BioGuida 43 - Inverno 2013/14

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INVERNO 2013/14

N. 43 Trimestrale di ricerca olistica e 2,90

ITINERARI DELLO SPIRITO


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BioGuida

ITINERARI DELLO SPIRITO n° 43 inverno 2013/14 Trimestrale di approfondimento e ricerca olistica. Aut. Reg. Tribunale di Trieste n° 1067 del 26/03/03

in questo numero

Testata iscritta al ROC n.16994. Spedizione in abbonamento postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1 comma 1 CNS TS

Editore: BioGuida Edizioni di Pierpaolo Bon Sede: Piazza Vico 7 B, 34131 Trieste (TS) Tel. 040.3229773 - Fax 040.9890285 Info-line: 338.8852117 info@bioguida.com - ppbi@bioguida.net Sito web: www.bioguida.com Abbonamenti: 040.3229773 - 338.8852117 info@bioguida.com CCP 51506707 Pubblicità e Marketing: 338.8852117 ppbi@bioguida.net Impaginazione: Luglio Fotocomposizioni, Trieste Stampa: La Tipografica, Udine. La riproduzione anche parziale di immagini o testi deve essere autorizzata dall’editore. La rivista viene distribuita esclusivamente in abbonamento postale o in punti selezionati e autorizzati. Nessun allegato alla rivista è da considerarsi tale se non esplicitamente autorizzato. L’editore si mette a disposizione degli autori delle cui opere non sia stato possibile risalire alla fonte. I diritti di immagini e loghi pubblicitari sono forniti dai clienti dietro loro autorizzazione e responsabilità.

Direttore responsabile: Pierpaolo Bon

La via delle stelle: Un anno di occasioni evolutive

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La via interiore:

Dipendenze affettive

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La disponibilità dell’intento

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La via degli animali: I doni del commiato

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Parole e musica:

Manuela Gatti, consulente di salute naturale. Francesco Giordano, critico ed esperto musicale.

Selene Calloni Williams, counsellor, fondatrice del metodo di Nonterapia, yoga sciamanico, psicogenealogia e costellazioni immaginali.

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Elisabetta Conti, antropologa, iridologa.

Andrea Sergiampietri, medico veterinario, omeopata.

La pupilla: un occhio dentro l’occhio

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Rodolfo Carone, ass. Gendai Reiki Italia.

Roberta Giurissevich, astrologa.

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La follia della lobotomia

I nomi di questo numero:

Peter R. Breggin, psichiatra /CCDU Onlus.

Craniosacrale Biodinamico e Dieta Psicosomatica

La via della scienza:

Sciamanesimo siberiano ed ecologia profonda

La matrice spirituale

Susanna Berginc, operatrice di Metamedicina, numerologa, floriterapeuta.

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I viaggi:

Direttore editoriale: Mari Valentini

Marco Baston, nagualista.

Gli incontri:

I luoghi: I luoghi della BioGuida

Due straordinarie chitarre per raccontare l’oceano Atlantico

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Recensioni CD

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Disegni e immagini: Cristina Bernazzani, Manuela Frisone, Moreno Tomasetig (quando non diversamente specificato) In copertina: “Terra Uno” opera di Manuela Marussi


EDITORIALE

Diecimila giorni “La linea orizzontale ci spinge verso la materia, quella verticale verso lo spirito”. Franco Battiato, Inneres auge

“V

ince chi non smette di sognare, chi non smette di arrendersi” ci ha ricordato con l’esempio della sua stessa, lunghissima, vita Nelson Mandela. Nè la morte recente ha potuto scalfire la forza del suo grido di libertà al mondo, il messaggio di straordinaria fermezza e fierezza con cui ha saputo guardare sempre negli occhi tutti coloro che hanno offeso la dignità ed i diritti del suo popolo nel corso di gran parte del ‘900. Per essere liberi, amava ribadire, non basta sciogliere le proprie catene: occorre vivere rispettando e nutrendo la libertà degli altri. Eppure molto poco nella storia umana cambia, i meccanismi della mente si ripetono e la nostra natura resta pressocchè identica, in eterna oscillazione tra la materia e lo spirito, tra impeti grossolani e violenti ed energie sottili, che ci spingono e liberano ad altezze di pensiero. E, seppure in forme diverse, molte insidiose modalità di segregazione si annidano anche in questo primo decennio del nuovo millennio, nel cuore del nostro ovattato Occidente. Anzi il finire d’anno e lo scorcio natalizio non ci regalano affatto segnali rassicuranti di pace e condivisione d’ideali e d’intenti, al contrario, sembrano inasprire le coscienze ed esasperare gli animi. Abitiamo tempi rabbiosi, in cui poco può il nitore delle leggi perchè la Legge del Potere continua ad essere quella del Denaro, e gli ideali di giustizia non sono che perfida Merce. Ci tocca un’esistenza faticosa, che annaspa per difendere una quotidianità appiattita ai bisogni primari dell’esistente, che ci priva della dovuta

dignità e bellezza, perchè il teatrino della politica riesce meglio a quei servitori dello Stato che, da abilissimi ciarlatani, gettano moneta sonante come un amo tra le folle, privandone poi l’uso, in un’ottica di mercato sapientemente ingessato. Ci si crede stupidamente liberi e si è di fatto prigionieri tra gabbie di pensiero subdole e invisibili ai più, in cui si rema in massa su vascelli ine-

sistenti, si vaga, come ombre sperdute, chiassose e distratte per le nostre strade di vite, sollevando soltanto un’inutile polvere d’inconsapevolezza. E’ difficile trovare grandi uomini che ci spingano di nuovo a socchiudere gli occhi e intravedere il chiarore di una ricerca interiore che sappia salvarci dal buio del presente ed elevarci all’essenza del reale, e Madiba, com’era conosciuto Mandela in Sudafrica, dal nome del suo clan, è stato uno di questi maestosi fari nella Storia contemporanea. Ha raggiunto la sua “ultima collina” il 5 dicembre scorso, dopo un’agonia che lo teneva prigioniero in una condizione fisica di sofferenza e immobilità che non gli assomigliava più. Che non era quella del paladino della lotta contro

l’apartheid, del grande patriota africano e artefice poi di un’esemplare riconciliazione tra bianchi e neri. Che ha trascorso 27 anni in carcere e ai lavori forzati nelle cave di Robben Island, prima di essere liberato nel 1990, uscendone piegato da una grave malattia agli occhi e ai polmoni ma non nella sua dignità di lottatore d’ideali, senza “rabbia in corpo” – come aveva dichiarato – perchè se fosse rimasto con l’ira addosso, avrebbero vinto i suoi carcerieri: il suo corpo ne sarebbe uscito, la sua mente sarebbe rimasta prigioniera”. Colui che spezza i rami era il significato del suo bel nome di battesimo, era entrato nell’African National Congress già nei primi anni ’40, quando in Europa furoreggiava il delirio hitleriano, ed aveva poi guidato le prime manifestazioni di protesta e boicottaggio del sistema di segregazione razziale della maggioranza nera. E’ stato arrestato la prima volta nel ’62, poi riprocessato nel ’64 e condannato all’ergastolo. Quasi diecimila giorni di prigionia che hanno avuto la titanica tenacia di aspettare i primi anni Ottanta, quando il muro di Pretoria comincia a sgretolarsi e, sia la campagna internazionale per la sua liberazione che le pressioni interne portano il governo di de Klerk a rilasciare il prigioniero politico più noto a tutte le cronache internazionali. Con le elezioni democratiche del 1994, diventa presidente del suo Sudafrica libero fino al 1999, e si ritira a vita privata nel 2004. Quasi diecimila giorni di silenziosa resistenza che hanno saputo vincere l’oltraggio al suo popolo e alla sua persona con straordinaria grazia. In fondo il tempo non esiste, la libertà è solo questione di spazio. Di spazio interiore. Mari Valentini marivalentini@libero.it


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LA VIA DELLE STELLE

Un anno di occasioni evolutive di Roberta Giurissevich (astrologa) fly_freeseagull@tiscali.it

I

l fascino della conoscenza astrologica consiste nella possibilità di anticipare gli eventi. Per essere efficace tale operazione richiede studi approfonditi ed accurati che prendono in considerazione una serie molto complessa di elementi in sinergia tra loro, vale a dire la relazione tra le simbologie dei pianeti che transitano nel cielo nel periodo considerato con quelle dei pianeti, dei punti significativi e dei settori dell’oroscopo di nascita della persona. Di conseguenza, è evidente che le previsioni che si leggono solitamente sui giornali non possono considerare in modo accurato la situazione astrale, poiché, seppur esperto, chi le redige non può disporre degli elementi necessari a un’analisi come quella descritta. I pronostici che appaiono su radio, tv, giornali, prendono in esame il passaggio dei pianeti sul

Sole di nascita, ovvero su quello che nell’accezione comune viene definito il “segno” di ciascuno che, per quanto fondamentale nella lettura di un oroscopo, costituisce solo uno dei numerosi fattori da vagliare. Le previsioni per il 2014 sono quindi da considerarsi un’analisi incompleta dei percorsi complessi che ognuno di noi è destinato a seguire. Al fine di rendere l’indagine quanto più precisa, verrà data importanza alla posizione dei vari pianeti rispetto alle decadi dei segni, ovvero alla suddivisione in tre porzioni di 10° ciascuna di ciascun segno zodiacale. Il 2014 sarà particolarmente positivo e ricco di sorprese per il segno del Cancro, che ospita Giove, il pianeta più propizio: più nello specifico i nati nella prima decade potranno tirare il fiato, dopo aver affrontato una fase di cambiamento profondo durata quattro anni a causa del passaggio combinato di Urano e Plutone; un’intensa trasformazione attende invece i nati nella

seconda decade, che dovranno affrontare un anno ricco di novità ma allo stesso tempo impegnativo, anche perché il Cancro è saldamente legato alle proprie certezze e piuttosto refrattario ad affrontare i cambiamenti. Giove attraversa il Cancro dalla fine di giugno 2013 fino a tutta la metà del 2014, un transito che riguarda particolarmente i nati nella seconda decade fino a maggio e quelli appartenenti alla terza nel mese di giugno e della prima metà di luglio 2014. I transiti del “grande benefico” facilitano la riuscita, promuovendo l’aspetto economico, quello delle relazioni e alleggeriscono in generale il percorso. Soprattutto i nati all’inizio della seconda decade necessitano del suo sostegno poiché sono contemporaneamente interessati dal passaggio di Urano (a partire da marzo) e di Plutone: in gennaio quest’ultimo esaurisce – dopo quattro anni – il proprio influsso sui nativi della prima decade e si sposta appunto nella seconda. Plutone costringerà i nati nella seconda porzione del segno ad affron-


tare ciò che nella vita avevano lasciato in sospeso e ad attraversare una fase di totale rinnovamento: sarà necessario “lasciar andare” ciò che oramai non serve più. A tal scopo, i nativi del secondo decano potranno contare sul sostegno di Saturno che, in trigono per tutto il 2014, regalerà forza, senso di responsabilità e determinazione. Il secondo in ordine di fortuna, attraversato da Giove a partire dal mese di giugno, è il segno del Leone. Nella fattispecie il passaggio positivo del pianeta interesserà i nati nella prima decade tra metà luglio e settembre e quelli nati nella seconda, da settembre a dicembre. Il transito di Giove sarà particolarmente utile poiché servirà a controbilanciare eventuali ritardi, ostacoli e difficoltà dovuti a Saturno, volto negativamente rispetto al quinto segno dalla fine del 2012. L’anno venturo il suo influsso sfavorevole interesserà soprattutto i nati tra la fine della seconda e l’inizio della terza decade. Oltre al transito positivo di Giove i nati nella seconda decade godranno del sostegno di Urano, che infonderà loro tempismo, freschezza, velocità nell’azione e capacità di escogitare soluzioni originali; l’influsso combinato di Giove con Urano potrebbe determinare viaggi, opportunità di vincite e azioni portate a buon fine. Per i nati nel segno della Vergine si preannuncia un anno positivo durante il quale opereranno influenze favorevoli sia da parte di Giove (fino a luglio) che da parte di Saturno e Plutone. Giove regalerà situazioni vantaggiose, incontri positivi e la possibilità di ampliare gli orizzonti a livello lavorativo, oltre che sociale e affettivo. Saturno renderà i nativi del sesto segno particolarmente determinati nell’affrontare gli eventi con decisione, fermezza, tenacia, senso di responsabilità, capacità di resistenza e spirito organizzativo. Infine Plutone potrà offrire occasioni di miglioramento della sfera economica, favorendo una nuova visione dell’esistenza. Gli unici che possono risentire di una dimensione caotica e di una certa difficoltà nella realizzazione dei progetti sono i nati all’inizio del segno che continuano ad avvertire un senso di disorientamento e di dispersività a causa dell’opposizione di Nettuno.

All’altro lato della Vergine, i Pesci avvertono gli effetti positivi degli stessi transiti: il bel trigono di Giove fino a metà luglio - in particolare per i nati nella seconda e nella terza decade - quello di Saturno - per i nati tra la metà della seconda decade e l’inizio della terza - e il sestile di Plutone - per chi è nato all’inizio della seconda decade. Questa combinazione di influenze favorirà gli individui nati sotto il segno dei Pesci sia in termini di occasioni e di incontri fortunati, sia di realizzazione di obiettivi e di consolidamento dei traguardi raggiunti, che di capacità di sviluppare una profondità di pensiero e modi nuovi di affrontare le situazioni. Un discorso a parte riguarda i nati ai primi gradi del segno, che a causa di Nettuno attraversano una fase di intensa ridefinizione personale, vivendo situazioni che richiedono sacrificio, esperienze di contatto con dimensioni mistiche ed ultraterrene, o con i piani più elevati della coscienza. Un anno positivo attende i Gemelli, soprattutto quelli nati nella seconda decade, che avranno a loro favore il transito di Urano dall’Ariete. Il pianeta porterà nuovi stimoli e opportunità vantaggiose anche per l’intervento di amici; questo passaggio stimolerà l’interesse verso nuovi ideali e teorie innovative, porterà a frequentare persone e ambienti diversi, farà emergere infine un forte bisogno di libertà e di affermazione personale. Da luglio Giove in aspetto positivo renderà i gemelli ottimisti ed energici, offrendo opportunità di riuscita, occasioni di espansione e una situazione di benessere generale, grazie alla quale potranno verificarsi incontri interessanti, anche con persone influenti. Non mancheranno infine gli spunti di svago. I nati all’inizio del segno continueranno a sentire gli effetti negativi dell’aspetto di Nettuno che genera uno stato di confusione e di incertezza, al quale si possono accompagnare sensazioni di debolezza e fragilità. Poiché con questo transito può capitare di subire delle delusioni è sconsigliabile dare avvio a iniziative, sia per conto proprio che affiliandosi ad altri. Il Sagittario si troverà all’apice di un grande trigono di Fuoco dal quale beneficerà degli influssi di Urano e di Giove.

I nati nella seconda decade stanno per iniziare un anno molto proficuo durante il quale sperimenteranno gli effetti del passaggio di Urano, che apporterà stimolanti cambiamenti, promuovendo interessi favorevoli allo sviluppo di una rinnovata consapevolezza personale. Da metà luglio Giove renderà i sagittari estremamente vigorosi e li spingerà a intraprendere viaggi ed esperienze, anche perché la sfera economica sarà incentivata. Durante il transito è consigliabile svolgere attività fisica in quanto Giove rende inclini ai piaceri della tavola e provoca una certa pigrizia. A differenza degli altri, i sagittari della prima decade dovranno cercare di essere molto chiari rispetto ai loro obiettivi e cauti nell’intraprendere nuovi progetti, soprattutto se prevedono investimenti economici, poiché la confusione prodotta da Nettuno in aspetto negativo può essere causa di fallimenti, se non indurre a incontri con persone propense alla frode. Per i nati all’inizio del segno in concomitanza con questo passaggio planetario sono sconsigliati anche i cambiamenti di carattere lavorativo. La situazione sopra descritta per il segno del Cancro si può estendere agli altri segni “cardinali”: Capricorno, Ariete e Bilancia. I nati nella prima decade di questi segni hanno tutti attraversato, insieme ai cancerini, una lunga fase di cambiamento dovuta al passaggio concomitante di Urano e di Plutone, che li ha indotti a una ricomposizione sia sul piano materiale che su quello personale, con la differenza che, mentre la condizione dei nati sotto il segno del Cancro è stata mitigata dal transito favorevole di Giove, per gli altri segni cardinali quest’ultimo, disposto in aspetto negativo, può aver compromesso ulteriormente l’espansione e la realizzazione o pregiudicato maggiormente l’andamento dei rapporti interpersonali. Se i nati nella prima decade del Capricorno potranno tirare il fiato dopo aver finalmente consolidato il cambiamento affrontato negli ultimi anni, gli appartenenti alla seconda decade, anche disponendo della stabilità e della capacità di resistenza regalata da Saturno, dovranno attraversare una lunga fase di trasformazione a tutto campo in seguito al passaggio di Urano e Plutone.


LA VIA DELLE STELLE

Gli appartenenti al primo decano dell’Ariete potranno rallentare il ritmo veloce imposto loro da Urano a partire dal mese di marzo, quando le accelerazioni, la voglia di libertà e di cambiamento e i colpi di scena andranno a risvegliare i nativi della seconda decade, che dovranno pazientare fino a maggio, quando Giove terminerà l’opposizione che li avrà messi ulteriormente alla prova ostacolando i loro progetti. Saranno i nati all’inizio del secondo decano ad attraversare la fase di cambiamento più importante. Giove favorevole dal Leone offrirà un periodo di allentamento delle tensioni da metà luglio a settembre per la prima decade, da settembre a novembre per la seconda e da novembre a dicembre per la terza. Anche i nati nella prima decade della Bilancia escono da un’importante fase evolutiva che è all’epilogo, mentre coloro che appartengono alla seconda porzione di segno attraverseranno un importante periodo di passaggio, durante il quale sarà richiesto loro di modificare le situazioni che fino a quel momento si erano trascinate pur non rispecchiando più le loro reali esigenze personali; anch’essi dovranno esercitare la massima calma e riflessione fino a giugno, quando Giove terminerà l’aspetto di quadratura dal segno del Cancro. Con il suo ingresso in Leone quest’ultimo si disporrà in aspetto favorevole per la prima decade da metà luglio a settembre, per la seconda da settembre a novembre e da novembre a dicembre per la terza, restituendo almeno in parte al settimo segno la sua naturale leggerezza. Se, in base alla tradizione, il Cancro e il Leone si considerano i segni più fortunati per l’anno a venire, in quanto vi transita Giove, allo Scorpione si può attribuire il primato negativo, poiché è attraversato da Saturno (tale destino accomuna i quattro segni fissi: Scorpione, Toro, Acquario e Leone). Se, dopo un anno di transito di Saturno, gli scorpioni della prima decade possono finalmente tirare il fiato e lasciarsi ispirare dal passaggio positivo di Nettuno, che aumenta la fantasia, favorisce le attività artistiche e inclina al misticismo, saranno gli appartenenti alla seconda a dover affrontare il passaggio del “signo

re del karma” per buona parte del 2014, mentre i più fortunati della terza decade riceveranno i suoi influssi solo per il breve lasso di tempo che va da ottobre a dicembre. Secondo una visione filosofica, Saturno viene definito “il grande maestro”, poiché ci costringe ad affrontare prove in quei settori dell’esistenza rispetto ai quali ci sentiamo maggiormente vulnerabili: come conseguenza alla fine del transito avremo superato degli ostacoli che fino a quel momento avevamo ritenuto insormontabili. Il suo passaggio dunque avrà avuto l’effetto di rafforzarci e di renderci più saggi. Fortunatamente gli scorpioni della seconda decade fino a maggio e quelli della terza tra giugno e luglio possono contare sul sostegno di Giove che li sorregge dal Cancro, rendendo la situazione meno gravosa, offrendo opportunità di riuscita o occasioni di incontro e di svago. Gli astri che operano sullo Scorpione influenzano in modo analogo anche gli altri tre segni fissi che si trovano sullo stesso asse: Acquario, Leone e Toro. I nati nella prima decade del Toro avranno visto da poco le loro sorti migliorare poiché si sono liberati a novembre dell’influsso negativo di Saturno, mentre, come per gli scorpioni, anche i nati nella seconda decade del Toro affronteranno un anno faticoso, durante il quale rimboccarsi le maniche, mettendo in campo senso pratico, operosità e resistenza per affrontare al meglio gli eventi; per la terza decade quanto appena affermato si verificherà solo negli ultimi mesi dell’anno. I nati nella seconda decade del Toro potranno fortunatamente contare sulla protezione di Giove, che allenterà la pressione fino a maggio; gli appartenenti alla terza decade godranno del suo favore tra giugno e luglio. Anche i nati sotto il segno dell’Acquario della prima decade cominceranno il 2014 con un senso di maggiore legge-

rezza, grazie all’uscita di Saturno dalla quadratura con il loro Sole, mentre l’anno si prospetta più complesso per i nativi della seconda decade che saranno interessati a lungo dal passaggio di Saturno. Sfortunatamente nella seconda parte dell’anno i nati nell’undicesimo segno subiranno anche gli effetti del passaggio negativo di Giove in opposizione dal Leone. Il consiglio è di tenere un profilo basso, senza porsi obiettivi irraggiungibili, utilizzando al meglio la proverbiale intelligenza e originalità del segno per affrontare le sfide che il nuovo anno potrà imporre. D’altro canto i nati nella seconda decade saranno sorretti da Urano, governatore dell’Acquario, in aspetto favorevole dall’Ariete, che li renderà intraprendenti, particolarmente vigili e pronti a sfruttare le occasioni più inaspettate per volgere le situazioni a proprio vantaggio. Le previsioni appena esposte in riferimento al Sole hanno una valenza analoga anche se toccano altri pianeti o punti importanti dell’oroscopo. Dunque, ad esempio, quanto affermato per il segno del Leone può valere a grandi linee anche se si ha l’Ascendente, la Luna o altri pianeti importanti del proprio tema natale in quel segno. Colgo l’occasione per augurare ai lettori che il 2014 rappresenti per tutti una grande occasione evolutiva.



I VIAGGI

Sciamanesimo siberiano ed ecologia profonda di Selene Calloni Williams www.nonterapia.ch

N

ella Buriazia siberiana, nell’Hakasia, nella regione di Tuva e nell’Altai lo sciamanismo è religione ufficiale. È qui che, a contatto con una natura sovrana e potente, lo sciamanismo stricto sensu è nato, ed è qui che ancora oggi esso si impone all’attenzione non solo degli abitanti delle steppe e della taiga, ma di tutto il mondo, come una voce che può ricordarci da dove veniamo e dove siamo diretti. Gli sciamani sono una specie rara sul pianeta e, come quella di tutte le specie rare, la loro sopravvivenza è legata alla continuità del loro habitat: la natura selvaggia. Lo sciamano non può esistere se non nel mezzo di una natura possente che lo alimenta e lo ispira, ma la natura - lo sciamano lo sa bene - è una dimensione interiore. L’uomo proietta ciò che ha dentro e abita la propria psiche e le proprie immagini. Incontrare un vero sciamano è un’esperienza di guarigione e di apertura straordinaria. Egli conosce il tuo problema senza che gliene parli e lo risolve senza la minima approssimazione. La difficoltà per chi viene dal mondo dei conflitti e dell’innaturalezza è solo quella di trovarlo, il vero sciamano si nasconde e, a volte, può capitare, anche se ce l’hai sotto il naso, di non vederlo, dipende da quanto aperti siano i tuoi occhi. Incontrare uno sciamano è il risultato di un viaggio geografico ed interiore allo stesso tempo che richiede una preparazione. Per prepararci e preparare il viaggio, io e mio figlio - che conosce il russo e mi aiuta là dove il mio interlocutore non parla inglese - alloggiamo a Irkutsk e da qui ci spostiamo ogni giorno verso Urst Ordinsky, villaggio buriato, e verso le steppe circostanti per andare ad incontrarli, con l’aiuto di Peter

Nikolayevich, professore di sciamanesimo presso l’Università della Buriazia, ed Elena, una donna bionda di origini evenke. Conosciuti come i tungusi della Mongolia, gli evenki sono una popolazione di religione sciamanica oggi presente soprattutto in Siberia, Mongolia e Cina. Elena ci procura le macchine a noleggio e, là dove necessario, gli autisti. Anche lei ha sangue sciamanico perché sua nonna da parte di madre era una sciamana. Insieme a Peter e Elena organizzo riunioni quasi quotidiane con i vertici dello sciamanismo siberiano per riuscire ad avere appuntamenti con sciamani autentici e potenti per il mio gruppo che arriverà dall’Italia ai primi d’agosto. Gli sciamani siberiani sono collegati fra loro da una rete misteriosa, Peter è un degli uomini che tengono le file di questa rete di contatti che travalica i confini della Russia per abbracciare anche le steppe della Mongolia, varie regioni dell’Asia e persino l’Europa e il Sud America. Con Peter ed Elena viviamo lunghi incontri con Lyudmila, sciamana guaritrice, pratichiamo rituali con Slava Sorokin, sciamano delle steppe, ma soprattutto intratteniamo riunioni con Mahka, rispettato da tutti gli sciamani

buriati come un capo e con Vassili, un eccezionale sciamano nero. Lo sciamanesimo siberiano e mongolo si divide in nero, bianco e giallo. Gli sciamani bianchi si occupano di guarigione, fertilità, fanno rituali per la purificazione e l’abbondanza.


Gli sciamani neri viaggiano nel mondo infero, l’underworld va inteso, in questo caso, non già come dimensione inferiore, ma interiore: il mondo degli spiriti, delle ombre, dell’invisibilità, dei sogni, il regno di Ade. Gli sciamani neri parlano con gli spiriti che essi governano al punto da poter chiedere loro di svolgere dei compiti. Potendo stringer patti con gli spiriti e potendoli avere al proprio servizio, sono considerati i più potenti e, come afferma, il Prof. Gurbadaryn dell’Università di Ulaanbaatar nel suo libro sullo sciamanesimo mongolo (Purvee Gurbadaryn Mongolian Sciamanism, 2010, Ulaanbaatar), gli sciamani neri incarnano quello delle origini. Lo sciamanismo giallo, invece, è un fenomeno che si è venuto a creare in seguito della commistione dello sciamanismo con il Buddhismo tantricosciamanico. Dopo molti rituali e riunioni preziose, ricevo da Nadya, sciamana buriata ereditaria di antico lignaggio, l’investitura che mi rende ufficialmente “traghettatrice”: gli sciamani mi riconoscono come un loro referente in grado di portare sinceramente a loro - questo il significato di “traghettatrice” - persone che abbiano questioni o problemi di qualsiasi natura da risolvere o che semplicemente vogliano entrare in contatto con il grande cammino sciamanico. I primi di agosto si avvicinano è già ora di salutare Peter e Elena. Ci attendono due giorni e due notti di treno - la transiberiana - per raggiungere Abakhan dove incontreremo il gruppetto, in arrivo dall’Italia, che traghetteremo nel mondo sciamanico. Le incontriamo all’aeroporto, sono eccezionalmente tutte donne (è la prima volta che mi capita). Non ci vuole molto ad innamorarci le une delle altre, chi partecipa a certi viaggi è sempre mosso da una profondità di emozioni che rende sinceramente amici. Ed ecco che, con il vostro permesso, mi accingo a raccontarvi di una meravigliosa avventura vissuta da un gruppo di donne e da un ragazzo, sicuramente accomunati da un profondo desiderio di scoperta. Insieme abbiamo visto molte cose e appreso tanto.

Prima lezione La purificazione. Nessuno può iniziare il viaggio nel mondo sotto il mondo e attraversare la Grande Soglia senza essere stato purificato. Khakass Sagalakova Yerosinya Efimovna, un’anziana sciamana dell’Hakasia ci frusta e affumica per costringere gli spiriti malvagi - le nostre idee negative - a lasciarci. La prima lezione è che le idee non sono nostre. Le idee sono eidola, si dice in psicoanalisi, cioè sono idoli, dei e demoni, sono spiriti e numi. Le idee negative si impossessano di un individuo per due ragioni: la prima è che egli ha tradito la natura, la seconda è che ha interrotto le tradizioni ancestrali. La storia di ogni individuo è raccontata nel mito che soggiace alla sua cultura. Noi siamo mito e non possiamo che ripetere nel tempo ciò che gli dei fanno nell’eternità. La cultura che abitiamo nasce proprio con un atto di tradimento da parte dell’individuo nei confronti della natura. È raccontato in molti miti, per esempio in quello di Arianna, in cui Minosse, re di Creta - che rappresenta la struttura della psiche e vuole il potere sulla natura chiede a Poseidone - divinità di natura un segno del proprio potere. Poseidone

acconsente e fa avere a Minosse un toro bianco con il patto che egli l’avrebbe restituito attraverso un sacrificio rituale. Ma quando il re vede il toro così possente e bello, rifiuta di restituirlo a Poseidone e vuole farne un bue delle proprie mandrie. Il mito esprime qui il primo archetipo sul quale si fonda la nostra cultura: il tradimento del patto con la natura e il tentativo di addomesticamento della selvatichezza. Questo è quanto avviene nella vita di ciascuno giacché ogni uomo nasce con il carico di un peccato che di quel tradimento originario è l’espressione più diretta. Durante l’infanzia e l’adolescenza ognuno si occupa, con la complicità dei genitori e della cosiddetta educazione, di addomesticare la propria selvatichezza. Dopodiché tutto quello che accade nel mito ci riguarda molto da vicino: per saperne di più sul mito personale si veda il libro su James Hillman, (Selene Calloni Williams James Hillman, il cammino del fare anime e dell’ecologia profonda, 2013, Edizioni Mediterranee, Roma). Non a caso una delle prime cose che gli sciamani della Siberia e della Mongolia fanno al loro paziente, non appena entrano in trance, è dargli un po’ di scudisciate con un frustino magico per consentire alle energie negative di lasciare il suo corpo.


I VIAGGI

Poi lo cospargono di fumo profumato per richiamare gli spiriti dei suoi avi, che sono attratti dai profumi, essendo dotati di un corpo etereo detto mangiatore di odori, giacché si nutre della sostanza sottile delle cose. L’Io sociale, nel suo delirio di potere, tradisce il patto con la natura interrompendo le usanze degli avi. Da sempre, infatti, gli avi avevano compiuto il rituale sacro che Minosse rifiuta di fare. C. G. Jung e i pensatori post junghiani, come James Hillman, ci insegnano che il corpo non è un oggetto, ma un simbolo, un’immagine, una visione. La psicologia junghiana e post junghiana ci collega magnificamente al sentire dei popoli animisti, alle culture tribali e sciamaniche. Gli organi sono gli dei, nella visione di Jung. E gli organi sono diventati malattie poiché gli dei sono adirati con gli uomini che hanno tradito il patto del sacro rituale. La malattia è spesso occasione per ristabilire l’equilibrio universale. L’ordine primevo che è stato tradito. Ecco perché il filosofo Cioran afferma che i nostri mali, i nostri disturbi, i nostri disagi sono, in verità, il nostro più grande patrimonio. L’approccio sciamanico non è terapeutico. L’approccio terapeutico è anestetico. Lo sciamanismo, come l’arte, prende un cammino estetico in cui i nostri mali vengono non già sedati, bensì nobilitati,

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non già sconfitti, bensì trasmutati, come l’alchimista trasmuta il piombo in oro. Ciò è fatto a mezzo del rito sciamanico che è sempre il rito del sacrum facere, cioè del sacrificio. Gli sciamani buriati della Siberia affrontano questo rituale sacrificando una pecora o un caprone di cui poi si cibano bevendone persino il sangue. Durante il rituale neppure una goccia del sangue dell’animale deve toccare il terreno, perciò esso viene ucciso in un modo speciale, che non provoca dolore. Dopo essersi cibati della carne e aver preparato del sanguinaccio, i buriati raccolgono le ossa dell’animale nella sua pelle vuota e bruciano la carcassa come sacrificio agli dei, proprio come faceva Prometeo. I buriati celebrano questi rituali da molti secoli sempre negli stessi modi, perché interrompere le tradizioni è un vero crimine nella religione sciamanica. Con il mio gruppo di donne - tutte più o meno inconsapevolmente animate dall’archetipo di Arianna - dopo il rito di purificazione, mi trasferisco dall’Hakasia alla regione di Tuva dove vi è niente di meno che il centro del continente asiatico e dove lo sciamanismo è vivo, fiero e forte, difeso da barriere naturali, distanze remote e scarsità di vie di comunicazione.

Qui esistono le cliniche sciamaniche, realtà mozzafiato anche per chi, ne ha viste molte di cose estreme. Incontriamo diverse sciamane all’interno delle cliniche, tutte donne, come noi, e anche questo dice qualcosa. Ci accolgono, rispondono alle nostre domande, ci ascoltano, ma tutto sembra avvenire in superficie. Allora richiamo il gruppo alla meditazione e raccolgo tutte nel silenzio. Piano piano la magia inizia ad accadere. Una sciamana prima stanca, quasi stremata da un’intensa giornata di lavoro, si anima all’improvviso mentre, di lì a poco, una sua collega si spoglia degli abiti consueti e inizia la vestizione del suo costume sciamanico e afferra lo scudiscio magico. Ci propongono un rito, ma non lì, nella clinica, bensì nella taiga, nella foresta. Accettiamo con entusiasmo: gli spiriti hanno ascoltato i nostri cuori. Il rito è meraviglioso. Le sciamane in trance hanno messaggi per tutte noi. Seconda lezione La vita è il sacro rituale dedicato alla divinità e ciascuno di noi è sia colui che ordina il rituale, sia colui che lo celebra, sia l’oggetto del sacrificio, sia colui al quale il sacrificio è dedicato. Ogni giorno è il giorno dell’incontro con il sacro, ogni momento è il momento del rituale. Quando sono a casa e progetto i miei viaggi e scrivo i miei libri o penso i miei documentari, io cerco di non dimenticare mai questa lezione. Alla mattina, quando mi sveglio con la mente piena di idee, le uso per compiere il mio rito sacrificale. Le prendo tutte, le porto sul canale della città scozzese dove vivo e le consegno alla brughiera, le brucio nel fuoco della mia corsa mattutina in mezzo alla natura, chiedendo alle acque del canale, alle foglie, ai gabbiani e ai corvi di ispirarmi le loro idee. Questo mi sembra il rituale sacrificale più adatto per essere compiuto in una cultura - come quella occidentale post moderna di cui sono figlia - dove, se si trova un agnello libero di pascolare nei campi, è certamente meglio lasciarlo in pace e bearsi della sua serenità. Agli spiriti bisogna offrire ciò verso cui il nostro “Io” prova maggiori attacca-


menti egoistici e ci appare prezioso, il che, nella nostra società, a differenza di quanto può essere nella società buriata, non è certo l’agnello, ma piuttosto tutte quelle certezze mentali - che in verità, come ci disse il filosofo Nietzsche, sono le nostre più grandi bugie - sulla base delle quali stiamo sistematicamente depredando e avvelenando il pianeta. Il gruppo è in estasi, l’atmosfera è meravigliosa, ma l’avventura non è ancora finita: le mie compagne di viaggio sono pronte a qualcosa di più. Così le cose cambiano all’improvviso: i nostri biglietti prenotati per la Transiberiana vengono commutati in un viaggio in auto che sulle prime ci appare assurdo: 18 ore di strada non stop - se non per qualche pausa veloce - guidate da un autista instancabile, al punto da farci pensare che possa essere bionico. Nel corso dei viaggi nell’underworld bisogna sempre essere pronti a qualsiasi improvviso cambiamento. Il programma, se si è portato, va stracciato nei primi giorni. Quello che sembrava uno sforzo stancante si tramuta presto in un viaggio verso il paradiso. I paesaggi, già magnifici, diventano sempre più belli: l’Altai è uno dei luoghi più sconvolgentemente belli del pianeta. Non solo gli sciamani più potenti sono difficili da conoscere, ma anche i luoghi che essi abitano sono profondamente nascosti e difficili da raggiungere, proprio come le lande più magiche e segrete della nostra psiche. Anche quelle 18 ore filate di auto ci sembrano ora un rituale sacro indispensabile per poter raggiungere ciò che non puoi cercare ma solo sperare che venga a te non appena sei pronto a riceverlo. Un rituale in cui bruciamo i facili giudizi e i dubbi della mente.

ste, esso è un concetto astratto inventato dalla mente umana. Quello della molteplicità delle anime era un concetto che avevo già appreso presso gli sciamani della Mongolia. Secondo Vassili, noi possediamo un’anima padre, una anima madre e un’anima della reincarnazione. Al momento della morte fisica, l’anima madre torna ad essere un tutt’uno con la natura. Questo processo di re-integrazione dell’anima madre ha inizio diverso tempo prima della cosiddetta morte clinica, durante tale processo gli elementi che ci compongono, terra, acqua, fuoco e aria, intraprendono il cammino che li riporterà alla loro origine. La nascita, infatti, è data dall’aggregarsi degli elementi primari, la morte è data dalla disgregazione degli elementi che tornano ciascuno alla propria origine. Nel momento in cui il cuore si ferma, seguendo la descrizione di Vassili, l’anima padre si rifugia nelle vertebre cervicali e qui permane per un certo periodo fino a che trova dimora in un sasso o in un albero. L’anima della reincarnazione, al momento della morte, prende dimora nell’osso pubico e qui permane fino a che l’osso non si spezzi, allora l’anima inizia la propria migrazione dalla morte alla successiva rinascita. L’anima padre porta in sé la memoria della vita trascorsa e di tutte le precedenti esistenze. Gli sciamani quando trovano un sasso o

un albero in cui vi è rifugiata un’anima padre possono vedere in esso la caratteristica principale dell’anima rifugiata. La sciamana pittrice ci mostra un sasso in cui è visibile la sagoma di uno sciamano danzante, dicendoci che si tratta del più prezioso tesoro che lei di possiede. Poi ci mostra altre pietre: in una si vede chiaramente l’immagine di un Buddha seduto in postura meditativa con tanto di corona di luce, in un’altra l’immagine di un cacciatore. Salutiamo la sciamana, pittrice e visionaria, per recarci a casa di una sua collega. Si tratta di una sciamana scrittrice e canta storie - proprio come gli antichi sciamani, bardi e poeti - essa ci narra il futuro del pianeta e poi fa per noi un rito grazie al quale, come lei dice, ci “apre le porte”. Che il rito abbia funzionato o no, sta di fatto che adesso possiamo davvero “vedere”: le aquile, messaggeri del mondo infero, volano in cielo e due arcobaleni meravigliosi incorniciano il loro cielo, che è anche il nostro. Siamo pronti per l’incontro con la montagna sacra. L’aquila è simbolo di buon auspicio presso gli sciamani, rappresenta il mondo infero ed è segnale dell’arrivo degli spiriti Nel campo di yurte dove dormiremo, un esperto di sciamanismo dai capelli grigi ci attende per parlarci di come i sogni siano una piccola morte, di come

L’Altai è pieno di poesia. Qui conosciamo una sciamana che vede nelle pietre gli spiriti, gli dei e i numi e dipinge sulle ossa di animale le visioni che le appaiono. Nella visione sciamanica, mi aveva spiegato Vassili, lo sciamano nero della Buriazia, l’anima è vista come trina. In effetti, in natura il numero uno non esi11


I VIAGGI

sia possibile governarli, ma soprattutto per mostrarci l’amore incondizionato per la natura. Lui ci chiede di chiamarlo Uch-Enmek, come la montagna sacra che dà il nome al parco naturale dove ci troviamo. Uch-Enmek è la montagna sacra dell’Altai, il suo nome significa “Tre Corone”. i locali credono nel potere purificatore di questa montagna e della valle che si estende ai suoi piedi, la valle di Karakol, luogo sacro per molte culture che qui si sono succedute. I locali sostengono che tutti gli ospiti lasciano questi luoghi con pensieri puri e grande potere d’amore. Dal punto di vista archeologico, la valle di Karakol è una delle più ricche nella zona dei Gorny Altai. I ritrovamenti più antichi - tumuli funerari associati alla singolare cultura Karakol - sono paleolitici. Alcuni ritrovamenti hanno suggerito che questa non fu solamente una necropoli per persone di ere diverse, ma anche uno dei più grandi santuari dell’Altai, che include strutture rituali, steli, ed un grande numero di capolavori in roccia. Secondo Uch-Enmek qui vi fu anche un osservatorio astronomico, che doveva essere persino una stazione con la quale era possibile comunicare con altri mondi. Nei tumuli funerari i cadaveri venivano sepolti con molto oro perché, ci spiega sempre UchEnmek,l’oro era al contempo un simbolo di protezione e un mezzo per parlare con gli Esseri di altri mondi. L’Altai è

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pieno d’oro, lo stesso oro a cui alludeva Platone, quando scriveva che i grifoni difendono l’oro dell’Altai, il medesimo oro sepolto insieme alla Principessa dell’Altai. Si tratta della mummia di una ragazza di venticinque anni che porta grandi, misteriosi tatuaggi che l’hanno fatta ritenere un’antica sciamana. La mummia della Principessa dell’Altai risale a 2.500 fa ed oggi è chiusa in una teca protetta in un museo costruito nella regione di Gorny Altai appositamente allo scopo di ospitarla. La cosa più strana è che la Principessa dell’Altai doveva avere, secondo gli studi effettuati, sangue ariano e tratti somatici europei, e non mongoli. L’Altai è pieno di misteri archeologici e non. Uch-Enmek, che si rivela un vero maestro di ecologia profonda, ci porta a vedere i Menhir di cui non solo la valle di Karakol, ma tutto l’Altai è punteggiato: enormi pietre erette, disposte a cerchio da uomini vissuti nell’età del Bronzo e scolpite con pitture rupestri raffiguranti non solo animali e scene di caccia, ma anche - come possiamo vedere un paio di giorni più tardi, spostandoci nel complesso megalitico di Tarhatinskogo, lo Stonehenge dell’Altai - i simboli dei tre mondi della cosmo-visione sciamanica: il mondo sotterraneo, il mondo di mezzo e il mondo dei cieli. Lo sciamanismo è la religione più antica sul pianeta, la religione di natura, il culto della Grande Madre. Se si scava

profondamente nel cuore di ogni religione umana vi si trova il battito del cuore di quella prima sciamana sulla terra e il senso di un’ecologia profonda che indica la via per salvare il nostro pianeta morente. Così, per esempio, al centro del rituale cristiano troviamo l’Eucarestia, quel rito nel quale si beve simbolicamente sangue umano e si mangia simbolicamente carne umana, a ricordare il mistico sacrificio. Gli sciamani dell’Altai ci parlano di una religione del futuro che nascerà dall’antichità, per mezzo del risveglio del cuore profondo di ogni religione esistente e le riunirà tutte in un unico afflato d’amore per la terra, in una volontà di pace e di rinascita del pianeta. Così, dopo aver viaggiato nel mondo infero, proprio nel punto più basso come successe a Dante - anche a noi capita di trovare il passaggio che ci conduce in cielo. L’Altai è uno degli ultimi paradisi terrestri, bisogna visitarlo, ma non in un viaggio turistico, bensì nel raccoglimento di un’avventura dell’anima. Se sei interessato ai viaggi di Selene Calloni Williams visita il sito: www. voyagesillumination.com e leggi i suoi libri di cui puoi trovare una descrizione completa presso il sito: www.nonterapia.ch © Selene Calloni Williams - testo e fotografie



LA VIA INTERIORE

La matrice spirituale di Manuela Gatti www.corposophia.it

L’

essere umano, dotato di un corpo fisico, soggetto a leggi fisiche, riconosce nel suo intimo la propria matrice spirituale e, consapevolmente o meno, cerca di ri-contattarla. Lo fa nei modi più diversi ma cerca pur sempre sé stesso, la scintilla da cui proviene. Si, perché noi siamo luce, siamo vibrazione, particella e onda allo stesso tempo, siamo materia alla quale abbiamo dato l’attributo della solidità e, in quanto materia, siamo atomi, che di solido non hanno nulla. L’uomo si perde in questo divagare del pensiero e spesso lo rifugge creandosi problemi, diversivi o interessi, malattie o incidenti che lo tengono attaccato al proprio mondo, che chiama “reale”, in modo da poter mettere da parte o comunque rimandare il profondo confronto con sé stesso. Chissà per quante vite continuerà a rimandare e a vedere riflessa nello specchio del mondo l’immagine che le sue paure hanno forgiato, chissà quanto dolore sarà necessario per giungere a non aver più paura del dolore stesso, chissà quanta fatica dovrà compiere prima di scoprire che la Natura segue sempre il principio del minor sforzo e che la vita, in sé, si esprime naturalmente… Se questo essere non è in armonia con sé stesso, non può entrare in armonia con i propri simili e il proprio ambiente, la Grande Madre che lo ospita e nutre. Ogni volta che permette ad un pensiero di riconciliazione di giungere a sé, trova sempre un’ottima e ragionevolissima scusa per eludere la questione e liquidare ogni anelito alla ricerca: ci sono sempre problemi “reali” da affrontare, il senso di responsabilità verso chi ci sta intorno, il lavoro, la crisi, i soldi che scarseggiano… E, quindi, l’uomo cede spesso il proprio potere alle scuse, trovando sempre un motivo valido per rimandare 14

a domani la decisione di eliminare le proprie abitudini dannose, cambiare l’alimentazione, migliorare lo stile di vita, approfondire le conoscenze in tema di salute, iscriversi ad un corso e mettersi in gioco con un gruppo di persone, leggere un libro, partire per un lungo viaggio… Egli è convinto che la propria soddisfazione e felicità siano consequenziali all’ottenimento di risultati e non è sfiorato dall’idea che il processo si manifesti esattamente al contrario: sono felice e quindi ottengo ciò che desidero! Ricordare chi eravamo, può aiutarci? Coloro che hanno fatto l’esperienza della cosiddetta pre-morte, non solo non hanno più paura della morte ma cambiano profondamente il modo di vivere dando spazio a valori che prima di quell’esperienza li toccavano solo superficialmente. Chi ricorda le vite precedenti diventa consapevole della propria eternità e dell’illusorietà degli oggetti del mondo e vive la vita con naturalezza, come un passaggio tra una morte e l’altra, godendosi ciò che gli viene offerto al momento presente ma ben consapevole che è solo in prestito: non teme la morte, sa che è un ritorno a casa, tra una vita e l’altra. Costoro sanno ad un livello più profondo, proprio grazie alla loro esperienza, che la materia di cui siamo costituiti e il corpo che indossiamo sono un involucro animato che lo spirito utilizza per il proprio scopo. Veggenti, medium o sensitivi, in virtù delle loro attitudini, dialogano con il sottile e con dimensioni differenti di esistenza e possono ricevere informazioni che l’uomo comune non è normalmente in grado di cogliere. Forse questi attributi appartenevano a tutti gli uomini, forse un tempo non eravamo vittime della casualità ma causavamo coscientemente la nostra esistenza. Forse, come teorizzano David Icke e molti eminenti studiosi, il nostro DNA fu modificato in tempi

lontanissimi ad opera di extraterrestri che invasero il pianeta e che, allo scopo di sfruttarci, ci resero schiavi loro e delle nostre paure, per tenerci sotto controllo e indurci a vivere sottomessi. Un vero e proprio intervento di genetica sulla razza umana, alla quale fu lasciato un barlume di coscienza per poter eseguire compiti che un semplice animale non poteva svolgere ma alla quale fu tolto l’accesso al proprio potere personale e forza. Sta al nostro livello di comprensione approfondire e valutare queste tematiche tutt’altro che fantascientifiche, approfondite non solo da Ike ma anche da eminenti studiosi quali Zecharia Sitchin e molti altri citati nei loro testi. La scienza prende semplicemente atto che, negli esseri umani, circa l’1,5 per cento del DNA è composto di geni che codificano per proteine, mentre il restante 98,5% per cento è invece chiamato “DNA spazzatura”, perché contiene geni senza scopo apparente. E noi, come ci sentiamo? Ci sentiamo “completi”? Ci percepiamo come esseri in grado di riconoscere e realizzare i nostri desideri? L’istinto di dare e di condividere che riconosciamo nel nostro intimo si realizza nella realtà? O vi è sempre una lotta, interiore ed esteriore, tra le aspirazioni e le azioni? Siamo esseri amorevoli e compassionevoli o siamo animati da spirito di competizione e sopraffazione? Viviamo nella fiducia e nella gratitudine o nel sospetto e nella paura della sorte? Siamo in grado di riconoscere le nostre contrastanti emozioni e la battaglia che si svolge costantemente tra i nostri più puri desideri e la frustrazione di una vita che procede per abitudini e permeata da un senso di impotenza? Siamo più motivati dall’amore o dalla paura? La consapevolezza del nostro stato attuale e la ricerca di risposte che, nell’intimo, siamo in grado di riconoscere, poiché ci corrispondono e vengono affrancate da rigorosi studi, sono il primo passo per trasformare la


nostra esistenza dal ruolo di vittime del destino a quello di esseri senzienti in grado di creare coscientemente la propria realtà: l’uomo da sempre ha ricercato le risposte ai suoi interrogativi esistenziali e ha cercato di connettersi con il proprio sé interiore e con la sua spiritualità mai dimenticata, il cui accesso forse è stato oscurato ma verso la quale la sua stessa natura lo porta a ricongiungersi. Gli sciamani Nella lingua quechua, parlata dalle popolazioni indigene dell’Alta Amazzonia, “aya” significa spirito, anima, persona morta, e “huaska” vuol dire corda, liana, vite, da cui il termine “ayahuaska”, la corda, la liana, che ci collega con gli spiriti e le anime dei morti. L’ayahuasca è un’infusione psicoattiva composta da un minimo di due ingredienti vegetali, la liana Banisteriopsis, che viene bollita insieme a una o più piante. L’infuso di queste piante, di tradizione millenaria, considerato sacro da milioni di persone indigene di tutto il bacino della Foresta Amazzonica, risulta essere la componente princi-

pale dei sistemi di vita e credenze di questi popoli. Questa tradizione è considerata da molti come l’ultima di quelle sciamaniche che si conservano con il maggior grado di purezza sul pianeta. Non si può spiegare la cultura né la vita di questi popoli e del loro mondo religioso, festivo e tradizionale, senza comprendere il ruolo dell’ayahuaska nella loro vita, ruolo che riguarda la tradizione mitologica e le convinzioni religiose, quali il destino post-mortem, l’immortalità, la comunicazione delle forze spirituali della natura. A partire dalla decade degli anni 1930 inizia un consumo dell’ayahuaska da parte di nuovi movimenti religiosi nati in Brasile che ne fanno un uso sacramentale all’interno di rituali mistico-religiosi strutturati, che uniscono alle pratiche derivanti dalla tradizione indigena, contenuti ed insegnamenti filosofico religiosi che provengono dal cristianesimo, dalla tradizione africana e dall’esoterismo europeo. L’uso delle piante sacre che permettono di aprirsi a stati modificati di coscienza ha a che fare con una concezione di profonda integrazione di corpo, mente e spirito, in contrasto con quanto accade nella nostra socie-

tà occidentale dove medicina, psicologia e spiritualità sono separate da insormontabili differenze. Nonostante l’incredulità razionalistica imperante, l’uomo continua, come ha sempre fatto, a vivere in prima persona quelle esperienze interiori che ispirano l’intuizione della realtà spirituale e permettono di accedere a stati particolari di coscienza che normalmente non gli sono accessibili, sperimentando i quali ritrova una sua dimensione dimenticata e ritorna alle sue origini. Si, l’uomo non ha mai smesso di ricercare la propria matrice spirituale, non ha mai smesso di contattarla e lo ha fatto nei modi più diversi… Attraverso l’uso delle piante psicoattive ed in particolare dell’ayahuaska può contattare quel potere e quella forza che sembravano perdute, può connettersi con entità che gli restituiscono la comprensione di un’esistenza che viaggia ben oltre i ristretti confini entro i quali è stata relegata, può accedere a piani di coscienza che lo aiutano a risvegliarsi dal suo lungo sonno, nel quale forse è caduto o forse è stato indotto, ma dal quale il risvegliarsi può essere solo opera sua. 15


I Luoghi della BioGuida Percorsi ed itinerari per viaggiatori dello spirito

Associazioni, scuole, istituti, centri, terapeuti, seminari, corsi, conferenze ed altre proposte Per informazioni su come venire inseriti nella rubrica: info@bioguida.com - 040.302110 - 338.8852117

PIEMONTE TORINO Centro Buddha della Medicina Via Cenischia 13, Torino. Tel. 011.3241650, 011.355523. CENTRO STUDI CLOROPHYLLA Associazione Tecniche Naturali Via Settimo 1, San Mauro Torinese (TO) Tel. 338.5979532 www.centrostudiclorophylla.org Centro Studi Maitri Buddha Via A. Guglielminetti 9, Torino. Tel. 011.359649. IL CERCHIO VUOTO associazione religiosa per la pratica e lo studio del Buddhismo Zen Soto (responsabile spirituale rev. Dai Do Massimo Strumia) Via Massena 17, Torino. Tel. 333.5218111. www.ilcerchiovuoto.it DOJO ZEN MOKUSHO Via Principe Amedeo 37, Torino (TO). Tel. 011.883794.

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ALESSANDRIA Buddhadharma Center Via Galimberti 58, Alessandria. Tel. 3467408380, www.buddhadharmacenter.org

NOVARA AURA - Associazione per la ricerca e lo studio delle filosofie orientali. Centro studi terapie naturali, Scuola di massaggio Via Maggiate 45, Borgomanero (NO). Tel. 0322.846011, www.aurauniversalmente.com ASS. AMICI DEL VILLAGGIO VERDE Località San Germano - Cavallirio (NO). Tel. 0163.80447, 333.7639262 www.villaggioverde.org

SONDRIO CENTRO STUDI TIBETANI SANGYE CIOELING Buddismo Mahayana Vajrayana Via Vanoni 78/B, Sondrio. Tel 0342.513198

LIGURIA LA SPEZIA ON ZON SU SCHOOL Via Gaggiano 24, Arcola (SP). Tel. 0187.955456, 347.5826327, www.riflessologiaplantare.org Ass. NATURALMENTE Via D. Manin 35, La Spezia (SP). Tel. 0187.20218 , Fax 0187.29547 www.naturalmente-sp.it Comunità Bodhidharma Eremo Musangam, Monti San Lorenzo 26, Lerici (SP). Cell. 339.7262753.

GENOVA CENTRO MUDRA Yoga e Danza Indiana. Via Ponterotto 90/A, Genova. Tel. 010.8394229, cell. 338.3385219. www.centromudra.it ENNEAGRAMMAINTEGRALE Consulenza individuale, seminari, laboratori e ritiri per esplorare chi siamo. Tel. 333.8477054, www.enneagrammaintegrale.it


I LUOGHI

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Centro “il Fiore Del Tao” Via Felice Casati 8, Milano. Tel. 02.29537223 www.fioretao.com Monastero Zen Il Cerchio Via dei Crollalanza 9, Milano. Tel. 02.8323652, www.monasterozen.it

PAVIA Ass. Scuola Soto Zen Centro Studi Zen Komyoji Loc. Costapelata-Fortunago Fortunago (PV). Tel. 0383.875584.

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THE NEW YUTHOK INSTITUTE PER LA MEDICINA TIBETANA Corsi, meditazioni e seminari. Prof. dr. Pasang Yonten Arya T. Sherpa. Viale Spagna 77, Sesto S. Giovanni, (MI). Tel. 02.2536266, www.newyuthok.it .

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LOMBARDIA MILANO Accademia Ayurveda Yoga Ananda Ashram Milano Via Prandina 25, Milano. Tel. 02.2590972, www.yogamilano.it ACCADEMIA DI KINESIOLOGIA Via Rutilia 22, Milano. Tel. 02.533634, info@accademiadikinesiologia.it www.accademiadikinesiologia.it Associazione Culturale VEGA Via della Repubblica 16, Paullo (MI). Tel. 335.7065167, vega@vega2000.it www.vega2000.it Centro Dharmadhatu Via Venezuela 3, Milano. Tel. 02.38005575 www.dharmadhatu.it

GRUPPO ZEN BERGAMO Pratica di zazen c/o Ho Sha Do Via San Bernardino 18, Bergamo. Tel. 333.4400313, zazenbg@yahoo.it

BRESCIA IKSEN Via F. Bianchi 3, Tosc. Maderno (BS). Tel 0365.641898.

COMO EDOARDO AMATO KOFLER Tel. 338.9310834 x1idea@hotmail.com www.armoniaesaggezza.com

CREMONA Istituto per l’Evoluzione Armonica dell’Uomo Via Carso 2, Cremona. Tel. 0372.433239.

PADOVA ASSOCIAZIONI PROGETTO BENESSERE Viale Stazione 134. Montegrotto Terme (PD) Tel. 049.8910706 – 335.6745856 www.associazioniprogettobenessere.it www.gioiabertha.it Centro Tara Cittamani Via Lussemburgo 4, Padova. Tel. 049.8705657.

ISTITUTO OLISTICO Via Savallon 15, Anzano di Cappella Maggiore (TV). Tel. 0438.941457, www.istitutolistico.it ASSOCIAZIONE CULTURALE NASHIRA Discipline bio naturali dal 1990 - Shiatsu, Yoga, Fiori di Bach Via Cavour int. 34/C, Conegliano (TV). Tel./Fax 0438.22530, cell. 346.0346404 centro.nashira@libero.it SCUOLA KINERGIA Via Malan 59/2, Borso del Grappa (TV). Tel. 0423.910304, cell. 349.8834096. www.kinesiologiaviva.it

VENEZIA CENTRO YOGA DHARMA Via Napoli 52, Mestre (VE). Tel. 041.5311954. www.yogadharmamestre.it

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I LUOGHI

METODO CALLIGARIS Ass. culturale “STELLA POLARE 999” Via Val Pusteria 9, San Donà di Piave (VE). Cell. 348.3027711, www.metodocalligaris.org ASS. ENERGY DARSHAN OSHO YATRILAND VENEZIA Via Alberoni 41, Lido di Venezia (VE). Tel. 041.5261853, 339.1199317, info@oshoyatrilandvenezia.com www.oshoyatrilandvenezia.com ASSOCIAZIONE CULTURALE MAYA Salute e benessere per il corpo e lo spirito. Corsi di Formazione. Seminari. Consulenze individuali Vicolo San Francesco d’Assisi 1 31032 Casale sul Sile (TV) (presso Hotel Claudia Augusta) Tel. 335.8752254 beppe.maya@libero.it

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VICENZA Centro Studi Syn Via Villa Glori 22, Vicenza. Tel. 0444.922682, assocsyn@tin.it

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I LUOGHI

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EMILIA ROMAGNA BOLOGNA CENTRO NATURA Via degli Albari 6, Bologna. Tel. 051. 235643, 051.223331 www.centronatura.it CENTRO STUDI CENRESIG Centro per lo studio e la meditazione Buddista Mahayana Via Meucci 4, Bologna. Telefoni: Maddalena 347.2461157, Giovanni 349.6068534. www.cenresig.org


CENTRO YOGA “LE VIE” Via M. D’Azeglio 35, Bologna. Tel. 051.19982056, www.yogalevie.it Scuola/Fondazione Matteo Ricci Via A. Canova 13, Bologna. Tel. 051.531595, www.fondazionericci.it

PARMA Ass. LA GROTTA DI CRISTALLO Shiatsu, Tai Ji, Danze Orientali, Voice Dialogue, Reiki, Diapason Terapia, Naturopatia, Meditazione Guidata. Fidenza (PR). Tel. 0524.84450, 0524.62315. Ass. NAMASTE - Parma Via Mascagni 25, Rivarolo di Torrile (PR). Tel. 0521.810138, cell. 335.6713405. www.oshonamaste.it LIBERA ACCADEMIA SCIENZE UMANE Scuola di counseling professionale accreditata Cncp Incontri di crescita e formazione in ambito umanistico e transpersonale Via Sella 31/A (lat. Via Orlando), Parma. Tel. 0521.944410, www.lasu.it www.alchimia.org Monastero Zen Fudenji Bargone 113, Salsomaggiore Terme (PR) Tel. segreteria: 0524.565667. Monastero Zen Sanbo-ji Pagazzano, loc. Pradaioli 27, Berceto (PR). Tel. 0525.60296. Associazione di promozione sociale SPAZIO SHIATSU Corsi di shiatsu professionali e amatoriali, meditazione za-zen, seminari di approfondimento. Via Dalmazia 71, Parma. Tel. 0521.533831, www.studishiatsu.it

MODENA Centro Culturale L’Albero Cultura, spiritualità e opere sociali Strada Statale Romana 135 Fossoli di Carpi (MO) Tel. 335 6684108 www.centroculturalelalbero.org CENTRO YOGA SHIVA Via Silvati 12, Modena. Tel. 059.364625, Cell. 338.5332728, www.centroyogashiva.it

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FIRENZE

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LAZIO ROMA ACCADEMIA DI YOGA Via XX Settembre 58 A, Roma. Tel. 06.4742427, www.accademiayoga.it AMRITA CENTRO YOGA E AYURVEDA Via C. Colombo 436, Roma. Tel. 06.5413504, 06.5081202, www.amritayoga.it ASSOCIAZIONE SHAKTI Centro di Kundalini Yoga e Sat Nam Rasayan Via dei Brusati 30, Roma. www.kundaliniyoga.it BUPPO DOJO praticare il Buddhismo Zen Soto Via Ferento 5, Roma. Tel. 06.70032022 www.buppodojo.it CEDIFLOR Centro Diffusione e Didattica Floriterapia di Bach Via R. Fauro 82, Roma. Tel. 06.8074385, 333.4243663 www.cediflor.it CENTRO NIRVANA Associazione Spirituale per la Meditazione Chan e Zen Via A. Bono Cairoli 15, Roma. Tel. 338.7021800, 328.6848780, www.centronirvana.it CENTRO YOGA ED OLISTICO VIPASHYANA Channelling, regressioni karmiche, yoga, meditazione, cristalloterapia, mass. ayurvedico, riflessologia plantare, pranoterapia, reiki. Via Venezia 48/50, Ciampino – Roma. Tel. 347.8360990 www.vipashyanayoga.com

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SICILIA PALERMO Dott. RENATO IUDICA Rappresentanze Prodotti Naturali Via G. Arimondi 48, Palermo. Tel. 392.6893370, 347.6215339.

I dati raccolti sono stati forniti o individuati da elenchi pubblici e sono trattati in ottemperenza alla legge 675/96 con particolare riferimento agli articoli 12 e 20. Agli interessati è riconosciuta la facoltà di esercitare i diritti di cui all’art.13. Il titolare del trattamento dei dati è l’editore.

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GLI INCONTRI

Una magica sinergia

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l metodo Biodinamico nella disciplina Craniosacrale mira al benessere della persona in tutte le sue parti, facendo riemergere la salute che è in noi per accompagnarci in ogni momento della vita quotidiana. La prima cosa è accorgersi di essere in salute. Sappiamo bene come ci sentiamo quando un disturbo si fa sentire: ho il mal di testa, ho il mal di schiena, ho la cervicale, ho.. ho... Ma abbiamo la consapevolezza di come ci sentiamo quando siamo in salute? L’abbiamo mai cercata nei momenti di bisogno e accolta come si conviene ad una persona amica? Imparare ad ascoltarla e gioire con lei è già una via di guarigione. Ricordiamo che la possiamo contattare tutte le volte che desideriamo in quanto la salute è sempre presente! Una sessione di craniosacrale biodinamico, metodo dott. G.W. Sutherland, è in grado di risvegliare anche il più fievolo briciolo di salute rimasto, per riaccendere la potenza rigeneratrice sciogliendo le tensioni presenti. Il Corpo si riappropria così delle sue

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Craniosacrale Biodinamico e Dieta Psicosomatica

energie, l’informazione riprende a circolare in tutte le sue parti e questo risveglio generale riaccende la coscienza e le consapevolezze corporee ancora assopite.

Quando ci “accorgiamo” della presenza di un qualcosa dentro di noi allora possiamo decidere di ascoltare le sue ragioni attraverso la voce delle sensazioni per riportare ordine e armonia


I.P.

nel mare delle nostre fluidità. La Dieta Psicosomatica si sposa perfettamente con i dogmi della consapevolezza corporea. Perché Dieta Psicosomatica è ritrovare la magrezza originaria, è conoscersi, è cambiare la nostra forma mentis La dieta psicosomatica mira a trovare una nuova dimensione del proprio essere in quanto verte alla trasformazione dell’individuo. In questa chiave il dimagrimento è un vero e proprio percorso psicosomatico, sino a raggiungere la forma corporea in cui ritroviamo l’identità che più ci appartiene. Il corpo non viene dunque trattato come un nemico da mortificare ma diventa il nostro migliore.... amico! Si possono ascoltare tutte quelle parti di noi che ci stanno “parlando” sino a “gridare” in alcuni casi, come i sensi di colpa o le paure che, come ombre, ci oscurano e rallentano il cammino della vita, proprio perché si nutrono delle nostre forze.

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Per informazioni: 345.9226622 - 345.9224454 professionisti.craniosacrale@gmail.com Il percorso psicosomatico di consapevolezza corporea indica la strada per risvegliare passioni e interessi sopiti, imparando a capire le vere ragioni che portano a mangiare in maniera disequilibrata e ossessiva. E’ forse noia, stress, solitudine, rabbia, mancanza di affetto o insoddisfazione? Con semplici esercizi di interiorizzazione possiamo ascoltare le necessità del nostro corpo e con semplici modalità lo

possiamo soddisfare a livello profondo, indirizzando i pensieri alla via della sincerità verso sé stessi e modificando positivamente il nostro stile di vita, in tutti gli aspetti: dall’alimentazione al campo lavorativo e relazionale ma, “in primis”, con noi stessi. Si tratta di un vero e profondo cambiamento di stile di vita che ci porta a ritrovare la stima in noi stessi. E’ questa la forza più grande che possiamo avere!

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LA VIA INTERIORE

Dipendenze affettive di Susanna Berginc (Metamedicina, numerologia, floriterapia) http://metamedicina.altervista.org

L’

innamoramento, con i suoi momenti magici, sembra un incanto destinato a non finire mai, un’estasi infinita in cui cullarsi beati. E, nel momento in cui le cose cambiano e la persona amata non è più così perfetta, ci troviamo improvvisamente disorientati ed iniziamo a chiederci dov’è finito l’incantesimo dei primi giorni. Questo accade perché, passato il periodo iniziale in cui ciascun amante mette in mostra le sue parti migliori, entrano in gioco gli schemi ed i meccanismi appresi attraverso l’esempio della propria famiglia, altamente deleteri per le relazioni affettive e una vita felice. Esistono molti di questi modelli appresi nei primi anni di vita, ma in questa sede parleremo principalmente di quelli inerenti alla dipendenza affettiva, visti secondo la Metamedicina di Claudia Rainville. La persona dipendente affettivamente (che d’ora in poi chiameremo dipendente) ha un gran bisogno di approvazione: è disposta a tutto, proprio a tutto, pur di non essere abbandonata, tradita, messa da parte. E questo avviene non solo con il proprio partner ma anche con i figli, con gli amici e talvolta anche con il terapeuta. Il dipendente può essere terrorizzato dal perdere chi ama, può parlarne di continuo, può pensare solo a quello e può anche colpevolizzarsi pesantemente per tutto quello che succede nella relazione a due. Molto spesso crede che per essere amato deve essere perfetto, deve essere una moglie o un marito impeccabile, deve essere un genitore o una casalinga insostituibile, senza permettersi mai di sbagliare. Chi vive questa ferita solitamente non ha molto rispetto per sé stesso in quanto è intimamente convinto che non troverà mai un’altra persona che lo amerà per quello che è: di conseguenza ciò gli fa accettare ogni sorta di sfruttamento o maltrattamento, anche fisico. E, purtrop26

po, più viene ferito, più si aggrappa a chi ama. Moltissime persone vengono maltrattate, umiliate o picchiate ma non si sognano minimamente di lasciare la persona responsabile di tutto ciò, dandole (senza rendersene conto) l’autorizzazione a ricevere altri maltrattamenti. Le persone dipendenti preferiscono, infatti, subire e pagare un prezzo molto alto piuttosto che rivivere la solitudine: non è la paura del non sapere dove andare che le blocca ma la paura, il terrore, di sentirsi nuovamente abbandonate. Un altro modo per manifestare questa ferita consiste nel rendere dipendente la persona amata, prendendosi carico della sue responsabilità, sbrigando il lavoro al posto suo, pagando le spese, suggerendo cosa fare, arrivando a proporre di lasciare il lavoro per provvedere personalmente al suo mantenimento. In questo modo la persona amata diventa più debole e difficilmente penserà di rompere il rapporto. Ma funziona anche all’opposto: la persona dipendente loda e valorizza chi ama, le fa capire di essere unica, mera-

vigliosa, arrivando anche a ricoprirla di regali, per far sì che non possa pensare di lasciare chi la sostiene così meravigliosamente. In questo caso è molto più difficile riconoscere la propria dipendenza, a maggior ragione quando ci si ripete di continuo di essere indipendenti e capaci di stare anche da soli, quasi a volersene convincere. Vediamo ora qual è il percorso che ci porta a diventare dipendenti affettivamente. Tutti i bambini sono dipendenti dai propri genitori ed è giusto che sia così; non a caso siamo gli “animali” che necessitano di maggior cure parentali. Ma, con il passare degli anni, tutto questo dovrebbe cessare gradualmente, per permettere al bambino di crescere autonomamente per diventare un adulto responsabile e maturo affettivamente. Questo avviene solo se i bisogni del bambino sono stati soddisfatti: bisogni affettivi, materiali, di sostegno o di difesa. Quando un bimbo dice, ad esempio, di non volere andare a scuola, gli si risponde che la scuola è necessaria, che


non può farne a meno, senza rispondere in realtà al bisogno inespresso dal bambino e cioè che non sta bene o sta vivendo un disagio. Magari a scuola lo prendono in giro, o forse è tanto stanco, oppure pensa di non essere amato. Allo stesso modo, se un bambino piange lo si consola con un dolcetto oppure gli si dice che ormai è grande, oppure è un “maschietto”, anziché ascoltarlo ed accoglierlo nel suo dolore. E, fin da piccoli, si riceve un imprinting molto forte che è: se mi esprimo e sono me stesso = non vengo amato / accettato. Ci sono anche altri modi per diventare dipendenti: uno di questi è l’eccessiva responsabilità. Se un bambino deve accudire a dei fratelli più piccoli (oppure malati), in lui cresce il bisogno di ricevere cure ed attenzioni alla pari degli altri: in pratica si sente abbandonato a sé stesso. Ci sono anche persone che si sono sentite abbandonate perché i loro genitori erano sempre assenti e il loro accudimento era affidato a nonni

o baby-sitter, oppure perché sono state poste all’asilo nido a pochi mesi di vita e cioè nel momento in cui erano vitali le cure materne. Analogamente può succedere che un genitore picchi un bambino senza che nessuno alzi una mano per difenderlo; in questo caso il bambino si sentirà senza protezione, indifeso, abbandonato a sè stesso nella sua fragilità. E’ importante capire che non è necessario aver vissuto un abbandono vero e proprio; l’importante è che ci sia stata la sensazione di essere stati abbandonati. Ma noi, in tutto questo dolore, cosa possiamo fare per ritrovare la luce del sole? Il primo passo è certamente rendersi conto di essere dipendenti da qualcuno, cosa che per molti non è facile. Il secondo passo è quello di andare ad accudire la nostra parte ferita, abbandonata, che non ha avuto modo di maturare affettivamente: questo è possibile con l’aiuto dei nostri genitori interiori, corrispondenti alla parte maschile e

femminile. Un esercizio molto efficace offerto dalla Metamedicina consiste nel visualizzarci da adulti mentre andiamo ad accogliere noi stessi da bambini, nel momento in cui ci siamo sentiti abbandonati: è un esercizio emotivo molto toccante, che talvolta può essere difficile eseguire da soli. Diventa importante promettere al nostro “piccolo” che noi per primi non lo abbandoneremo più, che lo ascolteremo quando cercherà di farsi notare con l’unico modo a sua disposizione: cioè facendoci provare rabbia, insofferenza, depressione, tristezza e così via. E, quando ciò succederà, quando vivremo un disagio di qualunque tipo, sarà molto importante fermarsi, ascoltare il bisogno interiore del nostro bambino e soddisfarlo, dicendo semplicemente che lo amiamo, siamo accanto a lui e, qualunque cosa succeda, noi ci saremo. Questo è un primo piccolo passo ma può portare a grandi risultati se praticato con continuità.

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LA VIA DELLA SCIENZA

La pupilla: un occhio dentro l’occhio di Elisabetta Conti (iridologa) www.adacqua.net

L

a pupilla non è altro che un foro sulla superficie di una sfera : dalla pupilla si puo’ vedere l’interno del bulbo oculare, che non essendo illuminato, risulta nero. Come un pozzo profondo, sembra nero perchè il fondo non è illuminato. E’ dunque la “finestra” attraverso la quale entra la luce che va a colpire la rètina, su cui poi si forma l’immagine. Subito dietro la pupilla é posto il cristallino che funziona da lente, e serve a mettere a fuoco l’immagine. Come una lente, il cristallino è trasparente. (Con la cataratta il cristallino diventa opaco... infatti in molte persone anziane la pupilla diventa grigio scura, non più nera).

LA FORMA DELLA PUPILLA La forma della pupilla varia tra specie. Le forme più comuni sono circolare o a fessura, sebbene forme più convolute possano ritrovarsi nelle specie acquatiche. Le pupille a forma di fessura si ritrovano in specie che sono attive in un ampio spettro di livelli di luce: con una luce forte la pupilla si contrae e diventa piccola, ma permette ancora alla luce di essere proiettata su gran parte della retina. L’orientamento della fessura può essere connesso alla direzione dei movimenti che l’occhio necessita di notare con più sensibilità (in questo modo una pupilla verticale aumenta la sen28

sibilità degli occhi di un piccolo gatto al fuggire orizzontale di un topo). Più stretta è la pupilla più accurata è la percezione della visione. Animali come capre e pecore potrebbero avere sviluppato pupille orizzontali poiché una visione migliore sul piano verticale può beneficiare in ambienti montagnosi. I serpenti terrestri come il boa, il pitone e la vipera hanno pupille a fessura verticale perché li aiuta a cacciare prede sul terreno, mentre serpenti arboricoli hanno pupille circolari. I piccoli gatti e le volpi hanno anche loro pupille a fessura, mentre leoni e lupi hanno pupille circolari nonostante appartengano alla stessa fami-

glia: alcuni ipotizzano che ciò accade poiché le pupille a fessura sono più vantaggiose per animali che cacciano piccole prede piuttosto che quelle grosse.


DILATAZIONI PUPILLARI Il diametro della pupilla è variabile: le sue dimensioni sono regolate, in base all’intensità luminosa ambientale, da un sistema di muscoli che dipendono dal sistema neurovegetativo: quando il muscolo la dilata (midriasi) è per ricevere maggior quantità di luce ( se ci si ritrova in un ambiente buio), viceversa la restringe (miosi) in presenza di molta luce (esattamente come avviene in un obiettivo fotografico, con il diaframma). La differente ampiezza delle due pupille, in identiche condizioni d’illuminazione è detta anisocoria.

MIOSI

MIDRIASI

ANISOCORIA Se nell’occhio umano questo movimento è visibile, negli animali notturni e nei predatori è particolarmente accentuato.

MOVIMENTI E PULSAZIONI: CARATTERTISTICHE PSICOEMOTIVE DELLA PUPILLA Molti studi sono stati fatti riguardo la psico-diagnosi della pupilla (basti citare Silberkunhl, Hess - ruolo del diametro pupillare nella comunicazione - e infine Sebastiano Magnano, fondatore in Italia dell’iridologia psicologica). Specifica il dott. Magnano: “In nessuna struttura corporea il complesso rapporto dinamico tra simpatico e parasimpatico è evidenziabile e facilmente misurabile come a livello pupillare. Come è noto il gioco pupillare è determinato dall’attività antagonistica di due muscoli lisci intrinseci dell’iride: il muscolo sfintere e il muscolo dilatatore, stimolati rispettivamente dal parasimpatico e dal simpatico. La dilatazione, il restringimento, e le modalità di movimento della pupilla sono quindi parametri fondamentali per una rapida valutazione del tono dei due sistemi di innervazione viscerale”. Poiché il simpatico e il parasimpatico sono influenzati da molte modificazioni del sistema nervoso centrale: stati emotivi, (ansia,paura, ecc.), stress, stimolazioni sensoriali varie (suono/colore, odore), la dinamica pupillare è uno specchio fedele non solo del tono simpatico-parasimpatico ma, indirettamente, dell’intero sistema nervoso centrale che poi si ripercuote su quello viscerale, e quindi dell’intero organismo. Quello della pupilla è un vero e proprio linguaggio inconscio per comunicare disponibilità o chiusura nelle relazioni interpersonali, suscitando risposte pupillari negli interlocutori e inducendo fenomeni empatici: disponibilità, attra-

zione ecc. (da Sebastiano Magnano “Iridologia psicologica”). Possiamo ora ipotizzare, conoscendo la sensibilità pupillare a tutti gli stimoli interni ed esterni. che l’analisi delle variazioni del suo diametro e delle sue caratteristiche cinetiche possa dare indicazioni precise sulla reattività del soggetto a eventi non solo psichici, ma anche biologici. Secondo questa ipotesi quello della pupilla è un “linguaggio universale” in grado di evidenziare “affinità” o “avversioni” non solo psichiche ma anche biochimiche: allergie, diosincrasie, affinità farmacologiche, ecc. Questa nuova metodica diagnostica e terapeutica, è stata denominata da Sebastiano Magnano “Iridochinesi” o “Iridologia dinamica” ed è basata non solo sull’analisi della motilità pupillare ma anche sulla dinamica di tutta la superficie iridea. In conclusione: • l’iride è dotata di motilità • questa motilità è determinata dal tono simpatico-parasimpatico ed è in relazione con tutti gli stimoli interni ed esterni, quindi con il vissuto, la fisiologia e la fisiopatologia dell’individuo • è facilmente osservabile e misurabile • può fornirci informazioni importanti sullo psichismo, la fisiologia e la fisiopatologia del soggetto osservato ESEMPI Una pupilla più grande della norma indica la tendenza ad aprirsi in tutti i sensi, sia per ricevere che per dare (altruismo, emotività , influenzabilità): persona estroversa, ingenua, impulsiva, suggestionabile. Pupille piccole: soggetto introverso, chiuso, diffidente, ma anche abile, ponderato, poco influenzabile, equilibrato. L’anisocoria (diversa ampiezza delle due pupille) indica conflittualità , disarmonia interiore Se la pupilla non occupa una posizione perfettamente centrale, un leggero spostamento può essere considerato normale. Spostamenti più accentuati 29


LA VIA DELLA SCIENZA

(fughe) sono ricollegabili a disturbi di carattere psichiatrico (legati all’autismo o alla sfera sessuale) e quindi vanno presi in considerazione con molta cautela e nell’ambito generale della morfologia dell’iride.

PUPILLA NORMALE

La pupilla perfettamente circolare è segno di equilibrio; le ovalizzazioni (genericamente) indicano una tensione ideale, ambizione e forte impegno. Il bordo della pupilla può apparire appiattito in uno o più settori della circonferenza. Indicano un generico squilibrio, disarmonia, stress, difficoltà nei rapporti interpersonali, rancore.

PUPILLA NORMALE DESTRA VERTICALE

APPIATTIMENTO SUPERIORE O FRONTALE

ORIZZONTALE

APPIATTIMENTO MEDIALE O NASALE

TRASVERSALE OBLIQUA

APPIATTIMENTO TEMPORALE O LATERALE

OVAZIONI OBLIQUE PARALLELE

APPIATTIMENTO INFERIORE

OVAZIONI OBLIQUE SECONDO ASSI NON PARALLELI

Verso il basso

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Verso l’alto

Verso l’esterno (temporale)

Verso l’interno (nasale)

L’EFFETTO “OSSERVATORE” Secondo S.Isidoro di Siviglia (560636) le pupille si chiamano così per il fatto che chi guarda da molto vicino gli occhi vede la propria immagine riflessa entro il contorno delle pupille, così piccola ed irriconoscibile da sembrare l’immagine di un “pupo”, un bambinetto. La pupilla si mostra come il luogo (o il non-luogo, essendo a rigore solo una assenza, una mancanza di sostanza) dove la distinzione tra l’io e l’altro si confonde in un gioco di rimandi: vedo te nell’immagine che hai di me. Banalmente, possiamo notare come un fotografo che non ci comprende e non ci ama ci farà apparire nelle sue foto in atteggiamenti goffi e poco inerenti alla nostra personalità. L’effetto “osservatore” è stato un importante fenomeno rilevato dagli scienziati quantistici, i quali hanno scoperto che l’atto stesso di osservare e misurare una particella subatomica alterava inevitabilmente la sua conformazione. Partendo da uno stato indeterminato, la particella sotto osservazione acquisiva uno stato particolare di esistenza, come se la coscienza dell’osservatore fosse il ponte per trasformare un potenziale di qualcosa in qualcosa di reale. In particolare la teoria del Campo del Punto Zero e il fenomeno dell’entaglment - la fantasmatica azione a distanza -, offre una solida base scientifica su cui impostare lo studio non solo degli effetti dell’intenzione ma anche dell’azione a distanza del pensiero. Nella pupilla, quindi, vero occhio nell’occhio, potremo leggere i rapporti tra l’interno e l’esterno, la tendenza all’introiezione e alla proiezione. L’osservatore ha il potere di influenzare in modo diretto l’osservato, ma le implicazioni di questo effetto sanciscono la forza del rapporto che lega le due parti in gioco: al potere dell’osservatore di dare esistenza all’oggetto bersaglio dell’osservazione si affianca l’idea che niente nell’universo possieda un’esistenza oggettiva e indipendente dalla percezione che il soggetto ne ha.


L’ARREDO ECOLOGICO

Con l’esperienza acquisita negli anni produciamo su progettazione e su misura L’ARREDAMENTO NATURALE. Il nostro obiettivo è di creare ambienti alimentando il fluire dell’energia positiva, ottimizziamo gli spazi e soprattutto ascoltiamo le esigenze delle persone che abiteranno i locali da noi arredati. Adoperiamo solo legno massiccio, certificato, le lavorazioni e gli assemblaggi vengono fatte ad incastro, senza uso di colla, i trattamenti sono fatti solo con olio e cere naturali, i colori sono ottenuti con ossidi sciolti nell’olio, otteniamo superfici satinate e piacevoli al tatto. Evitiamo tutte le finiture con spigoli, otteniamo così forme morbide e arrotondate. Dedichiamo una particolare attenzione ai bambini e ragazzi... curando in modo particolare le loro camerette. Adoperando solo LEGNO, OLIO E CERA si evitano tante forme di allergia... non si creano cumuli di cariche elettrostatiche, gli ambienti sono sani, piacevoli, armoniosi... il legno ha la caratteristica di essere termoregolatore: assorbe l’umidità in eccesso per ridarla quando l’ambiente ne ha bisogno. Progettazione per noi vuol dire anche: curare i particolari come: il colore delle pareti, la posizione del letto, l’illuminazione data dalle lampade ionizzanti con la loro luce vivificante... Cerchiamo di seguire il nostro cliente con la massima premura e con la nostra professionalità... Via del Lavoro 18, 31013 Codognè (Tv) - tel./fax 0438 777236 - bioliving@libero.it - www.bioliving.it


LA VIA DEGLI ANIMALI

I doni del commiato di Andrea Sergiampietri (medico veterinario) www.homeocode.info

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uesto articolo è una riflessione sul tema del morire. Una riflessione non ancora completamente chiusa che rappresenta solo un punto di vista personale. Iniziata da tempo, messa su carta e lasciata lì a sedimentare più e più volte. Alcuni eventi di quest’anno mi hanno portato ad una difficile decisione: ho preso una posizione definita riguardo all’eutanasia, che rispetta la mia dignità, i valori e anche chi la pensa in modo diverso. Diverso non significa migliore o peggiore. Pongo La stanza è in penombra, un letto, una bombola d’ossigeno, un’asta portaflebo. Un uomo le è seduto accanto, l’anziana signora respira con leggerezza sotto le coperte. Il piccolo cane, arrivato con l’uomo ora seduto, non conosce quella casa. La sua storia, iniziata 12 anni fa, è un viaggio avventuroso e complicato da varie e imprevedibili vicissitudini umane. Ha conosciuto diverse persone che si sono prese cura di lui. Quest’uomo lo ha incontrato solo negli ultimi mesi, la donna poi non l’ha mai vista prima. Piccolo yorkshire mai stanco di passeggiate ed esplorazioni, quasi allergico allo stare tra quattro mura per più di un’ora, appena entra in quella stanza si dirige verso la minuta vecchietta. Si posiziona sotto al letto, esattamente in corrispondenza della testa della signora e da lì non si muove più. Guai a chi cerca di prenderlo e portarlo fuori per mangiare, lui ringhia e mostra i denti. Per il tempo necessario alla donna per compiere il trapasso, non c’è altro modo che mettere ciotole e acqua sotto al letto, oppure prendere “con la forza” il piccolo e determinato Pongo, portarlo fuori, giusto per una brevissima passeggiata. I giorni passano delineandosi in settimane, Pongo rimane nella sua posizione, veglia lo scorrere lento degli 32

eventi. Ci sono momenti critici. Sintomi anche intensi compaiono in questa ultima parte di vita dell’anziana signora. Per quanto strano possa sembrare, raggiungere lo stato ideale per lasciare il proprio corpo fisico non è una cosa semplice. Ci sono molti fattori, interni ed esterni, che agiscono come resistenze: quando questi si sommano compaiono i sintomi fisici, oppure talvolta è come se fosse necessario aspettare la visita di ancora una persona prima di poter chiudere il cerchio. Il tempo corre lentamente, in una dimensione non ordinaria. Quando compaiono i sintomi, questi generano evidente disagio e dolore, intensissima sofferenza emotiva, molti dubbiosi pensieri e domande per i presenti. Coloro che assistono, in quei momenti, passano rapidamente dal “vorrei che finisse tutto subito” al

“vorrei che non ci lasciasse mai”. Ciò nondimeno Pongo accompagna, veglia, protegge, sostiene questa donna e chi l’assiste. Uscirà da solo, da quel letto, 36 ore dopo il trapasso. La veglia di Pongo dura un mese circa. Lui poi torna alla sua vita normale, con una gran voglia di uscire, seguire odori, incontrare persone e altri animali.. quello che tutti conoscono, il Pongo che quando vuole qualcosa abbaia e, spesso, qualcosa vuole. Fare La nostra società è improntata sul fare, sulla competizione, su vittoria e fallimento. Il “lasciare che sia” è sinonimo di arrendevolezza. Il parto è assistito, programmato e indotto. Dalla nascita in poi è continuo l’intervento su sviluppo e crescita, affinché siano raggiunti


obbiettivi in tempi codificati e avvalorati da statistiche. Incremento ponderale, crescita in altezza, sviluppo cognitivo, il diploma, la laurea, il lavoro, costruire basi, allevare i figli e via da capo… proprio così, come se esistesse un eterno ciclo di vita, in cui fare cose significa percorrerlo, come criceti impazziti. Tutto viene orientato al raggiungimento della capacità di fare qualcosa entro un tempo determinato, con la massima efficienza possibile. La vita scorre e giunge al suo termine. La negazione suprema del fare e del poter fare è la Morte. Motivo per cui non è accettabile, motivo per cui il pre-morte viene spesso vissuto con vergogna. Malattia e morte Con la malattia è possibile ancora un dialogo, intervenire, lottare e, quindi, un fare. Con la morte, naturale, l’agire viene negato. Dal momento in cui viene pronunciata la frase “non c’è più nulla da fare” l’uscita consequenziale in questo sistema di valori è “non ha più senso vivere”. Finché c’era la speranza di vincere la malattia, la sofferenza fisica era accettabile, da questo momento non solo non è tollerabile ma ad essa si aggiunge il dolore della fine delle speranze. Se si tratta di un animale, resta ancora una cosa da fare: la “puntura”. Il morire “Non posso vederlo così: non è più lui, non vuole uscire, giocare, abbaiare, mangiare. Resta fermo e dorme la maggior parte del tempo” questa è in sostanza la frase che sento più spesso. In una parola l’animale non fa più la vita di prima, che veniva percepita soprattutto come una serie di azioni. Di fronte a queste parole, a volte non trattengo la considerazione che chi è prossimo alla morte, normalmente, non partecipa alla maratona di New York; ovvero è naturale che, nella fase di chiusura della vita, l’animale non corra, giochi o abbia i bisogni che aveva prima. Potrebbe sembrare una battuta di cattivo gusto, in realtà spesso è un modo altisonante per ricordare alle persone che esiste una fase che precede l’essere privi di vita e, questa fase, si chiama morire. Morire è qualcosa di naturale, a cui però abbiamo negato valore già da

molti anni. E’ appunto la fase del “non c’è più niente da fare”; un non-fare così duro da sostenere, verso cui nessuno ci ha preparati e che, con gli animali, la possibilità di essere noi a porre fine a questa insostenibile attesa dell’ineluttabile, risulta essere l’unica scelta desiderabile. Esagerando, la salute equivale ad avere la vitalità necessaria di fare qualsiasi cosa, l’impossibilità di fare se è temporanea viene chiamata malattia; quando diventa definitiva allora si entra in una fase definita di declino che condurrà a morte e sarà spesso rifiutata e talvolta vissuta con un sentire di ingiustizia, tristezza, disperazione, finanche vergogna, tale da renderla non sopportabile. Eppure in tutte queste fasi l’animale è vivo, la sua esperienza semplicemente passa da un fare esteriore ad un fare interiore, non visibile se non vogliamo vederlo ma molto profondo, denso di contenuti buoni per lui e per noi, quando troviamo il coraggio di restare e chiedere aiuto per essere sostenuti. Il morire può essere molto difficile. Per quello che ho osservato, a volte il corpo dell’animale è così esausto, svuotato da terapie chimiche, da perdere caoticamente controllo e coerenza. Compaiono in questi casi molti sintomi fisici e comportamentali ed occorre un lavoro altrettanto profondo e difficile per ridare serenità, togliendo il dolore quando è presente. In alcuni casi il dolore, esattamente come è ammesso nei pazienti umani, richiede il ricorso a farmaci antidolorifici, esistono e il medico può prescriverli, sono amministrabili in diversi modi e svolgono la loro funzione. Per descrivere questo stato si potrebbe prendere come esempio, sperimentato credo da chiunque, quello di quando una persona ha un’incredibile stanchezza del corpo, per aver lavorato anche mentalmente, in modo molto intenso, oppure per aver chiesto al proprio fisico più di quanto potesse sopportare e, nonostante l’immane fatica, non riesce a prendere sonno. O ancora, si può pensare a quei terreni agricoli coltivati con metodiche industriali che, pur rimanendo terra, dopo anni di fertilizzazione chimica e trattamenti antiparassitari, non hanno più alcuna sostanza e non riescono nemmeno a far cresce un

filo d’erba senza la somministrazione di concime. A questa situazione si somma sempre la comprensibile resistenza del sistema familiare in cui l’animale vive. Per questi motivi, nell’accompagnare l’animale è sempre bene farsi assistere da qualcuno che sia in grado di osservare e sostenere la famiglia, nella sua unità umana e animale, alla giusta distanza, intervenendo secondo scienza e soprattutto coscienza. Gli ultimi doni prima del commiato E’ impressionante osservare quanto sia, per molti, impossibile rimanere in questa attesa e quanta forza abbia la tentazione di uscire rapidamente, concludendo artificialmente la vita dell’animale. Eppure, tutte le numerose volte in cui la forza di restare e non-fare è prevalsa ho assistito a tanti piccoli miracoli. Mentre scrivo rileggo gli appunti dell’ultimo anno sugli accompagnamenti che ho seguito. Coki, Sansone, Samba, Cometa, Lucy, Nino, Lazuli, Manolo, Bambolina, Stellina… Per ognuno di essi sarebbe doveroso scrivere un racconto, creare un’opera musicale o anche cinematografica, perché sono stati i protagonisti di storie uniche e di grande insegnamento per noi umani. Coki addormentandosi dolcemente tra le braccia della sua compagna umana le ha donato la consapevolezza di poter essere ancora la donna forte, compassionevole e coraggiosa che era stata un tempo. Cometa ha atteso che la giovanissima amica bimba andasse a dormire; quante volte ho visto gli animali scegliere il momento più adatto per fare l’ultimo grande salto. Il momento e le persone in grado di poter esser presenti senza che l’evento del commiato, per quanto doloroso, fosse irremediabilmente traumatico. Nino, un gatto quasi ventenne, se ne è andato in presenza dei suoi “genitori” scegliendo l’unico giorno della settimana in cui erano entrambi a casa. Lucy ha insegnato la potenza calda dell’abbraccio; del potersi concedere di rilassarsi in un abbraccio, attraverso cui Lucy ha potuto finalmente riposare. E, in tutte queste storie, la vita dell’animale, dal momento del “non c’è più niente da fare” al momento della morte, ha avuto un senso profondo e unitario. Veri e propri doni di consapevolezza 33


LA VIA DEGLI ANIMALI

sono stati fatti da questi animali ai loro custodi umani, alla loro famiglia. E’ mia opinione che dare valore al morire e alla morte sia una condizione necessaria per dare valore alla vita e vivere. Di fronte all’animale che muore, per il tempo necessario a che questo processo si compia nel miglior modo possibile, ovvero serenamente, chi l’accudisce potrebbe semplicemente provare ad assumere l’atteggiamento del piccolo Pongo, rinunciare ai propri bisogni, attingere al proprio coraggio, rimanere presente e sostenere il passaggio. Di fronte a questioni di vita e di morte tutto il resto passa in secondo piano. Gli impegni quotidiani, i viaggi, il lavoro, gli appuntamenti, il continuo “fare per fare ancora”, tutto potrebbe essere messo da parte per essere pienamente partecipi dei più grandi misteri dell’esistenza. Eutanasia Ho fatto l’ultima eutanasia un mese e mezzo fa. La terza in un anno. Lo spaventoso e concreto vuoto che si ode nel momento in cui il cuore di un animale cessa di battere è come il suono di un eco negato. E’ un’improvviso black-out. Rimango lontano da me stesso per giorni, ritirato dall’universo sensibile. Quel vuoto rimane con me. Appartiene a quel genere di cose che un veterinario, nessuno che io conosca, vorrebbe mai trovarsi a fare. E, guardando gli occhi dei colleghi che la eseguono, riconosco questo stesso sentire, questa reazione di fronte al grande vuoto. Anestetizzare il proprio sentire è la difesa per non esserne travolti. Ci si ricaccia in un angolino di sé stessi e lì si attende quanto è necessario perché torni la luce. Rifuggo il termine eutanasia (come anche l’inesatto eufemismo “aiutare a morire”) e preferisco la parola “uccidere”, ha il senso crudo e concreto di quello che sono autorizzato a fare. Mi autorizza la legge, me lo commissiona il proprietario, lo scelgo in base al mio giudizio di medico veterinario. A riguardo ho sempre cercato di rimanere nella difficile posizione di sospensione del giudizio personale. La scelta del proprietario ha una sua non giudicabile dignità. Per ognuno, sia che scelga l’accompagnamento fino alla morte naturale o l’eutanasia, quell’espe34

rienza ha valore soggettivo e un senso vero e intellegibile solo a lui. Per molto tempo ho ritenuto che il mio compito fosse quello di dare sostegno lasciando libertà di scelta, purché responsabile e consapevole, al custode dell’animale. Avevo anche fatto mia la convinzione, rivelatasi non sostenibile che, se l’eutanasia fosse l’unica strada percorribile, allora farla con una ben determinata consapevolezza spirituale e coscienza facesse una grande differenza. Allo stato attuale credo che la mia consapevolezza e coscienza, su cui baso e controllo l’agire terapeutico, abbiano piena dignità esclusivamente nel mio percorso personale, senza però essere necessariamente una cosa buona o migliore per gli altri. Tuttavia ho sempre presentato l’accompagnamento come scelta di cuoremente possibile. Anche perché, se nessuno ne parla ai “proprietari”, questa possibilità spesso non è né conosciuta, né contemplata. Escludendo quell’unica volta in cui fu il proprietario stesso a premere lo stantuffo della siringa, mi sono reso conto che le eutanasie le ho fatte per i familiari dell’animale, i quali avevano le loro comprensibili sofferenze emozionali e i loro inderogabili bisogni e le ho fatte per me, perché ero andato ben oltre il mio personale limite di tolleranza a reggere la pressione della sofferenza umana. Non le ho mai fatte per l’animale. Ogni volta che mi sono trovato con lo stetoscopio sul cuore dell’animale attendendo che tutto si placasse, intimamente ho vissuto quei momenti atemporali come un mio tradimento verso l’animale. Non ho più alcuna intenzione di tradire il regno animale. Sono ormai convinto che per l’animale, il morire secondo il suo tempo naturale, accudito dalle persone che lui ama, sia la migliore esperienza possibile. E lo è anche per me, profondamente. Questa è la mia scelta. Lapislazzuli Accucciati sul pavimento, pomeriggio d’estate. Sono con Elena e Salvatore, la loro amata gatta è in mezzo a noi. Ha allungato la sua zampa e la tiene sulla mano di Elena. Respira lentamente, nessuno parla. La creatura si trova ora prossima al trapasso. Ha un problema molto grave che coinvolge le vie respiratorie,

gli scenari su “come andrà a finire” sono dei più foschi secondo quanto prevedibile dalla scienza medica. Tutto però avviene in modo diverso, intensamente commovente. Il respiro del gatto non infrange il silenzio attorno. In un attimo è nel suo morbido corpo felino, l’attimo dopo, senza alcun rumore, ne è fuori. Siamo stati con lei tutto il tempo necessario. Non è stato facile per i suoi umani. Il lungo periodo dalla diagnosi a quel pomeriggio è stato un tempo difficile, un intenso e continuo ascolto dell’animale, di sé, degli altri, un continuo mettere in discussione sé stessi e gli altri. Quel pomeriggio, attraverso un non-fare esteriore, nel silenzio caldo dei cuori di ognuno, la piccola Lazuli ha trovato la pace e il sostegno per distaccarsi da questa sua meravigliosa esperienza terrena. Lo ha fatto semplicemente e naturalmente. Poco prima di quell’istante ricordo di averla salutata, non potevo più restare con loro e dovevo tornare a casa. Ero sulla porta, ho salutato tutti, ma prima che potessi uscire dalla stanza, lei ha concluso il suo percorso. Elena poi mi ha detto una cosa che avevo già sentito anni prima. Mi ha detto che, per quanto doloroso, quel momento lo ha vissuto come se stesse assistendo ad un parto. Le stesse parole che usò un’altra ragazza raccontandomi come si era concluso l’accompagnamento della sua cockerina: “Era con me vicino al mio letto, le tenevo la zampa ed era come quella volta, anni prima, che l’aiutai a partorire i cuccioli”. Tutte le volte che ho assistito ad un accompagnamento ho avuto la sensazione di essere stato testimone del mistero della vita e della morte, senza che né l’una né l’altra fossero un fatto compiuto; il ciclo di vita perfettamente concluso nel suo stupefacente disegno e immediatamente continuato in un altro intangibile ciclo, nel mistero di ciò che è dopo. Quello che ho appreso da queste esperienze e mi riguarda direttamente è la forza di essere coerente con i miei valori e sostenere, per tutto il tempo necessario, le persone e l’animale in questa particolarmente importante fase della vita. Ho anche appreso che chiunque può “essere Pongo” e che, in ogni caso, gli animali non ci giudicano mai.



LA VIA DELLA SCIENZA

La follia della lobotomia di Peter R. Breggin (Psichiatra)

I

ricercatori dell’Università Laval di Quebec City, Canada, hanno pubblicato un nuovo studio di psicochirurgia moderna, ma il progetto soffre della maggior parte degli stessi ingiustificabili difetti connessi con la pratica abusiva in voga negli anni 50, compresa la mancanza di consenso informato e di “garanzie” per i diritti dei pazienti. Per motivi che restano incomprensibili, le persone con ossessione e compulsione cronica sono diventati l’obiettivo principale degli psico-chirurghi: anche questo studio canadese si rivolge ai cosiddetti pazienti OCD (Obsessive-Compulsive Disorder, Disturbo Ossessivo-Compulsivo). La psicochirurgia è la mutilazione o la distruzione del tessuto cerebrale normale per scopi psichiatrici o per il controllo di emozioni e comportamento. La lobotomia è la forma più nota di psicochirurgia e, come suggerisce il nome, distrugge il tessuto cerebrale nei lobi frontali: la sede di tutte le funzioni umane superiori tra cui ragionamento astratto, giudizio, pianificazione, autonomia e indipendenza, autocoscienza, consapevolezza sociale, sensibilità e amore. Altre forme di psicochirurgia colpiscono aree adiacenti e collegate ai lobi frontali e hanno effetti identici o molto simili alla lobotomia. Due studi conclusivi hanno inequivocabilmente messo in evidenza come la psicochirurgia deprivi l’individuo degli attributi e qualità umane fondamentali. Già nel 1955, P. MacDonald Tow, un lobotomista professionista, ne descriveva i danni come “menomazione dei poteri di astrazione e sintesi, della percezione di relazioni e differenze, della capacità di affrontare situazioni complesse, di pianificare o elaborare l’azione successiva da farsi e le sue conseguenze, nonché la rivalutazione dei propri errori. I processi mentali superiori sono quelli maggiormente lesi e risultano “smussati,” a causa di una 36

“generalizzata compromissione dell’attività mentale... più grave nelle funzioni superiori e più peculiarmente umane”. Prima di una lobotomia la maggior parte dei pazienti sono in grado di scrivere una breve biografia di diversi paragrafi su se stessi, compresa la loro sofferenza. Dopo la lobotomia, non sono più in grado di riflettere su sé stessi abbastanza per scrivere qualcosa di significativo, nemmeno una semplice riflessione. Nel 1982 Heidi Hansen, Ruth Anderson e un team di ricercatori hanno eseguito la più recente e approfondita analisi degli effetti della moderna psicochirurgia, concludendo che i pazienti post-psicochirurgia soffrono di “indifferenza emotiva”. Le capacità del paziente sono ridotte ad una debole iniziativa e scarsa capacità di strutturare la sua situazione; l’emotività svanisce, l’individuo è organizzato più superficialmente ed è più dipendente dalla situazione immediata. Il contatto con le altre

persone diventa più appiattito e il comportamento più meccanico. Nonostante questi due studi ben documentati, gli autori canadesi ignorano completamente gli effetti complessivi della psicochirurgia. Invece hanno


seguito i pazienti dopo sette anni al telefono, con intervistatori non addestrati, e chiedendo ai pazienti nient’altro che un elenco formale di 10 domande a cui rispondere con un voto da 0 a 4 sulla presenza o assenza di ossessioni e compulsioni. La lobotomia rende le persone indifferenti a se stessi e alla loro situazione, compresi i propri sintomi psicologici, questo non non viene mai menzionato. I pazienti lobotomizzati hanno poca o nessuna capacità di capire cosa è successo loro. Non si può scientificamente far conto sulle loro risposte a un questionario al telefono sette anni dopo la distruzione traumatica di porzioni del loro cervello. Ci sono stati gravi incidenti durante la sperimentazione. Gli autori segnalano come “solo due pazienti hanno avuto complicazioni chirurgiche permanenti”. Solo due? Questo significa già un tasso incredibile del 10,5% ! Oltre a ciò, “il tasso di eventi avversi in generale era del 57,9%” soprattutto in ospedale, tra cui una “sindrome del lobo frontale” in cinque pazienti, che indica un grave effetto acuto della lobotomia stessa. Alcuni pazienti hanno avuto emorragia cerebrale e trombosi venosa profonda, mentre “gli altri hanno lamentato infezione delle vie urinarie e polmonite.” E, nascosto nella sezione delle “complicazioni”, si trova la menzione dei due pazienti operati una seconda volta (per un totale di 16 lesioni nel cervello). Questa non è scienza. E’, invece, un abuso degli esseri umani indifesi. Lo studio è talmente mal fatto e gravemente distorto nei suoi risultati, che non si riesce a capire come possa essere stato pubblicato in una fonte ufficiale come “Il Giornale di Neurologia, Neurochirurgia e Psichiatria”. Fonte articolo originale: Huffingtonpost, 11/11/2013 www.huffingtonpost.com Il Dottor Peter R. Breggin è uno psichiatra americano, vive e lavora a New York. E’ anche l’autore del libro “Smettere l’assunzione dei farmaci psichiatrici”. Il suo sito Web è www.breggin.com

Fonte italiana per i diritti di pubblicazione: Comitato dei Cittadini per i Diritti Umani onlus info@ccdu.org - www.ccdu.org Il Comitato dei Cittadini per i Diritti Umani da anni denuncia gli abusi nel campo della salute mentale, ha realizzato numerosi documentari in formato DVD, il primo dal titolo: “Psichiatria, un industria di morte”, contiene filmati storici ed interviste, è ricco di documen-

tazioni inedite sulle atrocità commesse nell’ambito della psichiatria istituzionale, dagli albori ai giorni nostri, mettendo così in luce “orrori ed errori” della pratica psichiatrica, ponendoli a confronto con la tutela ed il rispetto dei diritti e della dignità dell’essere umano. Questo documentario viene mostrato gratuitamente nella mostra itinerante dal titolo: “Il volto sconosciuto della psichiatriaPassato e presente di errori e orrori”. Per maggiori informazioni: www.ccdu.it


LA VIA INTERIORE

La disponibilità dell’intento di Marco Baston (nagualista) www.intento.it

A

ffrontiamo in questo articolo la questione dell’intento nell’ambito dello sciamensimo tolteco. Devo ammettere che non è affatto facile ma, essendo centrale a tutto ciò che i guerrieri fanno e con cui si confrontano, è inevitabile. Cominciamo dicendo che è impossibile parlare dell’intento, cioè è impossibile darne una definizione o comunque stabilirne la sostanza attraverso l’uso delle parole. Il perchè è semplice: l’intento è pura azione, concepisce solo l’azione consapevole, non ha relazione diretta col pensiero o col linguaggio. Dunque, non resta che girarci attorno offrendo diverse angolazioni di interpretazione e confidare nel fatto che una di queste accenda una speciale percezione in chi legge. In questo caso non dobbiamo cercare di capire, ma lasciare che ci raggiunga una sensazione, un’intuizione fisica. Prima però un pò di storia che risulta sempre utile. Gli antichi veggenti durante le loro attività di manipolazione della percezione si resero conto dell’esistenza di una forza che condiziona lo stato delle cose; una forza che agisce su tutto “facendo il mondo”. Impararono a entrare in relazione con questa forza e ad “utilizzarla”. Vi entrarono in relazione con i loro sistemi e la loro modalità dell’attenzione, quindi in forma estremamente intricata, concentrando le possibilità che ne derivavano sulla loro immagine personale. Chiamarono questa possibilità “potere”, un nome perfettamente in linea col loro modo di conseguire la conoscenza e convertirono la propria conoscenza in potere. Questo ebbe per loro conseguenze nefaste ma, sostanzialmente, tutto nacque da un errore di valutazione riguardo la natura di quello con cui erano entrati in relazione. 38

I cicli successivi di guerrieri, che avevano modificato radicalmente la forma di approccio alla conoscenza, furono in grado di analizzare in modo assai più spassionato e lucido l’essenza di tale forza. Si resero conto di relazionarsi con un aspetto dell’energia in grado di agire sull’energia stessa e di organizzarne i flussi. Lo chiamarono “lato attivo dell’infinito” o “volontà dell’infinito”. Videro che tutte le configurazioni di qualunque allineamento energetico sono soggetti a tale forza, fino nei minimi dettagli, cioè che, in effetti, la volontà dell’infinito “fa il mondo” (o meglio i mondi) e lo rende attivo, agente, attraverso veri e propri “comandi”. In sostanza, tutto è sottoposto ai comandi del lato attivo dell’infinito, anche io stesso mentre sto scrivendo, anche voi he state leggendo. Questo aspetto dell’energia sostiene la realtà, il luogo in cui ci troviamo ora, per esempio. Quando i campi energetici si organizzano in un allineamento (cioè in un universo), l’allineamento stesso genera una qualità dell’energia che è appunto la volontà dell’infinito. Il lato attivo dell’infinito è impersonale, non soggetto ad influenza alcuna. Non è possibile chiedere favori per se stessi, nè per altri. Insomma lo sguardo dell’infinito scorre in modo paritario e inflessibile sopra tutto ciò che esiste, si tratti di uomini, animali, piante o altro. Tutti gli esseri viventi hanno un canale energetico, un centro di potere, che li connette al lato attivo dell’infinito. Negli esseri umani, fisicamente, si trova nell’area dell’ombelico e viene chiamato dai Toltechi “volontà”. Non ha niente a che vedere con la volontà come la concepiamo comunemente; si chiama così solo perchè è un canale per la volontà dell’infinito, attraverso cui riceviamo i comandi che si trasformano in intenzione e azione. I guerrieri scoprirono però che questo canale funziona nei due sensi: per

ricevere oppure per inviare, purchè ci si renda disponibili all’interazione con l’infinito stesso. Quando entriamo in sincronia col lato attivo dell’infinito questo diventa “intento” e questa è la parte indescrivibile di tutta la faccenda. Possiamo dire che si sta agendo col mondo o che si è nel tempo esatto dell’infinito, ma questo non significa nulla perchè tale forza può solo essere sperimentata. Nel momento in cui l’intento si rende disponibile noi siamo liberi, sebbene stiamo agendo su indicazione dell’intento stesso. I Toltechi chiamano questa disponibilità “intendere”. Forse ora intuiamo che non è l’intento a rendersi disponibile ma siamo noi stessi. E’ possibile relazionarsi con questa forza in ogni momento e quel momento cambierebbe la nostra vita per sempre, irrevocabilmente. Questo è il motivo fondamentale per cui continuiamo, in ogni istante dell’esistenza, a opporci e rifiutare le suggestioni dell’intento. L’intento pone continue suggestioni di fronte a noi, così come fa con tutto ciò che è dotato di consapevolezza, noi però le rifiutiamo perchè il nostro intendere è bloccato. Nasciamo con la capacità di intendere, appena nati disponiamo di “potere” su noi stessi e sul mondo e infatti usiamo questa capacità per “intendere” il mondo in cui viviamo ma, questo stesso intendere, finisce per diventare così coercitivo da escludere ogni ulteriore possibilità. I motivi per cui questo accade sono diversi, di alcuni abbiamo già parlato negli articoli precedenti, altri li affronteremo in seguito. Restano aperte alcune strade, come il sognare, nel quale (a volte anche nel sogno ordinario) ricordiamo la nostra capacità magica. E’ però possibile ritrovare tale capacità in qualunque momento; in realtà basta decidere di volerlo fare. La giusta sequenza liberatoria è: percepire l’intento come singola azione, espandere questa percezione all’inte-


LA SOGLIA DELL’ENERGIA Migliaia di anni fa, nel Messico precolombiano, donne e uomini dotati di grande curiosità e sete di conoscenza diedero inizio ad un percorso di esplorazione dell’ignoto, spingendosi al di là della barriera della percezione. Chiamarono “Nagualismo” questo percorso e, se stessi, “Toltechi”. Il Nagualismo pone le sue basi sul principio che l’universo sia un insieme di campi di energia, percepibile direttamente da noi tutti, quando oltrepassiamo i limiti imposti dall’interpretazione. I Toltechi svilupparono le tecniche per liberarsi da tali limiti, per consentire di riappropriarci di quanto più profondo ci appartiene: la totalità del sé. L’obiettivo dei loro sforzi è stato duplice: permettere il ricordo della propria natura energetica e utilizzare pragmaticamente la nuova visione della realtà. Questo viaggio prosegue ancora oggi, grazie all’impegno dei nuovi Toltechi. Il Nagualismo è stato portato all’attenzione del mondo occidentale da Carlos Castaneda, ultimo erede di una stirpe di guerrieri durata secoli. Tale lignaggio però non era l’unico a persistere.

BioGuida Edizioni

NUOVA USCITA

Dall’inizio degli anni ’90 l’autore ha effettuato una lunga serie di viaggi in Messico, nel corso dei quali si è verificato l’incontro con un gruppo di Toltechi che detiene la conoscenza delle tecniche per muovere il punto di unione. Si tratta di un lignaggio diverso da quello di cui Castaneda fu l’ultimo Nagual ma sempre appartenente alla stessa tradizione. Questo libro racchiude ciò che i lettori di Castaneda aspettavano da molto tempo: sogno, agguato, intento, maestria della consapevolezza, ricapitolazione. Tutte le parti fondamentali del Nagualismo sono esposte in modo chiaro, spiegando tecniche, metodi, strategie, esempi pratici, con la finalità di renderli praticabili e sperimentabili direttamente, oltre a molti altri aspetti mai trattati finora. Dopo un lavoro decennale, l’autore è riuscito a mettere a punto un sistema che rende disponibili le tecniche dei Toltechi ben al di là del contesto tradizionale nel quale sono state sviluppate. Ora, con questo libro, è qui per offrirle a voi.

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LA VIA INTERIORE

ro stato della realtà, cogliere la corrispondenza tra azioni del mondo e disponibilità dell’intento (indicazioni), connettere tale corrispondenza con il proprio stato personale per mezzo di un’azione che comporti uno sforzo consapevole, infine agire nella linea dell’intento. Agire nella linea dell’intento significa compiere le azioni mentre si sta intendendo nello stesso tempo del lato attivo dell’infinito. In quel momento la volontà dell’infinito si trasforma in “intento”. Ora proviamo con un esercizio pratico per dare inizio a questa sequenza. Utilizziamo un elemento in movimento che si organizza dopo un iniziale 40

stato di caos. Può essere, per esempio, una voluta di fumo che si alza nell’aria ferma di una stanza (usiamo incensi, carboncini, anche una sigaretta), una serie di sassolini gettati nell’acqua immobile o altro del genere. Nel caso del fumo vedremo che, dopo essere salito a caso, si addenserà in strati in modi diversi, secondo la situazione, nel caso dei cerchi nell’acqua osserviamoli scontrarsi tra loro e creare delle forme. Se fermiamo il dialogo interno, ci spostiamo sull’area della volontà e la proiettiamo a includere l’evento nella sua interezza, nelle sue fondamenta, cogliendo ciò che sottende l’azione, il movimento. Potremmo avere la chiara sensazione che ci sia qualcosa,

una forza, che sta di fatto costringendo la materia a quel comportamento specifico. Non si tratta della forza di gravità o dei movimenti dell’aria. Anche questi sono soggetti all’intento, ne sono un effetto. Cerchiamo di andare oltre, spingiamoci oltre usando l’area della volontà come centro di percezione. Se ci riusciamo, anche solo per un istante, afferriamoci a quella percezione e ampliamola, spalmandola, allargandola, a tutto l’ambiente in cui siamo. Quindi compiamo un’azione che richiede uno sforzo consapevole, qualcosa che spezzi la nostra ordinarietà, i cicli interni-esterni di abitudini. Direi che, a questo punto abbiamo già fatto un bel passo in avanti.


PAROLE E MUSICA

Due straordinarie chitarre per raccontare l’immensità dell’Atlantico Intervista a cura di Francesco Giordano

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icardo Silveira e Roberto Taufic sono due chitarristi di straordinario talento apprezzati a livello internazionale. Nato a Rio de Janeiro, Silveira ha perfezionato i suoi studi al Berklee College of Music in California per poi recarsi a New York e ha collaborato con artisti come Herbie Mann, Gilberto Gil e Milton Nascimento. Sono numerosissime le sue partecipazioni a incisioni di album jazz a partire dalla metà degli anni Ottanta. Roberto Taufic è nato in Honduras e dall’età di sei anni ha vissuto in Brasile dove ha iniziato i suoi studi musicali. Dal 1990 si è trasferito in Italia ove ha maturato numerose esperienze artistiche con musicisti italiani e brasiliani, fra le quali basta citare quelle con Luigi Tessarollo, Barbara Casini, Guinga, Gabriele Mirabassi, Maria Pia de Vito, Rita Marcotulli, Fabrizio Bosso. L’incontro delle loro chitarre ha dato origine allo splendido “Atlanticos” composto da nove tracce intense e ricche di musicalità e armonia. Ne abbiamo parlato con uno dei due artisti. Roberto come è nata l’idea di questo disco e come lo definiresti? “Atlanticos” è un disco nato in modo particolarmente spontaneo. Ricardo è sempre stato uno dei miei chitarristi brasiliani preferiti. Lo seguo da quando ho cominciato a suonare, è un esempio oltre che un amico. Lui è un musicista di gran gusto musicale e ci siamo trovati subito bene: la spontaneità del lavoro

si è riflessa nell’andare in sala di incisione, scegliere i pezzi e suonare con la voglia di fare della bella musica. Potrei definire questo lavoro come un incontro tra due chitarre amiche che hanno voluto condividere un momento musicale speciale. Due chitarre acustiche descrivono l’immensità dell’Atlantico e, come in un oceano, nella vostra musica confluiscono tante influenze: in che occasione c’è stato l’incontro con Silveira? L’idea del titolo sarebbe ispirata allo stesso oceano che costeggia tutto il litorale brasiliano quindi, anche Natal e Rio de Janeiro, la mia città e quella di Ricardo. Ma Atlantico è anche un oceano di influenze musicali e di esperienze vissute separatamente nel tempo. L’incontro tra noi è avvenuto grazie ad un’amica in comune che ha regalato a Ricardo il mio disco di chitarra solo “Eles & Eu”. Fu una piacevolissima sorpresa vederlo entrare nel camerino prima del mio concerto a Natal nel 2011 e dirmi che il disco era uno dei suoi preferiti! Mi ricordo che salì sul palco un pò nervoso ed emozionato ma, alla fine, fu un concerto bellissimo e abbiamo capito entrambi che era solo una questione di tempo realizzare un progetto musicale assieme. Due omaggi a Dori Caymmi, uno a Henry Mancini e poi composizioni vostre: qual è il filo conduttore in Atlanticos? Come dicevo prima, abbiamo scelto i brani su cui lavorare in sala di incisione. L’importante era avere dei pezzi che suonassero bene con le due chitarre classiche e che fossero di nostro gradimento. Io conoscevo già i pezzi di Ricardo che abbiamo inciso ed è stato semplice trovare delle idee. I brani di Dori Caymmi e di Mancini erano tra i nostri preferiti e lì abbiamo suonato sul momento, come veniva naturalmente. Abbiamo capito che avevamo tante cose in comune, cosa che non mi stupiva visto che Ricardo è uno dei chitarristi che più mi ha influenzato. La sua chitarra è protagonista in tanti dischi di importanti artisti brasiliani, da Milton Nascimento a João Bosco, oltre ad artisti americani. Poi ci sono una serie di dischi a suo nome usciti negli USA, insomma, avevo un mare di cose da imparare sentendo le

chitarre di Ricardo. Sei abituato a dialogare con chitarristi dall’estrazione jazzistica: come hanno preso vita i tuoi progetti in duo per chitarra? La prima volta che ho suonato con un chitarrista jazz italiano è stato grazie ad un amico calabrese che ha organizzato nel suo locale un mio concerto in duo con Pietro Condorelli. Allora ho capito che era interessante come progetto e potevo condividere quella musica mantenendo la mia personalità artistica, poi amo il jazz e la chitarra jazze suonare con Pietro è stato bellissimo! Andando a vivere a Torino ho conosciuto Luigi Tessarollo e lì abbiamo cominciato a “giocare” insieme con risultati meravigliosi. Il nostro primo disco “Gioco di corde” ha consolidato questa collaborazione, portando a tantissimi concerti e al secondo e recente “Painting with Strings”. Ho lavorato moltissimo accompagnando cantanti e strumentisti e penso che questo tipo di esperienza mi abbia permesso di sviluppare uno stile “accogliente”, aperto a dialogare con altri strumenti in quella che è la formula musicale che amo di più, il duo. Hai avuto un’intensa attività dal vivo in questo 2013 principalmente fra Italia e Brasile, oltre alle registrazioni del nuovo CD di Sergio Cammariere. Vuoi raccontarci i progetti musicali per il 2014? Il 2013 è stato un anno veramente ricco di nuovi incontri ed occasioni. Ci sono dei dischi in uscita di cui sono veramente felice: il duo con Gabriele Mirabassi, il quartetto di Salvatore Maiore, che per me è uno dei più grandi musicisti che conosco, il trio con Bosso e Bonaccorso ed altri. Ma sono molto fiero del nuovo lavoro in duo con mio fratello Eduardo che abbiamo registrato a Milano e verrà pubblicato a breve. Poi l’esperienza con Sergio Cammariere, persona davvero speciale e grande musicista. Non vedo l’ora che questi lavori siano a disposizione di tutti.

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PAROLE E MUSICA

Chick Corea

Vigil

a cura di Francesco Giordano

istintiva proprio perché abbiamo lavorato insieme così tanto. Era giunto il momento di andare in studio con poca pianificazione e vedere che cosa veniva fuori con le nostre capacità improvvisative”.

Gregory Porter

L

a conclusione del 2013 ha riservato non poche novità discografiche degne di nota. Fra queste il ritorno di Chick Corea con l’album “Vigil“ pubblicato dopo il successo ottenuto presentando il lavoro attraverso un tour in giro per il mondo. The Vigil è un album prevalentemente acustico che vede la partecipazione del virtuoso bassista Hadrien Feraud, il grande batterista Marcus Gilmore (nipote di Roy Haynes), l’inglese Tim Garland ai sassofoni, flauto e clarinetto basso e una nuova promessa dalla West Coast, il chitarrista Charles Altura.

Spyro Gyra

The Rhinebeck Session

U

n gruppo che ha scritto alcune delle pagine più importanti del jazz fusion, gli Spyro Gyra, si ripresenta con “The Rhinebeck Session“, disco registrato a Rhinebeck, un piccolo paese nella valle dell’Hudson, non lontano da Woodstock e che lascia grande psazio all’improvvisazione. “Che cosa è che rende gli Spyro Gyra speciali ?” Beckenstein spiega: “sicuramente il fatto che stiamo insieme da tanti anni porta la comunicazione tra di noi a un livello quasi mistico. La nostra capacità di improvvisare al volo è diventata così semplice e 42

Liquid Spirit

anni si è ritagliato un’importante fetta nel panorama musicale con uno squisito mix di bossanova e atmosfere lounge. La vocalist Bet.e e il chitarrista Stef propongono oggi “It’s all right“ un doppio cd contenente inediti e prestigiosi remix di pezzi già contenuti nei precedenti lavori come Day by day il cui omonimo album ha ottenuto il disco di platino. Fra gli inediti alcune riletture della tradizione jobiniana come Corcovado per un totale di ben 30 tracce.

Toninho Horta Antonio Onorato

I

ntanto dalla storica casa Blue Note arriva l’album di Gregory Porter “Liquid Spirit“. Porter è una delle voci più acclamate dell’ultima generazione R’n’B e jazz che attraverso pezzi diretti che raccontano di esperienze personali, si conferma con questo lavoro contenente 10 pezzi originali oltre ad alcune pregevoli riletture come lo standard jazz I Fall In Love Too Easily, o ancora Lonesome Lover di Abbey Lincoln e The ‘In’ Crowd di Ramsey Lewis. Al suo fianco il pianista e direttore musicale, Chip Crawford, il batterista Emanuel Harrold, il bassista Aaron James, l’altosassofonista Yosuke Sato ed il tenorsassofonista Tivon Pennicott. Su alcuni pezzi, Porter completa la formazione con il trombettista Curtis Taylor, e l’organista Glenn Patscha.

Bet.e & Stef

It’s all right

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rrivano da Montreal Bet.e & Stef un raffinato duo emerso sulla scena musicale nel 2002 che in questi 11

From Napoli To Belo Horizonte

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ue grandi chitarristi alimentano la musica intimista e avvolgente di “From Napoli To Belo Horizonte”: si tratta del brasiliano Toninho Horta, considerato già sul finire degli anni ’70 fra i migliori 5 solisti in assoluto a livello mondiale, e di Antonio Onorato, uno dei migliori esponenti del jazz italiano, noto a livello internazionale per essere fra i pochi musicisti a suonare, oltre alla tradizionale Gibson, la breath guitar, un particolarissimo strumento a metà fra chitarra e strumento a fiato. In questo lavoro i due musicisti offrono interpretazioni originali come due riletture dell’antica tradizione partenopea O Marenariello, o di quella brasiliana come Peixe Vivo. Horta e Onorato avevano già collaborato in studio nel 2000 (Un grande abbraccio), mentre negli ultimi anni hanno spesso condiviso il palco in America, in Brasile ed è nata così l’idea di ritrovarsi in studio per questo nuovo raffinatissimo lavoro. Horta utilizza il canto tipico della tradizione nordestina il cosiddetto canto alla Milton (Nascimento) che è uno strumento aggiunto alla sua chitarra che prevalentemente fa da accompagnamento a quella solista di Onorato. L’interplay fra i musicisti è perfetto.



presenta DOPO ANNI DI ATTESA DALL’ULTIMA RISTAMPA

FINALMENTE È USCITA L’EDIZIONE COMPLETAMENTE RIVEDUTA E CORRETTA DEL LAVORO FONDAMENTALE DI JOHN UPLEDGER E JON VREDEVOOGD

TERAPIA CRANIO SACRALE TEORIA E METODO

UN TESTO IMPERDIBILE PER GLI OPERATORI DI TERAPIA CRANIO-SACRALE, UTILIZZATO COME MANUALE PER L’AMMISSIONE AI PRIMI LIVELLI DI STUDIO INDISPENSABILE PER QUALSIASI OPERATORE DEL BENESSERE CHE DESIDERI APPROFONDIRE I CONCETTI BASILARI DI UNA DISCIPLINA ORMAI UNIVERSALMENTE RICONOSCIUTA PER LA SUA STRAORDINARIA VALIDITà ED EFFICACIA

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