Roma, Agenzia per il controllo e la qualità dei servizi pubblici locali del Comune di Roma, Roma NORBERG-SCHULZ C., (1979), Genius Loci. Paesaggio Ambiente Architettura, Milano
Spazi pubblici tra partecipazione e integrazione Progetto urbano e socialità In un‟epoca in cui il progetto di architettura appare spesso alla ribalta dei media più per la notorietà dell‟autore, assumendo quasi connotati da nomination o da gossip, che per il valore dell‟opera, è opportuno porre in rilievo l‟impegno di quegli architetti che, con grande spirito civico, trasformano il proprio incarico professionale in un‟opportunità per incidere in modo positivo sull‟ordinaria vita di una comunità urbana. Questi colleghi, tenaci operatori dello sviluppo sociale, lavorano spesso nell‟ombra dedicandosi a progetti di apparente scarsa rilevanza che grazie al loro approccio “visionario” sono trasformati in progetti di grande valore urbano creando nuovi imprevedibile luoghi pubblici: spazi di sosta, di transito, di accesso, di smistamento, di scambio, di incontro, di partecipazione, di integrazione di funzioni, di culture e di persone. Paradossalmente, gli spazi aperti pubblici, ovvero gli spazi aperti intorno agli edifici di uso pubblico sono, ancor più degli edifici stessi, i luoghi della percezione dell‟identità e della riconoscibilità dei siti e delle comunità ivi residenti. E questi spazi sono oggi ancor più importanti per consolidare, rivitalizzare, ma anche per creare ex novo, l‟urbanità delle nostre aggregazioni comunitarie siano essi villaggi, quartieri metropolitani o periferici ovvero centri storici. Perseguendo l‟obiettivo dello sviluppo sostenibile, non possiamo trascurare l‟importanza della componente sociale dello stesso e quindi dedicare una maggiore attenzione agli spazi pubblici urbani ed al loro enorme potenziale strutturante: la cultura europea si è formata e diffusa nelle nostre piazze e nelle nostre strade che sono la struttura portante delle nostre città grandi e piccole.
Fig. 1 – Miguel Arruda a Napoli a piazza Dante in occasione del workshop CITTAM 2011
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Le strade e le piazze possono oggi essere considerate non più solo “vie di comunicazione” ovvero semplici segmenti di connessione all‟aperto di attività al coperto, ma “vie per la comunicazione” ovvero occasioni di partecipazione e condivisione di esperienza. Piazza Dom Diogo de Menezes a Cascais La Piazza Dom Diogo de Menezes, adiacente alla fortezza della Cittadella di Cascais, è un esempio virtuoso di sistemazione di uno spazio urbano pubblico di ben 9.000 metri quadrati. Il progettista arch. Miguel Arruda (1) ha trasformato il progetto (2007-2009) di un grande parcheggio coperto in un‟occasione di crescita culturale di una comunità sia curando con attenzione la percezione del nuovo spazio urbano sia creando ulteriori attività di tipo culturale nel nuovo sistema spaziale. Il presupposto di Miguel Arruda è che “l‟architettura è uno strumento sociale che ha il potere e la forza di intervenire nella mutazione della cultura e delle mentalità, di valorizzare le persone” divenendo “un esercizio estremamente gratificante dal punto di vista emozionale”. L‟idea di sistemazione dello spazio urbano ha previsto di evidenziare il contrasto tra l‟antico, rappresentato dalla fortezza e dall‟adiacente contesto urbano, ed il nuovo che nonostante la vasta superficie si modella col suolo creando un largo spazio aperto pubblico ideale per il passeggio, il giro in bici, lo spettacolo di piazza… Per far ciò, il traffico veicolare è stato canalizzato al di sotto di una piattaforma in calcestruzzo bianco articolata su due livelli che, oltre al parcheggio copre percorsi e spazi culturali di uso pubblico.
Fig. 2 – La piazza - parcheggio coperto nel contesto preesistente
Il piano bianco monocromo della nuova piazza si confronta di giorno e di notte con la muraglia della fortezza, acquistando un valore aggiunto notturno anche per la presenza di linee di luce a led che solcano il pavimento e rappresentano le mappe di navigazione all„epoca delle scoperte. Piccoli volumi che emergono dalla piattaforma sono discreti sia per forma che per materiali: non hanno l‟ambizione di durare per l‟eternità, ma sono espressione del nostro tempo e delle sue necessità di risparmio energetico.
Premio biennale per l‟Architettura Contemporanea Europea “Mies Van der Rohe” grazie all„eccellenza degli aspetti concettuali, estetici e tecnici in esso contenuti. La Giuria ha fatto una selezione di 38 "opere esemplari di architettura", scelte tra la rosa di 343 progetti proposti da parte del Consiglio degli Architetti d'Europa (ACE), le associazioni aderenti, altre associazioni nazionali di architettura e il gruppo di esperti del comitato consultivo. Questo elenco di opere è incluso nel catalogo e nella mostra itinerante per questa edizione in quanto "rappresentano una importante antologia dello sviluppo della moderna architettura europea", costruita nel corso del 2009 2010. Il progetto vincitore del premio annuale è stato il Neues Museum di Berlino, dell'architetto britannico Sir David Chipperfield,
Fig.5– la fortezza di Cascais
Fig. 3– Il progetto del livello piazza e spazi culturali
Fig. 4 – Sezioni sui parcheggi interrati e sugli spazi culturali Il dislivello tra le due piattaforme è l‟occasione per creare accessi agli spazi collettivi. Premio Mies Van der Rohe 2011 dell’Unione europea Il progetto della Piazza Dom Diogo de Menezes a Cascais, tanto essenziale quanto elegante ed efficace, è stato candidato e selezionato per l‟edizione 2011 del
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Spazio urbano pubblico e percezione notturna Attualmente gli involucri sono una parte fondamentale nella progettazione architettonica e quelli concepiti dallo studio Arruda sono il luogo della comunicazione e della percezione dello spazio pubblico sia nella versione diurna che in quella notturna, alla quale il progettista dà particolare importanza.. La luce, come dichiarato dall‟architetto Arruda, è usata come “strumento culturale” con un‟importanza decisiva nella composizione architettonica e con particolare attenzione di modo che l„illuminazione valorizzi gli oggetti architettonici senza esporli eccessivamente. La stessa muraglia è illuminata con luce radente discreta che consenta ai passanti una lettura delle murature in modo dolce ed accattivante così come previsto dal progetto illuminotecnico. La luce artificiale per l‟arch. Miguel Arruda è un elemento decorativo e comunicativo e grazie alle nuove tecnologie per l‟illuminazione e può produrre effetti diversi nell‟intensità e nel colore, raggiungendo ottimi risultati estetici.L‟esigenza, attualissima, di porre il progetto di architettura al servizio della comunità anche nelle ore notturne è una caratteristica dell‟impostazione progettuale dell‟arch. Arruda ed espressione evidente della sua attenzione al sociale e alla risoluzione dei problemi di riconoscibilità, sicurezza e godibilità della città anche durante le ore notturne.
Tutte le foto sono state offerte per la pubblicazione dall‟architetto Miguel Arruda www.miguelarruda.pt
Bibliografia A 10 New European Architecture - n.32 marzo/aprile 2010 Anuario Arquitectura n.12 Diario de noticias, 28/11/2010 Construir, jornal de negocios da industria da construcao, 5/3/2009 Fig. 6 - Percezione notturna nel progetto e nella realtà urbana MARINA FUMO Dipartimento di Progettazione Urbana e di Urbanistica, Università di Napoli Federico II
Note 1. Miguel Arruda completed his studies in Sculpture at the University of Fine Arts of Lisbon and in 1989 received a degree in Architecture from the Faculty of Architecture of Technical University of Lisbon. As a Sculptor two solo exhibitions stand out: in 1966 and 1970, and in collective exhibitions the participation on the ZND and 3rd Fine Arts Exhibition of the Calouste Gulbenkian Foundation, respectively in 1961 and 1986. He began teaching at University in 1969. In 2000 and 2003, respectively, he was approved unanimously as Associate Professor and Cathedratic Professor at the Faculty of Fine Arts of Lisbon. From 1995 to 2008 he also served has Coordinator of “the Design Course” and served as Chairman of the Board of Directors of the Faculty of Fine Arts University of Lisbon from 2004 until August of 2008. As spokesman, gave lectures at a number of conferences on Design and Architecture both National and International, particularity in Italy, at the University Federico II di Napoli, and also participated on several exhibitions. His work has been developed in the fields of Sculpture, Industrial Design and Architecture. The work of the studio Miguel Arruda Arquitectos Associados, has been awarded in several competitions and published in various articles of the specialty, both National and International.In 2008 and 2009 has been nominated for the WAF - World Architecture Festival Award. Since August 2010 exhibits in the Olive Trees Garden, Centro Cultural de Belem - Lisbon, the Inhabitable Sculpture integrated into the Lisbon Architecture Triennale, 2010. In November 2010 was nominated for the European Union Prize for Contemporary Architecture - Mies van der Rohe Award 2011 with the D. Diogo de Menezes Square. In may 2012 his work will be exposed at the Triennale di Milano.
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Processi e tecnologie sostenibili per i parchi urbani a Napoli La progettazione e la riqualificazione dei parchi urbani attuate in chiave sostenibile possono rappresentare una rilevante azione strategica di miglioramento della vivibilità nei gradi centri urbani. In questo ambito, l’Assessorato all’Ambiente del Comune di Napoli ha promosso da circa un decennio percorsi di Agenda 21 locale attraverso iniziative con cui si sono realizzati o riqualificati parchi e giardini urbani (anche tematizzati, come nel caso di parchi agricoli e didattici, centri di educazione ambientale, ecc.). Il verde urbano è stato dunque oggetto di un articolato programma di rivitalizzazione che ha visto l’investimento di consistenti risorse nella realizzazione di nuovi parchi e nell’avvio di processi di manutenzione, rigenerando spazi verdi non adeguati alla fruizione in condizioni di sicurezza e benessere1. Le azioni dell’Amministrazione comunale sul verde urbano a Napoli si sono mosse inoltre nell’ottica di una sostenibilità economica, sociale e ambientale, basandosi sull’apporto qualificato di strutture universitarie. Il contributo dell’Unità di Ricerca Tecnologia e Ambiente del DPUU - Dipartimento di Progettazione Urbana e di Urbanistica dell’Università di Napoli Federico II, si è concretizzato dal 2006 attraverso varie convenzioni di ricerca con cui si è sviluppato un supporto alle decisioni della P.A. in merito a specifiche tematiche tecnologiche e ambientali attinenti il verde urbano. Nel 2010 il lavoro di ricerca applicata è stato svolto nell’ambito del Programma di “Valorizzazione mediante attività di animazione dei parchi esistenti; indagini, rilevamenti e catalogazione delle aree naturali destinate a parco” inserito all’interno di un finanziamento per l’occupazione giovanile promosso dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio su proposta del Comune di Napoli, con coordinamento dell’ANEA - Agenzia Napoletana Energia e Ambiente2. Il lavoro si è avvalso di un gruppo di giovani tecnici comunali e si è articolato secondo tre ambiti tematici: Animazione dei parchi urbani, Gestione dei sistemi energetici dei parchi urbani e Progettazione e gestione dei parchi urbani. In relazione alle competenze e alle dislocazioni all’interno dei servizi tecnici comunali e del DPUU, il gruppo dei tecnici operativi nell’ambito Progettazione e gestione dei parchi urbani ha affrontato azioni di tipo documentativo e tecnico-progettuale. Si è così attuata una progettualità finalizzata alla valorizzazione del verde urbano connesso alla mobilità ciclistica, a interventi di riqualificazione funzionale e tecnica di aree verdi, a studi e monitoraggi sulle criticità funzionali-spaziali, ambientali e tecnologiche dei parchi esistenti nonché sui profili di utenza, alla riqualificazione energetica, a un programma di “tematizzazione” di numerosi parchi, allo sviluppo del sito web sui parchi e sul verde urbano comunale, alla divulgazione degli esiti del programma di formazione e
sperimentazione promosso dall’azione ministeriale e comunale. Con il coordinamento dell’Unità di ricerca del DPUU, il Gruppo di lavoro ha contribuito ai progetti del parco urbano di Castel Sant’Elmo e del giardino di via Jannelli. Il progetto del Parco di Castel Sant’Elmo, inserito nel complesso monumentale del Castello e della Certosa di San Martino, ha puntato alla salvaguardia dell’identità culturale dei luoghi, adottando materiali e soluzioni tecniche ambientalmente compatibili e aderenti alla tradizione costruttiva napoletana. L’intervento interessa l’area verde sul costone tufaceo a ridosso della zona del fossato del Castello, con vegetazione di alberi da frutto e macchia mediterranea, terrazzamenti degradanti, manufatti di servizio, recupero energeticamente efficiente di manufatti preesistenti, valorizzazione dei resti delle fortificazioni. In termini di sostenibilità si è prevista la realizzazione di spazi per attività ricreative, sportive e ludiche con pensiline fotovoltaiche per la sosta e paline microeoliche per la produzione di energia FV, coerentemente con le linee della P.A. tese a promuovere parchi eco-energetici con valore di progetto dimostratore. Il progetto dei Giardini di via Jannelli, si colloca invece sul piano della rifunzionalizzazione di spazi verdi esistenti non rispondenti a condizioni di fruibilità e attrattività attuate in termini di sicurezza e comfort per gli utenti. Si tratta di una problematica molto diffusa, che crea disagio e scarsa frequentazione degli spazi verdi alla scala di quartiere. Il progetto ha l’obiettivo del miglioramento dell’accessibilità degli spazi, prevedendo la riduzione delle ostruzioni fisiche e delle barriere visive, l’incremento degli “attrattori” (spazi gioco, area per cani, attrezzature sportive, spazi per il relax). Le scelte tecnologiche rimarcano l’attenzione al recupero delle acque meteoriche con pavimentazioni permeabili e la realizzazione di opportune pendenze verso le aree verdi mantenute prevalentemente a raso. In generale, i progetti e le azioni nell’ottica della sostenibilità locale si sono sviluppati con azioni tese a: - prevedere progetti rispettosi delle identità culturali dei luoghi e delle esigenze della comunità; - definire un maggior legame con i patrimoni culturali, materiali, di stili di vita e consolidando il legame con i patrimoni relazionali di carattere locale; - contribuire alla ricostruzione sociale dello spazio urbano con la proposizione di una “rete dei parchi”; - introdurre modificazioni positive negli stili di vita di quartiere, orientandoli ambientalmente; - promuovere il valore degli “attrattori” nei parchi urbani, visti sia intrinsecamente come “manufatto ambientale” che un parco in sé può rappresentare, sia in relazione alle attività in esso prevedibili; - lavorare in condizioni di “nicchia”, facendo ricorso ad autosussistenze, autofinanziamenti ed energia localmente prodotta al fine di elevare la produttività locale; - ridurre l’impronta ecologica; - incrementare l’efficienza prestazionale complessiva delle opere edilizie dei parchi, implementando la
durabilità, la pulibilità, la riparabilità, l’efficienza energetica, l’accessibilità, l’attrattività, ecc.; - dematerializzare e ridurre l’impatto delle tecnologie (dalla produzione alla realizzazione e all’intero ciclo di vita); - ridurre i consumi delle risorse, utilizzando prodotti edilizi a bassa intensità energetica e materiale, ovvero con meno energia e meno materiali incorporati oltre che con minore incidenza del trasporto; - privilegiare la dimensione regionale della produzione e della commercializzazione di materiali e prodotti edilizi, attraverso tecniche di costruzione e prodotti per l’attrezzatura e l’allestimento degli spazi che utilizzano materiali locali con basso impatto di trasporto, durabilità, costi contenuti, meno materiali trasferiti ed elaborati, minore quantità di imballaggi; - rilanciare le capacità e i saperi tecnici locali promuovendo la manutenzione delle opere edilizie e del verde, i servizi di base, la tutela dell’ambiente, l’autocostruzione, l’artigianato locale; - individuare una priorità nel risparmio energetico e incrementare l’autonomia energetica locale con le energie rinnovabili (solare e microelico); - ridurre sensibilmente la produzione di scarti nelle lavorazioni, puntando sul management del progetto e della realizzazione, finalizzato a questo obiettivo e ricorrendo al riciclaggio solo come ipotesi successiva. La convenzione specialistica recentemente conclusasi dimostra la validità di un rapporto sinergico fra Istituzioni nazionali e locali e Istituzione universitaria, in cui quest’ultima ha svolto un ruolo di supporto alle decisioni oltre che di indirizzo qualificato sulle scelte progettuali e costruttive nonché sulle opportune regie di processo, per il raggiungimento di una qualità architettonica e ambientale entro coerenti tempi di attuazione, ottimizzando uso di risorse e costi in funzione degli obiettivi dettati dalla committenza pubblica. I futuri scenari di una più oculata gestione economica e amministrativa delle risorse locali richiedono oggi di comprendere il ruolo del management dei processi, delle risorse e del progetto per l’innesco di una qualificata politica dell’ordinario. Sarà necessario combattere gli sprechi per impegno etico, sociale ed economico, attivando azioni di carattere migliorativo per contrastare gli effetti negativi di opere poco attrattive, poco sicure e poco confortevoli, scarsamente durevoli, energeticamente dissipative e costose durante la vita di esercizio.
Note 1. In una condizione di risorse scarse, anche per le specie arboree vanno sviluppati i principi di durabilità, in base all’utilizzo di specie che necessitano di minore manutenzione e meno acqua, che siano inoltre meno vulnerabili dagli agenti patogeni, con la finalità di ottenere cicli di gestione del verde meno onerosi.
2. Il Comitato tecnico scientifico del Programma di
Valorizzazione promosso dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e dal Comune di Napoli è costituito da M. Macaluso, G. Pulli, M. Losasso. Nell’ambito del gruppo Progettazione e gestione dei parchi urbani, l’unità di ricerca del DPUU (coordinatore M. Losasso) ha interagito con l’Assessorato all’Ambiente (assessore G. Nasti), il Dipartimento ambiente (coordinatore G. Pulli), il Servizio realizzazione parchi (dirigente G. Cestari) e l’ANEA - Agenzia Napoletana Energia e Ambiente (presidente M. Macaluso). Il lavoro di ricerca applicata ha visto la partecipazione di tecnici del Comune di Napoli e dell’ANEA, di ricercatori del DPUU e di allievi della Facoltà di Architettura di Napoli. MARIO LOSASSO Dipartimento di Progettazione Urbana e di Urbanistica, Università di Napoli Federico II
Esperienze di costruzione di nuovi spazi pubblici urbani Il caso del Centro Antico di Napoli L’esperienza progettuale affrontata all’interno del Master Progettazione di eccellenza per la città storica costituisce un esempio significativo di “costruzione” di un nuovo sistema di spazi urbani in un’area di grande interesse del Centro Antico di Napoli, l’insula di Largo d’Avellino. Con il termine “costruzione” si intende in maniera sintetica il compimento di un processo di identificazione di peculiarità specifiche di una determinata situazione urbana, che possono essere individuate e sviluppate attraverso lo studio progettuale. D’altra parte la strategia applicata per questa specifica insula definisce una logica d’intervento che coinvolge altri “brani” del Centro Antico, delineando una vera e propria trama di nuovi rapporti e connessioni urbane che può essere ancora più estesa. Nonostante la specificità dell’area in esame, che presenta alcune peculiarità imprescindibili, come il rapporto con l’area dei teatri o la diretta adiacenza con una delle originarie porte d’accesso alla città storica, è infatti possibile riscontrare, rispetto all’intero Centro Antico, elementi ricorrenti e comuni problematiche. La presenza di ruderi, sedimi e resti archeologici, i vuoti nel tessuto urbano lasciati dai crolli bellici, l’alternarsi di “pezzi” monumentali ed edilizia recente spesso assolutamente inadeguata, sono tutti elementi fondamentali che caratterizzano questo eccezionale brano urbano, che, nonostante le difficoltà e le manomissioni, mantiene inalterate la sua compattezza e il suo fascino. Lavorare nell’ambito di queste situazioni meno risolte, nelle spesso accidentali sconnessioni del tessuto, al fine di restituire nuovi spazi aperti e nuove funzioni collettive alla città, è un obiettivo che potrebbe innescare meccanismi di trasformazione di queste aree nei quali la conservazione del patrimonio storico-culturale e le mutate esigenze della contemporaneità possano coesistere. Un elemento molto importante riguarda la posizione di queste situazioni incompiute, che possono acquistare un nuovo senso nella “sequenza” che conduce ai luoghi centrali della città antica, rispondendo a istanze di natura diversa e innestando altre relazioni “urbanoarchitettoniche”, che coinvolgono di volta in volta elementi della città archeologica e complessi conventuali, anche attraverso la riscoperta di preesistenti passaggi trasversali e di modalità di attraversamento della città inconsuete, ma interessanti. Oltre alla posizione, nell’indagine è stata presa in considerazione la dimensione, la morfologia, la perimetrazione, la funzione l’identità architettonica e le condizioni di luce di questi spazi aperti determinanti nella definizione della forma, della figura, e della condizione tipo-morfologica di questa parte del Centro Antico di Napoli.
La riconfigurazione architettonica e spaziale di questi punti può quindi legarsi al loro ruolo di elementi di connessione e di relazione, più che ad una tipologia e ad una funzione, rigidamente definite e da introdurre ad ogni costo. Ognuno di essi rappresenta una potenzialità da valutare adeguatamente nell’ambito di una strategia unitaria di riqualificazione e rigenerazione della città antica e di introduzione di nuove funzioni diffuse congruenti con l’idea del Centro Antico di Napoli come grande cittadella degli studi, delineata da Renato De Fusco (1). Ritornando al caso studiato, l’esempio più significativo è forse costituito da Piazzetta Giganti, disposta in proseguimento del grande vuoto interno all’isolato di Largo Avellino, che può anche accogliere l’ingresso ai teatri, raggiungibili attraversando spazi ipogei di eccezionale fascino da reinterpretare progettualmente, configurandoli come spaccati urbani nei quali l’antico e il contemporaneo risultano compresenti. In questi luoghi le logiche di costruzione dei nuovi spazi riconfigurati chiamano in gioco l’idea di un’architettura delle connessioni, che si innesta negli strati sovrapposti della città antica, studia attentamente le permanenze e le tracce, riscopre il “sotto” e il “sopra” degli edifici, la quota archeologica e la terrazza, riabilita percorsi abbandonati, definisce nuovi accessi, riscopre antichi passaggi, definisce pertinenze delle grandi architetture della storia, liberandole, ma denunciando con chiarezza la propria specificità. Si determina in un’area urbana ridottissima un’eccezionale casistica di spazi urbani aperti di differente natura: lo spazio della strada, lo spazio “vuoto” tra un edificio e l’altro, lo spazio delle corti, lo spazio “ibrido” tra pubblico e privato, il tessuto connettivo che tesse relazioni con il costruito e che da esso è quasi inscindibile. La dimensione dell’isolato insieme con il suo spazio collettivo diventa quindi la dimensione di progetto, e la strategia attraverso la quale costruire azioni che mirano alla riqualificazione di una parte del Centro Antico assume forti potenzialità proprio in virtù di queste nuove dimensioni e configurazioni dello spazio aperto collettivo. Gli spazi che si determinano sfuggono alle tradizionali classificazioni: intermedi tra interni ed esterni, coperti e pericolosamente aperti, “improvvisi” ed inusitati, forse, ma con molti dubbi, primi avamposti di una “contemporaneità” nella città antica, tutta da accettare e da verificare. Contemporaneità che si riflette anche nei caratteri delle nuove architetture studiate nell’ambito del Master, che non propongono una marcata accentuazione della componente ideologica, il nuovo contrapposto all’antico, ma piuttosto penetrano nelle maglie di un sistema architettonico consolidato, registrando di volta in volta distanze e differenze oramai accertate. Piazzetta Giganti diviene l’occasione per ripristinare il ruolo di connessione urbana che questo “tassello” dell’insula aveva in origine. Interpretando le tracce e le permanenze architettoniche, tra i ruderi sopravvissuti alle distruzioni belliche e le ricostruzioni degli anni sessanta, emerge la presenza di un antico passaggio che
metteva in collegamento il Chiostro dei Gerolomini ad est, con il Chiostro di San Paolo Maggiore ed il Teatro Romano ad ovest. La riconfigurazione dell’unità morfologica di questo “pezzo” di città si coniuga quindi alla riabilitazione di una connessione trasversale, negata dalle trasformazioni subite dal tessuto edilizio scartate le ipotesi di totale liberazione o di ricostruzione di un blocco monolitico, l’attraversamento è stato reinterpretato mediante la sopraelevazione del nuovo volume che, “svuotando” completamente il livello “zero”, consente un’assoluta permeabilità, fisica e percettiva, tra le due parti urbane ad est e ad ovest dell’insula. In tal modo lo spazio pubblico si “sdoppia”, articolandosi in due “strati” sovrapposti: il blocco sospeso e la “piazza” sottostante. Si determina uno spazio ibrido, aperto ma coperto, appartenente alla strada perché in continuità con essa, ma che al tempo stesso si distacca dal suolo pubblico attraverso una piastra basamentale, luogo di raccordo tra le diverse quote del terreno. La composizione del nuovo spazio libero è affidata unicamente alla disposizione dei setti murari che sorreggono il volume soprastante, orientati al fine di aprire prospettive mirate, definire direzioni privilegiate, suggerire giaciture celate. L’attrazione “centripeta” di questo spazio, incubatore urbano di una pluralità di flussi, fa corrispondere all’“esplosione” del volume che si stacca dal suolo, un’implosione verso il sottosuolo. Dalla piazza, infatti, si sviluppa un percorso sotterraneo che, recuperando la quota archeologica della città antica, raggiunge la cavea del Teatro Romano. Privato della porzione basamentale, tipica dell’edificio napoletano radicato al suolo in una sorta di continuità tettonica, il blocco monolitico si “aggrappa” alle preesistenze, in un rapporto osmotico con esse: i collegamenti verticali, unici elementi di connessione fisica tra la strada e l’edificio, si sviluppano, da un lato, all’interno dei ruderi “salvati” alle demolizioni e, dall’altro, nel corpo di sfondo di Largo Avellino, che acquisisce in tal modo il ruolo di filtro tra i due spazi aperti messi in connessione. I nuovi “innesti” architettonici, avvolti uniformemente da superfici “porose”, denunciano senza mediazioni la propria auspicata contemporaneità, rifuggendo qualsiasi atteggiamento mimetico o di confronto con la ritmica delle facciate della città antica. Largo Avellino riacquista un ruolo fondamentale emblematico, nel quale la saldatura dei due isolati ha determinato una condizione del tutto particolare, che esalta l’idea del passaggio da una città di strade e piazze, ad una città che diviene completamente architettura, dove i due termini città e architettura risultano completamente inscindibili. Un secondo esempio è costituito dalla riconfigurazione dello slargo adiacente la chiesa di San Giuseppe dei Ruffi: in questo luogo si è lavorato sul tema della terrazza. L’area risulta un caso interessante su cui intervenire per poter riflettere sul ruolo dei tanti “vuoti” presenti all’interno del Centro Antico derivanti dalle distruzione belliche, e sulla loro riconfigurazione. Il crollo di un edificio mette infatti a disposizione un’area con un elevatissimo potenziale, occupata oggi
da un parcheggio abusivo, che costituisce di fatto la porta orientale al Centro Antico dalla grande arteria di via Duomo. Nel caso specifico, la distruzione ha messo in luce la presenza del grande muro di tufo a faccia vista sul lato ovest della facciata della chiesa, che con la sua imponenza è diventato protagonista del progetto. L’esigenza di rispettare e valorizzare la preesistenza monumentale negata e nello stesso tempo la volontà di ricostituire una continuità dell’insula configurandola come porta di accesso orientale, ha portato all’articolazione di una sequenza di spazi aperti a diverse quote che interpreta lo spazio pubblico come momento di raccordo a più livelli degli elementi preesistenti. Il piano di copertura, configurato assecondando le diverse quote del basamento della chiesa, del chiostro di cui costituisce il “nuovo accesso diretto” e dell’edificio degli anni ’60, permette di costruire un sistema di spazi collettivi flessibili e fruibili in tutto l’arco del giorno, tenendo insieme la funzione universitaria con quella turistica. Alla definizione architettonica di questo spazio concorre, da un lato, il recupero di alcuni bassi ed il contestuale ripristino del muro di tufo a faccia vista che diviene presenza scenica e materiale delle trame del luogo; dall’altro la presenza di un elemento più alto che funge da filtro e ridisegna il prospetto est dell’edificio degli anni ’60 come una “facciata muta” che si confronta con la monumentalità della chiesa. Anche in questo caso la costruzione di un nuovo spazio collettivo si configura come una strategia volta ad innestare nel Centro Antico elementi di dinamicità, nuove quote, nuove prospettive e nuovi spazi. Queste forma ibride dello spazio aperto - la piazza coperta, la terrazza sopraelevata - sulle quali, anche dal punto di vista della definizione, si intrecciano connotazioni tradizionali e nuove terminologie, sono state pensate come elementi architettonici, la cui peculiarità è costituita proprio dal ruolo di elementi di relazione e di connessione delle architetture contemporanee nella città antica. PASQUALE MIANO Dipartimento di Progettazione Urbana e di Urbanistica, Università degli Studi Napoli Federico II FRANCESCA AVITABILE, GIORGIA AQUILAR Dottorato in Progettazione Urbana e Urbanistica, Università degli Studi Napoli Federico II
Note 1. De Fusco, R. (2009), Il centro antico come cittadella degli studi. Restauro e innovazione della Neapolis greco-romana, Clean, Napoli
Bibliografia Miano, P. (2011), “La dimensione conforme dell’intervento per il Centro Antico di Napoli”, in
AA.VV., Master di II livello – Progettazione di eccellenza per la città storica – Yearbook 2009/2010, Izzo, F., Vanacore, R., Sirica, A. (a cura di), Paparo Edizioni edito in occasione della mostra Napoli: ricerca conoscenza e proposte per il Centro Antico, Napoli 28 marzo/10 aprile 2011 Aquilar, G., Avitabile, F., Fiumarella, A., Perna, C., Scotto di Tella, A., “Spazi collettivi per il Centro Antico”, in AA.VV., Master di II livello – Progettazione di eccellenza per la città storica – Yearbook 2009/2010, Izzo, F., Vanacore, R., Sirica, A. (a cura di), Paparo Edizioni edito in occasione della mostra Napoli: ricerca conoscenza e proposte per il Centro Antico, Napoli 28 marzo/10 aprile 2011
Fig. 1 - Pianta tipologica e sezioni di progetto
Rigenerazione urbana nelle medie e piccole città della Romagna. Urban regeneration in medium-sized and small towns of the Emilia-Romagna region. Social housing and educational spaces Urban regeneration in small and medium cities of Romagna is the object of collaboration between University and Local Institutions. The study concerns the identification of public interventions aimed at improving the functional efficiency, energy consumption and security for schools and residential buildings. The analysis is aimed to the acquisition and development of data on the quality and comfort of the existing buildings, and their surroundings) with the aim of improving its characteristics. The project has been developed in an innovative way: it corrects the existing distortions and inadequacies. The new projects and extensions meet the criteria of environmental, social and economic sustainability Crisi e ricerca. In una regione, come quella emiliano-romagnola, connotata da una consolidata tradizione di efficienza amministrativa, l’avvio del Terzo Millennio e l’esplodere della crisi finanziaria - se da un lato ha eroso ed indebolito l’iniziativa pubblica e privata - per contro, ha determinato la ripresa degli studi urbani ed il realizzarsi di interventi rigenerativi in aree degradate o dismesse. In modo particolare, l’insorgere o l’acutizzarsi di fenomeni post-industriali - il declino delle aree produttive e dell’industria balneare, le emergenze energeticoambientali, l’immigrazione e il difficile percorso di integrazione sociale - hanno risvegliato attenzione verso settori, come l’edilizia sociale e scolastica, trascurati dopo decenni di privatizzazione (Alberani, Imolesi, 2011). Sinergia tra enti locali e università. Gli enti locali e territoriali hanno inteso stimolare, con politiche di “sostenibilità”, innovative misure di adeguamento funzionale e formale nelle periferie urbane, coinvolgendo in tale processo ideativo università ed enti di ricerca presenti nella realtà regionale. Le iniziative - e pertanto gli indirizzi di governo - sono rivolti essenzialmente alla promozione di pratiche e interventi capaci di coniugare la riqualificazione di spazi pubblici e abitativi - con procedure concertate di coesione sociale e lotta all’esclusione - al risparmio e produzione energetica da fonti rinnovabili nel settore dell’edilizia e delle costruzioni (Tecnopoli, Edilizia e costruzioni; Por FESR
- Programma Operativo Regionale del Fondo europeo di sviluppo regionale, 2007-2013). Nuovi parametri del benessere urbano. Da anni ormai le classifiche del quotidiano economico “Il Sole 24h” sulla qualità della vita delle città italiane, indicano il territorio di Forlì-Cesena (ab. 391.072 nel 2010; fonte: ISTAT) parametri di eccellenza. La provincia “nel 2010 si è collocata al 19º posto, avanzando di venti posti rispetto all'anno precedente”. Il caso romagnolo, pur vantando classifiche invidiabili rispetto alle città medie e grandi del Paese, fa emergere tuttavia notevoli criticità in rapporto alla percezione della sicurezza sociale. Questo aspetto assume particolare rilievo in un ambito in cui le priorità programmatiche dell’amministrazione pongono al primo posto “la valorizzazione del territorio e dei suoi cittadini” e al secondo “la coesione sociale e sostegno ai più deboli”. Ambiente e sicurezza appaiono dunque come obiettivi perseguibili a partire dai servizi per la residenza, la famiglia e la collettività. Scuole e social housing risultano prioritari nell’approccio globale della gestione del territorio, non solo in termini di qualità edilizia, ma soprattutto relazionale, ambientale e di presidio (CECODHAS Exchange, 2009). “Laboratorio d’idee”| I casi-studio. Un’articolata esperienza di recupero urbano sostenibile è stata condotta nel quadro della collaborazione tra la facoltà di Architettura dell’Univ. di Bologna e gli UT dei comuni di Cesena, Forlì e Bertinoro, nel corso del biennio 2009-11. Il team di ricerca applicata “Edilizia eco-efficiente”*, composto da docenti e laureandi, ha effettuato l’analisi di otto casi-campione, indicati dalle Amministrazioni locali, e condotta con l’assistenza e collaborazione degli Uffici; sei casi sono stati individuati nel settore dell’edilizia scolastica - materna, elementare e media inferiore - e due, nell’ambito della residenza sociale. Pur trattandosi di un’esperienza in itinere, è già possibile tracciare un primo positivo bilancio con l’acquisizione e assunzione, da parte delle amministrazioni coinvolte, dei materiali di ricerca e dei piani elaborati al fine di costituire piani-guida ad integrazione delle schede dei PUA, POC, PSC o per dare risposta a problemi di carattere tecnico-progettuale di particolare complessità (recupero di edilizia energivora).
Fig. 1 – Forlì, Cesena e Bertinoro, esempi di intervento medie e piccole città della Romagna in una collocazione strategica nel quadro del quadrante adriatico e di rapporti tra nord e centro Italia;
Il prodotto della ricerca. Le tesi di laurea e gli studi condotti, hanno dato luogo ad un complesso di elaborazioni analitico-sperimentali integrate da soluzioni progettuali alla scala urbanoarchitettonica. Le valutazioni - tecnologico-strutturali| energetico-impiantistiche – pur effettuate a livello di dettaglio esecutivo e calcolo, non si spingono alla stima economica. Ciò malgrado, già allo stato presente il repertorio di dati conoscitivi e soluzioni operative costituisce di per sé un’importante base di confronto già a disposizione degli enti pubblici competenti. Analisi | Elaborazione di metodi e linee-guida. I casi-studio esaminati hanno in comune l’approccio multiscalare e multicriteriale nella disamina del quadro urbano complessivo e dei rapporti che esso istituisce tra
il quartiere e ambito di giacitura degli edifici oggetti d’intervento. Alle varie scale si individua una classificazione “a punteggio” che consente la valutazione preliminare - secondo il metodo di analisi SWOT- i parametri di efficienza prestazionale delle aree esaminate. Una check-list di primo livello verifica i servizi di mobilità urbana pubblica - meccanica e ciclopedonale - il grado di accessibilità e le barriere architettoniche in riferimento alle categorie deboli, le dotazioni di verde presenti da standard e quelle potenziali, la prossimità di punti commerciali e servizi alla persona raggiungibili in modo semplice e senza l’uso di auto o mezzi privati. Via via che si raffinano i termini di lavoro, si evidenziano anche aspetti più soggettivi, che generalmente sfuggono alle misurazioni di standard. Intendiamo cioè le criticità relative alla sicurezza sociale, reale e percepita dai residenti soprattutto in relazione alle categorie sensibili (bambini, donne, persone anziane, disabili, categorie protette) - e dagli utenti dei servizi scolastici (alunni, genitori,insegnanti). L’attenzione alle zone, o porzioni di edificio, che in termini di sicurezza sono definite “grigie” - pertanto difficilmente controllabili – consente di individuare immediatamente le criticità nei processi di recupero e rigenerazione dei quartieri di edilizia sociale. Per ogni quartiere o attrezzatura scolastica “a rischio”, si determina un processo di damnatio memoriae che si abbatte quasi esclusivamente sul corpus materiale degli edifici, mettendo in ombra le problematiche socioculturali che vi si concentrano. La considerazione dei fattori “soggettivi” nelle variabili progettuali aumenta considerevolmente il livello di complessità dei parametri in gioco già nella fase delle scelte strategiche. Il vantaggio operativo che se ne trae è di poter controllare gli elementi che influenzano la qualità complessiva degli interventi nel Life Cycle Assessment del processo. La check-list di secondo livello riguarda infatti la valutazione del benessere, intendendo la prestazione combinata dei parametri di confort, sicurezza, manutenibilità, forniti dagli spazi [coperti e interni, scoperti, confinati o aperti]. Intendiamo qui: strade di accesso, aree verdi pubbliche o di pertinenza degli edifici e/o complessi, ambiti comuni. E’ utile individuare la codificazione morfo-tipologica degli elementi, in ordine alle caratteristiche formali e materiche, siano esse riferite a edifici, all’arredo pubblico o al verde, decisive nell’individuazione delle criticità nel recupero architettonico, energetico, strutturale - degli edifici e del proprio intorno urbano (Schils, 1984).
Fig. 2-3. sintesi di un progetto di recupero di edilizia sociale, nelle fasi di adeguamento energetico, sismico, funzionale e morfologico con interventi di ampliamento e densificazione
Sintesi | Modelli, strategie, procedure. Si intendono qui, più che veri e propri esempi formali, l’insieme di esperienze e procedure di diversa provenienza culturale e disciplinare, utili per orientare le scelte strategiche. Nel caso romagnolo - soprattutto in riferimento ai complessi residenziali - si è dato particolare valore alla riqualificazione formale degli edifici e al miglioramento e ottimizzazione degli alloggi, in ragione al numero sempre più diversificato di utenze e composizioni familiari; l’esigenza di abbattere i costi energetici a carico delle aziende territoriali e dell’utenza stessa, rende prioritari gli interventi di sostituzione e implementazione degli involucri edilizi, impianti o dispositivi architettonici a presidio del comfort. Nei casi esaminati, in ordine alle condizioni climatiche locali, sono risultate particolarmente gravose le condizioni di esercizio in regime primaverile/estivo e laddove le protezione arboree risultino insufficienti o inefficaci. La scelta di densificare le aree a disposizione, con la dotazione di spazi ad uso collettivo, socio-sanitario e di piccoli servizi commerciali, risponde al richiesta specifiche e potenziali dell’utenza anziana/femminile immigrata: istanze di socializzazione in spazi protetti e prossimi alla residenza. Il modello di riferimento, per quanto possibile, è il quartiere car-free, ottenuto limitando, per quanto possibile, la destinazione delle superfici aperte alla circolazione e sosta autoveicolare. Data la classificazione sismica del territorio romagnolo, la necessità di adeguare e rinforzare le strutture si è rivelata preziosa occasione per il rinnovo dell’immagine degli edifici stessi. Il retrofitting energetico, con la scelta di elevare la classe degli edifici ha comportato la necessità di “eliotropizzare” e cioè di migliorare gli orientamenti solari nei nuovi ampliamenti. In tutti i casi
esaminati gli interventi progettuali sono stati rivolti all’incremento dei parametri di comfort acustico interno ed esterno, al miglioramento della qualità dell’aria, al recupero e il trattamento delle acque reflue e meteoriche. Conclusioni. L’esemplarità, l’individualità e cura degli aspetti formali è fondamentale nel recupero e costruzione identitaria dei nuovi cittadini: gli interventi rigenerativi, per essere efficaci, dovranno essere volti al radicamento e all’avviamento di consuetudini che motivino gli utenti alla cura dei luoghi privati e comuni. Mediazione culturale, gestione educativa e di coinvolgimento sono indispensabili, unitamente al ruolo insostituibile del centro storico. Esso permane come riferimento nel fornire soluzioni e variazioni formali, a prescindere dalla loro riproducibilità: il tempo ed un concreto investimento nel futuro darà conto di questa nuova fase del riformismo sociale.
ANDREINA MAAHSEN-MILAN Dipartimento di Architettura e Pianificazione del Territorio, Università di Bologna andreina.milan@unibo.it.
Note * Docenti: A. Boeri (coord.), E. Antonini, A. MaahsenMilan, K. Fabbri, T. Trombetti, G. Gasperini; allieviarchitetti: L. Calbucci, E. Venzi, A. Giardini, M. Graldi, G. Giancipoli, C. Giunchi, F. Cardinali, E. Bruschi.; G. Milandri, S. Ugolini. Bibliografia ALBERANI A., IMOLESI S., (2011), Sussidiarietà e spazio pubblico, in: Quaderni per il X Congresso Legacoop Emilia-Romagna, Bologna. Housing Statistic in the UE 2006 (cfr: www.dexiacrediop.it). CECODHAS Exchange, (2010), EU Policies & Housing in 2010, New PersPectives; CECODHAS Exchange, (2009), Best practices in tackling housing exclusion and poverty, New PersPectives; SCHILS E., (1984), Centro e periferia. Elementi di microsociologia, Morcelliana, Brescia; BAUMAN Z., (2002), Society Under Siege (trad. it.: La società sotto assedio, Roma-Bari 2003); id. (2005), Liquid Life (trad. it.: Vita liquida, Roma-Bari 2006); TERRACCIANO U., (2009), Le politiche della sicurezza in Italia, Experta, Forlì. DELERA A., (2009), Ri-pensare l’abitare. Politiche, progetti e tecnologie verso l’Housing Sociale, Hoepli, Milano.
Valutazione della sicurezza degli attraversamenti pedonali europei (EPCA)
Francesco Mazzone
Enrico Pagliari
Gli obiettivi del progetto EPCA di ACI Le finalità dell’Eurotest EPCA sugli attraversamenti pedonali sono: o evidenziare i “rischi potenziali” degli attraversamenti pedonali nei diversi Paesi; o rendere pedoni e conducenti maggiormente consapevoli dei rispettivi limiti-rischi e doveri; o individuare, in ciascun Paese, le “migliori e le peggiori” soluzioni adottate nella progettazione e gestione degli attraversamenti pedonali; o promuovere il miglioramento delle soluzioni più critiche; o favorire la diffusione di una “cultura tecnica” finalizzata alle esigenze della sicurezza dei pedoni; o sensibilizzare le autorità nazionali, regionali e locali sulla necessità di adottare tutte le possibili misure utili ad elevare il livello di sicurezza, riducendo il numero di incidenti che coinvolgono i pedoni, in particolare sugli attraversamenti; o adottare regole di “buon comportamento” comuni ed europee (uniformità!). Il confronto tra diverse soluzioni consente di individuare interventi “immediati” o di “breve
termine”, semplici, ma efficaci, riguardo la sicurezza, per gli attraversamenti più critici. La metodologia La metodologia di valutazione è stata predisposta dall’Automobile Club d’Italia in collaborazione con l’Università di Roma “La Sapienza”. Il processo di ponderazione fa riferimento alla tecnica del confronto incrociato, con focus group qualificato (processo gerarchico analitico) e successivamente validato mediante studi approfonditi di gravi incidenti che hanno coinvolto i pedoni (In-depth investigations). Sono state sviluppate due liste di controllo, una per gli attraversamenti pedonali alle intersezioni ed una per quelli in corrispondenza di archi stradali. Nel processo di valutazione sono stati individuati 27 fattori di sicurezza raggruppati in 4 categorie di sicurezza: o Caratteristiche generali (12 fattori, Peso: 23%). o Visibilità diurna (5 fattori, Peso: 26%). o Visibilità notturna (4 fattori, Peso: 32%). o Accessibilità (10 fattori, Peso: 19%). Gli attraversamenti sono stati classificati con un giudizio complessivo ed uno per ciascuna categoria di sicurezza. La valutazione è stata effettuata sulla base di un sistema a punti in riferimento a 5 livelli giudizio: Ottimo, Buono, Sufficiente, Insoddisfacente, Scarso. Per ogni attraversamento valutato, sono stati evidenziati i punti di forza e di debolezza e quali possono essere i possibili interventi per migliorare la sicurezza dell’attraversamento stesso. Nel periodo 2007-2011, sono state svolte le seguenti attività: o Analisi statistiche (2007); o Confronto europeo della normativa e degli standard di progettazione degli attraversamenti pedonali (2007); o Osservatorio dei sinistri con pedoni (2008); o Test degli attraversamenti pedonali in 17 città europee (2008); o Indagine sui semafori pedonali in Europa (2008); o Campagna informativa “Walk safe” – Dépliant (2008); o Estensione test degli attraversamenti pedonali ad altre 30 città (2009); o Campagna informativa “Walk safe” - Video Educativo (2009); o Estensione test degli attraversamenti pedonali ad ulteriori 18 città (2010); o Linee Guida per la progettazione degli attraversamenti pedonali (2010-2011). In totale il test ha riguardato 795 attraversamenti pedonali di 46 città in 22 nazioni europee. Le città italiane interessate dall’indagine europea sono state Firenze, Milano, Napoli, Roma (2 volte) e Torino. I risultati Tra i risultati del test da evidenziare le notevoli diversità riscontrate dal punto di vista tecnicocostruttivo e da quello normativo (criticità), in particolare:
o
semafori pedonali a 2 e 3 colori con presenza o assenza di tempi di transizione; o segnaletica orizzontale diversa per colore e tipologia di zebre; o regole di precedenza; o soluzioni e dispositivi per i disabili. Dal punto di vista delle soluzioni positive, sono invece da evidenziare: + Lanterne semaforiche di nuova tecnologia (tecnologia led), con migliore visibilità in tutte le condizioni di luce, pieno sole, di notte,condizioni meteorologiche avverse. + Segnaletica orizzontale con nuovi materiali di alta qualità (vernici termoplastiche) che assicurano maggiore durata, migliore visibilità e migliori prestazioni in termini di aderenza. + Impianti semaforici pedonali con dispositivi che mostrano il tempo residuo di verde e/o rosso (countdown). + Soluzioni con avanzamento dei marciapiedi pedonali per migliorare la visibilità pedone-conducente (e viceversa). + Lampade di illuminazione della sezione di attraversamento dei pedoni ad alta efficienzaefficacia, con notevoli benefici in termini di visibilità. Tra le situazioni negative da evitare: − Manutenzione scarsa o non regolare. − Bassa accessibilità con poche rampe e pochi percorsi tattili. − Auto in sosta legale e illegale che penalizzano l’accessibilità e la visibilità. − Piste ciclabili sui marciapiedi che creano condizioni di criticità per il pedone, soprattutto in caso di elevato traffico di biciclette. − Abolizione completa della segnaletica orizzontale e verticale di indicazione degli attraversamenti pedonali nelle zone 30 con criticità in caso di traffico veicolare non scarso. − Lenta diffusione delle nuove tecnologie; riscontrati solo pochi impianti semaforici pedonali con visualizzazione del tempo residuo di verde (countdown). Analizzando i risultati relativamente alle 4 categorie di sicurezza, per i fattori correlati alla progettazione spaziale/temporale (Caratteristiche generali) sono emersi non pochi fattori critici. 1 su 3 degli attraversamenti esaminati non ha raggiunto una valutazione sufficiente a causa delle numerose carenze riscontrate, con particolare riferimento a: assenza isole pedonali, fasi di verde pedonale non esclusive e inadeguate, conflitti veicolo-pedone. Per quanto riguarda la visibilità diurna, solo gli attraversamenti di Londra hanno raggiunto il massimo del punteggio grazie all’ottima segnaletica verticale ed orizzontale e all’indicazione “guarda a destra” o “guarda a sinistra”. Nel resto d’Europa eccellenze solo in 1 caso su 5. Di positivo da rimarcare le l’avanzamento dei marciapiedi, per migliorare la visibilità pedone-conducente e viceversa. Le criticità sono invece addebitabili a soste legali e illegali che
impediscono la visibilità, scarsa manutenzione e/o assenza di segnaletica. Per la visibilità notturna, uno dei requisiti più importanti per la sicurezza degli attraversamenti pedonali, purtroppo 1 attraversamento su 5 ha avuto una valutazione negativa. Le soluzioni migliori sono state riscontrate a Rotterdam, Bruxelles, Londra, Siviglia Copenaghen e Bruxelles, con ottima illuminazione, perfettamente orientata sulla sezione stradale utilizzata dai pedoni che attraversano, ed eccellenti condizioni di visibilità della segnaletica orizzontale e verticale. Accessibilità per tutti! Tutti gli utenti della strada dovrebbero essere messi in condizione di attraversarla senza pericolo. Questo è uno dei criteri più significativi alla base della metodologia di valutazione ACIEuroTest. Pertanto si è verificata la presenza di dispositivi o soluzioni che consentono a tutti gli utenti di accedere e attraversare la strada in sicurezza: marciapiedi con gradino, inclinati o a livello, pavimentazioni tattili e dispositivi acustici, ortogonalità tra bordo del marciapiede e sezione di attraversamento, presenza di ostacoli quali veicoli parcheggiati, pali della luce, cartelli stradali, buche, ecc., che potrebbero costituire un pericolo per i pedoni che si accingono ad attraversare la strada o che, potrebbero spingerli a percorsi esterni all’attraversamento pedonale, ecc. Purtroppo 1 attraversamento su 3 non ha superato il test dell’accessibilità. Tra le principali negligenze l’assenza di rampe o rampe troppo pendenti, l’assenza di percorsi tattili, la presenza di veicoli parcheggiati sulla sezione di attraversamento o sul marciapiede, i conflitti tra pedoni e bici, la scarsa manutenzione. Buone le soluzioni di Barcellona, Malaga, Valencia e Stoccolma dove marciapiedi adeguati, rampe ampie e non pendenti, idonei percorsi tattili e nessuna presenza di ostacoli fissi o temporanei. La campagna informativa Walk Safe Il progetto ha previsto una campagna informativa denominata “walk safe”, con la realizzazione di un dépliant ed un video. Il dépliant descrive quali sono i “corretti” comportamenti da tenere in corrispondenza di un attraversamento pedonale. Le norme di comportamento riportate sono valide a prescindere dalle diverse normative degli stati europei. Nel dèpliant sono previste specifiche sezioni per i pedoni, i pedoni che attraversano ed i conducenti. Il dèpliant ha rappresentato il punto di partenza per il video educativo dove sono presentate le più importati situazioni che si verificano quando si attraversa una strada. Le situazioni sono illustrate prima in riferimento agli errati comportamenti da evitare, successivamente si illustrano i corretti comportamenti da tenere. Il video si compone di 7 brevi cartoni animati con 4 scene per i comportamenti dei pedoni e 3 per quelle dei conducenti. Conclusioni In conclusione alcune raccomandazioni su come rendere più sicuri gli attraversamenti pedonali, rivolte ai vari soggetti coinvolti nella pianificazione, progettazione e gestione della mobilità.
Ai progettisti e gestori degli attraversamenti pedonali si consiglia: o Buona visibilità per il pedone rispetto ai veicoli che sopraggiungono, anche mediante l’avanzamento dei marciapiedi (caso di veicoli in sosta ai lati della carreggiata) in alternativa arretramento degli stalli di sosta e adozione di speciale segnaletica a zig-zag. o Isole salvagente, in grado di proteggere i pedoni nelle situazioni di maggior rischio o in caso di ampie sezioni stradali da attraversare. o Buona visibilità per il conducente, anche mediante opportuna segnaletica verticale e orizzontale (visibilità e aderenza). o Buona manutenzione e manifattura della segnaletica orizzontale e verticale (qualità e durevolezza). o Buona illuminazione dell’attraversamento pedonale (forte contrasto luminoso per percezione anche a distanza). o Eliminazione conflitti pedone e altre componenti della mobilità (conflitti con le biciclette in corrispondenza delle rampe per disabili, e con rotaie del tram spesso troppo vicine ai marciapiedi). o Rampe di adeguata larghezza e pendenza per le carrozzine. o Dispositivi di aiuto agli ipovedenti (percorsi tattili e dispositivi acustici in caso di semaforo). o Efficace contrasto delle soste illegali sulla sezione di attraversamento e sui marciapiedi.
ed in caso di semaforo: o Dispositivi luminosi di aiuto anche per i non udenti (countdown per la visualizzazione del tempo di verde pedonale residuo). o Tempi di verde pedonale sufficienti ad attraversare la strada anche per gli utenti deboli come anziani o disabili. o In caso di fasi pedonali non esclusive, utilizzo di apposite lampade supplementari lampeggianti per avvertire i conducenti della presenza contemporanea di pedoni in attraversamento. o Pulsanti di chiamata del verde pedonale. A livello normativo si raccomanda, invece, maggiore uniformità a livello europeo in termini di: o norme di comportamento; o tempi di transizione tra verde e rosso; o segnaletica orizzontale delle sezioni di attraversamento pedonale (forme e colori); o modalità di omologazione di nuovi dispositivi tecnologici (countdown, led, …). FRANCESCO MAZZONE E ENRICO PAGLIARI ACI - Automobile Club d’Italia, AIIT – Associazione Italiana per l'Ingegneria del Traffico e dei Trasporti Bibliografia o http://www.aci.it o http://www.eurotestmobility.
Fig. 3 - Le città “testate” nei 3 anni di indagini
Modelli interpretativi dello spazio pubblico Rilevare, comprendere, descrivere Le ricerche condotte in questi ultimi anni nell’ambito della Sezione di Ingegneria del Dipartimento di Progettazione Urbana, hanno consentito di affrontare con ottica disciplinare il tema della lettura della città e dei suoi invasi, caratterizzato da uno specifico approccio ai vuoti urbani intesi come stimolo per rappresentare, documentare e interpretare; insomma per un più esteso, approfondito, integrato uso del “rilievo urbano” che è attento anche ad analizzare quegli aspetti di godimento percettivo che sollecitano la sensibilità e la cultura dei fruitori-attori della scena urbana. L’ambito della città di Napoli prescelto come paradigma interpretativo ha una forte connotazione simbolica, ricca di permanenze ma anche di sollecitazioni ad una fruizione multilivello. Esso infatti ha come asse portante un segmento della famosa via Toledo, compreso tra via S. Brigida e piazza Trieste e Trento, ed include, tra l’altro, la Galleria Umberto I, dalla forti connotazioni di luogo di attrazione e di connessione. L’antico alveo diventa così spazio di identificazione e di contatto fra gli abitanti. I pregevoli prospetti che segnano i limite dell’asse pedonale appartengono ad architetture che l’attuale destinazione d’uso della strada, prevalentemente commerciale e di servizi, induce ad una fruizione parziale; l’attenzione infatti si concentra sui primi livelli degli edifici, incurante dei pregevoli apparati decorativi, delle gerarchie volumetriche, di tutto ciò che solo un osservatore o turista meno frettoloso o superficiale può invece comprendere e apprezzare. Ma anche il turista è in generale diretto verso una meta precisa, verso quella piazza Plebiscito con la quale si identifica l’immagine della città. Storicamente la piazza italiana, si propone come una inesauribile rappresentazione della vita en plein air, una messa in scena “teatrale” concepita per accogliere la folla delle feste, dei mercati, delle celebrazioni religiose. Nell’area di studio, rispetto a questa idea di piazza, segno forte e geometricamente riconoscibile anche nella planimetria della città, altre tipologie di invasi vengono declinati lungo l’ultimo segmento di strada che parte dall’incrocio di questa con via S. Brigida; tali vuoti urbani hanno origini, logiche, dimensioni e funzioni diverse. Sono la piazzettà Duca D’Aosta, la piazzetta Matide Serao, e piazza Trieste e Trento. La prima, di forma rettangolare e in posizione planimetrica tangente all’asse di via Toledo, rappresenta un nodo di flussi e non solo un vuoto urbano, anche grazie alla presenza della stazione della Funicolare centrale, che collega la parte bassa della città con la collina del Vomero. La piazzetta Matilde Serao si presenta invece come un vero e proprio spazio di risulta, con una superficie irregolare determinata dagli edifici che la delimitano, come descritto dalle fotografie presenti nell’immagine
di sintesi, che mortifica la possibilità di valorizzare la peculiarità di essere un collegamento alternativo tra via Toledo e il nodo centrale della Galleria Umberto I, attraverso l’atrio passante di uno dei quattro edifici che definiscono appunto il nodo ottagonale della Galleria. Di notte, chiuso il cancello di accesso alla stessa dalla piazzetta, questa, peraltro scarsamente illuminata, perde ogni significato e funzione urbana. Infine piazza Trieste e Trento esprime la sintesi delle molteplici trasformazioni urbane che ne hanno segnato la forma e l’uso, come testimoniano alcune storiche preesistenze, tra cui la chiesa di S. Ferdinando, nonchè un noto luoghi conviviale, come l’antico caffè Gambrinus. Essa lambisce piazza Plebiscito rispetto alla quale, tuttavia, vede esaltate le problematiche di fruibilità, soprattutto per le interferenze che si determinano tra flussi pedonali e veicolari. La Galleria Umberto I venne realizzata in un contesto sociale ed edilizio reso drammatico dall'epidemia di colera del 1884, a seguito della quale vi fu il riassetto urbano di tutta la zona a destra di via Toledo. L’opera, progettata dall'ingegner Paolo Boubée, è qualcosa di più di uno spazio commerciale; infatti è fruita anche come fuso, come propaggine e come estensione del tessuto urbano collettivo, collegando tra loro via Toledo, via San Carlo, via Santa Brigida e via Verdi, che delimitano il costruito che la contiene. I quattro bracci, di diversa lunghezza, intersecandosi danno luogo ad uno spazio ottagonale coperto da un'ampia cupola. Il braccio orientato verso il teatro S. Carlo termina in un portico ad esedra che crea uno slargo innanzi al teatro. Il prospetto dell’architettura, realizzata dall’architetto Antonio Niccolini, viene quindi progressivamente e visivamente percepito percorrendo la Galleria, esprimendo quei principi compositivi che ne fanno un caso esemplare, tanto che E. Kaufmann definisce il teatro “una grande opera d’arte”. Lo spazio si fa pubblico non tanto nella definizione normativa di una destinazione di uso comune, quanto nel contenere la sua possibilità plurale di interesse e stimolo sociale. La sua descrizione, che parte dall’analisi delle geometrie, cromie, tessiture, materiali, sottende atti interpretativi che mettono in relazione soggettività, retroterra socioculturali, realtà materiale; consentono di comprendere ciò che ci circonda ma anche di riappropriarsene. E’ opportuno quindi che esperti di varia estrazione disciplinare si confrontino su questi temi, non tanto per dare risposte immediate, quanto per definire i connotati scientifici della problematica. LIA MARIA PAPA Dipartimento di Progettazione Urbana e di Urbanistica, Università di Napoli Federico II Bibliografia L.M.Papa (2003), Disegno e disegni die percorsi urbani, Cuen, Napoli.
E. Kaufmann (1952), Tre architetti rivoluzionari, Bullée, Ledoux e Lequeu, trad. it., Milano, Franco Angeli, 1991, p. 142. C.Norberg-Schulz (1996), Architettura, presenza, linguaggio, luogo, Skira, Milano.
Fig. 1 – Immagini e modelli esemplificativi dell’area di studio
La programmazione economica urbana della Città di Lecce: processo o progetto? La città che verrà, la via della rigenerazione e della partecipazione pubblica Il percorso di pianificazione strategica e le sue evoluzioni Il Comune di Lecce ha avviato, nell’ambito del processo di pianificazione strategica di Area Vasta, uno strumento di governo territoriale utile sia a sperimentare l’approccio integrato, unitario e partecipativo sia ad individuare il parco dei progetti strategici da candidare (o su bandi o su procedure negoziali) sulle risorse dei Fondi Strutturali 2007-2013. La complessità delle energie territoriali messe in campo ha permesso di approfondire alcuni campi di applicazioni in tema di capacità amministrativa e specificatamente di capacità istituzionale, organizzativa e di empowerment che un Ente Locale - titolare in via originaria o delegata di funzioni di programmazione, progettazione e attuazione di interventi di sviluppo urbano – è chiamato ad esercitare per il perseguimento, in termini di efficacia ed efficienza, di obiettivi di “coesione e competitività territoriale”. Le dinamiche delle politiche urbane impongono all’Ente Locale un ruolo propulsivo nei processi di sviluppo territoriale, stimolato anche dalle opportunità offerte dalle risorse dei Fondi Strutturali 2007-2013. E’ evidente che la messa in sequenza di programma e progetti urbani, rappresenta di fatto lo strumento attraverso il quale incrociare logiche top down, che orientano verso obiettivi sovraordinati di coesione economica, sociale e territoriale, con logiche bottom up di rilevazione dal basso dei bisogni e di condivisione della vision di sviluppo urbano integrato. Le forze in gioco nel corso del tempo: le prime idee sulle “ex cave di Marco Vito” Sin dal luglio 2005, al fine di intraprendere una decisa riforma del modello di governance urbana nel rispetto dei principi base del metodo europeo, il Comune di Lecce ha avviato un percorso di pianificazione strategica articolando, in qualità di Ente Capofila dell’Area Vasta del comprensorio Leccese, una proposta progettuale denominata piano strategico dell’Area Vasta Lecce 2005/2015 “Un ponte verso lo sviluppo economico-sociale e culturale”, dove è stato proposto un percorso di sviluppo integrato del territorio jonico-salentino all’interno del Sistema Puglia. Il percorso di pianificazione strategica di Area Vasta Lecce si configura come un nuovo metodo di governance urbana, un percorso di adesione volontaria degli attori locali intorno ad una visione strategica, che mira al riequilibrio socio-economico di un’area corrispondente a 31 Comuni del nord Salento oggetto di pianificazione, al rilancio della competitività e della coesione territoriale e allo sviluppo di strategie di internazionalizzazione, secondo una strategia di
sviluppo urbano integrato, intersettoriale e partecipativo. Nello stesso periodo il Comune di Lecce, nell’ambito del PRUSST Programma di riqualificazione urbana e sviluppo sostenibile del territorio denominato “Valorizzazione del patrimonio artistico e culturale dei Comuni di Lecce, Galatina e Poggiardo” aveva avviato un bando per la elaborazione del Piano Particolareggiato nell’area denominata ex Cave di Marco Vito, che comprende l’asse Ferroviario e la Stazione. Si tratta di un’area di circa 25.000 mq, sulla quale insistono le aree ferrate, aree libere ed alcuni fabbricati in parte attualmente utilizzati come strutture a servizio delle aree ferroviarie ed in parte dismessi. La Regione, la Provincia, il Comune, la Rete Ferroviaria Italiana Spa, FS Sistemi Urbani SRL e Ferrovie del Sud est nell’anno 2010 hanno concordato di ricercare soluzioni condivise finalizzate alla razionalizzazione e miglioramento del trasporto ferroviario in relazione al futuro assetto della rete ferroviaria nell’ambito del più ampio intervento di riqualificazione dell’area ex Cave di Marco Vito di cui al Piano Particolareggiato approvato dal Comune di Lecce. Si è istituzionalizzato un protocollo di intesa per definire le aree ferroviarie l’intervento di trasformazione urbana più idoneo individuando eventuali diverse soluzioni tecniche, trasportistiche ed urbanistiche, compatibili con le previsioni del Piano Particolareggiato, in relazione a: - Assetto del nodo plurimodale per la mobilità e la sosta, con la specializzazione delle aree di pertinenza delle differenti qualità di traffico (ferro, gomma, pedonale) e del carattere pubblico o privato dei flussi - Riqualificazione e ampliamento di Piazza della stazione - Recupero e riqualificazione delle aree, tra il fascio dei binari e le vie di Ussano e Don Bosco La rigenerazione urbana e la fase di attuazione Per completare il quadro degli strumenti messi in campo va precisato che l’amministrazione comunale di Lecce ha fatto proprie le finalità della legge regionale 21/2008 “Norme per la rigenerazione urbana” ed ha avviato in via sperimentale un Programma Integrato di Rigenerazione Urbana - Recupero ambientale area urbana ex cave di Marco Vito: area a verde attrezzato “primo stralcio della rete ecologica relativa al quartiere Leuca”. Il primo stralcio di tale programma era comunque già identificato nel piano di lavoro del primo progetto stralcio del piano strategico di Area Vasta, denominato «Tagliate010», è stato già appaltato e costerà 5milioni di euro, per tutte le altre opere il costo complessivo si aggira intorno ai 55 milioni. Il progetto prevede la realizzazione di un unico blocco edilizio a sei livelli e prevede anche il collegamento tra il parco detto “Tafuro” e le cave esistenti. L’edificio sarà occupato principalmente e nella parte centrale dalla sala per la musica, con una grande attenzione riservata all’acustica. Tutto intorno ci saranno i locali più piccoli per le sale prova, le aule, gli studi. L’accesso sarà
mediato da una grande piazza quadrangolare con un ampio spazio protetto per possibili mostre all’aperto. Al di sotto della piazza sono anche previsti tre piani di parcheggio interrato comunicante con l’edificio. Il progetto, messo a punto da un team guidato dall’arch. Alvaro Siza, vincitore di un concorso di idee, è molto accurato anche nella parte che riguarda la viabilità. Le due cave saranno riunite in un unico ampio spazio, con l’asportazione del diaframma di roccia che attualmente le separa, e la realizzazione di un lungo ponte sospeso. Il secondo stralcio del Programma integrato di rigenerazione urbana vede tra gli interventi in corso di realizzazione il Progetto finanziato per 1 milione di euro dalla Regione Puglia a valere sul programma Stralcio di interventi di area Vasta Lecce, con fondi di cui al Programma operativo FESR Puglia 2007-2013, Asse VII Linea di intervento 7.1.1 “Piani integrati di sviluppo urbano di città medio/grandi. Inoltre, il Comitato interministeriale per la programmazione economica ha autorizzato gli stanziamenti previsti dal Governo per il Piano per il Sud, e si prevedono per la Città di Lecce 13 milioni e mezzo di euro da impiegare per il ribaltamento della stazione ferroviaria, intervento da tempo nell’agenda dell’amministrazione comunale ma bloccato per la carenza di fondi per realizzarlo. I lavori ammessi a finanziamento, in particolare, riguardano il prolungamento del sottopasso ferroviario, “con annesso nodo intersettoriale per la mobilità e la sosta propedeutici al ribaltamento della stazione ferroviaria di Lecce”. Per quanto riguarda il secondo stralcio, si tratta di un iter avviato nel 2008 in collaborazione con gli abitanti del quartiere Leuca e con 23 gruppi, tra formazioni spontanee e associazioni, coordinate dall’associazione “Laboratorio Urbano Aperto” e “Manifatture Knos”. Nel programma proposto sono state individuate le direttrici degli interventi da portare a termine, tra cui quello in grado di tappare i vuoti urbanistici presenti nella zona: ovvero la “Rete ecologica”, misura ideata per ridare continuità ad aree verdi e collettive del quartiere attraverso un sentiero urbano capace di mettere a sistema le vie di comunicazione preesistenti e quelle pedonali, in qualche modo incentivando residenti e privati a riappropriarsi della zona. Il primo stralcio del progetto riguardava la zona compresa tra il futuro Parco delle cave di Marco Vito e Parco Tafuro. Da lì la progettazione è ripartita per dare coerenza al tutto con il secondo stralcio, quello che collegherà la zona tra Parco Tafuro e via Leuca e da lì arriverà fino al Monumento ai Caduti e a Porta San Biagio, ovvero due chilometri di intervento che comprende il rifacimento totale di via Leuca, che diventerà un percorso di arrivo al centro storico, con il Monumento ai Caduti. Poi, ancora, si passerà al recupero del Ninfeo delle Fate, sempre nelle cave, che diventerà la “casa” del Parco, ovvero la sede delle associazioni che hanno lavorato al programma di rigenerazione e il luogo in cui verrà raccolta tutta la memoria storica dell’intervento, con una mediateca, uno spazio eventi e laboratori. Il tutto da realizzarsi con un finanziamento complessivo di 7 milioni di euro (4 per il progetto di
via Leuca, 3 per il Ninfeo), che dovrebbero essere corrisposti in toto al Comune di Lecce, anche se adesso si apre la fase negoziale, alla fine della quale i progetti definitivi degli interventi, realizzati in collaborazione con i professionisti dell’associazione Laboratorio Urbano Aperto – Lua, diventeranno esecutivi. Nel settembre 2011 si è sottoscritto il protocollo d’intesa tra il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti – Provveditorato Interregionale alle OO.PP. per la Puglia e la Basilicata e il Comune di Lecce e fra le diverse opere programmate nell’ambito del “Quadro di dettaglio della manovra triennale 2009-2011” finanziati a valere sui fondi CIPE “Programma opere minori ed interventi finalizzati al supporto dei servizi di trasporto nel mezzogiorno” sono stati individuati: gli interventi infrastrutturali area ex Cave di Marco Vito (viabilità ed opere d’arte) € 2.800, (rete fognatura nera) € 1.000.000 (rete idrica) € 250.000. Tra i nuovi interventi programmati dall’Amministrazione Comunale rientra anche la realizzazione del nodo intermodale e parcheggio di scambio ex Cave di Marco Vito, per un importo stimato di 11 milioni di euro in project financing. La rigenerazione urbana: partecipazione e coprogettazione Per quanto riguarda nello specifico l’intervento di recupero ambientale di via Leuca, questo è l'esito progettuale di un complesso processo di progettazione dal basso che parte dal Laboratorio del Piano di Rigenerazione Urbana del Quartiere Leuca denominato “Scusi per via Leuca?” avviato nell’ottobre 2009 e promosso in collaborazione con il Comune di Lecce, l’Associazione Laboratorio Urbano Aperto (LUA) e le Manifatture Knos. Nell’ambito di questi laboratori di Rigenerazione e grazie ai numerosi e differenti processi di ascolto attivati dalle associazioni presenti nei confronti degli abitanti del quartiere, sono emersi non solo problemi, ma anche e soprattutto le speranze e le proposte operative dei residenti. Il Laboratorio di coinvolgimento degli abitanti del quartiere, fondato su un approccio “creativo”, è stato strutturato secondo regole e procedure pensate e agite secondo le caratteristiche dell'ambiente urbano e sociale. La strategia di coinvolgimento adottata ha puntato sull'azione delle associazioni culturali e ha stimolato i partecipanti a formare gruppi di lavoro. Ogni gruppo o associazione ha avuto la funzione strategica di facilitatore più o meno inconsapevole esploratore del quartiere e dunque vettore di socialità e interazione con gli abitanti.
Tra le iniziative realizzate nell’ambito di tali laboratori di progettazione partecipata, alcune hanno contribuito alla fase di diagnosi partecipata in quanto, attraverso l’analisi e l’osservazione dei luoghi oggetto di progetto, le associazioni coinvolte nel processo di rigenerazione urbana, hanno contribuito alla fase di conoscenza dei bisogni, mediante passeggiate ricognitive nella zona e il dialogo aperto con gli abitanti e i cittadini hanno potuto trasferire le proprie aspettative di sviluppo sul quartiere. L’aspetto singolare di questo intervento di progettazione partecipata è dato dalla grande mobilitazione delle numerose associazioni e dei gruppi spontanei che si sono attivati e che sono stati motori strategici del processo di coinvolgimento e ascolto
degli abitanti del quartiere. Dal laboratorio e dagli esiti di un Planning for real, sono emerse diverse richieste e proposte dei partecipanti su cui sono state incentrate le scelte progettuali del Piano, orientate alla realizzazione di una “rete ecologica” di collegamento di alcune aree “verdi” potenzialmente di interesse collettivo, di cui il progetto rappresenta il primo stralcio.
L’esito finale del processo partecipativo ha condotto alla formazione del Documento Programmatico di Rigenerazione Urbana ai sensi della Legge Regionale 21/08 “Norme per la rigenerazione urbana” e alle direzioni dello sviluppo “sostenibilità”. Partendo dallo scenario condiviso si è arrivati a individuare il progetto di riqualificazione ambientalepaesaggistica del “Parco delle Cave” come elemento centrale della strategia della riqualificazione, che ha come idea guida quella del recupero del rapporto tra la vita degli abitanti e quella della città, nel senso ecologico della complessità e della varietà di aspetti che questo rapporto assume. L'idea è quella di far attraversare il quartiere da un sistema di strade a traffico rallentato (a 30 km orari) integrato con un sistema di aree di sosta, isole verdi, punti acqua, sedute, attrezzature per biciclette. Volendo valorizzare l’aspetto sperimentale del programma anche nella fase di definizione puntuale del progetto, l’amministrazione comunale, ha attivato un ulteriore processo partecipativo attraverso un “avviso pubblico rivolto ad organismi privati senza fine di lucro per manifestazione di interesse a partecipare ad attività di coprogettazione e realizzazione di interventi”. Questo avviso ha permesso all’amministrazione di raccogliere numerose manifestazioni di interesse da parte di associazioni locali e non, ma soprattutto di cogliere ancora una volta la volontà da parte dei cittadini di partecipare attivamente all’agire amministrativo. Nel 2010 si è svolto il primo laboratorio di coprogettazione al quale hanno preso parte tutti i soggetti che avevano risposto all’avviso pubblico. e proposte progettuali già oggetto di valutazione circa la fattibilità tecnico-economica da parte del gruppo di progettazione e del dirigente responsabile del procedimento sono state inserite e fatte proprie nella redazione del progetto definitivo dell’intervento. La costruzione condivisa della vision e dell’idea forza del programma di rigenerazione ha portato all’elaborazione progettuale partecipata del quartiere che i cittadini vogliono o che perlomeno si aspettano. Tema del progetto è la mobilità lenta e il potenziamento del verde urbano diffuso che nel quadro generale del Documento Programmatico del Piano di Rigenerazione Urbana del quartiere Leuca-Ferrovia va a costituire il secondo stralcio della rete urbana ecologica. L'idea è quella di far attraversare il quartiere da un sistema di strade a traffico rallentato (zona 30) a 30 km orari integrato con un sistema di aree di sosta, isole verdi, punti acqua, sedute, attrezzature per biciclette. In definitiva il sistema di connessioni che intercorrono nel tragitto che va da parco Tafuro alle Cave, ha costituito la base per la costruzione di una mobilità dolce ed ecosostenibile mediante la predisposizione di una “zona trenta” e di un sistema diffuso di interventi materiali (percorsi, segnaletica, panchine, illuminazione, ecc.) ed immateriali (servizi, azioni pedagogiche, informazioni ed eventi) grazie anche all'integrazione della progettazione generale dell'area con i progetti e azioni contenuti nelle proposte delle associazioni coinvolte nel processo partecipato. Questo di fatto rappresenta l’altro aspetto innovativo
del progetto, legato alla fase esecutiva dello stesso, nella parte in cui prevede che accanto all’opera pubblica si realizzino anche le 13 iniziative di partecipazione selezionate e finanziate.
Alla fertilità dimostrata dal tessuto sociale nel proporre idee innovative per il quartiere, dovrà a questo punto corrispondere un’altrettanto fervida capacità delle associazioni nella fase attuativa delle iniziative finanziate, che dovranno concretizzarsi in armonia con le fasi di esecuzione delle opere pubbliche previste dal progetto. Questo anche al fine di proseguire nel percorso di rigenerazione urbana dando attuazione al II° stralcio degli interventi previsti dal Programma di rigenerazione. Nel quadro generale del Documento Programmatico del Piano di Rigenerazione Urbana del quartiere Leuca, il tema della mobilità lenta e del verde urbano diffuso va a costituire il presupposto degli interventi di completamento della rete urbana ecologica così come viene ripreso anche il tema della aggregazione e promozione culturale gestita e promossa da associazioni o raggruppamenti temporanei di cittadini per la promozione e implementazione delle attività di rigenerazione urbana in continuità con l'esperienza del progetto per il I stralcio della rete ecologica. Il progetto di completamento si configura come una vera e propria ricostruzione paesaggistica e prevede la sostituzione del manto stradale in asfalto con masselli autobloccanti in cls di colore chiaro, con riduzione della carreggiata e per lunghi tratti percorribile solo in un unico senso ed eliminazione dei marciapiedi. Nella seconda fase del Laboratorio i progettisti incaricati della progettazione generale hanno avviato un workshop di co-progettazione con 13 associazioni, selezionate con bando comunale pubblico di
manifestazione d’interesse. All'interno del workshop si è affinato il progetto generale e sono stati integrati e coordinati i singoli progetti delle associazioni. Ogni associazione ha proposto un progetto da realizzare nell'area tra parco Tafuro e le cave di Marco Vito. Al progetto generale si affiancano, dunque 13 piccoli progetti (da 18.000 € l'uno), che diventano fondamentali per la rivitalizzazione del quartiere. Con questa procedura la strada avrà non solo una nuova veste ma anche un programma culturale organizzato dalle associazioni in accordo con i progettisti, con l'amministrazione e con gli abitanti. La seconda tipologia di progetto riguarda “la casa del Parco. Centro polifunzionale d'iniziativa e partecipazione territoriale” che prevede il restauro conservativo di Masseria Tagliatelle e del Ninfeo delle Fate. Il Centro Polifunzionale, la Casa del Parco invece, rappresenta un punto nevralgico della rete ecologica, viene pensato come luogo di aggregazione e partecipazione attiva di associazioni e abitanti in attività culturali, creative, educative, ludiche, turistiche, ambientali e artigianali con particolare attenzione all'incontro tra saperi locali e culture estere, opportunità di partecipazione attiva e di protagonismo dei cittadini in continuità con le attività iniziate con il Programma di Rigenerazione Urbana del quartiere. Questi interventi voluti e pensati dalla popolazione locale e con la gente cambieranno il volto al quartiere e dovrebbero contribuire ad innalzare la qualità della vita dei residenti, secondo le loro aspettative; nelle more di poter valutare l’impatto del programma, l’amministrazione comunale può guardare con attenzione al processo e valorizzare le tecniche e le metodologie adottato nel corso dei laboratori anche per la rigenerazione di altre parti della città. RAFFAELE PARLANGELI Dirigente Settore Programmazione e Strategie Territoriali Comune di Lecce e Piano Strategico di Area Vasta LECCE 2005-2015
Spaces of Re-use, Re-use of Space
Spaces of Consumption From places of civic exchange or collective action, urban spaces have in recent decades gradually but persistently seen their transformation into realms tailored for the fundamental neo-liberal enterprise of conspicuous consumption and disposal. Georg Simmel’s urban dweller, the flaneur, would today find his blasé gaze bombarded with a calculated arsenal of stimuli, lifestyles to be emulated, requiring new products to be purchased and former new products rejected. In today’s public spaces it matters little whether these products are available for immediate purchase and consumption in physical retail outlets or they enter our subconscious wish list for convenient retrieval next time we connect to either a virtual portal of ecommerce or the (only slightly less virtual) portal of big box retail. The city places which this formula produces are vibrant, exciting and bubbling with diversity. At first glance they seem to serve the city’s collective needs as urban spaces always have, and in fact, they are often historical spaces transformed. From the radical makeovers of underused infrastructural sites such as Boston’s Quincy Market or London’s Covent Garden to the subtle but incessant commercialization of European historical landmarks like Rome’s Campo de’ Fiori, it is evident that while ersatz copies and historically-themed malls may suffice for a market weaned on virtual reality, and the biggest and newest offerings may succeed for short runs, nothing really endures market success like “the real thing”, authentic urban spaces co-opted for their aura but emptied of urban functions apart from commerce. However, beneath the pleasant renderings of civic charm and vitality, the neo-liberal public space of consumption presents several fundamental problems:
Despite a hopeful resurgence in locally produced food and crafts, the vast majority of stuff sold comes from far away, as do the majority of the consumers to whom the stuff is marketed. Both products and public impose a significant transportation burden on the city, importing them from distant locations and removing their byproducts to remote landfills. Not only do these movements of people and product take a toll on the urban fabric and planetary ecosystem; they also weaken the identity of a place. Rome, with its Byzantine approval process for any change, has held out longer than other European capitals in resisting the onslaught of global branding, and still has no Starbucks, but even here slowly but surely shops serving urban needs are being transformed into outlets for placeless consumables and services. Ironically, the more visitors flock to a place, drawn by its cultural identity, the stronger the economic pressures to undermine that identity. Aside from fashion, food and some personal electronics, the vast majority of lifestyle purchases pushed by the neo-liberal system don’t actually fit in the public realm where they are advertised but, in fact, work to destroy it, to cancel it out and undermine it: large greenfields real estate developments, automobiles and most of the appliances and furniture with which we are tempted to fill our voids. Americans pay to travel to European towns enthralled with their walkable, traditional streets (as they themselves live in places that are totally automobile dependent); meanwhile those public spaces become ever more victimized by the marketing of the American dream, replete with big homes, big cars, big televisions. Italian public spaces are rapidly becoming saturated with cars and other personal appliances that no longer fit in private spaces, and publicity for more of the same. Amidst this debris wander discontented tourists and few others.
Finally, along with their abandonment by local stakeholders public places have seen an astounding increase in surveillance and control. The effect is to simultaneously eliminate the anonymity that was for Simmel one of the prime characteristics of the 20th
century metropolis but also to allow the privatization of public space in the name of public order and defense of private property. One thinks of the transformation of the Roman Forum from public domain to heritage site in the last decade or the creation of urban piazze such as that in front of Zaha Hadid’s MAXXI or the Parco della Musica, both born gated and under electronic gaze. Even more sinister examples can be found in the Zone Rosse established in l’Aquila, and in Rome, in response to real, perceived or fabricated emergencies. William Mitchell has made some incisive observations about the erosion that surveillance enables of the traditional distinctions between public and private space, distinctions that for Nolli were so straightforward. “Security cameras provide interior private spaces with one-way views of public exteriors...while exterior displays occasionally reveal what is going on within a building.” (1) Many, including Mitchell himself, express trepidation about this “new, pervasive machinery of discipline and control.”
Fig. 1 – Auto advertisement, Campo de’ Fiori, Roma. Photo: Tom Rankin Spaces of Re-use The exponential growth of information (from surveillance footage to purchasing histories), when decoupled from the growth of consumption actually offer a glimpse into alternative to the dead-end economic model which has started to come apart, a possibility of public space where processes of smart reuse, reconditioning and redistribution of resources take the place of consumption and liquidation. In place of the many to one relationships typical of tourism (many people in line to see one statue) or the one to many relationships of monopolistic marketing or even the seemingly many to many relationships of neo-liberalism, simulated to sustain the cycle of consumption, Web 2.0 makes possible true, distributed, peer to peer complexity. Rather than contribute to spiraling entropy, this process can actually leverage information to reduce it. Jane Jacobs, in her 1984 masterpiece on urban economics, Cities and the Wealth of Nations, posits that cities (or better, city regions) thrive through import-replacing, stating that “successful import replacing often entails adaptations in design, materials or methods of production and thus require innovating and improvising, especially of producers and goods and services.”(2) MIT social scientist Charles F. Sabel found in late 20th century Italy’s networks of small, innovative productive firms “a radically new way of organizing industrial society” (3). These studies, while dated, instill hopes that for Italy a reversal of trends is still possible. Examples abound of economic phenomena based on innovative reuse as a way to replace imports. Often the consequence of poverty, many of these occur in the informal economies of the developing world. On the outskirts of Cairo the Zabbaleen, a community of Coptic Christians, collect, sort and process the city’s trash, separating out reusable and recyclable waste and, until a 2009 health law forbid it, feeding food scraps to pigs. Slums in general, as Stewart Brand has observed, rely on the adjacency to wealth
in order to glean from its waste, a mutually beneficial synergy that, like the slaughter of pigs in Cairo, is undermined by misplaced attempts at cleaning up the city. In Rome it is common to see Rom people rummaging through dumpsters, mining the city’s trash for resources. Osservatore Nomade has recognized the innovative value of this activity and focused a series of workshops on the Rom. Such economies work less well when the global north and global south are kept separate, distanced by space and high security fences. In more recent cases, re-use has arisen from a conscious desire to live more sustainably and here too examples using found materials abound, from the Rural Studio projects in Alabama to the Cirque du Soleil headquarters in Montreal, organizations like Cianfrusoteca and Barotopoli, the Dutch Atelier Bom Design and countless others. From an economics of frugality, re-use has now become trendy, not in itself a reason for dismissal. The ethics of environmental awareness has found its match in a green aesthetics. Culture and sustainability, often poised in opposition, have found common ground in old stuff. Re-use, perhaps even more than other productive activities given its space requirements and low economic value, often takes place in the public realm. The overflow of productive activity into informal public spaces often takes place when growth meets its limits, spatial or economic (usually one and the same). Many productive activities begin by default in the public realm. Hunting and grazing took place in the wilderness and the commons before the enclosure of agricultural lands and game reserves. Selling was itinerant until the establishment of a reliable enough market to support a fixed location. Place taking precedes place making. Businesses usually start on kitchen tables before graduating into purpose built facilities, performing essential innovations in coffee shops and public libraries. Rock bands and high tech start-ups both famously begin in garages and seedy bars, alternatively occupying the extremes of cramped private spaces and vibrant public ones before finding
their own, often banal, middle ground in functionally specific containers. These extremes of public and private work together to offer a surprisingly efficient venue for productive work; in my limited private space I store personal things, retreat to privacy, but when I want a change of scene, a breath of fresh air, society, stimulus and open space I bring my laptop out to the piazza or the park. Especially when work requires space or involves irritating substances moving outside is the best option. From pueblo villages to European medieval towns, craftspeople have often set up temporary workplaces in the public realm. Throughout Rome, still today although threatened by the global economies, tiny workshops spill into the streets in warm weather. It is on the combination of this local, informal productive use of public space and the smart use of information technology that the projects developed in workshops with the Rome Architecture Programs of California Polytechnic University (with Prof. Cinzia Abbate) and the University of Minnesota have focused. Students were asked to design a Center for Rome’s traditional and emergent “Green Economy”, an urban resource center or a center for material reuse--anything but a “junkyard.” The challenge was to create a vibrant urban place in which urban synergies and efficiencies are maximized by design to reduce “waste” to close to zero. Products which today become broken or obsolete and discarded would here be repaired, reused, regenerated or as a last resort see their component materials recycled. Traditionally such activities have often been marginalized, performed by outcasts in blighted parts of cities but in the emergent green economy this work will become more central to a mixed-use urban ecology. Another goal of the Center is to bring production and commerce back together. It intends to provide workshops to some of those artisans that fix, produce and sell objects, but that have been forced to moved out or to close down their business. The project brief called for “an area of buildings and open spaces dedicated to the stockpiling, repair, dis-assemblage, reuse and recycling of
used technology, from bicycles to computers, including everything but motor vehicles (which require more space, produce more toxins)... a place where people can bring things to fix or hack, where someone can drop off a broken washing machine knowing it will be treated as resource, not waste. Interestingly, many of the projects started with a strongly digital framework, a database of parts and system for cataloging and sorting, observing that often the problem is not “not having” the part but not finding it or recognizing its potential. Sophisticated storage systems emerged, resembling libraries or archives more than yard sales. The role of creative arts was held foremost with studio spaces for visual artists and designers who use found materials in innovative ways; many projects integrated design and manufacturing in adjacent spaces. In all the more successful projects the result was not a closed facility but an open community space including public gardens with agricultural use, integrated with the river’s ecosystem. While commerce is present in the projects, as is gastronomy, it is part of a near closed-cycle loop, especially when considering the greater community of Trastevere and Testaccio. In reviewing the outcome of the workshops, the participants and critics observed that the resulting public spaces provided a role for all kinds of knowledge, from the know-how of the oldtimer ready to give out technical advice to the open source sharing of data systematically catalogued. By grounding social encounters in material objects, but rejecting the obsessive and ecologically dysfunctional discarding of the old to make way for the new, more complex relationships are made possible. Activated by processes surrounding material
re-use, public space returns to playing a complex, productive and innovative civic role.
THOMAS GREENE RANKIN* Professor of Architecture, University of Minnesota Rome Program and Architect, Studio Rome (tgrankin@mac.com) Note 1. Miller, William J. (2003), Me ++: The Cybog Self and the Networked City, MIT Press, Cambridge. p. 28 2. Jacobs, Jane. (1984) Cities and the Wealth of Nations, Random House, New York. p. 39. 3. Ibid, p. 40 Bibliografia Miller, William J. (2003), Me ++: The Cybog Self and the Networked City, MIT Press, Cambridge. p. 28 Jacobs, Jane. (1984) Cities and the Wealth of Nations, Random House, New York. p. 39. Domus (2008) Green Issue, February. Milan. Brand, Stewart. (1994 ) “The Low Road” in How Buildings Learn. New York: Viking.. William McDonough and Michael Braungart, (2002) Cradle to Cradle. New York, NY: Northpoint Press,. Lynch, Kevin. (1990) “The Waste of Place” in Places: Vol. 6: No. 2.
Fig. 2 – Rendering by Cal Poly student Brian Harms, Fall 2009
Fig. 3 – Project by Cal Poly student Keith Bradley, Fall 2009
Sicurezza, qualità, rigenerazione e usi dello spazio pubblico: l’esperienza del Progetto Sicurete nel Municipio Roma XI Esercizi di osservazione e di ascolto, esperimenti di progetto per “spazi in attesa” L’attenzione alle forme urbane, agli spazi della città e alle loro fragilità, alle pratiche sociali, alla qualità e alla vivibilità del territorio costituiscono lo sfondo di riferimento delle attività sviluppate dal Municipio Roma XI nell’ambito di un progetto, finanziato dalla Regione Lazio e tuttora in corso, chiamato Sicurete XI. Il tema della sicurezza urbana, complesso e multidimensionale, oggetto di attenzioni provenienti da diversi ambiti disciplinari, ricondotto a diverse politiche di settore, pervaso da retoriche, da risposte spesso semplicistiche ma anche da soluzioni omologanti, non prive di ricadute sulle forme e gli spazi dell’abitare, è considerato, in questo caso, da un ente di prossimità, quale è il Municipio, selezionando alcune domande di ricerca e alcuni strumenti di azione pertinenti. La sicurezza del territorio diviene, in primo luogo, un esercizio di osservazione degli spazi di cui esso si compone, delle diverse tipologie e pratiche d’uso, unito ad un esercizio di ascolto della società locale, delle opinioni e delle attese che vengono da essa. Posto all’interno della dinamica tra usi e forme della città, il tema della sicurezza diviene un indicatore tra i più rilevanti della crisi di questo rapporto, l’espressione del venir meno di una relazione di confidenza tra lo spazio e il vissuto. Molteplici sono, di fatto, le manifestazioni di una sostanziale condizione di ritrazione dello spazio della vita quotidiana, di una sottrazione degli spazi agli usi diffusi, ordinari, delle chiusure e delle rotture, delle discontinuità e delle intermittenze di questi usi nel tempo. Spazi, usi, temporaneità sono le chiavi di lettura utilizzate, in questo caso, per indagare un territorio composito, fatto di “progressioni, inerzie, asimmetrie e fratture”(1). Gli spazi aperti e costruiti, interstiziali e di risulta, progettati o meno, ma anche in attesa di un progetto, sono comunque sempre riscritti dagli usi, dalle pratiche, anche quando queste ultime si allontanano da essi, decretandone l’abbandono. In ogni caso, all’interno di una dimensione temporale variabile, instabile, non lineare. L’indagine condotta nell’ambito del Progetto Sicurete XI raccoglie dati, immagini, osservazioni dirette effettuate mediante sopralluoghi, prova a identificare le caratteristiche di un territorio restituendole attraverso mappe, a individuare non solo le forme degli spazi ma anche le forme dei loro usi, le stabilità e le rotture di questi ultimi. Avvia un’individuazione delle criticità legata al venir meno di un legame tra usi e spazi, considerando la dimensione temporale. La sottrazione di usi diretti e riconoscibili dello spazio urbano, in quelle che sono state definite “rotture permanenti”, ovvero caratterizzate da una certa stabilità nel tempo, è
espressa, ad esempio, dalle aree incolte o in abbandono, dagli edifici dismessi, dove la funzionalità, anche se non persa del tutto, non appartiene però al mondo degli usi immediati e visibili. Attese future di rendimento economico lasciano un’area o un edificio in una condizione sospensiva che è discrezione della proprietà interrompere o meno. Oppure lo stato presente è conseguenza di processi di valorizzazione andati a loro volta in crisi. Dipendenti dalla gestione pubblica dello spazio urbano sono, invece, quelle aree “in attesa” che le previsioni, comprese nei processi di attuazione urbanistica, si traducano in pratica. Ma altre rotture sono il risultato di forme di “privatizzazione” dello spazio urbano, diverse dalle forme più diffuse ed innocue di appropriazione. Le aree destinate a cantieri edilizi ed infrastrutturali, ad esempio, creano enclaves, parti di città che acquisiscono una sorta di status di extraterritorialità, chiuse al contesto entro confini impenetrabili che diventano barriere. Vi sono altri “recinti urbani”, spazi volutamente indifferenti a quanto accade fuori da essi, spazi interclusi, dalle forme e giaciture più diverse, che producono uno spazio di insieme caotico, privo di leggibilità, incongruo, minaccioso anche se i recinti nascono spesso da una pretesa di sicurezza introiettata esclusivamente interna. Più difficili da decifrare sono le “aree di margine”, nelle quali, alcun uso, tra quelli presenti, sembra riuscire a prevalere o a comporsi con gli altri. Rappresentano situazioni di transito, dai confini imprecisi, tra spazi urbani dotati formalmente di maggiore riconoscibilità, minacciati essi stessi nei loro equilibri interni dagli usi incerti di queste aree. Usi poveri, temporanei, occasionali, contingenti, circoscritti ad esigenze particolari e frammentarie, che mostrano l’instabilità di questi spazi. Ma vi sono anche spazi che mostrano discontinuità e intermittenze degli usi nel tempo più breve della giornata. Spazi nei quali l’intensità degli usi, rilevante in alcune ore, plasma e conforma l’identità dei luoghi. Aree di sosta e aree verdi di medie e grandi dimensioni, mercati all’aperto: una rigida codificazione lega in questi casi spazi ed usi, ovvero lo svago agli spazi verdi, l’approvvigionamento delle derrate alimentari ai mercati rionali, la sosta agli spazi a parcheggio. Venendo meno una delle condizioni di funzionamento entra in crisi e collassa la fluidità delle relazioni tra utenti e spazi. Al contrario di quanto avviene in conseguenza della sovradeterminazione funzionale di questi stessi spazi, in altri la rottura del nesso di confidenza dipende da un’oggettiva rarefazione della domanda d’uso. Tracciati stradali primari a bassa percorrenza, tracciati secondari, retri urbani mostrano il ritrarsi degli usi dallo spazio, il quale resta disponibile per qualcosa che avviene per caso, senza regolarità apparente. Certo, le forme urbane, la loro organizzazione, i loro usi esaminati all’interno di una dimensione temporale,ci dicono alcune cose sulla confidenza dei cittadini, degli abitanti, degli users nei loro confronti. Ma devono essere interpretati e confrontati ascoltando questi ultimi. Riconoscendo il vissuto, le esigenze, le istanze. In questo senso vanno altre azioni
complementari attivate dal Progetto Sicurete XI: incontri, forum, interviste, questionari, raccolta di segnalazioni dirette e on-line registrate su una mappa di carattere interattivo, attività di comunicazione, di informazione e formazione. Non insignificante, quest’ultima, se si considerano gli approcci elementari alla sicurezza urbana di molte politiche pubbliche e l’impatto mediatico dato ad alcuni temi performanti. L’attenzione ai cittadini più giovani si è espressa in più modi nell’ambito di questo Progetto. Nell’interazione. Operando sul tema della conoscenza degli spazi della città come fattore di confidenza con essi, al di là di retoriche di tipo comunitario o banalmente conviviali. Analizzando elementi più o meno convenzionali della sicurezza urbana per cercare di formulare giudizi critici più consapevoli. Lavorando all’elaborazione di proposte migliorative. In questo senso, il Municipio Roma XI ha voluto destinare una parte del finanziamento regionale alla sperimentazione di un laboratorio di progettazione partecipata, dedicato alla riqualificazione di uno “spazio in attesa”. Un intervento che sarà realizzato a breve. L’area, posta lungo via Galba, compresa all’interno del Programma di riqualificazione Giustiniano Imperatore realizzato ad oggi solo in parte, è ormai da tempo un vuoto, chiuso nel tessuto urbano eterogeneo e denso che la circonda. Abbandonato all’incuria. Una muta barriera, inaccessibile, capace di impedire ogni forma anche spontanea di attraversamento, di collegamento tra strade, edifici residenziali, scuole e servizi circostanti. In questo “spazio in attesa”, il progetto si confronta con una dimensione necessariamente temporanea. Non effimera o provvisoria. E’ un progetto improntato ad una “razionalità minimale”, che seleziona forme e materiali. Ricuce spazi. E’ l’esito dell’attenzione dell’Amministrazione municipale nelle varie fasi del processo, del lavoro condotto con gli studenti per definire le linee-guida di organizzazione dell’area, degli approfondimenti compiuti dai tecnici municipali tenendo conto delle questioni legate alla qualità e alla fattibilità in senso esteso, di una collaborazione tra pubblico e privato che si esprime nell’affidamento temporaneo di una parte di questo spazio ad una Società che vi realizzerà un campo da softball occupandosi della manutenzione dell’intera area, dei suoi percorsi e delle sue nuove attrezzature per il gioco, lo svago, lo sport. Il progetto restituisce alla collettività uno spazio pubblico che sarà tale, non tanto e non solo in virtù di un disegno ordinatore, di un decreto o delle forme di gestione adottate, ma se verrà riconosciuto, se gli usi e il tempo degli uomini si approprieranno di esso. PATRIZIA RICCI Municipio Roma XI FEDERICA ZAMPA Casa del Municipio - Urban Center Roma XI
Note 1. “Abitare il Municipio XI Storie, forme, pratiche”, Rapporto di ricerca a cura di C. Bianchetti, A. Sampieri, F. Zampa, marzo 2010, p. 34.
Accessibilità, mobilità e integrazione dello spazio pubblico 1.Produrre spazio con le infrastrutture. Le infrastrutture tradizionalmente non producono spazio. Queste, intese come “insieme di installazioni realizzate sul suolo o nel sottosuolo per consentire l’esercizio di attività umane attraverso lo spazio” (1) sono per definizione il prodotto di una razionalità settoriale, protesa legittimamente ad ottimizzarne le performance ingegneristiche e l’efficacia costruttiva e gestionale. Il territorio fa da sfondo a queste logiche: è una topografia complessa con cui fare i conti in termini di impatto. In particolare, le infrastrutture di trasporto, le reti, idrauliche, per l’energia e le comunicazioni, hanno un impatto con lo spazio in termini di “sovrapposizione”: intersecano, attraversano, sotto o sovra-passano il territorio nel tentativo di minimizzare ogni possibile superficie di contatto e di attrito che non sia esclusivamente pensata, disegnata o realizzata per il loro specifico funzionamento. E ciò risulta comprensibile e condivisibile anche in una logica di riduzione dei costi sociali. Tuttavia molte di queste infrastrutture, come racconta la storia del nostro paesaggio, non solo attraversano il territorio, ma attraversandolo lo disegnano, ne definiscono forme e geometrie, luoghi, punti di attrazione, polarità. Così, ad esempio, le strade o le linee di trasporto su ferro, quando attraversano gli ambiti urbani, configurano forma urbis poiché in tali ambiti il loro uso perde specializzazione, diventa più complesso, in parte anche promiscuo; si mescola con altri usi, diventa talvolta ambiguo, spesso esprime valenze ed effetti che interessano altri settori di intervento, non solo quelli legati specificamente al trasporto delle persone e dei flussi. Così, ad esempio, una strada, laddove veda dilatati i propri bordi, può diventare pista ciclabile, e poi pista pedonale, e poi fascia di attrezzature, che – se disegnata con i materiali della natura – può configurarsi in parco, piazza, spazio pubblico. Al contempo, una ferrovia urbana (un metrò in galleria, piuttosto che una linea tramviaria a raso in sede propria) nei luoghi di stazione vede il moltiplicarsi dell’accessibilità, dunque il polarizzarsi di attrattività, con effetti che inducono la localizzazione di funzioni differenti e integrabili. Strade e metropolitane, in ambito urbano, costituiscono segmenti e nodi in cui i flussi si concentrano, luoghi di attraversamento il cui potente ruolo di magnete urbano amplia immediatamente le potenzialità di strutture che non possono più essere considerate (né progettate) con razionalità settoriali, ma devono misurarsi con una pluralità di relazioni che le diverse componenti dello spazio della città, richiedono. Queste tesi sono verificate attraverso due progetti per la nuova Metropolitana di Napoli, una grande rete di trasporto pubblico su ferro che è stata radicalmente potenziata con una complessa ricucitura delle linee esistenti, e con
la realizzazione di lunghi tratti di nuova rete e di molte nuove stazioni urbane e sub-urbane. Nei casi presi in esame, il progetto delle nuove stazioni e dello spazio urbano in cui esse sono inserite è stato pensato per moltiplicare il sistema di relazioni che collega le stazioni al territorio in modo da concepire i nodi del trasporto pubblico su ferro come nuove centralità urbane. In questa prospettiva, la stazione riqualifica lo spazio pubblico se si verificano due condizioni: la prima riguarda la possibilità di raggiungere più obiettivi, oltre quelli strettamente (e settorialmente) legati alla razionalità dell’efficienza infrastrutturale; il secondo riguarda la capacità di far convergere gli effetti dell’infrastruttura entro un’idea di spazio pubblico che abbia adeguate valenze materiali (comfort e qualità dello spazio aperto) e simboliche. Le stazioni, come insegna l’esperienza napoletana, possono essere segnali comunicativi del cambiamento, potenti “totem” riconoscibili come elementi di innovazione dello spazio della città. Oppure rappresentano l’occasione di rinnovare ed estendere la qualità dello spazio aperto pubblico, anche oltre il perimetro dell’intervento. In questa accezione, la stazione può essere progettata come spazio pubblico aperto, cioè come “piattaforma urbana” in grado di offrire nuovi spazi di relazione con il tessuto urbano, di ripensare il rapporto tra automobili e pedoni, di integrare spazi aperti preesistenti con aree naturali e a parco. Così, ad esempio, la copertura della stazione può diventare una piazza; un intervento locale di razionalizzazione del traffico (uno svincolo, una rotonda) può consentire di accorpare lo spazio aperto pedonale; la creazione di un parcheggio libera aree dalla sosta veicolare a raso; etc. 2. Due progetti per Napoli. Stazione San Paolo: una stazione a volume zero ridisegna lo spazio del quartiere La nuova Stazione San Paolo è una significativa fermata della nuova Linea 7 della Metropolitana di Napoli, ubicata in un quartiere denso di popolazione, ad ovest del centro di Napoli. In particolare la nuova stazione sarà realizzata nel baricentro di un rione denominato “Parco San Paolo”, un insediamento della fine degli anni ’60 ispirato al modello del “quartiere satellite”, e realizzato in violazione del Piano Regolatore di Napoli del 1939 che prevedeva questa come “zona agricola”. Sono gli anni della speculazione edilizia, in cui viene costruito il Rione Traiano, grande quartiere di edilizia residenziale pubblica: anni in cui le politiche residenziali pubbliche aprivano la strada all’iniziativa privata. La lottizzazione del Parco San Paolo, concepita come “modello di lottizzazione multifunzionale”, viene realizzata prevedendo l’integrazione dell’area residenziale con attrezzature; il quartiere è caratterizzato da edilizia di edifici multipiano, e la sua collocazione, in un nodo della viabilità urbana ad alto scorrimento (Tangenziale di Napoli), risulta completamente separata dai quartieri contermini e, in generale, dal resto della città. Un quartiere enclave, uno
spazio urbano autonomo e intercluso, debolmente collegato dal trasporto pubblico, e prevalentemente accessibile con il veicolo privato. Gli aspetti innovativi del progetto riguardano il tentativo di inserire la stazione nel quartiere per migliorare il complessivo sistema della circolazione stradale e dello spazio aperto pubblico: tale obiettivo incide sulla forma dell’edificio e configura lo spazio da esso determinato. La logica urbana della stazione orienta le scelte costruttive e tecnologiche della sua realizzazione. Il piano del ferro si trova nel sottosuolo, alla profondità di circa 40 m; la realizzazione è prevista con una tecnologia “a cielo aperto”, cioè con lo scavo del pozzo di cantiere dall’alto, dell’ampiezza pari a quella dell’intera stazione. Questa tecnologia ha consentito di pensare la sistemazione, entro il volume del pozzo, di un grande parcheggio interrato. Ciò ha consentito di prevedere una sistemazione della copertura della stazione con una grande piazza longitudinale in sostituzione del viale stradale a doppia carreggiata presente nella configurazione attuale. Il parcheggio contiene un numero di automobili pari alla capienza della sosta a raso nella viabilità attuale. Spostando le automobili nel sottosuolo, la copertura
della stazione diviene una grande piazza pedonale che ridisegna la complessiva relazione tra i fabbricati e lo spazio pubblico aperto: una nuova, grande centralità per il quartiere. Inoltre, la sistemazione pedonale si estende oltre l’area di impronta della stazione e coinvolge l’intero asse stradale centrale del parco San Paolo. Il parcheggio di progetto è completamente separato ed autonomo dalle strutture che costituiscono la stazione, in modo da garantire flessibilità di gestione e assoluta sicurezza. Rendere pedonale un’ampia sezione del quartiere (circa il 30% del totale), produrrà effetti importanti sul tessuto urbano, trasformando significativamente la natura del sistema urbano complessivo. La pedonalizzazione dell’asse centrale come sistema ordinatore, asse attrezzato pubblico che al suo interno potrà intervallare zone a verde, aree attrezzate con panchine, pensiline, costituisce una innovativa ossatura portante del sistema dello spazio pubblico del quartiere.
Figure 1 -3- Uap Studio, M. Habetswallner, Stazione San Paolo, Napoli (in corso)
Stazione Bartolo Longo: il nuovo accesso alla stazione riqualifica un frammento di periferia La necessità di razionalizzare la viabilità ed i parcheggi intorno alla vecchia stazione di Bartolo Longo, è stata colta come occasione per disegnare uno spazio innovativo nella periferia di Ponticelli.
Questo progetto è il tentativo di “creare un luogo” in un quartiere denso di residenze popolari e privo di attrezzature e di cura per gli spazi pubblici, dove il gigantismo delle strade, la divisione dei recinti delle case popolari e la spettrale presenza di grandi vuoti interstiziali, continua a raffigurare una città senza spazio, senza simboli e senza identità.
Figura 4-5 - Uap Studio, Piazza della Stazione di Bartolo Longo, Ponticelli, Napoli (2008)
La nuova piazza di Bartolo Longo affronta lo spaesamento della periferia giocando con il disegno di oggetti riconoscibili, dai colori vivaci, dove il rosso lacca mette in risalto forme giocose, poggiate su un grande piano di pietra lavica su cui un sistema lineare ed integrato di panche, di alberi e di oggetti luminosi, scandisce l’avvicinamento e l’allontanamento pedonale dalla vecchia stazione. Che non è più come prima un mero “punto di accesso” alla rete ferroviaria, separato dalla città e dai suoi percorsi. Le cancellate e i salti di quota che separavano la stazione dai marciapiedi sono state eliminate e l’edificio risulta finalmente “poggiato” sulla piazza: un luogo di flussi dei viaggiatori in ingresso o in uscita, ma anche uno spazio aperto pubblico dove su una panchina, sotto un albero o all’ombra della pensilina del campo da bocce è possibile sostare, incontrarsi, giocare. Prima dei lavori, vi era una vecchia baracca prefabbricata, molto cara ai pensionati del quartiere che vi trascorrevano gran parte del loro tempo: è stata sostituita ed integrata ad una pensilina che copre il campo di bocce, con un disegno organico. La razionalità della linea retta – che informa l’estetica dominante dell’edificio multipiano tardo razionalista di questo quartiere periferico, omogeneo e isotropo – lascia spazio ad una “palafitta” contemporanea, dove la casualità dei sostegni (che ricordano l’immagine di un trabucco dell’adriatico o dei pontili sul mare delle cave di pozzolana di Baia) definisce un oggetto che tenta di ridurre la distanza con chi vive questo spazio nel quotidiano. Un’immagine riconoscibile, a cui ci si può affezionare nella sua strutturale “imperfezione”; una Nota 1. Merlin P., Choay F., Dictionnaire del
l’Urbanisme et de l’Aménagement, Puf, Paris 1988, pag. 360.
figura astratta, che tenta – attraverso la sua riconoscibilità – di costruire una identità possibile. Una figura che cerca di mettere in relazione frammenti di luoghi e di paesaggi: la pensilina inquadra verso est una bellissima prospettiva del Vesuvio, che nessuno mai si soffermava a guardare e che oggi è lo sfondo della piazza, accanto ad una antica masseria in tufo che rappresenta il contraltare delle torri multipiano del rione di Parco Europa. Lo spazio aperto è scandito da un lungo e semplice muro di pietra lavica, che separa le due aree della piazza distinte da un naturale salto di quota: l’area gioco e l’area più strettamente legata alla stazione. Anche la stazione è stata rivisitata attraverso alcune piccole operazioni di maquillage del grande telaio d’ingresso che, con due grandi pensiline rosso lacca, si prendono gioco della sua banale figura di edificio pubblico con una pelle di granito, che ormai acquisisce una sembianza più intima ed amichevole con un aria vagamente pop. Gli anziani hanno accettato questa piccola innovazione e si sono appropriati della nuova pensilina e della piazza, vivendo questi strani oggetti con naturalezza e con una ironia che li fa sentire un po’ più a casa quando giocano a carte in quella che ormai per tutto il quartiere è considerata come “la roulotte”.
MICHELANGELO RUSSO Dipartimento di Progettazione Urbana e di Urbanistica, Università di Napoli Federico II
Bibliografia Cascetta E. (a cura di) (2005), La rivoluzione dei trasporti in Campania. Mobilità integrata e sviluppo sostenibile, Electa Napoli. Gasparrini C. (2003), Passeggeri e viaggiatori. Paesaggi e progetti delle nuove infrastrutture in Europa, Meltemi, Roma. Graham, S. (2001), Splintering Urbanism: Networked Infrastructures, Technological Mobilities and the Urban Condition, Routledge, Londra. Russo M. (2007), “Infrastrutture e mobilità urbana a Napoli”, in A. Lanzani, S. Moroni (a cura di) Città e azione pubblica. Riformismo al plurale, Carocci Editore, Roma. Russo M. (2011), Città-Mosaico. Il progetto contemporaneo oltre la settorialità, Clean Edizioni, Napoli. Shannon K., Smets M. (2010), The Landscape of Contemporary Infrastructure, Nai Publishers, Amsterdam.
Ecomusei in Lombardia. Comunità, identità, territorio in RL 2.0 Musei del territorio o musei di comunità? Cosa sia un ecomuseo a quarant’anni di distanza dal giorno in cui a Parigi Huges De Varine, allora direttore dell’ICOM, coniò il neologismo sincretico di ecologia e museo è, in Italia, ancora di difficile definizione. Da allora, molti studiosi si sono confrontati aggiungendo tasselli significativi e molteplici tematismi che hanno trovato, in altri Paesi, un significativo consolidamento attuativo secondo la declinazione delle peculiarità locali. Non in Italia, però, dove non si è mai giunti a una definizione esaustiva della complessità del fenomeno. Rivière (1978), Boylan (1992), Davis (1999), Maggi (2002), Hoffman (2005), e ancora De Varine (2008), hanno contribuito a mantenere sul tema uno stato di riflessione teorica permanente (Dell’Orso, 2008), producendo come effetto una formula dell’enunciazione in fieri, sempre in bilico tra museo del territorio (Rivière) e museo di comunità (De Varine), tra iniziative dirigiste e processi comunitari.
Fig.1, pioppeto
Fig. 2, campagna nel Varesotto
Fig.3, lago di Monate Del modello ecomuseo si denota comunque la vitalità durevole, manifestata sin dalla prima elaborazione in Francia negli anni sessanta, cui hanno fatto seguito i folklife museum statunitensi, i musei atélier della Danimarca, gli industrial heritage britannici, fino ai più recenti economuseum canadesi, che hanno posto l’accento sul forte legame tra economie e musei, patrimonializzando i giacimenti di capitale sociale e culturale presenti nei territori. Sentinelle del territorio Guardando all’Italia se, come sostiene Schiaffonati (2009), “la problematica ecomuseale ha assunto negli ultimi tempi una crescente importanza”, lo si deve alla mutazione del significato di patrimonio, inteso come capitale territoriale, che non va dissipato ma valorizzato, secondo una selezione attenta delle risorse e una valutazione integrata dei progetti che ne fanno uso. In questo processo di creazione di valore e quindi di ricchezza, gli ecomusei acquistano funzione strategica nelle descrizioni identitarie dei luoghi e dei milieu (Dematteis,1995); nel riconoscimento degli ambienti insediativi, dei sistemi ambientali e dei paesaggi (Convenzione Europea del Paesaggio, 2000), nell’identificazione dei beni della cultura materiale e immateriale (Commissione Unesco), e nella ridefinizione del rapporto tra comunità insediata e territorio. Maggi (2004) discerne nell’azione fondativa dell’ecomuseo “un patto con il quale una comunità si impegna a prendersi cura di un territorio” secondo un processo bottom up, capace di innescare un circolo virtuoso e di dar linfa vitale a quelle forme latenti di progettualità sociale che, inserite all’interno di una proposta strategica, sono potenzialmente in grado di incidere sul territorio e contribuire al suo sviluppo. Si delinea così il profilo degli ecomusei “sentinelle del territorio, presidi di tutela attiva” (Jalla, 2008) in grado di innescare una cultura dello sviluppo locale autosostenibile (es.: Ecomuseo delle Orobie, territorio ex Obiettivo 2) che si alimenta del concetto di “autogoverno e di cura del territorio, che non affida la sostenibilità dello sviluppo a macchine tecnologiche o a economie eterodirette, ma a una riconquistata
sapienza ambientale e di produzione di territorio da parte degli abitanti”(Sachs,1993). Governance e sussidiarietà in Lombardia Di ecomusei risorsa, ecomusei vedetta, luoghi in costante dialogo con il proprio ambiente, capaci di carpire gli spostamenti del contesto cui appartengono, che non museificano ma reinterpretano invarianze, permanenze, sedimenti materiali e cognitivi, ve ne sono numerosi in Lombardia, con molte esperienze pilota in corso, che rispondono a un appello di “rinascita” dei luoghi, e di ridefinizione dei rapporti culturali tra uomo e territorio. “L’osservazione continua, il monitoraggio sensibile, la manutenzione efficiente, la partecipazione consapevole e organizzata” sono gli strumenti di gestione adottati in questi luoghi fucina, come li definisce Ray Lorenzo, nella presentazione dell’Ecomuseo del Paesaggio di Parabiago (2010), in cui si tenta di “costruire comunicazione sociale, far emergere interessi e consumare scontri” (es.: Ecomuseo Urbano Metropolitano di Milano Nord), al fine di selezionare gli attori istituzionali politici, economici e culturali, portatori di energie innovative per il territorio. È questa la governance multilivello che ridefinisce i ruoli e assegna all’ente pubblico il profilo del “facilitatore enabler, invece che provider, cioè fornitore di regole e servizi” (Vicari Haddock, 2004). È l’anima della sussidiarietà, perseguita da Regione Lombardia con la legge n. 13 del 2007, che affermando il ruolo degli ecomusei per la valorizzazione “della cultura e delle tradizioni locali ai fini ambientali, paesaggistici, culturali, turistici ed economici”, non li istituisce ma riconosce quelli presenti sul territorio e opera per promuovere la loro costituzione e il loro sviluppo, incentivando l’individuazione di soggetti attuatori (associazioni, fondazioni, istituzioni di carattere privato senza scopo di lucro, ma anche enti locali) e di canali di finanziamento autonomi e indipendenti dalle erogazioni del governo regionale per investimenti e attività che coprono al massimo il 50% dei costi. Ecomusei, vista Expo 2015 Regione Lombardia, tra il 2008 e il 2009, con la procedura di riconoscimento ha accolto venticinque ecomusei, a fronte dei quaranta presenti e dei ventinove di cui è costituita la REL (Rete Ecomusei Lombardia), che comprende oltre quelli riconosciuti anche altri non ancora in possesso interamente dei quindici requisiti minimi richiesti. E il numero cresce in vista dell’Expo. Come osserva De Varine: “La fortuna degli ecomusei di Lombardia sta proprio nell’opportunità di inserirsi nelle dinamiche generali della manifestazione di Expo 2015.(…) Un ecomuseo è uno strumento che, da un lato, rende consapevole il territorio e la comunità locale del proprio avvenire e ruolo sociale, dall’altro, accoglie visitatori e turisti con una gestione controllata e competente del capitale culturale, sociale ed economico che ogni valle e ogni borgo rurale possiede”. Se partecipare a Expo è ineludibile, bisogna almeno sfuggire i rischi della promozione e del marketing d’assalto, i “circuiti massificanti di occupazione dei
luoghi”, le marce forzate dell’inesorabile “turisdotto”, che da Milano conduce a Firenze,e da Venezia a Roma. Ma in che modo? Prefigurando immersioni in luoghi rifugio, intrinsecamente decentrati, tuffi in patrimoni ambientali e giacimenti culturali en plein air, che costituiscono lo scrigno nascosto degli ecomusei di Lombardia. “È la sfida da superare perché - rilevano Vignati e Mandarini (2010) - non è automatico che chi arrivi a Milano per Expo sia interessato a visitare l’hinterland milanese e la Lombardia! Questa possibilità deve essere costruita, progettata e sviluppata con una dotazione di prodotti, soluzioni comunicative e informative, servizi, in grado di raccontarla e renderla desiderabile e praticabile”. Il progetto pilota del social network (RL 2.0), in fase sperimentale fino al 30 giugno 2011, messo in essere dalla Direzione Generale Cultura di Regione Lombardia, con il coinvolgimento di quattro realtà ecomuseali mature - Ecomuseo Concarena Montagna di Luce, Ecomuseo delle Orobie, Ecomuseo Urbano Metropolitano Milano Nord, Ecomuseo Val Taleggio – e degli amministratori di tutti gli ecomusei riconosciuti dalla Regione, va in questa direzione: “creare nuove modalità comunicative” tra istituzioni (amministrazioni e DG Cultura) e comunità attive, accrescere l’interattività e sviluppare la socialità tra gli internauti attraverso una migliore fruizione dei servizi a disposizione dei differenti attori. L’obiettivo della piattaforma web 2.0 non è quello di procurare informazioni facilmente rintracciabili su un qualsiasi portale di promozione turistica, ma piuttosto fornire una rete di relazioni e competenze che solo gli abitanti di quei luoghi possono conoscere e disseminare con il loro profondo senso di appartenenza. I luoghi attraverso cui gli utenti della piazza telematica diventano soggetti culturali, “parlano”, dialogano del lungo processo di antropizzazione attraverso il paesaggio, restituiscono identità, memoria, lingua , cultura e materiali, messaggi simbolici e affettivi. Per tali ragioni DG Cultura affianca il social network (http://ecomusei.RL2.it) al portale (http://www.ecomusei.regione.lombardia.it) su cui saranno presentati gli esiti della sperimentazione, e del riconoscimento dei nuovi ecomusei, e saranno resi noti i risultati del primo monitoraggio degli ecomusei, riconosciuti tra il 2008 e il 2009, cui è stato somministrato con il contributo del gruppo di ricerca dell’Università degli Studi di Milano, guidato da M.C. Zerbi, un questionario per la valutazione del VAT, valore aggiunto territoriale, che implementa una griglia di indicatori già collaudati su altre realtà museali (Fanfano, Poli,2002; Dematteis, 2003; Alberti, Bernardi, Moro, 2005). Conclusa questa importante fase di verifica, quale sarà il quadro complessivo che si delineerà? Per ogni realtà ecomuseale emergeranno i punti di forza e di debolezza intrinseci, le attività chiave e le aree critiche attraverso cui sarà possibile valutare opportune soluzioni, ridefinendo piani strategici e operativi, rimodellando linee guida e mission rispetto a strategie locali e regionali con uno sguardo all’Expo. Emergerà soprattutto “la diversità degli Ecomusei di Lombardia che riflette la diversità dei suoi territori, della montagna e della pianura, della
città e della campagna”, e poiché, “non ne esistono due simili, ciascuno troverà le specifiche soluzioni che contribuiscono allo sviluppo sostenibile del suo particolare territorio” (De Varine, 2010). MARIA CHIARA ZERBI Facoltà di Lettere e Filosofia, Università degli Studi di Milano MILA SICHERA Politecnico di Milano Bibliografia AA.VV. (2004), Incontro Nazionale ecomusei, 9-12 ottobre Biella 2003, Eventi & progetti, Biella Alberti. F.G., Bernardi, C., Moro, D., (2005), I musei fanno sistema. Esperienze in Lombardia, Guerini Associati Bolici, R., Poltronieri, A, Riva, R., (2009), Paesaggio e sistemi ecomuseali : proposte per un turismo responsabile, Maggioli, Santarcangelo di Romagna Dansero, E., Emanuel, C., Governa, F., (2003), I patrimoni industriali : una geografia per lo sviluppo locale Angeli, Milano De Varine H., (2002), Le radici del futuro, Clueb, Bologna Dematteis, G., Governa, F., (2005), Territorialità, sviluppo locale, sostenibilità: il modello SLoT, Angeli, Milano
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Fig. 4 –Fonte: Regione Lombardia – DG Cultura – Archivio Etnografia, Ecomusei, Patrimonio immateriale
Gli spazi pubblici nelle azioni integrate di rigenerazione urbana tra pratiche ‘istituzionali’ e pratiche sociali Le riflessioni sviluppate in questo contributo ruotano intorno al ruolo degli spazi pubblici nelle azioni integrate di rigenerazione urbana. Gli spazi pubblici sono osservati intrecciando tre punti di vista: ‘istituzionale’, ovvero delle istituzioni che finanziano/promuovono politiche di rigenerazione urbana per le aree degradate delle città; delle forme di mobilitazione ‘dal basso’, di ‘social innovation’, intesa come capacità di rispondere alle esigenze dei gruppi sociali più deboli attraverso l’attivazione di risorse locali e soggetti diversi, pubblici, privati, del terzo settore (Vicari Haddock e Moulaert, 2010); del ‘quotidiano’, legato agli abitanti e alle loro pratiche routinarie di uso della città (Crosta, 2010). E’ stata questa la prospettiva di uno studio condotto dal Working Group Sha.Ke – Sharing Urban Knowledge nell’ambito del programma europeo di cooperazione internazionale URBACT II*. Più nel dettaglio, questo contributo prende le mosse da una mappatura condotta nell’ambito di uno degli otto studi di caso affrontati nel Baseline study di Sha.Ke. Tale mappatura ha riguardato i problemi degli spazi pubblici nelle periferie delle città pugliesi così come descritti nelle risposte dei comuni ai Programmi Integrati di Riqualificazione delle Periferie (PIRP), promossi e finanziati dalla Regione Puglia nel 2006 con fondi destinati all’edilizia residenziale pubblica. Sulle principali caratteristiche dei PIRP tornerò più avanti. Rileva qui evidenziare le premesse del ragionamento che ha costituito il frame teorico dello studio nell’ambito del quale il lavoro di mappatura è stato portato avanti. Tali premesse sono riconducibili al discorso europeo sulle città, che emerge da una serie di documenti prodotti dalla Commissione europea nel corso degli anni novanta e duemila(CE, 1997; CE1998; CE, 2006; CE, 2008). Tali documenti evidenziano la visione duplice del ruolo delle città e delle aree urbane: da un lato, motori economici e centri di innovazione della UE; dall’altro, luoghi della concentrazione (in alcune aree) non solo di problemi ‘fisici’ quali la carenza o scarsa qualità di infrastrutture e spazi pubblici, il cattivo stato di manutenzione dell’edilizia residenziale e il degrado ambientale, ma anche di problemi sociali ed economici (Atkinson, 2007). A questi discorsi ha fatto seguito la messa a punto di una serie di azioni area-based e integrate di rigenerazione urbana, che sono state sperimentate
nelle aree deprivate di molte città europee, con l’obiettivo di incidere sulle dimensioni fisica, sociale ed economica dei problemi (in particolare, Urban Pilot Projects, URBAN, URBAN II ). In questo ambito hanno avuto un ruolo centrale le azioni di riqualificazione e rivitalizzazione degli spazi pubblici. Tuttavia, guardando alle esperienze concrete, gli obiettivi di tali azioni sono stati molto diversi includendo il miglioramento della qualità della vita degli abitanti, del senso di appartenenza ai luoghi, della percezione di sicurezza; l’apertura delle aree al resto della città al fine di migliorarne accessibilità e ‘attrattiva’; nonché la promozione della coesione sociale (al fine di contribuire alla riduzione delle disparità tra quartieri ricchi e poveri) e della rigenerazione ecologica della città. La stessa varietà è riscontrabile con riferimento al significato e agli esiti di tali azioni che hanno oscillato dalla mera riqualificazione ‘fisica’ dell’ambiente costruito e/o naturale portate avanti dalle istituzioni con blanda partecipazione degli abitanti nella predisposizione dei progetti all’inclusione degli stessi nell’implementazione e nella gestione di spazi e servizi pubblici al fine di promuoverne usi diversi da parte di popolazioni diverse nell’ottica del social mix (Padovani, Guentner, 2007). In questo generale quadro di riferimento, mentre in alcuni contesti nazionali e locali l’approccio comunitario era ‘in linea’ con quanto promosso e finanziato a livello nazionale**, in altri, in assenza di tale corrispondenza, sono state sperimentate forme di ‘mainstreaming’ dell’approccio comunitario alle questioni dei quartieri degradati, ovvero si è tentato di assumere tale approccio nella formulazione e gestione di propri programmi di rigenerazione urbana. Tra queste esperienze rientra quella dei PIRP pugliesi, programmi di rigenerazione urbana area-based, integrati, costruiti dal basso, rivolti alle periferie urbane quali luoghi della marginalità, fisicamente esterni o interni alla città consolidata. Tre le parole-chiave del bando regionale: integrazione (tra azioni volte alla riqualificazione dell’ambiente costruito, al miglioramento della qualità ambientale, a promuovere l’occupazione e contrastare l’esclusione sociale); partecipazione (degli abitanti all’elaborazione delle proposte al fine di garantire risposte ai loro bisogni, desideri, aspettative); sostenibilità ambientale. Il programma ha avuto un grande successo: 129 programmi sono stati presentati da 123 dei 258 comuni pugliesi ***. Questa circostanza ha reso particolarmente significativo analizzare le proposte presentate dai comuni al fine di ricavare profili del degrado nei quartieri marginali delle città pugliesi. Il lavoro di analisi delle proposte inviate dai comuni
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portato avanti nell’ambito del progetto Sha.Ke è stato articolato in due fasi (Cera, Tedesco, 2010). Preliminarmente, sono state mappate le areebersaglio evidenziandone i problemi dell’ambiente costruito e naturale, di gestione (in particolare del patrimonio di edilizia residenziale pubblica), sociali ed economici e analizzate le precedenti esperienze di rigenerazione urbana e le percezioni dei problemi , messe in evidenza nelle analisi che accompagnavano le proposte progettuali; si è altresì proceduto ad individuare per ciascuna area le specifiche problematiche di spazi pubblici e servizi. Successivamente, sulla base di questa mappatura, sono state individuate quattro ‘tipologie’ di aree marginali e a ciascuna di queste associate specifiche problematiche di spazi pubblici e servizi. Per una descrizione sintetica di queste tipologie cfr. la tabella che segue: Area Problemi relativi agli spazi pubblici e ai servizi Enclave di disagio nella Mancanza, scarsità e/o città consolidata cattivo stato di manutenzione degli spazi pubblici Conflitti negli usi da parte di diversi segmenti di popolazione Grande periferia Scarsa qualità, spesso pubblica presenza solo di scuole Vandalismo Difficoltà di convivenza tra gruppi fortemente disagiati e altri abitanti Centro storico Mancanza di vitalità Presenza di spazi pubblici, ma scarsità di servizi Piccolo quartiere Presenza di spazi pubblici pubblico ai margini e servizi di livello della città urbano, assenza di spazi pubblici e servizi per la vita quotidiana In questo quadro di riferimento, diverso è stato il senso degli interventi proposti dai comuni: se hanno prevalso le azioni di ricucitura ‘urbanistica’ del rapporto tra città e quartieri in crisi, non sono mancati casi in cui la partecipazione al bando regionale è stata colta come occasione per mettere a punto un programma di sviluppo locale. Ma diverso è stato anche il grado di intreccio tra pratiche istituzionali e pratiche urbane, la capacità di intercettare attraverso i percorsi partecipativi le istanze locali, come testimoniato dall’emersione di
conflitti nel corso e a valle dell’elaborazione delle proposte. Data la brevità di questo contributo, tra le molte questioni aperte dal lavoro di mappatura se ne vuole qui sottolineare una, che appare di particolare rilievo e che riguarda la pertinenza delle problematiche di spazi pubblici e servizi veicolate dai documenti europei rispetto alle situazioni riscontrabili nei contesti delle città del Mezzogiorno: si pensi, tra tutte, alla specificità di situazioni quali quelle di ‘assenza di spazi pubblici e servizi’ che caratterizza molte periferie pubbliche diventate nel tempo ‘quartieri dormitorio’, e che spesso non trova puntuale riscontro nei contesti marginali delle città del centro-nord Europa. Più in generale, le problematiche dei quartieri deprivati in contesti di benessere socioeconomico o in aree che hanno risentito particolarmente dei processi di ristrutturazione industriale quali quelle del centronord Europa sono molto diverse da quelle delle aree che, in contesti di difficoltà di sviluppo regionale sedimentatesi storicamente, presentano condizioni socioeconomiche di particolare gravità, come nel caso del Mezzogiorno. Da queste considerazioni non è possibile prescindere quando si guarda nello specifico ai problemi relativi agli spazi pubblici e ai servizi, nell’ottica dell’efficacia delle soluzioni messe a punto per affrontarli. CARLA TEDESCO Università IUAV di Venezia carla.tedesco@iuav.it Note * Lo studio (curato da Liliana Padovani) è stato portato avanti tra novembre 2009 e marzo 2010 nell’ambito della Development Phase del progetto (coordinata da chi scrive), che includeva tra i partners: Università IUAV di Venezia (capofila), Vienna University of Technology , University of the Aegean, Regione Puglia (cfr. Padovani, 2010). ** Sui casi francese, inglese e italiano Briata, Bricocoli, Tedesco, 2009. Sull’Italia: Palermo, 2001. ***Eppure i finanziamenti non erano ingenti , segnatamente, 4m € per città oltre 50.000 ab, 3m€ per città oltre 20.000 ab, 2m € negli altri casi. Dei programmi ammessi a finanziamento, 31 sono stati finanziati in una prima fase dal Piano casa attraverso fondi ex Gescal e ulteriori proposte in una fase successiva attraverso il PO FESR 2007-2013. La possibilità di variante agli strumenti urbanistici in vigore, pur con significative limitazioni, ha sicuramente inciso sulla mobilitazione delle città, ma non può essere considerata una spiegazione esauriente. Rileva considerare altresì il clima culturale creatosi intorno all’innovazione costituita dai PIRP (Tedesco, 2009).
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Un ringraziamento per le immagini a Pippo Berardi e Laura Rubino.
Riferimenti bibliografici ATKINSON R. (2007), “EU Urban Policy, European Urban Policies and the Neighbourhood: An overview of concepts, programmes and strategies”, paper presentato alla conferenza EURA The Vital City Glasgow, 12-14 Settembre BRIATA P., BRICOCOLI M., TEDESCO C., (2009), Città in periferia, Carocci, Roma. CE, (1997), La problematica urbana: orientamenti per un dibattito europeo, COM (97) 197 def., 06.05.97, Bruxelles CE, (1998), Quadro d’azione per uno sviluppo urbano sostenibile nell’Unione Europea, COM (1998) 605 finale, 28.10.1998, Bruxelles. CE, (2006), La politica di coesione e le città, Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento Europeo, Ufficio delle Pubblicazioni, Lussemburgo CE, (2008), Green Paper on Territorial Cohesion. Turning territorial diversity into strength, COM (2008) 616 finale CERA M., TEDESCO C., (2010), “Apulia region” in Padovani L. cit. CROSTA P.L., (2010), Pratiche, FrancoAngeli, Milano PADOVANI L., (2010) Quality of urban public spaces and services as paths towards upraising deprived neighbourhoods and promoting sustainable and competitive cities, Sha.Ke WK Baseline study, http://www.urbact.eu PADOVANI L., GUENTNER S., (2007), Towards a new listening culture? The involvement of inhabitants in urban management, document del CTWG sul ruolo degli abitanti nella gestione urbana, disponibile: http://www.urbact.eu PALERMO P.C., (2001), Prove di innovazione, FrancoAngeli, Milano TEDESCO C., (2009), “Innovation and ‘resistance to change’ in urban regeneration practices: a Neighbourhood Initiative in Southern Italy”, Journal of Urban Regeneration and Renewal , vol. 3, n.2, pp. 128-140. VICARI HADDOCK S., MOULAERT F., (2009), Rigenerare la città, il Mulino, Bologna
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Nuovi spazi urbani della periferia di Roma Come specificato nella Convenzione Europea del Paesaggio “il paesaggio è un elemento importante per la qualità della vita delle popolazioni negli ambienti urbani e rurali, nelle zone degradate e di grande qualità, negli spazi di riconosciuta bellezza eccezionale e in quelli più quotidiani”. Ai margini della città, nelle sue aree di frangia, inizia la città contemporanea…città non sempre progettata e pensata per la “miglior qualità della vita degli abitati”, spesso ricca di contraddizioni e incoerente ma sicuramente, ricca di potenzialità, complessità e varietà, trovandosi a cavallo fra gli insediamenti urbanizzati e la campagna o le aree naturali inedificate. Al di là di un discorso meramente estetico-paesaggistico sulla “qualità” percettiva e fruitiva dei luoghi urbani collettivi, infatti, vanno valutate anche le ricadute psicologico-sociali sul modo di “abitare” la città e i suoi spazi anche in considerazione del fatto che, già negli anni settanta K. Lynch (1) sottolineava, come la scarsa “figurabilità" dello spazio urbano può generare “timori e insicurezze” negli abitanti: “esperienza emozionale” che si produce quotidianamente nelle nostre città. Con tali presupposti l’intervento di paesaggio in ambito urbano o periurbano, può svolgere un fondamentale ruolo nell’organizzazione e nel miglioramento della qualità della vita degli abitanti e non solo: tramite la costituzione e/o valorizzazione del patrimonio vegetale, l’organizzazione dello spazio pubblico e dei sistemi connettivi e possibile realizzare un importante operazione di “ricucitura” urbana, di ridisegno morfologico e di riorganizzazione funzionale, intervenendo negli spazi pubblici per dare “forma” a molte parti di città, oggi senza definizione morfologica e identità, connettendo i quartieri e creando gerarchie fra i siti, con funzioni e intensità rappresentativa diversificata. Intervenendo tra il tessuto edilizio della città e tra città e campagna, recuperando gli “spazi dimenticati” dall’edificazione, gli interstizi “senza forma” e identità di molti quartieri, il progetto di paesaggio, dunque, oltre alla riqualificazione e alla “ricucitura” dello spazio e dell’identità collettiva, permette il miglioramento funzionale e sociale dei luoghi con innumerevoli ricadute economiche. La “rigenerazione” dei quartieri e la loro “reidentificazione”, infatti, può essere avviata anche a partire dalla riqualificazione degli spazi pubblici, perché, come scriveva O. Bohigas avviando il suo programma di rigenerazione urbana di Barcellona, “la città è il suo spazio pubblico, non solo perché è la forma dell’ambito nel quale si produce e con il quale si condiziona la vita collettiva, ma anche perché esercita un’influenza nella trasformazione della forma e del contenuto sociale degli spazi privati”. L’intervento di paesaggio nella città, in sintesi, può essere un’occasione di re-“identificazione” dei quartieri, di miglioramento della qualità della vita, di ricucitura urbana, di “rigenerazione” del tessuto sociale, di valorizzazione del patrimonio pubblico, con
ricadute su quello privato, ma è anche, come è ben noto a tutti, uno dei principali strumenti di miglioramento ambientale nonché di organizzazione di mobilità alternativa. Un’ultima considerazione sulla progettazione partecipata. Secondo J. Noguel, “I recenti e bruschi cambiamenti prodottisi nella società, insieme alla crisi generale nella fiducia verso l’Amministrazione da parte della cittadinanza, stanno convincendo l’Amministrazione della necessità di coinvolgere la popolazione nella presa di decisioni e di non limitarsi unicamente all’opinione esposta dagli “esperti” sulle diverse tematiche….” (2) La Convenzione Europea del Paesaggio stessa insiste sull’importanza della partecipazione dei cittadini e degli attori economici nella pianificazione del paesaggio, iniziando dalla sua caratterizzazione, sottolineando come sia necessario “stabilire procedimenti per la partecipazione del pubblico, delle autorità locali e regionali e delle altre parti interessate nella formulazione e applicazione delle politiche in materia di paesaggio”. Grazie alla partecipazione dei futuri fruitori degli spazi pubblici, alla fase progettuale, è possibile accelerare il processo di “reidentificazione” e “radicamento” ai luoghi, creando condivisione affettiva, che diverranno “ricordo” identificazione/senso di appartenenza: l’identità di un luogo non nasce, infatti, dalla sua forza connotativa o dalla particolarità espressiva ma dalla sua capacità di coinvolgimento emozionale. A Roma, nel quinquennio scorso, il Dipartimento per le periferie ha avviato un importante programma dal titolo “Programma Paesaggi e Identità delle Periferie” e parallelamente la Regione Lazio ha finanziato molte opere pubbliche, alcune delle quali scelte proprio dai cittadini ( LR 28/12(2007, n° 26 “Modalità e criteri per la realizzazione di opere pubbliche derivante da processi di partecipazione”) e le opere scelte dai cittadini, soprattutto nelle periferie riguardano soprattutto spazi pubblici esprimendo una forte attenzione al tema del paesaggio, al miglioramento ambientale e della qualità della vita.
MARIA CRISTINA TULLIO AIAPP, sezione Lazio, Abruzzo, Molise, Sardegna
Note 1 K. Lynch, L’immagine della città, trad.it.,Padova Marsilio, 1964 2 Joan Nogué, L’Osservatorio del Paesaggio della Catalogna ed i Cataloghi del paesaggio: la partecipazione della cittadinanza nella pianificazione del paesaggio , Docente di Geografia Umana, Dipartimento di Geografia, Storia e Arti, Università di Girona. Direttore dell’osservatorio del paesaggio della Catalogna, Spagna
Fig. 1 – Piazza dell’acquedotto Alessandrino, prima e dopo
Fig. 2 – Parco di Aguzzano, prima e dopo
Lo spazio pubblico alla verifica del paradigma telematico e della crisi economico-finanziaria Premessa La costruzione di una Carta dello Spazio Pubblico, basata sulla esplicitazione di una virtuosa filiera, in grado di inanellare aspetti definitori, progettuali, funzionali, economici, politici, manutentori e gestionali, assume notevole rilevanza culturale, scientifica e tecnica e rassicura dai pericoli insiti in approcci al tema genericamente ideologici. Infatti, la questione degli spazi e attrezzature pubblici o, diremo meglio oggi, di uso pubblico, maturata a far data dal 1967 con l’introduzione obbligatoria degli standard urbanistici nei processi di pianificazione del territorio, è stata quasi sempre trattata privilegiando l’aspetto meramente estetico, connesso con il progetto edilizio-architettonico, o politico-rivendicativo, in termini di advocacy planning. Entrambi i suddetti approcci, ormai desueti ma ancora sostenuti fortemente in residui non del tutto trascurabili operanti nella nostra comunità, segnalano un’insufficienza che è da superare attivando la citata virtuosa filiera, la quale va, tuttavia, implementata alla luce di una duplice questione che sta rapidamente travolgendo un lungo periodo di stabilità concettuale che ha caratterizzato la società occidentale da oltre sessanta anni, vale adire dalla fine del secondo conflitto mondiale ai giorni nostri. Si fa riferimento alla rivoluzione telematica, ormai in corso da quasi un trentennio, ma che solo negli ultimi anni comincia a prefigurare implicazioni concrete sulle città e gli spazi pubblici che tipicamente contengano, ed alla crisi economico-finanziaria globale, molto più giovane della prima ma con una formidabile capacità di attualizzazione in tempi rapidi e perduranti delle sue minacce e con ripercussioni di grande rilevanza sulla loro tradizionale modalità di realizzazione, rimasta tendenzialmente invariata anch’essa da lungo tempo. La rivoluzione telematica La combinata ed integrata, nonché dirompente, evoluzione dei settori dell’informatica e delle telecomunicazioni, che ha dato vita alla telematica diffusa, possibile a valle dell’introduzione del Disk Operative Sistem, universalmente conosciuto con l’acronimo Dos, e nel suo pieno sviluppo a far data dall’ideazione del cosiddetto Web, ha portato o, comunque, è stata concausa, nel tempo, di un duplice ordine di effetti sempre più apprezzabili sulla città e, in generale, sul territorio. Da un lato, ha reso possibile il fenomeno dello sprawl urbano, che ha distribuito quote crescenti di popolazione nelle aree cosiddette periurbane e metaurbane, rendendo indifferente le localizzazioni abitative sul territorio, in riferimento all’accesso in tempo reale alle più disparate informazioni ed alla illimitata possibilità di comunicazione dati, voci e immagini. La dilatazione insediativa ha decompresso la necessità di tradizionali spazi di uso pubblico, dai parcheggi al
verde ad alcune delle attrezzature di interesse comune, ma ha anche reso materialmente impossibile la loro specifica collocazione che, qualora sia stata individuata e le opere realizzate, ha prodotto aree del tutto inutilizzate e di fatto, nel tempo, completamente abbandonate, non avendo rivestito alcuna utilità sociale. In tali contesti, si è, infatti, in presenza di una campagna senza città o, ossimoricamente, di una città senza campagna, in cui si è andata definitivamente vanificando l’ipotesi di innervare il territorio, anche non urbanisticamente concentrato e denso, di spazi di uso pubblico, così come ipotizzato dallo stesso DI 1444/1968 per le zone omogenee agricole. Si era, più di 40 anni orsono, in presenza di un territorio ancora diffusamente caratterizzato da insediamenti rurali, costituiti, ciascuno, da edifici residenziali, fabbricati produttivi, piccole attrezzature, come chiesette e luoghi di aggregazione aperti e chiusi nonché scuole materne, le quali, distribuite non tutte insieme ma perequate per numero e dimensione fra i numerosi borghi che punteggiavano il paesaggio agrario italiano delle pianure e delle fasce pedemontane e sub costiere, lo innervavano secondo un modello policentrico extra urbano. Oggi quegli insediamenti, tipici della prima metà del novecento sino a tutti gli anni ’50, sono in abbandono, quando non siano stati riconvertiti in residenze di lusso, secondo i modelli della gentrification e delle gated comunity, che prevedono spazi collettivi ma del tutto privati. Inoltre, la rivoluzione telematica, oltre a centrifugare polverizzandoli gli insediamenti residenziali, ha profondamente modificato anche le modalità esplicative dei rapporti fra gli individui che, in precedenza e per quasi due millenni, hanno richiesto i luoghi di aggregazione quali strumenti per il soddisfacimento delle attività connesse al commercio, agli affari, al tempo libero e, più in generale, alla vita degli abitanti ed all’esercizio dei diritti democratici. Oggi, sempre più, nella vita degli abitanti, luoghi innovativi telematici, immateriali, vanno sostituendosi ai luoghi tradizionali fisici, materiali. Piazze telematiche mutuano funzioni e forme delle piazze dell’urbanistica antica e moderna, che non riesce più a riproporre i modelli spaziali di aggregazione corrente e ordinaria che aveva ideato e gestito per lunghissimo tempo. Solo le forme più distorcenti e violente della rivolta e dello scontro sociale sembrano, almeno negli ultimi anni, avere ancora bisogno dello spazio fisico per manifestare l’indignazione che scaturisce dalla contestazione ai modelli della civiltà globalizzata. La crisi economico-finanziaria Il secondo cimento che deve affrontare il futuro dello spazio pubblico è costituto dal rapporto che va instaurato con il lungo periodo di sofferenza che accompagnerà la vita delle popolazioni occidentali, in particolare europee, abituate a disporne in grandi quantità, generalmente anche di buona qualità, ma fondamentalmente a titolo tendenzialmente gratuito,
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almeno a partire dalla ricostruzione postbellica ai giorno nostri. Inoltre, il convincimento che la crisi si dissolverà in un nuovo modello di vita e di sviluppo delle società occidentali, ben diverso da quello che ci ha accompagnato negli ultimi decenni, imporrà la complessiva e radicale rivisitazione delle politiche da mettere in essere sul complesso degli spazi pubblici esistenti e di nuova realizzazione. Le realtà numerose, ma scadenti e scalcinate, che sostanziano i caratteri degli spazi pubblici italiani, spesso anche indipendentemente dalle latitudini, devono fare i conti con il passaggio epocale che soppianterà, nei prossimi anni, il modello incentrato sui meccanismi storici della finanza derivata, distribuita a pioggia sul territorio nazionale, all’interno di un criterio basato sulla spesa storica, con un modello federalista misurato sulla capacità di buon governo espresso dalle popolazioni locali. Il meccanismo pago-vedo-voto, ancora lontano dall’essere efficacemente presente nei dispositivi legislativi sino ad oggi varati, non potrà non caratterizzare le scelte più coraggiose che si dovranno assumere per raddrizzare le condizioni comatose delle nostre città e dei nostri territori, all’interno dei quali lo spazio pubblico dovrà essere riguardato in un modo del tutto nuovo, al di fuori di tradizionali meccanismi assistenziali cui gran parte delle popolazioni, in particolare meridionali, sono state abituate per lungo tempo. In alcune realtà italiane, negli ultimi dieci anni, sono state introdotti importanti avanzamenti concettuali sull’idea di spazio pubblico, sia dal punto di vista quantitativo sia sotto il profilo qualitativo, che dovranno essere perfezionati per fare fronte ad uno scenario di risorse limitate che caratterizzerà sempre più l’operatività della pubblica amministrazione, la quale dovrà arretrare dal ruolo realizzativo e gestionale, rendendo più stringente e autorevole quello programmatico. Si tratta, peraltro, di declinare pienamente il principio della sussidiarietà orizzontale, ormai assunto legislativamente a livello costituzionale, che deve trovare concreta attuazione, sperimentandosi, fra le altre cose, proprio sulle problematiche della realizzazione e gestione dello spazio pubblico. In definitiva, va considerato come l’attrezzaggio delle nostre città sia da riguardare come un importante tassello della crescita economica del paese, da attuarsi attraverso l’innalzamento del livello di competitività che ciò produrrà sul territorio, rendendolo appetibile per nuovi e qualificati investimenti, anche esteri. Le prospettive Per lo spazio pubblico, il futuro non può essere assolutamente disgiunto da un nuovo protagonismo dei capitali privati, i quali necessitano però di efficienti garanzie, a fronte di una maggiore responsabilità che si impone sia richiesta ai soggetti imprenditoriali. Se, come già sottolineato, le risorse pubbliche si vanno costantemente assottigliando a seguito delle progressive manovre finanziarie di correzione dei conti
pubblici, che dovranno mirare, di qui ad un tempo attualmente indeterminabile, all’azzeramento del deficit di bilancio e alla riduzione del debito pubblico, è indispensabile costruire un quadro di convenienze e di certezze che miri a comprimere l’elevato rischio regolativo ed amministrativo che mina la realizzazione di attrezzature di uso pubblico nel nostro paese. Rischio che è responsabile dell’aumento dei costi di realizzazione e dell’allungamento dei tempi di realizzazione delle opere e della loro entrata in esercizio. Un argine a tale nefasta deriva va messo in campo attraverso lo strumento dello spending-review, finalizzato al contenimento della spesa corrente e, contemporaneamente, a favorire la spesa per investimenti, insieme alla creazione di condizioni di certezza e stabilità dei contesti regolativi e fiscali in grado di attrarre capitali privati. Sul piano del governo dei processi di infrastrutturazione, si pone un triplice ordine di problematiche, di seguito riassumibili. Vi è una prima questione connessa al riparto delle competenze in fase autorizzativa, le quali non vanno eliminate o compresse, ma riorganizzate temporalmente per essere espresse in parallelo e anticipativamente, piuttosto che in serie e consecutivamente, come accade tutt’oggi. Una seconda questione riguarda la capacità decisionale dell’ente programmatorio, la quale deve esplicitarsi in tempi certi, con possibilità che le eventuali inerzie siano sopperite da organismi sovraordinati, ma, al tempo stesso, introducendo un sistema di incentivi che invoglino le amministrazioni pubbliche a migliorare le proprie prestazioni. Da ultimo, si pone la questione maggiormente insidiosa che riguarda la stabilità delle decisioni assunte, fino al completamento dell’opera e della sua entrata in funzione, sottraendola alle schizofrenie delle componenti politiche in frenetica ricomposizione, che spesso subordinano la conclusione dei lavori a interessi particolari, piuttosto che generali. Nelle legittimazione delle scelte va, inoltre, enfatizzata la pratica partecipativa popolare, da garantirsi ad inizio delle procedure realizzative ed essere quanto mai ampia ed esaustiva, senza ovviamente cedere a veti e ricatti di minoranze ideologiche. In conclusione, appare evidente come la realizzazione di attrezzature e spazi di uso pubblico sia indicatore affidabile dello stato di salute di una comunità e della sua capacità di autogoverno che, tuttavia, va irrobustita con interventi volti a riformare il quadro normativo di riferimento e le sue molteplici criticità, che da troppo tempo ostacolano il processo di infrastrutturazione delle nostre città. ROBERTO GERUNDO Dipartimento di Ingegneria Civile, Università di Salerno Presidente Inu Campania
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