L'alternativa ecologica del Gruppo Salingaros: Una città più bella e più giusta
L'alternativa ecologica del Gruppo Salingaros: Una città più bella e più giusta
a cura di Milena De Matteis Stefano Serafini www.grupposalingaros.net www.grupposalingaros.blogspot.com grupposalingaros@gmail.com
Per una città viva e bella, rigenerare la periferia urbana
Il Gruppo Salìngaros al Convegno “Ritorno alla Città”, Roma, 1‐2 Dicembre 2010 Il presente documento cerca di offrire uno spaccato, sintetico per quanto possibile, della visione del Gruppo Salìngaros. Il problema della periferia può essere risolto solo all’interno di una consapevolezza del contesto che ha permesso a questa forma di “anti‐città” di rovinare non soltanto il nostro meraviglioso patrimonio urbanistico, ma di pari passo anche i rapporti sociali, il confronto politico, l’equilibrio ambientale, e la salute fisica e psichica degli abitanti. Rigenerare la periferia italiana vuol dire rigenerare il Paese, e per farlo non bastano urbanisti classici, occorrono menti multidisciplinari aperte alla transizione e consapevoli della sfida della complessità. Il nostro modello propone di iniziare rimettendo al centro della civiltà urbana la “vita”, superando i dibattiti di scuola e la stessa impostazione del problema su base estetico‐funzionalista. È un approccio scientifico, aperto e verificabile, democratico e partecipativo di fatto. Ha un metodo di analisi della complessità. Ha verificato l’importanza dell’atto creativo e dell’esperienza connettiva, fino alla cultura del sacro, a partire dallo studio dei sistemi cognitivi e fisiologici dell’essere umano nel suo ambiente. Integra al proprio lavoro e alla propria ricerca i contributi di sociologi, matematici, psicologi, biologi, logici, artisti, politologi, economisti, fisici. Milena De Matteis – Stefano Serafini
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Per una città viva e bella, rigenerare la periferia urbana
RIGENERARE LA PERIFERIA ITALIANA Proponiamo in questo scritto un metodo per la ristrutturazione urbanistica in Italia. Le grandi città italiane si sono evolute attraverso i secoli, guidate da interventi umani intimi, su piccola scala. Non vogliamo che siano ripetuti gli errori urbanistici compiuti dal dopoguerra a oggi, che hanno portato alla creazione di orribili e antiumane periferie‐dormitorio. Vogliamo ricreare città, non «periferie». I luoghi che producono vita urbana sono caratterizzati da fattori di natura geografica e culturale locali che si adattano alla vita di ogni persona. Ci opponiamo perciò a qualsiasi metodo che consideri il territorio una tabula rasa e che non presti attenzione a tutto quanto di significativo in esso esista, sia di artificiale sia di naturale. La nostra proposta di metodo per ottenere una periferia idonea alla vita umana è basata su cinque punti essenziali: 1) la ricerca scientifica sui processi di sviluppo urbano, ossia sui meccanismi dell'urbanistica; 2) lo sviluppo delle regole urbanistiche per una città vitale, muovendo dalla scoperta di morfologie e tipologie funzionali accumulate lungo i secoli; 3) l’utilizzo di soluzioni tradizionali sostenibili, adattate e aggiornate alle esigenze odierne; 4) il rispetto del principio della progettazione partecipativa, che garantisce il senso di appartenenza e di gradimento da parte dei residenti nei confronti delle case e dell'ambiente urbano; 5) l’esclusione di ogni tipo di forma basata su un'ideologia che non sia stata vagliata con il criterio dell'adattabilità alle esigenze e ai bisogni umani. Ne deriva che disponiamo di due metodi progettuali da applicare alle nuove costruzioni e per riparare un tessuto urbano degradato. Le città vitali sono caratterizzate da una complessità molto avanzata e interconnessa, definita dagli edifici, dagli spazi, dai materiali e dalle superfici, una complessità che funziona in modo opposto alle forme semplici delle «città‐giardino» e delle «città‐dormitorio». La struttura delle città è tradita da qualsiasi proposta formale e semplicistica che neghi tale complessità. Una città vivente assomiglia a un organismo coerente, nelle sue componenti urbane, a ogni scala, sia grande che piccola. Noi applichiamo un metodo sviluppato nella teoria della complessità e dell'intelligenza artificiale, per definire la complessità a grande scala. La generazione della forma urbana parte dal sistema viario e degli spazi urbani, direttamente in situ. Purtroppo, la progettazione contemporanea non concepisce la scala socio‐urbana, limitandosi al piano dei singoli edifici: con ciò, mostra di arrendersi alla frammentazione della cultura postmoderna e nichilista, incentivando il deterioramento sociale delle città. La situazione della periferia richiede una difficilissima operazione di micro‐chirurgia rigenerativa urbana. Occorre allora focalizzarsi totalmente sul controllo della crescita della città dal basso. Per ristrutturare la periferia occorre seguire un metodo e una teoria, accantonando quasi tutto quanto è stato fatto dal dopoguerra in avanti. La geografia, l'orografia, l'influenza di pre‐esistenze naturali o artificiali, le tracce del tempo e i segni territoriali devono guidare il processo insediativo. Soltanto camminando nel luogo oggetto dell'intervento possiamo riconoscere le strutture urbane dotate di un'anima propria, identificando quei luoghi che la gente ritiene vitali in base alle proprie emozioni, dove si prova piacere a sostare. Tali luoghi devono essere preservati nel nuovo progetto, anche se possono sembrare modesti, ad es. un albero, un muro, una piccola costruzione, ecc. La città andrebbe progettata con un flusso pedonale/veicolare intenso, per incoraggiare la creazione di un'economia di movimento AL CENTRO. Allo stesso tempo, misure per ridurre il traffico andrebbero imposte al fine di garantire che le strade principali non divengano barriere che tagliano la città, il che risulterebbe catastrofico. L'area d'intervento è composta di bacini pedonali dotati di centro.
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Oggi la formazione offerta dalle più accreditate Scuole d'Architettura condanna gli architetti a progettare periferie. Essi non sono più capaci di progettare nuclei di città, perché hanno perduto la capacità di stabilire relazioni gerarchiche tra le sue parti. La qualità vitale non sorge mai dalla mera somma di tante qualità architettoniche, poiché essa si stabilisce invece attraverso i rapporti. Una bella piazza non deve essere necessariamente la somma di belle architetture. La qualità dello spazio è data dalla relazione degli edifici tra loro. Nel centro storico di un qualsiasi paese fatto di case vecchie e malmesse, con gli angoli sbrecciati, quasi sempre si respira un'atmosfera accogliente. Tutto ciò non si ritrova nei quartieri modernisti, costituiti da edifici perfetti che però non dialogano tra di loro, perché sono privi di reciproca connessione, monadi sparse in maniera casuale e dall'apparenza insensata. La qualità vitale è un complesso di relazioni coerenti che conferisce significato. L'architettura è lo strumento attraverso il quale i luoghi divengono affascinanti, attraverso cui l'uomo caratterizza lo spazio. Noi abbiamo bisogno di riferimenti, di luoghi dotati di senso vitale, dove possiamo mettere radici. C'è una differenza tra il mobile e l'immobile. L'immobile, la città, ha le radici, il mobile no. Quindi non sono la forma e la funzione i parametri dell'architettura, ma lo spazio e il tempo, la storia e la geografia. Questo è il criterio fondamentale dell'architettura di qualità, del quale i nuovi interventi debbono tenere conto. Se lo spazio è un organismo, la città può trasformarsi senza perdere la sua anima. L'architettura e la città contemporanee nascono congelate, l'architettura e la città vive di una volta si trasformano. La città italiana è altro dalla singola manifestazione artistica di un designer, al contrario di quanto pensano molti amministratori che invitano le archistar a implementare un grande progetto. Inoltre, è uno sbaglio credere di ottenere la densità giusta attraverso una crescita verticale della città, perché tale dimensione alimenta un processo di scollegamento tra gli elementi urbani e tra le persone. La cultura urbanistica che pretende simboli di «progresso» come grattacieli e vasti spazi aperti dimostra di essere antiquata. Un piano che si basa su di un motivo geometrico astratto e ripetuto non può adattarsi alla cultura urbanistica insediativa di coloro i cui antenati scolpirono nella pietra alcuni dei posti più splendidi della terra. Il progetto convenzionale ed elementare, mascherato da un'apparente gradevolezza formale, si caratterizza per una mono‐funzionalità, una mancanza di tessuto connettivo fatto di strade, piazze e isolati capaci di innestare quel livello di complessità che dà vita alle città, e rappresenta un modello urbanistico fallimentare.
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Per una città viva e bella, rigenerare la periferia urbana
ALCUNE ARGOMENTAZIONI 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10.
La visione sociologica del Gruppo Salìngaros Paolo Masciocchi Biofilia, architettura per la mente Nikos A. Salìngaros e Kenneth G. Masden II Contro l’architettura del segno Stefano Serafini Il crepuscolo della contemporaneità Antonio Caperna Il caso Corviale Stefano Serafini Sulle chiese di periferia Ciro Lomonte 20 punti per la riqualificazione urbana Ettore Maria Mazzola Pianificare in condizioni di complessità ed incertezza Alessia Cerqua Complessità e Coerenza Urbana Nikos A. Salingaros La creazione dell'integrità risana il creatore Nikos A. Salingaros
1. La visione sociologica del Gruppo Salìngaros 1. Le comunità in cui sono calati gli interventi urbanistici non sono semplici destinatari di scelte altrui, quali oggetti di contorno di opere valide in sé, ma compartecipano allo sviluppo dei progetti, sono esse stesse progetto. Questa è la prima garanzia di corretto sviluppo urbano. 2. La partecipazione coinvolge processi culturali specifici del luogo e del tempo, come elementi intrinseci all’autorganizzazione, non solo come semplici interpretazioni personali dell’urbanista. 3. La comunità umana, d’altra parte, non riesce a svilupparsi al di fuori di proprietà geometriche precise dell’abitato. Ruolo dell’urbanista/architetto è quello di gestire tali proprietà, liberando il processo autorganizzativo. 4. “Città” non è un sinonimo generico di “urbanizzazione moderna”, ma significa una rete di spazi pubblici definiti dal tessuto edilizio urbano, da realizzare con dimensioni di scala umana, secondo proporzioni facilmente sensibili all’intervento umano. Questo concetto di città è l’unico vitale, non astratto e non veicolato da seconde finalità estranee al bene comune dei cittadini. 5. Le maglia connettiva della città deve essere rispettata nella sua complessità, tanto nelle reti della viabilità, quanto nelle funzioni organiche degli abitati, non separabili seccamente. È un fondamento della socializzazione. 6. La città orizzontale coinvolge con maggiore pienezza ed efficacia le relazioni umane e, se favorita nella
crescita attraverso la densificazione, rende possibile lo sviluppo di un’economia sana. Anche il rispetto della tradizione urbanistica costituisce presupposto di accrescimento economico stabile, perché è investimento sulla continuità, identificabile e arricchibile nel lungo periodo. 7. L’amministratore pubblico ha il dovere di rispettare e vitalizzare la natura integrante dell’abitato, fornendo concrete soluzioni per rendere la città orizzontale e densificata. 8. L’urbanizzazione coatta, indotta per eventi o per ragioni slegate dal tessuto urbano esistente, non favorisce lo sviluppo delle comunità, perché non fonda progetti di lungo periodo e si lega ad un dato di patrimonializzazione immobiliare slegato dalla produttività vera. 9. La geometrizzazione astratta dei quartieri, fonte di disagio sociale, può essere ragione valida di rifacimento dell’intera struttura urbana interessata, perché coinvolge il processo naturale di riavvicinamento dei cittadini agli spazi vissuti. 10. Recuperare le periferie non significa dotarle di simbologie moderne estranee (come i grattacieli), ma costituirle esse stesse a simbolo di connessione, socializzazione, orizzontalità, densificazione, attenzione partecipativa. di Paolo Masciocchi
Geometrie di tipo frattale (in Twelve Letures on Architecture: Algorithmic Sustainable Design, N. Salingaros)
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2. Biofilia, architettura per la mente Natura, nutrimento neurologico Gli esseri umani sono predisposti biologicamente a cercare il contatto con le forme naturali. Secondo Edward Wilson (1984), non si può vivere una vita sana e completa lontano dalla natura. Perciò, abbiamo bisogno del contatto diretto con le forme di vita e con la complessa geometria delle forme naturali, e non con gli squallidi surrogati che vediamo oggi in così tante opere architettoniche. Una caratteristica della bio‐architettura è la stretta correlazione tra strutture artificiali e naturali. Molti architetti sono convinti di seguire questa via, ma in genere al posto della natura inseriscono una sbiadita immagine della stessa: qualche angolo di prato e poche piante in vaso non sono altro che una astrazione della natura. Nonostante tutti i benefici che possono derivarne, questo primo approccio rappresenta solo una parziale soluzione. Un secondo e più profondo aspetto della architettura biofilica arriva a incorporare le qualità geometriche essenziali della natura tanto nell'edificio quanto nella struttura urbana, comportando una più articolata geometria del costruito, che segue la stessa complessità delle forme naturali. Ancora, il rischio è di non comprendere a fondo queste geometrie, copiando in modo anonimo forme forse irrilevanti per un dato edificio o città. Le riviste di architettura sono piene di immagini di edifici simil‐organici (e irrealizzabili); mentre qui intendiamo edifici ordinari d'aspetto ma più vicini alla umana sensibilità. A esempio, costruire una copia di un organismo con materiali industrializzati produce solo un'icona che non contribuisce a creare alcun livello di connettività. Informazione e organizzazione Il nutrimento neurologico deriva dall'intreccio tra informazione e sua organizzazione. Questo meccanismo connettivo agisce a tutti i livelli spaziali, dalla scala "micro" alla città. Le corrette regole connettive sono
state riscoperte spesso dalle società tradizionali, applicate nelle architetture antiche e vernacolari. Gli ornamenti tradizionali, i colori, le superfici articolate e la forma degli spazi interni aiutavano a raggiungere la connettività dell'informazione. A lungo male interpretati come copie della natura, gli ornamenti alla loro massima espressione sono molto di più: un distillato di regole connettive che attivano direttamente i nostri meccanismi neurofisiologici. Alcuni architetti biofilici ritengono che il nutrimento neurologico sia legato strettamente alle forme viventi. Noi, d'altro canto, crediamo che sia la complessità geometrica sottostante a ogni struttura vivente a nutrire gli esseri umani. Questa geometria si può esprimere tanto negli organismi biologici quanto nei manufatti e nelle costruzioni: l'unica differenza sta nell'intensità (Alexander, 2001‐2005). Tecnologia e spiritualità Per riassumere, al momento si stanno delineando due diverse correnti nella bioarchitettura contemporanea (Kellert e altri, 2008). Una continua a utilizzare tipologie industrializzate, ma inserisce piante e strutture naturali con una qualche originalità; l'altra modifica i materiali, le superfici e la geometria stessa dell'edificio per ottenere la connessione neurologica con l'utilizzatore. Finora, il primo metodo (high‐tech) ha goduto di un innegabile vantaggio nei confronti del secondo (matematico/sacrale), dovuto al suo allineamento con i meccanismi economico/industriali della società globale. Comunque, pur essendo visivamente e filosoficamente molto differenti, queste due correnti stanno contribuendo a riscoprire la nostra interconnessione all'ambiente. Estratto ed adattato da “Biofilia, architettura per la mente” di Nikos A. Salìngaros e Kenneth G. Masden II
“è urgente inventare la città della transizione”
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Città Nuova ‐ Nuovo quartiere Urbano, Alessandria progetto:Tagliaventi&Associati consulenza architettonica e urbanistica:Leon Krier
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3. Contro l’architettura del segno Il capitale si era “spettacolarizzato” prima che le risorse planetarie e il sogno di uno sviluppo infinito cominciassero ad esaurirsi. Da allora, il plusvalore non deriva più tanto dallo sfruttamento del lavoro, ma dal “discorso” della merce che, ammaliandola, riduce l’intera “classe” dell’umanità a una condizione di desiderante schiavitù. I ragazzini del Maghreb o del Brasile anelano e lavorano per il logo «Nike» più di quanto avrebbero mai fatto per un paio di scarpe due generazioni fa, quando pure andavano in giro scalzi.
Grazie a questa autentica transustanziazione della merce in “spettacolo”, l’umanità interfacciata è divenuta nella sua interezza “forza di consumo”. È questa dirompente forza schiavile di scala globale, costantemente ravvivata dagli ingegneri dell’immaginario, che sta consumando il pianeta. Non è chiaro se sia più grave l’effetto – la devastazione ecologica – o la causa, cioè la sistematica sostituzione del reale con la merce‐segno che ha ormai quasi del tutto occupato i nostri sensi, i nostri desideri, e gran parte della nostra ragione.
“lo spazio civile è una relazione fisica”
Viaggiamo in Italia. L’occhio s’incanta facilmente sulla bellezza dei centri storici e dei paesaggi, dove edifici neanche troppo antichi, magari umili, si armonizzano con coste, boschi, colline. Eppure, ormai quasi ovunque, all’incanto segue un sentimento sgradevole: forme disorganiche, fuori luogo, interrompono il dialogo fra l’opera umana ed il contesto. Si tratta pressoché sempre di costruzioni recenti: abitazioni, sistemi viari, fabbriche... In comune, la rigida incongruità che potrebbero esibire scatole lasciate cadere da un cieco. È esperienza comune, e pur comprendendo le esigenze moderne (l’automobile, il calcestruzzo), quasi tutti si saranno domandati perché mai i nostri ingegneri, architetti e geometri non siano più capaci nemmeno di avvicinarsi all’agevole grazia costruttiva dei propri bisnonni. Basta poi entrare nella periferia di una qualsiasi metropoli, non soltanto italiana, ma francese, o tedesca, perché il fastidio estetico si rapprenda in un vero spaesamento. La visione di una banlieue parigina o di un quartiere‐satellite di Milano, porta a domandarsi da quale perversione antisociale sia mai potuta nascere un’architettura del genere.
Concorso Internazionale di Architettura “Città di Pietra” Proposta per il Porto Turistico di Pantelleria.E. M. Mazzola con S.Younés, E. Mannini, V.Tortora,P. Vecchio. Progetto esposto alla Biennale di Venezia 2006
Ancora più inquietante è scoprire che il brutto e lo spaesamento non sono soltanto effetti secondari della speculazione di costruttori ignoranti e privi di scrupoli, ma risultano programmati. Morto Pasolini, in Italia la discussione sulla forma della città, la bellezza architettonica, lo spazio urbano come luogo dell’atto politico, tace. Da un lato gli affari della DC, la cementificazione selvaggia, gli enormi decentramenti abitativi funzionali al boom industrial‐finanziario e alla rendita urbana (una scia lunga dalla quale emergerà Silvio Berlusconi); dall’altro i nomi illustri dell’architettura nazionale, che in pochi decenni partoriranno dormitori isolati per classi proletarie e piccolo‐borghesi, pianificate periferie simili a prigioni, torri, sistemi viari destinati alle sole automobili, i tanti non‐luoghi che ormai soffocano la vita delle nostre città. Per limitarsi a Roma, è ai cattedratici de “La Sapienza” (spesso sedicenti uomini di sinistra) che dobbiamo tutti i ghetti al cemento noti come Laurentino 38, Corviale, Vigne Nuove, Spinaceto, Tor Bella Monaca, Vigna Murata. Ma per il Belpaese, con l’ossequio di critica e amministratori pubblici, sono sempre state altissime firme a distinguersi sui mediocri palazzinari, con
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capolavori del disastro sociourbano quali le Vele di Scampia, o lo Zen di Palermo, fino a orrori puntiformi più o meno piccoli, più o meno distruttivi, come la Palestra di Paliano o il Vulcano Buono di Nola. Naturalmente questo non è un viaggio soltanto italiano, ma globale, e ha una profonda influenza antropologica: l’ONU stima che nel 2030 abiteranno nelle aree metropolitane 5 miliardi di persone, mentre già oggi la popolazione urbana mondiale ha per la prima volta, dopo millenni di civiltà, superato quella rurale. È chiaro che l’architettura ha dovuto necessariamente disgiungersi da un’idea condivisa di utilità e bellezza per diventare “spettacolo”, iper‐realtà che sostituisce la civitas. Il carnevale le è strutturale (es. il Landscape Urbanism, che dichiara ecologici grattacieli energivori). In tal modo al contempo giustifica e realizza
l’impossibilità fisica di vivere socialmente la città, elimina la politica dallo spazio, compiendo il delitto perfetto cominciato con l’urbanistica funzionalista. Le città moderne non sono condivise perché non sono più luoghi ma solo circuiti consumistici, il traffico urbano è una fuga controllata verso cubicoli privati, a loro volta imbuti rivolti agli schermi fluorescenti delle interfacce mediatiche. È l’esecuzione di un programma totalitario, sorto negli anni ’20 del Novecento, con l’ausilio della potenza tecnoinformatica del XXI secolo. È la morte della città, nella fase neomedievale del capitalismo segnico e dell’inurbamento globale. Estratto da Stefano Serafini, “Polis”, Cometa, 5, dicembre 2010, in stampa.
“biofilia è la tendenza intrinseca dell'essere umano a ciò che è vivente” 4. Il crepuscolo della contemporaneità Scriveva Paul Ricoeur: «sembra che il genere umano, avvicinandosi en masse a una elementare cultura di consumo, si sia fermata en masse a un livello subculturale». Il dominio culturale dell’Occidente su scala planetaria, fa si che ovunque nel mondo possiamo ritrovare le stesse mostruose banalità della cultura consumista. In Architettura ciò significa che, uccisa la tradizione, costruire a Londra a Shangai o New York è la stessa cosa. Non si scorgono differenze formali o tipologiche. Viviamo in una sorta di “bolla subculturale” che nella sua tragica avanzata ha consumato il nucleo etico e mitico della nostra civiltà. Dai processi di standardizzazione industriale si è giunti a quelli di appiattimento delle “produzioni dell’intelletto”, una condizione di senilità del pensiero. Se da un lato il progresso tecnologico avanza nella sua inesorabile corsa, dall’altro lato vi è una parabola discendente della nostra spiritualità e delle forze che alimentano la vita. Queste ultime si stanno sempre più affievolendo. L’architettura è un segno tangibile di questa decadenza e spossatezza propria dei periodi finali di una cultura. Con la modernità si è affermata una struttura filosofica in chiave razional‐meccanicistica. Si è assistito, così, ad un radicale cambiamento sul valore ultimo e sul senso da dare non solo alle scoperte scientifiche ma anche alla stessa esistenza. La nostra cultura ha finito con l’intendere la realtà solo attraverso il filtro delle conoscenze tecnico‐scientifiche. Questa esaltazione dell’anima tecnica, che rinnega tutti gli atteggiamenti e le manifestazioni più propriamente umani, ha cambiato il nostro atteggiamento verso la natura. Essa è divenuta qualcosa di estraneo. Un universo che l’uomo razionalista ha immaginato di poter leggere ed interpretare attraverso le leggi esatte della meccanica.
Da quest’atteggiamento mentale scaturisce poi la propensione all’olocausto della terra alimentata dagli attuali processi economici e finanziari. Infine, non va dimenticato che la cultura razionalista, attraverso un’ideologia tutta rivolta verso un progresso sottomesso alla verifica del comando scientifico, ha finito con il frantumare il sapere in mille rivoli al solo scopo di ottenere, per ciascun “micro‐ambito” il massimo, sia in termini tecnici che di ricadute economiche. Quali i segni tangibili È da dire che in determinati momenti storici vi sono necessità intrinseche che inducono cambiamenti radicali nella struttura culturale di una civiltà. Il tempo in cui viviamo, è uno di quegli archi temporali dove comincia ad affermarsi un nuovo paradigma che, mano a mano, produrrà profonde trasformazioni nella società futura. Il modello culturale dominante l’attuale società si distingue per alcune caratteristiche che, come ho detto poc’anzi, sono tipici delle società in decadenza. Si pensi, ad esempio, ai fenomeni di gigantismo e dalla intrinseca necessità del sistema ad espandersi in modo spasmodico. In tale ottica vanno visti, ad esempio, le forme ipertrofiche di crescita urbana come il fenomeno delle megalopoli, i megaedifici o il modello economico‐ finanziario che ha mostrato, ultimamente, i suoi tratti peggiori. È un modello che deve divorare risorse per crescere, attuando un lento ma inesorabile matricidio. Un altro segno è rappresentato dalla perdita del senso del sacro, ovvero l’incapacità dell’uomo contemporaneo a rapportarsi col divino. Si guardino le chiese realizzate negli ultimi decenni nelle nostre città. Sembrano capannoni industriali o, nel migliore dei casi, sale per concerti o raduni. Erwin Panofsky ha suggerito
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che esiste un intimo legame tra il modo di costruire una chiesa e il modo di pensare e di vivere degli uomini. Concepire uno spazio sacro, così come avviene oggi, in termini di puro estetismo, è esplicativo del fatto che esse non sono uno spazio sacro. Si vada in una delle chiese erette nel passato: vi troverete un universo simbolico. È una perfetta sintesi armonica tra
simbolismo, elementi cosmici e l’animo del credente. La cultura della modernità, nel corso della sua crescita ha fatto una scelta: la perdita del corpo spirituale in favore di un corpo meccanico. Tutto ciò può rappresentarsi come una forma di crescita di tipo inorganico, ovvero connessa con la morte e non con la vita. Progetto per il quartiere “Case Rosse”, Roma, degli Arch. P. Pagliardini, D.Grifoni, ing. V.o Donato
“la periferia deve diventare centro” Sull’architettura e le città contemporanee L’architettura è una perfetta chiave di lettura del mondo. L’architettura ha sempre fornito una rappresentazione fisica dei valori propri di un determinato periodo. Ha, quindi, incarnato e rappresentato nelle pietre le aspirazioni dell’Uomo, le sue utopie e la sua psicologia. Essa è, quindi, una manifestazione del modello culturale dominante. Negli ultimi anni, essa è sempre più elemento rappresentativo dello spettacolo mediatico. È divenuta una sorta di entità magmatica il cui flusso è stato incanalato e modellato dall’inarrestabile ascesa delle nuove forze economico‐finanziarie che operano su scala planetaria. Queste nuove forze, globali e senza “radici”, operano in simbiosi con gli architetti della scuola modernista, imponendo sempre più modelli che negano la stessa essenza dell’Uomo. In questo modo, le nostre città sono divenute una massa artificiale) che uccide la plasticità organica delle costruzioni in favore di un ammasso amorfo e privo di vita. In tale coacervo di suoni senza musica la vita ha ceduto il posto alla tecnica e, con essa si è reciso ogni legame con la natura smarrendone il significato profondo. Possiamo paragonare le architetture della contemporaneità ad una sorta di macchine sterili, forme di delirio plastico che rappresentano il nulla. Quale Architettura per le nostre città?
Partiamo da un dato di fatto: l’inadeguatezza del paradigma razional‐meccanicistico ad affrontare le sfide che attendono le aree urbane nel prossimo futuro. Non è possibile affrontare le sfide di riassetto socio‐economico o il problema della sostenibilità con un modello culturale del secolo scorso. Per l’architettura è più che mai necessario liberarsi quanto prima dal predominio di questa espressione culturale gerontocratica rappresentata dal modernismo. Si stanno facendo tentativi di propinarla come innovazione attraverso innesti di parole come sostenibilità o, attraverso il digital design, generando forme complesse di cui si ignora l’essenza formale e simbolica. L’architettura attuale è spettacolo, roba da film o spot pubblicitari. Nel migliore dei casi si tratta di realizzazioni che hanno una sostenibilità tecnica e puntuale e, formalmente, scultoree rappresentazioni nichilistiche. Nulla a che vedere con quanto proponiamo noi, ovvero una sostenibilità intesa come processo di morfogenesi, quindi un processo legato alla vita. Dove ogni opera architettonica è trattata come un sottile gioco tra complessità e semplicità, tra ordine e caos. Noi del Gruppo Salingaros parliamo di città biofiliche, ovvero città concepite attraverso le leggi che sottendono la vita e, per questo, intimamente correlate alle esigenze socio‐psicologiche dell’uomo e con una genetica
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capacità di relazionarsi, in termini non distruttivi, alla natura. Per i motivi che ho sopra spiegato, la cultura di stampo illuministico non è in grado di realizzare opere biofiliche perché non ha la struttura mentale per pensarle. Non si tratta di tecnica. Ma di un connubio tra scienza, perizia tecnica e spirito. Per fare ciò, abbiamo bisogno di una nuova classe di architetti formatisi in università che sappiano diffondere valori etici e culturali veramente nuovi. Università che releghino nei libri di storia dell’architettura l’oramai senile modello modernista che ha dominato l’architettura e l’urbanistica del XX secolo.
In conclusione, è più che mai necessario diffondere un modello culturale e di sviluppo diverso da quello attuale, dove si è reciso ogni legame con la “madre Terra”, dove sono evaporati i fondamenti tradizionali delle idee filosofiche e religiose e il contatto diretto con la natura è stato in gran parte sostituito dall’abitudine a concetti rarefatti, soprattutto del vendere e nel comprare. Il modello che io immagino ha una diversa gerarchia: la necessità meccanica è subordinata a quella organica. perché è quest’ultima ad essere fondamento depositario di forza creatrice, mentre la prima definisce solo i limiti e le regole. di Antonio Caperna
Masterplan per il Nuovo Eco‐Quartiere del Corviale Un altro possibile progetto redatto da A Vision of Europe ( G. Tagliaventi, con la collaborazione di A. Bucci, F. Finetti)
5. Il caso Corviale Come ha spiegato Sergio Porta in un suo acuto saggio, intorno al Corviale non si gioca soltanto la difesa ideologica del modernismo, ma la partita di un corporativismo intellettuale che non può ammettere autocritica. Il discorso è molto interessante, perché funziona anche quando dagli architetti passiamo ad esaminare i politici, i filosofi, gli analisti economici. Esso ha a che fare con il ruolo degli intellettuali assurti a vertice di un modello antropologico, definito “illuminista” da Adorno e Horkheimer. L’Illuminismo costituisce l’anima della nostra civiltà borghese avversa nevroticamente a ogni forma di limite (la morte, per es., e di conseguenza il sacro che l’avvolge), per cui tutta la cultura, dalla modernità in poi, si è avviata a trasmutarsi
in tecnica, strumento di potere, ed esorcismo. Da un lato l’esistenza, la società, la natura; dall’altro la libertà e l’esercizio aprioristici del potere di gestione e controllo, fluenti dall’individuo tecnocratico. È questo tipo di anima che traspare quando, pur di difendere il primato dell’architettura e il suo diritto di applicare idee geniali sul corpo dei cittadini‐cavie, si giunge a negare l’evidenza del disastro di Corviale. Magari perché i suoi gironi avrebbero promosso una “comunità sociale” la quale, come nella sindrome di Stoccolma, si sarebbe persino affezionata al Mostro. Oppure, se si ammette il fallimento, lo si attribuisce alla cattiva realizzazione, o agli abusivi, o alla criminalità, come se non esistesse alcuna relazione fra il progetto e
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Per una città viva e bella, rigenerare la periferia urbana parole – finiscono così tutti gli sporchi e i cattivi: i poveri abitanti, e i fascisti, accomunati nella lettura del Corriere dello Sport, dalla fantasia di chi si vanta di appartenere alla categoria del grande Mario Fiorentino. Non per niente La dialettica dell’Illuminismo di Adorno e Horkheimer, è un libro sostanzialmente rimosso dalla coscienza culturale e politica: si è detto che sarebbe storicamente superato, che risentirebbe della reazione al nazismo contro il quale fu scritto negli anni ’40. Ma bisogna essere sepolcri imbiancati per non vedere che in realtà il male del nazismo non è morto, giacché non lo si può sconfiggere con le bombe: esso è la cecità critica, l’identificazione individualistica e aggressiva con le proprie idee, l’isteria del controllo, l’indifferenza al corpo vivo del prossimo, coerentemente rappresentato dalla geometria antiumana di mostri come il Corviale e da chi, altrettanto coerentemente con lo stato di cose, la difende. In buona fede, magari, ma con cattiva coscienza e sotto la bandiera sbagliata. Anche perché nessun Sistema‐Corviale, dissacrante, osceno, patogeno, pesante sulla terra, energivoro, resisterà ancora a lungo. La natura – anche e in primis quella umana – ha un limite e una misura. Estratto da Stefano Serafini, “Abbattere Corviale è di destra o di sinistra?”, Studi Cattolici, 592, Giugno 2010, pp. 434‐435
quel che lo ha seguito («la vita, accidenti, rema contro!», ironizza Sergio Porta). Infine, con ipocrita pseudoumiltà, si è persino detto che nessun architetto può gestire l’intera complessità sociale, e dunque prevedere se il suo lavoro avrà o meno completo successo. Chissà perché, allora, fino al radicarsi del capitalismo borghese, e ancora oggi nell’auto‐costruzione spontanea o nell’architettura partecipata biofilica, il tessuto urbano ha risposto bene alle esigenze umane, senza bisogno di grandi idee? Un tale cinismo, sostenuto all’occorrenza da fughe relativiste («Non è malessere, è un passo verso il progresso»), difende in realtà la classe intellettuale e il suo preteso diritto assoluto a esercitare il potere. Difficile, per costoro, resistere al fascino rivoluzionario del grandioso progetto, ammettere che il pensiero libero che lo ha generato abbia potuto sbagliare, perché ciò sancirebbe l’esistenza del limite. Non è affatto strano, dunque, che il sostegno provenga al Corviale soprattutto dai colleghi, e dai pensatori libertari e chic che solo in quanto illuministi si definiscono “di sinistra”, ma lì, vicino ai fratelli, non vivrebbero mai. Per reazione, l’opposizione antimodernista e popolare giunge allora “da destra”, da presunti “ignoranti”, come sarebbero peraltro gli stessi abitanti‐oggetto di Corviale (eventualmente da subornare). Nel coerente sistema concentrazionario – fatto di muri, ma soprattutto di
Ritorno alla scala umana: Borgo Corviale, un’ipotesi di trasformazio ne dell’eco‐ mostro romano. Progetto dell’arch. E. M. Mazzola, pubblicato su Il Covile n° 588, anno X, 22 maggio 2010.
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“le città e le architetture sono per gli uomini, non viceversa” 6. Sulle chiese di periferia Risuonano attuali le parole pronunciate dal card. Wojtyła nel 1976, quando predicò gli esercizi spirituali a Paolo VI e alla Curia Romana: «I pionieri della pastorale del mondo operaio in Francia, come padre Godin (l’autore di Francia paese di missione?) o padre Michonneau, hanno reso noto nelle loro pubblicazioni che il metodo di scristianizzazione per mezzo della costruzione dei nuovi quartieri senza chiese era già in uso durante la Terza Repubblica. Oggi è in uso in molti paesi. L’uomo andrà in questa direzione, se non si risveglierà in lui, nel cristiano, nella comunità, in un nuovo quartiere, quella coscienza di partecipazione al sacerdozio di Cristo, che viene impresso in ciascuno di noi col battesimo. Allora questi uomini – e non soprattutto noi, sacerdoti e Pastori, ma essi, laici – andranno dalle autorità ed esigeranno con tutta fermezza la chiesa per il nuovo quartiere. La esigeranno in nome dei loro diritti di cittadini, ma soprattutto in nome di quella fondamentale verità sul mondo e sull’uomo che è racchiusa in Cristo, nel sacerdozio, nel tempio di Dio. Senza ciò il quartiere di questo “nuovo mondo” non troverà il suo vero senso e non sarà neanche pienamente “umano”». Il card. Wojtyła non si limitava ad una triste analisi sociologica. Se è vero, da un canto, che sono stati molti quelli che hanno tentato di cancellare con la violenza la fede cattolica dalla faccia della terra, è vero pure, d’altro canto, che la Chiesa Cattolica ha sempre superato le persecuzioni più dure ed è stata assistita dal Signore per trovare gli antidoti alle infezioni propagatesi al suo interno. Questi ultimi sono forse i pericoli più gravi e lo sanno bene i nemici che hanno infiltrato i propri uomini fra le fila degli ecclesiastici. Quelle periferie senza chiese, di cui parlava il futuro Romano Pontefice, sono sotto gli occhi di tutti: brutte, degradate, prive di attrattiva, incapaci di proporre spazi di aggregazione alternativi. È un fallimento anche per coloro che le hanno create, illudendosi di fondare un nuovo mondo migliore, un paradiso terreno senza Dio. Come dare vita a una nuova “crociata delle cattedrali”, espressione coniata da Jean Gimpel per descrivere lo spirito che animava i costruttori del romanico e del gotico? Oggi la Chiesa non dispone dei grandi patrimoni che venivano donati un tempo ai prestigiosi ordini monastici ed alle comunità di religiosi mendicanti. Inoltre molti ecclesiastici appartenevano a famiglie aristocratiche e godevano di rendite familiari cospicue, che spesso investivano in opere d’arte sacra. Non è detto
Studio Lomonte & Santoro Bottega di argentiere nel centro storico di Palermo Maria SS. delle Grazie a Isola delle Femmine (PA) che sia un male che la Chiesa abbia ormai le mani libere – non del tutto purtroppo – da pastoie amministrative, che a volte facevano perdere di vista il fine soprannaturale dell’Istituzione divina. È pur vero però che esiste chi prova a farla morire d’inedia. Non sarà questa una delle cause per cui oggi i vescovi si rivolgono ad archistar e artisti con la necessaria copertura della critica, sebbene estranei sovente al messaggio cristiano? Costoro infatti sono molto abili nel trovare i finanziamenti per le proprie opere. Ma torniamo a “quella coscienza di partecipazione al sacerdozio di Cristo, che viene impresso in ciascuno di noi col battesimo” di cui parlava Karol Wojtyła. Se ascoltiamo le voci provenienti dai ridestati mosaici di Monreale, ci accorgeremo che si tratta di un popolo intero di fedeli cristiani, composto da miriadi di artefici, ognuno con le proprie competenze professionali. Allora era il re che pagava l’opera dei costruttori. Oggi esiste ancora un popolo capace di realizzare grandi opere, ma deve sviluppare nuovi metodi per reperire i fondi necessari. Una soluzione condivisibile è presentata in un recente articolo di Erik Bootsma, pubblicato su Il Covile n° 573. Altre se ne possono studiare. Estratto da Ciro Lomonte, “Rianimare i mosaici assopiti”, Il Covile, 575
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7. Venti punti per la riqualificazione urbana Ecco quelle che dovrebbero essere le fasi attuative di questo modello di riqualificazione urbana che prevede il ricompattamento della “città dispersa”. 1. Ogni quartiere – o presunto tale – dovrebbe essere studiato e circoscritto utilizzando l’unità di misura temporale dei cosiddetti 5 minuti a piedi (circa 800 – 1.000 metri di diametro). È questa infatti la dimensione urbana che consente ai residenti di raggiungere agevolmente tutti i punti – ed i servizi – del proprio quartiere. 2. Una volta definiti i tessuti edilizi, al fine di scongiurare nuovi sviluppi “a macchia d’olio”, ne andrebbero chiaramente precisati i margini. Questo potrà e dovrà farsi operando un attento studio della viabilità carrabile. Seguendo questo criterio, sarà possibile comprendere il modo per garantire l’accesso carrabile ad ogni edificio, pensando al tempo stesso ad un’alternativa pedonale per i residenti. 3. Il punto precedente comporta l’eliminazione delle inutili alberature sofferenti, così come quello degli antiestetici parcheggi, ai margini delle strade. Gli spazi che ne risulteranno consentiranno la realizzazione di nuovi edifici e piazze, con un eventuale sistema di parcheggi sotterranei a servizio di tutti. 4. Tutte le alberature che verranno rimosse dalle strade, andranno ovviamente spostate e incrementate all’interno dei nuovi parchi e giardini di quartiere, posti a definizione dei margini urbani. Nuove ulteriori alberature troveranno piacevole ed opportuna collocazione nelle corti pedonali interne ai lotti urbani. 5. I nuovi quartieri dovranno risultare dotati di tutte le funzioni vitali possibili, in modo da non ripetere mai più gli errori e i problemi sociali creati dalla zonizzazione modernista responsabile dei quartieri dormitorio. Ciò si traduce non solo in una equa distribuzione degli edifici speciali ma sottintende anche la necessità di creazione di sequenze urbane, costituite da piazze e piazzette collegate tra loro. 6. I centri commerciali visti come entità a sé stanti dovranno trasformarsi in commercio diffuso, vale a dire che si dovrà operare una re‐distribuzione dei loro negozi lungo le strade cittadine. 16. Al fine di ridurre i costi di costruzione, nonché per la necessaria ri‐formazione della manodopera artigianale, tutte le imprese, cooperative, consorzi, ecc., coinvolti nel processo edilizio che dimostreranno di operare specificatamente in quella direzione, dovranno poter beneficiare di contributi a fondo perduto, e/o sovvenzioni, per la riformazione dell’artigianato nell’edilizia. 17. Ulteriori contributi speciali dovranno essere stanziati per incentivare il ritorno alla coltivazione delle terre e all’allevamento di animali che utilizzino metodi naturali e biologici. 18. Bisognerà ulteriormente incentivare il passaggio all’impiego di energie alternative che utilizzano fonti
7. Un’operazione di ricucitura – accompagnata da demolizioni e/o sopraelevazioni parziali ove necessario – di tutti quegli edifici che oggi risultano isolati a causa delle obbligatorie, e stupide, “distanze di rispetto”. Così facendo essi si verranno a configurare come corpi di fabbrica facenti parte di blocchi urbani più estesi. 8. Mano a mano che si procederà al riempimento dei vuoti, si potrà incedere alla demolizione – totale o parziale – degli edifici che andranno via via svuotandosi; tale processo dovrà investire per primi i cosiddetti “eco‐ mostri”, tipici dell’urbanistica degli anni ’70 e ’80 del secolo scorso. 9. Questo tipo di intervento dovrà andare di pari passo con il potenziamento del trasporto pubblico. 10. I quartieri popolari dovranno quindi risultare dei semplici quartieri residenziali ad uso misto, all’interno dei quali vi siano edifici con appartamenti di diverso taglio e tipologia mirando alla assoluta integrazione tra le classi sociali. 11. I nuovi edifici dovranno essere progettati basandosi sulle conoscenze dell’architettura tradizionale, dunque utilizzando tecniche e materiali durevoli e a basso consumo energetico. Ciò vuol dire che si dovrà incentivare l’impiego di murature portanti, volte, solai con travi in legno, solai con travature in acciaio e voltine a mattoni. 12. L’energia elettrica dovrà utilizzare fonti alternative rinnovabili. 13. In tutte le piazze e luoghi che risulteranno opportuni, sarà possibile inserire fontane, monumenti celebrativi e quant’altro necessario a creare dei riferimenti simbolico‐ spaziali, operando il re‐impiego di molti dei reperti attualmente nascosti nei depositi e archivi dei musei. 14. Le pubbliche amministrazioni potranno dunque procedere ad invitare i soggetti privati che manifesteranno il loro interesse, utilizzando criteri quali per esempio quelli dei patti territoriali, del project financing o dei contratti di quartiere. 15. Per ovviare alle possibili rimostranze da parte dei proprietari degli immobili suscettibili di demolizioni i proprietari dovranno essere persuasi al “trasloco” mediante sovvenzioni e agevolazioni fiscali. rinnovabili. Servirà un contributo economico statale a chi impiega pannelli solari o fotovoltaici, o altre tecnologie eco‐sostenibili, altrettanto per chi impiega murature tradizionali. 19. Il denaro pubblico che si verrà a risparmiare per le spese energetiche potrà venire investito nella ricerca scientifica sullo sfruttamento delle fonti rinnovabili. 20. Infine un sistema di smaltimento dei rifiuti urbani in grado di far delle immondizie una risorsa economica ed energetica per le comunità.
Estratto e adattato da “The Sustainable City is Possible – La Città Sostenibile è Possibile” di Ettore Maria Mazzola, Gangemi Edizioni, marzo 2010
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Per una città viva e bella, rigenerare la periferia urbana
Isomorfofunzionalità naturali (da A. Lima‐de‐Faria, Evoluzione senza selezione. Autoevoluzione di forma e funzione, 2003)
“la sostenibilità si basa su processi biofilici e saperi tradizionali, e non solo su moderne tecnologie” 8. Pianificare in condizioni di complessità ed incertezza Il concetto di “territorio” ha subito negli ultimi decenni, una trasformazione radicale: da risorsa materiale suscettibile di sfruttamento, spazio controllabile ove le diversità sono viste come resistenze alla trasformazione, si è giunti ad una interpretazione in cui è riconosciuto il carattere relazionale e incerto proprio di un sistema complesso. Di conseguenza, la pianificazione esige nuovi approcci: la sfida della complessità può essere affrontata con successo tramite una maggiore ideazione di risposte multiple ed intelligibili. Il pensiero della complessità, a differenza del paradigma riduzionista, interpreta la realtà come molteplicità irriducibile di sistemi interagenti, un universo di relazioni che si manifestano a differenti scale spaziali e temporali e che sono attivate dalle differenze implicite in ogni sistema. Con l’introduzione dei concetti di indeterminatezza, incertezza, imprevedibilità quali parametri costanti e intrinseci della realtà, sono compromesse le basi della scienza classica, secondo cui una volta conosciute le condizioni iniziali di un sistema, se ne possono prevedere con esattezza ed oggettività i comportamenti futuri. Ciò porta al completo spiazzamento delle abituali modalità di osservazione. Il territorio come sistema complesso si dimostra esplorabile non secondo logiche razionali e deduttive, piuttosto tramite nuovi processi di conoscenza: il pensiero della complessità ci ha reso consapevoli della infondatezza di un unico punto di osservazione capace di omogeneizzare le differenze ed eliminare le contrapposizioni tra i differenti punti di vista, ciascuno frutto di una conoscenza specifica. Nella logica della complessità convivono innumerevoli punti di vista che sovrapponendosi, consentono “l’apprendimento ad apprendere”. Tale percorso
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conoscitivo si riflette nella conoscenza ecologica, ovvero quella modalità di rapportarsi alla realtà che consente di: ‐ tracciare le mappe dei contesti in cui viviamo; ‐ comporre immagini di noi stessi, degli altri, e delle nostre interazioni; ‐ procurarci narrazioni ordinate del “disordine quotidiano chiamato esperienza”. La rilettura del territorio in termini di interazioni consente di riflettere sulle sue modalità di funzionamento e di evoluzione attraverso un approccio particolarmente attento alle relazioni esistenti tra le parti ed il tutto. Inoltre, il riconoscimento della valenza sociale e politica della pianificazione conduce a ripensare la stessa come attività volta a definire soluzioni concordate tra i differenti soggetti che interagiscono nel processo di piano. Ciò porta ad immaginare una struttura progettuale aperta, flessibile, lontana da schematismi e da rigidità funzionali, non deterministica ma caotica, una metodologia progettuale capace di gestire le incertezze e la complessità, individuando non una soluzione, ma una serie di possibili strategie. Riletta in chiave urbanistica, la strategia di conoscenza – e quindi di pianificazione – del territorio, dovrebbe configurarsi come: ‐Processo di sperimentazione di alternative di sviluppo, ovvero continua riflessione sul cambiamento e sulle trasformazioni desiderabili, sulla moltiplicazione degli orizzonti possibili e/o probabili. ‐Strumento per riorientare pratiche e politiche, capace di individuare ed interpretare le nuove dinamiche di trasformazione dei sistemi territoriali in relazione alle trasformazioni della domanda sociale.
Per una città viva e bella, rigenerare la periferia urbana
‐Strumento di identificazione di scenari di trasformazione desiderabili, basati su obiettivi condivisi ed attuati in maniera sperimentale attraverso progetti pilota. ‐Modalità di interazione sociale, capace di fare emergere e saper gestire le contraddizioni necessarie per attivare processi comunicativi, valorizzare le differenze, attivare processi di responsabilizzazione ed apprendimento sociale.
‐Percorso verso la sostenibilità che confluisca nella costruzione e nello sviluppo di relazioni coevolutive tra dimensione antropica e cicli evolutivi dell’ambiente naturale. Estratto da Alessia Cerqua, Imparare ad apprendere. Strategie di pianificazione nell’epoca della complessità
Concorso di progettazione per il nuovo Quartiere Rinascimento presso il Parco Talenti di Roma. progetto: E. M. Mazzola, V.Deupi, M.Harris, E.Mannini, V. Tortora. 2001
9. Complessità e Coerenza Urbana La coerenza della forma urbana può essere compresa attraverso la teoria dei sistemi complessi. Le unità complesse a grande scala risultano composte da sub‐ elementi fortemente interagenti ed interconnessi per mezzo di molteplici livelli scalari gerarchizzati, i quali rispettano la naturale struttura del materiale. La varietà e le funzioni svolte dagli elementi che operano alla piccola scala sono necessari per avere strutture coerenti alla grande scala. Le città e le periferie suburbane possono, in questo modo, essere rivitalizzate attraverso una ricostruzione delle loro geometrie. Con queste indicazioni, che differiscono in modo radicale dall’attuale modalità di fare ed intendere il progetto urbano, quest’ultimo potrà ritrovare quella “coerenza” ed organicità che ha caratterizzato gli incantevoli insediamenti costruiti nel passato. Una delle principali qualità che caratterizzano le città “vive” è rappresentata dal loro elevato livello di complessità (Jacobs, 1961). La composizione geometrica degli elementi fornisce una morfologia definita e identificabile che ricorda molto quella delle città e dei centri storici tradizionali: villaggi non pianificati, frutto di molteplici e differenti culture; i centri urbani come si presentavano a metà dell’Ottocento e, per certi versi,
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anche in alcuni insediamenti spontanei contemporanei. La morfologia di un sistema coerente non è paragonabile alla città pianificata del ventesimo secolo. Le regole alla base della forma urbana contemporanea, che riducono sia la complessità che la connettività e l’interazione tra gli elementi, non sono in grado di generale coerenza urbana. In un sistema complesso, così come in ogni organismo vivente o software complesso, esistono alcune regole di composizione in base alle quali le parti interagiscono tra di loro fino a formare una unità efficiente. Tra i differenti enunciati e principi, quelli che seguono si ritengono rilevanti per il progetto urbano: Unioni: elementi della stessa scala fortemente connessi costituiscono un modulo. Non ci dovrebbero essere elementi scollegati all’interno di un modulo. Diversità: elementi simili non si accoppiano. Una diversità sostanziale di elementi differenti è necessaria affinché alcuni elementi possano svolgere la funzione di catalizzatori per altri elementi. Bordi: moduli differenti si accoppiano tramite gli elementi di bordo. Le connessioni si creano tra i moduli, non tra le loro componenti interne.
Per una città viva e bella, rigenerare la periferia urbana
Forze: le interazioni sono naturalmente più forti alla scala più piccola e più deboli alle scale via via più grandi. Invertire l’intensità delle forze genera patologie. Organizzazione: forze ad ampio raggio d’azione creano gli elementi posti a grande scala, a partire da una struttura chiaramente definita alle scale inferiori. L’allineamento non favorisce, ma al contrario può distruggere gli accoppiamenti alle scale più piccole. Gerarchia: i componenti di un sistema si raggruppano progressivamente dal più piccolo al più grande. Questo processo genera unità collegate definite su molteplici e distinte scale. Interdipendenza: elementi e moduli alle diverse scale non dipendono tra loro in modo simmetrico: una scala più alta richiede tutte le scale più basse, ma non viceversa. Scomposizione: un sistema coerente non può essere completamente scomposto nelle sue parti costituenti.
Esistono molte scomposizioni non equivalenti basate su tipi di unità differenti. Queste otto regole/leggi permettono di avere i principi generali della forma urbana, inevitabili allorquando si intende sviluppare città vive. Lo sviluppo temporale di un sistema complesso definisce una sequenza subordinata. Le connessioni a scala più piccola devono essere definite prima di quelle a scala maggiore: gli elementi più piccoli devono comporsi in maniera stabile prima che possa formarsi un modulo di ordine superiore. In questo modo, gli elementi minori e le loro connessioni possono fornire le basi per la realizzazione dell’intera struttura. La necessità di impostare una gerarchia interscalare nidificata implica che i differenti livelli gerarchici non devono andare persi, in quanto ciò renderebbe l’intero sistema instabile. Estratto e adattato da Nikos A. Salingaros “Complessità e Coerenza Urbana”
“è indispensabile un radicale cambiamento di paradigma”
Progetto per la riqualificazione urbana di una porzione del quartiere di Napoli ‐ Barra. Coordinamento progettuale: Ettore Maria Mazzola.
10. La creazione dell'integrità risana il creatore «La creazione dell’integrità risana il creatore» è un concetto espresso da Christopher Alexander a proposito dell’atto creativo, in particolare riferito all’Arte, alla produzione di artefatti e all’Architettura. È un concetto fondamentale nella creazione di piccoli oggetti, ma voglio suggerire come si applica a ogni scala. Oggi l’argomento privilegiato a livello internazionale sono le città sostenibili, i piani regolatori, i piani urbanistici, i piani casa, ecc. per costruire città più sane nel nuovo millennio. Ma mentre l’urbanistica opera su base legislativa, definendo ciò che si può fare e ciò che si deve evitare, un’altra dimensione, su scala minore, individuale direi, richiede l’impiego della coscienza umana. È questa che regola i piccoli interventi al livello
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architettonico di una stanza, di un’estensione del balcone, di una finestra, fino all’ornamento attorno alla porta. Come riuscire a farlo in modo coerente? Abbiamo finalmente preso coscienza che la città a scala umana è il risultato di un numero infinito di piccoli interventi. Alcuni di questi atti sono coordinati tra loro, ma molti non lo sono. La coerenza urbana diventa il prodotto della coscienza umana tramite la cultura attuale del luogo, una manifestazione d’auto‐organizzazione. Esiste un problema molto grave, però, perché la coscienza della nostra società è stata deturpata per formare un «uomo nuovo» strettamente meccanico e ben poco umano. L’élite dominante ci ha convinti a recidere i legami con l’atto creativo, fonte millenaria di
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salute per l’uomo. Adesso questa fonte non l’abbiamo più, l’abbiamo lasciata perdere convinti che tutto ciò che è fatto dev’essere necessariamente un prodotto industriale, frutto della filosofia della collettivizzazione dell’individuo. La mano dell’uomo non entra più nel processo; la legge ferrea della «economia di scala industriale» governa tutta la nostra vita. Chi di noi crea qualcosa? Chi tra noi dipinge, fa una scultura, tesse una qualsiasi fibra o fa un lavoro artigianale con le proprie mani? Chi cucina ancora i propri pasti oggi? Una persona nella società contemporanea non crea assolutamente niente, quindi si ammala perché non può beneficiare dell’effetto rigenerativo e nutritivo della creazione. L’atto creativo, un dono che viene da Dio perché è un atto umano che copia esattamente quello divino, è stato spento dalla propaganda del consumo industriale. La creazione è stata di fatto proibita dal potere dei media, diventati più assoluti e intolleranti d’ogni religione tradizionale. Invece, che belle parole nella Bibbia descrivono la creazione dell’uomo formato con la terra dalla mano di Dio! Soprattutto per un convinto evoluzionista come l’autore, ciò illustra l’atto creativo dell’uomo meglio di qualsiasi nozione scientifica sull’origine della vita dalle molecole organiche. Ma perché Dio ha creato la vita in primo luogo? La Bibbia non lo spiega, ma è facile da comprendere: perché la creazione dà un gran piacere a Dio. Possiamo anche pensare che l’atto creativo aggiunga coerenza alla divinità di Dio, altrimenti non ci sarebbe bisogno di creare niente. Senza creazione avremmo un universo vuoto, freddo. Dunque, dobbiamo rispettare la creazione come atto sacro, anche se non la comprendiamo. Noi esseri umani possediamo un istinto creativo, un bisogno nutritivo di creare l’integrità, e lo abbiamo praticato per nutrire la nostra anima e il nostro corpo per millenni fino ai nostri tempi «moderni». A causa della propaganda consumistica abbiamo cessato di creare, di generare. Consumiamo soltanto, cioè distruggiamo: è un
grave sintomo d’insostenibilità globale. Nel passato la specie umana bilanciava questi due processi opposti: creazione e distruzione; oggi, invece, perseguiamo soltanto il secondo. Oltre all’ambiente che viene distrutto con rapidità preoccupante, è infatti l’anima umana a essere danneggiata se non creiamo niente personalmente. Tutto oggi si deve comprare, tutto è un prodotto industriale, la possibilità di creare non esiste, è stata dimenticata nei decenni passati. I «contemporanei» hanno soltanto parole di condanna, e paura, per il passato, convinti che qualsiasi sguardo all’indietro sia un tradimento dello sviluppo civilizzatore. Una persona che si nutre creando oggetti, artefatti, dimore o città non ha posto nella società d’oggi. Nel sistema ideologicamente totalitario nel quale viviamo, questa persona sarà esclusa perché retrograda o forse, nel migliore dei casi, messa ai margini come un essere eccentrico e un po’ pericoloso che ha diritto al suo comportamento strano. I «moderni» lo guarderanno con un misto di disprezzo e curiosità, ma mai come un esempio da seguire, sicuramente mai come un maestro da quale imparare per poi migliorare la propria vita. Un vero creatore, che sia un artista (nel senso tradizionale), uno scultore, uno che lavora la pietra, un maestro d’ornamentazione architettonica, non vale niente nella nostra società. Non dimentichiamo che l’ornamentazione è stata condannata un secolo fa come un crimine grave. Questa condanna non è mai stata revocata e, nelle scuole d’architettura, ancor oggi si continua a insegnare di guardarsi dal gran crimine dell’ornamento. Il tabù contro la lavorazione artigianale e l’ornamento non è mai stato abolito.
Estratto e adattato da Nikos A. Salingaros “La creazione dell'integrità risana il creatore”, in Nemeton High Green Tech Magazine, 7 novembre 2010
Geometrie biofisiche: livelli di scala, gradienti, centri forti, frattali negli elementi naturali
“abbattere gli errori è il primo passo, ma occorre anche sapere evitarne di nuovi” 16
Per una città viva e bella, rigenerare la periferia urbana
IL “GRUPPO SALÌNGAROS” Nato in Italia nel 2008 come un insieme di amici, il Gruppo Salìngaros riunisce architetti, ingegneri e studiosi intorno al pensiero del noto urbanista e matematico Nikos Salìngaros, ai cui studi affianca le opere di autori come Wilson, Adorno e Horkheimer, Debord, Bauman, Alexander. Al centro delle proprie analisi pone il concetto di vita, e promuove la sostituzione degli approcci estetico/ideologico all’architettura e funzionalista all’urbanistica con la biofilia, affinché si torni a costruire e progettare secondo le esigenze psicofisologiche, sociali, politiche, ecologiche dell’essere umano. Il Gruppo è composto per la sua massima parte da professionisti giovani (alcuni dei quali costretti ad espatriare presso Università estere), e rappresenta il nuovo punto di riferimento per la progettazione urbanistica e architettonica, perché conta sia su un’accurata professionalità architettonico‐urbanistica, nella progettazione, nel restauro, nell’ornamento, sia su una vasta competenza interdisciplinare di squadra estesa all’arte, alla sociologia, al diritto, all’epistemologia, alle scienze cognitive, alla topologia, all’ecologia. Al suo attivo ha conferenze pubbliche ai più alti livelli accademici e politici, pubblicazioni scientifiche, disseminazione culturale sui maggiori quotidiani, una fiera lotta politica apartitica per garantire un’urbanistica a misura d’uomo alle città italiane, preservandole dal pericolo di interessi economici ed ideologici fortemente distruttivi. Le sue posizioni sulla conservazione e sul restauro si sono purtroppo dimostrate profetiche riguardo ai recenti gravi crolli di Pompei. Il Gruppo riceve molte richieste d’intervento per la difesa del patrimonio architettonico e per contrastare gli effetti dell’ideologia urbanistica dominante, di legislazioni inefficaci, e di voraci interessi speculativi. Non per questo è contro l’urbanistica accademica, la legge, o l’interesse d’impresa, ma ritiene che sia la cornice culturale che ha distorto questi tre elementi, rendendoli d’ostacolo anziché d’aiuto alla società, a dover essere trasformata radicalmente. Il Gruppo Salìngaros ha promosso la nascita della Società Internazionale di Biourbanistica (International Society of Biourbanism), che riunisce per la prima volta scienziati di tutto il mondo interessati alla Forma e alla Complessità nello studio del problema urbano; il movimento dell’Urbanistica pari‐a‐pari (P2P Urbanism), per una vera partecipazione civile alla progettazione dello spazio comune; la diffusione del neorinascimento delle città, ispirato in chiave europea all’esperienza statunitense del New Urbanism per la “centrificazione” delle periferie e il compattamento urbano.
Componenti del gruppo
Nikos A. Salìngaros
Professore di matematica presso la University of Texas at San Antonio, USA, e docente nelle facoltà di Architettura delle Università di Delft e Roma Tre, Salìngaros è tra gli sviluppatori della «Biofìlia» come componente essenziale del disegno dell’ambiente umano. Parla e lavora in inglese, francese, greco, italiano e spagnolo. Ha collaborato con Christopher Alexander per un’analisi critica dell’architettura moderna, proponendo un approccio alternativo all’architettura e all’urbanistica che si concentra sui bisogni e sulle aspirazioni degli uomini. Oltre ai suoi contribuiti teorici fondamentali, porta avanti la pratica progettuale. I suoi articoli e libri affrontano i concetti della morfologia urbana, dei frattali e dei network.
Ettore Maria Mazzola
Architetto, urbanista, restauratore, è autore di diversi libri e saggi su Urbanistica, Architettura e Sostenibilità. È Professore di Architettura e Urbanistica presso la University of Notre Dame School of Architecture Rome dal 2001, e presso la University of Miami dal 2009. È membro del Prince of Wales’s Alumni Foundation, del Making Cities Livable, e dell’I.N.T.B.A.U. Membro della Commissione Urbanistica di Italia Nostra, sezione romana, e dell’International Scientific Committee per la revisione della Carta Internazionale del Restauro di Venezia. Esercita la professione a Roma. Tra i vari lavori nel 2000 era parte del gruppo internazionale di progettazione della Prince of Wales’ Alumni Foundation (progetto nuovo Borgo Fonti di Matilde).
Gabriele Tagliaventi
È professore ordinario di Architettura Tecnica presso l'Università di Ferrara. Dal 2007 è Consulente Architettonico del Presidente della Repubblica del Kazakhstan. Dal 1992, è curatore della Triennale Internazionale di Architettura e Urbanistica A Vision of Europe e delle esposizioni "Urban Renaissance" e “The Other Modern”. Tra i suoi principali lavori: il nuovo centro di quartiere Borgo Città Nuova ad Alessandria (con Leon Krier); numerosi masterplan per nuovi centri urbani nell’Ile‐ de‐France; il Piano per l'estensione della città di Koshetau, Kazakhstan. Vice‐direttore di A&C INTERNATIONAL, Journal on Architecture and Urbanism, è autore di numerosi saggi di architettura e urbanistica.
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Pietro Pagliardini
Stefano Serafini Filosofo e psicologo, esperto di problemi della forma. Membro fondatore e direttore esecutivo del Gruppo Salingaros, promuove dibattiti e ricerche sulla biofilia in architettura e psicologia in Italia e all'estero. Ha pubblicato numerosi saggi e contributi in miscellanee e riviste, oltre a scritti per diversi quotidiani nazionali. Coordina la ricerca della Società Internazionale di Biourbanistica con particolare attenzione verso le proprietà emergenti e i processi autorganizzativi.
Dottore di ricerca in Scienze giuridiche, con curriculum in Filosofia e Sociologia del diritto. È docente seminariale presso l’Università degli Studi di Milano‐Bicocca dal 2006, con cattedra di Sociologia del diritto, dove insegna fondamenti di sociologia della cittadinanza. Rivolge inoltre i suoi interessi alla psicologia sociale, all’economia, alla neuroscienza, alla semiotica e all’urbanistica. È fondatore e presidente dell’Associazione Studi e Ricerche Interdisciplinari, che riunisce studiosi di varie aree di competenza con fini di armonizzazione del sapere e di divulgazione.
Sergio Porta
Professore di Progettazione Urbana presso il Dipartimento di Architettura dell'Università di Strathclyde, Glasgow. La sua ricerca è principalmente orientata alla definizione di procedure, applicazioni e strumenti per l'analisi e la progettazione urbana di tipo sostenibile/umana/adattiva: dall'analisi dello spazio basata sui GIS, alla progettazione comunitaria sostenibile, dalle tecnologie di riduzione dei trasporti alle strategie per la sicurezza e la vivibilità degli ambiti pubblici, dallo sviluppo di strumenti per l'analisi di sistemi spaziali urbani, alla “morfometria urbana”, un approccio quantitativo all’evoluzione delle forme urbane.
Antonio Caperna
Dottore di ricerca in Progetto Urbano Sostenibile è Lecturer nel Master PISM (Università di Roma Tre) e visiting professor presso varie università europee. Collabora con Laboratori di Educazione Ambientale della Provincia di Roma sulle tematiche dello sviluppo sostenibile. Le sue ricerche si concentrano oggi sui possibili mutamenti paradigmatici e metodologici che recenti scoperte scientifiche (teoria dei sistemi complessi, morfogenesi e biofilia) possono indurre in architettura e nel progetto urbano. È Presidente della Società Internazionale di Biourbanistica.
Ciro Lomonte
Architetto libero professionista, la sua attività di ricerca e progettuale è collocata nel settore dell’architettura per il culto e dell’arte sacra in generale. Interessato alla cura artigianale dei dettagli architettonici, impegnato in attività di formazione culturale e professionale dei giovani, è componente della direzione Scuola di formazione Monte Grifone (Arces). È curatore di una monografia su: S. J. Schloeder, L’Architettura del Corpo Mistico, Progettare chiese secondo il Concilio Vaticano II. Dal 2009 è docente del Master in “Architettura, Arti Sacre e Liturgia”presso l’Università Europea di Roma. Fa parte del comitato di redazione de Il Covile.
Wittfrida Mitterer
Paolo Masciocchi
Senior partner dello studio di architettura Pagliardini, Rupi, Andreoni & Gazzabin, Arezzo, è architetto ed esperto di edilizia sociale, membro dello Environmental Structure Research Group (ESRG) e gestisce il blog De Architectura, contro la “sregolatezza architettonica”. Pratica la professione dal 1977, e ha progettato oltre 1300 edifici abitativi e 100 costruzioni industriali. Ha partecipato alla realizzazione di 17 Piani Integrati e a 3 Programmi Straordinari di Edilizia Residenziale.
Docente presso la Facoltà di Architettura dell’Università Statale di Innsbruck, si occupa di recupero e valorizzazione con approccio ecologico di aree e architetture dismesse. Dal 2009 è direttore del Master Casaclima‐Bioarchitettura presso la LUMSA. Insieme all’architetto Ugo Sasso è cofondatrice dell’Istituto Nazionale di Bioarchitettura. È direttore responsabile del periodico bimestrale “Bioarchitettura” edita dal 1992. Per la Provincia Autonoma di Bolzano sviluppa e attua dal 2002 progetti comunitari per la valorizzazione del paesaggio e del patrimonio storico‐tecnico‐ architettonico. Tiene conferenze e relazioni in importanti convegni nazionali ed internazionali tra cui al 7° Symposium per il costruire ecologico in Europa (Aachen ‘98) e all’11° (Bruxelles 2002).
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Per una città viva e bella, rigenerare la periferia urbana
Alessandro Pierattini
Architetto, saggista, artista visivo, ha studiato Architettura a Roma sotto la guida di Paolo Marconi. Si è interessato principalmente di tecniche costruttive antiche e tradizionali, pubblicando nel 2009 il “Manuale del Restauro Archeologico di Ercolano”. Dal 2005 è direttore della collana “Vitruvio e i suoi eredi” presso l’Editrice Dedalo di Roma. È stato docente e ricercatore a contratto presso l’Università di Roma Tre, e dal 2010 è Professore di Architettura e Disegno presso la University of Notre Dame School of Architecture Rome Studies Program.
Stefano Silvestri Ingegnere edile, specializzato nell’impiantistica civile. Partecipa dal 1991 alle iniziative dell’Istituto Nazionale di Bioarchitettura: da sempre si interessa di bioarchitettura e dei temi in genere legati all’approccio biofilico. Da alcuni anni si è avvicinato agli scritti e alle opere di Christopher Alexander, attraverso le quali ha scoperto con entusiasmo anche il lavoro di Nikos Salìngaros: di entrambi gli autori ha tradotto in italiano alcuni saggi, poi pubblicati sia in rete che su riviste o quotidiani (Il Covile, Bioarchitettura, il Foglio).
Alessia Cerqua Architetto, dottore di ricerca in Progetto Urbano Sostenibile, svolge attività di ricerca sul tema della pianificazione urbana e territoriale, con particolare interesse per tematiche ambientali e sociali; nel 2009 ha fondato il Laboratorio di ricerca sugli immaginari urbani, per lo studio e la sperimentazione di dispositivi di interazione creativa tra i luoghi e gli abitanti. Attualmente è docente di Ecologia del Paesaggio (Università La Sapienza), collabora con enti pubblici, centri di ricerca ed università . È socio fondatore della Società Internazionale di Biourbanistica e direttore della rivista scientifica internazionale Journal of Biourbanism.
Milena De Matteis Architetto urbanista, è oggi Ricercatore presso l’Università IUAV di Venezia, dove è coordinatore del progetto di ricerca triennale Firb “Living Urban Scape”, in cui concorre anche l’Università Roma Tre, sulla riqualificazione degli insediamenti residenziali pubblici. È docente e Visiting Professor presso università italiane e straniere. Ha collaborato col Comune di Roma come facilitatore e ha conseguito una specializzazione in Economia Business Creation presso l’Università di Tor Vergata. Tra le sue ricerche: tecniche di pianificazione strategica, teorie di Christopher Alexander, progettazione partecipata, housing e qualità dell’abitare.
Alessandro Bucci Ingegnere, PhD, è segretario dell’Associazione Internazionale A Vision of Europe, professore a contratto della Facoltà di Ingegneria dell’Università di Ferrara. È segretario del Laboratorio di Architettura Tecnica CivicArch del Dipartimento di Ingegneria e Co‐fondatore all’interno della rete di AVOE dell’Eco‐Compact City Network. Autore di numerose pubblicazioni scientifiche su temi della città contemporanea, i temi delle sue ricerche: i luoghi e le architetture del commercio, tecniche di riqualificazione delle aree periferiche, tutela e valorizzazione dell’architettura regionale.
Pietro Pini Studente presso la Facoltà di Architettura dell'Università di Firenze, ha conseguito un semestre di studio presso l'Università del Texas a San Antonio dove ha seguito i corsi del prof. Salìngaros, da cui nasce il suo forte interesse per le tematiche dell’architettura e dell’urbanistica biofilica e a misura d’uomo.
Contatti Sito: www.grupposalingaros.net Email: grupposalingaros@gmail.com Blog: www.grupposalingaros.blogspot.com
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Tel: 393 9426561 Fax: 069597399
Per una città viva e bella, rigenerare la periferia urbana
SITOGRAFIA E BIBLIOGRAFIA Il gruppo Salingaros: www.grupposalingaros.net www.grupposalingaros.blogspot.com
Nikos Salingaros web‐page: http://zeta.math.utsa.edu/~yxk833 La società internazionale di biourbanistica nasce come luogo di scambio e di informazione per promuovere lo studio dei sistemi urbani e delle loro interconnessioni con i sistemi ambientali e viventi, tramite analisi interdisciplinari: www.biourbanism.org www.biourbanistica.it La rivista online Il Covile: www.ilcovile.it Il sito di A Vision of Europe – Architecture New Urbanism Publications : www.avoe.org L'Atlante mondiale aperto del p2p urbanism: http://cityleft.blogspot.com/p/p2p‐urbanism‐world‐atlas.html Il sito italiano dell'urbanistica Peer to Peer: http://p2purbanism.blogspot.com Il sito dell’Istituto Nazionale di Bioarchitettura: http://www.bioarchitettura.it Il sito del Pattern Language di Christopher Alexander: http://www.patternlanguage.com Il blog di pietro Pagliardini: www.de‐architectura.com Urban Design Studies Unit: www.udsu‐strath.com No Grat comitato per Torino libera dai Grattacieli: www.nongrattiamoilcielo.org/index.php Centre for Advanced Spatial Analysis: www.casa.ucl.ac.uk/people/MikesPage.htm Duke Mechanical Engineering and Materials Science: www.mems.duke.edu/fds/pratt/MEMS/faculty/abejan/
Nikos Salingaros, Twelve Lectures on Architecture – Algorithmic Sustainable Design, Umbau‐Verlag, Solingen, 2010 Nikos Salingaros, No alle archistar. Il manifesto contro le avanguardie, LEF, Firenze, 2009 Nikos Salingaros, Antiarchitettura e demolizione, LEF, Firenze, 2007 Nikos Salingaros, A Theory of Architecture, Umbau‐Verlag, Solingen, 2006 Nikos Salingaros, Principles of Urban Structure, Techne Press, Amsterdam, 2005 Nikos Salingaros, Antonio Caperna, Michael Mehaffy, Geeta Mehta, Federico Mena‐Quintero, Agatino Rizzo, Stefano Serafini, Emanuele Strano, A Definition of P2P (Peer‐To‐Peer) Urbanism, AboutUsWiki, the P2P Foundation, DorfWiki, Peer to Peer Urbanism (Settembre 2010). Presentato da Nikos Salingaros alla International Commons Conference, Heinrich Böll Foundation, Berlin, 1st November 2010 Nikos Salingaros, Paolo Masciocchi, Stefano Serafini, «La rinascita dell’arte passa tra la religione e la scienza» Il Covile IX, 562 (2009) Christopher Alexander, The Nature of Order, 4 voll., Berkeley, Ca., Center for Environmental Structure, 2002‐2005 Christopher Alexander, Sara Ishikawa, Murray Silverstein, A Pattern Language: Towns, Buildings, Construction, New York, Oxford University Press, 1977 Alessandro Bucci, Gabriele Tagliaventi, La guida delle nuove Eco‐Città Efficienti, Alinea, Firenze 2009 Alessandro Bucci, Gabriele Tagliaventi, From slab‐urbia to the Eco‐city, Alinea, Firenze, 2006 Alessandro Bucci, Città, commercio, architettura, Alinea, 2004 Alessandro Bucci, Luigi Mollo (eds.), Regional architecture in the mediterranean area, Alinea, Firenze, 2010 Antonio Caperna, Handbook of Research on E‐Planning: ICTs for Urban Development and Monitoring, University of Lisbon, IGI Global, 2010 Antonio Caperna, Nikos Salingaros, “Complexity as new methodological approach in architecture and urban planning", Italian Urbanist Congress (INU), Genova, 2006 Antonio Caperna, “The problems of the contemporary architectural expression and the changing role of symbols”, XXII UIA World Congress, Torino, 2008 Antonio Caperna, “Sacred and Profane in Architecture”, in Architecture. The Mute Transmitter of the Outspoken Emotions. The Integrating Role of the Spiritual Places for the XXI Century City Dwellers” UIA Poland (Ed), Warsaw 2007
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Per una città viva e bella, rigenerare la periferia urbana
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